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Paola Dottore

La forma
della coscienza
Il male oscuro
di Giuseppe Berto

saggio
Saggistica

Collana diretta da Paolo Ruffilli


Paola Dottore

La forma della coscienza


Il male oscuro di Giuseppe Berto
La forma della coscienza
©Prima edizione - Maggio 2014
Biblioteca dei Leoni
LCE Edizioni
Via delle Mimose, 2/A
31033 Castelfranco Veneto (TV)
Tel. 0423 1903988 - Fax 0423 1904355
office@lcedesign.com
www.lceedizioni.com
ISBN: 978-88-85460-48-5

Stampato da TIPOGRAFIA ASOLANA - Asolo (TV)


nel mese di Maggio 2014
Alla mamma
e ai miei affetti più cari
SILENZIO

Il tuo silenzio
mi rintrona dentro e scocca
punture di dubbio e tormento.

Svuotato mi sento
e in bocca
sapore di assenzio.

C. C. Gianforti1

1
Celestino Calogero Gianforti, ofm, Verdi Paradisi. Poesie, Ed. Isola d’O-
ro, Vico Equense, 1973.
La poesia Silenzio ricorda il Salmo 27 “se tu non mi parli/ io sono come
chi scende nella fossa”. Sono versi molto forti da me scelti e posti ad aper-
tura della mia ricerca per diverse ragioni. Sicuramente, testimoniano a
viva voce il valore della parola che noi studiosi del linguaggio celebriamo.
La parola è vita: solo chi pronuncia parola e/o la riceve è vivo. Se si pri-
va l’uomo di risposte, la depressione prende il sopravvento e cos’è essa
se non la morte dell’animo? Inoltre, a mio parere, rappresentano senza
dubbio il romanzo di Berto che è la storia dell’uomo che non si arrende
ma persevera nella ricerca di una voce che gli dia pace e serenità, al di là
della gioia di sentimenti che accompagnano i propri giorni. È l’uomo di
oggi che spesso sente in bocca un’amarezza che potrebbe trasformarsi in
veleno se egli non riscopre la dolcezza dell’anima che guarda l’orizzonte
e crede, seppur con un legittimo umano “forse”, di poter giungere al faro
bianco illuminato della costa di fronte.
Ho voluto rendere omaggio a padre Celestino cui ero legata da grande
affetto. Un uomo di cultura, professore di greco e latino, esperto di bota-
nica, poeta, giornalista e scrittore, fondatore della rivista “Voce francesca-
na”, appassionato di arte e di tutte le forme che esprimono la bellezza che
non è altro che manifestazione dell’Assoluto, secondo l’insegnamento di
San Francesco d’Assisi.

6
INTRODUZIONE

Con curiosità e prudenza bisogna addentrarsi nelle pagine


degli scritti di Giuseppe Berto: saggi, articoli critici sul cine-
ma, sceneggiature teatrali e cinematografiche, un trattatello,
i racconti e i romanzi. Nel delineare una visione d’insieme di
questo autore più si legge più si nota quanto le opere si avvi-
cinino per contenuto e si assomiglino meno per stile e artifici
sintattici, interpuntivi e linguistici. Il volume più famoso che
ha accreditato successo allo scrittore è Il male oscuro, romanzo
vincitore dei due Premi letterari Viareggio e Campiello, ben
accolto da una parte di pubblico, eppure aspramente bollato
dalla critica ufficiale e prima ancora non accettato da tutte le
Case editrici cui fu presentato, la Mondadori nella persona di
Niccolò Gallo lo bocciò proponendo di fare non indifferenti
modifiche e idem suggerì la Ginzburg. Lo stesso autore, ben-
ché fosse opera sua, metteva in guardia dal male che avrebbe
potuto fare il suo libro temendo di dover aggiungere una nuova
colpa alle numerose precedenti già elencate dal narratore de Il
male oscuro2. “È un libro pesantissimo” e “pericolosissimo. [...]
Anche se trova un editore certo non trova dei lettori. Chi legge
una roba del genere?3” ed anche alla moglie disse “non leggere,
potrebbe essere un bla-bla-bla4”. Insomma, lo scrittore avver-
tiva la difficoltà insita nel lungo racconto scritto in poco più di

2
Alberto Bassan, G. Berto tra inconscio e coscienza, in «Profili di scrittori»,
Milano, ed. Letture, 1966.
3
Patrizio Rigobon, Appunti per una definizione umana e letteraria di G.
Berto (1914-1978), con un incontro- intervista inedito ed un epilogo di
Andrea Zanzotto. Venezia, maggio 1983.
4
Goffredo Buccini, L’eroica nevrosi dell’italiano qualunque, prefazione a
Il male oscuro, collana “I grandi romanzi italiani”, «Corriere della Sera»,
n. 42, Milano 2003.

7
due mesi e che, però, non avrebbe potuto evitare di scrivere
perché gli era accaduto un fatto insolito: “era come se avessi
scoperto il bandolo d’un filo che mi usciva dall’ombelico: io
tiravo e il filo veniva fuori, quasi ininterrottamente, e faceva un
po’ male si capisce, ma anche a lasciarlo dentro faceva male5”.
E aveva riconosciuto che si trattava di “una storia molto strana
[...] tutto si svolge per allusioni nell’intimo delle mie creature,
spiegato psicanaliticamente con un procedimento tecnico per
me nuovo, con periodi lunghissimi, arbitri di punteggiatura e
altro. [...] Un libro strano e nuovo6”.
Il pubblico guardò oltre i giudizi più frequenti su Berto e si
allineò con Buzzati nella positiva considerazione del nuovo ro-
manzo in commercio. Lo testimonia un sondaggio condotto dal
supplemento specializzato «Tuttolibri» nel 1975 che chiedeva
ai lettori di votare fra i libri della lista fornita il più importante,
il più amato e il meno amato della letteratura del Novecento.
La rivista forniva un elenco di cinquanta opere fra cui non era
menzionato alcun volume di Berto. Fu data, inoltre, la possi-
bilità di scegliere anche un libro non compreso nella lista. Ne
conseguì che Il male oscuro si trovò al terzo posto come libro
più importante e al secondo come più amato.
Lo scrittore Berto non raggiunse mai la gloria di cui andava
in cerca perché i suoi scritti furono osteggiati dalla critica per
un motivo o per un altro e per questo è rimasto nella periferia
della letteratura nazionale. Il narratore de Il male oscuro dietro
cui vediamo far capolino l’autore, afferma all’inizio della storia di
essere staccato “da ogni umana ambizione” e di avere “l’impres-
5
Giuseppe Berto, Appendice in Il male oscuro, Milano, Biblioteca Univer-
sale Rizzoli, 2004, pag. 417. Lo scrittore spiega così la scelta di porre sul
frontespizio del libro una citazione del Prometeo incatenato: “il racconto
è dolore ma anche il silenzio è dolore”. Queste parole sono anticipate da
altre due citazioni, la prima è il passo de La cognizione del dolore di Gadda
da dove Berto trae il titolo per il suo romanzo; la seconda è estrapolata da
una lettera di Freud del 1900.
6
Intervista di Massimo Grillandi a Giuseppe Berto, Il buono nell’arte vie-
ne dagli isolati, in «Il Gazzettino», 19 novembre 1963.

8
sione che la storia in certo qual modo si scriva da sola” per cui
gli pare “di essere passivo esecutore nel senso che non le presta
se non la sua diligenza espressiva, e diciamo pure stile”7. Strana-
mente, il libro che l’autore non giudica essere il suo capolavoro
vinse due Premi. “I due premi in una settimana m’erano capitati
addosso senza che io e tantomeno quelli che me li avevano dati
lo volessimo: una pura combinazione, di cui avrei pagato le con-
seguenze fino alla morte, e oltre”8. La critica e la stampa anche di
tipo popolare e scandalistico si interessarono al romanzo perché
sembrava non andare bene né per stile né per contenuto.
Questo significa che Il male oscuro è innovativo su entram-
bi i fronti: affronta con verità scrupolosa i meandri dell’animo
umano e lo fa usando uno stile drammatico e umoristico che
può ricordare a tratti altri autori (Svevo, Gadda, Pirandello,
Joyce, Beckett...) ma la tecnica scrittoria è personalissima. Ne-
gli anni in cui Berto compose il romanzo non c’era dibattito
riguardo alla psicoanalisi, anzi essa era taciuta, censurata, igno-
rata o disdegnata dalla cultura italiana e lui, consapevolmen-
te, accettò il rischio di trattare l’argomento. Anzi, dalla pratica
della psicoanalisi estrae la “sintassi associativa” che ordina il
dettato narrativo il quale sottintende parecchia punteggiatura.
È qui la libertà dello scrittore, il più libero fra tutti gli uomini,
che “lavorando con l’intelletto è tenuto a capire le cose prima e
più degli altri”9 e ad esporle nel modo che ritiene più consono
alla loro natura.
Il libro è stato tradotto in inglese (Incubus), francese, te-
desco, giapponese, spagnolo, ceco, serbo-croato. L’autore è
7
Giuseppe Berto, Il male oscuro, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli,
2004, pag. 4. Per l’analisi del romanzo ho fatto riferimento a questa edi-
zione dell’opera, di conseguenza tutti gli esempi da me riportati comple-
ti del numero della relativa pagina sono tratti da essa. Nell’esempio qui
proposto ho sostituito la terza persona singolare del verbo e del pronome
possessivo alla prima del testo originale.
8
GiuseppeBerto, Colloqui col cane, Venezia, Marsilio, 1986, pag. 73.
9
Giuseppe Berto, Modesta proposta per prevenire , Milano, Rizzoli, 1971,
pag. 9.

9
studiato nelle Università americane dove la lingua italiana è ap-
presa anche grazie ai suoi scritti.
Le pagine che seguono sono il risultato di una ricerca con-
dotta con cautela e riflessione, uno studio approfondito porta-
to avanti con sguardo attento analizzando principalmente e in
modo completo il romanzo, e poi tutti gli altri scritti dell’auto-
re, tutti i commenti, gli articoli, i saggi che sono custoditi in luo-
ghi di cultura come Università e Biblioteche di principali città
italiane (Messina, Siena, Padova, Treviso, Venezia, Roma), nel
Collegio Salesiano “Astori” di Mogliano Veneto dove studiò
l’autore, a Capo Vaticano che scelse come sua “patria dell’ani-
ma”, nonché documenti segnalati da professori e studiosi del-
lo scrittore delle Università di Padova, del New Jersey e della
Virginia.
Eppure, non esiste una trattazione della lingua del Nostro,
così particolare in ogni sua opera al di là della qualità conte-
nutistica, morale e poetica di esse che è stata, invece, degna
di attenzione nel periodo in cui era in vita Berto e in quello di
poco posteriore alla sua morte.
L'intento è di fornire un contributo dal punto di vista lin-
guistico alla conoscenza di un autore di cui ci si ricorda soltanto
in occasione del Premio letterario a lui intitolato e di altre ini-
ziative a livello delle scuole di Ricadi e Mogliano o in occasione
di ogni nuovo decennio che allontana dalla sua morte.
A questo fine viene vagliata la punteggiatura insolita, i co-
strutti sintattici e il lessico, tentando un’interpretazione dell’e-
sperienza stilistica de Il male oscuro in relazione allo scopo che
spinse l’autore a credere che sia “meglio scrivere un libro im-
perfetto su dei problemi vivi ed attuali che scrivere libri perfet-
tissimi su argomenti che non interessano a nessuno”.

10
Capitolo primo

LA PUNTEGGIATURA

Aprendo a caso il romanzo di Berto, gli occhi cominciano


a vagare da una parola a quella successiva in cerca di una let-
tera maiuscola da dove iniziare una lettura casuale per poter
assaggiare il testo. Delusi dal risultato, sono coinvolti dall’an-
damento celere della narrazione, dal susseguirsi di frasi, anzi di
un periodo unico che si estende per pagine e pagine. Il lettore
potrebbe ritentare il gioco aprendo un’altra sezione dell’opera
ma il suo stupore si ripeterebbe. Così si rassegna e gli si pre-
sentano due opzioni: dimenticare quel testo o osare la lettura
dal “Penso” della prima pagina; un incipit sintomatico poiché
rivela il contenuto del romanzo: un lungo pensiero, un’inarre-
stabile sequenza di ricordi fra loro collegati. Considerata la sin-
golare struttura sintattica e la quasi assenza di segnali interpun-
tivi, esso costituisce un esempio unico per la letteratura italiana.
È risaputa la difficoltà di canonizzare un uso di punteggia-
tura: nella storia della lingua, dai Greci a noi, tanti sono stati
i teorizzatori e tanti anche gli scrittori che si sono soffermati
a suggerire la funzione sintattico-semantica degli interpuntivi;
tant’è che la Garavelli non parla di norme ma di “usi accettabili,
e quindi di variazioni nell’impiego della punteggiatura rispetto
a un paradigma di regolarità fissato convenzionalmente”10. Ai
primi decenni del Novecento risale la nuova discussione sull’u-
so dell’interpunzione, se fosse da modificare espellendo alcuni
segnali (il punto esclamativo, secondo Ojetti) o favorendo la
creazione di nuovi per un maggior ordine sulla pagina (come
propose sul finire del secolo precedente Carlo Dossi). D’An-

10
Bice Mortara Garavelli, Prontuario di punteggiatura, Bari, Laterza,
2005, pag. 5.

11
nunzio fu il primo grande scrittore italiano a lottare apertamen-
te contro la punteggiatura. Dichiarò “Ero nemico delle virgole
come la cicogna invisa colubris è nimica delle serpi”11 e affer-
mò: “costrutto molto virgolato è costrutto molto bacato. Alle
troppe virgole si riconosce che la soluzione è marcescente”12.
Berto si istruì alla lezione di D’Annunzio, autore principe
nell’educazione scolastica dell’epoca, e lo approfondì durante
la prigionia in Texas. Fuor di dubbio che la personale bibliote-
ca di un autore guidi anche la sua penna.
Dunque, se in generale oggi un insufficiente ricorso all’in-
terpungere viene chiarito con un disordine nelle idee di pianifi-
cazione, una mancanza di padronanza della testualità da parte
dello scrittore, non è però la spiegazione giusta per Berto: sia
perché analizzando le altre sue opere si ammira un uso equi-
librato della punteggiatura che palesa un’armonica struttura-
zione del testo, sia perché Il male oscuro è un’opera, che dir si
voglia, studiata e ben organizzata dall’autore; d’altronde, il te-
sto creativo è per sua natura il più libero da convenzioni e nor-
me. L’uso originale che lo scrittore Berto fa della punteggiatura
mantiene comunque la sua funzione ordinatrice delle strutture
sintattiche e si veste di importanza dal punto di vista stilistico
ed espressivo. C. Salinari trova i precedenti di questa tecnica di
scrittura, che definisce “automatica”, negli scrittori surrealisti e
in alcuni “avanguardisti” ma, sebbene individui questo legame,
riconosce che Berto utilizza tale procedimento di ars punctandi
“con molta discrezione e autonomia, tanto che, anche senza la
normale punteggiatura, il periodo non perde mai la sua struttu-
ra logica e risulta sapientemente costruito con l’intreccio degli
incisi, delle subordinate e delle coordinate”13. La prosa della

11
D’Annunzio nella vita e nelle opere, Roma, Casa del Libro, 1934, pag.
49.
12
Bice Mortara Garavelli, Prontuario di punteggiatura, Bari, Laterza,
2005, pag. 133.
13
Carlo Salinari, Introduzione in Il male oscuro, Milano, Biblioteca Uni-
versale Rizzoli, 1977.

12
narrazione è scandita allora da pause logiche anziché grafiche:
“si tratta di un testo dal respiro lungo e la catena del flusso
non avrebbe potuto interrompersi (grammaticalmente) se non
a rischio di troncare la tensione”14. Virgole e punti, allora. Ma
non solo.

I. La sezione bianca

I segni interpuntivi considerati più marcati sono il capo-


verso e le sezioni bianche15. Ne Il male oscuro le sezioni bianche
che campeggiano alte sulla pagina risultano essere di massima
importanza a causa della loro funzione di divisione fra la varie
parti dell’opera. Infatti, il romanzo non è articolato in capitoli
numerati o nominati16, cosicché la non scrittura serve a segnala-
re un nuovo inizio di narrazione. Queste zone bianche potreb-
bero corrispondere a quelle fosse enormi di silenzio, per usare
la locuzione del poeta A. Zanzotto17, che si creano durante la
seduta psicoanalitica. Oppure, secondo il nostro parere, questi
‘attimi di pausa’18 rappresentano i momenti di prevalenza della
razionalità che si sforza di riassettare stilisticamente il materia-
le che affiora in modo continuo dalla mente dello scrittore in
14
Corrado Piancastelli, in Letteratura italiana 900. I contemporanei, VIII.
Diretto da Gianni Grana, Milano, Marzorati, 1979.
15
Luca Serianni, (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Gram-
matica italiana. Italiano comune e linguaggio letterario. Suoni, forme, co-
strutti. Torino, Utet, 1988, pag. 57.
16
Successivamente, ne La cosa buffa, in cui lo scrittore riproduce pressap-
poco lo stile già inaugurato ne Il male oscuro, il romanzo è articolato in 23
capitoli tutti presentati da un titoletto discorsivo. Esempio cap. I: “In cui
Antonio incontra Maria e ci pensa sopra”. Giuseppe Berto, La cosa buffa,
Milano, Rizzoli, 1966.
17
Testimonianza di A. Zanzotto, dalla trascrizione ad opera di don Seve-
rino Cagnin sdB, delle audiocassette del Convegno di Studio “G. Berto”,
Mogliano Veneto 29-30 marzo 1985.
18
Ferruccio Monterosso, Come leggere il male oscuro di Giuseppe Berto,
Mursia, Milano 1977, pag. 61.

13
un misto di verità e fantasia. Il testo viene allora segmentato
in undici parti, l’ultima delle quali rappresenta un caso ancora
più singolare dei precedenti perché si estende per ventiquattro
pagine senza punti fermi, scandita soltanto da virgole. Lo stesso
Berto ammise che i periodi gli venivano “fuori lunghi lunghi al
pari di vermi solitari”19. La divisione del corpus in undici parti
non viene annunciata da alcun indice ma per comodità in que-
ste pagine chiameremo queste parti capitoli e li indicheremo
numericamente.

II. Il capoverso

“Se tra due frasi o tra due gruppi di frasi c’è uno stacco
molto netto, dopo il punto si va a capo e si comincia un nuovo
capoverso”20. L’a capo è una spia che ricorre ne Il male oscu-
ro settantacinque volte21 ad indicare la separazione del testo
per blocchi di informazioni nuove rispetto agli argomenti che
si sono già trattati. Il primo capoverso segna lo stacco con le
supposizioni del narratore sulla formazione di una sua coscien-
za o volontà nel feto: “Ad ogni modo, pur lasciando da parte
il periodo prenatale, la mia lotta col padre mi sembra quanto
basta varia e lunga da poter essere argomento di una storia...”
(pag. 5). Spesso, per evitare bruschi stacchi, l’autore dà inizio al
capoverso con l’avverbio così: “Così era stata proprio una bel-
la telefonata da consolarmi...” (pag. 20); “ Così tutto sommato
questa operazione del padre non era una cosa bella né sem-
plice...” (pag.20); “Così fu un buon sollievo quando vennero
con la barella a portarselo via...” (pag. 22); “Così ora il dolore
a poco a poco scacciato dalla morfina se ne va...” (pag.123);
19
I veri “immortali” da «Il Resto del Carlino», 24 gennaio 1965.
20
Dardano-Trifone, La nuova grammatica della Lingua italiana, Milano,
Zanichelli, 2001, pag. 624.
21
Escludo dalla somma gli undici incipit delle sezioni in cui è suddiviso
il romanzo.

14
“Così ora mi trovo con una moglie che aspetta un figlio...” (pag.
158); “ E così questa figlia appena nata mi riempie la mente
e l’anima...” (pag. 184); “Così con questo transfert ormai in
funzione le cose della psicoanalisi procedono un po’ meglio...”
(pag. 299). Ma ancora più frequenti sono i capoversi inaugurati
dall’avverbio di tempo ora che ben mantiene tese e congiunte le
fila della narrazione: “Ora, veramente, la vedova che m’era ve-
nuta appresso da Roma poteva avere sì qualche difetto però...”
(pag.23); “Ora non è da dire che io sia molto assuefatto a luoghi
come i casinò...” (pag. 33); “Ora non era facile stare inerti...”
(pag. 36); “Ora una cosa è chiara finalmente che mi taglieranno
la pancia...” (pag. 116); “Ora capita una mattina che mentre io
dormo...” (pag. 171); “Ora non è chi non veda quanto fosse in
fondo difficoltoso lavorare...” (pag. 163); “Ora abbastanza stra-
namente direi capita che...” (pag. 279); “Ora con questa a dire
il vero un po’ meccanica distribuzione delle parti...” (pag. 307).
A volte, lo scrittore inizia il nuovo periodo riprendendo
l’ultima parola o frase del periodo precedente: “... tanto valeva
che me ne tornassi in albergo. / Naturalmente non è che tornan-
do in albergo...” (pag. 30); “... quando tornavano a casa dalla
bottega. / La bottega era sotto i portici...” (pag. 76); “è meglio
che arrivi il chirurgo e buonanotte. / Però quando finalmente
arriva...” (pag. 122)22.

22
Questo procedimento è regolare in un altro romanzo di Berto, La glo-
ria. Qui la ripresa si ha puntualmente ad inizio paragrafo: “ ...E ancora:
perché la sofferenza, l’ignoranza, il dubbio? E l’impazienza? / Con impa-
zienza cercavo...” (pag. 16); “... Tutta la notte, in ginocchio, interrogai l’E-
terno. / Tutta la notte, o Eterno mio Dio, soffocata l’impazienza ma con la
febbre, t’interrogai...” (pag. 20); “...come racconta Luca. / Luca racconta...”
(pag. 35); “... gli obbedisti docilmente. / Per questa docile obbedienza...”
(pag. 38). G. Berto, La gloria, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 2001.

15
III. Il punto fermo

La funzione del punto fermo è duplice: segmentatrice e


sintattica. Esso rappresenta una pausa forte che pone fine ad
un periodo o frase e sovente “tende ad invadere il campo di
altri segni , come il punto e virgola, i due punti, la virgola”23.
Riferendoci al romanzo in questione, ciò non avviene. Il punto
fermo non si appropria delle funzioni degli altri segnali, sem-
mai molto spesso è la virgola la sostituta dei due punti, del pun-
to e virgola, di quello esclamativo, interrogativo e dello stesso
punto fermo. Quest’ultimo è il più antico segno di interpun-
zione e rappresenta “il limite fra parola e silenzio”24. Talvolta
riproduce graficamente una pausa del pensiero o delle azioni
dei personaggi:
– ... tutto era pronto, ma la suora che sovrintendeva a quelle
faccende venne dentro a dirci che il primario ne stava fa-
cendo un altro e ci voleva pazienza. Certo, non so le sorel-
le, ma io di sicuro e forse pure il padre in fondo in fondo
avevamo il presentimento che quell’operazione fosse come
lo scatto ultimo d’una trappola mortale, eppertanto da al-
lontanarsi il più possibile, però dato che eravamo arrivati
a quell’attesa io penso che tutti avevamo fretta, ci seccava
portar pazienza, perfino nostro padre ci scommetto che
tamburellava con le dita sul lenzuolo e teneva quasi sem-
pre lo sguardo fisso alla porta per vedere quando sarebbe-
ro venuti a portarlo via ... (pag. 21).
Altrove il punto fermo giova a segnare il distacco fra una
decisione presa dal protagonista nel colloquio col medico, cioè
di far ritorno a Roma, abbandonando il padre morente in un

23
Luca Serianni, (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Gram-
matica italiana. Italiano comune e linguaggio letterario. Suoni, forme, co-
strutti, Torino, Utet, 1988, pag. 59.
24
Bice Mortara Garavelli, Prontuario di punteggiatura, Bari, Laterza,
2005, pag. 59.

16
ospedale veneto, e la difficoltà di comunicare tale scelta al pa-
dre moribondo:
– ... stando così le cose come lei dice io me ne torno a Roma
tranquillo anche perché tra l’altro so di lasciarlo in buone
mani. / Ora il difficile era spiegarlo al padre, da tre giorni
che stavo lì non s’era gran che accorto di me pareva... (pag.
49).
Oppure, il punto fermo serve a porre distanza fra i pensieri
del protagonista e quelli del padre, questi ultimi ipotizzati dal
figlio25:
– ... io ad esempio cercavo che mia figlia non sapesse com’e-
ro, non conoscesse tutte le apprensioni ed inquietudini che
la sua esistenza mi dava per via che io mai dimenticavo
d’essere responsabile e diciamo pure colpevole della sua
vita e questo mi caricava un cumulo di doveri inesauribili
fino alla mia morte prima di un certo accadimento che rese
a mio avviso superflua ogni mia sete di ulteriori espiazioni.
Ora, sicuramente mio padre non aveva questo genere di
pensieri, lui si sentiva in credito invece che in debito per
avermi messo al mondo... (pag. 92).

IV. Punto interrogativo, esclamativo,


puntini di sospensione

Ne Il male oscuro manca punteggiatura che svolga funzione


emotivo-intonativa, ovvero punti esclamativi, interrogativi o pun-
tini di sospensione. Questo non significa che non facciano com-
parsa espressioni di tali tipologie. Le espressioni interrogativa e
esclamativa sono integrate nella frase:
– ... o l’altra volta che ad un cocktail di tutta gente arriva-
ta Gassman mi mise una mano sulla spalla chiedendomi

25
Le scelte sintattiche rafforzano la tematica affrontata nel romanzo, ov-
vero il conflittuale rapporto padre-figlio.

17
quando cominciamo a lavorare insieme ed io benché rilut-
tante dovetti spiegare che avevo un’idea straordinaria...”
(pag. 59);
– ... e c’erano gli ufficiali medici alloggiati in casa nostra che
chiedevano a mia madre perché non scappate voi che avete
figli piccoli, e mia madre rispondeva... (pag. 69);
– ... e mia madre diceva su non essere rustego perché non
rispondi, ma io non rispondevo... (pag. 73);
– ... che ce ne facciamo diceva delle croste e del pane che avan-
za meglio allevare... (pag. 88);
– ... interpellava ad alta voce la possibile cliente allora padro-
na possiamo servirla in qualche cosa... (pag. 97);
– ... nella sua qualità di pregnante ormai parecchio grossa
non ha più i freni inibitori a posto e dice sei matto a farti
ancora radiografie non te ne sei fatte già abbastanza, e io...
(pag. 169);
– ... perché non ti metti a lavorare qui che c’è il termosifone, ...
(pag. 174);
– ... e dice o Padreterno mettiti tu al mio posto che avresti
fatto, ed evidentemente il Padreterno dà l’assoluzione...
(pag. 199);
– ... mi dice amore quando mi vieni a trovare noi due anche
se litighiamo sempre ci vogliamo bene... (pag. 212);
– ... e Augusta ti cerca domanda sempre dov’è papà perché
non vieni su ti vogliamo tanto bene (pag. 224);
– ... le dico signorina vuole fare un giro in giostra con me, e lei
ora mi guarda... (pag. 329);
– ... su sta’ buono lo dicono tutti che non diventerai matto
perché continui a pensarci sopra a che ti serve allora la psico-
analisi, comunque... (pag. 348);
– ... gli dico be’ che ne pensi che sono stato promosso, e lui
risponde... (pag. 366);
– ... e poi mi dice perché mi dici bugie brutto figlio d’una ca-
gna fossero tutti come te... (pag. 374);
– ... e io dico che sua mamma non deve farle un bel niente

18
altrimenti come finirà domani nostra figlia abituata com’è a
dei genitori che le risolvono ogni difficoltà, e naturalmente...
(pag. 397);
– ... e lei mi dice be’ ma che stai facendo sei proprio stupido, ...
(pag. 345).

In quest’ultimo esempio si potrebbero introdurre il punto in-


terrogativo e subito dopo quello esclamativo: be’, ma che stai
facendo? sei proprio stupido!

Alcune interrogative sono dubitative, non sono rivolte ad


interlocutori ma rientrano nel monologo riflessivo del narrato-
re perplesso, il quale si pone domande e tenta di fornirsi spie-
gazioni:
– ... ed è una delle radiografie che mi sono state fatte in po-
sizione eretta e questo cosa significa, significa che io... (pag.
106);
– ... e io non rispondo niente si capisce che potrei risponderle,
e allora... (pag. 178);
– ... oh perché non sono queste le strade della Galilea sì da
poterle dire donna ti rimetto i tuoi peccati, ... (pag. 375);
– ... e pertanto chi me lo scrive ora il quarto capitolo ... (pag.
391);
– ... e io rimango senza fiato con tutto gelo nella schiena e ri-
gidità chiedendomi a lungo ma cos’ha detto cos’ha detto, la
guardo e mi chiedo cos’ha detto non potendoci credere...
(pag. 398).

Il narratore oltre a rivolgere domande ad interlocutori con-


creti ovvero alla moglie, ai medici, indirizza le sue richieste di
ascolto e chiarimenti anche a cose inanimate, al padre defunto e
a Dio, questi ultimi due persone che tenderanno gradualmente
a confondersi ed identificarsi:
– ... e chiedo perché mi avete messo al mondo perché, a tutto
lo chiedo ad ogni cosa con disperazione... (pag. 324);

19
– ... siamo molto ragionevoli vero padre, ... (pag. 104);
– ... e io dico con l’anima in tumulto perché non rendi poi
quel che prometti allor, [...] cosa faccio al mondo io cosa
faccio,... (pag. 325).

In più occasioni la lettura richiederebbe il punto esclama-


tivo invece, spesso, ci si trova davanti ad una virgola che ne
svolge le funzioni:
– ... l’altro splende in volto di contentezza come se avesse
fatto tredici in una settimana buona gli possano venire a lui
questi maledetti dolori, alla fine... (pag. 115).

V. Virgolette, lineette, parentesi, due punti

Come possiamo notare dagli esempi sopra riportati, Berto


non ricorre neanche all’interpunzione di funzione metalingui-
stica. Le cosiddette stratificazioni discorsive sono ben assorbite
nel cotesto cosicché non si colgono visivamente i passaggi dalla
voce del narratore a quella dei differenti enunciatori. Mancano
completamente virgolette citazionali e trattini brevi atti ad in-
trodurre i discorsi diretti:
– ... si volta verso il collega anestesista per dirgli eh sì per
essere teso è teso [...] lui si volta verso il compare dicendo
eh sì è perforato, e io gli chiedo che per l’amor di Dio mi
faccia una morfina che non ne posso più ma lui brutalmen-
te risponde no, niente morfina o altro qualsiasi analgesico
poiché ... (pag. 115);
– ... be’ dico io in tono un po’ meno provocatorio allora
com’è andata, ... (pag. 127);
– ... mi risponde la signora è fuori, allora perdo la pazienza e
mi metto a gridare dove fuori per la madonna [...] io grido
ma si può sapere chi ha la febbre la bambina o la signora ...
(pag. 202);
– ... lei subito risponde sei un mostro ti meriteresti come mi-

20
nimo le corna non hai pensiero per me che ho la febbre alta e
neanche per tua figlia povera disgraziata con un padre simile,
e mi spiega [...] e mi dice sei contento adesso che mi hai fat-
to piangere e infatti si fa un paio di singhiozzi...” (pag.203);
– ... ti raccomando amore mio mi dice non farmi stare in pen-
siero... (pag. 245).

Tutti i discorsi vengono quindi riportati realizzando una


fusione fra le parole del narratore e quelle altrui, soprattutto
perché in questo procedere tutte le parole appartengono ad un
unico insieme di ricordi che torna alla mente compatto: “le pa-
role pronunciate da altri sono fatte proprie dalla memoria di
chi le richiama alla mente”26.
Fedele a questo, a Berto non servono nemmeno i due pun-
ti di funzione metacomunicativa. Anche il ruolo esplicativo non
viene affidato alla punteggiatura, né alle parentesi di qualsivo-
glia natura. Piuttosto, lo scrittore fa largo uso di congiunzioni
che rettificano o completano un concetto già formulato:
– Comunque sia, questa lotta col padre, ormai vicina affer-
mo alla sua ineccepibile conclusione, ossia all’identifica-
zione finale dei due termini contrapposti [...] si potrebbe
senza sforzo alcuno includervi anche il periodo prenatale,
ossia quello da me trascorso nell’alvo materno... (pag. 4);
– ... e con svariati mezzi come ad esempio l’alta statura, o il
peso che superava il quintale, o il tabarro fors’anco grigio-
verde, o la calvizie... (pag. 3);
– ... arrivammo alla spiegazione giusta ovverosia scientifica...
(pag. 6);
– ... la psicoanalisi è un po’ come la confessione, ossia non
servirebbe a niente se uno non andasse a raccontarvi la
verità... (pag. 7);
– ... una cosa da niente, ossia un taglio... (pag. 18);

26
Luca Serianni, Prima lezione di grammatica, Roma - Bari, Laterza, 2006,
pagg. 118-119.

21
– ... certo non era possibile ossia non possibile senza grave
scandalo... (pag. 37);
– ... se n’era già andato per quel che si riferiva a questi pro-
blemi, nel senso che non era probabile che si potesse ormai
aggiungere alcunché di nuovo alla conoscenza che aveva-
mo l’uno dell’altro... (pag. 42).

VI. La virgola

Protagonista delle pagine de Il male oscuro, la virgola svol-


ge plurimi compiti nell’ordine sintattico di questa lunga narra-
zione. Se generalmente, infatti, il suo valore è di pausa breve,
qui esso è rivestito di una forza notevole perché le sono affidate
le funzioni proprie di altri segni interpuntivi.
Nell’esempio che segue al posto dei due punti di funzione
esplicativa troviamo la virgola:
– ... conducendomi dall’una all’altra di quelle misteriose im-
magini mi illustra le condizioni generali e il funzionamento
del mio apparato urinario, il rene destro ha i calici maggio-
ri un po’ dilatati...

La presenza della virgola nel testo di Berto marca gli enun-


ciati chiarendo il loro significato. Nel testo appare di rado la
virgola di valore seriale:
– ... potevano benissimo essere i radicali, scrittori, giornalisti,
commediografi, saggisti, esegeti e via dicendo... (pag. 61).

La virgola compare con funzione parentetica quando con-


tiene un avverbio con cui il narratore interviene a commentare:
– ... quando, francamente, questo padre arrivai a mettermelo
sotto i piedi ... (pag. 5).
Spesso, fra due virgole è compresa la proposizione con-
cessiva:

22
– ... ne hanno tuttora più bisogno di quanto non si creda,
senonché una tale supposizione non andrebbe poi d’accordo
col sospetto che più d’uno potrà avere alla fine, ... (pag.1);
– ... non ho mai fatto parola di questo inconveniente delle
lombari, sebbene poi, da un altro punto di vista, possa anche
essere che abbia taciuto per non dargli dispiacere, ... (pag. 8);
– ... io, benché egli non me l’avesse chiesto, lo accompagnai
fin dentro... (pag. 22);
– ... le leggi sono fatte apposta per impedire le truffe, benché
questi dopo la guerra non fossero tempi troppo favorevoli alle
leggi coi sovversivi e gli scioperi e i delinquenti che trionfava-
no dappertutto, ... (pag. 76).

Lo stesso uso della “virgola che apre e chiude”27 si ritrova


per le proposizioni consecutive:
– ... tentativi che mio padre andava facendo onde ottenere
la ricrescita dei capelli per mezzo della Chinina Magone,
tanto che dovrei pensare ad una mia organica incapacità o
quantomeno ottusità nel mettere in correlazione fatti diversi
e contrastanti riferiti ad un unico soggetto, ... (pag. 5);
– ... o Signore Signore quanto sto male mi metto a gemere,
tanto che una mi prende la destra e l’altra la sinistra e tutte e
due soprattutto con espressioni compassionevoli fanno quel
che possono per consolarmi, però... (pag. 129);
– ... quel diffuso senso di colpa [...] si è sviluppato in me fuo-
ri di misura [...], sicché nella fattispecie avrei anche potuto
fottermene, pur ché l’avessi saputo, ... (pag. 11).
In questo ultimo caso la proposizione consecutiva è seguita da
quella condizionale, posta anch’essa fra due virgole. Ancora
troviamo lo stesso procedimento con la proposizione causale:
– ... l’idea della lotta col padre morto, giacché di star combat-
tendo col trapassato io già da un pezzo lo sapevo, ... (pag. 6);

27
Raffaele Simone, Fondamenti di linguistica, Bari, Laterza, 2004, pagg.
221-225.

23
– ... spiegano soprattutto la mia interminabile solitudine,
poiché proprio ora che il padre era sceso dal piedistallo mito-
logico e mi avvinceva a sé sentimentalmente con la faccenda
dei sacrifici, ecco che io... (pag. 68)
– ... c’era sempre una gran confusione di forcine e pettinini
[...] con attaccati capelli lunghissimi, perché mia madre mai
si sarebbe tagliati i capelli alla garçonne, mentre mia zia...
(pag. 75).

Non sempre la pausa fra la proposizione principale e la


secondaria è segnata dalla virgola:
– ... m’era tutto indifferente purché non si perdesse l’ultimo
filobus.... (pag. 33);
– ... io non avrei potuto come gli altri mangiare pane e mar-
mellata o pane e cioccolato sebbene mi piacesse molto pen-
sando ai miei [...] provavo una così grande gioia nel man-
giare pane asciutto... (pag. 66);
– ... impara a farmi certe proposte ipocrite senonché poi me
lo rinfaccerebbe quotidianamente per quindici mesi o anche
più nel caso che... (pag. 172).

Analizziamo l’inizio di un periodo estrapolato dal roman-


zo e qui riportato fedelmente:
– Ordinai un risotto di pesce, che è l’unica cosa che mi faccia
nascere la nostalgia di Venezia quando ne sono lontano,
ma per quanto avesse buon profumo di peoci e prezze-
molo e un colore assolutamente neutro lo stesso non ri-
uscivo a togliermi dal cervello l’immagine di quella cosa
appollaiata sopra la pancia del padre mio, sicché non potei
mandarne giù più di due o tre bocconi e poi mi fermai a
guardare il piatto con tanta tristezza che lei mi chiese se
stavo pensando a mio padre, e sebbene in quel momento
fosse un sentimento del tutto privato le risposi di sì ...28.

28
Si tratta del XXX capoverso del romanzo, pg.32.

24
Come ben si può notare, in questo caso, pur essendoci le vir-
gole in apertura delle proposizioni consecutiva e concessiva,
mancano le virgole di chiusura.
La virgola compare nella maggioranza dei casi con la con-
giunzione «e» di valore a volte copulativo, a volte rafforzativo
(nel senso di “per di più”, “per giunta”). Leggiamo l’esempio
di una pagina del romanzo costituita da un unico periodo e che
ospita una lunga sequenza di virgole in accordo con la congiun-
zione «e»:
– ... altre volte lo interessava vivamente, e allora smetteva di
giocare con le chiavi [...] , e così accadde col sogno [...],
e le persone dentro potevano benissimo essere i radicali
[...], e questo precisamente perché erano molto legati l’uno
all’altro, e in realtà [...], e così a questo punto il sogno per
me era chiarissimo [...], e comunque in modo particolare
da quando m’accorsi [...], e naturalmente ciò poteva deri-
vare sì da me [...], e io si capisce in concorrenza con loro
[...], e naturalmente neppure le donne... (pag. 61).

25
Capitolo secondo

LA SINTASSI

L’uomo modella la parola plasmandola secondo la pro-


pria necessità, adattandola così all’idea che dalla mente vuol
trasmettere ad un lettore o ascoltatore. Ecco che, una volta in-
serita in un discorso, la parola acquisisce un valore preciso a
seconda della posizione che occupa nel cotesto e dei rapporti
con gli altri elementi frasali.
Benché Berto sia stato un lettore e ammiratore critico di
D’Annunzio e della sua prosa29, ne Il male oscuro non sembra
esserci il ricorso al bello, alla “brillantezza dannunziana”30.
Come può questo scrittore disfarsi della lirica, dello stile elo-
quente che aveva assorbito nella sua biblioteca? Forse quel
tipo di scrittura sarebbe stata una trappola, un anfratto dove
rintanare la storia che l’autore aveva in mente di scrivere. Il
disagio, il dramma interiore vissuto dal protagonista dell’opera
sarebbe stato svilito, banalizzato dall’eloquenza, ridicolizzato
dalla lirica. D’altronde la tendenza italiana è sempre stata liri-
cante mentre il romanzo per potersi realizzare concretamente
deve allontanarsi da tale propensione per esprimere anche le
azioni quotidiane; pure Manzoni sosteneva che per scrivere un
romanzo la prima tappa è “sliricarsi”31. La realtà che si dispie-
29
“Durante i suoi studi scolastici non ebbe la fortuna di conoscere un
Verga o uno Svevo, prevaricava D’Annunzio”, Luigi Soru, G. Berto, o de
“Il male oscuro”, in «Cenobio», 1979.
“Berto leggeva D’Annunzio tra i reticolati del campo di Hereford”, G.
Tumiati, in L’eco del Terraglio, giugno 1988.
30
Piervincenzo Mengaldo, Storia della lingua italiana. Il Novecento. Il Mu-
lino, Bologna, 1994, pag.145.
31
Come ricordava Vigorelli al Convegno di studio. Berto, Mogliano Veneto
29-30 marzo 1985, trascrizione dalle audiocassette a cura del prof. don
Severino Cagnin, sdb.

