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zetetica

collana della Fondazione


Silvestro Marcucci

diretta da

Mario Caimi (Universidad de Buenos Aires)


Daniel Dahlstrom (Boston University)
Alfredo Ferrarin (Università di Pisa)
Luca Fonnesu (Università di Pavia)
Claudio La Rocca (Università di Genova)
Silvia Marcucci (Fondazione Silvestro Marcucci)
Imparare a filosofare.
Kant e la filosofia oggi
In ricordo di Silvestro Marcucci

a cura di Claudio La Rocca

Edizioni ETS
www.edizioniets.com

© Copyright 2017
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Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
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Sede legale: via G. Verdi 8 - 20090 Assago (MI)
Promozione
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via Zago 2/2 - 40128 Bologna

ISBN 978-884670000-0
ISSN 0000-0000
Indice del volume

Prefazione
Claudio La Rocca 7

Avvertenza 25

«L’isola dai confini immutabili»: tra Kant e Hegel


Remo Bodei 27

Kant, i diritti umani, e la visione cristiana


Marcello Pera 41

Kant e la filosofia politica


Luigi Caranti 75

Kant e l’etica contemporanea


Luca Fonnesu 95

Kant e la religione oggi


Franco Camera 111

Il gusto può essere oggettivo? Una possibile risposta


kantiana a una domanda di Greenberg
Gabriele Tomasi 133

Kant e la filosofia oggi


Alfredo Ferrarin 157
Avvertenza

Nei saggi di questo volume le opere di Kant sono citate dal-


la Akademie-Ausgabe (Kants gesammelte Schriften, hrsg. v. d.
Preussischen Akademie der Wissenschaften [vol. 23: hrsg. v. d.
Deutschen Akademie der Wissenschaften zu Berlin; dal vol. 24:
hrsg. v. d. Akademie der Wissenschaften zu Göttingen], Berlin,
Reimer [poi: Berlin-New York, de Gruyter], 1900 sgg.) e indi-
cate dalla sigla ‘AA’ seguita dal numero del volume in numeri
romani e della pagina in numeri arabi. Per il riferimento alle
opere sono utilizzate le sigle dell’elenco seguente. La KrV viene
citata secondo la paginazione delle prime due edizioni del 1781
e 1787 (A e B). Le traduzioni italiane utilizzate sono indicate da-
gli autori all’interno dei rispettivi contributi.

Anth Anthropologie in pragmatischer Hinsicht (AA VII)


BDG Der einzig mögliche Beweisgrund zu einer Demon-
stration des Daseins Gottes (AA II)
Br Briefe (AA X-XIII)
EaD Das Ende aller Dinge (AA VIII)
GMS Grundlegung zur Metaphysik der Sitten (AA IV)
IaG Idee zu einer allgemeinen Geschichte in weltbür-
gerlicher Absicht (AA VIII)
KpV Kritik der praktischen Vernunft (AA V)
KrV Kritik der reinen Vernunft
KU Kritik der Urteilskraft (AA V)
Log Logik (AA IX)
MonPh Metaphysicae cum geometria iunctae usus in philo-
sophia naturali, cuius specimen I. continet mona-
dologiam physicam (AA I)
26 Imparare a filosofare. Kant e la filosofia oggi

MS Die Metaphysik der Sitten (AA VI)


MSI De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et
principiis (AA II)
Prol Prolegomena zu einer jeden künftigen Metaphysik
(AA IV)
Refl Reflexion (AA XIV-XIX)
RGV Die Religion innerhalb der Grenzen der bloßen
Vernunft (AA VI)
SF Der Streit der Fakultäten (AA VII)
TG Träume eines Geistersehers, erläutert durch die
Träume der Metaphysik (AA II)
TP Über den Gemeinspruch: Das mag in der Theorie
richtig sein, taugt aber nicht für die Praxis (AA
VIII)
V-NR/Feyerabend Naturrecht Feyerabend (AA XXVII)
V-Phil -Th/Pölitz Philosophische Religionslehre nach Pölitz (AA
XXVIII)
V-Th/Pölitz Religionslehre Pölitz (AA XXVIII)
WA Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung? (AA
VIII)
WDO Was heißt sich im Denken orientiren? (AA VIII)
ZeF Zum ewigen Frieden (AA VIII)
Kant e la filosofia oggi
Alfredo Ferrarin

