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SCEPTULIN
LA FILOSOFIA MARXISTA-LENINISTA
Capitolo 5: LA CONOSCENZA
1. L'ESSENZA DELLA CONOSCENZA
2. LA PRATICA COME FONDAMENTO DELLA CONOSCENZA
3. IL CAMMINO DIALETTICO DELLA CONOSCENZA
a. La vivente intuizione
b. Il pensiero astratto
c. L'interconnessione del sensibile e del razionale nella conoscenza
d. La conoscenza empirica e teorica
d. La pratica come criterio della verità
e. La verità oggettiva. L'interconnessione dell'assoluto e del relativo nella verità
4. LE FORME E I METODI DI CONOSCENZA SCIENTIFICA
a. L'osservazione
b. L'esperimento
c. La comparazione
d. L'ipotesi
e. L'analogia
f. La modellazione
g. L'induzione e la deduzione
h. Il metodo di passaggio dall'astratto al concreto
i. Lo storico e il logico nella conoscenza
j. L'analisi e la sintesi
Capitolo 10: LA PRODUZIONE MATERIALE, FONDAMENTO DELL'ESISTENZA E DELLO SVILUPPO DELLA SOCIETÀ
1. il concetto di produzione
2. LE FORZE PRODUTTIVE DELLA SOCIETÀ
a· Il concetto di forze produttive
b. Le forze produttive della società e la scienza
3. RAPPORTI DI PRODUZIONE
4. LA DIALETTICA DELLO SVILUPPO DELLE FORZE PRODUTTIVE E DEI RAPPORTI DI PRODUZIONE
a. La dipendenza dei rapporti di produzione dal livello di sviluppo delle forze produttive
b. La legge della corrispondenza dei rapporti di produzione al livello di sviluppo delle forze produttive
c. L'influsso dei rapporti di produzione sullo sviluppo delle forze produttive
Capitolo 16: LA FUNZIONE DELLE MASSE POPOLARI E DELLA PERSONALITÀ NELLA STORIA. PERSONALITÀ E SOCIETÀ
1. LE MASSE POPOLARI, FORZA DECISIVA DELLO SVILUPPO SOCIALE
2. LA FUNZIONE DELLA PERSONALITÀ NELLA STORIA
3. LA PERSONALITÀ E LA SOCIETÀ
a. La personalità come prodotto dello sviluppo sociale
b. La dialettica dell'interconnessione della personalità e della società
1Karl Marx, Friedrich Engels, Opere complete, vol. V. Roma, Editori Riuniti, p. 47.
gnoseologiche dell'idealismo»2.
Tratto caratteristico delle sensazioni e delle percezioni di queste forme della
conoscenza sensibile è che esse dipendono dall'uomo, dal suo sistema ner-
voso, dal suo stato psichico, dalla sua esperienza individuale, ecc. Però, se
noi esageriamo questo rapporto di dipendenza, se dimentichiamo che le
sensazioni e le percezioni dipendono non solo dall'uomo ma anche dall'og-
getto che agisce sui suoi organi dei sensi, che esse riflettono questi o quei lati
di questo oggetto, finiremo inevitabilmente nel soggettivismo ammettendo
che il contenuto delle sensazioni e delle percezioni è determinato dal sogget-
to (dall'uomo), dalle sue emozioni e, poi, anche nell'idealismo, riconoscendo
che le sensazioni e le percezioni sono la base di tutto ciò che esiste. È proprio
in tale forma che propagandavano l'idealismo Berkeley, Mach, Avenarius ed
altri.
Inoltre, venendo a conoscere la realtà che li circonda, gli uomini mettono in
luce le proprietà comuni delle cose e dei fenomeni con i quali essi hanno a
che fare nella loro attività pratica. Sulla base di ciò in essi si formano dap-
prima le immagini generali e poi i concetti di tali proprietà. Le immagini e i
concetti così formatisi si trasmettono di generazione in generazione, mentre
le cose riflesse in tali concetti cambiano ininterrottamente. Si crea così l'im-
pressione che i concetti siano qualcosa di stabile, di immutabile, di eterno,
mentre le cose qualcosa di mutevole, di transitorio, di temporaneo. Il concet-
to di «uomo», ad esempio, è sorto nella remota antichità e il processo della
sua formazione si è perduto nei tempi. Può sembrare, perciò, che esso esista
eternamente. I singoli uomini, invece, non sono eterni. Essi nascono e
muoiono. E se si pone esageratamente l'accento sulla relativa stabilità dei
concetti, se li si priva del legame con le cose del mondo esterno, per riflette-
re le quali essi sono sorti, e li si trasforma in qualcosa di autonomo che sta
all'origine delle cose, allora si finisce inevitabilmente nell'idealismo.
2. LA FUNZIONE METODOLOGICA DELLA FILOSOFIA
2V. I. Lenin, Opere complete, vol. 38. Roma, Editori Riuniti, p. 366.
scienza sociale.
Nella storia della filosofia sono noti due metodi filosofici di conoscenza dia-
metralmente opposti: il metodo metafisico e quello dialettico.
Il metodo metafisico si formò nell'ambito delle scienze naturali nei secoli
XVI-XVII. In quella epoca la scienza della natura, in considerazione delle esi-
genze della produzione in via di sviluppo, si poneva lo scopo di studiare sin-
goli lati e proprietà del mondo, le forme concrete dell'essere. Per conoscere
questi particolari «essa li staccava dal loro contesto naturale o storico e li
esaminava ciascuno per sé, nella sua natura, nelle sue cause, nei suoi effetti
particolari»3. Ciò generò la tendenza a concepire le cose e i fenomeni della
natura al di fuori della loro interconnessione e interdipendenza, al di fuori
del loro movimento e del loro sviluppo e successivamente portò anche al
sorgere del metodo generale metafisico della conoscenza. Secondo tale me-
todo le cose e i fenomeni della natura sono concepiti nel loro isolamento, al
di fuori del loro vasto contesto complessivo, sono privi di contraddizioni e di
sviluppo, eternamente nel medesimo stato qualitativo, sono, cioè, immutabi-
li
Attualmente tratto particolarmente caratteristico della metafisica è quello di
assolutizzare singoli lati e forme del movimento della materia, di ridurre il
superiore all'inferiore.
Nella misura in cui le scienze naturali cominciarono a passare dallo studio
delle cose e delle loro proprietà allo studio dei processi che si svolgono in
esse, cominciarono ad elaborarsi i princìpi del metodo dialettico della cono-
scenza. Tale metodo parte dalla considerazione che nella realtà tutti i feno-
meni sono in interconnessione e interdipendenza organica, che tutti i feno-
meni sono internamente contraddittori e, in seguito della lotta degli opposti
ad essi propri, cambiano continuamente passando ad uno stato qualitativo
superiore.
Il metodo dialettico della conoscenza è derivato dalle leggi universali della
realtà e della conoscenza. Perciò esso è l'unico metodo conseguentemente
scientifico (filosofico), metodo che aiuta gli scienziati nella loro attività co-
noscitiva.
3. LA FILOSOFIA E L'ATTIVITÀ PRATICA DEGLI UOMINI
3Karl Marx, Friedrich Engels, Opere complete, cit., vol. XXV, p. 20.
portamento degli uomini, i princìpi ai quali essi si ispirano nella loro attività
pratica, dipendono in misura notevole dalle loro concezioni generali, dalle
idee filosofiche fatte proprie dalla loro coscienza.
Per esempio, gli uomini che sono sotto l'influsso della concezione idealistica
del mondo molto spesso, nella loro vita privata, attribuiscono grande impor-
tanza a dio o ad altre forze soprannaturali. Essi fanno affidamento più sul
proprio destino che sulla conoscenza delle leggi che regolano i mutamenti
della realtà che li circonda. Gli uomini che hanno una concezione marxista
del mondo nella loro attività si basano, invece, sulla conoscenza delle leggi
oggettive della realtà. il loro scopo fondamentale consiste non nell'adattarsi
alle condizioni di vita esistenti ma nel perfezionarle e nel cambiarle costan-
temente.
Inoltre, il legame della filosofia, in particolare del materialismo dialettico,
con la prassi si realizza anche per un'altra via: traducendo in atto la funzione
metodologica del materialismo dialettico. Il materialismo dialettico, sulla ba-
se dello studio delle leggi universali della realtà, formula determinati princì-
pi o norme che è indispensabile osservare nell'attività pratica, nella soluzio-
ne di questo o quel compito, elabora, in altre parole, un metodo d'azione, un
metodo di trasformazione rivoluzionaria della realtà. Perciò, per i sovietici
che costruiscono una società nuova, la società comunista, e realizzano con
ciò un'opera di portata storica, è estremamente necessario impadronirsi del-
la filosofia marxista. Tale dottrina li aiuterà ad orientarsi meglio nella solu-
zione dei problemi che sorgono nella pratica, a trovare per la loro soluzione
le vie che maggiormente rispondono alle condizioni concrete.
4. LA DEFINIZIONE DELL'OGGETTO DELLA FILOSOFIA
Dopo l'esame dei tratti specifici della filosofia e delle funzioni che essa
adempie si può dare una definizione del suo oggetto.
La filosofia rappresenta una concezione del mondo e un metodo di cono-
scenza, elaborati sulla base di una determinata soluzione del problema del
rapporto tra la materia e la coscienza.
Tale definizione è applicatile a qualsiasi filosofia, a qualsiasi concezione filo-
sofica: materialistica e idealistica, dialettica e metafisica. Noi però non ci oc-
cuperemo dell'oggetto di studio di tutte le correnti filosofiche. Nostro compi-
to è mettere in luce soltanto il contenuto della filosofia marxista-leninista.
La filosofia marxista-leninista è una scienza che studia le leggi oggettive
dell'interconnessione della materia e della coscienza e le leggi universali del-
la natura, della società, del pensiero ed elabora una concezione del mondo e
un metodo di conoscenza e di trasformazione della realtà.
5. LA FILOSOFIA E LE SCIENZE CONCRETE
La filosofia come sistema di idee sul mondo, come concezione del mondo de-
gli uomini non è esistita sempre. Essa è sorta soltanto ad un determinato
stadio di sviluppo della società. Perché la filosofia potesse apparire, erano
necessari un notevole livello di sviluppo del pensiero e condizioni sociali fa-
vorevoli. Nei periodi iniziali di esistenza e di sviluppo della società le forze
produttive erano ad un livello molto basso e l'uomo dipendeva in tutto e per
tutto dalla natura, era in balìa delle sue forze spontanee. Naturalmente, sic-
come non conosceva le cause effettive che provocavano il sorgere di questi o
quei fenomeni, egli era portato a conferire anima a questi ultimi, a ritenere
che essi fossero determinati, generati da forze o esseri soprannaturali. Nasce
così la credenza nell'esistenza degli dei e, insieme ad essa, la religione, le
concezioni religiose.
La forma prima, iniziale di una visione globale del mondo fu, quindi, una
concezione religiosa del mondo, generata dall'impotenza dell'uomo primiti-
vo nella lotta contro la natura, dalla paura per le misteriose forze spontanee
che influivano sulla sua attività vitale.
Con la divisione della società in classi - in schiavi e proprietari di schiavi – le
idee religiose cominciarono ad essere condizionate, ad essere generate an-
che da un'altra causa, e precisamente, dalla dipendenza dell'uomo dalle for-
ze spontanee sociali, le quali apportavano agli uomini calamità non minori di
quelle provocate dalla natura. Nella società schiavistica la religione diviene,
inoltre, un'arma spirituale nelle mani dei padroni di schiavi per giustificare e
sancire lo sfruttamento degli schiavi. Con il sorgere delle classi fa la sua ap-
parizione anche la lotta di classe, la quale trova inevitabilmente il suo rifles-
so nella vita spirituale degli uomini, nella lotta tra le diverse concezioni del
mondo che riflettono la diversa posizione delle classi e degli altri gruppi so-
ciali. Nella società schiavistica, in relazione al fatto che il lavoro intellettuale,
separatosi dal lavoro fisico, divenne monopolio dei proprietari di schiavi, la
lotta ideologica tra le diverse concezioni del mondo si svolgeva soprattutto
tra i vari gruppi di proprietari di schiavi che occupavano una diversa posi-
zione in seno alla società, e in particolare, tra gli strati avanzati - artigiani e
mercantili – della classe dei proprietari di schiavi e i gruppi conservatori
dell'aristocrazia gentilizia. I primi tendevano a sviluppare ulteriormente le
forze produttive, il commercio, lottavano per le forme democratiche di Stato
schiavistico. Gli strati aristocratici, invece, ostacolavano tale processo. La lot-
ta dei gruppi sociali progressisti contro l'aristocrazia reazionaria determinò
il sorgere e lo sviluppo della concezione materialistica del mondo, la quale fu
contrapposta alle concezioni religiose dell'aristocrazia schiavistica.
I rappresentanti della parte reazionaria dei proprietari di schiavi, lottando
contro il materialismo, cominciarono ad elaborare concezioni idealistiche
(con le quali motivavano la religione) e a contrapporle all'interpretazione
materialistica dei processi che si svolgono nel mondo. Così appare l'ideali-
smo come reazione alla nascita della concezione materialistica del mondo.
Una volta sorti, l'idealismo e il materialismo cominciarono a condurre una
lotta costante tra di loro, lotta che non è mai cessata. Tutta la successiva sto-
ria dello sviluppo della filosofia non rappresenta altro che la lotta tra questi
due indirizzi in filosofia: il materialismo e l'idealismo.
2. LA LOTTA TRA IL MATERIALISMO E L'IDEALISMO NELLA SOCIETÀ SCHIAVISTICA
La dottrina materialistica sul mondo affonda le sue radici nella remota anti-
chità. Essa appare in Egitto e in Babilonia tra la fine del terzo e l'inizio del
secondo millennio prima dell'era moderna. Già in quell'epoca si incontrano
ragionamenti secondo cui l'acqua è la causa del mondo, che dall'acqua hanno
origine tutte le cose, tutti gli esseri viventi.
Ma la dottrina materialistica diviene un sistema di idee più o meno organico
soltanto nel primo millennio precedente l'era moderna. È proprio in questa
forma che l'incontriamo in quell'epoca in India e in Cina. Così, ad esempio,
nei secoli VIII-VII prima della nostra era troviamo in India la corrente filoso-
fica dei Lokoyata (letteralmente: concezioni di uomini che riconoscono sol-
tanto il mondo sensibile – loka) che si presenta come un sistema di conce-
zioni materialistiche completamente formato. Fondatore della scuola dei Lo-
koyata fu Brihaspati.
I seguaci della scuola dei Lokoyata sottoponevano ad acuta critica le dottrine
religiose che in quella epoca dominavano in India e che erano esposte nei
Veda, i libri sacri del brahmanesimo. Essi condannavano decisamente «tutte
le forme di magia e di superstizione» e proclamavano invenzione dei sacer-
doti i dogmi sull'immortalità dell'anima, le loro asserzioni che dopo la morte
l'anima dell'uomo continuerebbe a vivere nel mondo trascendentale. Secon-
do la loro dottrina, non vi è e non può esservi nessun'altra vita all'infuori di
quella terrena e perciò l'anima dell'uomo muore insieme al suo corpo.
Pressappoco nella stessa epoca sorse una concezione materialistica del
mondo anche in Cina. In Cina nei secoli IX-VII prima dell'era moderna era
diffusa una dottrina che era diretta contro la religione e che affermava che il
mondo è eterno ed è costituito dal fuoco, dall'acqua, dal legno, dalla terra e
dal metallo. Tutte le cose, dicevano i primi materialisti cinesi, non sono altro
che le combinazioni dei suddetti cinque elementi.
La concezione materialistica del mondo ottenne ulteriore sviluppo nella filo-
sofia del taoismo, apparsa nel VI secolo prima dell'era moderna, di cui è con-
siderato fondatore Láo Tsze. Secondo il taoismo il mondo è eterno, è in stato
di continuo movimento e cambiamento. Tutto ciò che esiste, il movimento
stesso sono governati, secondo i taoisti, dal Tao, una legge di eterna armonia
(«Tao», in cinese, «via», «legge»; di qui il nome della dottrina).
Le correnti materialistiche, sorte in India e in Cina nel primo millennio, lot-
tarono nei successivi secoli prima contro le concezioni religiose e poi contro
l'idealismo, base teorica della religione; nel corso di questa lotta esse anda-
vano sviluppandosi e arricchendosi.
A cominciare dal VI secolo prima dell'era moderna, il pensiero filosofico ri-
ceve impetuoso sviluppo nella Grecia antica. Qui la concezione materialistica
del mondo pure sorse nella lotta contro la religione riflettendo gli interessi
degli strati progressisti della classe dei proprietari di schiavi. I fondatori del-
la filosofia materialistica greca furono i rappresentanti della cosiddetta scuo-
la ionica, sorta a Mileto: Talete (ca. 624-547 a. C.), Anassimandro (ca. 610-
546 a. C.), Anassimene (ca. 585-525 a. C.).
Secondo la dottrina di Talete, la causa prima di tutto ciò che esiste è l'acqua.
Tutto deriva dall'acqua e tutto si trasforma in ultima istanza in acqua.
Anassimandro pose come principio di tutte le cose l'«apeiron»: l'infinito o
l'indeterminato che genera cose e fenomeni mediante movimento e ema-
nando opposti come 1 «umido» e il «secco», il «freddo» e il «caldo». Cose e
mondi interi che sorgono e esistono per un determinato periodo di tempo, in
forza delle stesse cause (movimento e emanazione degli opposti) si distrug-
gono, scompaiono e si trasformano di nuovo in apeiron. In tal modo si assi-
ste nel mondo, secondo Anassimandro, ad un eterno movimento circolatorio
nel corso del quale l'uno sorge dall'apeiron, l'altro scompare trasformandosi
in apeiron. Con la sua posizione materialistica Anassimandro, come vedia-
mo, fa un tentativo di presentare il mondo in modo dialettico, in movimento,
come un mondo in cui il processo di sdoppiamento dell'uno (apeiron) in op-
posti (emanazione degli opposti) esercita un ruolo determinato.
Un analogo punto di vista sulla natura delle cose sensibili fu sviluppato an-
che da Anassimene. Secondo lui, l'elemento primordiale delle cose è l'aria, il
cui movimento determina il sorgere e lo scomparire delle cose. Essendo in
costante movimento, l'aria ora si condensa, ora si rarefà, diventando così ora
l'uno, ora l'altro. Ad esempio, rarefacendosi l'aria diventa fuoco, condensan-
dosi diventa vento, condensandosi ancora di più diventa nuvola. Diventando
ancor più densa si trasforma in terra e infine in roccia. Tutte le altre cose,
compreso dio, sono sorte da questi sopraelencati stati di materia.
Ai primi materialisti greci che esprimevano e difendevano gli interessi degli
strati progressisti della classe dei proprietari di schiavi, i gruppi reazionari,
aristocratici contrapposero prima i dogmi religiosi sull'origine e l'essenza
del mondo e poi una filosofia idealistica elaborata dai loro rappresentanti.
La prima forma dell'idealismo nella Grecia antica fu il pitagorismo, fondato
dal filosofo e matematico Pitagora (ca. 580-500 a. C.). Secondo la dottrina dei
pitagorici gli elementi fondamentali costitutivi delle cose sono i rapporti
quantitativi, i numeri che determinano l'essenza, la natura delle cose. È
sempre da essi che dipende anche tutto l'Universo. Secondo i pitagorici l'U-
niverso non è che l'armonia dei numeri.
Sviluppando la loro dottrina i pitagorici sottoponevano a critica la filosofia
materialistica della scuola ionica, ma il materialismo acquistava sempre
maggiore popolarità e si propagava rapidamente.
Un notevole contributo allo sviluppo della teoria materialistica del mondo fu
dato dal filosofo della Grecia antica Eraclito di Efeso (ca. 530-470 a. C.). Se-
condo Eraclito il principio del mondo è il fuoco che condiziona il sorgere e lo
scomparire delle cose. Tutto deriva dal fuoco, diceva Eraclito, e tutto si tra-
sforma in ultima istanza in fuoco. Secondo Eraclito il fuoco è simile all'oro, il
quale si scambia con tutto e con il quale si scambia tutto. Il mondo, secondo
Eraclito, non è stato creato da nessuno, ma esiste eternamente e non dipen-
de da nessuna forza soprannaturale. Eraclito scriveva che il mondo, l'uno del
tutto, non è stato fatto da nessuno degli dei o degli uomini, ma è stato, è e sa-
rà un fuoco eternamente vivo che si accende e si spegne secondo misura.
Ponendo il fuoco come il principio materiale dell'Universo, Eraclito sottoli-
neava continuamente l'idea dell'incessante movimento e mutamento del
mondo, della contraddittorietà come fonte del movimento, della possibilità
del trapasso degli opposti gli uni negli altri. Egli formulò così una serie di
princìpi dialettici che riflettono in un modo o nell'altro il vero stato delle co-
se anche se non poggiano su dati scientifici. Eraclito affermava: «Non è pos-
sibile discendere due volte nello stesso fiume» (discendendovi per la secon-
da volta immancabilmente l'acqua non sarà quella di prima); «in noi sono un
tutt'uno ciò che è vivo e ciò che è morto, ciò che è sveglio e ciò che dorme, ciò
che è giovane e ciò che è vecchio. Il fatto è che questo, una volta mutato, è
quello e viceversa quello, una volta mutato, è questo»; «il freddo diventa più
caldo, il caldo diventa più freddo, l'umido diventa secco, il secco diventa
umido».
L'ulteriore sviluppo della linea materialistica della filosofia greca antica è le-
gato alla dottrina di Democrito (V secolo a. C.) il quale formulò la teoria ato-
mistica della struttura della materia. Secondo questa teoria gli elementi pri-
mordiali del mondo sono gli atomi, la cui quantità è infinita, e il vuoto in cui
essi si muovono. Muovendosi in questo spazio vuoto, gli atomi si incontrano
e formano questi o quei corpi. Tutto ciò che esiste è formato dagli atomi.
Persino l'anima dell'uomo è una combinazione di determinati atomi. Demo-
crito rivolse la sua dottrina contro i pitagorici i quali affermavano che l'ani-
ma è immortale. Secondo Democrito l'anima perisce insieme all'organismo.
La morte dell'organismo significa disintegrazione degli atomi che lo com-
pongono, ma ciò significa che gli atomi che compongono l'anima pure si di-
sintegrano.
Successivamente la teoria atomistica fu sviluppata dal filosofo greco Epicuro
(IV-III secolo a. C.) e dal filosofo romano Tito Lucrezio Caro (1 secolo a. C.).
Contro la teoria atomistica di Democrito e le concezioni materialistiche degli
altri filosofi, in particolare di Eraclito, intervenne il filosofo-idealista greco
Platone (427-347 a. C.) che esprimeva gli interessi dell'aristocrazia schiavi-
stica reazionaria.
La dottrina platonica pone un netto dualismo tra il mondo reale composto
dalle idee universali («essenze ideali») e il mondo non reale che è costituito
dalle cose sensibili e che non è altro che un riflesso, un'ombra del mondo
reale (mondo delle idee). Per illustrare il rapporto tra il mondo delle cose
sensibili (mondo non reale) e il mondo delle idee (mondo reale), Platone ri-
porta il seguente esempio: immaginiamoci un uomo rinchiuso in una caver-
na e incatenato ad un palo in modo da volgere sempre la schiena all'entrata
da dove arriva nella caverna la luce. Non può perciò vedere quello che av-
viene al di fuori. Ed ecco al passare davanti alla caverna di persone appari-
ranno sulla parete opposta all'ingresso le ombre delle persone che passano e
degli oggetti che portano. L'uomo nella grotta vedrà queste ombre e le pren-
derà per un mondo reale, anche se esse non sono che un calco imperfetto di
questo mondo reale. Sono analoghi calchi o, più esattamente, ombre del
mondo delle idee anche le cose sensibili, il mondo sensibile. E noi, dice Pla-
tone, ci troviamo in una situazione analoga a quella del prigioniero legato
nella caverna, prendiamo per reale questo mondo delle cose, anche se que-
st'ultimo rappresenta solo le ombre del mondo reale, e precisamente del
mondo delle idee nascosto al nostro sguardo.
Il mondo delle idee, secondo la dottrina di Platone, è riunito in un tutt'uno
dall'idea del «bene supremo» ed esiste in eterno; mentre le cose, i fenomeni
sono transitori, temporanei. Essi sorgono dall'essere informe, indefinito
(materia) come risultato della fusione con essi di questa o quella idea e
scompaiono subito non appena l'idea abbandona la cosa che ha creato. Dalla
dottrina di Platone risulta che le cose e i fenomeni derivano dalle idee che in
ultima istanza risalgono a dio.
Profonde critiche alla dottrina platonica delle idee furono mosse da Aristote-
le, la cui dottrina rappresenta il coronamento dello sviluppo della filosofia
greca antica. Nella sua filosofia Aristotele (384-322 a. C.) generalizzò e riela-
borò in maniera creativa tutto quanto era stato creato dai precedenti pensa-
tori. Le sue opere abbracciano tutti i lati della realtà: la natura, la società
umana e il sapere. Criticando le concezioni filosofiche di Platone, in partico-
lare la sua tesi sulle idee come primo dato rispetto alle cose sensibili, sulla
loro esistenza autonoma, Aristotele dimostrò che non esiste alcuna idea uni-
versale al di fuori delle cose e indipendentemente da esse. Tutto ciò che è
reale si manifesta soltanto attraverso le cose. Per quanto riguarda le idee
universali, esse sorgono nella coscienza dell'uomo nel processo della cono-
scenza, nella misura in cui l'uomo incontra quello che si ripete e ne diventa
conscio.
Nelle sue concezioni filosofiche Aristotele oscilla fra il materialismo e l'idea-
lismo.
Secondo Aristotele, alla base di tutte le cose è la materia prima. Essa è priva
di forma, indeterminata, cioè si presenta solo come possibilità dell'essere.
Questa possibilità si trasforma in cosa sensibile reale solo quando la materia
si fonde con questa o quella forma (usando la terminologia di Aristotele),
che per l'appunto le conferisce determinatezza.
Anche se la concezione del mondo di Aristotele è in sostanza materialistica,
essa presenta seri difetti. In primo luogo, Aristotele stacca la materia prima
dal movimento, essa rappresenta, secondo lui, una massa indeterminata,
amorfa, in cui il movimento è apportato dal di fuori dalla forma. In secondo
luogo, l'elemento attivo che provoca il mutamento della materia, il passaggio
di essa dallo stato indeterminato allo stato determinato e poi da uno stato
all'altro, cioè la forma, prende inizio in ultima analisi da dio come primo mo-
tore. Tutto ciò mostra l'incoerenza della dottrina di Aristotele. Oltre agli
elementi di dialettica e alle tendenze materialistiche sono propri alle sue
concezioni anche elementi di metafisica e tendenze idealistiche.
Dopo Aristotele subentra nella filosofia greca un periodo di decadenza dovu-
ta alla crisi dello Stato schiavistico. Appare la tendenza del passaggio dal ma-
terialismo all'idealismo e al misticismo. Il processo di rinascita e di diffusio-
ne delle concezioni idealistiche si intensificò particolarmente nel periodo di
decomposizione della società schiavistica romana. In quel periodo esse col-
limano direttamente con la religione, in particolare con il cristianesimo sor-
gente, il quale diventa nell'epoca del feudalesimo europeo l'ideologia domi-
nante.
3. LA LOTTA DEL MATERIALISMO E DELL'IDEALISMO NELLA FILOSOFIA MEDIEVALE
6F. Bacon. Novum organum. Book II. London, n. d., pp. 150, 153, 155, 262.
tutta la molteplicità delle sue forme ad una sola: quella meccanica. Egli in-
terpretava il movimento solo come spostamento dei corpi nello spazio.
Hobbes concepiva il processo della conoscenza come l'addizione e la sottra-
zione dei pensieri. L'unico metodo scientifico di conoscenza può essere, se-
condo la sua dottrina, solo il metodo matematico basato su operazioni come
l'addizione e la sottrazione.
Elaborando la sua dottrina materialistica del mondo Hobbes conduceva una
lotta contro la religione e traeva dalla propria dottrina conclusioni ateisti-
che. Egli riteneva che la religione deve la sua origine all'ignoranza degli uo-
mini, alla loro paura dell'inscrutabile domani. Essa non ha nulla in comune
con la scienza, ma nonostante ciò, secondo Hobbes, è necessaria in quanto
aiuta a mantenere gli uomini nei limiti dell'ordine.
Similmente a Bacone e Hobbes in Inghilterra, in Francia la necessità di nuovi
metodi di conoscenza fu sostenuta da Rene Descartes (Cartesio) (1596-
1650). Egli dipinse un quadro del tutto materialistico del mondo. La natura è
costituita, secondo la sua dottrina, dalle minuscole particelle materiali che si
distinguono fra di loro per grandezza, forma e senso di moto. Tutta la neces-
saria molteplicità dei corpi è sorta secondo Descartes senza l'intervento di
dio, per via naturale, dai tre tipi diversi di elementi primari che costituivano
in un primo tempo l'Universo infinito: elementi simili al fuoco, all'aria e alla
terra. Tutti questi elementi erano in movimento e rappresentavano dei vor-
tici. Nel corso del movimento a vortice del primo tipo di elementi sorsero il
sole e le stelle; nel corso di un analogo movimento del secondo tipo di ele-
menti sorse il cielo; il movimento del terzo tipo di elementi generò la Terra e
gli altri pianeti.
Questa dottrina ingenua, ma per natura materialistica, sull'origine del siste-
ma solare era diretta contro i dogmi della religione sulla creazione del mon-
do ad opera di dio in sei giorni, perciò in quella epoca era una dottrina pro-
gressista.
Elaborando le proprie concezioni sul mondo Descartes, in contrappeso alla
scolastica medievale, cercava di poggiare sulla scienza. Ma in quell'epoca ot-
tennero notevole sviluppo solo la meccanica e la matematica. Tutto ciò lasciò
inevitabilmente un'impronta sulla dottrina di Descartes condizionandone
per molti versi il carattere meccanicistico. Descartes, come Hobbes, privò la
materia della sua molteplicità qualitativa e la ridusse, in sostanza, alla sola
quantità. Egli non vedeva, in particolare, la differenza qualitativa fra gli or-
ganismi viventi e le cose della natura inanimata. Egli concepiva gli animali
come macchine semplici. Una macchina, ma più complessa, era secondo lui
anche l'uomo. Descartes, come Hobbes, riduceva tutta la molteplicità delle
forme di movimento della materia ad una sola forma: lo spostamento dei
corpi nello spazio.
Descartes non era un materialista coerente. La sua posizione materialistica
si manifestava solo quando si trattava di questi o quei fenomeni della natura.
