Sei sulla pagina 1di 20

Regimi di verità in Michel Foucault

Giulia Guadagni

Introduzione

L’intento di questo contributo è ricostruire il percorso che ha condotto


Foucault da una prima ipotesi di correlazione tra produzione discorsiva,
verità e potere negli anni sessanta, alla definizione di due regimi di verità
differenti, tra la seconda metà degli anni settanta e il 1980: il regime di
auto-indicizzazione del vero, specifico della scienza moderna e contempo-
ranea, e il regime del dir-vero su se stessi, risalente all’antichità e al primo
cristianesimo.
Il concetto di regime di verità è stato elaborato da Foucault a
metà degli anni settanta e ricopre un ruolo fondamentale nell’ambito
delle sue ricerche sui rapporti tra soggettività e verità. Un regime di
verità è un modo di legare l’individuo e le forme della soggettività alla
manifestazione del vero1, posto che per «verità» non si intenda «l’insieme
delle cose vere che sono da scoprire o da fare accettare, bensì l’insieme
delle regole secondo le quali si separa il vero dal falso e si assegnano al
vero degli effetti specifici di potere»2. Riferimento centrale per questo
tema è la lezione tenuta al Collège de France il 6 febbraio 1980, durante
il corso Du gouvernement des vivants.
Attraverso una ricostruzione della formazione e dello sviluppo della
nozione di regime di verità si intende sia offrirne un quadro il più possibile
completo, mettendo in luce lo statuto teorico autonomo che essa ricopre
nell’opera di Foucault, sia darle la solidità concettuale e la sistematicità
necessarie a farne un uso il più possibile rigoroso e fecondo.

1
Cfr. M. Foucault, Du gouvernement des vivants. Cours au Collège de France. 1979-1980,
Seuil-Gallimard, Paris 2012; trad. it. di D. Borca e P. A. Rovatti, Del governo dei viventi. Corso
al Collège de France (1979-1980), Feltrinelli, Milano 2014, p. 106 [d’ora in poi GV].
2
M. Foucault, Intervista a Michel Foucault, realizzata nel 1976 da A. Fontana e
P. Pasquino, in Id., Il discorso, la storia, la verità. Interventi 1969-1984, a cura di M. Bertani,
Einaudi, Torino 2001, pp. 171-192, in particolare p. 191.

materiali foucaultiani, a. V, n. 9-10, gennaio-dicembre 2016, pp. 107-126.


108 Giulia Guadagni

Nel mettere in rilievo il concetto di regime di verità si intende inoltre


smorzare la rigidità dell’interpretazione che (tri)partisce il pensiero di
Foucault in una successione cronologico-tematica di sapere, potere e etica.
In tal senso questo contributo si inserisce in un insieme recente di studi che
ripensa il percorso foucaultiano a partire dalla lettura dei corsi al Collège
de France, la cui pubblicazione si è appena conclusa3. L’analisi complessiva
dei tre registri della produzione scritta e orale di Foucault fa emergere
elementi che restano sottotraccia nella sola lettura dei libri. In questa sede
in particolare vedremo come, attraverso una tale lettura integrata, la verità
emerga quale tema costante dell’intero suo percorso filosofico4.
Il concetto di regime di verità rientra a pieno titolo nella storia
politica della verità che, a più riprese, Foucault si è proposto di
tracciare5. A tal proposito è opportuno ricordare che il progetto di
condurre una storia politica della verità si fonda sul presupposto teorico
che la verità abbia una storia. I riferimenti in questo senso sono sia il
Nietzsche del periodo attorno al 1880 per il quale «erano […] centrali
le questioni della verità, della storia della verità, della volontà di verità»6,

3
Per una ricostruzione del percorso editoriale dei corsi di Foucault al Collège
de France e delle implicazioni letterarie, filosofiche, giuridiche e politiche della loro
pubblicazione rimandiamo a C. Del Vento e J.-L. Fournel, L’édition des cours et les « pistes »
de Michel Foucault. Entretiens avec Mauro Bertani, Alessandro Fontana et Michel Senellart, in
«Laboratoire italien», n. 7 (2007), pp. 173-198.
4
In tale senso, ha ricoperto un ruolo rilevante anche la recente pubblicazione delle
conferenze al Dartmouth College del 1980, M. Foucault, Subjectivity and Truth e Christianity
and Confession, ed. it., Sull’origine dell’ermeneutica di sé, a cura di mf/materiali foucaultiani,
Cronopio, Napoli 2012; e del corso tenuto all’Università di Lovanio nel 1981, M. Foucault,
Mal faire, dir vrai. Fonction de l’aveu en justice. Cours de Louvain, 1981, Presses Universitaires de
Louvain-University of Chicago Press, 2012; trad. it. di V. Zini, Mal fare, dir vero. Funzione
della confessione nella giustizia. Corso di Lovanio, 1981, Einaudi, Torino 2013.
5
Cfr. M. Foucault, L’ordre du discours, Gallimard, Paris 1971; trad. it. di A. Fontana,
M. Bertani e V. Zini, L’ordine del discorso, Einaudi, Torino 1972; Id., Le pouvoir psychiatrique.
Cours au Collège de France. 1973-1974, Seuil-Gallimard, Paris 2003; trad. it. di M. Bertani, Il
potere psichiatrico. Corso al Collège de France (1973-1974), Feltrinelli, Milano 2004, pp. 210-212;
Id., La volonté de savoir, Gallimard, Paris 1976; trad. it. di P. Pasquino e G. Procacci, La
volontà di sapere, Feltrinelli, Milano 1978, p. 54.
6
M. Foucault, Structuralism and Post-Structuralism, intervista con G. Raulet, in «Telos»,
vol. 16 (1983), n. 55, pp. 195-211; trad. fr. in Dits et écrits, Gallimard, Paris 1994, vol. IV, n.
330, pp. 431-57 [d’ora in poi DE]; trad. it. Strutturalismo e post-strutturalismo, in Id., Il discorso,
la storia, la verità, cit., pp. 301-332, in particolare p. 317. Cfr. Id., Nietzsche, la généalogie,
l’histoire, in Hommage à Jean Hyppolite, PUF, Paris 1971; ripreso in DE, vol. II, n. 84, pp. 136-
Regimi di verità in Michel Foucault 109

sia l’epistemologia storica francese, soprattutto Bachelard e


Canguilhem7.
L’attenzione per la relazione tra verità e potere, evidenziata dall’uso
di un termine politicamente forte come «regime», non è però un punto di
partenza per Foucault, bensì in un certo senso un punto di arrivo, almeno
nel percorso che lo ha portato da Histoire de la folie à l’âge classique, nel
1960, a La volonté de savoir, nel 1976. Negli anni sessanta infatti ciò che gli
premeva indagare era la questione della relazione tra produzione discorsiva
e verità. L’archéologie du savoir in particolare era parzialmente intrappolata
in quella che Dreyfus e Rabinow hanno chiamato «illusione del discorso
autonomo»8. In seguito, negli anni settanta, egli ha concentrato la propria