27
ga nelle pagine de Il male oscuro difficilmente sarebbe potuta
entrare in una veste perfetta e luminosa. Le vicende narrate
rappresentano il buio in cui a volte si trova la vita e devono
scaturire nella pagina in tutto il loro fluire senza essere incasto-
nate nella rigidità di immagini e artifici. Ma Berto non si scrolla
completamente di dosso il classico: durò tre anni il labor limae
del romanzo steso in un paio di mesi. Berto affermava: “la mia
è una prosa che scorre senza mostrare l’enorme fatica che è
costata però non è che scorra a vuoto questo no giacché dietro
l’apparente leggerezza dell’andante con moto vi è a dir poco un
intero mondo morale”32. Non fu il primo né l’unico scrittore
che rifiutò lo stile consacrato dalla tradizione, la letterarietà.
Nello stesso anno in cui finiva di essere stampato il romanzo
di Berto, a sei mesi di distanza, compariva un articolo a pro-
posito dei nuovi orientamenti di scrittura: “Da qualche anno
in qua gli scrittori italiani sentono scricchiolare sotto la penna
le tradizionali categorie sintattiche della lingua. La vecchia e
gloriosa sintassi «ereditata da Omero» [...] sembra destinata
a cedere alle nuove e libere sintassi moderne [...]. Sembra ci
sia una predisposizione quasi generale degli scrittori italiani,
da Gadda a Berto”33. Evidentemente, i cambiamenti nell’am-
bito delle scelte linguistiche erano avvertiti come segni di una
crescente crisi della lingua degli scrittori. Ancora oltre, l’autore
dell’articolo rivela con chiare espressioni la forte preoccupazio-
ne nei confronti della nostra lingua nazionale: “L’unità logica e
sintattica di una delle lingue europee più stabili, come è stata
fino ad oggi la lingua italiana, [...] rischierebbe d’un tratto di
sgretolarsi”. Bisogna considerare certamente che l’ambiente
letterario ha percorso strade differenti, c’è stato chi si è diretto
verso il particolarismo dialettale e chi ha operato la scelta di

32
Da Alessandro Scurani , Giuseppe Berto. Il Male oscuro in «Civiltà Cat-
tolica» 16 maggio 1964.
33
Fortunato Pasqualino, Lingua e superlingua in «La Fiera letteraria» 27
settembre 1964.

28
una lingua definita sovrastorica. Lo stile del romanzo di Ber-
to è stato chiamato superficiale, fatto di scelte approssimative,
non profonde. Questo modus scribendi viene giustificato se si
tiene conto del clima letterario dell’Italia di allora per il quale
“scrivere male era una novità assoluta, o quasi”34. Berto è di-
sponibile a guardarsi indietro e a cercare soluzioni sintattiche e
punti d’appoggio nella tradizione, ma non in quella immediata
e neanche in quella imposta in modo più netto dalla scuola o
dal gusto letterario dominante. Forse subisce maggiore influen-
za dalle firme della letteratura veneta ottocentesca. Resta il fat-
to che Berto riesce a coniugare procedimenti tradizionali della
sintassi con recentissime novità.
Si è già detto nella parte di questo lavoro relativa alla pun-
teggiatura che non compaiono molte pause grafiche; ebbene,
la prosa è classicamente scandita da pause logiche. La struttu-
ra dei lunghi periodi risulta costruita in modo chiaro e logico,
tanto che si evince perfino il rispetto della sintassi latina, ovve-
ro consecutio temporum35. Nella fluvialità del periodare si può
ancora cogliere una “invalicabile ortodossia sintattica, regolata
sui più rigorosi canoni grammaticali”36. Le strutture sintatti-
che tradizionali si individuano sotto la fluidità ininterrotta del
pensiero che si dipana su due toni: quello realistico, ovvero il
resoconto dei fatti che fagocita anche i dialoghi, e quello psico-
logico che esterna le situazioni interiori.

34
Da un intervento di Michel David al Convegno di studio. Berto, Moglia-
no Veneto 29-30 marzo 1985, trascrizione dalle audiocassette a cura del
prof. don Severino Cagnin, sdb.
35
Corrado Piancastelli, Giuseppe Berto in Letteratura italiana. Novecento.
I contemporanei, diretto da Gianni Grana, Marzorati, Milano 1956, VIII
vol, pag. 854.
36
Alberto Frasson, Berto, ovvero il male oscuro della gloria, in «L’Osserva-
tore politico- letterario», a. XXIV, n. 12, dicembre 1978.

29
I. Sintassi associativa

La caratteristica della sintassi associativa è la libertà. Non


nasce da un bisogno occasionale e non è frutto di sovrapposi-
zioni di elementi conseguita dalla civetteria dello scrittore. Le
componenti di questa sintassi si amalgamano in un discorso che
non poteva essere altro per rendere una narrazione che cerca
il contatto con la vita. Così, sollecitato dall’esperienza psico-
analitica, Berto compila un inventario delle proprie colpe e
complessi37 e delle malattie da essi causate facendo coincidere
nell’io narrante la realtà soggettiva e quella oggettiva in ubbi-
dienza alla tecnica delle libere associazioni, propria dell’esame
psicoanalitico.
Elencando le fobie di cui è preda, si lamenta del fatto che
tutti tranne lui sappiano di che si tratti, o per lo meno s’atteg-
giano a sapienti: “in conclusione dunque questo esaurimento
era un bel mistero per quanto tutti sapessero tutto di ciò ossia
non solo i medici da diecimila lire e quelli da cinquemila ma
anche gli amici sia miei che di mia moglie ciascuno dei quali
aveva già avuto l’esaurimento o l’aveva tuttora, e anche mol-
te persone incontrate per caso al caffé o all’uscita dei cinema
avevano avuto l’esaurimento esse stesse o almeno qualche loro
parente stretto, e in questa grande abbondanza io non faccio in
tempo a dire di qualche mia fobia come tanto per citarne qual-
cuna quella dell’ascensore o della nave o delle partite di calcio
e dei concerti che subito salta fuori uno che ha la medesima
cosa” (pag. 167).
Il narratore, al di là delle fobie che altri condividono, si
concentra sulla ricerca del nesso tra probabili cause e mali che
in apparenza inspiegabilmente lo tormentano, e afferma con
convinzione: “peccati ne ho fatti molti e moltissimi (pag. 276)

37
Dizionario critico della Letteratura Italiana, diretto da Vittore Branca con
la collaborazione di Armando Balduino, Manlio Pastore Stocchi, Marco
Pecoraio, Unione Tipografico Editrice Torinese, 1986, pagg. 293-294.

30
e il futuro rimane sempre più compromesso dal carico di que-
sti debiti etici [...] è così in realtà che mi si è formato questo
oscuro male [...] la vaghezza e la spiritualizzazione della ma-
lattia hanno fatto il loro tempo, sono stufo di lottare contro
fisime e astrazioni, ora voglio che questo male se c’è si manifesti
concretamente in forme plausibili, e così un po’ per giorno rie-
sco a localizzare un bel cancro allo stomaco [...] nella seconda
grande ansa del colon...” (pag. 276). E così via, ipotizzando e
credendo di essere vittima di una serie di mali che attaccano
all’improvviso: “questo terribile male può prendermi così a tra-
dimento come gli piace” (pag. 220); “...e poi crac, un lunedì
mattina scatta a tradimento quell’oscuro diabolico meccanismo
e io non faccio in tempo a dire Dio mio Dio mio che già vengo
travolto da angosce e paure, e correnti di caldo e di freddo
confuse e accavallatisi, e contorcimenti paurosi di budella [...]
le ghiandole testicolari dolgono moltissimo rivolgendosi miste-
riosamente, e dolgono anche le cinque vertebre che bruciano si
capisce ...” (pag. 265); “...sempreché non si sia verificata in me
una malattia straordinaria di cui i medici non hanno esperien-
za, o meglio ancora una eccezionale combinazione di malattie,
un po’ di diabete ad esempio o al contrario un po’ di glicemia
messa insieme con la colite spastica e in più l’ulcera duodenale
e l’artrosi lombare...” (pag. 230); “...non ero affatto sicuro del
genere di malattia che mi era capitato addosso, ossia da un cer-
to punto di vista era indubitabile che si trattava di esaurimento
o meglio sia nevrosi ma da un altro punto si poteva benissimo
pensare che avendo io un male cane allo stomaco si trattasse di
un bel cancro e la disgrazia mi sembrava molto probabile...”
(pag. 282). E quando il protagonista si trova a dover confidare
le sue pene allo psicanalista cerca di esporre con ordine i fatti
dalla prima apparizione di dolore: “giacché ero lì e non potevo
certo tirarla in lungo col mal di pancia cominciai a raccontar-
gli genericamente la cronistoria delle mie disgrazie prendendo
come punto di partenza l’ematuria e andando avanti coi libri
sotto i piedi del letto e con la colica famosa che mi aveva por-

31
tato nelle mani di coloro che m’avevano squartato per niente
sebbene non gratis...” (pag. 285).
Insomma, la sofferenza serve a scontare le “colpe oscure
e infinite” che il protagonista ha accumulato nella vita e più
egli riflette più ne trova e maggiori di numero sono i dolori che
subisce: “a me non bastano le colpe verso il padre per un così
disperato tracollo, non possono bastare, altre ce ne sono chissà
quante altre tutto un groviglio di colpe alle mie spalle, bestem-
mie provocatorie e eiaculazioni solitarie, sfide a Dio e sempre
l’inferno barattato per un attimo di piacere solitario, la mia co-
noscenza dell’albero che sta in mezzo al giardino ed ecco che
tutto si paga...” (pag. 220). Infine, dopo che avviene il transfert
medico-padre e il paziente narratore è pronto “alla più aperta
fiducia”38, l’aggrovigliato intreccio di colpe e pene si chiarifica:
“...e allora la storia è semplice, fin troppo direi giacché proprio
l’abbandono del padre in punto di morte avrebbe determina-
to il conflitto morale che mi ha condotto alla psiconevrosi, è
quella la realtà orrenda dalla quale fuggo per rifugiarmi nella
malattia, è quella la colpa che assomma tutte le altre della mia
vita e devo scontarla punirmi fino al punto da straziarmi con
angoscia e pazzia...” (pag. 301).

II. Monologo interiore

I critici frettolosamente accusarono Giuseppe Berto di


aver copiato il flusso di coscienza di Joyce. L’autore stesso si tirò
indietro da tale paragone, sostenendo che al tempo della stesura
de Il male oscuro egli non aveva ancora letto l’Ulisse. Anzi, pri-
ma ancora della pubblicazione dell’opera, di sua sponte sotto-
pose parte del lavoro a un critico letterario onde evitare di aver
involontariamente emulato altri scrittori. Ma il critico “giudicò

38
Pag. 298 del romanzo.

32
che non vi era alcuna connessione con Joyce”39. La differenza
fondamentale fra i due tipi di monologo consiste nel desiderio
dell’autore italiano di voler includere nel dramma il lettore e,
per dirla in termini tecnici, di stabilire con lui un transfert af-
fettivo. Questo intento applicato a Joyce appare paradossale; è
ancora agli albori in lui lo scopo scientifico. Tale aspetto diven-
ta chiaro analizzando le scelte lessicali di Berto per la cui analisi
rinviamo ad un’altra sezione del presente lavoro.
Tanti hanno usato l’espressione monologo interiore per
indicare il mezzo espressivo de Il male oscuro, studiosi che lo
biasimarono e scrittori che lo apprezzarono e continuano ad
amarlo. De Michelis scrive: “Berto mima il monologo interio-
re, cancellando quasi ogni segno di interpretazione, e accentua
l’urgenza del suo raccontare sostenendo il ritmo teso del perio-
do per pagine e pagine, riprende il fiato di rado, ma ha limpido
il disegno in ogni momento, tanto che il racconto procede svel-
to e appassionante fino alla fine”40. A lui fa eco con differente
tono Marvardi: “il monologo interiore, riguardando l’analisi
empirica dell’accadere quotidiano, non ha il rilievo stilistico
del sentimento, ma la sciatta successione percettiva sempre con
lo stesso ritmo, come un’interminabile cadenza. È mortalmente
noioso perché non ha né capo né coda”41. Addirittura Pianca-
stelli afferma che “il monologo interiore rappresenta un magma
informale di difficile controllo da parte dello stesso autore e
rappresenta, dunque, un modello chiuso e, forse, ineguagliabile
per l’asprezza stilistica e ontologica”42.

39
Giuseppe Berto, Appendice a Il male oscuro, Milano, Biblioteca Univer-
sale Rizzoli, 2004, pag. 418.
40
Cesare De Michelis, Il bisogno di raccontare, in «Scenari», n. 3, 1990.
Vedi anche Cesare De Michelis, Parole e dolore, in «Il Gazzettino», 13
gennaio 1990.
41
Umberto Marvardi, in «Persona», dicembre 1964.
42
Corrado Piancastelli, in Letteratura italiana. 900. I contemporanei, vol.
VIII, diretta da Gianni Grana, Milano, Marzorati 1956, pag. 858.

33
Il tessuto monologante si fa così fitto da riuscire ad unire
in collegamenti di difficile ricostruzione pensieri e azioni lon-
tani, che vanno al di là dei rapporti di contiguità. La parentela
fra un fatto ed un altro non viene inventata, non appare una
forzatura ma è spiegata da sottili analogie e balzi della memoria
del narratore. Avviene che il protagonista esterni un pensiero
e poi, dopo varie digressioni, vi torni: “...insomma mi alzo e
l’accompagno alla clinica per bene dove dicono si sia sgravata
anche Ingrid Bergman e sembra pure una o più mogli del re di
Giordania, la giornata non è molto festosa a dire il vero poiché
trovandoci noi quasi al centro di una zona a bassa pressione
piove a dirotto e fa freddo com’è giusto d’altronde dato che
siamo ai primi di novembre cioè praticamente in inverno, ma
a Roma non si sa perché quando viene l’inverno molti pensa-
no che la città goda di un clima tropicale di modo che nelle
case eccetto quelle dei Parioli e di qualche altra ristretta zona
di lusso gli inquilini si dividono in due partiti, quello che vuole i
termosifoni accesi subito e quello che dice appunto che a Roma
fino a Natale è ancora estate, e noi naturalmente abitiamo in un
palazzo dove democraticamente ha la maggioranza il partito di
Natale eppertanto a casa nostra si rabbrividisce e si fa la muffa
mentre qui in clinica coi termosifoni accesi c’è un caldo deli-
zioso, e la camera ha bellissime tende di cretonne alle finestre e
una grande poltrona ricoperta della stessa cretonne e invece a
casa nostra non ci sono né tende né poltrone, e del resto dicono
che questa sia la camera migliore dove fu degente per motivi
di parto la stessa Ingrid Bergman o altra stella del cinema di
grandezza quasi pari, e a mia moglie piace tanto e anche a me
piace sebbene...” (pag. 173).
In un altro passo descrive con ammirazione di bambino
“l’uomo del latte” ma per non scontentare la mamma afferma
che il suo desiderio sia essere ordinato sacerdote; il ricordo si
sposta allora ai lazzi dello zio in proposito. Il rimprovero rivol-
to a quest’ultimo di non parlare in modo boccaccesco davanti
“a degli innocenti” risveglia nel protagonista la memoria dei

34
giochi sporchi con una bambina soprannominata Lucia Sporca:
segue, ovviamente, il senso di colpa. Da qui la consapevolezza
che mai Dio l’avrebbe voluto prete e il ripiego diventa morire
in guerra come accade agli eroi innamorati e cantati dalle poe-
sie del Fusinato43. Gli esempi sarebbero molteplici ma quel che
vale è rendersi conto di come l’evocazione mentale gestisce la
narrazione.
Lo stile narrativo de Il male oscuro obbedisce ai principi
indicati da Chatman44, per cui il narratore coincide col perso-
naggio che parla di sé in prima persona con il linguaggio che gli
è proprio e senza intromissioni di pensieri provenienti dall’e-
sterno. Il racconto viene partorito dalla memoria del protagoni-
sta che spazia abilmente da una fase all’altra della vita trovando
di volta in volta nuovi legami prima ignorati. È qua, allora, che
il monologo interiore si fa discorso associativo e si distingue
anche dal flusso di coscienza. Esso è “basato sul libero, irrazio-
nale, magmatico accostamento delle immagini e dei ricordi, sul
fluire di un ininterrotto flusso conversativo ad una voce”45: “E
mentre io come essere pensante e ragionevole mi lascio trasci-
nare da alcune migliaia di millenni di cattive abitudini e faccio
tutto per costruirmi un’immagine melata e falsa del padre mio
il mio inconscio sa benissimo che questo padre era un cane ma-
ledetto che tutti i giorni mi rubava la madre mentre io ero nel
pieno della mia situazione edipica ossia per la madre morivo
d’amore, onnipotente cane contro il quale io piccolo non avevo
difesa all’infuori dell’odio, un odio smisurato come quello dei
bambini che non hanno limiti nel voler bene e nel voler male...”
(pag. 302).
Il monologo interiore in prima persona è una forma di di-

43
Vedi pagg. 80-81 del romanzo.
44
Seymour Chatman, Storia e discorso. La struttura narrativa nel romanzo
e nel film, Parma, Pratiche 1981, pag. 195.
45
G. Amoroso, Giuseppe Berto, in G. Mariani, M. Petrucciani, Letteratura
Italiana contemporanea, Roma, Lucarini, 1982-87, pag. 42.

35
scorso diretto libero46 perché privo di legami di natura ortogra-
fica e sintattica o di indicatori.
La scelta dell’autore non rende sterile il dettato, altre tro-
vate riescono ad elevare il tono da una povera cronaca e in que-
sto egli dimostra la destrezza a non ancorarsi al discorso scienti-
fico e la capacità di movimento al fine di realizzare un romanzo
interessante per storia e linguaggio. “Berto, in quanto scrittore
non poteva essere fedele ad un dettato ortodossamente associa-
tivo. Egli doveva rompere l’associazione per dar vita alla storia.
Il libro è un romanzo con un inizio ed una fine ed in ciò sta il
superamento della psicanalisi, usata da Berto come canovaccio
su cui stendere il drappeggio della poesia”47. Benché l’opera in
questione si presenti meno poetica di altre come Il cielo è rosso
e Oh Serafina, ci sono parti di vera ispirazione e bellezza. A vol-
te essa scaturisce dal ricordo di versi noti al protagonista come
nell’esempio seguente:
– ... amo amo amo così miseramente e immensamente che
non ho il coraggio di fissare un oggetto per il mio amore,
e poi il mio è amore amarezza amore rinuncia, ora case e
uomini sono lontani e posso cantare senza che nessuno mi
ascolti Sei bella quanto bugiarda e sciocca un fiore avve-
lenato è la tua bocca, anche questo mi fa piangere come
la ricordanza acerba e un canto che s’udia per li sentieri
lontani lontanando morire a poco a poco, così son io così,
già similmente mi stringeva il cuore, ed ora è venuto l’au-
tunno... (pag. 326).
Una parte di autentica suggestione si legge verso la fine
del romanzo quando l’anonimo protagonista, stanco del male
di cui son capaci gli uomini, decide di ritirarsi a vivere lontano
dalla società in un luogo nominato per perifrasi:
– ...e infine sia concesso che ognuno la sua quiete se la cerchi

46
Bice Mortara Garavelli, La parola d’altri. Prospettive di analisi del discor-
so, Palermo, Sellerio editore, 1985, pag. 20.
47
Corrado Piancastelli, Berto, Firenze, I Castori 1970, pagg. 96-97.

36
dove pensa di trovarla, pertanto andrò verso il paese dove
alzando una mano si colgono gli aranci che traboccano dai
giardini, così era mio padre, camminava nell’alba pei sen-
tieri della Conca d’Oro e alzava la mano verso i rami che
sorpassavano i muri e coglieva aranci con magnificenza,
ora io non ho paese né luogo al mondo ho solo questa ter-
ra dei suoi racconti e della mia memoria, questa è la terra
alla quale posso ancora in qualche modo appartenere, e
così vado per un altro giorno lungo il mare Adriatico e poi
attraverso i monti e poi ancora lungo un altro mare finché
giungo in fondo e l’isola degli aranci sta dall’altra parte
celeste e gialla e un poco verde nella sua breve lontananza,
e in mezzo c’è un piccolo tratto di mare proprio piccolo
ma non ho il coraggio di passarlo [...] e così verso sera
cerco un posto da dove si possa guardare la Sicilia, di notte
l’altra costa è una lunghissima distesa di lampadine con
segnali rossi e bianchi che si spengono e si riaccendono...
(pagg. 407- 408).

III. Il discorso riportato48

Come spesso accade nei racconti drammatici (pur se qui


il dramma è smorzato mirabilmente dall’umorismo) prevale la
narrazione; di conseguenza il discorso diretto ne è fagocitato.
Bisogna dire che non esiste assoluta distinzione di registro fra
narrazione e dialogo e non si verifica alcun cambio di codice
perché i personaggi non ricorrono all’uso di dialetti e di altre
lingue. Ma per questo aspetto si rinvia alla sezione che analizza
il lessico del romanzo.

48
Userò tale espressione per indicare sia il discorso indiretto sia quello
diretto.
Per la terminologia e le differenti classificazioni di discorso consultare
Bice Mortara Garavelli, La parola d’altri. Prospettive di analisi del discorso,
Palermo, Sellerio editore, 1985, pag. 17 e segg.

37
È stato illustrato come Il male oscuro sia tessuto sul mo-
nologo interiore che è per sua natura monovocale. Ebbene, ci
sono pagine in cui le parole sembrano provenire direttamente
dalla bocca della moglie del protagonista o delle sue sorelle,
dei genitori, degli amici, dei medici. In realtà, è una replica del
dialogo che avviene sempre da parte del protagonista-narratore
e risponde a quella che Bachtin denomina ‘parola estranea ri-
flessa’49.
Nell’ambito dell’interazione faccia a faccia il narratore
introduce delle conversazioni. In alcuni casi le riporta con il
discorso indiretto sostenuto dal verbo introduttivo in modo
implicito o esplicito e dal che, segnale di traduzione50:
– ... e verso sera lei telefona da Siusi per sapere come sto
e dirmi che il marito della sua amica mi telefonerà e può
venire su dopodomani, ma intanto lei sarebbe contenta di
venirmi a prendere ora [...] e io mi faccio coraggio di dirle
di non muoversi che non occorre... (pag. 226).
– ... l’antico imperatore romano [...] dice che non devo per
niente fare modifiche [...] e a lui dico che ho buone amici-
zie al Centro Cattolico [...] quindi se lui mi dà un milione
di anticipo [...] l’imperatore mi guarda in verità costernato
e dice francamente che lui non è preparato ad una somma
così forte... (pag. 269).

In altri casi le conversazioni sono espresse col discorso di-


retto senza l’ausilio di due punti, virgolette, a capo, lineette e
qualunque altro segnale esplicito che testimoni la distanza fra
il locutore e le parole dei personaggi. Compaiono però indica-
tori quale il verbo che designa l’atto linguistico. Leggiamo di
seguito l’esempio:

49
Michail Bachtin, Dostoevskij. Poetica e stilistica, Torino, Einaudi 1968,
pag. 256.
50
Bice Mortara Garavelli, La parola d’altri. Prospettive di analisi del discor-
so, Palermo, Sellerio editore, 1985, pag. 84.

38
– ... poi cede all’evidenza tuttavia mi chiede ma che se ne fa di
tutti questi soldi lei che è uno scrittore, e io Commendatore
mi è nata una figlia cinque giorni fa, e lui dice ah sì me ne
ero dimenticato i figli sono l’unica consolazione della vita la
cosa più importante del mondo... (pag. 192).
È il discorso diretto libero!

Ci sono episodi che non possono essere resi dallo scrittore


in discorso indiretto perché perderebbero di incisività. È il caso
dei litigi fra il protagonista e la moglie ‘ragazzetta’: “... e io che
ho già i nervi a questo punto le dico Michaela un corno mi castro
piuttosto che chiamare mia figlia Michaela, e lei spostando solo
per un attimo gli occhi dal televisore dice non vorrai chiamarla
Augusta come tua madre e io dico mia madre non si chiama Au-
gusta bensì Ottavia, però la chiamano Augusta lei dice...” (pag.
186); “... subito stacca gli occhi dal televisore e li fissa su di me
con odio, dove hai comprato questa schifezza dice con odio, e io
non posso sopportare d’essere guardato e interrogato con odio,
schifezza sarai tu le rispondo...” (pag. 187).
Particolarmente espressivo è il botta-risposta relativo alla
dichiarazione di adulterio da parte della moglie: “e io dico come
un altro [...] come un altro le chiedo ancora, e lei conferma un
altro se non capisci sei anche stupido [...] e piangendo cerca an-
che di parlare dicendo non dovevo dirtelo lo so che non dovevo
dirtelo [...] e dice anche ora sei guarito per questo te l’ho detto...”
(pag. 398-399). Questo episodio avrebbe avuto la stessa carica
drammatica riportato in stile indiretto anziché seguendo il pro-
cedere per turni?51 Inoltre, non bisogna tralasciare la conside-
razione che quando un dialogo viene rappresentato in discorso
diretto il lettore tende a porvi più fiducia, a credere che quelle
siano state le parole realmente pronunciate dal personaggio;

51
Nella conversazione il turno equivale alla ‘battuta’ del linguaggio tea-
trale. Cfr. AAVV, Introduzione all’italiano contemporaneo. Le strutture, a
cura di A. Sobrero, Roma-Bari, Laterza 2005, pagg. 440-442.

39
insomma la conversazione diretta è maggiormente mimetica
anche in questo caso in cui essa nasce dal ricordo e dalla voce
del protagonista narratore. Un criterio di lettura del roman-
zo è seguire il passaggio tra i vari stili discorsivi che garantisce
comunque un continuum narrativo garantito dall’andamento
monovocale.

IV. Stile paratattico

La trasposizione sulla pagina dell’esperienza biografica di


una malattia raccontata in prima persona segue lo stile proprio
del pensiero fatto di periodi collegati in modo paratattico. Que-
sta architettura garantisce, infatti, la fluidità della prosa. Non si
affermerebbe ciò leggendo la prima pagina del romanzo:
– Penso che questa mia lunga lotta col padre, che un tempo
ritenevo insolita per non dire unica, non sia in fondo tan-
to straordinaria se come sembra può venire comodamente
sistemata dentro schemi e teorie psicologiche già esisten-
ti, anzi in un certo senso potrebbe perfino costituire una
appropriata dimostrazione della validità perlomeno razio-
nale di tali schemi e teorie, sicché, sebbene a me personal-
mente non ne venga un bel nulla, potrei benissimo soste-
nere che il mio scopo nello scriverla è appunto quello di
fornire qualche altra pezza d’appoggio alle dottrine psico-
analitiche che ne hanno tuttora più bisogno di quanto non
si creda, senonché una tale supposizione non andrebbe
poi d’accordo col sospetto che più d’uno potrà avere alla
fine, ossia che la presente narrazione non sarebbe che un
forzato ripiegamento da certe mire e proponimenti di cui
necessariamente dovrò parlare in seguito, che riguardano
le mie ambizioni vorrei dire letterarie, e naturalmente su
questo punto ognuno può pensare quel che gli pare, però
io ... (pag. 1).
Come facilmente si nota, la proposizione paratattica è

40
preceduta da subordinate di varia natura il che potrebbe farci
pensare che quello ipotattico sia lo stile prevalente dell’opera.
Malgrado qualche altro esempio simile di successione di subor-
dinate rette da un’unica principale, la prosa della memoria si
appiattirà sempre più per raggiungere spontaneità. Le subordi-
nate spesso saranno espresse da participi, gerundi, complemen-
ti. In particolare, il gerundio è un tratto discriminante l’italiano
rispetto alle altre lingue romanze e al latino stesso52. Il ricorso
al gerundio fino al secolo XV era abbastanza raro ma già nel
successivo la sua presenza si fa vivace, “si fanno sempre più
numerosi i periodi che controbilanciano il loro andamento a
progressione lineare ed aggiuntiva con le forme dei gerundi,
ovvero con uno dei più comuni strumenti di arginamento alla
tendenza alla coordinazione” 53. Il gerundio forma da solo una
clausola dipendente e viene usato con molta frequenza da Ber-
to in vece delle proposizioni temporali, causali, relative, ipo-
tetiche, ma soprattutto modali e tante volte annunciato dalle
congiunzioni coordinanti:
– Tutto questo il mio medico lo sa benissimo, meglio di me
si potrebbe dire, e in effetti fu proprio lui che, ancora ai
primi tempi della cura, interpretando nel modo più cor-
retto un sogno che m’era capitato di fare, e precisamente
[...] arrivammo alla spiegazione giusta ovverosia scientifica
di questa lotta, togliendole quanto poteva avere di super-
stizioso e tenebroso, e dandole non solo ordine logico ma,
soprattutto dimensioni umane quali, pareva, era possibile
sopportare (pag. 6).
– ... e mia madre li teneva d’occhio cercando di capire chi
aveva voglia di comprare e chi invece voleva solo far per-
dere tempo, e badando anche che... (pag. 97).

52
S. Ferreri, The evolving gerund, in «Journal of Italian Linguistics» 8,
1983-86.
53
Enrico Testa, Simulazione di parlato, III, Il respiro della voce, Firenze
1991, pagg. 202-203.

41
Nel caso precedente risulta difficile ridurre il gerundio a
una dipendente corrispondente ma è possibile scambiarlo con
il verbo principale54: mia madre, tenendoli d’occhio, cercava di
capire chi aveva voglia di comprare ... ; con tale inversione, però,
si toglie importanza all’azione del tenere d’occhio che secondo
la scelta di Berto deve assumere maggiore rilievo nel sintagma
in questione.
– ... e infatti la suora mi fa questa sospirata iniezione con l’a-
ria che deve avere avuto Ponzio Pilato nella nota circostan-
za ossia facendo ben vedere che lei nella mia dannazione
di alcaloidi non c’entra per nulla, e intanto tra una cosa e
l’altra si è fatto notte e dopo che i dolori faticosamente re-
cedono seppellendosi nel mio corpo squartato mi assopi-
sco, e dormo, e svegliandomi poi che è ancora notte vedo
la ragazzetta addormentata... (pag. 135).
– ... ce la faccio ad arrivare a Spoleto che come tutte le città
d’un tempo è costruita in collina il che significa che è un
po’ mossa e piuttosto carente di linee rette in tutti i sen-
si, sicché vado in giro mezzo stordito cercando in qualche
modo di mantenermi idealmente almeno perpendicolare
secondo la forza di gravità e sforzandomi anche di stare
insieme psichicamente... (pag. 297).

Come dicevamo prima, è una soluzione antica dell’italiano


ma più che mai moderna perché ad esempio permette di evitare
la coniugazione di tempi al congiuntivo nell’ambito del proces-
so di semplificazione che attraversa la nostra lingua:
– ... e il progresso è avvenuto sì in grazia delle mie qualità
e del mio lavoro ma anche bisogna riconoscerlo per una
serie di fortunate circostanze quindi ragionando [se ragio-
nassi potrei] obiettivamente posso perfino concludere...
(pag. 242).

54
AA.VV., Introduzione all’italiano contemporaneo. Le strutture, a. c. di
Alberto Sobrero, Roma-Bari, Laterza, 2005, pagg. 82-83.

42
Lo stesso discorso va fatto per l’uso del participio il cui
ricorso risulta comunque essere nettamente inferiore rispetto
al modo gerundio:
– ... ma ecco che arrivato al punto del decesso quasi di colpo
mi metto a piangere... (pag. 286).
– ... quelli di stanotte più quelli di oggi derivanti dal taglio e
dallo scompiglio... (pag. 132).

L’esempio che segue è tratto da un periodo lungo diciotto


pagine ma basta la parte riportata qui per capire come si dipana
l’intera narrazione fatta di subordinate legate fra loro da pun-
teggiatura o congiunzioni paraipotattiche:
– ... meno male che posso mettermi a girare per la casa tut-
to nudo dato che anche la donna di servizio la quale [...]
e d’altra parte penso che mia moglie essendo gelosa e
possessiva e perfino aristocratica ben difficilmente me ne
concederà una meno deprimente, questa donna dunque
l’abbiamo mandata in vacanza pure lei poveretta sicché io
ora posso girare tutto nudo per la casa in penombra, ed è
cosa che mi dà grande soddisfazione questa benché non ne
siano ben chiari i motivi, secondo me non si tratta di esi-
bizionismo dato che manca chi guardi e forse neppure di
narcisismo dato che manca la fonte in cui mirarmi cioè uno
specchio di superficie superiore ai trenta per venti dello
specchio che mi basta per farmi la barba, eppertanto sic-
come mi sento proprio su di tono mentre giro nudo da una
stanza all’altra specie nell’ingresso e nel soggiorno dove di
solito nudi non si va è giocoforza pensare ad un ritorno
alle origini quando gli uomini non avevano vesti ed erano
molto più forti e coraggiosi di ora, forse è proprio questa
l’idea giusta tant’è vero che presentemente il mio bisogno
più vivo è un bisogno assolutamente elementare ossia vo-
glia di mangiare, e mangio [...] e dopo aver mangiato ...
(pag. 214).

43
In linea di massima, però, la costruzione paratattica colle-
ga le azioni verbali dei diversi soggetti che si avvicendano nella
storia narrata.
– ... e dall’amica di lei non mi lascio toccare neanche una
mano, solo e orfano bevo fino alla feccia il mio calice d’a-
gonia, e dopo quando mi sono alla fine un poco calmato
l’amica mi rivela che la ragazzetta ha avuto pasticci seri
con sua madre per causa mia sicché non può venire così
frequentemente come prima, e d’altra parte sembra che
abbia trovato un giovane molto serio e con una buona po-
sizione che si è innamorato di lei e per quanto lei non sia
innamorata di lui però gli vuole bene tutto sommato, e
inoltre questo giovane che fa l’avvocato a quanto pare non
ha che trent’anni sicché tra loro non c’è una grande diffe-
renza d’età come tanto per dire fra noi due, ma soprattut-
to questo avvocato è disposto a fare le cose con coscienza
ossia andandola a chiedere in famiglia [...], e io [...] (pag.
155).
Di seguito riportiamo esempi tratti dalle prime quasi otto
pagine del decimo capitolo in cui si trovano più di cento con-
giunzioni coordinanti:
– ... si strofinavano forte le palme delle mani fino a sentire
caldo e dolore e poi rapidamente si portavano le palme al
naso e si sentiva odore e si diceva questo è odore di morte,
la nostra carne che è strumento di morte, e va bene che poi
un po’ alla volta ... (pag. 345)
– ... e dal barbiere a tagliarmi i capelli neppure riesco ad an-
dare se non quando mia moglie mi ci costringe litigando e
mi ci accompagna naturalmente, e poi mi trovo male nelle
strade del centro quando non si può più andare né avanti
né indietro con la macchina, e una volta mi son sentito
poco bene anche davanti al ministero della marina alle ore
quattordici mentre uscivano tutti i marinai e gli impiegati
civili e ora normalmente faccio giri anche piuttosto lunghi
per evitare il ministero della marina verso le ore quattordi-

44
ci, e poi ce l’ho con i poliziotti [...] e ce l’ho con le guardie
di città pure, ... (pag. 346-7).

Le azioni di un soggetto si susseguono in sequenze asinde-


tiche o paratattiche, ternarie o binarie:
– ... e intanto mia moglie mi guarda e capisce [serie binaria]
[...] lei se ne accorge e così ora allontana [serie binaria] la
bambina con una scusa cioè le dà la borsa e le dice [serie
binaria] d’andar dentro a pagare, e dopo che la bambina si
è allontanata mi dice stai male e io faccio di sì con la testa
guardandola disperatamente, e lei dice non aver paura ci
sono qui io [...] e mia moglie mi prende una mano e me
l’accarezza e mi dice ti voglio tanto bene... [serie ternaria]
(pag. 256).

Oltre alla congiunzione “e”55, sono ricorrenti tutte le altre


congiunzioni paratattiche. Gli esempi ne riportano alcune:
– ... architetto un piano che in teoria almeno mi sembra ab-
bastanza buono, ossia lavoro più che posso con le schifez-
ze di sceneggiatore ... (pag. 211)
– ... debbono essere sia pure in piccola parte mutati, anzi mi
immagino... (pag. 396)
– ... già sapeva che sarebbe morto, o forse non lo sapeva an-
cora ... (pag. 14)

55
La congiunzione “e” ricorre molto di frequente nelle serie aggettivali:
pigro e pavido in fondo e alieno dalla violenza (pag. 68); questa era vecchia
e brutta e severa (pag. 85); ma la “e” ricorre anche nelle enumerazioni
di oggetti così come pure la “o”: la credenza e la mensola e l’acquaio [...]
famiglia e focolare e cibo (pag. 39); confusione di forcine e pettinini e fermi
per capelli e pettini (pag. 75); cardinale o deputato o attrice della televisione
o meglio annunciatrice (pag. 37). Tanti elenchi, invece, sono in sequen-
za asindetica: caffè, zucchero, riso, pasta, olio e latte condensato (pag. 68),
radicali, scrittori, giornalisti, commediografi, saggisti, esegeti e via dicendo
(pag. 61); spesso sono enumerazioni prive anche della virgola: la debolezza
la vecchiaia la malattia i patimenti e solo per ultimo la morte (pag. 64),
secondo l’uso inaugurato da Carducci.

45
– ... e spesso rimane come paura astratta o va a finire nel
caldo lombare... (pag. 273)
– ... aveva già i baffi oppure non li aveva... (pag. 74)
– ... e poi voleva che facessi lo statale invece di andare in giro
come un vagabondo, ma non dimentichiamo che per lui
la gloria era questione del tutto diversa da un’opera d’arte
letteraria... (pag. 361)
– ... allora vediamo un po’ da dove può essere nata questa
spina e invero c’erano tante componenti da far perdere la
testa ... (pag. 361)
– ... non aveva altre predilezioni, e quindi domando io per-
ché mai non riuscivo a rimuovere quella mia aspirazione a
scrivere opere d’arte... (pag. 362)
– ... egli non sapeva né comprare né rivendere , cioè com-
prava roba sbagliata che nemmeno i contadini volevano ...
(pag. 338)
– ... teneva copia di ogni lettera [.. .] per rinnovare a volontà
io credo il compiacimento di averle scritte, senonché un
bel giorno [...] mio padre [...] mi sottopose... (pag. 339).

V. Stile ipotattico

Ribadendo il concetto che la superiorità de Il male oscuro


sia non solo contenutistica ma anche, e con lo stesso valore,
strumentale, ovvero tecnica, ci soffermiamo sul gran numero
di subordinate che costituiscono il periodare del romanzo: a
volte sono contraddittorie, a volte, come negli incisi56, pren-
dono le distanze dal nucleo principale, sempre però tornano a
marciare nella direzione scelta dal narratore per presentare la
sua storia. Sta in questo la sapienza di Berto che convoglia nelle
spire del periodare la sottigliezza dell’indagine psicoanalitica e

56
Vedi avanti, paragrafo “Gli incisi e i loro tempi”.

46
l’umorismo proprio di chi ha piena coscienza che esso consista
nel “ridere del proprio rapporto con la realtà intesa come regno
delle cose difficilmente afferrabili, o affatto ineffabili”57. Berto
vuole annullare i fatti veri e propri che riguardano la realtà del-
le cose e concentrare la sua attenzione e quella dei lettori sugli
effetti che quei medesimi accadimenti causano o proiettano sui
personaggi, o meglio sui loro animi.
Nella prima pagina del romanzo, ma anche in altri punti58,
ricorre all’apostrofe: segno che il narratore desidera interagire
con coloro che lo seguono nei suoi ragionamenti nella dispe-
rata ricerca di ricostruire gli eventi della sua malattia e cura59.
E in questo districarsi dell’animo del protagonista dai pensieri
nevrotici di fobie mostruose emerge una folla di dubbi, tanti
forse che vengono ben testimoniati dall’abbondanza di propo-
sizioni concessive, per cui il personaggio afferma una verità ma
subito ritratta non volendo darla come assoluta. Lo sforzo di
Berto scrittore e protagonista de Il male oscuro è convincersi
con ogni mezzo di credere nella capacità di vedere una verità
e trovare la determinatezza di raccontarla a chi ancora non la
vede. Un nobile compito che però si scontra continuamente
con la natura umana che ha insita nel suo esistere la vaghezza
e il disorientamento. Ecco perché, dunque, le subordinate pre-
valenti nel romanzo sono soprattutto causali e concessive nel
tentativo instancabile di fornire dimostrazioni alle tesi sebbene
subito dopo si è costretti a ritrattare. Ad un certo punto, in
seguito a profondi sforzi di discernimento, il nevrotico tocca la
verità ma poi gli sfugge di mano a causa di un tarlo che non si
allontana dal suo cervello:

57
Giuseppe Berto, lettera ad Andrea Zanzotto dicembre 1964, in «La
Repubblica» 10 marzo 1990.
58
“ebbene fottiamocene pure dei radicali e pederasti associati e scalatori
da salotto letterario siamo su di un piano diverso signori miei, ...” pag.
244.
59
“senonché una tale supposizione non andrebbe poi d’accordo col so-
spetto che più d’uno potrà avere alla fine...” pag. 3.

47
– Ora una cosa è chiara finalmente che mi taglieranno la
pancia secondo una prassi a me ben nota, ed un’altra cosa
è parimenti chiara se non di più e cioè che non posso farci
nulla, proprio mi manca la forza spirituale per oppormi ad
un simile sinistro avvenimento e per quanto sia bene sta-
bilire che è per una serie di circostanze tutte chiaramente
incasellate in un ordine logico e materialistico che io me ne
vado dov’è il mio destino andare niente riesce a togliermi
dalla mente il pensiero del padre mio che sta prendendosi
la sua legittima vendetta... (pag. 116).

