Sei sulla pagina 1di 15

PONTIFICIA UNIVERSITÀ

S. TOMMASO D'AQUINO IN URBE

Facoltà di filosofia

fr. Fabrizio Cambi, O.P.

Breve studio sull'eternità del mondo


in Quodl. XII, q. 5, a. 1

ROMA 2022
INTRODUZIONE GENERALE

Uno dei confronti più accesi nei secoli XII-XIII fu senza dubbio quello inerente l'eternità del
mondo.1 Se ai nostri giorni la ricerca filosofica – tralascio qui il dibattito interno alle scienze
positive – su tale argomento sembra sopita, 2 non si può dire la stessa cosa per quanto riguarda i
decenni nei quali visse san Tommaso d'Aquino. Che in quegli anni il tema fosse molto dibattuto, in
particolare durante il secondo periodo in cui egli era maestro reggente a Parigi (1268-1272), 3 ci
viene testimoniato da molti elementi come la famosa condanna del 1270 – seguita poi da quella del
1277 – del vescovo di Parigi Étienne Tempier.4 Essa ci mostra come il confronto fosse davvero
accesso, oltre a farci intuire quanto alcuni esponenti dell'autorità ecclesiastica vedessero nella tesi
dell'eternità del mondo un serio pericolo per l'integrità della fede cattolica.
Tra i teologi e pensatori5 che si espressero esplicitamente in merito all'eternità del mondo si
deve annoverare san Tommaso d'Aquino, che con i suoi scritti e le sue discussioni universitarie
(penso alle tipiche quaestiones) se ne occupò direttamente più di una volta. 6 Fra i testi dell'Aquinate
o quelli a lui ricondotti ve ne è uno nel quale egli – o chi per lui, come vedremo tra poco – si occupa
dell'eternità del mondo, seppur in maniera assai concisa.7 Mi riferisco alla dodicesima questione
1
Durante l'epoca rinascimentale si parlerà dell'età del mondo, senza smettere di occuparsi della sua possibile eternità:
tra gli altri, vd: I. DEL PRETE, «“Being the World Eternal…”: The Age of the Earth in Renaissance Italy», in Isis 105
(2015), 292-317.
2
Nonostante ai nostri giorni il tema non sia tra i più trattati, vale la pena riportare quanto scriveva qualche anno fa Luca
Bianchi, per comprendere come gli interessi filosofici e teologici possono variare in appena qualche decennio:
«All'interno di una ormai vastissima bibliografia, la controversia scolastica de aeternitate mundi viene troppo spesso
presentata come luogo ove trovare risposta ad una delle “eterne domande” dell'umanità; oppure come propedeutica ad
un approccio teorico a tale domanda; oppure come momento di costruzione di una apologetica attrezzata ad aggredire
materialismo e panteismo; oppure come sede di una determinazione dell'età degli angeli; oppure come spunto ad un
discorso sulle mirabili convergenze fra pensiero bonaventuriano e teoria del big-bang» (L. BIANCHI, L'errore di
Aristotele. La polemica contro l'eternità del mondo nel XIII secolo, La Nuova Italia Editrice, Firenze 1984, 4-5).
3
Per la cronologia della vita di san Tommaso, tra gli altri vd. J.-P. TORRELL, Initiation à saint Thomas d'Aquin. Sa
personne et son oeuvre, Éditions du Cerf, Paris 2015, 421-424.
4
Per un'introduzione tomista alla questione dell'eternità del mondo, vd. É. GILSON, Il tomismo. Introduzione alla
filosofia di san Tommaso d'Aquino, ed. it. a cura di C. Marabelli – F. Marabelli, Jaca Book, Milano 2011, 255-272.
5
Pur non trattandosi di una lista completa, vd. E. BERTOLA, «Tommaso d'Aquino e il problema dell'eternità del mondo»,
in Rivista di Filosofia Neo-Scolastica 66 (1974), 313: «Prima di Tommaso numerosi pensatori cristiani, filosofi e
teologi, avevano già discusso, e profondamente, questo problema e le sue varie implicazioni; lo avevano affrontato,
per nominarne soltanto alcuni, Guglielmo d'Auxerre nella sua Summa aurea; Guglielmo d'Auvergne, sia nel De
Trinitate, sia, ampiamente, nel De universo; poi Alessandro di Hales, nelle Glosse alle Sentenze del Lombardo e nella
Summa theologica; poi ancora Alberto di Colonia e Bonaventura». Ai nomi qui riportati manca quello di John
Peckham (o Pecham), figura assai importante con il quale Tommaso ebbe una disputa negli anni del suo secondo
periodo parigino. A tal riguardo, vd. I. M. BRADY, «John Pecham and the Background of Aquinas's “De aeternitate
mundi”», in A. A. MAURER et alii (ed.), St. Thomas Aquinas, 1274-1974. Commemorative Studies, t. 2, Toronto 1974,
141-178.
6
Tra le opere in cui san Tommaso si occupa direttamente dell'eternità del mondo: In II Sent., d. 1, q. 1, a. 5; SCG, II, c.
31-38; De pot., q. 3, a. 14 e 17; ST, I, q. 45 (cfr. D. DIDERO, «Introduzione», in TOMMASO D'AQUINO, L'unità
dell'intelletto. L'eternità del mondo, D. Didero [a cura di], Edizioni San Clemente – Edizioni Studio Domenicano,
Bologna 2012, 19). Ad esse va ovviamente aggiunto il famoso opuscolo De aeternitate mundi scritto durante il
secondo periodo parigino.
7
L'edizione latina di riferimento del Quodlibet XII è quella Leonina: SANCTI THOMAE DE AQUINO, Opera omnia iussu

1
quodlibetale, della quale desidero sinteticamente occuparmi nel presente scritto. Così, dopo una
breve introduzione alla quaestio dodicesima di carattere storico-esegetico, desidero presentare il
tema dell'eternità del mondo così come viene trattato nel primo articolo della quinta questione del
suddetto Quodlibet (cfr. Quodl. XII, q. 5, a. 1). Nelle pagine che seguiranno tenterò anche di
illustrare il significato di alcuni termini usati all'interno del testo quodlibetale giacché la loro
comprensione è di somma importanza per la comprensione dell'argomentazione proposta.