56; trad. it. Nietzsche, la genealogia, la storia, in Id., Il discorso, la storia, la verità, cit., pp. 43-64, in
particolare p. 47; cfr. anche Id., Leçons sur la volonté de savoir. Cours au Collège de France. 1970-
1971, Seuil-Gallimard, Paris 2011; trad. it. di M. Nicoli e C. Troilo, Lezioni sulla volontà
di sapere. Corso al Collège de France (1970-1971), Feltrinelli, Milano 2015, in particolare la
Lezione su Nietzsche, conferenza tenuta all’Università McGill di Montréal nell’aprile 1971.
7
Sull’influenza della «tradizione epistemologica» francese sulla propria opera,
soprattutto quella esercitata da Canguilhem, si veda M. Foucault, L’archéologie du savoir,
Gallimard, Paris 1969; trad. it. di G. Bogliolo, L’archeologia del sapere, Rizzoli, Milano 1971,
in particolare l’Introduzione; Id., Sur l’archéologie des sciences. Réponse au Cercle d’épistémologie,
in «Cahiers pour l’analyse», n. 9 (1968), pp. 9-40 ; ripreso in DE, vol. I, n. 59, pp. 696-
731; trad. it. di M. de Stefanis, Il sapere e la storia. Due risposte sull’epistemologia, Savelli,
Milano 1979; Id., Strutturalismo e post-strutturalismo, cit., in particolare pp. 306-307 e
pp. 311-312; Id., La vie: l’expérience et la science, in «Revue de métaphysique et de morale»,
vol. 90 (1984), n. 1, pp. 3-14, poi Postfazione a G. Canguilhem, Le normal et le pathologique,
PUF, Paris 1994; trad. it. La vita: l’esperienza e la scienza, in G. Canguilhem, Il normale
e il patologico, Einaudi, Torino 1998; D. Trombadori, Colloqui con Foucault, Castelvecchi,
Roma 2005, in particolare pp. 52-53. Sul rapporto tra Foucault e l’epistemologia storica
rimandiamo a D. Lecourt, Pour une critique de l’épistemologie, Maspero, Paris-Montpellier
1972; trad. it. di F. Fistetti, Per una critica dell’epistemologia, De Donato, Bari 1973; J. Revel,
Michel Foucault: discontinuité de la pensée ou pensée du discontinu?, in «Le Portique» (en ligne),
nn. 13-14 (2004), in <http://leportique.revues.org/635> (consultato il 6 agosto 2017);
P. Macherey, Da Canguilhem à Foucault, la force des normes, La fabrique éditions, Paris 2009;
trad. it. Da Canguilhem a Foucault. La forza delle norme, ETS, Pisa 2011; Ph. Sabot, Archéologie
et histoire des sciences. Y a-t-il un « style Foucault » en épistémologie?, in P. Cassou-Noguès e
P. Gillot (a cura di.), Le concept, le sujet et la science. Cavaillès, Canguilhem, Foucault, Vrin, Paris
2009, pp. 109-124.
8
È il titolo del primo capitolo del loro libro. Con l’espressione «illusione del discorso
autonomo» gli autori evidenziano lo spostamento operato da Foucault a metà degli anni
sessanta, «da un interesse per le pratiche sociali che caratterizzavano sia il discorso che
le istituzioni» a «una attenzione quasi esclusiva alle pratiche linguistiche». Ciò, a parere
di Dreyfus e Rabinow, avrebbe condotto Foucault, nell’opera del 1969, a trascurare
110 Giulia Guadagni

attenzione sugli effetti di potere dei discorsi scientifici, inseguendo la


risposta alla domanda «in che modo, nelle società occidentali moderne,
la produzione di discorsi cui si è attribuito (almeno per un certo periodo
di tempo) un valore di verità è legata ai vari meccanismi e istituzioni di
potere?»9.
Come scrive Judith Revel, l’analitica del potere gli ha permesso di
superare «la divisione – vigente in tutti gli anni sessanta – tra discorsivo
e non discorsivo»10. Negli anni ottanta, infine, Foucault ha ricentrato la
propria ricerca sulla relazione tra manifestazione del vero, costituzione di
soggettività e forme di governo. Le ricerche degli anni sessanta però, pur
non problematizzandolo in maniera esaustiva, già alludevano al tema del
potere. Osservando ciò, diventa possibile rinunciare almeno in parte alla
divisione tematica tra anni sessanta, settanta e primi anni ottanta.

Definizioni iniziali

La locuzione «regime di verità» è entrata a far parte del lessico


foucaultiano solo nel corso del biennio 1975-1976. Nonostante ciò è
possibile ricostruirne l’origine nelle opere degli anni sessanta, in particolare
in Histoire de la folie à l’âge classique e ne L’archéologie du savoir e mostrare così
il percorso attraverso cui Foucault, nel 1980, è arrivato a concentrare la
propria ricerca sulla relazione tra il dire-il-vero e le forme di implicazione
e costituzione di soggettività e a definire il regime di verità specifico delle
scienze come regime di auto-indicizzazione del vero.
Negli anni sessanta, l’attenzione di Foucault era rivolta principalmente
alle scienze umane le quali, in virtù del loro statuto epistemologico ambiguo

l’influenza esercitata dalle pratiche sociali su quelle discorsive e a presupporre una fittizia
autonomia del ricercatore dal proprio oggetto d’indagine; cfr. H. Dreyfus e P. Rabinow,
Michel Foucault. Beyond Structuralism and Hermeneutics, The University of Chicago Press,
Chicago 1983; trad. it. di D. Benati, M. Bertani e I. Levrini, La ricerca di Michel Foucault,
Ponte alle Grazie, Firenze 1989, pp. 9-10. Secondo gli autori però Foucault non ha mai
veramente rinunciato alla sua posizione iniziale secondo la quale le istituzioni sociali
esercitano un’influenza significativa sulle pratiche discorsive. Sembrano perciò suggerire
che L’archéologie du savoir sia una parentesi, un esperimento metodologico, all’interno del
pensiero di Foucault; cfr. ivi. pp. 18-19.
9
M. Foucault, La volontà di sapere, cit., p. 8.
10
J. Revel, Michel Foucault. Un’ontologia dell’attualità, Rubettino, Soveria Mannelli 2003,
p. 94.
Regimi di verità in Michel Foucault 111

ed essendo strettamente legate ad istituzioni e a esigenze economiche,


politiche e sociali immediatamente riconoscibili, offrivano un terreno
d’indagine adatto a «cogliere in modo più “certo” il groviglio degli effetti
di sapere e potere»11. Rispetto alle cosiddette scienze dure le scienze umane
mostrano immediatamente i rapporti che intrattengono con le strutture
politiche ed economiche della società.
Nelle pagine di Histoire de la folie dedicate a Descartes si trova allo
stato embrionale ciò che, ne L’ordre du discours, si chiamerà partage, cioè
uno dei princìpi di esclusione che operano all’interno della produzione dei
discorsi scientifici. Nel corso della lezione inaugurale al Collège de France,
nel 1970, il partage sarà descritto come quel principio di esclusione che si
manifesta nella relazione tra ragione e follia. Secondo tale principio, che
nell’interpretazione di Foucault è stato inaugurato da Descartes, «il folle
è colui il cui discorso non può circolare come quello degli altri»12. Già
in Histoire de la folie la filosofia cartesiana era intesa come atto inaugurale
dell’idea secondo la quale la ragione è comune a tutti, eccetto che ai folli.
La follia infatti occupa un posto del tutto particolare nella formulazione
del dubbio cartesiano, distinguendosi dal sogno e dall’errore. Se questi
ultimi possono essere esperiti e poi ce ne si può liberare, perché
garantiscono il permanere della verità, la follia no. L’impossibilità di essere
folle è «essenziale non all’oggetto del pensiero, ma al soggetto pensante»13.
Come scrive Salvatore Natoli seguendo Foucault, «[la follia] non consente
neppure di dubitare. Il pensiero del folle non può essere erroneo, perché
non è neppure pensiero. In tale senso non compromette il cammino verso
la verità, perché non gli appartiene»14.
L’analisi del pensiero di Descartes occupa solo poche pagine di
Histoire de la folie à l’âge classique, ma è fondamentale. Svolgendo tale analisi
infatti, da una parte Foucault mette in evidenza uno dei contenuti del cogito,
cioè l’esclusione della follia dal percorso conoscitivo razionale il quale
permette di constatare che c’è una verità e di muoversi in direzione della
verità; dall’altra parte egli propone di leggere la filosofia cartesiana come
espressione essa stessa di una riorganizzazione del sapere, come momento