Il protagonista sente la necessità di spiegare tutto, com-


preso il perché del suo desiderio di scrivere; giustifica davanti
al mondo il fine della sua vita, ovvero comporre un libro: quasi
fosse un misfatto, un’azione riprovevole, egli vuole trovare mo-
tivazioni per rendere questo suo bisogno primario ben accetto
anche ai parenti più prossimi. Questo meccanismo ha in fin dei
conti l’unico scopo di autoconvincersi che aspirare alla gloria
attraverso il fare letteratura non è un reato e ha in sé un’utilità;
ecco che allora serve l’incoraggiamento personale, la stima di sé
stessi, il credere nelle proprie capacità di scrittore:
– ... io credo che se faccio il sesto (capitolo) poi arrivo
senz’altro alla fine, poi dovrò limare si capisce ma l’impor-
tante è buttare giù fino alla fine perché il tempo di limare lo
si trova sempre, ma non vorrei che (la moglie) si sbagliasse
a giudicarmi per questo ossia per questa smania di scrivere
dato che non è solo vanità voler lasciare un ricordo di sé
specie pensando che la moglie di un uomo dovrebbe sen-
tirsi orgogliosa di lui se scrive un libro duraturo, e ancor
più la figlia si capisce poiché la gloria può anche stentare
nei primi tempi ma poi arriverà senza fallo... (pag. 225).

Addirittura altrove, con chiara eco oraziana, il narratore si


mostrerà persuaso che la sua opera d’arte diventerà un vanto
per tutta l’umanità:

48
– ... e in più ho sempre quei tre capitoli che quando andrò
avanti costituiranno sicuramente un monumento più dura-
turo del bronzo a gloria non solo mia ma anche del mio
paese e perché no dell’intero genere umano (pag. 352).

Facendo l’analisi del V capitolo, trascurando l’occorrenza


delle relative, naturalmente di numero superiore rispetto alle
altre proposizioni, com’è comune nella lingua italiana60, pre-
valgono con pressoché uguale incidenza di queste le temporali
(anche questo caso abbastanza ovvio) seguite dalle causali, le
concessive e le consecutive. Minori le ipotetiche e le finali.

Esaminando il IX capitolo non con meraviglia si nota che


le proposizioni causali sono le più numerose, tendono a equi-
pararsi a quelle relative e le ipotetiche compaiono pressoché
con la stessa frequenza.
– ... ed ora dico voglio una bicicletta da corsa, e il padre ci
rimane un po’ male lui forse sarebbe stato contento se
avessi scelto una bicicletta da viaggio coma la sua ossia una
Zardo che non è di marca ma è fatta con tutti i pezzi di
marca e perciò non si paga il nome ma per il resto è come
la Bianchi o le Legnano se non migliore, inoltre il padre
dice che di questo acquisto della bicicletta bisogna parlare
anche alla madre per sentire se è contenta, e non basta
perché prima di prendere la decisione definitiva bisogna
aspettare il sabato per vedere come vanno gli incassi del
negozio, e poi infine passato il sabato mi portano a casa la
bicicletta premio ma è una bicicletta da donna con la reti-
na alla ruota di dietro perché non s’impiglino le gonne nei
raggi, e mi dicono che dopo averci pensato sopra l’hanno
comprata da donna perché così serve anche per le sorelle

60
Cfr. Lorenzo Renzi, Grande Grammatica Italiana di consultazione, vol. I,
Il Mulino, Bologna 1988, pagg. 442-503, e Luca Serianni, Prima lezione di
grammatica, Laterza, Roma- Bari 2006, pagg. 157-160.

49
tanto io l’adopero solo nei tre mesi dell’estate e per il resto
dell’anno vado in collegio... (pag. 323).

La situazione si ripete per il X capitolo così come visibile


dal grafico:

interrogative
indirette, avversative,
modali esclusive, eccettuative,
comparative limitative
ipotetiche

consecutive

relative

soggettive/oggettive

causali

finali
temporali

concessive

Grafico sulle occorrenze della tipologia di subordinate nelle 46 pagine


del X capitolo de Il male oscuro.

Escludendo le proposizioni relative e le soggettive/oggetti-


ve che corrispondono alle due porzioni più estese, in posizione
assolutamente preminente si trovano le proposizioni causali.
Riportiamo uno stralcio del capitolo:
– ... pare che questo genere di domande o il tono con cui
me le rivolgo non vada molto a genio a mia moglie la qua-
le a quanto afferma capisce meglio di me le cose di que-
sto mondo e dice che sono idiota se pretendo che gli altri
s’accorgano delle buone qualità che io secondo lei posso

50
anche possedere sebbene non certo nella misura che pre-
tendo, insomma a suo avviso sarei un mediocre per quanto
non peggiore di tanti altri che fanno carriera anche come
romanzieri ma sono matto se aspetto senza far niente che
gli altri s’inchinino al mio genio, e io fondamentalmente
non le do torto giacché so fin troppo bene che ci troviamo
in un tempo in cui tutto va per via di amicizie e raccoman-
dazioni reciproche e prodigiose scalate sociali e apparte-
nenza a clan di vario genere [...] (pag. 355).

Soffermiamoci ancora sulla sintassi ipotattica per rilevare


il grado di subordinazione cui arriva il periodare di Berto nel
romanzo in questione. Prendiamo in esame un passo delll’VIII
capitolo:
– ... alle volte cominciamo a litigare proprio da lì cioè dalle
scarpe sul letto-divano anche perché quando lei si mette
con le scarpe là sopra è segno che vuol provocare una lite
dato che sa benissimo che io prendo quel suo atteggiamen-
to come prova del suo scarso rispetto per il mio denaro ep-
pertanto anche per le mie aspirazioni più nobili, insomma
è chiaro mi sembra che io alle scarpe sui divani attribuisco
un’importanza grande e forse eccessiva così mi dibatto nel
mio intimo se togliermi o no le scarpe, e certo... (pag. 288).

In questo esempio dipende dalla principale una proposizione


causale cui subito seguono altre subordinate tra loro dipenden-
ti in una catena che arriva al 4°grado di subordinazione:

51
... alle volte cominciamo
a litigare proprio da lì cioè
dalle scarpe sul letto-divano

quando lei si mette


anche perché [...] è segno
con le scarpe là sopra

che vuol provocare una lite

dato che sa benissimo

che io prendo quel suo


atteggiamento... come prova
del suo scarso rispetto
per il mio denaro

VI. Sintassi del parlato

La distanza fra italiano scritto e parlato non è più così mar-


cata come lo è stata fino agli inizi del secolo scorso; ci sono tratti
della lingua parlata che vengono accolti nelle pagine perdendo
la caratteristica esclusiva dell’oralità. Il romanzo di Berto, che si
vuol presentare come prodotto su un divanetto freudiano dalla
viva voce di un malato, ospita alcuni degli aspetti caratteristici
della nostra lingua parlata. Il fenomeno investe i vari ambiti

52
della grammatica dal lessico alla sintassi, e la fonetica incide
sull’ortografia. Compaiono casi di univerbazione non sempre
attestati nella lingua scritta; ad esempio nel caso di preposi-
zioni: inquantoché (pag. 261, 382), amenoché (pag. 152, 230,
372), sempreché (voc. raro, pag. 348), epperciò (pag. 14, 45),
eppertanto (pag. 21, 23, 25); di alcune congiunzioni convivono
nel testo la forma univerbata e quella non: ovverossia (pag. 103,
113), v/s ovverosia (pag. 118, 395), dimodoché (pag. 147, 390)
v/s di modo che (pag. 176). In altri casi troviamo soltanto la
forma staccata: gran che (pag. 13, 19), fin che (pag. 19).

v ‘Ci’ ‘si’ ‘vi’.

A livello orale assistiamo ad un uso particolare della parti-


cella “ci” cui si attribuiscono plurimi significati, seppur, secon-
do la tesi di Gaetano Berruto, si tratti di “un elemento dese-
mantizzato, con generico valore enfatico- rafforzativo”61.
L’originario valore di “ci” è stato locativo62 ma nel corso
del tempo, a detta di D’Achille già intorno al Cinquecento, è
iniziato a scemare, perché si intensificò da allora e gradualmen-
te un uso vario63. Nel romanzo di Berto emerge chiaro il pro-
posito di aderire all’oralità e la particella in questione è usata
soprattutto con funzione attualizzante. Essa compare anche
nella variante fonetica “ce”64 davanti ad altra forma atona dei
pronomi come negli ultimi tre degli esempi qui proposti:

61
Gaetano Berruto, L’italiano popolare e la semplificazione linguistica, in
«Vox Romanica», XVII, 1983, pp. 38-79, pp. 48-49.
62
Vedi esempi n. 1, 2, 3, 4, 5 dell’elenco nella pagina seguente.
63
Paolo D’Achille, Sintassi del parlato e tradizione scritta della lingua ita-
liana, Roma, Bonacci 1990, pag.262 e segg.
Pietro Trifone, L’italiano a teatro. Dalla commedia rinascimentale a Dario
Fo, Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2000, p.126.
64
Luca Serianni, Prima lezione di grammatica, Roma- Bari, Ed. Laterza,
2006, pag. 5.

53
– ... la Sicilia era il posto più bello e felice del mondo e io
sicuramente ci sarei andato non appena fossi diventato
grande (pag. 71)
– ... sulla salita di Bellolampo sopra la conca d’Oro ci andava
per guadagnare venti centesimi di straordinario (pag. 84)
– ... il giorno del funerale non ci andai (pag. 86)
– ... se tanta gente va a comprarsi il cappello da lui anch’io ci
voglio andare (pag. 95)
– ... e poi scelsi il letto matrimoniale, mi ci sdraiai sopra col
cappotto (pag. 40)
– ... mi ci misi pensando che non avrei preso sonno (pag. 46)
– ... alla dannata clinica non ci arriverò mai più, oppure
scontro e ci lascio la pelle (pag. 182)
– ... rimpiango di non aver fatto testamento perché ci avrei
espresso ... (pag. 121)
– ... tutto sommato spera di non morirci affatto (pag. 157)
– ... quando mia moglie mi ci costringe litigando e mi ci ac-
compagna naturalmente (pag. 346)
– ... sarebbero state capaci di piangerci sopra (pag. 56)
– ... non potrò fare a meno di illustrare in seguito se mi verrà
fatto di arrivarci (pag. 59)
– ... per la ricrescita dei capelli qualche speranza ce l’aveva
ancora ... (pag. 76)
– ... aveva un grande mantello o tabarro scuro come ce l’han-
no solitamente i carabinieri (pag. 70)
– i berretti alla marinara ce li aveva lui in bottega (pag. 82)

Stesso uso è riservato alle particelle “vi” e “si” :


– ... e si era durante le vacanze estive (pag. 43)
– ... quasi sempre vi andava mia sorella (pag. 79)
– ... e rilesse concentrandovisi sopra l’anamnesi sia familiare
che personale (pag. 138)
– ... volontà di scavare dentro le cose dimenticate per trovar-
vi tutto ciò che di male mi aveva fatto il padre (pag. 63)
– ... cercai anche di disegnarvi il fascio (pag. 88)

54
– ... e tirato giù il rotolante si andava a casa (pag. 78)
– ... noi si andava alla Trattoria alla Speranza [...] si prende-
va l’anguilla con la polenta (pag. 97)
– ... si camminava fino allo stallo dietro la piazza per pren-
dervi a nolo un cavallo (pag. 96)
– ... e in realtà vi si entrava ai primi di ottobre per uscirne
ai primi di giugno e mai si poteva andare a casa [...] e poi
si pativa un grande freddo perché d’inverno ci si lavava
...(pag. 67)

Negli ultimi quattro esempi le particelle sono usate con valore


impersonale: il “si”equivale al noi. In quest’ulteriore esempio il
“si” è in vece del pronome della prima persona singolare:
– ... si pensa che se è ancora aiuto alla sua età un’aquila non
è di sicuro (pag. 115).

v La ripresa

La ripresa è un espediente della lingua orale il cui scopo


consiste nel mantenere la referenza e quindi evitare che si in-
terrompa l’attenzione del topic. La funzione di coesività eser-
citata dalla ripetizione risulta fondamentale nei discorsi orali e
viene individuata quale caratteristica del linguaggio infantile65;
nondimeno è importante nei testi scritti. Nel romanzo in ana-
lisi la ripetizione è molto usata e ricorre sotto varie forme. Nel
primo caso portato ad esempio si tratta di epifora, dal secondo
di anafora:
– ... io dicevo loro che il cioccolato non mi piaceva e nep-
pure le caramelle e neanche la marmellata da mettere sul
pane mi piaceva ...(pag. 66)

65
Bice Mortara Garavelli, Strutture testuali e retoriche, in AA.VV., Introdu-
zione all’italiano contemporaneo. Le strutture, Roma- Bari, Laterza, 2005,
pag. 388.

55
– ... come quando ero sul punto di salire al cielo [...] o quan-
do sempre a maggior gloria del Re [... ] o quando in prigio-
nia mi operarono di ernia doppia (pag. 110)
– ... ma lui pure gridava con mia madre che gli stava sempre
appresso, gridava che era stufo di dar la vita per mantenere
certa gente che poltriva fino a mezzogiorno, gridava che
non ne poteva più di sfamare certi lazzaroni [...], gridava
che lui certi figli privi di coscienza uno di questi giorni li
avrebbe cacciatri di casa a pedate [...] e gridava per svegli-
armi (pag. 44)
– ... non ho fatto scrivere cittadino integerrimo, probo e
onesto, e neanche Maresciallo d’Alloggio in Pensione dei
Reali Carabinieri, e neanche Commerciante (pag. 54)
– e poi le loro case dentro sono belle hanno il gabinetto con
l’acqua che viene giù tirando la catena, e poi un altro ga-
binetto al piano di sopra molto grande dove c’è anche la
vasca per fare il bagno (pag. 84)
– oppure insegnandole a dire la parola papà, oppure guidan-
do la sua mano per farle scrivere a dentro le righe (pag. 92)
– e dice anche sono quasi tre anni che mi tengo questa cosa
dentro e non ne potevo più, e dice anche ora sei guarito
per questo te l’ho detto (pag. 399)
– ... è uno sconfinato godimento che contiene in sé ogni
brivido e piacere, di quando avevo paura bambino e la
mamma mi proteggeva, e di quando rabbrividivo davanti
al tabernacolo [...] e di quando tremavo d’orgoglio [...] e
di quando mi struggevo per i miei piaceri... (pag. 332)
– attraverso mia figlia ho potuto rivivere sia pure empirica-
mente tante sensazioni della mia infanzia quando mi face-
va saltare sui suoi ginocchi [...] o quando mi lasciava [...] o
quando non protestava ... (pag. 301)
– Dio mio se cominciassi a vedere i muri storti [...], Dio mio
forse sarei costretto telefonarle ... (pag. 403)
– ... e io non sono forte non so dire la poesia [...], non sono
forte ma ho la forza del mio orgoglio (pag. 303).

56
Tantissimi sono anche i casi di anadiplosi:
– ... perché mai ci vediamo così poco gli dico, gli dico anche
che sono contento (pag. 101)
– ...dico che ho un appuntamento d’affari verso le tre e me
ne vado, me ne vado dove poi non lo so (pag. 177)
– ... niente potrà più liberarmi dalla paura che non tornerà a
tradimento quando vuole senza mia colpa, senza mia col-
pa recente intendo dire (pag. 230)
– ... sebbene poi mi piombino addosso tutti i pentimenti del
mondo per ciò che ho fatto, si tratta di pentimenti che pre-
vedono un castigo abbastanza lontano (pag. 154)

In svariati punti della narrazione la ripetizione serve al


narratore per riprendere un discorso interrotto da una o più
digressioni:
– ... il tipo coattivo, a differenza del tipo erotico dove pre-
vale l’Es e del tipo narcisistico dove si capisce prevale l’Io
sicché tutti e due questi tipi ancorché per ragioni opposte
sono inclini beati loro a farsi piacevolmente i fatti propri,
il tipo coattivo, dicevo, non di rado diventa sostenitore e
conservatore della cultura... (pag. 390)
– ... perfino quando mi invento una di queste fobie tanto per
darmi arie, come ad esempio [...] perfino in questo caso
dico vien fuori uno che giura di aver avuto tale e quale la
stessa stravaganza (pag. 167)
– ... dev’essere accaduto che questo padre io l’avevo talmen-
te idealizzato nella primissima infanzia specie quando era
puro simbolo di eccellenza nei generi di conforto racchiusi
dentro la cassetta militare mentre lui era lontano a far la
guardia a D’ Annunzio, l’avevo talmente idealizzato dun-
que da costruirmelo... (pag. 349)
– un giorno presi un pezzo di carbone e sopra la porta del
pollaio, dato che [...] , in conclusione [...] io col pezzo di
carbone scrissi sopra la porta ... (pag. 87-88)
– ... immaginandoli che non mangiavano abbastanza, maga-

57
ri solo polenta e latte o polenta e formaggio mangiavano
(pag. 91)
– e frattanto quella faccenda che noi per comodità e igno-
ranza chiamavamo esaurimento [...] quella faccenda dice-
vo ... (pag. 151-2)

Nel discorso orale una voce verbale o nominale viene sosti-


tuita nella ripresa da un sinonimo o da una voce più generica; si
parla in tal caso non di copia ma di quasi-copia66:
– io facendomi coraggio confesso di no, neppure parlo delle
nuotatine in piscina [...] gli dico dunque di no e lui dice
peccato (pag. 168).

Altro tipo di iterazione è la percontatio ovvero la simula-


zione di domanda e la risposta seguente come se l’illocutore
intervenisse in una forma di dialogo:
– ... ed è una delle radiografie che mi sono state fatte mentre
ero in posizione eretta e questo cosa significa, significa
che ho un rene mobile (pag. 106)
– ... il povero Gennarino si riduce stanco e demoralizzato a
vagare per una spiaggia pittoresca nei dintorni di Napoli e
qui indovinate chi incontra, incontra una puttana... (pag.
198).

Ci sono volte in cui la formula iterata viene distanziata


dalla sua copia da una semplice invocazione; in questi casi la
ripetizione nasce da un crescendo emotivo:
– tra poco saremo arrivati a questa fatale clinica e la ragaz-
zetta, mamma mia la ragazzetta non arriverà certo in tem-
po per la sua marcia nuziale e funebre insieme (pag. 118)
– cerco di salvarmi come posso con l’umorismo ma dopo
cosa farò Madonna santissima cosa mai farò (pag. 399).
66
Bice Mortara Garavelli, Strutture testuali e retoriche, in AA.VV., In-
troduzione all’italiano contemporaneo. Le strutture, Roma- Bari, Laterza,
2005, pagg. 387-388.

58
Nell’enfasi della narrazione la riproduzione del linguaggio
parlato e la ricerca di esporre l’evolversi dei fatti in modo spon-
taneo e commosso favoriscono il ricorso all’iterazione:
– oh aiutatemi aiutatemi a salvarmi da questo terrore e di-
sperazione (pag. 219)
– tutte le clamorose disgrazie che mi sono piovute addosso
finora e quelle ancor più grosse che mi stanno per capitare
me le merito proprio me le merito (pag. 286)
– lei dice affannosamente non ti succederà ci sono qui io
non ti succederà (pag. 266)
– sono io io energia e destino, ci sono stelle sopra la nebbia
e sono mondi senza fine (pag. 334)
– il falso mio sorriso spensierato forse nasconde un gran do-
lor, un gran dolor, ... (pag. 236)
– cosa faccio al mondo io cosa faccio, amo amo amo così
miseramente e immensamente (pag. 325).

La triplice ripetizione del verbo amare vuole rafforzare il


concetto e contemporaneamente conferire veridicità all’unica
azione che il soggetto crede di compiere nella sua vita. L’uso
della terna di parole ricorre in altri momenti del racconto:
– vertiginosamente mi porta all’indietro verso il nulla, è pro-
prio il nulla a quanto ne capisco io, c’è buio buio buio e
poi più neanche buio (pag. 124).

Più frequente la singola iterazione sempre con lo scopo


intensivo:
– ... quest’ultimo era il consiglio che lei mi dava caro caro
(pag. 46)
che può rivelare incredulità:
– ... e io rimango senza fiato con tutto gelo nella schiena e
rigidità chiedendomi a lungo ma cos’ha detto cos’ha detto
la guardo e mi chiedo cos’ha detto non potendoci crede-
re... (pag. 398).

59
In altri casi l’accalorata ripetizione rientra nelle invocazio-
ni all’interno di richieste di aiuto o appassionati dialoghi imma-
ginati con un interlocutore che sia la figlia del protagonista o il
padre defunto o Dio:
– figlia figlia forse tu troppo piccola non ti ricorderai del
padre, non saprai com’è stato tuo padre... (pag. 219)
– Signore o Signore non sono degno ma aiutami lo stesso
(pag. 256).

È appunto il caso del linguaggio della preghiera struttu-


rato sulla ripetizione di invocazioni e formule. Il male oscuro
risente moltissimo di tali meccanismi litanici che rivelano la
formazione religiosa dell’autore:
– e prego Signore Signore fa’ che questo caldo non salga al
cervelletto (pag. 256)
– ... e io ho paura Dio Dio Dio perché ho paura (pag. 332)
– ... e io non faccio in tempo a dire Dio mio Dio mio che
già vengo travolto da angosce e paure (pag. 265).

L’espressione iterata è a volte separata dalla copia da un’in-


vocazione/ imprecazione:
– ... Non questa santo Iddio non questa (pag. 235)
– ... cosa farò Madonna santissima cosa mai farò (pag. 399)
– ... i dolori non passano santo Iddio non passano (pag.
114)
– dov’è il chirurgo per la Madonna dov’è? (pag. 121).

v Invocazioni e interiezioni

Allo scopo di riprodurre la lingua orale, Berto attinge alla


vasta gamma di invocazioni e esclamazioni che i parlanti nel
linguaggio informale distillano generosamente. La frase risulta,
allora, franta e questo spiega il perché del ricorso alla ripetizio-

60
ne dell’enunciato precedente l’esclamazione, come negli ultimi
esempi sopra citati.
Le interiezioni sono “squilli di tromba” che suscitano
l’attenzione dell’ascoltatore e gli comunicano il cosiddetto
“Stimmungstenor” del parlante67. Il loro scopo precipuo è ef-
fettivamente quello di esprimere una sensazione, una reazione
improvvisa dell’animo provocata da qualcosa che si è visto o
sentito o, molto più soventemente nel caso che stiamo esami-
nando, da qualche episodio che è riaffiorato alla mente del pro-
tagonista oppure che egli ha immaginato o sognato. In alcuni
casi le interiezioni informano di un sentimento di gioia e lieta
sorpresa o al contrario palesano dolore, sofferenza, sdegno, di-
sgusto o spiacevoli sorprese. A volte manifestano un comando,
una preghiera, un saluto oppure servono per esortare qualcuno
alla concentrazione o alla percezione di un pericolo, o ancora,
più semplicemente per destare l’attenzione del lettore o dell’in-
terlocutore nei casi in cui il narratore riporta dei dialoghi.
Così, come tutti gli altri elementi lessicali di una lingua,
esse hanno dei significati convenzionali e tradizionali e possono
anche, scisse da una struttura sintattica, equivalere da sole ad
una comunicazione completa. Queste sono perciò le loro carat-
teristiche più di rilievo: la capacità di realizzare il significato di
una frase intera e la loro autosufficienza, vale a dire la libertà da
ogni legame sintattico.
Spitzer definisce le interiezioni “absolute Musik, da sie
keinen (gesprochenen) Text besitzen,... Lieder ohne Worte, ...
rein musikalische Stimmungselemente”68. Esse in realtà non si
muovono sul piano concettuale e semiologico del linguaggio,
ma segnalano pur sempre una presenza che orienta l’ascolta-
tore. Spetta loro il compito di “intonare” il discorso del per-

67
Giovanni Nencioni, Tra grammatica e retorica. Da Dante a Pirandello,
Torino, Einaudi, 1983, pag. 218
68
Ivi

61
sonaggio69 e, pur non aprendolo quasi mai ne Il male oscuro,
esse incidono costantemente su di esso per evidenziarne la sua
essenziale affettività.
Le pagine di Berto sono piene di segnali ad alto quoziente
tonale: vocativi, incisi fatici, interiezioni. La frequenza di questi
elementi si spiega considerando in generale tutta la scrittura
dell’autore che è appunto disposta al parlato. Graficamente,
l’interiezione non è mai seguita da un punto esclamativo70. Sul
piano fonetico ogni interiezione ha una sua intonazione carat-
teristica che dipende molto dall’esecutore, dal suo carattere e
dalla situazione emozionale. È dunque un elemento linguistico
connesso all’oralità e alla spontaneità e per codesta ragione, ov-
viamente, è il lettore a dover interpretare il tempo della durata
dell’interiezione. La cosa non riesce difficile perché egli viene
coinvolto e compartecipa alle situazioni esperienziali del pro-
tagonista.
Nel parlare di interiezioni bisogna valutare la distinzione
fra interiezioni “primarie” e interiezioni “secondarie”71. Le
primarie hanno esclusiva valenza interiettiva: ah, ahimè, ohi...
Le secondarie costituiscono parti del discorso autonome che
sono in grado di assumere vari scopi. Le interiezioni sono alla
base delle locuzioni interiettive, che sono formate da più parole
come negli esempi:
– ... e lui dice dove sono i dialoghi di Gennarino ringrazi Id-
dio che dovrei addebitarle le spese di viaggio e soggiorno a
Parigi ... (pag. 204)
– mettilo giù per l’amor di Dio (pag. 82)
69
Pietro Trifone, L’italiano a teatro. Dalla commedia rinascimentale a Da-
rio Fo, Pisa – Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2000,
pagg. 115-116.
70
In tutto il romanzo non compare un solo punto esclamativo o inter-
rogativo. Per tale discorso rinvio alla parte del presente lavoro in cui ho
esaminato la punteggiatura dell’opera.
71
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Gram-
matica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme e costrutti,
Torino, Utet, 1988, pag. 311.

62
– ... ma da domani vita nuova se Dio vuole... (pag. 213).

Le interiezioni primarie consistono in enunciati elementa-


ri, semplicissimi vocalismi connessi a sentimenti comuni e uni-
versali così come universali divengono anche tali interiezioni.
Esse presentano svariate particolarità grafiche e fonetiche che
prescindono dal sistema linguistico di appartenenza. È consue-
ta l’h proscritta nelle interiezioni e si sconosce se la sua fun-
zione sia di aspirazione o di elevazione di tono. Tale grafema
allora ha raramente valore fonetico; la sua importanza sta però
nell’evitare omografie ad esempio con gli articoli. In ogni caso
nei monosillabi esclamativi l’h è ormai presente di regola come
loro peculiare carattere. Si trova in posizione centrale o finale e
le esclamazioni sono a volte in geminatio:
– era tutto un lamento per quanto ad occhi chiusi, ahi ahi
ahi non faceva che dire (pag. 29)
– ora sto qui sdraiato [...] alle volte gemendo e dicendo ahi
ahi oppure ohi ohi interminabilmente... (pag.114)
– oh se ad un tratto mi sentissi sicuro che non tornerà più...
(pag. 225).

Un’esclamazione che ricorre moltissimo nella narrazione


di questo romanzo è l’apocope dell’avverbio bene:
– be’ dico io un po’ meno provocatorio ( pag. 127)
– be’ che facciamo bel bambolotto... (pag. 344)
– be’ che ne pensi che sono stato promosso (pag. 366).

Da Giovanni Nencioni viene considerato un problema


dell’interiezione il suo significato72. Infatti essa si riveste di un
contenuto semantico solo per contagio con gli altri fattori les-
sicali che costruiscono la frase. Le parole che seguono l’interie-
zione le donano la possibilità di esplicitarsi semanticamente. È

72
Giovanni Nencioni, Tra grammatica e retorica. Da Dante a Pirandello,
Einaudi, Torino 1983, pagg. 210-253.

63
vero che ha valore olofrastico e quindi può fare battuta a sé ma
solo se inserita nella cornice di un contesto:
– io gli dico Commendatore non si ricorda che mi è nata una
figlia e lui dice ah sì e va ad aprire un cassetto... (pag. 204).

Per quanto concerne le interiezioni secondarie, ogni lingua


ha le proprie. Ma qualche interiezione, specie se di origine ono-
matopeica, è rientrata nell’uso di tutte le lingue. Le interiezioni
secondarie hanno significato più trasparente e immediato. Al-
cune hanno un valore abbastanza stabile, o ricoprono lo spazio
di tutta una battuta:
– per fortuna questo radiologo che è un luminare toscano ad
un tratto dice cribbio e dà segni del più grande interesse...
(pag. 160).

Esclamazioni semanticamente più determinate sono quelle


con sì e no, che Berto fa precedere da altri elementi lessicali
o anche seguire da un’ulteriore locuzione interiettiva (ultimo
esempio):
– e lui dice ah sì che stupido me n’ero dimenticato (pag.
272)
– si volta verso il collega anestesista per dirgli eh sì per essere
teso è teso [...] e lui si volta verso il compare dicendo eh sì
è perforato (pag. 115)
– eh no che non è così semplice (pag. 189)
– eh no porca miseria qui l’ulcera c’è e come, ... (pag. 159).

Si parla di espansione dell’interiezione con lessemi che


vengono ad assumere anch’essi il medesimo ruolo interiettivo.
In tal modo si tratta di due unità le quali però rientrano nella
stessa struttura di intonazione.
Talvolta l’interiezione viene sorretta da una invocazione,
con valore di sfogo di una preoccupazione, sorpresa, spavento,
panico, imbarazzo... Spesso la forma è complicata dall’aggiunta
di Dio, Cristo, Madonna che proliferano anche in espressioni

64
autonome nelle pagine dell’opera come esclamazioni tipiche
della lingua parlata informale (e soprattutto ‘pensata’ nel caso
del protagonista de Il male oscuro). Sono locuzioni tradizionali
ma nel caso di Berto potrebbero alludere a un significato meno
banale, ovvero un desiderio di rapportarsi con l’Assoluto73 che
è sotteso a tutta la narrazione e che governa molte scelte anche
di tipo sintattico-lessicale. Ecco alcune delle interiezioni-invo-
cazioni del tipo specificato:
– e io penso Cristo santo ma guarda un po’ questa qui cosa
pretende (pag. 180)
– e mi metto a gridare dove fuori per la Madonna (pag. 202)
– ma Dio mio al presente passo della narrazione credo che ...
(pag. 217)
– ma poi Madonna santa come me la fa pagare questo poli-
ziesco Super-Io (pag. 307)
– questa ci mancava ora santissimo Iddio (pag. 142).

Si può trattare anche di forme asseverative che il più delle


volte sono connesse con una minaccia:
– ... intanto le metto le corna com’è vero Iddio (pag. 187).

L’analisi fin qui condotta dimostra quanto Berto abbia in-


dividuato magistralmente i fattori principali della lingua parlata
e li abbia sapientemente disposti sulla pagina, immergendo-
li nell’ordine sintattico. Nel romanzo costruito sul cosiddetto
“parlato–scritto” non desta, dunque, meraviglia l’abbondanza
di elementi interiettivi e di esclamazioni e invocazioni.

73
Ferruccio Monterosso, Come leggere il Male oscuro di Giuseppe Berto,
Mursia, Milano 1977, pagg. 69-71.

65
v Gli incisi e i loro tempi

Berto fa un intenso uso dell’inciso, elemento che è dotato


di un’intonazione neutra. Può consistere in una parola, cioè il
semplice inciso monorematico:
– sta’ attento che ti metto in collegio diceva, ... (pag. 89).

La formula che troviamo quasi in ogni pagina de Il male


oscuro, ed anche più volte nella stessa, è si capisce. Lo scrittore
utilizza questo enunciato come intercalare con il quale dà a sé
stesso continua conferma di quel che pensa o dice, il che espri-
me il suo bisogno di chiarezza e certezza:
– telefono e mi risponde la domestica con le vene varicose
e dice la signora è fuori e io ci resto male si capisce (pag.
202)
– avevo la necessità di star solo per aumentare in qualche
modo il mio volume di lavoro, e conseguentemente i gua-
dagni si capisce (pag. 55)
– che ne dici vecchio sarai contento ora che mi hai messo
prematuramente sulla tua strada, in conformità delle mie
colpe si capisce non è che io lo neghi (pag. 104).

Il si capisce in tanti punti della narrazione, e l’ultimo esem-


pio ne è prova, deriva da un lavaggio del cervello che il prota-
gonista fa a sé stesso per convincersi che tutti i mali che gli si
scagliano contro sono la giusta punizione per le colpe commes-
se. E la formula impersonale serve a dare carattere universale e
unanime al pensiero. L’inciso può essere anche una frase per-
lopiù molto breve posta a conclusione di un’altra frase oppure
inserita all’interno di essa:
– dovetti naturalmente raccontare ciò che avevo detto allo
psicanalista e ciò che lo psicanalista aveva detto a me, per
quanto a pensarci bene non c’era gran che da raccontare
(pag. 283-84)
– e infatti anche quando mi capita tanto per dire di vedere

66
tutto storto io penso che sono sbagliato io e non sbagliato
il mondo (pag. 393).

In ogni caso l’inciso è sempre e assolutamente indipen-


dente sul piano sintattico dal contesto in cui è inserito. Nel
momento in cui l’inciso coincida con una frase, allora essa è
chiamata anche proposizione incidentale o parentetica 74.
Abitualmente nello scritto l’inciso viene segnalato soprat-
tutto con l’aiuto dell’interpunzione: il più delle volte la funzio-
ne di contenerlo viene affidata alla virgola la quale spesso con-
corre con il trattino e con le parentesi tonde. Questo discorso
non vale per la lingua scritta che stiamo analizzando.
È necessario considerare la distinzione fra incidentali pri-
marie e incidentali secondarie. Delle prime si parla quando la
frase è priva di una congiunzione introduttiva; l’incidentale
secondaria riguarda la frase formalmente collegata al perio-
do attraverso una congiunzione coordinativa o subordinativa.
Quest’ultimo caso di incidentale è frequente soprattutto con
quelle subordinate che si usano spesso incuneate nella sovraor-
dinata, come le finali, le concessive, le ipotetiche, le compara-
tive, le relative.
Attenzione deve essere rivolta anche ai modi verbali in cui
sono espressi gli incisi. Compaiono più comunemente all’indi-
cativo, poi al congiuntivo, oppure al condizionale e anche nei
modi indefiniti, come l’infinito e il gerundio. Il modo che com-
pare più di frequente è l’indicativo a motivo anche del fatto che
il testo sia basato sul discorso riportato.
Berto è molto pignolo nella concordanza dei tempi verbali,
ricorrendo pure a un piuccheperfetto congiuntivo in osservan-
za della sintassi latina75. Questo risponde all’immane sforzo di

74
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Gramma-
tica Italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme e costrutti,
Torino, Utet, 1988, p. 527.
75
Claudio Toscani, Ritorna il Male oscuro, in «Ragguaglio librario», gen-
naio 1990.

67
costruire e ordinare la materia della sua opera. Sempre al con-
giuntivo sono le concessive:
– il quale tale restava sebbene io fossi arrivato a capire an-
che da solo che c’era un bel po’ di esagerazione in questa
storia dei sacrifici (pag. 91)
– non tutti possono essere Gesù sulla croce per quanto an-
che lui raccomandasse padre se ti è possibile, il che in cer-
to qual modo potrebbe anche significare che ... (pag. 123)
– non sarei diventato matto perché non potevo diventarlo,
ma sebbene le sue parole fossero allettanti... (pag. 285).
Spesso anche le finali:
– affinché chiunque possa vedere il doppio aspetto di que-
ste traversie (pag. 145).

I periodi ipotetici sono organizzati sapientemente sia con


l’indicativo che con il congiuntivo:
– se poi indulgevo ai piaceri detti della carne le cose anda-
vano di male in peggio [...] io la vita me la sarei potuta
godere benissimo se non mi fosse rimasta in cuore la spina
dell’opera d’arte (pag. 361)
– se tu avessi avuto un padre a mantenerti agli studi come ce
l’avevo io chissà cosa mai saresti diventato [...] se speravi
di farti un nome come padre di un figlio celebre hai sba-
gliato di grosso (pag. 358).

v La dislocazione

Nella struttura della frase può prevalere sull’ordine sintat-


tico non marcato di soggetto verbo oggetto, il criterio prag-
matico che vuole la costruzione tema-rema. Questa scelta si
concretizza linguisticamente nel costrutto della dislocazione.
Si tratta di uno di quei fenomeni che Enrico Testa racchiude
nello schema della frammentazione della frase76 e appunto per

76
Enrico Testa, Simulazione di parlato. Fenomeni dell’oralità nelle novelle del

68
questo è riscontrabile più nella lingua orale che nella scritta e in
quest’ultima è caratteristica dei testi che sono vicini al parlato77.
Lo scopo perseguito è di mettere in evidenza un elemento
linguistico a spese di altri; serve per movimentare il discorso,
conferendo vivacità agli interventi verbali dei personaggi e ri-
spondendo all’esigenza di rapidità d’informazione.
La componente emotiva nella costruzione del discorso nel
linguaggio orale è fondamentale. Se Berto sceglie costrutti pro-
pri della lingua parlata si deve all’empatia che vuole stabilire
con il lettore e che trova un suo corrispettivo linguistico sulla
pagina. La libertà di spostamento di costituenti è possibile nella
nostra lingua perché il verbo, per sua flessione, contiene in sé
il soggetto, e perché l’italiano conosce varietà di pronomi atoni
che sono ottimi connettivi fra gli elementi della frase78.
La dislocazione ricorre quando, nel caso di un verbo tran-
sitivo, il complemento oggetto è in posizione diversa da quella
postverbale e, in alternativa, accanto al predicato viene inserito
un pronome clitico, il quale si riferisce all’oggetto stesso. Ciò
mira ad accrescere l’importanza semantica della voce verbale, a
volte accompagnata da avverbi o altri complementi che ampli-
ficano o viceversa restringono il suo significato; tali espressioni,
però, hanno limitazione dal punto di vista stilistico perché ri-
sultano calzanti più per una comunicazione spontanea anziché
formale79. Questo comunque accresce il valore artistico di Ber-

Quattro – Cinquecento, Firenze, Accademia della Crusca, 1991, pag. 174.


77
Berruto comprende la dislocazione nelle caratteristiche della «sintassi
egocentrica» del parlato. Vedi G. Berruto, Per una caratterizzazione del
parlato: l’italiano parlato ha un’ «altra» grammatica?, in Holtus- Radtke (a
cura di ), Gesprochenes Italienisch in Geschichte und Gegenwart, Tübin-
gen, Gunter Narr, 1985, pag. 130.
78
Paola Benincà, Sintassi in AA.VV., Introduzione all’italiano contempo-
raneo. Le strutture, a. c. di Alberto Sombrero, Roma-Bari, Laterza, 2005,
pagg. 253-256.
79
Lorenzo Renzi, Grande Grammatica Italiana di consultazione, a cura di
Lorenzo Renzi, Giampaolo Salvi, Anna Cardinaletti, Bologna, Il Mulino,
2001, pag. 146 e segg.

69
to perché gli si riconosce la destrezza nella riproduzione di un
linguaggio schietto e immediato.
Sappiamo che le dislocazioni possono avvenire in due sen-
si di marcia: si parla di dislocazione a destra e dislocazione a
sinistra. La prima costruzione consiste nella posticipazione di
un elemento della frase dalla sua posizione originaria, che viene
occupata da un clitico:
– glielo si leggeva nel viso quant’era felice (pag. 71)
– immaginarmela questa mia opera capitale (pag. 243)
– scriverlo un diario p. 184
– siamo riusciti a metterlo a posto il mio pletorico Super-Io
p. 389
– voglio vedermela sulla faccia questa smisurata rovina p.
220
– vorrei proprio prenderla io quella Wolsitt da corsa p. 326
– mai più lo dissi quando avevo male p. 77
– mica l’ho ammazzato io mio padre p. 111
– vorrei vederla ancora una volta questa mia viva ragazzet-
ta p. 117
– chi riusciva a fermarla più l’autocompassione p. 139.

La dislocazione a destra, oltre magari a sciogliere un even-


tuale dubbio legato al nome nascosto dietro al clitico, può “as-
sumere una connotazione interazionale, “evocando un clima di
sottinteso in comune”80 tra locutore e interlocutore”. I costituen-
ti della dislocazione a destra sono detti “emarginati”81. Essi si
riferiscono a una realtà che combacia con il “noto”, cioè che è già
da prima presente nel contesto e la cui esistenza risulta essere in
possesso conoscitivo dell’ascoltatore. Al termine dell’enunciato

80
G. Berruto, Le dislocazioni a destra in italiano, in Pietro Trifone, L’Ita-
liano a teatro. Dalla commedia rinascimentale a Dario Fo, Pisa – Roma,
Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2000, p. 121.
81
Lorenzo Renzi, Grande Grammatica Italiana di consultazione, a cura di
Lorenzo Renzi, Giampaolo Salvi, Anna Cardinaletti, Bologna, Il Mulino,
2001, pag. 146 e segg.

