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Stampato nel mese di febbraio 2014 dalla Tipografia ABC - Sesto Fiorentino (FI)
Periodico semestrale
«Il laberinto della natura»
La questione della filosofia in Giacomo Leopardi
Atti della Giornata di Studi, Gabinetto Vieusseux, Firenze, 20 aprile 2012
A cura di Raoul Bruni e Alessandro Camiciottoli
SOMMARIO
Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . V
MARCO BALZANO, Da Eleandro a Porfirio: note sull’amore nelle Operette morali . . . . . . . . . . 417
MA£GORZATA EWA TRZECIAK, Oltre il Sistema di Belle Arti. Leopardi e l’esperienza estetica ... 443
DIEGO BERTELLI, Morselli, Rensi, Leopardi e la filosofia del suicidio .................... 471
Rassegna bibliografica
Origini e Duecento, a c. di L. Surdich, pag. 499 - Dante, a c. di G. C. Garfagnini, pag. 506 -
Trecento, a c. di E. Bufacchi, pag. 514 - Quattrocento, a c. di F. Furlan, pag. 532 - Cinquecento,
a c. di F. Calitti e M. C. Figorilli, pag. 566 - Seicento, a c. di Q. Marini, pag. 626 - Settecento, a c.
di R. Turchi, pag. 672 - Primo Ottocento, a c. di N. Bellucci e M. Dondero, pag. 686 - Secondo
Ottocento, a c. di A. Carrannante, pag. 717 - Primo Novecento, a c. di L. Melosi, pag. 752 - Dal
Secondo Novecento ai giorni nostri, a c. di R. Bruni e A. Camiciottoli, pag. 777 - Varia, pag. 795
Sommari-Abstracts . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 797
MORSELLI, RENSI, LEOPARDI
E LA FILOSOFIA DEL SUICIDIO
Il primo accenno al suicidio reperibile tra le pagine dei diari di Guido Morselli
risale al 20 febbraio 1940. Si tratta di una riflessione già sufficientemente articola-
ta, in cui lo scrittore, allora ventottenne, evidenzia prima di tutto il rapporto tra
negazione della vita e istinto di conservazione. Rifiutando in modo perentorio i piani
religioso e laico, su cui l’opinione comune fonda la condanna del suicidio – atto di
ribellione, disprezzo del «dono divino», da una parte, ovvero gesto di un animo
vile, dall’altra – Morselli afferma nella parte centrale e più ampia del suo ragiona-
mento che:
Il suicida è giunto colà dove anche noi potremmo ridurci un giorno: egli ha scoperto
che quella speranza per cui e di cui viveva, anche lui come noi, altro non è se non vana
apparenza, e che sotto di essa si nasconde la catena con cui la natura, per un suo fine oscu-
ro, ci vuole legati all’ingiustizia e al dolore, ossia alla vita.1
471
DIEGO BERTELLI
4
Cfr. R. BRUNI, Il leopardismo filosofico di Giuseppe Rensi, «Giornale storico della letteratura italia-
na», 2012, 139, vol. CLXXXIX, n. 626, pp. 191-210.
5
Cfr. V. FORTICHIARI, introduzione a Guido Morselli, in Romanzi, I, Milano, Adelphi, 2002, p. XXXIV.
6
MORSELLI, Diario, cit., p. 157.
7
R. CHIARENZA, Nota, in G. RENSI, Filosofia dell’assurdo, Milano, Adelphi, 19914, p. 7.
8
S’intende, oltre che alle Operette morali. A questo proposito, il rimando a Cortellessa è d’obbligo,
specie laddove egli riporta un brano de La felicità non è un lusso in cui Morselli, a proposito dell’infe-
licità, fa riferimento alle Operette, citando espressamente la Storia del genere umano e il Dialogo di un
fisico e di un metafisico. Dell’opera leopardiana, Cortellessa ricorda anche la «attenzione non episodi-
ca» che spetta, per quel che riguarda la riflessione di Morselli sul suicidio, al Dialogo di Plotino e Por-
firio e al Frammento sul suicidio, in CORTELLESSA, «Es ist genug», cit., pp. 9 e 10.
472
MORSELLI, RENSI , LEOPARDI E LA FILOSOFIA DEL SUICIDIO
nante (per nulla romantica)»,9 le prime conclusioni mettono in evidenza una serie
di contraddizioni che trovano salda conferma nell’approccio filosofico di Rensi.
Soltanto quando Morselli tenta di superare il continuo carattere aporetico di una
tale visione del mondo si fa decisiva l’incidenza di Leopardi: essa diviene, in alcuni
momenti, un riferimento non soltanto filtrato, ma diretto.