Ma quando si accingeva ad esaminare i princìpi fondamentali dell'essere e
della conoscenza lui tradiva il materialismo, poiché risolveva i problemi filo-
sofici partendo dal riconoscimento di dio, dell'anima come l'unico fonda-
mento dell'essere. Egli, ad esempio, affermava che dio, la sua «onnipotenza
creò la materia insieme al movimento e alla quiete», che nel mondo vi sono
due sostanze indipendenti: la spirituale e la materiale. Tutto ciò conferì alle
concezioni filosofiche di Descartes un carattere dualistico a differenza di Ba-
cone e Hobbes le cui concezioni erano monistiche.
A differenza dei materialisti inglesi del XVII secolo, i quali nell'elaborare la
teoria e il metodo di conoscenza partivano dall'esperienza, dai dati sensibili,
Descartes in tutte queste questioni partiva dalla ragione pura ritenendo che
l'esperienza non esercita un ruolo sostanziale nel processo della conoscenza,
che nella sfera della conoscenza bisogna poggiare solo sulla ragione, partire
dai suoi princìpi, dalle idee che sono innate.
Alcune insufficienze della dottrina filosofica di Descartes, in particolare il
suo dualismo, sono superate dal filosofo-materialista olandese Benedetto
Spinoza (1632-1677). Secondo la dottrina di Spinoza il mondo per sua natu-
ra è unico e questa natura è la sostanza. Per quanto riguarda il pensiero, es-
so non è che un attributo (proprietà essenziale) della materia parallelamen-
te agli altri suoi attributi, in particolare, l'estensione. La natura esiste in
eterno, non è stata mai creata da nessuno e racchiude in se stessa la causa
della sua esistenza eterna e infinita. Essendo eterna, la natura (Sostanza) si
manifesta attraverso i suoi modi infiniti. Uno di questi modi è anche il mo-
vimento che, a differenza degli altri modi, non è finito ma infinito, cioè è ca-
ratteristico di tutti gli stati della sostanza (natura).
Proclamando il mondo causa di se stesso, Spinoza elimina così dio come ar-
tefice dell'Universo, lo dissolve nella natura.
La causa dell'apparizione della religione erano secondo Spinoza l'ignoranza
degli uomini, la loro paura del futuro ignoto. La religione, egli scrisse, non
rappresenta «nulla, all'infuori delle fantasie e del delirio di un'anima op-
pressa e timida»7.
La teoria sviluppata da Spinoza, così come anche le dottrine materialistiche
dei suoi predecessori, presenta una serie di insufficienze caratteristiche del
15Ludwig Feuerbach, Philosophische Kritiken und Grundsätze (1839-1846). Leipzig, 1969, S. 185.
16Ibidem, S. 269.
percepiscono ciascuno per conto suo, ma è pure presente nella fase di cono-
scenza sensibile.
Tutto ciò sta a dimostrare che Feuerbach comprendeva l'interconnessione
organica della sensazione e del pensiero, del sensibile e del razionale.
Uno dei meriti di Feuerbach è di essersi schierato decisamente contro la re-
ligione e di averla criticata in maniera circostanziata. Egli mostrò che dio
non rappresenta nulla di soprannaturale ma è stato creato dagli uomini a
propria immagine e somiglianza. Secondo Feuerbach gli uomini con il loro
pensiero astratto e con la loro immaginazione separarono da sé la propria
essenza e cominciarono a percepirla e a rappresentarla nella forma di un es-
sere soprannaturale autonomo – dio.
Mostrando come tutti i tratti con cui viene caratterizzato dio siano umani,
appartengano ai singoli uomini o al genere umano nel suo insieme, Feuer-
bach mette in luce le radici terrene della religione, fa scendere dio dal cielo
sulla terra.
Togliendo la maschera di essere soprannaturale a dio, Feuerbach non com-
prese però l'essenza di classe della religione, non mise in luce le cause sociali
che condizionano la fede in dio e nella vita d'oltretomba. Non è perciò casua-
le che Feuerbach non abbia saputo indicare le vie effettive di lotta contro la
religione. Non solo, ma lui persino non avversava ogni religione. Feuerbach
si batteva solo contro la religione tradizionale che considerava dio un essere
soprannaturale. Ma al tempo stesso lui cercava con tenacia di dimostrare la
necessità di una religione nuova, terrena, in cui doveva occupare il posto di
dio l'uomo stesso e il principio fondamentale doveva essere l'amore
dell'uomo per l'uomo.
Nonostante tutte le deficienze proprie alla filosofia di Feuerbach, un merito
indiscutibile di essa è di aver ripristinato i princìpi materialistici (è vero, su
una vecchia base, quella metafisica, senza la dialettica, gettata in un angolo
insieme all'idealismo hegeliano) e di aver così esercitato un influsso di rilie-
vo sullo sviluppo del pensiero filosofico. Dell'importante ruolo svolto dalla
dottrina materialistica di Feuerbach nell'ulteriore sviluppo della filosofia ne
è già una prova il fatto che essa è una delle fonti teoriche del marxismo.
6. FILOSOFIA DEI DEMOCRATICI RIVOLUZIONARI RUSSI DEL XIX SECOLO
Come abbiamo già rilevato, Feuerbach reintegrò il materialismo nei suoi di-
ritti, ma il materialismo di Feuerbach fu un materialismo metafisico.
Molte insufficienze del materialismo metafisico furono superate dai demo-
cratici rivoluzionari russi che formularono le loro concezioni filosofiche
all'inizio degli anni '40 del XIX secolo e le svilupparono nei successivi decen-
ni.
In quella epoca nella Russia zarista stava maturando una rivoluzione demo-
cratico-borghese e contadina contro la servitù della gleba e lo zarismo. Gli
esponenti ideologici di questa rivoluzione in via di preparazione furono per
l'appunto i democratici rivoluzionari Vissarion Bielinskij (1811-1848), Ale-
xandr Herzen (1812-1870), Nikolaj Cernyscevskij (1828-1889), Nikolaj Do-
broliubov (1836-1861) ed altri.
Una volta compresa la necessità di cambiare gli ordinamenti sociali e il ca-
rattere giusto delle rivendicazioni del popolo, in particolare dei contadini, i
democratici rivoluzionari russi si schierarono risolutamente dalla parte dei
contadini, dei «popolani», e incominciarono ad argomentare nelle loro con-
cezioni filosofiche la necessità di liberazione dei contadini dalla servitù della
gleba.
Nell'elaborare le loro concezioni filosofiche, i democratici rivoluzionari russi
poggiavano, da una parte, sulla filosofia materialistica dei loro predecessori
russi Lomonosov e Radistcev e, dall'altra, sulla dialettica di Hegel e sul mate-
rialismo di Feuerbach. Al tempo stesso essi generalizzarono fino ad un certo
punto i dati delle scienze naturali della loro epoca.
A differenza di Feuerbach i democratici rivoluzionari russi, criticando Hegel,
non rigettarono la sua dialettica, ma cercarono di collegarla con il materiali-
smo, di darne un'interpretazione materialistica.
Fra i primi democratici rivoluzionari russi che sottoposero a critica la filoso-
fia hegeliana fu Herzen. Apprezzando molto la dialettica di Hegel, la quale
colse in linee generali le leggi del movimento e dell'evoluzione della natura e
del pensiero, Herzen lo criticava per l'astrattezza, per il distacco dalla realtà,
dalla vita, per l'idealismo. Hegel, scrisse Herzen, «sacrifica tutto quello che vi
è di temporaneo, tutto quello che esiste al pensiero e allo spirito; l'idealismo,
nel clima del quale è stato educato, l'idealismo che ha succhiato con il latte
rende unilaterale il suo modo di pensare… , e lui cerca di schiacciare con lo
spirito, con la logica la natura; qualsiasi suo prodotto lui è pronto a conside-
rarlo uno spettro… » 17. «L'“essere puro” è un abisso nel quale sono finite tut-
te le definizioni dell'essere reale… Ma non bisogna credere che un determi-
nato essere sorga veramente dall'essere puro; è forse dal concetto di genere
che sorge l'individuo esistente?»18.
Secondo Herzen, possiede un'esistenza effettiva non l'essere puro ma le cose
materiali che compongono nel loro insieme la natura. Però quanto concerne
a. Le premesse economico-sociali
La nascita della filosofia marxista è la necessaria conseguenza dello sviluppo
della società e della scienza. La filosofia del marxismo esprime gli interessi
del proletariato, perciò essa sorge in quello stadio di sviluppo sociale in cui
fanno il loro ingresso nell'arena storica i lavoratori come una forza sociale
autonoma che lotta per il mutamento delle condizioni di vita.
In un primo tempo la lotta di classe del proletariato si manifestò sponta-
neamente, nella forma di lotte isolate contro i singoli capitalisti, in seguito
essa cominciò ad assumere un carattere sempre più coerente. Nel corso di
questa lotta il proletariato si unisce, si organizza, diventa conscio dei propri
comuni interessi di classe e già interviene non contro i singoli rappresentan-
ti della borghesia ma contro la borghesia come classe, contro il capitalismo
come ordinamento sociale. Le prime massicce lotte di classe degli operai ri-
salgono agli anni '40 del XIX secolo. Sono la rivolta degli operai di Lione
(1831), i moti rivoluzionari degli operai di Parigi (1832), l'insurrezione dei
tessitori della Slesia in Germania (1844), il movimento cartista in Inghilterra
(1830 – 1840).
Lo sviluppo della lotta di classe contro la borghesia richiedeva che fossero
argomentate teoricamente l'indispensabilità e la possibilità di cambiare l'e-
sistente stato di cose, gli ordinamenti sociali e politici, che facesse la sua ap-
parizione una dottrina in cui fosse precisato quali rapporti e istituti sociali
dovevano sostituirsi a quelli esistenti, ecc. È proprio questa necessità storica
che è all'origine della filosofia marxista come una particolare concezione del
mondo concezione che orienta il proletariato nella lotta per una nuova socie-
tà e che è nelle sue mani un metodo per la trasformazione rivoluzionaria del-
la realtà circostante.
b. Le premesse sul piano delle scienze naturali
Anche se la necessità per il proletariato di disporre del materialismo dialet-
tico e storico è una premessa del loro sorgere, ciò era ancora lungi dall'esse-
re sufficiente per l'apparizione della filosofia marxista. Le concezioni utopi-
stiche che esistevano prima del marxismo e che motivavano la necessità del
passaggio ad una società nuova, ideale, pure sorgevano per venir incontro
all'aspirazione delle classi oppresse a veder mutate le loro condizioni di vita
ed esse non solo non contribuivano, ma anzi, impedivano il sorgere in seno a
queste classi di una giusta comprensione della realtà circostante e la defini-
zione delle vie concrete per cambiarla. La comparsa del materialismo dialet-
tico e storico presupponeva un determinato livello di sviluppo della scienza,
poiché la nuova teoria si basava sulle conquiste di quest'ultima.
All'inizio del XIX secolo la scienza raggiunse un tale livello di sviluppo da
rendere effettivamente possibile l'elaborazione sul piano teorico dei più im-
portanti princìpi della dialettica, di una concezione dialettico-materialistica
scientifica del mondo. È proprio in quell'epoca che si delineò nelle scienze
naturali il passaggio dalla descrizione e dalla classificazione dei fenomeni al-
lo studio dei processi che vi avvengono, dalla registrazione delle proprietà
che li caratterizzano all'individuazione delle leggi che condizionano i muta-
menti di queste proprietà. In quell'epoca ottennero determinato sviluppo
scienze come la fisiologia che tratta dei processi degli organismi viventi,
l'embriologia che studia l'evoluzione dell'embrione, la geologia che studia le
leggi di mutamento della crosta terrestre, ecc. Una serie di scoperte eccezio-
nali testimoniavano del carattere dialettico dei processi della natura. Parti-
colarmente importanti fra di esse: la scoperta della struttura cellulare degli
organismi (1838-1839), la formulazione del principio di conservazione e di
trasformazione dell'energia (1842-1847) e l'elaborazione da parte di Dar-
win della teoria dell'evoluzione naturale degli esseri viventi (1859).
La scoperta della cellula come unità strutturale fondamentale dell'organi-
smo metteva in luce l'unità del mondo organico e il manifestarsi in seno ad
esso delle leggi universali di sviluppo. La legge della conservazione e della
trasformazione dell'energia testimoniava dell'interconnessione delle varie
forme di movimento della materia, del loro trapasso l'una nell'altra. La teo-
ria evoluzionistica di Darwin mostrava come queste o quelle specie di orga-
nismi animali e vegetali fossero il prodotto di un lungo processo di evoluzio-
ne.
In tal modo le conquiste delle scienze naturali all'inizio e particolarmente al-
la metà del XIX secolo permettevano di formulare e di argomentare i più im-
portanti princìpi della dialettica e di elaborare al tempo stesso in modo coe-
rente una concezione scientifica del mondo che potesse servire al proletaria-
to di strumento per trasformare la realtà circostante.
c. Le premesse teoriche
Condizionata sia dai fattori sociali che dallo sviluppo della scienza della na-
tura la filosofia marxista è inconcepibile in distacco dal retaggio filosofico
del passato. Essa è erede e continuatrice delle idee progressiste dei prece-
denti filosofi. Ciò significa che parallelamente alle premesse sul piano sociale
e sul piano delle scienze naturali esistevano anche le premesse teoriche del
sorgere della filosofia marxista. Esse erano legate prima di tutto alla filosofia
tedesca del XIX secolo, alle concezioni filosofiche di Hegel e Feuerbach.
Hegel formulò i più importanti princìpi della dialettica, elaborò il metodo
dialettico di conoscenza. Ma essendo idealista, Hegel presentò la dialettica
nella forma di leggi di autoevoluzione dell'idea pura esistente - non si sa do-
ve – fuori e prima del mondo materiale. Per quanto concerne l'evoluzione
del mondo materiale: la natura e la società, essa, nel pensiero di Hegel, «è
soltanto il riflesso del movimento del concetto in se stesso, movimento che si
compie dall'eternità, non si sa dove ma ad ogni modo indipendentemente da
ogni cervello umano pensante. Era questa inversione ideologica che si dove-
va eliminare»24.
Feuerbach, nel criticare Hegel, non si accorse del nucleo razionale della filo-
sofia hegeliana, il metodo dialettico scoperto e al tempo stesso mistificato da
Hegel. Non si liberò da Hegel, criticandolo, ma «lo gettò in disparte come in-
servibile»25.
Quello che non aveva saputo fare Feuerbach lo fecero i fondatori del mate-
rialismo dialettico e storico. Poggiando sui princìpi materialistici ripristinati
da Feuerbach essi sottoposero a profonda critica la filosofia idealistica hege-
liana. E nel corso di questa critica misero in luce il principale acquisto della
filosofia classica tedesca, la dialettica, la spogliarono del misticismo, degli
innumerevoli schemi artificiali e crearono sviluppandola su base materiali-
stica e scientifica il materialismo dialettico e storico: una concezione coeren-
temente scientifica del mondo e un metodo universale di conoscenza e di
trasformazione della realtà.
2. L'ESSENZA DEL RIVOLGIMENTO IN FILOSOFIA COMPIUTO DA MARX E ENGELS
24Karl Marx, Friedrich Engels, Opere scelte. Roma, Editori Riuniti, 1966, p. 1132.
25ibidem, p. 1131.
degli attuali contrasti di classe»26.
La tendenza del passaggio al materialismo appare in Marx con il lavoro: Per
la critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico (1843). In questo lavoro
Marx giunge alla conclusione che la chiave per la comprensione del processo
di sviluppo storico dell'umanità va ricercata non nella sfera politica, non nel-
lo Stato, come lo presentava Hegel, ma nella «società civile», cioè nei rappor-
ti materiali, economici fra gli uomini.
Questa tendenza si manifesta in modo particolarmente chiaro nella Sacra
famiglia, opera scritta da Marx insieme a Engels nel 1845. Qui Marx e Engels
sottopongono a critica approfondita l'idealismo hegeliano e le concezioni
della sinistra hegeliana. La sinistra hegeliana trattava con disprezzo il popo-
lo, lo considerava una «massa inerte» che non è capace di un'attività creatri-
ce e che è un ostacolo al progresso. Secondo loro la forza creativa decisiva
dello sviluppo storico erano le persone d'indole critica. Dimostrando l'in-
consistenza di questi ragionamenti della sinistra hegeliana, Marx e Engels
formularono l'idea che la forza decisiva dello sviluppo storico sono le masse
lavoratrici che creano i beni materiali e assicurano così la possibilità di esi-
stenza e di sviluppo della società. Parlando del proletariato essi ritennero
particolarmente necessario sottolineare che esso può e deve liberare se
stesso, sopprimendo la proprietà privata dei mezzi di produzione e lo sfrut-
tamento dell'uomo sull'uomo, da essa condizionato.
Rappresentano l'ulteriore elaborazione dei princìpi fondamentali del mate-
rialismo dialettico un'altra opera comune di Marx e Engels: L'ideologia tede-
sca (scritta nel 1845 – 1846), nonché il lavoro di Marx La miseria della filoso-
fia (1847). Un'esposizione magistrale della concezione del mondo che stava-
no elaborando Marx e Engels è contenuta nel Manifesto del Partito comuni-
sta, da essi redatto per incarico della «Lega dei comunisti» e pubblicato nel
1848. In questa opera, secondo l'espressione di Lenin, sono esposti con chia-
rezza e espressività geniali un materialismo veramente conseguente, esteso
non solo alla natura ma anche al campo della vita sociale, nonché la dialetti-
ca, come la più completa e profonda fra le dottrine dell'evoluzione27.
Ma anche dopo il 1848 Marx e Engels continuarono a dedicare grande atten-
zione ai problemi filosofici della concezione scientifica del mondo e del me-
todo di conoscenza e di trasformazione della realtà. Al riguardo i lavori più
caratteristici sono: Il Capitale, Per la critica dell'economia Politica, scritti da
Marx, La dialettica della natura, Ludwig Feuerbach e il punto d'approdo della
filosofia classica tedesca, scritti da Engels, ecc.
Gli idealisti di regola negano l'esistenza oggettiva della materia. Alcuni ri-
tengono che essa non esiste in generale, che è stata inventata dai materialisti
per dar fondamento alle loro conclusioni ateistiche (Berkeley). Altri la con-
siderano un complesso di sensazioni. Terzi ancora la presentano come risul-
tato dello sviluppo della coscienza, la fanno dipendere, la fanno derivare dal-
la coscienza (Hegel).
Tutti i materialisti riconoscono l'esistenza reale, oggettiva della materia. Du-
rante tutta la storia della filosofia le idee dei materialisti sulla materia diver-
gevano sostanzialmente. Nella filosofia antica assolvevano la funzione di ma-
teria queste o quelle sostanze, questi o quei fenomeni fra i più diffusi, ad
esempio, l'acqua (Talete), l'aria (Anassimene), il fuoco (Eraclito). In seguito
si cominciò a considerare materia un'infinità di vari elementi immutabili: i
cosiddetti «semi di corpi» (Anassagora) o gli atomi (Democrito). I materiali-
sti francesi del XVIII secolo, Feuerbach ed altri, intendevano per materia il
complesso degli atomi immutabili che formano tutte le sostanze esistenti nel
mondo.
La comprensione della materia come insieme degli atomi o delle sostanze è
una comprensione limitata e al tempo stesso erronea. Essa è legata a deter-
minate forme di esistenza della materia, all'assolutizzazione delle proprietà
e degli stati che sono loro propri, e perciò non è in grado di abbracciare il to-
tale dei fenomeni che avvengono nel mondo, tutta la molteplicità delle forme
dell'essere.
L'insufficienza di tale concetto di materia si manifestò con particolare evi-
denza nel periodo della crisi sorta nelle scienze naturali alla fine del XIX e
all'inizio del XX secolo. in seguito alla scoperta dell'elettrone e della radioat-
tività. La scoperta dell'elettrone mostrò, in particolare, che l'atomo non è
immutabile e eterno come prima si credeva ma racchiude in sé particelle an-
cor più piccole, gli elettroni. Si chiarì al tempo stesso che la massa dell'elet-
trone non è immutabile ma dipende dalla velocità del suo movimento: si ac-
cresce se aumenta la velocità di movimento, diminuisce se la velocità si ridu-
ce. Prima di questa scoperta si credeva che la massa dell'atomo fosse costan-
te. Proprio a ciò si ricollegava l'idea dell'eternità, dell'indistruttibilità dell'a-
tomo e quindi della materia.
Il crollo delle concezioni sull'indivisibilità e sull'eternità degli atomi,
sull'immutabilità e sull'indistruttibilità della massa fece dubitare dell'esi-
stenza oggettiva della materia, diede luogo a delle conclusioni sulla sua
scomparsa. La logica dei ragionamenti era questa: se l'atomo è divisibile, se
esso si scompone in elettroni, la cui massa dipende dal movimento, allora la
materia come qualcosa di determinante che è alla base di ogni essere scom-
pare, si trasforma in movimento. Sembrava che tali conclusioni si dovesse
trarle anche dalla scoperta della radioattività. La disintegrazione radioattiva
dell'uranio, e in seguito anche del radio, fu interpretata come trasformazione
della sostanza in movimento, in energia pura. Di ciò ne approfittarono subito
gli idealisti. Essi incominciarono ad affermare che le nuovissime conquiste
delle scienze naturali confutano il materialismo, mostrano che la materia
non esiste, che essa non è che un'invenzione dei materialisti, ecc.
Era necessario generalizzare le date scoperte scientifiche, conciliarle con il
materialismo dialettico e sottoporre a critica le concezioni idealistiche che
prendevano lo spunto da queste scoperte. Fu Lenin ad assumersi un tale
compito.
2. LA DEFINIZIONE LENINISTA DELLA MATERIA
35Karl Marx, Friedrich Engels, Opere complete, cit., vol. XXV, p. 336.
36Ibidem.
Inoltre, la sostanzialità della materia si esprime anche nel fatto che ciascun
suo ente è capace in determinate condizioni di trasformarsi in qualsiasi altro
ente. Ad esempio, ogni particella «elementare» in determinate condizioni
può trasformarsi in altra particella «elementare». Ciò significa che ogni ente
materiale racchiude potenzialmente in sé, nella sua natura, tutte le proprietà
della materia.
La sostanzialità della materia esprime l'unità materiale del mondo. I feno-
meni innumerevoli che costituiscono la realtà, hanno una stessa natura ma-
teriale, rappresentano le forme, stati, proprietà diversi della materia.
6. IL MOVIMENTO COME FORMA UNIVERSALE DI ESISTENZA DELLA MATERIA
a. La limitatezza delle concezioni metafisiche del movimento. La comprensione marxista del mo-
vimento
La concezione del movimento sorse insieme alla filosofia. All'inizio il movi-
mento veniva concepito come il sorgere dell'uno e la distruzione dell'altro.
Una tale concezione del movimento, in particolare, è caratteristica dei primi
filosofi greci (Talete, Anassimene, Anassimandro).
Ponendo in primo piano il movimento, il mutamento i primi filosofi greci
perdevano però di vista la stabilità. Rivolsero la loro attenzione a ciò altri
pensatori, in particolare gli eleati (Senofane, Parmenide, Zenone). A diffe-
renza dei primi filosofi essi formularono l'idea della staticità come principio
di partenza, attribuendole valore assoluto e giungendo alla negazione del
movimento. Empedocle ripristinò la dottrina del movimento e tentò di con-
ciliarla con il concetto di staticità. Secondo lui le quattro «radici» primordiali
delle cose (acqua, aria, fuoco e terra) sono eterne e invariabili mentre il mo-
vimento non è la distruzione dell'uno e il sorgere dell'altro ma la traslazione
delle indicate «radici» immutabili, l'unirsi e il disunirsi di esse.
La dottrina del movimento trova ulteriore sviluppo nella filosofia di Aristo-
tele. Egli ristabilì il punto di vista sul movimento come il sorgere dell'uno e
distruzione dell'altro. Ma al tempo stesso Aristotele incluse in forma ritocca-
ta nella sua dottrina del movimento anche le concezioni dei successivi filoso-
fi, in particolare di Empedocle. Secondo Aristotele il movimento non signifi-
ca solo distruzione e sorgere ma anche crescita, diminuzione, mutamento
qualitativo nonché spostamento dei corpi nello spazio.
Nei successivi periodi di sviluppo della filosofia materialistica si delinea, per
quel che riguarda la comprensione del movimento, una tendenza a conferire
valore assoluto alla forma meccanica di movimento della materia. Nel XVII
XVIII secolo questa tendenza diventa dominante. In quell'epoca il movimen-
to è concepito come spostamento dei corpi nello spazio. Una tale concezione
del movimento era propria, in particolare, a Descartes e Holbach. «Il movi-
mento - scrisse quest'ultimo – è uno sforzo, mediante il quale un corpo cam-
bia o tende a cambiare la sua posizione»37.
La concezione secondo cui il movimento è null'altro che lo spostamento dei
corpi nello spazio è una concezione limitata. Essa non abbraccia tutta la mol-
teplicità dei mutamenti propri alla materia. Non sono un semplice sposta-
mento, ad esempio, i mutamenti che si producono nel nucleo atomico,
nell'organismo vivente, nella società, ecc.
Una definizione coerentemente scientifica del movimento fu data per la pri-
ma volta dai fondatori del materialismo dialettico, in particolare da Engels, il
quale scrisse: «Movimento, per quel che concerne la materia, è modificazione
in generale»38. Esso «comprende in sé tutti i mutamenti e i processi che han-
no luogo nell'universo, dal semplice spostamento fino al pensiero»39.
Quindi, il movimento è un concetto filosofico che significa qualsiasi muta-
mento che avviene nella realtà oggettiva.
b. Le forme fondamentali di movimento della materia
Esiste un'infinità di forme diverse di movimento della materia, fra cui si di-
stinguono quelle fondamentali. Esse sono: la forma fisica di movimento della
materia, che comprende il movimento delle particelle elementari e dei cam-
pi, il movimento internucleare e il movimento delle molecole; quella chimica
che riguarda il movimento degli atomi; quella biologica legata al funziona-
mento e allo sviluppo degli organismi viventi; quella sociale che abbraccia i
mutamenti che avvengono nella società e, infine, quella meccanica che rap-
presenta lo spostamento dei corpi nello spazio.
Le forme fondamentali di movimento della materia sono in interconnessione
e interdipendenza rigorosamente determinata fra di loro. Alcune forme di
movimento sono una premessa del sorgere di altre forme. Ad esempio, il
movimento delle particelle «elementari» è una premessa del sorgere degli
atomi e del loro movimento. Quest'ultimo è la base per il sorgere delle mole-
cole e del loro movimento. E ciò, a sua volta, porta in determinate condizioni
al sorgere della vita e insieme ad essa anche della forma organica di movi-
mento della materia, il che crea le premesse del sorgere della forma sociale
di movimento della materia.
Tutte le fondamentali forme di movimento rappresentano i gradini di svi-
luppo della materia, sono legate ai rispettivi tipi di essa e stanno le une alle
41Karl Marx, Friedrich Engels, Opere complete, cit., vol. XXV, pp. 57-58.
fine. E se daremo uno sguardo a questo processo eterno di passaggio della
materia dagli uni sistemi statici agli altri, non è difficile vedere che il movi-
mento è assoluto. Esso esiste sempre: e nel momento del sorgere di un si-
stema relativamente statico (poiché il sorgere di questo o quel nuovo siste-
ma avviene in seguito al mutamento dei precedenti sistemi), e attraverso di
esso (in quanto rappresenta un movimento in equilibrio), e nel quadro di es-
so, e nel momento della sua distruzione e del sorgere di un nuovo sistema
relativamente statico. Per quanto concerne la quiete, essa è relativa, sorge
con il sorgere di questo o quel sistema relativamente statico e scompare
quando questo sistema si distrugge, sorge di nuovo e, dopo essere esistita
per un determinato periodo di tempo, scompare, e così senza fine.
e. Il movimento e Io sviluppo
Abbiamo rilevato che la materia è in continuo movimento e mutamento, pas-
sa sempre dagli uni stati statici agli altri, distrugge questi o quegli enti mate-
riali e ne crea altri. Ma quale è la tendenza di questi mutamenti, che cosa
sorge per sostituirsi agli enti materiali in via di distruzione?
Alcuni filosofi ritengono che il movimento della materia avviene descrivendo
un circolo, che esso ripete sempre i medesimi cicli. Altri affermano che nel
corso dei continui mutamenti della materia si assiste al movimento dal su-
periore all'inferiore, cioè al regresso. Terzi invece proclamano come movi-
mento dall'inferiore al superiore tutti i mutamenti che si osservano nel
mondo.
In realtà si assiste a tutti questi tre momenti. Ciò che predomina però è il
movimento dall'inferiore al superiore.
Il movimento dall'inferiore al superiore, dal semplice al compresso si chiama
sviluppo.
Possono servire come esempi di sviluppo: la formazione degli atomi sulla
base delle particelle «elementari», delle molecole sulla base degli atomi; il
sorgere degli organismi viventi sulla base delle sostanze inanimate; la tra-
sformazione degli organismi più semplici, privi di struttura cellulare, in or-
ganismi unicellulari e in seguito in quelli pluricellulari; il passaggio dagli or-
ganismi capaci di riflettere l'ambiente circostante solo nella forma di eccita-
bilità agli organismi dotati di sensibilità e di psiche; la trasformazione di
un'orda di scimmie in società umana; il passaggio della società dalla comuni-
tà primitiva alla schiavitù, al feudalesimo, al capitalismo e, infine, al sociali-
smo, ecc.
Nell'affermare che lo sviluppo è la tendenza che domina nel mondo, non si
può pensare che ogni forma concreta del modo d'essere della materia sia in
stato di sviluppo. Oltre agli enti materiali che cambiano passando dall'infe-
riore al superiore, vi sono anche enti materiali il cui movimento descrive un
circolo o che subiscono dei mutamenti regressivi. Il ruolo determinante dello
sviluppo, il suo carattere universale si esprime non nel fatto che tutti gli enti
materiali si sviluppano immancabilmente ma nel fatto che essi sono capaci
di diventare più complessi, di passare dall'inferiore al superiore. Essendo
propria a tutta la materia, ad ogni ente materiale, questa capacità, come
qualsiasi altra, si manifesta solo in presenza delle rispettive condizioni. Là
dove si presentano tali condizioni, si assiste immancabilmente al passaggio
dall'inferiore al superiore, dal semplice al complesso; là dove sono assenti
tali condizioni, hanno luogo o un movimento circolare o dei mutamenti re-
gressivi. Ma quegli enti materiali che sono coinvolti in un movimento circo-
lare o subiscono dei mutamenti regressivi non perdono la capacità di passa-
re dall'inferiore al superiore. Questa capacità permane in essi nonostante
tutti i loro mutamenti, nonostante tutte le loro trasformazioni e si fa sentire
subito non appena incominciano a sorgere condizioni favorevoli al suo ma-
nifestarsi.
7. LO SPAZIO E IL TEMPO
42A. S. Eddington, The Nature of the Physical World. Cambr., 1931, p. 198.
trimenti che nello spazio e nel tempo»43.
