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Interventi e discussioni

Spinoza materialista?
Principali direttrici di ricerca su Spinoza in Francia dal
1968 ad oggi
di Tommaso Tuppini

1. Premessa: sulla nozione di materialismo in Spinoza

In un articolo comparso nel 1968 Georges Van Riet s’interrogava su


ciò in cui poteva consistere l’attualità del pensiero spinoziano. Il contesto
della filosofia francese di allora, dominato dall’esistenzialismo di Sartre e da
pensatori come Ricoeur e Merleau-Ponty, viene descritto come il trionfo di
un «piccolo razionalismo» in virtù del quale «si accorda alla ragione una
fiducia mitigata, le si interdice l’accesso all’assoluto, la si rinchiude in limiti
ben definiti». La contestazione del «valore assoluto della ragione» (quella
che in Italia, circa un decennio dopo, avremmo imparato a conoscere come
un portato critico del «pensiero negativo») è ad avviso di Van Riet il male
di cui il «grande razionalismo» di Spinoza è chiamato ad essere rimedio.
Di questo grande razionalismo viene ampiamente illustrata la teoria dei tre
generi di conoscenza, l’ultimo dei quali (il pensiero propriamente detto,
quello che coglie «il mondo […] quale esso è […], mondo reale o ontolo-
gico») è in grado di produrre qualcosa come un’esperienza di pienezza, una
promessa necessariamente mantenuta di bonheur: pensare significa produrre
«il mondo di un’attività e di una libertà che consistono dell’essere piena-
mente, e nell’essere pienamente sé». La filosofia di Spinoza è destinata a
dare forma ad una specie di hegelismo senza il momento del negativo, una
conciliazione dell’in-sé e del per-sé che ha il tratto dell’immediatezza per
mezzo della presentazione di una «sostanza [che] è subito soggetto, senza
alienazione, né riconciliazione».
La ricostruzione di Van Riet è interessante, perché in essa si trovano
compresenti tanto i luoghi comuni dell’interpretazione tradizionale in ambito


G. Van Riet, Actualité de Spinoza, in «Revue philosophique de Louvain», 1968, n. 66, pp.
36-84. L’articolo sarebbe poi confluito nel più ampio studio intitolato Philosophie et religion,
Louvain-Paris, Publications universitaires de Louvain-Éd. Béatrice Nauwelaerts, 1970.
 Ibidem, p. 40. Bisogna per altro rimarcare la ristrettezza dell’orizzonte storico-filosofico

ricostruito da Van Riet, che, appunto, fa riferimento al pensiero di Sartre e Merleau-Ponty


come al dernier cri della filosofia francese, ma non tiene in alcun modo conto dei lavori coevi
di Foucault, Levi-Strauss, Lacan, Althusser.
 Ibidem.
 Ibidem, p. 54.
 Ibidem.
 Ibidem.

INTERSEZIONI / a. XXVII, n. 2, agosto 2007 275


Tommaso Tuppini

di lingua francese fino al 1968, quanto, seppur in modo larvato, alcune delle
nuove esigenze interpretative che di lì a poco si sarebbero imposte come
imprescindibili per una più adeguata comprensione di Spinoza. Appartiene
in tutto e per tutto alla lettura primonovecentesca lo schiacciamento del
pensiero di Spinoza sui presupposti della filosofia dialettica. Appartiene
invece ad un’impostazione differente della ricerca l’allusione, per quanto
fugace, ad un orizzonte di semplice positività dell’essere – dunque irriduci-
bile ad ogni schema di comprensione dialettico – che sarebbe consustanziale
al pensiero di Spinoza al di qua della lettura che ne avrebbe fatto Hegel
nelle Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, le quali per più di un
secolo avrebbero significato una sorta di cerchio magico descritto intorno
all’autore dell’Etica e dal quale, fino ad un passato recente, non sembrò
possibile di farlo fuoriuscire.
Anticipando il risultato di questa rassegna si potrebbe dire che, nel suo
complesso, la critica francese degli ultimi quarant’anni ha finito per rinvenire
in Spinoza i fondamenti di un pensiero antidialettico e materialista nel senso
che verremo specificando. Individuare nella speculazione spinoziana una pie-
ga del pensiero materialista non rappresenta certo una novità interpretativa
nella plurisecolare vicenda della ricerca storiografica. Come ha dimostrato
con chiarezza Emilia G. Boscherini, a partire dall’articolo Spinoza di Bayle
per giungere agli Enciclopedisti francesi, per lo più il pensiero di Spinoza è
stato compreso come tale; almeno fino al suo grande recupero da parte dei
pensatori tedeschi impegnati verso la fine del XVIII secolo nella polemica
innescata dalla pubblicazione delle Spinozabriefe e di Hegel che ne fece un
exemplum del filosofare tout court (dello stesso avviso sarà, circa un secolo
dopo, Bergson, per il quale ogni pensatore pensa almeno due cose alla volta,
il proprio pensiero e quello di Spinoza). Una tale denuncia di materialismo,
quando veniva fatta nel contesto dell’âge classique, era giustificata per lo
più in base al fatto che Spinoza sostiene l’appartenenza dell’attributo del-
l’estensione all’ambito del divino, il che fa sì che anche Dio sia in qualche
modo comprensibile come cosa estesa. Tuttavia è possibile individuare nello
spinozismo che si va diffondendo in Francia grossomodo dopo il 1968 una
rilettura materialistica di Spinoza più sfumata e complessa.
L’intervento che forse rende meglio l’idea di ciò che può essere compre-
so come «materialismo di Spinoza» nella Francia di quegli anni è quello del
1986 di André Tosel. I francesi che si occuparono di Spinoza in quel torno
di tempo si proibirono di comprendere la nozione di materialismo come
un elemento della polarità materialismo-idealismo, là dove con il termine
di «materialismo» avremmo a che fare con una tra due differenti opzioni
teoriche di cui è fin troppo facile tratteggiare le differenze, ma di cui non

 E.G. Boscherini, Le matérialisme chez Spinoza, in «Revue internationale de Philosophie»,

1977, n.119-20, pp. 174-197.


 Per l’opera di mediazione di Bayle non possiamo che rimandare a P. Rétat, Le Dictionnaire

de Bayle et la lutte philosophique au XVIIe siècle, Paris, Les Belles Lettres, 1971. Più in genera-
le, il lavoro di riferimento in Francia circa l’interpretazione «materialista» di Spinoza nel ’700
rimane quella di P. Vernière, Spinoza et la pensée fraçaise avant la Révolution, Paris, Presses
Universitaires de France, 1954. Sul complesso di questo panorama storiografico: G.F. Frigo,
«L’ateo di sistema». Il «caso Spinoza» nella storiografia tedesca dall’Aufklärung alla Romantik,
in «Verifiche», 1977, n. 4, pp. 811-859. Per il Novecento si veda l’antologia curata da G.L.
Kline, Spinoza in Soviet Philosophy, London, Routledge and Kegan, 1952.

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Spinoza materialista?

si vedono al contempo le macroscopiche condivisioni di presupposti . Il


presupposto, ad esempio, che entrambe le opzioni condividono è senz’altro
quello della collocazione – a capo di un sistema – di un principio, di un fi-
losofema avente funzione di principio. Il materialismo di Spinoza, per come
esso emerge dai suoi interpreti francesi, non consiste nel collocare nel luogo
dell’origine quella materia che, come vuole un’antica tradizione, si oppone
allo spirito o all’idea10. Per produrre una nuova comprensione di ciò che ha
significato la portata epocale della filosofia di Spinoza, non si tratta tanto di
identificare il concetto di sostanza o di fondamento con quello di materia o
cosa estesa, come se fosse lecito formulare il giudizio la sostanza in Spinoza
è materia. È piuttosto la nozione spinoziana di sostanza chiamata a chiarire
ciò che «materia» può propriamente dire, «è il concetto di materia a dover
essere infine nuovamente illustrato attraverso l’aperto e trasparente concetto
della sostanza»11. Semmai si potrebbe fare uso della nozione di sostanza in
senso determinante: la materia è sostanza.
È la sostanza aperta, perché forza produttiva che si dispiega nei modi,
e trasparente, perché di volta in volta produce non in modo misterioso,
ma secondo la piega di uno specifico attributo che è il medesimo per Dio
e le cose, che può aiutare a chiarire il confuso concetto di materia, e non
il contrario. Quel che è peculiare del pensiero spinoziano che i francesi
delineano nei decenni più recenti della ricerca storico-filosofica e di un ma-
terialismo non dogmatico in generale – sostiene Tosel – non è allora tanto
la sostituzione di un principio che ha la struttura eidetica dello «spirito»
con uno differente che ha la struttura della «materia», «quanto invece una
pratica differente di ciò che si potrebbe chiamare la funzione-principio»12.
La peculiarità del materialismo (e di quello spinoziano nella fattispecie)
consisterebbe allora nel

Sovvert[ire] lo spazio di configurazione del «principio» (princeps, ciò che è primo


e che comanda, che detiene il potere), risolvendosi a pensare a partire da una natura


A. Tosel, Du materialisme, de Spinoza, 1986, in Du materialisme de Spinoza, Paris, Kimé,
1994, pp. 127-153. Tosel era già stato autore di uno studio specifico sul Trattato teologico-po-
litico (dal titolo Spinoza ou le crepuscule de la la servitude, Paris, Aubier-Montaigne, 1984) in
cui il pensiero politico di Spinoza viene riguardato come un progetto di liberazione cui inerisce
sempre una critica della religione rivelata. Di Tosel, sul medesimo argomento, cfr. anche Que
faire avec le Traité théologico-politique? Réforme de l’imaginaire religieux et/ou introduction à
la philosophie?, in «Kairos», 1998, n. 11, pp. 167-194.
10
Cfr. ad es. J.G. Walch, Philosophisches Lexicon [1726], Hildesheim, Olms, 1968, vol.
II, p. 62, «Materialismus. Es zeigt dieses überhaupt einen Irrthum, oder falschen Begriff an,
den man in Ansehung der Materie hat, welches auf verschiedene Art geschehen kan. Denn
man nennet dasjenige einen Materialismum, wenn man die geistliche Substanzen leugnet und
keine andere, als körperliche zulassen will. Unter den neuren gehöret dahin der Benedictus
de Spinoza, der nur eine einzige Substanz zugiebt, und daher die Seele des Menschen vor
körperlich halten, alle andere Geiste aber leugnen muss». Per la prospettiva, assai importante
dal punto di vista della ricezione di Spinoza come ateo e materialista, di Buddeus, in gran
parte coincidente con quella di Walch, cfr. M. Longo, Joh. Franz Buddeus, in Storia delle storie
generali della filosofia, a cura di G. Santinello, Brescia, La Scuola, 1979, vol. 2, pp. 373-406.
11 E. Bloch, Tübinger Einleitung in die Philosophie [1970], Frankfurt a. M., Suhrkamp,

1985, p. 202. La riflessione blochiana non riguarda esplicitamente Spinoza (di cui si parla
per altro diffusamente in altre pagine dello stesso libro, ma secondo una prospettiva che è in
tutto e per tutto quella di Hegel); appunto per questo ci permettiamo di farne uso in questo
contesto come di un’ipotesi di ricerca che la critica francese ha in qualche modo fatto propria
per scandagliare la struttura della sostanza spinoziana.
12 A. Tosel, Du materialisme de Spinoza, cit., p. 130.

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Tommaso Tuppini

che ha già cominciato senza di noi, prima di noi, una natura che noi cominciamo,
per quel che ci riguarda, a ricevere ed incontrare come esterna […]. Esso presup-
pone sempre il riconoscimento […] di qualche cosa come un dato che noi non
abbiamo prodotto e che neppure è stato prodotto anzitutto da una ragione, da un
logos oggettivo, separato o eminente13.

Nell’un caso, ossia là dove ad un principio-spirito si opponesse un prin-


cipio-materia, saremmo ancora all’interno di un dibattito di carattere dosso-
logico, vale a dire: verrebbero messe a confronto due figure antagonistiche
del fondamento (spirito versus materia) che condividono però l’essenziale,
partecipano cioè della medesima funzione-principio, e non sarebbero pertan-
to che due versioni «opinabili» del subjectum metafisico. Spinoza non parte-
ciperebbe, però, al dirimersi sterile di questa diatriba. Con l’interpretazione
che di Spinoza hanno dispiegato i francesi negli ultimi quattro decenni ci
lasciamo alle spalle ogni polarità idealismo-materialismo così intesa per pro-
durre una comprensione di «materialismo» assai più larga, la quale sembra
dar vita al ritratto di un filosofo che si caratterizza sommariamente secon-
do i seguenti aspetti: uno Spinoza pensatore della forza produttrice della
Natura immanente ai propri prodotti, in virtù della cui struttura la forza
produttrice-naturante non ha alcuna vicenda separata dai suoi prodotti e per
cui essa stessa risulta, in qualche modo, «prodotta»; uno Spinoza pensatore
della improgettabile «fatticità» ed aleatorietà che ineriscono ad essa forza
produttrice; uno Spinoza anti-coscienzialistico, per il quale la coscienza non
è origine o produzione di alcunché, ma solo un rispecchiamento degli effetti
che si producono sul piano dei corpi e delle idee; più specificamente sul
piano del pensiero politico: uno Spinoza democratico, poiché la conoscenza
del corpo come concrezione di potenza, del conatus e dei suoi dinamismi
mette capo a principi di socializzazione che intendono unificare la multitudo,
ma, tendenzialmente, non nel modo hobbesiano che ha lo Stato-Leviatano di
formalizzare nella sua idealità i rapporti materiali di forza, bensì mettendo
a fuoco il problema della organizzabilità immanente alla multitudo, quindi
il problema dell’auto-governo14.

2. Ricerche spinoziste dal 1968 agli anni Settanta

Il panorama teorico-interpretativo che, servendoci delle osservazioni di


Tosel, abbiamo appena schizzato, comincia effettivamente a svilupparsi in
Francia nel 1968. L’anno è fatidico non solo con tutto il suo portato di vi-
cende socio-politiche, ma senz’altro anche nell’ambito più ristretto degli stu-

13
Ibidem, p. 131. Lo stesso anno dell’intervento di Tosel un articolo di B. Rousset, L’être
du fini dans l’infini selon l’«Étique» de Spinoza, in «Revue philosophique de la France et de
l’Étranger», 1986, n. 2, pp. 222-247 giungeva più o meno alle stesse conlcusioni. Rousset
avrebbe poi ribadito questo punto di vista nell’articolo Le problème du matérialisme dans le
spinozisme, in «L’Enseignement philosophique», 1991, n. 5, pp. 3-19. Questi ed altri interventi
di Rousset su Spinoza sono stati raccolti nel volume L’immanence et la salut. Regardes spino-
zistes, Paris, Kimé, 2000.
14 Soprattutto per quest’ultimo aspetto cfr. A. Tosel, Du matérialisme de Spinoza, cit., pp.

147-149. Queste ragioni di ordine generale che ci sembra di poter individuare nell’interpreta-
zione francese di Spinoza successiva al 1968 in parte coincidono ed in parte divergono dalle
ragioni che troviamo ad esempio esposte da J. Ruiz, Spinoza et le matérialisme, in «Revue de
Métaphysique et de Moral», 1981, n. 1, pp. 38-53.

