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PREGHIERA ALLA POESIA.

VITTORIO SERENI LETTORE DI ANTONIA POZZI


Author(s): Giuseppe Sandrini
Source: Studi Novecenteschi , luglio · dicembre 2011, Vol. 38, No. 82 (luglio · dicembre
2011), pp. 339-355
Published by: Accademia Editoriale

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PREGHIERA ALLA POESIA.
VITTORIO SERENI
LETTORE DI ANTONIA POZZI

Giuseppe Sandrini

1.

Pubblicando
SereniSereni
al compagno
al compagno
di prigionia
in questaBruno
di prigionia
Zappieristessa
durante
rivista1
i dueBruno le carte Zappieri donate durante da Vittorio i due
lunghi anni trascorsi nei campi alleati dell'Africa del Nord, Armando
Balduino non ha soltanto reso un prezioso servizio agli interpreti
del Diano d'Algeria , ma ha anche aperto una prospettiva nuova a chi
intenda prendersi cura del rapporto tra il poeta di Luino e un'altra
voce lirica lombarda, troppo presto oscurata: quella di Antonia Poz-
zi (1912-1938), che di Sereni fu amica e condiscepola all'università di
Milano.

Colpisce in particolare che, tra gli autografi ritrovati, compaia


«con il titolo (tutto a caratteri maiuscoli) preghiera alla poesia
una lirica che corrisponde solo per i primi quattro versi al testo che,
nella stampa, figura senza titolo e comincia con Un improvviso vuoto
del cuore », come informa Balduino. Nel laboratorio del Diano d'Alge-
ria sembra proiettarsi d'un tratto l'ombra dell'amica scomparsa: Pre-
ghiera alla poesia si intitola infatti anche una delle più caratteristiche
liriche di Antonia Pozzi, presente già nella prima, parziale2 edizione
di Parole pubblicata da Mondadori nel 1939 e quindi certamente nota
a Sereni, che il 23 maggio di quell'anno scriveva all'avvocato Rober-
to Pozzi, inviando consigli per la diffusione del libro della figlia e
aggiungendo che «a noi pochi è riservato il compito di conservarne

1 A. Balduíno, Su Vittorio Sereni in Algeria ( segnalazione di un idiografo e di alcuni


autografi), «Studi novecenteschi», n. 79, gennaio-giugno 2010, pp. 97-103.
2 A. Pozzi, Parole. Liriche, Milano, Mondadori, 1939; il volume (una copia del qua-
le è presente nella biblioteca personale di Sereni, oggi all'Archivio Vittorio Sereni di
Luino) contiene 91 testi, scelti tra gli oltre trecento ritrovati nei quaderni manoscritti
di Antonia. Preghiera alla poesia compare alle pp. 87-88.

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fedelmente l'immagine vera, la più pura, il senso appassionato e su-


blime a un tempo della sua vita». 1
La consuetudine tra i due poeti, entrambi allievi di Antonio Ban-
fi presso la cattedra di Estetica della Statale ed entrambi collabora-
tori della rivista «Corrente di vita giovanile», è testimoniata esem-
plarmente dalla lirica 3 dicembre , scritta da Sereni nel secondo an-
niversario del suicidio di Antonia ed entrata a far parte di Frontiera
(1941). Sappiamo anche, dalle lettere e da altri documenti di cui si
dirà più avanti, che Sereni seguì sempre con partecipazione, e a vol-
te con qualche perplessità, tutte le successive fasi della divulgazione
dell'opera dell'amica. L'unico vuoto, dovuto alla guerra, riguarda la
seconda e più ampia2 edizione di Parole , stampata ancora da Mon-
dadori nel maggio 1943, nella quale Preghiera alla poesia occupa una
posizione di particolare evidenza, essendo collocata in apertura dei
Nuovi Quaderni 1934-1938 , seconda sezione poetica del volume: Sere-
ni, molto probabilmente, non ebbe modo di vederla prima di cadere
prigioniero, il 24 luglio '43, degli anglo-americani sbarcati in Sicilia,
dove si trovava con il suo reparto.
Ma andiamo subito all'esame dei testi in questione, tenendo pre-
sente, per il Diario d'Algeria , sia la versione dell'autografo trascritto
da Balduino che quella della raccolta stampata da Vallecchi nel 1947:

1 Le lettere di Sereni al padre di Antonia sono pubblicate in A. Pozzi, V. Sereni,


La giovinezza che non trova scampo. Poesie e lettere degli anni Trenta, a cura di A. Cenni,
Milano, Scheiwiller, 1995; il passo citato è a p. 78.
2 A. Pozzi, Parole. Diario di poesia 1930-1938 , Milano, Mondadori, 1943; il volume
raccoglie 157 liriche, divise in due sezioni intervallate da alcune lettere. Preghiera alla
poesia si legge alle pp. 149-150.

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Preghiera alla poesia. Vittorio Sereni lettore di Antonia Poņņ

Antonia Pozzi Vittorio Sereni

Preghiera alla poesia PREGHIERA ALLA POESIA

Oh, tu bene mi pesi Un improvviso vuoto del cuore


l'anima, poesia: tra i giacigli di Sainte-Barbe.
tu sai se io manco e mi perdo, Sfumano i volti diletti, io resto solo
tu che allora ti neghi con un gorgo di voci faticose.
e taci. Se mi metto in ascolto, non tradirmi
Poesia, mi confesso con te tu, mia voce più chiara che rispunti
nell'ebbrezza dei nomi
che sei la mia voce profonda:
tu lo sai, e dai discorsi, delusa,
ti discosti così come una febbre.
tu lo sai che ho tradito,
ho camminato sul prato ďoro S. Barbe du Thélat, 14 febbraio 1944
che fu mio cuore,
ho rotto l'erba, (1 autografo Balduíno )
rovinata la terra -
poesia - quella terra
dove tu mi dicesti il più dolce
di tutti i tuoi canti,
dove un mattino per la prima volta Un improvviso vuoto del cuore
vidi volar nel sereno l'allodola tra i giacigli di Sainte-Barbe.
e con gli occhi cercai di salire - Sfumano i volti diletti, io resto solo
Poesia, poesia che rimani con un gorgo di voci faticose.
il mio profondo rimorso, E la voce più chiara non è più
oh, aiutami tu a ritrovare che un trepestio di pioggia sulle tende,
il mio alto paese abbandonato - un'ultima fronda sonora
Poesia che ti doni soltanto
su queste paludi del sonno
a chi con occhi di pianto corse a volte da un sogno.
si cerca -
Sainte-Barbe du Thélat, Inverno 1944
oh, rifammi tu degna di te,
poesia che mi guardi. (. Diario d'Algeria , Vallecchi 1947)
( Parole , Mondadori 1939)