Lo spazio e il tempo non solo sono connessi alla materia, ma anche dipendo-
no da essa, sono condizionati dalla natura degli enti materiali, dalla forma di
movimento propria a questi ultimi. Questo assunto del materialismo dialet-
tico è confermato con tutta evidenza dai dati della scienza moderna, secondo
cui le caratteristiche spaziali e temporali dipendono dal movimento e dalla
distribuzione delle masse gravitanti. Quanto maggiori sono le forze di gravi-
tazione, tanto più incurvato è lo spazio e tanto più lentamente scorre il tem-
po. Inoltre, come mostra la teoria della relatività, in un sistema in moto, ri-
spetto ad un sistema in stato di quiete, i rapporti spaziali si spostano, il cor-
po risulta schiacciato nel senso del movimento e il fluire del tempo si rallen-
ta.
Un'importantissima caratteristica dello spazio è la tridimensionalità. Esso ha
le tre dimensioni: lunghezza, larghezza, altezza che possono essere rappre-
sentate con tre linee reciprocamente perpendicolari. Muovendocisi paralle-
lamente ad esse, si può determinare spazialmente qualsiasi corpo.
È vero, in questi ultimi tempi sono apparse varie teorie fisiche dello spazio a
quattro o più dimensioni. Quando gli scienziati parlano del mondo quadri-
dimensionale, delle sue quattro dimensioni, essi intendono per quarta di-
mensione il tempo. Perciò i ragionamenti sulla quadridimensionalità non
contraddicono la realtà, ma essi non confutano neppure la tesi sulla tridi-
mensionalità dello spazio, al contrario, partono interamente da essa. Le cose
stanno analogamente anche per quanto riguarda la pluridimensionalità dello
spazio. Parlando di pluridimensionalità i fisici o i matematici intendono non
la definizione delle caratteristiche spaziali di qualsiasi corpo, o più precisa-
mente, non solo questo ma anche la misurazione delle proprietà più dispara-
te del corpo (ente materiale), e di queste proprietà esso ne possiede un'infi-
nità. Quindi, può esservi anche un'infinità di misurazioni. Ma ciò sta forse a
provare l'erroneità della dottrina della tridimensionalità dello spazio? S'in-
tende di no. Ciò sta a provare che i concetti di «spazio quadridimensionale»,
di «spazio pluridimensionale» si adoperano non nel loro vero senso, non per
esprimere le peculiarità dello spazio ma per caratterizzare i lati e gli stati più
diversi di un ente materiale.
Se lo spazio ha tre dimensioni il tempo ne ha una sola. Esso fluisce sempre in
un solo senso, in avanti. Il presente diventa passato, il futuro diventa presen-
te. È impossibile cambiare questo senso del fluire del tempo, il tempo è irre-
versibile.
Abbiamo già rilevato che la materia esiste attraverso gli enti materiali, spa-
zialmente e temporalmente finiti, che non semplicemente esistono, ma agi-
scono gli uni sugli altri. Interagendo, essi apportano i rispettivi mutamenti
gli uni negli altri. Questi mutamenti sono determinati, da una parte, dalla na-
tura dell'ente materiale, nel quale sorgono, e, dall'altra, dalle peculiarità del
corpo che agisce su di esso. Le peculiarità dell'agente lasciano un'impronta
su questi mutamenti e vi si esprimono in un modo o nell'altro. È in ciò che
consiste l'essenza di una proprietà come il riflesso, proprietà caratteristica
di tutti gli enti materiali.
Il riflesso come proprietà universale della materia rappresenta in tal modo
la capacità di un ente materiale di riprodurre nei mutamenti di queste o
quelle sue proprietà, di questi e quei suoi stati le peculiarità degli altri corpi
che agiscono su di esso.
Esempi di riflesso fra i più semplici sono la deformazione di questo o quel
corpo in seguito all'azione esercitata su di esso da un altro corpo, il riscal-
damento del conduttore in seguito all'azione della corrente elettrica che lo
attraversa, l'aumento del volume di un corpo come risultato del riscalda-
mento, ecc.
Qualsiasi ente materiale sul quale agiscono altre cose si comporta non passi-
vamente, ma attivamente. Esso esercita un influsso inverso su queste cose,
provocandovi dei mutamenti che riproducono in questa o quella forma le
sue peculiarità. Perciò ciascuno degli enti materiali interagenti ad un tempo
riflette e viene riflesso. Esso riproduce in questa o quella forma le peculiarità
delle cose che agiscono su di esso e a sua volta si vede riprodotto nei rispet-
tivi mutamenti di queste cose.
Ciò attesta che la proprietà di riflettere è universale, ciò dimostra che essa è
inerente a tutti gli enti materiali.
9. LO SVILUPPO DELLE FORME DI RIFLESSO
La forma di riproduzione negli enti materiali delle peculiarità dei corpi che
agiscono su di essi dipende dalla loro natura. Perciò gli enti materiali quali-
tativamente diversi riflettono in forma diversa uno stesso stimolo esterno. Il
cambiamento delle forme di riflesso è particolarmente evidente con il pas-
saggio della materia da un grado qualitativo di sviluppo all'altro.
Nella natura inanimata il riflesso si presenta come un rispettivo mutamento
delle proprietà fisiche o come reazioni chimiche che riproducono in questa o
quella forma le peculiarità dei corpi o dei fenomeni interagenti. Negli orga-
nismi vegetali e animali più elementari esso si manifesta nella forma dell'ir-
ritabilità: una reazione allo stimolo esterno, dove si osserva una determinata
azione predisposta44 a un determinato momento di selettività. Ad esempio, la
pianta reagisce ai raggi luminosi cambiando la posizione delle foglie, orien-
tandole in modo che risultino perpendicolari ai raggi. Una tale posizione del-
le foglie assicura l'assorbimento di una maggiore quantità di energia solare,
necessaria per il funzionamento e sviluppo della pianta.
Con la comparsa di organismi viventi più complessi e perfetti, in particolare
degli organismi dotati di un sistema nervoso, il riflesso diventa più perfetto.
Ora esso si presenta nella forma dell'eccitabilità. Peculiarità di questa forma
di riflesso è che qui comincia ad assolvere funzioni di riflessione un organo
speciale: il sistema nervoso. Esso esercita il controllo sull'interazione dell'or-
ganismo e dell'ambiente esterno. Alcuni tessuti o alcune cellule di questo si-
stema percepiscono gli stimoli esterni, mentre gli altri trasmettono l'eccita-
mento alle rispettive parti dell'organismo e assicurano così la necessaria ri-
sposta funzionale da parte di queste ultime.
Apparso per la prima volta nella forma di fibre e cellule nervose, sparpaglia-
te per tutto il corpo dell'animale, il sistema nervoso subisce, nel corso
dell'ulteriore evoluzione dell'organismo, dei mutamenti sostanziali. Le cellu-
le nervose si congiungono e formano i gangli nervosi collegati fra di loro. In
seguito, come risultato dell'anastomosi dei gangli nervosi, sorgono i centri
speciali: il cervello e il midollo spinale, si forma il sistema nervoso centrale.
44Karl Marx, Friedrich Engels, Opere complete, cit., vol. XXV, p. 466.
Con la comparsa di quest'ultimo nelle reazioni dell'organismo agli stimoli
esterni intervengono dei mutamenti sostanziali. Se prima gli organismi vi-
venti reagivano solo agli eccitanti che erano legati in un modo o nell'altro al-
la loro attività vitale, ora, con la comparsa del sistema nervoso centrale, essi
cominciano a reagire anche a quegli eccitanti che non hanno di per se stessi
alcun valore per l'organismo ma sono legati ai fenomeni di importanza vita-
le. In altre parole, se prima l'interazione tra l'organismo e l'ambiente esterno
avveniva sulla base dei riflessi incondizionati, ora si sono aggiunti a questi ul-
timi i riflessi condizionati. Essi permettono all'organismo di riflettere il legame
tra i fenomeni più disparati non aventi per esso alcuna importanza vitale, da
una parte, e i fenomeni che hanno tale importanza, dall'altra. Grazie a ciò gli
animali hanno ottenuto la possibilità di reagire prontamente alle mutate con-
dizioni di vita e di adattarsi rapidamente ad esse.
La forma di riflesso della realtà legata al sorgere dei riflessi condizionati si
distingue sostanzialmente dalle precedenti forme, in particolare dall'irritabi-
lità e dall'eccitabilità. Se queste ultime rappresentavano le forme biologiche
di riflesso, la prima rappresenta la forma psichica di riflesso della realtà.
10. LE PECULIARITÀ DELLA FORMA PSICHICA DI RIFLESSO
La psiche come particolare forma di riflesso della realtà è sorta insieme al si-
stema nervoso centrale, insieme alla capacità, determinata da quest'ultimo,
di acquisizione dei riflessi condizionati. Con la comparsa della psiche appare
il riflesso della realtà per mezzo di segnali, di immagini. Lo psichico si pre-
senta nella forma di immagini dei fenomeni che agiscono sull'organismo,
immagini che sorgono nel cervello in seguito all'acquisizione di questo o
quel riflesso condizionato. Un tratto specifico del riflesso condizionato è il ri-
flesso di tali fenomeni esterni che di per se stessi non hanno alcun valore per
l'organismo, ma risultano legati a questi o quei fenomeni che hanno per esso
una ben precisa importanza vitale. Con il sorgere del riflesso condizionato
questi fenomeni segnalano altri fenomeni legati all'attività vitale dell'organi-
smo, importanti in senso biologico per esso, rappresentano per così dire
questi ultimi. La loro azione sull'organismo equivale all'azione di quei feno-
meni importanti in senso biologico di cui sono i segnali. Con questa azione
sorgono, sulla base delle connessioni temporanee che si formano nel cervel-
lo, le immagini dei rispettivi fenomeni importanti per l'organismo in senso
biologico.
Ad esempio, un campanello di per se stesso non significa nulla per il cane.
Esso non reagisce a questo suono. Ma se a quest'ultimo sarà abbinata la pre-
sentazione del cibo, il cane comincerà a reagire al suono di un campanello
come reagisce in generale alla vista del cibo. In particolare, si avrà da parte
del cane una reazione salivare. Tramite un nesso temporaneo sorto nel suo
cervello fra due fonti di eccitazione: il suono di un campanello e il cibo, il ca-
ne rifletterà la dipendenza stabilitasi fra questi ultimi: suono di un campa-
nello è un segnale che preannuncia l'apparizione del cibo. Proprio in rela-
zione a ciò il cane reagisce al suono con la salivazione.
In tal modo, il riflesso condizionato presuppone lo stabilirsi all'atto della
percezione di questo o quel segnale di una connessione con un fenomeno
importante in senso biologico. Presentandosi come un lato o un momento
necessario dei riflessi condizionati che rappresentano i fenomeni fisiologici,
il fatto psichico, in tal modo, è organicamente legato al fatto fisiologico, sorge
ed esiste sulla base di esso. Il riflesso condizionato è il risultato dell'attività
fisiologica del cervello in risposta alle stimolazioni esterne sull'organismo.
Sorgendo sulla base di determinate connessioni fisiologiche nel cervello, di-
pende da essi.
11. LA COSCIENZA COME FORMA SUPERIORE DI RIFLESSO PSICHICO DELLA REALTÀ
45Karl Marx, Friedrich Engels, Opere complete, cit., vol. XXV, p. 461.
specificamente umana. Gli animali riflettono la realtà circostante tramite i
segnali della stessa realtà, rappresentati, come abbiamo già rilevato, da fe-
nomeni e proprietà che non hanno importanza immediata per l'attività vita-
le dell'organismo, ma che sono in determinato rapporto con altri fenomeni o
proprietà importanti in senso biologico. Il dato sistema dei segnali, comune
all'animale e all'uomo, è stato chiamato da I. P. Pavlov primo sistema di se-
gnalazione. Il sistema di segnalazione specificamente umano - il sistema del-
le parole che assolvono il ruolo di segnali di questi o quei fenomeni della
realtà stessa – è stato da lui chiamato secondo sistema di segnalazione.
La nascita del linguaggio apportò dei mutamenti sostanziali nell'attività ba-
sata sui riflessi dell'uomo. Il linguaggio strappò l'uomo alla dipendenza dalla
situazione concreta, dipendenza che era di impedimento alla sua attività,
creò le condizioni necessarie per le generalizzazioni, per i rapporti con gli al-
tri uomini e contribuì così immensamente alla formazione e allo sviluppo
della coscienza degli uomini.
b. L'essenza della coscienza
Essendo legata al lavoro e alla società sorta sulla base di esso, la coscienza è
un lato necessario della forma sociale di movimento della materia, anche se
esiste attraverso la coscienza dei singoli individui che compongono la socie-
tà. Ogni individuo, attraverso il linguaggio, attraverso i mezzi di lavoro e i
metodi d'azione, assimila l'esperienza già accumulata dalla società e tra-
smette alla società la propria esperienza individuale, traducendola in valori
spirituali e materiali, prodotto della sua attività creatrice.
Sorta come un lato necessario della vita sociale che si forma sulla base del
lavoro, la coscienza si manifestò prima di tutto nel fatto che l'antenato
dell'uomo si rese conscio del proprio essere, della propria esistenza, si sepa-
rò dal mondo esterno, assunse un determinato atteggiamento verso di esso.
L'animale non si distingue dal mondo esterno. Esso si fonde interamente con
le funzioni vitali del proprio organismo. Il selvaggio, acquistando la coscien-
za, si accorge per la prima volta del fatto che egli esiste, che si trovano intor-
no a lui gli oggetti con cui è in rapporto e che sono in rapporto fra di loro.
Prendendo coscienza dei propri istinti e delle proprie abitudini, comincia
gradualmente a comprendere che cosa avviene intorno. La coscienza è in tal
modo la comprensione di ciò che avviene nel mondo circostante. Ma la com-
prensione di ciò che avviene non è altro che la conoscenza.
Il mondo esterno è presente nella coscienza nella forma di immagini che
sorgono nel cervello dell'uomo in seguito ai suoi rapporti con questo mondo.
L'insieme di queste immagini che riflettono la realtà è per l'appunto la cono-
scenza dell'uomo. È utilizzando queste immagini, i dati ivi contenuti su que-
ste o quelle proprietà, su questi o quei nessi degli oggetti e dei fenomeni del
mondo esterno, che l'uomo arriva a comprendere ciò che avviene intorno a
lui.
La comprensione di ciò che avviene è una premessa indispensabile dell'o-
rientamento dell'uomo nel mondo. Poggiando sulla giusta percezione della
realtà, sulla conoscenza di questi o quei suoi lati e nessi necessari, l'uomo è
come se desse uno sguardo al futuro, riproducendo nella forma di immagini
ideali quello che non vi è ancora ma che deve accadere in seguito a questa o
quella azione sulla realtà.
Sulla base di questo riflesso anticipante la realtà l'uomo si pone determinati
scopi e subordina ad essi il suo comportamento, le sue azioni. Il porre degli
scopi rappresenta, in tal modo, un'importantissima funzione della coscienza.
Questa funzione distingue il comportamento dell'uomo da quello dell'anima-
le, distingue l'attività ragionevole dell'uomo dalle azioni istintive degli ani-
mali. «Il ragno - scrive Marx – compie operazioni che assomigliano a quelle
del tessitore, l'ape fa vergognare molti architetti con la costruzione delle sue
cellette di cera. Ma ciò che fin da principio distingue il peggiore architetto
dall'ape migliore è il fatto che egli ha costruito la celletta nella sua testa pri-
ma di costruirla in cera. Alla fine del processo lavorativo emerge un risultato
che era già presente al suo inizio nella idea del lavoratore, che quindi era
presente idealmente»46.
Il riflesso anticipante la realtà è alla base non solo degli scopi che si pongono
gli uomini ma è anche alla base dell'attività creatrice, trasformatrice della
coscienza, ciò che rappresenta il lato più importante della sua essenza. Sorta
sotto il diretto influsso del lavoro che presuppone la trasformazione del
mondo in conformità ai bisogni dell'uomo, la coscienza, sulla base delle co-
noscenze di cui questi dispone, crea del nuovo che non esisteva prima. Que-
sto nuovo, essendo espresso in un sistema di immagini ideali, diventa un
piano concreto che traduce in realtà questa o quella possibilità della materia.
Essendo un riflesso del mondo, la coscienza ha in tal modo un carattere crea-
tivo, influisce attivamente sul mondo circostante e lo trasforma in conformi-
tà alle esigenze della società.
Quindi, la coscienza rappresenta il riflesso della realtà nel cervello dell'uo-
mo, cui si accompagna la comprensione di ciò che avviene nel mondo ester-
no, nonché la definizione dei fini, processo basato su questa comprensione, e
l'attività riflessiva che assicura un rispettivo orientamento nel mondo circo-
stante e una modificazione creativa di esso nell'interesse della società.
48G. W. v. Leibniz, Neuen Abhandlungen über den menschlichen Verstand. Berlin, 1874, S. 429.
Dicendo che la conoscenza è un processo di riflesso della realtà nella co-
scienza dell'uomo, bisogna sottolineare che questo riflesso non è passivo,
meccanico, ma è un'intensa attività creatrice. Il soggetto riflette non tutto
quello che si trova nel suo campo visivo, ma quello che è necessario per la
sua attività vitale, è legato in un modo o nell'altro ai suoi bisogni e può esse-
re utilizzato per soddisfarli.
Realizzando il processo della conoscenza, gli uomini si pongono questi o
quegli scopi che determinano la cerchia degli oggetti prescelti per essere in-
dagati, l'indirizzo dello sviluppo del sapere, le forme in cui avviene questo
processo, ecc. A sua volta il contenuto di questi scopi è determinato dal livel-
lo di sviluppo della società, in particolare dal livello di sviluppo delle forze
produttive e dai rapporti di produzione degli uomini, nonché dal livello di
sviluppo del sapere stesso. Ad esempio, oggi l'uomo si pone, in particolare,
scopi come quelli di conoscere le leggi dell'interazione delle particelle «ele-
mentari» che costituiscono il nucleo atomico, la struttura delle molecole che
condizionano i processi vitali nell'organismo, il meccanismo di accumulazio-
ne e di trasmissione delle informazioni. In un passato non tanto lontano i
suoi scopi nella sfera delle scienze naturali erano ben più modesti: accertare
le proprietà chimiche e fisiche delle sostanze (che si manifestano nel proces-
so della loro interazione), descrivere e classificare gli organismi viventi.
2. LA PRATICA COME FONDAMENTO DELLA CONOSCENZA
Il carattere attivo della conoscenza è condizionato non solo dal fatto che essa
persegue sempre scopi ben precisi, ma anche dal fatto che il processo della
conoscenza avviene nel corso della trasformazione ad opera dell'uomo della
realtà, nel corso dell'influsso pratico sul mondo. Nel conoscere la realtà cir-
costante, l'uomo non può e non deve rimanere semplice osservatore, con-
templatore passivo di quello che vi avviene. Se l'uomo si limiterà solo ad os-
servare, a contemplare l'oggetto d'indagine, potrà conoscerne solo alcune
proprietà, per giunta esteriori, proprietà che non basteranno per farsi un'i-
dea precisa dell'essenza di questo oggetto. Per scoprire l'essenza dell'ogget-
to, è necessario agire su di esso, porlo in rapporti distinti da quelli in cui si
trova allo stato naturale. Modificando lo stato naturale dell'oggetto d'indagi-
ne, l'uomo penetra passo per passo nei suoi segreti, mette in luce la sua es-
senza, esprimendola per mezzo di queste o quelle immagini ideali. La modi-
ficazione pratica della realtà è in tal modo la necessaria condizione per co-
noscerla. La conoscenza può progredire solo sulla base della pratica. La pra-
tica ha al riguardo un ruolo determinante.
Essendo alla base della conoscenza, essendo la necessaria condizione perché
l'intelletto umano possa penetrare l'essenza delle cose e dei fenomeni del
mondo esterno, la pratica è lo scopo finale della conoscenza, ne è la forza
motrice. Infatti, affinché la produzione possa funzionare e svilupparsi, occor-
re conoscere i necessari lati e nessi di quei campi della realtà che vengono
abbracciati dall'attività pratica degli uomini e che vengono trasformati
nell'interesse della società. Ma le cognizioni si acquistano nel processo della
conoscenza della realtà, processo di cui si occupa soprattutto la scienza. La
missione principale della scienza consiste nell'assicurare alla società, e in
particolare alla produzione, le cognizioni necessarie per il loro funzionamen-
to e sviluppo. La pratica sociale pone alla scienza determinati compiti, risol-
vendo i quali la scienza penetra sempre più profondamente nel mondo dei
fenomeni, apre sempre nuove proprietà e nessi, progredendo così conti-
nuamente. «Quando la società - scrisse Engels – ha dei bisogni tecnici, questo
è per la scienza un aiuto più grande di dieci università»49.
Che lo sviluppo del sapere dipende dalla pratica, dai problemi che essa pone,
lo mostra chiaramente la storia dell'evoluzione della scienza. Ad esempio, ta-
li rami del sapere scientifico come la meccanica, l'idrostatica, l'idrodinamica
ottennero notevole sviluppo in quella epoca in cui la pratica pose di fronte
alla scienza il problema dei metodi meccanici di allontanamento dell'acqua
dalle miniere e di sollevamento dei pesi. inoltre, la scienza dei fenomeni elet-
trici fece notevoli passi in avanti solo dopo che era stata scoperta la possibi-
lità di utilizzarli. Analogamente stavano le cose anche per quanto riguarda lo
studio dei processi nucleari. L'impetuoso sviluppo di questo ramo dello sci-
bile è stato una conseguenza della scoperta delle vie per l'utilizzazione prati-
ca dell'energia atomica.
Quindi la pratica esercita un influsso determinante sulla conoscenza, è alla
base del suo sviluppo.
Alcuni filosofi premarxisti, e in particolare Hegel, pure ammettevano il ruolo
determinante della pratica nel processo della conoscenza. Il processo della
conoscenza, secondo Hegel, avviene solo attraverso l'attività creatrice. Ma
presso Hegel la pratica si presenta solo come l'attività riflessiva, creatrice
dell'idea, che edifica nel corso dello sviluppo della ragione autocosciente i
singoli concetti e dopo di essi il mondo sensibile.
Ma in realtà la pratica rappresenta l'attività materiale degli uomini, volta a
modificare, a trasformare la realtà circostante. Si riferisce ad essa prima di
tutto l'attività produttiva, legata alla modificazione delle cose della natura al
fine di renderli adatti al soddisfacimento di questi o quei bisogni della socie-
tà. L'uomo modifica però non solo la natura, ma anche la vita sociale, i rap-
57Karl Marx, Friedrich Engels, Opere complete, cit., vol. XXV, p. 511
stratto al concreto l'indagine di Marx ne Il Capitale sulla formazione econo-
mico-sociale capitalistica. Marx prese come lato determinante di partenza la
merce e spiegò alla luce del mutamento e dello sviluppo dei rapporti mer-
cantili il sorgere di tutti gli altri lati e nessi della formazione capitalistica e
riprodusse nella coscienza, nella forma di un sistema di concetti astratti che
riflettono questi lati e nessi, l'essenza della società capitalistica.
Il metodo di passaggio dall'astratto al concreto è applicabile solo in quello
stadio di sviluppo del sapere in cui il tutto, oggetto d'indagine, è stato più o
meno studiato, in cui sono stati accertati e espressi per mezzo di questi o
quei concetti astratti i suoi lati e nessi generali. Ma ciò è possibile solo se la
conoscenza muove dai dati sensibili concreti per arrivare all'astratto, perciò
questa forma di conoscenza deve precedere il movimento dall'astratto al
concreto.
i. Lo storico e il logico nella conoscenza
Il concetto di «storico» designa la realtà oggettiva in movimento e sviluppo.
Il concetto di «logico» designa la necessaria connessione dei pensieri che ri-
flettono nella coscienza dell'uomo la realtà circostante.
Lo storico, rispetto al logico, è il primo dato. Il logico è un riflesso dello stori-
co. Essendo un riflesso dello storico, il logico può corrispondere allo storico,
ma può anche non corrispondere allo storico. Esso corrisponde allo storico
solo quando nell'interconnessione dei pensieri si riproduce l'effettivo pro-
cesso storico. E non corrisponde se nell'interconnessione dei pensieri non si
riflette la storia dell'oggetto, ad esempio se il corso dei pensieri è invertito
rispetto al come è andato sviluppandosi il processo storico.
Parlando della corrispondenza del logico allo storico, non dobbiamo pensare
che questa corrispondenza sia completa. Il logico non coincide in tutto con lo
storico. «La storia procede spesso a salti e a zigzag… »58. Il logico non deve e
non può riprodurre tutti questi zigzag della storia. Esso ha lo scopo di riflet-
tere solo i necessari mutamenti, la necessaria tendenza del passaggio dagli
uni stati qualitativi agli altri.
La corrispondenza del logico allo storico è un necessario momento del me-
todo dialettico di conoscenza, in particolare del metodo di passaggio dall'a-
stratto al concreto. Come si è già rilevato, secondo il metodo di passaggio
dall'astratto al concreto, l'indagine parte da un lato o rapporto determinan-
te. Nel corso dell'indagine si accertano i mutamenti del dato lato o rapporto
e si spiegano sulla base di ciò la formazione e il mutamento degli altri lati del
tutto. Nel corso del movimento del pensiero qui si riproducono i nessi e i
58Carlo Marx, Scritti scelti in due volumi, vol. I. Mosca, Edizioni in lingue estere, 1943, p. 351.
rapporti che riflettono in un modo o nell'altro l'effettivo processo di forma-
zione dell'essenza dell'oggetto indagato. Come risultato, lo sviluppo logico
del pensiero corrisponde alla storia dello sviluppo dell'oggetto. È vero, que-
sta corrispondenza riguarda solo i necessari nessi. Il logico in tal modo ri-
produce lo storico in una forma esente da momenti casuali. Sottolineando la
coincidenza del logico e dello storico nel corso del passaggio dall'astratto al
concreto, Engels scriveva: «Nel modo come incomincia la storia, così deve
pure incominciare il corso dei pensieri, e il suo corso ulteriore non sarà altro
che il riflesso in forma astratta e teoricamente conseguente del corso della
storia; un riflesso corretto, ma corretto secondo leggi che il corso stesso del-
la storia fornisce… »59.
j. L'analisi e la sintesi
Nel processo della conoscenza della realtà circostante, l'uomo distingue
sempre mentalmente questi o quei lati dell'oggetto d'indagine e li raggruppa
in nuove combinazioni per ottenere così una nuova conoscenza. Il procedi-
mento mentale con cui si risolve l'oggetto indagato nelle sue singole parti
(proprietà) è l'analisi, mentre l'unificazione mentale in un tutt'uno delle parti
(proprietà) individuate è la sintesi.
Nel corso dello sviluppo del sapere, del suo passaggio da un gradino all'altro
cambiano le forme e i metodi di indagine scientifica. Ciò riguarda sia l'analisi
che la sintesi. Essi non rimangono sempre gli stessi, ma mutano con lo svi-
luppo della conoscenza.
Nei primi stadi, quelli iniziali, di sviluppo del sapere si compie la cosiddetta
analisi e sintesi diretta. Una peculiarità caratteristica del dato tipo di analisi
e sintesi è che qui si assiste ad una risoluzione diretta, puramente meccani-
cistica, del tutto indagato nei suoi singoli lati, nelle sue singole parti e ad un
diretto raggruppamento meccanicistico dei lati, delle parti risolte in queste o
quelle combinazioni. L'analisi avviene indipendentemente dalla sintesi, la
sintesi indipendentemente dall'analisi. Esse non sono organicamente legate.
Una tale analisi e sintesi assicura la prima conoscenza dell'oggetto. Essa non
può dare di più.
Con il passaggio del sapere dalla fissazione delle proprietà e dei nessi osser-
vabili alla superficie dei fenomeni, all'individuazione delle cause che li con-
dizionano, appare un nuovo tipo di analisi e sintesi: l'analisi e sintesi a poste-
riori.
Un'analisi dei genere presuppone non una scomposizione meccanicistica del
tutto nelle sue parti componenti, ma una scomposizione tale da esprimere la
59Ibidem.
divisione di un dato fenomeno in causa e in effetto. Una sintesi del genere
rappresenta non una composizione meccanicistica delle parti risolte in que-
sta o quella combinazione, ma una composizione che rispecchia il nesso di
causa e effetto. Il nesso di causa e effetto si presenta qui come perno intorno
al quale ruota l'attività analitica e sintetica del pensiero, perno che orienta e
coordina questa attività.
Il dato tipo di analisi e sintesi porta alla spiegazione dei singoli lati del tutto
indagato, alla scoperta della loro natura, delle loro cause. Ma esso non è ca-
pace di riprodurre tutti i lati e nessi dell'oggetto d'indagine nella loro inter-
dipendenza naturale, cioè di riprodurre nella coscienza la sua essenza. Nello
stadio di conoscenza dell'essenza si rende necessario un nuovo tipo di anali-
si e sintesi. Questo nuovo tipo di analisi e sintesi si chiama progressivo o si-
stematico-strutturale.
Peculiarità dell'analisi e sintesi sistematico-strutturale è che il processo di
scomposizione del tutto nelle sue parti e di unificazione delle parti in un
tutt'uno corrisponde alla scomposizione effettiva di questo o quell'ente ma-
teriale nei singoli fenomeni, nei lati e nelle proprietà qualitativamente de-
terminati e all'effettiva interconnessione naturale di questi lati e proprietà.
Qui l'analisi e la sintesi sono nell'unità organica tra di loro, si compiono in
uno stesso tempo. Il procedimento analitico rappresenta qui ad un tempo
anche il procedimento sintetico. Ad esempio, la derivazione dallo sviluppo
dei rapporti mercantili di tali fenomeni della società borghese come il dena-
ro, il plusvalore, la forza-lavoro, il capitale, ecc. rappresenta non solo un'ana-
lisi, ma anche una sintesi, non solo la scomposizione dell'oggetto analizzato
nelle sue singole manifestazioni, ma anche la riproduzione di tutto il sistema
dei nessi che sorgono fra questi fenomeni.
Può servire da esempio di applicazione nel processo della conoscenza scien-
tifica dei sopra esaminati tipi di analisi e sintesi l'indagine di Lenin sulla fase
imperialistica del capitalismo. Nel corso di questa indagine Lenin sottopose
ad analisi i materiali disponibili sull'imperialismo, scoprendo i momenti che
lo distinguevano dalla fase premonopolistica. Tali tratti caratteristici erano:
la concentrazione del capitale e la nascita dei monopoli, il mutamento del
ruolo delle banche, la comparsa del capitale finanziario, l'esportazione del
capitale, la spartizione del mondo fra gli Stati capitalistici. Nel dato stadio di
indagine Lenin componeva i tratti caratteristici dell'imperialismo in un
tutt'uno non ancora in quella successione che riflettesse la loro necessaria
interdipendenza naturale, ma in quella in cui venivano esaminati nella lette-
ratura economica da lui analizzata. Nel dato caso Lenin ricorreva all'analisi e
sintesi diretta.