1. INTRODUZIONE ALL'OPERA

Come accennato, Tommaso si occupa dell'eternità del mondo in diversi suoi scritti tra i
quali, lo abbiamo detto, si devono annoverare le Quaestiones quodlibetales. Secondo alcuni
studiosi, come ad esempio il prof. Pasquale Porro, il Quodlibet che qui è oggetto di studio
risalirebbe al periodo di Quaresima dell'anno 1272.8
Una qualche difficoltà di carattere filologico per quanto riguarda il nostro Quodlibet deriva
dal fatto che esso, come dicono alcuni, si tratterebbe «di una reportatio non rivista da Tommaso
stesso».9 La cosa, seppur potrebbe apparire strana o addirittura pericolosa ai fini della comprensione
del pensiero espresso nel testo, è in realtà, in un certo senso, per noi poco rilevante. Difatti il
pensiero dell'Aquinate in materia di eternità del mondo non subisce significative variazioni nel
corso del tempo,10 e il testo qui studiato non presenta significative differenze contenutistiche
rispetto ai cosiddetti testi paralleli di sicura attribuzione tommasiana (ex.: le altre Quaestiones
quodlibetales, il De aeternitate mundi, etc.).11 Ciononostante è comunque doveroso segnalare che il
dodicesimo Quodlibet non sembra essere il frutto della penna (forse neanche della dettatura) di san
Tommaso,12 sebbene René-Antoine Gauthier, curatore dell'edizione critica del Quodlibet XII

Leonis XIII P.M. edita, t. 25/2, Quaestiones de quolibet. Quodlibet I, II, III, VI, IV, V, XII. Indices, Commissio Leonina
– Éditions du Cerf, Roma – Paris 1996, 399-430.
8
È la tesi del prof. Porro (P. PORRO, Tommaso d'Aquino. Un profilo storico-filosofico, Carocci, Roma 2012, 365). Come
però fa osservare il domenicano Jean-Pierre Torrel c'è stata al riguardo un'ampia oscillazione di vedute, sebbene nel
corso del tempo gli studiosi si siano detti sempre più propensi a ritenere che il Quodlibet XII sia stato composto a
Parigi dopo il 1270 (cfr. J.-P. TORRELL, Initiation à saint Thomas d'Aquin, 270-271).
9
Cfr. P. PORRO, Tommaso d'Aquino, 365. La stessa cosa viene sostenuta da J.-P. TORRELL, Initiation à saint Thomas
d'Aquin, 270. Da parte sua James Weisheipl, qualche anno prima, afferma: «Si tratta di una reportatio, o forse di
appunti, in vista della determinazione da parte del maestro; essa presenta vari problemi, non ultimo quello della
collocazione cronologica» (J. A. WEISHEIPL, Tommaso d'Aquino. Vita, pensiero, opere, ed. it. a cura di I. Biffi – C.
Marabelli, Jaca Book, Milano 20163, 259-260).
10
Tralascio qui di considerare la somiglianza di vedute che esiste tra due Quodlibeta relativamente vicini nel tempo
quali il terzo (Quodl. III, q. 14, a. 2) e il dodicesimo (Quodl. XII, q. 5, a. 1), databili secondo Porro rispettivamente
alla Quaresima 1270 e a quella del 1272 (Cfr. P. PORRO, Tommaso d'Aquino, 365; per la datazione proposta da altri
studiosi e storici, cfr. J.-P. TORRELL, Initiation à saint Thomas d'Aquin, 271).
11
Non è mia intenzione compiere qui un'analisi o raffronto sistematico delle differenze che esistono tra le diverse opere
dell'Aquinate, rimandando ciò a un possibile lavoro in futuro.
12
In un manoscritto presente a Madrid, per esempio, troviamo scritto: «[...] XIIm non est fratris thome» (cit. in SANCTI

2
pubblicata nel 1994, sposi la tesi secondo cui nel testo si trovano «notes écrites par saint Thomas
avant la séance de détermination, notes personnelles qu'il se réservait de développer plus clairement
par oral et de rédiger plus tard par écrit». 13 Non è compito mio esprimermi in questo frangente
sull'origine del testo, se in altre parole esso sia una reportatio non rivista dall'Aquinate (come
affermano Porro e Torrel) o se si tratti di appunti scritti dallo stesso Tommaso (come dicono
Gauthier e in un certo senso anche Weisheipl).14 Credo sia per il momento sufficiente sapere che la
cosa è dibattuta tra gli studiosi ma che in ogni caso il testo pare esprimere in un modo o nell'altro il
genuino pensiero del Maestro di Aquino. 15 Certo, si tratta di un testo particolare e molto stringato –
appena otto linee nell'edizione leonina – ma mostra un'ottima consonanza con quanto il Dottore
d'Aquino scrisse altrove.16

2. CONTESTO E SUDDIVISIONE DELLA QUESTIONE

Senza addentrarmi nelle complesse questioni filologiche e/o cronologiche 17 credo sia bene
andare fin da subito al testo. L'articolo che più direttamente intendo qui approfondire è il primo di
una questione piuttosto breve, la quinta, dedicata al caelum. Essa è preceduta da un'altra questio18
riguardante gli angeli,19 ed è seguita dalla questio sesta dedicata invece all'essere umano, la quale,

THOMAE DE AQUINO, Opera omnia iussu Leonis XIII P.M. edita, t. 25/1, Préface. Quaestiones de quolibet. Quodlibet
VII, VIII, IX, X, XI, Commissio Leonina – Éditions du Cerf, Roma – Paris 1996, 152). Circa i problemi relativi al testo
e alla sua attribuzione, vd. almeno ibid., 152-153.
13
R.-A. GAUTHIER, «Préface», in SANCTI THOMAE DE AQUINO, Opera omnia iussu Leonis XIII P.M. edita, t. 25/1,
Préface. Quaestiones de quolibet. Quodlibet VII, VIII, IX, X, XI, 153.
14
Cfr. nota 9 del presente scritto.
15
Durante tutto l'articolo riferirò il Quodlibet a un “autore” senza con ciò assumere la tesi che nega un legame diretto
con san Tommaso.
16
Mi riferisco, fra i tanti, al Quodl. III, q. 14, a.2 – su tale Quodlibet ci sono meno difficoltà di carattere filologico –
dove l'Aquinate si chiede se sia possibile provare in modo dimostrativo che il mondo non sia eterno (l'articolo inizia
così: «Videtur quod demonstratiue probari possit mundum non esse eternum»; ed. Leonina, t. 25/2, 290, l. 2-4). Anche
in esso, come nel Quodl. XII, si sottolinea – lo vedremo nel corso dell'articolo – il carattere inscrutabile della volontà
divina: «Dicendum quod ea que simplici uoluntati diuine subsunt, demonstrative probari non possunt» (Quod. III, q.
14, a. 2, co.; ed. Leonina, t. 25/2, 290, l. 24-26).
17
Prima di andare oltre, mi pare meriti di esser almeno menzionato in nota ciò che scrisse Weisheipl a proposito del
Quodlibet XII: «Di undici di questi quodlibet [di san Tommaso] fu curata l'edizione e poi consegnata allo stazionario
dell'università per essere copiata e messa in circolazione. La raccolta completa comparve nella lista degli stazionari
nel 1286 e nel 1304. Poco dopo il 1300 fu scoperto un altro quodlibet, che venne aggiunto alla raccolta come
Quodlibet XII» (J. A. WEISHEIPL, Tommaso d'Aquino, 259).
18
Qui e in tutto l'articolo si userà lo stile leonino di riportare i dittonghi latini.
19
Cfr. Quodl. XII, q. 4, pr. (ed. Leonina, t. 25/2, 403, l. 1-2). La quarta questione in realtà, come emerge anche dai titoli
dei suoi articoli, riguarda non solo gli angeli, intesi quali sante creature spirituali, ma anche il diavolo ( «Secundo
quesitum est utrum dyabolus cognoscat cogitationes hominum» [vd. Quodl. XII, q. 4, a. 2, pr. (ed. Leonina, t. 25/2,
404, l. 1-2)]). In un certo senso potremmo dunque affermare che in essa l'autore si occupa in generale delle creature
puramente spirituali, sebbene sia lecito chiedersi se il termine angelus venga qui adoperato in un senso ampio, senza
cioè alcuna connotazione “morale”. Sarebbe allora interessante approfondire la cosa, studiando se l'Aquinate (o i suoi
segretari) utilizzi altrove il termine angelus quale sinonimo di creatura puramente spirituale/sostanza separata.

