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Giuseppe Sandrini
1.
Pubblicando
SereniSereni
al compagno
al compagno
di prigionia
in questaBruno
di prigionia
Zappieristessa
durante
rivista1
i dueBruno le carte Zappieri donate durante da Vittorio i due
lunghi anni trascorsi nei campi alleati dell'Africa del Nord, Armando
Balduino non ha soltanto reso un prezioso servizio agli interpreti
del Diano d'Algeria , ma ha anche aperto una prospettiva nuova a chi
intenda prendersi cura del rapporto tra il poeta di Luino e un'altra
voce lirica lombarda, troppo presto oscurata: quella di Antonia Poz-
zi (1912-1938), che di Sereni fu amica e condiscepola all'università di
Milano.
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Abbiamo passato intere giornate a discorrere in tenda sotto una pioggia no-
iosa, con scrosci improvvisi e violenti. Ci raccontavamo storie, anche molto
intime [...] Volevamo convincerci d'aver vissuto [...] Misi a fuoco alcuni ri-
cordi con questo passatempo. Durò poco, subentrò presto il silenzio, a volte
l'insofferenza reciproca.2
1 Vedi anche, ma con accezione un po' diversa, l'altra lirica del Diario che inizia
Se la febbre di te più non mi porta (nella prima edizione, 1947, si intitolava Vecchio cielo e
compariva nella sezione, poi eliminata, Ma se tu manchi).
2 V. Sereni, La tentatone della prosa, a cura di Giulia Raboni, Milano, Mondadori,
1998, p. 383. L'appunto fa parte delle memorie scritte da Sereni, col titolo Algeria '44,
in un'agenda del 1956, ma è rimasto fuori dalla raccolta Gli immediati dintorni (1962).
Vedi anche V. Sereni, Poesie, cit., p. 445.
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dire col Proust che Sereni aveva letto con passione nel 1941), se capi-
tasse di udirne la «voce più chiara».
Proprio nel ruolo da riconoscere al «cuore» (alT«anima») il giova-
ne Sereni gioca, credo, la sua partita con l'ombra di Antonia Pozzi.
Preghiera alla poesia rappresenta, in Parole , un esame di coscienza che,
fedele al titolo, si svolge in un'atmosfera lessicale religiosa e liturgica
(«tu bene mi pesi / l'anima», w. 1-2; «tu sai se io manco», v. 3; «mi
confesso con te», v. 6); l'io è sottoposto a una sorta di contrizione
- davanti alla «poesia che mi guardi» dell'ultimo verso, personifica-
zione di un'entità che è però anche «mia voce profonda», v. 7, e «mio
profondo rimorso», v. 21 - per aver «tradito» innanzitutto se stesso
(«ho camminato sul prato d'oro / che fu mio cuore», w. 10-11). Ma
il «cuore», come già dice la metafora del «prato», è anche «erba» e
«terra» (w. 12 e 13), perché nel mondo poetico di Parole il rispecchia-
mento tra io e natura è senza fine.
Sereni sente il fascino, ma certo ancor più il pericolo, di una tale
immedesimazione tra la vita e la poesia: insidia esistenziale (si pensi
al ricorrere, nella sua opera, delle figure di suicidi) e rovello artistico.
La sua Preghiera , prima di essere occultata come tale nel testo del
Diario d'Algeria , si presenta già nella forma di uno di quei mantra 1
gettati fuori d'un fiato che si incontrano spesso nelle liriche di Sere-
ni: «non tradirmi / tu, mia voce più chiara». Non a caso il verso ini-
ziale avverte subito che si tratta di un vuoto «improvviso», da cui l'io
(lungi dal distendersi in una meditazione o in una confessione) cerca
sollievo aggrappandosi a qualcosa che riaffiora solo per istanti e non
ha maggiore consistenza dell'emblematico «esile mito» di Italiano in
Grecia (agosto 1942).
Il vocativo di questo Sereni ritrovato richiama alla memoria altri
vocativi che sono invece approdati al livello pubblico della stampa.