Il primo confronto con questo duplice modello culturale lascia tracce evidenti
tra primavera ed estate del 1944, allorché lo scrittore si confronta esplicitamente
con alcune questioni legate alle Aporie della religione di Rensi. Al 14 maggio di
quell’anno risalgono tre appunti diaristici di particolare interesse:
Tutti siamo condannati a morte quanti siamo uomini. Secondo Pascal, «l’image de la
condition des hommes», è quella stessa di un gruppo d’uomini in catena e dannati alla pena
capitale, di cui ogni giorno alcuni siano sgozzati sotto gli occhi degli altri che rimangono.
Se non avvertiamo che tra noi e quegli uomini non c’è nessuna differenza, gli è perché non
è vero che noi uomini sappiamo, a differenza degli altri che morremo. (Rensi, Aporie, 71).
Il pensiero della morte è un noi esterno, saltuario e superficiale: non è mai attuale coscien-
za. [...]. E la morte, secondo [...] Simmel, «è sempre un venir uccisi, tanto che ciò si operi
mediante il coltello o il veleno, quanto mediante i microbi della tubercolosi o il cardiopal-
ma» (Rensi, ibid.).10
Morselli riconduce i rapporti d’indifferenza e casualità che stanno alla base delle
relazioni umane a un ineluttabile destino di morte, inteso come condanna unani-
me. Lo studio di Rensi si pone dunque alla base di una riflessione che nel 1948
vedrà nel suicidio la «condanna a morte della cui esecuzione il giudice incarica il
condannato».11 Di seguito alla citazione di Rensi, con la quale Morselli pone le basi
del futuro riconoscimento tra suicidio e omicidio, è citata un’osservazione di Leo-
pardi, anch’essa ricavata dalle Aporie:
Nota Leopardi che quando si rivede una persona dopo molto tempo, guardando il suo
viso, si ha l’impressione che gli sia accaduta una sciagura (citato da Rensi, ibid).12
Tale osservazione, che sembra potersi leggere come una estensione ulteriore delle
considerazioni di Morselli sul pensiero della morte come un «noi esterno» (e nelle
Aporie è usata esattamente in questo senso), apre a una considerazione che riguar-
da il rapporto dell’uomo con la felicità:
I due nomi13 fatti in quest’ultimo passo sono quelli dei protagonisti di Uomini
9
A. P. CAPPELLO, La metafora negata. Il «Capitolo breve sul suicidio» di Guido Morselli, «Otto/
Novecento», 1993, 17, n. 1, p. 131.
10
MORSELLI, Diario, cit., p. 67.
11
Ivi, p. 138. Sorprendente è la riflessione personale di Cesare Pavese del 17 agosto 1950 sui sui-
cidi come «omicidi timidi», che certamente consuona con quanto Morselli aveva trascritto dalle Apo-
rie. Cfr. C. PAVESE, Il mestiere di vivere. Diario 1935-1950, Torino, Einaudi, 20065, p. 399. Cortellessa
(«Es ist genug», cit., p. 6) riconosce un inevitabile «tono kafkiano» in questo finale.
12
MORSELLI, Diario, p. 67.
13
Saverio è la prima figura di medico della narrativa morselliana, da ricondurre anch’egli alla «serie di
medici [...] iniziata in Contro-passato remoto e presente nei due libri dedicati all’ambito comunista», in F.
PIERANGELI, Guido Morselli: l’impronta umana e i «trascorsi eruditi», «La Scrittura», 1996/1997, n. 4, p. 18.
473
DIEGO BERTELLI
e amori, il primo romanzo di Morselli, anch’esso scritto e rivisto nella sua comple-
tezza nel lustro 1944-1949. Risalendo direttamente al capitolo rensiano da cui
Morselli sta trascrivendo i propri appunti, intitolato Dio, la vita e la morte, in esso
è dominante la percezione della «mortalità»14 di ognuno di fronte alla casualità degli
eventi. Intesa come condanna a morte, essa si fa concreta nel momento in cui vie-
ne meno la dicotomia io-altro, ossia quando riconosciamo al nostro destino la stes-
sa contingenza riconosciuta a quello degli altri.
La successione degli appunti di Morselli segue, in questo frangente, il filo logi-
co delle argomentazioni delle Aporie. Dopo aver assimilato la condizione peritura
dell’esistenza a una condanna, Rensi arriva a sostenere che solo la «disperazione
vera – aver perduto tutto, non sperar davvero più nulla – può essere ancora una
fonte di felicità».15 Non essendo però l’uomo capace di vera disperazione e dun-
que di vera felicità, ciò fa sì che neppure il suicidio possa essere, come invece do-
vrebbe, il risultato di un’equivalenza tra queste due parti. La congiunzione tra di-
sperazione e felicità, di per sé antinomica ovvero aporetica (per usare il linguaggio
di Rensi) è dunque la sola in cui, plausibilmente, il suicidio possa compiersi con
coerenza. Negli esseri umani esiste tuttavia «il miraggio d’un ulteriore speranza»,16
in aperto conflitto con la premessa secondo cui «non c’è mai una fase di raggiun-
gimento»17 che possa soddisfare il desiderio. È a questo punto che il filosofo geno-
vese avanza una constatazione ulteriore, arrivando a sostenere che «l’esattezza della
concezione buddistica-schopenhauriana (l’idea che ogni meta, una volta raggiun-
ta, si vanifica essa stessa) è attestata nel modo più lucido dalla vita d’amore»,18 os-
sia delle relazioni io-altro.
