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STUDI FILOSOFICI

già diretti da GIOVANNI GENTILE


TERZA SERIE

VI.

ARTURO MASSOLO

FICHTE
E LA

FILOSOFI A

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G. C. SANSONI - EDITORE
FIRENZE
STUDI FILOSOFICI
gli diretti da GIOVANNI GENTILE

SERIE PRIMA
1. G. GENTILE - La ri/cwma dalla dialaUica Hegeliana (esaurito).
2. A. OMODEO - Stcwta dalle origini mstiane - Voi. I: Gesù e le origini
del cristianesimo (esaurito).
3. G. GENTILE - Studi vichiani (esaurito).
4. V. FAZIO ALLMAYER - La teoria della libertà nella filosofia di Hegel
(esaurito).
5. A. OMODEO - Storia dellll ori1ini cristiane - Voi. Il: Prolego1111Jni alla
lloria deU'elà apostolica (esaurito).
6. G. GENTILE - Le origini dalla filosofia contemporanea in Italia - I:
I Platonici (esaurito).
7. G. GENTILE - Le origini della filosofia contemporaMa in Italia - Il:
I Positivisti (esaurito).
8. G. GENTILE - Le origini della filosofia contempcwanea in Italia - III:
parte I: I Neokantiani e gli He1eliani (esaurito).
9. G. GENTILE - Le origini della filosofia con16mporanea in Italia - III,
parte II (esaurito).
10. V. SPAMPANATO - Vita di Giorda110 Bruno con documenti 1ditt 1d
inediti (esaurito).
II. C. MARCHESI - Se111ca (esaurito).
12. A. OMODEO - Storia delle orig111i cristiane - Voi. III: Paolo di Tarso,
apostolo delle gemi (esaurito).
13. G. CARLOTTI - La filosofia di uibai• (-urito).
14. G. SAITTA - Marsilio Fici.o (esauritoJ.
SERIE SECONDA
1. G. GENTILE - Studi vichiani. Seconda edizione.
2. F. ALBEGGIANI - ll sistema filosofico dJ Cosmo Guast8"a.
3. G. CALOGERO - I fondamenti della logica aristot1lica.
4. F. BATTAGLIA - Marsilio da Padova 1 la Filosofia politica 1111 Medioevo.
5. G. DELLA VOLPE - Hegel romantico e mistico.
6. U. SPIRITO - L'Idealismo illlliano e s suot critici (esaurito).
7. E. BIGNAMI - La Poetica di Aristotele e il concetto diii' arte presso
gli antichi.
8. G. DE GIULI - Cartesio.
9. G. M. BERTINI -Idea di una filosofia della vita.
10. R. MONDOLFO - L'infinito nel pensiero dei greci.
11. E. R. BALDANZI - Il pensiero "ligioso di Gian Giacoma Rousseau
12. F. LOMBARDI - L'esperienta e l'uomo (esaurito). (esaurito).
13. F. LOMBARDI - ll mondo degli uomini (esaurito).
14. B. DONATI - Nuovi studi s1dla filosofia civile di G. B. Vico. Con do
cumenti•.
15. G. PASQUALI - Le lettere di Platone.
I•1. G. CALOGERO - La conclusione della filosofia del conosc,ere (esaurito).
17. A. GUZZO - Concetto e saggi di stori" della filosofia.
I8. C. LUPORINI - Situalione e libertà neU'1sisllnza umana (esaurito).
19. V. FAZIO ALLMAYER - Il problema morali conte probl1ma della co-
slitulione del sogg11tto, 1 altti saggi. - ,...-
20. G. SAITTA - MMsilio Ficino e la filosvfia dell'umanesimo (esaurito).
21. P. C. DRAGO - La filosofia di Bernardino Vari~C"<

-
2:i. A. MASSOLO - Sto,icità della Metafima.

SERIE TERZA
1. C. LUPORINI - Situazione e libertà ne0'1sist1n1'a umana. Seconda edi-
zione accresciuta.
11. A. MASSOLO - Introduzione alla a11alitica Kantiflna.
III. G. CHIAVACCI - La ragione poetica.
C. LUPORINI - Filosofi vecchi e nuovi. Voi. I.
F. PFISTER - Il metodo della Scienza.
MASSOLO - Fichte e la filosofia. R.C.S.Sansoni Editore S.p.A.
PRE
1 ~.000
STUDI FILOSOFICI
già diretti da GIOVANNI GENTILE
TERZA SERIE

N. 6
ARTURO MASSOLO

FICHTE
E LA

FILOSOFIA

G. C. SANSONI - EDITORE
FIRENZE
Mauritius_in_libris
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

Printed in Italy

19411 • Soc. An. Stab. Tipografico già G. Civelli • Firenze


INTRODUZIONE
§ I.

Il tema che la ricerca dà liberamel_lte a ~ stessa, è nel


suo risultare il risultato di una ripetizione del pensiero :fi.ch-
tiano. Detto in modo diverso, questo tema è il :fissarsi della
ripetizione come ricerca.
Gli elementi come rapporto sono: Fichte e la :filosofia. I.a
:filosofia non è qui la :filosofia in generale, ma una determinata
filosofia; e se essa vien detta la :filosofia, è perché tale asso-
lutizzazione è ad essa data dal e nel rapporto stesso. Questo
rapporto già da sé respinge .l'obbligo di porre il problema
della evoluzione fichtiana come problema della corrispon-
denza delle ulteriori esposizioni della Dottrina della Scienza.
con quella del 179'4·
Già il ·fatto che il dibattito non appare concluso, deter-
mina non arbitrariamente il dubbio che esso, sino a che venga
mantenuto nella sua tradizionale figura, non possa ricevere
una soddisfacente e filosofica soluzione. È necessario fare
agire immediatamente in esso che la esposizione del 1794 già
nel titolo si distingue. Essa non è la Wissenscha/tslehre uber-
haupt, ma la espobizione del suo fondamento 1 •
Nel corso della ricerca ciò coinciderà con la distinzione
di critica e filosofia. Una indicazione del come deve essere
configurato il rapporto Fichte e la filosofia, è data dalla se-
guente affermazione: «non pare che Kant abbia abbastanza
filosofato sulla sua filosofia» a. L'intendimento di questa

1 Gvundlage dev gesamtex Wiss1nschaftslehf'e (1794), S. W., bd. I.


2 A Reinhold, 4 luglio 1797, Briefwechsel, hrsg. Schub, Leipzig,
1925, bd. I, p. 562.
4 INTRODUZIONE

affermazione è fondamentale per una comprensione adeguata


del filosofare fichtiano, il quale continuamente tende a una
assoluta identificazione del Tun e del Sagen. Il dire del filo-
sofo deve coincidere con il suo fare. Fichte è forse il primo
:filosofo che abbia coscienza piena della necessità di tale
coerenza.
Una esemplificazione decisiva si trova in una sua critica
a Spinoza, nella quale la contraddizione è sorpresa come
contraddizione del filosofo che si dice uomo ed agisce come
Dio. Il filosofo dice: «C'è un tutto. Ma chi ha detto que-
sto ? Tu, certamente. Dunque, tu nel tuo filosofare lo hai
fatto oggetto, e ti sei fatto suo soggetto. Hai posto te più
in alto. In ciò consiste la sola mancanza, nell'aver tu pen-
sato e nel tuo non esser ritornato a pensare il tuo pensiero » 1.
Al lume di questa critica si chiarisce il senso che Fichte
dà al procedere dell'idealismo trascendentale, e che deve
venire riferito e determinato come il rapporto stesso del
teorico della Dottrina della scienza con la Dottrina della
scienza. La W. L. «dimostra che ciò che si addice inizialmente
come principio, e che si mostra inizialmente nella coscienza,
non è possibile senza il presupposto di qualcos'altro, e questo
qualcos'altro non è possibile senza il presupposto di qualco-
s'altro, e così di seguito, sino a che non si sia dato completa-
mente fondo alle condizioni di ciò che si è inizialmente mostrato,
e sino a che non lo si sia interamente spiegato per quanto è
possibile. Tale procedimento è un processo ininterrotto dal
condizionato alla condizione, e ogni condizione diventa a sua
volta un condizionato, di cui si ha da indagare la condizione» z.
Qui potremmo concludere, se non avvertissimo come còmpito
urgente la distruzione di una interpretazione possibile di
questo rapporto. Questa interpretazione possibile è storica-
mente di Schelling. Nelle sue Lettere filosofiche sul domma-
tismo e criticismo, Schelling afferma la identità del problema

I .YOJ'l1sungen uber Logill und Metap•ysill, in • Nachgelassene


Schriften», bd. Il, hrsg. Jacob., 1937, p. 242.
i Erste Einleitung der W. L., S. W., bd. I, p. 446.
INTRODUZIONE 5
del dommatismo o realismo e del criticismo o idealismo, nel
loro comune còmpito di «distruzione del conflitto soggetto-
oggetto nella Identità assoluta»'· Essi, quindi, sussistono
in una «approssimazione all'assoluto». La loro reciproca
opposizione è di natura provvisoria, e proprio per ciò il cri-
ticismo« deve considerare il fine ultimo soltanto come oggetto
di un còmpito infinito. Esso diventa necessariamente dom-
matismo, non appena espone l'ultimo fine come realizzato
(in un oggetto) o (in tempo futuro} realizzabile» 2.
Non in questo modo, non, quindi, come la presentazione
di una problematica necessariamente infinita, deve essere
assunto il rapporto da noi posto. Esso storicamente si deter-
mina come rapporto di critica e filosofia. Ma questa sua de-
terminazione è già in Kant.

§ 2.

Per un adeguato intendimento del tema della nostra


ricerca e del suo inevitabile incontro con la fondazione kan-
tiana, necessita un chiarimento sul rapporto che in Kant
stesso è dato sorprendere tra critica e filosofia. Questo rap-
porto si chiarisce come rapporto di critica e ontologia. Noi
vogliamo di proposito cogliere il rapporto in questa sua ul-
tima forma, perché tale configurazione spinge da sé. Ini-
zialmente, infatti, il rapporto pare che non possa venire svolto
se non negativamente. Non ha Kant aspramente combat-
tuto. la possibilità stessa di una ontologia? «L'orgoglioso
nome di ontologia .... deve cedere il posto a quello modesto
di semplice analitica dell'intelletto puro» 3. Ed è proprio
questa affermazione che costituisce il punto iniziale della
nostra ripetizione. In tal modo noi siamo in grado di porre
innanzi a noi stessi il risultato al quale dovrà condurre la

1 Philosophische Brie/e uber Dogmatismus und Kriticismus, (1795),


S. W., bd. I, p. 327.
a Philosophische Brie/e, ed. cit., p. 331.
3 Kritik der reinen Vernun/t, 1781, p. 247.
6 INTRODUZIONE

ricerca, una volta che vorrà mantenersi sul piano della dedu-
zione kantiana.
Essa dovrà chiarirci in che senso deve essere assunta la
dichiarazione di Kant. Quello che noi poniamo a tema è una
risposta alla domanda: come è possibile la sostituzione della
ontologia con una analitica dell'intelletto umano? Dacché
questo è un fatto da riportare continuamente in ogni mo-
mento della ricerca: il discorso kantiano non è mai di un
intelletto in generale, ma dell' intelletto umano. Ed è da
questo fatto che l'analitica non soltanto riceve il suo senso
ma la sua stessa possibilità.
Il problema dell' analitica è il problema: come sono pos-
sibili giudizi sintetici a priori ? Ora, se ci facchmo consa-
pevoli di ciò che il problema esige per la sua soluzione, questo
già risulta: il fatto, del quale qui si fa questione, è il fatto
stesso della trascendenza. Questionare sulla possibilità dei
giudizii sintetici a priori è porre la domanda: come è possi-
bile la trascendenza della rappresentazione nell'oggetto?
Prima di procedere alla ricerca di tale possibilità, è neces-
sario che il perché della istituzione kantiana si presenti. Sia
questa motivazione non risultante dalla situazione umana,
alla ricerca non soltanto verrebbe a mancare una natura
filosofica, ma anche la sua stessa intelligibilità. Anche qui
abbiamo a che fare con un fatto, il fatto della illusione tra-
scendentale, il fatto, diciamo noi, della estraneazione logica.
Sorge cosi inevitabile la domanda in che rapporto stiano
le due trascendenze e se non vi sia tra esse due un rap-
porto alcuno. Questa domanda ci obbliga a una configura-
zione adeguata delle due trascendenze.
Perché sia possibile una conoscenza, noi dobbiamo rife-
rire, e quindi dobbiamo poter riferire le nostre rappresenta-
zioni a un oggetto, che non sia esso pure una rappresentazione.
Ma che cosa può intendersi con questo termine: oggetto
delle rappresentazioni? Kant risponde: <l è facile vedere che
questo oggetto deve essere pensato soltanto come qualcosa
in generale = x, poiché fuori della nostra conoscenza noi
non abbiamo nulla da poter opporre (genubersetzen) a questa
INTRODUZIONE 7

conoscenza come corrispondente»'· Questo oggetto= x, è ciò


che Kant chiama oggetto trascendentale a.
Questo oggetto «che da noi non può essere intuito a 3,
deve venire identificato con la cosa in sé ? In nessun modo.
Nel suo Opus poslumum Kant pone il rapporto tra fenomeno
e cosa in sé : « La distinzione del concetto di una cosa in sé
(Ding an sich) e della cosa nel fenomeno non è oggettiva ma
soggettiva. La cosa in sé non è un oggetto diverso ma un
diverso rapporto (respectus) della rappresentazione allo stesso
oggetto» 4. Ora, questa chiarificazione non è qui riportata
per liberare la nostra strada dall'incontro con le vecchie in-
terpretazioni di una Critica più o meno scettica, ma unica-
mente per una adeguata configurazione dell'oggetto tra-
scendentale. La testimonianza su ripetuta nega che l'og-
getto trascendentale = x sia la cosa in sé 5. Esso, infatti,
non è lo stesso oggetto che il fenomeno, ma ciò che rende
possibile il fenomeno.
Che significa qui possibilità? Non già virtualità, ma fon-
damento (Gru1Ul). Cosi balza evidente perché Kant dice
che l'oggetto trascendentale non è «empirico• 6. Il fonda-
mento non può essere incontrato sull'orizzonte oggettivo,
proprio perché esso è in questo orizzonte.
Questo orizzonte che Kant chiama il • di contro •, noa
può essere, dunque, nn dato di esperienza. Ma se non è nn
dato, come noi ne veniamo a conoscenza? Si badi, noi non
parliamo di dato cosiddetto empirico, ma di dato in generale.
Questa domanda in apparenza estranea, ma che è since-
ramente legittima, ci pone di colpo . in mezzo a un dibat-
tito decisivo per la fortuna della nostra ricerca. Il tema di
questo dibattito è il metodo kantiano. Non appare qui che
ci si trovi innanzi a un risultato di una dimostrazione apa-

I Kritik, 1781, p. I04.


% Kritik, 1781, p. 109.
3 Kritik, 1781, p. 109.
4 Opus postu"'""'· ed. Ak. bd. XXII, p. 26.
S La cosa in sé del realismo.
6 Kritik, 1781, p. 109.
8 INTRODUZIONE

gogica? Se l'esperienza è, come è, essà non può essere senza


un qualcosa che dia alla molteplicità, meglio, al diverso della
intuizione, quella unità richiesta per il suo esserci stesso 1 •
Si ferma la fondazione kantiana a questo modus toUens
del ragionamento apagogico? Allora, per sua stessa dichia-
razione, essa nulla può dirci sul fondamento dell'oggetto tra-
scendentale.
Non soltanto, essa è anche in contraddizione con se stessa.
Come, infatti, si concilia tutto questo con ciò che Kant dice
nella terza regola della dimostrazione trascendentale ? « La
terza regola particolare della ragion pura, quando essa è sot-
tomessa a una disciplina per rapporto alle prove trascenden-
tali, è che le sue dimostrazioni non debbono essere mai apa-
gogiche, ma sempre ostensive. La prova diretta o ostensiva · è
in ogni specie di conoscenza quella che congiunge alla con-
vinzione della verità la vista delle fonti di questa verità;
quella apagogica invece, può, è vero, produrre la certezza,
ma non la comprensione della verità in rapporto con i fon-
damenti della sua possibilità 112.
Il metodo apagogico, nulla, quindi, può dirci sulla ori-
gine dell'oggetto trascendentale. Tale silenzio rende impos-
sibile rispondere alla domanda del come noi veniamo a co-
noscenza. Sino a che la risposta non viene prodotta, noi non
sappiamo come questo oggetto ci venga dato.
Questo sappiamo, che deve essere a priori, in quanto
condiziona l'esperienza. Manca la visione del fondamento?,
questo a priori è e rimane = x.
Noi dobbiamo sollevarci alla visione delle sue fonti (Einsicht
in die Quellen), se non vogliamo pigramente ferrnarci alla
denuncia di una contraddizione kantiana. Dobbiamo, cioè,
passare dalla prova apagogica alla prova ostensiva. Ma prima
ci è necessario chiarire che cosa importi questo passaggio.
Esso importa che il qualcosa non deve essere posto come
richiesto ma prodotto, dacché questo significa che esso deve

1 Kritik, 1781, p. 95 e segg.


2 KFitik, 1781, p. 789.
INTRODUZIONE 9

essere provato in rapporto al suo fondamento (Grund). An-


cora, questa prova deve essere a priori. Essa non deve es-
sere determinata dalla esperienza come fatto. Ma può essa
realizzarsi, senza che venga liberata dalla condizionatezza
della esperienza? E se viene liberata, non viene di colpo
posto in oblio il presupposto stesso della fondazione kantiana
che è, ripetiamo, la nostra finitezza? Non ci troviamo, allora,
di fronte a un ostacolo che non soltanto pare che non possa
ma che non deve essere superato?
Rimanere però al di qua di esso, che è mai se non un
rimanere nella ambigua situazione di non poter concepire
e perciò realizzare l'analitica della ragion pura umana se non
come un semplice inventario di essa ?
Si badi ora a questo: se proveremo con Kant ostensiva-
mente e, quindi, geneticamente (le due espressioni si equi-
valgono) l'oggetto trascendentale, noi non saremo con ciò
autorizzati a dire che è niente l'ostacolo intravisto o che la
fondazione kantiana nega da sé il suo presupposto. La Cri-
tica denuncia da sé questo ostacolo come sua interna contrad-
dizione. Da sé, essa, infatti, oppone alla dichiarazione sulla
natura ostensiva delle sue prove, la tesi che soltanto la ma-
tematica per ciò che procede per costruzione di concetti,
è capace di tali dimostrazioni 1 •
Ora, che senso ha per noi individuare l'ostacolo come con-
traddizione ? Ci si ricordi di ciò che è stato posto all' inizio.
L'analitica vuol ricondursi alla possibilità dèl giudizio sin-
tetico a priori; con ciò essa domanda della possibilità della
trascendenza delle mie rappresentazioni nell'oggetto, che non
può essere, a sua volta, rappresentazione 2.
Che cosa è questo oggetto = x ? Questo sappiamo, esso
è ciò che dà oggettività. È stato posto dove si trova la moti-
vazione della domanda : nella trascendenza della illusione
trascendentale. Ancora, dove abbiamo noi trovato x? Esso
ci è stato dato e ci è dato dalla riflessione sul fatto della espe-

I Kritill, 1781, p. 734.


2 Kf'itill, 1781, p. 738.
IO INTRODUZIONE

rienza. Noi possiamo o no cercarne la prova. Il proseguimento


della ricerca o la sua interruzione appaiono, come è stato
notato, ambedue motivati dalla Critica, la quale pone e nega
la possibilità del sapere filosofico alla prova ostensiva o
genetica.
Si consideri ancora questo: il capitolo, dove Kant nega
la possibilità della dimostrazione genetica, cosi conclude:
« Del metodo particolare di una filosofia trascendentale, nulla
qui può esser detto, poiché noi abbiamo a che fare soltanto
con una critica delle nostre facoltà» 1.
Da ciò risulta che la negazione colpisce non la filosofia
trascendentale o la filosofia in quanto tale, ma, per ciò che
è a tema, la sua propedeutica. Sulla Critica della ragion pura
Kant cosi si esprime: e Essa è un trattato del metodo, non
il sistema della scienza stessa» i. Se
essa è questo soltanto e
nient'altro, il voler cercare in essa la prova genetica dell'og-
getto = x, cioè il suo prodursi, è già una violenza.
Ma se la Critica è soltanto questo, una propedeutica, ci è
impossibile riconoscere l'affermazione che Kant pone nella
sua Erklllrung in Beziehung auf Fichtes Wissenschaftslehre:
e Debbo .... notare l'arroganza di attribuirmi l'intento di aver
voluto dare soltanto una propedeutica della filosofia tra-
scendentale, non il sistema di questa filosofia• 3.
Fichte non negava che la Critica contenesse anche filo-
sofia, ma giudicava che essa, in quanto critica, non era filo-
sofia 4.

1 Kritik. 1781, p. 738.


2 Kritik, 1787, p. XXII.
3 Ed. AK. bd. XII, p. 396.
4 u Kant hat 3 Kritiken gesckrieben, woraus seine Atthilnger 111irll-
licke Pkilosophie zu macken gesuckt kaben, u11ter dem· Namen kritisch1
Pkilosopkie. Allein Kritik <kr Pkilosopkie und Pltilosophie selbst sind
ganz verschiedene Dinge: Kritik ist z. B. die Schrift dtss Docens Uber
den BegriO der Wissensckaftslehre. So sind auch in desselbe11 Wissen-
sckaftslehre selbst mekrere kritische Bemerkungen eingestreut. Kritik
b11~chaftigt sick mit der Frage, was Philosophie sei, ub1r ihre Anord11ung,
moglicke Berirrungen. Indessen kat dock Kant in sei'"'" Kritiken ge-
legentlich auch Philosophie mit einliesse1C lassen • (Vorluungen tiber
Logik und metaphysik, Nachgelassene Schriften, Berlin, bd. II, p. 23).
INTRODUZIONE II

Per fare di questa affermazione qualcosa di pertinente


alla nostra attuale problematica, questo deve essere aggiunto:
la dichiarazione sulla Critica come sistema del metodo si trova
unicamente e per la prima volta nella prefazione alla se-
conda edizione. Per ciò che riguarda la ripetizione che noi
tentiamo di provocare, questa nuova edizione ignora nella
sua ricostruzione della Deduzione trascendentale l'oggetto= x.
Questo avvertimento va direttamente collegato a quest'altro:
la dichiarazione di Kant che la Critica non è una propedeu-
tica, ma il sistema stesso della filosofia trascendentale è
del r799. Ora, allo stesso periodo appartiene l'Opus postu-
mum, e proprio allo stesso anno il Conv. XI, dove l'oggetto
tra5cendentale ritorna con 1' intera sua problematica 1,
Ci troviamo cosi di fronte a un fatto che possiamo tra-
durre in domanda: è il ritorno dell'oggetto trascendentale che
motiva il passaggio della fondazione kantiana da prope-
deutica in filosofia ?
Sappiamo di procedere qui astrattamente, esposti al
rischio di far violenza, ma questo rischio non può essere evi-
tato se dobbiamo proseguire nella ricerca. Il passaggio dalla
prima alla seconda edizione si configura nel predominio del
problema critico su quello trascendentale. Il problema cri-
tico nel suo venire compreso isolatamente {e qui dobbiamo
riconoscere l'astrattezza del nostro procedere), si esercita sul
fatto della illusione trascendentale. Donde il carattere norma-
tivo del suo risultato. Da questa problematica la Deduzione
metafisica con la sua presentazione delle categorie riceve
piena intelligibilità.
Questa presentazione è a priori. Ma che cosa è qui a priori ?
Il risultato di una riflessione di colui che filosofa e trova
che senza quei concetti la esperienza {qui natura formaliter
spectata) non è possibile; da questo fatto {prodotto della sua
riflessione) deduce che essi sono indipendenti dalla esperienza.
Questo fatto nella seconda Deduzione trascendentale viene
approfondito sino a risolvere lintero problema critico.

1 Opus post·umum, bd. li, pp. •PS-539·


I2 INTRODUZIONE

Ma la Critica contiene un altro a priori, l'a priori genetico.


Esso non è dato come risultato della riflessione filosofica.
Come, allora? Nel suo stesso venire ad essere. Esso agisce
nella risposta alla domanda, che è fondamentale nella prima
Deduzione trascendentale: come è possibile il pensiero stesso ? r.
Allo scopo di chiarire perché qui si abbia il passaggio dalla
esposizione apagogica a quella genetica, ci si provi a rispon-
dere alla obbiezione seguente. Essa avverte che anche la ri-
sposta kantiana - che il pensiero è possibile mediante le
tre sintesi, dell'apprensione nella intuizione, della riprodu-
zione nella immaginazione, della ricognizione nel concetto z --
si muove sul piano della prova apagogica. C'è il pensiero,
come è esso possibile ? E che sia cosi, non lo dichiara lo stesso
Kant, in quanto afferma che la deduzione, della quale qui si
fa discorso, è la ricerca della causa (Ursache) di un effetto
già dato (gegebene Wirkung) ? 3. La possibilità della sua ob-
biezione ha la sua attiva ragion d'essere in ciò che non ab-
biamo in precedenza sufficientemente chiarito la natura del-
1'a priori genetico.
Che noi non l'abbiamo chiarito perché non potevamo,
questo risulta dal ritmo sintetico della nostra ripetizione.
Noi abbiamo detto: l'oggetto = x è un dato (datoci, ripetiamo,
dall'astratta riflessione :filosofica)~ Non potevamo provarlo,
dacché provare in senso genuinamente trascendentale, è
ricondurre il dato alla sua origine. Ancora, se si riflette a sua
volta sulla riflessione prima, si trova che l'oggetto = x è il
risultato di una entificazione della oggettività in generale.
_ Quando Kant pone la domanda del come sia possibile
il pensiero stesso, pone una domanda che trascende la tota-
lità della esperienza. Questo trascendere ha il suo arresto
nella appercezione pura. Ed è da essa che deve essere presen-
tato l'oggetto trascendentale. Ora, noi siamo in grado di ri-
spondere alla obbiezione, la quale denunciava ~he anche qui

I Kritik, 1781, p. XVII.


2 Kritik, 1781, pp. 95-114.
3 Krilik, 1781, p. XVII.
INTRODUZIONE 13

si tratta di spiegare un fatto che è il pensiero. Ma non ci


vuol molto ad intendere che l'appercezione originaria non è
un fatto. E che la differenza è proprio qui. Il fatto, il fatto
in quanto tale, cioè il suo concetto, non si prova da sé ma
deve essere provato. Non così l'appercezione originaria. La
sua prova è necessariamente un provarsi, un provarsi gene-
tico, cioè a priori. Kant ora dice: l'oggetto = x è l' «unità
formale della coscienza» 1 , la coscienza pura, che da sé si
pone di contro al diverso delle rappresentazioni. La Critica
ha in tal modo risposto alla domanda: come è possibile il
giudizio sintetico a priori ? Essa ha per ciò stesso moti-
vato il suo porsi come ontologia, e proprio in quanto ana-
litica.
Ora dobbiamo rispondere sull'altra trascendenza, che è,
ripetiamo, il presupposto dell'intera fondazione kantiana.
È qui a tema immediatamente la logica dell'apparenza e il
suo fondamento, l'apparenza trascendentale. Noi, dice Kant,
abbiamo a che fare con una naturliche und unvermeidliche
IUusion i. Che cosa indica la determinazione «naturale e
inevitabile » ? Risposta: il risultato di una ricerca condotta
sul metodo apagogico o critico. Infatti, ·questa illusione è
un fatto, la situazione umana: storica, meglio il suo concetto
(astratto), la estraneazione logica.
Possiamo, quindi, concludere che qui, in questo fatto,
che non può essere aprioristicamente dedotto, ha il suo limite
la Critica della ragion pura come filosofi.a. Cosi quel con-
flitto che altrove 3 abbiamo potuto configurare come conflitto
tra la Deduzione metafisica e la prima Deduzione trascen-
dentale, va spinto innanzi sino a risultare nel conflitto della
filosofia come critica e della filosofia come scienza pura a
priori.
Ed è proprio da questa problematica che la nostra ricerca
trova la sua storica giustificazione.

1 Kritill, 1781, p. 105.


:xritill, 1781, p. 298.
Introduzione alle1 Analitica kflntiane1, Sansoni, Firenze, 1946.
PARTE PRIMA

LA W. L. DEL 1794
CRITICA E FILOSOFIA
CAPITOLO I

LA ESPOSIZIONE DEI PRINCIPII


§ I.

La costruzione della filosofia come Wissenschaftslehre ha


inizio con la recensione all' Enesidemo di Schulze. L'impor-
tanza di quest'opera per quel che concerne il nostro tema,
può essere compendiata in due punti. Schulze nega come
legittimo il passaggio dalla necessità logica alla realtà; nega
che il principio reinholdiano della coscienza - nella coscienza
la rappresentazione viene distinta dal rappresentante e dal
rappresentato e riferita all'uno e all'altro 1 - sia il principio
prirrio filosofico.
Il primo punto pone in discussione I' intera filosofia cri-
tica e sarà tenuto presente da Fichte nella intera evoluzione
della W. L. Non è arbitrario riconoscere che da esso prenda
coscienza che la filosofia non possa essere che scienza pura
a priori.
Schulz.e denuncia che la filosofia critica è costruita con
un procedimento che essa stessa ha condannato, quello cosi
detto della prova ontologica: deve essere così, dunque è
cosi 2 • Qui quello cl:ie ci iiiteressa non è tanto la replica im-
mediata quanto l'uso che Fichte farà di questa critica come
critica alla Formular-Philosophie.
Vediamo in che senso una filosofia reale (la W. L.) si
distingua da una filosofi.a su «concetti senza oggetti». I

1 REINHOLD, Beytrlige zur Berichtigung bisherigen Missverstlind-


nisse der Philosophie, Jena, 1790, bd. I, p. 142.
2 Aenesidemus oder ilber die Fondamente der von dem Herrn
Prof. Reinhold in Jena gelieferten Elementar-Philosophie, 1792, pa-
gine 132-142.

2
18 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

Formular-Philosoph considera senz'altro come reale la intera


serie logica mediante cui si perviene a pensar qualcosa 1 •
Una filosofia reale, è invece, una filosofia di fatti. Ma, si badi,
questi fatti sono in sé provati, non postulati arbitrariamente,
né giustificati con la semplice considerazione che si trovano
nella coscienza comune i. Se in tal modo progettiamo la ri-
petizione che Fichte farà di questa critica, è perché questa
critica tocca profondamente la sistemazione reinholdiana.
Basta richiamarci alla mente il procedere del Reinhold in
vista della individuazione della rappresentazione qua talis
come genere (Gattung) di intuizione e concetto come sue
specie (Arten). È una individuazione condotta su un mero
ragionamento, che ha a sua giustificazione soltanto l'affer-
mazione kantiana che l'intuizione e lintelletto hanno una
radice comune. Kant, come è noto, si limitò a indicarla come
« a noi sconosciuta JJ 3, Reinhold, servendosi della definizione
che la Critica dà della intuizione come rappresentazione im-
mediata 4 e della definizione, ma ottenuta soltanto per ana-
logia, del concetto come rappresentazione mediata, deduce
che la radice comune non possa essere se non la rappresen-
tazione in generale s. II procedimento è qui proprio quello
del Formular-Philosoph: come è possibile provare la verità
del risultato kantiano? Le 11 premesse» che la Elementar-
Philosophie deduce dalla fondazione kantiana, che cosa sono
in ultima istanza, se non il procedimento logico, con il quale
provare la verità critica ? Reinhold cosi si esprime: con la
E. P. «i risultati più essenziali della Critica della ragione
riceveranno la loro piena conferma e un senso che gli opposi-
tori della filosofia kantiana dovranno ammettere di non aver
avuto presente nelle loro confutazioni»'·

Grundlage des Naturrechts, S. W., bd. III, pp. 5-6.


1
Grundlage der W. L., S. W. bd. I, pp. 220-221.
2
3 KANT, Kritik der reinsm Vernunft, 1787, p. 29.
4 Kritik, p. 39.
s REINHOLD, Beytrage .. ., bd. I, p. 265.
6 Versuch einer neuen Theorie des menschlichen Vorstellungsver-
n/igens, Jena, 1789, Vorrede, pp. 67-68.
LA ESPOSIZIONE DEI PRINCIPII 19

Ma non è questo in generale anche il procedere di Fichte ?


Nella celebre lettera allo Stephani del dicembre 1793, non
annuncia egli la scoperta di un principio come quello che
proverà i risultati kantiani 1 ?
Si badi ora a questo: Fichte considera la critica di Enesi-
demo come vittoriosa sul sistema di Reinhold a e rendente
problematica la stessa fondazione kantiana. Il superamento
che Fichte farà di questa critica deve giustificare in qual
senso la filosofia trascendentale non è una Formular - Philo-
sophie e in pari tempo provare in che essa si distingue dalla
sistemazione renholdiana. Per chiarire ciò, esaminiamo la
replica fichtiana e in particolare la replica all'accusa che
Schulze muove a Kant di non aver tenuto conto della confu-
tazione humiana, di avere, quindi, dal fatto che noi possiamo
pensare il nostro spirito come fondamento dei giudizii sinte-
tici, dedotto che il nostro spirito è realmente e in sé il loro
fondamento. Fichte risponde che l'affermazione che noi siamo
necessitati a porre il fondamento delle forme del giudizio
nel nostro spirito, deve essere intesa nel suo senso genuino
e soltanto per ciò che essa dice: « il principio di ragione viene
usato soltanto nella sua validità logica; poiché, però, quello
che viene fondato esiste soltanto come pensiero, deve essere
ammesso che il principio logico di un pensiero è al tempo
stesso il principio reale o esistenziale di questo pensiero » 3.
Ma perché la risposta sia valida, bisogna provare non
soltanto che noi possiamo, ma che non possiamo che pensare
il nostro spirito come fondamento delle rappresentazioni.
Si aggiunga anche questo: dal fatto che noi oggi non pos-
siamo chiarirci qualcosa se non in un certo modo, non si può,

1 A Stephani, dicembre 1793· - «Io ho scoperto un nuovo fon-


damento, dal quale abbastanza facilmente si può dedurre l' intera
filosofia. - Kant ha in generale la giusta :filosofia, ma soltanto nei
suoi risultati, non secondo i suoi principii ». Ed. cit., bd. I, p. 319.
a A Reinhold, 1795· Frammento.« È mia opinione che egli (Schulze)
abbia confutato la Sua filosofia ». Ed. cit., bd. I, p. 446.
3 Recension des Aenesidsmus (scritta nel 1793, apparsa anonima
nella Allgemeine Litteratuneitung, Jena, 1794, Nr, 47-49,), S. W., bd. I
p. 13.
20 LA W. L. DEL 1794· CRITICA E FILOSOFIA

dice Enesidemo, negare che in un futuro non potremo spie-


garlo in modo diverso 1 • Per ciò che riguarda quest'altro punto
dell' obbiezione, Fichte replica che esso va bene per una
prova empirica, ma che è privo di senso per una prova de-
dotta da principi a priori. Ciò che segue è per noi di grande
interesse, e non soltanto perché testimonia la non ancora
raggiunta distinzione tra genetica e faktisck conoscenza.
Soltanto più tardi - e propriamente nel 1797 - Fichte
perverrà alla piena coscienza della visione genetica (gene-
tisck Seken). Vedremo· a suo tempo che senso ha il coincidere
di tale coscienza con la distinzione piena di critica e filosofi.a.
Ma riportiamoci alla risposta di Fichte: «Se il principio di
identità e di non-contraddizione sarà istituito come fonda-
mento di tutta la filosofia.... forse nessuno più pretenderà
che noi potremmo eventualmente in futuro pervenire a un
grado tale di cultura da pensare l'assurdo come possibile» i.
Vediamo come la confutazione fi.chtiana si fondi su questo
porre nel principio di identità e non-contraddizione il prin-
cipio stesso della filosofi.a. - Si tratta di provare che noi non
possiamo pensare come fondamento delle nostre rappresen-
tazioni se non la nostra facoltà rappresentativa, una volta
fatto valere l' argomento che le cose in sé non sono il fon-
damento delle nostre rappresentazioni, argomento non de-
dotto, come crede falsamente Enesidemo, dal fatto che noi
le ignoriamo, ma dal fatto che noi proviamo che indipendente-
mente dalla facoltà rappresentativa, nessuna rappresentazione
è possibile. Cosa ci vieta allora di pensare che il fondamento
delle nostre determinazioni si trovi in una facoltà rappresen-
tativa diversa dalla nostra? Questa ipotesi viene avanzata
da Enesidemo come una diversa possibilità di pensare il rap-
porto del concetto a priori con l'oggetto. Questa ipotesi del-
l'armonia prestabilita delle «qualità oggettive delle cose in
sé» e delle «nostre rappresentazioni a priori», non può fon-
darsi che in una facoltà rappresentativa, la quale, come ri-

1 Recension des Aenesidemus, p. 13.


2 Recension des Aenesidemus, pp. 13-14.
LA ESPOSIZIONE DEI PRINCIPII 21

conosce Io stesso Enesidemo, non potrebbe essere la nostra.


Essa «non potrebbe quindi essere che una facoltà rappresen-
tativa diversa dalla nostra. Ma una tale facoltà rappresen-
tativa, la quale non giudicherebbe secondo il principio di
identità e di non-contraddizione, è per noi persino impen-
sabile»•.
L' intera confutazione fichtiana, la quale, si badi, vani-
fica la legittimità della esigenza avanzata dallo scettico, del
passaggio, impossibile in sé, dall' Idealgrund al Realgrund,
proprio perché l' Idealgrund è qui Realgrund, lascia liberamente
intravedere quale sarà uno dei còmpiti della W. L.: la dedu-
zione del principio di identità e non-contraddizione. Questo
còmpito sarà realizzato sul fondamento della Tathandlung,
che è il principio primo opposto a quello di Reinhold. Con
questo richiamo siamo già passati all'esame fichtiano del
secondo punto della critica dello Schulze: la proposizione
della coscienza non è il principio primo. Si vedrà che le due
repliche fichtiane rimangono in un certo senso esterne fra
loro. Questa esteriorità è l' iato che la prima W. L. esprime
in sé. Donde l'ambiguità del suo porsi come fondazione cri-
tica del sapere scientifico.
Fichte concede che la proposizione della coscienza (nella
coscienza la rappresentazione è mediante il soggetto distinta
dal soggetto e dall'oggetto, e riferita ad essi) non è il princi-
pio primo. Egli enumera le obbiezioni che Enesidemo fa va-
lere. La proposizione reinholdiana sta sotto il principio di
non - contraddizione, non è determinata completamente da
sé stessa, non vale per tutte le determinazioni della coscienza 2 •
La seconda obbiezione ha per l'intero una decisiva im-
portanza. Per essa Fichte rovescia l' intero procedimento
reinholdiano. Vediamo. Schulze afferma che la proposizione
della coscienza non determina completamente se stessa, in
quanto, per poter fare ciò, essa dovrebbe determinare quei

1 Recension des Aenesidemus, pp. 15-16.


2 Recension des Acnesidemus, pp. 5-6. - Aenesidemus, ed. cit.,
pp. 60-61. pp. 63-69, pp. 70-73.
22 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

concetti di relazione e di distinzione, sui quali poggia. Sol-


tanto se essa fosse capace di tale determinazione, potrebbe
pretendere al posto di principio primo di una filosofia come
scienza. Fichte pone il problema come domanda: «e se il con-
cetto di distinzione e relazione si potesse soltanto determi-
nare da quello di identità e opposizione?» 1. Ma per fare ciò
bisognerebbe dare validità reale ai concetti di identità e di
non-contraddizione. Come è possibile? Qui conviene rifarci
direttamente al testo reinholdiano. Alla obbiezione proget-
tata come possibile sulla sua tesi che la rappresentazione non
è condizionata ma condizionante il soggetto e l'oggetto, Rein-
hold risponde: u Qui non è a problema l'origine della facoltà
rappresentativa, ma la sua natura» i; non quindi come essa
si possa dedurre geneticamente (genetisch erklaren) ma come
la si deve intendere. Infatti, che essa sia indeducibile, lo prova
il fatto che ogni deduzione la presuppone 3.
Ora, come è possibile superare l'obbiezione di Enesidemo
e provare che i concetti di distinzione e opposizione, con i
quali, si badi, la proposizione della coscienza si determina,
sono determinati realmente da quelli di identità e di non-
contraddizione? Che cosa esiga la deduzione è evidente, il
passaggio dal pensiero formale al pensiero reale, al pensiero,
cioè, che lungi dal lasciarsi determinare, determini nell'atto
stesso del suo porsi, sé e le sue leggi, meglio, le leggi di sé
come pensiero formale. La ricerca di Fichte non va diritta
allo scopo, nè si congiunge con la replica alla obbiezione di
essere l'intera filosofia trascendentale fondata e condotta
mediante una specie di ragionamento ontologico. Egli per-
viene al problema della genesi come a ciò che può unicamente
fondare la proposizione della coscienza, e quindi al rovescia-
mento della posizione reinholdiana, nella risposta all'accusa
che il principio del rappresentare poggi su dati empirid e
abbia quindi soltanto una validità empirica.

