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Review

Reviewed Work(s): Pretesti dall'invenzione. Dall'ultimo Montale a Primo Levi by Giuseppe


De Marco
Review by: Carmine Chiodo
Source: Studi Novecenteschi , dicembre 1995, Vol. 22, No. 50 (dicembre 1995), pp. 368-
371
Published by: Accademia Editoriale

Stable URL: https://www.jstor.org/stable/43449877

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Giuseppe De Marco, Pretesti dall'invenzione. Dall'ultimo Montale a Primo Levi ,


Giardini Editori e Stampatori in Pisa, 1995, pp. 120.

Il libro, che vede la luce in «Letteratura e dintorni» collana diretta da L. Banfi, U.


Carpi, D. De Camilli, è ben impostato e strutturato, e riguarda in maniera specifica
poeti contemporanei, letti e interpretati con fine e penetrante critica, tenendo conto
anche della bibliografia che su di essi si è venuta a mano a mano creandosi. L'analisi
delle opere è minuziosa e capillare: lo studioso non trascura alcun elemento idoneo
a determinare la fisionomia e lo svolgimento poetico dell'autore preso in considera-
zione. Si tratta - come vedremo in seguito - di poeti contemporanei di cui sono
privilegiate alcune raccolte analizzate esaustivamente da un punto di vista tematico
e stilistico. Ecco i singoli saggi che formano il nitido e scorrevole volume di Giusep-
pe De Marco, esperto di letteratura contemporanea: Le « occasioni incessanti »: Dia-
rio postumo di E. Montale; A colloquio con l'ultima interlocutrice del poeta: Annali-
sa Cima; I « sogni sepolti » e l' «oppressa nostalgia della luce»: Antonia Pozzi ; Appun-
ti sulla poesia di V. Sereni ; Radiografia di un poeta: A. Parronchi. «Morte» e « Vita»;
La stagione dei ' frammenti ' e degli 'incisi': postilla all'ultimo Luzi' Seconda postilla
all'ultimo Luzi' G. Bassani poeta ; P. Levi o la tentazione della poesia. Orbene, ci
troviamo di fronte a un libro chiaro e nel contempo mette bene a fuoco la personali-
tà poetica degli autori prima nominati. Inoltre - e in ciò è molto abile il critico -
balzano quei nuclei o parti della poesia che rendono benissimo quella che è la «poe-
tica» dell'autore considerato. De Marco tiene sempre l'occhio rivolto al testo o ai
testi e li segue e analizza in ogni loro parte. Il testo in questo libro è molto privile-
giato, per cui sono subito esibite tesi o affermazioni che colgono l'iter del poeta
stesso oltre che la natura della sua poesia. Questo si vede bene in tutti i saggi che
formano l'organico libro. Non ci resta che offrire esempi per vedere più da vicino
come legge o interpreta Giuseppe De Marco. A tal proposito partiamo dal primo
saggio, quello montaliano di Diario postumo. Le poesie di questo Diario non sono
da considerarsi una mera appendice al corpus montaliano già edito, bensì una pre-
ziosa integrazione di un'opera «che egli stesso aveva detto "bisognava leggere nella
sua totalità" «(p. 14). E Montale ci ha affidato questi componimenti come per un
rito misterioso: «Non so se un testamento in bilico / tra prosa e poesia vincerà il
niente / di ciò che sopravvive. / L'oracolare tono della versificazione / non cadrà
nell'indifferenza / e un brandello, una parte della mia / impotenza farà vendetta del
prima / e dell'ignoto. / [...]».
Le conclusioni alle quali perviene lo studioso sono condivisibili e - a nostro
avviso - gettano maggior luce su certi aspetti e componenti dei poeti esaminati nel
libro. Alla fine del saggio montaliano c'è un Colloquio con Annalisa Cima, la quale
nel 1968 incontrò il poeta, e d'allora diventarono amici. Un colloquio questo molto
importante in cui emergono dati, informazioni, notizie che ci mettono nelle condi-
zioni di capire meglio non solo la personalità di Montale, ma anche di interpretare
con più precisione la sua poesia. Non solo nel saggio montaliano è capillare e minu-
ziosa la lettura dei testi, ma anche negli altri. Anche qui il linguaggio critico di De
Marco è sempre incisivo e penetrante, e le sue analisi si rivelano giuste e precise. Ciò
vale non solo per le pagine dedicate alla Pozzi ma a tutti gli altri poeti. Sostiamo
sulle pagine attinenti Antonia Pozzi. Esse si configurano come un preciso e ben
strutturato medaglione critico che ci dà l'esatta fisionomia e statura della poetessa,
morta nel 1938, a soli ventisei anni, e autrice di raccolte poetiche quali Parole (Mila-
no, Mondadori, 1939, I; ricordiamo pure la IV Ed. ne, con prefazione di Montale;