3
però, fa come da incipit a una serie di questioni inerenti l'anima, la conoscenza e tematiche
teologiche legate all'ambito sacramentale e al campo delle virtù.
Pur volendo individuare un possibile modus ordinandi inerente le questioni del nostro
Quodlibet, proponendo per esempio che si parte da ciò che è più spirituale (Dio, la sua potenza, gli
angeli, etc.)20 per poi passare a ciò che è più o meno materiale (il mondo, l'uomo, i sacramenti,
etc.),21 mi sembra che questo e qualsiasi altro tentativo di strutturazione generale del testo si
infranga con la presenza di temi (ex: le questioni inerenti la Chiesa, le virtù morali, etc.) 22 che non
hanno un vero legame con la ratio ordinatrice appena accennata (spirito-materia). Per quanto
dunque alcune questioni siano tra loro connesse, il Quodl. XII si presenta come un classico testo
quodlibetale nel quale vengono trattate tematiche tra loro molto diverse.
È per questo che, come credo, la questio quinta non deve essere interpretata a partire dal suo
contesto prossimo, giacché sarebbe da chiedersi quale potrebbe essere il senso di porre l'una accanto
all'altra tematiche molto diverse come, per esempio, la predestinazione (q. 3, a. 1), l'esse angeli (q.
4, a. 1), la conoscenza dei diavoli (q. 4, a. 2), l'eternità del mondo (q. 5, a. 1), il rapporto tra anima e
corpo umano (q. 6, a. 1) e tutto ciò che segue. Ecco perché mi sembra che dobbiamo considerare la
questione sull'eternità del mondo come slegata da ciò che la precede e la segue.
La nostra questione è suddivisa in due articoli: «Deinde quesitum est de celo. Et circa hoc
duo quesita fuerunt».23 Il primo riguarda l'eternità del mondo così come del cielo (utrum celum uel
mundus sit eternus), il secondo invece si chiede se il cielo – e, si noti, non il mondo 24 – sia dotato di
un'anima (utrum celum sit animatum). Ora, il concetto di mondo è solo apparentemente un qualcosa
di scontato. Come afferma Lorella Congiunti in un suo articolo, «la nozione di ordine ha una
implicazione di ordine cosmologico. Fin dalle parole con cui si designa la totalità in latino, ovvero
mundus e universum, appare la questione dell’ordine. Come è ben noto, mondo, ovvero mundus
traduce il greco kósmos, che significa ordine, bellezza, armonia».25 È dunque più che probabile che
con il termine mondo non si indica tanto il nostro pianeta, quasi si trattasse di un sinonimo del
termine “Terra”, quanto piuttosto l'insieme ordinato delle creature. D'altronde anche nel suo
Commento alle Sentenze troviamo scritto: «omnes res, prout modo sunt in suo complemento,
dicuntur unus mundus, vel unum universum».26
20
Vd. Quodl. XII, q. 1-4.
21
Vd. ibid., q. 5-11.
22
Vd. ibid., q. 12 ss.
23
Ibid., q. 5, pr. (ed. Leonina, t. 25/2, 405, l. 2-3).
24
Vi è forse qui un'attenzione dell'Aquinate di evitare ogni forma di panteismo o spiritualizzazione del mondo creato?
Parlare di anima del mondo non significherebbe, infatti, affermare che gli esseri viventi che abitano la terra sono
dotati di un'anima – il che è vero – ma che il mondo (o l'universo) in sé abbia un'anima che lo muove, il che è falso.
25
L. CONGIUNTI, «Ordine naturale e caso in Tommaso d'Aquino», in Espiritu 154 (2017), 303.
26
In II Sent., d. 12, q. 1, a. 1, ad 2. Il testo latino è quello offerto dall'edizione bilingue: S. TOMMASO D'AQUINO,
Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo. Libro secondo. Distinzioni 1-20, trad. di C. Pandolfi e R. Coggi,

4
Sarebbe allora sensato ammettere l'ipotesi secondo cui l'autore del Quodlibet considera il
celum una delle realtà che compongono il mundus? La cosa merita certamente ulteriori
approfondimenti, sebbene il primo articolo della questione qui studiata sembra lasciare intendere
che sia proprio così, almeno nel testo presente. 27 Quel che invece sembra certo è che i termini
“mondo” e “universo” sono qui menzionati come fossero sinonimi, un po' come viene lasciato
intendere dal passo del Commento alle Sentenze citato poco fa.

3. ANALISI DEL TESTO

Mi permetto di riportare nella sua interezza l'articolo che sarà oggetto di studio. Dopodiché
cercherò di offrire una spiegazione dei diversi termini in esso utilizzati, cosa che non viene fatta
dall'autore del Quodlibet. Ciò sarà utile – o forse necessario – per meglio comprendere il contenuto
di un testo così breve e intenso.
«Primo, utrum celum uel mundus sit eternus. Responsio. Dicendum quod non, set mundum incepisse est de
numero eorum que cadunt sub fide, non sub demonstratione. Nam que dependent ex simplici uoluntate Dei
possunt esse et non esse; et ad hoc quod sint, non inducit aliqua necessitas ex parte Dei; diuina autem bonitas,
que est finis rerum, potest esse ita si non sit mundus sicut si sit». 28

L'articolo ci si presenta nella sua assoluta brevità il che ricorda, come dicevamo, che non si
tratta di un testo completo, rivisto e/o ampliato. È interessante anzitutto notare, sulla scia di quanto
accennavo in precedenza, come l'autore si interroghi sulla eternità del cielo uel del mondo.
L'utilizzo della congiunzione uel (ossia, vel) indica probabilmente che non si vuole opporre il celum
al mundus quasi si trattassero, pur nella loro differenza, di due termini in contraddizione. 29 Anzi,
l'uso del verbo essere al singolare (sit) lascia supporre che l'autore dell'articolo voglia come
“avvicinare”, se non forse identificare celum e mundus. Purtroppo, però, in questo come in altri
tentativi di interpretazione di testi non rivisti dall'Aquinate rimane il dubbio che le cose stiano in un

Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2000.