1 Recension des Aenesidemus, p. 6.


i Vef'such eine,. neuen Theof'iB des menschliclus V. V., p. 2zz.
3 V1f'such, p. 224.
LA ESPOSIZIONE DEI PRINCIPII

Fichte riconosce che la proposizione è un'astrazione, ma


non nel senso che essa è ricavata da ciò che di comune hanno
le diverse specie di rappresentazioni, idea, concetto, intui-
zione. Che non possa essere cosi, è evidente dal fatto che è
a partire da quello di rappresentazione che questi concetti
possono essere determinati. La riflessione « astrae da ogni
condizione empirica • e cosi perviene alla « rappresentazione
del rappresentare in generale, la quale esprime la proposi-
zione della coscienza• 1 • Questa poggia, di conseguenza, su
una introspezione empirica. Ma chi intende appieno questa
proposizione avverte un impedimento interno a concedere
ad essa una validità soltanto empirica. Ma, d'altra parte,
come è possibile attribuirle una diversa validità ? Il ricono-
scimento di tale impossibilità indica che essa debba fondarsi
in qualche cosa altro che un fatto. E Fichte qui pone come
proprio convincimento che 1 essa sia un teorema, che si fonda
in tutt'altro principio fondamentale, dal quale la si può pro-
vare rigorosamente a priori e indipendentemente da ogni
esperienza 11 a. Questo principio deve essere non soltanto for-
male ma anche reale. Non un fatto, quindi, ma un atto
(Tathandlung).
Il procedere è, quindi, il seguente. È impossibile conce-
dere all'atto del rappresentare una validità empirica, in quante
esso è dato con una totale astrazione da ogni condizione em-
pirica. D'altra parte, questa impossibilità non dà una possi-
bilità, proprio perché è una impossibilità di fà.tto, di pensare
altrimenti. Dobbiamo allora pervenire a un principio che
determini il rappresentare non soltanto formalmente, ma ma-
terialmente. Cosi Fichte raggiunge qui l'obbiezione di Ene-
sidemo, ma la raggiunge in modo che il còmpito primo è
provare che il principio è in sé formale e reale. Si badi che la
configurazione del còmpito non è un risultato causale per la.
sua determinazione. Ciò è manifesto se ci rifacciamo al primo

1 Recension des Anesidemus, pp. 7-8.


2 Recensio11 des Aenesidemus, p. 8.
24 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

abbozzo della W. L., al Manoscritto del 1793, studiato e in


parte edito da Kabitz r.
In essa l' Io è manifestamente in funzione della deduzione
dei principii a.
Posto il principio primo come una Tathandlung, Fichte
può concedere a Enesidemo che il soggetto e l'oggetto pre-
cedono la rappresentazione, purché questa precedenza non
sia intesa più come una precedenza di percezioni, ma di po-
sizione trascendentale. «Soggetto e oggetto debbono essere
pensati prima della rappresentazione; ma non nella coscienza
come determinazione empirica dello spirito » 3. Può concedere
a Reinhold che « nella coscienza empirica essi non si pre-
sentano se non · quando una rappresentazione è riferita ad
essi» 4. Soggetto e oggetto assoluti non sono dati da una
intuizione empirica, ma da una intuizione intellettuale. Ed
ecco la conclusione: « La rappresentazione non è il concetto
più alto di tutte le azioni da pensare nel nostro spirito » s.
Cosi F:ichte riguadagna il trascendentale kantiano. Ma è la
Tathandlung una trascendenza genuina della Faktizitli.t, o
essa esprime unicamente l'assoluta interiorità e basta? Per
chiarire questo punto che avrà una decisiva importanza nella

r KABITZ W., Stuàien ZUI' Entwicklungsgeschichte del' Fichteschen


W. L., Berlin, 1902, pp. 56-100.
z KABITZ, op. cit., pp. 56-92.
3 Recension des Aenesidemus, pp. 9-10.
4 Recension des Aenesidemus, p. 10.
S Recension des Aenesidemus, p. 9. - In una lettera del 28 agosto
1795, Fichte proprio per ciò che concerne questo punto, chiarisce quale
sia, a suo giudizio, il rapporto della Elemental'-Philosophie con la W. L.
Il dibattito non è, infatti, sulla giustezza di ciò che dice la E. P., ma
sulla sua natura. È una questione, questa, dalla quale dipende la
stessa W. L. - Per Reinhold E. P. e W. L. sono la stessa cosa. •In
generale, il conflitto non è sulla giustezza delle vostre affermazioni
in sé. Che esse siano in gran parte giuste, io lo riconosco, eccetto che
a me molte cose, in sé vere, non sembrano essere giustamente provate.
Il dibattito è su ciò che è in proprio il vostro sistema. Dalla risposta
a questa domanda dipende lo stesso destino della dottriqa della Scienza.
Secondo voi, la vostra filosofi.a è una filosofia degli Elementi; ... secondo
me, essa è soltanto una filosofia della facoltà teorica, e non può, dun-
que, e non deve essere che una propedeutica della intera filosofi.a, giam-
mai il suo fondamento•. Ed. cit., bd. I, p. 457.
LA ESPOSIZIONE DEI PRINCIPI! 25
ulteriore evoluzione della W. L., si esamini ora l'ultima parte
della intera replica a Enesidemo, il quale vede anche nel pri-
mato della ragion pratica il risultato di un ragionamento
apagogico, in quanto Kant avrebbe dato come esistente ciò
che si richiede come condizione per l'esserci dell'imperativo
categorico. Fichte oppone che il primato pratico si fonda,
invece, nel contrasto tra l'Io teoretico e per ciò rappresen-
tante e perciò condizionato dal Non-Io, con l' Io della in-
tuizione intellettuale. « L' Io nella intuizione intellettuale è
perché è, ed è quello che è: così è in quanto ponentesi, assolu-
tamente autonomo e indipendente » 1 • Esso, però, nella co-
scienza empirica, si rappresenta indipendentemente da un
intelligibile. Da ciò la tendenza a superare il contrasto.
Questo Streben costituisce la ragion pratica. Ma è allora evi-
dente cl!e la formulazione della Tathandlung è ancora una
formulazione /aktisch, dacché l'Io che in essa si esprinie,
ignora che il Non-Io è una sua posizione. Non solo, ma la
stessa ragion pratica proprio perché vive di questo contrasto,
non è ancora genuinamente pratica, ma è in funzione della
Faktizitlit implicita nella Tathandlung. All'uopo caratteriz-
zante è l'affermazione del 1793, dove il principio di ragione
è « da ultimo l' imperativo categorico » a.

§ 2.

Nella prefazione alla seconda edizione (1798) dello scritto


Uber den BegriU der W. L. (1794) Fichte dichiara che esso
è critica, non metafisica 3. E poiché la trattazione si presenta
come un filosofare sulla filosofia, può questo giudizio apparire
senza peso alcuno per la nostra ricerca. Un'obbiezione, però,
si presenta: non è anche la intera W. L. proprio perché teoria
della scienza, essa stessa, critica soltanto e non filosofia?

1 Recension des Aenesidemus, p. 22.


a KABITZ, op. cit., Msk, s. 16, p. 69.
3 • Ein Teil der Kritik der Wissenschajtslehre, keineswegs aber die
Wissenschajtslhre selbst, oder van ·ihr ein Teil '" S. W., bd. I, p. 33.
26 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

Rispondere a questa obbiezione che Kant e Schelling faranno,


sia pure con un significato diverso 1 , è perciò un'azione neces-
saria per evitare equivoci possibili. È fuor di dubbio che il
breve scritto non si lascia senz'altro riportare a una posizione
di esteriorità di fronte alla W. L. Esso non è, come pur do-
vrebbe essere secondo la dichiarazione fichtiana, «fuori della
metafisica ».
Il saggio ha come inizio: u La filosofia è una scienza, su
questo tutte le definizioni di essa sono tanto d'accordo, quanto
sono divise nella determinazione de!l'oggetto di questa
scienza» i. Fichte non va direttamente alla ricerca di que-
st'oggetto, ma alla determinazione di ciò che possa intendersi
per scienza. La scienza «deve essere una unità, un tutto 1,
quindi deve contenere una proposizione e una sola, che pos-
sieda in sé la certezza e la comunichi alle altre. a: Come si può
fondare la certezza del principio fondamentale in sé, come si
può fondare la pretesa di dedurre in un modo determinato la
certezza di altre proposizioni i' » 3. La risposta a queste due
questioni «sarebbe essa stessa una scienza, e propriamente
la scienza della scienza in generale» 4, Essa è, però, condizio-
nata da un'ipotesi: se il nostro sapere ha un fondamento 1.
Ma «se c'è una tale scienza, allora il nostro sapere ha un
fondamento»'· Questa scienza è la filosofia, quindi la filo-
sofia è un sapere del sapere in generale. Da ciò, però, la du-
plicità del suo operare come scienza della scienza: mostrare
le condizioni che rendono certo un qualcosa, dimostrare e in
particolare i principii fondamentali di tutte le scienze possi-
bili» 7.

1 KANT, ed. Ak., bd. XII, pp. 396-397; ScHBLl.IKG, bd. IV, p. 15.
Uber den Begrifj der W. L., p. 38.
i
3 Uber den Begrifj ... , p. 43.
4 Uber den Begriff ... , p. 43.
5 Uber den Begrifj ... , p. 44.
6 • Gibt es eine solche WissenschaftslBhre, so hai Utts,, Wissen 1ite1H
Grund » - Uber den Begrifj ... , p. H·
7 Uber den Begriff .. ., p. 47·
LA ESPOSIZIONE DEI PRINCIPII

Per ciò che riguarda il secondo còmpito, essa deve conte-


nere più principi e per ciò avere una forma sistematica, es-
sere, cioè, deduttiva. Prima di andare oltre, analizziamo il
procedimento fichtiano nel risultato sinora ottenuto, la filo-
sofia come W issenschaftslehre. Questa definizione è vera-
mente formale. Ciò, infatti, che realmente determina, è l' ipo-
tesi: se il nostro sapere ha un fondamento. Essa è stata tro-
vata nell'analisi del concetto di scienza in generale. Perché
ci sia una scienza, ci deve essere un principio fondamentale
di essa come sapere, ma questo principio fondamentale deve
essere a sua volta fondato. Bisogna quindi pervenire a un
principio fondamentale che abbia in sé il suo fondamento,
che sia, cioè, il fondamento di se stesso.
La teoria di questo fondamento è la W. L. Ora, su che
poggia la formulazione che la scienza deve essere una unità,
un tutto? Su un atto di libertà di colui che riflette. Questo
è decisivo per intendere il rapporto. La ipoteticità esprime
qui la contingenza del sapere. Il sapere è un sapere per la
libertà. Questa posizione è ancora espressa in modo del tutto
esteriore e su un'analisi astratta del concetto di scienza. Il
rapporto è, infatti, colto come passaggio dalla possibilità
(un soll che è piuttosto un wenn) alla realtà (muss), come pas-
saggio, dunque, dalla definizione formale (se A è posto, A è A)
alla definizione reale {poiché A è, è A).
Questa iniziale formulazione peserà enormemente sullo
svolgimento della W. L. Partendo, infatti, dall'analisi del
concetto di scienza, Fichte sarà condotto a concepire la W. L.
in funzione di una giustificazione o fondazione del sapere
scientifico. La costruzione più che .dell' Io, sarà compiuta
sull'Io. E questo è evidente nella determinazione dell'Io
come Grundsatz. L' Io come principio non è l'autocoscienza,
o la sinteticità di essa, ma al più, un suo membro. Cosi Fichte
potrà dire nel 1798 che la Grundlage, parte dai <e membri
estremi per trovare il punto medio, il pensiero sintetico" i.

1 Wissenschaftslehr-e •ach den Vor-lesimgen von hr. Prof. Fichte


in J. G. Fichte, Nachgelanetie Schriften hrsg. H. Jacob •, bd. Il,
28 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

Ritorniamo all'analisi del testo. Quale deve essere la strut-


tura del primo principio ? La inseparabilità di contenuto e
forma nel loro reciproco condizionarsi. Se altri principii si
danno, essi non possono essere incondizionati se non nella
forma o nel contenuto. Nel primo caso, il primo principio
condizionerà il contenuto, nel secondo la forma. Quindi, tre
sono soltanto i principii fondamentali possibili 1 • Se altri
ve ne sono, essi saranno del tutto condizionati; ogni propo-
sizione sarà, cioè, determinata da una proposizione determi-
nata che la precede. La Dottrina della Scienza assume cosi
la forma di tutte le scienze, la forma del sapere universale.
Essa può assumere questa forma, se riesce a fondare non
soltanto tutte le scienze esistenti, ma anche le possibili. Qui
viene ripetuta la problematica di Enesidemo a. Per il supera-
mento di essa si richiede che il principio fondamentale sia
esaurito, che da esso sia stato dedotto tutto il deducibile,
e che esso venga provato come il solo possibile. Ora, un prin-
cipio è esaurito quando esso stesso si pone come risultato.
Ma, raggiunto questo, come provare che esso primo prin-
cipio fondamentale è l'unico? Come provare, cioè, che esso
primo è principio dell'umano sapere in generale ?
L'unicità del sapere si lascia dedurre dal principio stesso,
e questi a sua volta si fonda sulla unicità del sistema del sa-
pere umano. Il circolo è manifesto. Il principio fonda la con-
clusione (la unicità del sistema), e la conclusione prova il
principio. Fichte dice: «Non si ha ragione di essere sorpresi
da questo circolo. Desiderare che esso sia tolto, significa desi-
derare che l'umano sapere sia del tutto privo di fondamento, ...

Berlin, 1937, p. 529. Questa opera, la cui analisi costituirà la parte


seconda della presente trattazione, è stata completamente ignorata
sino al 1912. La prima notizia trovasi, infatti, a p. 627 del bd. VI
della edizione fichtiana del Medicus (Leipzig, 1912). Il Wundt che,
a quanto ci risulta, è il solo che l'abbia studiata come momento essen-
ziale della evoluzione fichtiana (in " Fichte· Forscliungen », Stuttgart,
1929, pp. 101-141) la indica erroneamente come la ,V, L. del 1797·
1 Uber den Begriff ... , p. 50.

2 Uber den Begriff ... , p. 56.


LA ESPOSIZIONE DEI PRINCIPII 29
significa affermare che non v' è in generale nessuna verità
immediata, ma mediata » 1 •
Per ciò che riguarda il secondo argomento, si ha da no-
tare che per verità immediata deve intendersi una verità
non condizionata da fatto alcuno. Incondizionato è l'assoluto
di Spinoza. Incondizionato è l' Io di Kant. Qual' è qui la
posizione fichtiana ? C' è una ambiguità. Essa è inevitabile
a causa del procedimento che poi si ritrova nella stessa Grund-
lage, procedimento che consiste nel provare la possibilità
della esperienza a partire dell'assoluto primo principio fon-
damentale. Nel 1798 Fichte seguirà la via opposta; il primo
principio (la Tathandlung) non sarà l'inizio, ma l'epilqgo
della fondazioné: nella W. L. del 1794 « wir gingen von der
Tathandlung aus und kamen auf die Tatsache -im Buche [cioè
nella_presente lezione] aber ist umgekehrte Methode » z. Il che
già annuncia ciò che nel proseguo sarà dimostrato: il filoso-
fare fichtiano non è un progressivo allontanarsi dalla fonda-
zione kantiana. Fichte sarà molto più kantiano nel 1798 che
non qui nel 1794, dove Kant è ancora per diversi aspetti il
Kant di Reinhold.
Di nessun valore è l'obbiezione che qui si potrebbe fare
valere poggiandosi sulla posizione fichtiana di fronte alla
cosa in sé. Il Wundt ha già attirato l'attenzione su alcune
soppressioni e varianti della seconda ediziOne 3. In una nota
alla prefazione del 1794, Fichte, infatti, non nega la cosa in
sé, ma si limita ad affermare che essa non è immediatamente
oggetto di esperienza: ula nostra conoscenza.... non si con-
nette con la cosa in sé immediatamente a mezzo della rap-
presentazione, ma mediatamente a mezzo del sentimento » 4.
E più oltre: «Con la W. L. sono dati come necessarii un Non-Io
indipendente assolutamente dalle leggi della mera rappresen-
tazione, e le leggi, conforme alle qnali esso deve essere consi-

1 Uber den Begrifj ... , p. 62.


2 W. L., 1798, eri. cit., p. 359.
3 ~· WUNDT, Fichte-Forschungen, Stuttgart, 1929, pp. 58-59.
4 Uber den Begrifj ... , Vorrede zu ersten Ausgabe, p. 29.
30 LA w. L. DEL I794· CRITICA E FILOSOFIA

derato e non può che esserlo» 1 • Nella seconda edizione (I7981


la nota è stata soppressa, e il passo ha subito una variante;
non si parla più di un Non-Io assolutamente indipendente,
ma di una natura « da considerare indipendente da noi ».
Ora, noi non crediamo che in questi luoghi sia da individuare
una posizione kaptiana, una volta che s'intenda in profon-
dità il senso e il peso della cosa in sé.
La cosa in sé non è il risultato, ma il presupposto del-
1' intero filosofare kantiano. Senza questo presupposto, è
impossibile al filosofo critico rendersi conto e perciò giusti-
ficare la apparenza trascendentale, la quale si fonda sulla
:finitezza umana, cioè sulla natura non creatrice della rappre-
sentazione. Ora, quando Fichte dice che la cosa in sé non
è direttamente conosciuta ma mediatamente e a mezzo del
sentimento, dice qualcosa che sta sul piano della sistemazione
reinholdiana. L'apparenza trascendentale è ignorata.
Per ciò che concerne il secondo punto - il Non-Io come
indipendente - è da dire che la variante non modifica ma
chiarisce il problema che ne è a fondamento, la possibilità
stessa della filosofia come teoria della scienza. Questo pro-
blema è in Kant risolto sulla eterogeneità del sensibile e del-
1' intelletto, come giustificazione della necessità di una dedu-
zione trascendentale. Posta, infatti, la inseparabilità di senso
e intelletto, il problema stesso della ricerca della oggettività
non aveva più senso, in quanto esso è unicamente motivato
dalla possibilità che ha lintelletto di porsi fuori della sensi-
bilità. Su questa eterogeneità che produce nel I786 il sacri-
ficio della deduzione trascendentale che nel suo risultato la
distruggeva, e per cui giustamente Fichte potrà dire che la
seconda edizione della Critica rappresenta la soppressione
dell'idealismo trascendentale 2 , si fonda per Kant la possi-
bilità della filosofia. Questa motivazione è ora da Fichte
posta nella indipendenza del Non-lo (meglio, natura) dalle
leggi dell' Io. Postane, infatti, la condizionatezza, una teoria

1 Ubet' den Beg,.ig ... , p. 64.


i W. L., 1798, ed. cit., p. 545.
LA ESPOSIZIONE DEI PRINCIPII 31

della scienza è impossibile. Il presupposto è qui la incond1-


zionatezza delle azioni necessarie dello spirito umano da un
contenuto in generale. Ed è questo il senso da dare alla for-
mulazione che il Non-Io è indipendente dalle leggi rappre-
sentative.
Ciò che distingue la W. L. dalle scienze particolari è che
in queste ultime l'azione data libera in sé nella W. L. (la li-
bertà alla immaginazione di porre il punto dove essa vuole),
ottiene una sua determinazione 1 • Ora, qual è, invece, il rap-
porto che ha luogo in Kant ? Guardata da questo punto di
vista, la filosofia kantiana è una riflessione sulla scienza, un
porre la scienza a suo oggetto.
Il filosofare di Fichte non è una filosofia sulla scienza,
ma una ricerca del come sia possibile una teoria della scienza,
e, quindi, ricerca del suo distinguersi dalle scienze particolari.
Ciò esige un prevalere deciso del problema ontologico su quello
genericamente metodologico. Il che si fa evidente nella di-
stinzione della Dottrina della Scienza dalla logica. Anche qui
in certo senso può venir detto che la W. L. ripete la logica
trascendentale kantiana a. Come quest'ultima, la W. L. si
distingue per un contenuto, dal quale si fa astrazione nella
mera logica. Ma Kant non si domanda l' origine dei principii
logici; e il problema del loro rapporto con le forme della lo-
gica trascendentale appare come un risultato, sul quale la
sua ricerca non si esercita. Che il fondamento della intera
logica sia nella unità sintetica della appercezione questo è
chiaramente detto: «la unità sintetica della appercezione ....
è il punto più alto, al quale si deve ricondurre tutto l'uso del-
1' intelletto, anche la logica intera, e con essa la filosofia tra-
scendentale » 3.

1 Uber den Begrig ... , p. 64. ..


i V. il saggio schellingiano del 1794 Uber die Miiglichkeit einer
For~ del' Philosophie iiberhaupt, dove la ripetizione del « programma »
fi:chtiano è condotta tematicamente sulla logica trascendentale kan-
tiana, s.,yv., bd. I, pp. 87-n2, e in particolare pp. 103-no.
3 Kritik der reinen Vernunft, 1787, p. 135·
32 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

Ma la Critica non si vale di questo risultato dal quale Fichte


prende direttamente inizio. -
La natura dei principii logici è la incondizionatezza della
loro forma e la condizionatezza nel c.ontenuto. A = A signi-
fica: se (wenn) A è posto, allora (so) A è posto, - se A è,
é A. Il che è una espressione astratta del principio f9ndamen-
tale della Dottrina della Scienza, l' lo è lo. Condotto alla sua
radice, il principio di identità è condizionato dalla unità del-
1' lo che da sé si pone come Io.
La logica è l'insieme delle leggi della riflessione, e queste
leggi debbono essere provate e dedotte nella W. L. Esse,
però, inizialmente ne condizionano come necessariamente
presupposte, la elaborazione. Si ha allora manifestamente
un circolo. Le leggi della riflessione rendono possibile la W. L.,
e la W. L. prova queste leggi. Questo circolo che Fichte stesso
denuncia, non è da considerare identico a quello già indivi-
duato sul principio primo, che prova la unicità del sistema ed
ha a sua volta come condizione quella stessa unicità del sa-
pere. In quest'ultimo è da vedere, infatti, il postulato del-
l'assoluta creatività del principio. Il secondo, invece, esprime
la provvisorietà, entro la quale, come in un circolo, si muove
necessariamente la indagine critica che si domanda della
possibilità del filosofare. Esso indica, per tanto, che Fichte
non si è ancora sollevato alla visione genetica.
La Tathandlung più che come intuizione genetica, è de-
terminata e accentuata nella sua immediatezza come prin-
cipio, dal quale dedurre l' intero sistema del sapere umano.
Il che implica e necessita la presunzione della giustezza delle
leggi formali del dedurre. Nella seconda edizione Fichte de-
nuncerà la mancanza, in questo suo saggio programmatico,
del rapporto del pensiero trascendentale con il pensiero co-
mune, il silenzio sul punto di vista, dal quale il filosofo tra-
scendentale guarda l' intero sapere, e rimanderà alle due In-
troduzioni del 1797 1 • Questo Gesichtspunkt è il sistema del
mondo intellegibile che la prima W. L. ignora, ponendo al
suo posto, di fatto, la deduzione dei principii logici.

1 Uber tlen Begrig ... , Vorrede zur zweiten Ausgabe, pp. 33-34.
LA ESPOSIZIONE DEI PRINCIPII 33

§ 3.

La struttura caratterizzante della W. L. del 1794 è il suo


distinguersi in una parte teoretica e in una parte pratica. Questa
distinzione scompare nelle successive costruzioni; ed essa
scompare in una con la esposizione dei principii fondamentali.
Già nella Recensione a Enesidemo, Fichte notava che la con-
traddizione dell'attività rappresentante e perciò condizionata,
con la incondizionatezza dell' Io, era fondante il primato del-
l'attività pratica che condiziona a sé il Non-Io. Nel § 8 di
Ube, den Begrifj der W. L., la stessa contraddizione viene
posta come motivante una causalità dell' Io sul Non-Io, e,
quindi, la parte della W. L., dove il rapporto dell'Io con il
Non-Io, è condotto dal punto di vista della causalità dell'Io
sul Non-Io 1 • Ma è da avvertire immediatamente l'arbitra-
rietà di conciudere a un primato del pratico sul teoretico, sia
pure limitando il giudizio alla prima W. L. La causalità del-
1' Io sul Non-Io è, infatti, nella parte pratica, pur sempre
in funzione della possibilità della rappresentazione. I due fatti,
bipartizione ed esposizione dei principii, debbono venir consi-
derati nella loro connessione, anche se questa non risulta
evidente.
Vediamo prima il perché della bipartizione. Essa ha la sua
radice nella proposizione del terzo principio: Io oppongo
nell'Io all'Io divisibile un Non-Io divisibile 2. Tale tesi com-
prende le due proposizioni seguenti; 1) l'Io pone il Non-Io
come limitato dall' Io; 2) l' Io pone sé stesso come limitato
dal Non-Io 3. Ora, la prima è del tutto problematica. Noi
non sappiamo se il non-Io abbia realtà o no, e quindi non si
può pensare come l'Io possa in essa annullare una realtà che
ancora manca. Possiamo, invece, pensare la seconda, in quanto
essa è data dalla posizione dell' Io come realtà limitabile.

1 Ulm·den BegriO der W. L., ed. Medicus, bd. I, pp. 212-214.


2 Grundlage der gesamte Wissenschaftslehre, S. W., bd. I, p. 110.
3 « Das Ich setzt das Nicht-Ich als beschrltnkt durch das Ich • -
« Das; Ich setzt sich selbst als Beschrltnkt durch das Nicht-Ich •, Grundlage,
p. IZS e 126.
34 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

Quindi, ala riflessione deve partire dalla parte teoretica ....


perché la pensabilità· del principio fondamentale pratico si
fonda sulla pensabilità del principio fondamentale teore-
tico» 1 • La radice di questo procedere è data dalla presenta-
zione del Non-Io nel secondo principio fondamentale: all' Io
è opposto assolutamente un Non-Io z.
Come questa opposizione viene determinata, è ora da ve-
dere. Questo è un punto di decisiva importanza nella storia
del pensiero fichtiano. Già si è avuto modo di ricordare come
nel 1798 Fichte giudichi che nella W. L. del 1794 il Non-Io
è un'ipotesi. Vediamo ora in che modo ciò deve venire inteso.
Osserviamo per prima qual è l'inizio della W. L. Da tale
analisi risulterà che la bipartizione e l'inizio dal principio
teoretico non sono fatti metodologici, ma costituiscono una
concezione ontologica che ha la espressione più decisiva nel-
1' iato dato non soltanto come non superato, ma non supera-
bile, tra il mondo sensibile e il mondo intelligibile. Vediamo.
La ricerca ha inizio come ricerca del principio assolutamente
primo che non può, come tale, essere né dimostrato, né deter-
minato. Questo principio non può essere un fatto di coscienza,
in quanto è ciò che rende possibile la coscienza stessa. Per
pensarlo, c'è bisogno di una riflessione che manifesti che
quell'atto deve essere pensato come fondamento di ogni co-
scienza 3.
Qui la ricerca rivela un suo carattere apagogico. Noi non
sappiamo ancora cosa dobbiamo pensare, ma soltanto sap-
piamo che il principio assolutamente primo dell'umano sa-
pere non può essere un fatto, ma un atto. Un fatto è sempre
condizionato quanto alla forma e quanto al contenuto. Si
badi, dunque, a questo: Fichte non pone un fatto (sia pure
il fatto dell'esperienza) per porre il problema della sua possi-
bilità. La ricerca non è, infatti, condizionata dalla esperienza.
Se la ricerca deve essere condotta in modo tale che dal rico-

1 Grundlage, pp. 126-127.


z Grundlage, p. 104.
3 Grundlage, S. W., bd. I, p. 91.
LA ESPOSIZIONE DEI PRINCIPII 35
noscimento della verità di una proposizione che non è pos-
sibile mettere in dubbio, risulti a un tempo quello che deve
essere come atto (Tathandlung) posto a fondamento della
intera W. L., è necessario che si faccia astrazione da ogni
determinazione empirica.
Assumiamo come certa e valida universalmente la propo-
sizione A è A, ovvero A= A. Con ciò non è posto che A è,
ma la condizione assoluta, alla quale è condizionata l'azione
sconosciuta del suo essere posto. La proposizione esprime
cosi il rapporto necessario (= x) che A deve avere con sé
stesso, per essere A. Sorge cosi la domanda: sotto quale con-
dizione A è ? Se noi riflettiamo sul rapporto x, prendiamo
coscienza che esso è posto nell'Io dall'Io stesso. Ne con-
segue che in quanto è posto il rapporto A è A, A è posto nell' Io
dall'Io stesso. Dunque, la proposizione: se A è, è A, può es-
sere cosi espressa: se A è posto nell' Io dall' Io stesso, esso
è. L'Io che riflette prende, cosi, coscienza della sua identità
con se stesso: io sono io 1.
Ma questa coscienza non è ancora l'espressione di un atto
(Tathandlung) ma di un fatto (Tatsache), del fatto, sul quale
si fonda la coscienza empirica: I'assolutamente essere posto
identico :i. Ora, perché questo è propriamente un fatto e non
un atto? Perché esso è pur sempre costruito su un fatto di
coscienza, il riconoscimento della validità del rapporto x.
Fichte dice: «Questa proposizione: io sono, è sinora fondata
su un fatto e non ha altro valore di quello di un fatto » 3.
Per pervenire alla T athandlung è necessario riflettere ulte-
riormente sul giudizio A = A. Questo esprime, in quanto
giudizio, un atto dello spirito umano. Quest'atto ha necessa-
riamente a suo fondamento l' Io sono. Quindi, ciò che a noi
risultava !'assolutamente posto è ora fondamento delf'azione
stessa, e ne esprime il «carattere più puro, il carattere puro
dell'attività in sé» 4. Noi ci siamo sollevati in tal modo al-
1 Gru·ndlage, p. 94.
:iGrundlage, p. 94 .
3 Grundlage, p. 95.
Grundlage, p. 96.
36 LA W. L. DEL 1794· CRITICA E FILOSOFIA

l'Io sono come espressione non più di un fatto, ma di una


Tathandlung.
Fermiamoci qui, alla presentazione del primo principio:
I' Io pone sé stesso. È noto che nel 1797 Fichte si servirà di
una costruzione più semplice per sollevarsi alla intuizione
della Tathandlung. «Osserva te stesso; distogli lo sguardo da
tutto quanto ti circon:c\a e rivolgilo nel tuo intimo .... Non è
di qualche cosa che sia fuori di te che si tratta, ma unica-
mente di te stesso» 1 • Se si tratti, di una semplificazione,
come si ritiene per l'universale, di un abbandono di preoccu-
pazioni sistematiche. - la fondazione dei principii, sui quali
giustificare le scienze - ovvero di un profondo cambiamento,
è questione da decidere nel secondo momento della ricerca.
Si badi anche a questo: con il primo principio è dato che
«nessuna cosa può essere altro che un alcunché posto nell' Io ».:z
Ma è questo un risultato prodottosi necessariamente, qualcosa
come una dimostrazione inconfutabile dell' idealismo ?
Vediamo su che poggia tale dimostrazione. Essa è pro-
vata dal fondamento che noi poniamo alla proposizione A= A.
Ma è forse impossibile porre questo fondamento in una realtà
che trascende l'Io sono? È fuori di dubbio che quando Fichte
scriverà che dei due sistemi, l'idealismo e il dommatismo,
«l'uno non può confutare direttamente l'altro, poiché il con-
flitto che li separa riguarda il principio primo di per sé inde-
ducibile » 3, verrà a negare la validità della dimostrazione qui
data con il primo principio. Nel riconoscimento che «il con-
flitto dei due sistemi non è filosofico» 4, Fichte riconoscerà
indirettamente come fondata la critica che Schelling nel 1795

1 Erste Einleitung in die Wissenschaftslehre, bd. I, p. 422. È da


notare, però, che già nel Manoscritto del 1793 tale costruzione è pre-
sente. • Schaue dein Ich zu .... wer seines Ich nicht bewusst weràen kann,
wird ohne Zweifel keinen Anspruch machen zu philosophieren .... ». Kabitz,
ed. cit., p. 64.
2 Grnndlage, p. 99.
3 Erst Einleitung, p. 429.
4 • Der Streit beider Systeme ist.. .. nicht philosophisch; denn sie
[dommatismo e idealismo] beriihren einander nie, kommen nie auf
einen Punkt - es herrscht unter ihnen eine vollig entgegengesetzte
LA ESPOSIZIONE DEI PRINCIPII 37
implicitamente muove alla sua dimostrazione, con la tesi
della inconfutabilità del dommatismo 1.
La presenza di una autocoscienza immediata in un libero
atto dello spirito, è perfettamente confutabile. Nessuna di-
mostrazione è possibile. Nessuno può essere costretto ad am-
metterla a. Ora, nel 1794 il processo, mediante cui si per-
viene alla Tathandlung è, come già è stato indicato, un pro-
cesso di riflessione e di astrazione; nel 1797 la via, per la quale
si perviene ad essa, è la intellektuelle Anschauung. È vero che
già nella recensione a Enesidemo Fichte parla di intuizione
intellettuale, ma è altresi vero che nella Grundlage, egli non
se ne serve. Che non si tratti di un ritorno, il perché è in
questo: la intuizione intellettuale del 1797 esprime un'azione
del tutto diversa da quella che la riflessione compie nel 1794;
essa non è la intuizione dell' Io come primo principio, ma
dell' Io come coscienza· vivente. Ciò valga qui unicamente
come una indicazione.
Per chiarire il senso della posizione assoluta dell'Io, è
necessario condurci al secondo principio fondamentale. Esso
è condizionato nel suo contenuto, ma incondizionato quanto
alla forma. Questo si fa evidente nel ri'flettere sulla proposi-
zione che ciascuno riconosce: - A non è = A. Questa propo-
sizione non è deducibile dal principio di identità, in quanto
la forma dell'opporre che presenta, non è compresa in quella
del porre. Essa è, però, pur sempre una opposizione dell'Io a
se stesso, ed è cosi una opposizione che presuppone il porsi
dell'Io. Ciò che è opposto all'Io, è necessariamente un Non-
io, quindi: all'Io è opposto assolutamente un Non-Io 3.
È facile individuare in questo Non-Io, l'oggetto trascenden-
tale kantiano = x. Come l'oggetto = x nonj è deducibile
dal diverso oggettivato, ma ne è il condizionante, parimenti
Denkart. Nur da wo man in den Prinzipien miteinander iibereinkommt'
und die Folgen verschiedentlich ableitet, nur da findet ein philo-
sophischer Streit statt » - , W. L. 1798, p. 347.
I SCHELLING, Philosophische Briefe uber Dogmatismus und Kriti-
cism'HS, lettera IX, pp. 326-335.
i Erste Einleitung, p. 429.
3 Grundlage, p. 104.
38 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

il Non-Io fichtiano non è un concetto discorsivo, un concetto


che si ricaverebbe per astrazione dall'oggetto empirico, ma
è ciò che rende possibile l'oggetto qua talis, in quanto io non
posso rappresentarmi un oggetto senza un atto di opposi-
zione (Gegensetzen).
La motivazione del secondo principio si trova nella fini-
tezza della coscienza umana. Esso esprime proprio questa
finitezza. « Per la Divinità, cioè per una coscienza, nella quale
tutto fosse posto per il solo fatto che l' Io fosse posto (sol-
tanto, il concetto di tale coscienza è per noi impensabile),
la nostra Dottrina della Scienza non avrebbe nessun conte-
nuto, perché in tale coscienza non ci sarebbe altro porre cl,ie
quello dell'Io» 1.
Ora, come si concilia questo con l'affermazione che con
il primo principio è già posta la intera W. L. i? Si badi che
la interpretazione possibile di una posizione del Non-Io come
implicita nel porsi dell' lo, è respinta inequivocabilmente da
Fichte. Se, infatti, l' Io dovesse (soUte) con il porre se stesso,
porre un Non-Io, «in esso sarebbe un duplice principio op-
posto, la quale asserzione contraddice a se stessa, poiché
allora non vi sarebbe in esso principio alcuno. L'Io non sarebbe
nulla perché annullerebbe se stesso » 3. È dunque, da ricer-
care ciò che distingue il Setzen dal Gegensetzen. Se a partire
dal 1797 Fichte tenderà a interpretare l'espressione del primo
principio come identica a quella dell'autocoscienza, e se per
l'universale si tende a riconoscere come vera questa identità
posta, ciò non ci libera dal còmpito di fame oggetto di in-
dagine.
È da notare prima che se il Non-Io fosse implicito nel-
l'atto stesso del porsi dell' lo, Fichte non insisterebbe nella
distinzione non soltanto dei due atti, ma della loro stessa
natura. «L'io pone se stesso assolutamente e sen1.a nessun
altro fondamento» 4. Nel secondo principio, invece, «è pre-
1 Gfundlage, p. 253.
i UbBf den Beg,iO, p. 51, p. 58.
3 Gfundlage, p. 252.
4 Gfundlage, p. 251.
LA ESPOSIZIONE DEI PRINCIPII 39
supposto un fatto (Factum) che non si può punto mostrare
a priori, ma soltanto nella esperienza propria di ciascuno.
Oltre al porsi del!' Io per se stesso, ci deve (soll) anche essere
un porre. Questo è a priori una semplice ipotesi» 1. Si ha,
dunque, che se il porsi dell' Io non presuppone nulla, la posi-
zione del Non-Io presuppone il fatto dell'esperienza.
È, allora, possibile individuare nel primo principio, il
principio della ragion pratica pura (e ancora, si badi, kantia-
namente intesa), e nel secondo quello della ragion teoretica
pura. Si può cosi avanzare la tesi che la Dottrina della Scienza
è già nella Grundlage inizialmente posta in contraddizione
con se stessa, dacché la esigenza della unità della ragion pura
in quanto tale, non può che essere una esigenza pratica che
deve (soll) ma che non può mai realizzarsi, in quanto tale
unità sarebbe in contraddizione con i principii stessi. La con-
traddizione che appare per l'universale, essere una contrad-
dizione del principio del sistema con il suo risultato, è nel
suo profondo una contraddizione dei principii stessi.
Se il primo principio è assolutamente indimostrabile, e
il secondo è indimostrabile ma limitatamente alla forma,
il terzo principio è condizionato quanto alla forma ma inde-
terminato quanto alla materia.
La forma è il còmpito, la materia il contenuto del sistema z.
Il compito è determinato dai due primi principii. Se, infatti,
si analizza il secondo principio - all'Io è opposto un Non-Io
- ci si accorge che questo principio dà luogo a due proposi-
zioni antitetiche: 1) Il Non-Io è posto nell'Io, ma in quanto
è posto, l' Io viene distrutto. Dunque, l' Io non è posto nell' Io
in quanto è posto il Non-Io; 2) Il Non-Io, però, può essere
posto soltanto in quanto nell' Io è posto un Io. Dunque,
nell' lo deve essere posto un Non-Io.
Le due conclusioni opposte, e opposte perché tratte da
uno stesso principio, rivelano che il secondo principio fonda-

i Grundlage, p. 252.
: Grundlage, pp. 103-105.
40 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

mentale è in sé contraddittorio e opposto a se stesso. Esso,


quindi si distrugge da sé. Il suo distruggersi è, però, condi-
zionato dal suo esserci. Esso distrugge se stesso e non di-
strugge se stesso 1 • La stessa antitesi è anche nel primo prin-
cipio, in quanto se esso afferma che tutto ciò che è posto
nell'Io è posto, il Non-Io, in quanto posto nell'Io, deve essere
posto e non posto nell'Io.L'Io è così Non-Io, e Non-Io = Io 2.
Da questa antitesi che distrugge l'unità della coscienza,
balza il còmpito di trovare un x, per mezzo del quale quelle
conseguenze possono essere giuste, senza che sia distrutta
l'unità della coscienza. Ma come l' Io e il Non-Io sono en-
trambi prodotti di atti dell'Io, questo x che rende possibile
il Non-Io, deve essere il prodotto di un atto y. Quest'atto y
non deve essere concepito né susseguente, né precedente l'atto
dell'opporre (il Non-Io), infatti senza di esso l'opporre non è
possibile ed esso non è se non in quanto rende possibile
l'opposizione 3.
Le opposizioni debbono essere conciliate. Questa esigenza
è, però, espressa soltanto dal primo principio 4. La conci-
liazione è possibile in quanto si pone come possibile una limi-
tazione reciproca dei due concetti opposti, Io e Non-Io. Il
concetto del limite non è, però, originario, non esprime l' x
nella sua purezza. Questo è espresso nel concetto della divi-
sibilità, cioè della « quantitabilità in generale (Quantitatsfiihig-
keit uberhaupt), non proprio d'una quantità determinata)) 5.
Mediante l'atto che limita - l'atto y - sono posti assoluta-
mente come divisibili l'Io e il Non-Io. Ed è questa la for-
mula del terzo principio fondamentale.
Ora, si badi: come avviene il passaggio da questa quanti-
tabilità al quanto? Questo sappiamo: 1' Io che si quantifica,
non è l' Io assoluto, ma è l' Io dell'antitesi. Se l'antitesi non

I Grundlage, pp. 106-107.


z Grundlage, p. 107.
3 Grundlage, p. 109.
4 Grundlage, p. II5.
5 Grundlage, p. 108.
LA ESPOSIZIONE DEI PRINCIPII 41