70
viene però ripresentata, per confermare quel che l’ascoltatore ha
appreso. Nell’ambito della testualità non c’è differenza fra dislo-
cazione a destra e dislocazione a sinistra, perché, come vedremo,
si discute sempre su temi che sono precedentemente nominati
nel testo o previsti nel livello conoscitivo dell’interlocutore.
La dislocazione a sinistra, molto più diffusa, si ottiene
anticipando un costituente, pur senza privarlo di connessione
sintattica con il resto della frase. Il clitico, che viene colloca-
to successivamente, esplicita tale legame, occupando il posto
che ordinariamente è riservato al sintagma che adesso subisce
dislocazione. Questo tipo di costruzione del discorso ha radi-
ci profonde; si trova nei più antichi testi volgari della nostra
lingua: le formule dei placiti cassinesi, ad esempio in quello di
Capua del 960:
‹‹ Sao ko kelle terre ..., trenta anni le possette parte Sancti
Benedicti ››
Questa documentazione permette di conferire autorità al
costrutto in questione e, così come scrive Sabatini, rappresenta
uno di quegli aspetti che “erano già presenti da tempo nel si-
stema [...] alla base della lingua italiana”, ma che “non furono
accolti in quella particolare norma, definibile come supernor-
ma, che dal secolo XVI in poi ha dominato l’uso standard della
lingua italiana”82.

Ecco un elenco di esempi di dislocazione a sinistra rintrac-


ciati ne Il male oscuro:
– alcuni potrei fare anche a meno di pagarli p. 275
– bambine così belle non ne hanno mai viste p. 193
– i bambini bisogna lasciarli a casa p. 79
– i berretti alla marinara ce li aveva lui in bottega p. 82
– i cioccolatini li prendono p. 325

82
Pietro Trifone, L’italiano a teatro. Dalla commedia rinascimentale a Da-
rio Fo, Pisa – Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2000,
pag. 121.

71
– i Promessi Sposi mai nessuno li leggeva p. 81
– i suoi cappelli c’era da vergognarsi a portarli p. 362
– il caffé non posso prenderlo e il pieno l’ho già fatto p. 233
– il cambiamento di sdraiarmi con le scarpe lo farò dopo
l’interruzione p. 300
– il direttore d’orchestra messicano lei voleva proprio ve-
derselo p. 297
– il Padreterno l’hanno inventato i preti p. 318
– il rapporto con esse ce lo poniamo come condizione p.
396
– intanto però l’antico imperatore romano mi sta spiegando
lui il significato p. 269
– io mio padre me lo ricordavo che brontolava sempre p. 94
– la gloria la lascia agli altri p. 201
– la medaglia vermeille me la sono conquistata p. 322
– la piscina è meglio lasciarla perdere p. 107
– la rata me la darà domani p. 186
– la sua quiete se la cerchi p. 407
– lascio che la notizia se la trovi p. 365
– la vedova francese non ce la facevo proprio più a reggerla
p. 55
– le corna se le merita p. 188
– le endovenose devono ancora inventarle p. 275
– le ottantamila non le ho p. 205
– le qualità richieste sembra possederle p. 280
– ora l’acqua attinta dal pozzo la porto con quei bidoni p. 410
– qualche acciacco bisogna pure averlo p. 106
– quel grande distintivo me lo appendevo al collo p. 88
– quelle a conti fatti era meglio se le tenevo per me p. 284
– quelle incaute fotografie non le volevo vedere p. 57
– questa cosa non riusciva a dimenticarsela p. 380
– questa donna dunque l’abbiamo mandata in vacanza
pure lei poveretta p. 214
– questa nuova condizione di non isolamento mi conveni-
va tenermela p. 35

72
– queste cose bisognava prenderle p. 368
– queste cose si finisce per dimenticarle p. 164
– queste sofferenza sarebbe stato meglio eliminarle p. 282
– questi libri li leggo p. 190
– questi marron glacé glieli compri in un bar qualsiasi p. 186
– questo mio padre morto ormai da tanti anni io l’ho per
così dire confuso con Dio p. 410
– questo padre non lo ricerco p. 407
– questo piacere o peccato che sia dovrò pagarlo p. 346
– questo problema delle scarpe bisognerebbe risolverlo p.
300
– suo padre ossia mio nonno materno non l’ho nemmeno
conosciuto p. 65
– tre capitoli bene o male ero riuscito a scriverli p. 281
– tutti questi ragionamenti me li faccio insieme con la barba
p. 217
– tutto questo cercavo di raccontarglielo p. 285
– un’operaia non l’avrebbero mai sposata p. 85
– un’iniezione di morfina gliel’avrebbe fatta fare p. 37
– un risultato lo raggiungo p. 397
– Vedrai se a quella lì non gliela faccio pagare p. 187

Da notare come in tutti gli esempi riportati non compare


mai una virgola a segnalare la pausa di confine fra oggetto e
predicato.

v Posposizioni

Nel romanzo di Berto capita che l’aggettivo possessivo


venga posposto, anziché anteposto, al nome cui si riferisce:
– esigo che in casa mia ciascuno faccia il proprio dovere [...]
devo smettere di dire casa mia e soldi miei dato che la
roba mia è anche sua (pag. 398)
– penso che quasi sempre sono sbagliate (le operazioni) al-

73
meno secondo la conoscenza mia (pag. 136)
– la rovina mia è stata il matrimonio (pag. 398)
– chissà mai quali colpe avrò da scontare io per farmi conti-
nuamente del male e non ne trovo, o meglio non ne trova
il medico mio (pag. 353).

In alcuni casi la motivazione di questa posposizione agget-


tivale è di natura emozionale, il narratore evoca una figura che
possa dargli conforto:
– moglie mia, consolazione mia, tremo e piango tra le sue
braccia (pag. 266)
– Dio mio, padre mio dicevo mai più mangerò fettuccine al
sugo (pag. 284).

La locuzione padre mio è frequentissima e prevale su mio


padre di circa il doppio delle occorrenze e non necessariamente
in enunciati di invocazione:
– era proprio il padre mio che comandava i carabinieri (pag.
40)
– esaminando al di fuori d’ogni agitazione sentimentale il
rapporto tra me e il padre mio (pag. 93)
– rimango inchiodato al terzo capitolo per l’aggressione di
chissà qual demonio o di questo padre mio (pag. 232)
– venivano a comprare cappelli e ombrelli nella bottega del
padre mio (pag. 385).

Troviamo anche vicine l’espressione con aggettivo posses-


sivo anteposto e quella con aggettivo possessivo posposto al
nome:
– mi trovo impegnato in un normale processo di identifica-
zione col padre mio, e siccome poi questo mio padre mor-
to ormai da tanti anni io l’ho per così dire confuso con Dio
... (pag. 410).

74
v Deissi83

L’enunciato necessita di essere posto in un contesto spa-


zio-temporale; vengono identificati i soggetti e i partecipanti
ricorrendo ai fattori cosiddetti deittici quali pronomi personali,
aggettivi e pronomi dimostrativi, avverbi di luogo e tempo. La
deissi è da considerare un fondamentale procedimento com-
piuto a livello pragmatico e di valore essenziale in ogni tipo
di comunicazione linguistica84. I segmenti indicali-deittici-per-
formativi si manifestano iconicamente all’interno degli assi di
orientamento verbali e scenici.
Non crediamo che a livello semantico i segnali deittici co-
noscano la loro piena realizzazione, appaiono piuttosto come
semplici entità che, forse per convenzione, vengono collegate
strettamente con oggetti appartenenti alla sfera fisica. Sembra
appropriata la definizione che Serpieri 85 formula riguardo a
quelle che definisce tracce deittiche: “espressioni indicali che
pongono il discorso in situazione”. Pietro Trifone con deittici-
tà esprime esattamente lo stretto legame con la situazione86. Il
linguaggio “in situazione” è da intendere nei vari atti linguistici
locutorio, illocutorio, perlocutorio87.

83
Per l’etimologia del vocabolo occorre riferirsi alla lingua greca, preci-
samente al verbo δε›κνυμι, “io indico, mostro”, da cui δε›ξις, “indica-
zione”.
84
Per usare la terminologia di Nencioni in Di scritto e di parlato. Discor-
si linguistici, Bologna, Zanichelli, 1983, possiamo riscontrare l’uso della
deissi nel parlato- parlato, parlato- scritto (che si ramifica in parlato della
novella o del romanzo, cioè insito in una cornice narrativa, e parlato- reci-
tando) e parlato-recitato, pag. 126.
85
Serpieri, Linguaggio drammaturgico e linguaggio comunicativo sempre
in AA.VV. Come comunica il teatro: dal testo alla scena, Milano, Il Formi-
chiere, 1978, pag. 21.
86
Pietro Trifone, Una maschera di parole. La commedia fra grammatica e
pragmatica, in M. Dardano, P. Trifone (a cura di), La sintassi dell’italiano
letterario, Atti del Convegno (Roma, 28-29 gennaio 1993), Roma, Bulzoni,
1995, pp. 193- 238.
87
Il problema dell’enunciazione e della conseguente indicalità del lin-

75
Nel linguaggio quotidiano infatti la sua funzione obbedi-
sce alla richiesta di massima comunicatività e da ciò deriva che
la sua mansione sia piuttosto di semplice indice utilitario. Ed è
questo tipo di linguaggio che lo scrittore veneto riproduce, pur
se specificatamente la deissi conosce il suo trionfo trovando la
realizzazione più completa nel linguaggio drammaturgico: in
esso i deittici si semantizzano, assumono una posizione rilevan-
te e simbolica nel tessuto verbale, integrandolo di contenuto88.
Ma l’aspetto senza dubbio principale cui è collegata la deissi è
la referenza. Il referente dei segmenti deittici può essere deciso
solo in rapporto agli interlocutori, il loro significato compreso
unicamente in riferimento al messaggio.
U. Eco scrive che “tutti gli oggetti a cui ci riferiamo si-
gnificando diventano a loro volta segni, verificandosi così una
semiotizzazione del referente”89. Un dimostrativo ha una sua
peculiarità diversa di volta in volta dipendentemente dal suo
referente in quel discorso. La deissi si comporta un po’ come
un bottone fissato sull’atto locutorio e introdotto nel contesto
pragmatico per tenere unite inscindibilmente le due parti90. Il
ricorso alla deissi è legato quasi sempre al tempo presente che

guaggio, specialmente di quello in situazione, è stato sempre valutato con


particolare dedizione da affermati linguisti e filosofi del linguaggio come
Bally, Benveniste e Jakobson. Benveniste chiama i deittici embrayeurs ,
Jakobson shifters. AA.VV., Come comunica il teatro: dal testo alla scena,
Milano, Il Formichiere, 1978, pag. 21.
88
Sulla scena, infatti, le parole si trasformano in movimenti dei personag-
gi, o, come preferisce dire Pirandello, in mosse d’anima, in relazione con
oggetti e spazi sulla base di connessioni deittiche, ostensive, spaziali. Nel
teatro la produttività di senso è data dalla deissi che si occupa di coordina-
re le articolazioni degli atti di discorso, tenendo conto delle informazioni
a livello di immagini, di intonazione, di ritmo, di cinesica dei movimenti...
89
Alfonso Canziani in AA.VV., Come comunica il teatro: dal testo alla sce-
na, Milano, Il Formichiere, 1978, pag. 26.
90
Serpieri spiega che quando manca il contesto pragmatico, ad esempio
nel romanzo, i deittici sono “forme vuote” riempite per indicalità verbale,
e non situazionale. AA. VV., Come comunica il teatro: dal testo alla scena,
Milano, Il Formichiere, 1978, pag.21.

76
effettivamente è uno dei due tempi verbali dominanti ne Il male
oscuro accanto al passato91. Il presente interviene apportando
situazioni nuove da cui nasce un nuovo presente. L’asse lin-
guistico non può non coincidere con il presente che è il tempo
del discorso, in riferimento al quale si situano gli avvenimenti
in posizione anteriore partoriti dal ricordo. Berto scrive: “nello
stile psicanalitico ci sono tre qualità di tempi presente: il pre-
sente della narrazione, ossia quello in cui si immagina colloca-
ta la stesura del racconto, il presente storico tradizionale, e il
presente dell’analisi, ossia il vivido e dinamico presentarsi del
passato inconscio”92.
Il fatto da considerare attentamente è il rapporto tra il di-
scorso presente e il deittico, indifferentemente se esso indichi
persona, luogo, oggetto, tempo. La realtà a cui esso ci rimanda
è sempre quella del discorso. Il nucleo attorno al quale ruotano
aggettivi, avverbi temporali e di luogo è sicuramente il sogget-
to. Chiaro il modo in cui Serpieri sintetizza la classificazione
su scala di importanza dei segnali della deissi: io – qui - ora.
Il pronome assume dunque il ruolo guida: senza la presenza
della persona non reggerebbe alcun linguaggio. L’osservazione
conseguente ciò è che tutti ci appropriamo della prima persona
singolare; nella forma io si immerge ogni personaggio e tramite
il pronome lo spazio e il tempo trovano significato. Crediamo
che il protagonista de Il male oscuro sia anonimo proprio per-
ché qualunque lettore possa leggere in quelle pagine la propria
esperienza. Tutti gli altri personaggi, moglie genitori medici
figlia, vestiti del pronome io, diventano emittenti di informa-
zione e interpreti del discorso performativo93. I linguisti, nel

91
Riguardo al tempo della narrazione rinvio al paragrafo VII Il tempo.
92
Giuseppe Berto, Io e la psicanalisi. La sonda della verità, in «Il Resto del
Carlino», 17 maggio 1964.
93
Il performativo è il discorso che descrive un’azione del parlante impli-
cando l’esecuzione dell’azione stessa; con parole di Serpieri, performativo
è l’atto modificante i rapporti interpersonali sulla scena. ‘Ipotesi teorica di
segmentazione del testo teatrale’ in AA. VV., Come comunica il teatro: dal

77
fenomeno degli indici verbali, hanno stabilito una gerarchia,
o quanto meno una priorità fra i vari componenti deittici del
linguaggio. Oltre alla indiscussa superiorità di io fra i deittici
personali, essi pongono gli indicatori spaziali in una posizio-
ne antecedente quelli temporali. È soprattutto l’inglese John
Lyons94 a giustificare questa teoria con una formula di suo co-
nio: “the spatialization of time”. La narrazione nasce da un io
posizionato in un qui; il tempo ora è successivo di importanza
in quanto lo spazio permane differentemente dalla dimensione
temporale che muta continuamente.
Dopo quanto scritto, non desterà stupore l’elevato nume-
ro dei deittici in Berto, che insegue tenacemente il linguaggio
svelto del suo pensiero, e soprattutto la superiorità di quelli
di natura pronominale su tutti i restanti. È importante notare
come lo scrittore arricchisca le pagine narrative di descrizioni,
degli avverbi ora, così, ecco...: probabilmente in questo agisce
l’attività di sceneggiatore di Berto. La logica narrativa magari
investirebbe questi elementi linguistici solo di una funzione se-
condaria, benché sempre complementare, ma ne Il male oscuro
l’autore si interessa di illuminare pienamente anche tali segni
del discorso perché, in quanto segni, simboleggiano qualcosa e
sono apportatori di un senso. Potremmo sostenere che i deittici
abbiano, per Berto, un’autenticità al di là del loro ruolo conven-
zionale. L’avverbio indicativo ecco ricorre ben centoottantatré
volte in risposta al principio di emulazione della lingua parlata
sul piano espressivo. La suddetta forma linguistica è “manife-
stazione della concretezza della conversazione reale”95; essa ha
in sé un’alta percentuale di espressività, tanto che il più delle
volte capita di incontrare tale avverbio, o di pronunciarlo, sen-
za accompagnarlo con forme verbali. Spesso il suo significato si

testo alla scena, Milano, Il Formichiere, 1978, pagg.11-54.


94
John Lyons, Semantics, Cambridge 1977, pag. 718
95
Enrico Testa, Simulazione di parlato. Fenomeni dell’oralità nelle novelle
del Quattro- Cinquecento, Firenze, Accademia della Crusca, 1991, p. 196.

78
deduce dal contesto, quando vale come semplice interiezione o
addirittura come particella riempitiva. In realtà può sostituire
un’intera frase, equivalendo ad un’esclamazione, rendendo così
superfluo il verbo ma quest’uso non figura ne Il male oscuro.
Leggiamo, allora, di seguito gli esempi selezionati per mostrare
i vari ricorsi a tale formula. Nei primi ecco ha valore presentati-
vo, ovvero introduce un oggetto del discorso:
– ecco la morte mi dico (pag. 147)
– ecco spiegato il motivo per cui ci voleva la casa più grande
(pag. 171)
– ecco la mia stoltezza (pag. 221)
– ecco ad esempio questi tre capitoli tirati fuori dalla valigia
(pag. 238)
– ecco questo è proprio ciò che comunemente si sogna pen-
sando alla montagna un altipiano verde con gli abeti e il
vento (pag. 245)
– ecco un problema complicatissimo da risolvere in un istan-
te (pag. 327)
– ecco questo doveva accadere (pag. 332)
– ecco quindi il semplice congegno per cui l’ambizione di
scrivere un capolavoro alimentava il male (pag. 360)
– ecco questo è appunto l’errore atroce (pag. 399).

Altrove introduce un’azione:


– ecco insorgere qualche impulso ostile e maligno (pag. 352)
– ecco mi alzo e gli angoli non sono dritti né il pavimento
piano (pag. 226)
– ecco arriva infine un medico (pag. 219)
e può essere seguito da un che continuando a rivestire il caratte-
re di segnale di apertura di un discorso. Spesso per evidenziare
tale autonomia viene anticipato da una virgola:
– potrei benissimo accertarmene accendendo la luce però
sono troppo pigro o spossato o anche prudente per farlo,
ecco che di nuovo vado verso il sonno (pag. 231)
– mi scongiura, ed ecco che comincio grazie a Dio a sentire

79
un po’ di pietà per lei, a anche per me si capisce, ecco che
è finita la speranza (pag. 266)
– ... queste attricette [...] proprio miserelle, ecco che senten-
domi in torto sarei automaticamente meno esigente (pag.
357).

Ad ecco viene unita encliticamente una particella prono-


minale:
– e in realtà eccolo apparire dopo mezz’oretta o poco più
(pag. 191)
– e così Signore Iddio eccomi pentito (pag. 221)
– eccomi calmo a pensare sia al silenzio che ai rumori (pag.
241).

In altri casi ecco è seguito da un topodeittico. A spiegare


l’enunciato interviene il co-testo:
– ed eccola qua la sua grande occasione (pag. 113)
– ecco qua ho una malattia che nessun altro al mondo pos-
siede (pag. 350)
– ed ora eccolo là più trionfante di prima nell’atto di iniet-
tarmi nel sangue qualcosa (pag. 124)
– e invece eccolo là con questa sua nuova spaventosa arma
(pag. 148)
– eccole là in fondo che vengono avanti nel vento in mezzo
alla strada (pag. 245)
– eccolo là il mio cervello matto (pag. 265)
– eccolo là in punta di piedi (pag. 298).

Gli avverbi di luogo servono a ridurre o amplificare la di-


stanza dall’oggetto nominato e vengono impiegati frequente-
mente dall’autore per dare l’idea dello spazio in cui si svolgono
gli avvenimenti:
– qui sembra non esserci nient’altro che quel po’ di garza
(pag. 126)
– arriva allo scoglio e qui s’arresta (pag. 198)

80
– guarda qua con quanta rassegnazione mi faccio fare ciò
che vogliono (pag. 104)
– siccome stavo lì per colpa loro mica mi avrebbero fatto
pagare la degenza (pag. 136)
– il bravo medico dice sto qui io con te e veramente si mette
lì a sedere sulla poltrona (pag. 149).

Abbondanti sono pure gli aggettivi dimostrativi che ac-


compagnano il sostantivo, e in alcuni casi si tratta di deissi en-
fatica di “dimostrativo con epiteto” (terzo esempio) 96:
– quel fesso di anestesista rovina la solennità della funzione
(pag. 124)
– questo tanghero di matusalemme ha constatato com’era
teso l’addome (pag. 123)
– ma cosa pretende questo vecchio rompiscatole per il solo fatto
di avermi messo al mondo (pag. 43)
– ora sto qui con questo taglio fresco sulla pancia (pag. 128).
Nell’ultimo esempio compare sia l’avverbio di luogo che
quello di tempo.
L’uso di ora è abbondantissimo nelle pagine di questo ro-
manzo così come di subito:
– voglio parlare subito con mia moglie (pag. 202)
– quando si parla di soldi diventa subito velenosa (pag. 398).
L’orientamento deittico verbale è semanticamente comple-
to in sé stesso. La parola stessa è dunque azione in particolare
nelle sue trame parallele performative – deittiche, perpendico-
lari ai fili dell’ordito, che è l’ intreccio dei fatti.
Lungo il romanzo la voce pronunciata dal personaggio è
frenata, sottomessa a disciplina e inserita ordinatamente nei
ranghi della grammatica. All’interno di questa può diffondersi
nel testo assumendo varie forme ma pur sempre regolata dall’u-

96
Pietro Trifone, L’Italiano a teatro. Dalla commedia rinascimentale a Da-
rio Fo, Pisa- Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2000,
pag. 112

81
so dei pronomi personali e dimostrativi, degli aggettivi dimo-
strativi, degli avverbi di tempo e luogo... che creano legami nel
testo, rendendolo compatto, coeso.
Altro esempio di deittico è così che compare come avver-
bio di quantità seguito perlopiù dall’aggettivo lungo:
– la trovo con un muso così lungo che sta a guardare la tele-
visione (pag. 178)
– la ragazzetta [...] assicura che mi hanno infilato degli aghi
lunghi così (pag. 152)
– sebbene da quando mia moglie mi ha detto che mi infilava
degli aghi così lunghi abbia paura anche di lui (pag. 223)
– neanche mia madre le [=gonne] portava più così lunghe
(pag. 74).

VII. Il tempo

Berto colloca la sua narrazione nel valore di astrazione di


questa categoria spaziale. Sarebbe un errore limitarsi a consi-
derare il tempo verbale dell’opera poiché il romanzo è una in-
cessante ricerca di un tempo dal significato più ampio e eterno.
Infatti, nell’opera a una precisione nell’utilizzo dei tempi
verbali97 non corrisponde, a nostro avviso, una definita separa-
zione dei tempi in senso morale.
C’è il presente narrativo del “penso che” e “tutto questo il
mio medico lo sa benissimo”, ovvero il presente del narratore
che decide di raccontarsi e il presente dello psicologo che lo
segue nella cura e lo convince a scrivere la sua esperienza.

97
“Nello stile psicanalitico ci sono tre qualità di tempi presenti: il presente
della narrazione, ossia quello in cui si immagina collocata la stesura del
racconto, il presente storico tradizionale e il presente dell’analisi, ossia
il vivido e dinamico presentarsi del passato inconscio. Tutto confluisce
su un piano unico, fondendosi”. Giuseppe Berto, Io e la psicoanalisi. La
sonda della verità, in «Il Resto del Carlino», 17 maggio 1964.

82
Il presente è anche proprio delle affermazioni di carattere
informativo:
– Fare la psicanalisi è, almeno apparentemente, la cosa più
semplice del mondo nel senso che la cura consiste ...; il
dottor Freud è stato senza dubbio un grande uomo in qua-
lità di inventore della psicanalisi... (pag. 7);
– ora nell’analisi una delle cose importanti e anzi direi indi-
spensabili è avere sogni e ricordarsene in modo da poterli
poi raccontare al medico... (pag. 290);
– Così con questo transfert ormai in funzione le cose della
psicanalisi procedono un po’ meglio dal punto di vista af-
fettivo... (pag. 299).

Il presente è il tempo dei pensieri del protagonista seppur


in una collocazione lontana dal tempo della narrazione:
– ... alla ragazzetta con la quale dovevo andare a cena tele-
fonai che avevo da lavorare e mi coricai dopo aver messo
un rinforzo di un altro paio di vocabolari ai piedi in fondo
al letto, pensando vuoi vedere che questo figlio di puttana
d’un rene se n’è andato fuori posto, ma adesso ci torna
vivaddio se ci torna, e me ne stavo steso... (pag. 109).
Ed è anche il tempo delle battute dei personaggi nelle vi-
cende narrate e verificatesi nel passato:
– ... e io quasi quasi a sentirlo parlare in siffatto modo gli
baciavo le mani, lei mi toglie un grande peso dal cuore pro-
fessore gli dissi, perché vede io a Roma ho lasciato molti
affari sospesi... (pag. 49).

C’è il presente storico tradizionale giacché la narrazione


degli accadimenti del passato il più delle volte è espressa al pre-
sente:
– ... siccome in clinica per via del molto lavoro ci vado quan-
do posso mia moglie brontola che l’abbandono nella soli-
tudine... (pag. 184)
– ... e in verità attualmente non ho gran che motivo di la-

83
gnarmi se riesco a stare qui solo in una camera d’albergo...
(pag. 239)
– ... mio padre quando usciamo dal collegio per prima cosa
mi porta davanti alla vetrina del negozio di biciclette e mi
chiede quale ti piace, è un giorno grande per me ma non
privo di problemi... (pag. 322).

Il racconto degli episodi accaduti nel passato del protago-


nista, nell’età infantile, adolescenziale, i fatti legati alla sua atti-
vità lavorativa e amorosa sono narrati anche al tempo passato
in un alternarsi di imperfetto e passato remoto ma è circostanza
rara per il motivo che il presente rincorre e pare soffocare il
passato:
– Ci mancava dunque poco che in quel periodo non mi fa-
cessi santo... (pag. 314)
– ... a questa operaia del pepe io volevo egualmente bene
sicchè me la sarei sposata appena diventato grande... (pag.
79-80)
– Presentemente mi trovavo al punto di partenza un’altra
volta [...] infatti avevo ricollocato i vocabolari sotto i piedi
del letto... (pag. 142)
– ... a forza di discuterne ci venne una gran voglia di far l’a-
more subito e [...] lo facemmo... (pag. 109)
– Alla ragazzetta poiché vide un paio di grossi vocabolari
piazzati in mezzo alla camera sotto le gambe del letto do-
vetti spiegare press’a poco la faccenda del rene mobile...
(pag. 108).

Come annunciato prima, un altro tipo di tempo che do-


mina l’opera è il tempo che definiamo “morale”, il tempo del
dolore per esempio che resta presente per l’intera durata del
racconto. Il cancro che aveva colpito il padre è uno spettro che
senza sosta assilla il protagonista rinnovando di volta in volta sen-
timenti di paura, orrore e smarrimento. Le crisi nevrotiche sono
anch’esse atemporali perché non sono fenomeno legato esclusi-

84
vamente al passato ma si ripetono nel presente e sono premessa
del futuro. Insomma, malgrado il libro si presenti come un lungo
narrare confessionale di tipo biografico, perdura una sensazione
di mobilità come se i fatti non siano mai compiuti e allo stesso
modo i pensieri, i sogni e le preoccupazioni.
Parve all’autore di introdurre a un certo punto una solu-
zione per sbloccare l’eterno fluire incontrastato dei fatti. È il
momento in cui la fantasia scansa l’elemento autobiografico:
la moglie ragazzetta svela di tradire il marito già da molto tem-
po. Il tempo si ferma un attimo e ricomincia a correre con un
altro ritmo e verso una nuova direzione. Il protagonista non
regge all’onta, parte e si rifugia in Calabria, a Capo Vaticano
per incontrarsi idealmente col padre e attendere con una sor-
prendente e inaspettata serenità la morte. In questo luogo che
sa tanto di Isola che non c’è dove ancora l’uomo mantiene un
rapporto di amorevole rispetto con la terra, il personaggio ri-
trova sé stesso coltivando un quadrato di campo, avendo spora-
dici colloqui con gli indigeni, per di più per scrivere per conto
loro delle lettere verso i parenti emigrati in Germania o al nord
Italia, e osservando incantato e pensieroso la costa opposta,
la Sicilia. Ora che il tempo sembra immobile, che le azioni si
ripetono uguali giorno dopo giorno, ecco la svolta: vengono
introdotti elementi che ci fanno sentire lo scorrere inevitabile
degli anni ma sempre in modo impreciso. Così, nelle ultime tre
pagine e mezzo del romanzo, noi lettori coinvolti dal prota-
gonista nella sua inconsapevolezza dei giorni inarrestabili che
passano, leggiamo:
– ... poi un giorno dal paese viene un brigadiere dei carabi-
nieri a vedere cosa faccio e come vivo [...] e dopo il bri-
gadiere passato qualche tempo viene il medico col quale
mi metto a parlare senza imbarazzo alcuno del mio Io e
Super-Io e pure dell’Es [...] e dopo il medico passato non
molto tempo viene il parroco a vedere come sto con la re-
ligione, e neppure qui le cose sono semplici da spiegare
[...] e dopo il parroco passa molto tempo io credo, diverse

85
stagioni senza dubbio e intanto mi sono fatto calvo fin ol-
tre metà della testa e sul collo specialmente ho molte ru-
ghe [...] e dunque passa parecchio tempo e poi viene lei,
ha diciassette anni ora [...] e poi sarà tempo di dire Nunc
dimittis servum tuum Domine, forse è già tempo” (pagg.
409-412).

Facendo i calcoli da quando il protagonista non vede “lei”,


la figlia, sono passati circa otto anni; otto anni trascorsi con
un’incredibile velocità in uno spazio inesistente. Tutta la narra-
zione scivola e giunge al culmine col Nunc dimittis in un intrec-
cio fra tempo psicologico e tempo cronologico. Il protagonista
afferma “un giorno se avrò voglia di aprire la busta con le fo-
tografie del padre morto vedrò a quale buon punto sia giunta
la rassomiglianza fisica, mentre la rassomiglianza spirituale o
identificazione è pressocché compiuta io credo ...” (pag. 410).
Dunque, si è giunti all’apice, alla congiunzione del padre col fi-
glio sul piano spirituale: il tempo non ha alcun valore perché si
tratta dell’eternità che abbraccia in sé il protagonista. A lui non
importa quanto tempo passi da una visita all’altra che riceve,
non bada a questa dimensione annullata piuttosto nell’ambi-
to della metafisica. È consuetudine nelle opere di Berto che i
personaggi facciano perdere il significato del tempo: misurare
il tempo è convenzione umana, non è realtà. Stesso discorso si
può fare per Le opere di Dio in cui tutto è immobile e lento fino
alla corsa finale che cambia il corso degli eventi precipitandoli;
ne La cosa buffa la storia non è reale ma ripensata da Antonio
in un tempo che si fa circolare e resta sul piano psicologico; La
gloria, poi, è capolavoro dello smarrimento del tempo in un
eterno fluire onirico che è riflesso dell’eternità divina98.
C’è da dire che un libro della Scrittura letto e riletto dal
nostro autore è il Qohélet, il testo sapienziale e provocatorio

98
Letizia Giontella, Il realismo simbolico di Giuseppe Berto, in AA. VV.,
Letteratura italiana contemporanea, Roma, 1985, app. IV, pagg. 403-433.

86
che fa riflettere sulla condizione umana. È sottotesto del ro-
manzo Il male oscuro; è ascendente sostanziale ne La gloria99;
viene rivisitato e riscritto in Elogio della vanità100. Ebbene, nel
Qohélet si parla a lungo della dimensione temporale: “Tutto ha
il suo momento, e ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo”101.
Qohélet non divide il tempo in passato, presente e avvenire ma
conscio dell’eternità suddivide il tempo in tempo del nascere e
del morire, del demolire e del costruire, del cercare e del per-
dere, del tacere e del parlare, del piangere e del ridere e via
dicendo102. Ne Il male oscuro il narratore, prendendo spunto
dalla concezione temporale della Bibbia, ad un certo punto de-
finisce una fase della sua vita “il tempo del pianto” (pag. 152).
È chiaro, allora, come l’unica soluzione per rendere l’eternità
sulla pagina è il tempo verbale presente.

99
Alessandro Vettori, Giuda tradito, ovvero l’ermeneutica parodia di Giu-
seppe Berto, in MLN Italian Issue, January 2003, volume 118, no. 1, pag.
189.
100
Giuseppe Berto, Elogio della vanità: ovvero vediamo un po’ come siamo
combinati malamente:studio psicologico sul successo da esibizionismo, Vibo
Valentia, Monteleone 2007.
101
Qo 3, 1
102
Qo 3, 2-9

87
Capitolo terzo

IL LESSICO

Berto affermò di avere scritto “in una lingua che spero sia
l’italiano”103, creando un linguaggio che si avvale del vocabo-
lario comune della nostra lingua nazionale in modo da conse-
guire uno stile monolingue, un’uniformità linguistica raggiunta
da un sapiente uso del lessico italiano nelle sue diverse aree col
fine di calarsi in ogni realtà dell’esperienza umana per poterla
rappresentare. P. David Maria Turoldo, amico dello scrittore,
ammira la capacità di Berto di catturare con le parole la com-
plessità e gli interrogativi di un’anima estremamente moder-
na104. Un’operazione condotta con lucidità e sicurezza notevole
e sbalorditiva se si considera l’incertezza che contraddistingue
la riflessione del protagonista del romanzo. E se già abbia-
mo parlato della scelta dello stile psicoanalitico compiuta da
Berto, il lessico non ne è che la sposa fedele: “l’adesione alla
psicoanalisi garantisce nella scrittura uno scioglimento dell’a-
nima nella rete polinodale delle sue possibili funzioni logiche
e discorsive”105. Il discorso si esprime in una lingua modernis-
sima, quella usata comunemente da uno scrittore che mirava a
padroneggiare la lingua nazionale, pur amando il dialetto natìo
e adoperandosi di snocciolare parole degli idiomi indigeni dei
luoghi in cui sceglieva o gli capitava di vivere (Capo Vaticano,
Roma). Il lessico bertiano appare denso e corposo al punto che
è facile immaginare che in altre narrazioni o in altri scrittori
esso più che agevolare sarebbe di intralcio al logico dipanarsi

103
Rigobon Patrizio, Appunti per una definizione umana e letteraria di G.
Berto, Venezia, maggio 1983.
104
Luciana Ermini, Berto, più di un augurio, «La Tribuna», 16 luglio 1990.
105
Michel David, La psicoanalisi nella cultura italiana, Torino, 1966, pagg.
553-554.

89
della materia narrativa. Non si tratta di un libro automatico
che esce dal seno del padre repentinamente e già formato; per
quanto sia un libro compiuto, esso nasce da un travaglio soffer-
to che è quello della storia dell’Uomo, qui raccontata nel suo
fluire logico e in un chiarissimo eloquio.
Se da una parte Berto subisce il fascino della psicoanalisi,
dall’altra però non si fa sedurre da essa, mantenendo piuttosto
il desiderio di scrivere in cui getta con energia il bisogno di rac-
contare. Riscopre il suono del linguaggio, la forza delle parole
che riveste di espressività nuova e di realismo. Se ne serve per
attribuire valore di testimonianza al suo narrato, elevando così
al grado di veridicità la materia. La forte volontà di scrivere de-
riva da una personale capacità di Berto di proiettare lo sguardo
al di là della concretezza delle esperienze dirette e indirette del
dolore umano, è la consapevolezza di “avere riconosciuto che
cosa lo accende”106 e quindi la premura di illuminare su questo
l’umanità tutta.
Berto ha straordinarie capacità di trasformare la propria
esperienza in una sorta di esempio che valga per tutti: in que-
sto sta l’aria profetica de Il male oscuro , che poi è la storia di
tutta la letteratura mondiale- perchè si scrive? Per racconta-
re il bello-il vero-il buono. Appartiene alla tradizione classica
l’immagine dell’ascesa del poeta che dall’alto di una posizione
privilegiata, fuori dal mondo, osserva senza giudicare, guarda
e racconta. Malgrado l’idea sia alquanto classicheggiante, resta
il fatto che in ogni epoca la letteratura è intesa come uno dei
modi attraverso cui l’uomo cerca la verità interiore, morale, spi-
rituale. Ma il secolo XX ha messo un punto al realismo di tipo
ottocentesco: esso non è più possibile perché la modernità dice
che l’evoluzione, e quindi il meglio e il nuovo, appartengono al
domani. Quello che si può raccontare non è la verità perché la
verità, il bello, la felicità, la rivoluzione e la bontà sono del do-

106
Cesare De Michelis, Umanità di Berto in Giuseppe Berto: Thirty years
later, Venezia, Marsilio, 2009, pag. 24.

90
mani. Sempre, per principio. Allo scrittore è dato di raccontare
ieri, ossia il periodo in cui la gente era cieca. Questo scombus-
sola l’ipotesi del realismo.
Tempo dopo si scopre che l’uomo ha nella psiche delle
cose mostruose, nel senso latino del termine. La psicoanalisi
spiega che la verità è dentro di noi, essa è stata rimossa dagli
eventi ma con l’aiuto di qualcuno emerge involontariamente
mentre si parla. È un meccanismo riflessivo molto forte, non
è la persona a decidere di rivelare la propria verità ma mentre
parla allenta inavvertitamente il controllo, quindi si verifica un
lapsus per cui qualcun altro può entrare nel suo essere e vede-
re. Secondo Berto “uno scrittore non può essere moderno se
non ha conoscenza della psicologia del profondo scoperta da
Freud. Questo perché la psicoanalisi è soprattutto una dottrina
morale, ci offre la chiave per una nuova, e più giusta, compren-
sione dell’uomo”107.
Dal punto di vista stilistico, allora, non si può raccontare
tutto questo con la lingua che si usa uscendo dal mondo, cioè la
lingua classica, la sintassi classica, il periodare aulico. Nel ’900
non si usa. L’unico modo per esprimersi è inventarsi un lin-
guaggio che imita la psicoanalisi, nella fase in cui si affranca sé
stessi e si diventa sinceri. Berto ha ben capito: non si deve dire
la verità, ma essere sinceri. La sincerità è cosa diversa dalla ve-
rità; porta nella migliore delle ipotesi alla personale verità, non
alla verità di tutti. Per essere sincero non è necessario costruire
il discorso attraverso la retorica, ma bisogna scrivere mosso da
una pulsione interiore.
Dunque, la differenza con la psicoanalisi è semplice: si
conferisce libertà ai ricordi e ai pensieri non per raccontar-
li all’analista ma per raccontarli al lettore. Inoltre, poiché in
questo passaggio Berto è uno scrittore e non più un malato,
alla fine questo stile fatto di associazioni libere, di monologo
interiore, di confessione, gli consente di trasmettere al lettore

107
Giuseppe Berto, Colloqui col cane, Venezia, Marsilio, 1986, pag. 77.

91
la complicità di un discorso sincero. Il lettore legge pensan-
do esattamente che lo scrittore stia dicendo la verità, che non
stia mentendo e quindi, poiché gli crede, diventa confidente,
lo aiuta a percorrere insieme quel cammino che è lo stesso che
compie lui.
A tale fine è questione fondamentale la scelta del linguag-
gio: il personaggio de Il male oscuro si deve far capire da tutti
perché è lui il giglio che conduce gli altri alla coscienza della
vita. È la figura esemplare, il prototipo, il modello che aiuta a
capire come vanno le cose non a Giuseppe Berto ma all’uomo,
e allora questo anonimo diventa una specie di simbolo, di ar-
chetipo. Non è importante che egli coincida con lo scrittore;
per un lungo susseguirsi di pagine noi sappiamo che la vicenda
è autobiografica ma alla chiusura del romanzo Berto è costretto
ad inventare cosicché la vita del personaggio continua, quella
di Berto è decisamente altro. In questo lungo percorso il letto-
re, però, si convince che lo scrittore dice la verità e si identifica
nel personaggio e gli crede fino a credere che lo pseudo-berto
abbandoni la moglie: l’atto di fiducia è la luce che dà senso a
tutta la storia.
In questa operazione la scrittura immediata serve la since-
rità: l’unico elemento che può garantire la storia di questo per-
sonaggio non è la sua oggettività, perché nel ’900 i personag-
gi sono tutti soggettivi, ma è la sincerità. E il linguaggio della
sincerità è l’unico modo che aiuta il lettore ad identificarsi nel
personaggio simbolo. Mentre il povero Berto è partito dalla vi-
cenda del suo alter per arrivare a morire su un letto d’ospedale,
ridotto come tutti ad essere spirito unito a carne malata, come
l’immagine del padre che il personaggio ha sempre davanti agli
occhi, l’altro è l’eroe.
È un esempio, colui che è vissuto esattamente come tutti
noi vorremmo essere vissuti: si identifica col padre, diventa il
padre di sé stesso, il padre di tutti, il padre dell’uomo, Dio! In
altre parole, il piccolo borghese è riuscito a far sì che il figlio
del carabiniere-cappellaio sia stato un esemplare figlio di Dio,

92
una sorta di modello108. Ma per fare tutto questo si deve creare
la complicità fra lo scrittore e il lettore, per cui se il primo non
gli garantisce che non mente, il secondo non crederà mai che
è diventato Dio. E allora, il romanzo rischierebbe di diventare
una favola come La fantarca, un libretto in cui lo scrittore riesce
a fare il profeta più che il poeta. Ne Il male oscuro l’equilibrio
fra il poeta e il profeta è abbastanza straordinariamente riuscito
come in parte ne Il cielo è rosso e come ne La gloria109.