Nel corso dell'ulteriore indagine, cercando di scoprire la causa di questa o
quella proprietà della fase imperialistica di sviluppo, di definirne la natura,
egli applicò l'analisi e sintesi a posteriori. Mediante una tale analisi e sintesi
Lenin, ad esempio, stabilì che il monopolio è il risultato della concentrazione
eccessiva della produzione.
Dopo aver chiarito i tratti specifici dell'imperialismo, Lenin scoprì il momen-
to principale che ne condizionava tutte le altre peculiarità: la comparsa e il
dominio dei monopoli. È quel fondamento il cui sviluppo fu all'origine della
fase imperialistica del capitalismo, ed è, secondo l'espressione di Lenin, leg-
ge universale e fondamentale del dato stadio di sviluppo del capitalismo60.
Prendendo per punto di partenza il monopolio e esaminandone lo sviluppo,
Lenin riprodusse per mezzo di un sistema di concetti economici l'essenza
dell'imperialismo. Egli rilevò che la comparsa del monopolio nella produzio-
ne porta alla liquidazione del dominio del sistema di libera concorrenza e
assicura la possibilità di fare un calcolo approssimativo della produzione,
della capacità del mercato, delle fonti di materie prime e di spartirle tra le
unioni monopolistiche. La comparsa del monopolio nel settore bancario tra-
sforma le banche da modeste mediatrici in potenti centri monopolistici che
dispongono «di quasi tutto il capitale liquido di tutti i capitalisti e piccoli in-
dustriali… »61. Ciò ha per conseguenza la fusione delle banche e dell'industria
e la nascita del capitale finanziario, il dominio dell'oligarchia finanziaria, la
formazione di determinate eccedenze di capitale in alcuni paesi che ne con-
dizionano l'esportazione negli altri paesi. Quest'ultima circostanza porta in
ultima analisi alla spartizione del mondo fra i maggiori paesi capitalistici.
Derivando dal monopolio le peculiarità della fase imperialistica di sviluppo
del capitalismo, Lenin individuava determinati lati del tutto indagato nella
loro necessaria interconnessione e interdipendenza per mettere in luce l'es-
senza effettiva dell'imperialismo. Qui ogni movimento del pensiero è ad un
tempo analitico e sintetico: la scomposizione del tutto nei suoi singoli ele-
menti e la composizione degli elementi individuati in un tutt'uno organico.
Tutto ciò mostra che nel dato stadio di indagine Lenin si servì dell'analisi e
sintesi sistematico- strutturale.
Si vede da questo esempio che ciascuno degli indicati tipi di analisi e sintesi
è legato ad un determinato grado di sviluppo del sapere e ha una propria
particolare sfera di applicazione.
1. IL CONCETTO DI CATEGORIA
Nel processo della conoscenza della realtà oggettiva si formano nella mente
degli uomini determinati concetti, tramite i quali essi esprimono e fissano le
proprietà e i nessi degli oggetti e dei fenomeni del mondo esterno, concetti
che sono le immagini ideali di questi oggetti e fenomeni. I concetti che riflet-
tono i lati e nessi più essenziali di questo o quell'ordine di fenomeni si chiama-
no categorie. Ogni scienza ha le proprie categorie. Sono ritenute categorie
dell'economia politica i concetti di merce, denaro, valore, plusvalore, forza-
lavoro, profitto, ecc.; le categorie della biologia sono concetti come l'organi-
smo, l'ambiente, l'assimilazione, la dissimilazione, l'ereditarietà, il genere, la
specie, ecc.; le categorie della giurisprudenza sono il diritto, la norma giuri-
dica, la legge, il rapporto giuridico, la trasgressione della legge, ecc. Ha le
proprie categorie anche la filosofia. A differenza delle categorie delle scienze
particolari, le categorie filosofiche esprimono non semplicemente le proprie-
tà e i nessi più essenziali, ma le proprietà e i nessi universali, cioè tali pro-
prietà e nessi che sono comuni a tutti i fenomeni della realtà e della cono-
scenza. Le categorie filosofiche sono concetti universali, applicabili a qual-
siasi campo della realtà. Del loro novero fanno parte, ad esempio, concetti
come il singolare e il generale, la quantità e la qualità, la causa e l'effetto, il
contenuto e la forma, la necessità e la casualità, la contraddizione, ecc.
Nel corso del processo storico della conoscenza le categorie non sono appar-
se tutte insieme e contemporaneamente. Ciascuna di esse è legata ad uno
stadio rigorosamente determinato di sviluppo del sapere. Fissando i lati e i
nessi universali, scoperti in un dato stadio di sviluppo, le categorie esprimo-
no le peculiarità di questo stadio e sono una specie di punti d'appoggio di un
processo che vede l'uomo elevarsi al di sopra della natura. In altre parole, le
categorie, riflettendo i lati e nessi universali del mondo esterno, sono al
tempo stesso i gradini di sviluppo del sapere, sono i momenti che fissano il
passaggio della conoscenza da uno stadio di sviluppo all'altro. «Dinanzi
all'uomo - scrisse Lenin - si pone una rete di fenomeni della natura. L'uomo
istintivo, il selvaggio, non emerge dalla natura. L'uomo consapevole emerge
da essa, le categorie sono i gradi di questo emergere, cioè della conoscenza
del mondo… »62.
Ma, oltre a ciò, le categorie della dialettica sono anche le forme del pensiero.
Attraverso di esse si prende coscienza di questo o quel materiale concreto,
ottenuto nel processo di ricerca scientifica e di modificazione pratica della
Secondo la dottrina del materialismo dialettico, gli enti materiali (cose, og-
getti) sono in interconnessione e interdipendenza universale tra di loro. In-
teragendo continuamente fra di loro, essi si compenetrano reciprocamente e
in determinate condizioni passano gli uni negli altri. Perciò anche i concetti
tramite i quali l'uomo viene a conoscere il mondo circostante devono inevi-
tabilmente trovarsi in interconnessione naturale tra di loro. Deve essere
propria ad essi una duttilità fino al punto di rendere possibile il passaggio
degli uni negli altri. Senza di ciò essi non sono in grado di riflettere l'effettivo
stato delle cose. Perciò dobbiamo considerare le categorie non isolatamente,
non l'una accanto all'altra, ma nella loro interconnessione e interdipendenza
naturale, come gli anelli necessari di un unico sistema, logicamente armo-
nioso, in cui spetti ad ogni categoria un posto rigorosamente determinato.
Il problema delle categorie fu fatto segno ad indagine approfondita nella fi-
losofia di Hegel. A differenza dei precedenti filosofi, Hegel pose le categorie
su un fondamento storico, presentandole nel loro movimento e sviluppo,
nella loro interconnessione e interdipendenza dialettica. È vero, Hegel fece
tutto ciò sul terreno dell'idealismo: l'evoluzione del pensiero puro, dell'idea
che esisteva non si sa dove al di fuori dell'uomo e dal mondo materiale e in-
dipendentemente da essi. L'erroneità del principio di partenza nell'elabora-
re un sistema di categorie non poteva non riflettersi sulla soluzione del dato
problema. L'approccio idealistico di Hegel alle categorie fu all'origine di nu-
merosissime costruzioni artificiali hegeliane che deformavano l'effettivo sta-
to delle cose. Ma ciò nonostante, Hegel riuscì a riflettere nel suo sistema di
categorie tutta una serie di importanti leggi e nessi universali, l'essenza della
dialettica reale.
Il problema dell'interconnessione delle categorie fu risolto in modo coeren-
temente materialistico e scientifico solo dalla filosofia marxista. In applica-
zione all'economia politica, esso fu elaborato da Marx ne Il Capitale, in appli-
cazione alla filosofia, da Lenin nei Quaderni filosofici.
Lenin considera le categorie forme universali di riflesso della realtà e gradini
di sviluppo della conoscenza e della prassi sociale. Egli fa derivare la loro in-
terconnessione dalle leggi dell'essere e della conoscenza. Secondo Lenin il
rapporto fra di esse, riflettendo il rapporto tra i lati e nessi universali della
realtà, esprime il necessario movimento della conoscenza dai gradi inferiori
a quelli superiori.
L'apparizione di ogni nuova categoria è necessariamente condizionata dal
corso stesso dello sviluppo del sapere. Essa appare perché la conoscenza,
penetrando sempre più profondamente nel mondo dei fenomeni, scopre
nuovi lati e nessi universali che non possono essere rispecchiati dalle cate-
gorie già esistenti e che richiedono, per essere espressi e fissati, nuove cate-
gorie. Una volta apparsa, ogni nuova categoria entra nei rapporti necessari
con le categorie già esistenti e in tal modo viene ad occupare nella sfera del
sapere un proprio posto particolare, condizionato dal processo in atto della
conoscenza. Disponendo le categorie in quell'ordine di successione in cui
sono apparse nel processo di sviluppo della conoscenza e della prassi socia-
le, si può stabilire il necessario rapporto fra di esse, la loro interconnessione.
Esaminiamo dunque qui in linee generali l'ordine di successione in cui l'uo-
mo prende coscienza dei lati e nessi universali della realtà circostante, e,
quindi, il movimento della conoscenza da una categoria all'altra.
A differenza dell'animale, l'uomo, una volta acquistata la coscienza, incomin-
cia a separare se stesso dall'ambiente circostante, a rendersi conscio del suo
essere particolare, distinto dall'essere del mondo esterno. Rendendosi con-
scio del proprio essere e dell'essere del mondo esterno, l'uomo si rende con-
scio anche sia della propria individualità che dell'individualità delle cose del
mondo esterno. Per esprimere questa individualità dell'essere si è formato
nella mente degli uomini il concetto di singolo, di oggetto e fenomeno singo-
lo.
Parallelamente alla presa di coscienza della propria individualità, di una cer-
ta indipendenza, l'uomo prende coscienza anche del suo legame con il mon-
do esterno, del legame esistente tra gli oggetti del mondo esterno. Esso, co-
me essere vivente, deve mangiare, bere, disporre di un'abitazione, difendersi
dai nemici, ecc. Il soddisfacimento di questi bisogni, come pure di tutti gli al-
tri bisogni dell'uomo ne presuppone un legame organico con il mondo
esterno, l'utilizzazione di determinati oggetti della natura.
Ma l'interconnessione degli oggetti ne presuppone l'interazione, e paralle-
lamente a ciò un determinato mutamento, cioè il movimento. In quanto il
momento di interconnessione è organicamente fuso con il momento di mo-
vimento, l'uomo, prendendo coscienza dell'interconnessione degli oggetti,
deve inevitabilmente prendere coscienza anche del fatto che questi oggetti
mutano, cioè sono in movimento.
Parallelamente al passaggio della conoscenza dal singolo all'interconnessio-
ne, all'interazione, al movimento dei singoli corpi, si prendeva coscienza an-
che degli altri lati e nessi universali della realtà, in particolare del singolare e
del generale.
Ogni singolo oggetto, nel quale si imbatteva per la prima volta l'uomo nella
sua attività pratica, inizialmente veniva da lui percepito come unico del ge-
nere, cioè come singolare. Se questo o quell'oggetto scoperto si rivelava ca-
pace di soddisfare direttamente o indirettamente questo o quel bisogno de-
gli uomini, se ne rimaneva un ricordo. E man mano che si scoprivano altri
oggetti che soddisfacevano lo stesso bisogno, si compiva il passaggio (sia
nella pratica che nella coscienza) da un solo oggetto a più oggetti, al «più».
Con la messa a confronto di questi oggetti se ne stabiliva, sia nella pratica
che nella coscienza, l'identità (somiglianza), e sulla base di questa identità si
formavano delle rappresentazioni generali e in seguito dei concetti generali.
In questa fase di sviluppo si prende coscienza della qualità e della quantità.
Quando l'uomo percepiva un singolo oggetto come oggetto singolare, unico
del genere, e voleva chiarire che cosa esso fosse in realtà, lui lo rifletteva dal
punto di vista della qualità. In quanto l'oggetto è percepito qui come tale e a
sé stante, al di fuori del rapporto con gli altri oggetti, la sua caratteristica
quantitativa è indistinta e in sostanza si fonde con quella qualitativa. Ma
man mano che la conoscenza passa da un solo oggetto a più oggetti e si sta-
bilisce mediante comparazione la somiglianza (identità) e la differenza tra di
loro, incomincia ad emergere la caratteristica quantitativa. Ogni proprietà
dell'oggetto è come se si sdoppiasse, parallelamente a quello che essa è essa
rivela la sua grandezza, il grado del suo manifestarsi e del suo diffondersi,
insomma la sua quantità.
In un primo tempo le caratteristiche qualitative e quantitative che vengono
accertate non rivelano l'interdipendenza fra di loro. Sembra che esse si
comportino neutralmente le une nei confronti delle altre, ma approfondendo
ulteriormente la conoscenza dei fenomeni gli uomini si convincevano che le
singole caratteristiche qualitative sono legate tra di loro così come sono le-
gate fra di loro anche le singole caratteristiche quantitative. Al tempo stesso
essi scoprivano anche la connessione organica fra la qualità e la quantità. Es-
si constatavano che ad una determinata quantità corrisponde solo una quali-
tà rigorosamente determinata e, al contrario, ad una determinata qualità
corrisponde una quantità rigorosamente determinata.
Una volta venuti a conoscere l'interconnessione delle categorie di qualità e
di quantità, gli uomini incominciano a comprendere che i mutamenti di un
fenomeno comportano determinati mutamenti in un altro fenomeno. Ma ciò
che genera altro, ne condiziona il sorgere, è causa, mentre ciò che sorge, che
è condizionato, è effetto. La conoscenza da parte degli uomini dei lati quali-
tativi e quantitativi delle cose li porta così a prendere coscienza di un mo-
mento come la causalità, e, parallelamente a ciò, alla necessità di definire le
categorie di causa e di effetto.
Studiando i nessi di causa e effetto, gli uomini constatano che la causa e l'ef-
fetto sono legate tra di loro in un modo che se appare la causa, sopraggiunge
inevitabilmente anche l'effetto, e se manca la causa, manca anche l'effetto. In
altre parole, gli uomini scoprono che la connessione tra la causa e l'effetto ha
il carattere di necessità. La necessità inizialmente viene percepita come una
proprietà del nesso di causa e effetto. Però nel corso dell'ulteriore sviluppo
del sapere si precisa e sì allarga il contenuto del concetto di necessario. Ora
sono considerati necessari non solo i nessi di causa ma anche tutti i nessi che
si manifestano immancabilmente in determinate condizioni, e non solo i
nessi, ma anche i lati, le proprietà necessariamente inerenti agli enti mate-
riali, oggetto d'indagine.
I necessari nessi, messi in luce nel corso dello sviluppo del sapere, spesso
acquistano nella scienza la forma di leggi, cioè si prende coscienza di essi
tramite la categoria di legge, la quale significa e riflette i necessari nessi e
rapporti generali e stabili.
Parallelamente al movimento della conoscenza dalla causalità alla necessità
e alla legge avviene anche il passaggio alle categorie di «contenuto» e di
«forma». Ciò è condizionato dal fatto che il processo della conoscenza non si
limita a scoprire questo o quel nesso di causa e effetto, ma passa, sotto l'in-
flusso della pratica che richiede una conoscenza sempre più completa degli
oggetti del mondo esterno, da un nesso di causa e effetto all'altro, dalla spie-
gazione di una proprietà del dato ente materiale alla spiegazione di un'altra.
Perciò si avverte il bisogno di una nuova categoria, e proprio della categoria
di contenuto, la quale disegna l'insieme di tutte le interazioni e dei mutamen-
ti da esse provocati in un dato ente materiale. Ma venendo a conoscere le in-
terazioni e i mutamenti che queste provocano nell'ente materiale, scopriamo
e riproduciamo nella coscienza, passo per passo, prima i princìpi esterni e
poi quelli interni, in base ai quali gli elementi del contenuto formano un
tutt'uno, una struttura relativamente stabile, nell'ambito della quale si rea-
lizzano tutte le interazioni e tutti i mutamenti propri ad un dato ente mate-
riale, cioè la forma.
La separazione nel processo della conoscenza del necessario dal casuale e la
presa di coscienza delle leggi che si manifestano nel tutto indagato, non si-
gnificano ancora sufficiente conoscenza di esso, poiché ciò riguarda solo i
suoi singoli lati e nessi. E per quanto grande possa essere il numero dei già
accertati e già spiegati lati e nessi dell'oggetto d'indagine, essi (questi lati e
nessi) nel loro insieme non garantiscono una conoscenza veramente com-
pleta di questo oggetto, in quanto non sono altro che una somma meccanica
dei singoli lati, mentre l'ente materiale non è un semplice aggregato di que-
ste o quelle proprietà, non è una somma di esse, ma è un tutt'uno organico,
rappresenta l'unità dialettica di esse. Perciò si rende necessario unire i nessi
in un tutt'uno, derivarli da un unico principio.
Riprodurre tutti i lati necessari, tutte le leggi dell'ente materiale, oggetto
d'indagine, nella loro naturale interconnessione e interdipendenza significa
conoscerne l'essenza.
Il movimento verso l'essenza incomincia mettendo in luce il fondamento,
cioè i lati e i rapporti fondamentali (determinanti). I lati e i rapporti fonda-
mentali determinano la formazione, il funzionamento, le direttrici di muta-
mento e di sviluppo di tutti gli altri lati del rispettivo ente materiale. Perciò,
partendo da questi lati e rapporti, potremo riprodurre, passo per passo, nel-
la nostra coscienza l'interconnessione esistente anche tra gli altri lati, sare-
mo in grado di definire il posto, il ruolo e il significato di ciascuno di essi.
È vero, per arrivare a ciò, i lati (rapporti) fondamentali, e insieme ad essi an-
che il fenomeno stesso, devono essere considerati nella loro genesi, nel loro
sviluppo. E ciò presuppone la necessità di individuare la fonte di sviluppo, la
forza motrice che determina il passaggio del dato ente materiale da uno sta-
dio di sviluppo all'altro. Fonte di sviluppo sono la contraddizione, l'unità e la
«lotta» dei lati, delle tendenze opposte.
Scoprendo le contraddizioni proprie al fondamento e studiando il loro svi-
luppo, i mutamenti, da esse provocati, degli altri lati dell'oggetto d'indagine,
verremo immancabilmente a constatare che lo sviluppo avviene attraverso
la negazione di alcuni stati qualitativi da parte di altri stati qualitativi, attra-
verso la ritenzione di tutto quanto vi è di positivo negli stati che vengono
negati e la ripetizione del passato su un fondamento nuovo, più idoneo.
In tal modo l'essenza di questi o quei fenomeni può essere conosciuta defi-
nendone il fondamento, scoprendo in esso i lati opposti, mettendo in luce la
lotta tra di essi e lo sviluppo, condizionato da questa lotta, dell'ordine inda-
gato di fenomeni attraverso la negazione di alcuni stati qualitativi da parte di
altri stati qualitativi.
Un esempio lampante del come il sapere progredisce passando da una cate-
goria all'altra è lo sviluppo delle conoscenze scientifiche. In quanto le cate-
gorie sono i necessari gradini di sviluppo della conoscenza sociale, il movi-
mento da una categoria all'altra deve inevitabilmente manifestarsi in qual-
siasi ramo dello scibile.
3. L'INTERCONNESSIONE DEI FENOMENI DELLA REALTÀ
63Da Abel Jeannière, La pensée d'Héraclite d'Ephèse et la vision présocratique du monde. Paris, 1959, p. 108.
come trapasso dei fenomeni gli uni negli altri. Ma in seguito questo punto di
vista cede il posto ad un altro, secondo cui l'interconnessione non rappre-
senta che l'unione e la disunione meccanica degli stessi elementi sempre
immutabili. Questa posizione fu sostenuta in particolare da Empedocle e
Anassagora. La limitatezza di questo punto di vista fu superata da Aristotele.
Per lui l'interconnessione è l'interdipendenza delle cose. «Ogni relativo - egli
scrive - ha un suo correlativo… »64. Aristotele per primo proclamò categoria
il concetto di «rapporto», conferendogli così il carattere di universalità.
La categoria di «rapporto» fu ulteriormente elaborata da Kant. Egli mostrò
che il rapporto racchiude in sé sia il momento di connessione che il momen-
to di disconnessione. Considerando il problema alla luce del rapporto fra i
concetti nel giudizio, egli rilevò che essi qui sono ad un tempo connessi e se-
parati tra di loro e che qualsiasi giudizio ad un tempo fissa la presenza e l'as-
senza di un nesso. Ad esempio, nel giudizio: «il lupo è animale», osserva
Kant, è espresso sia l'idea che il lupo è legato agli animali, sia l'idea che esso
è diviso da tutti gli altri animali, all'infuori dei suoi simili, cioè dei lupi. Ma
sostenendo il giusto punto di vista, Kant compie al tempo stesso un passo
indietro. Egli nega l'interconnessione dei fenomeni nella realtà oggettiva. Se-
condo Kant, questa connessione è apportata nel mondo dei fenomeni dal
soggetto pensante. Contro di ciò prese posizione Hegel. Secondo il suo pare-
re, l'interconnessione, i rapporti sono propri per natura alle cose. È per tra-
mite dei rapporti che le cose manifestano la loro essenza. «Tutto ciò che esi-
ste - osserva Hegel - è in rapporto e questo rapporto è la verità di ogni esi-
stenza»65. Ma, nel formulare questa idea, Hegel era lungi dal mettersi sulle
posizioni del materialismo. Egli riteneva che i rapporti sono per natura idea-
li, sono i momenti o i gradini di sviluppo dell'idea assoluta che esisteva fuori
e prima del mondo materiale, delle cose sensibili.
Oltre alla concezione dialettica dei rapporti, la storia della filosofia registra
una concezione metafisica, i cui sostenitori attribuivano valore assoluto ad
un momento come la disconnessione, la dissociazione e negavano in un mo-
do o nell'altro l'interconnessione dei fenomeni della realtà.
La data concezione veniva elaborata in questa o quella forma da Bacone e
Locke. Tra i filosofi borghesi contemporanei sostengono questa concezione i
fautori della teoria pluralistica, secondo cui ogni oggetto rappresenta qual-
cosa di chiuso in se stesso e quindi non vi è e non può esservi alcuna connes-
sione fra di essi.
66Karl Marx, Friedrich Engels, Opere complete, cit., vol. XXV, p. 365.
67V. I. Lenin, op. cit., vol. 38, p. 206.
l'irrepetibilità dei tratti, delle caratteristiche di quest'ultimo. Ma tutto ciò che
è irripetibile nel fenomeno, tutto ciò che è proprio solo ad esso è assente negli
altri fenomeni, costituisce il singolare.
Possono essere un esempio del singolare le linee papillari dei polpastrelli, i
disegni da queste formate variano per ogni individuo. Non per caso i giuristi
stabiliscono in base alle impronte digitali l'identità degli individui coinvolti
in questo o quel delitto. Il singolare per ogni nazione è l'irrepetibile nella sua
cultura, nella psiche, nella lingua, nelle tradizioni, nei costumi, ecc.
Possedendo i tratti (proprietà, lati) irrepetibili, ogni singolo fenomeno è par-
te della materia unica, è un anello nella catena infinita del suo sviluppo. Ma
se è così, allora ogni fenomeno deve possedere, parallelamente all'irrepetibi-
le, anche quello che si ripete, che è proprio non solo ad esso, ma anche ad al-
tri fenomeni. Quello che si ripete nei fenomeni, quello che è proprio non ad un
fenomeno ma a molti fenomeni, è il generale.
Ad esempio, il generale per questo o quell'uomo è che la sua essenza è con-
dizionata dai rapporti di produzione, che lui è un essere ragionevole, che la
sua coscienza ne riflette l'essere sociale, ecc., poiché tutto ciò è proprio non
solo a lui, ma anche agli altri uomini. Il generale per questa o quella nazione
è che ha un territorio unico, una lingua unica, ecc. Ciò è caratteristico non di
questa o quella nazione, ma di tutte le nazioni.
b. La critica delle concezioni metafisiche e idealistiche del singolare e del generale
Nella storia della filosofia si sono delineate nettamente due tendenze per
quanto riguarda la soluzione del problema dell'interconnessione del singo-
lare e del generale, quella realistica e quella nominalistica.
I realisti affermano che il generale esiste indipendentemente dal singolare. Il
singolare dipende nella sua esistenza dal generale, è originato da esso, è
qualcosa di secondario, di temporaneo, di passeggero. Risolve in modo ana-
logo la questione dell'interconnessione del singolare e del generale il filosofo
borghese contemporaneo A. N. Whitehead. Egli dichiara le essenze ideali ge-
nerali come enti eterni che esistono non si sa dove, fuor dello spazio e del
tempo. Secondo la sua dottrina, le cose singole appaiono solo come risultato
del trapasso nel mondo spazio- temporale delle rispettive essenze ideali e
scompaiono, non appena queste essenze abbandonano il mondo sensibile e
fanno ritorno al mondo trascendentale, ideale.
I nominalisti ritengono che il generale non esiste realmente, nella realtà og-
gettiva. Solo il singolare possiede un'esistenza reale. Il generale esiste, inve-
ce, solo nella mente degli uomini, nella coscienza. Esso non è che un nome, la
denominazione di una serie di oggetti singoli.
Nella filosofia borghese moderna il punto di vista nominalistico è sviluppato
da filosofi come Stuart Chase, Cassius J. Keyser, ed altri.
Chase, ad esempio, dichiara il concetto generale simbolo, cui in realtà non
corrisponde nulla. «Noi - egli scrive - confondiamo continuamente l'etichetta
con l'oggetto non verbale e attribuiamo così effettiva validità alla parola co-
me a qualcosa di vivo»68. Questa circostanza, ragiona Chase, fa sì che gli uo-
mini considerano realmente esistenti concetti generali astratti come la liber-
tà, la giustizia, la democrazia, il capitalismo, mentre nel mondo circostante
non vi è e non può esservi nulla di analogo a queste essenze, poiché esistono
realmente solo gli oggetti e fenomeni singoli69.
Nella storia della filosofia vi sono stati dei tentativi di superare l'unilateralità
della soluzione realistica e nominalistica del problema dell'interconnessione
del singolare e del generale. Nel Medioevo tali sforzi furono compiuti da
Duns Scoto, e in epoca più vicina da Bacone, Locke, Feuerbach e da altri. Pe-
rò anche questi filosofi non riuscirono a fornire una soluzione conseguente-
mente scientifica del dato problema. Secondo le loro concezioni, solo il sin-
golare possiede un'esistenza effettiva, mentre il generale esiste solo come un
lato, un momento del singolare.
c. L'interconnessione del singolare e del generale
Il materialismo dialettico ha completamente superato le deficienze proprie
alle teorie nominalistiche e realistiche per quanto riguarda la soluzione di
questa questione. Secondo il materialismo dialettico, né il generale né il sin-
golare sono momenti a sé stanti. Esistono indipendentemente gli uni dagli
altri solo i singoli oggetti, fenomeni, processi che rappresentano l'unità del
singolare e del generale, di quello che si ripete e di quello che non si ripete. Il
generale e il singolare, invece, esistono solo nei singoli oggetti e fenomeni
nella forma di lati, momenti di questi ultimi. L'interconnessione del singola-
re (oggetto, processo) e del generale si manifesta come l'interconnessione
del tutto e della parte, dove il tutto è rappresentato dal singolare e la parte
dal generale. Di qui «ogni generale abbraccia solo approssimativamente tutti
gli oggetti singolari», «ogni singolare entra in modo incompleto nel genera-
le»70, poiché parallelamente alle caratteristiche generali i singoli oggetti pos-
siedono anche le proprie caratteristiche singolari, possiedono, parallelamen-
te alle proprietà che si ripetono, proprietà che non si ripetono.
Proseguiamo. Ogni singolo oggetto, come si è già detto, non è eterno, esso
sorge, esiste per certo tempo e poi si trasforma in un altro singolo oggetto,
71Ibidem.
lare si presenta sempre come particolare. Essendo l'insieme delle caratteri-
stiche proprie solo al dato oggetto, esso distinguerà sempre questo oggetto
dagli altri oggetti.
Se il singolare si presenta sempre come particolare, il generale non sta sem-
pre in rapporto uguale al particolare. In alcuni casi esso si presenta come
particolare, in altri casi nelle vesti di se stesso. Quando esso indica ciò che
distingue il dato oggetto dagli altri oggetti con cui lo confrontiamo, si pre-
senta come particolare, ma se esso indica la somiglianza degli oggetti com-
parati tra di loro, si presenta come generale. Ad esempio, il fatto che nella
Repubblica Democratica del Vietnam l'industria capitalistica privata (azien-
de della borghesia nazionale) è stata gradualmente trasformata mediante la
creazione delle aziende miste statali- capitalistiche, è un momento generale,
poiché ciò ha luogo anche in altri paesi, in particolare nella RDT. Ma questo
fatto si presenta nelle vesti di particolare se confronteremo la RDV non con
la RDT ma con l'Unione Sovietica. Poi, il fatto che nella RDV la dittatura del
proletariato ha la forma di democrazia popolare, è pure un momento gene-
rale, in quanto tale forma di dittatura del proletariato esiste anche in altri
paesi socialisti, ad esempio in Bulgaria, Romania, ecc. Ma sempre questo sarà
un momento particolare se confronteremo la RDV non con la Bulgaria, la
Romania, ma con l'URSS, dove la dittatura del proletariato ha la forma di re-
pubblica dei Soviet.
Ma ogni generale può presentarsi nelle vesti di se stesso e nelle vesti di par-
ticolare? No. Vi è un generale che non può presentarsi come particolare. È
l'universale. In quanto è proprio a tutti gli oggetti e fenomeni della realtà,
non si può distinguere in base ad esso un oggetto o un fenomeno dagli altri.
Esso indicherà sempre la somiglianza, l'identità degli oggetti comparati. Ad
esempio, tali caratteristiche di una cosa come le sue proprietà necessarie e
casuali, il contenuto e la forma, il singolare e il generale, ecc. non possono
presentarsi come particolare. Essi non offrono la possibilità di distinguere la
data cosa dalle altre cose poiché tutte le cose possiedono queste caratteristi-
che.
Quindi, il singolare si presenta sempre come particolare, il generale a secon-
da delle circostanze. Se esso indica la diversità dei fenomeni comparati, si
presenta come particolare, ma se ne indica la somiglianza, si presenta nelle
vesti di se stesso, cioè come generale. L'universale invece non può presen-
tarsi come particolare, sempre e in tutti i casi esso indica solo la somiglianza,
l'identità dei fenomeni comparati.
La giusta utilizzazione delle leggi dell'interconnessione del generale e del
particolare è di eccezionale importanza nella sfera delle trasformazioni so-
ciali, in particolare nell'opera di costruzione del socialismo. «I comunisti nel-
la loro lotta - rilevava in relazione a ciò L. I. Brezhnev nel Rapporto d'attività
del PCUS - si fondano sulle leggi generali dello sviluppo della rivoluzione e
della costruzione del socialismo e del comunismo… La profonda compren-
sione e l'utilizzazione di queste leggi generali, servendosi nel contempo di
un metodo creativo e tenendo conto delle concrete condizioni in ogni paese,
sono state e restano peculiarità irrinunciabili dei marxisti- leninisti»72.