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edizione che comprende 176 liriche); Poesie pasturesi (1954); La vita sognata e altre
poesie inedite (1986, curate da A. Cenni-O. Dino), e ancora la nuova edizione di
Parole (a c. di A. Cenni-O. Dino, Milano, Garzanti, 1989). Lo studioso si incontra
con questi testi e li analizza alla perfezione. Per Antonia Pozzi, tra le altre cose, è
osservato che «è sempre alla ricerca del nucleo delle cose, dei loro dettagli; se questo
rifiuta di manifestarsi spontaneamente, nelle normali condizioni di osservazione, la
poetessa cerca di provocarne artificiosamente la messa in evidenza» (p. 29). Dopo la
Pozzi segue Vittorio Sereni. Anche nelle pagine dedicate a questo poeta (1913-1983)
l'analisi è sempre sicura e puntuale, arrivando a conclusioni o tesi accettabili. In
questi Appunti su Sereni si parte da Frontiera e si arriva alla raccolta Diario d'Alge-
ria , apparso a guerra terminata, nel 1947, ed «è permeato da un'accettazione del
dolore, che sembra sollevare il poeta dalla terra desolata» (p. 39). All'interno di
questa raccolta sono privilegiati testi quali Via Scarlatti , Un ritorno , Gli squali (in
questo testo «viene riproposto il flusso della vita come è riflesso nella mente egual-
mente incostante» (p. 41). Per quanto attiene alla simbologia lo studioso osserva:
«la simbologia del Nostro è, tuttavia, meno complessa di quella dei suoi modelli,
particolarmente francesi ed i suoi simboli si dividono fra quelli che rappresentano
l'innocenza e quelli, invece, che testimoniano l'offesa del tradimento, muovendosi
da una visione privata ad una sociale» (pp. 33-34). Non sono trascurate le altre
raccolte: Gli strumenti umani , Stella variabile. «Il poeta si muove da una visione
privata ad una sociale», ed è questa «la nota predominante» dell'ultima raccolta
poetica prima citata. Di Stella variabile il critico si sofferma sui testi In una casa
vuota , Un posto di vacanza , quest'ultimo è un poemetto diviso in sette parti irrego-
lari, che è «anche un nuovo bilancio sulla vita ritornata ad un'apparente normalità»
(p. 47). Ultimo testo considerato di Stella variabile è Paura seconda. Così ancora il
poeta si identifica «in una poesia fondata sull'esperienza, con sempre maggiore
splendore e maestria, consegnandola in un linguaggio denso ed essenziale, non do-
vuto ad una unità di composizione o di natura, ma di tensione: 'Niente ha di spa-
vento / la voce che chiama / proprio me / dalla strada sotto casa / in un'ora di notte:
/ è un breve risveglio di vento, / una pioggia fuggiasca. / Nel dire il mio nome non
enumera / i miei torti, non mi rinfaccia il passato. / Con dolcezza (Vittorio, /
Vittorio) mi disarma, arma / contro me stesso me'» (p. 49). Effettivamente questo
volume di De Marco ci fa vedere la poetica, i motivi, lo stile, le varie parti della
poesia contemporanea più importante, radiografata in profondità in tutti i suoi ele-
menti. A tal riguardo si vedano le pagine vertenti su A. Parronchi (1914), autore di
molte raccolte poetiche, tra le quali ricordiamo: I giorni sensibili (1941). L'incertez-
za amorosa (1952), L'apparenza non inganna (1966, confluita in Pietà dell'atmosfe-
ra (1960-1970), Replay (1970-1977), L'estate a pezzi (1979), Milano, Garzanti,
1980; Climax (1977-1989), iviy 1980. Anche qui lo studioso con citazioni opportune
segue e analizza capillarmente lo stile e le tematiche poetiche di Parronchi. Tutto
ciò viene messo in luce attraverso la lettura e le considerazioni critiche che afferisco-
no a determinati testi: Un'attesa , All'amica , Città (poemetto), Nel bosco (altro poe-
metto), Racconto («mirabile poesia»), La vita , solo per richiamare alcuni emblema-
tici titoli. Nelle varie raccolte - come mette a fuoco lo studioso - cambiano lo stile e
le tematiche. Nei singoli saggi del libro c'è la precisa strategia critica di isolare
determinati momenti poetici per risalire poi alla fisionomia e allo svolgimento arti-
stico dell'autore preso in considerazione. Oppure di un poeta si prendono in consi-
derazione soltanto determinanti momenti significativi che ne dicono però l'impor-
tanza e il suo ruolo nella poesia contemporanea. Oltre a ciò c'è una aderente e