è possibile senza la sintesi 1 , la tesi non richiede nel suo es-


serci né l'antitesi, né la sintesi. Non si dimentichi che per ciò
che concerne la sua forma, l'antitesi è assolutamente incondi-
zionata. Ora, la incondizionatezza della antitesi non determina
la incondizionatezza della finitezza, dell'Io finito?
Si domanda ora del rapporto di questo Io finito - I' Io
che è posto nella coscienza - con lIo assoluto, il cui porsi
produce originariamente la coscienza. Vediamo. L'Io asso-
luto non è qualcosa (Etwas). Nel primo principio, infatti,
« dell' lo non si afferma proprio nulla, e il posto del predicato
è lasciato vuoto per la possibile determinazione dell'Io al-
i' infinito» :z. È lecito o sino a qual punto è lecito identificare
questa «determinazione possibile dell'Io all'infinito» con
la quantitabilità ?
Inizialmente anche soltanto porre la domanda appare un
assurdo. L' Io divisibile proprio in quanto tale, è l' Io oppo-
sto al Non-Io, I' Io finito, dunque, non I' Io assoluto. Noi
parliamo d'un Io finito, e non compiamo un'azione arbitraria,
ma giustificata da una delle due proposizioni che Fichte enun-
cia come compresa nel terzo principio fondamentale: l' Io
pone se stesso come determinato dal Non-lo» 3. Ma possiamo
noi, in quanto filosofanti? Dove la doverosità del passaggio
dall'Io determinabile all'Io determinato? A questo si ag-
giunga: I' Io non deve soltanto porsi finito, ma porsi come
finito. Ma di quale Io qui si fa necessariamente discorso?
Dell'Io assoluto, cioè dell'originario porsi dell'Io come fi-
nito. Il Non-Io, abbiamo visto, non è presupposto, né deve,
né può esserlo, all'Io che si pone come limitato dal Non-Io.
Il porre del Non-Io è, infatti, al tempo stesso il porsi dell' Io
aperto alla quantitabilità.
Come questo avvenga, è ora da vedere. La posizione del
Non-Io non determina in sé, ripetiamo, una reale determi-
nazione dell' Io.
1 Grundlage, p. n5.
:iGrundlage, p. n6.
3 Grundlage, p. 126. - « Das Ich setzt sich selbst als beschrankt
durch das Nicht-Ich ».
42 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

«Se .... il Non-Io in generale deve (soll) poter porre nell'Io


qualcosa, la condizione d'una tale infiuenza estranea deve (muss)
essere fondata nell'Io stesso, nell'Io assoluto, prima di ogni
reale, estranea influenza; l' Io deve originariamente ed asso-
lutamente porre in sé la possibilità che qualcosa operi su di
essor. Che, però, esso deve essere urtato in un punto qualunque,
questo non è deducibile dal primo principio: l' Io pone asso-
lutamente se stesso. Ma che ciò deve realizzarsi, questo lo
si può dimostrare se una coscienza reale deve esserci z. «L'Io
pone se stesso assolutamente e perciò è in se stesso perfetto
e chiuso a ogni esterna impressione. Ma per essere un Io,
esso deve anche porsi come posto da se stesso » 3. Il che si-
gnifica: l' Io non è soltanto posizione assoluta di sé (attività
centrifuga) ma anche riflessione di sé (attività centripeta).
Ma perché l'Io possa riflettere su di sé, esso deve poter di-
stinguere queste due attività. Il che avviene in quanto l'at-
tività infinita è urtata in un punto c, in quanto, cioè, diventa
centripeta. :v Io cosi trova in se stesso due attività, la cen-
trifuga che va all'infinito, la centripeta che la contrasta.
La possibilità di una «influenza estranea» è cosi data dall'Io
stesso nella sua interna necessità di ripetizione (Widerholu1'g) 4.
La quantitabilità è cosi il principio o la condizione stessa
della coscienza: L'io dell'antitesi è la coscienza reale, e perciò
la struttura stessa dell' Io intelligente.
Quale, ora, il rapporto tra questo Io e l' Io della tesi ?
Se il presupposto per l' Io che non soltanto si pone da sé ma
deve porsi come ponentesi da sé, è che in esso deve trovarsi
la possibilità di una «influenza. esterna», che condiziona e
determina la riflessione, non si può all'Io della tesi ricono-
scere la egoità.. Il che porta alla çonclusione che nella Grun<l-
Ztige non c' è che un solo Io, quello finito. Fichte stesso lo

r Grundlage, pp. 271-272.


i Grundlage, p. 275.
3 Grundlage, p. 276.
4 Grundlage, pp. 276-277.
LA ESPOSIZIONE DEI PRINCIPII 43
dichiara. L' Io assoluto è una idea dell' Io •, non, dunque,
l'Io.
Il problema è allora: se_ l'Io assoluto non si pone da sé
come ponentesi da sé, chi pone l' Io assoluto ? Si potrebbe
rispondere: 1' Io assoluto è posto dalla coscienza che è, dunque,
e non può che essere, coscienza finita, ed è posto nella co-
scienza finita. Ed esso è posto come idea che la coscienza
finita non può realizzare. Questa interpretazione possibile
che avrebbe a sostegno diverse affermazioni fichtiane urta,
però, contro questa difficoltà. Come può la coscienza porre
da sé questa idea, se questa idea è la condizione stessa del suo
esserci? Questa idea, si badi, esprime la Tathandlung, l'atto
dell' Io puro che originariamente produce la coscienza: « La
coscienza stessa è .... un prodotto del primo originario atto
dell' Io, del porsi dell' Io da se stesso » i.
Ora, è proprio qui che la W. L. denuncia una inequivoca-
bile incertezza. Per individuarla ci si riporta a una pagina
delle Vorlesungen uber Logik und Metaphysik, dove l'accesso
al problema della Dottrina della Scienza si presenta in una
stupenda semplicità. La filosofia può risolvere i suoi pro-
blemi, se prova che la loro soluzione è una condizione del-
l'autocoscienza. 11 Il filosofo anticipa la esperienza; egli la
deduce dal suo principio (il principio dell'autocoscienza) e
prescrive ad essa per cosi dire in anticipo quello che essa deve
essere. Egli dice: cosi come certamente ha luogo l'autoco-
scienza, cosi certamente è necessario che l'essere razionale
assuma che ci sia fuori di esso un mondo senza il suo fare ....
In tanto la filosofia è scienza a priori in quanto anticipa la
esperienza.... Che ci siano più uomini fuori di lui, ognuno lo
sa a .posteriori.... Si mostra, però, che questa assunzione è
condizione della autocoscienza, allora essa è a priori, cioè
provata dal principio dell'autocoscienza .... Il filosofo deduce
la nostra intera conoscenza dal principio dell'autocoscienza

1 Grvndlage, p. 277.
i Grundlage, p. 107.
44 LA W. L. DEL 1794· CRITICA E FILOSOFIA

come dalla condizione di essa. Cosi la filosofi.a procede a priori » 1 •


Procedere a priori è proprio questo: dedurre il sistema del-
l'esperienza dall'autocoscienza cioè provare che questo si-
stema è necessitato dall'autocoscienza i.
Può il procedere della W. L. identificarsi con il procedere
a priori qui descritto ? Esprime il primo principio il principio
stesso dell'autocoscienza? Se così fosse, avrebbe dovuto il
Non-Io esser dedotto geneticamente da questo principio,
come condizione, senza la quale l'autocoscienza non è possi-
bile. L' incondizionatezza del Non-Io, qui il suo esser posto
irrazionalmente, è la radice di quell'abisso che separa il mondo
intelligibile dal mondo sensibile, abisso che la W. L. del 1798
distrugge e
proprio in quanto accede alla visione genetica
del Non-Io.
Ma questo accedere alla visione genetica non sarà, come
potrebbe venir opinato, un oblio della finitezza umana, dacché
essa sarà raggiunta proprio con il porre a fondamento l'umana
autocoscienza.
Le due Introduzioni del 1797, e più la seconda che la
prima, non presentano nella intuizione intellettuale una sem-
plificazione del primo principio, ma un momento nuovo della
evoluzione della Dottrina della scienza, momento che non
si lascia limitare a una questione di metodo 3.

1 Fichtss Vor.lesungen uber Logik und Metaphysik (1797), ed. cit.,


p. 13.
i Vorles·ungen, pp. 12-13.
3 W. L., 1798, ed. cit., p. 359.
CAPITOLO II

LA DEDUZIONE DELLA RAPPRESENTAZIONE


§ I

La parte teorica della W. L. è a sua volta divisa in due


parti. La prima ha a tema il principio teoretico: I' Io si pone
come determinato dal Non-Io, e procede sino al fatto della
immaginazione produttiva come« un fatto dello spirito umano ».
La seconda parte rifà, in certo senso, il processo inverso:
parte da questo fatto e sale sino al principio speculativo. Il
problema della prima ricerca è « cercare se e con quali deter-
minazioni possibili il principio .... esposto sia pensabile 111. Il
problema della seconda è sollevare questo fatto alla coscienza,
determinare, cioè, come I' Io intuente (l' Io della immagina-
zione produttiva) giunga alla coscienza di sé come di un Io
determinato da un Non-Io 2. La prima parte è una produzione
dello spirito umano che produce non soltanto l'oggetto della
riflessione, ma anche la forma della riflessione. La seconda è,
invece, determinata come «storia pragmatica dello spirito
umano •. Su questa ricerca seconda, la quale non procede
più su «ipotesi » ma su « fatti » Fichte così si esprime nel
Grundriss des Eigentumlichen der W. L.: <<Il metodo della
W. L. teorica è già descritto nella Grundlage ed esso è facile
e semplice. Il filo conduttore è costituito dal principio assolu-
tamente e sovranamente regolatore: niente arriva a l'Io
che esso non ponga in sé. Noi poniamo a fondamento il fatto

1 G""ndlage, p. 219.
i G""111dlage, pp. 221-222.
46 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

dimostrato precedentemente [il fatto della immaginazione


produttiva o della intuizione] e vediamo come lIo ponga in
se stesso questo fatto. Questo porre è ugualmente un fatto
e deve ugualmente dall' Io essere posto e cosi via sino a che
noi perveniamo al supremo fatto teoretico, cioè al fatto, nel
quale lIo (con coscienza) si pone come determinato dal
Non-Io. Cosi la W. L. teoretica ha il suo termine con il primo
principio, ritorna in se stessa e si chiude perfettamente in
se stessa» 1.
Questa seconda parte ha a suo tema la Deduzione della
rappresentazione, e la replica che essa compie della Deduzione
della immaginazione (prima parte), è il passaggio dal fatto
della riflessione filosofica: I' Io si pone determinato dal Non-Io,
alla coscienza dell'Io come cosciente del proprio determinarsi
come determinato dal Non-Io.
In generale, la ricerca o meglio la costruzione della possi-
bilità: lIo si pone come determinato dal Non-Io, è il còmpito
della parte teorica della W. L. Questa proposizione è una
sintesi. Come essa è stata ottenuta, è ora da vedere.
Abbiamo già detto della sintesi che il terzo principio con-
tiene in sé, dell'Io e del Non-Io. Questa sintesi è la piil alta,
dacché in essa è tutta la realtà e tutta la negazione; e su di
essa «si fonda la forma del sistema», cioè il suo procedere per
sintesi. Ma che ci sia il sistema, ciò si fonda sulla tesi asso-
luta: I' Io pone se stesso assolutamente, in quanto è essa
tesi a determinare la produzione sintetica in vista della unità
assoluta 2 • «Tutte le sintesi esposte debbono essere implicite
nella sintesi suprema.... e potersi sviluppare da essa • J.
Tale deduzione ha inizio nella ricerca degli opposti con-
tenuti nella proposizione del terzo principio. Non è questo
il procedimento della analitica trascendentale kantiana ?
Infatti, con il terzo principio Fichte dichiara di aver risposto

1Grundriss d1s Eig11ntumlich1n dir W. L., S. W., bd. I, p. 333.


iGrundlag1, p. n5. • Die Form des Systems grlindet sich auf die
hOchste Synthesis; dass iiberhaupt ein System sein solle, auf die abso-
lute Thesis •·
3 Grundlage, p. n4.
LA DEDUZIONE DELLA RAPPRESENTAZIONE 47

alla domanda: come sono possibili i giudizi sintetici a priori ?


Essi sono possibili mediante la «sintesi fondamentale»•.
Il còmpito è ora pensare, meglio, concepire questa stessa
possibilità. Non ci si trova allora in una situazione equivoca,
in quanto il còmpito o il sistema della W. L. appare doversi
svolgere come ricerca della possibilità di una possibilità ?
Ritorniamo alla deduzione del terzo principio. Che esso
sia condizionato quanto alla forma, significa che i due prin-
cipii determinano il problema che esso deve risolvere. La sua
materia, però, (la conciliazione della antitesi Io-Non-Io}
è incondizionata. Con il concetto della divisibilità, esso ha
compiuto una sintesi. Questa sintesi è o no la sintesi fonda-
mentale, la sintesi, cioè, che ha in sé implicite tutte le sin-
tesi ? Esso lo è, indubbiamente. Ma allora, e proprio in quanto
tale sintesi non si lascerà pensare, in quanto in essa perman-
gono opposti non conciliati, il concetto di divisibilità non la
. esaurisce, non ne esprime la intera realtà, ma soltanto un
elemento.
È da dire, allora, che se la sintesi fondamentale è data
dal terzo principio: Io oppongo all'Io divisibile un Non-Io
divisibile, essa, però, non è stata con ciò stesso concepita.
Cosi si chiarisce entro quali limiti debba essere intesa l'af-
fermazione fichtiana di avere già il problema kantiano tro-
vata la sua soluzione. La soluzione è, infatti, data dalla sin-
, tesi suprema.
Ma ciò che è soluzione per la Critica, è problema per la
W. L. Per chiarire questo punto basti ripensare alla soluzione
kantiana, che ha il suo centro nella « immaginazione trascen-
dentale » e nello « schematismo trascendentale ». La prima
rimane «funzione oscura» 2, e il secondo «un'arte nascosta
nel profondo dell'anima umana ». Ora noi vedremo che lo
sforzo fichtiano sarà teso vigorosamente alla loro chiarifi-
cazione e cioè alla loro pensabilità.
Il principio della parte teoretica: .1' Io si pone come limi-

• Grundlage, p. II4.
i KANT, Kritik der reinen Vernunft, 1781, p. 78.
48 LA W. L. DEL r794. CRITICA E FILOSOFIA

tato dal Non-Io, è dedotto dalla riflessione sulla «sintesi


fondamentale» che la contiene insieme all'altra, principio
della parte pratica: l'Io pone il Non-Io come determinato
dall' Io. Queste due produzioni sono ora poste in antitesi
dalla riflessione, la quale, però, proprio perché le pone come
tali, deve presupporre «come già avvenuta » 1 la sintesi che le
comprende. Cosi si chiarisce il carattere analitico della ri-
cerca fichtiana in questo primo momento della ricerca. « Gli
atti che sono esposti, sono sintetici, ma la riflessione che li
espone, è analitica» i.
Già si è avuto modo di mettere in rilievo la oscurità del
passaggio dalla quantitabilità al quantum. Ma ora siamo in
grado di darne giustificazione.
Come è già stato anticipato, il primo momento della parte
teoretica è la deduzione della immaginazione produttrice.
Essa come sintesi deve essere allora presupposta all'analisi
della sua pensabilità, presupposta, s' intende, come fatto e
perciò come problematica. Al termine della deduzione Fichte
cosi si esprime: « Il nostro còmpito era di ricercare se e con
quali determinazioni fosse pensabile il principio problemati-
camente esposto » 3. Ma all' inizio lo stesso principio è dato
«come certo, perché lo si può dedurre dalla proposizione su
esposta 11, cioè dalla sintesi fondamentale 4. La contraddizione
è insuperabile se non si chiarisce in che il nuovo momento della
ricercasi distingue da quello precedente che è quello deiprincipii.
La distinzione può essere colta, interpretando il primo
momento come momento ascendente, cioè come un'analisi
che condiziona e determina la possibilità della autocoscienza
- e allora la sintesi fondamentale ha questo senso: non c' è
soggetto senza oggetto -, e il secondo momento come di-
scendente sino al fatto fondamentale della immaginazione,
cioè deduttivo. Questo allora risulta: il principio teoretico è

1 KANT, Kritik, p. 141.


i Grundlage, p. 125.
3 Grundlage, p. 124.
4 Grnndlage, p. 219.
LA DEDUZIONE DELLA RAPPRESENTAZIONE 49

certo come condizione deJla stessa sintesi fondamentale;


esso, però, è problematico quanto al suo contenuto. La dedu-
zione della immaginazione è, infatti, la sua stessa pensabilità,
non già ancora, si badi, per lIo stesso, ma per la riflessione
filosofica.
Ora, il passaggio dalla quantitabilità al quantum si compie
proprio come passaggio dalla condizione al condizionato.
E ciò indica il passaggio dall'analisi trascendentale (processo
ascendente) alla deduzione (processo discendente). Ma questa
interpretazione non illumina in modo soddisfacente. Una certa
perplessità permane in chi ripete.
Nella esposizione dei principii la sintesi fondamentale è
posta come condizione dell'autocoscienza. Nella deduzione
essa acquista sempre più la figura di un fatto intellettualmente
intuito. ·
E allora, se, da una parte, la sintesi della determinazione
si risolverà nella sintesi della determinabilità (Bestimmbar-
keit) come nella sua condizione, quest'ultima, che è quella
della immaginazione, si porrà, dall'altra, come « factum dello
spirito umano» 1.
Il ritmo, con il quale in questo primo momento la W. L.
procede, è abbastanza semplice. Il còmpito è concepire, rea-
lizzare l'unità sintetica dell'Io e del Non-Io. E questo còm-
pito si realizza, conciliando di volta in volta gli elementi
ancora irrisolti nella sintesi fondamentale.
Dalla analisi della proposizione teoretica risulta una con-
traddizione: il Non-Io determina l'Io, l'Io determina se
stesso. Le due proposizioni debbono essere conciliate. Si vedrà
che la prima è il principio del realismo qualitativo, e la se-
conda dell'idealismo anch'esso, però, qualitativo. L'una e
l'altra, considerate fuori della antitesi, non giustificano, anzi
rendono impossibile la coscienza teoretica. La prima, infatti,
se può spiegare la limitazione dell'Io mediante il Non-Io,
non può assolutamente giustificare la coscienza che I' Io ha
di questa limitazione. La seconda giustifica la coscienza, ma

1 Grundlage, p. 219.
50 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

non il fatto che 1' lo riporti al Non-lo le proprie limitazioni.


Nel manoscritto del 1793 Fichte riporta le due proposizioni
al dualismo kantiano di sensazione esterna ed interna, ten-
tando cosl la deduzione dello spazio e del tempo, dalle èate-
gorie di relazione di cui qui si fa discorso 1 • Ma di ciò più
niente. Anzi le categorie di relazione vengono esplicitamente
esposte come fuori da ogni limitazione temporale e spaziale 2 •
Il perché può trovarsi nella liberazione che la W. L. te-
stimonia, dal concetto della cosa in sé, laddove il manoscritto
ci dà un Fichte ancora in parte reinholdiano. La contraddi-
zione dell' lo che è attivo e passivo nella stessa determina-
zione, viene superata nella sintesi di reciprocità. « L' lo pone
in sé negazione, in quanto pone realtà nel Non-lo, e realtà
in sé in quanto pone negazione nel Non-lo; esso si pone, dunque,
come determinantesi, in quanto viene determinato; e si pone
come essente determinato in quanto determina sé stesso » 3.
Ma con ciò non si è superata 1' intera difficoltà. L'Io non
contraddice se stesso come as!"oluta realtà? Non solo, ma con
la determinazione rèciproca « l'unità di coscienza è distrutta:
l'Io è realtà, ed il Non-Io ugualmente realtà; ed ambedue
non sono più opposti, e l' Io non è = lo, ma = Non-Io» 4.
Deve allora procedersi alla soluzione della contraddizione ivi
contenuta. Come possono Io e Non-Io, che per la determina-
zione reciproca non possono venir distinti, essere distinti,
come pretende l'unità di coscienza ?
La distinzione è guadagnata con la chiarificazione di ciò
che è realtà. Realtà è attività. Questo risulta dal concetto
dell' Io come « 1' immediato e assolutamente posto » s. Ma
come può, allora, essere evitata la contraddizione dell'Io,
che, assoluta realtà, è ora nella determinazione reciproca non
più la intera realtà ? Soltanto con il riconoscimento che « il
Non-Io, come tale, non ha in sé realtà alcuna, ma esso ha realtà

J KABITZ, op. cit., p. 74 e seg.


2 Grundlage, p. 137·
3 Grundlage, p. 130.
4 Grundlage, pp. 133-134.
S Grundlage, p. 134·
LA DEDUZIONE DELLA RAPPRESENTAZIONE 5I

in quanto l' lo patisce» 1 • Con questa sintesi, che è quella della


causalità, viene specificato a quale dei due termini nella
relazione reciproca compete realtà e a quale negazione. La
determinazione dell' Io non può concepirsi se non in quanto
lIo attribuisce al Non-Io una parte della sua realtà, se non
in quanto il Non-Io è attivo. Ma come può nell'Io essere
posta passività? èome può, cioè, lIo determinarsi, essere
insieme attivo e passivo ?
Questa contraddizione è contenuta nella proposizione:
l' Io si determina. In essa I' Io in quanto determinante è
attivo, passivo in quanto determinato. Il còmpito è provare
se e come (ob und wie) possa essere pensato che «l'Io deter-
mini con l'attività l• propria passività, o con la passività, la
propria attività 11 3 •
Ogni determinazione esige una misura (Massstab). La mi-
sura qui non può essere che I' Io in quanto è !'assolutamente
posto. Come tale, esso comprende in sé tutte le quantità.
In quanto passività è non attività, essa non può venir deter-
minata se non riferendola alla attività, con la quale deve avere
un fondamento di relazione: la quantità 3. L' Io si determina
in quanto la sua attività è diminuita. Il quantum di attività
è cosi passività per rapporto alla totalità dell'attività, e atti-
vità per rapporto al Non-Io. L'Io è, di conseguenza deter-
minante (attivo) con il suo assoluto porsi, ma passivo nel suo
essersi determinato. Questo atto sintetico dell' Io è la cate-
goria della sostanzialità 4. Se si pone in rapporto questa cate-
goria con quella di causalità, si trova che esse sono uguali
in quanto opposte alla categoria di relazione (reciprocità
indifferente), ma opposte tra loro a mezzo proprio di quella
opposizione. Nella causalità la passività determina l'attività;
nel concetto di sostanza è, invece, l'attività che determina la
passività 5.

1 Grundlage, p. 135·
3 Grundlag11, p. 137·
3 Grundlage, p. 138.
4 Grundlag11, p. 142.
5 Grundlage, p. 142.
52 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

L'Io è sostanza. Il suo determinarsi è, cosi, accidentale.


Ma è per questa accidentalità che esso è sostanza, si pone
come sostanza.
Le due sintesi di causalità e sostanzialità corrispondono al
realismo e all'idealismo dommatici e qualitativi. Con il primo
l' Io è determinato, ma non ha coscienza del proprio limite 1;
con il secondo esso ha coscienza delle proprie determinazioni,
ma nçm del Non-Io 2. Il problema della coscienza teoretica
non è cosi risolto. Se ritorniamo a riflettere sulle due sintesi,
troviamo che l'una rimanda all'altra. Con il concetto di causa-
lità, infatti, si determina che nell'Io deve essere posto tanto
di passività quanto di attività nel Non-Io. Ma come può
porsi nell' Io passività ? A questa domanda si risponde con
il concetto di sostanzialità, mediante cui attività e passività
sono nell'Io la stessa cosa. Ma come può l'Io porre in sé
passività ? Rispondere con l'attribuire il perché alla attività
del Non-Io, è un non rispondere, in quanto l'attività stessa
del Non-Io presuppone la passività dell' Io.
Siamo di fronte a la contraddizione seguente: se 1' Io
si pone come determinato, allora esso non è determinato dal
Non-Io; se esso è determinato dal Non-Io, esso non si deter-
mina. Il che significa che con il concetto di causalità l'Io
pone attività nel Non-Io, ma non pone in sé passività; e che
con il concetto di sostanzialità, esso pone in sé passività ma
non pone nel Non-Io attività. Le due sintesi, fatte agire iso-
latamente, non spiegano la coscienza teoretica, anzi si annul-
lano l'un l'altra. Ma esse sono necessarie, e allora esse debbono
valere ma soltanto in parte e in questo senso: I' Io pone in
parte la passività in sé in quanto pone in parte la attività
nel Non-Io, e viceversa. L'attività che condiziona il reciproco
condizionarsi delle due sintesi deve essere una attività indi-
pendente 3. Ma essa, che contraddice alla determinazione
reciproca di attività e passività nell' Io e nel Non-Io, non deve
né distruggere né essere distrutta dalla reciprocità.
1 Grundlage. pp. 146-147.
2 Grundlage, pp. 147-148.
3 Grundlage, p. 149.
LA DEDUZIONE DELLA RAPPRESENTAZIONE 53

Attività indipendente e attività dipendente sono opposte


conie realtà e negazione. La conciliazione è possibile mediante
quel concetto che concilia gli opposti, la determinazione reci-
proca. L'attività indipendente deve allora essere pensata
determinata da quella· reciproca e viceversa. Si hanno così
da costruire due sintesi, le quali saranno, a loro volta, unificate
in una terza sintesi.
La prima sintesi ha a suo problema: come sono possibili
i termini stessi della reciprocità? Essa, cioè, si occupa della
materia della relazione ed ha da presentare l'attività indipen··
dente come determinata quanto alla sintesi della causalità e
quanto a quella della sostanzialità. Concepire in che senso
l'attività indipendente è determinata dalla reciprocità, è
ricercare il fondamento materiale di questa reciprocità, qui
presupposta quanto alla forma.
Per ciò che concerne la sintesi di causalità, è ancora ri-
masto senza risposta il perché nell'Io venga posta una passi-
vità. Questa ragione non può essere trovata nell'Io, «non
può procedere dall'Io, immediatamente dalla sua essenza
originaria» 1 • Il fondamento reale, (Realgrund), in virtù del
secondo principio non può trovarsi che nel Non-Io. Dunque,
a mezzo della determinazione reciproca, vien posta una atti-
vità indipendente nel Non-Io a.
ldealgrund e Realgrund sono qui opposti; e l'opposizione è
data dall'essere attività e passività pensate qualitativamente
diverse. Questa è la posizione del realismo dommatico.
Se nel concetto di causalità è a tema il fondamento reale,
nel concetto di sostanza è, invece, a problema il fondamento
di relazione, del come, cioè, ]'Io si ponga come determinato.
La negazione (attività diminuita) non può avere il suo fonda-
mento nel Non-Io, perché in tal caso ad essa mancherebbe
quella possibilità di riferimento alla totalità della attività
che la determina. Ma proprio per tale riferimento, essa deve
essere attività dell'Io e prendere quel carattere «che non può

1 Grundlage, p. 15 4 .
2 Gvundlage, p. l 54.
54 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

essere attribuito al Non-Io ... , il porre ed esser posto as.çolt4-


tamente e senza fondamento alcuno» r.
Questa attività che, in quanto assoluta,· è indipendente, ha
la sua limitatezza in ciò che essa è un rappresentare, e viene
per tanto detta immaginazione (Einbildungskraft).
Per ciò che concerne la forma, è ora l'attività indipendente
che deve determinare l'attività reciproca o dipendente. Se
nel primo caso si ha una semplice riflessione sul fenomeno, si
ha qui «una riflessione sulla riflessione: la riflessione del filo-
sofo » 2. Si ha allora, che la forma della reciprocità - il pas-
saggio (Ubergehen) - è possibile per ciò che l'Io trasporta o
riflette la propria attività sul Non-Io che è passivo ma che
diventa attivo proprio mediante tale riil.essione.
Nella sostanzialità non si ha come nella categoria di cau-
salità, un trasportare (Ubertragen) ma un escludere (Aussch-
liessen).
Se nel primo caso la forma della reciprocità è un porre
mediante un non porre - ein Setzen durch ein Nicht-setzen 3 - ,
qui si ha invece, ein Nicht-Setzen vermittelst ein Setzen 4. La
reciprocità è possibile mediante il fatto che ciò che è posto
nella totalità assoluta, non è posto nella attività limitata
ed è, quindi, considerato «fuori di essa» s.
In tal modo, l'Io, attività indipendente, si determina
come dipendente. L'attività indipendente e la reciprocità si
debbono ora reciprocamente determinare. Ma è necessario
prima conciliare in ciascuna di esse i due concetti {formale e
materiale) che sono risultati in precedenza. Questa concilia-
zione deve avvenire, anch'essa, <(mediante la sintesi della
determinazione reciproca» 6.
Secondo la forma, l'attività indipendente è un passare
{un Ubergehen che è un Ubertragen o un Entaussern) dal-

1 Grundlage, p. 159.
2 Grundlage, p. 162.
3 Grundlage, p. 162.
4 Grundlage, p. 164.
5 Grundlage, pp. 164-165.
6 Grundlage, p. 166.
LA DEDUZIONE DELLA RAPPRESÈNTAZIONE 55

l'un termine all'altro. Secondo la materia, ciò che pone nei


termini è ciò che rende possibile il passaggio•. Quale la rela-
zione?
Se poniamo l'attività formale come determinante la mate-
riale, abbiamo la posizione dell'idealismo dommatico; se,
invece, la materiale, quella del realismo. La forma e la ma-
teria debbono unificarsi nella determinazione del fondamento
del passaggio com<! reale e ideale insieme, del passaggio, dun-
que, come « durch sich selbst begrundet »i.
Debbono ora determinarsi reciprocamente i due concetti
della attività dipendente (der Wechsel).
La forma è il reciproco connettersi (das Eingreifen) dei
termini, la materia la loro reciproca attività-passività. La
determinazione reciproca avviene mediante il fatto che non
c'è azione dell'un termine senza l'attività materiale, e non
c' è passività-attività senza l'attività formale 3.
L'attività indipendente e l'attività dipendente si deter-
minano reciprocamente: « kein Eingreifen, kein UbergehM,
kein Ubergehen, kein Eingreifen ». Si ha cosi un circolo. «Tutto
riproduce se stesso, e non c' è nessun hiatus possibile 11 4.
Dopo avere esposto in generale e programmaticamente
quello che si deve compiere per pervenire alla sintesi suprema,
Fichte passa alla costruzione così progettata nelle due cate-
gorie, causalità e sostanzialità. Per ciò che concerne la prima,
bisogna anzitutto costruire la unità sintetica dell'attività
indipendente quanto alla forma e alla materia. Il risultato
della reciprocità del porre mediante un non-porre, e della
attività del Non-Io come fondamento della passività nell'Io,
viene esposto come superamento dell' idealismo e del realismo
dogmatici nell' idealismo critico.
Tale sintesi, se distrugge la stessa possibilità della do-
manda: qual è il fondamento della passività nell' Io ?, perché
nell' Io non c' è una passività pura, non può, a sua volta,

1 Grundlage, p. 167.
i Grundlage, p. 167.
3 Gl'undlage, pp. 168-69.
4 Grundlage, p. 170.
56 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

rispondere sul perché della intera reciprocità. Se essa rispon-


desse, infatti, che tale reciprocità c' è perché c' è, essa ver-
rebbe ad esprimere un giudizio tetico, che non può ad essa
venire attribuito, in quanto è dell' Io ed assolutamente. La
criticità di questo idealismo consiste proprio in questo suo non
assolutizzarsi. Detto altrimenti, la sua sintesi rimane sintesi,
e non si pone come tesi. Esso è, però nega, e nega perché può
negare, l' idealismo e il realismo qualitativi, che rappresen-
tano della sua sintesi l'assolutizzazione a sintesi delle due
antitesi 1 •
Sono ora poste come unità sintetica la forma e la materia
della reciprocità nella causalità. La forma è qui un «sorgere
mediante un trapassare (ein Entstehen durch Vergehen); la
materia è una «opposizione essenziale» (incompatibilità dal
punto di vista della qualità). Il risultato è: il Non-Io non ha
realtà se non in quanto è posto mediatamente dall' Io come
causa della propria passività i. La sintesi suprema della causa-
lità è la unità sintetica del porre mediato (tesi) e della oppo-
sizione reale-ideale (antitesi). La reciprocità è determinata
dalla attività, vuol dire: la mediatezza del porre determina
la identità della « opposizione essenziale » e dell' « annulla-
mento reale». Se, infatti, i termini (l'Io e il Non-lo) della
reciprocità fossero posti immediatamente, cioè non l'uno
mediante l'altro, essi esisterebbero astratti dalla loro opposi-
zione, non sarebbero, quindi, termini puri della reciprocità,
cioè termini, il cui essere consiste nella contrapposizione.
La identità della loro opposizione essenziale e del loro
reciproco distruggersi, è cosi condizionata dalla mediatezza
del porre. In questa mediatezza è già possibile riconoscere la
legge della coscienza: nessun soggetto senza oggetto, nessuno
oggetto senza soggetto 3. Essa, in quanto è questa condizione,
non può essere fondata su riessuno dei due ed è così posta
qui necessariamente come assoluta. In questa assolutizza-

J Grundlage, pp. 171-178.


i Grùndlage, pp. 179-181.
3 Grundlage, p. 183.
LA DEDUZIONE DELLA RAPPRESENTAZIONE 57

zione della mediatezza del porre consiste l' idealismo quanti-


tativo. L'idealismo qualitativo rendeva possibile soggetto
e oggetto mediante la negazione di una attività in sé, ma non
ne dava il fondamento, cc Le rappresentazioni li in tale idea-
lismo «si sviluppavano in una maniera per noi incognita e
inaccessibile» 1. Qui, invece, l'attività ha la legge in se stessa.
Essa è un'attività mediata e il suo principio è: «l'Io è finito
assolutamente perché è finito li 2.
Se la determinatezza della unità sintetica della recipro-
cità da parte della mediatezza del porre, fonda un idealismo
quantitativo, il rovesciamento del determinato in determi-
nante fonda il realismo quantitativo, in quanto l'opposizione
essenziale è posta come fondamento della mediatezza.
La verità di questo rovesciamento è in ciò: se l'essenza
dei termini opposti non consiste nella opposizione pura (Entge-
gensein), mediante la non-posizione dell'uno, secondo la sua
intera essenza, non si ha la posizione dell'altro 3. L'opposi-
zione essenziale è qui posta necessariamente come fondamento
della mediatezza del porre. Questa è la formula del realismo
quantitativo. Esso non pone, come il realismo qualitativo,
una attività del Non-Io, e si limita ad affermare «la reale esi-
stenza d'una limitazione dell' Io li 4 ma, si badi, senza coope-
razione dell'Io 4, Esso supera e distrugge il realismo qualita-
tivo, dacché prende coscienza che il Non-Io è posto soggetti-
vamente mediante il principio di ragione, e non scambia più
questa esigenza soggettiva con una realtà in sé. Ma come
spiega allora la determinazione reale dell'Io? Esso non la
deduce a mezzo di una attività assoluta, come I' idealismo
qualitativo, né a mezzo di una «legge di una natura stessa
dell' lo li come I' idealismo quantitativo. La determinazione
è qui contingente s Esso, come tale, si identifica con l'idea-
lismo critico.
1 Grundlage, p. 184.
2 Grundlage, p. 184. « Das Ich ist endlich, schlechthin weil es en-
dlich ist ». I
3 Grundlage, p. 185.
4 Grundlage, p. 185. /
5 Grundlage, p. 187.
58 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

Ambedue danno come fatto non riconducibile a un prin-


cipio superiore, la rappresentazione. In questo realismo critico
Fichte individua il limite della posizione kantiana: dalla
realtà della determinazione nell' Io come si passa alla sua
idealità, cioè come può I' Io porre come sua questa limita-
tezza posta in sé ?
L' idealismo quantitativo manifesta su questo problema
una sua superiorità, in quanto nega che vi sia un passaggio.
L' Io è, per esso, inizialmente per sé determinato. La sua in-
feriorità è, d'altra parte, proprio in questo porre assoluta-
mente la finitezza. « Assoluta finitezza è un concetto in sé
contradditorio » 1 . Da questa contraddizione è, invece, fuori
il realismo critico che postula l' Io assolutamente per sé illi-
mitato (sua assoluta spontaneità), in quanto pone la fini-
tezza non più come legge stessa dell' Io, ma del tutto con-
tingente.
Il còmpito della W. L. è, dunque, la loro conciliazione
in un idealismo quantitativo critico. L'idealismo configura il
fondamento della determinazione (o rappresentazione, non
c'è oggetto senza soggetto) o viceversa, nel porre mediato
e, quindi, in una legge soltanto ideale e soggettiva. Il realismo
quantitativo, invece, non lo pone nell' Io, cioè non pone
nell'Io il fondamento della passività. E dove esso lo abbia,
rimane una ricerca esclusa. La sintesi della attività e della
reciprocità nella causalità è data come unità di ciò che pone
e di ciò che è posto. Il che vuol dire che la legge della deter-
minazione non deve essere soggettiva o oggettiva, ma sog-
gettiva e oggettiva insieme, nel senso che I' Io non può es-
sere posto se non è posto il Non-Io, e viceversa. Questa sin-
tesi non è possibile che « se il posto nel rapporto e il ponente
sono una sola cosa, cioè se il posto nel rapporto è l'Io» 2 •
Questa sintesi non è la suprema perché rimane senza risposta
il perché lIo debba porre 3.

1 Grundlage, p. 187.
z Grundlage, p. 188.
3 Grundlage, p. 189.
LA DEDUZIONE DELLA RAPPRESENTAZIONE 59

Nella determinazione della sostanzialità si ha un non-porre


mediante un porre, cioè un escludere. L'Io in quanto si de-
termina, esclude da sé un indeterminato (B). Ma con l'atto
stesso mediante cui si determina come totalità assoluta, esso
non si determina come totalità. Si ha così un'antitesi della
sostanza come determinata (l'attività dell'Io che si deter-
mina e per ciò esclude da sé il Non-Io) e della sostaza inde-
terminata. Dato che il non-porre mediante un porre è un porre·
il Non-Io, dire che il porre oggettivo determina l'attività della
sostanza indeterminata (e comprensiva tanto della sfera
dell'Io quanto di quella del Non-Io) è ripetere la posizione
dell' idealismo quantitativo. Ma porre l'attività materiale
come determinante l'attività formale, è ripetere il realismo
qualitativo, in quanto la determinazione dell' Io non po-
trebbe essere condizionata che dall'esserci del Non-Io. Il
Non-Io sarebbe, infatti, la cosa in sé, alla quale I' lo rappre-
sentante dovrebbe adeguarsi 1 •
L'unità sintetica come sintesi di· soggettivo e oggettivo, è
una comprensione (Zusammenfassen) e una fissazione degli
opposti, nel concetto di determinabilità. « Poiché l' Io deve
escludere alcunché da sé, deve esserci ed essere posta una
sfera superiore, e poiché v' é ed è posta una sfera superiore,
l'Io deve escludere alcunché da sé 11 i.
La determinabilità è così il termine medio che rende pos-
sibile il coesserci del soggettivo e dell'oggettivo senza un loro
reciproco distruggersi.
Debbono ora, come già nella categoria di causalità, la
forma e la materia della reciprocità essere poste in unità
sintetica. La forma della reciprocità è la «mutua esclusione
(Ausschliessen) dei termini dalla reciprocità assoluta» 3. La
materia è la determinabilità presupposta per la possibilità
della reciprocità delle due totalità. Senza di essa, la totalità
sarebbe o l'una o l'altra (o l'Io, o l'Io e il Non-Io, A o A+ B).

1 Grundlage, p. 194.
3 Grundlage, p. 19•·
3 Grunrllage, p. 195.
60 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

La tesi che la forma determina la materia, che, cioè, il


reciproco escludersi determini il distinguersi delle due tota-
lità, pone assolutamente la relatività della determinazione.
L'antitesi: la materia determina la fonna, dà come reale
la possibilità della determinazione della totalità assoluta,
ma essa non dà I' x, secondo il quale essa ha luogo. Forma
e materia debbono reciprocamente determinarsi, cioè «la
relazione deve essere assoluta e ciò che è assoluto non deve
essere di più che una relazione» 1. La sintesi deve affermare
che nessuna totalità di quelle sinora considerate, è la tota-
lità cercata e che questa consiste nel loro reciproco determi-
narsi. Le due sfere sono: l' Io si pone e I' Io pone un oggetto.
Il loro determinarsi dà come risultato che la determinazione
dell' Io consiste nella determinabilità per mezzo del sog-
getto e dell'oggetto. Tale determinabilità determinata è la
sostanza cercata. Il suo primo prodursi è un Sich-Entaussern,
un Sich-von-Ausschliessen. Tale alienazione di sé, si realizza
in quanto I' Io deve escludere da sé un qualcosa. Questo qual-
cosa deve allora essere considerato posto in esso indipenden-
temente dalla esclusione. Ma come esso lo sia, questo.rimane
11 del tutto incomprensibile» z.

Con l'avvicinarsi alla suprema sintesi, la determinabilità,


è necessario ripetere ciò che sta a tema in questa ricerca, e
perché questa ricerca si determini come deduzione dalla im-
maginazione produttiva.
Siamo partiti dall'analisi della proposizione: l' Io si pone
come determinato dal Non-Io. E il problema è come tale
fatto si lasci concepire. Ora, è chiaro che questa proposizione
esprime la struttura stessa della rappresentazione, struttura
in sé contradditoria.
Se vogliamo ripetere questo problema nella fondazione
kantiana, si fa evidente che Fichte qui ne rifiuta la solu-
zione, che è poi una distruzione della contraddizione della
rappresentazione, che è in sé attività e passività insieme.