5. LA CAUSA E L'EFFETTO
a. Il concetto di legge
Come è stato fatto notare nel precedente paragrafo, la necessità esiste nella
forma di proprietà e di nessi dei fenomeni. Determinati necessari nessi o
rapporti si chiamano leggi. La legge è, in tal modo, ciò che si manifesta inevi-
tabilmente in queste o quelle condizioni. Ad esempio, la legge del valore, la
quale esprime il condizionamento del prezzo della merce dalla quantità di
lavoro socialmente necessario spesa per produrla, si manifesta inevitabil-
mente dove ha luogo la produzione mercantile. Un altro esempio: la legge
delle proporzioni costanti nota nella chimica, legge secondo cui ogni sostan-
za ha una composizione qualitativa e quantitativa rigorosamente determina-
ta e costante, si manifesta necessariamente in ogni sostanza, poiché i rap-
porti da essa espressi sono condizionati dalla natura degli atomi che forma-
no le molecole delle rispettive sostanze.
Dicendo che la legge rappresenta un necessario nesso, noi non mettiamo an-
cora in luce tutta la sua specificità. Il fatto è che non tutti i necessari nessi
sono leggi. Ad esempio, i singolari (individuali) necessari nessi non possono
presentarsi come legge. È legge solo un nesso necessario generale, cioè un
nesso proprio a molti fenomeni.
Ad esempio, la legge del dimezzamento, secondo cui in un periodo di tempo,
determinato per ogni sostanza, si disgrega metà della sostanza quale che sia
la quantità in cui è stata presa, si manifesta non in questo o quel processo
radioattivo ma in tutti i processi del genere, è propria a tutte le sostanze ra-
dioattive, vale a dire è un nesso generale. Ciò riguarda qualsiasi legge della
natura, della società e del pensiero umano.
Essendo un nesso generale, un nesso che si ripete, la legge è al tempo stesso
un nesso stabile. Esso esiste per tutto il periodo di esistenza di una data for-
ma di movimento della materia (o per tutta la durata di una determinata
tappa del suo sviluppo) o del pensiero e esiste fino a quando esistono i fe-
nomeni che rappresentano la data forma di movimento o di pensiero. Ad
esempio, la legge del condizionamento della coscienza degli uomini da parte
del loro essere sociale sorse insieme alla nascita della società umana ed esi-
sterà fino a quando esisterà questa società. O un altro esempio: la legge del
valore cominciò a funzionare già all'epoca della disgregazione della società
primitiva, funzionò nelle società schiavistica e feudale, funziona nella società
capitalistica e continua a funzionare nelle condizioni del socialismo. La data
legge scomparirà solo in seguito alla costruzione del comunismo, quando
non vi sarà assolutamente alcun bisogno della produzione mercantile.
Quindi, la legge è un nesso necessario, generale, stabile tra i fenomeni o tra i
loro lati.
b. Le Leggi dinamiche e statistiche
Rappresentando i necessari nessi (rapporti), le leggi si manifestano in un
gran numero di fenomeni. Ma la forma in cui si manifestano non è uguale.
Alcune leggi si manifestano in ogni fenomeno o ente materiale che rappre-
senta questa o quella forma di movimento, questa o quella sfera della realtà,
le altre solo in una massa di fenomeni. Le prime leggi si suole chiamarle leggi
dinamiche, le seconde, leggi statistiche.
Un esempio delle leggi dinamiche è la legge di Ohm, secondo cui la resisten-
za elettrica di un conduttore dipende dalla sua composizione, dalla sezione
trasversale e dalla lunghezza. La legge abbraccia una moltitudine di condut-
tori diversi e si manifesta in ogni conduttore che fa parte di questa moltitu-
dine. Un altro esempio: il nesso scoperto da Faraday fra la sostanza che si
sprigiona agli elettrodi e la corrente che attraversa la soluzione elettrolitica,
nesso che esprime la dipendenza proporzionale della massa di sostanza,
sprigionatasi agli elettrodi, dalla quantità di corrente, passata per la soluzio-
ne elettrolitica. Questa legge è caratteristica di tutti i casi di passaggio della
corrente elettrica attraverso le soluzioni e si manifesta in ciascuno di essi.
Ha un carattere statistico, ad esempio, la legge di Boyle e Mariotte: a tempe-
ratura costante la pressione di un gas è inversamente proporzionale al vo-
lume di esso. La data legge si manifesta solo in una massa di molecole caoti-
camente spostantesi, che costituiscono questo o quel volume di gas. Una sin-
gola molecola non obbedisce a questa legge. Urtando e rimbalzando contro
le altre molecole del gas, una molecola cambia ogni volta la direzione del suo
moto e la sua velocità. Come risultato di tutto ciò la forza con cui ogni volta
urta contro le pareti del recipiente questa o quella molecola, è casuale, essa
dipende da un'infinità di circostanze. Ma attraverso tutta questa massa di
mutamenti delle velocità di moto e, rispettivamente, delle forze d'urto con-
tro le pareti del recipiente delle varie molecole che costituiscono un dato vo-
lume di gas, si fa strada una determinata legge e precisamente: la pressione
di un gas è inversamente proporzionale al suo volume.
Sono statistiche le leggi della meccanica quantistica, riguardanti il moto delle
micro particelle. Esse non sono in grado di definire i moti di ogni singola
particella, ma definiscono il moto di questo o quel gruppo di essi.
Un particolare tratto distintivo delle leggi dinamiche è che esse permettono
di predire con sufficiente precisione l'avvento di un rispettivo fenomeno, un
mutamento delle sue proprietà e dei suoi stati. Ad esempio, partendo dalla
legge della dipendenza proporzionale della sostanza che si sprigiona agli
elettrodi dalla quantità di corrente elettrica passata attraverso l'elettrolita,
si può prevedere con precisione quale quantità di sostanza si sprigionerà in
questo o quel caso concreto.
A differenza delle leggi dinamiche, le leggi statistiche non permettono di
predire con precisione l'avvento e il non avvento di questo o quel fenomeno
concreto, il senso e il carattere del mutamento di queste o quelle caratteri-
stiche del dato fenomeno. Le leggi statistiche permettono solo di stabilire il
grado di probabilità del sorgere o del mutamento di un rispettivo fenomeno.
c. Le leggi generali e particolari
Anche se tutte le leggi sono nessi (rapporti) generali, la cerchia di fenomeni
in cui si manifestano, non è però uguale. Alcune di esse abbracciano una
maggiore cerchia di cose, le altre una minore.
Le leggi che si manifestano in una maggiore cerchia di fenomeni si presenta-
no rispetto alle leggi che si manifestano in una cerchia minore come leggi
generali, mentre le seconde si presentano come leggi particolari, specifiche.
Ad esempio, la legge della corrispondenza dei rapporti di produzione al li-
vello di sviluppo delle forze produttive è, rispetto alla legge del profitto me-
dio, una legge generale, poiché si manifesta in tutte le formazioni economi-
co-sociali. Mentre la legge del profitto medio si presenta, rispetto ad essa,
come legge particolare, poiché agisce solo in seno alla società borghese.
Il concetto di legge generale e, rispettivamente, di legge particolare è relati-
vo. Una stessa legge in rapporti diversi può presentarsi sia come legge gene-
rale che come legge particolare. Rispetto ad una legge che abbraccia una
maggiore cerchia di fenomeni, essa si presenterà come legge particolare, ri-
spetto ad una legge che abbraccia una minore cerchia di fenomeni, essa si
presenterà come legge generale. Ad esempio, la legge del valore è, rispetto
alla legge della corrispondenza dei rapporti di produzione al livello di svi-
luppo delle forze produttive, una legge particolare, in quanto non si manife-
sta in tutte le società, come la prima, ma solo là dove esiste la produzione
mercantile. Ma rispetto alla legge del plusvalore essa si presenta come legge
generale, poiché quest'ultima si manifesta in una minore cerchia di fenome-
ni: l'azione della legge del plusvalore è propria solo alla produzione mercan-
tile capitalistica.
Oltre alle leggi che a seconda dei rapporti concreti possono presentarsi sia
come leggi generali che come leggi particolari, esistono anche tali leggi che
sono proprie a tutte le sfere della realtà. Queste leggi si chiamano universali.
Rispetto ad esse, tutte le altre leggi si presentano come leggi particolari, in
quanto sono legate solo a queste o quelle sfere della realtà. Tali leggi forma-
no l'oggetto della filosofia, mentre le leggi riguardanti questa o quella forma
di movimento della materia sono l'oggetto di indagine delle scienze partico-
lari.
d. L'interconnessione delle leggi generali e particolari
Come agiscono dunque le leggi generali e particolari? Le leggi generali pos-
sono agire per conto proprio e attraverso le leggi particolari. Le leggi genera-
li si manifestano tramite le leggi particolari, quando sia le une che le altre ri-
guardano uno stesso nesso (rapporto). Quando una legge generale e una
legge particolare riguardano nessi (rapporti) diversi, esse esistono e agisco-
no l'una accanto all'altra.
Ad esempio, la legge chimica generale delle proporzioni costanti e le leggi
particolari che indicano quali elementi chimici e in quale rapporto formano
questi o quei composti, riguardano uno stesso momento: la combinazione in
cui si uniscono gli elementi chimici. Non è casuale perciò che nei dati esempi
una legge generale si manifesti attraverso le leggi particolari, specifiche.
Il quadro è ben diverso se prenderemo il rapporto tra la legge della corri-
spondenza dei rapporti di produzione al livello di sviluppo delle forze pro-
duttive (legge generale) e la legge economica fondamentale del socialismo, il
cui contenuto è il massimo soddisfacimento delle esigenze materiali e cultu-
rali degli uomini mediante lo sviluppo della produzione socialista sulla base
di una tecnica altamente avanzata (legge particolare). La prima caratterizza
il nesso tra il livello di sviluppo delle forze produttive e i rapporti di produ-
zione, la seconda tra l'incessante incremento della produzione e le esigenze
degli uomini. Il contenuto della prima legge mostra la necessità di modifica-
re i rapporti di produzione, man mano che si sviluppano le forze produttive,
mentre il contenuto della seconda indica lo scopo della produzione e i mezzi
per raggiungerlo. Dato che riguardano nessi e rapporti diversi, le date leggi
non possono in alcun modo manifestarsi l'una attraverso l'altra, ma agiscono
indipendentemente, l'una accanto all'altra. Ma anche se esistono indipen-
dentemente l'una dall'altra, non sono isolate tra di loro, ma organicamente
connesse. Questa interdipendenza differisce però radicalmente dal manife-
starsi di alcune leggi tramite altre leggi.
L'esistenza indipendente delle leggi generali è una conseguenza inevitabile
dello sviluppo della realtà. Infatti, il passaggio da un fenomeno all'altro nel
processo dello sviluppo presuppone, da una parte, la ritenzione di quanto vi
era di positivo nelle precedenti fasi e, dall'altra, la comparsa di nuove pro-
prietà, di nuovi nessi. Ad esempio, con il passaggio dall'atomo alla molecola
si eredita un gran numero di proprietà e nessi, caratteristici dell'atomo. L'a-
tomo in forma ricalcata è contenuto nella molecola. Ma oltre a ciò la moleco-
la acquista una serie di nuove proprietà, condizionate dal nuovo tipo di inte-
razioni, e precisamente dall'interazione degli atomi tra di loro. La ritenzione
di quanto vi era di positivo nelle precedenti fasi e il sorgere di nuove pro-
prietà e nessi sono facilmente osservabili nello sviluppo della materia viven-
te, nonché della società umana.
Conservarsi in un nuovo fenomeno che rappresenta un più alto grado di svi-
luppo di queste o quelle proprietà, di questi o quei nessi, caratteristici dei
fenomeni dei gradini già percorsi, condiziona il permanere in questo nuovo
fenomeno delle vecchie leggi. A sua volta il sorgere di nuove proprietà, di
nuovi nessi determina il sorgere di nuove leggi che si presentano come leggi
particolari rispetto a quelle vecchie, trapassate nei nuovi fenomeni insieme
ai nessi rimasti intatti. Esse agiscono solo nei fenomeni che rappresentano
un nuovo grado di sviluppo. Mentre le vecchie leggi, manifestandosi in que-
sti fenomeni, si manifestano anche nei fenomeni che rappresentano i gradi
inferiori di sviluppo. Quali leggi particolari, specifiche, proprie solo al nuovo
grado di sviluppo, queste leggi non possono essere una forma del manife-
starsi delle vecchie leggi, in quanto esse si riferiscono ad interazioni diverse
ed esprimono rapporti diversi. Ad esempio, le leggi caratteristiche della mo-
lecola riguardano l'interazione degli atomi, mentre le vecchie leggi riguar-
dano le interazioni delle particelle «elementari» che costituiscono gli atomi.
Abbiamo qui esaminato il rapporto tra le leggi generali e specifiche, studiate
dalle scienze particolari. Ma come stanno le cose per quanto concerne l'in-
terconnessione delle leggi della dialettica e delle leggi delle scienze partico-
lari? Le leggi della dialettica esprimono i nessi e rapporti universali della
realtà.
Questi nessi e rapporti non esistono di per sé stessi ma solo attraverso i nes-
si e rapporti concreti che costituiscono il contenuto delle rispettive leggi
concrete (generali e specifiche), oggetto d'indagine delle scienze particolari.
Questi nessi e rapporti universali sono determinati momenti, lati che si ripe-
tono del contenuto di tutti gli analoghi nessi e rapporti concreti. In forza di
ciò le leggi della dialettica non possono agire in forma pura, esse esistono e
si manifestano solo attraverso le altre leggi generali e specifiche, oggetto
d'indagine delle scienze particolari.
8. IL CONTENUTO E LA FORMA
74E. Schrödinger, Science and Humanism. Physics of Our Times. Cambridge, 1952, p. 21.
mincia ad intralciare lo sviluppo del contenuto. La forma non corrisponde
più al contenuto. In seguito questa non corrispondenza si accentua sempre
più e porta presto o tardi alla rottura della vecchia forma - un sistema relati-
vamente stabile di rapporti - e alla formazione di un nuovo sistema di rap-
porti, cioè di una nuova forma, la quale in un primo tempo corrisponde al
contenuto che l'ha chiamata alla vita ma poi pure invecchia e viene sostituita
con una nuova forma, e così senza fine.
Il processo di demolizione della vecchia forma e di nascita di una nuova for-
ma è un processo di radicale trasformazione qualitativa del contenuto. Nel
corso di esso alcune interazioni, processi si estinguono, ne sorgono altri, se
ne modificano terzi.
Ad esempio, durante il passaggio da un modo di produzione all'altro in se-
guito alla soluzione della contraddizione tra le progredite forze produttive
(contenuto) e gli invecchiati rapporti di produzione (forma), cambia non so-
lo la forma (rapporti di produzione tra gli uomini) ma anche il contenuto
(forze produttive). Così, nel processo del passaggio dalla produzione artigia-
na alla manifattura capitalistica, parallelamente alla trasformazione dei rap-
porti di produzione, si ebbero i mutamenti sostanziali nella sfera delle forze
produttive, mutamenti che condizionarono la comparsa di una forza assolu-
tamente nuova, legata ad una distribuzione diversa degli uomini nel proces-
so della produzione, ad un'organizzazione diversa del lavoro. Le forze pro-
duttive mutano anche nel corso della trasformazione dei rapporti di produ-
zione capitalistici in quelli socialisti: esse subiscono un rimodernamento so-
stanziale. In relazione al fatto che lo scopo della produzione non è più il pro-
fitto ma il massimo soddisfacimento delle esigenze degli uomini, cambia ine-
vitabilmente l'indirizzo di attività di tutta una serie di aziende, si stabilisce
un rapporto diverso fra i singoli rami della produzione, se ne creano nuovi,
ecc.
Quindi, il processo di trasformazione della vecchia forma che non corrispon-
de più al contenuto è al tempo stesso un processo di trasformazione radicale
di questo contenuto. Esprimendo la data legge, Lenin scriveva: «… la lotta del
contenuto con la forma e viceversa. Rigetto della forma, rielaborazione del
contenuto»75.
d. La parte e il tutto, l'elemento e la struttura
Quando esaminiamo un fenomeno dal punto di vista del suo contenuto, esso
ci si presenta come un tutto, come l'aggregato di tutti gli elementi, lati che lo
costituiscono, e delle interazioni fra di essi. È proprio in questo quadro
80Sydney Hook, Dialectical Materialism and Scientific Method. Manchester, 1955, p. 20.
in due o tre fotoni, in un'altra forma il passaggio di una sostanza dallo stato
liquido allo stato gassoso, in una terza la trasformazione di una specie di
animali in un'altra. Il carattere del salto, la sua forma dipendono anche dalle
concrete condizioni in cui avviene. Fenomeni per natura uguali passano in
condizioni concrete diverse ad un nuovo stato qualitativo per vie diverse. Ad
esempio, nell'URSS, dove subito dopo la vittoria della Grande rivoluzione so-
cialista d'Ottobre si era proceduto alla nazionalizzazione della terra, nel cor-
so delle trasformazioni socialiste nell'agricoltura si è riuscito ad evitare in
notevole misura le forme inferiori e medie di cooperative di produzione e a
passare subito alla forma superiore, in particolare all'artel agricolo: lavoro
collettivo, proprietà sociale dei mezzi fondamentali di produzione, distribu-
zione del prodotto secondo la qualità e la quantità di lavoro nell'azienda so-
ciale. Questo processo seguiva una via diversa negli altri paesi socialisti. Qui
la trasformazione su basi socialiste della piccola produzione mercantile con-
tadina avveniva nelle condizioni di esistenza della proprietà privata della
terra. Questo si è fatto sentire nel modo in cui si è svolto il dato processo. In
particolare, in questi paesi sono state largamente utilizzate varie forme d'e-
conomia semisocialiste: la proprietà socialista di determinati mezzi di pro-
duzione si combinava con la proprietà privata della terra e parallelamente
alla distribuzione secondo la qualità e la quantità di lavoro si praticava la di-
stribuzione in base alla qualità e alla quantità delle terre e degli altri mezzi
di lavoro messi a disposizione delle aziende sociali.
Tutte le forme dei salti possono essere suddivise in due tipi fondamentali:
(1) i salti che avvengono nella forma di un'esplosione e (2) i salti che avven-
gono in modo relativamente graduale, mediante un'accumulazione graduale
di elementi di nuova qualità e l'estinzione degli elementi di vecchia qualità.
Il salto a carattere esplosivo avviene impetuosamente, bruscamente, spesso
«d'un colpo». Nel corso di esso le trasformazioni abbracciano tutta la qualità
nel suo insieme. A differenza di ciò, il salto che avviene mediante un'accumu-
lazione graduale di elementi di nuova qualità e l'estinzione degli elementi di
vecchia qualità si svolge lentamente e richiede un periodo di tempo più o
meno lungo. Qui la qualità non si trasforma tutta d'un colpo ma parte per
parte. Prima muta una caratteristica qualitativa, poi un'altra, una terza, ecc.,
fino a quando non si trasformerà tutta la qualità nel suo insieme.
Da esempio di salto a carattere esplosivo può servire l'esplosione di una ca-
rica di dinamite, nel corso della quale una sostanza si trasforma bruscamen-
te in un'altra e questa trasformazione investe tutti i lati della qualità iniziale.
Per quel che concerne la società, può essere considerato un salto-esplosione
la rivoluzione socialista che si compie nella forma di un'insurrezione armata.
Da esempio di salto che avviene mediante un'accumulazione graduale di
elementi di nuova qualità e l'estinzione degli elementi di vecchia qualità può
servire la formazione di nuove specie di piante e di animali. In natura la tra-
sformazione di una specie di piante o di animali di regola avviene mediante
il sorgere graduale, l'una dopo l'altra, di nuove proprietà, corrispondenti alle
condizioni in via di mutamento dell'ambiente e mediante l'estinzione, pure
graduale, delle proprietà che non corrispondono alle nuove condizioni. Nella
società un esempio del genere è la conquista per via pacifica del potere poli-
tico da parte del proletariato.
e. L'evoluzione e la rivoluzione
Alla base della suddivisione dei salti in salti che avvengono nella forma di
un'esplosione e in salti che avvengono mediante un'accumulazione graduale
di elementi di nuova qualità e l'estinzione degli elementi di vecchia qualità,
sta il modo in cui il salto si compie e si svolge.
Ma alla base della classificazione dei salti può essere posto anche un altro
momento, e in particolare il carattere dei mutamenti qualitativi, ciò che mu-
ta nella cosa, ciò che ne costituisce la qualità. Poiché ogni cosa presenta le
qualità fondamentali e non fondamentali, i mutamenti delle qualità fonda-
mentali si distinguono sostanzialmente dai mutamenti delle qualità non fon-
damentali. I mutamenti della qualità fondamentale presuppongono un mu-
tamento dell'essenza della cosa, la sua trasformazione in un'altra cosa, men-
tre i mutamenti delle qualità non fondamentali avvengono nel quadro di una
stessa essenza, di modo che la cosa non si trasforma in un'altra cosa. Tenen-
do presente questa circostanza, i salti possono essere suddivisi in salti rivo-
luzionari e evoluzionistici.
La rivoluzione è un salto nel corso del quale si assiste ad una trasformazione
radicale delle fondamentali caratteristiche qualitative, muta l'essenza della
cosa.
L'evoluzione è un salto nel corso del quale il passaggio ad una nuova qualità
avviene nel quadro della data essenza della cosa, senza trasformazione radi-
cale delle fondamentali caratteristiche qualitative di prima.
Un esempio di rivoluzione è il passaggio da una formazione economico-
sociale all'altra, ad esempio, il passaggio dal capitalismo al socialismo. Un
esempio di evoluzione è il passaggio dal capitalismo premonopolistico al ca-
pitalismo monopolistico, il passaggio dal socialismo al comunismo, ecc.
Nel loro senso precipuo, i concetti di rivoluzione e di evoluzione possono es-
sere applicati a tutti i campi della realtà. Essi acquistano però un senso al-
quanto diverso se applicati per esprimere le leggi del passaggio da uno stato
qualitativo all'altro in queste o quelle sfere della vita sociale. Per quel che ri-
guarda la società, non ogni salto cui si accompagna una trasformazione radi-
cale delle fondamentali caratteristiche qualitative, un mutamento dell'es-
senza, sarà una rivoluzione, ma solo un tale salto, in seguito al quale sorgono
stati qualitativi più perfetti, cioè si compie il passaggio dall'inferiore al supe-
riore. Nel dato caso il passaggio dal superiore all'inferiore si chiama contro-
rivoluzione. Sarà, ad esempio, una rivoluzione il passaggio del potere politi-
co dalla borghesia al proletariato che rappresenta il modo di produzione so-
cialista chiamato a sostituirsi al modo di produzione capitalistico storica-
mente superato. Sarà una controrivoluzione la restaurazione temporanea
del potere della borghesia rovesciata nel corso della rivoluzione.
Quanto all'evoluzione, essa per quel che riguarda lo sviluppo storico si pre-
senta come riforma. La riforma è un tale tipo di mutamenti che presuppone
la conservazione delle fondamentali caratteristiche qualitative dell'esistente
ordinamento economico e politico della società, della sua essenza.
Nelle odierne condizioni la borghesia, adottando tutte le misure per prolun-
gare l'esistenza dell'ordinamento sociale capitalistico, ricorre spesso a que-
ste o quelle riforme che, apportando dei mutamenti di poco conto in questa
o quella sfera della realtà sociale, lasciano immutati l'esistente modo di pro-
duzione e lo sfruttamento, da esso condizionato, dell'uomo sull'uomo. «Il ca-
pitalismo ha cercato in tutti i modi di andare, per così dire, al passo coi tem-
pi, di servirsi di diversi metodi per regolare l'economia. Ciò ha permesso di
stimolare la crescita economica ma, come avevano previsto i comunisti, non
ha potuto eliminare le contraddizioni insite nel capitalismo»81.
2. LA LEGGE DELL'UNITÀ E DELLA “LOTTA” DEGLI OPPOSTI
84Max Hartmann, Die philosophischen Grundlagen der Naturwissenschaften. Iena, 1948, S- 36.
torietà è fonte di movimento. Il merito di aver approfondito questa idea
spetta a Hegel, il quale la sviluppò su basi idealistiche, in applicazione al
pensiero puro. E solo il materialismo dialettico ha fornito un'argomentazio-
ne veramente scientifica di questo principio. Engels così lo formulò: il mo-
vimento «si manifesta sempre in opposizioni, che con il loro continuo con-
trastare condizionano la vita stessa della natura” 85.
Come, dunque, la contraddizione assolve la sua funzione di fonte di movi-
mento e di sviluppo? La contraddizione, come è noto, rappresenta l'intera-
zione degli opposti. Ma l'azione di una forza diametralmente opposta sull'al-
tra provoca inevitabilmente i rispettivi mutamenti nei lati interagenti e
quindi nella cosa cui sono propri questi lati. Ciò significa che l'esistenza stes-
sa delle contraddizioni presuppone il movimento e, nelle rispettive condi-
zioni, anche lo sviluppo di quei fenomeni cui sono proprie queste contraddi-
zioni.
Ad esempio, l'interazione di momenti opposti della vita sociale come la pro-
duzione e il consumo provoca immancabilmente un mutamento di ciascuno
di essi e poi di tutta la società. Così, i bisogni degli uomini, influendo sulla
produzione, la modificano. Tenendo conto di questi bisogni, la produzione si
sviluppa in una rispettiva direzione. Ma nel corso dello sviluppo della pro-
duzione si sviluppano anche i bisogni stessi. Ad alcuni bisogni ne succedono
nuovi che pongono altri compiti di fronte alla produzione. Risolvendoli, la
produzione si perfeziona, si sviluppa ulteriormente, e parallelamente a que-
sto sviluppo si perfezionano, mutano anche i bisogni. I bisogni mutati pon-
gono nuovi compiti di fronte alla produzione che di nuovo cambia, e così via,
all'infinito. Così l'interazione della produzione e del consumo condiziona un
continuo mutamento della produzione e dei bisogni. In un determinato sta-
dio di sviluppo della società sorge la necessità di perfezionare i rapporti di
produzione nel quadro dei quali funziona, di liquidare l'esistente forma di
proprietà dei mezzi di produzione per sostituirla con un'altra. Cambiando, i
rapporti di produzione ristrutturano adeguatamente tutto l'organismo so-
ciale, come risultato la società passa ad uno stadio nuovo, più elevato di svi-
luppo. Così, l'interazione degli opposti condiziona il mutamento e il passag-
gio dei fenomeni ad un nuovo stato qualitativo. Tutto ciò dimostra chiara-
mente come la contraddizione assolve la sua funzione di fonte di movimento
e di sviluppo della materia e della coscienza.
g. I tipi di contraddizioni
Di ogni fenomeno è caratteristica una molteplicità di contraddizioni diverse.
E la loro parte nell'esistenza e nello sviluppo di esso è lungi dall'essere ugua-
85Karl Marx, Friedrich Engels, Opere complete, cit., vol. XXV, p. 496.
le. Perciò si rende necessario classificare le contraddizioni.
Di solito si distinguono i seguenti tipi di contraddizioni: interne e esterne,
sostanziali e non sostanziali, fondamentali e non fondamentali.
Si chiamano contraddizioni interne le interazioni dei lati opposti propri ad
uno stesso fenomeno, si chiamano contraddizioni esterne le interazioni dei
lati opposti propri ai fenomeni diversi.
Può servire da esempio di contraddizione interna l'interazione tra gli elet-
troni e i protoni nell'atomo, tra l'assimilazione e la dissimilazione nell'orga-
nismo vivente, tra le forze produttive e i rapporti di produzione nella socie-
tà. Un esempio di contraddizione esterna è la contraddizione tra la società e
la natura, tra i singoli esemplari delle varie specie di animali, ecc.
Le contraddizioni interne ed esterne hanno un diverso ruolo nello sviluppo
di un fenomeno. Il ruolo decisivo spetta alle contraddizioni interne, poiché
solo il loro sviluppo e la loro soluzione condizionano il passaggio del feno-
meno ad un nuovo stato qualitativo, ad un nuovo stadio di sviluppo. L'influs-
so delle contraddizioni esterne sullo sviluppo di un fenomeno è pure di im-
portanza sostanziale, ma esso si rifrange attraverso il prisma delle contrad-
dizioni interne, esso può essere positivo o negativo, può accelerare lo svi-
luppo di un fenomeno o frenarlo. Ad esempio, l'interazione di un organismo
vivente e dell'ambiente può o accelerare il suo perfezionamento o portarlo
alla morte a seconda delle concrete condizioni in cui viene a trovarsi il dato
organismo.
Le contraddizioni sostanziali sono le interazioni tra i lati opposti le quali si
riferiscono all'essenza dell'oggetto; le contraddizioni non sostanziali sono le
interazioni tra i lati opposti le quali si riferiscono alla sfera dei nessi e rap-
porti casuali.
Può servire da esempio di contraddizione sostanziale la contraddizione tra il
carattere sociale della produzione e la forma privata di appropriazione nella
società capitalistica, poiché caratterizza l'essenza del modo di produzione
capitalistico. Da esempio di contraddizione non sostanziale possono servire
le contraddizioni tra i partiti borghesi che lottano tra di loro alle elezioni; le
contraddizioni che sorgono tra i singoli rami della produzione socialista, ecc.
Queste contraddizioni non investono l'essenza dei fenomeni esaminati, non
caratterizzano questa essenza.
Nello sviluppo delle cose il ruolo determinante spetta alle contraddizioni so-
stanziali. Solo la loro soluzione porta a mutare l'essenza dell'oggetto, a tra-
sformarlo in un altro oggetto. Per quanto riguarda le contraddizioni non so-
stanziali, la loro soluzione non cambia lo stato di cose. Ad esempio, la solu-
zione della contraddizione tra questi o quei partiti borghesi non investe l'es-
senza della società capitalistica, essa rimane sempre la stessa. Ben altra cosa
è la contraddizione tra il proletariato e la borghesia. La sua soluzione porta a
mutare l'essenza dell'ordinamento sociale, a condizionare la trasformazione
del capitalismo nel socialismo.
Tra le contraddizioni sostanziali si distinguono quelle fondamentali e quelle
non fondamentali. Sono le contraddizioni fondamentali quelle che determi-
nano tutti i lati più o meno sostanziali di un fenomeno e assolvono questo
ruolo in tutte le tappe del suo sviluppo. Sono le contraddizioni non fonda-
mentali quelle che caratterizzano un solo lato del fenomeno. Ad esempio, sa-
rà fondamentale la contraddizione nella società capitalistica tra il carattere
sociale della produzione e la forma privata di appropriazione, la contraddi-
zione «tra il capitalismo morente e il comunismo nascente» 86 nel periodo di
transizione dal capitalismo al socialismo; una contraddizione non fonda-
mentale è la contraddizione tra la città e la campagna, la contraddizione fra il
lavoro mentale e quello fisico. Si tratta delle contraddizioni che sono proprie
alla società capitalistica e che caratterizzano non la società nel suo insieme
ma solo questi o quei lati della vita sociale.