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È facile notare che il testo dell'autografo Balduino si avvicina alla


lirica di Antonia Pozzi non soltanto per il titolo identico, ma anche
per il vocativo con cui il poeta si rivolge alla poesia: «non tradirmi /
tu, mia voce più chiara» (w. 5-6). Molti indizi, che evidenzio qui in
corsivo, ci invitano al confronto con «Poesia, mi confesso con te /
che sei la mia voce profonda: / tu lo sai, / tu lo sai che ho tradito»
(w. 6-9). Ma già il fatto che un autore poco o nulla incline all'enfasi
come Sereni rivolga, a modo suo s'intende, una Preghiera alla poesia
è sorprendente.
Se guardiamo al punto d'arrivo (la seconda lirica della sezione
eponima del Diańo d'Algeria , una delle poche per le quali l'apparato
critico del «Meridiano» curato da Dante Isella non segnala alcun ab-
bozzo o variante), 1 vediamo per prima cosa che alla scomparsa del
titolo corrisponde la scomparsa del vocativo, ma non della «voce più
chiara» che attraversa la seconda strofa (ora evidenziata da una riga
bianca) come il rimpianto indefinito di qualcosa che «non è più /
che un trepestio di pioggia sulle tende» (w. 5-6), che «un'ultima fron-
da sonora» (v. 7). Non di poesia si parla ormai, ma di un suono che
rischia di confondersi, di smarrire la sua chiarezza nel «gorgo di voci
faticose» del v. 4.
Il pensiero va alla lirica che il lettore del Diano d'Algeria incontra
due pagine dopo, Non sa più nulla, è alto sulle ali , e che si conclude
così: «Questa è la musica ora: / delle tende che sbattono sui pali. /
Non è musica d'angeli, è la mia / sola musica e mi basta -». Per il
soldato in campo di prigionia, per l'uomo «morto / alla guerra e alla
pace» non c'è più la possibilità di un'altra musica che non sia quella
degli elementi (la pioggia in Un improvviso vuoto del cuore , qui il ven-
to): «prega tu se lo puoi», dice il poeta al fantasmatico «qualcuno»
che viene ad annunciargli, ormai nel giugno di quel medesimo 1944
(come ribadisce la data in calce alla poesia), lo sbarco alleato in Nor-
mandia; e allontana così da sé l'ansietà «di pregar per l'Europa» che
si era affacciata all'inizio.
«Pregare»: il verbo che qui ricorre due volte ci richiama però al ti-
tolo 'sommerso' della nostra lirica, che nella versione dell'autografo
Balduino mostra, dopo i primi quattro versi senza variazioni, un ben

1 V. Sereni, Poesie, edizione critica a cura di D. Isella, Milano, Mondadori, 1995,


p. 440.

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Preghiera alla poesia. Vittorio Sereni lettore di Antonia Poņņ

differente atteggiamento dell'io, «tra i giacigli» del campo di Sainte-


Barbe. Il poeta «in ascolto» (nel dormiveglia di una notte di pioggia,
preciserà il testo a stampa: ma in Preghiera alla poesia l'atmosfera ri-
mane indeterminata) si appella alla «mia voce più chiara» chieden-
dole di restargli fedele. La «poesia», allora, è proprio questa «voce»
capace di rispuntare «nell'ebbrezza dei nomi», lei che pure sembra
mossa da una pulsione così forte a togliersi di mezzo (si noti l'insi-
stente, estrema, allitterazione: «dai discorsi, delusa, / ti discosti»),
quasi fosse «una febbre».
Chi legge il Diario ritrova la parola «febbre» nell'ultima lirica della
sezione, Algeria , w. 5-6: «Come mi frughi riaffiorata febbre / che mi
mancavi». 1 II significato di questi versi può essere in parte illuminato
dall'autografo Balduino, dove la «febbre» si riallaccia all'«ebbrezza
dei nomi» per ribadire lo scarto tra la «voce più chiara» e il «gorgo di
voci faticose» che la circondano. Qui può venirci in aiuto un appunto
di Sereni, datato anch'esso «Sainte Barbe du Thélat, inverno 1944»:

Abbiamo passato intere giornate a discorrere in tenda sotto una pioggia no-
iosa, con scrosci improvvisi e violenti. Ci raccontavamo storie, anche molto
intime [...] Volevamo convincerci d'aver vissuto [...] Misi a fuoco alcuni ri-
cordi con questo passatempo. Durò poco, subentrò presto il silenzio, a volte
l'insofferenza reciproca.2

È nella noia colpevole della vita di prigionia che si apre l'attesa di


una «febbre» purificatrice. La 'visita' della poesia non è mai invocata
a chiare lettere da Sereni come in questa Preghiera che nasce da «Un
improvviso vuoto del cuore», incipit che allude al momento psico-
logico, al clima interiore senza il quale i versi non possono nascere.
Viene da pensare alla definizione del giovane Leopardi, tutto preso
dal confronto tra la viva fantasia degli antichi e la tenue pensosità
dei moderni: «La poesia malinconica e sentimentale è un respiro
dell'anima» Ç Zibaldone , p. 136 dell'autografo). Non di immaginazione
ha bisogno il poeta del Diario di Algeria , ma di un'attenzione insonne
ai moti del proprio cuore (alle «intermittences du coeur», si potrebbe

1 Vedi anche, ma con accezione un po' diversa, l'altra lirica del Diario che inizia
Se la febbre di te più non mi porta (nella prima edizione, 1947, si intitolava Vecchio cielo e
compariva nella sezione, poi eliminata, Ma se tu manchi).
2 V. Sereni, La tentatone della prosa, a cura di Giulia Raboni, Milano, Mondadori,
1998, p. 383. L'appunto fa parte delle memorie scritte da Sereni, col titolo Algeria '44,
in un'agenda del 1956, ma è rimasto fuori dalla raccolta Gli immediati dintorni (1962).
Vedi anche V. Sereni, Poesie, cit., p. 445.