1. La filosofia oggi mi sembra percorsa ovunque da contrap-


posizioni e dicotomie: continentali e analitici, sistematici e stori-
ci, posizioni che si definiscono prendendo le distanze da altre,
siano queste la storia delle idee o un presunto modo scientifico
di fare filosofia. Senza dire nulla di pretese che paiono settarie
o arbitrarie come ogni decisione preliminare, a me sembra che
così si ragioni come se si potesse fare storia della filosofia sen-
za filosofare (Hegel paragonava la positività di una storia così
intesa all’araldica); e come se d’altro canto si potesse filosofare
prescindendo dalla propria storia, dal nostro essere il risultato
di un tragitto complesso.
Quello che è certo è che Kant,1 che non muoveva da un con-
cetto di storia della filosofia come il nostro, che solo a partire da
Hegel si definisce nei suoi contorni e rispetto a cui si stagliano
le dicotomie che ho detto e molte altre, ha ancora moltissimo
da insegnarci: sull’approccio zetetico in filosofia, sulla filosofia
cosmica e il suo rapporto con il cosmopolitismo, sulla diversa
razionalità all’opera in filosofia e nelle scienze, sull’illuminismo
e una coscienza critica del suo significato.
E tuttavia, se si va a guardare l’immensa letteratura seconda-
ria su Kant, colpisce che su Kant e la filosofia si trova davvero
poco. Noto anzitutto che, se si sfogliano gli indici di tutti i più

1
Utilizzo le seguenti traduzioni di opere di Kant: KrV: trad. it. di C. Esposito,
Critica della ragion pura, Bompiani, Milano 2004; KU: trad. it. di A. Gargiulo riv. da
V. Verra, Critica del Giudizio, Laterza, Bari 1979, nuova edizione 1997, e a cura di L.
Amoroso, Critica della capacità di giudizio, Rizzoli, Milano 1995; Prol: trad. it. a cura di
P. Carabellese, Prolegomeni ad ogni futura metafisica, Laterza, Bari 1996.
158 Imparare a filosofare. Kant e la filosofia oggi

famosi volumi collettanei che si offrono come guide a Kant, ov-


vero se si guardano gli atti dei congressi kantiani, quello che si
trova è una settorializzazione che invariabilmente riproduce le
periodizzazioni più scontate e le divisioni più note, sicché nes-
suno si sorprende di trovare sezioni con contributi sul Kant pre-
critico, il Kant pratico, il Kant politico, il Kant scienziato ed epi-
stemologo, e poi su macrosezioni di opere singole, come la Cri-
tica della ragion pura. Noto anche che tra le eccezioni ci sono gli
atti del congresso di Pisa, dove però già il titolo (la filosofia in
senso cosmopolitico) finiva per dettare l’esigenza di una sezione
apposita dedicata alla filosofia. In genere sta un po’ cambiando
la situazione, e io mi auguro che si vada sempre più marcata-
mente nella direzione di un’unità ritrovata. Come dice Kant, che
pure del procedere dicotomico è in molti sensi il principe, ogni
dicotomia presuppone un’unità originaria che si vuole dividere
(KrV A 290 B 346).
Il problema è però che spesso ci si comporta come se que-
sta unità non fosse a noi accessibile, e fosse anzi fin dall’inizio
spezzettata e parcellizzata in aree e ambiti diversi. E qui ven-
go al problema principale: per trattare della filosofia in Kant,
bisognerebbe parlare dell’unità della ragione, non partire da
una sua preliminare divisione in sensibilità, intelletto e ragione
in senso stretto. E bisognerebbe prendere molto più sul serio la
Dottrina del Metodo, e in particolare l’Architettonica della Cri-
tica della ragion pura.
Qui Kant, dopo aver detto che sistema è l’unità di molteplici
conoscenze sotto un’idea (A 832 B 860), distingue come molti
predecessori due accezioni soggettive di conoscenza, la storica e
la razionale (ex datis - ex principiis). Quello che è del tutto ori-
ginale è la distinzione ulteriore tra concetto scolastico e cosmico
di filosofia. «La filosofia è la scienza del rapporto di ogni cono-
scenza con i fini essenziali della ragione umana», dice Kant per
illustrare il concetto cosmico di filosofia (KrV A 839 B 867)2.
Alla fine dell’Architettonica Kant ribadisce che «la filosofia ri-

2
Correggo la traduzione di C. Esposito, che recita: «La filosofia è la scienza del
rapporto di ogni conoscenza con i fini essenziali della natura umana».
Kant e la filosofia oggi 159

ferisce tutto alla saggezza, ma attraverso la via della scienza»


(A 850 B 878). È di questo che vorrei parlare.