I tipi di contraddizioni, qui esaminati, sono propri a tutte le sfere della realtà.
Manifestandosi in questa o quella sfera concreta, in questa o quella forma di
movimento, le contraddizioni acquistano determinate caratteristiche speci-
fiche che le distinguono dalle contraddizioni proprie alle altre sfere o alle al-
tre forme di movimento. Così, possiedono determinate caratteristiche le
contraddizioni della natura inanimata, hanno altre caratteristiche le con-
traddizioni della natura vivente, terze caratteristiche le contraddizioni della
sfera della coscienza, ecc. Possiedono tali caratteristiche specifiche anche le
contraddizioni della vita sociale. Tenendo conto della specificità della vita
sociale, i fondatori del materialismo dialettico e storico facevano distinzione
tra le contraddizioni antagonistiche e non antagonistiche che si sviluppano
in seno alla società.
h. Le contraddizioni antagonistiche e non antagonistiche
Sono antagonistiche le contraddizioni tra le classi o tra gli altri gruppi sociali
che hanno interessi opposti; non antagonistiche sono le contraddizioni tra le
classi o tra gli altri gruppi sociali che hanno interessi comuni di fronte ai
problemi essenziali della vita.
Sono antagonistiche, ad esempio, le contraddizioni tra schiavi e proprietari
di schiavi, contadini e ricchi proprietari terrieri, tra proletariato e borghesia;
***
Molte leggi generali della vita sociale sono studiate, oltre che dal materiali-
smo storico, anche dalle scienze sociali concrete, in particolare dalla lingui-
stica, dalle scienze giuridiche, dall'etica, dall'estetica, dall'economia politica,
dalle scienze storiche. Perciò sorge inevitabilmente la domanda: che cosa di-
stingue l'oggetto del materialismo storico dall'oggetto delle scienze sociali
concrete e quale è il rapporto tra il materialismo storico e queste scienze?
Le scienze sociali concrete di regola studiano i singoli lati della società, le
leggi di funzionamento e di sviluppo delle singole sfere della vita sociale. Ad
esempio, la linguistica si occupa delle leggi di funzionamento e di sviluppo
della lingua, le scienze giuridiche si occupano del diritto, l'etica delle leggi
del sorgere e dello sviluppo delle norme e concezioni morali, l'economia po-
litica delle leggi della vita economica della società nei vari stadi del suo svi-
luppo, ecc. A differenza di queste scienze il materialismo storico studia non
questi о quei lati, queste о quelle sfere della vita sociale, ma la società come un
tutt'uno, come un sistema particolare, relativamente stabile, di movimento
della materia, in cui tutti i lati della vita sociale sono in interconnessione e in-
terdipendenza organica tra di loro. Le leggi studiate dal materialismo storico
sono, in tal modo, leggi dell'interconnessione e dell'interdipendenza di tutti i
lati e anelli dell'organismo sociale.
Ma oltre alle indicate scienze sociali concrete esiste una scienza sociale che
studia non i singoli lati della vita sociale ma, come il materialismo storico, la
società nel suo insieme. Tale scienza è la storia universale. Come distinguere
l'oggetto del materialismo storico da quello della scienza storica?
Il materialismo storico studia i concreti fenomeni storici per scoprire le leggi
generali di funzionamento e di sviluppo della società le quali si manifestano
attraverso questi fenomeni, mentre la scienza storica ha lo scopo di spiegare
i fenomeni concreti partendo dalle rispettive leggi dello sviluppo sociale. In
altri termini, il materialismo storico, esaminando i fenomeni sociali concreti,
si propone di mettere in luce il generale proprio a qualsiasi società in un da-
to stadio di sviluppo, mentre la scienza storica, esaminando questi fenomeni,
si propone di mettere in luce il singolare e di spiegarlo sulla base delle ri-
spettive leggi generali del materialismo storico.
Il tal modo, anche se il materialismo storico e la scienza storica si occupano
di una stessa cosa: della società nel suo insieme, i loro oggetti di indagine
sono diversi.
3. LA LIMITATEZZA DELLE CONCEZIONI SOCIOLOGICHE PREMARXISTE
Determinate idee sulla società, sulle sue forze motrici e sulle sue leggi di svi-
luppo apparvero già nell'antichità. Esse sorsero insieme alla filosofia che ai
primi stadi del suo sviluppo era l'unica scienza dell'epoca. Il suo compito era
non solo di conoscere le forme universali dell'essere, ma anche, e principal-
mente, di spiegare i fenomeni concreti della natura e della vita sociale. Una
volta sorte, le concezioni ideologiche non rimanevano immutate ma cambia-
vano continuamente, particolarmente con il passaggio della società da uno
stadio di evoluzione all'altro. Nonostante tutta la molteplicità delle concezioni
sociologiche premarxiste, era comune ad esse il carattere idealistico. I rispet-
tivi autori derivavano l'essenza della vita sociale, il suo mutare e il suo svi-
luppo da questo о quel principio spirituale: la ragione divina, l'idea assoluta,
lo sviluppo della scienza, della religione, dell'opinione pubblica, ecc. Così,
nella Grecia antica moltissimi filosofi ritenevano che la vita sociale fosse
condizionata dagli dei che si ingeriscono direttamente nella vita terrena e
determinano le sorti degli uomini e dei popoli. Derivavano dalla natura divi-
na l'essenza della vita sociale anche i teologi e i filosofi del Medioevo. Ad
esempio, Tommaso d'Aquino riteneva divine per la loro origine la libertà, la
schiavitù, le distinzioni di classe e il potere statale. Secondo il suo parere, dio
creò libero l'uomo, ma gli mandò, per punirlo dei peccati da lui commessi, la
schiavitù. Inoltre, per il lavoro “sporco” nella società, egli creò, dal suo punto
di vista, il “volgo sporco”: contadini, cittadini, artigiani. Per quanto concerne
il potere statale, esso, secondo la dottrina di Tommaso d'Aquino, è il princi-
pio unificatore nello Stato ed è, rispetto allo Stato, nello stesso rapporto in
cui sono dio e il mondo о l'anima e il corpo.
I materialisti francesi del XVIII secolo Helvétius e Holbach spiegavano i mu-
tamenti nella struttura statale e nelle condizioni di vita degli uomini con il
cambiamento dell'opinione pubblica. Hegel derivava l'essenza e le leggi di
sviluppo della società dall'evoluzione dell'idea assoluta. Feuerbach faceva
dipendere il passaggio della società da uno stadio di sviluppo all'altro dal
cambiamento della religione.
Rilevando il carattere idealistico delle concezioni sociologiche premarxiste,
non dobbiamo però pensare che in queste concezioni non vi sia nulla di ra-
zionale, di scientifico. Alcuni filosofi e sociologi premarxisti formulavano an-
che tesi giuste, materialistiche per la loro sostanza, ma essendo delle suppo-
sizioni geniali, esse non potevano avere una parte sostanziale nelle teorie
sociologiche elaborate da questi pensatori, teorie che si basavano su princìpi
di partenza idealistici.
Così, ad esempio, il filosofo della Grecia antica Democrito, prendendo posi-
zione contro la dottrina dei pitagorici sull'intervento degli dei nella vita so-
ciale degli uomini, formulò l'idea dell'importanza dei bisogni materiali degli
uomini nell'evoluzione della società. Egli riteneva, in particolare, che “il bi-
sogno stesso serviva agli uomini da maestro in tutto”. Al tempo stesso lui
considerava la produzione un prodotto della creazione arbitraria.
Secondo il filosofo greco Pitagora, un importante ruolo nella vita della socie-
tà era assolto da un momento come lo sviluppo della cultura materiale. Di-
mostrando come in seguito allo sviluppo della cultura, in particolare in se-
guito alla scoperta del fuoco e alla comparsa dei mestieri, gli uomini passano
alla comune vita organizzata nelle città, Pitagora dichiarò al tempo stesso
che per passare a questa nuova forma di vita sociale gli uomini dovevano
possedere la capacità di giudicare della giustizia e dell'ingiustizia. E questa
capacità viene trasmessa agli uomini dagli dei.
L'illuminista francese del XVIII secolo Charles-Louis Montesquieu formulò
una profonda idea sulla dipendenza del diritto dal modo di produzione. “Le
leggi – egli scrisse – hanno un rapporto molto stretto con la maniera in cui i
vari popoli si procurano i mezzi di sussistenza” 89. Ma al tempo stesso egli
derivava il contenuto delle leggi dalla forma di governo, cioè da un fattore
politico che aveva, secondo lui, il ruolo decisivo.
Una serie di idee razionali sull'origine della proprietà privata, delle classi e
dello Stato fu espressa da Jean-Jacques Rousseau. Nel suo pensiero la pro-
prietà privata deve la sua origine al fatto che gli uomini, grazie alla capacità
innata di perfezionarsi, inventano nuovi strumenti di produzione e passano
all'agricoltura. Strumenti più perfetti permettono di migliorare il sistema di
coltivazione della terra e portano in fin dei conti al sorgere della proprietà
privata, la quale comporta la divisione della società in ricchi e poveri e la lot-
ta tra di essi. La crescente lotta di classe determina, secondo Rousseau, la
necessità della costituzione dello Stato, che si schiera in difesa della proprie-
tà privata e sancisce il dominio degli abbienti. Descrivendo in linee generali
e in modo abbastanza realistico i processi sociali che portarono al sorgere
delle classi e dello Stato, Rousseau non seppe però mettersi sulle posizioni
89Œuvres complètes de Montesquieu. Paris, 1950, Tome I, Livre XVIII, Chapitre VIII, p. 384.
del materialismo e applicare coerentemente il principio materialistico. In ul-
tima analisi egli si allontana dall'impostazione materialistica della questione
dell'origine dello Stato e passa sulle posizioni dell'idealismo, affermando che
lo Stato fu inventato dai ricchi che convinsero mediante un inganno i poveri
della necessità di creare il potere pubblico. Ne deriva che lo Stato è un pro-
dotto della creazione consapevole degli uomini.
È assai materialistica e giusta in linee generali una tesi avanzata dai materia-
listi francesi del XVIII secolo (Helvétius, Holbach ed altri) secondo cui l'uomo
con tutte le sue aspirazioni, concezioni e emozioni è il prodotto dell'educa-
zione, dell'ambiente sociale in cui vive. “Gli uomini – scrisse in proposito
Helvétius – nel nascere о non hanno nessuna disposizione о hanno una di-
sposizione a tutti i vizi e le virtù contrarie. Dunque, essi non sono che il pro-
dotto della loro educazione” 90.
Ma parallelamente a tale tesi, i materialisti francesi sostenevano un'idea se-
condo cui l'ambiente sociale dipende dalla legislazione e dall'ordinamento
politico che si formano sotto l'influsso delle opinioni degli individui. “L'espe-
rienza – scrisse Helvétius – prova che il carattere e l'intelletto dei popoli
cambiano con la forma del loro governo, che i governi differenti conferisco-
no alternativamente ad una stessa nazione un carattere elevato о vile, co-
stante о leggero, coraggioso о timido”91. Ne derivava che la vita sociale, il suo
sviluppo sono determinati in ultima istanza non dai fattori materiali, non dai
rapporti economici, ma dalla legislazione, dall'attività politica, dall'opinione
degli individui.
Nell'interpretazione dell'essenza della vita sociale andarono alquanto avanti
rispetto ai materialisti francesi gli storici francesi dell'epoca della Restaura-
zione (Guizot, Thierry, Mignet). Essi stabilirono che le istituzioni politiche
sono determinate dai rapporti sociali e che questi ultimi dipendono dallo
stato di proprietà. “Sarebbe più saggio – scriveva, ad esempio, Guizot – stu-
diare prima la società stessa per conoscere e comprendere le sue istituzioni
politiche. Prima di divenire causa, le istituzioni sono effetto, la società le
produce prima di essere modificata sotto il loro influsso; e invece di cercare
di stabilire in base al sistema о in base alle forme di governo quale è lo stato
del popolo, è necessario prima di tutto esaminare lo stato del popolo per sa-
pere quale doveva essere e quale poteva essere il suo governo… ” 92. E prose-
guendo: “Per comprendere le istituzioni politiche è necessario conoscere le
condizioni sociali diverse e i loro rapporti. Per comprendere le condizioni
90 Œuvres complètes de Mr. Helvétius, t. 3, De l'homme, de ses facultés intellectuelles et de son éducation. Londres 1777, p.
297.
91 Ibidem.
92 Da Georges Plekhanov, Œuvres philosophiques. Moscou, 1960, p. 532.
sociali diverse è necessario conoscere la natura e i rapporti delle proprietà”.
Formulando l'idea della dipendenza delle istituzioni politiche dai rapporti
sociali e di questi ultimi dai rapporti di proprietà, i materialisti francesi non
seppero però scoprire la vera causa che determina lo “stato di proprietà”. Il
riferimento alla natura umana come fattore che influisce sui rapporti di pro-
prietà non spiegava nulla e mostrava solo che anch'essi non seppero uscire
dall'ambito delle idee avanzate dagli illuministi i quali tentavano di ridurre
tutti i problemi sociali alla “natura umana” 93.
Fecero un determinato passo per scoprire le cause dell'evoluzione sociale i
socialisti-utopisti (Owen, Saint-Simon, Fourier). Anche se essi, così come i
materialisti francesi del XVIII secolo e gli storici dell'epoca della Restaura-
zione, partivano dalla “natura vera, immutabile dell'uomo”, non si limitarono
però a costatare che i rapporti di proprietà sono alla base degli ordinamenti
sociali, come facevano gli storici francesi dell'inizio del XIX secolo, ma tenta-
rono di spiegare perché questi rapporti assolvono un ruolo così importante.
Saint-Simon vedeva la causa dell'importanza decisiva dei rapporti di pro-
prietà nell'evoluzione sociale, in particolare nei bisogni della produzione,
dell'industria. È con le esigenze dello sviluppo dell'industria che egli spiega-
va, ad esempio, il passaggio della proprietà dalle mani dei feudatari nelle
mani della borghesia e i mutamenti politici che si accompagnavano a questo
processo in Francia. Indicando giustamente la produzione come fattore de-
terminante della vita sociale, Saint-Simon spiegava, al tempo stesso, lo svi-
luppo dell'industria con i mutamenti nella coscienza degli uomini, conside-
randolo un risultato esclusivamente del perfezionamento sul piano intellet-
tuale dell'umanità. In tal modo, anche qui un principio spirituale – la co-
scienza – si presentava come causa finale dell'esistenza e dello sviluppo del-
la società.
Infine, le “condizioni materiali di vita” degli uomini, i loro bisogni materiali
come momento che assolve un importantissimo ruolo nella vita degli uomini
erano indicati dai democratici rivoluzionari russi Bielinskij e Cernyscevski.
Ma al tempo stesso essi riconoscevano nello sviluppo della scienza, dell'i-
struzione il fattore decisivo del progresso storico.
In tal modo, tutti i filosofi premarxisti, sia gli idealisti che i materialisti, spie-
gando l'essenza della vita sociale, le forze motrici della storia, partivano in
ultima analisi da questo о quel principio spirituale, cioè erano degli idealisti.
Come si spiegava questo fatto? Perché l'idealismo dominava incontrastato
nelle concezioni sociologiche dei filosofi e sociologi premarxisti?
A differenza di Hegel, Marx scorse la causa degli stimoli ideali degli uomini
non nello “spirito universale” ma nell'attività degli stessi uomini che forma-
no la società. Egli scopri il fatto elementare, ma nascosto sotto l'orpello ideo-
logico, che “gli uomini devono innanzi tutto mangiare, bere, avere un tetto e
vestirsi prima di occuparsi di politica, di scienza, d'arte, di religione, ecc.; e
che, per conseguenza, la produzione dei mezzi materiali immediati di esi-
stenza e, con essa, il grado di sviluppo economico di un popolo e di un'epoca
in ogni momento determinato costituiscono la base sulla quale si sviluppano
le istituzioni statali, le concezioni giuridiche, l'arte e anche le idee religiose
degli uomini, e partendo dalla quale esse debbono venir spiegate, e non in-
versamente, come si era fatto sinora” 97. Marx estese alla società il principio
materialistico secondo cui la materia è il primo dato e la coscienza è il secondo
dato, e stabili che nella società il momento determinante non è l'attività spiri-
tuale, non la coscienza ma sono le condizioni materiali di vita degli uomini, la
produzione dei beni materiali e dei rapporti economici che sorgono su questa
base.
Una volta scoperto il ruolo determinante della produzione materiale nella vi-
ta degli uomini, Marx giunse naturalmente alla conclusione sul ruolo decisi-
vo dei produttori dei beni materiali – delle masse popolari – nell'evoluzione
sociale e al riconoscimento della lotta di classe quale forza motrice del pro-
gresso storico.
101 Karl Marx, Friedrich Engels, Opere complete, cit., vol. XXV, 108-109.
102 Ibidem, p. 273.
CAPITOLO 9: LA SOCIETÀ E LA NATURA
Quella parte della natura con la quale interagisce la società si suole chiamar-
la ambiente geografico.
L'ambiente geografico comprende l'orbe terracqueo che circonda l'uomo, il
clima, la fauna e la flora, le ricchezze minerali, ecc. Da tutti questi fattori di-
pendono indubbiamente l'esistenza e lo sviluppo della società. La natura è la
dispensa originaria di cibarie e di mezzi di lavoro. È solo utilizzando i suoi
tesori, le proprietà degli enti materiali (oggetti, corpi, processi) che la for-
mano, che gli uomini si creano le necessarie condizioni di esistenza, produ-
cono i beni necessari alla loro vita. La natura, о più precisamente l'ambiente
geografico, esercita, in tal modo, un sostanziale influsso sullo stato e lo svi-
luppo della società.
Ad esempio, “quanto maggiore la fertilità naturale del suolo e quanto più fa-
vorevole il clima, tanto minore il tempo di lavoro necessario per la conser-
vazione e la riproduzione del produttore. E tanto maggiore può essere,
quindi, l'eccedenza del suo lavoro… ”105 e l'accumulazione del patrimonio so-
ciale. Quanto maggiori sono le ricchezze naturali di questo о quel paese, tan-
to più ampie sono le sue possibilità di far progredire la produzione. E quanto
più svariate sono queste ricchezze e le altre condizioni naturali, tanto più
svariata è l'attività degli uomini. A sua volta l'attività multiforme dell'uomo
lo sprona obbligatoriamente a moltiplicare “i propri bisogni, le proprie capa-
cità, i propri mezzi e i propri modi di lavorare” 106.
L'influsso dell'ambiente geografico sullo sviluppo della società si faceva par-
ticolarmente sentire negli stadi iniziali di esistenza dell'umanità. In quel pe-
riodo la comparsa e lo sviluppo di questo о quel tipo concreto di produzione,
di questa о quella attività concreta dipendevano direttamente dall'ambiente
geografico, dalle sue peculiarità. Così, ad esempio, le terre fertili favorivano il
sorgere dell'agricoltura, i fiumi e i laghi condizionavano la comparsa di
un'attività come la pesca, i boschi stimolavano la diffusione della caccia,
mentre le steppe e le montagne offrivano condizioni favorevoli all'alleva-
mento del bestiame.
Quindi, l'ambiente geografico esercita un influsso sostanziale sullo sviluppo
della società. Ma quale è la portata di questo influsso?
fautori del cosiddetto determinismo geografico ritengono che l'influsso
dell'ambiente geografico sulla società è il momento decisivo, che il carattere
della società, il suo sviluppo dipendono interamente da questi о quei fattori
Subendo l'influsso della natura, la società stessa influisce sulla natura circo-
stante, provoca in essa questi о quei mutati e forma in un modo о nell'altro
un nuovo ambiente grafico. Producendo i beni materiali necessari per la sua,
l'uomo trasporta da una regione del mondo all'altra e specie di animali e di
piante e modifica così la flora e auna delle rispettive regioni, dei rispettivi
continenti e ino delle rispettive parti del mondo. Ad esempio, furono portate
in Europa dall'America piante come le patate, i odori, il granturco, il tabacco,
ecc.
Per quanto concerne quelle piante e quegli animali che io fissato dimora in
questa о quella regione del mondo indipendentemente dalla volontà
dell'uomo, anch'essi sumo l'influsso degli uomini. L'uomo trasforma alcune
specie di animali e piante modificandone le caratteristiche conformemente
allo scopo. Inoltre, l'uomo ne crea mediante selezione specie assolutamente
nuove e modifica così la flora e fauna della data regione.
Sotto l'influsso della società umana muta non solo la natura vivente ma an-
che la natura inanimata. Così, in seguito alla combustione di forti quantitativi
di combustibili aumenta nell'atmosfera la concentrazione di anidride carbo-
nica, il che si ripercuote favorevolmente sulla crescita delle piante. Estraen-
do dal sottosuolo grossi quantitativi di minerali utili e trasferendoli, già la-
vorati о allo stato naturale, nelle altre regioni del mondo, l'uomo modifica
così in un modo о nell'altro le proprietà dell'ambiente geografico che lo cir-
conda. L'influsso della società umana sull'ambiente geografico è sempre
uguale. Esso cambia con lo sviluppo della società, con il perfezionamento dei
mezzi di lavoro disponibili, con il mutamento degli ordinamenti sociali. Esso
si accresce continuamente con il progredire della società. Inventando mezzi
di lavoro sempre più perfetti, l'uomo coinvolge nella sfera della sua attività
pratica sempre nuovi campi della natura e li modifica conformemente allo
scopo, affermando così il suo dominio su di essi.
4. IL RUOLO DELL'AUMENTO DELLA POPOLAZIONE NELLA VITA DELLA SOCIETÀ
Come si è già rilevato, la società è la totalità degli individui tra i quali inter-
cedono determinati rapporti condizionati dalla produzione e dalla distribu-
zione dei beni materiali. È evidente che per un normale funzionamento e svi-
luppo della società è necessario un determinato minimo di individui, una de-
terminata densità della popolazione. Questo minimo non può essere costan-
te, esso deve cambiare con il passaggio della società da uno stadio di svilup-
po all'altro. Il minimo di individui necessario per un normale funzionamento
della società cambia per il fatto che con lo sviluppo della società si accresco-
no le esigenze degli individui, aumentano rispettivamente i mezzi di produ-
zione dei beni materiali e spirituali necessari per il soddisfacimento di que-
ste esigenze. Il grado di sviluppo dei mezzi di produzione in ogni dato stadio
di sviluppo sociale e i rapporti da esso condizionati tra gli individui nel pro-
cesso di produzione e di distribuzione dei beni materiali determinano il nu-
mero degli individui necessario per realizzare la produzione e le altre fun-
zioni dell'organismo sociale. Mentre il numero degli individui in seno alla
società è determinato dalle leggi demografiche, che anche se dipendono dal
modo di produzione che domina nella società hanno una determinata auto-
nomia, e, come risultato, l'aumento della popolazione non sempre corri-
sponde all'aumento del fabbisogno in essa. Così, ad esempio, nella società
schiavistica l'aumento della popolazione era in notevole ritardo rispetto al
fabbisogno in essa. Ciò si spiega con il fatto che gli schiavi erano privi della
possibilità di avere una famiglia. Nella società capitalistica, invece, la popola-
zione cresce a ritmi superiori che non la domanda di forza-lavoro addiziona-
le. Come risultato, appare la popolazione “eccedente”. Ciò è una conseguenza
inevitabile dell'azione spontanea delle leggi economiche della società bor-
ghese. Mirando all'aumento dei profitti e non al massimo soddisfacimento
dei bisogni della popolazione, il capitalista allarga la produzione solo finché
il rispettivo prodotto trova una domanda solvibile. La sottomissione dello
sviluppo della produzione agli interessi del capitale, agli interessi della sua
auto valorizzazione è proprio quel fattore che impedisce l'inserimento
nell'attività produttiva di tutta la massa degli operai e determina così la
comparsa di una popolazione operaia relativamente eccedente, cioè ecce-
dente i bisogni medi di auto valorizzazione del capitale, e quindi superflua
109.
Nella società socialista è stato rimosso questo ostacolo, qui lo scopo della
produzione è il massimo soddisfacimento dei bisogni di tutti gli individui,
perciò la produzione, che ha illimitate possibilità per il proprio sviluppo, as-
sicura l'occupazione di tutti i membri della società abili al lavoro. E anche se
il perfezionamento dei mezzi di produzione porta anche qui all'aumento del-
la produttività del lavoro e quindi alla diminuzione della forza-lavoro per
unità di prodotto, ciò non crea, però, la popolazione eccedente. L'aumento
della produttività del lavoro, aumento condizionato dal progresso tecnico,
1. IL CONCETTO DI PRODUZIONE
121 Karl Marx, Friedrich Engels, Opere scelte, cit., pp. 340-341.
vata di un determinato gruppo di individui (padroni di schiavi) su tutti i
mezzi di produzione e l'assenza di tale proprietà per gli schiavi che mettono
in moto i mezzi di lavoro e realizzano la produzione nell'interesse del pro-
prietario. I rapporti di produzione feudali hanno per base la proprietà dei
feudatari sulla terra e su altri mezzi di lavoro e la proprietà parziale sopra il
lavoratore stesso (il quale dispone dei propri mezzi di lavoro ed è dotato di
un appezzamento di terra) che il signore feudale può costringere a lavorare
per sé, può vendere ma non ha il diritto di uccidere, come era invece sotto il
regime schiavistico. Alla base dei rapporti di produzione capitalistici sono la
proprietà dei singoli individui sui mezzi di produzione e l'assunzione “libe-
ra” del lavoratore formalmente (giuridicamente) libero, privo, però, di qual-
siasi mezzo di produzione, e quindi dei mezzi di sussistenza, e costretto per-
ciò a vendere la sua forza-lavoro al proprietario dei mezzi di produzione
(capitalista).
I rapporti di produzione che esprimono la collaborazione e la mutua assi-
stenza, sono di due tipi: i rapporti caratteristici della società primitiva e i
rapporti caratteristici del socialismo. I primi devono la loro origine al basso
livello di sviluppo dei mezzi di lavoro, il quale esclude la possibilità di lavo-
rare da solo, i secondi sono connessi alle forze produttive altamente svilup-
pate, le quali richiedono, per poter funzionare normalmente e svilupparsi li-
beramente, la proprietà sociale dei mezzi di produzione.
I rapporti di produzione transitori pure sono di due tipi: il primo rappresen-
ta la forma di passaggio dalla proprietà sociale a quella privata, il secondo la
forma di passaggio dalla proprietà privata a quella sociale. Il primo tipo è ca-
ratteristico del periodo di decomposizione della società primitiva e di for-
mazione sulla base di essa della società di classe. Può servire da esempio la
schiavitù patriarcale: le famiglie che escono dalla comunità incominciano ad
impiegare oltre al lavoro dei membri della famiglia anche quello degli schia-
vi che si trovano in posizione subordinata ad altri in seno alla famiglia e alla
comunità. Il secondo tipo di rapporti di produzione transitori sorge nel pe-
riodo di trasformazione dei rapporti di produzione capitalistici in rapporti
socialisti. Possono servire da esempio le varie forme di cooperazione semi
socialiste, basate sulla proprietà sia privata che sociale dei mezzi di produ-
zione, nonché le varie forme di capitalismo di Stato.
Essendo una forma sociale nel quadro della quale funziona e si sviluppa la
produzione, i rapporti di produzione non esistono separatamente dalle forze
produttive, fuori e indipendentemente dai mezzi di lavoro a dagli uomini che
mettono in moto questi mezzi. Le forze produttive e i rapporti di produzione
sono due lati diversi, organicamente connessi tra di loro, della produzione e
costituiscono in questa loro unità il modo di produzione dei beni materiali.
Il modo di produzione non è altro che un determinato modo di agire degli
uomini, il quale, trasformando questi о quegli oggetti della natura in mezzi di
sussistenza, in sostanza riproduce l'esistenza fisica dell'uomo. Ma l'influsso
del modo di agire sulla vita degli uomini non si limita a ciò. Il modo di agire
degli uomini ne determina il modo di vita. Marx e Engels rilevavano: “Come
gli individui esternano la loro vita, così essi sono” 122. Ciò che essi sono coin-
cide tanto con ciò che producono quanto col modo come producono.
Il modo di produzione dei beni materiali è la base di tutta la vita sociale, esso
condiziona la struttura dell'organismo sociale, i processi sociali, politici e
spirituali della vita, i rapporti sociali e statali, dipendono da esso la divisione
della società in classi e i rapporti fra di esse, la forma della famiglia, la mora-
le dominante nella società, i rapporti giuridici, le concezioni religiose e este-
tiche degli uomini, ecc. Con il cambiamento del modo di produzione cambia-
no tutti i rapporti sociali, si trasforma tutto l'organismo sociale.
Il modo di produzione incomincia a cambiare con il cambiamento delle forze
produttive della società. “Acquistando nuove forze produttive, gli uomini
cambiano il loro modo di produzione, e con il cambiamento del modo di
produzione, del modo di assicurare la propria vita, essi cambiano tutti i loro
rapporti sociali» 123.
4. LA DIALETTICA DELLO SVILUPPO DELLE FORZE PRODUTTIVE E DEI RAPPORTI DI PRODUZIONE
a. La dipendenza dei rapporti di produzione dal livello di sviluppo delle forze produttive
Le forze produttive costituiscono il contenuto della produzione, mentre i
rapporti di produzione ne costituiscono la forma sociale. Essendo il contenu-
to della produzione, le forze produttive mutano e si evolvono continuamente
e incessantemente. Ciò è determinato dal fatto che la produzione quale fon-
damento e condizione dell'esistenza della società umana funziona ininter-
rottamente. Gli uomini non possono vivere senza consumare i beni materiali
creati nel processo della produzione. Ma al posto dei mezzi di sussistenza
consumati è necessario crearne continuamente nuovi e, dato che la popola-
zione cresce di generazione in generazione e se ne accrescono i bisogni, la
produzione non deve solo riprodurre semplicemente i mezzi di sussistenza
consumati ma crearne nuovi in sempre maggiore quantità.
La necessità della riproduzione allargata dei mezzi di sussistenza induce la
società a perfezionare continuamente le proprie forze produttive.
Lo sviluppo delle forze produttive avviene nel processo di funzionamento
della produzione stessa. Agendo sulla natura con i mezzi di lavoro, gli uomini
126 Karl Marx, Friedrich Engels, Opere complete, cit., vol. XXV, p. 26.
in un modo о nell'altro, una determinata aliquota di mezzi di sussistenza e
partecipa così alla distribuzione dei beni materiali prodotti nella società. Ma
la distribuzione è, come è noto, uno degli elementi dei rapporti di produzio-
ne. Inoltre, ogni individuo già sin dalla nascita appartiene a questo о quel
gruppo sociale, о a questa о quella classe ed entra così in determinati rap-
porti con i rappresentanti degli altri gruppi sociali о delle altre classi.
