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Dott. MICHELE JURINO
(1) Gli articoli sono stati raccolti dall'autore nel volume La philosophie français
guerres.
(2) Op. cit. y Préface , pag. i.
(3) Crediamo utile elencare le opere e gli articoli di Lavelle:
CPERE FILOSOFICHE :
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LA FILOSOFIA DI LOUIS LAVELLE
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(1) La Présence totale , pa gg. 9-1 1. Appunto in funzione delle premesse della sua
velle - che pur si astiene generalmente da ogni polemica - non sa fare a meno di por
tra la sua concezione dell'essere con la concezione di J. P. Sartre, che - come const
velle - in questi ultimi tempi ha avuto una ripercussione anche al di là degli ambient
generalmente si ferma il pensiero filosofico, e di invitare ad una scelta tra le due con
presenti le conseguenze di ordine speculativo e di ordine morale che ciascuna di esse
Orbene Lavelle caratterizza la sua filosofia come Y inverso della filosofia de L'Etre et le néant.
La coscienza di sè, da Sartre caratterizzata dalla « mauvaise foi » - una « mauvaise foi » costitutiva
della coscienza stessa, inseparabile da ogni essere che « non è ciò che egli è, che è ciò che egli non è » -
secondo Lavelle non sta ad indicare altro che ogni essere non è mai « una cosa creata » (tutta fatta)
ma « un essere che si crea » (un farsi), realizzando una possibilità che è la sua nel seno stesso del-
l'Essere. Secondo Lavelle non c'è opposizione - come vuole Sartre - tra l'essere « en soi » (l'Essere
totale) e l'essere « pour soi » (l'essere individuale), anzi proprio nell'essere « pour soi » si scopre a
noi « l'absolu de l'être ou du soi », ma si scopre sotto una forma partecipata. Allora - conclude La-
velle - « la disperazione che nasce dal desiderio idolatra di possedere un oggetto infinito che indie*
treggia sempre si cambia nella gioia di un'attività che non potrebbe venir meno e ci porta una rivela-
zione che non s'interrompe più » (De l'Etre, Introduction , 3a ediz., pagg. 28-35).
(2) De l'Etre, Introduction, 3» ediz., pag. 35.
(3) Estratto da una lettera citata da J. Benrubi, Les sources et les courants de la philosophie con-
temporaine en France , Paris, Alean, 1933, t. II, pag. 741.
(4) O. M. Nobile, op. cit., pag. 110.
(5) Un esempio di tale suo metodo concordistico lo si ha nei suoi articoli raccolti nei due volumi:
Le moi et son destin e La Philosophie française entre Its deux guerres.
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(1) Epitome Metaphisicae spirituali*, in « Giornale di metafisica », luglio-settembre 1947, pag. 401.
(2) Le moi et son destin , pagg. 26-27.
(3) Lavelle ammira in Bergson il tentativo di fissare nei tratti essenziali questa esperienza meta-
fisica con la sua « filosofia del tempo », la quale sostituisce alla concezione solita di un tempo negativo
- come segno dell'insufficienza essenziale delle cose - la concezione di « una durata positiva » che
porta ad un arricchimento ontologico. Quindi Bergson ha avuto il merito di avere opposto una nuova
concezione metafisica a quella tradizionale perchè afferma che possiamo cogliere la vera realtà, non al
di là del divenire, ma « nel flusso della nostra vita interiore ». La metafisica allora è « l'esperienza della
durata creatrice » e, mediante l'intuizione, coglie nelle cose anche materiali la loro partecipazione alla
spiritualità, cioè alla divinità. Op. cit., pagg. 27-36.
(4) Etre et Acte , in riv. cit., pag. 197.
(5) De l'Etre , 3a ediz., pag. 45; Le moi et son destin , pagg. 55 e 58.
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delle premesse accettate quasi sempre senza mediazione, forse sotto la penosa
impressione della bancarotta di una metodologia precedente. È il caso di La-
velle, e, in genere, del positivismo spiritualistico, che viene dopo Kant e l'idea-
lismo. L'essere palpita nella vita stessa, vive nel cuore stesso dell'io, il quale
non sarebbe se non fosse sotteso dall'essere. Ecco dunque l'esperienza meta-
fisica, fondamento unico dell'ontologia. E - l'abbiamo visto - l'esperienza
(pur nella varietà delle sue forme) è sempre esperienza dell'essere, è univoca.