Un movimento analogo è nella lirica che apre il Diario d'Algeria , Pe-
riferia 1940, v. 5: «E tu mia vita salvati se puoi»; mentre Te n'andrai
nell'assolato pomeriggio (una poesia che oggi leggiamo in Frontiera tra
i Versi a Proserpina , ma compariva nella prima edizione del Diario ) ha
ai w. 5-8: «Di quest'attimo vivo / e poi di nulla. E tu / ne vibri as-
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sorta in ogni vena / o mia voce più dolce...». Interessante notare che di
questo componimento, datato almeno come ultima fase al medesi-
mo 1944 di Preghiera alla poesia , l'apparato dell'edizione Isella attesta
la variante1 «- mio cuore, ne soffre / assorta in ogni vena / la tua
voce più dolce -», che mostra ancora in opera il legame tra «cuore»
e «voce».
2.
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E se la nostra Antonia ci fosse, sono sicuro che proprio in lei avrei la più
fervida alleata nel presente dibattito. Perché Antonia aveva perfettamente
capito - e lo dimostra tutta l'ultima parte del mio libro - l'abuso che è stato
fatto di quelTormai logora parola del «cuore», sapeva benissimo anche lei
che il «cuore» bisognava buttarlo tutto quanto. 1
1 A. Pozzi, V. Sereni, La giovinezza che non trova scampo, cit., p. 88. La lettera è
datata 13 marzo; Frontiera era uscito il 20 febbraio.
2 R. Calzini, Una giovane poetessa, «La Stampa», 14 dicembre 1940, p. 3.
3 Noto per dovere di cronaca (ma è probabilmente solo una coincidenza) che la
data segue di un giorno il compleanno di Antonia Pozzi, nata il 13 febbraio.
4 La parola «cuore» è invece familiare al lettore di Frontiera. Vedi almeno, per
un'affinità col nostro testo, Nebbia (1937), v. 7: «Chiedo al cuore una voce».
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ancora delle sorprese, benché siano state già pubblicate varie testi-
monianze e ricerche biografiche. 1 Per il nostro discorso importa par-
ticolarmente uno spunto recentissimo, che Francesca D'Alessandro
ci ha offerto ripescando tra le carte di Sereni una serie di relazioni
editoriali precedenti al suo ingresso alla Mondadori in qualità di di-
rettore letterario.
Qui troviamo, sul valore di Parole , il giudizio di un uomo ormai
oltre i quarantanni che, valutando (alla data del 19 settembre 1955) le
liriche inedite di Lea Cornaglia, scrive che l'autrice
ha trovato una conferma e un punto di riferimento nelle poesie di Antonia
Pozzi. Di questa meno dotata, ne ripete la piega sentimentale, il costante
avvio a tristezza, a rinunzia, ad abbandono delle cose osservate e dei fatti
vissuti. Ma è una sensibilità meno intensa e meno pronta di quella della
Pozzi che ha pur saputo darci la storia di un anima.2
1 Vedi soprattutto G. Bernabo', Per troppa vita che ho nel sangue. Antonia Poççi e la
sua poesia , Milano, Vìennepierre, 2004. Un vaglio puntuale e aggiornato dei rapporti
tra i due poeti si trova, con alcuni interessanti sondaggi testuali, nella tesi di laurea di
F. Rosa, «All'ultimo tumulto». Antonia Poç%i: un confronto con Vittorio Sereni, Università
di Verona, Facoltà di Lettere e Filosofia, a. a. 2010-2011, di cui chi chi scrive è stato il
relatore.
2 V. Sereni, Occasioni di lettura. Le relazioni editoriali inedite (1948-1958), a cura di F.
D'Alessandro, Torino, Aragno, 2011, p. 47.
3 Ibidem , p. 13; relazione non datata.
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sitati che per lui culminano, nel novembre 1936, con la discussione del-
la tesi di laurea dedicata a Gozzano. 1 Le superstiti lettere di Antonia al
giovane Vittorio, oltre ad attestare lo scambio reciproco di idee e di ten-
tativi poetici, rivelano anche una profonda confidenza cui non manca
un'aurorale intelligenza critica del carattere della poesia dell'amico.
Particolarmente significativa è la lettera del 20 giugno 1935, nella
quale Antonia, dopo aver dipinto Vittorio (nel riconoscimento di un
comune senso di inappartenenza alla vita sociale, il cui modello è
il Tonio Kroger di Thomas Mann) come una sorta di fratello2 ideale,
e aver rimpianto la «cara abitudine» della sua «visitina quotidiana»,
ricorda:
1 Al novembre del 1935 data invece la laurea (su Flaubert) di Antonia Pozzi, che era
un anno più avanti dell'amico: lei nata nel '12, lui nel '13.