Nella società antagonistica la struttura ha un carattere di classe. Essendo
l'insieme dei rapporti di produzione che si basano sulla proprietà privata dei
mezzi di produzione e sul principio di dominazione e di sottomissione, essa
assicura l'appropriazione da parte di un gruppo di individui del lavoro di un
altro, lo sfruttamento di alcune classi da parte delle altre classi. Questo mo-
mento, in particolare, caratterizza i rapporti di produzione, cosa che non si
può dire delle forze produttive. Le forze produttive non hanno un carattere
di classe, esse servono sia le vecchie classi che quelle nuove, sia la società
borghese che quella socialista. “La macchina – scrisse Marx – non è una cate-
goria economica più di quanto lo sia il bue che tira l'aratro… , ma il modo in
cui le macchine sono utilizzate è cosa del tutto diversa dalle macchine stesse.
La polvere rimane tale sia essa usata a ferire un uomo о a curarne le feri-
te”127.
Essendo determinata dal livello di sviluppo delle forze produttive, la struttu-
ra è una specie di anello mediatore fra le forze produttive e la sovrastruttu-
ra. Le forze produttive, i mutamenti che vi si producono non influiscono di-
rettamente sulla sovrastruttura, sulle concezioni politiche, giuridiche e altre
della società e sulle istituzioni che corrispondono ad esse. Questo influsso
avviene solo tramite la struttura. Ne consegue che possono presentare uno
stesso livello di sviluppo delle forze produttive le sovrastrutture diverse e
addirittura opposte, in quanto le forze produttive uguali per il loro livello di
sviluppo possono esistere, fino ad un determinato momento, in forme sociali
assolutamente diverse, nel quadro di rapporti di produzione diversi e persi-
no opposti. Ad esempio, le forze produttive dell'URSS e le forze produttive
degli USA hanno un livello di sviluppo pressappoco uguale, ma dell'URSS so-
no caratteristici i rapporti di produzione socialisti, e degli USA i rapporti di
produzione capitalistici. Rispettivamente, la sovrastruttura nell'URSS è so-
cialista e negli USA capitalistica.
Quindi, se noi cercheremo di spiegare la sovrastruttura in base allo stato del-
le forze produttive, non potremo trarre le giuste conclusioni. Ma se noi con-
sidereremo un momento determinante la struttura economica, l'insieme dei
rapporti di produzione che rispecchiano in un modo о nell'altro lo stato delle
Abbiamo già rilevato che lo sviluppo delle forze produttive comporta inevi-
tabilmente un mutamento dei vecchi rapporti di produzione e il sorgere di
quelli nuovi, un mutamento del sistema economico della società. “Con il
cambiamento della base economica si sconvolge più о meno rapidamente
tutta la gigantesca sovrastruttura”129
Però un rivolgimento nella struttura economica della società non è seguito
immediatamente da un rivolgimento nella sovrastruttura. La struttura cam-
bia prima della sovrastruttura. Il nuovo modo di produzione, che rappresen-
ta una più alta formazione antagonistica, sorge in seno alla vecchia struttura.
Una volta sorto, esso è costretto ad esistere per certo tempo nelle condizioni
del dominio della vecchia sovrastruttura che viene a trovarsi in contraddi-
zione con esso. L'acuirsi di questa contraddizione porta di solito ad uno
scontro fra le classi che difendono la vecchia sovrastruttura e le classi che
rappresentano la nuova struttura, cioè ad una rivoluzione, nel corso della
quale si liquida la vecchia sovrastruttura e se ne crea una nuova che corri-
sponde alla nuova formazione economico-sociale.
Così, ad esempio, a suo tempo incominciò a sorgere spontaneamente in seno
alla società feudale un nuovo modo di produzione, quello capitalistico, inve-
stendo un settore dell'economia dopo l'altro. Ma lo sviluppo della produzio-
ne capitalistica incontrò ben presto la resistenza della vecchia sovrastruttu-
ra feudale, entrata in conflitto con la nuova struttura in via di formazione.
Conquistando le posizioni chiavi nell'economia, la borghesia mirava natu-
ralmente ad occupare il posto che le spettava anche in campo politico, mira-
va ad impadronirsi degli organismi del potere e ad utilizzarli per creare le
condizioni più favorevoli alla sua attività economica. Fanno la loro appari-
zione nuove teorie politiche, giuridiche, etiche, filosofiche, ecc., nelle quali si
sottopongono a critica le concezioni e le istituzioni della società feudale. Gli
ideologi della borghesia formularono i princìpi della sovranità popolare,
dell'uguaglianza di tutti di fronte alla legge, dell'abolizione dei privilegi della
nobiltà, ecc. Successivamente, in seguito alla rivoluzione borghese, fu sop-
pressa la vecchia sovrastruttura, quella feudale, e affermata la nuova sovra-
struttura, quella borghese.
131 Karl Marx, Friedrich Engels, Opere complete, cit., vol. XXXIX,
p. 537.
132 V. I. Lenin, op. cit., vol. 29, pp. 384-385.
Fra i tratti distintivi delle classi indicati
da Lenin, il principale è il rapporto de-
gli uomini con i mezzi di produzione.
Tutti gli altri sono determinati da esso.
Infatti, per poter definire il posto degli
individui in un sistema di produzione
sociale tutto sta nel vedere se essi sono
i proprietari dei mezzi di produzione о
non lo sono. Se essi possiedono i mezzi
di produzione, sono i loro bisogni a de-
terminare lo scopo della produzione, la
sua mole e la direzione in cui si svilup-
pa, ma se essi sono privi di mezzi di
produzione, si presentano solo come
forza produttiva impiegata dai proprie-
tari dei mezzi di lavoro a loro discre-
zione. Da ciò dipende anche il loro ruo-
lo nell'organizzazione del lavoro. Chi
possiede i mezzi di produzione è pa-
drone della produzione, organizzatore
della produzione, e, al contrario, chi
non dispone dei mezzi di lavoro è ese-
cutore della volontà altrui, assolve un
ruolo subalterno.
Non meno evidente è anche la dipen-
denza della forma di appropriazione
dei beni materiali prodotti e della loro
quantità dal rapporto degli individui
con i mezzi di produzione. I proprietari
dei mezzi di produzione concentrano
nelle loro mani la parte del leone delle
ricchezze sociali e solo una parte molto
ristretta di beni prodotti viene messa a
disposizione dei lavoratori, produttori
diretti.
Il rapporto con i mezzi di produzione
condiziona anche la possibilità di una
parte della società di vivere del lavoro
dell'altra. Dopo essersi appropriato dei
mezzi di produzione, senza i quali non è
possibile trasformare oggetti e feno-
meni della natura in mezzi di sussisten-
za, un determinato gruppo di individui
ha la possibilità di servirsene per sfrut-
tare coloro che sono privi di questi
mezzi e sono venuti a dipendere eco-
nomicamente dai primi.
La definizione in via di esame delle
classi ha in vista soprattutto le classi
delle formazioni antagonistiche. Ma ciò
non significa affatto che noi non si pos-
sa partire da essa nell'analizzare le
classi della società socialista. Al contra-
rio, questa definizione ci permette di
comprendere meglio i mutamenti quali-
tativi nelle classi della società socialista
sulla via verso la loro estinzione com-
pleta. Le classi della società socialista –
la classe operaia e i contadini colcosiani
– non presentano alcune delle caratte-
ristiche indicate da Lenin nella sua de-
finizione. In particolare, per il loro rap-
porto con i mezzi di produzione le clas-
si della società socialista non si distin-
guono l'una dall'altra. Sia l'una che l'al-
tra sono proprietari dei mezzi di pro-
duzione. La sola differenza risiede nel
fatto che la classe operaia è legata alla
proprietà di Stato, di tutto il popolo,
mentre i contadini colcosiani alla pro-
prietà collettiva, di gruppo, dei mezzi di
produzione. Ma queste due forme di
proprietà sono socialiste. La classe ope-
raia e la classe contadina non si distin-
guono sostanzialmente l'una dall'altra
per il loro ruolo nell'organizzazione
della produzione socialista. Nella socie-
tà socialista la produzione è diretta dai
rappresentanti di entrambe le classi. In-
fine, le classi della società socialista non
si distinguono sostanzialmente sia per
quel che riguarda le modalità di distri-
buzione tra di loro della ricchezza so-
ciale che per quel che riguarda la parte
che tocca a ciascuna di esse. Sia l'una
che l'altra classe riscuotono un guada-
gno la cui entità è determinata dalla
qualità e dalla quantità del lavoro speso
per la società. Tutto ciò sta a dimostra-
re che quelle della società socialista non
sono classi antagonistiche; dato che
hanno interessi identici per quel che
concerne i problemi essenziali della vi-
ta e perseguono uno stesso scopo: la
costruzione della società comunista, vi-
gono tra di esse i rapporti di collabora-
zione e di mutua assistenza. Man mano
che avanzeranno sulla via verso il co-
munismo, le differenze fra di esse an-
dranno cancellandosi sempre di più fi-
no a quando non scompariranno del
tutto.
2. L'ORIGINE DELLE CLASSI
133 Karl Marx, Friedrich Engels, Opere complete, cit., vol. XXV, p.
156.
duttore diretto e di cui potrebbero ap-
propriarsi sistematicamente gli sfrutta-
tori. La violenza non può produrre que-
sti beni, essa può solo toglierli a chi li
ha prodotti. In altre parole, la violenza
“può certo modificare lo stato di pos-
sesso ma non produrre la proprietà
privata come tale”* II sorgere delle
classi è dovuto non alla violenza ma alle
cause economiche che condizionano la
creazione dei mezzi di sussistenza ad-
dizionali non necessari all'esistenza del
produttore e la possibilità per singoli
individui e gruppi sociali di appropriar-
sene.
b. La teoria marxista dell'origine delle classi
Abbiamo or ora parlato del come il
marxismo per primo abbia messo in lu-
ce il nesso tra lo sviluppo della produ-
zione e la struttura di classe della socie-
tà. Il nesso fra le classi e lo sviluppo del-
la produzione consiste prima di tutto
nel fatto che occorre un determinato li-
vello di sviluppo della produttività del
lavoro, affinché appaia una possibilità
reale di sfruttamento dell'uomo
sull'uomo. Infatti, quando l'uomo pro-
duce solo il minimo necessario per as-
sicurare la propria esistenza fisica e
quella della prole, qualsiasi appropria-
zione sistematica del lavoro altrui è as-
solutamente esclusa. E solo quando le
forze produttive raggiungono un tale li-
vello di sviluppo con cui diventa possi-
bile produrre molto in più di quanto è
necessario alla sussistenza del produt-
tore diretto, appare la possibilità di ap-
propriazione dei risultati del lavoro al-
trui.
Nella comparsa delle classi ebbe un
ruolo di rilievo la divisione sociale del
lavoro. Come è noto, la prima grande
divisione sociale del lavoro si ebbe con
la comparsa delle tribù dedite alla pa-
storizia. Essa portò, da una parte,
all'aumento della loro produttività del
lavoro e, dall'altra, alla produzione di
tutta una serie di nuovi prodotti prima
sconosciuti. Queste tribù incominciaro-
no a produrre non solo carne e latticini
ma anche pelli, lana, pelo di capra e, pa-
rallelamente a ciò, anche filati e tessuti.
Ciò per la prima volta rese possibile
uno scambio regolare con le altre tribù,
in particolare con le tribù dedite alla
coltivazione della terra. La possibilità
così apparsa di scambiare i prodotti
stimolò lo sviluppo dell'agricoltura e
dell'artigianato. Quest'ultimo aumenta-
va sempre di più la quantità di lavoro
quotidiana che toccava ad ogni membro
della gens. Si fece sentire il bisogno di
nuova forza-lavoro. Essa fu fornita dalla
guerra con la trasformazione dei pri-
gionieri in schiavi.
In un primo tempo il lavoro degli schia-
vi è impiegato ancora sporadicamente,
gli schiavi sono una specie di ausiliari
che lavorano insieme agli altri membri
liberi della comunità e il loro modo di
vita spesso non differisce dal modo di
vita dei liberi. Ma con l'ulteriore svilup-
po della produzione, in particolare in
seguito alla seconda grande divisione
sociale del lavoro, quando l'artigianato
si separa dall'agricoltura, e, successi-
vamente, con la divisione del lavoro in
quello fisico e in quello mentale, gli
schiavi cessano di essere semplicemen-
te dei lavoratori ausiliari. Essi vengono
spinti a dozzine al lavoro nei campi e
nelle officine. Essi incominciano ad ese-
guire tutti i lavori fondamentali con-
nessi alla produzione dei beni materiali
e non vengono ora considerati come
membri della famiglia ma come cose,
come strumenti parlanti. La schiavitù
diventa la forma principale di condu-
zione dell'economia. «… Con la divisione
del lavoro – scrive Marx – si dà la possi-
bilità, anzi, la realtà, che l'attività spiri-
tuale e l'attività materiale, il godimento
e il lavoro, la produzione e il consumo
tocchino a individui diversi… >Λ
Le forze produttive in sviluppo resero
possibile il lavoro individuale о in fami-
glia. Il lavoro a grossi collettivi cede il
posto al lavoro individuale. Cambia il
carattere del lavoro, cambia anche la
forma di ripartizione del prodotto. Se
prima il prodotto apparteneva alla co-
munità, ora esso rimane a disposizione
dei capifamiglia e ne diventa proprietà.
Così si sostituisce alla proprietà sociale,
sorta spontaneamente in seno alla so-
cietà primitiva, la proprietà privata che
ora rispondeva meglio ai bisogni della
produzione.
Le differenze dei possessi tra i singoli
membri della società fanno saltare in
aria, secondo un'espressione di Engels,
l'antica comunità comunistica. Il regime
gentilizio fa così il suo tempo. Si sosti-
tuisce ad esso una società fondata sulla
proprietà privata e sullo sfruttamento
di una parte della società ad opera
dell'altra, di una classe ad opera dell'al-
tra.
3. LA CRITICA DELLA TEORIA DELLA STRATIFICAZIONE
E DELLA MOBILITÀ SOCIALE
137 Karl Marx, Friedrich Engels, Opere scelte, cit., pp. 596-597.
cietà “senza classi”, ma non sulla via
predicata da Marx… La società “senza
classi” viene non attraverso la dittatura
transitoria del proletariato, ma grazie
all'enorme espansione della classe me-
dia che tende ad assorbire le classi che
si trovano al di sotto di essa”138.
Nel definire la classe media, i sociologi
borghesi partono da qualsiasi cosa, ma
solo non dal posto che gli individui oc-
cupano nel sistema di produzione so-
ciale, e tanto meno dal rapporto che es-
si hanno con i mezzi di produzione. Da
criterio che permette di includere que-
sti о quegli individui nella classe media
serve spesso l'ammontare del reddito
della famiglia. Non solo, ma l'ammonta-
re di questo reddito è stabilito in modo
da poter includere nella stessa classe
media sia il capitalista che l'operaio.
146 Karl Marx, Friedrich Engels, Opere scelte, cit pp. 1067-1068.
coli, puniva i trasgressori, costringen-
doli a rispettare le esistenti norme di
condotta. Nello Stato, invece, il potere si
separa dalla popolazione, si pone al di
sopra di essa e si contrappone ad essa
nella forma di particolari gruppi di in-
dividui che hanno a loro disposizione
distaccamenti armati, prigioni e istituti
di pena di ogni genere.
Infine, è caratteristico dello Stato l'esa-
zione delle imposte che gli assicurano i
beni materiali necessari per il mante-
nimento degli individui che esercitano
il potere.
In quanto per la sua natura intrinseca
lo Stato fondato sullo sfruttamento è
uno strumento di oppressione e di re-
pressione degli sfruttati, di salvaguar-
dia di quei rapporti fra gli uomini che
sono graditi e vantaggiosi agli sfrutta-
tori, la funzione di repressione è la sua
funzione principale. Tutto il suo mec-
canismo, tutti i suoi organi sono strut-
turati in modo da stroncare le azioni
degli sfruttati volte contro gli sfruttato-
ri, da stroncarle sin dall'inizio о in quel
momento quando diventano pericolose
per gli sfruttatori.
Realizzando la repressione fisica dei la-
voratori, lo Stato sfruttatore adempie
anche la funzione di repressione spiri-
tuale della popolazione. Esso dispone di
una estesa rete delle istituzioni ideolo-
giche, compresa la Chiesa, le quali pro-
pagandano le idee, le concezioni, i prin-
cìpi morali che esprimono gli interessi
della classe dominante. Inoltre, lo Stato
interviene, quando ciò è vantaggioso al-
la classe dominante e in un grado van-
taggioso a quest'ultima, nella vita eco-
nomica e influisce sul suo sviluppo.
Questa tendenza è diventata partico-
larmente manifesta all'epoca dell'impe-
rialismo, quando lo Stato, essendo al
servizio dei grandi monopoli, si ingeri-
sce nell'interesse di questi ultimi nella
soluzione di questi о quei problemi
economici.
Lo Stato adempie anche la funzione
esterna. Non è la sua funzione principa-
le ma è necessaria per realizzare gli in-
teressi della classe dominante. Esso di-
fende il suo paese dagli attentati da
parte degli altri Stati, conduce le guerre
per conquistare nuovi territori e nuove
sfere d'influenza, prende parte alla so-
luzione dei problemi politici ed econo-
mici internazionali, sempre nell'inte-
resse della classe dominante.
La funzione esterna dello Stato è stret-
tamente legata alle funzioni interne, es-
sa persegue uno stesso scopo, quello di
salvaguardare gli interessi della classe
dominante all'interno del paese e nelle
relazioni con gli altri paesi.
4. I TIPI E LE FORME DI STATO
156 Karl Marx, Friedrich Engels, Opere scelte, cit., pp. 302-303.
namento sociale, tutte le precedenti ri-
voluzioni si limitavano a distruggere
ciò che impediva a questi rapporti di
svilupparsi. La rivoluzione socialista
non si limita a distruggere ciò che è
vecchio, ciò che storicamente ha fatto il
suo tempo, essa è chiamata ad assolve-
re un compito costruttivo: creare nuove
forme di proprietà, nuovi rapporti di
produzione che non potevano sorgere
in seno alla vecchia società fondata sul-
la proprietà privata157.
Tutte le precedenti rivoluzioni che
esprimevano gli interessi degli sfrutta-
tori, cioè di una minoranza, e si riduce-
vano alla sostituzione del dominio di
una classe con il dominio di un'altra,
non potevano destare le masse lavora-
trici ad attività creativa. La rivoluzione
socialista si compie nell'interesse
dell'enorme maggioranza, perciò essa
associa ad un'opera attiva larghi strati
159 Karl Marx, Friedrich Engels, Opere complete, cit., vol. V, pp.
44-45.
vo grado, la coscienza sociale “tira” die-
tro di sé determinate idee e teorie della
precedente epoca, che si rendono auto-
nome rispetto al nuovo essere sociale
in via di sviluppo. È come se esistessero
per conto proprio.
Così, ad esempio, la nascita della pro-
duzione socialista nell'URSS ha modifi-
cato radicalmente l'essere sociale dei
cittadini sovietici, nonché la loro co-
scienza sociale. Però, nella società so-
vietica si riscontrano anche idee e teo-
rie nate nel lontano passato, idee e teo-
rie che non solo non corrispondono
all'essere sociale socialista ma sono ad-
dirittura in contrasto con esso. Si riferi-
scono ad esse, in particolare, le idee re-
ligiose che sopravvivono nella coscien-
za di una certa parte dei membri della
società sovietica.
Ciò, s'intende, non significa che questi о
quei momenti della coscienza sociale
siano assolutamente autonomi di con-
tro all'essere sociale. L'autonomia della
coscienza sociale è sempre relativa.
Queste о quelle idee e concezioni pos-
sono essere autonome solo di contro al-
le condizioni storiche che dominano in
un dato tempo, di contro all'essere so-
ciale dominante, ma non di contro alle
condizioni materiali di vita come tali.
L'autonomia relativa della coscienza
sociale è condizionata prima di tutto
dal fatto che le idee possono sopravvi-
vere a quell'essere sociale cui devono la
loro origine, cioè dal fatto che nel suo
sviluppo la coscienza sociale accusa un
certo ritardo rispetto all'essere sociale.
L'autonomia relativa della coscienza
sociale è anche una conseguenza
dell'interazione delle forme diverse di
coscienza sociale, interazione che de-
termina nel contenuto di questa о quel-
la forma di coscienza sociale tratti e lati
che non possono essere spiegati diret-
tamente dalle date condizioni materiali.
Ma anche qui l'autonomia del lato spiri-
tuale della vita sociale è solo relativa,
poiché anche l'interazione stessa delle
forme diverse di coscienza sociale è de-
terminata, in ultima istanza, da fattori
materiali oggettivi.
3. L'INFLUSSO DELLA COSCIENZA SOCIALE SULL'ESSERE
SOCIALE
160 Karl Marx, Friedrich Engels, Opere scelte, cit., pp. 64-65.
deologia avanzata non si impadronisce
automaticamente delle masse popolari,
ma solo nel corso di una lotta serrata
delle nuove idee contro le vecchie idee,
andate radicandosi durante la vita di
molte generazioni. È su questa base che
si svolge una lotta acuta per le masse,
per la diffusione tra di esse di questa о
quella ideologia, lotta condotta, di rego-
la, dai partiti politici.
4. LA STRUTTURA DELLA COSCIENZA SOCIALE
6. LA COSCIENZA GIURIDICA
a. Il concetto di morale
L'uomo non può vivere fuori della so-
cietà, fuori della collettività che presen-
ta sempre determinate esigenze per
quel che riguarda il comportamento dei
suoi membri. Perciò l'individuo deve
commisurare le proprie azioni agli inte-
ressi della società che le giudica come
buone о come cattive, come giuste о
come ingiuste.
I giudizi della società su questi о quegli
atti degli individui, giudizi che li valuta-
no dal punto di vista del bene, del male,
della giustizia, dell'ingiustizia, dell'one-
stà о della disonestà, si chiamano giudi-
zi morali.
I giudizi morali trovano la loro incarna-
zione in determinate regole e norme di
condotta cui obbediscono gli individui
nelle loro relazioni reciproche. L'insie-
me delle norme morali costituisce la
morale che vige in una data società.
In tal modo, la morale è l'insieme delle
norme e delle regole di condotta degli
individui nella società in una data tappa
del suo sviluppo, le quali esprimono i
giudizi della società (o di una singola
classe) su questi о quegli atti degli indi-
vidui dal punto di vista del bene, del
male, della giustizia, dell'ingiustizia,
dell'onestà о della disonestà.
Parallelamente alle norme della morale,
come, già sappiamo, esistono nella so-
cietà anche le norme del diritto, le qua-
li, come le norme morali, regolano la
condotta degli individui. Le norme mo-
rali si distinguono, però, sostanzial-
mente dalle norme del diritto. Questa
distinzione si esprime prima di tutto
nel fatto che dietro le norme del diritto
sta la forza della coercizione statale. Se
questo о quel membro della società si
rifiuterà di osservare questa о quella
norma del diritto, gli organi del potere
lo costringeranno a rispettarla.
Le norme della morale non possiedono
una tale forza coercitiva. Dietro di esse
sta la forza dell'opinione pubblica. Poi,
le norme del diritto vengono stabilite
dallo Stato e assumono la forma di leg-
gi, mentre le norme morali vengono
formulate dalla società о da una classe
generalizzando la prassi dei rapporti
tra gli individui e le concezioni che si
creano sotto un diretto influsso delle
condizioni materiali di vita intorno a
momenti come il bene, il male, la giusti-
zia, l'ingiustizia e l'ideale morale.
b. L'origine della morale
Gli idealisti derivano la morale dalla co-
scienza, da questo о quel principio spi-
rituale. Il filosofo greco Platone collega-
va l'esistenza della morale con l'“idea
del bene” la quale si trova fuori della
coscienza umana. Kant la collegava con
un al di là inconoscibile. Sono assai dif-
fusi anche i tentativi di derivare la mo-
rale dalla natura biologica dell'uomo, in
particolare da impulsi istintivi dell'uo-
mo, come la difesa da parte della fem-
mina delle sue creature, l'istinto grega-
le, l'istinto di mutua assistenza. “… Il
campo dei fenomeni morali – rileva, ad
esempio, K. Kautsky – non è qualcosa
che sia proprio esclusivamente all'uo-
mo: questi fenomeni esistono anche
presso gli animali sociali e non sono che
un'espressione degli istinti sociali”163.
Vi sono pure sociologi che derivano la
morale da queste
quelle cosiddette proprietà eterne, im-
mutabili della natura umana: la litigio-
sità о la predisposizione al bene, ecc.
Per la prima volta una spiegazione
scientifica dell'origine e dell'essenza
della morale fu fornita solo dal marxi-
smo sulla base della concezione mate-
rialistica della storia.
La morale è un fenomeno sociale. Essa
sorge e esiste solo nella società, sulla
base dell'attività produttiva comune,
164 Karl Marx, Friedrich Engels, Opere complete, cit., vol. XXV, p.
89.
mezzi di sussistenza creati dall'uomo
non bastavano a soddisfare i bisogni del
produttore diretto, non era considerato
un atto amorale il cagionare consape-
volmente la morte degli individui inol-
trati negli anni che non potevano più
mantenere se stessi. Successivamente,
col mutarsi delle condizioni materiali di
vita, quando le forze produttive si sono
talmente sviluppate da rendere possibi-
le il plusprodotto che non è assoluta-
mente necessario alla sussistenza del
produttore diretto, le sopraindicate
azioni erano già considerate amorali.
Erano, invece, riconosciuti conformi al-
la morale gli atti che esprimevano il ri-
spetto, la sollecitudine per i vecchi.
c. Il carattere di classe della morale
Mutamenti particolarmente sostanziali
si sono prodotti nella sfera della morale
con la divisione della società in classi.
Se prima la morale era una sola per tut-
ti i membri della società, ora questa
unità scompare. Ogni classe elabora le
proprie norme morali. E ciò non è ca-
suale. La morale dipende dalle condi-
zioni materiali di vita degli uomini, ma
nella società di classe queste condizioni
sono diametralmente opposte per le
classi antagonistiche, e perciò è natura-
le che queste classi abbiano una conce-
zione diversa del bene e del male, della
giustizia e dell'ingiustizia e si facciano
guidare da princìpi morali assoluta-
mente diversi.
Ma nella società sempre dominano le
concezioni morali e le norme etiche che
esprimono gli interessi della classe do-
minante. Questa classe mira ad imporre
a tutti le proprie concezioni morali e le
rispettive norme etiche. Ma in forza del
fatto che dietro la norma etica sta non
la forza della coercizione statale, come
è il caso del diritto, ma la forza dell'opi-
nione pubblica, i lavoratori non ricono-
scono giuste norme, non le osservano,
non tengono conto dell'opinione pub-
blica degli sfruttatori. Man mano che
cresce la coscienza di classe dei lavora-
tori, appaiono tra di loro concezioni
morali, princìpi etici diametralmente
opposti alle norme etiche della classe
sfruttatrice dominante.
Se prenderemo la società capitalistica,
vedremo che la morale che vi domina è
la morale della classe dei capitalisti, la
morale borghese. Base economica di
questa morale è la proprietà privata dei
mezzi di produzione. Ma la proprietà
privata, secondo un'espressione di A.
M. Gorki, “divide gli uomini, li spinge gli
uni contro gli altri, crea un irriconcilia-
bile antagonismo degli interessi, mente,
cercando di nascondere о di giustificare
questo antagonismo, e corrompe tutti
con la menzogna, con l'ipocrisia e con la
malvagità”.
Nella società borghese domina il prin-
cipio della compravendita. Qui tutto as-
sume la forma di merce. Voi potete
comprare non solo gli oggetti di con-
sumo, non solo i generi alimentari, ma
anche gli uomini, il loro sangue, la loro
coscienza. Metro principale dei rapporti
fra gli uomini diventa il denaro. Chi lo
possiede, è ritenuta una persona per
bene, degna di rispetto, indipendente-
mente dal modo in cui ha acquistato la
ricchezza. Nel dare la caccia al profitto,
il borghese calpesta tutte le norme mo-
rali, è pronto a commettere qualsiasi
delitto, se lo attende un lauto profitto.
Caratterizzando il dato tratto distintivo
della personalità del borghese, Marx
scriveva: «Il capitale aborre la mancan-
za di profitto о il profitto molto esiguo
come la natura aborre il vuoto. Quando
c'è un profitto proporzionato, il capitale
diventa coraggioso. Garantitegli il dieci
per cento, e lo si può impiegare dapper-
tutto; il venti per cento, e diventa viva-
ce; il cinquanta per cento, e diventa ve-
ramente temerario; per il cento per
cento si mette sotto i piedi tutte le leggi
umane; dategli il trecento per cento, e
non ci sarà nessun crimine che esso
non arrischi, anche pena la forca»165.
La morale borghese educa l'egoismo e
l'individualismo. «L'uomo è lupo per
l'uomo», «Ognun per sé, dio per tutti»,
ecco i princìpi della morale borghese.
Oltre alla morale borghese sorge e si af-
ferma nella società capitalistica una
morale nuova, più elevata, la morale del
proletariato, classe progressiva chiama-
ta a liberare l'umanità dal bisogno e
dallo sfruttamento.
La morale proletaria si forma man ma-
no che il proletariato si unisce nella lot-
ta contro gli sfruttatori, man mano che
nasce e si sviluppa la sua coscienza di
classe. «La morale proletaria – scrisse il
noto statista sovietico M. I. Kalinin – si
formava direttamente nei posti di lavo-
ro: nelle officine e nelle fabbriche».
I princìpi della morale proletaria sono
diametralmente opposti a quelli della
166 Karl Marx, Friedrich Engels, Opere, vol. 4, p. 204. Ed. russa.
produzione, la quale, a differenza della
proprietà privata che determina l'anta-
gonismo tra gli uomini, unisce gli uo-
mini, fa nascere e sviluppa il principio
di mutua assistenza.
Quale morale di classe, la morale prole-
taria è, al tempo stesso, la morale di tut-
ti i lavoratori, poiché il proletariato con
la sua lotta contro gli sfruttatori difen-
de non solo i propri interessi, ma anche
le aspirazioni di tutto il popolo, esso si
batte non solo per la propria liberazio-
ne dal giogo del capitale, ma anche per
la liberazione di tutti i lavoratori dallo
sfruttamento. Perciò man mano che
progredisce la costruzione del sociali-
smo e del comunismo la morale della
classe operaia acquista sempre più
chiaramente le caratteristiche dell'etica
comunista che esprime gli interessi di
tutti i lavoratori.
La morale comunista è tutto ciò «che
serve a distruggere la vecchia società
sfruttatrice e ad unire tutti i lavoratori
intorno al proletariato che sta co-
struendo la nuova società… ”167. La mo-
rale comunista è subordinata, in tal
modo, “agli interessi della lotta di classe
del proletariato”168. La morale comuni-
sta si fonda «sulla lotta per consolidare
e portare a compimento il comuni-
smo”169.