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insistita lettura testuale e critica che ben colgono lo spessore e la poetica dell'autore
trattato. Così è per Mario Luzi. Viene studiato e analizzato l'ultimo Luzi: quello
della stagione dei «frammenti» e degli «incisi». Al poeta di Quaderno gotico (1947)
è dedicato un altro saggio o, meglio una postilla che riguarda sempre l'ultimo Luzi:
quello di Per il battesimo dei nostri frammenti (1985) e poi quello del recente Viag-
gio terrestre e celeste di Simone Martini (1994), «che vuol essere anche un elogio alla
città di Siena, come si desume dalla dedica al volume» (p. 87). Questo Viaggio
terrestre e celeste di Simone Martini «con la sua profondità di sentimenti e con la
sapiente struttura poematica, racchiude cent'anni di riflessioni, parole e decisioni, le
quali sfociano egregiamente nel terso 'fiume' della lirica e della meditazione luzia-
ne» (p. 90). Ugualmente ben strutturate e penetranti risultano essere le pagine che
riguardano Giorgio Bassani e Primo Levi, indagati come poeti. Si sa che quest'ulti-
mi due autori sono noti come scrittori e narratori. Ma - come abbiamo detto prima
- sono pure poeti, e questa loro ultima attività non è marginale rispetto alla prima.
Giorgio Bassani (1916) quando pubblicò nel 1955 Storie di poveri amanti e altri
versi , «egli che aveva la vocazione del narratore, conquistò, con notevole afferma-
zione, la statura di ragguardevole e significativo poeta, con una forza che dava una
valida forma artistica alle apprensioni di tutta una generazione» (p. 91). Bassani è
autore di versi, raccolte poetiche, tra le quali ci limitiamo a ricordare: L'alba ai vetri
(1963), Epitaffio (1974), In gran segreto (1978); tutta la sua opera poetica è ora
riunita nel volume dal titolo In rima e senza (1982), infine, Tre poesie di G.B. (in
«Poetica», I, 2, 1989, pp. 5-6). Anche per Bassani lo studioso enuclea tematiche e
stile e ci delinea lo svolgimento della poetica. Così Epitaffio si distingue per la
particolare forma grafica, «riafferma una rassicurante padronanza della materia
poetica, rivelando una notevole consistenza di intenti» (p. 97). Tutto sommato Bas-
sani «respinge dai suoi versi tutte le scorie, concentrandosi sullo stimolo della erleb-
nisy con la connessa pressione della transitorietà dell'esistenza' (p. 101). Chiarezza
di impostazione e di linguaggio critico caratterizzano l'ultimo saggio: quello su
Primo Levi (1919-1987) poeta, la sua poesia - per lo studioso - merita di essere
indagata e analizzata, e inoltre va collocata a pieno diritto nel panorama della poesia
contemporanea italiana. L'autore de La tregua , nel 1975 esordisce come poeta con
L'osteria di Brema , senza, però, negare i suoi legami con la narrativa; nel 1984,
presso Garzanti, vede la luce il volume Ad ora incerta che raccoglie anche le ventot-
to poesie già edite nel '75. Nelle pagine su Levi poeta il testo ancora una volta risulta
maggiormente privilegiato. Ecco che una esemplificazione della prima maniera poe-
tica di Primo Levi può aversi «da una lettura sottile di una delle composizioni da lui
scritte nel 1946: Lunedì rivela come la poesia leviana sia tutta interiorità lirica; il
paesaggio o l'evento rappresentano soltanto la condizione esterna o il preludio:
'Che cosa è più triste di un treno ?/Che parte quando deve, / Che non ha che una
voce, / Che non ha che una strada. / Niente è più triste di un treno. / O forse un
cavallo da tiro. / E chiuso fra due stanghe, / Non può neppure guardarsi a lato. / La
sua vita è camminare. / E un uomo? Non è triste un uomo? / Se vive a lungo in
solitudine / Se crede che il tempo è concluso / Anche un uomo è una cosa triste'»
(pp. 105-106). Poi si passa ad esplorare la poesia degli anni Cinquanta. Anche in
questi componimenti si notano le capacità di Levi nell'esplorare le pieghe più pro-
fonde del cuore umano, e l'attenzione del critico si posa su una poesia di Ad ora
incerta come Epigrafe , che presenta un incipit caratterizzato da un mesto ritmo: «O
tu che sogni, passeggero del colle, / Uno fra i molti, questa non più solitaria neve, /
Porgimi ascolto: ferma per pochi istanti il tuo corso / Qui dove m'hanno sepolto,