1 Gl'undlage. p. 199.
z Grundlage, p. 202.
LA DEDUZIONE DELLA RAPPRESENTAZIONE 61

Kant, infatti, riporta i due momenti antitetici a due facoltà


eterogenee, senso e intelletto. Tale posizione è individuata
come idealismo quantitativo coincidente con il realismo cri-
tico. Essa riconosce come assoluta ed originaria una passi-
vità dell'Io. Ma la rappresentazione con ciò non è dedotta.
Dire che passività ed attività sono da riportarsi a due di-
stinte facoltà dello spirito umano, non spiega come passività
e attività possano coesistere nella rappresentazione. I due
momenti in sé sono momenti della sintesi, che è la rappre-
sentazione, ma non la sintesi stessa. Kant pone, è vero, questa
sintesi come immaginazione trascendentale, ma non si serve
di essa per superare l'assolutezza della passività nell' Io, e
questo egli non può farlo in quanto la rappresentazione nella
analitica trascendentale, rimane un presupposto come è un
presupposto che l'Io sia in sé rappresentante.
Fichte vuol dedurre questo presupposto, vuole, cioè de-
durre la determinazione dell' lo come posta dall' lo e per
l'Io stesso. La determinazione deve allora essere posta come
determinabilità, come còmpito che l' lo ha da sé di determi-
narsi. Senza una facoltà che è in sé attività e passività, la
rappresentazione non è possibile. Questa facoltà è la immagi-
nazione produttiva, la «più meravigliosa», <<che sopravviene
tra momenti che dovrebbero mutualmente distruggersi, e
cosi li conserva entrambi»; essa è «quella facoltà che, sola,
rende possibili la vita e la coscienza» 1 •
La sintesi che si produce come immaginazione produttiva,
è la sintesi della attività indipendente (ein absolutes Zusam-
menfassen) e della attività dipendente (der W echsel, ein abso-
lutes Zusammentreffen). Le due attività, la comprensione degli
opposti e il loro incontro, si condizionano reciprocamente come
infinitezza e limitazione in quanto esse non pongono realtà,
ma la rappresentano.
Questa idealità della immaginazione ora va posta in rela-
zione con l'incontro o l'urto (Anstoss) che si produce nella
attività infinita dell' lo. Questo è un punto decisivo nella

1 Grundlage, p. 204.
62 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

intera deduzione. L' Anstoss non si produce nell'Io rappre-


sentante, cioè nell' Io come immaginazione produttiva; esso
in generale è una determinazione ma non per l' Io rappre-
sentante.
L' Io si pone come determinato dal Non-Io, in qu~nto
rappresenta e quindi produce l'oggettivo come rappresen-
tante una realtà indipendente. Questo còmpito di produrre
l'immagine di un Non-Io, è deducibile da una attività infi-
nita dell' lo. Se l'attività u non andasse all' infinito, allora da
una limitazione di esso non seguirebbe punto che un urto è
accaduto nella sua attività» 1.
Ma senza l'urto l' Io non si limiterebbe. L' Anstoss è così
condizionante e condizionato. Nell' Anstoss, l'incontro, l'asso-
luto incontrarsi, è configurata manifestamente la causalità;
nella attività infinita la sostanzialità. L' lo deve limitarsi
ma per ciò che pone il limite, esso lo supera ed è infinito, ma
proprio perché infinito, esso si determina come infinito, quindi
limita sé stesso, distingue sé stesso dalla propria infinità.
«Questo scambio (Wechsel) dell'Io in e con se stesso, in cui esso
si pone in pari tempo come finito ed infinito - uno scambio,
che consiste quasi in una lotta con se stesso, e che perciò
riproduce se stesso, poiché l'Io vuole conciliare l' irreconci-
liabile, ed ora tenta di accogliere l'infinito nella forma del
finito, ora, respinto, pone di nuovo l' infinito fuori di quella
forma, e, nello stesso momento, tenta un'altra volta di acco-
glierlo nella forma della finità - questo scambio è la facoltà
della immaginazione» 2. Essa si libra (schwebt) tra la determi-
nazione e la indeterminazione; essa produce il Non-lo, ma
questa produzione non appare come tale, poiché essa è senza
coscienza, anzi è condizione della coscienza, ed avviene u zum
Behuf der Miiglichkeit alles Bewusstseins » 3.
La immaginazione produttiva è cosi la facoltà fondamentale
dell' lo teoretico, ma essa non si lascia concettualizzare, non

1 Grundlage, p. 213.
2 Grundlage, p. 215.
3 Grundriss des Eigentiimlichen der IV. L., S. W. bd. I, -p. 343.
LA DEDUZIONE DELLA RAPPRESENTAZIONE 63

può essere appresa che da se stessa 1 • In tal modo il processo


dialettico ha qui il suo arresto. Oltre non può procedere. Il
suo còmpito era di dover pensare la conciliazione degli op-
posti, ma gli opposti non si lasciano conciliare, essi si lasciano
soltanto intuire dalla immaginazione 2 • E poiché ogni realtà
- s' intende, per noi - è una produzione sua 3, la immagina-
zione è anche la facoltà fondamentale della filosofia 4.
Ma essa non esprime l' Io nella sua più alta facoltà. Essa,
infatti, si lasciò dedurre dal postulato che deve esserci una
rappresentazione, postulato compreso nella proposizione:
l'Io si pone determinato dal Non-Io s.
La immaginazione trascendentale (sintesi) non raggiunge
la tesi (l'Io assoluto), ed è cosi che «nel campo pratico l' im-
maginazione procede all'infinito, fino alla idea assolutamente
indeterminabile, della suprema unità 6.
Fichte rimane in tal modo dentro i limiti della posizione
kantiana. Come già nella Critica, la immaginazione produt-
tiva non esprime nella W. L. che l'Io teoretico, non l'Io nella
sua interezza. Da ciò il dualismo di ideale e reale che domina
la Dottrina della Scienza in questo suo primo momento,
dualismo che la esposizione del 1798 supererà, approfon-
dendo la natura della immaginazione trascendentale, non
limitandola più a facoltà teoretica, una volta superato il
dualismo di teoretico e pratico, mediante l'acceciere alla filo-
sofia come metafisica e non più, quindi, come critica del co-
noscere e del fare, e per ciò delle facoltà già presupposte dello
spirito umano.

1 Grundriss, p. 284. « Einbildungskraft .... nicht anders. als durch


Einbildungskraft aufgefasst werden kann ».
2 Grundlage, p. 227.
3 Grundlage, p. 227.
4 Gmndriss, p. 284.
5 Grundlage, pp. 217-218.
6 Grundlage, p. 217.
64 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

§ 2.

La deduzione dell'immaginazione produttiva è la dedu-


zione stessa della facoltà della intuizione. Questa deduzione
è opera del filosofo. Il fatto della immaginazione posto nell'Io,
deve ora esser posto dall'Io stesso. L'Io del filosofo e l'Io
assoluto debbono coincidere. Ne consegue che ora «l'oggetto
della riflessione non è prodotto dalla riflessione stessa, ma solo
sollevato alla coscienza » 1.
Se si tien conto di ciò che Fichte dice di questa deduzione,
che essa è una «storia pragmatica dello spirito umano» i,
allora si fa chiaro che ci<'J che distingue la nuova deduzione
è che non è più questione delle condizioni che rendono possi-
bile l'autocoscienza, ma del suo stesso procedere.
Anche qui, come nella ric:erca precedente, questo còmpito,
il procedere che l'Io costruisce del porre per sé il risuitato
della deduzione precedente, cioè il sollevare a sé il proprio
contenuto, non è il solo còmpito che la deduzione ha a tema.
È presente anche il problema delle diverse facoltà dello spi-
rito teoretico, problema che Fichte risolve come problema
della fenomenologia di esso spirito. I due còmpiti non sono,
però, unificati arbitrariamente o posti semplicemente l'uno
accanto l'altro. Infatti, il processo di appropriazione che
l'Io compie del proprio contenuto, della propria produzione
che immediatamente si presenta come un che estraneo -
la immaginazione, non si dimentichi, è senza coscienza e si
attua in vista della possibilità della coscienza stessa -, è il
processo stesso del suo prodursi come intuizione, intelletto,
giudizio, ragione. E qui avviene il diretto ricondursi della W. L.
alla problematica della Critica.
Kant, come è noto, non ha tematicamente dedotto le di-
verse facoltà teoretiche. Il suo idealismo è nel giudizio fichtiano
un idealismo _quantitativo, cioè un idealismo che presuppone
come indeducibile, perché originaria, una ideale determina-

I Grundlage, p. 222.
i Grundlage, p. 222.
LA DEDUZIONE DELLA RAPPRESENTAZIONE 65

zione dello spirito umano, una sua assoluta finitezza. Il senso


di questa affermazione fichtiana acquista tutto il suo rilievo
se ci facciamo consapevoli di ciò che significa nella storia della
filosofia trascendentale il còmpito di dedurre la sensazione
(cioè, la coscienza della sensazione).
Kant non la deduce, essa è un factum, il fatto della nostra
passività, essa è anche il diverso (M annigfaltiges) presupposto
che condiziona e configura in sede trascendentale la funzione
delle categorie. Il ricondurre alla unità della coscienza il di-
verso, pone il problema della applicazione (Anwendung) di
esse categorie al molteplice che è del sensibile. La soluzione
di questo problema è la immaginazione trascendentale. Com-
piere la deduzione della sensazione ha, dunque, questo senso:
il superamento dell' idealismo quantitativo o realismo critico
come superamento della eterogeneità del sensibile e dell' in-
tellegibile. Poiché, però, questo non avviene nella presente
W. L., è da aggiungere immediatamente che questo supera-
mento si svolge qui pur sempre dentro lo spirito teoretico.
Prima di iniziare il nuovo processo, che si distingue dal
precedente per ciò che esso è il processo non più di una ri-
flessione filosofica esterna, ma dell'Io stesso, che riflette sul
proprio contenuto, è necessario reI\dersi conto del come il
risultato della deduzione precedente, possa ora farsi valere come
inizio della nuova ricerca, una volta che si abbia presente
che le due deduzioni sono del tutto diverse quanto alla dire-
zione, e che al posto della« kunstliche philosophische Refiexion 11
è ora in atto una << ursprunglich notwendige Refiexion », dello
spirito umano 1 • La prima deduzione si arrestò al fatto della
immaginazione produttiva, fatto che non si lasciò condurre
direttamente a concetto. La natura di questo fatto è che esso
è condizione della coscienza. Senza di esso la coscienza non è
possibile. Ora, questo fatto da condizionante si risolve -
e il perché è ora da esaminare _.:. in contenuto di coscienza.
C'è come un rovesciamento di un dato formale in dato mate-
riale.

1 Grundlage, p. 222.

li
66 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

Il problema deve essere inizialmente posto come ricerca


del rapporto che la immaginazione produttiva ha con le forme
dello spirito teoretico, forme che sono da dedurre genetica-
mente. Che la immaginazione non è una di queste forme, è
testimoniato dal suo costituire con la sua azione «la possi-
bilità della nostra coscienza, della nostra vita, del nostro
essere per noi, cioè del nostro essere come Io» 1 • La immagi-
nazione, condizionante la coscienza, non è oggetto di co-
scienza, ma ne costituisce la oggettività. Questa oggettività
si presenta alla coscienza come un dato che ora l' Io deve a
sé riferire.
Il processo teoretico come deduzione della rappresenta-
zione non è un processo di produzione - la produzione, ri-
petiamo, è soltanto della immaginazione - , ma un processo
di riflessione dell'Io intelligente. Ne consegue che la immagi-
nazione è produttrice proprio dello spirito teoretico. Ma perché,
allora, Fichte la pone come facoltà fondamentale dello spi-
rito teoretico stesso? Perché essa, dedotta dal «postulato che
deve esserci una rappresentazione », non dà la ragione del-
l'esserci di questo postulato e si limita a realizzarlo come
fatto.
La deduzione ha come inizio il risultato della ricerca pre-
cedente. Nell'attività infinita dell'Io un urto (Anstoss) av-
viene nel punto C. L'attività dell' Io, riflessa da C in A, rea-
gisce, ritornando in e z, In questo stato dell' Io, passività
(C - A) e attività (A - C) sono conciliate e l'una condiziona
l'altra. Questo è lo stato della immaginazione produttiva, nel
quale si configura l'intuire 3.
L' intuizione è qui soltanto per la riflessione filosofica;
essa è, cioè, posta nell' Io, ma non è ancora per l' Io stesso.
Perché sia per l' lo, l'Io deve porsi come intuente, deve di-
stinguersi come attivo da ciò che nella intuizione non è attivo.
Ma questo suo distinguersi, opera di una riflessione necessaria,

1 Grundlage, p. 227.
i Grundlage, p. 228.
3 Grundlage, p. 229.
LA DEDUZIONE DELLA RAPPRESENTAZIONE 67

è condizionato dalla produzione del Non - Io. Anche qui la


riflessione filosofica anticipa un risultato, al quale l' Io natu-
ralmente tende. Questa produzione, in quanto avviene senza
coscienza, è opera della immaginazione. Perché si ponga
come intuente, l' Io deve porsi come attivo, riferire a sé l'at-
tività A - C, e in tal modo ripetere la direzione C - A, provo-
cata dall'urto in C.
Come le due attività possono venir distinte ? Per la ri-
flessione filosofica la distinzione è. già compiuta: ciò che di-
stingue la seconda è la sua assoluta spontaneità 1.
Ma il problema è dedurre come l' Io reale compie esso
stesso questa distinzione. E qui comincia a delinearsi il tema
che ha per noi un interesse dominante: la deduzione della
rappresentazione tende progressivamente a porsi in funzione
di una giustificazione della riflessione :filosofica, della intui-
zione del teorico della W. L. La fenomenologia dello spirito
teoretico tende cosi a porsi in funzione di una fondazione della
riflessione filosofica. Ed è qui da aggiungere che la deduzione,
proprio in vista di questo suo configurarsi, va distinta in due
momenti. Il primo comprende la sensazione, la intuizione,
l'intelletto 2 , il secondo il giudizio e la ragione. È nel secondo
momento che la deduzione acquista appieno la sua figura
di deduzione delÌa coscienza filosofica come della possibilità
stessa del filosofare 3. Ma Fichte non accentua la distinzione
come farà nella W. L. del :r798. Si potrebbe aBche dire che
egli non avverta un problema nel passaggio dall'Io reale che
riflette unicamente sui prodotti della sua attività incosciente,
all' Io (I' Io del filosofo) che accede alla coscienza della pro-
pria attività. Da ciò una innegabile ambiguità nel risultato
della intera deduzione. In essa l'Io perviene alla autoco-

1 Grundlage, p. 232.
2 Com' è noto, il termine sensazione non si trova nella Grundlag1
ma nel Grundriss, dove Fichte ripete, ma non più in funzione del còm-
pito primo della Grundlage, le prime tre sintesi. La deduzione della
sensazione è nella opera in esame svolta come deduzione della intuizione.
3 Il problema è già in Reinhold, Versuch einer· neuen Theori1 .. .,
op. cit., p. 544 e seg.
68 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

scienza assoluta, a. sé, dunque, come primo principio fonda-


mentale della intera W. L. Questo risultato trascende la
dimensione della parte teoretica, l'Io si pone come deter-
minato dal Non-Io. Ma per il momento questa trascendenza
rimane ignorata e non ha, quindi, esito alcuno sulla archi-
tettonica del sistema, anche se questa pressione, sia pure
soltanto per noi, è già fortissima.
La riflessione dell'Io «come coscienza naturale» deve,
ripetiamo, raggiungere la coscienza filosofi.ca e coincidere
con essa. E ciò nel senso che è la coscienza naturale che fa
da presupposto a quella filosofica r. Da qui il carattere ana-
litico della ricerca.
Il problema del come l' Io possa distinguere le due dire-
zioni in A si precisa come problema della determinazione della
intuizione. Determinare la intuizione è fissare la immagina-
zione, oscillante tra le due prime posizioni contrastanti, come
A-C+C-A. L' Io, allora, non rifletterà più in A la prima dire-
zione ma la intuizione in generale.
Perché la immaginazione sia fissata, ed essa deve esserlo
se la riflessione filosofi.ca deve essere possibile, occorrono tre
condizioni: l'atto stesso del fissare, il fissato o la immagina-
zione, alla quale è posto un limite, e infine il prodotto della
immaginazione. La deduzione ha qui da porre la « facoltà »
che opera la fissazione richiesta. Questa facoltà è l' intelletto,
che non è «né la ragione determinante, né la immaginazione
produttiva, ma una facoltà media tra le due»"·
Il problema è dedurre la necessità del fissare (e, quindi,
della sua facoltà) la produzione inconscia della immaginazione.
Fissare è qui determinare, porre un limite. Chi pone il limite
è la riflessione spontanea dell' Io che limita in e la attività
intuitiva. Al di là di C una intuizione riflessa è impossibile.
E poiché l'attività riflettente è riflessa, salvo che nella rifles-
sione filosofi.ca, il limite è attribuito a un Non-Io, prodotto
inconscio della immaginazione assolutamente produttiva.

1 GYundlage, p. 232.
i Grnndlage, p. 233.
LA DEDUZIONE DELLA RAPPRESENTAZIONE 69

L'attività intuente dell' Io è fissata nell' intelletto. L' intel-


letto non è più come in Kant una facoltà originaria che da
sé genera i suoi prodotti (le categorie), ma la riflessione spon-
tanea dell'Io che fissa come prodotto lincessante azione
produttiva della immaginazione
L' Io deve riferire a sé questa attività intuente nella di-
rezione A-C. La riflessione deve, dunque, dirigersi da C in A.
Come facoltà, essa è la immaginazione che è qui ora soltanto
riproduttiva del prodotto già fissato nell'intelletto. In questa
azione la immaginazione riprodottiva determina l'Io intuente
a mezzo del suo opposto, l'intuito 1.
L' intuente e I' intuito stanno in determinazione reciproca.
La riflessione naturale non può, però, limitarsi a questo risul-
tato. La sua tensione non è in vista della identità dell' Io
e del Non-Io, ma in funzione del fondamento della loro asso-
luta e reale distinzione.
La determinazione reciproca comprende, è vero, tanto
I' intuente quanto l' intuito. Ma questo comprendere è con-
dizionato dalla contingenza del limit~. ·Il concetto di con-
tingenza ha una importanza decisiva nella W. L. Di esso
Fichte si serve per superare il dualismo kantiano dell' Io
teoretico e dell'Io pratico. Nella deduzione presente questo
concetto è già in azione, anche se non fatto valere imme-
diatamente.
Entro certi limiti, si può dire che nella determinazione
reciproca si ripete il processo della deduzione della immagi-
nazione produttiva, ma la differenza, ripetiamo ancora una
volta, è che qui non opera la riflessione filosofica ma quella
naturale dell'Io reale. Si badi anche a questo: quest'ultima
riflessione non ancora riflette su di sé. Essa è riflessione pura,
cioè riflessione irriflessa. Essa ignora, pertanto, che il fonda-
mento della determinazione reciproca è il suo porre in e il_
limite della attività assoluta dell' Io, il cui. patire è pur sempre
condizionato da una attività pura.

1 Grundlage, p. 235 . .
70 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

Come la riflessione spontanea non riflette su di sé, essa


pone come causa dell'intuito (la direzione C-A) il Non-Io r.
Fuori della sintesi qui raggiunta, sintesi dell' intuente e del-
1' intuito, l'attività oggettiva è attività pura e l' intuito è
cosa in sé.
Questo Non-Io prodotto inconsciamente dalla immagina-
zione, deve ora essere raggiunto dalla cosciénza naturale.
Il raggiungimento avviene in quanto esso viene pensato.
Pensare è, infatti, la determinazione di un prodotto della
immaginazione fissato nell'intelletto a mezzo della ragione z.
In questa nuova sintesi si producono le categorie della ogget-
tività: la sostanza e la causalità. Questa sintesi possiamo
chiamarla, come per l'universale, sintesi dell' intelletto e di-
stinguerla dalle due precedenti sintesi della sensazione e della
intuizione. La sintesi dell' intelletto e delle sue categorie è
la sintesi della costruzione dell'oggetto. E in essa avviene,
di conseguenza, l'ultimo limite che sul piano di questo mo-
mento primo della deduzione, può essere trovato come dif-
ferenziante l' Io e il Non-Io.
Le categorie fichtiane, già si è avuto modo di avvertire,
si presentano in polemica con la costruzione kantiana, ma
questa polemica viene esplicitamente assunta soltanto per.
ciò che concerne la lettera e non lo spirito della Critica. Se -
condo il dato letterale, le categorie kantiane sono mere forme
logiche (Denkformen) in quanto produzione dell' intelletto
puro o in sé. E allora quelle fichtiane in quanto hanno la loro
origine nella immaginazione, già se ne distaccano. La diffe-
renza diventa ancora più aspra una volta che si pervenga al
risultato delle due concezioni. In Kant le categorie hanno bi-
sogno dello schematismo per superare la eterogeneità del
sensibile 3. In Fichte niente di tutto questo, le categorie si

r Grundlage, p. 235.
2 Grundlage, p. 240.
3 Grundriss des Eigentumlichen der W. L., S. W., bd. I, p. 387:
Kant, der die Kategorien urspriinglich als Denk/ormen erzeugt werden
lasst, und der von s~inem Gesichtspunkte aus daran vollig recht hat,
bedarf der durch die Einbildungskraft entworfnen Schemate, um ihre
Anwendung auf Objekte moglich zu haben.
LA DEDUZIONE DELLA RAPPRESENTAZIONE 71

producono contemporaneamente agli oggetti per renderli


possibili, e gli oggetti hanno ugualmente la loro irigine nella
immaginazione, anzi ne sono un prodotto 1.
L' intuente e l' intuito sono reciprocamente condizionati
nella intuizione. L'attività riflettente dell' lo va ora nella
intuizione. La intuizione appare qui condizionante il sog-
getto e l'oggetto. L'attività oggettiva è la stessa attività
assoluta condizionata da una passività. L' lo deve riferire
a sé questa passività. Esso la intuisce come « una impossibi-
lità, l'attività oppesta », come « un sentimento di coazione
a una determinata azione" z.
Al tempo stesso l'attività non condizionata viene intuita
a mezzo della immaginazione « come un fluttuare della imma-
ginazione stessa tra la effettuazione e non-effettuazione di un
solo e medesimo atto » 3. Queste due attività si condizionano
a loro volta reciprocamente. Il soggetto della intuizione è
raggiunto dalla riflessione come determinazione di -sé a mezzo
di una affezione che viene dal di fuori. L' lo reale si distingue
in tal modo dal soggetto intuente a mezzo della riflessione
spontanea, la quale si viene chiarendo come l'autocoscienza,
che è il presupposto della intera deduzione. Ma questa indi-
pendenza qui viene riflessa in ciò che viene intuito.
Con la determinazione reciproca della libertà e della co-
strizione nell' lo, per cui non v'è nell' lo auto-affezione senza
un'affezione esterna, nel Non-lo, è posta una attività come
correlativa alla attività spontanea dell' lo. ·
Proprio mediante l'attribuzione di una -tale attività, il
Non-Io viene pensato come una sostanza, un substrato, causa·
di una passività nel soggetto della intuizione. La motivazione
di questa costruzione concettuale dell'oggetto, non più, quindi,
intuito ma pensato, è nella sintesi della attività oggettiva e
della autodeterminazione come libera determinazione di un
oggetto.

1 Grundriss, p. 388.
2 Grundlage, pp. 238-239.
3 Grundlage, p. 239.
72 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

« Solo nell' intelletto v' è realtà.... La immaginazione pro-


duce realtà, ma in essa non v'è realtà» 1. La riflessione natu-
rale non può risalire al di là di essa. Se prendesse coscienza,
come avviene alla riflessione filosofica, che le cose esterne
vengono nell'intelletto soltanto a mezzo della immaginazione,
essa sarebbe indotta a spiegare lintera realtà come illusione a.
Con le sintesi precedenti è stata, quindi, costruita la co-
scienza naturale o intellettuale; essa si è costruita da sé,
riflettendo unicamente sui prodotti della immaginazione, che
è senza coscienza. Le due seguenti e ultime sintesi sono una
riflessione dell'Io sulla sua autodeterminazione, sulla sua,
quindi, attività stessa. E come questa riflessione va al di là
dell'intelletto e alla ricerca della sua stessa origine, essa
non è più una riflessione naturale. La diremo, allora, una ri-
flessione filosofica, costruita, cioè, dal filosofo che costruisce
al tempo stesso l'oggetto della propria riflessione? Il fatto
che Fichte non si pone il problema, non libera noi dal còmpito
di cercare in che questo secondo momento si distingue dalla
riflessione filosofica operante nella deduzione della immagi-
nazione. In questa la riflessione filosofica rifletteva sulla
pensabilità di un fatto prodotto da lei stessa e secondo le sue
leggi, e deduceva il fatto della intuizione. Nel processo che ci
accingiamo a ripetere, è l'Io reale (L'Io stesso del «filosofo
trascendentale 11) che dà a se stesso» la regola, secondo cui
pensare un Io puro », l' Io dunque della Dottrina della Scienza 3.
Ma non si dimentichi che il problema tematicamente posto
è quello del come l' Io stesso pervenga alla coscienza del fatto
della intuizione. Questo problema è, dunque, sulla possibi-
lità della coscienza della rappresentazione, e, quindi, sulla
riflessione, sia pure producentesi inconsciamente, mediante
cui l'Io si distingue realmente dal rappresentato. Nella sin-
tesi intellettuale l'oggetto non è più dato,. ma pensato. Questa
terminologia kantiana è qui pienamente valida. Su di essa

1 Grundlage, pp. 233-234.


2 Grundlage, p. 234.
3 Grundlage, p. 245.
LA DEDUZIONE DELLA RAPPRESENTAZIONE 73

ora viene a prodursi una ulteriore riflessione e sempre in


funzione del principio fondamentale, dedotto dal concetto
stesso dell'Io: « nichts kommt dem !eh zu, alz das, was es
in sich setzt » 1 • Questa riflessione è, dunque, una riflessione
sull'attività stessa dell'auto-determinazione. Essa in tal
modo raggiunge la immaginazione, anzi è la immaginazione
stessa che si intuisce. La immaginazione, infatti, non può
essere intuita che da se stessa. In questa intuizione di sé,
essa prende coscienza da sé come« libero fluttuare (Schweben) »
tra la concezione e la non-concezione di un oggetto deter-
minato. Essa si sa, allora, come giudizio (Urteilskraft). « Giu-
dizio è la facoltà di riflettere su oggetti già posti nell' intel-
letto o di astrarre da essi 2 •. Sensazione, intuizione, intel-
letto, sono la ragione non ancora cosciente di sé. Detto altri-
menti, sono la immaginazione nel suo graduale e necessario
chiarirsi come ragione, come produttività assoluta. Qui Kant
è raggiunto da Leibniz.
La ragione come giudizio (la possibilità di astrarre da
ogni oggetto determinato) non è ancora la ragione assoluta.
Questa non può essere che una attività non-oggettiva, opposta,
quindi, all'attività oggettiva, una attività assoluta, conforme
al concetto stesso dell' Io.
La ragione è il sollevarsi alla coscienza di sé come pro-
duttività assoluta, della immaginazione. La immaginazione
deve, cioè, diventare oggetto assoluto di se stesso. Essa, per
tanto, deve trascendere la situazione di reciproca determina-
zione con l'intelletto, nella quale si trova nel suo riflettersi
come giudizio. Ma destinata a non avere oggetto 3, in questo
assoluto riflettersi, si annienta. Il prodotto di questa intui-
zione è la ragion pura di Kant, la ragione senza immagina-
zione, «l'assoluta facoltà di astrarre da ogni oggetto» 4. In
questa riflessione I' Io raggiunge l'assoluta distinzione dal

1 Grundlage, p. 333.
2 Grundlage, p. 242.
3 Grundlage, p. 243.
4 Grundlage, p. 244.
74 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

Non-Io. Il Non-lo è ciò «dal quale si può fare astrazione» r.


La deduzione della rappresentazione come della coscienza
della rappresentazione, ha cosi raggiunto il suo scopo che
era quello di dedurre il fondamento assoluto della distinzione.
Essa coincide anche con la giustificazione della riflessione
filosofica. Fichte, in tal modo, identifica l' lo assoluto del
primo principio fondamentale con la possibilità stessa della
rappresentazione.
La W. L. non fa che condurre a coscienza filosofica il
prodursi incosciente della suprema riflessione naturale. Ma
se l' Io assoluto, l' «assoluto determinante •, è l' Io riflettente
della deduzione della rappresentazione, come si giustifica,
allora, il conflitto, con il quale ha inizio la parte pratica della
W. L. conflitto che è proprio dell'Io assoluto con l'Io in-
telligente ?
E se si risponde che l'Io della riflessione filosofica è esso
stesso l'Io rappresentante, come lo stesso Fichte dichiara
altrove :i, come può la Dottrina della Scienza sfuggire alla
obbiezione (Schelling) di essere una filosofia soggettiva, non,
quindi, la filosofia ?

Gf'undl•ge, p. 244.
r
Ubef' den BegriO der W. L., p. So: Die Reflexion, welche in d.er
:i
ganzen Wissenschaftslehre, insofef'n sie Wissenschaft ist, hsrrscht, ist
ein Vorstellen.
CAPiTOLO III

IL FONDAMENTO DELLA DOTTRINA DELLA SCIENZA

§ I.

La parte pratica della W. L. non si sviluppa in senso pa-


rallelo a quella teoretica. Essa procede nella ricerca sino alla
determinazione del problema della realtà. Il suo còmpito ul-
timo è rispondere alla domanda sul come si concilia il suo
realismo con l'assolutezza dell' Io 1.
È, infatti, in funzione della ricerca del fondamento reale
della rappresentazione oggettiva, che essa si muove ed opera.
Una riflessione sull'Io teoretico in sé, è incapace per sua
struttura di giustificare tale fondamento, il· quale costituisce
il vero còmpito della filosofia 2.
« La filosofia deve dedurre la nostra persuasione sulla
esistenza di un mondo fuori di noi 11 J, ma al tempo stesso assu-
mere che «tutto ciò che è, è soltanto per un Io, e ciò che
deve essere per un Io, può soltanto essere mediante l'Io 114.
Si tratta, dunque, di giustificare e conciliare questi due còm-
piti contraddittori che si contrastano nella W. L. come Io
rappresentante o intelligente ed Io assoluto. La loro conci-
liazione coinciderà con la scoperta del fondamento reale della
rappresentazione oggettiva, in quanto tale fondamento sarà

1 Grundlage, pp. 280-284.


2 Grrindlage des natur'rechts, III, p. 37: Wenn wir bloss auf die Ti-
tigkeit des Vorstellens sehen, und nur diese erkUl.ren wollen, so wird
ein notwendiger Zwe.ifel iiber das Vorhandensein der Dinge ausser
und entstehen.
3 Natur'recht, p.2_..
4 Naturrecht, p. 24.
76 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

dedotto proprio in funzione della conciliazione, la quale, non


risolta, distruggerebbe l'Io nella sua totalità.
Possibilità dell' Io come coscienza vivente e fondamento
reale della rappresentazione fanno tutt'una cosa nella W. L.
Da ciò la polemica incessante con I' idealismo dommatico,
che nega una realtà fuori di no,\. e con il realismo trascen-
dentale, che pone fuori di noi la causa delle nostre rappre-
sentazioni. Qui non interessano le critiche dirette a queste
due posizioni, ma la possibilità stessa della critica, che sembra
negare ed affermare a un tempo la realtà oggettiva dell'at-
tività rappresentante. Ed è proprio, come già è stato detto,
in vista del fondamento oggettivo di questa attività che il
problema della realtà è posto nella W. L. D'altra parte, come
giustificare q~esto fondamento, se la stessa azione reciproca
dell'Io con il Non-Io dovrà necessariamente risolversi in· una
azione reciproca dell' Io con se stesso 1 ?
Il problema della realtà è, ripetiamo, il problema della
oggettività del rappresentare. La deduzione spingerà questo
problema sino a farlo coincidere con la necessità stessa del
rappresentare, s'intende, d~ll' Io per lIo stesso. La necessità,
fondamento del rappresentare (attività ideale), è la tendenza
dell'Io a rappresentare (Vorstellungstrieb), tendenza pratica,
attività reale. Il fuor di noi che è teoretico - l'oggettivazione
(oggetto, Gegen-stand) - è pertanto fondato nel sentimento
immediato del ·limite (Wider-stand). «La ragione non può
essere teoretica se non è pratica>> 2 •
La deduzione del limite per l' Io e del suo sforzo infinito,
è il còmpito che la W. L. - non lo si dimentichi! - compie
pur sempre in funzione del problema di una realtà come fon-
damento reale della rappresentazione.
Come già la parte teoretica, la parte pratica si divide in
due momenti. Nel primo è a problema la deduzione dell'at-
tività pratica come sintesi suprema per la pensabilità della
proposizione fondamentale: l' Io si pone come determinante

1 Grundlage, p. 281.
2 Grundlage, p. 266.
IL FONDAMENTO DELLA DOTTRINA DELLA SCIENZA 77

in Non-Io. Nel secondo, il fatto dedotto - lo sforzo infinito


- viene riportato all' Io dall' Io stesso in vista della conci-
liazione della sua interna contraddizione, della conciliazione,
quindi, tra il primo e il secondo principio fondamentale della
Grundlage. Il primo momento ha come còmpito la pensabilità
della prima proposizione contenuta nel risultato dei tre prin-
cipii fondamentali della W. L.: L' Io e il Non-Io si determi-
nano reciprocamente. Essa non procede come procedette la
deduzione della immaginazione, per una successione di sin-
tesi verso la «sintesi suprema », ma opera immediatamente
in vista di quest'ultima, che esige per la sua costruzione la
deduzione dello sforzo infinito. Questa sintesi è dedotta due
volte. Ed è qui la differenza più acuta fra i due processi ri-
spettivamente primi della parte teoretica e di quella pratica.
La deduzione è, infatti, condotta una volta apagogicamente 1,
e una seconda volta geneticamente i.
Procedimento apagogico è qui procedimento per modus tol-
lens. Esso, infatti, dedurrà il suo risultato come condizione per
l'esserci del mondo oggettivo: «lo sforzo infinito è all'infinito
la condizione della possibilità di tutti gli oggetti; niente sforzo,
niente oggetto, kein Streben kein Obiekt »3. Deduzione genetica
è dedurre in funzione della coscienza di sé. In quanto tale,
essa è deduzione a priori. Il procedimento genetico non è,
allora, una semplice ripetizione condotta da un altro punto
di vista, quello dell'autocoscienza; ma un approfondimento
sul primo risultato. Tale procedimento in quanto dovrà pro-
vare che lo sforzo infiòito è «geneticamente dedotto dalla
legge dell'Io di riflettere su se stesso» 4, riporta la possibilità
dell'oggetto sulla possibilità stessa dell'autocoscienza. E qui
soltanto la deduzione ha il suo compimento.
L'antitesi fondamentale, dalla quale prende inizio la de-
duzione è l'antitesi tra l'Io intelligente o rappresentante e
1' Io assoluto.

1 Grundlage, pp. 264-271.


i Grundlage, pp. 271-279.
:Grundlage, pp. 261-262.
Gnmdlage, p. 276.
78 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

Questa antitesi deve essere risolta. Il Vereinungsmittel


è una facoltà pratica dell'Io 1 • In quanto la conciliazione ri-
sulterà come sintesi e questa sintesi risulterà produttiva della
antitesi - proposizione del fondamento della teoreticità nella
praticità - la conciliazione, che è come còmpito lo stesso
terzo principio fondamentale, proverà così la verità dell'enun-
ciato che senza sintesi, l'antitesi non è possibile 2 •
- Dato, però, che anche senza antitesi, la sintesi non è pos-
sibile, la sintesi per porsi come tale, dovrà da sé anche pro-
durre la tesi.
Ed è così che l' Io assoluto dovrà subire nel corso del-
l'ultima costruzione sintetica una sua radicale metamorfosi.
Ma ciò rimarrà un risultato non tematicamente riflesso sul
primo principio.
L'antitesi tra l' Io intelligente e l' Io assoluto non è ripor-
tabile a un conflitto tra passività e attività. L' Io intelligente,
infatti, «non ha in sé se non ciò che pone da se stesso » 3.
}fa che esso sia rappresentante, questo non è lui a determi-
narlo ma un urto (Anstoss).
La produzione del sistema degli oggetti, è, dunque, una
produzione dell'Io intelligente, ma che l'Io sia intelligente,
questo è condizionato da un Non-Io. L'Io che secondo il
suo concetto, è ponentesi da sé, è in contraddizione con il
suo essere posto come intelligenza. La contraddizione di-
strugge l' Io, ma l' Io non può essere annientato. Quindi,
la contraddizione deve venir distrutta, ed essa non può es-
serlo che in un modo, ponendo l'Io come causa del Non-Io.
Questa esigenza è nell' Io la sua facoltà pratica. Dedurre la
causalità, è dedurre l' Io pratico stesso. Ma come può questa
causalità essere dedotta, se essa viene ad annullare quella
stessa attività rappresentativa (condizionata - si badi -
da un Non-Io) in funzione di che la contraddizione deve es-
sere superata ?

t Grundlage, p. 247.
:z GJ"Undlage, p. II5.
3 Grundlage, p. 248.
IL FONDAMENTO DELLA DOTTRINA DELLA SCIENZA 79

L' Io deve essere una causalità sul Non-Io, dacché l' Io


dipende assolutamente da se stesso, ma l' Io non può al tempo
stesso avere una causalità sul Non-Io, perché come conse-
guenza il Non-Io verrebbe annientato e con esso la possibi-
lità stessa della rappresentazione.
Il Non-Io - il Non-Io astratto, s' intende, da tutte le
forme della rappresentazione 1 - · deve restare opposto, ma
deve anche essere in rapporto causale con l' Io. Questo il
compito della deduzione.
Che questa abbia da soddisfare alla esigenza della causa-
lità dell'Io sul Non-Io, dipende dal primo principio fonda-
mentale, ma che questa causalità non possa essere posta di-
rettamente come tale, dipende a sua volta dal secondo prin-
cipio.
Sorge, allora, spontanea la domanda: se l'opposizione
del Non-Io deve rimanere, in che la possibilità della conci-
liazione tra l'Io rappresentante e l' Io assoluto?
Determiniamo prima l'unico senso che la W. L. può dare
alla tesi della causalità dell'Io sull'oggetto. Questo senso è
immediatamente deducibile da ciò che essa intende per og-
getto. Oggettività, ripetiamo, è resistenza. Provare, allora,
che l' Io determina il Non-Io, significherà questo e soltanto
questo: che dall' Io dipende il costituirsi e il determinarsi
della resistenza oggettiva. Il problema manifestamente coin-
cide con quello della deduzione dell' Io pratico, ed è imposto
dalla tesi dell' Io assoluto. Che significa, infatti, ragion pra-
tica ? «Che tutto deve concordare con l' Io, che ogni realtà
deve essere posta assolutamente dall' Io » 2 • Ed esplicitamente
Fichte nel corso della presente riflessione dichiara che la
W. L. non fa qui che porre in luce quei presupposti fatti va-
lere tacitamente da Kant nella formulazione dell' imperativo
categorico 3.
Qui la W. L. in questa deduzione della ragion pratica,

1 Gmndlage, p. 251.
i Grundlage, p. 264.
3 Grundlage, p. 260.
80 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

rivela quel senso che Fichte più tardi in essa riconoscerà,


1< di essere un analisi del concetto di libertà» 1 •

La conciliazione tra l' Io intelligente e l' Io assoluto ~


lo sforzo infinito. Con esso trovano risposta domande, alle
quali non era stato possibile rispondere alla deduzione pre-
cedente: «perché noi non possiamo rappresentare che sotto la
condizione dell'esserci di un'affezione in generale? Con quale
diritto noi riferiamo le nostre rappresentazioni a qualcosa
fuori di noi come alla loro causa ? »i. Non solo, infatti, lo
sforzo infinito si mostrerà condizione dell'esserci di un og-
getto in generale, ma esso fonderà anche l' indipendenza del
mondo oggettivo come indipendenza della attività ideale
dalla attività reale limitata. La impotenza dell' Io ideale a
sopprimere questa indipendenza è, infatti, espressa nello
sforzo infinito «che è una causalità che non è una causalità »,
una «causalità pensabile soltanto sotto la condizione di una
approssimazione all' infinito » 3, una « tendenza alla determi-
nazione» 4.
La deduzione dello sforzo ha il suo presupposto nella de-
duzione della intuizione. Senza di questa, cioè senza il ricono-
scimento della realtà del Non-Io, essa è inintelligibile s.
I dati della contraddizione sono due atti assoluti del-
1' Io: il porsi infinito, il porsi finito. Ciò che distingue il primo
atto è la sua purezza, il suo ritornare in se stesso, il suo essere,
dunque, senza oggetto. L'atto del porsi finito è attività og-
gettiva, cadendo esso sopra il Non-Io, un opposto'· La fini-
tezza dell' Io è la sua oggettività. Il conflitto tra le due atti-
vità non può essere risolto, ponendo la prima causa della

1 A Reinhold, 8 gennaio 1800: Mein system ist vom Anfange bis


zu Ende nur eine Analyse des Begriffs der Freiheit.
i Ubet' den BegriU det' W. L., ed. Medicus, bd. I, p. 213.