2. La Dottrina del metodo della prima Critica non è, come


molti commentatori hanno sostenuto, l’ordine esterno e forma-
le di elementi independenti e trovati, bensì il disegno, il piano
del tutto. La stessa Architettonica, lungi dall’essere una classifi-
cazione delle scienze caduca e di interesse secondario, è in real-
tà il sistema delle conoscenze della ragione, e il cuore pulsante
dell’autocomprensione della ragione.
La ragione progetta il suo edificio indipendentemente da
conoscenze determinate. In quanto legislatrice, la ragione non
prende a prestito un modello dalle scienze, anzi, le scienze pos-
sono assumere forma sistematica quando la ragione addita «il
fine e la forma del tutto» (KrV A 832 B 860). Soltanto il sistema
della ragione conta e ha valore di scienza, perché è l’unico ordi-
ne sistematico delle parti. Le scienze non godono dello sguardo
comprensivo della filosofia; se gli artigiani della ragione (il ma-
tematico, lo studioso della natura e il logico) devono venir ar-
monizzati dalla filosofia, allora le conoscenze scientifiche sono
lo strumento per l’autoconoscenza della ragione. Non possiamo
accreditare un concetto scientistico, logico o strumentale della
ragione.
Da un punto di vista storico l’Architettonica mette a nudo la
distanza tra la pura ragione kantiana e la ragione dei moderni.
La ragione moderna è in molti casi uno strumento logico e di
calcolo, il luogo neutro e indifferente di forme astratte – acqui-
site o innate – opposto a contenuti così come a passioni e forze
che le sopraggiungono dall’esterno; è una natura, opposta alla
natura esterna, in sé inerte e impotente a motivare e decidere,
una sorta di meccanismo il cui corso non dobbiamo alterare o
appesantire con preoccupazioni metafisiche o teleologiche ma
che dobbiamo anzi rendere rigoroso adottando il metodo scien-
tifico che ha dato vita ad ogni nostra speranza di progresso illi-
mitato fin dalla rivoluzione scientifica.
Con Galilei e Cartesio, la scienza e la filosofia dovevano uni-
re le forze per costruire modelli di spiegazione della natura in
160 Imparare a filosofare. Kant e la filosofia oggi

grado di permetterci, più che di penetrare i segreti più reconditi


della natura, di intenderla metodicamente come un meccanismo
legiforme riconducibile a cause. Se la causalità era ridotta alle
cause efficienti ed esterne che producevano processi fisici, e i
concetti non servivano più a cogliere o riprodurre essenze date
ma dovevano aiutarci a risolvere problemi, la tecnica e l’arte non
potevano più venire opposti alla scienza.
Questa tendenza di fondo è rovesciata da Kant. La filosofia,
non la scienza, è il legislatore supremo. Gli scienziati sono arti-
giani ordinati dalla filosofia; il loro sguardo è assorbito dal loro
oggetto e risulta troppo ristretto per il pensiero, perché questo
ha di mira il tutto – e infatti Kant li paragona a dei ciclopi che,
vedendo con un occhio solo, non riescono a mettere le cose in
prospettiva. Questa mossa oltre la ragione moderna, tuttavia,
non è un ritorno alla tesi premoderna o classica della superio-
re dignità della filosofia sulle scienze, perché non si basa su un
concetto di ϑεωρία come visione pura e senza impedimenti delle
cose come sono veramente né sulla presunta nobiltà dei filosofi.
Anzi, è solo perché la filosofia è la scienza più comprensiva e
il filosofo propone il paradosso più estremo, quello di un espe-
rimento in metafisica coronato da successo che realizzi una ri-
voluzione nel pensiero analoga alla rivoluzione in astronomia,
che la filosofia può subordinare gli artigiani della ragione a se
stessa.
Un’altra tesi che mette Kant in contrasto con la concezione
moderna della ragione è il suo recupero della teleologia del-
la ragione. Nella prima edizione della Critica della ragion pura
(1781), ben prima di rendersi conto delle implicazioni del con-
cetto di finalità e di elaborare la critica del Giudizio teleologi-
co, Kant paragona la ragione a un organismo (KrV A 832-33 B
860-61).
Nei termini più generali, un corpo vivente può venire inteso
come un ente indipendente internamente organizzato che si reg-
ge su di sé ed è fine a sé. La ragione ha una vita, e questo com-
porta che non sia uno spettatore neutrale, esterno e indifferente
ai suoi oggetti; anzi, la ragione è inseparabile dai suoi interessi e
da quello che più le importa. Per un organismo, vivere significa
Kant e la filosofia oggi 161

trasformare la propria passività in una qualche forma di attività.


