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IL RITORNO DELL’AUTONOMIA.
KANT E LA FILOSOFIA CLASSICA TEDESCA
1. Introduzione.
La nozione di ‘autonomia’ fa oggi parte del linguaggio ordi-
nario così come del lessico specialistico di molte discipline. Ciò è
tanto vero che se la si utilizza si cerca spesso di determinarne
ulteriormente il significato offrendo qualche spiegazione ulteriore
sul modo in cui concretamente la si usa in una data situazione.
All’interno delle singole discipline avviene la stessa cosa (basti
scorrere l’indice di questo volume) e la filosofia, evidentemente, non
fa eccezione: si pensi a quanto sarebbe complesso rendere conto in
modo adeguato delle diverse forme di ‘autonomia’ che occorrono
nel linguaggio filosofico contemporaneo (solo per fare qualche
esempio: autonomia ‘morale’, ‘razionale’, ‘individuale’, ‘personale’
‘politica’). Pur in questa varietà di usi è però abbastanza probabile
che prima o poi emerga il nome di Kant come di colui che ha
richiamato l’attenzione, nel pensiero moderno, sul concetto di ‘au-
tonomia’, e questo è del resto ciò che accade se si consultano lessici
o dizionari filosofici. La convinzione che ne deriva è che Kant
introduca nel vocabolario filosofico un termine che, seppure già
esistente, è ben lungi dall’avere, in filosofia o altrove, quella collo-
cazione centrale e quel ruolo decisivo che ottiene nella sua teoria
filosofica e in particolare nella sua teoria morale: dopo Kant, quella
della modernità filosofica pare essere la storia di una ormai conqui-
stata ‘autonomia’.
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(23) Si veda per esempio il libro di A. REATH, Agency and Autonomy in Kant’s
Moral Theory, Oxford, Clarendon Press, 2006.
(24) Trad. it. Roma, Giunti, 1972.
(25) L. KOHLBERG, Essays on Moral Development, 2 voll., San Francisco, Harper
& Row, 1981-84; C. GILLIGAN, In a Different Voice, Cambridge, Harvard University
Press, 1982.
(26) Si veda innanzitutto il lavoro di E.J. BICKERMAN, “Autonomia”: sur un
passage de Thucydide, in « Revue internationale des droits de l’antiquité », V, 1958, pp.
513-544, ma poi, fondamentale: M. OSTWALD, Autonomia: Its Genesis and Early History,
American Philological Association, Scholars Press, 1982.
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(27) Molto più frequente, in Tucidide, l’uso del termine come aggettivo (cfr.
OSTWALD, Autonomia, n. 37, p. 54).
(28) Cfr. ivi, pp. 6-8.
(29) Secondo John COOPER (Stoic Autonomy, in « Social Philosophy and Poli-
cy », 20/2, 2003, pp. 1-29, qui p. 2), soltanto tre luoghi della letteratura greca classica
precedente l’era imperiale romana riportano un uso del termine autonomia applicato ad
individui.
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(30) COOPER, Stoic Autonomy, cit., p. 5. Cfr. Dio Chrysosthom, ed. by H. Lamar
Crosby, Loeb Classical Library, Cambridge, Harvard University Press, 1951, pp. 316-
319.
(31) COOPER, Stoic Autonomy, cit., p. 5.
(32) A questo proposito rimando di nuovo al saggio di Luca MANNORI in questo
volume.
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3. Kant.
a) Il problema delle fonti
Kant usa quindi un termine non squisitamente filosofico ma
che è presente anche nel lessico filosofico corrente, pur se la sua
natura è prevalentemente storico-politica. A questo proposito è bene
ricordare il fastidio di Kant per la tentazione di introdurre nuovi
termini nel lessico filosofico (37): anche se la cosa accade più spesso
di quanto certe sue dichiarazioni potrebbero far supporre, è vero
che più di frequente Kant si serve della terminologia della tradizio-
ne, o comunque di una terminologia in qualche senso corrente,
modificandone anche radicalmente il significato.