3 Ubet' den Begyiff det' W. L., ed. Medicus, p. 213.


4 Gt'undlage, p. 261.
· S Ubet' den Begyiff det' W. L., p. 213: Dieser zweite Teil [la pratica]
ist an sich bei weitem der wichtigste; der erste ist freilich nicht minder
wichtig, aber nur als Grundlage des zweiten, und weil dieser ohne ihn
schlechthin unverstandlich ist.
6 Gt'undlage, p. 256.
IL FONDAMENTO DELLA DOTTRINA DELLA SCIENZA 8I

seconda, perché in tal caso la oggettività della rappresenta-


zione verrebbe distrutta: il Non-Io, non più distinto, coinci-
derebbe con l' lo, sarebbe l' Io stesso. L'atto dell'opporre
deve, conformemente al secondo principio, essere incondi-
zionato ed assoluto.
Il suo prodotto è, però, necessariamente condizionato
ad essere un opposto, quindi, un Non-Io. Condizionato da
che ? L'atto dell'opporre è, ripetiamo, incondizionato. Con-
dizione, però, del prodursi di un oggetto, (lo stante-contro,
l'opponentesi, Wider-oder-Gegenstand) è una attività infinita
e indipendente dell'Io, opposta all'attività dell'oggetto.
Le due attività sono originariamente pensabili come tra
loro indipendenti. L'oggetto non è ancora posto come oggetto 1 •
Perché sia posto, le due attività debbono entrare in relazione.
Ma esse non possono venir poste in relazione se non come
opposte. L'atto che pone la relazione, è assoluto e nella sua
assolutezza si fonda anche la assoluta. spontaneità della ri-
flessione nel mondo teoretico, ma il suo contenuto - che
l'oggetto deve accordarsi con il soggetto, in quanto «l'Io
deve essere assolutamente indipendente e tutto deve dipen-
derne 11 :i - è condizionato dalla attività pura dell'Io. Non,
quindi, l'opporre (il Non-Io quanto alla forma) ma il suo con-
tenuto è determinato dall' Io. L' Io è cosi tendenza alla deter-
minazione, sforzo infinito. Questo sforzo, condizione della
possibilità stessa di ogni oggetto, non è, però, condizione
dell'opposizione stessa. «Che in generale l'attività pura sia
posta in relazione con un oggetto, il fondamento di ciò non
trovasi nella attività pura in sé; che, però, se essa è cosi
posta, è posta come uno sforzo, la ragione di ciò trovasi in
essa» 3.
Fichte chiama, come è stato già detto, questa prima de-
duzione riello sforzo infinito, una dimostrazione apagogica.
L'esigenza alla causalità assoluta deve venir dedotta geneti-

1 Grundlage, p. 263.
• Grundlage, p. 260.
3 Grundlage, p. 263.

6
82 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

camente. Deve, dunque, esser mostrato «come essa si pro-


duca nello spirito umano» 1. Questa seconda deduzione ha
una importanza decisiva per un adeguato intendimento della
intera Dottrina della Scienza. Il risultato darà il «vero punto
di unione -- den wahren Vereinungspunkt »:i tra l'Io assoluto,
l' Io pratico e l' Io intelligente.
La deduzione genetica dello sforzo infinito è alla radice
il problema stesso della indentità dell' Io assoluto e dell' Io
finito.
La W. L. procede qui non più in funzione del secondo
principio fondamentale, ma in vista di esso. L'Io assoluto
e L' Io finito non sono più originariamente distinti, e ciò nel
senso che la ricerca è impegnata a dedurre nell'Io la possibi-
lità di un'azione ·esterna (di un Non-Io).
Il problema dell' infinito Streben è spinto sino a coincidere
con quello dell'esserci stesso dell'Io, sino a coincidere con
quello della produzione dell' Io teoretico - serie dell' ideale -
e dell' Io pratico - serie del reale. « Se nell' Io non v' è fa-
coltà pratica, l'intelligenza non è possibile. Reciprocamente,
se l' Io non è intelligenza, non è possibile coscienza alcuna
della sua facoltà pratica » 3.
Il tema di questa deduzione genetica è lo sforzo non più
verso una causalità determinata (determinata da un Non-lo)
ma verso una causalità assoluta. La ricerca trascende ora il
presupposto stesso dell'Io rappresentante e si rifà all'Io
puro. L' Io è autocoscienza, l' Io deve porsi come posto da sé.
Il momento precedente accentuava il momento della infinità.
Qui il procedere è in profondità e sino a determinare il
momento. della riflessione come condizionante quello della
infinità, che Fichte vuole ora geneticamente dedurre. Il ri-
sultato sarà il coincidere della riflessione con lo sforzo infinito.
Perché si ponga come posto da sé, l'Io deve poter distin-
guere la sua attività riflettente da quella riflessa. Le due atti-

I Grundlage, p. 271.
:iGrundlage, p. 271.
3 Grundlage, pp. 271-278.
IL FONDAMENTO DELLA DOTTRINA DELLA SCIENZA 83

vità sono ambedue infinite, e non hanno per l'Io nessuna di-
stinzione in sé. Per una intelligenza esterna esse però, sono
già distinte. L'attività riflessa (riflessa soltanto per noi) va
all' infinito perché l' Io riflettente esige che essa «debba riem.
pire l' infinito » 1 • Ma perché la distinzione diventi reale per
l• Io, è necessario che accada un urto che rifletta l'attività
centrifuga nell'attività centripeta. «Che questo accada, come
fatto, non si può assolutamente dedurre dall'Io .... ma si può
assolutamente dimostrare che questo fatto deve accadere,
se una coscienza reale deve essere possibile» 2.
Ma condizione fondante la coscienza di una attività con-
trastante, è la esigenza dell'Io di riflettersi come l'intera
realtà. Si ha, dunque, che «la necessaria riflessione dell'Io
su sé stesso, è il presupposto di ogni uscir fuori da se stesso
(Herausgehen aus sich selbst), e l'esigenza che esso riempia
I' infinito, è il fondamento dello sforzo verso la causalità in
generale » 3.
Ma su che si fonda, in che ha origine per l' Io questa esi-
genza? Il volerla dedurre dal suo concetto, è un ripetere la
esteriorità del procedimento apagogico procedente nur durch
Berufung auf hOhere Prinzipien 4.
La deduzione genetica risponde: nell'autocoscienza.

§ 2.

Con il § 6 ha inizio il procedimento costruttivo delle sin-


tesi reali. Questo già risulta dalla ricerca precedente perve-
nuta geneticamente alla « coscienza reale ».
Anche qui ci dobbiamo porre la domanda sino a che punto
questo nuovo processo deduttivo corrisponda nella parte
pratica al processo che nella parte teoretica è la deduzione
della rappresentazione. In antitesi a quelle di una fenomeno-
logia dello spirito teoretico, le nuove sintesi potrebbero venir

1Grundlage, p. 275.
2Grundlage, p. 275.
3 Grundlage, p. 276.
4 Grundlage, p. 271.
84 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

considerate come le sintesi di una fenomenologia dello spirito


pratico. Ma il parallelismo appare immediatamente inade-
guato. Le sintesi della deduzione teoretica sono, è vero, reali,
ma non pervengono alla coscienza se non nella riflessione
filosofi.ca, laddove quelle pratiche sono situazioni che la co-
scienza reale deve superare per giungere al volere puro. Questo
è anche il senso che ha il realismo della deduzione pratica 1 •
Ma questa tensione coincide con la tensione alla coscienza
di sé.
Ed è questa coincidenza da tener continuamente innanzi
per guadagnare il significato genuino che nella Dottrina della
Scienza acquista il primato kantiano della ragion pratica.
È da dire subito che l'interesse fichtiano è qui incondiziona-
tamente speculativo 2.
Il primato pratico non indica l'arresto del sapere (natu-
rale e filosofico), ma ne costituisce l'ultimo fondamento.
L' Io perviene alla assoluta coscienza di sé come volere puro.
Il primato kantiano si trasforma e diventa il principio stesso
della intera filosofia. Schelling ha espresso questa tesi fi.ch-

1 Questo realismo è dedotto dalla attività libera non considerata


più come intelligenza (come, quindi, attività del soggetto rappresen-
tante) ma come « wirkend, Kausalitll.t habend •· L'essere che è sem-
pre « eine Beschrll.nktheit der freien Tll.tigkeit », è, allora, esistenza
, reale, il mondo reale [reelle Existenz, die wirkliche Welt], Zweite Ein-
leitung, S.W., bd. I, p. 495. Il riconoscimento della libertà è condi-
zionato dalla coscienza della libertà. È la coscienza della attività pra-
tica che rende possibile la coscienza teoretica. Schelling mette bene in
luce questo presupposto speculativo della W. L.: ohne Freiheit des
Wollens ist in uns nur ein blindes Vorstellen und kein Bewusstsein
unsrer selbst in unserm Vorstellen, Abhandlungen zur Erlltuterung des
ldealismus der W. L., S. W., bd. I, p. 396.
z Dalla sin troppo famosa affermazione del I 797 che la filosofia
e, quindi, l'idealismo, è una scelta (Was fur eine Philosophie man wtthle,
hllngt sonach davon ab, was man fur ein Mensch ist, Erste Einleitung,
S. W., bd. I, p. 434), non si deve in modo alcuno dedurre un moralismo
fichtiano nel senso di una dipendenza dell' interesse speculativo da
quello morale. Proprio sul tema del rapporto tra i due· interessi, Fichte
dichiara: lch philosophiere, soviet ich mich kenne, ohne alles andere In-
teresse, als das fur Philosophie. A Reinhold, 2 luglio 1794, Briefwechsel,
ed. cit., bd. I, p. 477. E perciò che concerne la natura dell'idealismo,
cosi scrive nella Z. E., p. 455: Der I dealismus kann nie Denkart sein,
sondern er sit nur Spekulation.
IL FONDAMENTO DELLA DOTTRINA DELLA SCIENZA 85

tiana con grande vigore: «l'atto del volere in quanto tale,


è la suprema condizione dell'autocoscienza» x.
Che la realtà del mondo viene fondata dalla attività pra-
tica, questo è stato già detto. Di un mondo noi possiamo par-
lare soltanto da questo punto di vista. L'attività rappresen-
tativa è, infatti, soltanto ideale. Il problema, però, del rap-
porto non si limita qui, ma si estende sino alla possibilità
stessa della Dottrina della Scienza, il cui oggetto è il sistema
delle azioni necessarie dello spirito umano 2.
La W. L. come tale, non è allora in contrasto con se stessa
come « analisi del concetto della libertà » ? Per Fichte il con-
trasto non esiste, facendo egli coincidere i due còmpiti rispet-
tivamente con il sistema e il suo risultato. Pensare le «azioni
necessarie» è 11 il modo necessario di pensare la nostra libertà »3.
E in quanto la libertà è volere puro, autocoscienza, tendenza
per la tendenza - ein Trieb um des Triebes willen - 4, essa
coincide con l'Io assoluto del primo principio fondamentale.
Se, però, questa coincidenza venga pienamente raggiunta,
e se una volta raggiunta possa ancora farsi valere la incondi-
zionatezza del secondo principio fondamentale, è questione
da decidere unicamente al termine della ripetizione.
All' inizio della deduzione, Fichte dichiara che oggetto
della ricerca non è più il conoscere, ma il conosciuto, non
più, quindi, l'attività ideale ma la reale s.
La deduzione dello sforzo infinito non più nell' Io ma
come posto per l' Io stesso, in quanto coincide non colla rap-
presentazione della realtà, ma con la realtà in sé, è la meta-
fisica della Dottrina della Scienza.
L'analisi dà che lo sforzo infinito implica uno sforzo op-
posto, senza di cui cesserebbe di essere uno sforzo, sarebbe
causalità. La sua attività non può che cadere in se stessa.

1 ScHELLING, Abhandlungen zur Erliiuterung des Idealismits der


W. L., ed. cit., p. 355.
2 Uber den BegriO der W. L., bd. I, p. 72.
3 Das System der Sittenlehl'e, S. W., bd. IV, p. 49.
4 Grundlage, p. 327.
5 Grundlage, p. 285.
86 LA W. L. DEL I794· CRITICA E FILOSOFIA

Lo sforzo è, allora, una tendenza (Trieb). Deve ora lo sforzo


essere posto come sforzo dell' Io. Lo sforzo è tendenza, ma
perché l'Io lo avverta, deve avvertirlo come limitato cioè
come una attività reale limitata. L' Io deve, dunque, tra-
scendere la limitazione. Qui Fichte distingue il procedimento
del :filosofo che coincide con quello della W. L., dal procedere
dell' Io reale. La riflessione filosofica ha dedotto lo sforzo in-
finito, mediante la posizione di un Non-Io indipendente.
Come si giustifica questa trascendenza, questo andar oltre
l' Io, con il còmpito di dedurre la intera realtà unicamente
dall' Io ? Ma è proprio questa trascendenza che verrà qui
giustificata e proprio in questa deduzione genetica.
L' Io del :filosofo è un « Io che ha da lungo tempo com-
piute le azioni che qui sono dedotte » ed ora può con libertà
ripeterle su un Io che egli pone arbitrariamente « nel punto
dal quale egli stesso una volta parti» 1 •
La deduzione raggiunge qui l' Io nella sua tendenza a
porre un oggetto, cioè nella sua tendenza alla rappresenta-
zione. Perché lIo diventi cosciente della sua tendenza, questa,
ripetiamo, deve essere limitata. L'Io, allora, ne prende co-
scienza come di un non-potere, di una coazione, (Zwang).
Questa coscienza è il sentimento (Gefuhl). La coscienza di
questa limitazione presuppone una tendenza ad andare oltre.
Per questa sua natura soggettiva (attività ideale che riflette
sulla attività reale), il sentimento non ha bisogno di un Non-Io.
La tensione a riempire l' infinito, è qui annientata. Ed è
da questo annientamento che ha luogo la riflessione. L' Io
è impulso, puro sentimento. Esso deve ora porre questo senti-
mento. L'Io deve far proprio il non-potere (das Zwang),
cioè riferire a se stesso il sentito.
Questa nuova sintesi è decisiva perché in essa Fichte
deduce la realtà come oggetto di credenza (Glaube), non già
per mostrarne la soggettività ma per fondarla nella sua mas-
sima oggettività.
La deduzione è costruita sulla trascendenza reale dell' Io

1 Grundlage, p. 290.
IL FONDAMENTO DELLA DOTTRINA DELLA SCIENZA 87

su se stesso, dacché è proprio in funzione di questa trascen-


denza che il rapporto dell' Io con se stesso si configura all' Io
come rapporto di sé con il Non-Io.
L' Io è tendenza alla causalità, ma in quanto questa ten-
denza non opera realmente sul Non-Io, essa è spinta ad ope-
rare su se stessa. Ma in questo suo riflettere, l'Io non è co-
sciente che l'attività reale limitata è ciò che lo spinge alla
produzione di un Non-Io. Per sé, esso si sente spinto a porre
qualcosa di esistente. L'attività ideale come tendenza alla
rappresentazione, rimane irriflessa. L' Io si sente passivo,
fatto passivo non dalla propria attività reale limitata, ma
da un Non-Io, che è la stessa attività reale sentita come in-
dipendente dalla attività ideale. Questo dualismo di attività
ideale e attività reale - Io senziente 'ed Io sentito - è, dunque,
alla radice il fondamento del rapporto dell'Io con il Non-Io.
Ma l'origine del rapporto è nella attività pratica dell'Io, nel
suo tendere alla causalità assoluta.
La causalità assoluta non può essere posta se non come
tendenza alla produzione, come attività che non può avere
oggetto. Questa tendenza è cosi sentita dall' Io come atti-
vità che lo spinge a una infinita distensione. Questo nuovo
sentimento è l'aspirazione (das Sehnen). «Solo per essa nell'Io
stesso si manifesta un mondo esterno» 1 •
Limitazione e aspirazione si condizionano reciprocamente.
Senza limitazione, niente aspirazione; niente limitazione,
senza aspirazione.
L' Io è cosi posto in lotta con se stesso. Esso è in pari
tempo finito ed infinito, limitato ed illimitato. Nell'aspira-
zione I' Io si pone determinante. Questa tendenza alla deter-
minazione non può essere assoluta, se no essa distruggerebbe
la condizione stessa della vita dell' Io, il sentimento, la ma-
teria pura. Essa non è, allora, produttiva ma determinazione
del sentimento, cioè oggettivazione del sentimento in cono-
scenza (sensazione, intuizione). La tendenza alla rappresen-

1 Grundlage, p. 303.
88 LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

tazione è qui tendenza alla determinazione (nachbildend).


Infatti, è per mezzo della aspirazione come tendenza alla
determinazione che il sentimento (Gefuhl) diventa sensazione
(Empfindung), e poi mediante una superiore determinazione
già prodottasi nella determinazione teoretica, intuizione 1 .
L'attività ideale è così condizionata dalla tendenza alla
determinazione. La loro sintesi è la stessa aspirazione. u Im
Sehnen ist I dealitat und Trieb nach Realitdt innig vereingt » z.
L'aspirazione (tendenza al cambiamento) tende a qual-
cosa di altro. Questo altro è possibile, presupponendo la de-
terminazione di un sentimento presente a mezzo della attività
ideale. Ma come è possibile questo cambiamento ? L' Io non
può produrlo, perché il sentimento è una limitazione, e l'Io
non può limitare se stesso. Un sentimento non può essere
prodotto; esso può unicamente presentarsi (eintreten). Quale,
dunque, la condizione esterna per questo presentarsi ? Esso
deve essere opposto. «Il sentimento dell'opposto è la condi-
zione della soddisfazione della tendenza» 3. Allora, la muta-
zione dello stato (il sentimento come diverso, la diversità)
non può essere sentita ma intuita. « E qui si mostra come una
funzione teoretica dello spirito possa essere in rapporto con la
facoltà pratica; il che doveva essere possibile, affinché l'essere
razionale potesse, una buona volta, diventare un tutto com-
pleto» 4.
Tendenza alla rappresentazione o intuizione e tendenza
alla realtà si condizionano reciprocamente. Ma, come ambe-
due coincidono nell' Io come attività ideale e attività reale,
la loro unità è il termine ultimo della aspirazione come ten-
denza dell'Io alla propria unità. L'aspirazione come unità
di azione e tendenza, è una tendenza che si produce da sé,
che ha in sé il perché del suo tendere, ein absoluter Trieb,

1 Grundlage, pp. 309-315.


z Grundlage, p. 320.
3 Grundlage, p. 321.
4 Grundlage, p. 320.
IL FONDAMENTO DELLA DOTTRINA DELLA SCIENZA 89

ein Trieb um des Triebes willen •. Questa unità qui dedotta


è l'unità postulata nell'imperativo categorico kantiano 2 •
Qui ha termine la deduzione. Lo sforzo infinito si produce
alla coscienza come autonomia del volere, come volere as-
soluto.

• Gt'undlage, p. 327.
2 Gt'undlage, p. 327.
PARTE SECONDA

LA W. L. DEL 1778
FILOSOFIA E GENESI
CAPITOLO I

IL SISTEMA COME PROBLEMA

§ I.

Prima di esaminare gli scritti che anticipano la W. L.


del 1798, ma che non sono da considerare tutt'uno con questa,
è necessario tendere alla precisazione di quei problemi che la
Grundlage impone ai suoi interpreti, e vedere poi se questi
problemi coincidono con quelli di Fichte.
La meditazione di Schelling si determina nel 1797 con
l'affermazione che la filosofia nasce nell'uomo dal bisogno di
superare quella rottura che a un dato momento lo ha reso
staccato dalla natura. Il còmpito della filosofia è restituire
l'unità 1. Hegel nella sua critica fichtiana, giustifica il suo
punto di vista dalla genesi stessa della filosofia: « quando la
forza di unificazione scompare dalla vita degli uomini e le
antitesi hanno perduto la loro vivente relazione e reciprocità
e diventano indipendenti, allora nasce il bisogno della filo-
sofia» a. Questa fondazione e giustificazione è il fondamento
dell'attacco, divenuto poi classico, alla Grundlage di essersi
fermata al momento della riflessione o della soggettività.
Esaminare se il còmpito fichtiano possa venir identificato
con quello che Schelling e Hegel danno alla filosofia, non è
qui di utilità alcuna. Una eventuale-differenziazione non por-
terebbe, infatti, al rifiuto della critica hegeliana. Che l'analisi
hegeliana penetri a fondo nella Grundlage, ne solleciti le am-

I Ideen zu einer Philosophie der natur, S. W., Abth., I, bd. Il, p. 12.
i Differenz des Fichte'schen und Schelling'schen System der Phi-
.osophie, ed. Lasson, p. 14.
94 LA W. L. DEL 1798. FILOSOFIA E GENESI

biguità, è provato dal fatto che la meditazione fichtiana per


proprio conto già si affatica su gli stessi problemi.
La critica di Hegel è del 1801, ed ha il suo centro nella
opposizione, entro la quale si muove la Grundlage, di co-
scienza speculativa e coscienza empirica. Quello che qui im-
porta far subito valere, è la identificazione compiuta da Hegel,
dell' Io del primo principio fondamentale con I' Io della in-
tuizione intellettuale. degli scritti del 1797. In questa identi-
ficazione che Hegel, per altro, dà come un fatto evidente in sé
e per sé, si trova il punto iniziale della nostra ricerca. È qui,
infatti, che deve farsi valere immediatamente il riconosci-
mento che quei tre scritti i cui primi due sono noti come
Prima e Seconda Introduzione e il terzo come Saggio di una
nuova esposizione della Dottrina della Scienza, non sono da
considerare chiarimenti di alcuni aspetti della Grundlage, ma
frammenti di un tentativo che Fichte ha realmente portato
a termine: la W. L. del 1798-9 1 •
Nel momento, in cui pubblica la cosiddetta Prima Intro-
duzione, Fichte esprime a Reinhold ancora una volta la sua
insoddisfazione per la Grundlage, e dà un giudizio abbastanza
illuminante. Essa non costituisce un intero ma è un insieme
di «scintille» 2. Se ci si riporta alla nuova esposizione, si può
immediatamente concludere che tale giudizio vada riferito
a quella tripartizione che costituisce l'architettonica della
Grundlage e che nella W. L. è soppressa. Tale riferimento valga
qui come una semplice indicazione.
In generale, si tende a vedere nella Prima Introduzione
una replica alle Lettere sul dommatismo e criticismo dello
Schelling. È abbastanza facile individuare sia in questa opera
come in quella sull' I o come principio della filosofia, ciò che
differenzia la posizione schellingiana da quella fichtiana. Ma

I I tre scritti debbono venir ricompresi sotto la loro comune de-


nominazione data originariamente da Fichte stesso, Versuch einer
neuer Darstellung det' Wissenschaftslehre. Risultano, allora, cosi ordi-
nati: Avvertenza, Introduzione (I), Introduzione seconda (II), Ca-
pitolo I (III).
2 A Reinhold, 21 ma.rzo 1797, Briefwechsel, bd. I, p. 556.
IL SISTEMA COME PROBLEMA 95

più fecondo per il nostro tema, è cercare di giustificare nella


Grundlage quella posizione.
Come punto fermo scegliamo la interpretazione che Schel-
ling dà della Critica della ragion pura. La Critica non è, un
sistema ma «un canone per ogni sistema» 1. Avvertimento
importante per· Fichte. Forse è qui l'origine o l'occasione
decisiva del suo procedere a una ulteriore distinzione di cri-
tica e filosofia.
È soltanto da questo riconoscimento, afferma Schelling,
che si può comprendere la presenza della cosa in sé nella
fondazione kantiana. Se Kant, infatti, avesse voluto, come
si pretende generalmente, distruggere il dommatismo, non
l'avrebbe lasciata sussistere. Ciò che Kant ha preteso di-
struggere ed ha distrutto è la pretesa di costruire un sistema
su fondamenti teoretici. Un sistema, dopo la scoperta critica,
non è che un'azione pratica, cioè un atto di volontà. Ed è
cosi che se la critica proprio in quanto metodo, è inconfuta-
bile, ogni sistema è confutabile praticamente dall'esserci del
sistema opposto. «La Critica della ragion pura non si lascia
contaminare dalla individualità e proprio per ciò essa vale
per ogni sistema, laddove ogni sistema reca in sé l'impronta
della individualità in quanto non può essere attuato se non
praticamente (soggettivamente). Tanto più una filosofi.a si
avvicina al sistema, tanto più vi hanno parte la libertà e la
individualità, tanto meno può pretendere alla universalità» 2 •
Che il dommatismo possa coesistere accanto all' idealismo,
è dato dal fatto che il sistema è un atto pratico con il quale
io posso celebrare o distruggere la mia libertà. Il valore della
fondazione kantiana è nell'aver provato che il filosofare è
sempre un atto pratico. La filosofia vale in quanto è un filo-
sofare. « Sino a quando noi siamo occupati a realizzare il
nostro sistema, ha luogo soltanto una certezza pratica di
esso, ma se noi in un dato momento giungessimo a concludere

I Philosophische Brie/e uber Dogmatismus und Kriticismus, 1795,


S. W. bd. I, p. 301.
-: Dogmatismus und Kriticismus, p. 304.
96 LA W. L. DEL 1798. FILOSOFIA E GENESI

il nostro lavoro, il sistema diventerebbe oggetto del nostro


sapere e cesserebbe di essere oggetto della libertà» 1 • La di-
gnità della filosofia dipende dal suo essere un prodotto della
libertà. È evidente l' interesse di questa interpretazione della
Critica come canone di ogni sistema, come giustificazione
di un filosofare inesauribile in un sistema, per un adeguato
intendimento della evoluzione della Dottrina della Scienza.
Si tratta di individuare dove la posizione schellingiana rag-
giunga la Grundlage, per farsi da essa giustificare.
Ciò avviene nel discutere la teoria del giudizio sintetico.
La sintesi conoscitiva, afferma Schelling, può apparire vit-
toriosa sul dommatismo, in quanto pone il soggetto condi-
zione dell'oggetto. Questa apparenza scompare non appena
ci si muove alla ricerca della possibilità della sintesi. Si ma-
nifesta, allora, che que&ta pone come sua condizione una
unità originaria e una tesi come termine. La sintesi tende alla
unità assoluta, la quale non può essere raggiunta teoretica-
mente ma con un atto pratico. Si ha, allora, o il soggetto asso-
luto o l'oggetto assoluto 2 • In questa posizione il fichtismo di
Schelling è chiaro. Che la sintesi presupponga una tesi, questo
è posto esplicitamente nella Grundlage. come pure che la
sintesi debba procedere sino al suo prodursi come unità asso-
luta. Si noti anche che sul piano teoretico la Grundlage si
riconosce come « lo spinozismo ridotto a sistema » in quanto
essa è costruita sul sècondo e terzo principio, e «il primo non
ha se non un valore regolativo » 3.
È importante riportarci ora a ciò che Schelling intende
per dottrina della scienza o criticismo. 11 Soltanto la critica
della ragion pura è o contiene l'autentica dottrina della scienza
poiché essa vale per ogni scienza. Si sollevi pure la scienza
a un principio assoluto, e se essa deve divenire un sistema,
non può che farlo. Ma non è possibile che la dottrina della
scienza possa presentare un solo principio assoluto per diven-

I Dogmatismus und Kriticismus, p. 306.


2 Dogmatismus und Kriticismus, pp. 296-299.
3 Grundlage, p. 122.
IL SISTEMA COME PROBLEMA 97
tare con ciò stesso un sistema (nel senso preciso del termine),
poiché essa non deve contenere un principio assoluto, un si-
stema determinato e condotto a termine ma il canone per
tutti i principii e sistemi» 1 • Se questo passo non deve in
alcun modo significare che qui Schelling oppone Kant a Fichte,
come, d'altra parte, non ricordare che la soluzione del terzo
principio, che in sé contiene il problema del giudizio sintetico,
è nella Grundlage deciso da un «decreto di autorità della 'ra-
gione a, decisione che subordina il Non-Io all'Io? Dal punto
di vista schellingiano, in questo u decreto della ragione» si
potrebbe vedere il passaggio o salto dalla posizione critica o
teoria della scienza all'idealismo.
Un altro aspetto della posizione schellingiana qui interessa,
e precisamente quello che si compendia nella affermazione
seguente: u l' Io è perché è, senza condizioni e limitazioni.
La sua forma originaria è quella dell'essere puro, eterno; di
esso non si può dire che era, che sarà, ma soltanto che è » 3.
Da ciò la completezza della intuizione intellettuale, su-
prema conoscenza umana, e la sua indipendenza dalla cono-
scenza discorsiva. In quanto non può che tendere a questo
Assoluto, dacché questo tendere ne costituisce l'essere, che
è, dunque, una aspirazione (proprio, allora, il Sehnen fichtiano),
I' io empirico tende alla propria distruzione. Soltanto I' As-
soluto è.
Comé tutto questo può non apparire fichtiano ? Ma se
è così, come può la Grundlage evitare di riconoscere che essa
in quanto tende al sistema (cioè, alla coincidenza del suo
principio con il suo risultato) tende proprio allo spinozismo?
Per comprendere quanto Fichte abbia meditato su questa
«ripetizione», basti ricordare che la critica che la W. L.
del 1801 muoverà a Spinoza, è proprio l'opposta di quella
mossa del 1794· A Spinoza verrà rimproverato non già l'at-
tualità dell'Assoluto, ma la impossibilità nel suo sistema di

Dogmatismus unà Kriticismus, pp. 304-305.


1
Grunàlage, p. 106.
i
3 Vom Ich als Princip àer Philosophie (1795), S. W., bd. I, p. 222.

7
98 LA W. L. DEL 1798. FILOSOFIA E GENESI

dedurre come si possa passare dall'Assoluto all'accidente.


Questa critica va, si badi, a raggiungere la ripetizione schel-
lingiana e proprio nella tesi che la compendia: « l' Io assoluto
non può mai uscire da sé » 1.
E come lo Spinoza ha di fatto, cioè contraddicendosi,
proceduto al passaggio, la critica cosi si esprime: «come può
Spinoza venire nella infinità, che per lui si scompone in sé
medesima, a qualcosa di solido, di chiuso? 3 • E in tal modo la
critica raggiunge anche la Grundlage.
Il momento che segue ha, dunque, il sistema stesso come
problema.

§ 2.

La insoddisfazione che Fichte denuncia per la Grundlage


già sin dal 1795 3, si precisa nel diverso significato che tende
a dare alla filosofi.a. La domanda sempre inquietante: che cosa
è la filosofia ?, ora s' impone come assoluta. Con il porsi tale
domanda, .Fichte abbandona il tema che ha ereditato più da
Reinhold che da Kant, il tema della ricerca dei principi del
sapere scientifico, tema che, esplicitamente fatto valere in
Uber den BegriU der W. L., domina interamente l'architet-
tonica della Grundlage.
È a partire da tale domanda che possiamo motivare il
distacco che sempre più si accentuerà nella evoluzione fich-
tiana, dell'atto filosofico dall'atto pratico. Lo sforzo di preci-
·sare la struttura dell'atto fifosofico, sforzo che inevitabil-
mente provoca una netta differenzazione dell' Io del primo
principio dall' Io come idea, pone il problema della realtà
del sapere filosofico. Questo problema impone necessariamente
una indagine su ciò che distingue il sapere assoluto e, di con-
seguenza, il problema del come ne veniamo in possesso. Questo
problema è alla radice delle tormentatissime meditazioni

1 Vom Ida als Princip der Philocsophie, S. W., bd. I, p. 217.


a Darstellung der Wissenschaftslehre a d. I. 1801, S. W., bd. Il, p. 88.
3 Alla moglie, 27 (?) settembre, 1795.
IL SISTEMA COME PROBLEMA 99

sulla natura della intuizione intellettuale. D'altra parte, il di-


stacco dell'atto filosofico dall'atto pratico importa la rimessa in
questione della inadeguatezza del sensibile all'intelligibile che è
al centro della Grundlage. È al lume del problema della auto-
nomia dell'atto speculativo, del suo essere altro dalla vita,
che Fichte supera il dualismo del sensibile e dell'intelligibile.
Questo avvertimento non deve, però, recare pregiudizio al-
cuno alla realtà della continua pressione esercitata dalla Cri-
tica del Giudizio e dalle Lettere schilleriane 1.
Il problema della unità dell'Io assoluto e dell'Io finito
veniva posto nella Grundlage come un còmpito pratico non
risolvibile teoreticamente. Come, dunque, il filosofo ne viene
a conoscenza?
Ora, questo còmpito cessa di essere il risultato della Dot-
trina della Scienza, se I' Io del primo principio non viene
più a coincidere con la idealità dell' Io finito. Tale differen-
zazione, alla quale Fichte è anche condotto dalla ancora
indiretta polemica con Schelling e dalle ricerche morali, esige
il risalire della Dottrina della Scienza alla radice di ogni dua-
lismo, non già per distruggere le varie forme della coscienza
ma per cogliere profondamente quella unità dell' Io che dopo
la fondazione kantiana costituiva il compito della filosofia.
A questo compito Fichte associa anche quello di poter giusti-
ficare quella filosofia della natura che Schelling sino al 1797
sembrava ancora voler costruire sul fondamento della Dot-
trina della Scienza. Ed è così che la W. L. del 1798-9 che
non conosce più nel suo ritmo la distinzione di parte teoretica
e di parte pratica, può concludere a quella partizione come a
un suo risultato. Il che significa che essa si trova più in alto
della Grundlage. Soltanto cosi, da questo nuovo punto di vista,
essa può pretendere di presentare quell' intero metafisico
che la Grundlage presupponeva ma di fatto doveva necessa-
riamente ignorare.
Entro la problematica aperta in vista di questo intero,

. 1 Uber die asthetische Erziehu•g des Menscllen, 1795· Cfr. WUNDT,


Fickle - FOf'schungen, Stuttgart, 1929, p. 77 e seg.
100 LA W. L. DEL 1798. FILOSOFIA E GENESI

va posta la ricerca che è al centro degli scritti del 1797. Questa


ricerca opera sulla distinzione tra il procedere del filosofo e
il procedere dell' Io.
«Nella W. L. vi sono due serie dell'agire spirituale, quèiì3.
dell' Io che considera il filosofo e quella delle considerazioni
del filosofo » 1 • Ed è su questa distinzione che Fichte si ap-
poggia per respingere la pretesa schellingiana di porre ac-
canto al sistema dell'idealismo quello del realismo. La energica
risposta segna la rottura definitiva della identità del problema
morale con quello della W. L. Sulla identità lo Schelling aveva,
infatti, costruito la coesistenza dei due sistemi, giustificando
l' idealismo come il sistema che rende possibile e promuove
l'azione morale e il realismo come il fondamento dell'attività
estetica :i.
Mai come in questa replica Fichte solleva l' idealismo così
energicamente al di sopra di un moralismo pratico. «Il filo-
sofo dice soltanto in nome proprio: tutto ciò che è per (/ur)
l' Io, è ad opera dell' Io, L' Io, però, dice nella sua filosofi.a:
cosi come è vero che' sono e che esisto, cosi esiste fuori di me
qualcosa che non esiste per opera mia.... L' idealismo non può
essere mai una maniera di pensare (Denkart), ma soltanto
speculazione » 3.
Fichte rifiuta, di conseguenza, la definizione che Schelling
dava del dommatismo come sistema del realismo. Questo
rifiuto si trova nella prima parte del Tentativo di una nuova
esposizione della W. L., cioè nella cosiddetta Prima Introdu-
zione. È lo stesso idealismo trascendentale che è il sistema del
realismo come sua fondazione e deduzione. Nella formulazione
schellingiana era implicita la futura accusa alla Dottrina
della Scienza di essere un sistema soggettivo. E Fichte già
replica con l'affermazione che l'unico sistema capace di giu-
stificare il realismo è lo stesso idealismo. Fichte, infatti, non
oppone idealismo e realismo ma idealismo e dommatismo.

1 Zweite EÌnleitung, bd. I, p. 454.


:iUber Dogmatismus und Kriticismus, lettere l• e lo•.
3 Zweite Einleitung, I, p. 455.
IL SISTEMA COME PROBLEMA IOI

Il dommatismo è cosi poco realismo che non è capace di giu-


stificare e indicare quella cosa in sé che assume a fondamento
della oggettività della rappresentazione. La cosa in sé appar-
tiene unicamente agli oggetti prodotti da un pensiero libero.
Ogni filosofia che conosce soltanto la serie delle proprie co-
struzioni, è dommatismo 1 • «L'oggetto dell'idealismo ... ha
su quello del dommatismo il vantaggio che è possibile indi-
carlo nella coscienza, non come principio della esperienza, il
che sarebbe contraddittorio, ma in genere » 2. Qui è il punto
iniziale della ricerca, ed è da qui che bisogna prendere inizio
per intendere veracemente il senso della intuizione intellet-
tuale, perché è da qui che può unicamente ricevere luce la
proposizione famosa che « la scelta di una filosofia dipende
da quello che si è come uomini » 3, proposizione che appare
fortemente pregiudicare il valore della replica fichtiana e nel
senso di trasformarla in una adesione completa alla tesi già
posta dello Schelling: « quale dei due (sistemi, criticismo e
dommatismo) scegliamo, questo dipende dalla libertà dello
spirito che abhiamo a noi stessi acquisita » 4. La ripetizione
va sino alla lettera. Lo iato che avevamo creduto potere in-
dividuare in questo momento della continua evoluzione fich-
tiana, tra l'esigenza pratica e quella speculativa, come può
venir mantenuto ? Dobbiamo, se non vogliamo abbandonare
il nostro tentativo, scoprire il rapporto che c'è tra la coscienza
della libertà e l'idealismo trascendentale, e in particolare se
la coscienza della libertà sia il fondamento reale o ideale
della Dottrina della Scienza. L'idealismo, sappiamo, può
a differenza del dommatismo, indicare nella coscienza il pro-
prio oggetto. Questo oggetto che è Objekt, non Gegenstand,
Fichte lo chiama l' Io in sé. L' Io in sé significa non l' io psico-
logico ma l'Io originariamente pensato, oggetto di una ori-
ginaria riflessione di sé. Si tenga presente per comprendere

1 Zweite Einleitung, I. p. 454,


2 Erste Einleitung, I, p. 428.
3 Erste Einleitung, I, 434.
4 Uber Dogmatismus und Kriticismus, p. 308.
102 LA W. L. DEL I798. FILOSOFIA E GENESI

la importanza della ricerca, che l' Io assoluto di Schelling (I795)


è altro dalla riflessione, altro dal pensiero. « L'Assoluto può
soltanto venir dato a mezzo dell'Assoluto, anzi, se esso deve
essere assoluto, non può che precedere ogni pensiero, ogni
rappresentare» 1.
Ora, quell'Io in sé che non è cosa in sé ma determinato
unicamente e incondizionatamente da me, non può esser dato
che da un atto di libertà. Chi non crede nella propria libertà,
chi si sente e si vive come un prodotto delle cose, chi, dunque,
sente il proprio io fondato nelle cose, non può fare a meno
di tutto ciò che è fuori di lui. Soltanto chi crede nella propria
autonomia e la prova di fatto con il sollevarsi al di sopra di
tutto ciò che la nega, può balzare dalla esperienza a quel
principio dell' idealismo che è qualcosa che si presenta nella
coscienza, ma in virtù di un libero atto di pensiero 2 • Se la
coscienza della libertà è il fondamento ideale dell'idealismo,
dove è il fondamento reale ? La risposta può apparire abba-
stanza facile e immediatamente convincente: la intuizione
intellettuale come intuizione dell' Io originario. Se si fa coin-
cidere questo Io con l' Io del primo principio della Grundlage,
non si deve con ciò stesso concludere che le due Introduzioni
altro non rappresentino che un approfondimento e infine una
nuova tecnica più semplice per la costruzione del concetto
primo della Dottrina della Scienza ? C' è qui una distinzione
che nella Grundlage manca, la distinzione tra l' Io della in-
tuizione intellettuale e l' Io come idea. Il primo è soltanto
per il :filosofo, il secondo è per l'Io stesso 3. Si tratta di vedere
il perché di questa distinzione. Non si dimentichi il monito
di Fichte, senza la distinzione delle due serie, quella ideale
del :filosofo e quella reale dell'Io rappresentato, la Dottrina
della Scienza non è possibile.
L'astrazione da ogni essere imposta con la posizione del
problema, che costituisce la istituzione stessa della filosofi.a

1 Vom !eh als Princip der Philosophie, bd. I, p. 167.


i Erste Einleitung, I, p. 445.
3 Zweite Einleitung, I, p. 515.
IL SISTEMA COME PROBLEMA 103

come ricerca della origine del sistema delle rappresentazioni


accompagnate dal sentimento della necessità r, appartiene
alla serie del ragionamento filosofico. Quando, allora, si pre-
senta la seconda serie? L'astrazione da ogni essere esige che
al soggetto non convenga se non un agire. In quanto il filo-
sofo fa oggetto del suo vedere questa attività in agilità, la
seconda serie ha luogo a. L'affermazione fondamentale è che
l'Io non può essere quello che è, se ad esso un essere esterno
contemporaneamente non viene all'essere. A quella che è la
prima questione: com' è l' Io per sé stesso ?, non si può ri-
spondere che con il postulato: pensa te stesso, costruisci il
concetto di te stesso e osserva come tu fai 3. In quanto fai
questo, tu trovi che la tua attività ritorna in sé stessa, si fa
oggetto di sé. Alla serie filosofica si aggiunge così la serie
dell'Io rappresentato. 'Per il filosofo lIo era già prima di
questo ritornare in sé che è un agire puro. Che cosa è per
l' Io questo suo ritornare in sé stesso ? Esso non è concepire
ma semplice intuizione. Come tale, non coscienza. L'atto,
il puro ritornare in sé, è soltanto un'astrazione compiuta dal
filosofo, un'astrazione, dunque, non u una parte originaria-
mente forse isolata dall'azione dell' intelligenza » 4. Qui balza
una difficoltà che bisogna liberamente lasciare agire nella
ricerca. Se l' Io in quanto semplice intuizione, è un'astrazione,
come può da sé muoversi e iniziare così la serie reale dell' Io ?
Vediamo. Questo Io, che ritorna in sé, altro non può essere
che quello del filosofo s, il quale nell'agire ritornante in sé,
intuisce il proprio atto. Questa intuizione non è mai isolata
da quella sensibile. E il filosofo vi conclude dai fatti evidenti
della coscienza'· Per il filosofo è un fatto, per l'Io originario
una Tathandlung 7. Ciò che Fichte dice qui non può non ge-

1 Erste Einleitung, I, p. 423.

a Zweite Einleitu11g, I, p. 457.


3 Zweite Einleitu11g, I, p. 458.
4 Zweite Einleitung, p. 459.
5 Zweite Einleitung, pp. 459-460.
6 Zw6ite Einleitu11g, p. 465.
7 Zweite Einleitung, p. 465.
xo4 LA W. L. DEL 1798. FILOSOFIA E GENESI

nerare imbarazzo e forse anche un ostacolo alla ripetizione.