La passività della ragione include sentimenti e bisogni che trova
in sé; ma i bisogni esigono un riconoscimento e un’attività che
li soddisfi. È così che la passività inizia a trasformarsi in attivi-
tà. L’indigenza della ragione non è paragonabile a una forma di
miseria in cui a mancare è ciò che si desidera, perché questa sua
condizione mette in luce il suo avere impulsi e aspirazioni che
tiene profondamente a realizzare. La ragione è implicata nel suo
mondo: ha interessi e si sente pertanto insoddisfatta di quello
che ha; li persegue attivamente nella misura in cui si pone dei fi-
ni e promuove attività che le danno soddisfazione; e più di tutto
dà valore alla sua applicazione al mondo in modi massimamente
coerenti.
Queste sono certamente analogie, ma non sono arbitrarie e
immaginifiche figure retoriche che possano venir sostituite da
altre metafore più consone al nostro gusto letterario. Kant sta
descrivendo come procede la ragione, cosa la muove, perché e
come, dai suoi bisogni e desideri alle sue aspirazioni somme e
ideali. La necessità interna del suo vocabolario, che prende a
prestito le sue analogie prima dal linguaggio dell’organismo
e poi da quello di un architetto che progetta un edificio e da
quello di una personalità che si pone dei fini, si radica sul tema
di fondo della conformità a fini della ragione.
La ragione è mossa da un bisogno fondmentale che la guida,
la ricerca di significato. Ciò di cui «la ragione va in cerca e ha
bisogno [welches doch die Vernunft sucht und bedarf]» (KrV B
xiii) è la costanza di leggi: una natura sensata e intelligibile. La
ragione cerca se stessa nel mondo nella forma di un ordine sta-
bile e necessario perché sa che può comprendere solo quello che
ha prodotto lei stessa secondo il suo progetto; e questa esigenza
di trovare significato nella sua esperienza è un impulso potente
per la ragione.
E tuttavia, se la ragione cerca una legalità nei suoi oggetti,
pure non può trovare requie né soddisfazione nel suo uso em-
pirico. Perfino una natura perfettamente sensata è insufficiente
per soddisfare la ragione: né l’unità dell’esperienza in cui i con-
cetti puri hanno un uso legittimo e sensato, né la matematica
162 Imparare a filosofare. Kant e la filosofia oggi

con i suoi brillanti esempi dell’avanzamento spontaneo e sinteti-


co della ragione, possono accontentarla e mettere a tacere le sue
domande ultime.
Se la ricerca del significato è il bisogno più fondamentale del-
la ragione, la più alta espressione di questo bisogno è la ricerca
di risposte alle tre domande del Canone della ragion pura e alla
domanda sulla destinazione ultima dell’uomo (cosa posso cono-
scere? cosa devo fare? in cosa posso sperare?). Questo bisogno
è un impulso che è al contempo un fine. Detto ancor più netta-
mente: l’impulso diventa un fine, un interesse, quando lo faccia-
mo nostro e lo prendiamo come la nostra motivazione.
Se nel suo uso empirico la ragione cerca l’unità dei fenomeni
secondo regole, nel suo uso puro la ragione è il potere di an-
dare al di là delle molteplici conoscenze dell’intelletto verso il
numero minimo di principi che guidano l’uso dell’intelletto.
Quando è data la serie delle condizioni, la ragione cerca la su-
bordinazione della serie completa sotto la sua massima unità, il
suo principio incondizionato (KrV A 302-8 B 359-5). In tal modo
la ragione produce la massima unità della conoscenza. La prete-
sa della ragione diventa la sua massima: portare l’intelletto nelle
sue diverse regole a compiuta unità con se stesso.
La ragione regola le conoscenze dell’intelletto, e solo con la
mediazione di questo è in contatto con i fenomeni. La ragione
agisce sull’intelletto come la facoltà dell’unità delle sue regole
sotto principi. In tutto questo la pretesa della ragione è di anda-
re al di là dell’esperienza risalendo alla condizione e ai principi
che la rendono possibile come un tutto coerente; e quello che ri-
cerca e a cui più tiene è la massima compiutezza per tutti i con-
cetti usati, perché solo la completezza può soddisfarla (Prol § 57,
AA IV 354; § 44, AA IV 332). Le idee sono la forma determinata
in cui la ragione può pensare la completezza a cui mira (ibid.).
Il potere della ragione non è un potere di intellezione o di
descrizione, ma un potere normativo. Che si diriga verso ciò che
è o ciò che deve essere, il fine della ragione è legiferare sui suoi
ambiti e prescrivere una forma di condotta. Ci intima a cercare
l’unità incondizionata della nostra esperienza mentre estende le
nostre conoscenze, e ci intima a compiere azioni in conformità
Kant e la filosofia oggi 163