11
M. Foucault, Intervista a Michel Foucault, cit., p. 171.
12
M. Foucault, L’ordine del discorso, cit., p. 11.
13
M. Foucault, Histoire de la folie à l’âge classique, Gallimard, Paris 1972; trad. it. di
F. Ferrucci, Storia della follia nell’età classica, Rizzoli, Milano 1976, p. 68.
14
S. Natoli, La verità in gioco. Scritti su Foucault, Feltrinelli, Milano 2005, p. 43.
112 Giulia Guadagni

istitutivo di una più generale pratica di esclusione15. Dunque, anche se in


modo meno approfondito ed esplicito che in seguito, già nella sua prima
opera Foucault metteva in evidenza gli effetti di potere generati dalla
pratica discorsiva. Vent’anni dopo riprenderà Descartes al momento di
definire il regime di auto-indicizzazione del vero.
Nella definizione di formazione discorsiva de L’archéologie du savoir
rintracciamo un embrione di quello che sarà il concetto di regime di
verità. In questo testo Foucault tratta degli enunciati come di quegli atti
linguistici in cui «un soggetto autorizzato asserisce (scrive, dipinge, dice)
ciò che – sulla base di un metodo accettato – appare come una seria
pretesa di verità»16. Si tratta esclusivamente di un tipo molto specifico di
atto linguistico che Dreyfus e Rabinow definiscono «serious speech act»17,
cioè quell’atto linguistico le cui procedure di convalidazione sono fissate,
e che è soggetto a regole che ne determinano la possibilità di essere
accettato come scientificamente vero: non enunciati qualsiasi dunque,
non enunciati quotidiani.
Nel testo del 1969, nell’ambito della domanda circa il fondamento
dell’unità delle «famiglie di enunciati […] che si designano come la
medicina o l’economia o la grammatica»18, Foucault scrive che ci si troverà
di fronte a una formazione discorsiva «nel caso in cui, tra un certo numero
di enunciati [serious speech acts], si possa descrivere un […] sistema di
15
Cfr. ivi, pp. 30-32. La posizione di Foucault sul cogito cartesiano ha dato avvio a
una discussione con Derrida, protrattasi negli anni attraverso la pubblicazione di alcuni
scritti. Nel 1963 Derrida ha tenuto una conferenza, pubblicata l’anno successivo col titolo
Cogito e histoire de la folie, nel corso della quale criticava le pagine di Histoire de la folie dedicate
a Descartes. A questo scritto Foucault ha risposto nel 1972 con un articolo inizialmente
pubblicato in giapponese e ripubblicato lo stesso anno, in una diversa versione, in
appendice alla riedizione di Histoire de la folie dello stesso anno. Cfr. J. Derrida, Cogito e
histoire de la folie, in «Revue de métaphysique et de morale», nn. 3-4 (1964); trad. it. in
Id., La scrittura e la differenza, Einaudi, Torino, 1971; M. Foucault, Michel Foucault Derrida
e no kaino, in «Paideia», n. 2 (1972), pp. 131-147; trad. fr., Réponse a Derrida, in DE, vol. I,
n. 140, pp. 281-295; trad. it. Risposta a Derrida, in Id., Il discorso, la storia, la verità, cit.,
pp. 101-118 e Id., Mon corps, ce papier, ce feu, appendice III a Histoire de la folie à l’âge classique,
cit.; trad. it. Il mio corpo, questo foglio, questo fuoco, in Id., Storia della follia nell’età classica, cit.
Per una ricostruzione e un commento critico sulla querelle con Derrida rimandiamo a
F.P. Adorno, Événement et origine dans « Histoire de la folie », in D. Lorenzini e A. Sforzini
(a cura di), Un demie-siècle d’« Histoire de la folie », Kimé, Paris 2013, pp. 89-102.
16
H. Dreyfus e P. Rabinow, La ricerca di Michel Foucault, cit., p. 72.
17
Ibidem.
18
M. Foucault, L’archeologia del sapere, cit., p. 47.
Regimi di verità in Michel Foucault 113

dispersione, nel caso in cui, tra gli oggetti, i tipi di enunciazione, i concetti,
le scelte tematiche, si possa definire una regolarità»19.
Le formazioni discorsive sono le regolarità mostrate dai rapporti tra
serious speech acts dello stesso genere e di genere differente e le trasformazioni
cui sono sottoposte20. Ora, le famiglie di enunciati che compongono le
scienze umane sono famiglie di serious speech acts.
Un legame tra i concetti di formazione discorsiva e di regime di
verità emerge nel corso di un’intervista rilasciata a Pasquale Pasquino
e Alessandro Fontana nel 1976, durante la quale Foucault usa la parola
«regime» riferendosi alle proprie opere degli anni sessanta21. In Histoire
de la folie e ne Les mots et les choses il problema del potere era ancora
poco evidenziato: «ciò che mancava al mio lavoro – dice – era questo
problema del “regime discorsivo”, degli effetti di potere propri al gioco
enunciativo»22. Riferendosi alla domanda posta negli anni sessanta circa
le trasformazioni dei paradigmi scientifici, nella stessa intervista sostiene
che tali trasformazioni non siano semplicemente delle nuove scoperte,
ma nuovi regimi nel discorso e nel sapere23, e che avvengano in virtù
di una «modificazione nelle regole di formazione degli enunciati che
sono accettati come scientificamente veri»24. Il regime discorsivo è qui
inizialmente indicato come «quel che regola gli enunciati ed il modo in
cui si reggono gli uni agli altri per costituire un insieme di proposizioni
scientificamente accettabili e suscettibili di conseguenza di essere verificate
o falsificate attraverso procedimenti scientifici25.
Riconosciamo in questa prima definizione di regime discorsivo
un’elaborazione ulteriore del concetto di formazione discorsiva. La
domanda all’interno della quale Foucault si muove è ancora quella circa le
relazioni tra vero e falso nell’ambito delle discipline scientifiche, il tema è
la verità intesa come sistema che definisce la partizione tra vero e falso. Si
può allora sostenere che la formazione discorsiva corrisponda al regime

19
Ivi, p. 48.
20
Cfr. H. Dreyfus e P. Rabinow, La ricerca di Michel Foucault, cit., p. 73.
21
Tale operazione di analisi e riformulazione del proprio percorso passato è un
tratto ricorrente del suo filosofare, occorre dunque leggere le osservazioni di questo
genere tenendo conto del loro statuto particolare di retrospettive.
22
M. Foucault, Intervista a Michel Foucault, cit., p. 174.
23
Cfr. ibidem.
24
Ibidem.
25
Ibidem.
114 Giulia Guadagni

discorsivo spogliato dei suoi effetti di potere26. Occorre tuttavia limitare


questa analogia al regime discorsivo, poiché le successive definizioni di
regime di verità chiameranno in causa dimensioni, come quella della
soggettività, ancora estranee all’opera del 1969. Nonostante ciò il legame
che è stato evidenziato tra gli scritti foucaultiani degli anni sessanta e
un periodo successivo, sembra avvalorare l’ipotesi di una continuità
tematica, costituita dal tema della verità, che sfugge alla tripartizione
sapere-potere-etica.