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senza lacrime, i miei compagni: / Dove, per ogni estate, di me nutrita cresce / Più
folta e verde che altrove l'erba mite del campo». Comunque l'aspetto più «apparen-
te e sorprendente della poesia del Nostro continua ad essere il linguaggio, esclusiva-
mente leviano, liberato da ogni influsso precedente» (p. 109). A tal riguardo sono
citati versi che afferiscono a poesie quali Annunciazione e Verso valle. Nelle poesie
degli anni Ottanta, «forse più ricche di motivi polemici, Primo Levi manifesta espli-
citamente la sua decisa volontà di affondare il bisturi nel cuore delle cose e della
realtà in movimento. Pur continuando il suo monologo, il poeta - superando l'a-
stratto - punta verso immagini più concrete. L'uomo è ancora prigioniero delle sue
angosce, ma la volontà è diversa. Levi si trova ora nella condizione di poter parlare
con gli altri; la poesia diviene un succedersi di affermazioni che, per essere attive,
coinvolgono in un discorso universale le ragioni individuali» (p. 110). Le poesie di
questo periodo sono ad esempio, Le pratiche inevase, Nachtwache. In fin dei conti,
Primo Levi «ci rivela un mondo poetico, che sconfina in una solida struttura, che,
emersa dal profondo, è viva per quel suo linguaggio ricco di stimoli. E un'opera
insolita, piena di suggestioni, in grado di provocare in chi legge la stessa spinta
spirituale che ha sollecitato l'autore a scrivere questi versi e a completare così la
realizzazione della propria vita. La forma autobiografica, a volte imposta con forza,
è appassionata e serena, tormentata e lirica. E questa la ragione per la quale trovia-
mo motivi ricorrenti, che spingono a meditare sulla personalità poliedrica dell'auto-
re, che dalla narrativa è istintivamente passato alla poesia, stabilendo le proprie
dimensioni» (pp. 112-113).
Questo libro di Giuseppe De Marco si basa su una lettura molto ravvicinata dei
testi, per cui emerge tutta una serie di notizie e considerazioni che ci mettono nelle
condizioni di capire veramente nella sua essenza artistica la poesia degli esaminati
poeti contemporanei. Inoltre, il libro si fa apprezzare per la sua scorrevolezza e
impostazione. Un volume, questo di De Marco, utile a tutti coloro i quali si interes-
sano di poesia del Novecento.

Carmine Chiodo

Adriana Vignazia, Die deutschen D' Annunzio-üb er Setzungen. Entstehungsge-


schichte und Übersetzungsprobleme , Frankfurt a.M., Peter Lang 1995, pp. 347.

Mancava, nel panorama pur fitto della critica dannunziana, un libro che ricostruisse
la genesi delle traduzioni in lingua tedesca delle opere di uno tra gli autori più
frequentati di fine Ottocento-primo Novecento e ne evidenziasse i problemi.
Adriana Vignazia, che insegna all'istituto di romanistica dell'università di Graz e
presso il dipartimento di letterature comparate dell'ateneo di Vienna, per organiz-
zare il suo lavoro si è avvalsa di documenti inediti (frammenti dei quali riporta nella
prima parte del saggio, mentre altri pubblica integralmente in appendice; pp. 293-
333), reperiti nell'archivio del Vittoriale a Gardone, nelle biblioteche e archivi di
Weimar, di Marbach, di Berna o custoditi presso privati. Si tratta per la maggior
parte dei carteggi intercorsi tra D'Annunzio e i suoi traduttori e traduttrici (Karl
Gustav Vollmoeller, Gustav Schneeli, Rudold von Binding, Maria Gagliardi e Lin-
da von Lützow) e tra lo scrittore e i suoi editori (Fischer e Insel Verlag) e, in misura
minore, nel senso che il loro utilizzo è per ovvie ragioni marginale, delle lettere
scambiate tra lo stesso D'Annunzio e il suo traduttore franceseGeorge Hérelle.

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