27
Se così non fosse, perché Tommaso o colui che fece la reportatio parla di celum uel mundus e poi nel corpo
dell'articolo parla solamente di mundus?
28
Quodl. XII, q. 5, a. 1 (ed. Leonina, t. 25/2, 405, l. 1-13). Riporto la traduzione italiana a cura delle Edizioni Studio
Domenicano (ESD), con delle mie modifiche dovute al raffronto del testo latino da essi proposto con l'edizione
critica: «Non è eterno, ma che il mondo sia iniziato è una verità che fa parte di quelle che cadono sotto la fede, non
sotto la dimostrazione. Infatti le cose che dipendono dalla semplice volontà di Dio possono essere e non essere; e il
fatto che siano non induce alcuna necessità dalla parte di Dio; la divina bontà poi, che è il fine delle cose, può essere
così com'è sia che il mondo non ci sia, sia che ci sia» (SAN TOMMASO D'AQUINO, Le questioni disputate. Questioni su
argomenti vari [Quaestiones quodlibetales], v. 2, Quodlibet 1-6 e 12, trad. di R. Coggi, Edizioni Studio Domenicano,
Bologna 2003, 701. Per le traduzioni del testo mi atterrò generalmente alla presente edizione). Credo sia importante
notare che tra il testo critico leonino e l'edizione italiana delle ESD vi è una differenza di non poco conto. La Leonina
riporta così (i corsivi sono miei): «et ad hoc quod sint, non inducit aliqua necessitas ex parte Dei» (ed. Leonina, t.
25/2, 405, l. 10); il testo delle ESD invece: «et ad hoc quod non sit, non inducit aliqua necessitas ex parte Dei» (ed.
ESD, 700). Controllando l'apparato critico leonino non mi pare vi sia riportata la variante proposta dall'editore
italiano (non sit). Deve dunque trattarsi di una svista o di un refuso (o forse altro?).
29
Il traduttore italiano traduce la frase «utrum celum uel mundus sit eternus» con un semplice «se il cielo o il mondo sia
eterno» (ed. ESD, 701).

5
altro modo. Ciò tuttavia non ci vieta di provare a interpretare il testo così come esso ci è pervenuto e
si trova nella sua edizione critica.
Ora, alla domanda circa l'eternità del mondo l'autore risponde che esso non è eterno
(«dicendum quod non»). A tale risposta negativa fa subito seguito una congiunzione avversativa
(set) che apre alla spiegazione di quanto affermato. Il testo afferma infatti che, come ci insegna la
fede, il mondo non è eterno, seppure il fatto che esso abbia avuto inizio (incepisse) non lo possiamo
conoscere per mezzo della ragione ma solo per il fatto che ci è stato rivelato. È questo il senso della
frase «set mundum incepisse est de numero eorum que cadunt sub fide, non sub demonstratione».30
Si noti anzitutto che il testo parla di numero eorum que cadunt sub fide. Il termine numero ci
fa comprendere come la non eternità del mondo rientra tra gli oggetti di fede, che cioè sono
conosciuti non grazie alla dimostrazione ma tramite la fede. Non si specifica però di che tipo di
verità di fede si tratta il fatto che mundum incepisse. Credo ci possa esser di aiuto un passo della
Summa theologiae dell'Aquinate dove si dice: «Sed Deum esse creatorem mundi, sic quod mundus
incoeperit esse, est articulus fidei, dicimus enim, credo in unum Deum et cetera». 31 Si tratta allora di
un articolo di fede, come spiega anche Sofia Vanni Rovighi: «proprio perché la temporalità della
creatura è un carattere posto dalla libera volontà divina, essa è un articulus fidei, una verità rivelata,
non una conclusio rationis».32
È la fede, dunque, a dirci che il mondo non è eterno ma è stato creato nel senso – qui – che
ha avuto un inizio. Uno dei problemi, però, è che nel nostro articolo non si specifica il senso
dell'aggettivo eternus. Ci è forse utile quanto si trova scritto in un altro Quodlibet:
«set mundum ex quodam principio temporis esse creatum, est fidei articulus (unde et propetice a Moyse dictum
est: In principio creauit Deus celum et terram, ut Gregorius dicit in prima omelia Ezechielis); ergo mundum
non esse eternum non potest demonstratue probari».33

Ora, se il termine eternus del Quodl. XII ha lo stesso significato di quello presente nel
Quodl. III, significa che esso quasi si “contrappone” alla nozione di tempo riferita alla creazione (ex
quodam principio temporis ) la quale è avvenuta «a partire da un certo principio del tempo». 34 Non
mi pare, però, che una tale interpretazione si possa applicare sic et simpliciter al nostro articolo.
L'impressione, infatti, è che nel Quodl. XII l'autore non si chieda se il mondo abbia o non abbia
avuto un inizio nel tempo. Il nostro testo quodlibetale sembra che si interroghi in maniera più
semplice dell'incipit del mondo (il verbo incepisse ha la stessa radice di incipit) se cioè esso sia o

30
Quodl. XII, q. 5, a. 1 (ed. Leonina, t. 25/2, 405, l. 6-8).
31
ST, q. 46, a. 2, res. Il testo latino della Summa theologiae è preso dall'edizione Leonina: SANCTI THOMAE AQUINATIS,
Opera omnia iussu impensaque Leonis XIII P. M. edita, t. 4-11, Summa theologiae cum Commentariis Thomae de Vio
Caietani, Ex Typographia Polyglotta S. C. De Propaganda fide, Romae 1888-1903 (l'opera è segnalata nel presente
scritto con la sigla ST).
32
S. VANNI ROVIGHI, Introduzione a Tommaso d'Aquino, Laterza, Roma-Bari 19998, 73.
33
Quodl. III, q. 14, a. 2, sc. (ed. Leonina, t. 25/2: 290, l. 18-23).
34
Mi sono riferito, modificandola leggermente, alla traduzione italiana (cfr. ed. ESD, 353).