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dire col Proust che Sereni aveva letto con passione nel 1941), se capi-
tasse di udirne la «voce più chiara».
Proprio nel ruolo da riconoscere al «cuore» (alT«anima») il giova-
ne Sereni gioca, credo, la sua partita con l'ombra di Antonia Pozzi.
Preghiera alla poesia rappresenta, in Parole , un esame di coscienza che,
fedele al titolo, si svolge in un'atmosfera lessicale religiosa e liturgica
(«tu bene mi pesi / l'anima», w. 1-2; «tu sai se io manco», v. 3; «mi
confesso con te», v. 6); l'io è sottoposto a una sorta di contrizione
- davanti alla «poesia che mi guardi» dell'ultimo verso, personifica-
zione di un'entità che è però anche «mia voce profonda», v. 7, e «mio
profondo rimorso», v. 21 - per aver «tradito» innanzitutto se stesso
(«ho camminato sul prato d'oro / che fu mio cuore», w. 10-11). Ma
il «cuore», come già dice la metafora del «prato», è anche «erba» e
«terra» (w. 12 e 13), perché nel mondo poetico di Parole il rispecchia-
mento tra io e natura è senza fine.
Sereni sente il fascino, ma certo ancor più il pericolo, di una tale
immedesimazione tra la vita e la poesia: insidia esistenziale (si pensi
al ricorrere, nella sua opera, delle figure di suicidi) e rovello artistico.
La sua Preghiera , prima di essere occultata come tale nel testo del
Diario d'Algeria , si presenta già nella forma di uno di quei mantra 1
gettati fuori d'un fiato che si incontrano spesso nelle liriche di Sere-
ni: «non tradirmi / tu, mia voce più chiara». Non a caso il verso ini-
ziale avverte subito che si tratta di un vuoto «improvviso», da cui l'io
(lungi dal distendersi in una meditazione o in una confessione) cerca
sollievo aggrappandosi a qualcosa che riaffiora solo per istanti e non
ha maggiore consistenza dell'emblematico «esile mito» di Italiano in
Grecia (agosto 1942).
Il vocativo di questo Sereni ritrovato richiama alla memoria altri
vocativi che sono invece approdati al livello pubblico della stampa.
Un movimento analogo è nella lirica che apre il Diario d'Algeria , Pe-
riferia 1940, v. 5: «E tu mia vita salvati se puoi»; mentre Te n'andrai
nell'assolato pomeriggio (una poesia che oggi leggiamo in Frontiera tra
i Versi a Proserpina , ma compariva nella prima edizione del Diario ) ha
ai w. 5-8: «Di quest'attimo vivo / e poi di nulla. E tu / ne vibri as-

1 Mi vien da dir così pensando a questa testimonianza di G. Cherchi : «un giorno


mi lesse da un'agenda un unico verso: "nulla nessuno in nessun luogo mai", che
dopo un paio d'anni ritrovai a chiusa di una tra le sue poesie che prediligo, Intervista
a un suicida» ( Ricordo di Vittorio Sereni, in Scompartimento per lettori e taciturni. Articoli,
ritratti, interviste , Milano, Feltrinelli, 1997, p. 248).

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Preghiera alla poesia. Vittorio Sereni lettore di Antonia Poņņ

sorta in ogni vena / o mia voce più dolce...». Interessante notare che di
questo componimento, datato almeno come ultima fase al medesi-
mo 1944 di Preghiera alla poesia , l'apparato dell'edizione Isella attesta
la variante1 «- mio cuore, ne soffre / assorta in ogni vena / la tua
voce più dolce -», che mostra ancora in opera il legame tra «cuore»
e «voce».

Ma «non tradirmi / tu, mia voce più chiara» ha fors


un memorabile incipit degli Ossi di seppia , «Tu non
mia tristezza» ( Incontro , dove si rintraccia anche, nell'u
un inconsueto «Prega per me»); e certo è anche attrav
zazione di Montale che il più giovane poeta può nom
re», lo «scordato strumento» che in Corno inglese (an
di seppia) si contrappone, sensibile ma inerte, al «ven
la sua rumorosa canzone, quasi «un forte scotere di
di nuovo a Non sa più nulla, è alto sulle ali , alla risposta
prigioniero, sprofondato in uno stato tra il sonno e
in Un improvviso vuoto del cuore , rivolge alla presenza
sollecita: «- È il vento, / il vento che fa musiche bizz

2.

Montale è l'autore di un importante articolo critico su Antonia Pozzi,


uscito nel settimanale «Il Mondo» il i° dicembre 1945 come recensio-
ne alla seconda stampa mondadoriana di Parole e destinato a diventa-
re, con ampliamenti, la prefazione2 alla terza edizione, accolta nella
collana «Lo Specchio» (novembre 1948). Conosciamo almeno in par-
te la reazione di Sereni all'intervento di Montale grazie a una lettera
inviata ad Alessandro Parronchi pochi giorni dopo, l'8 dicembre 1945 :

Nell'ultimo numero del «Mondo» mi ha lasciato una certa perplessità, per


vari motivi, l'articolo di Montale. Prima di tutto, il suo giudizio sull'Antonia
(che tu sai, forse, quanto mi fosse amica) mi ha fatto rimordere il cuore al
pensiero di averla considerata più sotto l'aspetto della storia d'anima. E poi
e poi... ma forse ne riparleremo. 3

1 V. Sereni, Poesie, cit., p. 368.


2 II testo, raccolto nel volume di interventi Sulla poesia, Milano, Mondadori, 1976,
pp. 49-53, si legge ora in E. Montale, Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, a cura di G.
Zampa, Milano, Mondadori, 1996, pp. 634-637.
3 Un tacito mistero. Il carteggio Vittorio Sereni-Alessandro Parronchi (1941-1982), a cura
di B. Colli e Giulia Raboni, Milano, Feltrinelli, 2004, p. 58.