Per quel che riguarda il significato che Kant dà al termine
‘autonomia’ è frequente il riferimento, come fonte kantiana, a
Rousseau e ad un noto passo del Contrat social, dove si sottolinea
che soltanto la libertà morale « rend l’homme vraiment maitre de lui;
(38) J.J. ROUSSEAU, Œuvres complètes, III, Paris, Gallimard 1964, p. 365 (I, VIII).
(39) Cfr. S. BACIN, Legge e obbligatorietà: la struttura dell’idea di autolegislazione
morale in Kant, in « Studi kantiani », XXVI, 2013, pp. 55-70.
(40) C. WOLFF, Deutsche Ethik (1733), § 24, cfr. § 38 (ho presente la ristampa
Hildesheim-New York, Olms, 1976).
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(41) KANT, AA IV, 412 (cito come d’uso dalla edizione dell’Accademia — KANT,
AA — indicando volume e paginazione).
(42) « Agisci come se la massima della tua azione dovesse diventare per mezzo
della tua volontà una legge universale della natura », suona il passo della Fondazione
(KANT, AA IV, 421) e il tema torna nella Critica della ragion pratica, dove proprio e
soltanto la forma della « conformità alla legge » (Gesetzmäßigkeit) permette di guardare
alla legge naturale come il tipo (Typus) della legge della libertà (KANT, AA V, 68 sgg.).
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(50) COOPER, Stoic autonomy, cit., pp. 25-26. Per il rapporto del pensiero di Kant
con lo stoicismo cfr. anche W. SCHINK, Kant und die stoische Ethik, in « Kant-Studien »,
XVIII, 1913, pp. 419-475 e J.B. SCHNEEWIND, Kant and Stoic Ethics, in Aristotle, Kant and
the Stoics. Rethinking Happiness and Duty, ed. by S. Engstrom and J. Whiting,
Cambridge, Cambridge University Press, 1996, pp. 261-301.
(51) Cfr., ad esempio, AA VI, 321: « Ogni trasgressione della legge non può e
non deve venire spiegata se non dal fatto che essa sorga da una massima del criminale
(di farsi una regola di tale misfatto); se infatti la si derivasse da un impulso sensibile non
verrebbe commessa da lui come un essere libero, e non potrebbe venirgli imputata ».
(52) LANDUCCI, La “Critica della ragion pratica”, cit., p. 79.
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(60) KANT, AA IV, 443. Nella Critica della ragion pratica l’ipotesi di un sapere
che riguardi l’esistenza di Dio ha per conseguenza una prospettiva analoga che ridur-
rebbe l’esistenza morale degli uomini ad un Marionettenspiel (AA V, 147).
(61) KANT, AA VI, 480.
(62) Cfr. KANT, Critica della ragion pura, A 811-12 / B 839-40; A 588-89 / B
616-17.
(63) Cfr. KANT, AA IV, 400-401. Al tema della motivazione è poi dedicato,
com’è noto, il terzo capitolo della Critica della ragion pratica (KANT, AA V, 71 ss.).
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dersi della filosofia critica, sin dai primi recensori: la questione del
lessico di Kant e delle sue peculiarità è ben presto, già tra i
contemporanei, un tema da discutere e da approfondire (72), in
particolare per quel che riguarda i termini nuovi o quelli ai quali
Kant ha dato un nuovo significato.
È opportuno gettare almeno uno sguardo su chi si sia rivolto
in modo decisamente critico alla innovazione kantiana e soprattutto
alle sue conseguenze, per difendere concezioni alternative della
moralità, per poi vedere la posizione di coloro che abbiano invece
dichiarato di porsi nella scia di Kant, magari con l’intento di
portarne a compimento il progetto. Si vedrà così che la nozione di
‘autonomia’ va incontro, nel corso della cosiddetta filosofia dell’ide-
alismo tedesco o — se si vuole — negli sviluppi postkantiani della
filosofia classica tedesca, ad una vera e propria trasfigurazione.