a massime per imperativi categorici. Il suo interesse non consi-


ste nella coerenza formale con sé, ma nella realizzazione di fini
(ibid.).
L’unità della ragione come unità organizzata conchiusa in se
stessa è paragonata a un organismo perché la consideriamo co-
me se in tutte le sue parti fosse fatta in vista del tutto, in vista di
un disegno o progetto: un’idea. A differenza che in un mucchio,
che cresce o si modifica esternamente per aggiunte e sottrazio-
ni, l’organismo cresce internamente senza alterare le sue pro-
porzioni. Nell’organismo cui è paragonata la ragione, “ciascun
membro esiste in vista di tutti gli altri e tutti esistono in vista di
ciascuno di essi, e nessun principio può essere assunto in una
sola relazione senza ricercare al tempo stesso tutte quante le sue
relazioni con l’uso puro della ragione” (KrV B xxiii).
Questa descrizione è tratta dalla seconda Prefazione alla Cri-
tica della ragion pura; nella Critica del Giudizio teleologico (KU
§ 65) Kant aggiunge importanti proprietà. A differenza che in
una macchina, che è il prodotto di una causa esterna, le parti
non solo semplicemente coordinate e esistono in modo da co-
operare con altre parti: se un organismo è causa di se stesso, le
sue parti sono reciprocamente causa ed effetto della loro forma
e altrettanto reciprocamente fini e mezzi. Un orologio è organiz-
zato; un corpo animato organizza se stesso. Le parti non solo
esistono l’una attraverso l’altra e in vista del tutto: vanno intese
come organi. L’organismo ha allora una forza formatrice (bilden-
de Kraft), non solo la forza motrice che riceve dal suo creatore
come l’orologio.
La ragione autarchica di Kant non è quella di Hegel, perché
non è l’anima del mondo; né è la mente di Hume a cui il mon-
do è inaccessibile perché non può uscire da se stessa ed è invi-
luppata nel suo cerchio magico. La ragione di Kant è essenzial-
mente un legislatore e un giudice delle proprie leggi; usa i suoi
poteri e li sottopone a critica; nel tribunale che istituisce il suo
sguardo è unicamente su se stessa, ma considera se stessa nella
misura in cui è destinata a transcendersi ed estendersi al di là di
ciò che è.
164 Imparare a filosofare. Kant e la filosofia oggi

3. La filosofia, nonostante le pretese apparentemente elevate


implicite nel suo ruolo architettonico di ordinatrice delle scien-
ze che subordina a se stessa, consiste in semplicità e modestia.
La semplicità è un criterio economico: l’erudizione richiede lo
studio prolungato di libri, ma memorizzarne diventa superfluo
una volta che comprendiamo i principi su cui si basano: afferra-
re i principi ci rende indipendenti e sgrava il nostro lavoro. La
modestia è più importante perché è un criterio filosofico. Erudi-
ti e studiosi sono menti gonfiate dal loro sapere (AA XXIV 818,
AA IX 45). Sono appunto ciclopi, e il secondo occhio della filo-
sofia sgonfia il loro orgoglio. Quel cui Kant vuole che teniamo
fermo nel nostro sguardo è una questione di significato e digni-
tà. Ma questa è una questione di fini, che a loro volta rimanda-
no ai limiti (AA IX 25).
Né gli eruditi né gli artigiani della ragione, che utilizza-
no un metodo che adottano e danno per scontato nelle loro
scienze e rimangono concentrati esclusivamente sul loro og-
getto che presuppongono come dato, si interessano dello sco-
po finale della loro scienza o dei limiti dell’ambito che stan-
no ricercando: non hanno bisogno di alzare la testa. Dopo
tutto, è questo il motivo per cui lo sguardo della loro ragione
rimane così concentrato e sono così abili ad estendere le loro
conoscenze.
Se per il filosofo e per l’autoconoscenza della ragione il limite
è costitutivo, allora dire semplicemente che non possiamo cono-
scere il soprasensibile è una semplificazione del tutto riduttiva:
sia perché la meditazione sul limite è centrale e non va intesa
come lo scontro fattuale con un confine inevitabile, sia perché
il supersensible ci è accessible in modi pratici, ma pure in modi
speculativi, nella metafisica dell’analogia. Non posso sviluppa-
re qui tale tema, ma vorrei sottolineare che la conoscenza dei
limiti non costringe la ragione a starsene alla larga da ciò che
non può presumere di conoscere: il risultato è anzi che alla fine
la ragione sa perché non può sapere. Il risultato non è cioè una
proibizione di avventurarsi in terre incognite e straniere, ma una
conoscenza positiva che è parte integrante dell’autoconoscenza
della ragione. E l’autoconoscenza della ragione mostra che ha fi-
Kant e la filosofia oggi 165