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Purtroppo l'epistolario non ci fornisce l'eventuale seguito della di-


scussione, ma scopriamo intanto un «rimorso»1 di Sereni nei con-
fronti dell'amica. L'alternativa tra la lettura di Parole come «il diario
di un'anima» o come «un libro di poesia» è il cardine dell'articolo
di Montale, che invita a non fermarsi al primo aspetto, per evitare
l'errore di esaltare Antonia Pozzi, «anima musicale e facile a perdersi
nell'onda sonora delle sensazioni», come campione di quella «co-
siddetta 'spontaneità'» che invece lei stessa «stava già superando» in
direzione del «lavoro di penetrazione e di stile» senza il quale non «si
attua vera poesia».
Nel momento in cui il Diario d'Algeria (a stampa, ricordiamo, nel
1947) si avvia a prendere forma come libro, Sereni si sente particolar-
mente esposto su questo tema: la «storia d'anima» (ovvero il «diario
di un'anima» di Montale) deve sembrargli lo scoglio artistico più insi-
dioso, più difficile da superare, dato che proprio di Diario , fin dal tito-
lo, si tratta. Ma in un'altra lettera a Parronchi, datata 2 gennaio 1949,
ormai dopo la pubblicazione del Diario d'Algeria (e dopo l'uscita di
Parole nello «Specchio»), ecco invece un Sereni che sembra accogliere
senza più «perplessità», e anzi con determinazione, la tesi di Montale:
Sono stato bensì interpellato [da Mondadori, ndr ] per la Pozzi e ho dato
parere favorevole; ma era una cosa già decisa, in seguito al molto traffico
del padre della mia povera amica, il quale sta amministrando la memoria
della figlia in un modo che preferisco non commentare. Del resto lo sapevo
fin dal principio: su questo libro si sta speculando da parte di amici postumi
e si sta formando quell'equivoco che il tuo bell'articolo e la prefazione di
Montale non possono diradare.2

Il riferimento a Roberto Pozzi, ambiguo propugnatore-censore3

1 Si ricordi il memorabile attacco di Intervista a un suicida, negli Strumenti umani :


«L'anima, quello che diciamo l'anima e non è / che una fitta di rimorso». Da confron-
tare, ancora, con Preghiera alla poesia di Antonia Pozzi, w. 20-21: «Poesia, poesia che
rimani / il mio profondo rimorso».
2 Un tacito mistero, cit., p. 226. L'articolo di Parronchi al quale Sereni allude, Parole
che restano, era uscito in «Il Perseo», n. 29, 15 gennaio 1948, p. 2.
3 Sono frequenti gli interventi del padre sui testi lasciati da Antonia. Uno, forse,
riguarda proprio Preghiera alla poesia, che nel passaggio dall'edizione 1939 all'edizione
1943 'perde' i w. 8-9, «tu lo sai, / tu lo sai che ho tradito». Salto tipografico o scrupolo
morale di fronte al verbo «tradire»? Sta di fatto che la lirica rimane monca in tutte le
successive stampe mondadoriane.

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Preghiera alla poesia. Vittorio Sereni lettore di Antonia Poççi

dell'opera ella figlia, ci invita a tornare indietro di qualche anno. Pri-


ma ancora di partire per la guerra, nel 1941, il Sereni che aveva da po-
co dato alle stampe Frontiera scriveva al padre dell'amica una lettera
cortese, ma ferma nel prendere le distanze da un modo di intendere
la poesia (e anzi da un «modo di vita») sempre pronto a bollare come
«poesia ermetica», ovvero «che non si capisce», tutto «quanto oggi
si fa in Italia e fuori». La difesa del proprio libro, evidentemente cri-
ticato nell'ambiente fascista e conservatore dell'avvocato Pozzi, si
accompagna a una rivendicazione generazionale che chiama in cau-
sa anche l'amica:

E se la nostra Antonia ci fosse, sono sicuro che proprio in lei avrei la più
fervida alleata nel presente dibattito. Perché Antonia aveva perfettamente
capito - e lo dimostra tutta l'ultima parte del mio libro - l'abuso che è stato
fatto di quelTormai logora parola del «cuore», sapeva benissimo anche lei
che il «cuore» bisognava buttarlo tutto quanto. 1

Il giudizio - preceduto da un affondo polemico contro Raffaele Cal-


zini, che aveva accoppiato, recensendo Parole , i nomi di Pastonchi e
di Ungaretti2 - sembra implicare una precoce messa tra parentesi
di certe effusioni o accensioni sentimentali di Antonia, tra le quali
si può forse annoverare Preghiera alla poesia. Eppure proprio questo
titolo rimbalza nella memoria di Sereni il 14 febbraio 1944, giorno
a cui è datata, con diaristica precisione,3 la lirica omonima attesta-
ta dall'autografo Balduino. E anche dopo, quando nella stampa del
Diario d'Algeria il testo ha ormai preso una strada diversa, il motore
iniziale resta quell'«improwiso vuoto del cuore », quasi una cicatri-
ce (si tratta, in effetti, dell'unica occorrenza della parola in tutta la
raccolta4) riconoscibile del percorso seguito dal poeta per arrivare a
un'espressione il più possibile dimessa.
È probabile che l'amica Antonia abbia rappresentato per Sereni un
continuo termine di paragone, in vita quanto in morte, soprattutto
negli anni giovanili. Il rapporto tra i due ha l'aria di poter riservare

1 A. Pozzi, V. Sereni, La giovinezza che non trova scampo, cit., p. 88. La lettera è
datata 13 marzo; Frontiera era uscito il 20 febbraio.
2 R. Calzini, Una giovane poetessa, «La Stampa», 14 dicembre 1940, p. 3.
3 Noto per dovere di cronaca (ma è probabilmente solo una coincidenza) che la
data segue di un giorno il compleanno di Antonia Pozzi, nata il 13 febbraio.
4 La parola «cuore» è invece familiare al lettore di Frontiera. Vedi almeno, per
un'affinità col nostro testo, Nebbia (1937), v. 7: «Chiedo al cuore una voce».