Rensi aveva già trattato questo particolare aspetto nei Dialoghi dei morti,19 ope-
ra di chiara ascendenza leopardiana, ispirata alle Operette morali non solo per temi,
ma anche per struttura, e peraltro presente, come ricorda Cortellessa, nella biblio-
teca di Morselli. Nel dialogo tra Diotima, Orazio e Marsilio Ficino, la figura della
sacerdotessa veggente che già nel Simposio platonico aveva edotto Socrate sul pro-
blema dell’amore, afferma come esso sia «l’unico fatto della vita quotidiana che ci
renda immediatamente tangibile l’inesistenza tangibile dell’uno e dell’altro».20 Fi-
cino non manca, a distanza di poche battute, di associare all’amore la morte, affer-
mandone la fratellanza coi versi del canto leopardiano. Solo attraverso di essi è
possibile risalire i gradini di quell’«intuito metafisico»21 che disvela l’inconsistenza
della realtà, tanto che l’umanista ravvede prima di tutto nell’amore una religione,
riconoscendo in questo termine «sete della rinnegazione, della rinuncia, delle sof-
ferenze; [...] l’amore per le sofferenze medesime».22 Esattamente nel carattere ‘re-
ligioso’ dell’amore sembra lecito intravedere l’aporetica congiunzione tra dispera-
zione e felicità.
In queste considerazioni rensiane, come anche nelle precedenti, pesa in modo
sostanziale il pensiero di Leopardi; da una parte, la constatazione dell’assurdità del
14
G. RENSI, Aporie della religione, Catania, Casa Editrice “Etna”, 1932, p. 65.
15
Ivi, p. 83.
16
Ivi, p. 85.
17
Ivi, p. 84.
18
Ivi, p. 86.
19
Una copia dei Paradossi d’estetica e dialoghi rensiani, come ricorda Cortellessa, «figurava» nella
biblioteca di Morselli, in CORTELLESSA, «Es ist genug», cit., p. 10.
20
G. RENSI, Paradossi d’estetica e dialoghi dei morti, Milano, Corbaccio, 1937, p. 97.
21
Ivi, p. 99.
22
Ivi, p. 103.
474
MORSELLI, RENSI , LEOPARDI E LA FILOSOFIA DEL SUICIDIO
piano razionale: «pare un assurdo, e pure è esattamente vero che tutto il reale es-
sendo un nulla, non v’è altro di reale nè altro di sostanza al mondo che le illusio-
ni»;23 dall’altra, l’asserzione, espressa precedentemente nello Zibaldone, di una re-
ligione «la qual sola proponendo l’amore delle cose invisibili di Dio ec. e la speranza
di premio nella vita futura ha conciliato con mirabile armonia la [...] apparente
pazzia delle azioni (come son quelle dei martiri, il distacco dai beni terreni da’
parenti dalla patria ec. il disprezzo della morte, il sacrifizio de’ piaceri e di tutto
all’amor di Dio al dovere ec.) colla ragione [...]».24 In Morselli, una tale prospetti-
va, in cui si uniscono all’irrazionalità degli eventi la natura inappagabile del piace-
re e il carattere ‘religioso’ del sentimento amoroso (inteso come affermazione del-
l’io attraverso il suo annullamento e la sua inconciliabilità con l’altro), ritorna
immancabilmente e ha implicazioni evidenti sul tema del suicidio.
Sempre nello Zibaldone è possibile ritrovare un indizio prezioso per capire come
l’amore e il sentimento mistico possano condurre al sacrificio e rappresentare que-
sto insieme concorde e discorde di dolore e godimento, in Leopardi tanto fisico
quanto spirituale, per mezzo del quale Morselli risolverà il suicidio in un atto d’amo-
re nei confronti di se stesso:
Nello stato naturale, l’inclinazione innata dell’uomo verso la donna, trovando tutto
aperto e palese, e niun luogo avendovi alla immaginativa, ella non producea che pensieri e
sentimenti semplicissimi, distintissimi, chiarissimi, materialissimi. Ora essa inclinazione,
esso amore ingenito e naturalmente fortissimo e ardentissimo, trovando il mistero, e i loro
effetti congiungendosi nell’animo umano colla idea del mistero, o vogliamo dir con un’idea
oscura e confusa, oscurissimi e confusissimi, ondeggianti, vaghi, indefiniti, cento volte meno
sensuali e carnali di prima (poichè la detta idea non viene immediatamente dal senso ec.),
e finalmente quasi mistici debbono essere i pensieri e gli affetti che risultano da questa
mescolanza di sommo desiderio e tendenza naturale, e d’idea oscura dell’oggetto di tal
desiderio e tendenza.25
23
G. LEOPARDI, Poesie e prose, a c. di M. A. Rigoni e di R. Damiani; II, Prose, a c. di R. Damiani,
Milano, Mondadori, 1988, p. 99 . Con specifico rimando alla religione cristiana e alla nuova illusione
generata nell’uomo capace di ispirare, entusiasticamente, gesti di sofferenza si veda Zibaldone, 335-337,
in particolare 336: «produsse, entusiasmo, fanatismo, sagrifizi magnanimi, eroismo, sono i soliti effetti
di una grande illusione». Sempre a proposito, interessante il riferimento di Leopardi ai «filosofi anti-
chi», per i quali quel tempo «inclinava al metafisico, all’astratto, al mistico, e quindi Platone trionfava
in quei tempi. V. Plotino, Porfirio, Giamblico, e i seguaci di Pitagora, anch’esso astratto e metafisico».