ni che vanno al di là della conoscenza. La conoscenza è un mez-


zo per le domande ultime della ragione.
La filosofia, che è l’idea del Selbstdenken, il pensare per sé,
e deve tener presenti i fini della ragione nei loro nessi recipro-
ci e nella loro organizzazione gerarchica, ha di mira l’idea di
mondo. E il mondo è la totalità comprensiva che staglia sul
suo orizzonte le sue conoscenze. Come si vede, la filosofia è un
atteggiamento riguardo alle conoscenze e una coscienza dei fi-
ni. In questo senso la Critica della ragion pura ha un’ispirazione
a mio avviso socratica prima ancora che fondativa. Lo scettici-
smo di Socrate verso i filodossi, gli specialisti e il mondo della
τέχνη, mentre tiene viva la coscienza dei fini, del bene ultimo
e il rapporto tra prassi e teoria, è il modello che più si avvicina
al saggio a cui tende la filosofia cosmica. Al contempo, ciò ha
il valore positivo per la ragione di fungere da conoscenza di sé
e dei propri limiti. La filosofia cosmica è quindi più una pras-
si ispirata dall’idea di mondo e un rapporto vivente tra mezzi
e fini che una conoscenza determinata che pretenda di valere
per sé.
Come in ogni grande pensiero, anche qui si annidano delle
tensioni e difficoltà. Ne nomino solo due3. La prima è l’indeci-
sione kantiana tra realtà e idealità del filosofo (da un lato è va-
nità arrogarsi il titolo di filosofo e si può al massimo filosofare,
dall’altro l’idea di filosofia ha da sempre guidato tutte le filoso-
fie determinate, dice Kant a KrV A 838 B 866; da un lato l’uso
pubblico della ragione si determina storicamente, dall’altro la
filosofia rimane un’idea e un modello che non si può realizzare).
La seconda tensione è tra due immagini diverse di ragione,
l’organismo e l’architetto. La ragione deve essere organismo
perché è l’unità vivente delle sue attività, e non un aggregato;
dall’altro lato, per ottenere un sistema compiuto della ragione
occorre un architetto che non solo disegni il piano ma anche
sorvegli la costruzione dell’edificio.
La ragione è un germe da cui un organismo si sviluppa co-

3
Rimando al mio The Powers of Pure Reason. Kant and the Idea of Cosmic Philo-
sophy, University of Chicago Press, Chicago 2015, per una discussione dettagliata.
166 Imparare a filosofare. Kant e la filosofia oggi

me un’unità sistematicamente articolata, ed è un architetto che


progetta l’edificio delle leggi della ragione. La tensione è tra una
ragione che si ritrova, come un organismo, con una vita che non
ha fatto lei e una ragione che non è altro che ciò che fa di se
stessa. La tensione è tra vita e attività poietica: tra un modello
organico e uno costruttivo.
I problemi di questi rispettivi modelli sono pure marcata-
mente diversi. Il problema del modello organico è che un cor-
po animato ha una finalità interna, ma un conto è essere il fine
delle proprie funzioni e attività e un altro conto è porsi scopi e
promuovere fini. Se il primo è ciò che fa ogni membro di una
specie, il secondo presuppone l’individualità come ciò che si di-
stingue dalla specie; e qui non è un germe a me sconosciuto che
si sviluppa spontaneamente, perché qui abbiamo a che fare con
volontà, disegni, scopi e intenzioni. L’unico modo di alleviare la
tensione tra germe e architetto, tra un’analogia dal mondo orga-
nico e una dal mondo tecnico, tra una potenzialità o forza e un
progetto, dipende dalla concezione dell’idea.
La ragione si comprende unitariamente come conforme a fini
e architettonica proprio perché è il potere logico dell’inferenza;
è perché proietta le sue idee di totalità e di massimo che è de-
stinata a porre la domanda dei fini ultimi. Ma qui scontiamo i
limiti della caratterizzazione delle idee che ci dà Kant: per lui
le idee sono un impulso totalizzante basato sul bisogno della ra-
gione di progettare un mondo come ambito unitario per i suoi
oggetti e una guida necessaria per le attività della ragione, e al
contempo mancano della realtà oggettiva che hanno i concet-
ti puri e le intuizioni pure. Il fatto è che queste due proprietà
non sono giustapposte. Le idee non sono da un lato la fonte del-
le illusioni della metafisica e dall’altro guide per la ricerca: sono
l’origine dell’illusione appunto perché sono al contempo un im-
pulso totalizzante; sono mezzi euristici per la conoscenza della
natura che presiedono all’induzione e alla ricerca nelle scienze
empiriche proprio in quanto tendono oltre la natura alla sua uni-
tà ideale e massima e non sono astratte dalla conoscenza della
natura. L’interesse speculativo della ragione consiste in ciò che
trascende le conoscenze che ha.
Kant e la filosofia oggi 167