Lo scrittore capisce e spiega ciò che brama che il mondo


sappia perché nel frastuono e nella confusione reale c’è una logi-
cità e una chiarezza illuminante. E se la profezia da trasmettere
è tratta pulita e genuina dall’informe e a volte sporca materia di
azioni e pensieri dell’esperienza umana, allo stesso modo, ana-
lizzando il lessico usato da Berto, si comprende l’illusione del
caos del romanzo da cui germinano, per capacità dello scrittore,
i punti fondamentali della sua poetica messi in luce dal suono e
dalla oculata scelta delle parole. Berto si appropria del discorso
e della sua forza comunicativa in senso contrario alle scelte con-
temporanee avanguardiste.
Sicuramente si è distanti dalla sensualità del lessico di

108
Ecco che in ultima analisi tendo a unirmi a Dio la qual cosa se non sba-
glio è lo scopo di qualsivoglia religione”, Il male oscuro, pag. 410

109
Ne La gloria, Berto, nonostante racconti una storia che non è la sua,
riesce a farci capire la sua umanità, la sua finitezza; si evince che sta vi-
vendo questo dolore di Giuda come se fosse suo. Ed è un libro disperato
di un uomo che sta morendo: come tutti quelli che muoiono non è felice
di morire e si interroga sul senso che ha avuto la sua vita. Il problema
non è quello di morire perché quando nasciamo sappiamo che dobbiamo
morire e non piangiamo tutta la vita, siamo più dalla parte di chi gode.
In quel contesto, invece, lo scrittore ci convince che la nostra vita ha un
senso. È lo stesso messaggio de Il male oscuro : la vita ha un senso perché
scriverò un libro che resterà alla storia, perché farò un figlio che conti-
nuerà la mia stirpe, ... quello che sto facendo ha un senso che è un senso
piccolo qualche volta- mi costruisco una casa, trasporto acqua con delle
latte, cose modeste.

93
D’Annunzio perché qui si predilige un lessico di tipo concet-
tuale, che evoca e nello stesso tempo esplica. La base è costitu-
ita a ben vedere dal registro tecnico, composto da termini del
linguaggio della politica, del diritto, della chimica e della bio-
logia, della musica, dello sport e in modo prevalente della me-
dicina e della psicoanalisi. Ma, benché i termini siano settoriali,
lo scrittore non lascia nell’ignoranza il lettore, anzi si premura
costantemente di spiegare i vocaboli con semplici definizioni e
esempi. Egli va, però, anche oltre questa veste sgargiante per
nutrire la sua lingua, al fine della riproduzione del parlato, di
regionalismi, popolarismi, gergalismi e forestierismi.
In Berto si affacciano anche linguaggi che appartengo-
no alla sua formazione culturale, agli anni di studio e alle sue
personali letture. Così nella contaminatio linguistica emergono
parole o intere espressioni latine, cultismi e citazioni. Anche il
linguaggio evangelico caratterizza la narrazione, ricordo degli
anni trascorsi nel collegio salesiano ma anche dell’attenta e ap-
profondita lettura dei Testi Sacri da adulto.
Nella ricerca del vocabolo migliore ad esprimere anche
visivamente un’azione o una cosa, lo scrittore risemantizza pa-
role già in possesso della lingua o la arricchisce di nuove. La
sua abilità si riscontra pure in un’opera di accostamento e op-
posizione di vocaboli di area semantica uguale e contraria che
aiuta a definire con logicità i poli dai quali partono e tornano le
vicende narrate.
La lingua risultante non è comunque un magma travolgen-
te e informe che copre la materia bensì la riveste donandole le
fattezze di un riuscito romanzo.

I . Linguaggio biblico

Il protagonista narratore attinge ai vari settori della lingua


per toccare con lessico puntuale gli interrogativi che l’uomo si
pone e le risposte che gli sono offerte da medici, amici, fami-

94
liari, cinici datori di lavoro, religiosi e dalla stessa esperienza
fenomenica che parla in simbologia. Volendo scrivere la storia
dell’uomo che si sforza di vivere e capire in modo non super-
ficiale la vita, Berto non può ignorare di provare un “presenti-
mento” di Dio. E se l’uomo percepisce questo mistero e “pos-
siede in sovrappiù il dono dell’analisi e gli strumenti espressivi
e di riflessione, potrà parlarne in modo migliore”110. Il Nostro
ha questa preziosa qualità di indagatore. Quando ci si immer-
ge nella mente e nell’animo umano non si può che riferirne in
toni speciali che nascono dalla mistura del lessico familiare,
confidenziale e del linguaggio biblico. A questo ricorre l’autore
perché si tratta del codice utilizzato dall’uomo di ogni dove
da millenni per esprimere il carattere assolutamente altro del
mistero di Dio. L’amico e scrittore Tumiati111 chiarisce che lo
stile biblico in Berto non è “mestiere e riuscito espediente”,
come in molti altri casi della nostra letteratura. È la forma più
adatta a rispecchiare pensieri e sentimenti dell’autore. Ed è,
perciò, una forma profondamente spontanea112. Berto ragazzo,
come si evince dal racconto, era stato impressionato mirabil-
mente dal linguaggio della Chiesa, dalle parole della liturgia
che, come azione del popolo113, raccolgono e presentano in dia-

110
Thaddée Matura, Dio “un’assenza ardente”. Ricerca e desiderio di Dio
dell’uomo di oggi, Pazzini, Verucchio (RN), 2000, pag. 17.
111
Tumiati e Berto si erano conosciuti nel campo di prigionia di Hereford,
nel Texas, l’uno sottotenente della Cavalleria corazzata, l’altro tenente
della Milizia; entrambi ivi portati dopo la resa italo-tedesca in Tunisia.
Vissero due anni nella stessa baracca con le brandine vicine. Tumiati è
stato il primo lettore dello scrittore veneto e lo ricorda scrivere “senza
cancellature” (dal documentario Raccontare l’uomo di Montanaro Carlo,
RAI-sede regionale per il Veneto-) su “tavolinetti messi insieme con quat-
tro assi [...] nello scrivere spesso gli capitava di commuoversi alle tristi
sorti dei suoi personaggi”. Gaetano Tumiati, Primo Incontro in Giuseppe
Berto, a cura di Manuela Berto e Pasquale Russo, Vibo Valentia, Monte-
leone, 2002, pag. 20.
112
Giuseppe Berto, L’inconsapevole approccio. Le opere di Dio, Milano,
Mondadori, 1980, pag. 38.
113
Liturgia ‹ λαός + έργον

95
logo a Dio aspirazioni e domande, dubbi e certezze, elementi
naturali, gesta e esperienze, limiti e talenti umani attraverso una
simbologia così densa di significati che permette nel linguag-
gio l’unione del doppio mistero di Dio e dell’uomo. E codesto
lessico vario e suggestivo, proprio per le sue qualità stimolanti,
resta nella memoria dell’individuo pur se egli si allontana dalla
pratica liturgica, perché in un modo o nell’altro, a volte per vie
mondane, egli continua la ricerca del Desiderabile, qualunque
nome gli si dia114.
Non è Berto ma è l’uomo che per una volta non si vergo-
gna di apparire un essere finito e si appella all’Altro sapendo
di poterne trarre infinità. Così, nell’invocazione continua a un
padre che prima è umano e poi divino e poi di nuovo ossa e car-
ne e poi tutto spirito, il protagonista inserisce citazioni evange-
liche e formule dei rituali ecclesiastici che attirano sulla pagina
elementi espressivi, verbi dal sapore lirico, sostantivi eletti e,
come scritto precedentemente nella parte dedicata alla sintassi
del romanzo, questo processo porta all’enfatizzazione dei voca-
boli garantita da un’accurata loro disposizione nell’ordine della
frase.

Il narratore si paragona alla pecorella smarrita della para-


bola riportata nei vangeli di Matteo e Luca115 ravvisando nel
medico psicologo il suo pastore:
– ... affannosamente guardo in giro cercando tra una mon-
tagna di gente il mio vecchietto senza speranza alcuna si

114
Sulla religiosità di Berto interessante è il saggio Il «Povero Cristo» di
Giuseppe Berto di p. Ferdinando Castelli. Egli puntualmente rintraccia
nelle opere dell’autore ogni anelito al divino e i cambiamenti nell’inter-
pretazione del sacro in rapporto a psicanalisi, ingiustizia, marxismo. Vedi
Il «Povero Cristo» di Giuseppe Berto, in «La Civiltà Cattolica», 2003 IV
216-229 quaderno 3681 (1° novembre 2003).
Vedi anche Claudio Toscani, Il Dio di Berto, in «Città di vita», anno 28, n.
3, sett.-ott. 1974, e Giorgio Pullini, Giuseppe Berto da «Il Cielo è rosso» a
«Il male oscuro», Mucchi editore, Modena 1991.
115
Mt 18, 12-14/ Lc 15, 3-7

96
capisce, e invece eccolo là in punta di piedi scommetto che
guarda in giro non meno ansiosamente di me si direbbe, e
non c’è bisogno di dire di quale pecorella smarrita vada in
cerca questo mio buon pastore ... (pag. 298).

La consapevolezza di essere un peccatore agli occhi di


Dio gli riporta alla mente i passi della Genesi che narrano
della prima disubbidienza dell’uomo quando Adamo mangia
dell’albero della conoscenza non fidandosi del comando divi-
no, piuttosto credendo alle parole del tentatore. Il protagonista
del romanzo si identifica nel progenitore ma altrove compie il
processo di identificazione nello stesso tentatore ovvero, in ter-
mini metaforici, nel serpente:
– ... nell’atto di godere magari anche da solo come capita in
gioventù un uomo è potente al pari di Dio dato che gusta
del frutto dell’albero che è in mezzo al giardino ... (p. 276)
– ... perché a me non bastano le colpe verso il padre per un
così disperato tracollo, non possono bastare, ce ne sono
chissà quante altre tutto un groviglio di colpe alle mie spal-
le, bestemmie provocatorie e eiaculazioni solitarie, sfide a
Dio e sempre l’inferno barattato per un attimo di piacere
solitario, la mia conoscenza dell’albero che sta in mezzo al
giardino ed ecco che tutto si paga, cammino sul mio ventre
io maledetto tra tutto il bestiame116 ... (pag. 220).

Poi, di nuovo, richiama la figura del primo uomo che, sco-


perti i suoi limiti, si vergogna di sé al cospetto di Dio. L’imme-
desimazione col serpente, però, continua ad angustiarlo:
– ... non ho che pietà di me e vergogna, non vado più nudo
per le stanze perché come Adamo ho vergogna della mia nu-
dità117, dopo il peccato vergogna, e che vorrà mai dire cam-
minare sul ventre se non un destino bestiale ... (pag. 221).

116
Gn 3, 11; 14
117
Gn 3, 10

97
Più avanti nella narrazione si ribella a questo destino che
arbitrariamente aveva deciso per sé e aggiunge:
– ... non voglio accettare questo peccato originale della con-
cezione e della nascita, non voglio io camminare sul ventre
e mangiare polvere tutti i giorni della mia vita118, ... (pag.
322).

Da personificazione diabolica il protagonista diventa asso-


lutamente il contrario: è nuovo Cristo perché in lui rivive quel
dolore profondo della vittima innocente. Come il Figlio di Dio,
anche lui nella sofferenza sente l’assenza del Padre e vive la
condizione di abbandono:
– ... perché non mi fanno morire alla svelta invece di abban-
donarmi nel mio orto d’agonia (pag. 120)119
– ... solo e orfano bevo fino alla feccia il mio calice d’agonia
(pag. 155)120
– ... dimmelo tu padre mio vedi come sono in agonia con
sudore di sangue121 e tremore di morte... (pag. 266).

La condizione di continua instabilità e malattia indefinita


che vive il protagonista viene da lui presentata come un mistero
doloroso, alla stregua di quelli che costituiscono la preghiera
devozionale del rosario:
– ... e io ora sto qui con questo taglio fresco sulla pancia che
svanendo l’anestesia comincio a percepire come dolore,
ma anche con quell’altro mistero doloroso che per poco
non mi mandava a morire ammazzato... (pag. 128).

118
Gn 3, 14b
119
Il riferimento è allo stato di tristezza vissuto da Gesù nel giardino del
Getsèmani durante l'intensa preghiera che precedette l'arresto.
120
Nella preghiera Gesù chiese a Dio di allontanare da lui il calice del
dolore. Mt 26, 39; 42; Mc 14, 36; Lc 22, 42.
121
Lc 22,44 “In preda all’angoscia, pregava più intensamente; e il suo su-
dore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra”.

98
Nelle situazioni di estrema sofferenza il personaggio invo-
ca il p/Padre con le parole di Gesù:
– ... penso che perfino questa livida alba mi è stata concessa
per sbaglio o per punizione, ma perché non mi liberano da
questi dolori padre mio perché non allontani da me questo
calice122, dico padre che sei nei cieli123 e non tu che stai nella
tua cassa di noce che m’è costata invano un occhio della te-
sta, vedi quanto sei entrato in me padre terreno se penso ai
quattrini anche nei limiti estremi dell’agonia... (pag. 121).

In questo caso il narratore chiarifica che si sta rivolgendo a


Dio e non al padre carnale che sa che si trova nella condizione
meno esatta per aiutarlo ma è sufficiente un rimando al vecchio
carabiniere per spostare il discorso su di lui e a lui rivolgersi,
seppur soltanto per rinnovare le accuse. In un altro punto della
narrazione troviamo la stessa invocazione, stavolta direttamen-
te espressa come citazione specificando il suo locutore:
– ... prima si stava troppo male e una sofferenza esorbitante
di solito non vivifica un sentimento religioso magari tra-
scurato anzi invoglia più che altro alla bestemmia, non tut-
ti possono essere Gesù sulla croce per quanto anche lui si
raccomandasse padre se ti è possibile124, il che in certo qual
modo potrebbe anche significare che quando i patimenti
oltrepassano un dato limite mal si conciliano con il concet-
to di qualsivoglia religione, ... (pag. 123).

Poco dopo, fa nuovamente sue le parole di Cristo creden-


do di essere giunto nella fase finale della sua vita e aver così
superato il periodo della passione:
– ... in ogni caso ormai è tardi il vegliardo si sta avvicinan-
do mascherato per la cruenta bisogna, strano che cammini

122
Mc 14, 36/ Mt 26, 39b/ Lc 22,42
123
Mt 6, 9-13
124
Mt 26, 39b

99
per conto suo cioè non puntellato da alcuno ma solo at-
torniato dalla venerazione di aiuti e discepoli, santo cielo è
quasi bello questo appropriato cerimoniale, padre mio nel-
le tue mani in fondo così poco pietose rimetto l’anima mia,
in manus tuas commendo spiritum meum125, ma ecco che
quel fesso di anestesista rovina la solennità della funzione
perché sul più bello gli scappa un tubicino così che da un
ago che mi aveva preventivamente infilato vicino al polso
ora il mio sangue gagliardamente zampilla, ... (pag. 124).

Come si nota nell’esempio riportato la citazione “padre


mio nelle tue mani [...] rimetto l’anima mia” è seguita dalla
traduzione in lingua latina. Lo stesso narratore ne fornisce la
spiegazione: ricorre al latino per conferire maggiore solennità
al momento descritto. In altri passi ritorna a citare frasi bibli-
che in latino, come quando riprende le parole del centurione
romano di Cafàrnao che, andando incontro a Gesù, chiede che
venga guarito il suo servo. “Gesù gli rispose: «Io verrò e lo cu-
rerò». Ma il centurione riprese: «Signore, io non son degno che
tu entri sotto il mio tetto, di’ soltanto una parola e il mio servo
sarà guarito»”126. Quest’espressione è cara alla Chiesa che la
propone durante la liturgia eucaristica: “O Signore, non son
degno di partecipare alla tua mensa ma di’ soltanto una parola
ed io sarò salvato”127 ed evidentemente in questa formula, ma
nella versione latina, era stata memorizzata da Berto che la ri-
propone nel testo:
– ... Domine non sum dignus e non c’è chi possa dire parole
per sanare l’anima mia, ... (pag. 220).
Si nota, però, che qui il narratore vive un momento di dub-
bio, gli manca la piena fiducia in Dio perché non crede che la
125
Sono le parole del Sal 30,6 riprese e poste in bocca a Cristo soltanto
dall’evangelista Luca, Lc 23, 46b.
126
Mt 8, 7-8; Lc 7, 6-7
127
Risposta dell'Assemblea Liturgica all'Elevazione. Ordo Generale del
Messale Romano n. 84, Riti di Comunione.

100
parola pronunciata da Cristo possa salvarlo.
Altra citazione latina della Sacra Scrittura128, che è ripetuta
più di una volta, è trascritta qui di seguito non avulsa dal con-
testo del romanzo:
– ... e pregavo anche Non nobis Domine non nobis, se non
altro perché sono le parole che chissà come mai stanno
scritte fuori del palazzo dov’è sistemato il Casinò, chieden-
domi inoltre per quale ragione colui al quale era venuto in
mente di scriverle non ce l’avesse fatto mettere tutto il ver-
setto che dice anche sed nomini tuo da gloriam, significava
forse che il tizio era un po’ come me che avrei pregato il
Signore di non darmi la peste e la fame e la guerra, e possi-
bilmente neppure la morte per cancro del padre mio, ma la
gloria sì l’avrei voluta, per la gloria in fondo avevo sempre
lottato fin da quando ero venuto al mondo si poteva dire,
per quanto vorrei sapere se uno partendo da un padre
cappellaio e per di più presidente di una locale sezione
dell’Associazione Nazionale Carabinieri in Congedo può
in verità conquistarsi facilmente un qualsivoglia successo,
sicché tanto valeva che pregassi fino alla fine con sincerità
sed nomini tuo da gloriam, ... (pag. 33-34).
– ... in fin dei conti io chiedo la salute solo per lavorare e va
bene che voglio lavorare per la gloria mentre dovrei pre-
gare Non nobis Domine non nobis però c’è pure a questo
mondo chi ha buona salute e lavora e imbroglia per fare
quattrini o per avere donne o per avere potenza da impie-
gare contro il prossimo che odia, mentre io il mio prossimo
lo amo come ha prescritto Gesù con qualche eccezione si
capisce, ... (pag. 232-233).

Una probabile lettura del romanzo potrebbe essere, se-


condo un’ottica laica, una instancabile ricerca per trovare un
senso alla vita così com’è, piena di dubbi, di sconfitte, di ten-
128
Sal 115, 1 “Non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo nome dà gloria, per
la tua fedeltà, per la tua grazia”.

101
tennamenti, di slanci di gioia, di intensi sentimenti d’amore e
di dolore. La conclusione dell’opera è preziosa e saggiamente
serba nelle ultime parole, elevate in veste di preghiera, il ca-
rattere di continua incertezza del protagonista. È, dunque, un
explicit aperto che è stato definito “quasi un addormentarsi col
Vangelo in mano”129. Il narratore si esprime con l’invocazione
che il sacerdote Simeone rivolge a Dio dopo aver riconosciuto
in Gesù bambino il Cristo tanto atteso:
– ... e poi sarà tempo di dire Nunc dimittis servum tuum Do-
mine130, forse è già tempo.

Nel romanzo ci sono altri riferimenti ad episodi evangelici


come quando il protagonista è colto dalla volontà di redimere
una prostituta131 e così si lamenta:
– ... e la ragazza se ne andava triste senza aver capito niente
della mia infelicità e del mio amore per lei come per tutte
le creature, e io pensavo oh perché non sono io come Gesù
Gesù Nazareno, oh perché non sono queste le strade della
Galilea sì da poterle dire donna ti rimetto i tuoi peccati132,
... (pag. 375).

Oppure, quando non ne può più dei litigi con la moglie a


causa dei preparativi per la nascita della figlia ecco che gli torna
in mente la stalla di Betlemme:
– ... così ragiona mia moglie e sembra che ignori che in fin
dei conti c’è chi è nato in una mangiatoia anche per darci
un esempio di moderazione, ... (pag. 172).
129
F. Fuschini, «L’Avvenire d’Italia», 1 settembre 1964.
130
Lc 2, 29. Il Cantico di Simeone è pregato dalla Chiesa all’interno della
Preghiera della Compieta, l’ultima del giorno prevista dalla Liturgia delle
ore.
131
Tale desiderio accomuna il protagonista con Antonio de La cosa buffa
che vorrebbe portare con sé la prostituta nelle fredde e lontane terre della
Siberia con lo scopo di redimerla. Giuseppe Berto, La cosa buffa, Rizzoli,
Milano 1966, pag. 308.
132
Lc 7, 48

102
II . Uso del latino

Dal momento che l’opera narra le vicende di uno scrittore,


l’autore in qualche pagina fornisce anche l’idea di poetica e di
stile del proprio personaggio, informazioni che si rivelano utili
nella misura in cui stabiliamo i punti di contatto con lo stesso
Berto. Così, leggiamo: “... tendo alla semplicità di stile e di pen-
siero...” (pag. 244). Lo scrittore Berto conosceva il latino per
averlo studiato e insegnato133. La lingua latina, sappiamo, è una
lingua che per sua natura sintattica si presenta semplice e ordi-
nata. L’obiettivo dello scrittore è sopra ogni altro offrire il suo
contenuto in forma ordinata e chiara. Infatti, pone come parole
introduttive a La cosa buffa : “io sono per l’ordine”. È per que-
sto che si appella alla mentalità latina che predilige sempre la
chiarezza. Ricorrendo al latino, inoltre, vuol conferire maggiore
incisività al concetto, getta sulla carta l’espressione latina per
mettere in evidenza una verità che forse altrimenti non sarebbe
stata notata o accettata. Leggiamo gli esempi:
– ... il vegliardo ha deciso che si deve operare illico et imme-
diate (pag. 123)
– ... l’amore del padre è un motus animi che riceve in se stes-
so ogni possibile ricompensa ... (pag. 207)
– ... eccole là in fondo che vengono avanti nel vento in mez-
zo alla strada la bambina della mia vita e la donna della mia
vita cumulus passionum e insieme portus naufragantium, ...
(pag. 245)
– ... e passa una settimana durante la quale io sempre più fer-
vidamente immagino di iniziare la vita nuova, Incipit vita
nova mi dico di frequente tanto per collegarmi idealmente
ad una persona che stimo parecchio... (pag. 264-265).

Fu docente nelle scuole pubbliche di Treviso, fra cui anche un Istituto


133

Magistrale, per qualche anno finché partì per la Campagna Etiopica nei
reparti coloniali.

103
Nel caso appena enunciato il narratore vuol comunicare
al lettore l’alto proposito suggerito da una fase di particolare
e speranzoso ottimismo e lo fa con parole altrui che per lui
diventano sostegno importante in quanto si sente quasi spiri-
tualmente sorretto dal sommo scrittore toscano.
Si appropria anche delle parole iniziali della prima ode del
III libro di Orazio che ben interpretano la sua posizione anti-
conformista:
– ... ebbene fottiamocene pure di radicali e pederasti associati
e scalatori da salotto letterario siamo su di un piano diverso
signori miei, Odi profanum vulgus et arceo tanto per far ve-
dere che sono in regola anch’io ... (pag. 244).

Da ciò che esprime l’ultimo esempio si comprende che il


latino non è solo un linguaggio ma è un segno forte del suo
mondo interiore, chiarifica quel che egli desiderava e soffriva di
non aver raggiunto, quel che respingeva, il disprezzo per i salot-
ti letterari. Questo non è soltanto il sentimento del protagonista
del libro ma è quello di Berto.

Nel passo che proponiamo di seguito l’intento del ricorso


al latino potrebbe essere al fine di prendere le distanze dall’atto
di nascere di cui sta parlando, così come parla con disgusto del-
le altre azioni ad esso collegate (atto sessuale, concepimento)
ogni qual volta, spesso, ne faccia riferimento.
– ... e alla fine dell’anno mi conquisto la medaglia vermeil-
le, della mia classe il primo ad essere chiamato sul palco
d’onore sono io ed è una bella rivalsa per essere venuto al
mondo inter feces et urinam, ... (pag. 322).

Bisogna considerare anche il valore ironico della frase. A


volte, infatti, pure al latino viene affidata la funzione umori-
stica, non per questo il suo ruolo è meno importante. Il fatto
che il latino venga usato con questa finalità non sorprende poi-

104
ché tutta l’opera è costruita su base umoristica134. Tecnica che
permette di osservare con sguardo distaccato i paradossi della
mente umana135:
– ... infatti mi illustra un piano di cura abbastanza meticolo-
so con un nuovo farmaco che nelle cliniche psichiatriche
fa mirabilia nel senso che ha risolto o quasi risolto casi fino
ad oggi insolubili... (pag. 260)
– ... e pertanto posso dire in perfetta libertà a questo medico
ciò che penso di lui che tira fuori idee peregrine dopo che
ha collaborato a tagliarmi la pancia per niente, errare hu-
manum est gli dico sed diabolicum perseverare... (pag. 134)
Trascurabili le formule latine, tecniche e non, sentite ormai
come facenti parte dell’italiano: ad abundantiam (pag. 279), pro
forma (pag. 112), un caso transeunte (pag. 108), in articulo mor-
tis (pag. 117), in extremis (pagg. 117, 132, 386), post mortem
(pag. 392).

III. Cultismi 136

Nel romanzo ci sono vocaboli letterari già scelti in prece-


denza dalla penna di illustri scrittori italiani di tutti i secoli. Al-
cune di queste parole colte avevano abitualmente spazio nelle

134
(Il male oscuro) “Ha un continuo umorismo [...] e d’altronde un ne-
vrotico non potrebbe scrivere se non fosse sostenuto dall’umorismo: una
fortuna in mezzo a tanti malanni”. Giuseppe Berto in Appendice de Il
male oscuro, pag. 419.
135
“Humor a means to attain the distance needed to safely comtemplate
the paradoxes of the human psyche”. Giacomo Striuli, Giuseppe Berto’s
pursuit of selfhood and literary glory: a didact contribuition, in Giuseppe
Berto: Thirty Years Later, Venezia, Marsilio, 2009, pag.62.
136
Per ciascun termine ho consultato Battaglia- Sanguineti- Barberi Squa-
rotti, Grande Dizionario della Lingua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002;
Tullio De Mauro, Grande Dizionario Italiano dell’uso, Torino, Utet, 2000;
Picchi- Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna, Zanichelli,
2001.

105
opere di altri autori veneti dei due secoli precedenti: Goldoni
e Nievo; e tanti termini abbondavano nel più recente D’An-
nunzio, poeta al quale Berto era legato da un contraddittorio
rapporto. Il Nostro riconosceva che nella sua formazione sco-
lastica D’Annunzio era stato una forte presenza, d’altronde co-
stui era il sacerdote delle Muse nell’epoca fascista. Ne L’incon-
sapevole approccio afferma di esserne rimasto affascinato tanto
da “imparare a memoria buona parte del Poema Paradisiaco e
quasi tutto l’Alcyone”137. In seguito, lo scrittore farà ironia su di
lui e d’altra parte anche la cultura ufficiale ne eseguirà una de-
mitizzazione. Anche il personaggio de Il male oscuro parla più
volte di D’Annunzio quando spiega il servizio, prestigioso agli
occhi del bambino, che il padre carabiniere compiva alla Caset-
ta Rossa dove stava il Poeta Soldato, chiarendo che il prestigio
del padre derivava esattamente dalla compagnia dell’eroe138. E
dalla conoscenza indiretta di questa figura il ragazzo passerà a
leggere le sue opere e addirittura ad adattare a sceneggiatura
La figlia di Jorio in vista di un film il cui produttore è completa-
mente ignaro del contenuto del dramma139. Significativa questa
comparsa nel romanzo, sicuramente è un elemento trasferito
dalla realtà dell’autore alla realtà del narratore. Il lessico de Il
male oscuro risente della letteratura dannunziana (sebbene non
in maniera così aderente come ne La Colonna Feletti), di conse-
guenza qui di seguito riportiamo i termini letterari presenti nel
romanzo di Berto e nelle opere di D’Annunzio:

– Brago, ant. braco>bracum “palude”, origine celtica.


Berto:
– ed ora questa parte superiore della mia anima sta sem-

137
Giuseppe Berto, L’inconsapevole approccio. Le opere di Dio, Milano,
Mondadori, 1980, pag. 18.
138
Vedi pagg. 68-69 del romanzo.
139
Alle pagine 271-272 si legge la vicenda in cui il produttore affida tale
consegna allo sceneggiatore e il successivo incontro in cui costui è tenuto
a raccontare la trama.

106
pre qui a guardare ciò che faccio e in genere disappro-
va, si mette qui di guardia a tutti quegli impulsi edoni-
stici che premono dall’Es e dice loro tornate indietro
dannati nel vostro brago... (pag. 307).
D’Annunzio:
Canti della guerra latina, 1918.
– il Vàrdari come/ lo stagno di Vlàsina fatto/ già bulgaro
brago di morte./ - Ode alla nazione serba.13
La Leda senza cigno, Milano, Treves, 1916.
– Pomeriggi d’ottobre desolati sul vasto brago, quando
ai muggiti dell’armento infetto rispondeva l’uggiolio -
Licenza 212
La nave, Milano, Treves, 1908.
– ZELAT\... I dèmoni/ sono entrati nel gregge nero
e sbràitano/ dal brago. -Soffochiamoli nel fango!/ \
POP.\ - Molt’anni - 2° Episodio.1

Nel caso specifico di questo vocabolo abbiamo esempi di


occorrenze nella letteratura italiana che risalgono ad Alighieri e
giungono a D’Annunzio attraverso Boccaccio, Monti, Manzo-
ni, Nievo, Boito, Verga, Pirandello140.

– Concioni >contione(m) >conventio. Il primo autore in cui


compare questo lemma è Machiavelli ma nella forma “con-
zione” è già presente in L. B. Alberti141.
B.: ... mi domandò se per caso conoscevo la differenza che
passa tra un uomo e una donna e di colpo mi accadde-
ro due cose , la prima di trovare il discorso molto più
interessante delle virtuose concioni deambulatorie dei
maestri e la seconda di rivedere la scena delle bambi-
ne senza mutande sull’albero di fico ... (pag. 315).
140
Esempi tratti da Picchi- Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli, Bolo-
gna, Zanichelli, 2001. D’ora in avanti gli esempi posti dopo quello fornito
di nota sono tratti dalla stessa fonte.
141
Ivi

107
D.: Maia, Milano, Treves, 1903.
– che s’era estrutto alto luogo/ quivi a tener sue concio-
ni; / vidi il gran demagogo - Laus vitae, 18.132
Concione è parola usata abbondantemente nella nostra let-
teratura quasi sempre in ambito trattatistico: Machiavelli Discor-
si sopra la prima Deca di Tito Livio, Istorie fiorentine, Equicola
Libro de natura de amore, Lando La sferza de’ scrittori antichi e
moderni, Sarpi Istoria del Concilio tridentino, Boccalini Raggua-
gli di Parnaso, Gravina Della ragion poetica, Alfieri Del principe
e delle lettere, Vita, De Sanctis Storia della letteratura italiana.
Troviamo concioni in Leopardi Paralipomeni della Batracomio-
machia, Zibaldone di pensieri e ne I vicerè di De Roberto142.

– Dozzinante <dozzina: antico vitto e alloggio presso una fa-


miglia, XVII sec.
B.: ... perciò presi il telefono e chiamai l’ospedale per sa-
pere se il numero quattro dozzinanti reparto chirurgia
non fosse per caso morto all’una e mezza precisa, ...
(pag. 47).
D’Annunzio, Giovanni Episcopo, Napoli, Pierro, 1892
– era alloggiato nella mia casa, in qualità di dozzinante!
Ed io, per conseguenza, seguitavo ad essere - Giov.
Episcopo. 505
Compare pure in Capuana e Oriani:
Capuana, Giacinta, Milano, Brigola, 1879
– padrona di casa, abituata alla briosa parlantina del
suo dozzinante, si aggirava per la stanza, sbattendo sul
pavimento - 1,10.53
Oriani, Quartetto, 1883
– trattò da uomo, quasi col rispetto dovuto ad un doz-
zinante. Ma egli non se ne accorgeva, - Violoncello,
2.73143
142
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.
143
Esempi tratti da Picchi- Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli, Bolo-

108
– Piote < lat. plautu(m) “piatto”
B.: ...però tutto sommato mica potevo continuare in eter-
no a quel modo coi vocabolari sotto i piedi del letto e
le scrollatine per le piote... (pag. 137)
D’Annunzio, Alcyone, Milano, Treves, 1904
– e che le parti basse/ fossero enormi, cosce gambe piote,/
come di mostro, tanto era il volume/ - La morte del cer-
vo.12.
Questo lemma con l’accezione con cui viene usato da Ber-
to144 aveva avuto larga fortuna da Dante, Inferno 19.120 -“forte
spingava con ambo le piote”-, ripreso da Machiavelli Discorso o
dialogo sulla lingua (1524-25) - “... Quando tu di’: Forte spin-
gava con ambe le piote, questo “spingare” che vuol dire?” - Di-
scorso. 35, a Pirandello I vecchi e i giovani (1913) - “al signore
che gli veniva dietro il vecchio cameriere dalle piote sbieche in
fuori, che lo facevano andare in qua” - Parte 1, 3.1, e La vita
nuda, Firenze, Bemporad, 1922
– apposta, gravida, così che poteva appena spiccicar le
piote da terra, lo seguiva lemme lemme, per accrescer-
gli - Pallino e Mimì.4
– gran signore se lo sentiva nelle vene torpide, nelle pio-
te gottose, e un cotal fluido pazzesco gli circolava per
- Pallino e Mimì.20
– la minore, e se ne andò con quelle piote ben calzate
ma fuori di squadra e indolenzite, inchinandosi - Sen-
za malizia, 1.1
– mi raccomando! A pincenez. Alle piote, nessun accen-
no. Erano irrimediabili. - Senza malizia, 2.12.

– Pregnante < lat. Pregnante(m), prae ‘prima’ + un deriv. di


gigněre ‘generare’.

gna, Zanichelli, 2001.


144
Cesarotti nelle Poesie di Ossian e Pascoli ne I nuovi poemetti scelgono
spesso il termine piote con il significato di zolle erbose.

109
B.: ... e mia moglie che nella sua qualità di pregnante or-
mai parecchio grossa non ha più i freni inibitori a po-
sto dice sei matto... (pag. 169)
– ... dopo aver aspettato una settimana o poco meno la
pregnante se n’è tornata a casa ... (pag. 173)145.
D’Annunzio, Trionfo della morte, Milano, Treves, 1894
– E le risa schiette della pregnante salirono nell’aria dol-
ce. - Libro 6, 2.72.
Fra gli scrittori precedenti che ricorsero a tal termine ri-
cordiamo:
Boccaccio, Comedìa delle ninfe fiorentine, 1341-42
– e Ibrida in Ameto, che non fu rendere alla pregnante
madre la femina Ifi maschio - XXV.
Manerbi, Volgarizzamento della “Legenda aurea”, Venezia,
1475
– infiate e el ventre similmente, a similitudine d’una
pregnante femina, e per la grande infiasione avea una
terribile - 31 S. Pietro martire.31
– lui albergare in esso tegoro, la cui ospita, pregnante e
vicina al parto, lo aconzò decentemente quanto lei -
58 S. Pelagio papa.11
Tasso, Gerusalemme liberata, 1581
– insieme poi cento altre piante/ cento ninfe produr dal
sen pregnante./ Quai le mostra la scena o quai dipinte
- Canto 18.26
Bruno, De la causa principio e uno, 1584
– Teofilo\... il profondo è privato di luce: ma come la pre-
gnante è senza la sua prole, la quale la manda - Dialogo
4.5
Manzoni, Inni e odi, 1822
– salia non vista alla magion felice/ d’una pregnante an-
nosa;/ e detto salve a lei, - Il Nome di Maria.4

145
Altrove Berto usa sinonimi come “partoriente”. Vedi pag. 174 del ro-
manzo.

110
Pirandello, La mosca, Firenze, Bemporad, 1923
– da rinunziare a quella sosta consueta, di cui la pre-
gnante specialmente aveva bisogno. Petix non disse
nulla; - La distruzione dell’uomo. 45
Per quanto riguarda gli altri cultismi presenti ne Il male
oscuro, di alcuni è registrato l’uso in secoli lontani dal Novecen-
to e altri compaiono in pochi autori.
– Cominciamento, ricorre da Guittone D’Arezzo e Dante e a
Villani.
B.: ... mettendomi alla scrivania non mi sento così in for-
ma come dovrei essere per intraprendere il comincia-
mento del quarto capitolo... (pag. 214).

– Lisi. Lo troviamo in Carlo Dossi.


B.: ... d’inverno avevano cappotti troppo lisi e addirittura
scarpe rotte ... (pag. 91).
Dossi, La desinenza in A, 1878
– e inginocchiatòi oscenamente polluti e pezzi di trave
lùcidi e lîsi dal cànape, querce e coperte di eròtici di-
zionari, - Finale.10
– Mera < lat. měru(m) presente da Dante ad Alfieri.
B.: ... e in tal modo esposta la faccenda si riduce a una
mera stupidaggine ... (pag. 106).

– Poscia < lat. postěa. Ricorre in Cavalcanti, Lapo Gianni,


Alfani, Frescobaldi, Latini, Giamboni, Novellino, Marco
Polo.
B.: ... intanto lo seguo per un atrio, poi per un corridoio,
quindi in ascensore, poscia per un altro corridoio al
terzo piano dove mi dice di aspettarlo , ... (pag. 101)
– ... e in effetti io avendo ereditato e poscia arricchito
con l’esperienza un forte senso della realtà ... (pag.
162).

111
– Proclività. Si trova in Pallavicino e Baretti.
B.: ... io appartengo al tipo coattivo dove predomina il
Super-Io che staccandosi dall’Io genera nell’individuo
un’alta tensione con proclività a fregarsene del mondo
esterno ... (pag. 390).
Pallavicino, La retorica delle puttane
– femine non mostrano altra condizione d’umanità se
non la proclività facile alli errori. Ne trasse però mai
sempre singolar - Lezione 1.1
– quasi sempre aggiunte condizioni riguardevoli. È tan-
to naturale questa proclività alli amorosi diletti, che
ne’ suoi accrescimenti ancora dipende - Confessione
dell’autore.11
Baretti, La frusta letteraria, Bari 1932 (pubblicata come ri-
vista fra il 1763 e il 1765)
– sciorrò il sacco alle commendazioni per poco che la
donnesca proclività verso qualcuno si possa combina-
re colle mie austere idee di - N.3 [Nota dell’autore].4

– Quisquilia <quisquilĭae, nom. pl. ‘immondizia’. Si riscon-


tra soltanto in Alighieri.
B.: ... mi adatterò anche al rene mobile se come pare si
tratta di una quisquilia passeggera, ... (pag. 107).
D. Alighieri, Divina Commedia
– stimativa non soccorre;/ così de li occhi miei ogne qui-
squilia/ fugò Beatrice col raggio d’i suoi,/ che rifulgea
- Paradiso 26.76

– Sicumera. In Cellini, De Roberto, De Amicis.


B.: ... e inoltre un’altra buona qualità ha questo vecchiet-
to e cioè che non dice fesserie dal punto di vista del
senso comune che qualsiasi persona non intendendosi
di psicoanalisi può possedere come senza sicumera di
sorta posso affermare di me, ... (pag. 295).

112
Cellini, Vita, 1566
– disse misser Alberto Bendedio in Ferrara, e con gran
sicumera me ne mostrò certi ritratti di terra; al quali -
Libro 1, 28
– terra, iscoperto con una tanta boriosità, ciurma e sicu-
mera, che veduto che io l’ebbi, voltomi a - Libro 2,8
De Roberto, I Viceré, Milano, Galli, 1894
– e degli ammiratori; egli saliva in cattedra con maggior
sicumera di prima e commentava l’opera del Parla-
mento. La - Parte 2,6.52
De Amicis, Sull’Oceano, Milano, Treves, 1889
– veneta, sulle “attaccature” lombarde, con una sicume-
ra impossibile a immaginarsi, - Sul Tropico del Can-
cro.5

– Precipuamente >lat. prae+capěre. Usato da Manerbi fino a


Leopardi, De Roberto e Imbriani.
B.: ... ecco io penso che il vantaggio del transfert sia pre-
cipuamente questo cioè la percezione dell’affetto ...
(pag. 300)
– ... e precipuamente si capisce da vaghe sensazioni inte-
stinali... (pag. 347)
Manerbi, Volgarizzamento della Legenda aurea
– E lei incominciò a commendare esso suo amatore da
cinque parte, la quale dalla sposa precipuamente ricer-
cate sono allo sposo suo.
De Roberto, I Vicerè , Milano, Galli, 1894
– meriti del “cospicuo Cittadino”, quello d’aver contri-
buito precipuamente all’Istituzione della Banca Meri-
dionale di Credito.

Di seguito altri vocaboli letterari de Il male oscuro.

– Cimenti (nel significato comune di ‘prove pericolose’) <lat.


cimentu(m) ‘mistura di sali per saggiare metalli preziosi’.

113
Compare nelle Novelle di Bandello del 1554 e ricorre
tantissimo nel teatro: Metastasio, Goldoni e Gozzi, Prati,
Verdi. È usato nella traduzione dell’Iliade da Monti, dalle
riviste Il Caffè e Il Conciliatore e in romanzi come Malom-
bra di Fogazzaro.
B.: ... lavoro e preghiera fu il labaro santo che agli ardui ci-
menti don Bosco guidò, giusto sulla strada degli ardui
cimenti mi trovavo ... (pag. 315).

– Deflorare, dal tardo latino: togliere la verginità.


B.: ... lei s’è accorta che quel suo compagno di scuola non
l’aveva mica deflorata chissà mai cosa aveva combina-
to però deflorata non l’aveva di certo, ... (pag. 380).
Sacchetti, Il libro delle rime
– Re superno/ con micidi, rapine ed adultèri,/ vergini
deflorando in vitupèri./ Or guardi chi è motor di tanto
- 301.168
Boccalini, Ragguagli di Parnaso e scritti minori, Bari 1948,
(Pubblicati in tre centurie nel 1612, 1613, 1615), pag. 333
– Qual fama potevi tu, scelerato, sperar di acquistare
a nome tuo con l’infelicissimo esercizio di ammazzar
gli uomini, di rubar i contadi, di abbruciar le città, di
deflorar con violenza le vergini...
– e di altri re delle nazioni straniere vergognosamente
sia stata deflorata e manomessa nell’onore, con la fama
nondimeno della - Cent.1, ragg.79.2146
Pallavicino, La retorica delle puttane
– non esser burlato colorendosi con proposta di don-
zella una già deflorata minacciava altrimente notabile
risentimento. -Conclusione dell’opera.3
Baretti, La frusta letteraria, Bari 1932 (pubblicata come ri-
vista fra il 1763 e il 1765)

146
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.