6
meno eterno, nel senso se abbia o non abbia avuto un inizio temporale. Purtroppo, però, il nostro
articolo non offre particolari spunti per spiegare con esattezza in che modo è qui inteso il concetto
di eternità, tanto più che esso non è affatto un qualcosa di semplice o univoco. 35 Mi pare, tuttavia,
che per quanto concerne il nostro testo l'intenzione sia fondamentalmente quella di escludere la
possibilità che il mondo non abbia avuto inizio, opponendo in un certo senso le nozioni di “eternità”
e “avere inizio” (si veda l'uso contrapposto dei termini aeternus e incepisse). L'idea, allora, è che
ciò che è eterno non ha né inizio né fine, mentre ciò che incepisse è ciò che sia logicamente che
ontologicamente prima non c'era (era nihil) mentre poi inizia ad essere.36
Il termine incepisse, inoltre, indica non solo l'aspetto crono-ontologico del mondo ma anche,
seppur in maniera implicita, che esso è stato creato. 37 Il concetto di creazione in Tommaso non
indica però solamente il “passaggio” logico-ontologico dal non-essere all'essere ma piuttosto una
radicale dipendenza ontologica dell'ente creato nei confronti del Creatore, come ricorda Torrel:
«dire che il mondo è creato significa che esso è tutto intero, in ognuno e ciascuno dei suoi elementi,
in una relazione di totale dipendenza riguardo a Dio».38
Interessante e degna di nota è la successiva annotazione fatta dall'autore del Quodlibet. Egli
parla del tema ponendolo in relazione alla fides e alla demonstratio, come d'altronde viene fatto in
maniera del tutto analoga nel Quodl. III.39 La distinzione tra fede e dimostrazione, infatti, è di
capitale importanza. Tramite la fede noi conosciamo qualcosa non grazie al procedimento
dimostrativo ma dando volontariamente l'assenso dell'intelletto a una verità né evidente (quoad
nos), né previamente dimostrata.40 La dimostrazione, invece, consiste in una conoscenza scientifica
di carattere sillogistico. Come riassume Claudio A. Testi in una sua recente pubblicazione, la

35
Alcuni passi della Summa ci offrono un'idea di quanto sia complesso parlare del concetto di eternità: «Verba vero et
participia consignificantia tempus dicuntur de ipso, ex eo quod aeternitas includit omne tempus, sicut enim simplicia
subsistentia non possumus apprehendere et significare nisi per modum compositorum, ita simplicem aeternitatem non
possumus intelligere vel voce exprimere, nisi per modum temporalium rerum; et hoc propter connaturalitatem
intellectus nostri ad res compositas et temporales» (ST, I, q. 13, a. 1, ad 3). Vd. anche: ibid., I, q. 10, a. 3, ad 1:
«dicendum quod dicuntur multae aeternitates, secundum quod sunt multi participantes aeternitatem ex ipsa Dei
contemplatione».
36
Ai fini del presente scritto è di particolare interesse quanto l'Aquinate afferma nella Summa theologiae riguardo
l'eternità: «aeternitas excludit principium durationis, sed non principium originis» (ibid., q. 42, a. 2, ad 2).
37
Come scrive Vereno Brugiatelli, «l’esistenza della creatura (anche nel caso di quelle che ricevono l’essere in modo
necessario) non è assolutamente necessaria, infatti quanto dipende dalla volontà divina non può esserlo, a meno che
non sia la stessa volontà divina a volere una data cosa come necessaria (è il caso degli angeli e degli astri)» (V.
BRUGIATELLI, «Il concetto di creazione in Tommaso d’Aquino», in Annali di studi religiosi 2 (2001), 247).
38
«Dire que le monde est créé, cela signifie qu'il est tout entier, en tous et en chacun de ses éléments, dans une relation
de totale dépendance à l'égard de Dieu» (J.-P. TORRELL, Initiation à saint Thomas d'Aquin, 214-215. Traduzione mia).
39
«Dicendum quod ea que simplici uoluntati diuine subsunt, demonstrative probari non possunt» (cfr. Quod. III, q. 14,
a. 2, co.; ed. Leonina, t. 25/2, 290, l. 24-26).
40
Tra gli altri, vd. SCG, III, 40: «In cognitione autem fidei principalitatem habet voluntas: intellectus enim assentit per
fidem his quae sibi proponuntur, quia vult, non autem ex ipsa veritatis evidentia necessario tractus». Il testo latino è
preso dall'edizione: SANCTI THOMAE AQUINATIS, Opera omnia iussu impensaque Leonis XIII P. M. edita, t. 13-15,
Summa contra Gentiles cum Commentariis Francisci de Sylvestris Ferrariensis, Typis Riccardi Garroni, Romae
1918-1930 (l'opera è segnalata nel presente scritto con la sigla SCG).

7
demonstratio per san Tommaso significa «il sillogismo che procede da proposizioni vere, universali,
proprie, prime e immediate».41 Ora, come si dice nel Quodl. III, ciò che può essere provato per
mezzo della dimostrazione rientra perfettamente nelle capacità della ragione umana, 42 ma la fede, o
meglio il suo contenuto, sorpassa in qualche modo le capacità della ragione umana. 43 Poiché dunque
viene detto che «mundum incepisse est de numero eorum que cadunt sub fide», è chiaro che non
sarà possibile dimostrare razionalmente quanto è creduto per fede, tanto più che sarebbe insensato
affermare che una cosa è creduta e dimostrata allo stesso tempo e sotto il medesimo aspetto.44
L'elemento dirimente la questione, ovvero la ratio per cui non possiamo dimostrare
razionalmente che il mondo incepisse, è che la creazione rientra tra quelle cose «que dependent ex
simplici uoluntate Dei».45 Non esiste nulla di creato, infatti, che non dipenda dalla semplice volontà
di Dio, cioè da una volontà assolutamente libera che non è costretta da nulla e decide sempre
liberamente cosa compiere e perché farlo. L'impossibilità di provare demonstrative ciò che concerne
la creazione è proprio dovuta al fatto che essa è un atto divino che dipende dalla libera volontà di
Dio. Ora, per conoscere perfettamente la volontà divina dovremmo avere una conoscenza perfetta
dell'essere divino, della sua essenza, del suo intelletto, etc., ma ciò è impossibile. Certo, di Dio
conosciamo qualcosa ma è molto più ciò non sappiamo rispetto a ciò di cui abbiamo nozione,
giacché la sostanza divina sorpassa le nostre capacità intellettive. 46 Poiché però in Dio tutto coincide
realmente (pur differendo ratione)47 con il suo essere e la sua essenza, 48 anche la volontà divina
coinciderà con l'essere e l'essenza divina, 49 il che significa che per conoscere perfettamente la