Tale inclinazione altro non è, per Leopardi, che una prefigurazione più ingenua di quello cristiano
successivo. In ogni caso il sacrificio volontario è presente sia nella teologia precristiana sia in quella
cristiana. La citazione di Porfirio e Giamblico sono particolarmente significative per quel che riguarda
la relazione tra suicidio e «illusione». Come Cortellessa ha messo in evidenza un rapporto non accesso-
rio tra il Dialogo di Plotino e Porfirio e la speculazione morselliana sull’argomento, così Pierangeli ha
ricordato l’interesse dello scrittore per il Giamblico teologo a proposito di Dissipatio H. G., in PIERAN-
GELI, Guido Morselli, cit., p. 18.
24
Ivi, p. 37.
25
LEOPARDI, Zibaldone, 3308 [corsivo mio].
475
DIEGO BERTELLI
26
F. MERCADANTE, Guido Morselli o della fede senza teodicea, «Studium», 1978, 74, n. 2, p. 253.
27
Ibidem.
28
Ibidem.
29
G. MORSELLI, Uomini e amori, Milano, Adelphi, 1998, p. 98.
30
Ibidem.
31
Ivi, p. 97.
32
MORSELLI, Diario, cit., p. 77.
33
RENSI, Aporie, cit., p. 38.
34
Ivi, p. 41.
35
MORSELLI, Diario, cit., p. 76.
36
Cfr. FORTICHIARI, Nota, cit., in MORSELLI, Il suicidio, cit., p. 24.
37
«Dovunque conduciamo la vita, questa è sempre come l’uscita dalle trincee e l’andar incontro al
nemico invisibile che spara», in RENSI, Aporie, cit., p. 68.
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MORSELLI, RENSI , LEOPARDI E LA FILOSOFIA DEL SUICIDIO
mentato dei fatti. Seconda guerra mondale, 1942-43: Morselli percorre la Calabria
da militare in ritirata. Una testimonianza della signora Maria Bruna Bassi [...] con-
ferma che quando Morselli stende i primi pensieri di questo libro, tenta il suici-
dio».38 Se infine teniamo conto che Fede e critica è, nell’essenza, la «trasposizione
stilistica»39 del diario, nel quale convivono, come in un crogiolo, acquisizione filo-
sofica e officina narrativa, la quadratura finale che ne deriva è tale da disporre
necessariamente queste opere sul medesimo piano speculativo.
Considerando allora l’analisi del sentimento amoroso in Uomini e Amori, è palese
che nella loro pur evidente opposizione sia l’amore di Saverio per Nene, impron-
tato alle rettitudine quasi oziosa delle emozioni, sia quello di Vito per Lucia, carat-
terizzato invece da infedeltà che «benché non infrequenti, non erano però siste-
matiche»,40 lasciano trasparire un disequilibrio. A pesare da entrambe le parti è la
connotazione data dai personaggi maschili all’amore, poiché essa si risolve irrime-
diabilmente in un sentimento auto-riflesso. Saverio sostiene che l’amato debba
divenire un «secondo io»; Vito, dal canto suo, non sfugge alla logica dell’«amor
sui»,41 cosicché, in un modo quasi paradossale, «avveniva che l’egoismo del sesso
in lui prendesse almeno la forma della dolcezza [...]».42
Morselli sembra variare sul tema dell’egoismo in virtù di un ulteriore rimando
leopardiano, segnato nei diari in data 15 luglio 1946. Si tratta un pensiero tratto
dai Detti memorabili di Filippo Ottonieri; in gioco è qui la rivalità dei soggetti coin-
volti nelle relazioni amorose, il cui risultato è la presa di coscienza di un rapporto
reciprocamente conflittuale: «Negava che alcuno a questi tempi possa amare sen-
za rivale; e dimandato del perchè, rispondeva: perchè certo l’amato o l’amata è ri-
vale ardentissimo dell’amante».43
La constatata rivalità tra amato e amante s’inserisce anch’essa in quella tratta-
zione che comprende l’amor di sé, il quale occupa in modo esteso, si è visto, diver-
se riflessioni contenute nello Zibaldone, specie tra 1823 e 1824. Morselli sembra
essere giunto consapevolmente alla constatazione leopardiana secondo cui «dove
è maggior grado o efficacia di amor proprio, quivi è maggior desiderio e bisogno
di felicità».44 Si tratta di temi strettamente legati a quello del suicidio, i quali si
arricchiscono, successivamente al biennio 1818-1820 e alla stesura dell’Ultimo canto
di Saffo e del Bruto minore, della lettura del Manuale di Epitteto e del confronto
con la morale stoica presente nelle Operette morali. È tuttavia lo Zibaldone, l’ope-
ra che fornisce, con sempre maggiore incidenza, il confronto più fecondo con lo
sviluppo del pensiero di Morselli.