114
– V’ho io forse mandato in galea il padre, annegata la
madre, assassinato il fratello e deflorata la sorella? -
N.26 Discorso 1.3

– Diana di gloria. Nessun riscontro in altri scrittori147.


B.: ... alle nove quando suona il telefono avrei voglia di
dormire ancora una settimana filata però la sveglia è
diana di gloria oggi, ... (pag. 216).

– Edotti
B.: ... la psicoanalisi [...] vuole semplicemente renderci
edotti dei problemi e conflitti sepolti nel nostro in-
conscio... (pag. 7).
Monti, Opere, Firenze, 1858-69, IV vol. pag. 152
– Venuto in Milano, trovo che il Brignole da voi edotto
del vero, avea rivelato il gran segreto148.
Barilli, Capricci di vegliardo, Milano 1951, pag. 75
– Lungo questi due ultimi anni di miserie infinite per
tutti, e anche per me, le mie mi hanno molto istruito e
reso edotto.
Landolfi, Ombre, Firenze 1954, pag. 175
– Un amico già edotto ci andava invece premonendo,
fornendo notizie, consigli, avvertimenti vari sulla festa
e la sua preparazione.

– Immantinente, ant. immantenente>ant fr. maintenant> lat.


in manu tenente “subito”. È presente dalla metà del sec.
XIII con Mazzeo di Ricco fino a D’Annunzio.
B.: ... ed uno le regala una pasta che lei si pappa imman-

147
Consultati Picchi-Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna,
Zanichelli, 2001, Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizio-
nario della Lingua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002, e De Mauro, Grande
Dizionario Italiano dell’uso, Torino, Utet, 2000.
148
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.

115
tinente gustandosela insieme al suo trionfo ... (pag.
292).

– M’è d’uopo <lat. opus est ‘è necessario’.


B.: Comunque se questa è la verità devo ben scoprirla e
m’è d’uopo giocare d’astuzia con i medici ... (pag. 127).
Tommaso da Faenza, Le antiche rime volgari, Bologna,
1881-1884, componimento 108, v. 43
– Dumqua, m’è uopo di chiamar mercede/dello suo fal-
limento,/ e umilitate e merzè di lei mostrare.
Tasso, La Gerusalemme liberata, 1581, ottava 80
– S’eran carchi e provisti in vari liti/ di ciò che d’uopo a
le terrestri schiere.
Villani N., Della Fiorenza difesa, Roma, 1641, canto 7, ottava
14
– Dinanzi al curioso amante/ immota starsi a la Don-
zella è d’uopo, /et a gli strali del suo mirar costante/
inevitabilmente esser scopo.
Baretti, La frusta letteraria, 52, Bari 1932 (pubblicata come
rivista fra il 1763 e il 1765)
– Perché vi sia dilucidata bene tutta questa bellissima
novella, è d’uopo che sappiate, leggitori, che in Fuli-
gno si trova [...] un’antica lapide.
Parini, Tutte le opere, Firenze, 1925, pag. 483
– è d’uopo uscir di cuna,/chi vuol trovar fortuna.
Foscolo, Epistolario, Firenze 1949-1956, IV vol.
– Non fa d’uopo ch’io la ringrazi delle ammonizioni in-
torno le canzonette perché le mie antecedenti parole
servono di ringraziamento.
Leopardi, Pensieri-Discorsi-Saggi in Poesie e Prose, Milano,
1959, pag. 414
– Noi siamo in un tempo in cui non fa d’uopo dimostra-
re che la razza pigmea è una chimera.

116
– Pavidità.
B.: ... se non è proprio malattia sono quei lunghi periodi
di pavidità e stasi psichica ... (pag. 391).
Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, Milano
1958 (I°ed. 57), pag. 259
– la pavidità procedurale di quella che nel ‘Barbiere’ è
denominata in fa diesis ‘la forza’ non s’era per anco
inabissata, 1927, nelle odierne fosse oceaniche.
Pratolini, Le ragazze di San Frediano, Firenze 1955 (I° ed,
51), pag. 51
– v’era un sottofondo di pavidità, in tutto questo, in-
dubbiamente, ipocrisia, e il timore di affrontare le si-
tuazioni alla radice.

– Preconizzate < lat. mediev. praeconizàre, deriv. di


praeconǐum ‘preconio, bando’.
Tra le varie accezioni del verbo, Berto usa quella di “pre-
annunciato, predetto”. Con questo significato lo troviamo dap-
prima nel Novellino di Masuccio Salernitano, poi in Garzoni,
Oliva, Frugoni, Alfieri, Goldoni, De Sanctis, Rovani, Faldella e
Pirandello. Riportiamo soltanto qualche esempio:
B.: ... mentre le catastrofi preconizzate da mio padre si sa-
rebbero secondo lui verificate molto prima ... (pag.
363).
Oliva, Prediche dette nel Palazzo Apostolico, Venezia, 1692,
I vol. pag. 623
– Ad Abramo mancò il sapore del dominio non ammi-
nistrato da lui, ma ad esso con poche parole preconiz-
zato quasi in sogno.
Frugoni F. F., L’eroina intrepida, Venezia, 1673, pag. 96
– Dormii la notte come uno stoico Endimione: la matti-
na preconizzata bella da un’alba candida..., balzai dal
giacitoio.
Rovani, Cento anni, 1859
– quella virtuosa e leggiadra fanciulla, che poi sposò

117
coll’assenso de’superiori, colla benedizione dei paren-
ti, con tutti i più felici auguri degli amici, colla con-
tentezza della Francia, che preconizzò altissime sorti al
suo giovine poeta.

– Quadrotta, formato di carta per scrivere 27 x 42149.


B.: ... e quando scrive per conto proprio usa mettere alla
fine dello scritto sulla carta che a seconda dei casi è
quadrotta o protocollo un bel timbro con ornamenti...
(pag. 338).

– Serto < sěrtu(m), n. sost. di sěrtus, part. pass. di serěre, ‘in-


trecciare’. Indica la ghirlanda di fiori o foglie, o la corona
regale.
B.: ... sta seduto sulla scrivania un grande ritratto ad olio
a vivaci tinte raffigurante lui stesso in veste di antico
imperatore romano con fiero cipiglio e serto di lauro
trionfale in testa... (pag. 268).
Ciro di Pers, Poesie, 1666 (opera postuma)
– Sacro cantor, mentre l’empireo coro/ de’ tuoi divoti
numeri risuona, / troppo vile è al tuo crin serto d’allo-
ro150.
Battista, Poesie meliche (dal 1646), Venezia,1666, parte II,
pag. 90
– Altri canta, e ritrova/ per guiderdon del canto suo ta-
lora/ d’arbore trionfal serto frondoso.
Parini, Le Odi (1758-90), Milano-Napoli, 1975, ode X, v.
38

149
Consultati De Mauro, Grande Dizionario Italiano dell’uso, Torino,
Utet, 2000, e Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Diziona-
rio della Lingua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002. Quest’ultimo nomina
soltanto Berto.

150
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.

118
– io, rapito al tuo merto, / fra i portici solenni e l’alte
menti / m’innoltro e spargo di perenni unguenti/ il
nobile tuo serto.
Monti, Opere (1776-1826), Firenze, 1858-1869, vol. I, pag.
449
– Altre [ombre] han altro diletto; e qual cogliendo/ va
per la riva delle Parche il fiore, / l’almo narciso, e ne
fa serto al crine.
Carducci, Opere (1863-1902), Bologna, 1950, III vol. , pag.
272
– Com’eri bella, o giovinetta, quando / tra l’ondeggiar
de’lunghi solchi uscivi, / un tuo serto di fiori in man
recando.
Cecchi, Et in Arcadia ego, Milano 1960 (I ed. 1936), pag.
73
– Le Grazie... intrecciano le braccia tornite, annodando
serti alla chioma.

– Vegliardo <fr. veliard, deriv. di vieil ‘vecchio’, sovrapposto


a vèglio. Compare nella Cronica di Anonimo Romano151 e
in seguito in Boccaccio e in tanti autori di poesia e prosa.
B.: ... sarebbe addirittura divertente usare un’espressione
tanto cruda con un vegliardo che molti giudicano de-
gno di rispetto ... (pag. 122)
– ... il vegliardo ha deciso che si deve operare illico et
immediate. (pag. 123)
– ... in ogni caso ormai è tardi il vegliardo si sta avvici-
nando per la cruenta bisogna ... (pag. 124)
– ... però evidentemente un vegliardo di così grande pre-
stigio va trattato con maggiore rispetto... (pag. 127)
– Pertanto io ora devo affrontare in tutta la loro crudele
consistenza gli attuali dolori, ossia quelli di stanotte più

151
Picchi- Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna, Zanichelli,
2001.

119
quelli di oggi derivanti dal taglio e dallo scompiglio che
il vegliardo avrà messo nelle mie viscere ... (pag. 132)
– ... secondo me lui e i suoi colleghi e il vegliardo sono
tutti beccamorti ... (pag. 134).
Livio volgar. (Crusca, prima metà del sec. XIV)
– Non tanto solamente i giovani, ma, non ch’altri, i ve-
gliardi152.
Bencivenni, Volgarizzamento dell’esposizione del Paterno-
stro, Firenze 1828, pag. 58
– Tal giovane è più da lodare che non è il vegliardo, che
mena sua vita dissolutamente.
Bandello, Novelle (1554) in Opere, Milano 1952, vol I, no-
vella 21, pag. 248
– Aveva ottenuto la grazia e l’amor d’una donna col
mezzo d’un vegliardo pollacco.
Pascoli, Poesie, Milano 1956, 29
– Un vegliardo austero mormora/ dall’altar suoi brevi
appelli: / dietro questi s’acciabbattono/ delle donne i
ritornelli.
Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Torino
1979, pag. 227
– Dapprima gli odori, i sapori, poi una luce di fiamma
illumina i visi senza età degli indios [...] forse erano
già dei vegliardi all’epoca che mio padre era qui.

– Ventraglie (forse ventraie antico o letterario “ventre,


trippa”)153. D’Annunzio usa “ventraia” non in riferimento
ad esseri umani ma ai buoi (Parabole e novelle, Napoli 1916).
B.: ... in realtà butto fuori una immonda roba amara tutto
fiele evidentemente mi si devono essere proprio rove-
sciate le ventraglie... (pag. 120)

152
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.
153
Ivi, è nominato soltanto Berto.

120
– ... una volta il cinquanta per cento degli ufficialetti di
cavalleria che volevano avere la vita snella e le ventra-
glie a posto ... (pag. 170).
D. Alighieri, Inf., c. 30, v. 54
– la grave idropesi, che sì dispaia/ le membra con l’o-
mor che mal converte, / che ‘l viso non risponde a
la ventraia, /faceva lui tener le labbra aperte / come
l’etico fa, che per la sete/ l’un verso e’l mento e l’altro
in su rinverte.
Boccaccio, L’Ameto- Lettere- Il Corbaccio, Bari, 1940, pag.
241
– Alle gote dalle bianche bende tirate risponde la ven-
traia...
Boiardo, Orlando innamorato (1475), Torino, 1951, l.1, c.
23, ottava 17
– Via tagliò un braccio, che è tutto peloso, /e gionse al
busto smisurato e grosso;/ giù per le coste insieme alla
ventraglia.
Pascoli, Poesie, Milano, 1956, pag. 1397
– Quando il Ciclope si fu riempita la grande ventraia/
d’uomini carne mangiando e bevendoci su latte puro, /
dentro la grotta giaceva sdraiatosi in mezzo alle greggi.
– Voce stentorea, da stentore >lat. stentore(m)>gr. Στέντωρ,
personaggio omerico dalla voce potente. Bellini usò
quest’espressione riferita all’esecuzione canora, dopo di
lui Da Ponte, Rovani, Nievo, Svevo, Moravia e Berto. Altri
autori usarono “stentoreo” non unito a “voce”ma a stru-
menti, frasi: Bacchelli, Manganelli, Arpino (tromba), Ber-
chet, Pellico, Pasolini.
B.: ... e con voce per lo più stentorea dico cose interessanti
in bella maniera ... (pag. 290).
Da Ponte, Memorie, 1823
– vedere disposti gli animi a secondarlo, lesse con voce
stentorea un’elegia latina, che poco doveva intendersi
da quegli - Parte I (1749-1777).69

121
– una mano pesante battermi la spalla e gridar con voce
stentorea: - Siete mio prigioniero! - Parte IV (1805-
1819).6
Rovani, Cento anni ,1859
– non dell’olimpo, ma del loggione, una voce stentorea
di trachea taurina, che gridò: Viva - Libro 10, 3.15
– Presidente Veneri, - gridava quello con voce stentorea.
- Un lungo fremito, con fischi laceranti e - Libro 17,
3.35
Nievo, Confessioni di un Italiano, 1857-1858
– i quali venivano mano a mano annunciati dalla voce
stentorea del portiere: era un profluvio di don - Cap.
19.53
Serao, Il ventre di Napoli , 1884
– alla bocca del vicolo e grida i numeri con voce stento-
rea: -Vintiquattro! - - 5. Il lotto.16
Svevo, Racconti- Saggi- Pagine sparse, in Opera omnia III,
Milano, 1968
– Con la sua voce stentorea si mise a narrare certe sto-
rielle sulla propria furberia e l’altrui dabbenaggine
negli affari.
Moravia, Il conformista, Milano 1955 (I ed. 1951), pag. 170
– la sua voce stentorea risuonava come un gong di bron-
zo nel silenzio gelato della clinica.
Croce, Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici, Bari, 1952
– Pur continuandosi a recitare il catechismo marxistico,
si avverte che questo è recitato tanto più insistente-
mente quanto meno è creduto e quanto meno si fa
sentire nella scienza e nella cultura, che nel fatto van-
no avanti senza di esso, tuttoché infastidite dal rim-
bombo della sua voce stentorea.

– Di sapore classico e colto ricorre in Berto la preposizione


pei per indicare il complemento di moto per luogo:
– ... mia madre lasciava noi in mano alla serva per an-

122
dargli dietro in bottega e pei mercati ... (pag. 308).
– ... neppure riesco a dirmi che finito l’anno scolastico
fra nove mesi andrò a cercarla e faremo le porcherie
pei prati ... (pag. 336).
– ... così era mio padre, camminava nell’alba pei sentieri
della Conca d’Oro... (pag. 407).

IV. Regionalismi 154 e dialettismi


Le inserzioni dialettali e regionali sono nell’opera un rac-
coglitore d’eccezioni al linguaggio neutro di Berto. Lo scrittore
parlava volentieri nel suo dialetto quindi la presenza del veneto
ne Il male oscuro è esperienziale, ma i suoi lunghi soggiorni nel-
la capitale lo mettevano in contatto con il romanesco o italiano
regionale di Roma155. Berto sceglie anche toscanismi e meridio-
nalismi.
Lui stesso ci fornisce una chiave di interpretazione del suo
modo di scegliere le parole: trovandosi prigioniero di guerra
ad Hereford e lavorando lì a Il cielo è rosso “spesso girava per
il campo a chiedere a gente di diverse regioni quale fosse la
parola più semplice e meno letteraria per designare una data
cosa [...] e che quasi sempre nel mettere le battute di dialogo in
bocca ai suoi personaggi, si rifaceva al dialetto veneto che poi
traduceva il più pedissequamente possibile”156.
154
Tutti i vocaboli sono stati controllati su Salvatore Battaglia, I Dialetti
Italiani, Dizionario Etimologico, (a cura di),Torino, Utet; Battaglia- San-
guineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lingua Italiana, Tori-
no, Utet, 1961-2002; Tullio De Mauro, Grande Dizionario Italiano dell’u-
so, Torino, Utet, 2000; Picchi- Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli,
Bologna, Zanichelli, 2001; Cortelazzo- Zolli, Dizionario etimologico della
Lingua italiana, Bologna, Zanichelli, 2000.
155
T. Telmon precisa che il romanesco sia derivazione dell’italiano e non
del latino come numerosi altri dialetti italiani. T. Telmon, Varietà regiona-
li, in AAVV, Introduzione all’italiano contemporaneo. La variazione e gli
usi, a cura di A. Sobrero, Laterza, Roma-Bari 2005, nota pag. 97.
156
Giuseppe Berto, L’inconsapevole approccio. Le opere di Dio, Milano,

123
Inoltre, non si può trascurare di pensare all’influenza lessi-
cale gaddiana. Il titolo del romanzo non è inventato dallo scrit-
tore che lo chiarisce anche ponendo sul frontespizio la citazio-
ne da cui è tratto, ovvero una frase de La cognizione del dolore
di Gadda. La stima e l’ammirazione per Gadda, che raggiunge
la gloria mentre Berto il successo (cosa più modesta), il fascino
per il suo tormento, lo avranno coinvolto nell’assaggio di un
plurilinguismo che considerava non soltanto le lingue straniere,
come quelle di matrice iberica presenti ne La cognizione del
dolore, ma anche i dialetti nazionali157. Mentre in Gadda tut-
to è premeditazione (le parole, proprio perché sono dialetta-
li, dicono quello che altrimenti non si potrebbe esprimere), in
Berto tutto è spontaneo, involontario; il risultato non è l’effetto
di uno studio ma una cosa gli viene in mente nell’espressione
più vicina al suo uso quotidiano. Quando compaiono termini
napoletani o toscani probabilmente sono ricercatezze lettera-
rie, non sono dovuti all’espressivismo, dato più che altro dagli
intrecci e dalle emozioni. Questo per il motivo che in Berto la
lingua come strumento per esprimere ciò che non si riesce a
dire non esiste.

Di seguito elenchiamo i regionalismi ripercorrendo l’Italia


da nord a sud.
– Bagìgi, anche barbagìgi. Venetismo per “noccioline ameri-
cane” >it. babbagigi. Pianta delle Piperacee, spontanea in
Sicilia... >ar. Habb “bacca, coccola” ’azîz “rinomato, pre-
gevole”: “mandorla buona”. Stessa origine ha il siciliano
cabbasisi. Il vocabolo ricorre diciotto volte in Goldoni, I
pettegolezzi delle donne, e lo troviamo in un altro autore
veneto: Nievo.

Mondadori, 1980, pag. 38.


157
Ne La cognizione del dolore si legge “¡Mocoso de guerra!” e dopo una
dozzina di righe “ci sono anche dei vigili alti come du soldi di cacio”. C.
E. Gadda, La cognizione del dolore, Garzanti, Milano 2007, pagg. 10-11.

124
B.: ... compriamo castagne arrosto e bagigi prima di uscire
dal Luna Park e andiamo verso via Piave... (pag. 331).
Goldoni, I pettegolezzi delle donne, 1750
– No elo quello che vendeva bagiggi?158
I. Nievo, Le confessioni di un italiano, 1867
– le belle ragazze devono badare ai bei giovani, e quei
mezzi omiciattoli in Levante si mandano a vender ba-
giggi per le contrade.
G. Carretto, Via Muro Lungo 22 Verona, Milano 1994, p.58
– Quel primo assaggio però che m’era tanto piaciuto
che per molti anni a venire, ogni volta che mangiavo i
bagigi, due o tre li lavavo e li sgranocchiavo completi
di guscio159.

– Dindia <fr. dinde , deriv. di coq d’Inde ‘gallo d’India’. Re-


gionalismo di area settentrionale col significato di “tacchi-
no”. Nel GRADIT non compare in questa forma ma si
trova “dindo”, nel GDLI sotto “dìndi” (friulano dindiàt e
al femm. Dìndie; veneto dindio, nel veneto orientale anche
dindiòt; trentino piemontese occidentale: dindo, dindu;
valdostano déndo, marchigiano settentrionale dindo, din-
dal, dindòn; sardo dindu, dìndulu). Propriamente pollo
d’India, antico nome della gallina faraona, applicato poi
al pollo proveniente dall’America; si aggiungono pure le
denominazioni gaddudindia sic., gallu ndianu cal..
B.: ... lui narra di una volta che il più ricco del paese gli
mandò una dindia in regalo ma lui la rimandò indie-
tro... (pag. 365).

– Pastrocchio, voce di area settentrionale e anche toscana (av.

158
Picchi- Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna, Zanichelli,
2001.
159
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.

125
1837), adattamento del veneto pastròcio, da avvicinare a
pasticcio, pastocchia (cfr. milanese pastrugn ‘intruglio’).
B.: ...se il primo dono della luce è questo bel pastrocchio di
fronte al quale mi trovo... (pag. 126).
Panzini, Dizionario moderno delle parole che non si trovano
nei dizionari comuni, Milano 1950, pag. 497.
– Pastrocchio, voce familiare dell’Italia adriatica...: è
l’antica parola classica pastocchia (da pasta) e vale ‘in-
truglio’, indi ‘finzione, imbroglio, cosa mal fatta’.
Bernari, Vesuvio e Pane , Firenze 1952, pag. 270.
– era avvenuto un tale pastrocchio fra il suo nome, le sue
generalità, i suoi precedenti, la sua discesa dal Nord.

– Cribbio, anche cribio < lat. Crīblum “staccio” e crìbrum,


*Clīblum, forme dissimulate; dal più comune cribellum di-
pende anche l’italiano crivello (veneto giuliano e istriano;
lomb. Cribi; ladino centrale cribl, crible; friulano carnico:
clibi a Collina, cribl a Forni Avoltri). Eufemismo per Cristo.
B.: ... per fortuna questo radiologo che è un luminare to-
scano ad un tratto dice cribbio e dà segni del più gran-
de interesse... (pag. 160).
Capuana, L. Giacinta, 1, 3.63
– Cribbio! E le aprì incontro le braccia, invitandola.

– Gombine, tecn. veneto, anche combina- ‘porca, striscia


rialzata di terra prodotta dall’aratro’. Non deriva dal lat.
tardo combināre, mettere a due a due, ma da un lat. par-
lato *gumbus< celtico cumbos ‘piegato’ con allusione alla
convessità della porca; stessa origine ha il tipo lessicale cu-
mièrie della terminologia agricola, nonché il veneto antico
gonbo ‘gobbo’. Documentato a Bassano nel 1295, ‘una se-
rie di solchi per seminare’.
B.: ... ogni anno a primavera si rimetteva sempre da capo
a vangare, a squadrare le gombine a regola d’arte...
(pag. 43)

126
– ... lo vidi ancora lungo disteso su un sentierino tra
due gombine... (pag. 44)
Garzoni T., La piazza universale, Disc. 56.10, Venezia, 1585
– i correggiati e le parti loro - cioè le gombine, la mazza,
la maderla, il capuccio, -
Comisso, Un inganno d’amore, Milano, 1953 (1° ed. 1942),
pag. 126
– la vigna aveva le viti in filari inclinati a tetto e tra un fi-
lare e l’altro vi erano le gombine coltivate a pomodoro
o a meloni.

– Remengo (fam. Vadano a remengo) <prov. Ramenc ‘che


vive o va di ramo in ramo’. Varietà dialettale veneta di
ramingo “bastone”. Il significato è di mandare in rovina.
Prima attestazione 1749.
B.: ... se mio padre corresse il minimo pericolo non mi
muoverei di qui, vadano pure a remengo gli affari ...
(pag. 49)
Goldoni, C. , La buona moglie, At.3, sc.20.20
– BETT.\... E el gh’averà sto cuor de vederme andar a
remengo a domandando la limosina? -
D’Annunzio, Prose di ricerca, di lotta, di comando, 3 voll.
Milano 1954, vol. 1 pag. 1047.
– Nel volo di Vienna stando io incastrato nel serbatoio
della benzina [...] dovetti tenere di continuo nel guan-
to il pugnale del fodero perché non mi sfondasse la
lamiera troppo sottile e non mi mandasse ‘a remengo’
come direbbero i Veneti della vostra Cavazuccherina.
Buzzati, Il deserto dei Tartari, Milano 1956, pag. 271, (I°
ed. 1940)
– lui solo provvedesse a rimediare infiniti guai che altri-
menti avrebbero mandato tutto a ramengo.

– Rùstego, venetismo. Solo in Goldoni in Le massere e I ru-


steghi.

127
B.: ... e mia madre diceva su non essere rustego perché non
rispondi... (pag. 73)

– Sberla, piemontese, lombardo, veneto e friulano: sbèrle,


emiliano, romagnolo col significato di ‘manrovescio’. Voce
entrata nell’uso comune dell’italiano settentrionale, è di
etimo incerto. L’ipotesi più verisimile si basa su una con-
nessione con sberleffo ‘sfregio sul viso’, probabilmente di
origine longobarda. La prima attestazione è del Cherubini
1814.
B.: ... qualche volta mi prendevo una bella sberla da pian-
gerci sopra un paio d’ore... (pag. 89)
Goldoni, C. Le baruffe chiozzotte, At.1, sc.10.16., 1762
– BEPPO\ Va’ via, che te dago una sberla.
Gadda, I Luigi di Francia, Milano 1964, pag. 97.
– Madama gli appioppò una sberla così sonora che la si
udì tutt’attorno.
Buzzati, Un amore, Milano 1963, pag. 44
– poi giù quella sberla che sa dare lui che uno si sente
scoppiare la faccia.

– Terrone. La prima attestazione è del 1950; è appellativo


spregiativo e stereotipato con cui sono designati gli Italiani
del Sud160.
B.: ... questo qui solo per dirmi si accomodi tira fuori un
bell’accento meridionale Dio santo sta’ a vedere che
costui è terrone e io non sono preparato a un terrone...
(pag. 280).

– Menagramo < menare + gramo ‘che porta cose tristi’, in


opposizione a “mena bon”. Prima attestazione in Panzini
1942, dopo la registrazione di menagramm del 1923.

160
Tullio De Mauro, Grande Dizionario Italiano dell’uso, Torino, Utet,
2000.

128
B.: ... e durante il viaggio pensai sempre che il vecchio
ormai era spacciato, o meglio, tanto per non sentirmi
menagramo, pensavo indirettamente a cosa mai sareb-
be cambiato, nella mia vita familiare e personale, nel
caso triste che egli fosse ormai spacciato... (pag. 13).
Panzini, Dizionario moderno delle parole che non si trovano
nei dizionari comuni, Milano 1950.
– menagramo: voce milanese (menagràm) che porta iet-
tatura, di persona o di cosa161.
Bacchelli, Il diavolo al Pontelungo, Milano 1951 (I°ed.
1927), pag. 150.
– parlavo, sappiate, propriamente delle calunnie e delle
maldicenze tue, pretonzolo, resto di seminario, ‘trista
fegura’, menagramo.
Buzzati, Sessanta racconti, Milano 1958, pag. 487.
– ma lo sai, zia, che sei una bella menagramo?

– Traccagnotta, lombardismo tracagnòt. In Piemonte tracagn.


In Toscana tarcagnotto <tarchiano, rimasto in Firenze
come cognome. Da tracchia lat. Volg. trachiala: uomo dal
collo pronunciato <gr. Voce popolare trakelòs: grosso.
Prima attestazione 1863.
B.: ... vedo una traccagnotta che vende violette all’angolo
di Doney... (pag. 192).

– Aggeggio, toscanismo, probabile adattamento dell’antico


fr. agiets, agies ‘ninnoli, gioielli’ (lat. Adjectum)162. Prima
attestazione 1865.

161
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.
162
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002 e Cortelazzo – Zolli, Dizionario
Etimologico della Lingua Italiana, Bologna, Zanichelli, 2000. Il Tullio De
Mauro, Grande Dizionario Italiano dell’uso, Torino, Utet, 2000, non for-
nisce ipotesi etimologiche.

129
B.: ... e me ne stavo steso sulla pancia con un pugno con-
ficcato nell’addome proprio per aiutare quell’immon-
do aggeggio a tornarsene al suo posto... (pag. 109).
Civinini Guelfo, Giorni del mondo di prima, Milano 1926,
p. 353
– un aggeggio di legno, munito di un saltaleone su cui
bisogna picchiare con una grossa mazzuola di quanta
forza s’ha.
Viani Lorenzo, Il nano e la statua nera, Firenze, 1943, p. 206
– egli trova sempre un aggeggio di stoffa da annodarsi al
collo taurino, rossa o celeste, e poi eccolo baldanzoso
e fiero.
Pirandello Luigi, Quando si è qualcuno, Milano, Monda-
dori, 1933
– 1° GIORNAL.\... a sapersi! \2°GIORNAL.\ Non
dorme dunque con nessun aggeggio sul capo per con-
servarsi la piega dei capelli? - Atto 3.53
– 2° GIORNAL.\... per conservarsi la piega dei capelli?
\CESARE\ Nessun aggeggio. Piega naturale. E prego
lor signori di non - Atto 3.54
In Gadda compare nel diminutivo ‘aggeggino’.

– Becco e beato [essere] (essere tradito ma vivere contento).


Battaglia riporta bèco toscano, a Firenze beho ‘stupido’;
umbro ‘losco’, ‘miope’163.
Becco: marito ingannato dalla moglie. In Pulci, Boiardo,
Machiavelli, Ariosto, Bandello, Berni, Allegri, Tassoni,
Panciatichi, Menzioni, Papini, Gozzi, Parini, Leopardi,
Verga, Cicognani, Baccelli, Brancati, Piovene.
B.: ... ma cosa sono questi vergognosi compromessi che in
sostanza significano essere becco e beato... (pag. 399).

163
I dialetti italiani, Dizionario Etimologico, Utet, Battaglia- Sanguineti-
Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lingua Italiana, Torino, Utet,
1961-2002.

130
– ... spero che quest’animale col quale mi hai fatto becco
abbia tanti soldi ... (pag. 400).
Piovene G.,Viaggio in Italia, Milano 1958, p. 245
– Ecco un’altra bizzarria: la festa, che ricorre a San Mar-
tino, dei becchi. E chiedo scusa se l’esattezza mi obbli-
ga ad usare un termine crudo. Si vanno a chiamare i
mariti traditi per condurli in piazza.

– Ganzo, toscanismo popolare soprattutto usato da Goldoni.


La prima attestazione è del 1790, R. De Calzabigi Scritti
teatrali e letterari164. Parecchi autori usano tale vocabolo,
oltre quelli sottoelencati anche Tommaseo, Praga, Imbria-
ni, Faldella, Landolfi.
B.: ...era una pelliccia originale parigina se non lo sape-
vano, e quelle a rincarare che chissà quale ganzo mai
gliel’aveva pagata... (pag. 24).
Pananti, Opere, Firenze, 1825, vol. I, pag. 302
– Ci deve essere l’amante favorito, / come pure l’aman-
te disprezzato, /ci vuole il cascamorto ed il patito, /il
ganzo, il vagheggin, lo spasimato165.
Foscolo, Epistolario, Firenze, 1949-56 (comprende le let-
tere composte dal 1794 al 1816), vol. V, pag. 156
– la madre Badessa... proibiva il commercio amoroso a
tutte le giovani dame...; faceva l’appaltatrice di ganzi.
Tramater, Vocabolario Universale Italiano, Società Tipo-
grafica Tramater e C. Napoli, 1829-1840
– ganzo e ganza, voci fiorentine: l’amante; l’innamorato
e l’innamorata; il damo e la dama.
Verga, Mastro don Gesualdo, Milano, 1943 (I ed. 1889),
pag. 334

164
Tullio De Mauro, Grande Dizionario Italiano dell’uso, Torino, Utet,
2000.
165
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.

131
– Nanni l’Orbo... s’era accollata la ganza di don Gesual-
do coi figliuoli.
De Roberto, Opere, Milano 1950, pag. 67
– aveva seminato figliuoli in tutto il quartiere e mante-
neva tre o quattro ganze.
Pirandello, Novelle per un anno, Milano, 1958, vol. I, pag.
1216 (I° ed. Firenze, Bemporad, 1922-28)
– S’era tolta in casa pubblicamente la ganza, senza voler
più sapere né della moglie né del figlio.

– Garbare, toscanismo. Prima attestazione 1484.


Riscontrato in Pulci, Firenzuola, Baretti, De Sanctis, Pi-
randello e Pratolini.
B.: ...e si vede benissimo che l’idea di tornare non le garba
affatto... (pag. 195).
– ... preferisco che il medico [...] mi dia [...] consigli
pratici su cosa mangiare e cioè fettuccine e bucatini se
mi garbano ... (pag. 292).
Baretti, La scelta delle lettere familiari, 1912, pag. 375
– come ti garba questa, che non è fola, ma storia vera
quantio il sole?
De Sanctis, Il Mezzogiorno e lo Stato unitario, Torino 1960,
pag. 62
– Lamartine, il più benevolo verso di noi l’ha confessa-
to. A lui non garbava un’Italia forte.
Pirandello, Novelle per un anno, Milano, 1958, pag. 275
– A me, codesti capelli pettinati così non mi garbano.
Pratolini, Cronache di povere amanti, 1955 (I ed. 1947)
– è capace di tenerlo in gattabuia finché gli garba.
Collodi, Le avventure di Pinocchio, 1881
– E se non ti garba di andare a scuola, perché non im-
pari almeno un mestiere?
– Sollucchero < so+ant. lucherare ‘stralunare gli occhi’, tosca-
nismo. Prima attestazione Rigutini 1876.

132
B.: ... e la giovane e graziosa signora tal dei tali va in sol-
lucchero mentre se lo mangia con gli occhi come se
fosse una equilibrata combinazione di padre Pio da
Petralcina con Lawrence Olivier, ... (pag. 175)
Nievo I., Confessioni di un Italiano, 1857-58, Cap. 19, pag.
188
– Bruto, che fin’allora era andato in solluchero per l’alle-
gra vita che si menava, scoperse ... -
Verga, Don Candeloro & C., 1894, cap. 9
– ... la ragazza ne andava in solluchero, e aveva a schifo
poi di lavare i piatti.
De Amicis, in Sull’Oceano, Il dormitorio delle donne, 2,
Milano, Treves, 1889
– Con quegli occhi in solluchero? Vi do tempo cinque
minuti...
Fogazzaro, Daniele Cortis, Torino, Casanova, 1885, Cap.
19, pag. 60
– un’accoglienza così cordiale che il senatore ne andò in
sollucchero.
– Uzzolo, toscanismo ‘voglia intensa e capricciosa, ghiribiz-
zo’. Usato in letteratura sin da prima del Quattrocento da
Franco Sacchetti.
B.: ... io parto brontolando segretamente per l’uzzolo di
Moribondo al Corso non aveva un posto più comodo
dove mandarmi ... (pag. 180).

– Cafone, dialetto meridionale cfr. napoletano cafonē, sicilia-


no e calabrese cafoni (origine tosca*). Prima attestazione
1841.
B.: ... avendo la cittadinanza romana la qual cosa sembra
essere un grande privilegio da oltre duemila e seicento
anni non va certo a perderla per prendere residenza in
un paese di cafoni com’è il mio... (pag. 189).
Puoti Vocabolario domestico napoletano e toscano, 1841

133
– cafone, uomo di villa, lavoratore di terra. Vocabolario
domestico napoletano e toscano. Napoli 1841.
Pirandello, L. Sagra del Signore della Nave, Firenze, Bem-
porad, 1925
– TAVOLEGGIANTE\... svelta svelta sul ponticello
una graziosa servetta con un goffo cafone intenerito.
D’Annunzio, Prose di romanzi 2 voll., Milano 1955, pag.
293
– Dunque ancora erano considerati come cafoni?
Panzini, Dizionario moderno delle parole che non si trovano
nei dizionari comuni, Milano 1950. pag. 97
– Cafone: voce dialettale dell’Italia meridionale, estesa
poi ad altre regioni: indica persona plebea, villana,
rozza, maldestra.
Bacchelli, Il mulino del Po, 3 voll. Milano 1947, pag. 77
– I suoi fedeli [della corte borbonica] e i suoi emissari
eccitavano nei “cafoni” il vecchio, fanatico odio contro
i giacobini, i civili, i “galantuomini”, e contro le tasse e
la leva militare.
Bartolini, Signora malata di cuore, Firenze 1954, pag. 68.
– interloquì la minore d’Età, per giurare che piuttosto
di sposarsi “male”, con un uomo brutto, cafone o chè,
preferiva attendere, o rimanere zitella.
Silone, Vino e pane, Milano 1955, pag. 136.
– il giovane cafone tagliò alcune fette di pane di grantur-
co, sminuzzò due pomidori e una cipolla.
Pavese, Il compagno, Torino 1954, pag. 185.
– che cos’è che volevano gli altri italiani? Farla finita coi
violenti, coi cafoni, coi ladri, ritornare al rispetto di sé
e della legge.

– Mannaggia <mal n’àggia ‘male ne abbia’. Meridionalismo.


Ricorre in autori meridionali. Prima attestazione 1704.
B.: ... rintronato di sonno dice mannaggia perché mi chia-
mi adesso ... (pag. 110).

134
Basile, Lo cunto de li cunti, Napoli 1634-36
– ciento arme cacciava co na saglioccola ciento scrofe,
che mannaggia mille vote li vische di chi la comman-
naie a sti - Giorn. 3, tratten. 10.21166
Belli, Sonetti
– Nu lo vedi che ddritto nun ce vai,/ Mannaggia li mor-
tacci de tu’ zio? Son. 251.4
– Ma ttu cc’hai sempre st’ideacce storte,/ Mannaggia la
nepote de tu’ nonno!,/ Dichi mo che sta - Son. 266.6
– è un paino? indov’èllo? indov’èllo?/ Mannaggia! nun
ze vede un accidente./ Ecco, ecco - Son. 1994.4
– nu lo pijjassi in petto?! -/ Che vvòi, mannaggia li mor-
tacci sui!,/ Me se messe a scappà pp’ - Son. 2012.13
– La commare de l’aritirato- Mannaggia er corpo tuo!
co sta caterba/ De debbiti, - Son. 2233.1
Verga, Don Candeloro & C. 43
– d’accordo fra di voi! E tu spiegati, mannaggia! - Che
volete? Perdonatemi!... Ah - Il peccato di Donna San-
ta.
Cavalleria rusticana, Torino, Casanova, 1883
– TUR.\...strappandosi da lei) Finiamola ti dico! man-
naggia! \SANT.\ Turiddu! per questo Dio che scende
- Scena 4.25
Pirandello L., Il turno, Catania, Giannotta, 1902
– Tanto di naso, don Pepè! Mannaggia la prescia! - Non
mi seccate, vecchiaccio - Cap. 24.2
Scialle nero, Firenze, Bemporad, 1922
– Don Filippino! - gridò lo Scala. - Mannaggia a voi!
Non ci fate disperare! Attesero - Il “fumo”, 4.26
– E lui: - Mi rivesto, mannaggia! Non posso dormire.
Mi metterò a sedere qua - Il tabernacolo, 1.17
– bajocchi? Manco pe’ fallo! - Be’, mannaggia a tene!

166
Picchi-Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna, Zanichelli,
2001.

135
Dammelo. Moro de callo. - Il ventaglino.79
Il termine è frequentissimo in tanti romanzi, dramma e no-
velle pirandelliani.

– Massariotti, regionalismo. Da massaro che nel Meridione


d’Italia sta per ‘massaio’, amministratore di azienda agri-
cola o di allevamento. Può essere da massa, marchigiano,
‘pasta di pane, di pastasciutta, di gnocchi’ e simili. Man-
tiene il senso del latino massa “pasta”< gr. Mâza, che si-
gnificava fra l’altro ‘impasto, polenta’ derivato dal verbo
µάσσείν ‘impastare’. Massa indica anche il ‘podere’167.
B.: ... noi si andava alla Trattoria alla Speranza dove c’era
fumo e caldo, e confusione di massariotti e sensali che
mangiavano e bevevano ... (pag. 97).

– Micragnosa, voce di area centrale, in particolare romana.


Prima attestazione 1905.
B.: ... a casa mia la (pesca) sbuccio maneggiando solo
il coltello senza la forchetta com’è giusto specie per
questo genere di pesche micragnose con una buccia
sfottuta che non si stacca dalla polpa... (pag. 250).

Gli esempi trovati in altri scrittori qualificano personaggi


indicando la loro avarizia.
Bacchelli, Il diavolo al Pontelungo, Milano 1951 (I° Ed.
1927)
– il Natta, accurato e micragnoso per due, gli fece vede-
re l’abitoproprio ancora in buono stato pag. 176.
Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, Milano
1958 (I°ed. 57)
– i violenti e i nolenti, gli squattrinati e i quattrinosi, i
micragnosi e i mingentiin gloria e in letizia (pag. 27).

167
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.

136
– Scoppola, dialetto romano. Prima attestazione 1832.
B.: ... si trova davanti a san Pietro che gli dice e ora come
la mettiamo con queste bugie [...] ma poi chiude un
occhio e lo fa passare con una scoppola affettuosa...
(pag. 199).
D’Azeglio, I miei ricordi, Torino 1949 (1° ed. 1867)
– quella benedetta carabina non so che difetto interno
avesse, ma so bene il difetto esterno quale era, di dar-
mi una terribile scopola ogni volta che la sparavo.
Marinetti, Taccuini 1915-1921, pag. 234
– Il generale li chiama e dopo aver spillato la medaglia
li bacia commosso e ad alcuni dà una piccola scoppola
affettuosa.
Papini, Lacerba III, 1915, pag. 122
– Il maestro senza bacchetta e la scuola senza scopole
non esistevano in rerum natura.