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Spinoza materialista?

di spinoziani. I due studi pubblicati nel 1968, che contribuiscono in modo


determinante ed inaugurale ad istituire una nuovo progetto ermeneutico15
con il quale diventava possibile produrre una lettura di Spinoza che rinun-
ciasse a tanta parte della ormai invalsa precomprensione dialetticizzante,
sono quelli di Martial Gueroult16 e di Gilles Deleuze17.
I due studi appena ricordati hanno alcuni caratteri d’indubbia differenza,
che potremmo riassumere così: lo studio di Gueroult si presenta come un
analitico commentario del primo libro dell’Etica, mentre il testo di Deleuze
esibisce il carattere del saggio teorico, con un numero più succinto di ri-
ferimenti testuali. Inoltre, il periodo storico che viene preso come termine
di riferimento per enfatizzare l’originalità speculativa di Spinoza è ristretto
da Gueroult ad un orizzonte molto prossimo all’autore dell’Etica (lo Hee-
reboord autore della Hermeneia e dei Meletemata insieme a Descartes, Ma-
lebranche e Leibniz18), quando invece per Deleuze, se certo il riferimento
a Descartes e Leibniz risulta imprescindibile e gioca senz’altro un ruolo
strategico, bisogna però dire che l’interesse primario è quello di evidenziare
il ruolo sovversivo di Spinoza nei confronti di una tradizione di pensiero
colta nei sui momenti nevralgici e spesso pre-moderni, la quale ha i propri
luoghi privilegiati di riferimento in Aristotele, Plotino e S. Tommaso. Spi-
noza finisce per emergere dalla penna di Deleuze come uno di quegli scogli
del pensiero (insieme a Duns Scoto e, spostando la prospettiva in avanti, a
Nietzsche19) su cui la navicella sicura dell’analogia entis rischia di sfracellarsi;

15 Mi sento di integrare in questo senso l’affermazione contenuta nella peraltro assai utile

rassegna di S. Gandini, Linee di tendenza della critica francese del ’900 intorno a Spinoza, in
«Rivista di Storia della Filosofia», 1987, n. 42, pp. 736-747, secondo la quale (cfr. p. 743) il
dato di novità della ricerca spinoziana francese che si è aperta verso la fine negli anni Sessanta
consiste solo in una maggiore obiettività della lettura, ormai libera dalle forzature teoriche degli
studi d’inizio secolo.
16 M. Gueroult, Spinoza, I: Dieu, Paris, Aubier-Montaigne, 1968, il secondo volume dello

stesso studio sarebbe uscito sei anni dopo: Spinoza, II: L’âme, Paris, Aubier-Montaigne, 1974,
il terzo volume, che avrebbe dovuto riguardare i libri III-IV-V dell’Etica, non sarà portato a
termine a causa della morte dell’autore. Di esso è stato però pubblicato un paragrafo che verte
sulla nozione dell’affectus nella «Revue philosophique de la France et de l’Étranger», 1977,
n. 1, pp. 285-302. A testimonianza della vasta eco che i due volumi (soprattutto il primo)
di Gueroult ebbero nel panorama filosofico francese, cfr. alcune tra le numerose recensioni
che seguirono: P. Agaesse, Le Spinoza de M. Gueroult, in «Archives de Philosophie», 1969, n.
32, pp. 88-96; G. Dreyfus, La methode structurale et le Spinoza de M. Gueroult, in «Age de
la Science», 1969, n. 3, pp. 240-275; L’analyse des structures de l’«Étique» par M. Gueroult,
in «Kant-Studien», 1975, n. 66, pp. 467-489; J.-P. Deschepper, Les yeux de l’âme. Le Spinoza
de M. Gueroult, in «Revue philosophique de Louvain», 1971, n. 69, pp. 465-494; S. Zac, Le
Spinoza de M. Gueroult, in «Revue de Synthèse», 1971, n. 92, pp. 251-279; Le Spinoza de M.
Gueroult. La théorie de l’imagination dans le livre II de l’«Étique», in «Revue de Synthèse»,
1975, n. 3, pp. 245-282; J. Berhardt, Infini, substance et attributs. Sur le spinozisme (à propos
d’une étude magistrale), in «Dialogue», 1975, n. 14, pp. 551-583; A. Doz, Remarques sur les
onze premières propositions de l’Étique de Spinoza. A propos du Spinoza de M. Gueroult, in
«Revue de Mètaphysique et de Morale», 1976, n. 3, pp. 221-261.
17
G. Deleuze, Spinoza et le problème de l’expression, Paris, Minuit, 1968.
18 Molto analitica, a questo proposito, la ricerca che sarebbe stata pubblicata di lì a poco

di J.-M. Gabaude, Liberté et raison. La liberté cartésienne et sa réfraction chez Spinoza et chez
Leibniz, Toulouse, Association des Publications de l’Université de Toulouse-Le Mirail, 1970.
19 Solo uno il riferimento di Deleuze a Nietzsche nel grande studio del 1968. La tesi della

complicità teorica tra Nietzsche e Spinoza sarebbe diventata più esplicita in quella sorta di
compendio della precedente pubblicazione uscito due anni dopo: Spinoza. Philosophie pratique,
Paris, Minuit, 1970. Non è senz’altro casuale che la nascita di una nuova sensibilità speculativa
nella ricerca spinoziana verso la fine degli anni ’60 si accompagni in Francia ad una rinascita

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il richiamo a pensatori coevi si offusca pertanto di fronte al panorama più


ampio, rispetto a quello di Gueroult, che Deleuze intende offrirci.
Più significative ed interessanti rispetto alle differenze sono, però, le
affinità tra i due studi. Affinità implicitamente riconosciute, a cose fatte,
dallo stesso Deleuze20. Ciò risulta particolarmente chiaro se confrontiamo
le ricerche di Deleuze e Gueroult con ciò che in Francia si era già imposto
come paradigma della critica spinoziana, vale a dire lo studio del 1894 di
Léon Brunschvicg21. Prendiamo come esempio la prospettiva che Brunschvi-
cg getta sulle prime 8 proposizioni dell’Etica:

Il sistema spinozista deve avere per principio una definizione; questa definizione,
essendo principio, esprime necessariamente una idea prima che lo spirito si forma
necessariamente senza riguardo ad altre idee. […] L’essere che è causa di sé non
ha altra ragione d’essere, altro fondamento che se stesso. Di conseguenza non può
riferirsi ad alcunché di precedente, è piuttosto ad esso che ogni cosa si riferisce; non
è attributo di alcunché, rimane pur sempre soggetto22.

È evidente l’intento apologetico dell’intervento di Brunschvicg: la sostan-


za di Spinoza è già soggetto (a dispetto di ciò che aveva potuto pensare
Hegel), la sostanza spinoziana possiede in qualche modo il tratto dell’essere-
per-sé, è una struttura cui appartengono la trascendentalità e la purezza del
principio autonomo. La finitezza del nostro intelletto non è però in grado di
cogliere la sostanza nella sua originaria condizione di unica autoaffermazio-
ne, ma la determina secondo un’apprensione che ne scandisce alcuni generi
all’interno, i quali generi d’apprensione sono appunto gli attributi. Va da sé
che, a fronte della concretezza assoluta della sostanza autoponentesi e della
sua prima riduzione secondo i generi degli attributi, i modi non sono che
un’epifania postuma23. A fondamento del pensiero c’è qualcosa come un

degli studi nietzscheani. Nel caso di Deleuze poi, questa coincidenza è rappresentata in modo
paradigmatico (cfr. in particolar modo lo studio Nietzsche et la philosophie, Paris, Presses
Universitaires de France, 1962). Un testo di poco successivo in cui il richiamo alla nozione
nietzscheana di «innocenza» risulta strategico per la comprensione dell’Etica è quello di J. Ruiz,
Lecture de Spinoza, Paris, La Pensée Universelle, 1972. Il nesso Nietzsche-Spinoza, a partire
dalla prospettiva di Deleuze, viene affrontato da P. Zaoui, La «grande identité» Nietzsche-Spi-
noza, quelle identité?, in «Philosophie», 1995, n. 47, pp. 64-84.
20
Cfr. il suo articolo Spinoza et la méthode generale de M. Gueroult, in «Revue de Métaphy-
sique et de Morale», 1969, n. 74, pp. 426-437.
21
L. Brunschvicg, Spinoza et ses contemporains, Paris, Presses Universitaires de France,
19715. La prima parte della quinta edizione dell’opera, la più consistente, è la riedizione di
un saggio del 1894, cui l’autore ha poi aggiunto una serie di articoli comparsi sulla «Revue de
Métaphysique et de Morale» tra il 1904 ed il 1906.
22
Ibidem, pp. 36-37.
23
Ibidem, pp. 39-40, 46. Allo stesso modo J. Lagneau, Quelques notes sur Spinoza, in
Célèbres leçons et fragments, Paris, Presses Universitaires de France, 19642, p. 78 (si tratta di
un articolo apparso per la prima volta postumo nella «Revue de Métaphysique et de Morale»
del 1895) definisce la sostanza come quella cosa «che non è determinata da nulla, che nessun
pensiero in particolare, nessuna esperienza potrebbero definire, circoscrivere» e che si sviluppa
per «gradi inferiori» (sul rapporto Lagneau-Spinoza cfr. J.-M. Le Lannou, L’au-delà de la sub-
stance: le dialogue Lagneau/Spinoza, in «L’Enseignement philosophique», 1991, n. 4, pp. 44-58).
Così P. Lachiéze-Rey, Les origines cartésiennes du Dieu de Spinoza, Paris, Vrin, 1932, p. 119:
«si potrebbe ammettere […] che l’unità dell’estensione e del pensiero si realizza al di là della
loro essenza nella misura in cui noi la concepiamo, visto che l’attributo da noi concepito non
è l’attributo nella sua interezza […]. L’attributo è ciò che noi riguardo la sostanza concepiamo
della sostanza» e ciò «non implica che noi per ciò stesso concepiamo l’intera essenza della
sostanza; [la definizione dell’attributo] non esclude una sua [della sostanza] interiorità, né ciò

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principio indeducibile ed increato, oltre cui non è dato di risalire. Il metodo


spinoziano della conoscenza consisterà allora nell’oltrepassare la siepe della
finitezza per raggiungere la pienezza di questo principio in qualche modo
acosmico.
A fronte di una sensibilità interpretativa come quella brunschvicghiana
Gueroult e Deleuze propongono una innovativa comprensione del piglio
genealogico che è proprio del metodo espositivo di Spinoza cui corrisponde,
come precipitato sul piano del contenuto, una peculiare comprensione dello
statuto degli attributi. Tratto genealogico dell’esposizione e peculiare statuto
degli attributi, dunque, che l’uno studio, quello di Deleuze, configura sotto
la nozione-guida dell’«espressione»24, mentre quello di Gueroult raccoglie
intorno a quella di «costituzione», ad esempio là dove viene esplicitamente
affermato che «l’attributo è […] principio ontologico della sostanza nella
misura in cui esso è costitutivo della sua realtà»25.
«Espressione» e «costituzione» diventano in qualche modo titoli per i
legami d’immanenza che stringono insieme sostanza, attributi e modi. Il
prodotto teorico ed il metodo del pensiero spinoziano divengono da questo
punto di vista, per entrambi gl’interpreti, il presupposto l’uno dell’altro:

Non vi sarebbe alcun metodo sintetico e genetico se il generato non fosse in una
certa maniera uguale al generatore (da cui discende che i modi non sono alcunché
di più o di meno che la sostanza), e se il generatore non fosse esso stesso oggetto
di una genealogia che fonda la genesi del generato (da cui discende che gli attributi
sono elementi genealogici della sostanza e principi genetici dei modi)26.

Un elemento quasi ovvio nella letteratura critica spinoziana, dopo Hegel


ed Erdmann27, e che abbiamo già visto esplicitato nella ricerca di Brun-
schvicg (la quale pure, per altri versi, si allontanava dalla lettura di Hegel),
era la cosiddetta teoria formalista degli attributi, in virtù della quale gli
attributi vengono kantianamente considerati come forme soggettive della
percezione della sostanza da parte di un intelletto finito. Per Gueroult e
Deleuze, invece, gli attributi della sostanza formano questa stessa sostanza,
hanno rilievo genealogico nei confronti dell’essere della sostanza. Il concetto
di produzione è chiamato in causa per chiarire il configurarsi dell’esistenza

che di conseguenza sarebbe giusto chiamare un al di là dell’attributo stesso». Spinoza è più


coerente di Descartes nel dispiegare una «gerarchia delle essenze che si scandisce a partire
dalla sostanza fino alle sue manifestazioni più limitate e trattenendo del naturante originario
una quantità proporzionale alla loro realizzazione in quanto naturate», ibidem, p. 258. Questa
dimensione di ulteriorità della sostanza nei confronti degli attributi e il suo conseguente statuto
di inconoscibilità vengono sostenuti altresì nella monografia di G. Huan, Le Dieu de Spinoza,
Paris, Alcan, 1914 e di V. Delbos, Le spinozisme, Paris, Vrin, 1916. Per una rassegna di tutte
queste interpretazioni cfr. M. Gueroult, Spinoza, cit., vol. I, pp. 428-461 e passim.
24
Sostanzialmente motivato dalla ricerca deleuziana appare lo studio di A. Robinet, Expres-
sion ou expressivité selon «Ethica 77», in «Revue de Synthèse», 1977, n. 89-91, pp. 223-263,
il quale ci presenta un rendiconto dettagliato di tutte le occorrenze verbali, sostantive ed
aggettivali di exprimere e dei suoi correlati nell’Etica.
25 M. Gueroult, Spinoza, cit., vol. I, p. 47.
26 G. Deleuze, Spinoza et la méthode, cit., p. 437.
27 A proposito di Erdmann, del suo Versuch einer wissenschaftlichen Darstellung der Geschi-

chte der neueren Philosophie e della trattazione che in esso è riservata a Spinoza, cfr. M. Longo,
Johann Eduard Erdmann, in Storia delle storie generali della filosofia, a cura di G. Santinello e
G. Piaia, Padova, Antenore, 2004, vol. 5, pp. 53-88.

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Tommaso Tuppini

in ogni direzione. Per Gueroult Spinoza si propone di «costruire Dio»28.