È per via di questo salto all’incondizionato che la ragione


è l’unità comprensiva di tutte le scienze a cui dà luogo – che è
un sistema. Un’idea di sistema è prima nell’ordine della genesi,
ha potere formativo, e la sua spontaneità, a differenza di quella
naturale, non è istintuale in quanto si dirige verso fini. Tutte le
idee sono concetti della forma del tutto, e come tali precedono
e determinano le parti: ogni parte si riferisce al fine e alla forma
del tutto. Se studiamo la genesi del termine ‘idea’ nel pensiero
di Kant negli anni ’70 del diciottesimo secolo, ci rendiamo con-
to che Kant parte da un nesso tra idea e sistema, arte, genio e
organismo. Sorprende che siano la natura vivente e l’arte, piut-
tosto che il soprasensibile, a fornire il terreno per le idee, che
sono processi generativi che presuppongono una totalità alle sue
parti: un’idea è allo stesso tempo un fine e il principio di orga-
nizzazione di parti.
Le idee della ragione per Kant sono paradigmatiche come
concetti di un massimo o di una perfezione incondizionata ma,
a differenza delle idee platoniche, non sono ipostatizzate: non
sono sostanze nell’ordine dell’essere né sostanze per il pensie-
ro, cioè poli fissi da presupporre, perché sono concetti della ra-
gione che aspira a portare a massima coerenza l’uso dell’intel-
letto (KrV A 305 B 362). Da un lato questo implica che l’unità
massima non è un dato che possiamo dare per scontato, perché
dev’essere pensato; dall’altro, senza le idee della ragione l’intel-
letto è incoerente, come un aggregato senza unità. Per questo la
ragione è un’attività guidata da fini, non una theôria di ciò che
è. I fini che ci orientano e guidano sono punti focali a cui ten-
diamo, non dati che dobbiamo scoprire. C’è bisogno di un’atti-
vità, non basta un’anamnesi.
Un’idea non è mai un’astrazione nè una riunione di materia-
li dati. A differenza dell’unità dell’intelletto, l’unità generata da
un’idea non è una sintesi di intuizioni, l’unificazione del molte-
plice in un concetto o l’unità di concetti e conoscenze diversi in
generi e specie: l’unità è teleologica. Nelle idee la ragione proiet-
ta un’unità come un punto focale, come uno sforzo totalizzan-
te che deve indicare una direzione che dobbiamo seguire, non
denotare un oggetto reale. Se lo sguardo dell’intelletto si con-
168 Imparare a filosofare. Kant e la filosofia oggi