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ancora delle sorprese, benché siano state già pubblicate varie testi-
monianze e ricerche biografiche. 1 Per il nostro discorso importa par-
ticolarmente uno spunto recentissimo, che Francesca D'Alessandro
ci ha offerto ripescando tra le carte di Sereni una serie di relazioni
editoriali precedenti al suo ingresso alla Mondadori in qualità di di-
rettore letterario.
Qui troviamo, sul valore di Parole , il giudizio di un uomo ormai
oltre i quarantanni che, valutando (alla data del 19 settembre 1955) le
liriche inedite di Lea Cornaglia, scrive che l'autrice
ha trovato una conferma e un punto di riferimento nelle poesie di Antonia
Pozzi. Di questa meno dotata, ne ripete la piega sentimentale, il costante
avvio a tristezza, a rinunzia, ad abbandono delle cose osservate e dei fatti
vissuti. Ma è una sensibilità meno intensa e meno pronta di quella della
Pozzi che ha pur saputo darci la storia di un anima.2

Si noterà il ritorno dell'espressione «storia di un'anima», in un'ac-


cezione che sembra non meno positiva che limitativa: sarà forse il
caso di ricordare, risalendo oltre l'implicita allusione all'articolo di
Montale, che Storia di un'anima è anche il titolo di un celebre, e in
qualche modo paradigmatico, abbozzo autobiografico del giovane
Leopardi.
Insomma, Antonia Pozzi vale come esempio di un'alternativa po-
etica che Sereni mostra di comprendere bene, pur tenendola a rispet-
tosa distanza. Tanto da poterne perfino immaginare uno sviluppo:
in un'altra relazione, a sostegno del «giudizio nettamente positivo»
riservato (pur con alcuni dubbi di fondo) a quattro liriche inedite di
Elda Barbareschi, scrive che «La Pozzi se avesse continuato a vivere e
a scrivere, ci avrebbe dato qualcosa di simile nella sua evoluzione».3
Il quadro si chiude coerentemente se esaminiamo il comporta-
mento di Sereni nei confronti della quarta e ultima stampa monda-
doriana di Parole (ancora nello «Specchio», dicembre 1964), che ebbe

1 Vedi soprattutto G. Bernabo', Per troppa vita che ho nel sangue. Antonia Poççi e la
sua poesia , Milano, Vìennepierre, 2004. Un vaglio puntuale e aggiornato dei rapporti
tra i due poeti si trova, con alcuni interessanti sondaggi testuali, nella tesi di laurea di
F. Rosa, «All'ultimo tumulto». Antonia Poç%i: un confronto con Vittorio Sereni, Università
di Verona, Facoltà di Lettere e Filosofia, a. a. 2010-2011, di cui chi chi scrive è stato il
relatore.
2 V. Sereni, Occasioni di lettura. Le relazioni editoriali inedite (1948-1958), a cura di F.
D'Alessandro, Torino, Aragno, 2011, p. 47.
3 Ibidem , p. 13; relazione non datata.

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Preghiera alla poesia. Vittorio Sereni lettore di Antonia Poņņ

modo di seguire di persona, ormai nelle vesti di direttore lettera-


rio. Il frontespizio del volume conserva il sottotitolo Diańo di poe-
sia , introdotto per la prima volta nell'edizione del 1943 ma non pre-
sente nei quaderni manoscritti lasciati da Antonia Pozzi; e una Nota
dell'Editore (da attribuire con certezza allo stesso Sereni) avverte, in
riferimento al gruppo di liriche «scelte con rigorosa attenzione tra gli
inediti più significativi» e inserite in appendice in ordine cronologico
«senza intaccare l'unità estetica della raccolta presentata da Eugenio
Montale», che «esse ripongono [sic], "in nuce", il profilo di una breve
e intensa autobiografia poetica».1
Queste righe, anteposte alla ristampa della prefazione di Montale,
assicurano che il Sereni del 1964 riconosce nella definizione «diario
di poesia» l'essenza paradigmatica dell'opera dell'amica: quasi una
'forma-giovinezza' dalla quale l'autore del Diano d'Algeria sembra
volersi congedare mentre si appresta a dare al suo nuovo, imminente
libro un titolo di tutt'altra specie, Gli strumenti umani (1965).
L'unica, significativa novità è che le liriche inedite sono stampate
«ciascuna con la propria data di composizione»,2 dal 1929 al 1938,
in modo che ne risulti «una linea progressiva della formazione del-
la nostra Antonia», come Sereni scrive alla madre dell'amica, Lina
Cavagna Sangiuliani, il 13 luglio 1964, esprimendo l'intenzione - in
perfetta conformità con la Nota dell'Editore - di «conservare in pie-
no l'unità di stile e di tono che è prerogativa di Parole». La lettera si
chiude con una dichiarazione nella quale il poeta-editore lascia fil-
trare l'eco di un'antica, e complice, familiarità: «È con affetto e viva
partecipazione che ho letto queste poesie ancora sconosciute (ma
non a me)».3

3-

È allora lecito, e speriamo fruttuoso, chiedersi quanto la figura della


Pozzi abbia contato nella formazione di Sereni, in quegli anni univer-

1 A. Pozzi, Parole. Diario di poesia, Milano, Mondadori, 1964, p. 9. Il volume con-


tiene le 159 liriche dell'edizione 1948, più 17 inedite.
2 Le poesie di Parole sono quasi sempre datate nei manoscritti; ma, se si escludono
i 17 inediti pubblicati da Sereni nell'ultima stampa mondadoriana, le date vengono
reintegrate nel testo solo a partire dall'edizione curata da Alessandra Cenni e Ono-
rina Dino nel 1989 per Garzanti (dove Preghiera alla poesia reca in calce la scritta «Pa-
sturo, 23 agosto 1934»).
3 A. Pozzi, V. Sereni, La giovinezza che non trova scampo, cit., p. 106.