L'istanza metodologica ha dunque segnata la via da seguire all'ontologia.
Lavelle infatti concepisce l'essere eleaticamente uno, ma - come Spinoza,
e ancor più di Spinoza - non tale che escluda ogni movimento reale e ogni
causalità.
11 primato e l'universalità dell'essere sono indiscussi e d'immediata evi-
denza. L'essere è « le terme premier » perchè ogni altro termine lo suppone
e lo limita - esprimendolo. Nulla è fuori dell'essere e le relazioni non lo
pongono ma lo suppongono: ogni relazione è interna all'essere (i). L'essere
contiene tutto il reale - il reale e l'apparente, l'intelligibile e il sensibile, l'atto
e il dato, il vero e l'illusorio (2), il possibile e il necessario (3) - . Anche il
possibile, che spesso sarebbe stato interpretato come « un'essenza intermedia »
tra il niente e l'essere - quasi a mezzo cammino tra i due estremi - dimen-
ticando che tra il niente e l'essere vi è un abisso incolmabile, che nessun ter-
mine medio vale a varcare.
L'essere si pone in modo assoluto - l'essere e - e non è concepibile una
genesi dell'essere, perchè, in tal caso, da che cosa potrebbe scaturire l'essere
se non da un quid che non fosse essere, cioè dal niente? Ma un quid-niente
si enunzia già nei termini come contraddittorio. Difatti, perchè dal niente
- evidentemente, dal niente causa materiale, diremmo noi scolasticamente -
potesse balzare l'essere, bisognerebbe che il niente fosse , bisognerebbe cioè
dotarlo almeno di una specie di « essere privativo » che si opporrebbe, dia- -
Idricamente, al secondo termine - l'essere positivo - nel seno stesso dell'es-
sere totale.
Ma una genesi dell'essere dal niente è impossibile, primo perchè per porre
il niente bisogna presupporre un soggetto - l'essere, quindi, inevitabilmente -
che lo pone; in secondo luogo perchè una durata, sia pure ideale, deve essere
supposta nel passaggio dal niente all'essere, durata che è pure una forma
dell'essere (4).
Però il fondamento dell'estensione universale dell'essere - secondo La-
velle - sta nella sua comprensione univoca. « L'être est univoque comme il
est universel », e quindi « si tout est présent en lui (universalità), il faut aussi
qu'il soit partout présent tout entier (comprensione) » (5).
L'essere è univoco perchè la differenza tra i suoi modi (come tra il pos-
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##*
(1) De l'Acte , pag. 42. Lavalle, evidentemente, è sulla linea di Renouvier, e spec
Hamelin, che egli vuole radicare in una salda ontologia per evitare di ricadere nel deprecato
mentre vuole realizzare un'identificazione di analisi psicologica e di sintesi metafisica, ch
è rimasta allo stato di mero integramento reciproco con il predominio del metodo sinte
Lavelle invece l'analisi è « l'instrument fondamental de toute méthode ontologique » perc
appartiene solo al tutto, il soggetto finito non lo può conoscere che analizzandone le
- come espressioni dell'Essere totale - si distinguono e si oppongono tra loro. Cfr. De l'E
pag. 169. Perciò Lavelle non dubita di affermare che « il movimento creatore dello spirit
e non una sintesi, perchè si deve necessariamente andare da un'intelligibilità pura e inc
un'intelligibilità finita e divisa ». La Dialectique du monde sensible , pag. 50.
(2) G. Truc, op. cit., pag. 138.
(3) E. Morselli, Verso una nuova metafisica ?, in « Rivista di filosofia », ottobre-dice
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con la volontà, ehe è creatrice e continua l'opera di Dio (i). L'Atto puro -
che è l'atto che, volendosi, si autocrea eternamente - ci permette, mediante
la volontà, di « creare noi stessi mediante l'atto costitutivo della coscienza » (2).