2 Va ricordato, per cogliere l'intensità dell'amicizia tra i due, che Antonia trascris-
se di suo pugno la lirica Diana (datata 1 luglio 1938 e poi stampata in Frontiera ) e vi
aggiunse a margine, l'ultimo giorno, alcune parole di addio al «mio caro fratello» (il
foglio è riprodotto in A. Pozzi, V. Sereni, La giovinezza che non trova scampo, cit., p.
45; e vedi V. Sereni, Poesie , cit., pp. 323-324).
3 A. Pozzi, L'età delle parole è finita. Lettere 192J-1938 , a cura di A. Cenni e O. Dino,
Milano, Archinto, 1989, p. 81. June in January è una canzone cantata da Bing Crosby
nel film Here is my heart (1934)-
4 Vedi A. Pozzi, V. Sereni, La giovineçça che non trova scampo, cit., dove l'autogra-
fo (segnalato anche da Isella in V. Sereni, Poesie, cit., p. 309 e intitolato Giorno natale)
è riprodotto alle pp. 47-48.
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sapevamo anche che la vita che sale a poesia, è quel "più che vita",
che da Simmel avevamo imparato essere l'esaltarsi stesso della vita
in valore», scriverà molti anni dopo, ricordando la figura di Antonia,
un altro allievo di Banfi, Dino Formaggio. 1
Anche la lettera del 16 agosto 1935 è preziosa, perché rivela da parte
di Vittorio (indirettamente, in mancanza delle sue risposte, a tutť og-
gi non reperibili2) un ampia apertura di credito verso Antonia, depo-
sitaria a sua volta di confessioni ora inquiete ora felici:
Mi ricordo di un discorso che mi facesti in treno, quella famosa domenica
dell'inutile gita a Monate: il tuo tormento era proprio questo, il senso del
non saper vivere, di aver nelle vene un sangue fittizio e degli arabeschi da-
vanti agli occhi invece che delle creature reali. Sono contenta, tanto tanto
contenta di quello che mi scrivi ora. 3
1 D. Formaggio, Una vita più che vita in Antonia Poççi, in La vita irrimediabile. Un
itinerario tra esteticità, vita e arte , a cura di G. Scaramuzza, Firenze, Alinea, 1997, p. 153.
2 Sappiamo, da una lettera di Sereni al padre di Antonia (senza data, ma riferibile
al 1940-41), che quest'ultimo gli restituì un gruppo di suoi «fogli», non meglio preci-
sati: «La ringrazio del pensiero gentile che ha avuto. Non ho mai richiesto i fogli che
di tanto passavo all'Antonia perché li ho sempre considerati come segni di qualcosa
che si lascia per sempre ad una persona amica. Non sarà senza una viva commozione
che io guarderò quelle carte» (A. Pozzi, V. Sereni, La giovinezza che non trova scam-
po , cit., pp. 84-85). Nessuna traccia rimane però oggi di questi materiali nell'Archivio
Sereni di Luino.
3 A. Pozzi, L'età delle parole è finita, cit., p. 83. Alla gita in questione avevano parte-
cipato Antonio Banfi e un gruppo di suoi allievi.
4 Vedi la lettera ad Attilio Bertolucci del 20 ottobre 1941: «Proust è ormai un mio
autore; e se vorrai sapere qualcosa di più del sottoscritto rileggi la pag. 76 del III di
"Sodome et Gom."» (in A. Bertolucci, V. Sereni, Una lunga amicizia. Lettere 1938-
1982, a cura di G. Palli Baroni, Milano, Garzanti, 1994, p. 38; il riferimento è all'edizio-
ne Gallimard, Paris 1924).
5 La dedica «a Antonia Pozzi» (che non si legge né nella prima stampa della poe-
sia, «Il Tempo», 2-9 gennaio 1941, né in Frontiera) è presente all'interno di V. Sereni,
Una polvere d'anni di Milano, Milano, Linea Grafica, 1944, p. 9.
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