Il regime di verità nell’analitica del potere

Senza addentrarci oltre nell’analisi de L’archéologie du savoir, possiamo


affermare che Foucault si sia dedicato alla questione della verità, della
pretesa di verità e della sua relazione con il potere già a partire dalla fine
degli anni sessanta. Egli stesso, nell’intervista del 1976, descrive un ponte
che collega Histoire de la folie a Surveiller et punir. Già le ricerche sulla follia
erano ricerche sul potere ma questa tematica non era stata esplicitata,
come dimostra il fatto che la parola «potere» non vi appare quasi mai27.
Foucault riconduce tale forma di censura alla situazione politica di
allora, dominata da una destra che poneva il problema del potere solo in
termini di sovranità, in termini giuridici, e dai marxisti che lo ponevano
solo in termini di apparato di Stato. Solo dopo il ’68, «a partire dalle lotte
quotidiane e condotte alla base, con quelli che si dibattevano nelle maglie

26
Anche se non nei termini di un confronto diretto tra le nozioni di formazione
discorsiva e di regime di verità, bensì per fugare l’interpretazione secondo cui, a partire dal
1980, Foucault avrebbe mutato completamente direzione nel dedicarsi al cristianesimo
delle origini e all’antichità greca e romana, Bertani evidenzia il legame che intercorre tra
L’archéologie du savoir e le opere della seconda metà degli Settanta, sostenendo che proprio
l’indagine sui rapporti tra soggetto e verità abbia accompagnato Foucault lungo tutto il
suo percorso filosofico; cfr. M. Bertani, La fine di un mondo? Foucault e la veridizione cristiana,
in «aut aut», n. 362 (2014), pp. 75-100, in particolare pp. 76-77.
27
Cfr. M. Foucault, Intervista a Michel Foucault, cit., pp. 176-177. A proposito della
continuità che lega le prime opere di Foucault, in particolare Histoire de la folie à l’âge
classique e alcuni corsi al Collège de France degli anni settanta, in merito ai rapporti
tra verità e potere rimandiamo a D. Defert, Volontà di verità e pratica militante in Michel
Foucault, intervista con O. Irrera e D. Lorenzini realizzata il 9 novembre 2011, in «materiali
foucaultiani», vol. 1 (2012), n. 2, pp. 145-157, in particolare pp. 145-146.
Regimi di verità in Michel Foucault 115

più fini della rete del potere»28, è stato possibile occuparsi di tematiche che
fino ad allora erano rimaste escluse dall’analisi politica: «l’internamento
psichiatrico, la normalizzazione mentale degli individui, le istituzioni
penali»29. Tali questioni non erano pertinenti a un’analisi subordinata alla
sola istanza economica, ma lo sono diventate – conclude Foucault – anzi,
sono diventate essenziali, quando ci si è potuti rivolgere al «funzionamento
generale degli ingranaggi del potere»30. In ciò, e nella militanza con il Groupe
d’information sur les prisons troviamo la motivazione storica dell’analitica del
potere. Come scrive Revel, l’esperienza del G.I.P. ha permesso a Foucault di
sviluppare «un nuovo modello d’indagine che non separa più l’esperienza
soggettiva dalla teorizzazione»31.
Foucault stesso quindi, tra le sue ricerche dell’inizio degli anni sessanta
e quelle degli anni settanta, disegna un ponte costituito dalla ricerca
intorno ai regimi discorsivi, cioè dalla questione del rapporto tra il sapere
e le relazioni di potere. All’inizio degli anni settanta dunque è tornato su
un tema che era già presente in forma embrionale in Histoire de la folie e che
ha ritrovato il suo posto centrale a partire da L’ordre du discours, caricato di
una nuova pregnanza politica.
All’interno dell’analitica del potere è messa in luce a più riprese la
relazione tra potere e verità e i suoi effetti. Fedele al proprio metodo di
rinuncia agli universali32, Foucault sostiene che il potere non sia un oggetto
28
M. Foucault, Intervista a Michel Foucault, cit., p. 177.
29
Ibidem.
30
Ibidem.
31
J. Revel, Michel Foucault. Un’ontologia dell’attualità, cit., p. 94.
32
Cfr. M. Foucault, Naissance de la biopolitique. Cours au Collège de France. 1978-1979,
Seuil-Gallimard, Paris 2004; trad. it. di M. Bertani e V. Zini, Nascita della biopolitica. Corso al
Collège de France (1978-1979), Feltrinelli, Milano 2009, pp. 14-15 e pp. 30-31; GV, pp. 87-88;
Id., Foucault, in D. Huisman (a cura di), Dictionnaire des philosophes, PUF, Paris 1984, vol. I, pp.
942-944; trad. it. di S. Loriga, Foucault, in Id., Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste, vol. 3
(1978-1985). Estetica dell’esistenza, etica, politica, a cura di A. Pandolfi, Feltrinelli, Milano 1998,
pp. 248-252, in particolare pp. 250-51. Rimandiamo inoltre a P. Veyne, Foucault révolutionne
l’historie, Seuil, Paris 1979; Id., Foucault et le dépassement (ou achèvement) du nihilisme, Seuil, Paris
1989; Id., Le dernier Foucault et sa morale (1986), ed. it. a cura di M. Guareschi, Michel Foucault.
La storia, il nichilismo e la morale, Ombre Corte, Verona 1998, p. 45, p. 48 e p. 54; M. Senellart,
Michel Foucault: gouvernementalité et raison d’État, in «La pensée politique», n. 1 (1993); trad. it.
di G. Gentile, Michel Foucault: governamentalità e ragion di Stato, in «Bollettino dell’Archivio della
Ragion di Stato», n. 2 (1994), pp. 37-73, in particolare p. 63; P. Veyne, Foucault, Albin Michel,
Paris 2008; trad. it. di L. Xella, Foucault. Il pensiero e l’uomo, Garzanti, Milano 2010, pp. 45-61;
M. Bertani, La fine di un mondo? Foucault e la veridizione cristiana, cit., p. 76.
116 Giulia Guadagni

ma un rapporto di forza, una relazione. Il potere non è un oggetto di


scambio, non si dà e non si possiede. Non bisogna perciò domandarsi chi
lo detenga, perché «non è qualcosa che si divide tra coloro che l’hanno […]
e coloro che non l’hanno e lo subiscono»33. Ciascuno è preso all’interno
di molteplici e multidirezionali relazioni di potere e «nelle sue maglie gli
individui non solo circolano, ma sono sempre posti nella condizione sia
di subirlo che di esercitarlo34». Il potere inoltre è sempre correlato a un
ordine del discorso, a un sapere, ad alcuni effetti di verità:

Non c’è esercizio del potere senza una certa economia dei discorsi di verità
che funzioni in – a partire da e attraverso – questo potere. Siamo sottomessi
dal potere alla produzione della verità e non possiamo esercitare il potere che
attraverso la produzione della verità. […] Siamo sottomessi alla verità anche nel
senso che la verità fa legge; è il discorso vero che almeno in parte decide; esso
trasmette, spinge avanti lui stesso degli effetti di potere35.