Se sopra veniva detto che l'agire puro, l'intuizione di sé
dell'Io, non è neppure originariamente separato nell'Io,
non sembra ora che ci si trovi innanzi alla identificazione della
intuizione intellettuale dell' Io con l' Io originario ? Si accetti
come pacifica questa identificazione, e si avrà una chiusura
della Dottrina della Scienza nel coscenzionalismo, in quanto
lIo originario, l'Assoluto, verrebbe ad essere provato unica-
mente dalla impossibilità di astrarre nella astrazione anche
l'astraente.
Per prima è da chiarire in che rapporto sta la intuizione
intellettuale del :filosofo che si attua mediante un processo
astrattivo, con la intuizione intellettuale come coscienza im-
mediata. Quest'ultima viene provata mediante il fatto stesso
dell'esserci di una autocoscienza. Tale fatto esige l'esserci di
una coscienza come identità di coscienza (oggetto) e di co-
scienza della coscienza (soggetto). Il ragionamento è apago-
gico. Chi nega questa identità, nega da sé questa coscienza.
Una prima differenza tra le due intuizioni è questa, la
intuizione del filosofo in quanto intuizione della intuizione
è al di là di questa, in quanto ha da identificarsi con la sintesi
fondamentale della Dottrina della Scienza. A questo proposito
è indubbiamente illuminante ciò che Fichte scrive nel 1804.
e La W. L. ha sin dal primo momento indicato che ciò che
riconosce come Io puro è soltanto un prodotto, e che essa
lo pone al sommo della sua deduzione, non di sé stessa come
scienza, in quanto la produzione non può trovarsi che più
in alto del prodotto» 1. Qui ci pare che venga chiarito con
una consapevolezza che nel 1797 non ha ancora raggiunto
piena maturità, che la intuizione intellettuale della Dottrina
della Scienza non è assolutamente identica a quella della co-
scienza immediata. Mantenere e individuare sino all'arresto
questa distinzione già per sé evidente, è il nostro còmpito
attuale, in quanto è essa la condizione prima per comprendere

1 Die Wissenscha/tslehre, 1804, Nachgelassene Werke, hrg. I. H.


Fichte, bd. Il, p. 194.
IL SIS!EMA COME PROBLEMA 105

quel rovesciamento di metodo che a partire dal 1797 Fichte


attua nella ricostruzione della Dottrina della Scienza. Si
osservi come ancora nel 1795 e precisamente nella replica a
Schmidt, Fichte esponga il ritmo della filosofi.a: «]a Dottrina
della Scienza va dal fondamento ultimo che essa ha, al fon-
dato, dall'Assoluto al condizionato in esso contenuto, ai fatti
veri, reali, della coscienza» 1 •
Nella cosiddetta Prima Introduzione si ha il primo annuncio
del rovesciamento del metodo: I' idealismo « dimostra che ciò
che si addice inizialmente come principio o che si mostra im-
mediatamente nella coscienza, non è possibile senza il pre-
supposto di qualcos'altro, e questo qualcos'altro non è possi-
bile senza il presupposto di qualcos'a1tro, e cosi di seguito,
sino a che non si sia dato completamente fondo alle condi-
zioni di ciò che si è inizialmente mostrato e sino a che non lo
si sia interamente spiegato per quanto è possibile. Tale
procedimento è un processo ininterrotto dal condizionato
alla condizione, e ogni condizione diventa a sua volta un con-
dizionato di cui si ha da indagare la condizione » 2. Qui è
inequivocabilmente esposto un metodo opposto a quello se-
guito nella Grundlage. Questa opposizione è dichiarata espres-
samente nel 1798: « wir gingen [nella Grundlage] von der
Tathandlung aus und kamen auf die Tatsache-in Buche [cioè
nella nuova esposizione] aber ist die umgekerte Methode » 3.
Il nuovo ritmo viene cosi esposto in una Lezione di Logica
e metafisica (1797), la quale già nel titolo è abbastanza signi-
ficativa: «Filosofia in senso proprio o metafisica». Dopo l'af-
fermazione che la domanda fondamentale, alla quale la filo-
sofia deve rispondere è sulla possibilità di una verità ogget-
tiva, viene affermato che la risposta non può venire che dal
riconoscimento di una verità oggettiva come condizione per
l'esserci della autocoscienza: «L'autocoscienza è il principio

1 Vergleichung des vom Herrn Prof. Schmidt au/gestellten Systems


mit der W. L., S. W., bd. Il, p. 455.
2 Erste Einleitung. S. W., bd. I, p. 446.
3 W. L., 1798, ed. cit., p. 529.
I06 LA W. L. DEL I798. FILOSOFIA E GENESI

dal quale tutto deve essere dedotto "· Il criterio è: << oggetti-
vamente necessarie sono quelle rappresentazioni, senza le
quali nessuna autocoscienza può aver luogo D 1 •
L'autocoscienza, l'Io puro, è, quindi, il principio della
deduzione. Deduzione qui vuol dire analitica. Questo è il
còmpito della Dottrina della Scienza. La deduzione è una
ripetizione del prodursi della autocoscienza, ed essa deve in
questa costruzione procedere sino all'ultimo condizionante,
che non si lascia condizionare. Ci troviamo di fronte a un
semplice rovesciamento di metodo ? La lettera sembra non
autorizzare una ricerca ulteriore. Se non vogliamo peccare
di violenza e di arbitrio, dobbiamo operare su questo rove-
sciamento. Il risultato dovrà necessariamente risultare da ciò
che è necessariamente dato e presupposto da tale rovescia-
mento. Il rove~ciamento implica che la Dottrina della Scienza
non parte dall'Assoluto ma dalla autocoscienza umana per
sollevarsi alla Tathandlung. Si ha, quindi, una radicale di-
stinzione tra la intuizione faktisch presente ndla umana espe-
rienza e la intuizione intellettuale come Tathandlung. La in-
tuizione intellettuale è in generale un porsi per sé, una coinci-
denza assoluta di soggetto e di oggetto, di ideale e reale, di
forma e materia, di essere, dunque, e di riflessione, un com-
prendersi assoluto. La intuizione intellettuale del filosofo per
essere veramente tale, deve assolutamente coincidere con il
suo oggetto (la intuizione intellettuale come factum della
coscienza). Questa identità non può realizzarsi se non con il
sollevarsi della intuizione oggettiva a Tathandlung. Questa
totale risoluzione non si ha che come idea. La Tathandlung
genuina ed assoluta non si ha nell'umano sapere che come
idea. Nell'Io come idea «il mondo rimane dato», cioè ma-
teria 2.
La posizione della inattualità dell'Assoluto è quella della
Grundlage. Nuovo è, invece, il problema del come la intuizione
' \

I Vorlesungen uber Logik und Metaphysik, in I Nachgelassene


Schriften », hrg. Jacob, bd. II, p. 12.
z Zweite Einleitung, p. 516.
IL SISTEMA COME PROBLEMA ro7
filosofica possa pretendere all'assolutezza, cioè del come possa
risolvere nella propria riflessività la intuizione intellettuale
oggettiva. L'Io che è per il filosofo è l' Io come forma pura.
La sua assolutezza è espressa cosi da Fichte: es ist so, U1eil
ich es so mache 1 • Il concetto dell' Io è qui riflessività pura.
L'essere è assolutamente risolto nella riflessività, la materia
(was) nella forma (weil). L' Io è qui pura attività riflettente.
La identità della intuizione del filosofo con lIo, non è un
problema, perché quell'Io costruentesi da sé, non è che lIo
stesso del filosofo 3 • Nell'Io, invece, come idea, la materia
rimane materia, l'essere è sì subordinato all'essere per sé,
ma non è assolutamente risolto. Questo essere che resiste può,
è vero, venir giustificato come strumento per l'azione morale,
ma non per questo il problema cessa di imporsi, il problema
del come sia possibile raggiungere !'assolutamente incondi-
zionato, la vera Tathandlung.
Il sapere puro che è il sapere della Dottrina della Scienza,
veniva nella Grundlage identificato con la posizione dell' lo
puro e, quindi, con quella riflessività che ne costituisce l'es-
serci. Ora, questa riduzione assoluta rendeva di fatto vuota
la stessa riflessività e, di conseguenza, la libertà formale do-
veva assumere dal di fuori la propria materia o la propria
reale possibilità. Si aveva una identità posta come presup-
posta, dell'essere e della libertà, e, quindi, proprio a causa di
questa presupposta posizione, non era possibile rendersi ra-
gione della stessa natura della libertà (assoluta contingenza).
Si aveva come risultato uno spinozismo rovesciato. Questo
risultato non era sfuggito a Scelling. Ed è precisamente
dalla ripetizione schellingiana che Fichte deve aver preso
coscienza come tale rovesciamento non era per niente da
assumere come un superamento. Come verrà dichiarato più
tardi, nel 1801, il punto, a partire dal quale la Dottrina della
Scienza intende e pretende staccarsi dallo spinozismo, è nel
suo volere ed essere capace di distinguere sostanza (l'essere,

1 Zweite Einleitung, p. 460.


2 Zweite Einleitung, p. 459.
108 LA W. L. DEL 1798. FILOSOFIA E GENESI

l'essere assoluto) e accidente (libertà, sapere), distinzione


che lo spinozismo non può dare se non contraddicendo se
stesso. Ma di ciò in seguito.
Ritornando al nostro punto, la Grundlage poneva, come
sappiamo, un iato assoluto tra l'intelligibile e il sensibile.
L'intelligibile era un dover-essere, la cui funzione si esauriva
nel promuovere il procedere incessante dell'Io finito.
Ma la trattazione della filosofia propriamente pratica do-
veva necessariamente portare Fichte a riflettere su quel ri-
sultato della Grundlage, in quanto egli era costretto a rove-
sciare il rapporto di attività pratica e attività teoretica. Que-
st'ultima, che nella Grundlage si presentava come !'assolu-
tamente condizionante, ora, invece, non poteva che risultare
condizionata e in funzione della prima, l'attività pratica 1 •
Se ora ci si riporta alla già ricordata critica che Fichte muove
alla Elementar-Philosophie di Reinhold, di non poter essa
pretendere di porsi come Dottrina della Scienza in quanto di
fatto coincidente con una filosofia della facoltà rappresenta-
tiva, come potremmo noi evitare di riconoscere che la ·Grund-
lage, e proprio in forza di quella critica, non è, non può essere
la Dottrina della Scienza, ma anch'essa una teoria della rap-
presentazione? ·
Certamente, questo non è un risultato che Fichte può
riconoscere. Ma a questo non potere è impossibile riconoscere
la legittimità di un rifiuto che si esaurisca come tale. Al con-
trario, questo non potere pretende una totale accettazione
del risultato, per sottoporlo ad attacco. Il problema va posto
come domanda della possibilità del passaggio dalla sintesi
ultima della Grundlage alla Sittenlehre. Sappiamo che l'es-
serci (il Dass !) del sistema, dipende, una volta posto il se-
condo principio, dal primo principio, ma che il sistema abbia
possibilità di attuazione, questo dipende dal terzo principio,
fa cui soluzione (la conciliazione dell'Io e del Non-Io) coin-
cide con il sistema della Dottrina della Scienza. Questo terzo
principio viene espresso immediatamente nella forma della

J SittenleMe, S. W., bd. IV, p. 71.


IL SISTEMA COME PROBLEMA 109

divisibilità o della quantitabilità dell'Io e del Non-Io. Come


si passa, dunque, dal principio della divisibilità, la cui materia
determina la forma della Grundlage al principio dell'autonomia,
che è il principio della Dottrina morale ?
Per rendere visibile la inevitabilità del problema, la ripe-
tizione deve ignorarlo per quanto è possibile. Si può, allora,
pensare la Sittenlehre come il compimento della Grundlage,
in quanto l'Io nella sua ultima sintesi raggiunge sé come prin-
cipio assoluto, attuando così la conciliazione delle sue due
attività, la soggettiva e I.a oggettiva.
Il contrasto appare, invece, ineliminabile, una volta che
si abbia coscienza che la Grundlage non conosce che un essere,
il Non-Io. Dalla conciliazione dei suoi due primi principi nel
terzo, non può assolutamente risultare quel mondo razionale,
che è il mondo degli enti razionali o mondo degli uomini,
che come la rappresentazione della ragione in generale, costi-
tuisce il mondo stesso della Sittenlehre.
Richiamiamoci ancora al ritmo della Grundlage. Essa
parte da un sapere immediato: l' lo pone sé stesso. Come
questo sapere immediato sia possibile, 'è qui presupposto.
Questo sapere esprime una identità vuota. Come questo av-
venga, noi lo ricostruiamo. Chi ha operato la riflessione che
dà quel risultato, è il filosQfo, che per raggiungere quel sapere,
ha proceduto, come già sappiamo, per astrazione di ogni con-
tenuto reale. Questo risultato è incapace di muoversi da sé,
e il filosofo deve ora aggiungere ad esso ciò che è stato sop-
presso nella riflessione, ed aggiungerlo proprio nella figura
che esso ha assunto nella riflessione, quindi come Non-lo.
Questa aggiunta è un atto opposto a quello della posi-
zione assoluta dell' lo. Possiamo domandare se questa oppo-
sizione sia produttrice del Non-Io, se, cioè, il concetto della
opposizione produca immediatamente la sua applicabilità e
realtà. La risposta è necessariamente positiva.
È valido in assoluto nella Dottrina della Scienza questa
coincidenza della deduzione del concetto con la sua realtà ?
Per ciò eh<.' concerne la Grundlage, non v'è dubbio. Nella
Sittenlehre la cosa va, però, diversamente. Qui Fichte deduce
IIO LA W. L. DEL 1798. FILOSOFIA E GENESI

prima il concetto di moralità e poi la sua realtà. Qui non in-


teressa il perché di questo cambiamento di ritmo dato dal
fatto che al principio morale in sé non corrisponde nessun
oggetto nella realtà, ma ciò che deve necessariamente avvenire
per questo fatto nella evoluzione delia Dottrina della Scienza.
Un'altra indicazione deve essere condotta a collaborare alla
soluzione della nostra attuale ricerca. Guardiamo nella di-
stinzione che Fichte opera tra mondo sensibile e mondo in-
telligibile. • Ciò che si oppone alla mia azione - qualcosa io
debbo opporre ad essa, dacché sono finito - è il mondo sen-
sibile; ciò che deve nascere mediante la mia azione, è il mondo
intelligibile» 1 • Il primo è, dunque, opposto, l'altro è prodotto.
Questa produzione è la produzione stessa della Autocoscienza
assoluta. È questo il tema, sia detto per pesarne il valore de-
cisivo, che Hegel riprenderà nella Fenomenologia dello Spirito,
come tema del riconoscimento (Anerkennung).
Domandare il senso di questa distinzione, è domandare,
dacché rimaniamo pur sempre sul piano trascendentale, dove
si realizza questa distinzione. Per il :filosofo (cioè per un os-
servatore estraneo) il problema può apparire evitabile. Egli
la trova non appena si accinge alla trattazione dell'attività
pratica. Fichte spesso testimonia tale facilità. 11 Dal punto di
vista pratico il mondo esiste indipendentemente da noi, e
l'Io è posto fuori di noi e si chiama Dio .... Nel campo pra-
tico regna il realismo; riconoscendo questo punto di vista
pratico della riflessione e deducendolo, la speculazione stessa
riconcilia la filosofia con lintelletto comune» z.

§ 3.
La conciliazione tra il punto di vista pratico e quello teore-
tico si deve, dunque, attuare come conciliazione tra lidea-
lismo e il realismo ma sempre, s'intende, sul piano filosofico.
Il realismo è qui posizione e riconoscimento dell'attualità
dell'Io assoluto o dell'Assoluto e di realtà autonome (gli

r Zweite Einleitung, S. W., bd. I, p. 467.


i A Jacobi, 30 agosto 1795. - Bf'ief-chsel, ed. cit., bd. I, p. 502.
IL SISTEMA COME PROBLEMA III

altri) esistenti fuori cli me e indipendentemente dalla mia ri-


flessione. Il filosofo può credere di poter operare genetica-
mente questa deduzione. È appena da ricordare che per Fichte
la filosofia si distingue dalla critica in quanto trascende la
prova apagogica nella prova o procedimento genetico. ·
Vediamo, allora, se la dimostrazione che egli dà di questo
realismo sia data geneticamente o no. La genesi risponde
al problema del come (lelie). Genetica è cosi la dimostrazione
della credenza in un mondo esterno operata nella Grundlage,
in quanto essa deduce il come noi veniamo a una tale cre-
denza. Mondo esterno e credenza in esso sono dedotti con la
totale risoluzione del primo termine nel secondo. Un mondo
esterno all' Io per il filosofo della Grundlage non esiste. Il
filosofo sa che il mondo è il prodotto di una riflessione dell'Io
originario. Dedurre il mondo è così dedurre la credenza in esso.
Se bene si osserva si ha la coincidenza o meglio la soluzione
del was nel wie.
Questo punto di vista può apparire mantenuto nella :filo-
sofia pratica, dove si tratta di dedurre (e la deduzione è qui
genesi) gli altri. Nella Deduzione del concetto del diritto,
gli altri vengono dedotti come condizione della causalità
dell' Io sul Non-Io. «L'ente razionale finito non può attri-
buirsi una causalità libera sul mondo sensibile senza attri-
buirla ad altri e così ammettere fuori di sé altri enti razionali
finiti Il 1 •
Il procedimento deduttivo s'incentra sulla domanda del
come· sia possibile l'autocoscienza. «L'autocoscienza è possi-
bile se l'essere razionale può attribuire a sé stesso una causa-
lità e nello stesso momento opporre qualcosa a questa causa-
lità» i. Questa contemporaneità (sintesi} è necessitata dal
fatto che l'attività che suppone un oggetto e l'oggetto che
suppone una attività soggettiva, si condizionano reciproca-
mente. Questa reciprocità è possibile se il ~oggetto è deter-
minato a determinarsi. L'influenza postulata non necessita

1 Gmndrecht, S. W., bd. III, p. 30.


i Grundrecht, S. W., bd. III, p. 30.
:II2 LA W. L. DEL 1798. FILOSOFIA E GENESI

come forza fisica. Essa si rivolge all'essere razionale. La sua


causa è senza scopo se essa non ritiene che « noi dobbiamo
riconoscerla come tale; come tale causa deve essere, di con-
seguenza, assunto un essere razionale» 1 • Prima di esaminare
questa deduzione, vediamo come essa si ripresenta nella
Dottrina morale, dacché in questa deve essere condotta da
un « principio più alto » 2 • Il còmpito si determina come còm-
pito di porre la coscienza della individualità (Individualitat),
condizione della Egoità (Ichheit). Il principio è: «Tutto ciò
che è oggetto di riflessione, è necessariamente limitato, e
tale diventa già per il fatto che diventa oggetto di riflessione.
L'Io deve diventare oggetto di una riflessione. Esso è, dunque,
necessariamente limitato» 3. L'Io è caratterizzato da una
libera attività, la quale, se deve essere limitata, deve come
un quantum essere opposta alla libera attività in generale
e pertanto ad un'altra libera attività. Ciò non è, però, suffi-
ciente per la deduzione di un Io fuor di me. Potrei porre,
infatti, quella attività libera come attività meramente ideale,
come, dunque, puramente possibile. Ciò che, all' incontro,
è decisivo per la posizione di individui fuori del me, è che
non posso determinare me stesso con la libera attività ideale,
senza trovare una attività reale in me. Il principio è: «ogni
possibilità pura si fonda sulla reale astrazione della realtà
conosciuta» 4. Io non posso originariamente trovarmi con
l'attività ideale ma debbo trovarmi come oggetto, e poiché
l' Io è Io in quanto è libero, debbo trovarmi libero. Trovarmi
oggetto, significa trovarmi come impulso naturale. Ma per
trovarmi cosi, debbo riflettere. Dove la possibilità di questa
riflessione? Nel trovarmi liberamente attivo. «La genuina
autodeterminazione reale, mediante la spontaneità, non posso
trovarla come un dato ma debbo essere io a darla a me stesso ....
Posso, dunque, trovare una certa autodeterminazione sol-

i Grundreckt, S. W., bd. III, p. 36.


2 Sithnlekre, S. W., bd. IV, p. 218.
3 Sittenlekre, S. W., bd. IV, p. 218.
4 Sittenlekre, S. W., bd. IV, p. 219.
IL SISTEMA COME PROBLEMA 113

tanto a mezzo dell'attività ideale mediante una riproduzione


di una autodeterminazione presente, e presente senza un mio
fare. Che una mia autodeterminazione sia presente senza un
mio fare, può significare questo soltanto, essa sta innanzi
come un concetto; ovvero, in breve: io sono sollecitato ad
autodeterminarmi.. .. Non posso concepire questa sollecita-
zione ad agire liberamente senza attribuirla a un essere reale
fuori di me, ... a un essere, il quale è capace del concetto di
un concetto. Ma un tale essere è un essere che pone sé stesso
C<?me un Io, dunque è un Io» 1 • Questa è l'unica ragion suf-
ficiente - dichiara Fichte - per concludere l'esistenza di
un altro Io fuori dell' Io originario a. Nella Egoità, infatti,
questo altro non è contenuto. Nel suo concetto è contenuta
soltanto la limitatezza generale, non quella limitatezza par-
ticolare, la quale se non può dedursi a priori, è, però, origi-
naria. Essa costituisce l'elemento contingente (zufallig) della
individualità, es kann so sei·n 3. Alla domanda se il procedi-
mento genetico abbia una sua attuazione nella filosofia pra-
tica, pare che si debba senz'altro rispondere negativamente.
La conciliazione tra l' idealismo della Grundlage e il realismo
della filosofia pratica non si attua mediante una semplice
assunzione della corrispondenza di due diversi punti di vista.
Questa è una mera constatazione, che non può assolutamente
valere come soluzione del conflitto, constatazione che è resa
di fatto possibile dal punto di vista del filosofo, che nell'atto
in cui la dichiara si pone in una posizione di trascendenza
senza ancora dichiararci in che essa consista e in che abbia
fondamento e possibilità. Se si accetta come vera soluzione
la comunicazione dei due punti di vista, ci si viene a trovare
in una posizione che ricorda fortemente quella di Fichte
quando scriveva che la filosofia di Kant è vera nel suo risul-
tato, quando scriveva che la filosofia di Kant è vera nel suo
risultato, non nei suoi principi, in quanto non possiamo

1 Sittenlehfte, S. W., bd. IV, pp. 220-2r.


2 Sittenlehre, S. W., bd. IV, pp. 22r.
3 Sitte11lehre, S. W., bd. IV, p. 225.

8
114 LA W. L. DEL 1798. FILOSOFIA E GENESI

accettarla che come un risultato, il cui principio e le cui pre-


messe debbono ancora venire individuate.
Ma riflettiamo ancora sulla nostra domanda intorno alla
identità o diversità del metodo nelle due filosofi.e, la teoretica
e la pratica. L' oggetto della prova genetica nella Grundlage
era la credenza nel mondo, cioè la genesi della posizione rea-
listica della coscienza comune: (( Il filosofo trascendentale
deve assumere che tutto ciò che è, è soltanto per un Io,
e che tutto ciò che deve essere per un Io, può essere soltanto
mediante l'Io. L'intelletto comune, invece, dà a ciò che è
e all' lo una esistenza indipendente. Afferma che il mondo
sempre sarebbe, anche se lui non fosse. Egli non ha da assu-
mere posizione alcuna di fronte alla affermazione del filosofo,
anzi non può in quanto si trova in un punto di vista inferiore.
Ma il filosofo deve indubbiamente occuparsi di lui, e la sua
affermazione rimane indeterminata e in parte non vera, sino
a che non abbia mostrato come precisamente dalla sua affer-
mazione consegua necessariamente lintelletto comune e
come questi si lasci spiegare soltanto con quel presupposto» 1 •
Ora, nella Grundlage questo realismo della coscienza comune
è pienamente dedotto. La Grundlage ha dimostrato che esso
è pienamente fondato. Cosi essa riesce a confutare la pretesa
schellingiana di porlo accanto al suo idealismo. La coscienza
comune sta fondatamente in un punto di vista inferiore,
deducibile dalla coscienza filosofi.ca. Dunque, la deduzione
è resa possibile dal fatto che la coscienza del filosofo sta in
un punto di vista superiore.
La questione ora va sul realismo della filosofi.a pratica,
la cui ultima sintesi, ripetiamo, realizza la intera Dottrina
della Scienza. Questo realismo non è, quindi, fondato come
lo è quello della coscienza comune in un « niederem Gesicht-
spunkte », ma nella coscienza morale che si identifica qui con
la coscienza filosofica. La credenza in individui fuori di me,
non è dedotta, dacché essa è valida in assoluto, valida per la
coscienza filosofi.ca stessa, la quale ne postula la esistenza.

1 Grundreckt, S. W., bd. III, p. 24.


IL SISTEMA COME PROBLEMA II5

« In un certo senso la legge morale ha posto se stessa ad og-


getto » 1 • Essa è il principio teoretico a mezzo del quale io
pongo fuori di me la ragione in generale. La sua rappresen-
tazione è« la intera comunità degli enti razionali fuori di me» 2.
Il risultato, la rappresentazione della ragione in generale
come rappresentazione della comunità degli esseri razionali,
del mondo intelligibile, dunque, non è dedotto dal principio
primo della Grundlage: l'Io pone sé stesso assolutamente.
Da questo principio si può dedurre come l' Io in un momento
della sua storia pragmatica, creda nella realtà di enti razio-
nali fuori di lui, ma non che questi enti abbiano veramente
e assolutamente realtà in sé, in quanto la Grundlage ha solen-
nemente affermato che la intera realtà è produzione della
immaginazione produttiva, la quale agisce senza coscienza.
Nella Destinazione dell'uomo Fichte insiste sulla impossibi-
lità del sapere di uscir fuori di sé per attingere il reale, di dare,
pertanto, un fondamento al mondo intelligibile e per ciò allo
stesso mondo sensibile, che in quello ha il suo fondamento 3.
Il nostro problema, allora, sembra risolto e nel senso
già indicato. La genesi trova non soltanto un arresto nella
filosofia morale, ma se stessa contraddetta, in quanto la Dot-
trina della Scienza deve accettare e far sua la fede in realtà
autonome fuori dell' Io, che la legge morale esige per la ri-
conquista da parte dell'Io di quella assolutezza, dalla quale
la Grundlage è partita e alla quale essa deve ritornare per pro-
varne la verità non soltanto con l'astratta riflessione filosofica
ma come facente tutt'una cosa con la reale autodetermina-
zione dell' Io stesso. La contraddizione è innegabile. Essa
non può essere ignorata perché è in gioco la stessa possibilità
della Dottrina della Scienza in questo sistema. Come rea-
gisce Fichte ? L' inizio di questa reazione si trova per noi
nel § 3 della Deduzione del Principio di moralità 4. L'attacco
alla situazione precedente avviene con il diretto richiamo a
1 Sittenlekre, S. W., bd. IV, p. 254.
2 Sittenlekre, S. W., bd. IV, p. 255.
3 Die Bestimmung des Menscken, S. W., bd. II, pp. 199~247.
4 Sittenlekre, S. W., bd. IV, pp. 39-49.
II6 LA W. L. DEL 1798. FILOSOFIA E GENESI

un passo della Seconda Introduzione. <<Cosi certamente io mi


pongo, cosi mi pongo come un che limitato, come conseguenza
della intuizione del mio pormi. Io sono in conseguenza di
questa intuizione, finito. Questa mia limitatezza, dacché
determina il pormi da me, è una limitatezza originaria. Qui
si potrebbe ulteriormente procedere nella deduzione, sia de-
ducendo la limitatezza di me come del riflettuto, dalla limi-
tatezza necessaria di me come riflettente, e allora io sarei
per me finito perché posso pensare soltanto il finito; sia, al-
l'opposto, deducendo la limitatezza del riflettente dalla li-
mitatezza del riflettuto, e allora io potrei pensare soltanto il
finito perché sono finito. Ma un tal modo di chiarire non
chiarirebbe niente. Infatti, originariamente io non sono né
il riflettente né il riflettuto e nessuno dei due viene determi-
nato dall'altro, ma io sono ambedue nella loro unificazione» r.
Questo passo è importante perché indica già un approfondi-
mento ulteriore della posizione iniziale, dove la oggettività
della intuizione filosofica veniva energicamente risolta nella
attività riflettente, cioè nella pura attività soggettiva. Alla
domanda dell'accesso all'atto originario dell' Io o all' Io ori-
ginario da parte del filosofo, la risposta era: << Quell' Io che si
deve costruire è nessun altro che il suo proprio. Egli può sol-
tanto in sé stesso intuire l'atto dato dall' Io e per poterlo
intuire deve compierlo.... È cosi perché io cosi faccio, es ist
so, weil ich so mache » 2 • L'approfondimento consiste nell'av-
vertimento che l'attività riflessiva in quanto la si fa valere
assolutamente, in quanto, dunque, risolvente in sé l' Io ori-
ginario sino a porsi come lo stesso Io originario; non è che
una delle due possibilità che si offrono al filosofo. Che, quindi
l'affermazione: es ist so, weil ich so mache, potrebbe pacifi-
camente risolversi in ich so mache, weil es so ist, faccio cosi
perché è cosi. Nella Deduzione del principio di moralità Fichte
riconosce che è necessario, per tanto, procedere oltre. Dunque,
né il soggettivo né l'oggettivo è l'essenza dell'Io, ma una

• Zweite Einleitung, S. W., bd. I, p. 489.


2 Zweite Einleitung, S. W., bd. I, pp. 459-60.
IL SISTEMA COME PROBLEMA n7

identità. Ma che cosa sia questa identità è impossibile pen-


sare. Per tale impossibilità noi facciamo dipendere l'uno
dall'altro. E cosi non possiamo trattenerci dal porre la que-
stione: io sono perché mi penso o mi penso perché sono ?
Il dilemma non deve avere luogo perché tu sei uno, tu sei
questo « undenkbare Eine ». Questo concetto che non può
essere oggetto di un pensiero (Denken) è ora da descrivere
(beschreiben). Esso indica nella ricerca un posto vuoto. Esso
è assolutamente = X 1.
Per la intelligibilità di quel che segue, è bene che ci si
ricordi, sia pure schematicamente, che il senso generale della
deduzione è rendere possibile la coscienza dell'imperativo
categorico formale. Va da sé che la intera deduzione non
si arresta qui, a questo momento che è poi il momento (per
la coscienza filosofica) della oggettivazione della tendenza
assoluta, ma procede sino alla totale assunzione da parte
dell' Io della legge morale o legge della autonomia. Ed è al-
lora soltanto che l'Io ritorna per il filosofo, si intende, o di-
venta, e questa volta per sé, « vero Io puro », «rappresenta-
zione pura della legge morale nel mondo sensibile »:a. Questa
assunzione cosciente da parte dell'Io della tendenza assoluta
è, infatti, la conciliazione piena dell'Io soggettivo e dell'Io
oggettivo (tendenza alla spontaneità in vista di questa spon-
taneità). L' lo è, dunque, unità del soggettivo e dell'oggettivo.
E noi dobbiamo ora procedere alla descrizione di questo intero.
Dalla unione del soggettivo (libertà) con l'oggettivo (tendenza)
nasce un pensiero determinato, una determinazione dell' in-
telligenza. Che (dass) un tale pensiero determinato si origini,
questo è certo (esso è la intuizione intellettuale), e il nostro
còmpito è soltanto prenderlo in esame. Noi dobbiamo consi-
derare questa determinazione secondo la forma e poi secondo
il contenuto. Dal punto di vista della forma, si ha che questo
pensiero non è determinato da altro che· da sé. Qui, infatti,
nessuna determinazione oggettiva è pensata, ma una deter-

I Sittenlehre, S. W., bd. IV, p. 42.


2 Sittenlehre, S. W., bd. IV, p. 256.
II8 LA W. L. DEL 1798. FILOSOFIA E GENESI

minazione dell' Io intero. Questo pensiero è, allora, pensato


come determinato unicamente da sé. Assoluto quanto alla
forma, esso lo è anche riguardo al suo contenuto. Es wird
so gedacht, schlechthin weil so gedacht wird 1. Esso è « il prin-
cipio assoluto del nostro essere », coscienza immediata di sé
come intelligenza, quindi, quella «intuizione intellettuale
reale» che rende possibile il filosofare trascendentale, la cui
intuizione si distingue da essa per la natura meramente for-
male 2 • Questa distinzione, si badi, è nuova, anche se imme-
diatamente può non apparire tale, e noi vedremo subito perché.
Questo dal punto di vista soggettivo.
Passiamo ora a quello oggettivo. L'essenza della oggetti-
vità è un assoluto persistere. Pensata cosi, quella determina-
zione appare ed è un « gesetzlich notwendiges Denken » 3.
· La tendenza determinante è una tendenza alla spontaneità.
La sua determinazione è: l' intelligenza deve dare a sé la in-
violabile legge della spontaneità. Cosa si rivela immediata-
mente da questa posizione ? La riflessione originaria (Ja intui-
zione intellettuale in atto), che riflette su di sé come dante
a sé stessa il proprio fondamento, è soltanto una riflessione
data da un punto di vista, il punto di vista soggettivo. Essa
non è come l' intero, dal quale dedurre la intera totalità del-
1' Io. Essa, infatti, non condiziona realmente e non, quindi,
per il filosofo, ma. soltanto per sé, il suo fondamento, che è
la tendenza assoluta alla spontaneità come legge. Perché
questa legge, che dal punto di vista della riflessione è un
niente, sia dedotta come condizione stessa della riflessione,
il filosofo non deve unicamente riflettere su queste riflessione.
Se, infatti, egli crede di potere, astraendo dalla coscienza
immediata ogni contenuto, cogliere nella riflessione pura che
ne risulta, il movimento originario dell' Io o lo stesso Io ori-
ginario, si trova già nella impossibilità di superare la oggetti-
vità stessa dell' Io oggettivo, in quanto non può assoluta-

1 Sittenlehre, S. W., bd. IV, p. 47.


2 Sittenlehre, S. W., bd. IV, p. 47.
3 Sittenlehre, S. W., bd. IV, p. 48.
IL SISTEMA COME PROBLEMA n9

mente dedurlo come condizione ma unicamente postularlo


come un Non-Io. Ed è questa la situazione del filosofo della
Grundlage e questa anche spiega, ci sembra, e in modo deci-
sivo, il perché dei vari dualismi, del sensibile e dell' intelli-
gibile, del concetto e della intuizione, della forma del sistema
e del suo contenuto, dualismi che sono tutti da riportarsi
alla impossibilità di conciliare l' Io soggettivo con l'oggettivo.
L' Io del primo principio della Grundlage non è più la vera
Tathandlung, esso è ora anzi pienamente dedotto e dedotto
geneticamente come il riflesso o il risultato di quella riflessione
immediata su. di sé dell' Io intero che al filosofo rimaneva,
di fatto, ignorato, in quanto schiavo della propria Faktizitat.
Fichte afferma indirettamente questa schiavitù, quando af-
ferma che la coscienza comune non sa nulla del suo reale fon-
damento 1 • Proprio cosi come l'Io della Grundlage.
Ma, si badi, se l'essere (la sostanza dell'Io oggettivo)
non è più fittiziamente risolto nel weil, cioè non è supposto
identico e tutt'uno con la riflessione, ma è esso da ultimo il
fondamento della riflessione in quanto ne costituisce la deter-
minatezza materiale, che ne è allora del punto di vista del-
1' idealismo che necessariamente è il punto di vista della
Dottrina della Scienza in quanto teoria del sapere? Questo
punto di visfa non è soppresso ma è già, sia pure senza un
diretto richiamo, fatto oggetto a sé stesso. Il sapere assoluto
(la Dottrina della Scienza) si è portato più oltre sino a scor-
gere in sé stesso l'essere come il fondamento della propria
pensabilità. Se è cosi, come evitare la conseguenza che il
sapere abbia da sé soppresso la propria assolutezza e incondi-
zionatezza in quanto ha riconosciuto il proprio fondamento
non più nella attività riflettente ma nell' essere ? E se la con-
seguenza non può essere vera senza distruggere la stessa
possibilità di una teoria del sapere, come è possibile, d'altra
parte conciliare realismo e idealismo ? Questa domanda sia
pure in forme diverse ha fatto da guida alla nostra attuale
ripetizione. Dalla conciliazione dipende anche la possibilità

1 Sittenlehre, S. W., bd. IV, p. 46.


120 LA W. L. DEL 1798. FILOSOFIA E GENESI

di superare lo spinozismo, il quale nella Grundlage rimaneva


come una minaccia di determinismo e di fatalismo. Questa
minaccia Fichte non aveva potuto non avvertire nella rico-
struzione schellingiana. La presenza di Spinoza nella evolu-
zione della Dottrina della Scienza, è, per altro, testimoniata
dalle diverse prese di posizione che la W. L. assume in ognuno
dei suoi momenti. Vediamo, allora, di renderci conto in modo
più adeguato della critica che Fichte, nel 1801, come già si
è avuto modo di ricordare, muoverà al sistema spinoziano.
In questa critica il dommatismo e il fatalismo verranno indi-
viduati nella incapacità di dedurre e fondare la distinzione
di sostanza (necessità, essere) e di contingenza (libertà, sa-
pere). Se si assume questa critica come il nuovo punto di
vista presente già nella Sittenlehre, si ha per ciò che concerne
la Grundlage, che questa non era che uno spinozismo rove-
sciato (come già aveva interpretato Schelling e come più
tardi affermerà Jacobi 1 , in quanto in essa si aveva la totale
risoluzione della sostanza (was) nell'accidente (weil, il weil
dell'affermazione: es ist so, weil ich so mache). Ora è proprio
su questa distinzione che la incondizionatezza della riflessione
è mantenuta. « Se l' Io si pensa libero, allora essa (la legi-
slazione) si manifesta» 2. La Dottrina della Scienza aveva
posto nella Grundlage questa incondizionatezza come l'Asso-
luto. Ma nel suo procedere essa ora si è incontrata con l'essere,
la determinazione oggettiva e necessaria. Essa sarà, di conse-
guenza, sollecitata da questo risultato a riesaminare il proprio
principio assoluto, dal quale l'essere non è deducibile se non
come mera negazione. Un altro avvertimento. Da tutto ciò
che è stato detto risulta chiaramente che il rovesciamento di
metodo già progettato nel 1797, non è un fatto trascurabile,
un fatto che lascia la Dottrina della Scienza sostanzialmente
nella posizione del 1794, ma esso è per prima cosa una neces-
sità per fondatamente e non più in contraddizione con i prin-

1 Jacobi an Fichte (3 marzo 1799), Briefwechsel, ed. cit., bd. Il,


p. 27.
2 Sittenlehre, S. W., bd. IV, p. 48.
IL SISTEMA COME PROBLEMA 121

c1p11, raggiungere quella unità sintetica dell'intelligibile e


del sensibile, dell'Io soggettivo ed oggettivo, che non si lascia
concludere sistematicamente sul piano della Grundlage, la
quale «partiva dagli elementi esterni per raggiungere il centro,
il pensiero sintetico» 1,

I W. l.., 1798, ed. cit., p. 529.


CAPITOLO II

IL SISTEMA DELLA DOTTRINA DELLA SCIENZA

§ I.