centra sui suoi oggetti e cerca un concetto volto a unificare il


molteplice, la ragione cerca di abbracciare e comprendere il dato
trovando per il dato sintetizzato dall’intelletto la condizione ul-
tima, che per definizione non è data nel o con il concetto.
Le idee non sono che massime, guide soggettive che regola-
no l’intelletto, e l’espressione di un bisogno sentito dalla ragione
che non può trovare soddisfazione nella conoscenza intellettuale
dei fenomeni: il bisogno di proiettare davanti al suo sguardo un
tutto coerente. La brillante scoperta di Kant qui è che il biso-
gno soggettivo della ragione è tutt’altro che irrilevante per scopi
oggettivi perché dà luogo a idee, che a loro volta danno luogo
a un sistema di conoscenze, un mondo. Detto diversamente, le
idee che portano l’intelletto alla più alta coerenza possibile con
se stesso rendono possibile, come dicono i Prolegomeni (AA IV
359), «il massimo uso possibile della ragione nel mondo».
Siamo ora in grado di capire perché ‘fine’ e ‘forma’ sono usa-
ti come sinonimi nell’Architettonica. Un’idea, lungi dall’essere
presupposta, è un’unità proiettata, un punto focale a cui tendia-
mo; è un fine, e un principio di organizzazione; come tale, guida
la nostra costruzione del tutto, sicché è causa del tutto nella mi-
sura in cui è un fine.
Mi avvio alla conclusione. Non è un caso che quanti frain-
tendono i limiti riducendo la ragione all’intelletto o non rico-
noscendo il modo positivo in cui la ragione in senso proprio
eccede l’intelletto trascurino la differenza tra concetti e idee. I
concetti sono regole di cui ci avvaliamo per giudicare, le idee
sono modelli (Urbilder) e fini. La funzione dei concetti è identi-
ficare e determinare oggetti secondo regole, mentre la funzione
delle idee è proiettare un massimo, una totalità o perfezione a
cui tener fermo.
Per usare un esempio dalla Metaphysik L1 (AA XXVIII 240),
in “Cicerone è erudito” o in “Cicerone è giusto” uso il predicato
per giudicare le azioni di Cicerone: l’erudizione pertanto è una
regola per il mio giudizio e l’intelletto è allo stesso tempo la fa-
coltà di regole, concetti, giudizi. Nel secondo caso invece l’idea
di giustizia non è in relazione diretta con l’esperienza né tanto-
meno è derivata da questa: le idee trascendono l’esperienza, e in
Kant e la filosofia oggi 169

esse e attraverso di esse completiamo i concetti, cioè «pensia-


mo gli oggetti completamente in vista della loro specie … sen-
za occuparci se una cosa del genere sia reale o anche soltanto
possibile» (ibid.). Quel che importa è che l’idea non manchi di
nulla. I concetti mirano a catturare l’essere degli oggetti, le idee
guardano oltre gli oggetti, o, meglio, guardano agli oggetti in vi-
sta della loro norma, che, pur se mira a qualcosa che non esiste,
alla fine si rivela utile per una conoscenza degli oggetti stessi.
Le idee cercano una visione stereoscopica che tenga assieme vi-
cino e lontano, la presenza e il suo orizzonte. Quasi inutile ag-
giungere che quei matti che alzano la testa da terra e tengono lo
sguardo fisso su fini remoti alla ricerca di qualcosa che neanche
esiste sono le tipiche vittime del riso della servetta tracia: i filo-
sofi. «La filosofia è la madre-patria delle idee», dice Kant (Refl
943, AA XV 419).
Prendiamo l’idea di mondo: è paradigmatica, e spesso, so-
prattutto nell’Opus Postumum, vale come il riflesso dell’idea di
Dio come totalità dell’essere. Il mondo come questa totalità che
abbraccia ogni cosa non esiste, perché è un nostro pensiero a
priori: nulla nella realtà corrisponde alla nostra idea, e la con-
seguiamo non nonostante sappiamo che non denota un oggetto,
ma appunto grazie al fatto che lo sappiamo. Sappiamo che non
possiamo applicare un’idea a fini tecnici e neppure concettuali.
L’idea di mondo mostra che il nostro sguardo è diretto verso il
tutto, verso l’orizzonte più remoto e comprensivo. Un’idea del
genere non può mai diventare mezzo per altro; anzi, si afferma
come un ideale che potremmo non raggiungere mai. In un cer-
to senso, dal punto di vista degli scopi dell’esperienza, le idee
sembrano inutili. In un altro senso, se la nostra prospettiva è più
ampia di questa forma di strumentalità, esse sono la guida più
indispensabile, financo per l’applicazione del nostro intelletto
all’esperienza e alle scienze.
Credo che quando Kant introduce il concetto cosmico di fi-
losofia questo nesso tra mondo, idee e fini divenga costitutivo e
si riveli immanente ad ogni attività della ragione. Se il tutto pre-
cede le parti, nessuna domanda è intelligibile in e per se stessa,
e nessuna attività razionale può venire perseguita indipenden-
170 Imparare a filosofare. Kant e la filosofia oggi

temente dal contesto in cui è inserita, cioè dalle idee che la gui-
dano. Se il tutto è presente in tutte le parti, i fini della ragione
non possono essere messi tra parentesi, anzi, i fini razionali che
pretendiamo di ignorare sono semplicemente quelli che abbia-
mo dimenticato e perso di vista. E quando perdiamo di vista i
fini della ragione perdiamo quello che ci è più importante. La
filosofia cosmica ce lo ricorda. Non è né contemplazione, né una
terapia, né un semplice strumento per l’emancipazione dell’uo-
mo; è piuttosto un monito e un imperativo.

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