La relazione inscindibile tra potere e verità produce effetti di


assoggettamento, contribuisce a costituire soggettività specifiche.
Ogniqualvolta qualcosa viene definito come vero (o falso), cioè sempre,
perché non c’è esercizio del potere senza un’economia dei discorsi di verità
e perché il potere è presente in ogni relazione umana, tale definizione agisce
sugli individui, «diventa una coordinata del loro diventare soggetti»36. È questo
ciò che Foucault chiama assoggettamento, cioè il nostro essere «giudicati,
condannati, classificati, costretti a compiti, destinati a un certo modo di vivere
o a un certo modo di morire, in funzione dei discorsi veri che portano con
sé effetti specifici di potere»37; potremmo dire in funzione di discorsi definiti
veri. Nell’ambito delle relazioni tra individuo e verità, l’assoggettamento è «il
modo in cui gli individui sono [conosciuti] e guidati dagli altri»38 attraverso

33
M. Foucault, « Il faut défendre la société ». Cours au Collège de France. 1976, Seuil-
Gallimard, Paris 1997; trad. it. a cura di M. Bertani e A. Fontana, “Bisogna difendere la
società”. Corso al Collège de France (1976), Feltrinelli, Milano 2010, p. 33.
34
Ibidem.
35
Ivi, p. 29.
36
L. Bazzicalupo, Politica. Rappresentazioni e tecniche di governo, Carocci, Roma 2013, p. 17.
37
M. Foucault, “Bisogna difendere la società”, cit., p. 29.
38
M. Foucault, Sull’origine dell’ermeneutica di sé, cit., p. 40; rimandiamo anche a
L. Cremonesi, O. Irrera, D. Lorenzini e M. Tazzioli, Introduzione a A.A. V.V., Foucault e
le genealogie del dir-vero, a cura di mf/materiali foucaultiani, Cronopio, Napoli 2014, p. 10.
Regimi di verità in Michel Foucault 117

tecniche coercitive, mentre la soggettivazione è il modo in cui gli individui


conoscono e conducono se stessi39, «i processi attraverso cui il sé è costruito
e modificato da se stesso»40, le pratiche di sé e le tecnologie di sé. A diversi
regimi di verità, nei testi e nei corsi tra la fine degli anni settanta e i primi
anni ottanta, corrisponderanno diversi effetti di assoggettamento e/o di
soggettivazione.
Se la prima occorrenza della locuzione «regime di verità» risale
al 1975, in particolare al primo capitolo di Surveiller et punir, è durante
l’intervista del 1976 con Pasquino e Fontana che essa emerge per la prima
volta in tutta la sua valenza politica41. In questa occasione il concetto
di regime di verità fa il suo definitivo ingresso nel lessico foucaultiano,
introducendo, in relazione al tema della verità, quella dimensione del
potere che era in qualche modo assente nei testi degli anni sessanta.
Assumendo che «la verità non è al di fuori del potere, né senza potere»42,
Foucault intende mettere in luce gli effetti di potere prodotti dal discorso
scientifico. Durante la prima lezione del corso al Collège de France del
1976 domanda: «non bisognerebbe forse interrogarsi sull’ambizione di
potere che la pretesa di essere una scienza porta con sé?»43. Con ciò non
si propone di mettere in discussione la validità, la veridicità, di questa o
quella teoria scientifica, bensì il fatto che i contenuti della scienza siano
di per sé evidenti, in quanto scientifici. Egli intende evidenziare il fatto
che l’assunzione della distinzione tra vero e falso come fondamento del
processo conoscitivo innesca meccanismi di esclusione.
Nell’intervista con Pasquino e Fontana si trova una prima
definizione del regime di verità, della politica generale della verità,
operante all’interno di ogni società come «l’insieme formato da i tipi
di discorsi […] che [la società] accoglie e fa funzionare come veri; i
meccanismi e le istanze che permettono di distinguere gli enunciati veri
o falsi; le tecniche e i procedimenti che sono valorizzati per arrivare alla

39
Cfr. M. Foucault, Sull’origine dell’ermeneutica di sé, cit., p. 40.
40
Ibidem.
41
Cfr. D. Lorenzini, What Is a “Regime of truth”?, in «Foucaultblog» (2013),
Forschungsstelle für Sozial-und Wirtschaftsgeschichte, Universität Zürich, in <www.fsw.
uzh.ch/foucaultblog/featured/28/what-is-a-regime-of-truth> (consultato il 6 agosto
2017).
42
M. Foucault, Intervista a Michel Foucault, cit., p. 189.
43
M. Foucault, “Bisogna difendere la società”, cit., p. 18.
118 Giulia Guadagni

verità; lo statuto di coloro che hanno l’incarico di designare quel che


funziona come vero»44.
Un regime di verità quindi costituisce la politica generale della verità
di una determinata società, ed è formato da tipi di discorsi specifici,
meccanismi, tecniche e status sociali. È una definizione molto più ampia
di quella di regime discorsivo. Il regime di verità si determina nei legami
che la verità intrattiene con i sistemi di potere che «la producono e
la sostengono»45. La verità cui Foucault si riferisce – scrive Pier Aldo
Rovatti – è una verità «de-metafisicizzata»46, è la verità così come è
stato possibile pensarla dopo Nietzsche, non più come un oggetto da
conoscere e da possedere, non come qualcosa di cui progressivamente
appropriarsi, bensì una verità che «ha innanzitutto e sempre a che fare
con la storia delle pratiche e con la storia specifica delle soggettivazioni»47.
L’accostamento del termine «regime» alla verità così intesa introduce una
dimensione politica, indica che la verità è sempre inserita in un rapporto
di potere e che «è sempre anche la posta in gioco di una relazione di
comando e di obbedienza che si tratta di far emergere»48.
Per spiegare cosa sia un regime di verità si può ricorrere alla metafora
del contenitore, utilizzata sia da Rovatti, sia da Paul Veyne. Quest’ultimo
descrive i regimi di verità come delle bocce per i pesci, dei vasi «falsamente
trasparenti»49 all’interno dei quali ciascuno è immerso dal momento in cui
vive in una determinata epoca storica e in un luogo specifico: «ogni società
– scriveva infatti Foucault – ha il suo regime di verità»50. Tale regime fa
sì che la verità si riduca «a dire il vero, a parlare conformemente a ciò