In un appunto del suo journal, datato 9 ottobre 1823, Leopardi aveva constata-
to quanto ogni proiezione amorosa, sia in senso proprio che improprio, di un sog-
getto verso un oggetto, implicasse un atto egoistico:
Non è propriamente (benchè si chiami) Amore quello che noi ponghiamo al cibo che
ci pasce e diletta, e agl’istrumenti e [...] alle cose tutte che servono ai nostri piaceri, como-
38
MERCADANTE, Guido Morselli, cit., p. 239.
39
DI BIASE, Morselli e il mistero del male, «Studium», 1978, n. 2, p. 252.
40
MORSELLI, Uomini e amori, cit., p. 128.
41
Ivi, p. 121.
42
Ivi, 131.
43
Ivi, p. 112. Cfr. anche Zibaldone, 1362: «Mess. a uno che gli esponeva la sua passione per una
donna. Ma ella, disse, è tua rivale. Soleva dire che tutte le donne sono ardentissime rivali de’ loro
amanti».
44
Ivi, p. 2738.
477
DIEGO BERTELLI
di e utilità. Perocchè l’affetto che ci muove verso questi obbietti non ha nemmeno appa-
rentemente per fine gli oggetti medesimi (che è il caso in cui il nostro affetto si chiama
propriamente amore), ma noi soli apertamente e immediatamente o vogliam dire i nostri
piaceri, comodi, vantaggi, in quanto nostri.45
Sicchè l’oggetto amabile dell’un sesso fu all’individuo dell’altro, non più un oggetto
semplicemente materiale, come in principio, ma un oggetto composto di spirito e di cor-
po, di parte occulta e di parte manifesta, e poscia di mano in mano un oggetto più spiritua-
le che materiale, più occulto e immaginabile che manifesto e sensibile, più interiore che
esteriore. E come le idee che hanno relazione alla parte interna ed occulta dell’uomo, sono
naturalmente vaghe ed incerte, quindi l’idea dell’oggetto amabile, considerato nel detto
modo, cominciò necessariamente ad avere del misterioso, congiungendosi in essa idea la
considerazion dello spirito a quella del corpo; e acquistando di mano in mano la prima
considerazione sopra la seconda, sempre più misteriosa ne dovea divenire l’idea dell’og-
getto amato, sino ad aver finalmente più del mistico, dell’incerto e del vago, che del chiaro
e determinato. Così i sentimenti e le idee che appartengono alla passion dell’amore, piglia-
rono sempre più dell’indefinito a proporzion della civilizzazione (e quindi essa passione
divenne, non v’ha dubbio, incomparabilmente più dilettosa); tanto che, quantunque il prin-
cipio dell’amore sia quel medesimo necessariamente oggi che fu ne’ primitivi, che è ne’
selvaggi, che è e fu sempre ne’ bruti, ed altrettanto materiale e animale, nondimeno essa
passione adunando in se lo spirituale col materiale, è divenuta così diversa da quelle, che
certo l’amor propriamente sentimentale non sembra aver nulla che fare nè coll’amore de’
selvaggi, nè con quello dei bruti, ma essere di natura e di principio e di origine affatto di-
verso e distinto. Ed oggidì anche l’amore il meno platonico e il più sensuale pur tiene ne-
cessariamente nelle sue idee e ne’ suoi sentimenti assaissimo dello spirituale, e quindi del-
l’immaginoso, e quindi del vago e dell’indefinito; e nell’oggetto amato o goduto o amabile
anche la persona più brutale sempre considera alquanto e in qualche modo una parte
occulta di esso oggetto che accompagna ed anima e strettamente appartiene, abbraccia
ed è congiunta a quella parte e a quelle membra che egli desidera, o ch’ei si gode, o ch’ei
riguarda come amabili e desiderabili; perchè in fatti quella parte vi è, ed ha grandissima
parte nell’essere di quell’oggetto, e l’interno è una grandissima porzione di questo, per
brutale o insensato che anch’esso si sia; e l’amante il vede assai bene tuttodì. Parlo di og-
getti amati e di amanti che quantunque brutali, o incolti, e poco esistenti per lo spirito, pur
sieno de’ civili.46
L’amor della vita e il timor della morte non sono innati per se: altrimenti niuno s’am-
mazzerebbe. Innato è l’amor di se, e quindi del proprio bene, e l’odio del proprio male: e
45
Ivi, p. 3637.