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sitati che per lui culminano, nel novembre 1936, con la discussione del-
la tesi di laurea dedicata a Gozzano. 1 Le superstiti lettere di Antonia al
giovane Vittorio, oltre ad attestare lo scambio reciproco di idee e di ten-
tativi poetici, rivelano anche una profonda confidenza cui non manca
un'aurorale intelligenza critica del carattere della poesia dell'amico.
Particolarmente significativa è la lettera del 20 giugno 1935, nella
quale Antonia, dopo aver dipinto Vittorio (nel riconoscimento di un
comune senso di inappartenenza alla vita sociale, il cui modello è
il Tonio Kroger di Thomas Mann) come una sorta di fratello2 ideale,
e aver rimpianto la «cara abitudine» della sua «visitina quotidiana»,
ricorda:

abbiamo cullato in un treno domenicale le nostre malinconie simili e diver-


se; un giorno abbiamo ascoltato June in January e le tue poesie mi hanno
fatto piangere, non forse per quello che dicevano, ma per il mondo di battiti
che mi facevano nascere dentro e quella certezza, che solo la tua poesia sa-
peva crearmi quel mondo e solo la poesia era la mia vera e più pura vita. 3

Questa idea di poesia come «mondo di battiti» sembra preludere,


da lontano, all' «improvviso vuoto del cuore» del testo da cui siamo
partiti; è la rivendicazione di una «più pura vita» (si pensi alla «voce
più chiara » di Sereni), così fragile eppure così «vera», da inseguire
affrontando il rischio di un cortocircuito tra vita e poesia. Viene in
mente «la giovinezza che non trova scampo», verso-sigillo di Com-
pleanno, una delle più celebri liriche di Frontiera , di cui non a caso
Antonia Pozzi possedeva una copia di mano dello stesso Sereni (da-
tata «27.7/36», giorno del ventitreesimo compleanno dell'amico), ri-
trovata tra i suoi appunti universitari.4 È il ritratto di una condizione
esistenziale e insieme, quasi, di una categoria estetico-filosofica: «Ma

1 Al novembre del 1935 data invece la laurea (su Flaubert) di Antonia Pozzi, che era
un anno più avanti dell'amico: lei nata nel '12, lui nel '13.
2 Va ricordato, per cogliere l'intensità dell'amicizia tra i due, che Antonia trascris-
se di suo pugno la lirica Diana (datata 1 luglio 1938 e poi stampata in Frontiera ) e vi
aggiunse a margine, l'ultimo giorno, alcune parole di addio al «mio caro fratello» (il
foglio è riprodotto in A. Pozzi, V. Sereni, La giovinezza che non trova scampo, cit., p.
45; e vedi V. Sereni, Poesie , cit., pp. 323-324).
3 A. Pozzi, L'età delle parole è finita. Lettere 192J-1938 , a cura di A. Cenni e O. Dino,
Milano, Archinto, 1989, p. 81. June in January è una canzone cantata da Bing Crosby
nel film Here is my heart (1934)-
4 Vedi A. Pozzi, V. Sereni, La giovineçça che non trova scampo, cit., dove l'autogra-
fo (segnalato anche da Isella in V. Sereni, Poesie, cit., p. 309 e intitolato Giorno natale)
è riprodotto alle pp. 47-48.

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sapevamo anche che la vita che sale a poesia, è quel "più che vita",
che da Simmel avevamo imparato essere l'esaltarsi stesso della vita
in valore», scriverà molti anni dopo, ricordando la figura di Antonia,
un altro allievo di Banfi, Dino Formaggio. 1
Anche la lettera del 16 agosto 1935 è preziosa, perché rivela da parte
di Vittorio (indirettamente, in mancanza delle sue risposte, a tutť og-
gi non reperibili2) un ampia apertura di credito verso Antonia, depo-
sitaria a sua volta di confessioni ora inquiete ora felici:
Mi ricordo di un discorso che mi facesti in treno, quella famosa domenica
dell'inutile gita a Monate: il tuo tormento era proprio questo, il senso del
non saper vivere, di aver nelle vene un sangue fittizio e degli arabeschi da-
vanti agli occhi invece che delle creature reali. Sono contenta, tanto tanto
contenta di quello che mi scrivi ora. 3

Si trova qui un sorprendente anticipo del ritratto di se stesso che


Sereni riconoscerà in una pagina del Sodome et Gomorrhe di Proust:
«mon sort était de ne poursuivre que des fantômes, des êtres dont
la réalité pour une bonne part était dans mon immagination».4 Ma
è da notare anche l'insistenza su quel «treno domenicale» già ricor-
dato nella lettera di due mesi prima: un accenno non indifferente,
visto che la lirica dedicata5 da Sereni alla Pozzi, 3 dicembre, si apre con
il verso «All'ultimo tumulto dei binari». Siamo in uno di quei non

1 D. Formaggio, Una vita più che vita in Antonia Poççi, in La vita irrimediabile. Un
itinerario tra esteticità, vita e arte , a cura di G. Scaramuzza, Firenze, Alinea, 1997, p. 153.
2 Sappiamo, da una lettera di Sereni al padre di Antonia (senza data, ma riferibile
al 1940-41), che quest'ultimo gli restituì un gruppo di suoi «fogli», non meglio preci-
sati: «La ringrazio del pensiero gentile che ha avuto. Non ho mai richiesto i fogli che
di tanto passavo all'Antonia perché li ho sempre considerati come segni di qualcosa
che si lascia per sempre ad una persona amica. Non sarà senza una viva commozione
che io guarderò quelle carte» (A. Pozzi, V. Sereni, La giovinezza che non trova scam-
po , cit., pp. 84-85). Nessuna traccia rimane però oggi di questi materiali nell'Archivio
Sereni di Luino.
3 A. Pozzi, L'età delle parole è finita, cit., p. 83. Alla gita in questione avevano parte-
cipato Antonio Banfi e un gruppo di suoi allievi.
4 Vedi la lettera ad Attilio Bertolucci del 20 ottobre 1941: «Proust è ormai un mio
autore; e se vorrai sapere qualcosa di più del sottoscritto rileggi la pag. 76 del III di
"Sodome et Gom."» (in A. Bertolucci, V. Sereni, Una lunga amicizia. Lettere 1938-
1982, a cura di G. Palli Baroni, Milano, Garzanti, 1994, p. 38; il riferimento è all'edizio-
ne Gallimard, Paris 1924).
5 La dedica «a Antonia Pozzi» (che non si legge né nella prima stampa della poe-
sia, «Il Tempo», 2-9 gennaio 1941, né in Frontiera) è presente all'interno di V. Sereni,
Una polvere d'anni di Milano, Milano, Linea Grafica, 1944, p. 9.