41
C. A. TESTI, La logica di Tommaso d'Aquino. Dimostrazione, induzione e metafisica, Edizioni Studio Domenicano,
Bologna 2018, 110.
42
«[...] que autem demonstratiue probari possunt, rationi humane subduntur» (Quodl. III, q. 14, a. 2, co; ed. Leonina, t.
25/2, 290, l. 41-42). Per quanto concerne il rapporto tra intelletto e dimostrazione qualcosa di analogo, mutatis
mutandis, viene detto anche in ST, I, q. 13, a. 1, ad 3.
43
Evito qui di occuparmi del rapporto tra verità rivelata e rivelabile: tra gli altri, vd. É. GILSON, Il tomismo, 42-55.
44
Si tratta dell'applicazione in ambito teologico del principio di non contraddizione. Come scrive Gilson: «Questo punto
è occasione di innumerevoli malintesi. San Tommaso insegna, secondo verità, che è impossibile sapere e credere la
stessa cosa, contemporaneamente e sotto il medesimo rispetto. Ma, effettivamente, ciò che so e ciò che credo non è
mai identicamente la stessa cosa e non è mai conosciuto sotto il medesimo rispetto» (ibid., 50).
45
Quodl. XII, q. 5, a. 1 (ed. Leonina, t. 25/2, 405, l. 8-9).
46
Viene in mente un noto passo della Summa contra Gentiles dove si dice: «Nam divina substantia omnem formam
quam intellectus noster attingit, sua immensitate excedit: et sic ipsam apprehendere non possumus cognoscendo quid
est. Sed aliqualem eius habemus notitiam cognoscendo quid non est» (SCG, I, 14). Mi permetto di riportare anche il
pensiero di un giovane Tommaso M. Zigliara che in una sua opera, sulla scia degli insegnamenti tommasiani, scrive:
«Noi non presumiamo di descriver fondo alla immensità della Divina Natura, essendo ciò impossibile a creato
intelletto, sia che faccia sperimento delle proprie forze, sia che venga ammaestrato dal magistero della parola;
neppure diciamo di avere di Dio cognizioni generiche, perché Deus non est in genere: ma ci contentiamo di dire che
le nostre conoscenze intorno la Divinità sono imperfettissime, perocché non sono che la sintesi di quei concetti
generici ed indeterminati colla giunta della negazione d'ogni imperfezione, e dell'eccesso di ogni perfezione» (T. M.
ZIGLIARA, Saggio sui principii del tradizionalismo, presso Sperandio Pompei, Viterbo 1865, 96).
47
Cfr. per esempio ST, I, q. 19, a. 1, ad 3; a. 2, ad 1.
48
Tra gli altri, vd. ibid., q. 3, a. 3, co.: «Et sic, cum Deus non sit compositus ex materia et forma, ut ostensum est,
oportet quod Deus sit sua deitas, sua vita, et quidquid aliud sic de Deo praedicatur».
49
Tommaso ne parli in molti punti. Tra i tanti vd. ibid., q. 19, a. 1, ad 3, dove en passant si dice: «Unde, cum voluntas
Dei sit eius essentia [...]».

8
volontà divina dovremmo conoscere altrettanto perfettamente l'essere divino, ma ciò, lo abbiamo
detto, è impossibile.50
Dunque la volontà di Dio e ciò che da essa deriva (nel nostro caso: la creazione del mondo)
non è determinata da alcuna necessità.51 Ma se le cose esistono solo a motivo della libera volontà
divina significa che il mondo è un ente contingente che può esse et non esse.52 La domanda logica
che sta al fondo dell'articolo è se sia possibile compiere una dimostrazione a partire da una
premessa contingente, non necessaria. Sappiamo che secondo la logica aristotelica esistono due tipi
di dimostrazione: quella propter quid (tr.: “a causa di che cosa”) e la dimostrazione detta quia (tr.:
“perché”). Delle due dimostrazioni quella più perfetta è chiaramente la propter quid. Essa è infatti
capace di dare ragione del perché, nella conclusione, il predicato appartenga al soggetto, e riesce a
far questo poiché si conosce e indica la causa prossima dell'unione del soggetto con il suo predicato,
la quale causa prossima consiste in quello che in logica viene detto “termine medio”.53
Per dimostrare la necessità dell'eternità – o meno – del mondo dovremmo pertanto avere una
conoscenza perfetta del suddetto termine medio, possedendone in altre parole la sua definizione
essenziale o quantomeno un elemento di tale definizione. Infatti come dice Tommaso «demonstratio
est sillogismus sciencialis, id est faciens scire»54 e poiché avere scientia dell'oggetto conosciuto
equivale a conoscerne con certezza le vere cause, ciò risulta impossibile per quanto riguarda Dio. 55
Di Dio infatti, lo abbiamo già detto, è molto più che non sappiamo di quel che conosciamo, tanto
che non siamo capaci di conoscerne l'essenza o la natura. Ma non conoscendo la definizione del
soggetto “Dio”, ed essendo consapevoli che per la scuola aristotelico-tomista la definizione è ciò
che esprime l'essenza o natura di una cosa, 56 non sarà possibile compiere una dimostrazione propter

50
Trovo interessante e degno di essere qui menzionato quanto scritto dall'Aquinate nella risposta a un'obiezione: «ratio
ad formam simplicem pertingere non potest, ut sciat de ea quid est, potest tamen de ea cognoscere, ut sciat an est»
(ST, I, q. 12, a. 12, ad 1).
51
Come spiega la Vanni Rovighi: «la libertà della creazione non implica un arbitrarismo di tipo cartesiano: in ciò che è
voluto liberamente da Dio c'è una necessità ipotetica (necessarium ex suppositione), quella della coerenza, della non
contraddizione» (S. VANNI ROVIGHI, Introduzione a Tommaso d'Aquino, 74). Non intendo addentrarmi nella questione
sulla potentia Dei absoluta e ordinata, così come neanche nel discorso inerente la giustizia di Dio verso gli enti creati.
52
Contingente, afferma Tommaso, «est quod potest esse et non esse» (ST, I, q. 86, a. 3, co.).
53
Scrive Claudio Testi parlando della dimostrazione propter quid: «il primo sillogismo in cui tutti gli altri vanno risolti
(per cui deve avere due premesse immediate) deve avere come medio la definizione del soggetto e come predicato la
definizione del proprio del soggetto della conclusione e quindi sarà in Barbara» (C. A. TESTI, La logica di Tommaso
d'Aquino, 111).
54
In I Anal., l. 4 (ed. Leonina, t. 1*/2, 20, l. 146-147). Il testo latino è preso dall'edizione critica: SANCTI THOMAE DE
AQUINO, Opera omnia iussu Leonis XIII P. M. edita, t. 1*/2, Expositio libri Posteriorum. Editio altera retractata,
Commissio Leonina - J. Vrin, Roma – Paris 1989.
55
Si ricordi il discorso precedente inerente i limiti della conoscenza umana per quanto riguarda la divinità. Sul concetto
aristotelico di scienza cfr. J. J. SANGUINETI, Scienza aristotelica e scienza moderna, Armando, Roma 1992.
56
«Et quia illud per quod res constistuitur in proprio genere uel specie est hoc quod significatur per diffinitionem
indicantem quid est res, inde est quod nomen essentie a philosophis in nomen quiditatis mutatur; et hoc est enim quod
Philosophus frequenter nominat quod quid erat esse, id est hoc per quod aliquid habet esse quid» ( De ente, 1; ed.
Leonina, t. 43, l. 27-34). Il testo latino è preso dall'edizione Leonina: SANCTI THOMAE DE AQUINO, Opera omnia iussu
impensaque Leonis XIII P. M. edita, t. 43, De principiis naturae. De aeternitate mundi. De motu cordis. De mixtione