Allo stesso modo per Deleuze la sostanza si esprime in quegli attributi che
producono la sua stessa essenza. Da ciò consegue che il Dio spinoziano non
è tutto l’essere, come aveva invece argomentato l’esegesi classica29. Piuttosto:
Dio e le cose sono manifestazioni differenti di un essere comune che si dà
a riconoscere negli attributi.
Nel corso del suo studio Deleuze si premura di distinguere il principio
ontologico spinoziano, tendenzialmente univocista, da quello analogico
di matrice prevalentemente aristotelico-tomista, e da quello emanatistico-
neoplatonico30. Mentre secondo questi ultimi due principi l’essere risiede
propriamente, eminentemente, in una qualche entità (che può essere Dio,
l’Idea, ecc.) per trasmettersi, lasciarsi partecipare secondo gradi via via di-
scendenti da entità di carattere difforme, invece in Spinoza i medesimi ed
increati attributi, forme dinamiche ed attive, costituiscono l’essenza della
divinità e sono implicati nei modi finiti. Gli attributi divengono così le for-
me comuni di un essere univoco differentemente declinato in Dio e nelle
cose. «Tutto» l’essere non è dunque Dio. L’essere sarà semmai l’essere uni-
voco di Dio e dei modi31. Salvaguardare la distinzione d’essenza tra Dio e i
modi non significa non saper riconoscere un’identità dell’essere. Ciò che il
principio dell’analogia confonde (l’essenza dell’increato e delle creature per
mezzo del principio dell’eminenza o dell’emanazione) l’univocità distingue.
La tendenza univocista, distinguendo le essenze, finisce però per consentire
di comprendere l’identità ontologica e superessenziale di ciò che l’analogia

28 M. Gueroult, Spinoza, cit., vol. I, p. 37.


29 Cfr. come esempi di questa esegesi classica: «l’Essere supremo non è più solamente
l’essere in sé, è anche l’essere di tutto l’essere, è Dio», L. Brunschvicg, Spinoza et ses con-
temporains, cit., p. 48. Il «naturante e il naturato» non si possono mai collocare «su di un
medesimo piano»; «la posizione di Dio si confonde con la posizione stessa dell’essere, perché
noi non possiamo pensare il modo senza la sostanza e, senza la sostanza, non possiamo porre
assolutamente niente. La posizione dell’essere, questo è il correlato che ci era indispensabile per
giustificare la posizione di Dio […]; Dio o la sostanza spinoziana è davvero, nell’accezione della
filosofia critica, una condizione trascendentale dell’essere, vale a dire una condizione necessaria
perché l’essere sia, esattamente come la sostanza kantiana è una condizione trascendentale
per l’esistenza del mondo dei fenomeni», P. Lachiéze-Rey, Les origines cartésiennes, cit., pp.
119, 196-97. È vero però che sempre Lachiéze-Rey va al di là della posizione di Brunschvicg
e finisce per riconoscere che la «reciprocità» spinoziana tra naturante e naturato «non si può
istituire che nel dominio omogeneo dell’essere formale» (ibidem, p. 124), alludendo ad un esse
formale che non può essere condizionato da Dio come condizione «trascendentale», ma che
piuttosto è l’essere univoco insieme di Dio e dei modi. Alla luce di quanto abbiamo detto, un
ritorno alla comprensione brunscvigchiana dell’essere in Spinoza possono considerarsi le affer-
mazioni di R. Caillois, L’absolu et le divin. A propos du spinozisme, in «Revue de l’Enseigne-
ment Philosophique», 1982-83, n. 3, p. 6, «Dio è il nome dell’essere assoluto e nient’altro. Dio
è concetto, vale a dire ciò che «coglie» l’essere […]. Ontologia e teologia sono una sola logica,
un solo logos […]. Il concetto di Dio è costruito per coincidere con la realtà assoluta».
30
Alla distinzione deleuziana tra principio emanatistico neoplatonico e principio spinoziano
dell’immanenza si assocerà in seguito anche S. Breton, Âme spinoziste, Âme néo-platonicienne,
in «Revue Philosophique de Louvain», 1973, n. 71, pp. 210-223.
31 Ovvero, come è tornato ad esprimersi in una delle sue più recenti pubblicazioni R. Mi-

srahi, L’être et la joie. Perspectives synthétiques sur le spinozisme, Paris, Encre Marine, 1997, pp.
135-136, «sostanza, attributi, modi [sono] diversi aspetti dell’Essere, […] non si organizzano
secondo una gerarchia discendente che andrebbe da un Dio nascosto verso la molteplicità
empirica e sensibile degli esseri […]. In Spinoza tutto accade […] come se si avesse a che
fare con un’ontologia orizzontale, vale a dire un’ontologia le cui articolazioni sono tutte situate
sul medesimo piano».

282
Spinoza materialista?

rende discontinuo secondo l’istituzione di piani gerarchici (l’essere supremo


dell’increato distinto dall’essere diminuito delle creature).
Una certa discrepanza teorica mi sembra ci sia invece tra Deleuze e
Gueroult per il modo in cui giustificano l’unità degli attributi nella sostanza.
Mentre Gueroult, richiamandosi fondamentalmente al commentario di Lewis
Robinson, fa leva sulla nozione di identità causale (vale a dire: gli attributi
formalmente distinti non comportano alcuna confusione o permixtio tra le
differenti essenze nell’ambito della sostanza. Tuttavia un elemento di identità
comune agli attributi si può ritrovare nel fatto che tutti condividono il ca-
rattere della causa sui – ogni attributo produce se stesso e produce i propri
modi – ed è questa compartecipazione collettiva al carattere della causa sui a
far sì ch’essi costituiscano un solo atto sostanziale per sé esistente32), Deleu-
ze, per giustificare la medesima unità attributiva, fa leva sulla non-numerabi-
lità degli attributi (il carattere della numerabilità in Spinoza può appartenere
esclusivamente agli enti d’immaginazione): «la logica della distinzione reale
[tra gli attributi] è una logica della differenza puramente affermativa e senza
negazione. Gli attributi formano senz’altro una molteplicità irriducibile, tutto
però sta nel capire di che tipo di molteplicità si tratti»33.
Lo studio di Deleuze inaugura anche un altro aspetto che avrebbe ca-
ratterizzato la ricerca francese su Spinoza negli anni a venire, vale a dire
l’enfasi posta sulle analisi del dato affettivo presenti nell’Etica, inaugurando
quello che potremmo chiamare l’intrinseco «patetismo» dello Spinoza dei
francesi. Seguendo questa falsariga dell’attenzione portata ai fenomeni emo-
tivi dei modi, la figura ultima della beatitudine e dell’amor Dei finisce per
configurarsi nella lettura deleuziana come una sorta di condizione auto-affet-
tiva in cui al modo è dato di esperire una autentica gioia attiva nel potersi
collocare al di qua di ogni forma distinta dell’azione o della passione e nel
semplice avvertimento di un indeterminato poter-essere-affètto di volta in
volta riempito dalle concrete situazioni esistenziali, ma presentante di per sé
una costituzione intensiva irriducibile all’estensività dello spazio-tempo34.
Ciò per cui, infine, soprattutto la lettura di Deleuze risulta assai origi-
nale, ed istituisce in qualche modo uno di quelli che saranno i presupposti
inaggirabili per tutta la letteratura critica d’oltralpe a venire, è l’interpre-
tazione dello spinozismo come di un pensiero anticoscienzialistico35. Lo
spinozismo contesta radicalmente ogni forma di cartesianesimo. Lo spino-

32
M. Gueroult, Spinoza, cit., vol. I, p. 238. Il richiamo esplicito a L. Robinson, Kommentar
zu Spinozas Ethik, Hamburg, Meiner, 1928, vol. I, pp. 246-48, 275-287 ed alla nozione qui
sviluppata della kausale Einheit gioca un ruolo strategico in questo passaggio dello studio gue-
roultiano. Il commentario di Robinson sviluppa con chiarezza l’idea radicale che «die göttliche
Substanz nichts ausser ihren Attribute sei», da cui consegue che «die Einheit müssen wir nicht
hinter den Attributen, sondern in denselben suchen» p. 247. Sulla questione dell’unità causale
degli attributi cfr. anche P. Fontan, Dieu, premier ou dernier connu. De Spinoza à saint Thomas
d’Aquin, in «Revue Thomiste», 82, 1974, n. 74, pp. 244-278
33
G. Deleuze, Spinoza et la méthode, cit., p. 431.
34 Cfr. a questo proposito un’affermazione in larga parte coincidente con quelle deleuziane:

«la Sostanza si autodetermina. Lo spinozismo è una filosofia della potenza d’affermazione di sé


e di espansione individuale indefinita, senza un intrinseco terminus ad quem», J.-M. Gabaude,
Ambiguïté spinozienne, in «Revue de l’Enseignement Philosophique», 1971, n. 21, p. 2. Il breve
articolo di Gabaude, uscito pochi anni dopo gli studi di Deleuze e Gueroult, rende conto della
novità dell’impostazione generale dei lavori francesi coevi, contrapponendo ad una lettura di
Spinoza «teo-ontologica» di matrice hegeliana, un’altra di carattere naturalista.
35 Cfr. in particolar modo lo studio del 1970.

283
Tommaso Tuppini

zismo rifiuta l’idea che la coscienza possa in qualche modo essere causa di
alcunché. L’io-penso non è mai origine, bensì è sempre derivato rispetto
all’idea di cui è coscienza. L’io, in particolar modo, non è mai soggetto,
sostrato delle idee, esso è semmai il contraccolpo, il prodotto residuo di
quella fisica delle idee, in virtù della quale le idee si raddoppiano l’una con
l’altra secondo le proprietà strutturali di una delle due potenze della sostan-
za (da non confondersi con i due attributi a noi noti), quella di pensare. Le
idee della mia coscienza sono idee dei loro ideati, vale a dire dei corpi, che
attualmente agiscono sul mio corpo, e dei loro effetti. È dunque il gioco
di forze che s’istituisce tra i corpi e le idee a produrre, in ultima istanza in
modo residuale e per nulla fondamentale, qualcosa come una coscienza.
Su di una comprensione non religiosa della beatitudine come affezione
attiva pongono l’accento le conclusioni di uno studio di Rousset uscito
nello stesso anno36. Anche Rousset enfatizza l’importanza del concetto di
«espressione» in Spinoza, ch’egli riporta «ai teologi neoplatonici e, molto
probabilmente, al pensiero di Boehme che aveva avuto una grande eco
nei Paesi Bassi»37. Oltre alla sottolineatura di quello che abbiamo definito
il «patetismo» di Spinoza, molto affine alle tesi del libro di Deleuze è in
quello di Rousset il rifiuto del paradigma dell’analogia e dell’eminenza per
la comprensione del nesso sostanza/modi, per esempio quando si tratta di
comprendere la nozione dell’eternità: avere un’idea dell’essenza delle cose
sub specie aeternitatis, non significa che l’eternità è un genere divino di cui
i modi possono partecipare impropriamente secondo una qualche specie di
perfezione, ma sta a significare la possibilità di esprimere conoscitivamen-
te un quantum di eternità che appartiene ai modi considerati in sé e per
sé38.
Della stessa portata rinnovatrice degli studi di Gueroult e Deleuze fu
senz’altro quello di Alexandre Matheron uscito un anno dopo39, riguardante
però, prevalentemente, il pensiero politico di Spinoza. Matheron è oggetti-
vamente vicino alla piega interpretativa di Gueroult e Deleuze40: anch’egli,
in qualche modo, parte dall’acquisizione di uno Spinoza «univocista» (Ma-
theron ripropone con insistenza uno dei pensieri più radicali del Trattato

36
B. Rousset, La perspective finale de l’«Étique» et le problème de la cohérence du spino-
zisme. L’autonomie comme salut, Paris, Vrin, 1968, pp. 225-240.
37
Ibidem, p. 50.
38
Ibidem, p. 54.
39
A. Matheron, Individu et communauté chez Spinoza, Paris, Minuit, 1969. Per una sintetica
ricostruzione del recente dibattito sul pensiero politico di Spinoza che individua proprio nel
libro di Matheron una nuova sensibilità speculativa, fondata essenzialmente sullo statuto della
multitudo, cfr. A. Herla, La démocratie: utopie ou projet? Balibar, Negri, Spinoza, in «Cahiers
internationaux du symbolisme», 2001, nn. 98-99-100, pp. 243-257. Altri contributi più specifici
di Matheron alla comprensione del pensiero politico di Spinoza saranno, tra i numerosi pubbli-
cati, Le Christ et la salut des ignorants chez Spinoza, Paris, Aubier-Montaigne, 1971; una serie di
articoli scritti negli anni Settanta e raccolti in Anthropologie et politique au XVIIIe siècle (études
sur Spinoza), Paris, Vrin, 1986; Le problème de l’évolution de Spinoza du Traité théologico-poli-
tique au Traité politique, in Spinoza. Issues and Direction, a cura di E. Curley e A. Matheron,
Chicago, Brill, 1990, pp. 258-70; Physique et ontologie chez Spinoza: l’énigmatique réponse a
Tschirnhaus, in «Cahiers Spinoza», 1991, n. 6, pp. 83-110; L’amour intellectuel de Dieu, partie
éternelle de l’«amor erga Deum», in «Les Études Philosophiques», 1997, n. 2, pp. 231-248.
40 Il manoscritto di Matheron era già pronto, quando il primo libro di Gueroult su Spinoza

venne pubblicato, ma il suo contenuto era in gran parte noto a Matheron grazie ai suoi collo-
qui privati con Gueroult; debito di conoscenza ribadito nell’Avvertenza alla seconda edizione
(Paris, Minuit, 1988, pp. I-V) che per il resto riproduce fedelmente la prima.

284
Spinoza materialista?

politico, per cui «un individuo non è nient’altro che la stessa attività divina
nella misura in cui essa si dà una struttura determinata»41) e genealogizzante
(anche nell’ambito del pensiero politico Spinoza desidera «ricostruire gene-
ticamente le strutture concrete del reale»42). Il Dio di Spinoza è essenzial-
mente il Deus quatenus del panteismo (o panenteismo, secondo l’espressione
di Gueroult, che non nullifica, anzi fonda metafisicamente l’individualità43),
allo stesso modo «Spinoza ha scongiurato ogni forma di trascendenza nella
morale e nel diritto»44. L’analisi di Matheron si sviluppa istituendo il più
ferreo parallelismo tra l’ontologia ed il pensiero politico di Spinoza 45: il
prodotto di quest’ultimo è, in ultima istanza, quella cassazione del dualismo
tra natura e diritto che discende direttamente dall’appiattimento già operato
nell’Etica di essere e valore, ontologia e morale sullo stesso piano. Il libro
di Matheron enfatizza l’identificazione di diritto e potenza46 e la lontananza
di Spinoza dai presupposti che stanno a fondamento del pensiero politico
di Hobbes, ovvero: la subordinazione dei movimenti animali al movimento
vitale-vegetativo in funzione meramente conservativa, la discontinuità fra lo
stato di natura e l’istituzione del diritto e, conseguentemente, la concezione
contrattualistica della vita sociale intesa come esercizio di alienazione della
propria forza47.

41 Ibidem, p. 22.
42 Ibidem, p. 30.
43 Ibidem, p. 21.
44 G. Courtois, Le «Jus sive potentia» spinoziste, in «Archives de Philosophie du Droit»,

1973, n. 18, p. 355. La parte dell’articolo di Courtois dedicato al pensiero politico di Spinoza,
nonostante qualche osservazione polemica, è una sorta di utile compendio del libro di Mathe-
ron. Su temi giuridici in Spinoza Courtois sarebbe ritornato anni dopo con l’articolo La loi
chez Spinoza et saint Thomas d’Aquin, in «Archives de Philosophie du Droit», 1980, n. 25,
pp. 159-189.
45 O anche, si potrebbe dire, parallelismo tra fisica dei corpi, fisica delle passioni e politica.

Cfr. in primo luogo il saggio di M. Schaub, Spinoza ou une philosophie politique galileénne, in
Histoire de la philosophie. Idees, doctrines, a cura di F. Chatelet, Paris, Hachette, 1972, vol. 3,
pp. 162-195, secondo la quale la denuncia del finalismo come ideologia e la fondazione di un
pensiero politico democratico e della potenza deriva dal salto intrinsecamente galileiano fatto
da Spinoza dal regno della qualità a quello della quantità. Cfr. anche P. Jacob, La politique
avec la physique à l’âge classique, principe d’inertie et conatus, Descartes, Hobbes, Spinoza, in
«Dialectiques», 1974, n. 6, pp. 99-121 (il quale però, a differenza di Matheron, appiattisce
la posizione di Spinoza su quelle di Descartes e Hobbes) e R. Caillois, Métaphysique et Po-
litique, in «Les Études Philosophiques», 1977, n. 3, p. 319: «la chiave dei differenti aspetti
della politica spinozista si ritrova incontestabilmente nella concezione metafisica della natura».
Differenti da quelle di Matheron sono poi le conclusioni cui perviene lo studio di Caillois che
vede proprio in questa commistione tra pensiero politico e ontologia la pregiudiziale poco
feconda di un naturalismo eternalista anche in ambito storico. La stessa inscindibilità tra i due
aspetti del pensiero viene sostenuta da S. Zac, La philosophie politique de Spinoza, in «Revue de
l’Enseignement philosophique», 1976/1977, n. 2, pp. 1-18, ma proprio per sottolineare come
l’eternità spinoziana non significhi in alcun modo estraneità alla storia.
46
Cfr. a questo proposito il capitolo dedicato a Spinoza, con sensibilità anticipatoria rispetto
alle future ricerche, nel libro di J. Fallot, Pouvoir et morale. Machiavel, Spinoza, Hegel, Marx,
Lénine, Gramsci, Paris, Anthopos, 1967, pp. 426-445.
47 Il confronto con il pensiero politico di Hobbes è uno dei motivi più costanti della ricerca

spinoziana francese. Si può dire, per altro, che le argomentazioni di Matheron fissino in modo
assai chiaro i punti salienti che gl’interpreti successivi avrebbero accettato come inoppugnabili
per dimostrare la divergenza tra le due fondazioni della vita sociale. Cfr. oltre allo studio
ponderoso di L. Mugnier-Pollet, La philosophie politique de Spinoza, Paris, Vrin, 1976 (per il
quale il definitivo distacco da ogni forma di hobbesianesimo accade solo con la scrittura del
Trattato politico), tra le pubblicazioni più recenti a questo riguardo, C. Lazzeri, Droit, pouvoir,
liberté. Spinoza critique de Hobbes, Paris, Presses Universitaires de France, 1998.