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Giuseppe Sandńni

rari casi in cui la scrittura epistolare può contribuire a illuminare un


testo poetico? Certo è in un paesaggio ferroviario, o tranviario, che
Sereni colloca il suo gesto di pietas verso l'amica, il suo ideale pelle-
grinaggio «dove la città / in un volo di ponti e di viali / si getta alla
campagna» (w. 3-5). È il paesaggio (colto e riassunto con una velocità
quasi futurista, al «volo» appunto) della periferia milanese verso l'ab-
bazia di Chiaravalle, dei prati dove Antonia fu ritrovata agonizzante;
e insieme, forse, il paesaggio visto fuggire dai finestrini discorrendo
di vita e poesia, «quella famosa domenica».
Torniamo all'incipit del testo: «All'ultimo tumulto dei binari» è
uno dei pochi versi di Sereni per i quali sia stata indicata esplicita-
mente, prima d'ora, una possibile eco della lettura di Antonia Pozzi.
Una nota di Luca Lenzini1 rimanda a Fine di una domenica , una poesia
tuttavia, dobbiamo precisare, non compresa nella prima edizione di
Parole (1939) e che quindi l'autore di Frontiera poteva conoscere, even-
tualmente, solo attraverso la lettura di un manoscritto dell'amica.
Nella lirica, datata «Torino, 2 maggio 1937», l'espressione «all'ultimo
tumulto» (v. 2) si riferisce peraltro non a un contesto ferroviario -
anche se poco sotto si leggono i versi «e non ha un senso / quest'av-
viarsi di treni verso incerte / pianure...» - ma a una «mischia» in uno
«stadio», altro tema in comune con Sereni. Dal punto di vista testua-
le, bisogna registrare che l'idiografo di 3 dicembre segnalato da Baldui-
no nel suo articolo riporta, per il primo verso, la variante «All'estremo
tumulto», attestata anche in una delle stesure manoscritte censite da
Isella.2 Se aggiungiamo che già nella chiusa di Inverno a Luino (193 7)
si trova «un fioco tumulto di lontane / locomotive verso la frontiera»,
diventa difficile affermare con sicurezza - in assenza di documenti
più precisi sugli scambi di manoscritti tra i due giovani poeti3 - che

1 V. Sereni, II grande amico. Poesie 1935-1981, introduzione di G. Lonardi, commento


di L. Lenzini, Milano, Bur, 1990, p. 194. Alcuni confronti testuali con Sereni si trovano
anche nelle note di Laura Barile alle poesie di Antonia Pozzi comprese nell'Antologia
della poesia italiana diretta da C. Segre e C. Ossola, ni, Ottocento-Novecento, Torino,
Einaudi, 1999, pp. 1283-1288. 2 V. Sereni, Poesie, cit., p. 329.
3 Tra le carte di Sereni, oggi raccolte nell Archivio di Luino, non si sono trovati
autografi di liriche della Pozzi; ma riesce difficile credere che il flusso sia stato in
un solo senso. Va notato, infine, che Antonia aveva anche una copia di Ritorno della
pioggia, una lirica «dispersa» di Sereni, datata 23 ottobre 1936, che al v. 8 presenta
un'immagine ferroviaria affine a quella di 3 dicembre, «E nasce di rotaie un tumulto»
(testo in A. Pozzi, V. Sereni, La giovinezza che non trova scampo, cit., p. 49 e in V.
Sereni, Poesie, cit., p. 872).

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Preghiera alla poesia. Vittorio Sereni lettore di Antonia Poņņ

Sereni, nei suoi versi per Antonia Pozzi, riecheggi (consapevolmente


o meno) Fine di una domenica.
Eppure il lettore attento avverte senza dubbio una certa affinità
tematica e direi figurativa tra Parole e il primo Sereni. Come esempio
di un'analisi che potrebbe essere assai più articolata, limitiamoci qui
a Inverno , la lirica che apre Frontiera (nell'edizione che leggiamo og-
gi; nella prima stampa inaugurava la seconda sezione del volume). Il
v. 4, «le montagne nel ghiaccio s'inazzurrano», richiama subito la po-
esia di Antonia Pozzi che nelle edizioni mondadoriane di Parole , fin
dal 39, porta il medesimo titolo, Inverno appunto,1 e che al v. 11 ha:
«Ma il ghiaccio inaççurra i sentieri». I w. 5-6, «Opaca un'onda mor-
morò / chiamandoti», si possono confrontare con Nevai,2 w. 5-7, «ed
un segreto / canto mi sussurravano le onde / prigioniere». Il v. 15, «di
sotto un lago di calma», fa venire in mente il titolo di un'altra lirica di
Parole , Lago in calma.3 Il finale, «mentre ulula il tuo battello lontano /
laggiù, dove s'addensano le nebbie», apre una prospettiva paesistica
simile a quella di Altura ,4 w. 4-5: «E l'ultimo battello / attraversava il
lago in fondo ai monti».
Non si tratta di cercare echi né ascendenze, ma di definire un clima
comune a due poeti che questi testi ci permettono di cogliere nella
fase della loro formazione, mentre entrambi sono ancora studenti
universitari. Sereni stesso ricorda in Dovuto a Montale5 la «spiccata
predilezione per l'inverno» nelle «metafore che andavo tentando» fi-
no al 1936. E, più in generale, l'attenzione «ai mesi e alle stagioni» è
una componente essenziale di quell'« assetto a "diario"» che secondo
Gilberto Lonardi6 resta una cifra caratteristica della sua opera: radi-
ce comune ad Antonia Pozzi, come forse anche il titolo 'da calenda-
rio' della lirica per l'amica, j dicembre , vuole (con discrezione tutta
sereniana) suggerire.
Aggiungeremo solo un altro campione, in quasi perfetta coinci-