9
quid per ciò che concerne l'eternità del mondo, impedendoci così di affermare apoditticamente tesi
come “il mondo è eterno” oppure “il mondo ha avuto inizio”.
È proprio qui la forza dirompente del ragionamento offerto nel brevissimo articolo del
Quodlibet XII: l'autore non si limita a dire che il mondo non è eterno ma vuole mostrare come il
fatto che esso abbia avuto inizio (incepisse) non è affatto dimostrabile razionalmente, sebbene ciò
sia conoscibile grazie alla fede. Più che soffermarsi su questioni logico-ontologiche, come fatto
poco fa, il testo ha piuttosto un carattere metafisico, di teologia naturale. Infatti, continua il testo, il
fatto che le cose esistano non significa che tale esistenza causi in Dio una qualche necessità, come
d'altronde ricordava la Vanni Rovighi prima citata.57 Il che è un po' come dire: se una cosa esiste,
non significa che la sua esistenza provochi una necessità assoluta in colui che l'ha creata (nel nostro
articolo si parla di necessitas ex parte Dei). Il primato causale, per così dire, non è certo della
creatura (il mondo) nei confronti del Creatore, quanto il contrario: se Dio vuole una cosa, essa allora
è/sarà, comincia ad essere (incepit), ma tale volontà divina non è mai dovuta, in qualche modo
anticipata dalla cosa stessa la quale, come è ovvio, non esiste realmente prima di essere posta in
essere. Come viene detto nel testo, l'unica cosa che Dio vuole realmente e necessariamente altro non
è che la sua stessa divina bontà (diuina bonitas) la quale, però, coincidendo con lo stesso essere
divino è il fine di tutte le cose (finis rerum). Come infatti è scritto nella Summa theologiae,
«circa divina igitur volita hoc considerandum est, quod aliquid Deum velle est necessarium absolute, non
tamen hoc est verum de omnibus quae vult. Voluntas enim divina necessariam habitudinem habet ad bonitatem
suam, quae est proprium eius obiectum. Unde bonitatem suam esse Deus ex necessitate vult»58

mentre tutte le altre cose, mondo compreso, sono volute da Dio solo in quanto ordinate alla sua
stessa bontà («ut in finem»).59 Ma, prosegue, poiché la bontà divina è in sé stessa perfetta
«et esse possit sine aliis, cum nihil ei perfectionis ex aliis accrescat; sequitur quod alia a se eum velle, non sit
necessarium absolute. Et tamen necessarium est ex suppositione, supposito enim quod velit, non potest non
velle, quia non potest voluntas eius mutari».60

L'unica cosa necessariamente voluta da Dio è allora solo la divina bontà, la quale esisterebbe
ugualmente anche senza l'esistenza del mondo creato. Se è pertanto possibile dimostrare che Dio
desidera una tale somma bontà che coincide realmente con lo stesso essere divino, ciò non è
possibile per dimostrare che mundum incepisse giacché ciò dipende unicamente dalla diuina
voluntas.

elementorum. De operationibus occultis naturae. De iudiciis astrorum. De sortibus. De unitate intellectus. De ente et
essentia. – De fallaciis. De propositionibus modalibus, Editori di San Tommaso, Roma 1976, 367-381.
57
Cfr. nota 51 del presente testo.
58
ST, I, q. 19, a. 3, co.
59
Ibid.: «Alia autem a se Deus vult, inquantum ordinantur ad suam bonitatem ut in finem. Ea autem quae sunt ad finem,
non ex necessitate volumus volentes finem, nisi sint talia, sine quibus finis esse non potest».
60
Ibid.

10
CONCLUSIONI

Il presente lavoro desiderava illuminare e rendere più comprensibile la densa risposta che
l'autore del Quodl. XII offre alla domanda posta nel primo articolo della questio quinta, se cioè il
mondo (o il cielo) sia eterno. Posto che eterno non è, come testimonia la divina Rivelazione, ci
viene detto in maniera assai concisa che non è altresì dimostrabile sillogisticamente (demonstratiue)
che il mondo incepisse. Per comprendere meglio una tale argomentazione ho ritenuto importante
occuparmi brevemente di alcuni termini ed espressioni che si trovano nel testo, chiarendone il senso
utilizzando altri testi (come la Summa theologiae) di sicura attribuzione tommasiana. Tra le parole
studiate ho ovviamente dato una certa attenzione ai termini “eterno” ed “eternità”, sebbene a motivo
della brevità richiesta per questo scritto non mi è stato possibile svolgere un'analisi più dettagliata.
Mi sembra, in conclusione, che l'autore del Quodlibet intenda mostrare non solo la nostra
incapacità razionale di dimostrare che mundum incepisse, ma anche l'impossibilità intrinseca di un
mondo eterno a motivo della mancanza in Dio di una necessità al riguardo. Detto diversamente:
qualora l'Eterno (Dio) volesse necessariamente il mondo, questi dovrebbe essere co-eterno con Dio;
ma poiché una tale necessità non esiste, non è possibile sostenere l'eternità del mondo come
neanche, per ragioni diverse, il fatto che esso abbia avuto un inizio (incepisse). Come egregiamente
si esprime Sofia Vanni Rovighi,
«se si concepisce la creazione come un atto volontario e libero, non si ha difficoltà ad ammettere ciò che la
rivelazione cristiana dice sull'inizio del mondo. Se, infatti, la creazione è un processo necessario, certo essa
sarà ab aeterno, come è eterno Dio, ma se è un atto di volontà libera, Dio potrà volere le creature come vuole:
come esistenti ab aeterno o con inizio. E sebbene la volontà di Dio sia eterna non è necessario che essa
produca un effetto eterno; Dio può infatti volere eternamente che qualcosa sorga a un determinato momento.
[…] Ma proprio perché la temporalità della creatura è un carattere posto dalla libera volontà divina, essa è un
articulus fidei, una verità rivelata, non una conclusio rationis».61

Pertanto, anche qualora Dio volesse il mondo in modo necessario – il che è impossibile – ciò
non significa che esso sarebbe necessariamente eterno, giacché il volere per forza qualcosa non
implica che la si debba creare ab eterno. Ciononostante la questione è molto più complessa di quel
che sembra poiché il soggetto di cui si parla (il mondo) non è un ente qualsiasi creato mentre il
mondo (e quindi il tempo) già esiste, ma consiste nell'universo stesso che d'improvviso,
istantaneamente comincia ad essere, dando così inizio al movimento e dunque al tempo. Anche qui,
poi, l'argomento si farebbe ancora più ostico se si iniziasse a interrogarsi sullo statuto ontologico del
tempo, arrivando in tal modo a chiederci se la creazione sia avvenuta ab aeterno o in principio
temporis, domande alle quali l'Aquinate tentò di rispondere nel suo De aeternitate mundi.