285
Tommaso Tuppini

Lo studio di Matheron mette in rilievo come la genesi della società per


Spinoza allude non ad un salto con soluzione di continuità tra uno stato di
natura ed uno di civiltà, bensì ad una riconfigurazione dei rapporti di forza
già esistenti tra i singoli individui in natura, rapporti che non vengono dun-
que dialetticamente rovesciati in differenti forme di convivenza pacificate,
piuttosto: istituzionalizzati, stabilizzati, resi comuni. L’imperium, l’istituzione
di un comando e, conseguentemente, di una società, non è alienazione del
diritto naturale, ma determinazione del medesimo diritto secondo affezioni
collettive. La genesi dello Stato a partire da una condizione di anarchia
dei rapporti di forza è un «passaggio, non tanto dall’indipendenza alla
dipendenza» (in quanto anche nello stato di natura noi siamo radicalmente
esposti, dipendiamo dalla potenza altrui, nella speranza e nel timore delle
azioni che provengono dall’esterno), «ma dall’interdipendenza fluttuante
[…] all’interdipendenza consolidata per via della quale si definisce la società
politica»48. Le espressioni con le quali si chiude il libro sono significative:
«liberazione individuale completa e definitiva, comunità senza restrizione»49
sono i risultati sociali conseguibili nella pratica del terzo genere di co-
noscenza, il raggiungimento qui ed ora della vita eterna che coincide in
definitiva con quella forma di auto-governo da parte della comunità che è
la democrazia.

3. Gli immediati presupposti e lo Spinoza eretico di Althusser

Le opere di autori come Gueroult, Deleuze e Matheron si innestano su


di un terreno di ricerca che senz’altro non era più immediatamente quello
di Brunschvicg, Delbos, Lagneau e degli altri interpreti d’inizio Novecento.
Alcuni autorevoli studi spinoziani pubblicati pochi anni prima già testimo-
niavano di un’insofferenza per la lettura dialettica e formalista di Spinoza.
Anzitutto quello di Sylvain Zac50 e, in secondo luogo, quello di Robert
Misrahi51.
Il primo studio propone una nozione di «vita» che è chiamata a conferi-
re unità al complesso dinamismo del pensiero di Spinoza. Inoltre Zac – cosa
che, abbiamo cominciato a vedere, non resterà senza conseguenze negli studi
degli interpreti a venire – determina con nettezza il nesso dell’immanenza
della sostanza nei modi come un nesso di produttività che non può essere
confuso con alcuna forma di emanatismo: l’essere spinoziano «è produttività
infinita; esso è la vita e tutte le cose singolari sono vive ed agiscono, poiché
esse vivono in esso»52, senza le implicazioni della degradazione plotiniana
o (nel caso si voglia andare a cercare maldestramente nella cabala le ori-
gini del pensiero spinoziano) sefirotica. Tutta una parte di questo studio è
dedicata a confutare alcune affermazioni hegeliane sul pensiero di Spinoza,

48
A. Matheron, Individu et communauté chez Spinoza, cit., p. 327.
49 Ibidem, p. 613.
50 S. Zac, L’idée de la vie dans la philosophie de Spinoza, Paris, Presses Universitaires de

France, 1963. Dello stesso autore vedi anche La morale de Spinoza, Paris, Presses Universitaires
de France, 1959; Vie, conatus, vertu, in «Archives de Philosophie», 1977, n. 40, pp. 405-28;
Spinoza et l’État des Hébraux, in «Revue philosophique de la France et de l’Étranger», 1977,
n. 1, pp. 201-232.
51 R. Misrahi, Spinoza, Paris, Seghers, 1964.
52 S. Zac, L’idée de la vie dans la philosophie de Spinoza, cit., p. 250.

286
Spinoza materialista?

in particolar modo la tesi che l’appartenenza delle cose a Dio significhi in


qualche modo enfatizzare il carattere di semplice «idealità» delle stesse,
di «esseri irreali» a fronte del sussistere della sola realtà vera che sarebbe
la sostanza divina e la tesi che Spinoza, molto più che l’unità fra Dio e il
mondo (che non si può dare in senso forte, perché il mondo sarebbe poco
più che una sorta di chimera) sostenga quella tra il pensiero e l’estensione.
L’errore della lettura hegeliana di Spinoza consisterebbe dunque nell’ap-
plicazione del proprio schema di comprensione dialettico ad un pensiero
che dialettico non è: contro a ciò che Hegel aveva denunciato come il suo
acosmismo, per Spinoza

la nozione d’individuo non è dell’ordine dell’apparenza; essa ha un fondamento ed


una consistenza ontologici. In ogni essere c’è qualcosa di positivo, ovvero la vita
di Dio nella misura in cui questa si esprime in esso. La dialettica dello «stesso» e
dell’«altro» non ha senso in Spinoza; lo «stesso» si esprime nell’«altro»53.

Gli studi di Misrahi, invece, si propongono di costruire attraverso la


rilettura di Spinoza un’etica umanista, un indirizzo di esistenza integrale,
per il quale, appunto, lo spirito umano è il solo a potersi innalzare alla
comprensione della vita della sostanza: il fuoco teorico della ricerca spi-
noziana sarebbe dato dalla gioia dell’uomo54. Come si può vedere, questa
comprensione di Spinoza anticipa in un certo senso quello che abbiamo
definito il «patetismo» di Deleuze, ma l’indiscusso presupposto antropo-
logico della ricerca di Misrahi, confermato anche nelle sue ultime opere,
sembra allontanarlo dalle ricerche di una generazione che si era in gran
parte appropriata delle acquisizione teoriche dello strutturalismo e dunque
guardava con un certo sospetto ad ogni forma filosofica di «umanismo». Per
questa ragione, pur avendo contribuito la ricerca di Misrahi all’istituzione
di uno Spinoza «univocista», il basso continuo del suo umanismo ripropone
residui teorici di analogia, là dove la conoscenza e la gioia, per questo inter-
prete, reintroducono pur sempre una nuova gerarchia della fruizione (l’ente
uomo come privilegiato rispetto agli altri e dunque ente in senso proprio).
Tutto ciò risulta particolarmente chiaro nella trattazione della tematica del
desiderio che Misrahi vuole circoscrivere in Spinoza come sempre innestato
su di un’entità individuale e concreta e non – come appunto è accaduto
nella scienza psicanalitica, nei suoi precursori tedeschi e nei suoi adepti
francesi – svincolato dalle sue condizioni empiriche ed antropologiche di
funzionamento.
Gli studi di Deleuze e Gueroult, se risultano difficilmente immaginabili
senza la collocazione di questi immediati presupposti, sono stati comunque

53
Ibidem, p. 251.
54
È neanche troppo velatamente contro l’ipotesi di un umanismo spinoziano che si può
leggere l’intervento di A. Matheron, L’anthropologie spinoziste?, in «Revue de Synthèse», 1977,
nn. 89-91, pp. 175-185, per il quale nell’Etica, sostanzialmente, si parla anche dell’uomo, nella
misura in cui si parla della struttura dei modi dell’estensione e del pensiero cui la modalità-
uomo non può che appartenere, ma quasi mai dell’uomo-in-quanto-tale, dunque piuttosto di
un’«essenza sopra-specifica» (ibidem, p. 179). Si tratta della trascrizione dell’intervento che
Matheron fece al colloquio internazionale che si tenne a Parigi nel 1977, in occasione del
tricentenario della morte di Spinoza ed a cui infatti segue, in sede di discussione, l’intervento
di Misrahi, il quale sostiene l’assurdità di negare una antropologia spinoziana fondata sulla
nozione di desiderio (ibidem, p. 186).

287
Tommaso Tuppini

in grado di disegnare un orizzonte interpretativo fortemente unitario, segna-


to dai concetti di univocità e di virtù costitutiva/produttiva degli attributi,
che senz’altro risulta inedito anche a confronto delle ricerche spinoziane
appena considerate.
Fino ad ora abbiamo trattato di interpreti spinoziani che oggettivamente
è difficile ricondurre ad una scuola di pensiero precisa: sia essa la feno-
menologia o l’ermeneutica o una qualsiasi altra. Ciò non vuol dire che le
«scuole» in Francia si disinteressarono ad un recupero appropriativo del
pensiero spinoziano. Come è stato scritto nel contesto di una considerazione
retrospettiva sulla filosofia francese tra gli anni Sessanta e l’inizio dei Set-
tanta, «tra le correnti contemporanee è forse il marxismo che più volentieri
si rifà ad un’influenza diffusa dello spinozismo»55. Già prima di Gueroult
e Deleuze fu Louis Althusser ad individuare in Spinoza un termine di con-
fronto imprescindibile per il pensiero contemporaneo. Anche se nel corpo
degli scritti di Althusser non sono presenti studi specifici dedicati a Spinoza,
il richiamo a quest’ultimo è frequente, assai originale, e rimane indubbio che
Althusser «abbia dato un impulso ad almeno una parte dei nuovi studi spi-
noziani»56. Per fare un paragone storico-epocale che certo, vista la differente
entità della posta in gioco, può risultare irriverente: se Deleuze e Gueroult
sono in un certo senso il Lutero e il Melantone della lettura di Spinoza e
– l’uno come trasportato dalla potente idea dell’univocità dell’essere, l’altro,
invece, operante per mezzo di una capacità di analisi e commento che non
aveva avuto uguali negli studi spinoziani fino a quegli anni – cercano di
liberarne il testo dalle incrostazioni scolastico-analogizzanti, Althusser ne è in
qualche modo il Thomas Müntzer. Vediamo di comprenderne la ragione.
Rimanendo i riferimenti a Spinoza diffusi per tutta la sua opera (dagli
anni Sessanta in poi) risulta difficile collocare Althusser cronologicamente
nel corso di questa rassegna. La scelta di trattarne subito dopo gli studi
di Gueroult e Matheron aiuterà, spero, ad evidenziarne l’originalità. Un
primo confronto (a volte implicito, a volte esplicito) con Spinoza lo si tro-
va senz’altro nell’opera «maggiore» di Althusser e nei successivi Elementi
di autocritica57. Da queste pagine Althusser emerge come una specie di
Thomas Müntzer dello spinozismo poiché la sua lettura mira, in ultima
analisi, a ridurre ogni traccia di trascendenza nella relazione sostanza-modi.
Althusser, infatti, non solo rifiuta la classica comprensione della sostanza
come principio autoponentesi al di qua dell’opera genetico-costruttiva degli
attributi. Egli rifiuta la stessa concettualità che muove intorno alla nozione
dell’espressione. «Espressione», ad avviso di Althusser, è un concetto che si

55
S. Breton, Spinoza. Theologie et politique, Paris, Desclée, 1977, p. 166. Questo libro trae
le conseguenze e ripropone con maggiore coerenza certe tesi già esposte dallo stesso autore
in Politique, Religion, Écriture chez Spinoza, Lyon, Profac, 1973 e nell’articolo Les fondements
théologique du droit chez Spinoza, in «Archives de Philosophie du Droit», 1973, n. 18, pp.
93-105.
56 P.-F. Moreau, Althusser et Spinoza, in Althusser philosophe, a cura di P. Raymond, Paris,

Presses Universitaires de France, 1997, p. 75. Sul rapporto Althusser-Spinoza cfr. inoltre V.
Morfino, Lettura e politica tra Spinoza e Althusser, in Louis Althusser. Ermeneutica filosofica e
interpretazione psicoanalitica, a cura di P. D’Alessandro, Milano, Marcos y Marcos, 1993, pp.
165-182.
57 L. Althusser et al., Lire le Capital, Paris, Maspero, 1965, 2 voll.; L. Althusser, Elements

d’autocritique, 1974, in Solitude de Machiavel et autres textes, Paris, Presses Universitaires de


France, 1998.

288
Spinoza materialista?

attaglia, piuttosto, alla comprensione di un pensiero come quello di Leibniz,


in cui ciascuna delle parti monadiche si comporta nei confronti del tutto del
mondo come pars totalis. La causalità espressiva sarebbe però tanto poco
adeguata a descrivere il dinamismo relazionale tra sostanza e modi spinoziani
quanto quello di una causalità meccanica o di una causalità trascendente.
Nel caso di Spinoza sarebbe più corretto parlare di una causalità strutturale,
la quale è poi la medesima che è dato di ritrovare nel funzionamento della
libido freudiana e nella causalità economica marxiana.
Questa prospettiva di Althusser radicalizza le strutture teoriche dell’im-
manenza e della costruttività delineate da Gueroult e Deleuze. Althusser
non si limita a dire (come alcuni anni dopo avrebbe detto una studiosa
con una formula che compendia le acquisizioni delle ricerche di Deleuze e
Gueroult) che «il concetto dell’Origine assoluta – Natura naturante o Dio
come causa libera – deve essere integrato dal concetto di Origine di tutte le
cose, vale a dire dal concetto di Dio nel suo rapporto alla Natura naturata,
come causa dei modi […] senza rompere per ciò stesso l’unità dell’Esse-
re»58. La prospettiva univocista-espressivo-continuista viene denunciata come
insufficiente. Dal fatto che Dio venga dichiarato da Spinoza causa di sé
nello stesso senso in cui è causa dei modi Althusser trae una conclusione
che Deleuze e Gueroult non avrebbero mai tratto, vale a dire l’inconsistenza
ontologica della sostanza in se stessa e il ridursi del suo statuto a quello di
una causalità assente.
Per riprodurre con chiarezza i termini del confronto teorico diciamo
così: pur condividendo entrambe le letture (quella di Althusser e quella di
Gueroult/Deleuze) la comprensione della sostanza come forza produttiva
immanente, una cosa è, come fanno Deleuze e Gueroult, affermare che
questa forza è inseparabile dalla sua produttività nei modi, un’altra, come
arriva a fare Althusser, che questa forza non è altro dalla sua produttività
modale. Per quel che riguarda la concezione della sostanza spinoziana po-
tremmo dire che le due posizioni si distinguono l’una dall’altra più o meno
così come un materialismo critico – ossia una posizione che attribuisce
comunque un qualche carattere di realtà all’universalità (in questo caso:
all’universalità della sostanza) – si distingue da un materialismo-nominalismo
integrale, il quale non riconosce più alcuna consistenza ontologica autonoma
a ciò che esula dall’ambito della concretezza modale. La produzione della
natura naturante è per Althusser appunto una causalità strutturale, la quale
sta a significare nient’altro che l’efficacia di una causa assente.
L’immanenza della causa nei suoi effetti vuol dire in ultima analisi che
Dio non ha alcuna natura propria (così come invece ha il «tutto spirituale»
di Leibniz), non gode di alcuna presenza ulteriore alla totalità necessaria
dei modi: «Spinoza comincia con Dio, ma solo per negarlo come Essere
(Soggetto) nell’universalità della sua sola potenza infinita (Deus = Natura).
Ragion per cui Spinoza […] rifiuta ogni tesi d’Origine, di Trascendenza, di
Retromondo, foss’anche mascherata nell’interiorità assoluta dell’Essenza»59.
Non è possibile esercitare alcuna presa teorica sulla causalità strutturale in
quanto tale, perché la causa è l’effetto, e basta. La sostanza è «un tutto

58 G. Dufour-Kowalska, L’Origine. L’Essence de l’Origine. L’Origine selon l’«Étique» de

Spinoza, Paris, Beauchesne, 1973, pp. 172-173.