La W. L. del 1798-9 procede conforme al nuovo metodo


progettato nella Prima Introduzione. I riferimenti alla Grund-
lage sono numerosi, e vanno dal semplice richiamo, dal chia-
rimento sino all'emendamento e alla confutazione. Prefe-
riamo valerci di essi di volta in volta, così come si presentano
nel corso della ricerca. Per la importanza del testo è signi-
ficativo che Fichte ne annunci la pubblicazione, parlando
ancora una volta della insufficienza della Grundlage e racco-
mandando per un adeguato intendimento dell' idealismo tra-
scendentale al posto della vecchia esposizione le parti essen-
ziali del Naturrecht, gli scritti del 1797 e in particolare la
Sittenlehre 1.
Ora la nuova esposizione vuole rappresentare il punto di
vista che la Dottrina della Scienza ha raggiunto nelle sue
,ricerche ulteriori, e ciò nel senso che essa deve valersi di questi
risultati. La W. L. è così chiamata a comporre da un punto
di vista necessariamente più alto i due punti di vista della fi-
losofia pratica e della teoretica, punti di vista che si presen-
tano opposti nella Grundlage e nella Sittenlehre. Il testo,
scritto da mano rimasta sinora ignota, reca un'avvertenza,
nella quale vien detto che la Dottrina della Scienza procede
« secondo un ritmo totalmente opposto a quello del com-
pendio del 1794, dove egli (Fichte) procede dalla parte teo-

1 A Johannsen, 31 gennaio 1801, Briefwechsel, ed. cit. bd. II, p. 310.


IL SISTEMA DELLA DOTTRINA DELLA SCIENZA 123

retica della filosofia, da quella, dunque, che deve essere de-


dotta, a quella pratica, che è quella, dalla quale la prima deve
essere dedotta. Nelle sue lezioni non ha più luogo la sinora
consueta distinzione della filosofia in teoretica e pratica.
EgJi presenta la filosofia in generale, unifica teoretica e pra-
tica e inizia secondo un ritmo assai naturale dalla pratica,
oppure, nel caso che lo esiga la chiarezza, trae la parte pra-
tica nella teoretica, per chiarire questa con quella» 1 • La
unificazione delle due parti si accompagna con la soppressione
della esposizione dei « Principi della intera Dottrina della
scienza ». Ora, tale soppressione, che sarà mantenuta in tutte
le presentazioni ulteriori, non investe la stessa possibilità
del sistema? Questo punto, a quanto ci risulta, non è stato
ancora discusso a sufficienza e in tutta la sua portata. La do-
manda va estesa sino a comprendere in sé (per una com-
prensione adeguata) la distinzione fichtiana tra critica e
filosofia.
Nella Grundlage il sistema, ripetiamo ancora una volta
in un ripetere che tende a un continuo approfondimento, è
reso necessario dalla necessità di conciliare i due primi prin-
cipi mediante il terzo, la cui materia costituisce la forma del
sistema. Questa materia è sintetica. Il procedimento del
sistema sarà, allora, sintetico. «Noi dobbiamo, quindi, in ogni
proposizione cominciare dal mostrare gli opposti che debbono
essere conciliati» i. Che essi debbono esserlo, che, di conse-
guenza, debba esserci un sistema, ciò dipende dalla tesi asso-
luta. Soppressi i tre principii, da che la necessità del sistema?
Perché alla domanda possa venir data una risposta adeguata,
colui che pone la domanda deve già sapere che cosa rappre-
sentano i tre princlpii. Essi non sono il sistema ma ciò che lo
rende possibile, dunque ciò che Fichte chiama la critica. Questa
si distingue dalla filosofia m senso proprio anche per il metodo,
che è apagogico. La critica dimostra che senza determinate
condizioni la filosofia non è possibile. Si osservi ora che Fichte

1 W. L. 1798, ed. cit., p. 343.


i Grundlage, p. II4.
124 LA W. L. DEL 1798. FILOSOFIA E GENESI

con la espos~zione del terzo principio dà nella Grundlage come


risolta «la celebre questione che Kant pose a capo della Cri-
tica della ragion pura: come sono possibili i giudizi sintetici
a priori ? » 1 • E ciò nel senso che' il terzo principio contiene
«una sintesi tra l'Io e il Non-Io opposti» 2. Ma questa sin-
tesi non è ancora una dimostrazione genetica. Essa è un fatto,
proprio come l' ha posto Kant in un luogo determinato, che
precede come Introduzione la ricerca 3. Il senso della critica
in quanto distinta dalla filosofia, è il presupporre alla genesi
il fatto come possibile perché necessario. Essa si può esten-
dere sino ad anticipare quali siano le condizioni che rende-
rebbero possibile il fatto stesso. Ma come queste condizioni
si attuino, dove abbiano origine, quale sia la loro storia tra-
scendentale, tutto questo va al di là di essa. Ora nella Grund-
lage i principi non sono prodotti ma soltanto apagogicamente
esposti. Se (wenn) c' è un sapere, se vi sono giudizi sintetici
a priori, allora debbono (so mussen) esserci i principii.
Una volta soppressi i principii, cioè la sua possibilità e
necessità, dove deve il sistema trovare il perché del suo pro-
cedere discorsivo, il perché del suo procedere sinteticamente
e dialetticamente? Per ciò che concerne la discorsività, essa
è dovuta alla nostra limitatezza. Il filosofo «sviluppa i con-
cetti uno dopo l'altro e costruisce gradualmente il suo sistema,
che la nostra coscienza costituisce in un solo atto; mi pongo
e pongo al tempo stesso un mondo » 4. Da dove la dialetticità ?
Nel suo fare tutt'uno con la genesi. La dialettica, che nella
Grundlage poteva apparire risultante da un metodo di espo-
sizione del filosofo, viene ora risolta nello stesso procedimento
genetico, che dà anche il ritmo sintetico. La filosofia non si
dirige a un fatto della coscienza ma lascia agire il suo oggetto
e lo osserva in questo agire s. La dialetticità, la sinteticità
sono dell'oggetto osservato, non di colui che osserva. Il pro-

1 G'l'undlage, p. II4.
2 G'l'undlage, p. n4.
3 K'l'itik de'I' 'l'einen Vernunft, x787, Einleitung, p. 19.
4 W. L. x798, p. 353·
5 W. L., p. 355.
IL SISTEMA DELLA DOTTRINA DELLA SCIENZA 125

blema di un metodo o di una possibilità da presupporre al


reale muoversi del sistema, non trova, di conseguenza,
più posto nella Dottrina della scienza.

§ 2.

L' inizio è dato da un postulato: progettare il concetto


dell'Io e osservare come ci si comporta 1 • Chi esegue il postu-
lato, troverà sé come attivo. Il concetto dell'Io si attua me-
diante una attività in sé ritornante. Questa è la coscienza
immediata di noi stessi, la coscienza che siamo noi a porre
noi stessi. La coscienza cosi ottenuta è la intuizione origi-
naria dell'Io (in senso oggettivo e soggettivo). Da qui co-
mincia la deduzione. Le condizioni perché una tale attività
(i' Io) possa venire intuita sono: la intuizione dell'opposto
della attività, il riposo; la intuizione del determinabile, me-
duante cui quella attività è intuita come determinata. Ab-
biamo cosi determinate due sfere, una del soggettivo e una
dell'oggettivo. Alla prima appartengono: l'attività, l'attività
determinata (A), il concetto dell' Io (B). A quella oggettiva,
il riposo, il determinabile, che è l'attività determinabile in
riposo (C), il concetto del Non-Io (D).
La deduzione procede sulla possibilità della intuizione
originaria. Questa intuizione è attività, e nessuna attività
è possibile senza pensare il suo opposto, il riposo. Il con-
cetto è una attività in riposo. La intuizione (in senso ogget-
tivo) non è possibile senza il concetto. Questo concetto non
può essere il concetto dell'Io in B, dacché B è prodotto dalla
attività determinata che è la intuizione, della quale noi cer-
chiamo la condizione. Deve, allora, essere il concetto C, che
è il concetto dell' Io corne sostanza, facoltà. C si distingue
da B per ciò che esso appare nella coscienza a mezzo della
intuizione, laddove B è non dato, ma prodotto dalla intuizione
originaria. A mezzo di C, del determinabile, l'Io viene con-
cepito come facoltà di potersi determinare in questo o in quel

I w. L., p. 358.
126 LA W. L. DEL 1798. FILOSOFIA E GENESI

modo. C è attività iQ riposo, non, quindi, negazione assoluta


ma relativa a un quantum di attività. Dalla determinatezza
originaria dell' lo noi deduciamo così il determinabile. Ma il
determinabile in quanto tale, in quanto attività in riposo,
non può essere determinato alla intuizione senza il suo con-
cetto opposto, che deve essere una negazione non più relativa
ma assoluta, reale, quindi Non-lo. C è pertanto anche intui-
zione, ed è propriamente il concetto della intuizione 1 •
Prima di procedere ulteriormente Fichte pone in rapporto
il ritmo qui seguito con quello della Grundlage, e in partico-
lare con quello che partendo dal Non-lo procedeva al deter-
minabile e infine al determinato. Abbiamo avuto già occa-
sione di avvertire come in quel ritmo rimaneva del tutto im-
possibile rendersi conto del passaggio dalla determinabilità
(la divisibilità del terzo principio) al determinato, cioè al
quanto. La proposizione: l' lo si pone come determinato
dal Non-lo, non era assolutamente dedotta. Tra il deter-
minabile e il determinato vi era un iato. La W. L. ora si ac-
corge di questo iato e lo sopprime, muovendosi secondo un
ritmo opposto. Essa parte precisamente da ciò che nella
Grundlage costituiva l'ultimo termine, il determmato e da
questo deduce il determinabile e dal determinabile il Non-Io.
Essa in tal modo ottiene immediatamente quella unificazione
dell' lo e del Non-lo che la Grundlage non riusciva a porre i.
Ma così noi abbiamo posto anche il concetto della attività
come passaggio (Ubergehen) dall'indeterminato al determi-
nato.
Una coscienza immediata non è ancora coscienza, essa è
un porsi inerte, nessuna intuizione. Per divenire coscienza,
essa deve porsi innanzi a sé, deve prodursi per sé. Dalla no-
stra precedente sintesi risultò che noi non possiamo trovare
il concetto dell' lo se non in quanto 1' lo si pone con un porre
che è un passare dalla determinabilità alla determinatezza.
Questo passaggio non avviene a mezzo di un termine medio.

I w. L., p. 368.
2 W. L., p. 369.
IL SISTEMA DELLA DOTTRINA DELLA SCIENZA I2J

Si ha per così dire un salto (Sprung), un creare dal niente.


Questa attività, senza la quale la intuizione non sarebbe
possibile e in generale nessuna attività ideale, è, quindi, de-
dotta come la condizione del prodursi stesso della coscienza
immediata in coscienza, in un prodursi che è un porsi innanzi
a sé. L'attività reale che è, dunque, un atto della libertà, non
è a sua volta possibile senza l'attività ideale. Ambedue sono
unificate nell'Io. Nessuna libertà senza intuizione di sé.
L'atto della libertà è fondamento originario di tutto ciò che è.
Perché la Dottrina della Scienza non ha cominciato da
esso ? « Perché noi come intelligenze finite possiamo pensare
soltanto discorsivamente. Per poterlo descrivere, intuire, noi
abbiamo avuto bisogno del determinabile. Noi possiamo sol-
tanto mediatamente fare oggetto la nostra coscienza imme-
diata, a mezzo della determinatezza» x. Il determinarsi del-
1' Io ha in sé il suo fondamento. Se esso è per l' Io, la deter-
minazione di sé deve essere intuibile. Ma ciò che è intuibile
è soltanto il determinato. Essa è allora intuibile come deter-
minazione a qualcosa. Ma perché questo avvenga, l'attività
reale nel suo concetto, cioè come facoltà pratica, deve porsi
come facoltà dei concetti. Il determinarsi presuppone, infatti,
la proiezione del concetto di uno scopo. Ciò consegue dalla
libertà. Libertà non è possibile senza intelligenza di uno scopo
da realizzare. Che significa: io mi determino ? Che io sono
per me, o che sono in rapporto a me, intelligenza della mia
facoltà pratica. La deduzione che si muove non in senso oriz-
zontale ma in profondità, prova l'attività ideale come condi-
zione e perciò deducibile d~lla libertà. Nella prima sintesi
l' Io era un porsi ideale, un mero vedersi. Essa era un fatto.
La intuizione era faktisch, una situazione della intelligenza.
Su questo fatto ora la deduzione fa ritorno: come è possibile
che quel determinabile e determinato siano intuibili? Essa
in tal modo ottiene l'oggetto di una nuova riflessione 2 •
Si badi che la intuizione del passaggio dal determinabile

I w. L .. p. 374·
2 W. L., p. 378.
I 28 LA W. L. DEL I798. FILOSOFIA E GENESI

al determinato non è una intuizione reale ma soltanto una


riflessione astratta a mezzo della riflessione filosofica. L'atto
dell' Io come libertà assoluta è propriamente un passaggio dal
determinabile al determinato. Che io debbo scegliere, deter-
minarmi, questo è condizionato dall'esserci della autocoscienza.
Il determinabile dipende assolutamente e incondizionata-
mente dalla libertà. Ora, questo determinabile deve essere
intuibile in quanto costituisce la sfera d'azione della attività
reale. Come è possibile? Dedurre la intuizionabilità di esso,
è dedurre quel molteplice che Kant presuppone, è nspondere
alla domanda: perché io debbo essere un'attività rappresen-
tante ? Alla intuizione il determinabile non può presentarsi
che come un molteplice. Che il determinabile debba cosi
presentarsi, che esso debba, di conseguenza, essere oggetto
della intuizione, questo dipende ancora una volta dalla li-
bertà, perché è la libertà che richiede per il proprio esserci
la intuizione. La libertà, infatti, deve essere intuita, ed essa
non può esserlo se non mediatamente, a mezzo del suo prodotto.
Soltanto «mediante l'agire la libertà è intuibile dall' Io » 1.
Ora, che si richiede per l'azione? Un ostacolo, qualcosa che
stia di contro, proprio così come un Widerstand. Si ha, dunque:
l'oggetto condiziona l'azione, l'azione condiziona la intuibi-
lità della libertà, la quale altrimenti non sarebbe per l' Io,
quindi non sarebbe, e non sarebbe neanche l'autocoscienza.
Il molteplice (il determinabile in quanto intuito) e il deter-
minato (l'azione scelta) si distinguono in ciò che nel primo
«è intuita un'azione soltanto possibile, posta, cioè, dalla in-
telligenza oscillante tra opposti, nel secondo un'azione reale,
posta, cioè, dalla intelligenza fissata in una serie determinata
del molteplice » i. Dal risultato sinora ottenuto si ha anche
che possibile e reale non sono concetti del mero pensare in sé
ma del pensiero in quanto si riferisce agli oggetti. I concetti
sono cosi categorie nel senso kantiano, Ed essi lo sono - e
qui la W. L. chiarisce il presupposto kantiano. - in quanto

I W. L., p. 386.
i W. L., p. 385.
IL SISTEMA DELLA DOTTRINA DELLA SCIENZA 129

l'attività ideale è in rapporto con l'agire della libertà. Se la


intera coscienza procede dalla coscienza del reale che è la
esperienza, l'esperienza procede dall'agire ed è possibile uni-
camente in quanto vi si riferisce come al suo fondamento e
condizione.
La deduzione procede sempre in profondità in funzione
della domanda originaria sulla possibilità della autocoscienza.
Questa domanda coincide ora assolutamente con la domanda
sulla possibilità stessa della Dottrina della Scienza.
L' intuire è condizionato dall'azione. Ma un'azione non è
possibile senza un concetto di scopo progettato in anticipo.
Condizione di questa proiezione è la sfera del determinabile
come del molteplice, dal quale io debbo liberamente scegliei;e.
Questa necessità della scelta (necessità si badi in vista della
libertà, condizione della intuizione), è la determinatezza
dalla quale deve trascendersi alla autodeterminazione. Il
diverso in quanto tale, è mera opponibilità, infinita divisibi-
lità. Per l'attività ideale della facoltà pratica (la libertà della
scelta o libertà materiale) deve esserci nel diverso qualcosa
che si opponga, dunque un che non divisibile, una realtà.
Di questo qualcosa l'Io deve (soll) essere cosciente come di un
dato. «Dove non c' è niente, nessun diverso, non è possibile
progettare un concetto » r.
Questo risultato deve venir sintetizzato con l'affermazione
fondamentale che l' Io è cosciente soltanto della propria at-
tività. La sintesi è data dal Trieb che è una continua ten-
denza all'attività. Qui la W. L. ripete la deduzione della
Grundlage. Ma questa ripetizione ha un senso diverso. Nella
Grundlage, infatti, il Trieb veniva dedotto in funzione della
conciliazione dell' Io teoretico con l' Io assoluto a mezzo del-
l'attività pratica. Qui, invece, in funzione della limitatezza
originaria postulata dall'esserci della autocoscienza. Questo
procedimento viene cosi presentato: «Il carattere dell'Io è
che esso si pone idealmente o si intuisce. Se l'Io fosse soltanto
attività, se, cioè, la sua attività pratica non fosse limitata ... ,

I W. L., p. 389.

9
130 LA W. L. DEL 1798. FILOSOFIA E GENESI

l'Io non avrebbe nessuna coscienza. Esso non si potrebbe


porre. Ciò è possibile soltanto a mezzo della necessaria co-
scienza della tendenza o del limitato» 1 • La tendenza fa possi-
bile la intuibilità dell'attività pratica, e quindi, la coscienza.
Questa limitatez:r..a dell'attività rende possibile la coscienza.
La tendenza deve non soltanto essere legata con la coscienza
ma deve anche come originaria produrre una immediata co-
scienza materiale, cioè produrre la materia (Sto'fJ) per la scelta
della libertà. Che cosa è questa coscienza immediata? Essa
non lo si dimentichi, è condizione per la possibilità stessa,
della intuizione. Dunque, in essa non appare quella distin-
zione di attività reale ed ideale che è la struttura della intui-
zione. Stiamo deducendo la possibilità stessa dell'attività
reale. Siamo al limite della deduzione. Al di là di questa im-
mediata coscienza non è possibile andare. Come tale, essa è
un sentimento (Gefuhl). La Critica lo chiama diversamente,
sensazione (Empfindung). Unicamente in quanto riferito a
mezzo del pensiero a un oggetto, esso diventa sensazione i.
Sentimento è, infatti, la coscienza immediata della limi-
tatezza, di questa interna immediata limitatezza (mera affe-
zione). Questo sentimento è quel positivo nel diverso su for-
malmente dedotto per la possibilità della scelta. Esso è indivi-
sibile, forma e contenuto, libertà e necessità, esso è ciò che
è perché è. La sua rappresentazione nel mondo esterno
è la materia 3.
Come per la possibilità del concetto di scopo abbiamo do-
vuto assumere un molteplice, cos~ ora determiniamo mate-
rialmente quel molteplice come un molteplice di sentimenti.
Ciascuno di essi è un diverso, uno stato diverso dell' Io. Come
viene l' Io in questo diverso ? Si osservi che la deduzione del
molteplice prosegue ancora. Essa proseguirà sino a dedurre
da sé il molteplice kantiano. L' io deve a sé riferire e per ciò
distinguere questo molteplice. Che l'Io debba potere fare

J w. I.., p. 391.
i Zweite Einleitung, S. W., bd. I, p. 490.
3 W. L., p. 394·
IL SISTEMA DELLA DOTTRINA DELLA SCIENZA 131

questo, dipende dal fatto che esso realmente fa questo. E


questo è unicamente possibile mediante il sistema della sen-
sibilità, che è allora quel determinabile, il cui passaggio, come
è stato già affermato, costituisce la struttura stessa dell'atti-
vità ideale. Abbiamo così risposto alla domanda: da dove
viene il materiale per la scelta della libertà?.
Deve ora venir dedotta la possibilità di una risposta sul-
l'aspetto formale della questione: come compone l'Io da
questo molteplice del sentimento il proprio concetto di scopo ?
Ciò che rende possibile la autodeterminazione deve essere
qualcosa come una regola, quindi un concetto come oggetto
della attività ideale. È da notare che qui Fichte definisce il
concetto come Kant l'aveva già definito nel momento più
profondo forse della sua ricerca, cioè come « ciò che serve di
regola» 1 •
Il discorso non è qui di un oggetto reale nell'esperienza,
ma di un oggetto come regola del determinarsi. All'attività
ideale deve come sua condizione essere opposta una atti-
vità reale. Ma il sentimento, del quale deve essere composto
il concetto di scopo, non è un oggetto dell'attività ideale.
Perché lo sia, è necessario che esso diventi oggetto di intuizione.
Porre tale questione significa domandarsi come l'Io per-
venga a uscire da sé. Tale problema verrà a coincidere con la
deduzione dell'oggetto detefJ!linato, il Non-Io, distinto,
dunque, dall'oggetto cercato, che possiamo già indicare come
l'oggetto dello sforzo. (St1eben). Il sentimento è la coscienza
immediata della limitatezza. In esso attività ideale e reale
sono unite. Il sentimento deve essere posto cioè posto non
soltanto nell' Io ma per I' Io stesso. Ma il porre dell' Io è un
opporrL Alla limitatezza deve, dunque, essere opposta una
attività libera. Questa attività deve porsi e si pone in quanto
si stacca dalla limitatezza, la quale, però, non viene distrutta
perché ne è il fondamento. Questo strapparsi è allora un atto
ideale, che non altera il sentimento. Esso è la intuizione cer-
cata. Che cosa è ora la materia (Materie) che nella intuizione

1 Kritik der retnen Vernunft, 1781, p. 106.


132 LA W. L. DEL 1798. FILOSOFIA E GENESI

può presentarsi ? L' oggetto della intuizione non è 1' Io stesso.


La limitatezza dell' Io è intuita come non mia ma come qual-
cosa fuori di me, come un limitante. La intuizione, come aveva
già scoperto Kant, è cieca, cioè, non intuisce sé stessa. Non
cosciente di sé, essa si perde nel suo oggetto, il sentimento.
Essa è spinta ad assumere fuori di sé qualcosa come un Non-Io,
al quale conviene il carattere dell'essere. Questa intuizione
di un oggetto reale, per ciò che è fondato in una limitazione,
in che rapporto si trova con la intuizione d'un oggetto possi-
bile richiesto per la possibilità della proiezione del concetto
di scopo ? Questo rapporto risulta coincidente con la dedu-
zione in questione. Il sentimento della limitatezza presuppone
infatti, il sentimento dello sforzo, come condizione. E questo,
quello. I due si condizionano reciprocamente. L'oggetto reale
della intuizione è intuito come limitante. Che cosa è, allora,
il limitato, che deve anche essere oggetto, seppure opposto
a quello reale ? Questo oggetto non può essere lIo, che noa
si presenta nella intuizione ed appare perduto in essa. Che
cosa allora? Un oggetto dello sforzo, non, quindi, un oggettò
determinato, ma determinabile, un còmpito (Aufgabe) di
porre un diverso da ciò che limita lIo. In questa intuizione
opposta, lIo si sente libero. Le due intuizioni dell'oggetto
determinato e del còmpito, sono soltanto distinte dalla ri-
flessione filosofica, ma nell' Io sono sinteticamente unificate.
Esso non può sentirsi limitato, senza sentirsi libero e vice-
versa. Senza sentimento dello sforzo, non è possibile il senti-
mento della limitatezza, e senza la intuizione dell'ideale
(il còmpito) non è possibile percepire un oggetto.
La richiesta deduzione di una intuizione di un qualcosa
come un còmpito (il concetto di scopo) per quella auto-deter-
minazione, condizione per l'esserci dell'auto-coscienza, 6
cosi data dalla necessità di questo oggetto-còmpito per la
possibilità stessa della esperienza come intuizione della limi-
tatezza reale dell'Io. Il problema della possibilità della proie-
zione di un concetto di scopo ha cosi posto la intuizione og-
gettiva come sua condizione. Ma questa intuizione, a sua volta,
deve ora essere posta dall' Io stesso, da quell' Io che, come
IL SISTEMA DELLA DOTTRINA DELLA SCIENZA I33

I' intuente, si perdeva nell'oggetto. Questa intuizione Fichte


la chiama y. Come all'Io non avviene se non ciò che l'Io
stesso pone, cosi noi dobbiamo procedere a quest'ultima con-
dizione. La Dottrina della Scienza è qui assolutamente fedele
a quel procedimento già progettato nella così detta Prima
Introduzione. L'idealismo «dimostra che ciò che si addice
inizialmente come principio e che si mostra immediatamente
nella coscienza, non è possibile senza un prosupposto di qual-
cos'altro, e questo qualcos'altro non è possibile senza il pre-
supposto di qualcos'altro, e cosi di seguito sino a che non
si sia dato completamente fondo alle condizioni di ciò che si
è inizialmente mostrato• 1 • Come è possibile, allora, che
I' Io ponga I' intuizione su dedotta ? Questa si pone come
intuizione della limitatezza dell'attività reale dell'Io. In y è,
allora, l'attività ideale limitata da ciò che essa deve rappre-
sentare quel diverso determinato. Da questa limitazione
nasce un sentimento. Io sento la limitatezza dell'attività
ideale. Con il sentimento nasce una intuizione di questa li-
mitazione, la quale si dirige alla intuizione y come al suo og-
getto. Sentimento e intuizione sono anche qui connessi inse-
parabilmente. Con ciò si ottiene una nuova sintesi. Nessuna
intuizione oggettiva senza la soggettiva o interna, nessuna
percezione senza appercezione.
Ora, che ne è dell'assunto che tutto ciò che è, è un prodotto
dell'attività dell'Io? Se l'assunto non deve essere abbando-
nato, anche I' intuizione deve essere un suo prodotto. Dalla
limitazione della attività ideale nasce un sentimento, nel
senso che essa è determinata a rappresentare y. Questo sen-
timento presente nella intuizione come sentimento di una
costrizione logica (Denkzwang), come si concilia con la libertà
della attività ideale ? La conciliazione è data dall'avverti-
mento che tale costrizione non è assolutamente determi-
nante ma unicamente condizionante la verità del mio rappre-
sentare. Verità è coincidenza di sentimento e intuizione.
Verità è il darsi liberamente dell' Io a quel sentimento, a

1 Erste Einleitung, S. W., bd. I, p. 446.


134 LA W, L. DEL 1798. FILOSOFIA E GENESI

quella determinatezza che è la intuizione y. Questo darsi è


un riflettere, la cui libertà è data dalla sua antitesi, che è la
intuizione Y, la necessità limitante. La intuizione x, in quanto
intuizione che è coscienza dell' intuente, è un concetto. Di
fronte alla intuizione y che è cieca nel senso che in essa l' Io
non riflette ma è come perduto, il concetto è libertà.
A rigore, la deduzione dovrebbe essere giunta al suo ter-
mine, avendo ora essa dedotto la possibilità del concetto.
Ma essa ha potuto far questo unicamente a mezzo di « certi
presupposti che tacitamente noi abbiamo fatto 111. Il problema
era della unificazione delle due intuizioni o del come perve-
niamo a dire che questo concetto è il mio. Bisogna di nuovo
riflettere sulle due deduzioni e dedurre dalla nostra riflessione
necessariamente qui trascendente, il perché all'Io debba ne-
cessariamente apparire qualcosa come dato. Io non posso
pormi che attivamente. In ogni attività c' è un formale e un
materiale. Il materiale è la intuizione y o il concetto del Non-Io.
Ciò che l'Io sente, è il passaggio dal determinabile al deter-
minato (y), ed è da tale sentimento il prendere coscienza o
il suo concepire quel quantum di limitatezza come il concetto
della sua limitatezza. L'io si dà, dunque, liberamente a quella
costrizione. Qui libertà è il potersi anche non dare a quella
costrizione. Questa libertà costituisce il perché il concepire
è da me sentito come il mio concepire. Ma questa possibilità
presuppone dal suo punto di vista (che non coincide con quello
trascendentale della Dottrina della Scienza) la presenza senza
il mio fare, della intuizione y. Questa in quanto mera intuizione
è per la coscienza dell' Io la cosa stessa. Si ha dunque identità
di intuizione e cosa (Ding). La rappresentazione come rappre-
sentazione dell'oggetto (unificazione del sentimento e della
intuizione) è una riflessione che l'Io compie in esso come una
sua determinazione a mezzo libertà.
La W. L. fonda in tal modo il realismo e lo giustifica con
la deduzione del concetto stesso di azione che esige quakosa
nel quale agire. Ma al tempo stesso deduce in vista proprio

I w. L., P· 424.
IL SISTEMA DELLA DOTTRINA DELLA SCIENZA 135

di tale giustificazione, un atto originario della libertà come


fondamento di ogni libero agire, atto che è reale nella coscienza
del filosofo ma non nella coscienza in generale, dacché questa
come attività ideale presuppone un oggetto, della cui produ-
zione essa non può dir niente come del suo necessario presup-
posto. Ora, la risposta alla domanda del come perveniamo
a dire che è mio il concepire: l' Io si pone come potente o no
rappresentare qualcosa, non è ancora pervenuta alla genesi,
in quanto deve estendersi sino alla deduzione del come i' Io
possa fare questo. Questa estensione costituisce, di conse-
guenza, la seconda parte della risposta. Se la prima guardava
nel determinato come primo termine, questa ora guarda nel
secondo, il determinabile e lo interroga. Se l'Io deve potere
ntuire il suo fare possibile come qualcosa che può compiere
o no, questo fare possibile deve presentarsi come un deter-
minato nel determinabile. Ma questo fare cosi determinato
non è possibile che nel presupposto di questo stesso agire ma
in generale uberhaupt). «Tutti i predicati presuppongono un
soggetto, il quale è qui l'agire in generale. Ad ogni riflessione
si presenta qualcosa come un dato. Cosi anche qui» 1 •
Se dal punto di vista della riflessione, l'agire in generale
deve apparire ed appare come un dato, dal punto di vista
del determinante, esso si presenta dipendente dalla libertà.
per il suo potere essere o no· compiuto. Si tratta, dunque, di
conciliare questi due punti di vista, di dedurre geneticamente
la loro unità sintetica. Come dipendente da una scelta, il mio
fare possibile deve essere oggetto di una intuizione. Come
può esso presentarsi? Non come un oggetto, dato che non è
determinato da un sentimento, ma come uno schema. Questo
schema del fare è lo spazio. Lo spazio è, quindi, la forza sog-
gettiva della intuizione esterna (la intuizione y). Spazio ed
oggetto si condizionano reciprocamente come il determina-
bile e il determinato. L'uno non è senza l'altro e viceversa.
Dal punto di vista del determinabile si ha, dunque, che il
porre l' Io è un presupporre come dati spazio ed oggetto. Dal

I \V. L., p. 433·


136 LA W. L. DEL 1798. FILOSOFIA E GENESI

punto di vista del determinante, cioè dell'Io, si ha, all'op-


posto, che oggetto e spazio sono presupposti a condizione
che lIo si ponga come libero. Lo spazio è, infatti, ciò nel quale
l'oggetto viene determinato dalla libertà. Se questo determi-
nare non è possibile se non nel presupposto dello spazio, lo
spazio a sua volta non è possibile se non nel presupposto della
libertà come del suo predicato. «Lo spazio è la sfera della li-
bertà» 1. Ogni determinazione di spazio è relativa. Ci deve
essere, però, un primo che assolutamente dipenda dal mio
agire, cioè dal mio intuire che è un porre gli oggetti nello
spazio. Questo porre assoluto deve, da una parte come intui-
zione essere un determinato e, dall'altra, come assoluto ser-
vire da regola. «Questa intuizione deve, ora, essere il determi-
nato e al tempo stesso il regolativo dell'agire» z. Se ogni de-
terminazione di luogo dipende dal mio essere in un punto,
io debbo già prima di ogni determinazione spaziale dell'og-
getto, cioè dell'intuire, essere nello spazio. Ma per potermi
intuire nello spazio, debbo prima sentirmi nello spazio. Ma
ciò non è immediatemente possibile. Lo spazio non pÙò essere
sentito ma soltanto intuito. Esso è, infatti, uno schema. Vi
deve essere, dunque, un termine medio che renda possibile il
mio intuirmi nello spazio come il senziente. Il corpo (Leib,
il corpo come organo e senso, l'articolato, dunque) è la condi-
zione oggettiva dell'intuire, così come lo spazio ne è la con-
dizione soggettiva. «Il determinato (l' intuizione di me come
senziente, mediante cui accedo nello spazio) e il determinato
(la intuizione dell'oggetto) sono sinteticamente unificati. Io
non posso determinare qualcosa nello spazio senza pormi in
esso. L'ultimo porre è la condizione della possibilità del primo,
cioè del porre qualcosa nello spazio, e viceversa. Ma lo spazio
io lo pongo assolutamente » 3.
Ogni determinazione di luogo è in relazione al mio essere
in un punto. Io determino la lontananza di un oggetto dallo

i W. L., p. 437.
z w. L .• p. 4.oJI.
3 W. L., p. 445.
IL SISTEMA DELLA DOTTRINA DELLA SCIENZA 137

sforzo per raggiungerlo. Questo sforzo è la misura. Io calcolo


il tempo e la forza necessari per trovarmi là dove si trova
l'oggetto. Come è possibile calcolare questo, e in generale
misurare la misura stessa? Perché sia dedotta la possibilità
della determinazione spaziale deve essere possibile la intui-
zione di un quantum della forza. Il concetto di forza lo si può
soltanto dedurre dalla coscienza del volere e dalla sua causa-
lità. Il volere non può, a sua volta, essere dedotto ma indi-
cato nella intuizione. Materialmente esso è il concentrarsi
dello sforzo in un punto, e in ciò si distingue dal deliberare,
stato di problematicità. Formalmente, esso è unità di sog-
getto e oggetto, identità di coscienza del volere e del volere
stesso. Su questa immediata unità poggia la sua natura noume-
nica. Infatti, il volere in quanto è immediatamente unità di
ideale e reale, è prodotto unicamente dal pensiero, senza un
qualche sentimento o intuizione. I fenomeni sono, invece,
prodotti a mezzo di sentimento e intuizione.
Il volere è noumeno. In ogni volere non c' è salto o iato.
Il volere è una serie continua in una direzione. Dall' imporsi
che il volere fa alla immaginazione, che nel desiderio è invece
libera di saltare un membro della serie della determinazione
e anche lintero processo, nasce il concetto di forza, un agire
interno che sta tra la rappresentazione e il sentimento. Fichte
lo chiama sentimento intelligibile. «Esso non è proprio un
sentimento. Nessuna limitatezza appare, anzi lopposto.
e· è una rottura della limitatezza, la quale si produceva dalla
deliberazione, e che ora viene rotta dalla decisione. Esso è,
però, sentimento per ciò che è in quello sforzo interno, me-
diante il quale la immaginazione, che ha una tendenza alla
mobilità, viene per cosi dire fissata. Di questo atto io sono
immediatamente cosciente in quanto lo compio 1 • In quanto
mi limito in una direzione, questa limitazione è una forza
pura della intelligenza. A mezzo di questo agire del mio diri-
germi in un punto, nasce, di conseguenza, un sentimento
di forza.

I w. L., p. 451.
138 LA W. L. DEL 1798. FILOSOFIA E GENESI

Con il volere è necessariamente unita una causalità. Il


volere, infatti, deve nella esperienza esterna realizzare imme-
diatamente qualcosa. Cosa si ha per questa causalità ? Che
un diverso di sentimenti è unificato a mezzo della intuizione
e riferito al volere. Questo diverso, dacché sentimenti opposti
non possono coesistere, avviene mediante un rapporto di
dipendenza, cioè con una determinazione del seguente a
mezzo del precedente. Lo schema di questo rapporto è il tempo.
« Il tempo è la forma della intuizione del diverso nella unifi-
cazione a mezzo della dipendenza » 1 • L' lo come il determi-
nante, accede nel tempo. La forza, mediante cui si determina,
è, allora, sensibilizzata.
Il tema della ricerca era la intuizione di un quantum di
forza, dal quale doveva venir dedotta la determinazione di
luogo. Questa ha ora il suo fondamento nella possibilità che
I' lo ha di temporalizzare, cioè di tracciare qualcosa come una
linea. Questa possibilità è cosi dedotta con la causalità reale
del volere, ma questa causalità ha luogo soltanto nell'agire.
Cosa importi quest'ultima condizionatezza, lo si vedrà in
seguito.
In questa ricerca la W. L. ha ripreso vigorosamente con-
tatto con la più profonda problematica kantiana. Si badi che
il concetto di tempo già progettato in sé nel Grundriss des
Eigentumlichen des W. L. 2, è qui in una dimensione nuova
in quanto adoperato per cosi dire per il raggiungimento di
quella unità dell'intelligibile e del sensibile che la Grundlage
lasciava come un còmpito che apparteneva alla vita di attuare,
come una aspirazione che veniva di fatto a creare una con-
traddizione tra il sistema e il suo principio. Ancora una volta
si può ricordare la critica hegeliana che proprio da questo
dualismo, visto come dualismo di coscienza pura e coscienza
empirica, traeva la sua più feconda motivazione. Il risultato
letterale della Critica della ragion pura, al quale Fichte

i W. L., p. 453.
2 S. W., bd. I, p. 391 e seg.
IL SISTEMA DELLA DOTTRINA DELLA SCIENZA 139

direttamente qui si riferisce 1 , è il tempo come sensibilizza-


zione dei concetti, il tempo generatore dello schematismo.
Fichte si vale di questo risultato come di un fatto da dedurre
geneticamente, come di un fatto, si badi, che non è dato
entro la problematica della ragion pura teoretica ma nella
problematica della ragion pura nella sua interezza, cioè nella
coscienza pura. La unità, allora, di concetto puro e intuizione
diventa unità del sensibile e dell' intelligibile, di pratico e
teoretico. .
Fichte riprende la deduzione trascendentale soggettiva
che Kant taglia via dalla Critica del 1787, e che aveva a suo
tema il problema del costituirsi stesso del pensiero e si svol-
geva sulle tre sintesi della apprensione nella intuizione, della
riproduzione nella immaginazione, della ricognizione nel
concetto. Ma la riprende con la coscienza che questo pro-
blema è l'approfondimento stesso del concetto del tempo,
del quale Kant nella Estetica aveva fatto una qualitas occulta
dello spirito umano. Fichte porta a compimento la sensibi-
lizzazione e per ciò la temporalizzazione del pensiero oggetti-
vante che è alla radice attività pratica. Ma questa tempora-
lizzazione temporalizza qui il tempo stesso, cioè il tempo oi-
gettivo, e risulta proprio come richiedeva il risultato kantiano
per essere portato al suo termine, dalla finitezza o limitatezza
originaria dell' Io. Di questo approfondimento Fichte ha co-
scienza piena: « Il concetto di tempo è decisivo per la Dot-
trina della Scienza, cosi come lo è in generale per ogni idea-
lismo. Esso mostra il rapporto del nostro sistema con quello
kantiano, in particolare con quello della Critica della ragion
pura. E ciò dipende dalla genesi del concetto di tempo 1 1 •
Ora, da che dipende e in funzione di che è il tempo ? Esso
dipende dalla nostra limitatezza, dal nostro non potere che
agire nel discreto. Ma se il tempo fosse soltanto discreto, noi
non ne verremmo mai a coscienza. La discrezione in sé, fatta,

1 W. L., P· 457·
~ W. L., p. 457.
140 LA W. L. DEL 1798. FILOSOFIA E GENESI

dunque, valere come sintesi prima, non è per l'Io ma sol-


tanto per il filosofo, anzi a rigore neanche per il filosofo. Questo
diverso appare se l'Io pensa successivamente i suoi discreti.
Ora, il diverso è per Il filosofo, ma non per l'Io, che è per una
intelligenza esterna questo discreto stesso. Perché l' Io sia
cosciente del suo tempo e per ciò del misurare e quindi dello
stesso spazializzare, condizione della intuizione dell'oggetto,
esso deve poter pensare questo tempo oggettivo, cioè pen-
sare «più momenti in un solo » 1. E "questo uno è la intuizione
intellettuale dell'Io volente» i. Il tempo è la forma del sen-
sibilizzarsi del pensiero, proprio in quanto pensiero. Pensare
significa, infatti, « porre l' intelligibile nel diverso del sen-
sibile a mezzo del tempo » 3.

§ 3.