La morale comunista, oltre al principio
del collettivismo di cui abbiamo parlato
sopra, comprende anche una serie di al-
tri princìpi. Sono la fedeltà alla causa
del comunismo, l'amore per la Patria
socialista, il lavoro onesto al servizio
della società, la sollecitudine di ogni cit-
tadino per salvaguardare e incrementa-
re il patrimonio sociale; la profonda
comprensione del dovere sociale e l'in-
transigenza verso le violazioni degli in-
teressi sociali; i rapporti umani e di re-
ciproco rispetto tra gli uomini; l'onestà
173 Cassius Jackson Keyser, The Collected Works, vol. II. N. Y.,
1952, p. 242.
Ciascuno di questi sistemi – dice Keyser
– rifletterà il sentimento etico di questo
о quell'individuo e perciò esso è vero,
poiché fissa un fatto concreto della
realtà.
Keyser ignora assolutamente il fatto
che nonostante la diversità dei giudizi
morali di questi о quegli individui, vi
sono i momenti comuni determinati
dalla posizione che essi occupano nella
società, nella produzione dei beni ma-
teriali. Questi momenti comuni nella
valutazione di questo о quel fenomeno
si presentano come un sistema di prin-
cìpi morali, sistema riconosciuto da tut-
ti i membri di questo gruppo, ad esem-
pio dai rappresentanti di una classe,
anche se possono esservi deviazioni di
ogni sorta nella valutazione di questo о
quel fenomeno da parte dei singoli
membri di questo gruppo. Ma queste
sfumature, questa individualità nella
valutazione dei fenomeni non costitui-
scono affatto un ostacolo all'esistenza
di un sistema morale comune ai rap-
presentanti della data classe. Questo si-
stema esisterà e si farà strada attraver-
so tutte queste sfumature, attraverso
tutta questa molteplicità di deviazioni
come tendenza generale in queste о
quelle azioni.
Vediamo, in tal modo, che la filosofia
idealistica, speculando sull'individuali-
tà dei giudizi etici degli uomini, nega la
comunanza di norme morali per i ri-
spettivi gruppi sociali di uomini e, al
tempo stesso, anche il criterio oggettivo
della verità nella sfera della morale.
Come si risolve, dunque, la questione
del criterio della verità delle norme
morali?
Come già sappiamo, la morale di ogni
data epoca, di ogni data classe è un ri-
flesso delle condizioni materiali di vita,
della situazione economica degli uomi-
ni. Proprio ciò determina il carattere
storicamente mutevole delle concezioni
e norme morali. E come si registra un
processo oggettivo nella sfera dello svi-
luppo delle condizioni materiali di vita
degli uomini così si registra un pro-
gresso anche nella sfera dell'etica. È alla
luce di questo sviluppo progressivo del-
la società che il marxismo risolve la
questione del criterio della verità dei
giudizi morali. Più vera è quella morale
che contribuisce al massimo allo svilup-
po progressivo della società, quella mo-
rale che difende il futuro, rispecchia i
compiti dello sviluppo progressivo della
società. Attualmente tale morale è solo
la morale proletaria, comunista. Chie-
dendosi quale delle forme della morale
esistenti nella società capitalistica è ve-
ra, Engels risponde: «… Sarà in posses-
so del maggior numero di elementi che
promettono di essere duraturi quella
morale che rappresenta nel presente il
rovesciamento del presente (Engels al-
lude al rovesciamento dell'ordinamento
capitalistico – N.d.A.), il futuro, e, quin-
di, la morale proletaria»174.
8. L'ARTE
174 Karl Marx, Friedrich Engels, Opere complete, cit., vol. XXV, p.
89.
della vita spirituale degli uomini. Ne
consegue che le opere d'arte vengono
create dal loro autore non per soddisfa-
re un determinato bisogno sociale ma
solo per compiere un certo passo nel
suo autoperfezionamento.
Non vi è dubbio che nel processo di
creazione di un'opera d'arte l'artista
perfeziona se stesso, la propria mae-
stria, sviluppa e arricchisce il proprio
mondo spirituale. Ma è forse in ciò che
risiede l'essenza dell'arte come feno-
meno sociale? No, certo. Si sa che l'arte
come fenomeno sociale è sorta e si è
sviluppata in risposta al bisogno di
opere che procurassero agli uomini
soddisfazione estetica. In relazione a
ciò, gli artisti, creando queste о quelle
opere, non hanno in vista né se stessi
né il proprio perfezionamento, ma gli
altri uomini, determinati bisogni di
questi ultimi. L'autoperfezionamento
degli individui nel processo di creazio-
ne delle opere d'arte non è affatto un
momento specifico dell'arte. L'autoper-
fezionamento in campo spirituale si ha
anche in seguito alle ricerche scientifi-
che, durante gli studi, nel corso dell'a-
dempimento di molte altre funzioni so-
ciali.
Alcuni studiosi borghesi di estetica di-
chiarano che la specificità dell'arte ri-
siederebbe nel fatto che essa, essendo
soggettiva, presuppone una «conoscen-
za concreta e diretta dei valori dell'e-
sperienza», a differenza della scienza
che, rispecchiando i lati e i nessi i quali
si prestano ad una misurazione e de-
scrizione precisa, può essere ricono-
sciuta come «oggettiva».
L'erroneità della data asserzione è fuori
dubbio. La distinzione tra la scienza e
l'arte non consiste nel fatto che la pri-
ma riflette la verità oggettiva e l'altra
no, ma nel fatto che esse la riflettono in
modo diverso. Per creare un'opera d'ar-
te è ben lungi dal bastare la «conoscen-
za concreta e diretta dei valori dell'e-
sperienza». Sono necessarie per questo
anche un'elaborazione logica di questa
esperienza, la penetrazione all'interno
degli oggetti e dei fenomeni, una cono-
scenza adeguata della loro essenza.
La specificità dell'arte come forma di
coscienza sociale è determinata dal suo
oggetto, dalla forma artistico-figurativa
di riflessione della realtà e dalle funzio-
ni da essa assolte nella società.
L'oggetto dell'arte è assai ampio. Esso
abbraccia tutti gli aspetti molteplici del-
la vita e dell'attività degli uomini. Riflet-
tendo questi о quei lati della realtà, l'ar-
te, a differenza della scienza dove il
processo della conoscenza è volto a ri-
flettere l'oggetto – la realtà – nelle sue
caratteristiche oggettive, riflette l'og-
getto nella sua connessione con il sog-
getto, essa riproduce non solo le pro-
prietà inerenti all'oggetto ma anche
l'atteggiamento emozionale del sogget-
to verso queste proprietà.
La specificità dell'oggetto di riflessione
nell'arte condiziona la specificità della
forma di riflesso, cioè dell'immagine ar-
tistica il cui contenuto sono il riflesso
della realtà e la valutazione di essa da
parte dell'artista. Il contenuto dell'im-
magine artistica include in sé un'infor-
mazione e sul mondo e sull'artista che
viene a conoscerlo, sui suoi sentimenti,
pensieri, propositi, ecc.
A differenza della scienza, dove il pro-
cesso di riflessione avviene nella forma
di concetti, cioè di immagini ideali ge-
nerali che riproducono nella coscienza
degli individui necessari lati e nessi
dell'oggetto d'indagine, nell'arte l'es-
senza, i necessari lati e nessi della real-
tà si riflettono in forma sensibile con-
creta, intuitivo-figurativa, nella forma
di un fenomeno unico, irrepetibile. Ac-
centrando l'attenzione su questi о quei
lati del fenomeno da lui raffigurato, l'ar-
tista ne esprime l'essenza, le leggi in-
terne e le tendenze di sviluppo e ne
fornisce questa о quella valutazione in
conformità alla sua concezione del
mondo.
Peculiarità dell'arte è anche che essa
racchiude in sé l'unità della riflessione
della realtà e della creazione pratica di
valori estetici in cui trovano la loro in-
carnazione gli ideali estetici della socie-
tà. L'unità di questi momenti trova la
sua espressione palese nell'immagine
artistica che si presenta sia come forma
di conoscenza artistica, sia come risul-
tato oggettivato della creazione artisti-
ca, cioè come prassi artistica. L'imma-
gine artistica si crea nel processo di og-
gettivizzazione di essa nel materiale di
questo о quel tipo d'arte (forme, colori,
linee, suoni, movenze, ecc.). Grazie a ciò
l'immagine artistica acquista materiali-
tà sensibile concreta, sostanzialità, e di-
venta accessibile alla nostra percezio-
ne.
Ma il momento determinante nell'opera
d'arte è il suo contenuto ideale-
emozionale. L'arte si riferisce prima di
tutto alla sfera della produzione spiri-
tuale.
b. Le funzioni sociali dell'arte
L'arte è una delle più antiche forme di
coscienza sociale. Essa ha la propria
storia, la propria logica di sviluppo de-
terminata dalle leggi generali di evolu-
zione della società. L'arte, come qual-
siasi altra forma di coscienza sociale, è
un riflesso dell'essere sociale, esprime
nel suo sviluppo determinate tendenze
di mutamento delle condizioni materia-
li di vita degli uomini, le esigenze del
progresso storico.
Presentandosi sin dall'inizio come as-
similazione artistica della realtà e come
trasformazione creativa di essa, l'arte
nei primi tempi era direttamente colle-
gata con l'attività lavorativa e con tutto
il modo di vita della collettività primiti-
va.
Quali motivi dunque spingevano l'uomo
primitivo, che era «completamente
schiacciato dalle difficoltà dell'esisten-
za, dalle difficoltà della lotta con la na-
tura»175, ad occuparsi della creazione
artistica? Il bisogno sociale che chiamò
alla vita l'assimilazione estetica della
realtà e la stessa attività estetica era le-
gato all'aspirazione dell'uomo a cono-
scere il mondo, a comprendere il pro-
prio posto in esso e a trasformarlo. Lo
stimolo alla conoscenza era la necessità
per l'uomo di agire conformemente allo
scopo sulla natura, di modificarla con-
formemente ai bisogni della società.
Perché l'attività produttiva potesse
funzionare e svilupparsi normalmente,
l'uomo doveva venir a conoscere un'e-
stesa cerchia di oggetti e fenomeni del
mondo circostante: le abitudini degli
animali, la struttura del loro corpo, le
proprietà del legno, della pietra, della
terra, le ripetizioni nello sviluppo della
natura (le stagioni della caccia, della
pesca, dell'agricoltura). In forza del fat-
to che l'attività mentale dell'uomo pri-
176 Karl Marx, Friedrich Engels, Opere complete, cit., vol. V. pp.
406-407.
tori tra cui assolvono un ruolo di rilievo
la politica, il diritto, l'etica.
Influiscono sullo sviluppo dell'arte non
solo la struttura economica ma anche
tutto lo stato della vita politica e in ge-
nerale della vita spirituale della società,
le peculiarità della lotta di classe in una
data tappa storica, ecc. Proprio con ciò
si spiega che a volte la fioritura dell'arte
non coincide con l'ascesa dell'econo-
mia, ma si ha in un periodo di acute
contraddizioni nella vita economica. È
un esempio al riguardo l'arte russa del
XIX secolo. In ciò, va detto a proposito,
si manifesta l'autonomia relativa pro-
pria alla coscienza sociale in generale.
L'arte assolve tutta una serie di funzio-
ni nella società. La più importante di
esse è l'appagamento dei bisogni esteti-
ci della società. La capacità dell'arte di
appagare i bisogni estetici dell'uomo ne
costituisce la natura estetica: la pecu-
liarità più importante che distingue
l'arte da tutti gli altri fenomeni sociali.
Mettendo in risalto la facoltà dell'arte
di soddisfare i bisogni estetici degli
uomini come funzione specifica di essa,
dobbiamo rilevare che questa non è la
sua unica funzione. Oltre ad appagare i
bisogni estetici degli uomini, l'arte as-
solve una serie di altre importantissime
funzioni, in particolare essa rappresen-
ta un mezzo о una forma di conoscenza
della realtà, nonché assolve la funzione
di educazione degli uomini, propaganda
determinati princìpi etici, politici, filo-
sofici, ecc.
Le opere d'arte esprimono i sentimenti
e gli ideali degli uomini di una determi-
nata epoca e incarnano le tendenze
fondamentali dell'ideologia e della psi-
cologia sociale della data tappa storica.
In esse si riflettono i problemi che agi-
tano la società. In ciò, in particolare, si
manifesta la natura sociale dell'arte.
L'arte sempre serve una determinata
società riflettendo la vita da posizioni
degli ideali e degli interessi dei gruppi
sociali concreti, delle classi. Perciò l'ar-
te nella società di classe è sempre im-
prontata ad uno spirito di parte. For-
mulando il principio della partiticità
dell'arte, Lenin ebbe a sottolineare che
l'arte proletaria deve servire la causa
dell'emancipazione dei lavoratori dallo
sfruttamento, della costruzione della
società comunista, senza classi. L'attivi-
tà letteraria, scrisse Lenin, «non può es-
sere in genere un'attività individuale,
avulsa dalla causa generale del proleta-
riato»177. Tenendo conto della specifici-
tà dell'arte, Lenin sottolineava che essa
meno di tutto si presta ad un meccanico
livellamento. Egli scrisse: «non vi è
dubbio, in questa attività è assoluta-
mente indispensabile assicurare campo
libero all'iniziativa personale, alle di-
sposizioni individuali, al pensiero e alla
fantasia, alla forma e al contenuto»178.
L'arte si presenta come uno dei mezzi
180 Karl Marx, Friedrich Engels, Opere complete, cit., vol. XXV, p.
304.
povero, ecc. Nella società capitalistica
l'operaio non l'abbandona mai la paura
della miseria, il timore di rimanere sen-
za lavoro, e, quindi, senza mezzi di sus-
sistenza. La paura per il proprio doma-
ni, per la propria sorte, dovuta all'impo-
tenza di fronte alle forze spontanee del
capitale, collega inevitabilmente gli
uomini con la religione e sviluppa il lo-
ro senso religioso.
b. Il carattere di classe della religione
Nella società antagonistica la religione
è al servizio degli sfruttatori. Per conso-
lidare il loro dominio essi hanno biso-
gno non solo dello Stato che istaura un
ordine conforme ai loro interessi e re-
prime ogni resistenza degli oppressi,
ma anche di mezzi atti ad asservire spi-
ritualmente i lavoratori. Proprio la reli-
gione è chiamata ad assolvere questa
funzione. «… Ogni e qualsiasi classe
dominante – scriveva Lenin – ha biso-
gno, per conservare il suo dominio, di
due funzioni sociali: quella del boia e
quella del prete. Il boia deve soffocare
l'indignazione e la protesta degli op-
pressi; il prete deve consolare gli op-
pressi, far loro intravedere le prospet-
tive… di un'attenuazione della miseria e
dei sacrifici entro il quadro del dominio
di classe, e, con ciò stesso, riconciliarli
con questo dominio, allontanarli dalle
azioni rivoluzionarie, attenuarne lo sta-
to d'animo rivoluzionario, spezzarne la
decisione rivoluzionaria»181.
La religione giustifica lo sfruttamento,
predica la necessità dell'esistenza delle
classi: oppressori e oppressi, chiama ad
obbedire alle autorità, sottolineando
che ogni potere proviene da dio, a ras-
segnarsi al fardello della vita terrena
per quanto pesante possa essere, di-
chiarando che tutto ciò fu voluto da dio
affinché gli uomini potessero espiare i
loro peccati.
Mettendo in luce l'essenza del cristia-
182 Karl Marx, Friedrich Engels, Opere, vol. 4, p. 204. Ed. russa.
c. La soppressione della base sociale della religio-
ne sotto il socialismo
Sopprimendo nel corso della rivoluzio-
ne socialista i rapporti di produzione
capitalistici e la rispettiva sovrastruttu-
ra borghese, il proletariato respinge
anche la religione, conquistandosi una
vita migliore sulla terra183.
Con la soppressione della proprietà
privata dei mezzi di produzione, con la
liquidazione del dominio economico e
politico dell'ultima classe sfruttatrice –
della borghesia – e, quindi, anche delle
condizioni di sfruttamento dell'uomo
sull'uomo, cambia radicalmente la vita
sociale degli uomini. Con l'istaurazione
della proprietà sociale dei mezzi di
produzione le condizioni di vita che
dominavano prima gli uomini, sono ora
da essi dominati e controllati. Le leggi
della loro attività sociale che sino allora
stavano di fronte ad essi come leggi di
natura estranee, oggettive e spontanee,
a. Il concetto di scienza
La scienza è una delle forme fondamen-
tali di coscienza sociale e rappresenta
l'insieme (o un sistema) delle cono-
scenze umane relative alla natura, alla
società e al pensiero. Lo scopo fonda-
mentale, la funzione sociale della scien-
za è la conoscenza della realtà, la sco-
perta delle leggi che presiedono al suo
funzionamento e sviluppo.
La scienza riflette il mondo e fissa ciò
che è già conosciuto nella forma di con-
cetti, giudizi, deduzioni, teorie, ecc. Ma
oltre ai concetti, ai giudizi e alle teorie
che sono stati verificati in pratica e che
hanno acquistato il valore di verità og-
gettive (sono esse a costituire il conte-
nuto fondamentale della scienza) fanno
parte della scienza anche il materiale di
osservazione, i dati scientifici, nonché
le ipotesi scientifiche.
Nella scienza l'oggetto di riflesso sono
la natura e la vita sociale. Perciò tutte le
scienze concrete si dividono in naturali
e sociali. Le scienze naturali si occupa-
no dello studio delle proprietà e dei
nessi (leggi) inerenti alla natura vivente
e non vivente. Le scienze sociali studia-
no i vari lati della vita sociale, le leggi
che regolano il funzionamento e lo svi-
luppo dell'organismo sociale.
Avendo per oggetto lo studio della so-
cietà, i rapporti tra gli uomini, le scien-
ze sociali sono strettamente legate alle
classi, alla lotta di classe, il che condi-
ziona la loro fusione con l'ideologia, che
rispecchia l'essere sociale degli uomini
attraverso il prisma degli interessi di
questa о quella classe.
Le scienze naturali non sono diretta-
mente legate ai rapporti tra i gruppi so-
ciali, alla lotta di classe; il loro legame
con le classi si realizza attraverso la
produzione che esse servono e sulla ba-
se della quale progrediscono.
b. Il legame della scienza con la produzione
Scoprendo le leggi dell'interazione e
dello sviluppo dei fenomeni del mondo
esterno, la scienza fornisce alla produ-
zione i dati necessari sul mondo ester-
no, avvalendosi dei quali la produzione
risolve i compiti che le stanno di fronte
per modificare conformemente allo
scopo questi о quei lati della natura e
per creare i rispettivi beni materiali ne-
cessari alla sussistenza dell'uomo. In tal
modo, la scienza esercita un notevole
influsso sullo sviluppo della produzio-
ne. Ma è molto più notevole l'influsso
della produzione sulla scienza.
Le linee di questo influsso sono le se-
guenti.
La produzione pone alla scienza il com-
pito di indagare questi о quei lati dei
fenomeni. Quest'indagine è necessaria
per il suo sviluppo. La produzione ave-
va bisogno di determinate conoscenze
sul mondo esterno per poter funziona-
re e svilupparsi normalmente e proprio
ciò ha chiamato alla vita le scienze ed è
stato alla base del loro progresso.
Ad esempio, l'aritmetica e la geometria
sorsero nel mondo antico in risposta al
bisogno di una misurazione più о meno
precisa dei terreni. La meccanica fece la
sua apparizione in risposta al bisogno
di congegni per sollevare i carichi e per
allontanare l'acqua dalle miniere. La
scienza dell'elettricità incominciò a svi-
lupparsi a rapidi ritmi per il fatto che
gli uomini avevano scoperto la possibi-
lità di impiegare l'energia elettrica nella
produzione. La fisiologia, la biologia e le
altre scienze che si occupano delle leggi
del mondo animale e vegetale sorsero
in risposta ai bisogni della prassi agri-
cola, ecc.
La produzione fornisce alla scienza
strumenti, apparecchi, attrezzature
tecniche necessari, insomma tutto
quanto è necessario per le ricerche
scientifiche, per il rispettivo lavoro spe-
rimentale. Il legame della scienza con le
realizzazioni della tecnica e la sua di-
pendenza da quest'ultima si avvertono
particolarmente ai nostri giorni. At-
tualmente la scienza non può svilup-
parsi con successo, ad esempio, senza
gli acceleratori di particelle (destinati
allo studio della struttura del nucleo
atomico), senza gli ultramicroscopi
elettronici, senza i calcolatori elettroni-
ci, ecc.
La produzione influisce sulla scienza
anche per il fatto che essa le fornisce un
copioso materiale concreto, che la
scienza studia sul piano teorico, gene-
ralizza e sulla base del quale (più, s'in-
tende, i dati ottenuti come risultato di-
retto dell'attività sperimentale e di ri-
cerca degli scienziati) crea teorie scien-
tifiche, scopre nuove leggi.
Ma al tempo stesso è necessario rileva-
re che la dipendenza della scienza dalla
produzione non è assoluta. La scienza,
come le altre forme di coscienza sociale,
possiede una determinata autonomia,
la quale, in particolare, si manifesta nel-
la sua dipendenza non solo dallo stato
della produzione ma anche dalle prece-
denti realizzazioni in questo о quel
campo del sapere, cioè dallo stadio di
sviluppo in cui si trova la scienza stes-
sa, dalla soluzione concreta da parte
della scienza dei suoi propri problemi
interni. Ad esempio, la teoria atomica è
sorta non nel corso della soluzione dei
problemi della produzione, ma nel cor-
so della soluzione dei problemi della
stessa scienza fisica. Tale è pure l'origi-
ne della radiolocalizzazione, della tele-
visione, ecc.
Grazie a ciò lo stato della scienza non
sempre corrisponde a quello della pro-
duzione. La scienza può precedere in
questo о quel campo i bisogni della
produzione o, al contrario, può essere
in ritardo.
La data circostanza sta a dimostrare
che parallelamente alla legge della di-
pendenza dello sviluppo della scienza
dalla produzione, sono caratteristiche
della dinamica della scienza una serie
di altre leggi, in particolare la legge del-
la successione: il progresso della scien-
za dipende direttamente dalla massa
delle cognizioni ereditate da tutte le
precedenti generazioni.
c. La connessione reciproca della scienza con la
sovrastruttura e la struttura
Essendo una delle forme fondamentali
di coscienza sociale, la scienza occupa,
però, un posto a parte. Essa si distingue
sostanzialmente dalle altre forme di co-
scienza. Questa distinzione riguarda
prima di tutto il nesso tra di essa e la
sovrastruttura. Tutte le altre forme di
coscienza sociale: l'ideologia politica, le
concezioni giuridiche, etiche, estetiche,
religiose, si riferiscono ai fenomeni so-
vrastrutturali. Il nesso tra la scienza e la
sovrastruttura ha un aspetto diverso.
Qui occorre far notare che la data que-
stione rimane ancora aperta. Molti stu-
diosi non includono la scienza nella so-
vrastruttura, mentre altri la considera-
no come un fenomeno legato alla so-
vrastruttura. Vi sono pure autori che
includono nella sovrastruttura solo le
scienze sociali e quelle conclusioni delle
scienze naturali che invadono la sfera
della filosofia.
Ci pare più convincente un punto di vi-
sta secondo cui la scienza non fa parte
della sovrastruttura. Il fatto è che il
contenuto fondamentale della scienza è
costituito dalle verità oggettive, espres-
se nelle rispettive teorie, leggi e nozio-
ni. E la verità oggettiva è un tale mo-
mento delle nostre conoscenze che non
dipende né dall'uomo né dall'umanità e
riflette l'effettivo stato di cose. E se è
cosi, la scienza non può far parte della
sovrastruttura, in quanto la caratteri-
stica più importante della sovrastruttu-
ra è la sua dipendenza dalla struttura
economica, dalle classi che genera que-
st'ultima.
A prima vista sembra che le scienze so-
ciali dipendano dalla struttura, espri-
mano e difendano gli interessi di questa
о quella classe. È per questo che alcuni
autori le considerano parte della sovra-
struttura. Il contenuto delle scienze so-
ciali può far parte della sovrastruttura
se esso corrisponde agli interessi della
classe dominante, ma quando queste о
quelle teorie scientifiche sono in con-
trasto con gli interessi della classe do-
minante, essa le rigetta, si sforza di di-
mostrarne la falsità e fa proprie quelle
teorie che corrispondono ai suoi inte-
ressi, anche se queste non sono vere,
non riflettono l'effettivo stato di cose.
Ma le vere teorie non scompaiono dalla
scienza solo per il fatto che sono igno-
rate da questa о quella classe che do-
mina nella società, ma continuano ad
esistere e a svilupparsi in base alle leggi
interne proprie alla scienza, leggi di-
stinte dalle leggi di sviluppo della so-
vrastruttura.
Di regola si riferiscono alla sovrastrut-
tura le concezioni sociali: economiche,
sociologiche, storiche, ecc. Esse espri-
mono gli interessi di queste о quelle
classi. Per quel che concerne le scienze
sociali, esse, in quanto esprimono le ve-
rità oggettive che non dipendono né
dall'uomo né dall'umanità, non possie-
dono quelle caratteristiche che sono
proprie alla sovrastruttura. Le conce-
zioni sociali che si riferiscono alla so-
vrastruttura ideologica possono coinci-
dere con le scienze sociali, possono
poggiare su di esse, rendendo scientifi-
ca l'ideologia, come avviene nella socie-
tà socialista dove la dottrina marxista-
leninista della società è ad un tempo
una scienza e una sovrastruttura ideo-
logica. Ma le concezioni sociali possono
anche non coincidere con la vera scien-
za della società. Essa esisterà paralle-
lamente ad esse, contrariamente ad es-
se. Un tale stato di cose è caratteristico,
in particolare, della società capitalisti-
ca, dove le concezioni borghesi sulla so-
cietà non hanno a che fare con la scien-
za vera e propria e le scienze sociali,
esistendo parallelamente a queste con-
cezioni, si fanno strada lottando costan-
temente contro di esse.
Il fatto che la scienza come tale non fa
parte della sovrastruttura non significa
affatto che la struttura non eserciti un
influsso sulla scienza. La struttura in-
fluisce sulla scienza. È proprio da essa
che dipende in quale direzione si svi-
luppa la scienza, quali problemi e fe-
nomeni sono oggetto di studio, quali
sono i ritmi del suo progresso.
Così, nella società capitalistica la strut-
tura economica condiziona il fatto che
qui le ricerche scientifiche e l'utilizza-
zione delle scoperte scientifiche sono
subordinate ad uno scopo ben preciso:
la produzione del plusvalore. Che la
struttura economica determina l'indi-
rizzo dello sviluppo della scienza, ne te-
stimonia anche il fatto che attualmente
nel mondo capitalistico molti scienziati
sono occupati in ricerche legate in un
modo о nell'altro alla produzione belli-
ca.
Le cose stanno ben diversamente nella
società socialista. Qui le conquiste della
scienza vengono utilizzate per svilup-
pare le forze produttive e per elevare il
benessere materiale dei lavoratori. Nei
paesi del socialismo la scienza è porta-
trice del progresso, è uno strumento
per porre le forze della natura e della
società al servizio dell'opera di costru-
zione del socialismo e del comunismo.
È dalla scienza che si parte non solo
nell'organizzare la produzione e la ge-
stione di essa ma anche nell'organizza-
re la vita sociale, tutta l'attività pratica
degli uomini, nel dirigere i processi so-
ciali, nel trasformare i rapporti sociali.
Estendendo la sfera di applicazione del-
la scienza, i rapporti di produzione so-
cialisti creano tutte le condizioni neces-
sarie per il suo rapido progresso.
CAPITOLO 16: LA FUNZIONE DELLE MASSE
POPOLARI E DELLA PERSONALITÀ NELLA
STORIA. PERSONALITÀ E SOCIETÀ
193 Lynn Thorndike, Whatever Was, Was Right. In: The Ameri-
can Historical Review, January 1956, vol. LXI, No. 2, p. 282.
mento, ecc.), non solo, ma tutto ciò è –
quel che più conta – giusto.
Il legame dei ragionamenti di Thorndi-
ke con gli interessi di classe della bor-
ghesia e il loro carattere reazionario,
antiscientifico, sono evidenti. È chiaro
altresì che essi non riflettono il vero
stato di cose.
Da noi, nella società socialista, sono sta-
ti liquidati sia i rapporti capitalistici che
la proprietà privata, lo sfruttamento, la
disoccupazione, le crisi e la stessa bor-
ghesia come classe insieme ai suoi so-
ciologi, ma nessuno, all'infuori della
borghesia, si rammarica di questi mu-
tamenti.
S'intende, è fuori dubbio che nel corso
della demolizione rivoluzionaria delle
strutture invecchiate vi sono stati dei
casi in cui è stato distrutto anche quello
che doveva essere conservato (varie
opere d'arte, d'architettura, in partico-
lare monumenti storici, ecc.), ma non è
stato ciò a determinare il carattere e la
portata dei mutamenti. Questi momenti
negativi letteralmente scompaiono sul-
lo sfondo dei grandiosi mutamenti pro-
gressivi che portano alla formazione di
un regime sociale più avanzato, di un
modo di vita più perfetto.
Una caratteristica scientifica del pro-
gresso sociale fu data per la prima volta
da Marx e Engels sulla base dell'inter-
pretazione dialettico-materialistica del-
la storia.
Secondo Marx e Engels, la storia non è
altro che la successione delle genera-
zioni, ciascuna delle quali sfrutta le for-
ze produttive che le sono state tra-
smesse da tutte le precedenti genera-
zioni, e quindi, da una parte, continua,
in circostanze del tutto cambiate, l'atti-
vità che ha ereditato, dall'altra parte, la
modifica conformemente alle nuove
condizioni194. Grazie a ciò tutti gli ordi-
194 Karl Marx, Friedrich Engels, Opere complete, cit., vol. V, pp.
43-44.
namenti sociali che si sono succeduti
non sono altro, secondo Marx e Engels,
che tappe transitorie nel corso infinito
dello sviluppo della società umana
dall'inferiore al superiore. «Ogni tappa
è necessaria, e quindi giustificata, per il
tempo e per le circostanze a cui deve la
propria origine, ma diventa caduca e
ingiustificata rispetto alle nuove condi-
zioni, più elevate, che si sviluppano a
poco a poco nel suo proprio seno, essa
deve far posto a una tappa più elevata,
che a sua volta entra nel ciclo della de-
cadenza e della morte»195.
Quindi, la società non è qualcosa di
immobile e non ripete le forme già spe-
rimentate, ma è in continuo movimen-
to, passando dall'inferiore al superiore,
dal meno perfetto al più perfetto. È con
questo movimento in avanti sulla base
dello sviluppo delle forze produttive
che il materialismo storico collega il
Fine
AI NOSTRI LETTORI
Le Edizioni Progress saranno molto ri-
conoscenti a quanti vorranno comuni-
care la loro opinione sul contenuto, la
traduzione e la presentazione di questo
libro.
Edizioni Progress Mosca, G-21, URSS.