59 L. Althusser, Le courant souterrain du matérialisme de la rencontre, 1982, in Écrits philo-

sophiques et politiques, Paris, Stock/Imec, 1994, vol. I, p. 543.

289
Tommaso Tuppini

senza chiusura che non [è] altro dal rapporto attivo delle parti»60. In ter-
mini propriamente spinoziani (questo Althusser non lo dice esplicitamente,
ma discende con stringenza dal suo ragionamento) la sostanza coincidereb-
be in tutto e per tutto con i modi infiniti immediati, e forse anche con i
modi infiniti mediati. In fondo è questa la prospettiva che si affaccia in un
commento di Breton ad Althusser nel tentativo di formulare la proposta di
un nuovo «materialismo integrale»: per istituire qualcosa come un pensiero
non più inficiato da alcuna forma di dualismo (implicitamente idealistico)
«sarebbe sufficiente […] unire i due modi infiniti della natura e della storia
in una Materia-Energia che, dotata di attributi infiniti, si svilupperebbe, per
la sola forza della causa sui, configurandosi come universo, in facie totius
universi»61. Althusser si oppone dunque non solo, come è evidente, ad ogni
lettura che supponga un qualche residuo di trascendenza nella sostanza,
ma anche ad ogni sua esistenza in-sé o concepibilità per-sé. Vale a dire,
riportando ciò che abbiamo appena detto ai termini di una questione ben
nota della teologia tradizionale: Althusser svuota il pensiero spinoziano del-
l’argomento ontologico dell’esistenza di Dio62.
Vediamo come a questo proposito si era espresso un interprete più con-
venzionale di Spinoza, Joseph Moreau:

se io posso affermare che Dio necessariamente esiste, non è perché non può essere
concepito altrimenti che esistente; ma è perché a differenza degli oggetti finiti, non
può essere concepito senza esistere […]. Bisogna considerare che in Dio l’esistenza
non è una semplice conseguenza dell’essenza, ma che l’essenza di Dio è l’esistenza
stessa, l’atto di esistere, l’ipsum esse come diceva S. Tommaso o, come dice Spino-
za, la potenza di esistere […] Se l’assoluto fosse considerato solo come la potenza
produttrice delle cose, se fosse concepito solo in funzione dei suoi oggetti, ci si
potrebbe chiedere se questo concetto implichi l’esistenza reale63.

60
Va da sé che quando Althusser scrive di Spinoza egli cerca allo stesso tempo di giungere
in chiaro sul proprio esercizio speculativo. Di un «detour spinoziste d’Althusser» si sarebbe letto
esplicitamente in S. Breton, Spinoza aujourd’hui, in «La Nouvelle Critique», 1977, n. 110, pp.
56-60, l’articolo è un estratto del libro di Breton già citato, ma si rivolgeva ad un pubblico
senz’altro più vasto rispetto alla sola comunità scientifica essendo stato pubblicato su di una
rivista del Pcf. Sullo spinozismo di Althusser vedi anche A. Tosel, Du matérialisme de Spinoza,
cit., pp. 204-10.
61
S. Breton, Spinoza. Theologie et politique, cit., p. 168.
62
Sulla versione spinoziana dell’argomento ontologico di Anselmo si veda il breve, ma
interessante articolo di J. Moreau, L’argument ontologique chez Spinoza, in «Les Études Phi-
losophiques», 1972, n. 3, pp. 379-383. Sulla peculiarità dell’esistenza della sostanza rispetto a
quella dei modi, con argomentazioni affini a quelle adoperate da Moreau, cfr. L. Nguyen-Dinh,
Réalité et existence chez Spinoza, in «Études Philosophiques. Annales de la Faculté de Lettres
et Science Humaines de Nice», 1973, n. 20, pp. 81-93.
63
J. Moreau, L’argument ontologique chez Spinoza, cit., pp. 381-382. Interessante l’osserva-
zione di Moreau circa la convergenza tra l’essentia actuosa della sostanza spinoziana e l’ipsum
esse di S. Tommaso, che s’inserisce in un contesto di ricerca, come abbiamo potuto rilevare,
in cui spinozismo e tomismo sembrano configurarsi come due strade alternative e divergenti
del pensiero. Questa sorta di spessore della sostanza, di cui consiste la potenza di Dio che
afferma sé, sembra in qualche modo la stessa individuata nello studio di M. Henry, Le bonheur
de Spinoza, Paris, Presses Universitaires de France, 2004. Lo studio di Henry risale al 1943, ma
è stato pubblicato nella sua integralità solo di recente e fa della fruitio della sostanza di per
sé, dell’idea che l’esistenza della sostanza non sia soltanto quella di cui essa gode nei modi, il
proprio fulcro teorico.

290
Spinoza materialista?

Quest’ultimo pensiero lascia intravedere come inaccettabile esattamen-


te ciò che Althusser si propone di fare: considerare l’assoluto solo come
potenza produttrice delle cose. Togliere alla sostanza qualsiasi ipsum esse,
qualsiasi forma di spessa identità, è però il progetto filosofico di Althusser
nella lettura di Spinoza. Ci rendiamo presto conto di come questa lettura, se
viene perseguita con coerenza da Althusser e da Althusser soltanto, fosse co-
munque radicata nella sensibilità dell’ermeneutica spinoziana di quegli anni.
Althusser si muove con sicurezza in un’atmosfera di dubbi e perplessità che
molti interpreti e lettori spinoziani andavano formulando come a tentoni ed
i quali significarono un dubbio radicale sollevato sulle conseguenze di una
estremizzazione della prospettiva espressionista e costruttivista di Deleuze
e Gueroult.
Althusser, in fondo, trae coerentemente le conclusioni di ciò che già
Gabaude aveva icasticamente indicato come segue: «la sinonimicità tra
Dio e Natura non costituirà forse un atto di morte di Dio più radicale
della moda della morte di Dio?»64. Conseguenza estrema che era stata in
un certo senso già formulata, anche se in forma fortemente dubitativa, da
Francis Kaplan, il quale rileva l’ambiguità di un’interpretazione di Spinoza
che muova dall’enfatizzazione del suo metodo genetico: «e se Dio non è
concepito per sé non bisogna trarne la conclusione – paradossale – che è
un modo? Dimostrazione per assurdo, senza dubbio, ma dimostrazione di
cosa? Che Dio è concepito per sé o che non è sostanza o che la sostanza
non è concepita per sé?»65. Anche Kaplan giunge a porsi queste domande
sviluppando fino in fondo l’impostazione della ricerca di Gueroult: una
definizione genetica di Dio per mezzo degli attributi non significa in ultima
istanza affermare l’impossibilità di concepire Dio per-sé e, per contro, la
necessità di concepirlo per-altro? L’intervento di Kaplan dimostra come lo
studio di Gueroult (quello di Deleuze non viene mai citato, ma per esso
varrebbe la medesima osservazione) ci pone di fronte a problemi teorici di
coerenza interna al pensiero spinoziano di non minor momento rispetto a
quelli che possono risultare da una lettura à la Brunschvicg66.
La portata dell’interpretazione althusseriana è evidente. Ma non è an-
cora tutto. Nella lettura di Althusser si affaccia per altro verso quella che
abbiamo definito come la seconda delle accezioni in cui la ricerca francese
sviluppatasi in questi anni aveva prodotto una sorta di Spinoza materialista.
Anche ad Althusser preme anzitutto svincolare la questione del materialismo
da ogni dossologia circa la configurazione del principio. Allora, quando si

64
J.-M. Gabaude, Ambiguïté spinozienne, cit., p. 2. O, come lo stesso autore avrebbe scritto
in Spinoza: la pratique et la politique, in «La Nouvelle Critique», 1977, n. 110, p. 62, «ridurre
Dio a Natura significa, per il lettore che non si ferma davanti alle apparenze tradizionaliste
della lettera, appropriarsi di Dio fino all’ateismo».
65
F. Kaplan, La définition de Dieu dans l’«Étique», in «Les Études Philosophiques», 1972,
n. 3, pp. 343-344. Una autonoma ricostruzione del rapporto sostanza-modo in Spinoza verrà
espressa da Kaplan in Definitions de la substance et du mode par Spinoza, in «Les Études
Philosophiques», 1989, n. 1, pp. 21-37.
66 Lo stesso tipo di osservazione (questa volta con un riferimento esplicito anche allo stu-

dio di Deleuze) troviamo espressa da C. Troisfontaines, Dieu dans le premier livre de l’Étique,
in «Revue Philosophique de Louvain», 1974, n. 72, pp. 467-481 e, in modo esplicitamente
critico, da D. Giovannangeli, Spinoza et le problème de l’analogie, in «Cahiers internationaux
du symbolisme», 1985, n. 51-52, pp. 55-71, in cui proprio la nozione dell’analogia viene nuo-
vamente invocata come termine differenziante per evitare una sovrapposizione della sostanza
e dei suoi attributi.

291
Tommaso Tuppini

parla di materialismo spinoziano, si tratta di «farla finita con questa con-


cezione del materialismo che ne fa, sullo sfondo di questioni e di concetti
condivisi, la risposta all’idealismo»67. Ma qual è in ultima istanza il carattere
costitutivo del materialismo spinoziano significato, secondo la prospettiva
di Althusser, dalla collocazione della sostanza come di una causa assente?
Questo materialismo «“apre” su di un occhio che instaura una sorta di
contingenza trascendentale del mondo»68. Spinoza aderisce implicitamente ad
un materialismo siffatto (che racchiude transtoricamente nel proprio raggio
pensatori come Lucrezio, Machiavelli, Hobbes, Rousseau, Marx, Heidegger
e Derrida) lasciando vacante il luogo della causa, impadronendosi della
nozione di causa strutturale (né trascendente, né espressiva), causa che non
è Principio, criterio cui commisurare il fatto compiuto, ma è la contingenza
del fieri, la semplice sollecitazione al fare che non può costitutivamente
essere al di là del fatto69.
La natura di Spinoza è «il riconoscimento del “mondo” come di ciò al
di là del quale non c’è nulla, neppure una teoria della natura […], totali-
tà unica non totalizzata ma vissuta nella sua dispersione, e vissuta come il
“dato” in cui noi siamo “gettati”»70. Certo, ci si potrebbe stupire che pro-
prio Spinoza, il filosofo della necessità, venga ora definito materialista per-
ché teorico di una contingenza trascendentale. Ma non è il caso di lasciarsi
confondere dalla terminologia, là dove la concettualità non è ambigua. La
necessità di cui dice Spinoza coincide con una superiore contingenza del-
l’esperienza, nella misura in cui «necessità» significa anzitutto assenza di
un fine o di una progettualità pura che sottende lo sviluppo e giustifica la
genesi della sostanza. La sostanza necessaria di Spinoza è contingente-fat-
tuale in questo senso, nel senso della sua non fondabilità, il che potrebbe
essere sottoscritto anche da un interprete come Misrahi, allorché definisce
la sostanza spinoziana «fatto primitivo e autonomo»71. La sostanza assente
di Spinoza è la materia trascendentale della necessità, il toglimento di ogni
pre-supposto. Essa non fa che sparpagliare se stessa nella molteplicità dei
modi, non è che il fatto di questo sparpagliamento, fatticità necessaria che
è in sé insubordinata a qualsiasi collocazione di principio, dunque contin-
gente. Perché non è possibile darne ulteriormente ragione o fondarla. E
questa impossibilità di fondazione è motivata da ciò: che ogni elemento di
fondazione è già inscritto all’interno della causalità sostanziale come factum
e di essa fatticità sostanziale consiste, senza poterla in alcun modo circoscri-
vere dall’esterno. Dall’ambito onniperimetrante della sostanza che si genera
e si sviluppa e si sparpaglia nei suoi modi non è possibile uscire come per
osservare e fissarne la struttura dal di fuori.
Un’ulteriore contributo della lettura althusseriana riguarda quello che
potremmo definire il problema dell’ideologia in Spinoza. Senz’altro questo
aspetto approfondisce a suo modo la prospettiva anticoscienzialistica che su

67
L. Althusser, Le courant souterrain du matérialisme, cit., vol. I, p. 543.
68 Ibidem.
69 Cfr. ibidem, p. 546.
70 Ibidem, p. 555. S Breton, Spinoza. Theologie et politique, cit., p. 166 propone un’efficace

descrizione della nozione althusseriana di causa strutturale applicata alla sostanza di Spinoza:
«strana sostanza che si sparpaglia in una molteplicità di attributi indipendenti quasi ad evocare
se non proprio un atomismo della dispersione, ciò nondimeno il regno pressoché incontrollabile
di uno spazio mallarmeano di “disseminazione”».
71 R. Misrahi, Spinoza, cit., p. 44.

292
Spinoza materialista?

Spinoza per primo aveva gettato Deleuze. Per Althusser Spinoza è il primo
filosofo ad aver definito, con il genere di conoscenza immaginativo, i tratti
peculiari di ciò che più tardi sarebbe stato definito dal pensiero filosofico
come ideologia. «Ideologica» diventa la sovrapposizione, per così dire, del-
l’ordine della finalità a quello della causalità, dell’intimità privata ed idiosin-
cratica del soggetto alla causalità strutturale della sostanza: «nella metafisica
di Spinoza l’essere, la sostanza è la sua stessa razionalità; nel suo ordine,
che è una connessione causale di eventi, non c’è posto per la volontà, il
tempo, l’individuo agente, la mobilità, perché queste sono determinazioni
della possibilità, cioè del soggetto»72. Tuttavia, per mezzo della sua fonda-
zione spinoziana, l’ideologia come esercizio dell’immaginazione acquista una
propria sede nell’ordine genealogico rigoroso procedente dalla sostanza.
Forse l’incontro tra Althusser e Spinoza ha rappresentato l’episodio più
fecondo dell’uso marxista di Spinoza e, in generale, dell’incontro di Spinoza
con una «scuola». Altri esempi di quest’incontro in area francese non man-
cano, ma a fronte dell’esempio althusseriano, va rimarcato come essi per lo
più si siano sviluppati come ricerche di semplice affinità tra i due filosofi
in base a prove di carattere documentario, più che teorico. Ad una rico-
struzione filologica delle letture che Marx fece da giovane di Spinoza sono
significativamente dedicati diversi articoli contenuti nel primo dei Cahiers
Spinoza73, che dal 1977 sarebbero stati pubblicati a Parigi, inizialmente
con cadenza annuale, in seguito più irregolarmente, per i tipi di Réplique.
Il saggio più interessante di questo primo numero sembra essere quello di
Igoin. Esso, partendo dalla problematizzazione dei rapporti che società civile
e Stato intrattengono nel pensiero di Hegel e Marx, giunge ad individuare
l’originalità della teoria politica di Spinoza, nella quale accade «il contrario
di Hegel, la potentia multitudinis è anteriore allo Stato […]. L’essenza dello
Stato è la potenza, la sua espressione esistenziale è il potere (potestas) di
Stato»74. I rapporti tra potere e potenza, Stato e nazione, vengono descritti
attraverso un’espressione che merita di essere riportata: «circolazione della
potenza»75. Anche se l’impronta della riflessione di Igoin rimane pur sempre
di stampo dialettico, attraverso questa nozione della «circolazione» si allude
in qualche modo all’istituzione di un meccanismo statale che «non cada
nella trappola della rappresentazione»76 e dunque si collochi, in nome del
potere assoluto della multitudo organizzata democraticamente, al di qua di
ogni principio della mediazione o contrattualistico.
La nozione che comunque, dal grande studio di Matheron in poi (il
quale pure, in quella sede, non fa esplicitamente riferimento a Marx), risulta

72
M. Giacometti, Spinoza per Althusser, in La cognizione della crisi (saggi sul marxismo di
Louis Althusser), a cura di M. Giacometti, Milano, F. Angeli, 1986, p. 178.
73
«Cahiers Spinoza», 1977, n. 1, cfr. in particolar modo gl’interventi di M. Rubel, Marx à
la rencontre de Spinoza, pp. 7-28, A. Matheron, Le traité Teologico-politique vu par le jeune
Marx, pp. 159-212, A. Igoin, De l’ellipse de la théorie politique de Spinoza chez Marx, pp. 213-
228. Ma cfr. anche la pubblicazione precedente di R. Olmedo, L’hegelianisme et le spinozisme
de Marx, in «La Pensée», 1973, n. 169, pp. 14-29, in cui si prospetta una sintesi di Hegel e
Spinoza nel nome del materialismo dialettico. Il riferimento a Marx è tutt’ora presente nella
letteratura critica spinoziana, citiamo a semplice titolo d’esempio G. Albiac, Spinoza/Marx: le
sujet construit, in Architectures de la raison. Mélanges offertes à Alexandre Matheron, a cura di
P.-F. Moreau, Paris, ENS Éditions, 1996, pp. 11-17.
74 A. Igoin, De l’ellipse de la théorie politique, cit., p. 221.
75 Ibidem, p. 224.
76 Ibidem.