Quest’ultima è il segno, insieme con altri elementi, di un deciso
mutamento di orizzonte che coincide, più o meno, con la svolta di
fine secolo. Non sono più le idee morali, infatti, ma altre istanze che
diventano trainanti con i primi anni dell’Ottocento, come si vede
chiaramente dalla riflessione di Fichte e di Hegel. Non c’è più
soltanto l’insofferenza per un tratto che ha un ruolo costitutivo nella
concezione kantiana dell’autonomia, ovvero il carattere fondazionale
e il ruolo centrale della legge, della norma: è la moralità stessa che
viene vista come limitata.
Tra i maggiori critici dell’idea kantiana di ‘autonomia’, ma con
ancor più forza di alcune conseguenze che si pensa di poterne trarre,
c’è chi alla diffusione della filosofia di Kant aveva dato un contributo
di non poco conto nel corso degli ultimi dieci anni del Settecento:
Karl Leonard Reinhold. Reinhold è una figura estremamente signi-
ficativa nel panorama dei filosofi ‘post-kantiani’, a partire dal fatto
che è l’autore dei Briefe über die Kantische Philosophie. Queste
‘lettere’ appaiono prima in rivista (1786-87) e poi in volume e
vengono considerate unanimemente uno dei maggiori veicoli di
diffusione del criticismo. Non interessa qui il succedersi di entusia-
(73) K.L. REINHOLD, Über die Autonomie als Princip der praktischen Philosophie
der Kantischen und der gesammten Philosophie der Fichtisch-Schellingschen Schule, in
Beyträge zur leichtern Uebersicht des Zustandes der Philosophie beym Anfange des 19.
Jahrhunderts, Zweytes Heft, Hamburg, Perthes, 1801.
(74) Ivi, pp. 105-106.
(75) Ivi, p. 109.
(76) Ivi, p. 139.
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mosse dal vero assoluto e ritorni ad esso: una rivelazione del ‘vero
originario’ (Urwahre) (77).
Tra le reazioni critiche alla nuova concezione kantiana dell’au-
tonomia c’è quindi l’interpretazione della autonomia come una
difesa dell’indipendenza e della autosufficienza della soggettività,
addirittura come una nuova forma di egoismo, che secondo Rein-
hold alcuni interpreti ispirati dallo stesso Kant — Fichte e Schelling
— avrebbero portato alle sue estreme conseguenze, radicalizzando il
razionalismo kantiano in una concezione dell’autonomia della ragio-
ne come chiave dell’impresa filosofica (idealistica) in quanto tale.
Come si è accennato, la posizione di Reinhold esprime un sentire
non soltanto suo: nella stessa direzione di Reinhold vanno, per
esempio, le critiche che Franz von Baader rivolge all’idea kantiana di
autonomia. Ciò che non convince Baader è proprio l’insufficienza di
una fondazione dell’etica e della soggettività su se stessa. La pretesa
degli Autonomisten o dei teorici dell’autolegislazione — un’idea per
Baader assurda — è attribuire all’uomo la stessa assoluta libertà di
Dio (78).
La critica rivolta a filosofi come Fichte e Schelling da Reinhold
e da altri non è affatto impropria, per quanto riguarda i contenuti:
che Fichte e Schelling intendessero estendere ‘l’autonomia’ della
ragione, come del resto aveva fatto anche Kant, al di là della mera
sfera morale, è difficilmente contestabile. Schelling, ancora vicino a
Fichte, ha l’occasione di scrivere, nel 1797, di una autonomia
« originaria » che può essere considerata o dal punto di vista teore-
tico — ed allora è un « rappresentare », cioè un « costruire cose
finite » — o dal punto di vista pratico, dove è un « volere » (79).
L’autonomia, infatti, Schelling lo dichiara esplicitamente pochi anni
dopo (nel Sistema dell’idealismo trascendentale, 1800), la nozione
kantiana che stava al culmine della filosofia pratica, è stata ampliata
a principio dell’intera filosofia ed è, nella sua piena realizzazione,
« idealismo trascendentale » (80).
(93) HEGEL, Werke, cit., Bd. 7, Grundlinien der Philosophie des Rechts, § 135 A.
(94) Ivi, §§ 124, 185 e passim.
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