La W. L. ha raggiunto il suo scopo, la deduzione delle


condizioni che rendono possibile l' autocoscienza ? Essa che
ha proceduto dal condizionato al condizionante, deve ricono-
scere che la deduzione è ora entrata in un circolo, o meglio
che essa ha ora preso coscienza de] proprio circolo. La coscienza
è attività, agire. Questo risultò dal mo stesso venire all'essere.
Ma perché l'Io sia cosciente del proprio agire, l'agire deve es-
sere libero. E questo esige la proiezione di un concetto di
scopo. Il circolo è questo, il concetto di scopo presuppone una
conoscenza oggettiva e questa il concetto di scopo. La limi-
tatezza condiziona l'agire e l'agire la limitatezza. Da dove
nasce il circolo ? Dalla dualità iniziale del determinabile e del
determinato, cioè dal fatto che la deduzione conosce sinora la
coscienza sensibile soltanto. Tale fatto spinge la W. L. a rico-
noscere che la coscienza sem:ibile non si lascia da sé dedurre.
Deve essere assunto un intelligibile perché la deduzione venga
al suo scopo. Qui è anche evidente come il dualismo kantiano

1 W. L., p. 459.
i W. L., p. 459.
3 W. L., p. 461.
IL SISTEMA DELLA DOTTRINA DELLA SCIENZA 141

di ragion teoretica e di ragion pura pratica, dualismo che la


Grundlage non aveva del tutto superato, impedisca di aver
ragione di tale risultato. Il postulato pratico deve venire
esteso alla intera deduzione in quanto da esso dipende la
coscienza nella sua interezza. Questo è un momento fonda-
mentale nella ricerca. Fichte ha piena coscienza di essere qui
sul piano della istituzione kantiana e scrive: 11 Verosimilmente
Kant quando scrisse la Critica della ragion pura non aveva
ancora tutto chiaro. Il suo Io in questa è sempre soltanto un
mero accidens. Soltanto nella Critica della ragion pratica e in
quella de] Giudizio l'Io diventa autonomo. Ma la rielabora-
zione della Critica della ragion pura, avrebbe richiesto da lui
una fatica enorme. Così essa rimase com'era» 1 •
Per superare il circolo si richiede un sovrasensibile che
sia in quanto tale, immediatamente dato come oggetto e per
ciò sia anche un determinato. Ora, 11 tutta la coscienza è sen-
sibile» 2. Richiedere un sovrasensibile significa dedurre un
qualcosa non sottoposto alla generale legge del sensibile, cioè
al passaggio dal determinabile al determinativo, e quindi un
qualcosa non intuibile necessariamente a mezzo dello schema
temporale, il tempo oggettivo. L'intera deduzione si è sinora
fondata, si badi, su questa legge. Abbiamo, infatti, proceduto
continuamente dal condizionato alla condizione, cioè dal de-
terminato al determinabile. Ogni determinato presuppone
un determinabile. Ma la condizione ultima deve essere in
quanto tale, unità del determinabile e del determinato, dunque,
un che di sovrasensibile, un intelligibile. La proposizione:
nessun agire è possibile senza un sentimento e viceversa,
esprime che libertà non è possibile senza limitatezza, e limi-
tatezza non è possibile senza libertà. Nella prima delle due
espressioni, la limitatezza non può coincidere che con la fini-
tezza del determinaoile, cioè quel quantum del determinabile
che costituisce il sistema della sensibilità. Ma per penetrare
a fondo nella seconda si richiede un approfondimento del con-

I w. L., p. 474·
z W. L., p. 470.
142 LA W. L. DEL 1798. FILOSOFIA E GENESI

cetto di libertà non più visto in funzione della intuizione ma


assolutamente. Noi dobbiamo pensare la libertà nella sua
assolutezza. Ma pensare è pur sempre sensibilizzare. «Se io
penso l' intelligibile, esso diventa sensibile, cioè lo sottopongo
alla legge e alla forma del passaggio dal determinabile al
determinato 11 1 • Sensibilizzare la libertà significa pensarla
in rapporto con la serie della dipendenza nel tempo, cioè
come una facoltà d' iniziare assolutamente una serie. Ma la
libertà deve essere limitata. Questa limitatezza è allora il
non-potere che iniziare in una direzione determinata. La de-
terminatezza è qui un determinato. La contraddizione tra i
due risultati è risolta con il mantenere distinti i due punti di
vista. «Libertà e limitatezza convengono in un uno. Libertà
per ciò che l' inizio è assoluto. Limitatezza per ciò che soltanto
cosi può essere iniziato :i. Libertà e limitatezza coincidono
come contingenza e necessità-. È stato affermato che il volere
deve essere pensato. Come può questo il pensiero ? Il pen-
siero si riferisce al valore a mezzo della intuizione intellet-
tuale di me come volente.
Questo volere deve essere intuito intellettualmente. Che
significa ciò ? Che il volere non vien_!! intuito secondo la legge
delJa intuizione sensibile che è il passare dal determinabile
al determinato, ma immediatamente come immediatezza, la
quale allora da ist, aber nicht wird 3. Il volere appare, si pre-
senta come esigenza categotjca. Questo è l'essere del volere
puro, il suo was, l'essere che, dunque, deve trovarsi a fonda-
mento del pensiero. Ma come esso viene pensato ? A questo
dobbiamo rispondere. Tutto il pensiero è sensibile. Dunque,
ci deve essere un sentimento come termine medio tra il pen-
siero e quella esigenza categorica alla determinatezza che è
il volere intellettualmente intuito. Ogni sentimento nasce
dalla limitatezza dello Streben. La limitatezza è qui limitata
dal volere puro. Da essa si origina il desiderio (Begierde) come
tendenza al volere.
· 1 W. L., p. 472.
i W. L., p. 467.
3 W. L., p. 478.
IL SISTEMA DELLA DOTTRINA DELLA SCIENZA 143

Pensare il volere è pensarlo come un'azione possibile,


come un dovere, al quale è_ data immediatamente la possi-
bilità di essere. Questo determinabile, al quale ora perviene la
deduzione, è ciò che essa aveva sinora supposto e invero posto
nella Grundlage come Non-Io. Ma di questo determinabile
io non sono cosciente se non in quanto mi trovo originaria-
mente determinato a volere, cioè come oggetto. Il volere puro
deve esserci già prima di tutto il pensiero. Il me come volente
non è dato a me come un qualcosa che ho da determinare,
come avviene per ogni oggetto mondano di fronte al quale
io sono il determinante. Io sono qui un mero guardare, in-
tuizione: «Io sono soltanto intuente» 1 • L'Io è qui soltanto
l'intelligibile, un pensato, senza spazio e tempo. Quel deter
minabile che è allora condizione del mio intuirmi è allora
«una massa, una sfera dello spirituale, e l' Io è una parte
determinata di questa massa dello spirituale» 2.
Come risultato necessitato per il superamento del circolo,
si ha, dunque, che ciò che a un tempo è oggetto di scopo e
causalità reale, è il volere puro. Ma perché il volere puro che
è un intelligibile, possa porsi come causa reale di ogni produ-
zione e alterazione della coscienza, deve entrare in rapporto
con il tempo, cioè divenire empirico. Questa esigenza che si
presenta come esigenza di unità del mondo intelligibile e del
mondo sensibile, impone il problema, dunque, del come possa
il volere puro riferirsi al mondo sensibile. Questo problema
costituisce, afferma Fichte, il problema fondamentale deJla
W. L. e, quindi, anche il suo distinguersi dalla Grundlege:
«in questa lo scopo principale, date le circostanze, consisteva
nel mostrare che tutta la nostra coscienza ha il suo fonda-
mento nelle leggi del nostro pensiero, cosa che rimane vera.
Nella presente esposizione, però, otteniamo un sostrato
permanente del mondo intelligibile per il mondo empirico» 3.
Io mi trovo come volente. Io rifletto su questo mio stato,
ma qui il mio riflettere che è puramente intelligibile, si di-
1 W. L., p. 475·
:i W. L., p. 476.
3 W. L., p. 485.
144 LA W. L. DEL 1798. FILOSOFIA E GENESI

stingue dalla percezione sensibile, nella quale si ha quella


dualità del soggetto e oggetto e, quindi, quella contingenza
del percepire che produce la indipendenza dell'oggetto dalla
percezione, e si distingue nel senso che riflettere e volere sono
tutt'uno. Ma il nostro riflettere è discorsivo. Riflettere è,
infatti, limitare e per ciò sensibilizzare, nel senso di configu-
rare entro lo schema della discorsività. Ma come può l'Io essere
cosciente di questo volere discreto, dove la possibilità della
coscienza del distinguere questo discreto da un altro? Dob-
biamo passare dalla formale alla discrezione materiale. Che
cosa è qui l'oggetto, l'essere? L'oggetto, l'essere è il volere
stesso in quanto intuito. Più determinatamente, esso è il
nostro corpo. « Il concetto trascendentale del corpo è il nostro
volere originario assunto nella forma della intuizione esterna• 1 •
Fichte afferma: «io, il mio corpo, il mio spirito, tutto questo
significa e dice una cosa sola. Io sono il mio corpo se mi in-
tuisco, io sono spirito se mi penso» i.
La deduzione deve procedere più a fondo, essa deve ri-
spondere sul fondamento della limitatezza della riflessione.
Per potere 1' Io porre o avere coscienza della limitatezza
del riflettere, esso deve aver coscienza di qualcosa al di là di
essa, ma questo non è possibile, perché qui nessuna espe-
rienza può essere presupposta. La limitatezza può essere sol-
tanto nel volere puro. Ma esso non c' è per 1' Io se esso non
vi riflette e non lo riferisce da sé al volere. Ed è da questa
relazione che si produce ciò che sinora era stato dommatica-
mente presupposto, il sentimento. L'attività riflettente come
sintesi di limitatezza e volere, è quella sintesi suprema che
condiziona la coscienza intera. La limitatezza del volere non
può, quindi, essere che un intelligibile, un concetto, condizio-
nante il sensibile stesso. Essa deve essere posta condizionante
ogni determinazione, quindi essa è il determinabile a ogni
determinazione. La questione va ora su questo intelligibile
che mi esorta alla determinazione, ed è oggetto immediato

I w. L., p. 491.
i W. L., p. 491.
IL SISTEMA DELLA DOTTRINA DELLA SCIENZA 145

della coscienza. Come si determina ? << Esso è a fondamento di


un volere puro determinato da se stesso. Esso è la ragione in
generale, l'assolutezza del mondo razionale. Questo mondo ra-
zionale è il determinabile a ogni determinatezza. Questa deter-
minatezza io la conosco come individualità. lo mi conosco,
dunque, come individuo; questa conoscenza di me come indi-
viduo è un procedere dalla determinabilità alla determina-
tezza ; io sono dunque, una parte che da sé si estrae dal mondo
razionale» 1 • L'autocoscienza presuppone l'intero razionale,
il mondo intelligibile. La percezione che ho di me non è pos-
sibile senza «un concetto di una massa razionale (Vernunft-
M asse), dal quale si costituisce il concetto della suità 2., Qui
Fichte deduce la realtà degli enti razionali fuori di me, come
condizione della coscienza di me come individuo. Questa de-
duzione che si trovava già nel Grundrecht e nella Sittenlehre,
ha qui, però, un significato nuovo, in quanto portata per la
fondazione del mondo sensibile come il mondo della esperienza
o della natura. Le leggi della ragione, che nella Grundlage
risultavano proiezioni della coscienza stessa finita, ora sono
esse stesse a fondare a un tempo questa coscienza stessa e le
sue condizioni, gli altri fuori di me e il mondo materiale. La
intuizione intellettuale non è più il riflesso della mia coscienza
ma essa è ora, come più tardi Fichte potrà dichiarare e con
la coscienza di non concedere niente alla posizione del1o Schel-
ling, una «manifestazione della totalità assoluta » 3.
La deduzione ha qui compiuto il processo ascendente
dalla condizione al condizionante. Ora essa deve procedere
secondo un ritmo opposto per << costruire la coscienza innanzi
ai nostri occhi»"· Noi passiamo da un procedimento analitico
a un procedimento sintetico. Ciò che è per il filosofo deve
essere per l' lo. Ed è in questo costituirsi dell' lo per l' lo
stesso che il filosofo deve trovare la possibilità stessa del suo

I w.L., p. 514.
2 W. L., p. 514.
3 Antwortsschreiben an Herrn Professor Reinhold, 1801, S. W., bd. 2,
p. 5o7.
4 W. L., p. 516.

10
146 LA W. L. DEL lJ98. FILOSOFIA E GENESI

procedere analitico, e in generale della sua azione trascenden-


tale. La coscienza immediata è il volere puro. lo mi trovo,
significa: io mi percepisco come identità di pensiero ed essere,
di ideale e reale. ].\fa proprio dal punto di vista comune, l'unità
si presenta dualizzata. È compito del filosofo giustificare il
perché l'uno appare due, il perché il pensiero (il pensiero del
volere) e il percepire (il pensare l'essere) appaiono e debbono
apparire due.
Geneticamente espresso, pensare il volere è pensare un
concetto di scopo, e il percepire è un concetto oggettivo. I
due, afferma il risultato della analisi, sono uno ma visti da
due punti di vista diversi, quello della libertà, quello della
determinatezza. «Siamo qui nel campo dei fenomeni• 1 , cioè
nel piano fenomenologico del presentarsi della coscienza a
se stessa. La coscienza comincia, sappiamo, con il nostro essere
esortati alla libera azione. Così siamo dati a noi. Io mi trovo
come in un determinarmi, e questo nei due sensi di fare e di
patire. Questo patire, la limitatezza, dà la conoscenza, e il fare
mi appare come un volere. Essere e pensiero, fare e conoscere
sono una cosa sola. Questo risultò dall'analisi che ha costi-
tuito la prima parte della W. L. Ora, per lIo qui risultano
due. In questo dualismo che è poi dualismo di logica e feno-
menologia, il filosofo non può fermarsi. Questo sarebbe, in-
fatti, un risultato dommatico. Proprio in questo il dommatismo
si distingue dall' idealismo, nel suo presentare i suoi filosofemi
come cose a. Sul piano di questa esigenza del superamento è
da configurare, si badi, la intera evoluzione della Dottrina
della Scienza. Da questo punto di vista la Gt'uncllage con la
sua incapacità di superare il dualismo di coscienza speculativa
e coscienza empirica che è poi dualismo di sensibile e intelligi-
bile, di a priori e a posteriori, non può apparire libera da ogni
dommatismo. Qui diventa chiaro come la scomparsa del dua-
lismo di parte teoretica e parte pratica nella W. L., sia l'aspetto
esterno di questa esigenza. Il problema è qui di far coinci-

I w. L., p. 520.
2 W. L., p. 523.
IL SISTEMA DELLA DOTTRINA DELLA SCIENZA I47

dere il procedimento analitico con quello sintetico. La W. L.


deve ritornare sinteticamente a ciò che inizialmente si pre-
sentava come un fatto tfi coscienza.
Ed è qui che Fichte risolve quella problematica che non
si lascia risolvere sul piano meramente analitico. Come ?
Con !'approfondimento del concetto di tempo. La problema-
tica è quella dell'inizio (Anfang) della coscienza. Si badi che
Fichte ha anche qui consapevolezza di ciò che differenzia
la W. L. dalla Grundlage. Lo testimonia decisamente quel
passo che abbiamo su ripetuto e che ora riceve una più ade-
guata interpretazione, quel passo, dove si afferma che la
W. L. non procede più, come la Grundlage, dall'esterno al-
i' interno, ma dal centro all'esterno 1 • Con il suo procedere
che è un procedere analitico, la Grundlage doveva a un dato
momento rimettere il proprio còmpito di conciliazione del
pensiero e dell'essere, a «una incondizionata decisione di
autorità della ragione» 2. Que!'ta rimessa denuncia ora lo
scacco della speculazione nel suo procedere deduttivo già
per altro compromesso con liniziale hiatus irrationalis, che
è la posizione del Non-Io. Qui noi ci rendiamo conto della
impossibilità per la deduzione di procedere sino al suo ter-
mine. L'arresto è dovuto al suo muoversi, senza averne co -
scienza, sul piano della discorsività o temporalità, meglio al
suo procedere in esso senza poterlo distinguere dal piano sin-
tetico o dell' intelligibile. Il risultato che ora Fichte rag-
giunge è la coscienza che questo procedere discorsivo è il
procedere dell' Io stesso che si temporalizza per comprendersi.
L't>rrore della Grundlage era, di conseguenza, nella ignoranza
dell'intelligibile o del sintetico, che solo rende reale, cioè
fenomeno, il mondo della dualità che è il mondo nel tempo.
La W. L. ha ora coscienza della impossibilità di una conci-
liazione sul piano della discorsività o temporalità, del pensiero
e dell'essere, proprio perché quella dualità è il presupposto
temporale stesso. Bisogna accedere al punto di vista sintetico,

I w. L., p. 529.
2 Grundlage, p. 106.

io•
148 LA W. L. DEL Ì798. FILOSOFIA E GENESI

e a questo si perviene mediante l'approfondimento del con-


cetto del tempo. Si deve, allora, passare da un idealismo del
senso esterno a un idealismo del senso interno. Soltanto in
·quest'ultimo, infatti, si prova che il tempo è un nostro pro-
dotto, ed è prodotto dell'analisi, cioè del dualizzarsi della
coscienza originaria pura (A), «la massa intera del pensiero
o la sintesi» 1 , in pensiero del mio pensiero (B), e nel pensiero
di cui sono cosciente (C). C, a sua volta, si dualizza come pen-
siero di uno scopo (Y), pensiero ideale, e come pensiero di un
oggetto (X), pensiero reale. B è in rapporto a C dualizzante e
unificante; anche A, in rapporto a B. e C 2.
Mediante l'analisi, atto inseparabile dalla sintesi, gli op-
posti si attuano in un rapporto di successione, e così avviene
il tempo. L'unità sintetica non è, dunque, nel tempo, seppure
non possa pensarsi che nel tempo. Riflessione, discorsività,
temporalità, sono sinonimi. Y e X, concetto di scopo e azione,
vengono distinti dal pensiero (B), posti in un rapporto di di-
pendenza, per cui il determinato deve presupporrre il c;leter-
minabile. Ogni momento della coscienza è azione. Ma io non
ne posso prender coscienza, senza presupporre un concetto
di scopo, cioè senza presupporre un momento, in cui quel con-
cetto di scopo è stato progettato. La stessa ragione io non
posso concepirla se non proiettata nel futuro. «In tutto il
nostro pensiero si collega un concetto di scopo per un mo-
mento futuro. La nostra coscienza non ha né principio né fine.
Essa è in ne si.un tempo.... Poiché nella coscienza o in ogni
momento particolare deve essere pensato un concetto di
scopo per lo stesso momento, un concetto di scopo per il mo-
mento futuro, cosi in ogni momento deila coscienza si trova
un passato e un futuro » 3.
L'intero è ciò che è stato chiamato il pensiero sintetico,
ia cui struttura si mostrerà una sintesi quintupla. In esso
si hanno due serie, la ideale e la reale. La ideale parte dal pen-

I w. L., p. 524.
a W. L., pp. 524-25.
3 W. L., p. 527.
IL SISTEMA DELLA DOTTRINA DELLA SCIENZA 149

siero di uno scopo, la reale dal pensiero di un oggetto riferen-


tesi al volere. Iniziamo con la prima. Io mi penso come pro-
gettante un concetto di scopo. Questa proiezione è anch'essa
pensiero. Io mi penso, dunque, come pensante. L'oggetto
autentico del pensiero sintetico è il volere. In che rapporto
si pone, allora, la proiezione dello scopo con il volere? Nello
stesso rapporto del condizionante con il condizionato. «Ma
questo rapporto, si badi, non è qualcosa di reale in sé ma sol-
tanto un fenomeno ». Il concetto di scopo non è niente di
reale 1 •
Se ora passiamo alla serie del reale dell'oggetto o del pen-
sato, si ha che questa proiezione presuppone a sua volta che
chi ha scelto, abbia già conoscenza di sé come causalità. Il
circolo di scopo e causalità appare nuovamente, ma ora noi
siamo coscienti che questo circolo è la nostra discorsività
stessa, niente in sé ma un fenomeno. « Il concetto di scopo è
soltanto fenomeno ed è ndla coscienza del volere soltanto
pensato e presupposto come anteriore al volere reale» i.
È sempre il volere che nella stessa coscienza e nello stesso
atto viene considerato in una doppia serie, come volere reale,
come proiezione di un concetto di scopo. Il fondamento di ciò
si prova pur sempre nella affermazione che nessun determi-
nato può essere pensato senza un determinante 3. Il nostro
còmpito non è ancora esaurito. Dobbiamo procedere più a
fondo, cioè passare da una visione oggettiva del pensiero sin-
tetico a una visione soggettiva, dobbiamo, cioè, porci dal
punto di vista del pensiero sintetico stesso, o osservare come
gli elementi che lo compongono, ora da sé vi si pongano.
Questo processo di sintetizzazione nel suo primo procedere
Fichte lo compendia nel modo seguente: « Io so di un oggetto
reale ma soltanto in quanto lo vedo a mezzo della determi-
nazione della mia forza sensibile. Io so della forza sensibile
soltanto a mezzo del concetto di scopo; del concetto di scopo,

I w. L., p. 532.
l w. L., p. 534·
3 w. L., p. 535.
150 LA W. L. DEL 1798. FILOSOFIA E GENESI

a sua volta, io so soltanto a mezzo del mio proiettarlo, e di


questa proiezione sono cosciente soltanto a mezzo della mia
attività» 1 • Il problema è allora: come è possibile la coscienza
del mio fare ? Da questa risposta risulterà nella sua interezza
la sintesi quintupla. Questa coscienza non può essere pensata.
Il pensiero è sempre discrezione e si riferisce per tanto sola-
mente al determinato.
Che siamo coscienti dell'agire in agilità, è un fatto. Dob-
biamo, però, dedurne la possibilità. La deduzione di questa
possibilità è la deduzione del come essa avvenga, dacché che
ci sia, è impossibile dubitare sem·.a con ciò stesso contraddire
quella autocoscienza, che già al filosofo si è presentata ini-
zialmente e proprio come un fatto. Attività è un passare dal
determinabile al determinato. La coscienza di questa attività
richiede la coscienza del determinabile, ma, si badi, come di
un determinabile. Affermare che questa apprensione è neces-
saria per l'esserci della autocoscienza, è dedurre il potere di
tale apprensione, la immaginazione. Qui si ritorna alla pro-
posizione kantiana, nessuna intuizione senza concetto, nessun
concetto senza intuizione 2. La immaginazione è productio,
essa dà la materia (Stoff). Anzi, la materia è« la nostra imma-
ginazione oggettivamente considerata » 3. Il perché della ogget-
tivazione è il suo venir presupposta dall' Io che si trova come
il determinante. Ed è questa coscienza che è il fondamento
dell'apparire (Erscheinen) della immaginazione come data nel
suo prodotto. Da qui il mondo della natura come dato, e
come fenomeno.
La coscienza dell'agilità non è ancora pienamente dedotta,
«manca ancora l'agile» 4. L'agile è qui la forma pura del de-
terminarsi, la facoltà pura del fare. La questione si determina
ulteriormente sul come sia possibile la intuizione della forma
pura. Questa domanda è la deduzione del perché I' Io si pre-
senta a sé come isolato dal mondo. Ora, si badi, è questa la

I w. L., p. 551.
2 w.
L., p. 555.
3 W. L., p. 556.
4 w. L., p. 557.
IL SISTEMA DELLA DOTTRINA DELLA SCIENZA 151

situazione che motiva la stessa filosofia e per ciò la intera


deduzione. Da qui, da questa intuizione dell'Io come facoltà
o insieme di facoltà, la filosofia kantiana nel suo mero aspetto
letterale, nella sua più rigorosa esteriorirtà, prende inizio.
L' io si presenta come facoltà, significa che esso non può
mostrarsi a sé come determinante se non a mezzo della imma-
ginazione, produttrice del diverso o il diverso stesso, se non
in quanto ha già dualizzato se stesso in determinante e deter-
minabile. L'Io che è noumeno, il solo che la Dottrina della
Scienza conosce, non può apparire a sé se non sensibilizzan-
dosi, dunque, soltanto a mezzo del diverso, la immaginazione
produttiva. Qui Fichte porta a compimento la deduzione
kantiana [del Kant del 1781] della immaginazione produttiva
come l'attività sensibilizzante I' intelligibile. Non vi sono
due mondi se non dal punto di vista fenomenico o empirico.
Dal punto di vista trascendentale non v' è che uno solo mondo,
I' intelligibile che si sensibilizza. Il fondamento è la nostra
finitezza o discorsività o temporalità, espressioni che insieme
convengono a designare ciò che dal punto di vista trascen-
dentale è la posizione dello intero Io come volere puro.
Il volere puro è il fondamento materiale (il was, l'essere}
del mio pensarmi come io, come spontaneità assoluta. Ma il
formale (il weil} di questo mio presentarmi è la riflessione,
la dualizzazione in soggettività e oggettività o pensiero ideale
e pensiero reale. Nella soggettività io mi trovo come spirito,
ma non posso trovarmi se non come determinato. Questa li-
mitatezza della libertà è un Sollen. La possibilità della mia
autocoscienza ha il suo fondamento in questo Sollen. Ed è
cosi che l'atto iniziale della filosofia come accesso o produ-
zione della intuizione intellettuale o intuizione della agilità
in agilità, è un atto di assoluta libertà, che non può dipendere
da un concetto ma da una decisione assolutamente incondi-
zionata.
A partire da ché io mi determino, o come è possibile il
mio trovarmi determinato alla libertà nella libertà ? Se l'auto-
coscienza non è possibile senza la coscienza della individualità,
il Sollen o l' imperativo categorico è il supremo principio
I52 LA W. L. DEL I798. FILOSOFIA E GENESI

teoretico, mediante il quale posso soltanto prendere coscienza


di me. Teoreticità e praticità sono una cosa sola e il loro dua-
lizzarsi è una dualizzazione fenomenica, come fenomenica è
la dualità di natura e spirito. La presentazione della sintesi
quintupla che è il còmpito decisivo della Dottrina della Scienza,
si dialettizza mediante il dialettizzarsi del determinato (l'Io,
individuo) e del determinabile (il mondo razionale, ul mondo
degli enti razionali) nella serie ideale, e del dialettizzarsi del-
l'oggetto determinato con il determinabile come il mondo
sensibile o natura. «La nostra sintesi è ora conclusa. E poiché
essa è la sintesi fondamentale di tutta la coscienza, poiché
in essa è contenuto tutto ciò che si presenta nella coscienza,
con questa sintesi anche la intera coscienza si esaurisce, e il
nostro còmpito ha qui fine » 1 •

I w. L., p. 604.
CONCLUSIONE

Dalla Grundlage in poi, la evoluzione fichtiana è un acca-


dimento che non ha ulteriormente operato nella filo,sofia.
Anzi, si ha l'apparenza che questa evoluzione non rappresenti
se non il riflettersi della filosofia del tempo in una successione
di faticosi e tormentati tentativi di risolvere o mantenere
nella Dottrina della Scienza quasi con una disperata deci-
sione, le nuove posizioni speculative. La evoluzione si pre-
senta come soltanto polemica, come una polemica che non
agisce a sua volta, che in sé si esaurisce.
Così per rimanere entro i limiti della ricerca, la Dottrina
della Scienza che abbiamo cercato di ripetere nei suoi momenti
fondamentali, può apparire come un tentativo di giustificare
entro la sua posizione l'ulteriore procedere· dello Schelling
nelle Idee per una filosofia della natura (1797). La unità dei
due mondi, l'intelligibile e il sensibile, che può apparire nel
suo essere al centro, il tema fondamentale e il motivo ultimo
della ricerca, si trova già nel saggio schellingiano: << la natura
deve essere lo Spirito visibile, lo Spirito la natura invisibile.
Ed è qui, dunque, nella identità assoluta dello spirito in noi
e della natura fuori di noi, che deve trovarsi la soluzione del
problema della possibilità di una natura fuori di noi» 1 • Le
due posizioni sembrano coincidere pienamente, e già nel pro-
blema motivante, la deduzione della possibilità di una natura
fuori di noi.
Certo, questo problema è un punto fermo nella Dottrina
della Scienza, nella quale è per altro già presente quel pas-

1 Jdeen zu ciner Philosophie der Natur, S. W., Abth. I, bd. Il, p. 56.
I54 CONCLUSIONE

sato trascendentale della coscienza che costituisce per Schel-


ling la possibilità d' intendere la natura e insieme la natura
stessa.
La pressione schellingiana è innegabile, ma non è essa
che può condurci a risultati validi anche per noi. Noi deci-
diamo di iniziare con il porre la domanda del perché il tempo
assuma ora e soltanto ora, una posizione fondamentale. Su
questa posizione non è lecito dubbio alcuno. Fichte afferma:
u questo concetto è decisivo per la Dottrina.. della Scienza» x.
Questa affermazione contiene 1' intero significato della nuova
esposizione, e va messa direttamente in rapporto con quel-
l'altra dichiarazione, secondo cui 1' idealismo trascendentale
già progettato nella prima edizione della Critica della Ragion
pura, è soppresso (verwischt) nella seconda edizione 2.
Per fare agire geneticamente il tempo, bisogna configu-
rarlo nel suo rapporto con il concetto. In Kant questo rap-
porto è lo schematismo, opera della immaginazione trascen-
dentale. Lo schematismo sensibilizza il concetto in quanto
dà ad esso una determinazione, meglio una figura temporale.
Lo schema è, infatti, ciò che pone in rapporto il sensibile con
l'intelligibile. Questa problematica apparentemente ignorata
dalla Grundlage nella sua struttura, ne costituisce il fonda-
mento ultimo. Questo si fa evidente se ci riportiamo a quel
risultato che Hegel così espone: « 1' lo=lo è il principio asso-
luto della speculazione, ma questa identità non è esposta dal
sistema; l' lo oggettivo non diventa uguale al soggettivo, i
due rimangono assolutamente opposti. L' lo non si trova
nel suo fenomeno (Erscheinung) o nel suo porre; per trovarsi
come lo, esso deve distruggere il suo fenomeno. L'essenza
dell' lo e il suo porre non coincidono: l' I o non diventa per sé
oggettivo» 3. Riportato nel piano della posizione attuale,
questo risulta: l'autocoscienza pura non si sensibilizza per
esserci, ma deve distruggere questa sensibilizzazione per essere

1 W. L., 1798, ed. cit., p. 457.


2 w. L., 1798, p. 545·
3 Differenz des Fichte' schen und Schelling'schen Systems der Phi-
losophie, S. W., ed. Lasson, bd. I, pp. 42-43.
CONCLUSIONE 155
veramente piena e pura coscienza di sé. Autocoscienza pura
e coscienza oggettiva o temporale, lungi dal coincidere nel
risultato, si oppongono. Ed è questa opposizione che noi
vogliamo esprimere come opposizione di concetto e di tempo.
Ora, riportiamoci ancora una volta alla Grundlage, e questa
volta senza far valere di fronte ad essa l'atteggiamento cri-
tico che vede nel suo primo principio la proiezione astratta
della coscienza nella sua f aktische immediatezza. Accettiamo
di proposito la dichiarazione tante volte ripetuta da Fichte
che I' lo della Grundlage non è I' io individuale ma la ragione
in universale. Che cosa risulta da questo dato letterale? Che
la ragione in generale o il mondo intelligibile è in sé e per
sé fuori da ogni rapporto. Essa è la tesi che non si sensi-
bilizza, che non si temporalizza, e alla quale la sintesi (l'uomo),
costruita o prodottasi a mezzo di quell'iato irrazionale che è
la proiezione del Non-Io, continuamente aspira in uno sforzo
infinito. Possiamo far nostro l'accorgimento hegeliano che
nella Grundlage l'aspirazione è il divino (Sehnen ist das Giitt-
liche), che, dunque, nel sistema l'assoluto è l'aspirazione
stessa dell' lo pratico~.
Possiamo, però, andare oltre. L'assoluto è l' idea, di-
chiara Fichte i, la cui attuazione è il nostro còmpito infinito.
Noi non possiamo riferirci all'Assoluto. se non a mezzo della
nostra finitezza, dunque, del nostro essere nel tempo. La
posizione spinoziana di un sapere assoluto che intuisce se
stesso come assoluto e che è dell'uomo in quanto sapere
che è dell'uomo Spinoza, viene negato con inesorabile chia-
rezza. E Schelling, che ne riprende la proposizione: aeternitas
nec tempore definiri, nec ullam ad tempus relationem habere
potest, per fatla valere come definizione della « forma origi-
naria» dell' lo 3, dimentica la fondamentale scoperta kan-
tiana della discorsività umana e per ciò della temporalità

1 HEGEL, Geschichte der Philosophie, S. W., bd. XIV, p. 571.


i Grundlage, p. 277. ·
3 Vom Ich als Princip der Philosophie, p. 203. Il luogo che Schelling
riporta dalla Ethica, si trova nel L. V. Prop. XXIII, Schol.
CONCLUSIO~E

stessa del concetto. La Grundlage non va, però, oltre la


posizione kantiana, non si spinge al di là di un necessario
sensibilizzarsi del concetto. Il concetto, infatti, si schema-
tizza e in questa schematizzazione viene riferito al tempo,
ma esso è già prima di questo suo venir riferito. Anche l'Asso-
luto nella Grundlage è già prima del suo venir sensibilizzato
mediante lo schema della umana finitezza. Ma come in Kant
la sensibilizzazione non distrugge la eternità del concetto,
ed esso torna a presentarsi come idea, come còmpito infinito
di un sapere assoluto che non potrà mai essere a noi presente,
così anche nella Grundlage. La sintesi (il sensibilizzarsi esterno
dell'Assoluto a mezzo della immaginazione) non risolve in
sé la tesi, anzi questa la trascende come idea del compito
infinito, come eterna aspirazione dell'uomo. Su tale piano
la contraddizione tra il principio e il sistema che Hegel le-
gittimamente configura come contraddizione tra coscienza
speculativa e coscienza empirica o riflessione, è la contraddi-
zione già posta del concetto e del tempo. Nella nuova esposi-
zione il concetto è, invece, posto dal temporalizzare della
coscienza nel suo temporalizzarsi o esprimersi (la coscienza
è così e soltanto cosi, discorso, logo).
Per mantenerci entro il rapporto I che la stessa Dottrina
della Scienza mantiene continuamente con la fondazione
kantiana, riportiamoci al luogo, dove Fichte definisce la ca-
tegoria. <<Che cosa è una categoria? Kant non ne ha dato la
definizione sebbene nella Critica della ragion pura dichiari
di esserne in possesso » 1 •
Prima di accedere alla definizione che ne dà la Dottrina
della Scienza, riportiamoci alla Seconda Introduzione e pro-
priamente dove Fichte pone in relazione la intera dichiara-
zione kantiana: «tralascio di proposito in questo trattato di
dare la definizione delle categorie, sebbene ne sia in possesso» z
con la presentazione del « supremo principio fondamentale »
della possibilità di ogni intuizione in rapporto all' intelletto:

I w. L., 1798, p. 545·


2 J(ritik der reinen Vernun/t, 1781, p. 83.
CONCLUSIONE I57

« tutto il molteplice della intuizione sta sotto le condizioni


della unità originaeia sintetica della appercezione » •.
Ora, che significa qui « condizioni della appercezione » ?
Fichte interpreta: condizioni della appercezione sono le con-
dizioni, che rendono possibile la coscienza pura o autoco-
scienza, cioè l'appercezione stessa. Dunque, il molteplice, il
sistema della natura (come l'intero sistema della esperienza)
è da dedurre ed è deducibile soltanto in quanto condizione
della coscienza umana finita 2.
L'appercezione kantiana è I' lo penso. Essa è «una co-
scienza originaria immutabile (unwaldelbar} e si distingue
dalla empirica, che è « jederzeit wandelbar » 3. Se si riflette
su questa opposizione, si ha nel suo fondamento ultimo quel
dualismo che la Grundlage non perviene a superare, dell' in-
telligibile e del sensibile, del concetto e del tempo. Da questo
punto di vista, essa non va alla radice della problematica
kantiana, di quella problematica, che è pur visibile nella
proposizione: il concetto senza la intuizione è vuoto.
Ora, la Dottrina della Scienza del I798, ha, si può dire,
inizio dall'approfondimento del perché il concetto è vuoto
senza intuizione. L'approfondimento ha la sua espressione
più energica nella proposizione: « io non posso pensare che
discorsivamente. Questa è la legge suprema del nostro pen-·
sare, la condizione della possibilità del nostro pensiero» 4.
Ora, tale disoorsività è anch'essa un punto fermo nella
istituzione kantiana. Ma, mentre in Kant la discorsività è
altro dalla appercezione pura, la quale permane immutabile
e una nel diverso concettuale che essa « accompagna » sol-
tanto, nella Dottrina della Scienza è proprio essa, l'apperc~­
zione pura, che si fa discorsiva, che si diversifica come quel
sistema che coincide con il sistema stesso o la sintesi quintu-
pla della Dottrina della Scienza. Il filosofo, che riconosce
nelle condizioni che rendono possibile il sistema della espe-

• Kritik der reinen Vernunft, 1787, p. 135·


2 Zweite Einleitung, p. 475 e p. 478.
3 Kritik der reinen Vernunft, 1781, p. 107.
4 W. L., 1798, p. 475.
CONCLUSIONE

rienza, non soltanto le condizioni oggettive ma le condizioni


che rendono soltanto allora possibile e reale l'autocoscienza,
non può che rifarsi al cogito cartesiano. Questo cogito o intui-
zione del proprio essere è, infatti, il punto di inizio del si-
stema fichtiano o del suo procedimento genetico, e in esso
si trova indicato come intuizione intellettuale. Ma esso pro-
prio in quanto inizio della riflessione filosofica che coincide
con l'accesso alla genesi, viene distinto energicamente dalla
intuizione intellettuale nel suo intero prodursi per se stessa,
della quale la prima non costituisce che la forma astratta e
vuota 1 • Questa forma vuota, si badi, corrisponde al con-
cetto vuoto kantiano. La intuizione nella sua completa deter-
minatezza coincide con la sintesi quintupla o il pensiero sin-
tetico :z.
Siamo ora in grado di intendere la risposta di Fichte alla
domanda: che cosa è una categoria? <e La Dottrina della
Scienza non trova qui difficoltà alcuna. Per essa è facile dare
una definizione della categoria. Le categorie sono i modi e
il come della mediazione della coscienza immediata con la
mediata, i modi del come l' lo può trascendere dal mero pen-
siero di sé al pensiero di un diverso. Esse non sono ciò che
soltanto unifica il molteplice, ma sono piuttosto i modi di
mutare il semplice in un molteplice » 3. Per un adeguato in-
tendimento, tutto questo deve venir posto in rapporto con
l'affermazione che «tutta la coscienza è sensibile» 4, e questa
con la « esposizione del principio supremo dell' idealismo
trascendentale, tutta la coscienza è coscienza di noi stessi» 5.
Le categorie sono, dunque, il tradursi del semplice in un
molteplice, a mezzo del quale I' lo (il semplice) costituisce
da sé la sua possibilità stessa di essere. La mondanità fa così
tutt'uno con la sua struttura.

1 Sittenlehre, S. W., bd. IV, p. 47.


2 w. L., 1798, p. 524.
3 W. L., 1798, p. 545·
4 W. L., 1798, p. 470.
5 w. L., 1738, p. 537.
CONCLUSIONE 159
Per intendere appieno ciò che distingue questa posizione
della Dottrina della Scienza da quella kantiana, è necessario
riportarsi a una dichiarazione inequivocabile della Critica
della ragion pura: « Spazio e tempo non sono che condizioni
della possibilità del come ci possono venir dati oggetti.. ..
Fuori di questi limiti, essi non rappresentano nulla. I con-
cetti puri dell' intelletto sono liberi da questa limitazione e
si estendono ad oggetti della intuizione in generale, sia essa
simile alla nostra o no (sie mag der unserigen ahnlich sein oder
nicht) • •. Qui è chiaramente dichiarato il carattere delle
categorie kantiane, il loro essere del tutto indipendenti dalla
ragione umana, in breve, la loro eternità in opposizione alla
natura necessariamente temporale della ragione umana in
generale. E qui diventa anche chiaro il perché le categorie
hanno nella Critica e nella W. L. un còmpito che non soltanto
è diverso ma opposto. In Kant esse unificano un molteplice,
in Fichte esse sono il farsi molteplice dell' Io stesso. « I modi
e il come I' Io si divide in un molteplice, pur rimanendo uno,
sono le categorie » 2.
Qui è ora il luogo di chiarire o definire la trasformazione
che il concetto trova nella Dottrina della Scienza. Il con-
cetto kantiano, già lo sappiamo, è funzione unificante un mol-
teplice dato, e non ha la sua genesi nel prodursi della ragione
umana, anzi è possibile concepirlo a servizio di un intelletto
altro dal nostro. Il concetto fichtiano è, invece, il prodursi
stesso dell'Io. Che senso ha tutto questo? L'essere umano
è attività, e un'attività è libera, cioè vera attività, in quanto
agisce in vista di uno scopo, dunque, in quanto è da sé pro-
gettante. Il concetto è allora il progetto stesso, un concetto-
progetto (Zweckbegriff).
Ma così siamo anche entrati nella problematica che solle-
cita un approfondimento del tempo-intuizione, e insieme di
comprendere la metamorfosi che la nozione del mondo intel-
ligibile trova nella Dottrina della Scienza. « Il tempo - pro-

1 Kritik der Vet'nun/t, 1787, p. 148.


2 W. L., 1798, p. 545·
160 CONCLUSIONE

dama Fichte - è il termine medio (Mittelglied) che unifica


l'intelligibile e il sensibile» 1. Si può avanzare la tesi che anche
questo è un risultato kantiano. Vero, ma è proprio qui che
si manifesta come l'approfondimento di questo innegabile
dato debba quasi da se stesso procedere alla distruzione dei
principii, dai quali è dedotto. Il tempo-intuizione in Kant
è mera contemplazione. Il suo passivo essere viene dalla im-
maginazione trascendentale prodotto a schema. Il tempo-
schema viene poi riferito al concetto per sensibilizzarlo. Il
concetto eterno è cosi riferito al tempo, e soltanto cosi esso
riceve un senso « almeno per noi uomini ». Anche se ci spin-
giamo oltre il dato letterale, non possiamo che giungere al
risultato seguente: l' lo trascendentale umano sensibilizza a
mezzo del tempo-intuizione i concetti, il cui essere eterno è il
mondo intelligibile, per conformare ad essi il diverso empirico.
Ora, in Fichte si ha questo primo approfondimento, il
tempo non è più una intuizione nel senso kantiano, ma un
rapporto « nel quale noi siamo necessitati a porre le nostre
rappresentazioni» 2. Il nostro intuire temporale è, allora,
un fare (Tun). Qui si potrebbe far valere l'affermazione che
la Dottriha della Scienza non deduce kantianamente la idea-
lità degli oggetti dal sensibile puro, ma la idealità del sensi-
bile puro dalla idealità degli oggetti. Cosi, infatti, Fichte si
esprime nella Grundlage 3. Ma questa affermazione non è che
il primo momento della trasformazione, meglio dell'appro-
fondimento che il tempo trova in Fichte, e questo si fa chiaro
non appena si considera che il tempo non è più ora un sensi-
bile puro, ma un fare, un fare che lavora a trasformare il
mondo che noi dobbiamo pensare che c' è per la nostra stessa
possibilità di essere.
Tutto questo trova il· suo intendimento nella seguente
tesi fondamentale: «non c'è un prodotto (product) del mondo

I w. L., 1798, p. 460.


2 W. L., 1798, p. 536.
3 Grundlage, p. 223.
CONCLUSIONE 161

sensibile », « c' è soltanto una coscienza del mio lavoro (es


gibt nur ein Bewusstsein meines Arbeitens) 1.
E qui si chiarisce anche la natura del «mondo razionale»,
esso è il mondo degli uomini che Fichte ancora nel 1797 chia-
mava «la ragione in sé» 2.
Se vogliamo compendiare il risultato fichtiano in questo
secondo momento della evoluzione della Dottrina della Scienza,
momento, dal quale rimane fuori la «polemica sull'ateismo »,
si ha che la coscienza di me (in un certo senso, il cogito carte-
siano) ha come sue condizioni o presupposti la coscienza del
lavoro o per ciò della «natura» e la coscienza del mondo degli
uomini, entro il quale soltanto io sono (in un certo senso,
il sum cartesiano), cioè sono un individuo, che è l'unico modo
per_ me di essere.
Ma questo risultato è ancora, si osservi, un punto di vista,
« il punto di vista trascendentale ». Questo punto di vista
e quello della « coscienza comune » sono « opposti e non c' è
tra i due alcun termine mediatore, e cosl neanche è possibile
un passaggio d<tll'uno all'altro» 3. Fichte qui parla oscura-
mente di un punto di vista estetico che farebbe da ponte 4.
Questa oscurità c'interessa soltanto in quanto essa è qui una
oscurità che copre una oscurità più profonda e inquietante.
È soltanto con Hegel, e nello Hegel della Fenomenologia
dello Spirito, che questa oscurità si chiarisce ed è la storia,
l'umano trascendentale.

1 W. L., 1798, p. 546 e 547·


2 Zweite Einleit1tng, p. 505.
3 w. L., 1798, p. 610.
4 W. L., 1798, p. 610.
INDICE

Introduzione . . . . . , . . . . . . . . . . . . . Pag. 1

PARTE PRIMA
LA W. L. DEL 1794. CRITICA E FILOSOFIA

CAP. I. - La esposizione dei Principi . . . . Pag. 17


CAP. II. - La deduzione della rappresentazione 45
CAP. III. - Il fondamento della Dottrina della Scienza . 75

PARTE. SECONDA
LA W. L. DEL 1798. FILOSOFIA E GENESI

CAP. I. Il sistema come problema . . . . . . Pag. 93


CAP. II. Il sistema della Dottrina della Scienza. 122

Conclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153

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