293
Tommaso Tuppini

più feconda nella discussione apertasi in Francia sulle «fonti spinoziane» del
marxismo è senz’altro quella dell’alienazione. A questo proposito è para-
digmatico un intervento di Maximilien Rubel77, per il quale vero e proprio
prodromo al pensiero rivoluzionario di Marx possono a buon diritto essere
state le proposizioni dell’ultima parte dell’Etica, nel loro risoluto tratteggiare
una sorta di «eziologia dell’alienazione politica»78.
Per quello che riguarda un differente incontro in terra di Francia tra
Spinoza e una ben riconoscibile tradizione di pensiero, significativo è
senz’altro il percorso di ricerca di un altro studioso, Joseph Moreau, il quale
si può dire tenti una singolare conciliazione tra Spinoza e il pensiero della
Scolastica. Abbiamo già visto come in un articolo Moreau argomentasse a
favore della conciliabilità tra la concezione che di Dio ha Spinoza e l’argo-
mento teologico di Anselmo. Così in un intervento del 198379, oltre a ritor-
nare sulla distinzione d’essenza tra Dio e creature, si procede in direzione
opposta rispetto alle coeve ricerche degli accademici francesi e l’impronta
monista della sostanza spinoziana viene messa sul conto di una radicaliz-
zazione della concezione del Dio biblico, dal quale tutto dipende, e di cui
Spinoza opererebbe una sorta di deellenizzazione, nella misura in cui è un
portato della grecità sovrapporre all’idea della dipendenza senza residui del
mondo quella di un Dio-demiurgo che organizza un sostrato materiale ad
esso estraneo. Moreau non ritiene sbagliato individuare nel pensiero spino-
zista diverse analogie con il pensiero neoplatonico, prima fra tutte l’esistenza
«di una gerarchia d’individui animati a gradi differenti», il che, insieme ad
altri aspetti del pensiero di Spinoza, «si oppone manifestamente al monismo
materialista al quale si è voluto ricondurre lo spinozismo»80. Non si può
dire che questo tentativo di conciliazione tra Spinoza e alcuni aspetti della
teologia scolastica rappresenti qualcosa di completamente isolato nel conte-
sto della ricerca spinoziana di quegli anni (basti pensare al successivo studio
di Jean-Claude Piguet81 per rendersene conto), ma è certo che si tratta di
un filone ermeneutico minoritario.

77
M. Rubel, Marx à l’école de Spinoza, in Proceedings of the first italian international con-
gress on Spinoza, a cura di E. Giancotti, Napoli, Bibliopolis, 1985, pp. 381-99.
78
Ibidem, p. 389.
79
J. Moreau, Spinoza est-il moniste?, in «Revue de Théologie et de Philosophie», 1983, n.
115, pp. 23-35.
80
Ibidem, p. 26. Il tema neoplatonico di una gerarchia degli enti in Spinoza è un classico
delle interpretazioni d’anteguerra, cfr. a titolo d’esempio É. Lasbax, La Hiérarchie dans l’uni-
vers chez Spinoza, Paris, Alcan, 1919. In seguito il tema della gradazione verrà ripreso, vedi
ad es. R. Bouveresse, «Omnia, qualmvis diversis gardibus, animata sunt»; remarques sur l’idée
d’animisme universel chez Spinoza et chez Leibniz, in Spinoza. Science et Religion. De la méthode
géométrique a l’interpretation de l’écriture sainte, a cura di R. Bouveresse, Paris, Vrin, 1988,
pp. 33-46; F. Tinland, La notion d’individu et la hiérarchie des modes finis selon l’Étique, in
Spinoza. Science et Religion, a cura di R. Bouveresse, cit., pp. 19-32; C. Ramond, Critique des
«qualités occultes» et individuation par la quantité chez Spinoza, in Philosophies de la nature, a
cura di O. Bloch, Paris, Publications de la Sorbonne, 2000, pp. 105-114 (quest’ultimo studio
riprende sostanzialmente un intervento contenuto nell’ampia monografia Qualité et Quantité
dans la philosophie de Spinoza, Paris, Presses Universitaires de France, 1995; l’articolo appena
citato è stato raccolto insieme ad altri di Bloch in Spinoza et la pensée moderne. Consitutions
de l’Objectivité, Paris, L’Harmattan, 1998), ma con una sostanziale differenza d’intenti: si tratta
per questi ultimi autori di specificare ciò ch’è una differenza tra i quanta d’intensità dei modi,
senza alcuna implicazione di perdita di valore ontologico per i gradi più piccoli.
81 J.-C. Piguet, Le Dieu de Spinoza, Genève, Labor et fides, 1987. Lo studio di Piguet,

facendo uso soprattutto di argomentazioni estesiologiche, propone la nozione di una «trascen-

294
Spinoza materialista?

4. Ricerche spinoziste dopo gli anni Settanta

È proprio uno dei maestri di Deleuze, Ferdinand Alquié82, a riproporre


all’inizio degli anni Ottanta un testo d’interpretazione complessiva del pen-
siero spinoziano, che va dalla considerazione delle fonti ebraiche e cartesiane
del suo pensiero, al problema della costituzione di Dio nell’Etica, alla clas-
sificazione dei generi di conoscenza ed a una formulazione di antropologia
spinoziana. Alquié procede fondamentalmente da posizione cartesiane e non
di rado muove osservazioni assai critiche ai filosofemi spinoziani, individuati
come spesso contraddicentesi fra di loro o facenti appello a «un’esperienza
intellettuale che sorpassa le capacità umane»83 (espressione che, seconde
altre varianti, ricorre molto spesso nel suo studio) o a esperienze che am-
biscono ad una qualche concretezza esistenziale e invece sono più o meno
chimeriche, perché riducibili a vuote concettualità. Ciò che risalta in Spinoza
è, sembra dirci Alquié, la dubbia alleanza tra una costruzione concettuale
formalmente corretta, ma vuota, e un vissuto teorico incerto, per non dire
inconsistente. È il caso, solo per fare due esempi, della – ad avviso di Al-
quié – incomprensibile distinzione tra un’estensione-attributo indivisibile ed
una estensione-immaginazione divisibile (anche se già Lachièze-Rey, nello
studio che Alquié altrove cita, aveva mostrato come l’una si differenzi dal-
l’altra così come uno spazio spazializzante, un’estensione in fieri, non coin-
cide con uno spazio spazializzato, un’estensione factum) o dell’impossibile
concepimento dell’unità di attributi diversi in una sola sostanza (questione
cui, pure, Gueroult e Deleuze dedicano non poche pagine dei propri studi).
Ciò in cui sembra risiedere in qualche modo il motivo di maggior interesse
dello studio di Alquié, dal punto di vista di una storia dell’ermeneutica
spinoziana, è la chiara messa a fuoco della questione84, che abbiamo visto
essere stata sfiorata negli interventi di Kaplan e Troisfontaines, circa la
difficile composizione delle proposizioni 3 e 4 dell’Etica (secondo le quali
la sostanza è ciò ch’è in sé e per sé e non ha bisogno per essere formata
di altri concetti, e che funge da luogo testuale di riferimento privilegiato
per Brunschvicg) e la 6 (su cui Gueroult non cessa di far leva e secondo
la quale, appunto, la sostanza è costituita da un’infinità di attributi). Uno
dei meriti del libro di Alquié è senz’altro quello di rendere nuovamente
problematico, meritevole di interrogazione, un atteggiamento interpretativo
(quello, appunto, di Gueroult/Deleuze) che stava rischiando di diventare,
già pochi anni dopo il suo essersi cominciato a delineare, il luogo comune
della lettura dell’Etica. Alquié rende in questo modo un implicito servizio
ed omaggio tanto a quest’ultimo, quanto alle interpretazioni spinoziane à
la Brunschvicg che stavano diventando obsolete. Egli evidenzia quelli che
potevano essere gli spunti ancora validi e la capacità di presa che queste

denza interna», che dovrebbe sintetizzare i due motivi d’ispirazioni spinoziani (la tradizione
metafisica occidentale e quella ebraico/neo-platonica) per rendere conto del dinamismo che
tiene insieme modi e sostanza.
82 F. Alquié, Le rationalisme de Spinoza, Paris, Presses Universitaires de France, 1981. Di

Alquié esiste anche la trascrizione di due corsi alla Sorbona del 1958/1959 intitolati Nature et
verité dans la philosophie de Spinoza e Servitude et liberté selon Spinoza pubblicati recentemente
sotto il titolo Leçons sur Spinoza, Paris, La Table Ronde, 2003.
83 F. Alquié, Le rationalisme de Spinoza, cit., p. 119.
84 Ibidem, pp. 107-124.

295
Tommaso Tuppini

interpretazioni possono oggettivamente avere sui testi di Spinoza, nei quali


si trova scritto sia – così come enfatizza Gueroult – «Deus, sive omnia attri-
buta» (Etica, I, proposizione 19), ma anche, ad esempio nella prima lettera
indirizzata a Simon de Vries, che «il termine di attributo si usa in relazione
all’intelletto che attribuisce ad una sostanza tale determinata natura». Anche
se tutto ciò rappresenta per Alquié non un ambiguità feconda, ma un limite
impoverente dello spinozismo (insieme a quella che viene denunciata come
un’irresolutezza nella strutturazione del nesso Dio-modi), per via del quale
«là dove noi ci sforziamo di scoprire un’unità accessibile ad un’intuizione
vissuta, in realtà non raggiungiamo che la constatazione di una dualità»85.
Per altri versi si può dire che in questi anni in Francia non sia più abi-
tuale pubblicare saggi di portata così vasta sul pensiero di Spinoza, e che
comincino gli sforzi di una seconda generazione di studiosi la quale – aven-
do come comune terreno di formazione le ricerche di Gueroult, Deleuze e,
in ambito politico, Matheron – non sente più l’esigenza di istituire ulteriori
presupposti interpretativi al proprio percorso di ricerca, ma si occupa prin-
cipalmente di approfondire alcuni elementi del pensiero spinoziano cui gli
studi precedenti avevano alluso senza sviluppare analiticamente.
Nel caso di un allievo di Althusser, Pierre Macherey si tratta anzitutto
di mettere a fuoco, alla luce delle ricerche che erano appena precedute e di
cui abbiamo reso conto, il rapporto Spinoza-Hegel. Tutte le pubblicazioni
degli ultimi dieci anni spingevano in questa direzione, vale a dire: articolare
il pensiero di Spinoza rispetto a quello di Hegel in modo differente rispetto
allo schiacciamento che la tradizione, proprio in base alla lettura che Hegel
stesso aveva proposto, aveva operato dello spinozismo su di una forma di
pensiero dialettico, per quanto peculiare e/o poco perfezionata rispetto
all’hegelismo. Lo studio di Macherey86, che cerca di fondare con rigore
questa nuova articolazione, ruota intorno ad una ricomprensione della for-
mula pseudo-spinoziana cui fa riferimento strategico Hegel nel § 94 della
Enciclopedia, vale a dire: omnis determinatio est negatio. La formula viene
anzitutto decapitata di quell’omnis che è un’aggiunta hegeliana (la formula
di Spinoza recita infatti: determinatio negatio est), ricollocata nel suo conte-
sto d’appartenenza, quello di una lettera di Spinoza (la n. 50) a Jarig Jelles,
e circoscritta nel suo raggio di competenza, che è quello di un’osservazione
sui soli enti di ragione o immaginari dei quali noi ci serviamo erroneamente
quando desideriamo costruire per loro mezzo una nozione adeguata dell’in-
finito. La determinatio, ad avviso di Macherey, ha, al contrario, una portata
positiva in Spinoza, allorquando non è più una proprietà degli enti di ragione
o immaginari, ma si tratta invece della auto-determinazione della sostanza:
l’unione tra il finito e l’infinito è in questo senso immediata. «Materialista»
risulterebbe Spinoza nella descrizione positiva di questo processo di auto-
determinazione che rifiuta di fare ricorso alle nozioni del possibile e ad ogni

85 Ibidem, p. 352.
86 P. Macherey, Hegel ou Spinoza?, Paris, La Découverte, 1990. Questa edizione riproduce
la prima edizione assoluta che era uscita nel 1979 per i tipi di Maspero. Tra le recensioni a
questo volume vedi S. Breton, Hegel et Spinoza: l’enjeu d’une alternative, in «Cahiers Spinoza»,
1983, n. 4, pp. 61-87; D. Souche-Dagues, Spinoza et Hegel. Réflexions sur un livre recent, in
«Les Études Philosophiques», 1983, n. 1, pp. 87-100; A. Doz, Spinoza lecteur de Hegel? A
propos d’un ouvrage de P. Macherey, in «Revue de Métaphysique et de Moral», 1984, n. 89,
pp. 99-122.

296
Spinoza materialista?

negatività e risulta costituito dal causalismo più rigoroso. Macherey è stato


altresì autore del più voluminoso commentario all’Etica di Spinoza pubblicato
in Francia87 e di una serie d’interventi tra gli anni Ottanta e Novanta88 in cui
è particolarmente viva l’interrogazione sul carattere dell’attualità di Spinoza, il
cui pensiero viene messo a confronto in modo assai interessante con quello di
Freud, Russell, Heidegger, Adorno, Deleuze e, soprattutto, Foucault.
È stato un altro allievo di Althusser, Étienne Balibar a sviluppare, in-
vece, con profondità le implicazioni della riflessione spinoziana sulle forme
di governo democratico89. Balibar comincia con il sottolineare il particolare
statuto del diritto in Spinoza:

«Il diritto di ciascuno si estende fino a dove si estende la sua determinata poten-
za». […] Preso alla lettera ciò significa che la nozione di «diritto» non è prima: la
nozione prima è quella di potenza. Si può dire che la parola «diritto» (jus) esprime
la realtà originaria della potenza (potenza) nel linguaggio politico. Ma quest’espres-
sione non introduce alcuno scarto: essa non significa né «emanare da», né «fondarsi
su» […]. La questione non è effettivamente di dare una giustificazione del diritto,
ma di dare un’idea adeguata delle sue determinazioni, del modo in cui opera90.