– Sfruculiare, meridionalismo, specie nel napoletano sfru-


culià, comp. dal prefisso ex- con valore intensivo e una
forma ampliata di fricare. Nel senso di ‘provocare pensie-
ri molesti’ nel GDLI è citato solo Berto (I°es.), nel senso
di ‘stuzzicare’ Buzzati e Gadda riferiscono questo verbo a
persone. Nel II° di B., invece, si riferisce a un calcoletto.
Prima attestazione 1950.
B.: ... accade che fatti e pensieri sgorghino in gran parte
automaticamente da quelle oscure profondità dell’es-
sere dove la malattia prima e la cura poi sono andate a
sfruculiarli fino a ... (pag. 4).
– ... mentre stava dentro la mia vescica con quei minu-
scoli attrezzi egli andò a sfruculiare il calcoletto in pro-
cinto di scendere in vescica e lo fece cadere ... (pag.
161).

– Tabbuto, antico vocabolo siciliano attestato per la prima


volta in letteratura in Guido delle Colonne, volgarizzato

137
nella prima metà del XIV secolo. È un termine di origine
araba da tabbùt ‘tomba’. Usato anche da Capuana e Scia-
scia.
B.: ... un fotografo di provincia che ritraeva mio padre col
vestito nero da sposo in attesa di essere sistemato nel
tabbuto, o cassa da morto che sia (pag. 52).

– Vespillone, becchino. Dialetto romano. Etim: dal lati-


no vespillōne(m), prob. da avvicinare a věsper, “vespero,
sera”; perché i seppellimenti avvenivano nelle ore serali o
notturne. La prima attestazione è in Emilio Cecchi 1927 (o
1923?).
B.: ... allo scopo di alleggerire l’argomento butto là una
spiritosaggine qualsiasi dicendo che mio padre era co-
lonnello di cavalleria, anzi vespillone di un bel paese
in provincia di Treviso ... (pag. 103).

V. Forestierismi 168

Nel corso della narrazione lo scrittore ricorre anche a ter-


mini stranieri, è il caso di ghebì, aramaico, vocabolo che Berto
imparò al tempo della guerra in Africa.
– Ghebì, etnol. 1889. In Etiopia è lo spazio interno di un
recinto a cui si accede da un ingresso169.
B.: ... una volta che ho messo da parte oltre diecimila lire in
una notte sola me le mangio giocando al baccarà nel
ghebì di Debra Tabor dove stiamo rinchiusi perché
ormai i ribelli ci sparano da tutte le parti... (pag. 377).

168
Per tutti i forestierismi è stato consultato Tullio De Mauro, Grande
Dizionario Italiano dell’uso, Torino, Utet, 2000.
169
Ivi, vol. III, pag. 202.

138
Soprattutto lo scrittore attinge al lessico francese. È il caso
in cui, ad esempio, fa parlare il personaggio della vedova fran-
cese (es. a), ma il francese ricorre spesso quando si fa riferimen-
to a una tendenza modaiola come portare i capelli alla garçonne
(b- in uso dal 1923) o avere una nurse (c- in uso dal 1905) o
desiderare tende e poltrone di cretonne (d- in uso dal 1765):
a) e allora lei diceva merde perché non si vedeva niente
... (pagg. 31-32)
b) ... nel cassettino dalla parte opposta che era quello di
mia madre c’era sempre una gran confusione di forci-
ne e pettinini e fermi per i capelli e pettini mai puliti
con attaccati capelli lunghissimi, perché mia madre
mai si sarebbe tagliati i capelli alla garçonne... (pag.
75)
c) ... naturalmente col figlio ci vorrà la nurse svizzera o
almeno altoatesina o sudtirolese che sia... (pag. 171)
d) ... la camera ha bellissime tende di cretonne alle fine-
stre e una grande poltrona ricoperta della stessa cre-
tonne e invece a casa nostra non ci sono né tende né
poltrone... (pag. 173).
E, a proposito dell’arredamento, viene nominata anche la
dormeuse (in uso dal 1858), poltrona a sdraio che è sistemata
nell’appartamento del produttore e che lo sceneggiatore sceglie
per passare le sue notti quando si trova a Parigi per lavoro:
e) ... al secondo giorno ho detto al signore perché spen-
dere soldi per la mia camera posso anche sistemarmi
nell’anticamera del suo appartamento dove c’è una
dormeuse, e così infatti avviene ... (pag. 201).

Nell’ambito dell’arredamento viene citato anche il fridìgi-


daire (vocabolo che compare per la prima volta nel 1953 sulla
rivista «Oggi»):
f) ... creperà di rabbia vedendo che le porto via l’auto-
mobile, ma è mia per la madonna l’ho pagata io coi
soldi miei per quanto coi soldi miei siano stati pagati

139
anche il frigidaire tanto per dire e i mobili e la bian-
cheria di casa ... (pag. 401).

Altri vocaboli francesi sono a proposito delle dolci vo-


glie della donna incinta: i petit fours (g- prima attestazione del
1908), o in riferimento al tergiversare con il commendatore:
pourparler (h- comparve nel 1786 nell’Epistolario di G. B. Ca-
sti), o per indicare con nome tecnico ambienti socio-culturali:
milieu (i- in uso dal 1905), affaticamento da sport: surmenage
(j- in uso dal 1899), una danza standard per principianti: fox
trot (k- diffuso dal 1919), il colore della medaglia che indica il
primo classificato per bravura a scuola: vermeille (l- in uso dal
1895 per indicare un argento dorato per la fabbricazione di
stoviglie, casse di orologi e sim.):
g) ... e io penso Cristo santo ma guarda un po’ questa
cosa pretende come avrebbe potuto venirmi in mente
di portarle proprio marroni giulebbati invece che cioc-
colatini o petit-fours o violette candite ... (pag. 180)
h) ... i santi del paradiso che con la televisione non mi
aiutano si muovono invece a darmi una mano con
questo antico imperatore il quale a conclusione di la-
boriosi pourparler protrattisi per un paio di giorni alla
fine mi dà un assegno da trecentomila ... (pag. 270)
i) ... e proprio ora che sono in litigio mi capita un’occa-
sione come questa portoricana del milieu internazio-
nale che sarebbe delitto buttar via... (pag. 177)
j) ... spingendo a rana mi facevo tutta sott’acqua per il
largo la piscina che era venticinque per otto, e tenuto
conto di quanto facevo all’amore in quel tempo con la
ragazzetta si trattava di un bel surmenage o strapazzo
soprattutto fisico... (pag. 99)
k) ... finché una sera al gran ballo del circolo ufficiali du-
rante un fox trot mi trovo senza averne alcuna speciale
intenzione tra le braccia di una ragazzona prospero-
sa... (pag. 371)

140
l) ... tre sole erano le medaglie di merito ossia al primo
classificato medaglia vermeille, al secondo medaglia
d’argento, al terzo medaglia di bronzo... (pag. 315) ...
già che ci sono e la medaglia vermeille me la sono con-
quistata mi piacerebbe che (mio padre) mi comprasse
la bicicletta... (pag. 322).

Il protagonista nel momento in cui si dedica alla sceneg-


giatura cinematografica fa riferimento alla Nouvelle Vague 170:
a) ... l’antico imperatore romano mi sta spiegando lui il si-
gnificato di questa sua storia Pettotondo e dice che non
devo per niente fare modifiche ma solo svolgerla moder-
namente con molto sesso e violenza e spunti sociali alla
nouvelle vague tanto per intendersi ... (pag. 269).
Al lessico cinematografico -teatrale appartiene il vocabolo
anglosassone treatment che designa il modo di trattare un sog-
getto artistico e fu usato per la prima volta nel 1938 in “Bianco
e nero” di Giovanni Guareschi:
b) ... pertanto mi metto al lavoro con un impegno direi
addirittura eccessivo e in due settimane metto giù uno
scalettone proprio sostanzioso o per meglio dire un
mezzo treatment con le concatenazioni già a posto...
(pag. 271).

170
Il termine (“nuova onda” in francese) apparve per la prima volta sul
settimanale francese L’Express il 3 novembre 1957, in un articolo a firma
Françoise Giroud, e verrà ripreso da Pierre Billard nel febbraio 1958 sulla
rivista Cinéma 58. Con questa espressione si fa riferimento ai nuovi film
distribuiti a partire dal 1959 ed in particolare a quelli presentati al festival
di Cannes di quell’anno. La Nouvelle Vague è il primo movimento cine-
matografico a testimoniare in tempo reale l’immediatezza del divenire, la
realtà in cui esso stesso prende vita. I film che ne fanno parte sono girati
con mezzi di fortuna, nelle strade, in appartamenti, ma proprio per la
loro singolarità, hanno la sincerità di un diario intimo di una generazione
nuova, disinvolta, inquieta. www.wikipedia.it

141
VI. Popolarismi 171

Facendo ricorso costante al linguaggio parlato, o meglio


al linguaggio spontaneo dei pensieri che eruttano dalla mente
del protagonista, lo scrittore usa formule stereotipate, modi di
dire e frasi di espressività popolare. Accanto alle comuni e se-
colari esclamazioni che tirano in ballo Dio, ci sono quelle che
si riferiscono al suo antagonista: a Dio piacendo, vivaddio (pagg.
109, 397), se Dio vuole (pag. 213), come Dio volle (pag. 39), rin-
graziare Iddio (pag. 204), grazie a Dio (pagg. 46, 187), Dio solo
sa (pag.130, 142, 157, 173), soffrire l’ira di Dio di mal di pancia
(pag. 293), con l’aiuto di Dio/del cielo (pagg. 184, 219), com’è
vero Iddio (pag. 187), piove che Dio la manda (pag. 192), buon/
povero diavolo (pagg. 18, 32; 130). Altre espressioni ricorren-
ti nella lingua popolare sono presenti nel romanzo: lasciare di
stucco (pag. 364), lasciarci il ben dell’intelletto (pag. 284), ad-
dormentarsi di piombo (pag. 47), rompere le scatole (pag. 403),
ficcare il naso (pag. 317), farsi bidonare (pag. 191), attaccar briga
(pag. 137), uscire dai gangheri (pag. 398), piantare rogne/rogne
da grattare (pagg. 108, 144, 189), morbo crudele che non perdona
(pag. 17), caldo cane (pag. 297), carne paga (pag. 19).
Alcuni modi di dire diffusi nella lingua parlata sono l’e-
spressione avercela su con qualcuno (pag. 130, 151) per indicare
il sentimento di rancore e risentimento che si prova verso una
persona. Inoltre, nel corso della narrazione si legge:

– Mangiare ad ufo (pag. 340) col significato di nutrirsi in


modo parassitario e il cui ricorso nella letteratura naziona-
le risale a Goldoni, e si ritrova in altri autori successivi:
B.: … mio padre mi guardava anche se non troppo ama-

171
Consultato il Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizio-
nario della Lingua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002, e Picchi- Stoppelli,
Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna, Zanichelli, 2001. Gli esempi sono
tratti da quest’ultimo.

142
bilmente chiedendomi con quale razza di farabutti
mangia a ufo come me avessi fatto le quattro del mat-
tino…
Goldoni, Il contrattempo, At.1, sc.1.42
– BEAT.\... \COR.\ È un mese che gli date da mangiare
a ufo.
Manzoni, Promessi sposi (1840), Cap.30.40
– Agnese e Perpetua, per non mangiare il pane a ufo,
avevan voluto essere impiegate ne' servizi …
Giusti, Poesie, Lettera a un amico, 57
– per serrar la finestra:/ come secca mangiando anc'a
ufo/ ogni giorno la stessa minestra…
Verga, Don Candeloro & C., 39
– venisse a cercarlo: Nunziata invece, che mangiava a
ufo dalla cugina Menica…
Verga, I Malavoglia, Cap. 8.20
– madre le aveva detto che quelli eran tutti mangiapani
a ufo, più birri che altro…
Collodi, Le avventure di Pinocchio, Cap. 33.64
– Sarebbe un mangiapane a ufo. Portalo dunque in piaz-
za e rivendilo.
De Roberto, I Viceré, Parte 1,3.9
– le femmine non sapevano far altro che mangiare a ufo
e portar via parte della roba di casa…
Fucini, Le veglie di Neri, 54
– Madonna del Grilli. "Questi bighelloni mangiapanac-
ci a ufo!" continuò il postino, fermandosi a dare una
cartolina.

Di ambito regionale le seguenti espressioni: snocciolare


balle (pag. 50), il cuore mi va a tomboloni (>tombola =capitom-
bolo, caduta, ruzzolone. Familiare. Pag. 328), litigare brutto
(pag. 34), rivedere le bucce a qualcuno (pag. 300), nel senso di
giudicare, già presente in letteratura:

143
Imbriani, Merope IV, Cap. 5.31
– le maldicenze dei corridoi e dei gabinetti; rivedeva le
bucce ai colleghi ed ai superiori.
Chelli, L’eredità Ferramonti , Cap. 20.12; Cap. 9.1
– io diventerei parziale? Di mia propria autorità rivedrei
le bucce alle sentenze de’ magistrati, assolverei questa,
condannerei quello ...
– ... ozio a rimpiangere il passato, ed a rivedere le bucce
al prossimo.
E ancora: non c’è santi che mi rinvenga in mente (pag.
294), non era poi tanto fuori di giustizia (pag. 20), tirar giù sa-
cramenti da stancare i santi (pag. 180), non servono a un’ostia
(pag. 182), non si conclude un’ostia di niente (pag. 208). Que-
ste ultime espressioni ci riportano all’ambito regionale veneto
e piemontese. Comunemente la parola ‘ostia’ è giudicata in due
modi: come bestemmia dal punto di vista psicanalitico- reli-
gioso; come esclamazione popolare secondo l’ottica linguisti-
co- antropologica. In regioni in cui la storia ha favorito l’indot-
trinamento religioso del popolo sin dalla primissima età, senza
volerlo i vocaboli più cari della religione diventano esclama-
zioni, dapprima vengono fuori come invocazioni e in seguito si
introducono nel parlato come intercalari del discorso. Allora,
oggettivamente l’esclamazione suddetta è una bestemmia, sog-
gettivamente è il linguaggio proprio dell’uomo veneto172. Nei
grandi scrittori, Dante, Pirandello, Berto... i personaggi parla-
no col proprio registro linguistico e alcuni lo cambiano in rap-
porto al destinatario. Su questo tema, il narratore si sofferma ad
esporre la sua teoria: “sia pure limitatamente alla parte lessicale
e sintattica adatto sempre il discorso alla persona alla quale lo

172
Nel momento in cui ne Le opere di Dio a parlare è uno sventurato
contadino costretto ad abbandonare tutto quel che costituisce la sua ric-
chezza, terra e bestie, le bestemmie sono frequenti e pesanti ma si tratta
del registro linguistico del personaggio. Questa riproduzione del parlato,
però, causò allo scrittore non pochi problemi culminati infine con un pro-
cesso intentato dalla scrittrice Maraini.

144
rivolgo, e in verità forse siamo in molti a farlo e a quanto ne so
io i modi di dire sono parecchio diversi a seconda che si parli a
un cardinale o a un colonnello o ad una battona da marciapie-
de...” (pag. 290).

VII. Lessico dell’insulto 173

Il protagonista del romanzo non trascura di rivolgersi agli


interlocutori con parole di insulto e spesso le usa anche come
esclamazioni quando si trova in stati di ansia collerica o le pone
in bocca alla moglie e ad altri personaggi a volte semplicemen-
te immaginando la loro reazione davanti a un suo comporta-
mento.
Varie sono le espressioni con cui si rivela di non volere
più avere a che fare con qualcuno: andare a farsi benedire (pag.
350, 404), andare in malora (pagg. 281, 374), andare al diavolo
(pag. 403), andare all’inferno (pag. 46), mandare secco all’infer-
no (pag. 318), andare/mandare a farsi fottere (pagg. 398; 224. La
prima attestazione di quest’espressione risale al 1887), andare a
farsi friggere (pag. 191).
I personaggi insultati dal malato sono i medici, quindi tro-
viamo primario della malora (pag. 48), l’anziano infermiere del
collegio vecchio e schifoso maiale (pag. 311), e poi la moglie
zoccola (pag. 155). Di questo termine ricorrono molti sinonimi:
puttana (pagg. 46, 155, 198, 400, 401), troietta (pag. 336. Com-
pare per la prima volta nel 1400 in Sacchetti), vacca (pag. 27).
Nei momenti di bassa autostima il protagonista se la prende
con sé stesso e, ad esempio, si paragona ad un verme o pidoc-
chio schifoso (pag. 358). In un altro passo viene insultato dalla
Manza perché il brutto figlio d’una cagna (pag. 374) si rifiuta di

173
Consultato il Cortelazzo- Zolli, Dizionario Etimologico della Lingua Ita-
liana, Bologna, Zanichelli, 2000.

145
fare l’amore con lei per paura di contrarre la sifilide. Ironica è
la sfida tra la ragazzetta e la vedova francese entrambe amanti
del malato, la prima risulterà vincitrice su colei che conside-
ra bagascia semidecomposta (pag. 132). A proposito di questo
vocabolo di incerto etimo (forse dal provenzale bagassa “ser-
va”, “ragazza” o da un antico romano *bakassa “ragazza”), la
prima attestazione è del 1363 in M. Villani; compare anche in
un documento lucchese del 1339, mentre al maschile bagascio
è in una traduzione volgare di Esopo del 1325. È interessante
notare come sia stato usato nell’ambito della nostra letteratura
da autori che hanno fatto largo uso di ironia o satira: Boccaccio,
Pulci, Boiardo, Ariosto, Berni (negli scherzi scenici e pensieri
satirici), Gozzi, D’Annunzio (nella Figlia di Iorio) e infine an-
che Gadda.

VIII. Tecnicismi: chimica, medicina, psicologia 174


Confronto con il racconto “Esaurimento nervoso”.

I tecnicismi presenti nel romanzo sono tutti di natura


scientifica e area chimico-medica. Di diverso ambito soltanto
cablogramma, due vocaboli della sfera sportiva, di diritto e po-
chi di politica; il primo non compare nella letteratura, si trova
soltanto come voce nel Dizionario Moderno di Panzini nel 1905
“al tempo che scrivo il radiogramma Marconi tende a sostituire
il cablogramma” (ma l’annotazione scompare nell’edizione del
1908) e nel testo di Rigutini-Cappuccini, I neologismi buoni e
cattivi, Firenze, 1926: “cablogramma: francesismo assai legger-

174
Ciascun termine è stato controllato su Cortelazzo- Zolli, Dizionario
Etimologico della Lingua Italiana, Bologna, Zanichelli, 2000, da cui ho
tratto le prime attestazioni in opere scientifiche; Picchi Eugenio, Stop-
pelli Pasquale, Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna, Zanichelli, 2001;
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lingua
Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.

146
mente accettato, e ibrida voce, per indicare il telegramma trans
marino”.
Berto: mi viene in mente di fare un cablogramma alla Man-
za che venga a Napoli (pag. 378).

All’area dello sport sono conducibili crawl e surmenage:


– ... quelle ragazze e specialmente la mia si buttavano in ac-
qua come niente con tuffi meravigliosi dal trampolino e
poi battevano il crawl tutte splendide di giovinezza [...]
spingendo a rana mi facevo tutta sott’acqua per il largo la
piscina che era venticinque per otto, e tenuto conto anche
di quanto facevo all’amore in quel tempo con la ragazzetta
si trattava di un bel surmenage o strapazzo... (pag. 99).

Alla terminologia politica appartengono revanscista (prima


attestazione 1955 Junker) e radicali e al diritto mallevadore (già
nel 1264 in Bene Bencivenni):
– ... nel sogno comunque non era ben chiaro se quella fosse
esattamente la libreria Rossetti e le persone contenute in
essa i radicali... (pag. 60)
– ... il sogno per me era chiarissimo e strettamente imparen-
tato coi sogni un po’ miserelli di cui si parlava poco fa,
solo che questi avevano carattere diciamo così revanscista
mentre nel sogno radicale prendevano forma nettamente
aneddotica il senso di inferiorità e di frustrazione ... (pag.
61)
– ... per queste balle di cui mi faccio mallevadore con cenni
della testa e oui oui... (pag. 201-2).

Di sfera propriamente biologica i vocaboli albumina, uro-


bilina, reviviscenza.
– Albumina, urobilina. Il primo risale al 1829 Tramater Vo-
cabolario universale italiano compilato a cura della Società
Tipografica Tramater e C. (nel 1795 era comparso “albumi-
ne” in Dandolo Fondamenti della scienza chimico- fisica):

147
B.: ... sarebbe opportuno che facessi un buon esame ra-
diologico, ma soltanto se lo desidero mi dice l’amico
perché a stretto rigore non sarebbe necessario, tanto
avere numerose emazie nelle orine e tutto il resto a
posto con appena tracce di urobilina e di albumina
non è proprio niente... (pag. 103).
Il termine reviviscenza è usato già da D’Annunzio e prima
ancora da De Roberto:
B.: ... e per un pezzo lui se ne sta lì non so se più medi-
tabondo o compassionevole, sai che me ne faccio io
della sua compassione, quindi con improvvisa revivi-
scenza vuol vedere le radiografie... (pag. 141)
D’Annunzio, L’Innocente, Napoli, Bideri, 1892
– Guardate! Guardate! La lieve reviviscenza fittizia pro-
vocata dall’etere si spegneva. - Cap. 50.3175
Le vergini delle rocce, Roma, De Bosis, 1895
– anzi un pregio e una grazia singolari e quasi una revi-
viscenza fittizia sotto il mio sguardo. - Libro 2. 288
De Roberto, I Viceré, 1894
– rammentava le primitive; così, per una specie di revi-
viscenza delle vecchie cellule del nobile sangue - Parte
1, 3.47

Alcuni vocaboli della scienza chimica sono usati in lette-


ratura a partire dal XX secolo, quindi Berto rappresenta uno
dei pochi scrittori che utilizzano termini di quest’area lessicale.
– Acido fenico. La prima attestazione è del 1879 Tommaseo-
Bellini, Dizionario della Lingua Italiana.
B.: ... e tuttavia chiuso in quel furgone che puzza di ver-
nice e acido fenico penso che sto compiendo il mio
ultimo viaggio terreno ... (pag. 118)
Panzini, Sei romanzi fra due secoli, Milano 1954, pag. 505

175
Picchi- Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna, Zanichelli,
2001.

148
– i tè benefici... avevano un sapore di infermeria, di aci-
do fenico176.
Soffici, D’ogni erba un fascio , Firenze 1958 pag. 77
– due bottiglie, ... dalle quali esalava un puzzo di acido
fenico e di petrolio
Papini, Poesia in versi, Firenze 1941, (pag.) 24
– la vita è più saputa in questi posti/ dove l’aria non
puzza che l’acido fenico

– Alcaloidi. La prima attestazione è del 1851 in M. G. Levi


Filologia e critica IV.
B.: ... lei nella mia dannazione di alcaloidi non c’entra per
nulla... (p. 135)
Tommaseo, Dizionario della lingua italiana, 4 voll. Torino
1861-1879
– Alcaloidi, nome di quei corpi organici che posseggono
in grado più o meno cospicuo le proprietà per cui si
riconoscono gli alcali minerali.
Moretti, Né bella né brutta, Milano 1944 pag. 265
– Volle scandalizzare una delle prime signore del paese
facendole l’elogio dell’alcaloide «estratto dal prodi-
gioso arbusto che cresce nel Brasile».

– Bario < βαρύς ‘pesante’, voce dotta. Il vocabolo compare


nel 1819 in Bonavilla Dizionario Etimologico di tutti i voca-
boli usati nelle scienze, arti e mestieri, che traggono origine
dal greco. Successivamente, compare nel Tommaseo- Bel-
lini Dizionario della Lingua Italiana. In letteratura fu usato
per la prima volta da Vittorini.
B.: ... e precisamente il bario non superava una strozzatura
che si era formata proprio nel punto in cui l’intestino
colon cambia ancora una volta direzione... (pag. 16)

176
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.

149
Vittorini, Diario in pubblico, Milano 1957
– vediamo, a una radioscopia, il bario percorrere i visce-
ri che vuol rivelarci.

– Calcio. La prima attestazione è del 1820 Dizionario della


Lingua Italiana, Bologna 1819-1826.
B.: ... dovrò fare certo una cura ricostituente energica a
base di fosfati, calcio e vitamine ... (pag. 149)
Pratolini, Lo scialo, Milano 1960, pag. 409
– ... era tornata con la prescrizione di qualche scatola di
iniezioni. Dei ricostituenti, è naturale, un po’ di calcio,
un po’ di valeriana..

– Clorato di potassio
B.: ... il clorato di potassio che davano all’infermeria era
considerato una leccornía... (pag. 310).

– Fosfati. Il termine è del 1792 nella traduzione di Dandolo


dell’opera di Lavoisier.
B.: ... dovrò fare certo una cura ricostituente energica a
base di fosfati, calcio e vitamine ... (pag. 149)
Targioni Tozzetti, Istituzioni botaniche I, 203 (XVIII sec.)
– si trovano nelle piante la silice, ... il fosfato di calce ed
altri Sali solubili....

– Permanganato. La prima attestazione è del 1869, Tessari.


B.: ... arriviamo in camera dove mi attardo a guardare il
letto con la sopracoperta tutta stropicciata e il bidet e
l’ovatta e la bottiglia di permanganato sopra il lavandi-
no... (pag. 344)
Tommaseo, Dizionario della lingua italiana, Torino 1861-
1879
– Permanganato: nome generico dei Sali che forma l’aci-
do permanganico combinandosi colle basi.
Bernari, Tre operai, Milano 1965 (Ia ed. 1934), pag. 12

150
– in queste vasche si preparano i bagni di soda e di sa-
pone, di acido solforico, di bisolfito, di permanganato.

– Piramidone. La prima attestazione è del1900 Lessico for-


mulario delle novità mediche e biologiche, trad. di Bufalini.
B.: ... disgrazia ancor più grossa e irreparabile [...] se mi
passa un poco col piramidone mi addormento... (pag.
110)
Moretti, Romanzi della mia terra, Milano 1961, pag. 54
– accettò il piramidone e se ne andò in fretta.
Pratolini, Lo scialo, Milano 1960, pag. 1177
– gli faceva inghiottire il piramidone, gli dava latte caldo
e miele.
Fenoglio, Una questione privata, Milano 1975, pag. 164
– no, non mi hanno picchiato, anzi mi hanno dato del
piramidone. 3-p.164.

Di numero maggiore sono i termini della medicina, nel cui


insieme distinguiamo i vocaboli propri dell’area della psicolo-
gia che rappresentano una innovazione in ambito letterario,
seppure precedentemente Svevo aveva trattato l’argomento.
Alcune voci del lessico medico sono comparse per la prima
volta in illustri autori dell’Ottocento come Manzoni nel capi-
tolo dei Promessi Sposi in cui parla della peste e De Amicis,
Verga, Tommaseo nel Dizionario; o Verri, Muratori, Gozzi, e
prima ancora la Crusca e Dalla Croce. Altri, invece, sono pre-
senti a partire dalla letteratura del Novecento con D’Annunzio,
Pirandello, Fogazzaro, Gadda.
Parecchie sono le voci presenti nel romanzo di Berto e che
non hanno precedenti comparse nella nostra letteratura. Si trat-
ta di nomi di patologie come artrosi lombare, colite spastica,
ipoglicemia, tachicardia, emazie, enuresi, emitorace, faccenda
fibrinosa; di medicinali come streptomicina e barbiturici; di
esami medici come cardioplegia, cistoscopia e ancora espres-
sioni come liquido cefalo-rachidiano e parto eutocico. Alcuni

151
di questi vocaboli erano già scappati dalla penna di Berto nel
racconto Esaurimento nervoso su cui ci soffermeremo più avan-
ti a proposito del lessico della psicologia177.

Ecco in ordine alfabetico i vocaboli riscontrati:


– Afasia motoria. La prima attestazione è del 1870 C. Giaco-
mini Sifilide cerebrale, afasia e amnesia.
B.: ... trovano me che li guardo con gli occhi fuori dalla
testa e in più colpito da afasia motoria sia pure mo-
mentanea... (pag. 147)
D’Annunzio, Prose di romanzi, L’Innocente 2 voll. Milano
1955 pag. 558
– consideravo mentalmente... i due disturbi cerebrali
più terribili per un uomo di lettere, per un artefice
della parola, per uno stilista:- l’afasia e l’agrafia.
Parlano di afasia anche Panzini, Croce, Onofri ma mai
unendo il sostantivo all’aggettivo motoria.

– Agorafobia, claustrofobia. Il primo vocabolo compare nel


1892 nella Piccola Enciclopedia Hoepli; il secondo nel 1899
in Ferrio, Terminologia clinica.
B.: ... non è che la gente mi aiuti in questi momenti anzi
mi sento più smarrito per via dell’agorafobia...(pag.
170)
– ... e così mi è venuta anche la fobia del busto che è una
sottospecie io penso della claustrofobia ... (pag. 171)
Lorenzo Viani, Mare grosso, Firenze 1955 (I° ed. 1922),
pag. 226
– I clienti colti dalla elefantiasi, dalla risipola, la pingue-
dine, i dolori articolari, l’ipocondria, l’accidia, agora-
fobia, la atassia, avevano diritto al servizio a domici-
lio...

177
Vedi pag. 172 e segg.

152
– Anamnesi. È in Bonavilla, Dizionario Etimologico di tutti
i vocaboli usati nelle scienze, arti e mestieri, che traggono
origine dal greco, 1819.
B.: ... mi trovai un giorno al cospetto della celebrità me-
dico chirurgica la quale [...] rilesse concentrandovisi
sopra l’anamnesi sia familiare che personale ... (pag.
138)
Rajberti, Il viaggio di un ignorante, a cura di E. Colombo,
Milano 1943
– udita l’anamnesi, indagata l’eziologia, meditato il
complesso sintomatologico..., gli prescrissi un’ampol-
la di tamarindo.
Panzini, Dizionario moderno delle parole che non si trovano
nei dizionari comuni, Milano 1950
– Anamnesi personale: consiste nel raccogliere i sintomi
della malattia: anamnesi prossima [...] anamnesi re-
mota....

– Artrosi lombare. È in Enciclopedia italiana di scienze, lette-


re ed arti, 1938.
B.: ... una eccezionale combinazione di malattie, un po’
di diabete ad esempio, o al contrario un po’ di ipo-
glicemia messa insieme con la colite spastica e in più
l’ulcera duodenale e l’artrosi lombare delle quali non è
lecito dubitare... (pag. 230).

– Auscultare. Il verbo compare per la prima volta in Panzini,


Dizionario moderno delle parole che non si trovano nei di-
zionari comuni, Milano 1905. “Auscultazione” è del 1865
Tommaseo- Bellini, Dizionario della lingua italiana, Torino
1861-1879.
B.: ... mi sdraio e lui sente il polso e poi con gli attrez-
zi adatti mi ausculta il cuore e misura la pressione ...
(pag. 148)
Borgese, Rubè , Milano 1928 pag. 171

153
– Incapace... di decidere fra il parere dei medici che
crollando il capo gli auscultavano il polmone e quello
della sua travagliata, bramosa coscienza ...
Borgese, I vivi e i morti, Milano 1927, pag. 346
– Gli s’inginocchiò accanto, auscultandolo, e presogli il
polso ne cercò invano il battito...
Tecchi, Gli egoisti, Milano 1959, pag 22
– Modo di parlare... preciso, come può essere quello di
un medico, anzi di un tisiologo, conosciuto per la fi-
nezza dell’orecchio ad auscultare, nei segreti del petto,
i segni, ancorché lievissimi, del maligno occulto assali-
tore dei polmoni.
Silone, Vino e pane, Milano 1955
– il medico rimase un po’ incerto poi andò verso di lui e
gli disse “lasciami almeno auscultare”.

– Barbiturici. Risale nella lingua italiana al 1948, Enciclope-


dia italiana di scienze, lettere ed arti, 1938.
B.: Eccomi [...] a meditare sui vari modi di togliersi la vita,
tra tutti penso che il meno complicato siano senz’altro
i barbiturici per quanto non è che in casa ho i barbituri-
ci... (pag. 140).

– Bubbone canceroso. Risale al sec. XV.


Questa espressione è presente in letteratura da antica data:
Redi, Muratori, Verri, Manzoni, Dossi, Soffici, Cecchi,
Campana ne parlano in riferimento alla peste.
B.: il cancro nelle persone anziane si sviluppa con grande
lentezza, e quindi una volta portato via l’attuale bub-
bone canceroso ... (pag. 18).
Manzoni, Promessi sposi (1840)
– s’ammalò; fu portato allo spedale; dove un bubbone
che gli si scoprì sotto un’ascella, mise... - Cap.31.16
– ci diede un’occhiata paurosa; e vide un sozzo bubbone
d’un livido paonazzo. - Cap.33.8

154
– Ogni tanto ritornava a guardare il suo bubbone; ma
voltava subito la testa dall’altra parte, - Cap.33.29
– intermittenti la maggior parte, con al più qualche pic-
col bubbone scolorito, che si curava come un fignolo
ordinario. - Cap.37.37
Belli, Sonetti
– nnun rimane statico./ Cuanno morze mi’ padre d’un
bubbone,/ Vorze fasse pagà ccrosce e vviatico. - Son.
849.10178
Rovani, Cento anni , 1859
– il ritorno di un contagio, come la peste del bubbone,
come il colera. - Libro 18, 8.4 Cagna, Alpinisti ciabattoni
– stare, altrimenti le può venire un flemone, un bubbo-
ne, o una periostite galoppante, ed allora - Febbre sa-
lutare. 92

– Calcoletto
B.: ... delle innumerevoli coliche renali dipendevano da
un calcoletto che manco si vedeva ... (pag. 170)
Redi, Opere, 9 voll. Milano 1809-11, vol. 8 pag. 335
– partorì un calcoletto grosso e due altri de’ più picco-
li179.

– Carcinoma <lat. carcinoma-atis, < gr. Καρκίνωμα ‘tumore


canceroso’ <καρκίνος ‘granchio’. Voce dotta usata da Del
Papa nel 1733; risale av. 1498 in C. Landino il lemma carci-
nomati.
B.: ... solo dovevo stare attento a non ordinare bistecche
nude o qualsiasi altra cosa che potesse far venire in
mente un carcinoma esteriorizzato (pag.32)

178
Picchi- Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna, Zanichelli,
2001.
179
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.

155
– ... siamo soltanto io e il mio cervello fuoriuscito e il
ricordo attivo del carcinoma... (pag. 265)
– ... forse neppure il padre mio col suo mostruoso carci-
noma viscerale aveva patito tanto ... (pag. 123)
G. Del Papa, Consulti medici, Roma Salvioni 1733 2 voll.
Crusca, pag. 45
– tubercoli duri dolorosi e disposti alle funeste esulce-
razioni costituenti la pessima di tutte le piaghe, quale
si è il carcinoma.
Cocchi, Dei bagni di Pisa, Milano 1824, pag. 346
– le quali poi facilmente degenerano in scirrosa solidez-
za, o in ulceroso carcinoma.
Tommaseo, Dizionario della lingua italiana, Torino 1861-
1879
– alcuni assegnarono il nome di carcinoma più special-
mente al cancro incipiente, ed altri al cancro encefa-
loideo. Così detto dalla somiglianza che ha col gran-
chio [...].
Cassola, Il taglio del bosco. Racconti lunghi e romanzi brevi,
Torino, 1959. pag. 148
– Se ti dicono “è stata una polmonite, un carcinoma”,
non per questo ti rassegni; ma è sempre meglio che
niente.

– Cardioplegia < καρδία ‘cuore’ πληγή ‘percossa’.


B.: ... sentivo capogiri e meteorismo e formicolii da cardio-
plegia ma soprattutto caldo alle lombari ... (pag. 262)

– Cistoscopia. È in Ferrio, Terminologia clinica,1899.


B.: ... tanto per facilitarmi la guarigione decise di farmi una
cistoscopia che non fu certo una faccenda divertente...
(pag.161)

– Clistere. Compare av. 1597 in G. Soderini; il lemma cristere


in Guido da Pisa all’inizio del sec. XIV.

156
B.: ... l’infermiera del reparto radiologico [...] pretende
di farmi lei un clistere, per conto mio è matta me lo
faccio da solo ... (pag. 104)
Redi, Opere, voll 9, milano 1809-11, 9° vol., pag. 32
– se si ha mai a far disordine di soverchi medicamenti, si
faccia il disordine ne’ clisteri, i quali non saranno mai
troppi.
Stuparich, Simone, Milano 1953, pag. 336
– Chi mi tirava per una manica di qua e mi faceva tasta-
re il suo polso, chi per una manica di là e mi mostrava
la lingua... “e clisteri, non t’hanno chiesto?” “no, quel-
li glieli fanno i sorveglianti”.

– Coliche renali. L’espressione è del sec. XIV. È presente in


tanti autori prima di Berto: Gozzi, Monti, Pellico, Giusti,
Verga, Deledda, Palazzeschi, etc.
B.: ... anche tutti gli altri guai dell’ematuria e dell’ope-
razione sbagliata e delle innumerevoli coliche renali
dipendevano da un calcoletto che manco si vedeva ...
(pag. 170).
Basile, Lo cunto de li cunti, Napoli, 1634-36
– la ventosità retenuta drinto a lo cuorpo genera flate e
coliche passare; - Giorn.4, tratten.9.5180
Campanella, La città del Sole - 88, 1602
– GEN.\... chiragre, né catarri, né sciatiche, né doglie co-
liche, né fiati, perché questi nascono dalla distillazione.
Pellico, Le mie prigioni, Torino, Bocca, 1832
– preso il caffè, mi vennero vomiti violenti, e coliche.
Pensai che m’avessero avvelenato. Capo 46.11
– fortemente dalle solite infermità o da infermità nuo-
ve, come coliche orrende con sintomi dolorosissimi -
Capo 83.15

180
Picchi- Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna, Zanichelli,
2001.

157
Boito, Storielle vane, Milano 1876
– mi sono accorto che il non avermi visto preso dalle
coliche aveva dato coraggio a tutti, e segnatamente al
capitano - Baciale ‘l piede, 5.3
Verga, Mastro don Gesualdo
– aprivano delle piaghe vive, dei veleni che davano delle
coliche più forti e mettevano come del rame nella boc-
ca, - Parte 4, cap.5.12
Faldella, Donna Folgore (composto tra il 1906 e il 1909),
I° ed. 1974
– in foggia di Semiramide, se non l’avessero colta coli-
che nefritiche, - Cap. 8.68
– pianto! che pianto! Nerina esce dal lavacro delle coli-
che più purgata che dalle acque del Giordano. - Cap.
8.2
Pirandello, I vecchi e i giovani, Milano, Treves, 1913
– poi... eh, poi l’aveva scontato con tremende coliche e
disturbi viscerali d’ogni genere - Parte 2,6.36
Pirandello, Una giornata, Milano, Mondadori, 1937
– e un umore che si può bene immaginare. Coliche ter-
ribili. - Una sfida. 10

– Colite spastica
B.: ... una eccezionale combinazione di malattie, un po’
di diabete ad esempio, o al contrario un po’ di ipo-
glicemia messa insieme con la colite spastica e in più
l’ulcera duodenale e l’artrosi lombare delle quali non
è lecito dubitare... (pag. 230).

– Coprofagi, coprofili. Compare la prima volta in Krafft-


Ebing, Trattato clinico pratico delle malattie mentali del
1885, trad. Tonnini- Amadei.
B.: ... tutti sappiamo che esistono al mondo i coprofili e
anzi addirittura i coprofagi però questi dicono che sia-
no matti e lasciamoli stare... (pag. 217)

158
Gadda, I viaggi. La morte, Milano 1958, pag. 286
– se io nego le tenere carezze al proteso muso di un
cane, la qual bestia notoriamente si pasce delle peg-
giori porcherie sino a grondarne dai labbri, ebbene,
io mi comporto come un egoista igienico...: la bestia
coprofagia si deterga è prima le labbra181.

– Cultura di bacilli. Troviamo bacillo ne «La Gazzetta di


Messina», 7/7/1887, C. Scavuzzo, Studi sulla lingua dei
quotidiani messinesi di fine Ottocento, Firenze, 1988. Ba-
cillare è in Gadda, 1939.
B.: ... insomma dice che vuol fare una cultura di bacilli la
quale è una cosa che non mi costa dolore perché si fa
per mezzo di conigli o cavie, ... (pag. 141)
Panzini, Sei romanzi fra due secoli, Milano 1954, pag. 577
– il vero nome dell’epidemia non si sapeva, perché il ba-
cillo [...] conservava gelosamente il suo incognito.
Emilio Cecchi, Corse al trotto e altre cose, Firenze 1952,
pag. 20
– come chi passa la vita scrutando a microscopio bacilli
e purulenze; e finisce che li trova più splendidi dei
gioielli di Salomone.
Vincenzo Cardarelli, Il cielo sulle città, Milano 1949, pag.
98
– festeggiamenti [...] in omaggio ai forestieri che non
vennero, perché spaventati dal bacillo virgola.
Faldella, Madonna di fuoco e Madonna di neve
– le muffe, le spore, i bacterii, i bacilli, i microbi, e per-
sino i micrococchi del diametro - 1.7
– innestare e poi estirpare a suo talento anche i bacilli
dell’erotismo indigeno. -1.8
– questa donna non presenta più nemmeno i bacilli tu-

181
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.