44
M. Foucault, Intervista a Michel Foucault, cit., p. 190.
45
Ivi, p. 191.
46
P.A. Rovatti, Dimmi chi sei. Foucault e il dilemma della veridizione, in «aut aut», n. 362
(2014), pp. 35-48, in particolare p. 43. Questo articolo di Rovatti non tratta degli scritti
di Foucault degli anni settanta, ma di quelli degli anni ottanta, in particolare della nuova
definizione di regime di verità formulata in Du gouvernement des vivants.
47
Ivi, p. 45.
48
Ibidem.
49
P. Veyne, Foucault, cit., p. 21.
50
M. Foucault, Intervista a Michel Foucault, cit., p. 190. Bernini, riprendendo la metafora
della boccia dei pesci, sostiene che Foucault alla fine, con le ricerche sull’antichità, abbia
smentito, senza esplicitarlo, l’incommensurabilità dei sistemi di pensiero da lui stesso
postulata; cfr. L. Bernini, Pesci rossi, filosofi e acrobazie. L’impossibile morale di Michel Foucault,
in «Thaumàzein», n. 1 (2013), pp. 291-304.
Regimi di verità in Michel Foucault 119

che si riconosce come vero e che un secolo più tardi farà sorridere»51. I
regimi di verità, secondo la formulazione delle procedure di esclusione
che regolano la produzione dei discorsi, esposta ne L’ordre du discours, sono
ciò che determina la nostra possibilità o impossibilità di dire qualcosa,
di reputare vero o falso qualcos’altro. Sono la griglia epistemologica in
cui siamo immersi e dalla quale non si può uscire, che fa sì che alcuni
discorsi siano possibili in un certo tempo e in un certo luogo e non in altri.
Foucault, nel 1970, chiama «interdetto» l’effetto del regime discorsivo:
quel meccanismo di esclusione, operante a livello dei discorsi per il quale
«non si ha il diritto di dir tutto, […] chiunque, insomma, non può parlare
di qualsiasi cosa»52. Il regime di verità agisce sia sul soggetto parlante sia
sull’oggetto del discorso, sia sul chi parla sia sul cosa si dice. È ciò che la
ricerca genealogica si propone di far emergere, pur nella consapevolezza di
non potersene chiamare fuori (consapevolezza raggiunta da Foucault solo
successivamente a L’archéologie du savoir, secondo Dreyfus e Rabinow53).
Un regime di verità è l’espressione della relazione tra sapere e potere.
Esso fa sì che, in un determinato periodo storico, alcuni saperi siano passibili
di squalifica, implica che alcune voci abbiano diritto di cittadinanza e altre
no. Ancora ne L’ordre du discours, Foucault fa l’esempio delle procedure di
limitazione dei discorsi che presiedono all’organizzazione delle discipline
scientifiche. A seconda dei tempi e dei luoghi, ogni disciplina – in questo
caso il riferimento è alla botanica, alla biologia e alla medicina – ha un
suo vero: l’esser vero o falso di una proposizione è preceduto dal suo
essere «nel vero» della disciplina. Per appartenere a una disciplina una
proposizione deve rispondere «a condizioni in un certo senso più rigide
e più complesse della verità pura e semplice»54: deve rivolgersi a un piano
di oggetti determinato, utilizzare specifici strumenti concettuali e tecnici
e iscriversi in un certo tipo di orizzonte teorico. Solo il rispetto di queste
condizioni fa sì che una proposizione sia «nel vero» di una disciplina.
Mentre Veyne, almeno nel testo citato, si riferisce al livello
epistemologico del regime di verità, Rovatti ne sottolinea il senso politico.

51
P. Veyne, Foucault, cit., p. 21.
52
M. Foucault, L’ordine del discorso, cit., pp. 9-10. È da notare come questa frase sia
quasi identica a un’altra scritta nel 1969 a proposito delle condizioni che permettono
l’apparire di un oggetto di discorso; cfr. M. Foucault, L’archeologia del sapere, cit., p. 56.
53
Cfr. H. Dreyfus e P. Rabinow, La ricerca di Michel Foucault, cit., p. 128.
54
M. Foucault, L’ordine del discorso, cit., p. 26.
120 Giulia Guadagni

Egli ricorda che il contenitore (la boccia dei pesci) non ha la sola funzione
di «distribuire le parti del vero e del falso», ma «soprattutto detta le funzioni
del comandare e dell’obbedire in una microfisica del potere che non passa
sulle nostre teste, bensì attraversa i nostri corpi e – sempre di più – ci
interpella come singoli individui»55.
La metafora del contenitore, come sottolinea anche Rovatti, forse
riferendosi alla descrizione di Veyne, è utile per farsi un’idea di cosa sia
un regime di verità, ma è parzialmente imprecisa56. Se il regime di verità è
la struttura in virtù della quale un dato sapere è ritenuto scientifico e gli si
riconosce di conseguenza una certa portata veritativa, mentre a un altro
no, esso è anche e soprattutto ciò che istituisce la differenza tra sapere
scientifico e non; attraverso questo concetto Foucault sostiene che la
conoscenza sia fondata sul gioco del vero e del falso.
Con la parola «regime» quindi, Foucault introduce nel proprio campo
di analisi quello che prima era mancato, l’attenzione esplicita agli effetti
di potere determinati dal gioco enunciativo e una dimensione politica che
emerge con chiarezza nello svolgersi dei suoi corsi al Collège de France.
Tale concetto, pur segnando una distanza con le opere degli anni sessanta,
proviene da esse, secondo i percorsi che abbiamo cercato di ricostruire.

L’auto-indicizzazione del vero: il regime di verità delle scienze

Il 6 febbraio 1980, durante la quinta lezione del corso Du gouvernement


des vivants, Foucault problematizza la legittimità della nozione di regime di
verità domandandosi: esistono degli obblighi di verità, così come esistono
obblighi giuridici e politici? In che cosa e perché la verità obbliga57? Egli
espone un’obiezione possibile all’accostamento dei due termini «regime»
e «verità». Nel caso in cui si consideri la verità come contenente in se
stessa la propria forza coercitiva – scrive – in questo caso la nozione di
regime di verità sembra diventare superflua. Se si sostiene che la forza
di coercizione della verità sta nel vero stesso, allora «la verità non ha
affatto bisogno di un regime, di un regime di obbligo»58. È il vero stesso

55
P.A. Rovatti, Dimmi chi sei. Foucault e il dilemma della veridizione, cit., p. 45.
56
Cfr. ibidem.
57
Cfr. GV, p. 101.
58
GV, p. 102.
Regimi di verità in Michel Foucault 121

a determinare il suo regime, a dettare legge, a obbligarmi, secondo la


formula «è vero, e io mi inchino»59. Sostenendo tale concezione della
verità – continua Foucault, rigettando la sua stessa obiezione – si tralascia
però una distinzione importante. Si può infatti considerare il vero come
index sui, si può cioè sostenere che solo la verità sia legittimata a mostrare
il vero, che il vero possa essere istituito solo all’interno di un gioco tra
vero e falso60. Non si può però pretendere – sostiene – che la verità sia, di
conseguenza, anche lex sui, rex sui, judex sui. Infatti «non è la verità a essere
creatrice e detentrice dei diritti che esercita sugli uomini, degli obblighi
che essi hanno nei suoi riguardi, […] non è la verità che in qualche modo
amministra il suo stesso impero»61.
Osserviamo che, sottesa a ogni ragionamento, c’è l’affermazione
«se è vero, mi inchinerò, è vero, dunque mi inchino»62, ma – argomenta
Foucault – «questo “dunque” non è un “dunque” logico, non può
appoggiarsi a nessuna evidenza»63. Questo «dunque» comporta un
obbligo, un impegno, un dovere, che non dipende dalla verità stessa:
«questo “tu devi” – conclude – è un problema, un problema storico-
culturale che credo sia fondamentale»64. Il «dunque» compreso tra
l’«è vero» e il «mi inchino» è la conseguenza dell’accettazione di uno
specifico regime di verità che, nella lezione del 6 febbraio 1980, è definito
«regime scientifico di auto-indicizzazione del vero»65. Nell’avanzare tale
obiezione, Foucault ha assunto un punto di vista interno ad esso e, da
questo punto di vista, non intende negare la validità delle regole che,
all’interno di questo regime, istituiscono la divisione tra vero e falso66.
Le regole però – questo è il punto – non sono a propria volta autonome;
al contrario, sono sempre storiche, culturali67. Non c’è alcuna evidenza
necessaria a fondamento di un regime di verità. Nel definire il regime