Come la sostanza spinoziana rifugge per Althusser da ogni possibile


insularizzazione e autonomo spessore ontologico, per manifestare solo
l’efficacia di una causa assente, così per Balibar il diritto spinoziano non
coincide in alcun modo con norma che sussiste di per sé in attesa di essere
applicata, è invece una concrezione di forza affettiva di cui descrivere gli
effetti che ne discendono immediatamente. Ciò che interessa particolarmente
Balibar è il funzionamento del diritto nella società democratica, nei limiti
in cui è possibile ricostruirne una fisionomia a partire dagli scritti politici
di Spinoza. Da un lato il regime di governo democratico sembra godere di
un particolare privilegio nella prospettiva del pensiero politico spinoziano:
«il concetto di Stato include insieme l’imperium e la respublica. In altri
termini la condizione di chi è soggetto presuppone la cittadinanza, vale
a dire l’attività […] alla quale lo Stato democratico conferisce il suo più
ampio sviluppo»91. D’altra parte, secondo un denso saggio, che si sviluppa
anche come un lungo confronto con le tesi sostenute in Italia da Negri92, la
nozione di democrazia in Spinoza è fondata aporeticamente, nel senso che
diviene impossibile per la teoria di chiudere il cerchio che si disegna tra la
costruzione politica unitaria di una forma di governo e la multidirezionalità
acefala delle potenze dei singoli che in quella istituzionale unità dovrebbero
confluire. Le forme di governo di volta in volta realizzabili sono stabilizza-

87
P. Macherey, Introduction à l’Étique de Spinoza, Paris, Presses Universitaires de France,
1997-2001, 4 voll.
88
Raccolti poi in Avec Spinoza. Études sur la doctrine et l’histoire du spinozisme, Paris,
Presses Universitaires de France, 1992.
89
É. Balibar, Spinoza l’anti-Orwell. La crainte de masses, 1985, in La crainte de masses.
Politique et philosophie avant et aprés Marx, Paris, Galilée, 1997, pp. 57-99.
90 É. Balibar, Spinoza et la politique, Paris, Presses Universitaires de France, 1985, p. 72.

Un intervento assai elogiativo nei confronti di quest’ultima pubblicazione è quello di S. Breton,


Spinoza et la politique, in Spinoza. Science et religion, a cura di R. Bouveresse, cit., pp. 65-76.
91 É. Balibar, Spinoza l’anti-Orwell, cit., p. 45.
92 Segnatamente in Spinoza l’anomalia selvaggia, Milano, Feltrinelli, 1980, ora in A. Negri,

Spinoza, Roma, DeriveApprodi, 1998, che però, visti i limiti di competenza di questo inter-
vento, non possiamo trattare.

297
Tommaso Tuppini

zioni provvisorie, se non precarie, della «connessione tra multitudo ed im-


perium, tra modalità dell’esistenza della massa e modalità del funzionamento
dello Stato»93 e solo l’ottimismo dello Stato liberale-borghese spera in una
chiusura sintetica delle differenze. Il problema spinoziano è certo quello di
fondare una qualche forma di unanimità a partire dalla multidirezionalità
della massa, ma «il problema dell’unanimità fa tutt’uno con quello delle
condizioni materiali dell’obbedienza, dunque con quello delle condizioni
che rendono possibile una rappresentazione della moltitudine nello Stato
e con quello delle condizioni d’un potere di decisione effettivo»94. Metten-
doci la lettura di Balibar di fronte ad un orizzonte teorico che richiama in
gioco la funzione della rappresentanza95 è evidente che i due estremi del
conflitto, multitudo ed imperium, non riescono ad implicarsi l’uno nell’altro
senza un’opera di violenza. È in ultima istanza un certo legame di crainte
a tenere insieme la molteplicità di una parte (i governati) ed il tendenzia-
le unanimismo dell’altra (i governanti), al di là dell’eventualità che sia la
massa ad occupare democraticamente tanto l’una, quanto l’altra posizione.
Il telos dell’autogoverno assoluto rimane un punto di fuga utopico 96. Per
questo l’incompiutezza del Trattato politico, che s’interrompe sul punto in
cui sarebbero andate trattate le strutture dello Stato democratico, non è
per Balibar un dato accidentale dovuto, a seconda delle interpretazioni, alla
morte di Spinoza o al conflitto con le coeve concezioni borghesi dello Stato
contro cui il procedere del pensiero spinoziano si sarebbe infranto. Molto
di più, la contraddizione e il conseguente scacco, anche argomentativo,
sono interni al pensiero stesso di Spinoza, il quale finirebbe per produrre
non tanto una teoria della democrazia, quanto della possibile e tendenziale
(mai piena) democraticizzazione97 delle forme di governo monarchiche o
aristocratiche, fatta salva una certa misura di terrore ed oppressione che si
rivelerebbe indispensabile per tenere in forma un qualsiasi regime politico
a fronte delle spinte centrifughe cui viene sottoposto da parte delle forze
singolari di cui esso si compone.

5. Gli ultimi sviluppi

Dagli anni Novanta fino ad oggi molte sono le pubblicazioni che ri-
sollevano le classiche questioni dello spinozismo, discutendo del pensiero
dell’Etica e degli scritti politici. In particolar modo ritornando al tema
dell’affettività in Spinoza. A questo proposito ricerche ampie e significative
sono state senz’altro quelle di Laurent Bove e di Sylvaine Malinowski-Char-
les. La prima98 incentrata sul tema della variazione affettiva e quello del

93
É. Balibar, Spinoza l’anti-Orwell, cit., p. 73.
94
Ibidem, p. 75.
95
È qui che si gioca il contrasto tra la prospettiva di Balibar e quella di Negri.
96 La medesima riserva nei confronti di una forma assoluta di autogoverno (la massa può

sempre tiranneggiare se stessa) veniva intravista in Spinoza anche da J. Preposiet, Spinozisme


et l’absolutisme democratique, in «Tijdschrift voor de Studie van der Verlichtnig», 1978, nn.
1-4, pp. 73-81. Lo stesso era stato autore della monografia Spinoza et la liberté des hommes,
Paris, Gallimard, 1967.
97 Cfr. A. Herla, La democratie: utopie ou projet?, cit., p. 248.
98 L. Bove, La stratègie du conatus: affirmation et résistance chez Spinoza, Paris, Vrin,

1996.

298
Spinoza materialista?

conatus, la seconda99 invece concentrando la propria attenzione sul legame


che si stringe tra affetto e coscienza100.
Questi sono gli anni in cui vediamo altresì occuparsi di Spinoza alcuni
grandi nomi del pensiero francese. Per lo più in sede di convegni o di
volumi collettivi, si tratta di interventi di autori desiderosi di un confronto
che avviene a partire da un pensiero, il proprio, maturato per lo più a
distanza da quello di Spinoza. Il primo che vogliamo menzionare è quello
molto documentato di Jean-Luc Marion, il quale s’interroga sul concetto
del nome divino in Spinoza101. L’articolo di Marion prende le mosse dalla
constatazione (ormai vero e proprio luogo comune della lettura francese)
della produzione della nozione di Dio nelle prime proposizioni dell’Etica,
non assumendo però questo procedimento in modo improblematico, sot-
tolineando anzi la tensione teorica che una tale metodologia può produrre
nell’impostazione di un pensiero che esplicitamente si propone di cominciare
con Dio. Le argomentazioni di Spinoza (ossia l’attribuzione a Dio dei tre
nomi: infinitus, perfectio, causa sui) vengono ricondotte (tranne che per la
nozione di causa sui, nel qual caso Marion riconosce l’originalità di Spino-
za) a quelle cartesiane, il che, per quanto abbiamo sottolineato all’inizio di
questo intervento, è assai anomalo nel panorama francese.
Appartenente per certi versi alla stessa tipologia d’intervento, ma deside-
roso di mettere a fuoco le domande teoriche più urgenti, lasciando da parte
le questioni filologiche, risulta essere quello di Alain Badiou102, prodotto in
occasione del colloquio organizzato nel 1993 al Collège international de phi-
losophie di Parigi. L’intervento di Badiou è particolarmente complesso. Esso
si propone come una attenta lettura dei filosofemi centrali del pensiero di
Spinoza a partire dalle conclusioni dei propri lavori. Già in occasione della
sua più celebre pubblicazione, L’être et l’événement, a Spinoza era stata
dedicata una breve meditazione103. Sarà sufficiente notare come Badiou, di-
scutendo della nozione di attributo, assegni a quest’ultimo ciò che definisce
un ruolo di piega o di torsione dell’intelletto, e che nel pensiero di Spinoza
finisce per configurarsi come ciò che «soltanto dà senso alla singolarizzazio-
ne esistenziale di Dio come sostanza infinita»104; si tratta insomma di ripen-

99
S. Malinowski-Charles, Affects et conscience chez Spinoza. L’automatisme dans le progrès
étique, Hildesheim-Zürich-New York, Olms, 2004.
100
Cfr. a titolo d’ulteriore esempio di questa ricerca recente sui temi classici dello spinozi-
smo R. Glauser, Substance et attribut chez Spinoza, in «Studia Philosophica», 1995, n. 53, pp.
225-48. J.-D. Rougemont, Spinoza et le totalitarisme. Fiction et realité, in «Revue de Théologie
et de Philosophie», 1995, n. 2, pp. 127-141; P. Danino, Le statut des notions de bien et de mal
dans l’étique de Spinoza, in «L’Enseignement philosophique», 1996, n. 5, pp. 3-26; G. Boss,
L’infinité des attributs chez Spinoza, in «Revue Philosophique de la France et de l’Étranger»,
1996, n. 4, pp. 487-502.
101
J.-L. Marion, Spinoza et les trois noms de Dieu, in Herméneutique et ontologie. Hom-
mage à Pierre Aubenque, a cura di R. Brague e J.-F. Courtine, Paris, Presses Universitaires de
France, 1990, pp. 225-245, (Marion aveva già pubblicato in precedenza il breve intervento Le
fondemet de la Cogitatio selon le De intellectus emendatione, in «Les Études Philosophiques»,
1972, n. 3, pp. 357-368.
102 A. Badiou, L’ontologie implicite de Spinoza, in Spinoza: puissance et ontologie, a cura di

Revault d’Allones e H. Rizk, Paris, Kimé, 1994, pp. 54-70. Tutti gl’interventi del colloquio
sono del più grande interesse; ci limitiamo qui a citare i nomi degli autori, i quali, oltre ai due
curatori e Badiou sono: J. Barash, F. Duroux, P. Macherey, A. Matheron, T. Negri, B. Rousset,
A. Scala, O. Ueno, J.-M. Vaysse, F. Zourabichvili.
103 A. Badiou, L’être et l’événement, Paris, Seuil, 1988, pp. 129-137.
104 A. Badiou, L’ontologie implicite de Spinoza, cit., p. 58.

299
Tommaso Tuppini

sare come una sorta di clinamen spinoziano la virtù percipiente dell’intelletto


(che l’esegesi tradizionale aveva in qualche modo snobbato o ricondotto ad
una funzione meramente formale e kantiana), secondo la quale soltanto la
sostanza viene riconosciuta nei suoi attributi costitutivi.
All’inizio degli anni Novanta comparirà uno dei testi di riferimento per
la seconda generazione di studiosi spinoziani, scritto da Pierre-François
Moreau105. Il testo di Moreau è particolarmente interessante nel mettere al
centro delle proprie considerazioni la genesi stessa del filosofare in Spinoza.
Vale a dire: Spinoza viene anzitutto indagato non come assertore di deter-
minate teorie, ma come filosofo della filosofia, cioè: per le analisi ch’egli è
in grado di dispiegare sul momento sorgivo di ogni teoria. In questo senso
si può dire che la ricerca di Moreau riconosca una certa continuità con le
ricerche che intorno al Sessantotto avevano individuato come peculiare il
tratto genealogico della ricerca spinoziana. Solo che adesso ad essere resi
oggetto della pratica genealogica non sono più tanto specifici concetti spino-
ziani (come si costituiscono i modi? come si costituisce la sostanza stessa?),
quanto la stessa attività del pensare. Il quale pensare si colloca, per così
dire, a metà strada fra la Lebenswelt e la sua propria chiusura in sistema.
Soprattutto all’inizio del Tractatus de intellectus emendatione e nella seconda
metà del libro V dell’Etica (là dove si trova scritto: sentimus experimurque
nos aeternos esse) Spinoza fa uso di un registro espositivo che non ha nulla
a che fare con il modo geometrico. Questo stile insolito diventa agli occhi
di Moreau l’indice dell’ingresso nel mos geometricum di un ordine differen-
te, quello appunto dell’esperienza alla ricerca della propria origine (le cui
impronte più visibili sono le ricorrenze lessicali di experientia, usus, inge-
nium, fortuna) ed il vero e proprio esercizio di pensiero spinoziano consiste
in un tentativo ininterrotto di integrare l’uno all’altro ordine. L’esperienza
immediata che riflette su se stessa è il commencement della filosofia, un com-
mencement che non ha alcunché di puro o trascendentale, ma in cui rimane
fattivamente ancorato l’esercizio di ogni costruzione di sistema.
La consistente produzione spinozista di Chantal Jaquet comincia invece
con uno studio che, alla luce di quanto detto finora, potremmo dire incen-
trato sulla questione dell’univocità del concetto di eternità in Spinoza106.
La questione dello statuto univoco dell’essere per i modi e per la sostanza
viene riproposta da Jaquet circa la nozione dell’eternità. Per ciò stesso si
può dire che l’impostazione del suo studio risente come pochi altri delle
domande sollevate circa trent’anni prima da Deleuze e soprattutto Rousset.
La conclusione è che, appunto, anche l’eternità significa per Spinoza una
determinazione non equivoca o analoga dell’esistenza e che essa può venir
predicata nello stesso senso tanto della sostanza, quanto dei modi, e che
dunque Spinoza finisce per affermare la necessità paradossale di un modo
eterno. Anzitutto l’eternità viene attentamente distinta dall’immortalità, che

105 P.-F. Moreau, Spinoza. L’expérience et l’éternité, Paris, Presses Universitaires de France,

1994. Una sorta di utile auto-presentazione di questo testo così voluminoso si può trovare
nella trascrizione dell’intervento di Moreau al Colloquio internazionale di Santiago del Cile
del 1995, Spinoza et l’expérience, in Spinoza et la politique, a cura di H. Giannini et al., Paris,
L’Harmattan, 1997, pp. 25-33. Moreau era già stato autore del saggio divulgativo Spinoza et le
spinozisme, Paris, Presses Universitaires de France, 1973.
106 C. Jaquet, Sub specie aeternitatis. Étude des concepts de temps, durée et éternité chez Spi-

noza, Paris, Kimé, 1997. Dello stesso anno è Spinoza ou la prudence, Paris, Quintette, 1997.