46
Ivi, p. 3912-3914.
478
MORSELLI, RENSI , LEOPARDI E LA FILOSOFIA DEL SUICIDIO
però niun può non amarsi, nè amare il suo creduto male ec. È però naturale che ogni vi-
vente giudichi la vita il suo maggior bene e la morte il maggior male. E infatti così egli giu-
dica infallibilmente, se non è molto allontanato dallo stato di natura. Ecco dunque che la
natura ha veramente provveduto alla conservazione, rendendo immancabile questo error
di giudizio; benchè non abbia ingenerato un amor della vita. Esso è un ragionamento, non
un sentimento: però non può essere innato. Sentimento è l’amor proprio, di cui l’amor della
vita è una naturale, benché falsa, conclusione. Ma di esso altresì è conclusione (bensì non
naturale) quella di chi risolve uccidersi da se stesso.47
47
Ivi, pp. 4242-4243.
48
RENSI, Aporie, cit., p. 82.
49
MORSELLI, Diario, cit., p. 86.
50
V. FORTICHIARI, Nota al testo, in G. MORSELLI, Il suicidio e Capitolo breve sul suicidio, Pistoia,
Quaderni Di Via del Vento, 2004, p. 24.
51
MORSELLI, Il suicidio, cit., p. 5.
52
Ivi, p. 6.
53
G. L EOPARDI , La strage delle illusioni, a c. di Mario Andrea Rigoni, Adelphi, Milano, l993 2,
pp. 51-54.
54
MERCADANTE, Guido Morselli, cit., p. 244.
55
Il primo scritto, in forma di articolo, esce sulle pagine de «Il Tempo» di Milano il 7 settembre
1949; il breve saggio dal titolo Capitolo breve sul suicidio, pubblicato postumo, è datato 26 agosto 1956.
Per approfondimenti, cfr. V. FORTICHIARI, Nota al testo, in G. MORSELLI, La felicità non è un lusso, Mi-
lano, Adelphi, 1994, rispettivamente pp. 152-153 e 159-160.
479
DIEGO BERTELLI
56
FORTICHIARI, Nota, cit., p. 25.
57
MORSELLI, Diario, cit., p. 161.
58
Ivi, p. 142.
59
Ivi, p. 138.
60
Ivi, p. 337.
61
Cfr. nel Diario i riferimenti a Einstein, p. 142; al cardinale Newman, p. 153; a Kant e Rousseau,
p. 156.
62
Si legga questo pensiero di poco precedente, datato 15 agosto 1956: «Sciagura mineraria nel Bel-
gio: sepolti, arsi o asfissiati, più che trecento operai. Il papa invia un messaggio, “invocando per le vittime
la misericordia del Cielo.” La religione, come opinava Tertulliano, può sì sfidare l’assurdo, ma quando
l’assurdo consiste in un simile paradossale capovolgimento di princìpi, allora la religione non è più cosa
per noi: non già sovraumana, direi, ma sotto-umana, nella sua immensa stolidità», ivi, p. 168.
63
Ivi, p. 66.
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MORSELLI, RENSI , LEOPARDI E LA FILOSOFIA DEL SUICIDIO
quisizioni convivono con la sempre più esplicita certezza che la sofferenza e il do-
lore leghino l’essere umano «vieppiù all’esistenza».64 Il fatto è verificabile soprat-
tutto negli anziani, a parere di Morselli, il quale sembra rifarsi in modo ancora
esplicito a Leopardi.