59
GV, p. 103.
60
Cfr. ibidem; cfr. D. Lorenzini, Foucault, il cristianesimo e la genealogia dei regimi di verità,
in «Iride», vol. 25 (2012), n. 66, pp. 391-401, in particolare pp. 395-396.
61
GV, p. 103.
62
Ibidem.
63
Ibidem.
64
GV, p. 104.
65
Ibidem.
66
Cfr. D. Lorenzini, Foucault, il cristianesimo e la genealogia dei regimi di verità, cit.,
pp. 395-396.
67
Cfr. M. Foucault, L’ordine del discorso, cit., p. 13.
122 Giulia Guadagni

scientifico di auto-indicizzazione del vero, Foucault sta in un certo senso


portando a termine la definizione di regime di verità proposta nell’intervista
del 1976, sottolineando però, con una forza che prima mancava, il ruolo
del soggetto68. Per farlo usa il verbo «inchinarsi», che suggerisce un’idea
di sottomissione, di resa, intendendo così forse mettere in luce il valore
politico del riconoscere l’esistenza di qualcosa come un regime di verità.
Per mostrare il funzionamento del regime di verità delle scienze, porta
poi l’esempio del cogito cartesiano, riallacciandosi così a Histoire de la folie
à l’âge classique. La condizione necessaria affinché il «dunque» del «penso,
dunque sono» abbia valore probante – afferma – è che «ci sia un soggetto
che possa dire: quando qualcosa sarà vero, e vero con ogni evidenza, mi
inchinerò»69. La condizione posta da Descartes è che questo soggetto non
possa essere folle: «l’esclusione della follia – scrive Foucault – è quindi
l’atto fondamentale nell’organizzazione del regime di verità, di un regime
di verità che avrà la particolare proprietà di essere tale per cui, quando
qualcosa sarà evidente, ci si inchinerà, e che avrà come proprietà particolare
il fatto che sarà il vero in sé a costringere il soggetto a inchinarsi»70.
Tale interpretazione del cogito cartesiano, lungi dall’essere solo un
esempio del funzionamento del regime scientifico di auto-indicizzazione
del vero, è l’esposizione della sua fondazione. Secondo Foucault infatti è
con Descartes che la ragione moderna ha costituito se stessa come altra
rispetto alla follia e Descartes è una tappa fondamentale nell’organizzazione
del regime di verità proprio del discorso scientifico contemporaneo.
Sempre nella lezione del 6 febbraio, Foucault propone di «parlare della
scienza» come di quella «famiglia di giochi di verità che obbediscono tutti
allo stesso regime»71, il nostro, il regime di auto-indicizzazione del vero
in cui «il potere della verità è organizzato in modo che la costrizione sia
assicurata dal vero stesso»72, la cui peculiarità sta nel nascondere la propria
forza coercitiva, mostrandosi come evidente, dato che «nell’evidenza la
manifestazione del vero e l’obbligo che ho di riconoscerlo e di porlo

68
Per un commento critico su questa rinnovata attenzione al ruolo giocato dal
soggetto rimandiamo a P.A. Rovatti, Il soggetto che non c’è, in M. Galzigna (a cura di),
Foucault, oggi, Feltrinelli, Milano 2008, e a D. Defert, Volontà di verità e pratica militante in
Michel Foucault, cit., pp. 148-149.
69
GV, p. 105.
70
Ibidem.
71
GV, p. 106.
72
Ibidem.
Regimi di verità in Michel Foucault 123

come vero coincidono perfettamente»73. Il punto, ancora una volta, non


è mettere in discussione la verità o la falsità di un’ipotesi scientifica, bensì
mettere in luce la modalità con cui ci relazioniamo al discorso scientifico
e alla sua verità o falsità.

Diversi regimi di verità

Il progetto di condurre una storia politica della verità negli ultimi anni
della vita di Foucault è confluito nell’intento di tracciare una «genealogia
del soggetto moderno»74. Essa è stata esplicitamente inaugurata nel corso
al Collège de France del 1980, quando Foucault ha posto la questione
delle relazioni che intercorrono tra governo, verità e soggettività come
questione politica che riguarda l’attualità: «perché e in che forma, in una
società come la nostra, esiste un legame così profondo tra l’esercizio del
potere e l’obbligo, per gli individui, di diventare essi stessi attori essenziali
nelle procedure di manifestazione della verità?»75.
Posto che il regime di verità è un modo di legare l’individuo, cioè
la costituzione di soggettività specifiche, e la manifestazione del vero,
ovverosia il dire-il-vero, si possono distinguere – scrive Foucault – diversi
regimi di verità. Nel 1980 infatti distingue il regime proprio della scienza
moderna e quello, diverso, sviluppatosi a partire dalle tecniche del sé
nell’antichità greca e romana e dalle pratiche di veridizione di sé in uso

73
GV, p. 102.
74
M. Foucault, Sull’origine dell’ermeneutica di sé, cit., p. 33.
75
GV, p. 88. Abbiamo sottinteso in questa sede lo spostamento teorico dalla nozione
di potere a quella di governo. Si veda a questo proposito M. Foucault, Sécurité, territoire,
population. Cours au Collège de France. 1977-1978, Seuil-Gallimard, Paris 2004; trad. it. di
P. Napoli, Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France (1977-1978), Feltrinelli,
Milano 2010, in particolare le lezioni del 25 gennaio, 1 e 8 febbraio; Id., Nascita della
biopolitica, cit., in particolare le lezioni del 10, 17 e 24 gennaio; GV, in particolare la lezione
del 9 gennaio. Rimandiamo inoltre, senza pretendere di esaurire l’ampia letteratura critica
sul tema, a P. Pasquino, Michel Foucault: la problematica del “governo” e della veridizione, in
P.A. Rovatti (a cura di), Effetto Foucault, Feltrinelli, Milano 1986; C. Gordon, Governamental
Rationality: An Introduction, in G. Burchell, C. Gordon e P. Miller (a cura di), The Foucault
Effect. Studies in Governamentality, Harvester Wheatsheaf, Hemel Hempstead 1991;
M. Senellart, Michel Foucault: governamentalità e ragion di Stato, cit., pp. 37-73; S. Chignola,
Biopotere e governamentalità. Michel Foucault e la politica dei governati, in S. Marcenò e S. Vaccaro
(a cura di), Il governo di sé e degli altri, Duepunti, Palermo 2011.
124 Giulia Guadagni