61
S. VANNI ROVIGHI, Introduzione a Tommaso d'Aquino, 73.

11
ABBREVIAZIONI

a. articolo
c. capitolo
cit. citato/citazione
co. corpus
ed. edizione
ibid. ibidem
id. idem
pr. proemio
q. questione
Quodl. Quodlibet
res. respondeo
sc. sed contra
SCG Summa contra Gentiles
ST Summa theologiae
ss. seguenti
v. volume
vd. vedi
t. tomo
tr. traduzione

Le opere di san Tommaso che non sono qui abbreviate verranno segnalate con le sigle
presenti in B. MONDIN, Dizionario enciclopedico del pensiero di san Tommaso d'Aquino, Edizioni
Studio Domenicano, Bologna 2000, 18-19.

12
BIBLIOGRAFIA

Fonti (latino e italiano)

THOMAE DE AQUINO (SANCTI), Opera omnia iussu Leonis XIII P. M. edita, t. 1*/2, Expositio libri
Posteriorum. Editio altera retractata, Commissio Leonina - J. Vrin, Roma – Paris 1989.
ID., Opera omnia iussu impensaque Leonis XIII P. M. edita, t. 4-11, Summa theologiae cum
Commentariis Thomae de Vio Caietani, Ex Typographia Polyglotta S. C. De Propaganda
fide, Romae 1888-1903.
ID., Opera omnia iussu impensaque Leonis XIII P. M. edita, t. 13-15, Summa contra Gentiles cum
Commentariis Francisci de Sylvestris Ferrariensis, Typis Riccardi Garroni, Romae 1918-
1930.
ID., Opera omnia iussu Leonis XIII P.M. edita, t. 25/1, Préface. Quaestiones de quolibet. Quodlibet
VII, VIII, IX, X, XI, Commissio Leonina – Éditions du Cerf, Roma – Paris 1996.
ID., Opera omnia iussu Leonis XIII P.M. edita, t. 25/2, Quaestiones de quolibet. Quodlibet I, II, III,
VI, IV, V, XII. Indices, Commissio Leonina – Éditions du Cerf, Roma – Paris 1996.
ID., Opera omnia iussu impensaque Leonis XIII P. M. edita, t. 43, De principiis naturae. De
aeternitate mundi. De motu cordis. De mixtione elementorum. De operationibus occultis
naturae. De iudiciis astrorum. De sortibus. De unitate intellectus. De ente et essentia. – De
fallaciis. De propositionibus modalibus, Editori di San Tommaso, Roma 1976.
TOMMASO D'AQUINO (SAN), Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo. Libro secondo. Distinzioni
1-20, trad. di C. Pandolfi e R. Coggi, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2000.
ID., Le questioni disputate. Questioni su argomenti vari (Quaestiones quodlibetales), v. 2,
Quodlibet 1-6 e 12, trad. di R. Coggi, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2003.

Studi

BERTOLA Ermenegildo, «Tommaso d'Aquino e il problema dell'eternità del mondo», in Rivista di


Filosofia Neo-Scolastica 66 (1974), 312-355.
BIANCHI Luca, L'errore di Aristotele. La polemica contro l'eternità del mondo nel XIII secolo, La
Nuova Italia Editrice, Firenze 1984.

13
BRADY Ignatius M., «John Pecham and the Background of Aquinas's “De aeternitate mundi”», in
A. A. MAURER et alii [ed.], St. Thomas Aquinas, 1274-1974. Commemorative Studies, t. 2,
Toronto 1974, 141-178.
BRUGIATELLI Vereno, «Il concetto di creazione in Tommaso d’Aquino», in Annali di studi religiosi 2
(2001), 239-255.
CONGIUNTI Lorella, «Ordine naturale e caso in Tommaso d'Aquino», in Espiritu 154 (2017), 303-
323.
DEL PRETE Ivano, «“Being the World Eternal…”: The Age of the Earth in Renaissance Italy», in Isis
105 (2015), 292-317.
DIDERO Daniele, «Introduzione», in TOMMASO D'AQUINO, L'unità dell'intelletto. L'eternità del
mondo, D. Didero (a cura di), Edizioni San Clemente – Edizioni Studio Domenicano,
Bologna 2012, 5-23.
GILSON Étienne, Il tomismo. Introduzione alla filosofia di san Tommaso d'Aquino, ed. it. a cura di C.
Marabelli – F. Marabelli, Jaca Book, Milano 2011.
MONDIN Battista, Dizionario enciclopedico del pensiero di san Tommaso d'Aquino, Edizioni Studio
Domenicano, Bologna 2000.
PORRO Pasquale, Tommaso d'Aquino. Un profilo storico-filosofico, Carocci, Roma 2012.
GAUTHIER René-Antoine, «Préface», in SANCTI THOMAE DE AQUINO, Opera omnia iussu Leonis XIII
P.M. edita, t. 25/1, Préface. Quaestiones de quolibet. Quodlibet VII, VIII, IX, X, XI,
Commissio Leonina – Éditions du Cerf, Roma – Paris 1996, 1-160.
TESTI Claudio A., La logica di Tommaso d'Aquino. Dimostrazione, induzione e metafisica, Edizioni
Studio Domenicano, Bologna 2018.
TORRELL Jean-Pierre, Initiation à saint Thomas d'Aquin. Sa personne et son oeuvre, Éditions du
Cerf, Paris 2015.
VANNI ROVIGHI Sofia, Introduzione a Tommaso d'Aquino, Laterza, Roma-Bari 19998.
WEISHEIPL James A., Tommaso d'Aquino. Vita, pensiero, opere, ed. it. a cura di I. Biffi – C.
Marabelli, Jaca Book, Milano 20163.
SANGUINETI Juan J., Scienza aristotelica e scienza moderna, Armando, Roma 1992.
ZIGLIARA Tommaso M., Saggio sui principii del tradizionalismo, presso Sperandio Pompei, Viterbo
1865.

14

Potrebbero piacerti anche