Si confrontino questi due passi: il primo tratto dal Diario dello scrittore: «Non
che la vita si faccia amare di più quanto più è grama; ma i diseredati, e così i vec-
chi, sogliono attaccarsi alle piccole cose, prendere gusto ai piccoli piaceri che si
offrono in tutti gli stati; e a ciò si aggiunge l’assuefazione, che rende meno sensibili
pene e rinunce»; il secondo dallo Zibaldone:
È cosa indubitata che i giovani, almeno nel presente stato degli uomini [...] non sola-
mente soffrono più che i vecchi (dico quanto all’animo), ma eziandio (contro quello che
può parere, e che si è sempre detto e si crede comunemente), s’annoiano più che i vecchi,
e sentono molto più di questi il peso della vita, e la fatica e la pena e la difficoltà di portarlo
e di strascinarlo. E questa si è una conseguenza dei principii posti nella mia teoria del pia-
cere. Perciocchè ne’ giovani è più vita o più vitalità che nei vecchi, cioè maggior sentimen-
to dell’esistenza e di se stesso; e dove è più vita, quivi è maggior grado di amor proprio, o
maggiore intensità e sentimento e stimolo e vivacità e forza del medesimo; e dove è mag-
gior grado o efficacia di amor proprio, quivi è maggior desiderio e bisogno di felicità; e
dove è maggior desiderio di felicità, quivi è maggiore appetito e smania ed avidità e fame
e bisogno di piacere: e non trovandosi il piacere nelle cose umane è necessario che dove
n’è maggior desiderio quivi sia maggiore infelicità, ossia maggior sentimento dell’infelici-
tà; quivi maggior senso di privazione e di mancanza e di vuoto; quivi maggior noia, mag-
gior fastidio della vita, maggior difficoltà e pena di sopportarla, maggior disprezzo e non-
curanza della medesima.65
64
Cfr. anche questo passaggio: «La rassegnazione alla sofferenza è tanto più facile, quanto più la
sofferenza ci può sembrare intrinseca in noi», ivi, p. 165 e il passo, in forma di saggio breve, Della ras-
segnazione, pp. 208-213.
65
LEOPARDI, Zibaldone, 2737-2738.
66
MORSELLI, Diario, cit., p. 160.
67
Si consideri anche il riferimento fatto da Cortellessa («Es ist genug», cit., p. 8) al primo scritto di
Morselli, Filosofia sotto la tenda, del 1939. Da segnalare a tal proposito la recente uscita di Guido Mor-
selli. Le domande e le prospettive della carità, a c. di Fabio Pierangeli, «Studium», 2012, 108, n. 4, con
una sezione monografica dedicata al problema della fede in Morselli, e il numero speciale della rivista
«In Limine», a c. di Alessandro Gaudio e F. Pierangeli, interamente dedicato a Morselli e consultabile
all’indirizzo http://www.lidiasirianni.com/730/in-limine-guido-morselli.
68
MERCADANTE, Guido Morselli, cit., p. 244.
69
MORSELLI, Diario, cit., p. 168.
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DIEGO BERTELLI
arriva a una disincantata constatazione, ossia che «ci vuole un qualche disperato
coraggio».70 Al finale comico che vede Proculo fuggire disperato per un moscerino
entratogli nell’occhio, segue sul Diario un passo tratto dalle Ecclesiaste: lo stesso
che è ricopiato a matita da Morselli proprio su un «foglietto allegato al Capitolo»:71
Meglio la morte che una vita amara, e il riposo eterno che un continuo dolore.72
La riflessione del 1956 convergerà tutta in questo trattato inedito, in cui Mor-
selli fa una disamina di ciò che, rispetto alla vita, possa dirsi un suicidio: «perché
un uomo normale, sano di corpo e di mente, si dica “non posso più vivere” occor-
re appunto che in lui si dia quel dolore, con quell’intensità, con quella sciagurata
sua facoltà di far tacere ogni speranza e ogni fede».73 Nel tentativo di classificazio-
ne e comprensione dei possibili gesti da considerare suicidi, Morselli arriva sem-
pre a una conclusione antinomica, perché sembra che tutti i casi presi in esame
tradiscono, per contingenze esterne o interne all’individuo, l’idea di volontarietà
alla base del gesto estremo: «si dovrebbe dedurne, e non sarebbe se non apparen-
temente un paradosso, che non ci sono suicidi».74
In base a una tale constatazione, Morselli riporta il dominio della volontarietà
entro quello della gratuità: «Il suicidio, questo grande rifiuto, è un atto gratuito, o
non è». Significativo è il ricorso a tale aggettivo: se nel Diario, «troppo futilmente
aleatoria, troppo legata al gratuito e all’accidentale» è «la nostra vicenda umana»,75
già in Fede e critica «la vita e il bene per il credente sono provvidenziali ma non
fatali, gratuiti ma non fortunati»,76 divenendo per Di Biase esattamente questo il
momento in cui Morselli accosta la vicenda di Agostino al dramma di Leopardi.77
L’uso del termine ‘gratuito’ assume nel Capitolo un valore complesso, di orienta-
mento teologico, in quanto ‘grazia,’ concessione fatta a se stesso. Morselli insiste sulla
sfera attributiva del ‘favorevole’ e del ‘benevolo’, a fronte di quella congiunzione tra
caso e Dio che gli era stata certamente suggerita dalla lettura delle Aporie.
Se il suicidio è dunque self-indulgence, il problema diviene quello, già conside-
rato nel caso dei protagonisti di Uomini e amori, della distanza del soggetto da se
stesso e della definizione di tale distanza come atto d’amore, essendo sostanzial-
mente la rassegnazione a determinare un attaccamento alla vita. Che Morselli avesse
in mente, nella sua interezza, la locuzione latina gratis et gratia dei? In virtù del-
l’egoismo intrinseco al soggetto nei rapporti interpersonali, non possiamo non leg-
gere nell’amore un sentimento auto-riflesso, che riguarda l’io e soltanto l’io, nella
sua più assoluta individualità (e dunque indivisibilità).