presso il primo monachesimo cristiano. La formulazione del regime di


verità del 1976 era centrata sulle scienze, nello specifico sulle scienze
umane e sulle relazioni reciproche che legano la produzione di verità e i
meccanismi di potere. Le ricerche di quegli anni, da Surveiller et punir a La
volonté de savoir, guardavano alla produzione di verità come a ciò che forma
i soggetti, come il soggetto delinquente o il soggetto di desiderio. In tal
senso abbiamo delineato un filo che lega le opere foucaultiane degli anni
sessanta a quelle del decennio successivo, che conduce dalla formazione
discorsiva al regime scientifico di auto-indicizzazione del vero, passando
per il regime discorsivo e una prima definizione di regime di verità.
Dal 1980 invece, l’attenzione di Foucault si è spostata sulla dimensione
dell’autos, dell’io stesso: è il soggetto che dice la verità su di sé, è l’«auto-
aleturgia»76, il dire-il-vero su se stessi che viene messo in questione. L’intento
del corso – leggiamo nella quarta lezione – è indagare la questione del
«governo degli uomini attraverso la manifestazione della verità nella forma
della soggettività»77, cioè la manifestazione di una verità auto-riferita, una
verità su di sé. Foucault annuncia allora di essere intenzionato a mettere
da parte lo studio del regime di verità della scienza, per studiare altri regimi
di verità e si propone di esaminare il cristianesimo «dal punto di vista dei
regimi di verità»78. Nella restante parte del corso del 1980, infatti, si dedica
ad esporre i propri studi sul monachesimo, analizzando in particolare le
pratiche del battesimo, della penitenza e dell’esame di coscienza, da lui
interpretate come parte di un regime di verità. Poco dopo la fine del
corso al Collège de France, tra l’aprile e il maggio del 1980, tiene un
altro corso, all’Università cattolica di Lovanio, sul ruolo della confessione
nelle istituzioni giudiziarie79. Tra questi due corsi c’è uno stretto legame:
76
GV, p. 61. Dove per «aleturgia» Foucault intende «l’insieme delle procedure
possibili, verbali o meno, con cui si porta alla luce ciò che si pone come vero in opposizione
al falso […]»; GV, pp. 18-19.
77
GV, p. 88.
78
GV, p. 109.
79
M. Foucault, Mal fare, dir vero, cit. Foucault aveva già scritto in precedenza a
proposito della confessione: ne La volonté de savoir l’aveva descritta come un rito
fondamentale per le società occidentali, come «una delle tecniche più altamente
valorizzate per produrre la verità»; La volontà di sapere, cit., p. 54. Nello stesso testo
si proponeva di condurre una «storia politica della verità», che avrebbe contribuito
a mostrare come la sua produzione fosse interamente attraversata dai rapporti di
potere; ivi, p. 56. Mentre nella prima lezione di Mal faire, dire vrai Foucault definisce la
confessione dal punto di vista linguistico, come atto linguistico, in Du gouvernement des
Regimi di verità in Michel Foucault 125

in entrambi Foucault analizza l’Edipo Re, espone i risultati delle proprie


ricerche sul monachesimo cristiano e le sue pratiche di veridizione, ma
soprattutto esplora la medesima tematica generale, ovvero la storia politica
delle veridizioni – il tentativo di determinare le modalità e le condizioni di
apparizione storiche di un regime di verità. Attraverso questo contributo
si è inteso mostrare come tale tematica sia trasversale a tutta l’opera di
Foucault. Egli stesso, secondo lo schema retrospettivo già incontrato in
precedenza, afferma che la storia politica delle veridizioni costituisce il
quadro generale delle sue ricerche80.
Che si tratti del regime di verità operante nel discorso scientifico o di
quello che conduce il soggetto a scoprire una verità riguardo a se stesso
però, la posta in gioco rimane la stessa. Foucault mostra la possibilità di
un agire politico diretto ai regimi di verità: «il problema politico essenziale
– scriveva nel 1976 – è sapere se è possibile costituire una nuova politica
della verità […] il problema non è di cambiare la coscienza della gente o
quello che ha nella testa, ma il regime politico, economico, istituzionale di
produzione della verità»81.
La forza critica della nozione di regime di verità e il motivo per cui può
essere ancora utile, sta nel fatto che Foucault, attraverso questo concetto,
ci mostra che non siamo obbligati ad accettare uno specifico regime di
verità, ma soprattutto che non siamo obbligati a conformare ad esso, dare
forma in base ad esso, alla nostra soggettività82. Foucault, mostrando che
non è vero che la verità non lascia scelta, che possiamo fare altrimenti che
non modulare le nostre condotte sulla verità, indica come uscire da quella
che Lorenzini chiama una pericolosa trappola etico-politica83, indica che
la verità costituisce di per sé una questione politica84. Non indica però la
possibilità di fare a meno del tutto di un regime di verità.
Il percorso che abbiamo compiuto assumendo un punto di vista
interno all’opera di Foucault solleva anche, naturalmente, una serie di
questioni che lo oltrepassano, come quella della portata euristica attuale
del concetto di regime di verità. Ci è sembrato rilevante, in quest’ottica,

vivants si riferiva più genericamente agli atti di confessione come l’insieme delle pratiche
che nel cristianesimo delle origini coinvolgevano il dir vero su se stessi; cfr. Mal fare, dir
vero, cit., pp. 3-9 e GV, pp. 109-110.
80
Cfr. ivi, p. 12.
81
M. Foucault, Intervista a Michel Foucault, cit., p. 191.
82
Cfr. D. Lorenzini, What is a “Regime of truth”?, cit.
83
Cfr. ibidem.
84
M. Foucault, Intervista a Michel Foucault, cit., p. 192.
126 Giulia Guadagni

sia ricostruirne la formazione e lo sviluppo, delineandone così un quadro


complessivo e unitario, ripercorrendo alcune tappe dell’opera foucaultiana,
sia riconoscere e mettere in evidenza le differenze che intercorrono tra
i diversi regimi di verità studiati da Foucault. Solo tenendo presenti tali
differenze sarà infatti possibile fare di questa nozione un uso rigoroso e
dunque fecondo, anche quando si tratta di tradurlo rispetto a esperienze e
pratiche contemporanee85.

Giulia Guadagni
Università della Calabria
guadagni.giulia@gmail.com

Regimes of Truth in Michel Foucault’s Work

This paper focuses on the formation and transformation of the concept of


“regime of truth” in Foucault’s work. It traces out the theoretical legacies of
such a concept in The Archaeology of Knowledge, and then isolates its first definition
in some writings from the Seventies where the relation between truth and power
is highlighted. Finally, the paper engages with the key role that regimes of truth
plays in some of the last Courses at the Collège de France. The aim of the
paper is to show the theoretical autonomy of the concept of “regime of truth”
and to strengthen the theoretical dimension of such a concept, which percolates
Foucault’s work and which is largely used in the secondary literature.

Keywords: Foucault, Regimes of Truth, Subjectivation, Subjection, Power, Self-


Indexation of Truth, Truth-Telling.

85
A questo proposito, con fine esemplificativo e senza pretesa di completezza,
rimandiamo ad alcuni studi che usano la nozione di regime di verità come chiave di
lettura di diversi aspetti del neoliberismo: M. Nicoli, Regimi di verità nell’impresa postfordista,
in «Esercizi filosofici», n. 5 (2010), pp. 65-77, in <www.univ.trieste.it/eserfilo/art510/
nicoli510.pdf> (consultato il 6 agosto 2017); M. Tazzioli, Politiche della verità. Michel Foucault
e il neoliberalismo, Ombre Corte, Verona 2011; P. Dardot e Ch. Laval, La nouvelle raison du
monde. Essais sur la société néolibérale, La Découverte, Paris 2009; trad. it. di R. Antoniucci e
M. Lapenna, La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista, DeriveApprodi,
Roma 2013; P. Maltese, L’università postforsidista, ETS, Pisa 2014; M. Nicoli e L. Paltrinieri,
Il management di sé e degli altri, in «aut aut», n. 362 (2014), pp. 49-74.

Potrebbero piacerti anche