1 II titolo del manoscritto, Tramonto, è ripristinato nell'edizione Garzanti, insieme


alla data, 10 gennaio 1933 ( Inverno di Sereni risale, in forma non definitiva e col titolo
Lontanante, al dicembre 1934: Poesie, cit., p. 391).
2 Nevai, del i° febbraio 1934, è già nella prima edizione di Parole (1939), dove segue
immediatamente Preghiera alla poesia.
3 Lago in calma (agosto 1930) è rimasta inedita fino all'edizione Garzanti.
4 Altura, delTii maggio 1935, appare nella seconda edizione di Parole (1943).
Dovuto a Montale (1983) è ora raccolto in V. Sereni, La tentatone della prosa, cit.,
pp. 144-149.
6 G. Lonardi, Introduzione, in V. Sereni, Il grande amico, cit., p. 16.

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denza cronologica: Pioggia , un testo datato «Febbraio 35» e rimasto


sommerso nel dattiloscritto delle poesie giovanili,1 inizia con i versi
«E mi ritorni vita, / nell'aspetto che non ha perso gravezza / ma di
benignità si veste / al giorno nuovo». Il confronto è con una delle
poesie più note di Antonia Pozzi, Sgorgo2 (12 gennaio 1935), la cui ulti-
ma strofa è questa: « Bontà , tu mi ritomi : / si stempera l'inverno nello
sgorgo / del mio più puro sangue, / ancora il pianto ha dolcemente
nome / perdono».
Nelle innegabili differenze, si trova già qui quel trepido dialogo
interiore che porterà entrambi a scrivere una Preghiera alla poesia; la
«voce più chiara» che si fa udire «nell'ebbrezza dei nomi» è, anche
nell'autografo di Sereni fatto conoscere da Balduino (per non parlare
dell'accorata, diffusa invocazione della Pozzi), un «tu» che il poeta
saluta al suo riapparire come una svolta di vita, o - si pensi al ver-
bo «rispunti»3 - il ritorno di un astro. Verrebbe quasi da presentire
nel vocativo «Non tradirmi / tu», tanta è la coerenza dell'opera di
Sereni, un annuncio dell'altro vocativo che darà il titolo al suo ulti-
mo libro: «Guidami tu, stella variabile, fin che puoi...» (La malattia
dell'olmo , v. 11). Ed è sempre «quel fatale, contagiante tu delle vecchie
poesie di Montale», dice Sereni nella già citata autobiografia per in-
terposta persona di Dovuto a Montale , che indica la via del poeta, con
il suo richiamo a un «romanzo» sottinteso, da immaginare «al di là,
al di fuori delle righe che sono i versi».
Ecco, il romanzo: la vera sfida, per un poeta allievo di Banfi, era
confutare il pregiudizio verso la lirica, ricondurre la «sensibilità» nel
porto della «cultura», per usare i termini usati da Sereni in una rievo-
cazione del maestro.4 Magari aggiungendo al «possibile o supposto
"romanzo"» di Montale la lettura dei romanzi moderni (quelli veri,
senza virgolette), necessaria a chi voglia poi circolarmente riappro-
dare a una poesia che viva, e trovi la sua giustificazione, in quanto
«approfondimento di momenti che nel romanzo rimangono neces-

1 Si legge in V. Sereni, Poesie , cit., p. 395.


Sgorgo e già presente nella prima edizione di Parole (1939).
3 Da confrontare con Soldati a Urbino (del 1939, in Frontiera ), w. 10-12: «poi parli
d'una stella / che ancora un giorno / sulla tua strada forse spunterà».
4 V. Sereni, Per Banfi (1977); il testo è stampato, da due diversi testimoni, in F.
D'Alessandro, L'opera poetica di Vittorio Sereni, Milano, Vita e Pensiero, 2001, pp. 213-
226 e in G. CoRDiBELLA, Di fronte al romando. Contaminazioni nella poesia di Vittorio
Sereni, Bologna, Pendragon, 2004, pp. 121-135.

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Preghiera alla poesia. Vittorio Sereni lettore di Antonia Poņgi

sanamente sommersi», come Sereni scrive in una lettera indirizzata


proprio a Banfi. 1
Sappiamo che il nostro poeta è stato, fin dagli anni giovanili, un ap-
passionato lettore del romanzo di Alain-Fournier Le Grand Meaulnes,
che nella traduzione italiana stampata dalla «Medusa» di Mondadori
nel 1933 si intitola II grande amico , come una famosa lirica de Gli stru-
menti umani. Ora, la pubblicazione di alcune carte inedite di Antonia
Pozzi ci offre un ultimo, sia pur indiretto indizio della vicinanza di
Sereni ai temi dell'amica. Su una copia, donata a Dino Formaggio
il 19 maggio 1938, dell'edizione mondadoriana de R grande amico ,
Antonia ha scritto una dedica che inizia: «questo libro dove c'è un
castello che è il castello di Atlante di tutti noi».2 Un «noi» significa-
tivo per comprendere quanto il romanzo di Alain-Fournier, così liri-
camente avvinto al tema della giovinezza come soglia inesplicabile,
abbia contato nella formazione dei giovani dell'ambiente banfiano;
un «castello di Atlante» metaforico che, nell'esperienza di Sereni, era
destinato a prendere la forma storica e oggettiva di un campo alge-
rino dove, come in Ariosto, «sfumano i volti diletti» e l'eroe rimane
solo, ad ascoltare i propri fantasmi.

1 La lettera, del 3 novembre 1935, è citata da G. Scaramuzza, Tra Banfi e Sereni, in


L'estetica e le arti. La scuola di Milano, Milano, Cuem, 2007, p. 132. Vedi anche la lettera
a Luciano Anceschi, dello stesso giorno, riportata da Isella nell'apparato di V. Sere-
ni, Poesie, cit., pp. 290-292.
2 A. Pozzi, Soltanto in sogno. Lettere e fotografie per Dino Formaggio, a cura di G.
Sandrini, Verona, alba pratalia, 2011, p. 37.

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