La dissociazione di intelletto e di volontà - condizione della partecipazione,
pur restando unico l'atto delle due funzioni - è abolita dall'amore, il quale
è capace di stabilire nell'essere una sintesi di volontà e di intelligenza. Difatti
non si può volere ciò che si pensa senza amarlo nello stesso tempo. In questo
senso l'amore « mette in moto » la volontà (3), mentre, per sè, anche l'amore
- come l'intelligenza - procede dalla volontà (4). Questa sintesi di intelli-
genza e di volontà, operata dall'amore, fa della coscienza (individuale) « una
espressione e un'immagine dell'unità dell'Atto puro » (5).
La filosofia lavelliana della partecipazione non può trascurare l'annosa
questione dell'atto e della potenza, dell'esistenza e dell'essenza. Ma l'impo-
stazione metafisica di essa deve portare logicamente a un'incomprensione e a
una svalutazione della dottrina aristotelico-tomistica (6). Bisogna - secondo
Lavelle - capovolgere il rapporto classico di essenza e di esistenza, il quale
dava il primato all'essenza fondandosi sul pregiudizio che bisogna sapere che
cosa io sono prima di sapere se io sono. Ora, ciò è impossibile perchè non
posso conoscere che cosa io sono se non nell'esperienza che mi rivela previa-
mente che io esisto. Perciò - e siamo in piena dottrina lavelliana - « l'esi-
stenza è, se si vuole, questa attitudine reale e anche attuale che io possiedo
di dare a me stesso la mia essenza con un atto che dipende da me compiere.
Tale è il solo mezzo che io ho di concepire l'inserzione del mio essere parti-
colare nell'essere totale : questa inserzione è mia opera, che mi obbliga, invece
di considerare la mia essenza come una realtà già formata, che bisognerebbe
poi, non si sa perchè, far discendere nell'esistenza, a considerarla al contrario
come il fine che io devo produrre e per il quale l'esistenza mi è data » (7).
Nella concezione lavelliana l'essenza si identifica con l'Atto puro stesso,
non è altro che la possibilità indeterittinata di questi, che gli esseri particolari
devono determinare attualizzandola nella partecipazione - e quindi nella
propria esistenza. Lavelle - scrive Gonzales Alvarez (8) - va alla conquista
esistenziale dell'essenza, e in questa conquista è impegnata la libertà, cioè
la scelta, che è uno dei problemi centrali dell'esistenzialismo. La scelta secondo
Lavelle è determinata dal valore, il quale « è mediatore tra la possibilità e
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di oltrepassare ciò che siamo; - come un puro oggetto di fede, perchè il tra-
scendente non è mai attinto da noi se non perchè l'operazione che ci dà
l'essere resti sempre un'operazione che ci è propria e non possa mai essere
sospesa » (i).
Per questi motivi trascendenza ed immanenza, assoluto e relativo non si
escludono, anzi s'integrano ed assumono il loro vero significato nella dottrina
della partecipazione. Difatti la partecipazione rende possibile ad ogni esistenza
individuale l'immanentizzazione progressiva del trascendente, senza però
esaurirlo (2). Con il trascendente noi abbiamo « une réelle communauté d'es-
sence », perchè noi non siamo fuori dell'Essere ma nell'Essere (3). Tutte le
cose sono contenute all'interiore dell'Essere totale quali sue parti costitutive.
Ma egli le trascende perchè esse non lo esauriscono : se lo esaurissero, coinci-
derebbero con lui, e di conseguenza « si annienterebbero come parti e annien-
terebbero insieme il Tutto » (4).
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(1) De Vertíate , q. 8, a. 8, c.
(2) Le sens commun , Paris, Descléc, 1922, pag. 197 e segg.
(3) S. Theol.y I, q. 14, a. 1.
(4) Op- Clt ì Pag» 201 •
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LA FILOSOFIA DI LOUIS LAVELLE
(1) Acte réflexif et Acte créateur , in riv. cit., pagg. 149 e 163.
(2) Art. cit., pag. 177.
(3) Art. cit., pag. 177.
(4) Art. cit., pagg. 177-178.
(5) Secondo S. Tommaso « participare nihil aliud est quam ab alio partialiter accipere ». Comm.
in LL. de Coelo et Mundo , 1, II: lect. 18, p. XIX, i2' b.
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LA FILOSOFIA DI LOUIS LAVELLE
(1) « Vers lequel (il panteismo) - egli scrive - on pourrait penser que no
d'abord ». Etre et Act , in riv. cit., pag. 203.
(2) Art. cit. y pag. 203.
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