A cavallo tra anni Cinquanta e Sessanta, dunque, amore e Dio, che Morselli non
riconosce come concetti assimilabili, acquisiscono un’importanza decisiva per la com-
prensione del modo in cui egli intende risolvere il nodo aporetico del suicidio. Come
specifica a ragione Mercadante, «un uomo che si toglie la vita non è soltanto un sui-
cida. Sorprende, potrà sorprendere che sia (stato) un cristiano, ma se lo è, lo è».78
70
Ibidem.
71
FORTICHIARI, n. 16, in MORSELLI,, Diario cit., p. 169.
72
Ibidem.
73
MORSELLI, La felicità, cit., pp. 122-123.
74
Ivi, p. 124.
75
MORSELLI,, Diario, cit., p. 182 [corsivo mio].
76
DI BIASE, Morselli, cit., p. 255.
77
Ibidem.
78
MERCADANTE, Guido Morselli, cit., p. 246.
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MORSELLI, RENSI , LEOPARDI E LA FILOSOFIA DEL SUICIDIO
Si prenda allora una constatazione del 2 marzo 1961: «L’amore non è mai mor-
to, sinché non è morto in tutti e due gli amanti»,79 i quali ormai sembrano essere
due io più che due distinti soggetti. La morte dell’amore sembra così rientrare nella
categoria della gratuità, sia nel senso di accidente sia di concessione. La parados-
salità del suicidio si risolve in quanto gesto volontario, dato che per ogni altro ter-
mine togliersi la vita risulterebbe, in modo costitutivo, contraddittorio.
Morselli aveva riportato sul Diario, in concomitanza con le riflessione del 1956,
un passo tratto da Religione e verità di Rudolf Eucken, in cui il teologo, citando
Hegel, insisteva su tale aspetto: «“nulla vi ha di più arduo dell’amore” che deter-
mina “una terribile contraddizione”».80 Se di fronte al dolore e all’indomita casua-
lità monadica era sembrata profilarsi inizialmente l’alternativa rensiana del misti-
cismo, in sé diversa da quella leopardiana, il fallimento di riconoscere a Dio uno
statuto diverso da quello di una semplice proiezione interiore dell’io conduce al-
l’impossibilità di un’esperienza ‘amorosa,’ quest’ultima da intendere appunto come
distacco da se stesso (donde il conseguente recupero della «teologia negativa», i
cui esordi risalgono al lustro 1944-1949).
Quando nel 1969 lo scrittore riporta sul Diario l’assimilazione tra stoicismo e
suicidio fatta da Pavese, «lo stoicismo è il suicidio»,81 è chiaro che l’idea leopardia-
na di una morale «accomodata» agli animi deboli discussa nel Preambolo del vol-
garizzatore dell’Enchiridion ha agito ben oltre le tracce lasciate dalle Operette sulle
coeve riflessioni di Morselli. L’impossibilità di «schivare una continua infelicità»,82
non trovando spiegazione nella teologia razionale o nel misticismo rensiano, porta
a una terza via, quella biblica della saggezza, la quale trova un’indicazione di rotta
nel rapporto tra dolore ed esistenza delle Ecclesiaste.
Come riferimento implicito, la relazione tra sofferenza e vita ritorna inoltre nelle
pagine del Diario all’altezza del 1966, quando Morselli mette a reagire morale cri-
stiana e sacre scritture in rapporto a una questione già dibattuta nel Capitolo:
L’omicidio, nota giustamente Hannah Arendt [...] è considerato meno grave del suici-
dio. Al colpevole di suicidio sono negate le esequie, non all’omicida. E ciò, aggiungo io,
quantunque il sacro libro, la Bibbia, ammetta che in certe condizioni di infelicità, togliersi
la vita è giustificabile [...].83
79
MORSELLI, Diario, cit., p. 201.
80
Ivi, p. 173.
81
Ivi, pp. 335-336.
82
LEOPARDI, Prose, cit., p. 1045.
83
MORSELLI, Diario, cit., 265. Cfr. anche Civitas dei, I, 19 e si veda la sola nota presente nel Capitolo
e riguardante l’apparente affinità tra suicidio e omicidio, in MORSELLI, La felicità, cit., p. 118-119.
84
Ivi, p. 230.
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DIEGO BERTELLI
Diego Bertelli
85
Ivi, p. 232.
86
Ivi, p. 233.
87
Ivi, p. 172.
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FINITO DI STAMPARE
NEL MESE DI FEBBRAIO 2014
PER CONTO DELLA
CASA EDITRICE LE LETTERE
DALLA TIPOGRAFIA ABC
SESTO FIORENTINO - FIRENZE