300
Spinoza materialista?

sarebbe una specie di durata senza fine con tutto l’accompagnamento di ri-
cordi, speranze, passioni e rappresentazioni parziali/casuali che essa di per sé
implica. Se l’eternità appartiene senz’altro alla sostanza, nella misura in cui
«l’eternità è la proprietà di un’essenza che implica l’esistenza necessaria»107,
le cose concepite sub specie aeternitatis includono anch’esse qualcosa come
un’esistenza incancellabile: «se io concepisco la mia esistenza come implicata
nell’essenza di Dio, allora la concepirò come necessaria ed eterna»108. È la
determinazione dell’eternità come nozione comune che permette di pensare
la comunicazione fattane da Dio ai modi, salve le differenti modalità in cui
si può divenire coscienti di questo statuto di eternità, dato che «tutti lo
possiedono, ma non tutti ne hanno pienamente coscienza. Allo stesso modo
in cui per Marx gli uomini fanno sempre la propria storia, anche se non ne
hanno sempre coscienza, per Spinoza gli uomini sono sempre eterni, anche
se non ne hanno sempre coscienza»109. Questo tema dell’eternità come no-
zione comune verrà poi ripreso ed inserito dalla autrice in una cornice più
vasta, delimitata dalla nozione della potentia, in uno studio che ritorna sui
temi spinoziani del corpo e degli affetti110.
Lo stesso piglio ontologico si ritrova in una recente pubblicazione di
Pascal Sévérac111. Il pensiero di Spinoza viene definito in sede d’Introduzio-
ne «una ontologia dell’affermazione assoluta della potenza»112, pensiero da
cui discendono dettagliate considerazioni sullo statuto dell’attività e della
passione, le quali trovano un loro primo momento di coagulazione nella
domanda su come distinguere soggettivamente (ossia: non dal punto di
vista del filosofo che osserva, ma da quello di chi effettivamente le prova)
le gioie attive da quelle passive. La prospettiva finale del testo indica uno
dei problemi che già stavano al centro del libro di Deleuze, vale a dire
la fondabilità in Spinoza di qualcosa come un progresso etico: progresso
riconosciuto, appunto, come evento del «divenir-attivo», prendere possesso
della propria potenza misconosciuta, installarsi in quel luogo del proprio sé
da cui sempre ci allontaniamo in occasione dei nostri dolori e delle nostre
gioie, comunque passivi. Per Sévérac questa prospettiva di progresso etico è
pensata da Spinoza come, in qualche modo, già sempre compiuta. In questa
cornice di «ontologia piena», senza uno sfondo di potenza non attualizza-
ta»113, se la potenza di ciascuno è già sempre identificata al suo agire, per
ciò stesso essa non può darsi a riconoscere in nessuna circostanza come
«alienata» (così come ancora i testi di Deleuze o Matheron possono lasciare
intendere). Il progresso etico non significa mai il passaggio da una potenza

107
C. Jaquet, Sub specie aeternitatis, cit., p. 93.
108
Ibidem.
109
Ibidem, p. 200.
110
C. Jaquet, Les expressions de la puissance d’agir chez Spinoza, Paris, Publications de la
Sorbonne, 2005. Temi, questi, già affrontati in una pubblicazione molto più sintetica di poco
precedente L’unité du corps et de l’esprit. Affects, actions et passions chez Spinoza, Paris, Presses
Universitaires de France, 2004 e nell’intervento Le problème de la différence entre le corps chez
Spinoza, in Les significations du «corps» dans la philosophie classique, a cura di C. Jaquet e T.
Pavlovitis, Paris, L’Harmattan, 2004, pp. 127-141.
111 P. Sévérac, Le devenir actif chez Spinoza, Paris, Champion, 2005. Le precedenti pubblica-

zioni spinoziane di Sévérac sono state L’Ethique de Spinoza, Paris, Ellipses 1997; L’Appendice à
la Première Partie de l’Etique, Paris, Ellipses, 1999; la cura (insieme a C. Jaquet e A. Suhamy)
di Fortitude et servitude, lectures de l’Etique IV de Spinoza, Paris, Kimé, 2003.
112 P. Sévérac, Le devenir actif chez Spinoza, cit., p. 20.
113 Ibidem, p. 431.

301
Tommaso Tuppini

inattualizzata alla sua propria attualizzazione, ma sempre da una potenza in


atto ad un’altra potenza in atto. Anche nel testo di Sévérac, come in quelli
già considerati di Jaquet, è il concetto della «nozione comune» a fungere da
chiave per la soluzione del problema del progresso etico. In un comunità di
enti finiti una condizione di pura attività da parte di ciascuno (apparente-
mente esclusa ab initio per tutti i modi, a causa del mutuo determinarsi-a)
può essere raggiunta non mirando ad escludere qualcosa come il reciproco
condizionamento, ma enfatizzando l’essere-determinati attraverso ciò che
noi abbiamo in comune con gli altri114. È proprio la determinazione di tutti
per mezzo di tutti a produrre, come sua manifestazione estrema, qualcosa
come un possibile indirizzo di autonomia e liberazione per il singolo: la
determinazione collettivo-comunitaria coincide con il potenziamento di
ciascun individuo.
Il libro di Sévérac finisce per incrociare il percorso di un altro impor-
tante interprete spinoziano di questi anni, François Zourabichvili, il quale
appunto si interroga sulla possibilità di conciliare quelle che gli sembrano
essere i due concetti fondamentali dello spinozismo: progresso morale e
conservazione di sé115. È mettendo al centro del proprio lavoro quella che
viene definita «la grande immagine contraddittoria dell’infans adultus»116
che Zourabichvili concepisce la forma massima di attività modale reperibile
in Spinoza. Se l’infante è colui che per quasi tutto il percorso di pensie-
ro dell’Etica funge da paradigma dell’impotenza e dell’inadeguatezza al
conseguimento di una vita beata (poiché il bambino significa la situazione
estrema dell’eteronomia e della passività), è però anche vero che nello scolio
della proposizione 39 del V libro la beatitudine viene caratterizzata come
una condizione in cui l’immaginazione e la memoria perdono d’importanza
rispetto all’intelletto ed alla conoscenza di sé, e che è proprio l’infanzia a
godere strutturalmente di una tale amnesia. L’infante adulto è l’adulto priva-
to in qualche modo dell’immaginazione della memoria, è il modo d’esistere
che, nella sua configurazione apparentemente contraddittoria, consegue il
superamento dell’esperienza inadeguata/immaginativa e dispone di una ca-
pacità affettiva sufficientemente ampia.
Gli ultimi anni sono anche quelli in cui sembrano delinearsi linee di
ricerca che in qualche maniera, magari velatamente, contestano alcuni ri-
sultati dei lavori che abbiamo preso in considerazione finora. Tra questi
si segnalano in particolar modo gli studi riguardanti Spinoza e la filosofia
antica in cui, ad esempio, il rapporto Spinoza-Plotino viene riconfigurato
in modo non esclusivamente critico117, oppure ricerche come quella di Lia
Levy118, la quale è centrata proprio su quella nozione di soggetto e sulla

114
Sévérac aveva già analizzato il tema specifico della convenientia in Spinoza nell’articolo
Convenir avec soi, convenir avec autrui: étique stoïcienne et étique spinoziste, in «Studia Spino-
zana», 1996, n. 12, pp. 105-119.
115
F. Zourabichvili, Le conservatisme paradoxal de Spinoza. Enfance et royauté, Paris, Presses
Universitaires de France, 2002. Ricerca proseguita in Spinoza. Une physique de la pensée, Paris,
Presses Universitaires de France, 2002, in cui viene messo particolarmente a fuoco il tema
della forma.
116 Ibidem, p. 3 L’espressione di Spinoza si trova in Etica, IV, 39, scolio.
117 Cfr. J. Lagrée, Spinoza et Plotin: l’amour et l’eternité, in «Studia Spinozana», 1996, n.

12, pp. 51-71.


118 L. Levy, L’automate spirituel. La naissance de la subjectivité moderne d’après l’Ethique de

Spinoza, Van Gorcum, Assen 2000. Levy era già stata autrice del contributo Chose et subjec-

302
Spinoza materialista?

fondazione di una sui ipsius cognitio in Spinoza che i commentatori post-


Sessantotto avevano in qualche modo interdetto. Ad avviso della Levy tutta
la teoria della conoscenza implica in Spinoza una teoria della coscienza di
sé: l’espressione così caratteristica del Tractatus de intellectus emendatione
di «automa spirituale» non sta ad indicare «rifiuto totale del concetto di
soggettività», quanto piuttosto «simbolizza la concezione dello spirito come
un’attività autoregolatrice di conoscenza»119. Levy fa uso di argomenti quasi
kantiani per giustificare la presenza in Spinoza di una consistenza soggettua-
le del modo, il quale si riferisce conoscitivamente a sé proprio in virtù del
suo essere-conatus: «la nostra capacità di riferirci a noi stessi come identici
attraverso i mutamenti non è altro che l’espressione cognitiva dello sforzo
per perseverare nel nostro essere […] nella misura in cui questo sforzo si
manifesta come pensiero»120. Il tratto auto-affettivo dell’esperienza spino-
ziana della beatitudine, già enfatizzato da Deleuze e da altri, acquista ora
una piega decisamente gnoseologistica e coscienzialistica, quasi cartesiana,
si potrebbe dire, anche se Levy distingue con cura lo statuto principiale e
fondativo-sostanziale della coscienza in Descartes di contro al suo statuto
di semplice conseguenza modale in Spinoza. Anche il lavoro di Jean-Pierre
Juillet121 presenta consapevolmente se stesso come un percorso eccentrico
rispetto agli ultimi trent’anni della ricerca francese: pur non essendo faci-
le, per la molteplicità delle sollecitazioni cui il libro di Juillet sottopone
il lettore, ricostruire un percorso di lettura univoco, uno degli intenti di
questa pubblicazione è senz’altro di evidenziare il finora trascurato ruolo
costitutivo dell’immaginazione nel sistema filosofico di Spinoza (anche se un
disegno del genere aveva già avuto corso, almeno in parte, nelle ricerche di
Althusser e di Negri, cui pure Juillet non fa mai riferimento) e la possibilità
di costruzione di quella che l’autore definisce una «linguistica spinoziana»,
ossia di tracciare le condizioni di esprimibilità nel linguaggio di ciò che è
dell’ordine del pensiero122.
Non mancano certo di tornare a farsi sentire in questi anni le voci di
quelli che ormai possono essere considerati gli eredi più autorevoli delle
letture spinoziane post-Gueroult e post-Deleuze. In un volume collettivo
che molto significativamente propone ai propri collaboratori un’interroga-
zione sullo spinozismo dell’avvenire123 Stanislas Breton conclude il proprio
intervento osservando il carattere ormai di moda che Spinoza è venuto ad
assumere nel contesto attuale della ricerca filosofica francese124. Se l’interven-
to di Breton si colloca su di un piano di filosofia della religione (a fronte di
un culto tradizionale che non ha fatto altro se non tradurre «la trascendenza

tivité dans l’Étique de Spinoza, in «Revue de Sciences philosophiques et théologiques», 1998,


n. 1, pp. 49-64.
119
L. Levy, L’automate spirituel, cit., p. 310.
120
Ibidem p. 317.
121 J.-P. Juillet, Des vues de Spinoza. Arguments et figures de la «philosophie vraie», Paris,

Presses de l’Université de Paris-Sorbonne, 2001.


122 Un ordine analogo di problemi inerenti al linguaggio è esposto nello studio di H. Me-

schonnic, Spinoza poème de la pensée, Paris, Maisonneuve et Larose, 2002.


123 Quel avenir pour Spinoza? Enquête sur les spinozismes à venir, a cura di L. Vinciguerra,

Paris, Kimé, 2001.


124 S. Breton, Spinoza aujourd’hui, in Quel avenir pour Spinoza?, a cura di L. Vinciguerra,

cit., p. 32.

303
Tommaso Tuppini

assoluta nei limiti di una riduzione antropologica»125, dunque sottomettendo


Dio ad una concreta pratica di dominio umana, lo statuto di non-unicità del
Dio spinoziano, il quale, appunto, a rigore non può essere definito né uno,
né multiplo, si colloca come un termine di confronto teorico che potrebbe
scardinare la sensibilità monoteista e conflittuale del contesto religioso in cui
ancora viviamo), quello immediatamente seguente di Tosel descrive nel suo
complesso il pensiero di Spinoza come «la decostruzione di ogni metafisica
fondata sull’analogia teologico-politica e la sua sostituzione con una filosofia
me-ontologica della potenza»126.
Proprio quest’ultima allusione di Tosel ad una decostruzione della meta-
fisica per mezzo di Spinoza ci può aiutare in un certo senso a comprendere
in che modo si stia facendo uso di Spinoza in Francia adesso. Nonostante,
per ovvie ragioni di mancanza di prospettiva e di stacco, risulti un poco
difficoltoso rintracciare un motivo di ispirazione coerente nell’insieme delle
ultime ricerche, si può forse dire che ciò che prevale, nella terminologia e
nella concettualità usata, è un piglio che trattiene fecondamente Spinoza sul
terreno dell’ontologia e, per così dire, del paradosso. Dire questo è senz’al-
tro non molto preciso e non rende giustizia a tante ricerche di carattere
difforme, ma, pur nella sua estrema semplificazione è, tutto sommato, dif-
ficilmente contestabile. Le ultime ricerche in Francia si può dire che, nella
maggior parte, contribuiscano, più o meno esplicitamente, a formare l’im-
magine di uno Spinoza pensatore di aporie, ovvero: di quelli che al vaglio
della tradizione metafisica occidentale devono apparire (a maggior ragione
provenendo dal periodo di quell’âge classique in cui veniva istituito il sapere
classificatorio con le sue rigide griglie di apprendimento) come dei paradossi
teorici127. Come già per Deleuze quarant’anni fa Spinoza era il pensatore
della difficile univocità dell’essere, in virtù della quale sostanza e modi, Dio
e cose hanno una pari dignità ontologica alquanto «scandalosa», allo stesso
modo Spinoza è tornato ad apparirci ora, per mezzo dei suoi commentatori
francesi, anzitutto come il pensatore di un progresso morale fondato sull’im-
mobilità dell’autoconservazione, come il promotore di una saggezza filosofica
che affonda le proprie radici nel sapere quotidiano. Significa questo forse un
abbandono di quell’immagine di Spinoza «materialista» che ci è sembrata
essere stata prodotta peculiarmente dall’interpretazione d’oltralpe nei suoi
momenti di maggiore originalità a favore di qualcosa come di uno «Spino-
za paradossale»? Non necessariamente, se teniamo conto del fatto che in
fondo il primo dei paradossi spinoziani rimane il dato dell’immanenza del
produttore nel prodotto e la cancellazione di ogni principialità eminente, il
delinearsi di un’ontologia piatta della potenza come unica superficie d’espe-
rienza, con il quale un Althusser, ad esempio, faceva grosso modo coincidere
la condizione generale di possibilità per l’insorgenza di un pensiero mate-

125
Ibidem.
126
A. Tosel, Quel devenir pour Spinoza? Rationalité et finitude, in Quel avenir pour Spinoza?,
a cura di L. Vinciguerra, cit., p. 56.
127 In questo senso un nuovo percorso di ricerca dal punto di vista storico-filosofico è stato

aperto da S. Ansaldi, Spinoza et le baroque. Infini, désir, multitude, Paris, Kimé, 2002, con il
tentativo di indagare proprio la nozione spinoziana di potenza nelle sue filiazioni, parentele
ed eccentricità rispetto alla cultura barocca spagnola, la quale, sviluppandosi «seguendo delle
linee e delle curve in perpetua variazione» (p. 365), allude ad una sensibilità speculativa, e non
solo, difforme da quelli che, appunto, un Foucault avrebbe definito i presupposti dell’episteme
classica.

304
Spinoza materialista?

rialistico. Per certi versi è dunque l’immagine di Spinoza come grandioso


solitario della filosofia europea quella che risulta rivificata dai più recenti
confronti in lingua francese con il suo pensiero, che non necessariamente
smentisce, anzi può avvalorare l’immagine di uno Spinoza materialista, nei
molteplici significati che abbiamo cercato d’illustrare. Spinoza, la cui pratica
filosofica sembra avere anzitutto la peculiarità di saper mettere in figura,
far cristallizzare intersezioni concettuali refrattarie all’assimilazione da parte
di una dialettica comunque declinata e che non hanno bisogno di ulteriori
sintesi per affermarsi e consistere.

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