159
bercolosi negli espettorati: ingrassa a vista; - 8.15
– egli sarà pure imperatore dei bacilli, accendendo fra
essi la guerra civile con una serie - 8.94182

– Diabete <lat. tardo diabetes<gr. διαβήτης<διαβαίνω


‘passo attraverso’.
B.: ... una eccezionale combinazione di malattie, un po’
di diabete ad esempio, o al contrario un po’ di ipo-
glicemia messa insieme con la colite spastica e in più
l’ulcera duodenale e l’artrosi lombare delle quali non
è lecito dubitare... (pag. 230).
Redi, Opere 9 voll. Milano 1809-11, vol. 6 pag. 105
– le dica Vostra Signoria da parte mia che non tema
punto punto della diabete183.
Sbarbaro, Trucioli, Milano 1948 (I ed. 1920), pag. 196.
– “sì” dice “è la diabete. Ha gli occhi aperti ma non
vede...”
Levi, Cristo s’è fermato ad Eboli, Torino 1956 (I ed. 1945),
pag. 56
– era malato, mi disse subito la nuora, aveva un restrin-
gimento uretrale, e forse un po’ di diabete.
Svevo, La coscienza di Zeno, Bologna, Cappelli, 1923
– intanto, me ne andai glorioso, carico di diabete. - 8
Psico-analisi.53
– rivederlo neppure per deriderlo. Devo confessare che
il diabete fu per me una grande dolcezza. - 8 Psico-
analisi.54
– Il diabete le ha fatto molta paura? – mi domandò sor-
ridendo - 8 Psico-analisi.59
– Protestai, ma non gli dissi che ora che il diabete m’a-

182
Picchi- Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna, Zanichelli,
2001.
183
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.

160
veva abbandonato mi sentivo molto solo. - 8 Psico-
analisi.60184

– Ematuria <lat. scient. Haematuria< gr. α˜ι̉µα-ατος ‘san-


gue’ + ο˜υ̉ρον ‘orina’.
B.: ... volli restare solo coi miei soverchianti pensieri a
proposito dell’ematuria e delle sue cause metafisiche
... (pag. 100)
Alessandro Bicchierai, De’ bagni di Montecatini, Firenze
1788
– L’uso frequente di queste minugie indusse, o fu cre-
duto che inducesse, qualche lacerazione nel collo del-
la vescica, e all’ematuria sopravvenutane successero
rapidamente i segni d’infiammazione185.

– Emazie <gr. αι̉µάτιον, diminutivo di αι̉µα-ατος ‘sangue’.


Presente in Ferrio, Terminologia clinica, 1899.
B.: Il giorno dopo si sa che quel campione d’orina dall’ap-
parenza tanto innocente conteneva numerose emazie
epperciò sarebbe opportuno che facessi un buon esa-
me radiologico... (pag. 103).

– Emitorace.
B.: ... idea del suicidio, qualche volta veniva anche attra-
verso comuni dolori di pancia o semplici movimenti
di gas intestinali [...] oppure dolorini all’emitorace si-
nistro ... (pag. 161).

– Enuresi <gr. Ε̉νουρέω ‘urino dentro [il letto]’. È in Bo-


navilla, Dizionario Etimologico di tutti i vocaboli usati nelle

184
Picchi- Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna, Zanichelli,
2001.
185
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.

161
scienze, arti e mestieri, che traggono origine dal greco, 1820.
B.: ... non andavo certo al cinema o a passeggio con l’e-
nuresi che mi affliggeva, ma enuresi non è il termi-
ne esatto e infatti si trattava di un deflusso pressoché
continuo a gocce determinato dall’infiammazione
prostatica, o da un misterioso dolore come di puntura
che io sentivo all’orifizio pubico... (pag.145).

– Ernia del disco. Gli esempi parlano di ernia umbilicale


(Redi) o inguinale (Bicchierai).
B.: ... forse c’è un principio di ernia del disco o comunque
schiacciamento di cartilagini che premono sul nervo
sciatico e questo spiegherebbe anche il dolore alla
gamba ... (pag. 169)
Ramusio, L’Africa di Leone Africano, in Delle Navigationi
et viaggi, 1550-1606
– patiscono quel male o difetto che da’ Latini è detto
ernia; ma nell’Egitto molti se ne dolgono - Parte 1,
30.4186
Della Porta, La fantesca
– PAN.\... prerupto nelle parti inferne, gli è calata giù
un’ernia intestinale - At.3, sc.2.16
– PAN.\... E di più, le è discesa una ernia di sotto, che è
più tosto un mostro - At.3, sc.9.18
– NART.\... venne fuori con certe tumefazioni nella
bocca, con una ernia di sotto, che non so se Tesifone
o Megera - At.4, sc.1.29
Tassoni, La secchia rapita
– un colpo assai leggiero:/ l’altro, ch’un’ernia avea pie-
na di vento/ né potea camminar senza ‘l braghiero -
Canto 4.36
Sergardi, Satire, 1694

186
Picchi- Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna, Zanichelli,
2001.

162
– Tanai seccar tutto in un die./ Troppo gonfiossi l’ernia
contumace, / e rotti i lacci il gran braghier sdrucito -
Satira 8.346
Baretti, La frusta letteraria, Bari 1932 (pubblicata come ri-
vista fra il 1763 e il 1765)
– Quinta osservazione. Sopra un’idrocele, o ernia ac-
quosa, radicalmente guarita da una percossa. - N.9
Casi medici.8
Rovani, Cento anni , 1859
– senza fatica, ritardando con quell’impreveduto riposo
l’inevitabile ernia dei vecchi anni. - Libro 9, 7.1
– che pur bastava per assicurare e l’asma e l’ernia al loro
deplorabile avvenire. - Libro 9, 8.3
De Amicis, Cuore
– le s’era manifestata una malattia gravissima: un’ernia
intestinale strozzata. Da quindici giorni non s’alzava -
83 Dagli Apennini alle Ande.97
D’Annunzio,Trionfo della morte
– un palo, sollevava il grembiule per mostrare la sua er-
nia enorme e giallognola come una vescica di sevo.
- Libro 4,7.136

– Esame radiologico/istologico. L’esame dal punto di vista


medico compare come esame del sangue in Cicognani o
esame accurato del medico in Svevo.
B.: ... secondo lui aveva un’occlusione intestinale, anche
l’esame radiologico aveva rivelato questo fatto con as-
soluta chiarezza ... (pag.16).
– ... la paura della paura è arcana e ubiqua, sfugge sia ai
raggi che agli esami istologici ... (pag. 273).

– Eutanasia < εὐθανασία ‘morte felice’.


B.: ... pareva che gli avessi proposto di ammazzare una
persona sana, mentre in realtà gli avevo solo chiesto di
abbreviare le sofferenze di uno che in ogni caso sareb-

163
be andato all’altro mondo, ossia gli avevo suggerito
un’azione di eutanasia ... (pag. 17).
Panzini, Dizionario moderno delle parole che non si trovano
nei dizionari comuni, Milano, 1905
– ‘Eutanasia’, ‘la buona, la placida morte’ mercè l’ope-
ra medica, che con farmaci toglie la pena dell’agonia.
Grave questione se la medicina può , in ceri casi, va-
lersi dell’eutanasia!187
Montale, Farfalla di Dinard, Milano 1960, pag. 248
– Siete favorevole o contrario all’eutanasia?

– Faccenda fibrinosa
B.: ... e quello mi porta la risposta scritta che si tratta d’u-
na tenue faccenda fibrinosa a forma di ragnatela che
compare nel liquido cefalo- rachidiano... (pag. 260).

– Ghiandole riproduttive
B.: ... da collegarsi si capisce al concetto di infarto del
miocardio, oppure anche con un banale mal di testa o
dolore reumatico, o anche con certi arcani rimescolii
delle due grosse ghiandole riproduttive... (pag. 161).

– Idiosincrasia. La prima attestazione in letteratura è G. Car-


ducci, 1874.
B.: per quanto [...] non sia bello avere un padre che non
indovina i congiuntivi ma il fatto è che lui la sua idio-
sincrasia per i congiuntivi [...] tende a diffonderla il
più possibile... (pag. 338).
Moretti, Tutti i ricordi, Milano 1962, pag. 970
– ci si doveva intendere subito per tante simpatie, anti-
patie e idiosincrasie letterarie che due uomini di lette-
re hanno sovente in comune.

187
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet,1961-2002.

164
Piovene, Madame la France, Milano 1966 pag. 552
– protesta e rivolta... si riducono... a una suppurazione
di idiosincrasie e insofferenze.
Pavese, Il mestiere di vivere, Torino 1955 (I°ed. 52), pag.
192
– difetti ed idiosincrasie scoperti in chi ci è vicino, ci
tolgono l’illusione... che fossero in noi singolarità scu-
sabili perché originali.

– Infarto <lat. infartus, part. Pass. di infarcire ‘insaccare’,


comp. da in e farcire, con riferimento alla mancata circola-
zione nei tessuti. Compare in Genovesi 1769.
B.: ... dolorini all’emitorace sinistro e formicolii al brac-
cio pure sinistro da collegarsi si capisce al concetto di
infarto del miocardio... (pag. 161)
Genovesi, Lettere accademiche su la questione se siano più
felici gl’ignoranti degli scienziati, Venezia 1791, pag. 194
– Un po’ di ostruzione nel fegato o nella milza, un infar-
to ne’polmoni...
Soldati, Storie di spettri, Milano 1962, pag. 337
– sul «Messaggero», vedo la notizia della morte improv-
visa del mio amico, avvenuta per infarto il pomeriggio
del giorno prima.

– Intestino colon. Intestino compare av. 1460 in Savonarola,


De regimine.
B.: ... e precisamente il bario non superava una strozza-
tura che si era formata proprio nel punto in cui l’inte-
stino colon cambia ancora una volta direzione... (pag.
16).

– Ipoglicemia. Compare nel 1931, Enciclopedia italiana di


scienze, lettere ed arti.
B.: ... una eccezionale combinazione di malattie, un po’
di diabete ad esempio, o al contrario un po’ di ipo-

165
glicemia messa insieme con la colite spastica e in più
l’ulcera duodenale e l’artrosi lombare delle quali non
è lecito dubitare... (pag. 230).

– Laparotomia <λαπάρα ‘addome’ + τοµή ‘taglio’. Chirurg..


Prima attestazione in Lessona 1875.
B.: ... mi disse chiaro e tondo che, trattandosi di laparato-
mia, su cento probabilità ne aveva una sola, e piutto-
sto scarsa, di cavarsela (pag.20)
– ... la mia vecchia ulcera ha scavato la parete del duo-
deno fino a perforarla, sicché l’operazione chirurgica
chiamata laparatomia è urgente se non voglio rimet-
terci la vita... (pag. 115)
Panzini, Dizionario moderno delle parole che non si trovano
nei dizionari comuni, Milano 1905
– laparatomia o laparotomia, atto operatorio nell’addo-
me.
Pirandello, Novelle per un anno, con prefaz. di C. Alvaro,
vol. I Milano 1958, pag. 1029
– Esaminò a lungo, attentamente, la ferita. Forse, ten-
tata a tempo la laparatomia, ci sarebbe stata qualche
speranza di salvezza.
Marotta, San Gennaro non dice mai no, Milano 1956 (I ed. 51)
– vidi individui che avevano subito la lavanda gastrica e
individui che erano stati sottoposti alla laparatomia.

– Liquido cefalo-rachidiano. Il termine rachidiano è del 1959,


Dizionario enciclopedico italiano.
B.: ... e quello mi porta la risposta scritta che si tratta d’u-
na tenue faccenda fibrinosa a forma di ragnatela che
compare nel liquido cefalo- rachidiano... (pag. 260).

– Meningite tubercolare. Meningite compare nel 1828 Mar-


chi, Dizionario tecnico –etimologico- filologico, tubercolare
nel 1875 Rigutini- Fanfani, Vocabolario della lingua parlata.

166
Il termine meningite compare in diversi autori da Manzoni
in poi - Serao, Oriani e Pirandello- ma nello specifico “me-
ningite tubercolare” solo in Oriani.
B.: . .. e quello mi porta la risposta scritta che si tratta d’u-
na tenue faccenda fibrinosa a forma di ragnatela che
compare nel liquido cefalo- rachidiano in corso di me-
ningite tubercolare... (pag. 260)
Oriani, Opera omnia a cura di B. Mussolini, 30 voll. Bolo-
gna 1934-43, vol. 21, pag. 264
– Quella meningite basilare tubercolosa non consentiva
nemmeno di essere lenita.

– Narcosi <νάρκωσις ‘torpore’. Risale al 1821, Bonavilla,


Dizionario Etimologico di tutti i vocaboli usati nelle scienze,
arti e mestieri, che traggono origine dal greco.
B.: ... dissi al professore primario che [...] doveva farmi il
piacere se per caso all’interno avesse trovato il cancro
temuto non dico di spedire dritto l’ammalato all’altro
mondo, ma insomma di fare in modo che ci andasse
sbrigativamente, senza neanche svegliarsi dalla narcosi
(pag. 17).
Tramater, Vocabolario Universale Italiano 7 voll., Napoli
1829-40
– Narcosi: stato di stupore in cui cade l’infermo per una
condizione morbosa che ha luogo nel cervello e ne’
nervi che vi hanno origine: sopore che vien prodotto
particolarmente da certe sostanze che dirigono la loro
azione sugli organi indicati; coma la belladonna, l’aco-
nito, lo stramonio, il giusquiamo, l’oppio, il vino.
Moretti, Tutte le novelle, Milano 1959, pag. 427
– È la voce di lui, del dottore? Mimì tende gli orecchi:
“Addormentarlo con la narcosi cloroformica non si
può...”
Bernari, Le radiose giornate, Milano 1969, pag. 240
– Quando uscii dalla narcosi (mi avevano asportato tut-

167
to come sarà facile capire), le prime parole che Placi-
do mi disse riguardavano il bambino.

– Nervo sciatico < nervus ‘tendine, muscolo, corda’. Risale al


sec. XIV.
Si trova soltanto in Pirandello e Svevo.
B.: ... forse c’è un principio di ernia del disco o comun-
que schiacciamento di cartilagini che premono sul
nervo sciatico e questo spiegherebbe anche il dolore
alla gamba ... (pag. 169)
Pirandello, Novelle per un anno vol. 2, Milano 1958, pag.
1144
– Quell’imprecazione... è rivolta al nervo sciatico, che
non vuole di quei riscaldamenti.
Svevo, La coscienza di Zeno, Bologna, Cappelli, 1923
– s’ostinò per lungo tempo ad attaccare il mio nervo
sciatico coi suoi vescicanti e finì coll’essere beffato - 5
Matrimonio.510
– alla coppa, lungi perciò da ogni connessione col nervo
sciatico. Il cerusico s’arrabbiò e mi mise alla porta - 5
Matrimonio.510188

– Occlusione intestinale
B.: ... secondo lui aveva un’occlusione intestinale, anche
l’esame radiologico aveva rivelato questo fatto con as-
soluta chiarezza ... (pag. 16).
Fogazzaro, Lettere scelte, a cura di T. Gallarati- Scotti, Mi-
lano 1940, pag. 591
– Il primo fenomeno grave fu l’occlusione intestinale189.

188
Picchi- Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna, Zanichelli,
2001.
189
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario del-
la Lingua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.

168
– Parto eutocico
B.: ... lei spendeva oltre duecentotrentamilalire per met-
tere al mondo una figlia con un normalissimo parto
eutocico... (pag. 195).

– Perforazione intestinale
B.: ... se ne va via dritto lasciandomi il suo aiuto a spiega-
re che i sintomi erano tutti per una perforazione inte-
stinale e che pertanto era loro dovere tagliare d’urgen-
za... (pag.127)
Michele Lessona, Dizionario universale di scienze, lettere
ed arti, 2 voll. Milano 1874-75, suppl. 1883. pag. 1108
– Perforazione: apertura accidentale nella continuità de-
gli organi, prodotta da una lesione esterna o risultante
da una malattia interna.
Anna Banti, Le mosche d’oro, Milano 1962, pag. 361
– Intanto l’Anita aveva preso a raccontare quel che era
successo, peritonite fulminante, perforazione intesti-
nale.
Levi, Cristo s’è fermato ad Eboli, Torino 1963, pag. 198
– era una peritonite con perforazione, il malato era or-
mai in agonia.

– Peritonite. La prima attestazione è del 1819, F. E. Acerbi.


B.: ... questo petulante e saccente anestesista che si gusta
il trionfo d’aver fatto per primo la giusta diagnosi di
peritonite ... (pag. 118)
Tramater, Vocabolario Universale Italiano 7 voll., Napoli
1829-40
– Peritonite: infiammazione del peritoneo.
Oriani, Opera omnia, a cura di B. Mussolini, 30 voll. Bolo-
gna 1934-43, vol. 22, pag. 143
– forse la malattia covava da molto tempo, ma quell’o-
locausto era bastato a determinare l’esplosione con una
peritonite rapida e violenta.

169
Anna Banti, Le mosche d’oro, Milano 1962, pag. 361
– Intanto l’Anita aveva preso a raccontare quel che era
successo, peritonite fulminante, perforazione intesti-
nale.
Levi, Cristo s’è fermato ad Eboli, Torino 1963, pag. 198
– era una peritonite con perforazione, il malato era or-
mai in agonia.

– Radioscopia. La prima attestazione è in Pennato, Sulla ra-


dioscopia del diaframma, 1901.
B.: ... ora provano a luci spente con la radioscopia per ve-
dere se quella sostanza opaca è già arrivata ai reni ...
(pag. 104)
Cicognani, Strada facendo, Firenze 1943 (I° ed. 1930), pag.
114
– radioscopie, radiografie, esami del sangue, altri esami,
consulti; e tutti avevan saputo, tutti sapevano.
Stuparich, Donne nella vita di Stefano Premuda, Milano
1949 (I° ed. 1932), pag. 465
– con cruda oggettività gli descrisse la radioscopia a cui
aveva assistito.
Vittorini, Diario in pubblico, Milano 1957, pag. 369
– vediamo, a una radioscopia, il bario percorrere i visce-
ri che vuol rivelarci.
Gozzano, I colloqui, 1911
– cacciare la malinconia;/ e se permette faremo qualche
radioscopia...»/- 10 Alle soglie.14

– Ragadi. La prima attestazione è del sec. XV, Libro di Sera-


pione.
B.: ... dice che ha avuto anche quaranta di febbre e dolori
fortissimi specie ad allattare perché le sono venute le
ragadi ai capezzoli... (pag. 203)
Giovanni Andrea Dalla Croce, Chirurgia universale e per-
fetta in VII libri, Venezia 1583, vol.3, pag. 36

170
– le pupille delle mammelle per l’acutezza del latte ov-
vero per morso dell’infante sono molestate da fessure
dette da’ greci ragade.

– Rene mobile. Rene è av. 1698, Redi.


B.: ...significa che io ho un rene mobile [...] la faccenda
del sangue nelle orine si spiega precisamente pensan-
do che il rene mobile abbassandosi schiaccia una ve-
nuzza che accompagna l’uretere ... (pag. 106)
Panzini, Dizionario moderno delle parole che non si trovano
nei dizionari comuni, pag. 411
– rene mobile è quella malattia nella quale il rene ha per-
duto la sua stabilità nelle sede normale ed è suscettibi-
le di spostamenti più o meno notevoli.

– Reni e ureteri. Entrambi i vocaboli sono av. 1698, Redi.


B.: ...mi hanno iniettato nelle vene chissà che cosa per
rendere opache le orine e seguirne il passaggio attra-
verso i reni e gli ureteri ... (pag.104)
Baretti, La frusta letteraria, Bari 1932 (pubblicata come ri-
vista fra il 1763 e il 1765)
– materia seminale, perché allora si distinguono più fa-
cilmente dagli ureteri che conducono l’orina da’ reni
nella vescica, e - N. 7 Dell’agricoltura di Zanon.15
– Quando gl’intestini sono così allontanati si veggono
comparire gli ureteri, piccioli vasi, come dicemmo -
N. 7 Dell’agricoltura di Zanon.16190

– Resecare
Nel senso di “resecare il tumore” non è comune e in let-
teratura non si trovano esempi. Il filosofo Campanella
ricorre a questo verbo nel momento in cui costruisce un

190
Picchi- Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna, Za-
nichelli, 2001.

171
paragone fra la Repubblica e un corpo umano.
B.: ... quanto al tumore propriamente detto lui domani o
dopo l’avrebbe resecato... (pag. 49)
Campanella, La città del sole
– GEN.\... plachi l’ira sua, dolendosi che sian venuti a
resecare un membro infetto dal corpo della republica;
- 94

– Schiacciamento di cartilagini.
Nell’accezione di riduzione di spessore o deformazione
di un tessuto muscolare, osseo, etc in seguito a una lunga
pressione o a un trauma violento in letteratura compare
solo l’es. di Berto:
B.: ... forse c’è un principio di ernia del disco o comun-
que schiacciamento di cartilagini che premono sul ner-
vo sciatico... (pag. 169).

– Sifilide. La prima attestazione è del 1698, Redi.


B.: ... e io l’avrei presa lì sull’erba ma sapevo che aveva il
sangue malato me l’aveva detto il medico che aveva la
sifilide e non s’era curata bene ... (pag. 374)
Dossi, La desinenza in A, 1868
– a dieci centèsimi la dispensa e i gazzettieri che colla
sifìlide cristallina alle labbra sermònano di pudicizia -
Margine.17

– Streptomicina. Compare nel 1950 in Migliorini, Appendice


al “Dizionario Moderno” in Panzini, Dizionario Moderno
delle parole che non si trovano nei dizionari comuni, Milano
1905
B.: ... non è che ho voglia di farmi bucare il sedere per
la streptomicina se ormai ho deciso di ammazzarmi...
(pag. 142).

– Tachicardia. Compare in Pisani, Della tachicardia strumosa


esoftalmica, 1891.

172
B.: ... la paura della paura è arcana e ubiqua, sfugge sia
ai raggi che agli esami istologici sicché nessuno al di
fuori può capire se ci sia o non ci sia fino a che non si
scarica in manifestazioni anche troppo evidenti come
pallore o tachicardia o diarrea ... (pag. 273).

– Tubercolosi renale. Tubercolosi è del 1849, Parola Della tu-


bercolosi in genere; renale è del 1460 Savonarola, De regi-
mine.
B.: ... Forse una tubercolosi renale non è una cosa così tra-
gica come parve a me sul momento quando il lumina-
re me ne diede notizia ... (pag. 138)
Verga, Tigre reale, Milano, Brigola, 1875
– muore, mio caro, quando non è accompagnata dalla
tubercolosi o dal tifo. - Tu parli da medico - Cap. 12.9
Faldella, Madonna di fuoco e Madonna di neve, Milano,
Brigola, 1888
– ... questa donna non presenta più nemmeno i bacilli
tubercolosi negli espettorati: ingrassa a vista- 8.15
Corazzini, Poesie, L'amaro calice, 1905
– tregua, dietro i vetri lacrimosi/ tiene i lividi tuoi tuber-
colosi/ un desiderio di convalescenza. - Toblack.35
Tozzi, Il podere, Milano, Treves, 1921
– aveva le mani e i piedi fasciati, con la tubercolosi alle
ossa; un visuccio come la cera strutta - Cap. 18.41
Svevo, La coscienza di Zeno, Bologna, Cappelli, 1923
– al ricambio ed ora alla circolazione difettosa, poi alla
tubercolosi o a varie infezioni di cui qualcuna vergo-
gnosa. - 5 Matrimonio.509
D’Annunzio, Pagine del Libro segreto
– e facevo esercizio d’allacciar vene in cadaveri di tuber-
colosi. Quella volta segai con arte il cranio dell’ucciso
- Pagine, [169].2

173
– Tumore maligno
Tantissime sono le occorrenze in letteratura cominciando
da Cecco d’Ascoli e Colonna a Vico, Baretti, Pellico, Man-
zoni, Leopardi, Verga, De Roberto, Zena, Fucini, Piran-
dello, D’Annunzio.
B.: ... poteva anche essere un tumore magari maligno, os-
sia un cancro ... (pag. 16).

– Ulcera al duodeno /perforata. L’espressione ulcera duodena-


le compare nel 1961 Dizionario Enciclopedico Italiano. Di
ulcera parlano Vico, Baffo, Boito, Carducci, D’Annunzio.
B.: ... avevo paura di vomitare, e magari vomitare sangue
per via dell’ulcera al duodeno che mi faceva male e
male ... (pag. 47)
– ... occorre un certo ridimensionamento come quando
una decina d’anni fa mi trovarono l’ulcera al duodeno,
i primi tempi ero nero dalla mattina alla sera ... (pag.
106)
– ... un po’ di ipoglicemia messa insieme con la colite
spastica e in più l’ulcera duodenale e l’artrosi lombare
delle quali non è lecito dubitare... (pag. 230)
– ... chissà mai cos’avrò d’interessante non è che un’ul-
cera perforata il resto lo so soltanto io che conosco l’in-
tensità di questi dolori spaventosi e i conti da regolare
col padre... (pag. 119).
Boito, Il demonio muto
– E pure quel punto, quella piccola ulcera venefica un
po’ alla volta s’allarga, si estende -3.27.
Carducci, Intermezzo, 1874-87
– Fiutate qua, canaglia vigorosa,/ Quest’ulcera che pute.
-/ Così urla, al mattin scialbo -.192.
D’Annunzio, Novelle della Pescara, Milano, Treves, 1902
– se non che nella spalla, ov’era un’ulcera, si produsse
un lieve tremolìo - Vergine Anna, 4.3
Il piacere, Milano, Treves, 1889

174
– di significazioni inaspettate. Gli scopriva nella segreta
anima un’ulcera ancor viva sebben nascosta e glie la
faceva sanguinare; - Libro 2,1.14
La nave, Milano, Treves, 1908
– PRIG.\... La peste/ dall’anguinaia lo colga! - Sia tut-
to/ ulcera e piaga colante! - Perisca/ attossicato dalla
concubina! - 1° Episodio.1
Il trionfo della morte Milano, Treves, 1894
– Ciascuna aveva in patrimonio la sua ulcera da coltiva-
re perché rendesse. - Libro 4,7.134 .

Passando all’area propria della psicologia e psicanalisi


sono molte le parole che conoscono il proprio battesimo lette-
rario con Il male oscuro, o più esattamente con Berto. Sì, perché
alcuni termini fanno la loro comparsa tramite la penna dell’au-
tore in uno scritto precedente al romanzo e da cui ha avuto ori-
gine il volume in questione come l’autore stesso scrisse al prof.
Pullini: “il romanzo che ho pronto e che incontra non poche
difficoltà sulla strada della case editrici è, in verità, filiazione
del racconto Esaurimento nervoso”191. È un racconto contenuto
nella raccolta Un po’ di successo del 1963192.
La stesura di alcuni di questi racconti risaliva al periodo
della prigionia in Texas e quindi rappresentano l’inizio della
sua attività di scrittore; Esaurimento nervoso, invece, è tra gli
ultimi in ordine cronologico ad essere elaborato prima della
stesura del volume.
L’autore fu incoraggiato alla pubblicazione di essi dall’edi-

191
La lettera datata Roma 14 maggio 1963 è stata pubblicata in Ginetta
Auzzas- Manlio Pastore Stocchi, Ventitré aneddoti, Padova, Neri Pozza,
1980.
192
Il titolo della raccolta è tratto da una frase che Corrado Alvaro rivolse
in una lettera all’editore Bompiani “come vede, ho bisogno di un po’ di
successo” e che Berto ha fatto propria poiché esprimeva la sua necessità
economica ed anche umana. Giuseppe Berto, Un po’ di successo, Milano,
Longanesi, 1963.

175
tore Longanesi193 che intendeva spronarlo a superare la malat-
tia in cui Berto già viveva. Esaurimento nervoso è stato scritto
nel momento in cui lo scrittore analizzava con occhio attento e
sguardo dritto e aperto il volto del “male oscuro” che non lo la-
sciava in pace. Il brano ha differenti espedienti letterari rispetto
al romanzo successivo. La punteggiatura è regolare, compreso
l’uso delle virgolette, dei trattini, dei puntini di sospensione; è
presente persino l’asterismo: carattere tipografico che sappia-
mo essere raro nei romanzi e che nella lettura è considerato
un simbolo di pausa equivalente a un punto fermo. Il racconto
aspira all’inizio ai toni di un trattato per poi trasformarsi in nar-
razione in prima persona che sin dall’incipit chiama in causa
i lettori: “vi sarete accorti che al giorno d’oggi non si fa che
parlare di esaurimento nervoso” (pag. 287).
L’autore viene subito al nocciolo della questione ragionan-
do coi lettori sulla definizione psichica di tale malattia. È un
incipit tecnico da cui si distanzia nel corso della narrazione sol-
tanto per riferire esempi della propria esperienza e far ricorso
all’immancabile ironia. Argomenta sulla terminologia scientifi-
ca e sulle credenze popolari in merito con la licenza di dubbio
che compare più volte anche nel romanzo. Così, leggiamo che
“esaurimento nervoso” è soltanto una “definizione assoluta-
mente impropria, illegittima [...] disprezzata dalla psicopatolo-
gia seria”. E allora, definizioni appropriate sono “psiconevrosi
nevrastenica o nevrosi da angoscia”.
È in queste pagine che appaiono i fastidi fisici dell’ema-
turia, del rene mobile, dell’ulcera al duodeno, calcoli e coliche
renali e i tumori maligni o cancri. Fanno la loro comparsa an-
che i termini ipocondria, inconscio e subconscio, libido, sper-
sonalizzazione, complesso di colpa, psicopatologia. Insomma,
sono parole che all’epoca si trovavano esclusivamente nei trat-
tati di psicologia, nelle opere di Freud e dei suoi discepoli o

193
Vedi la testimonianza di Mario Monti nel programma documentario
RAI di C. Montanari Raccontare l’uomo.

176
studiosi critici. Ecco, la novità apportata da Berto nell’ambito
del lessico speciale, fatto di tecnicismi insoliti, anzi innovativi,
per la letteratura. Anche il Grande Dizionario della Lingua Ita-
liana per alcuni termini riporta solo l’esempio di Berto, per altri
aggiunge Musatti che è riconosciuto come il fondatore della
psicoanalisi italiana e che scrisse anche un saggio sul rapporto
di Svevo con la psicoanalisi.
Ne Il male oscuro vengono utilizzate in modo appropriato,
cioè secondo il loro significato scientifico, parole-chiave della
dottrina freudiana, corredate spesso da didascalie letterarie e
ortodosse. In ogni caso, l’autore propone il bagaglio tecnico
della cura psicoanalitica con attenzione e prudenza, pur se non
fa discrimine fra psicoanalisi e psicologia analitica (ad esempio,
istinto e pulsione sembrano essere la stessa cosa194).
Nel romanzo sono tante le parti nelle quali l’autore de-
scrive il fenomeno psichico o il termine di riferimento usato;
ci sono sezioni della narrazione nelle quali Berto spiega la dif-
ferenza fra un analista junghiano e un freudiano, parla dell’e-
sistenza delle scuole svizzera, viennese, inglese o americana,
etc. Il carattere esplicativo adottato dal narratore in più punti
necessita del ricorso alla terminologia specifica della scienza
che governa la malattia del protagonista. Comunque, ci sono
dei vocaboli che precedenti autori avevano utilizzato nelle loro
opere; troviamo il termine libido già parecchi secoli prima in
Sacchetti. Di seguito vediamo in ordine alfabetico le voci della
psicologia incontrate nelle pagine de Il male oscuro.

– Abbandonismo
B.: ... mia moglie, oltre che incompetente in fatto di psi-
coanalisi, era molto innamorata di me, o così sembra-
va, e in realtà era possessiva, egocentrica e abbandoni-
ca, come ben mi spiegava il medico ... (pag. 9).

194
Berto, uno scrittore dall’impegno al disimpegno, in «Quaderni Calabre-
si», n. 3, maggio 1968.

177
– Associazioni
B.: ... il medico alle mie spalle [...] smetteva di giocare
con le chiavi e faceva domande una dietro l’altra, vo-
leva sapere questo e quello ossia le associazioni come
si dice ... (pagg. 60-61).

– Desideri edipici / Situazione edipica


B.: ... l’Io è rimasto ancorato a certi pregiudizi sessuo-
fobici o ha dovuto rimuovere chissà quali mostruosi
desideri edipici ... (pag. 348)
– ... quando ad esempio si trattò di superare la situa-
zione edipica e cioè quando venne a cessare l’amore
sviscerato per la madre ... (pag. 392).

– Energia orgonica >org(asmo)+(orm)one


B.: ... e in verità sebbene sia stata lei a darmi sia pure in
un sottoscala puzzolente di spazzature un’idea dell’e-
nergia orgonica universale e in altre parole del sesso io
tiro a collocarla più che posso nella sfera spirituale ...
(pag.336)
– ... ci sono da tenere presenti le connessioni con il tor-
bido Es nel senso che la libido o energia orgonica come
altri la chiama può anche sublimarsi ... (pag. 390).

– Es, Io, Super-Io


Riportiamo qui soltanto il passo in cui il protagonista per
la prima volta nomina queste realtà dell’essere e fornisce
la spiegazione ai lettori profani; nel corso della narrazione
fa continuo riferimento a queste tre sezioni della persona.
B.: ... dovrei mettermi in testa alcune verità per quanto ab-
bastanza complicate a proposito della formazione psi-
chica di ognuno secondo le quali noi siamo composti
da tre parti, una delle quali si chiama Es parola ostro-
gota che significa Ciò e sarebbe un groviglio piuttosto
putrido di istinti che giace diffusamente nel nostro es-

178
sere e ci porterebbe ad azioni indecorose e delittuose
e in genere asociali o antisociali e nonostante questo
è un prezioso serbatoio di impulsi ed energie, e vi sa-
rebbe poi la seconda parte che si chiama Io costituito
per quanto ne capisco da una specie di compromesso
tra il precedente Es e il mondo reale, ossia sarebbe ciò
che si fa e ciò che si pensa la porzione più evidente
dell’anima nostra quella che ci dà il senso di esistere
in rapporto ai fatti e ai problemi, e vi è infine la terza
parte sulla quale io devo mettere grandissima atten-
zione inquantoché è proprio quella che mi ha bugge-
rato, e questa parte si chiama Super- Io [...] una parte
di me che sta sopra di me e mi spia e normalmente si
diverte a sfottermi quando faccio qualcosa di impe-
gnativo... (pagg. 304-305).

– Libido. Compare nel 1925 «La Civiltà Cattolica», I, 34.


B.: ... sessualità [...] rivelatasi per la prima volta almeno
come oggettivazione della libido ... (pag. 337)
Sacchetti, Il libro delle rime
– Costei, ardendo nelle sue travaglie/ e tutta essendo in
libido disposta,/ col suo figliuol congiunse queste ma-
glie/ - 198.41
Bartolini, Il cane scontento, Roma 1942, pag. 241
– v’è da dire che non brillasse, negli occhi della Anna, se
non astuzia e veleno. Il veleno della nascosta libido195.

– Pansessualismo
A tale voce il Dizionario specifica che il termine fu usato
solo dai critici di Freud.
B.: ... una volta che si è giunti alla decisione psicanalitica
si è fatto solo il primo passo perché subito dopo biso-

195
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.

179
gna prendere altre decisioni particolareggiate, ossia se
è preferibile [...] un freudiano che propende piuttosto
per il pansessualismo... (pag. 279).

– Pletorico. Il lemma plectorico risale al 1480- 1493 Guy de


Chauliac, plettorico al 1574 Della Croce.
B.: ... secondo lui questa mia tendenza a fabbricarmi le
disgrazie da solo risale come al solito a mio padre
principale artefice di un Super-Io che potremmo defi-
nire pletorico tanto per trattarlo bene... (pag. 353)
– ... in questo paio d’anni di cura psicanalitica siamo ri-
usciti a metterlo un po’ a posto il mio pletorico Super-
Io... (pag. 389).

– Psiconevrotici/ psicopatici. Psiconeurosi compare nel 1880,


Seppilli, Rivista sperimentale di feniatria e medicina legale.
Psicopatico è del 1855, Krafft- Ebing, Trattato clinico prati-
co delle malattie mentali del 1885, trad. Tonnini- Amadei.
B.: ... mi viene perfino da invidiare gli psicopatici che a
differenza degli psiconevrotici non hanno gravami di
rapporti con la realtà ... (pag. 397)
Musatti, Trattato di psicanalisi, 2 voll, Torino 1949, pag. 79
– da un lato lo psiconevrotico è un individuo minorato,
su cui esercitano più facilmente un’azione patogena
... quelle anomalie della vita sessuale che altri soggetti
invece sopportano senza danno.
Moretti, Tutte le novelle, Milano 1959, pag. 736
– anche lo studente di medicina s’alzò, sbatacchiò la
porta e mugolò dietro la soglia qualcosa come ‘psico-
patico’ e ‘degenerato’.
Gadda, L’incendio di via Keplero in Accoppiamenti giudi-
ziosi, 1963, Garzanti Libri
– tu conosci la mia natura debole, ‘eretistica’ come dice
il mio medico, cioè facile ai drizzamenti e abbattimen-
ti eccessivi, psicopatica, chiromantica, demografica.

180
Ottieri, L’irrealtà quotidiana, Milano 1966, pag. 148
– conosco ogni bellezza, ogni tranello dell’utopia...
Come reificazione essa è l’alibi di un tipo psiconevro-
tico e socionevrotico, un tipo che non vive, ma vive in
attesa della vita, sta al di qua di un fossato, profondis-
simo e più largo di un passo, non tanto più di un salto
spericolato.

– Psicoplegici
B.: ... io penso non è che se la piglierebbe tanto alla legge-
ra se mi ammazzassi per causa sua, meglio comunque
se mi prendo un altro paio di psicoplegici così m’ad-
dormento ... (pag. 403)
D’Agata, Il circolo Otes, Milano 1966, pag. 182
– sono affezionato al mio psicoplegico quotidiano.

– Ricognizione critica del passato


B.: ... e meno male che dalla ricognizione critica del pas-
sato operata per mezzo dell’analisi l’Io è venuto fuori
alquanto riattivato e rinforzato ... (pag. 392)

– Sadismo 1892, Archivio di psichiatria, XIII, 257


B.: ... per conto mio la condotta sua e degli altri sanitari
e non parliamo poi delle suore cosiddette infermiere
sconfinava con il sadismo, ossia con una patologica
voluttà di far soffrire il prossimo ... (pag. 36)

– Sadomasochistico
B.: ... le mie drammatiche defecazioni sono manifestazio-
ni sadomasochistiche, combinazione rilevante in me
una carica sadica ... (pag. 353)
Moravia, Opere 1927-1947
– immagino per un inconscio impulso di punizione sa-
domasochistica.

181
– Sessuofobico
Il termine fu usato per la prima volta da Berto e ripreso da
Calvino in un articolo del Caffè.
B.: ... insisto sul rapporto sessuofobico col padre mio ...
(pag. 337)
– ... il mio Super-Io [...] ha pensato bene di non seguire
l’Io nella sua diciamo pure tardiva evoluzione sessua-
le, è rimasto ancorato a certi pregiudizi sessuofobici ...
(pag. 348)
Calvino, Il caffè politico e letterario, 429
– la rappresentazione dei rapporti sessuali più tipica –
penso soprattutto ai romanzi americani degli ultimi
anni- è su un registro di anticlimax, in cui gli elementi
di ripugnanza e della desolazione e quelli grottesco-
caricaturali sono così forti da richiamare alla memoria
la tradizione sessuofobia della predicazione ecclesia-
stica e le visioni erotico-mostruose delle tentazioni dei
Santi.

– Stasi psichica
B.: ... se non è proprio malattia sono quei lunghi periodi
di pavidità e stasi psichica che potrebbero essere an-
che scambiati per pigrizia ... (pag. 391).

– Stato di fluttuazione
B.: ... non si trattava di sospetti continui, sebbene per con-
verso non tanto eccezionali, che mi venivano quando
mi trovavo nello stato di fluttuazione ... (pag. 65).

– Tipi libidinosi
B.: ... e inoltre è chiaro che dei tre tipi libidinosi escogitati
da Freud io appartengo al tipo coattivo dove predomi-
na il Super-Io che staccandosi dall’Io genera nell’indi-
viduo un’alta tensione con proclività a fregarsene del
mondo esterno ma con spiccata dipendenza interiore

182
e paura della propria coscienza [...] a differenza del
tipo erotico dove prevale l’Es e del tipo narcisistico
dove si capisce prevale l’Io ... (pagg. 389 -390).

– Transfert 1927, O. Pfister, Pedagogia e psicoanalisi, Napoli,


pag. 131.
B.: ... e per quanto all’inizio i segreti bisogni mi fossero
poco chiari, il fenomeno del transfert fu precisamente
la prima faccenda ad andare in porto... (pag. 6)
– ... è anche naturale che io questo medico nel quale ho
operato un transfert eccezionale trasformandolo in un
padre come si deve ora faccia molta fatica a lasciarlo...
(pag. 393).

IX. Neologismi

Berto è autore anche di neologismi; nel romanzo in esa-


me troviamo vocaboli nuovi per indicare oggetti o azioni già
comunemente definiti dalla nostra lingua. Questo esclude che
dietro la scelta dello scrittore ci sia la necessità, per mancanza di
alternative, del ricorso all’uso di termini di sua introduzione. Si
tratta, dunque, di neologismi lessicali sorti per puro gusto di no-
vità dell’autore o al fine di accentuare il significato dell’elemen-
to da esprimere. È il caso del verbo “involtolarsi”: chiaramente
costruito su “involto”, aggettivo di lessico letterario presente in
Dante, e “avvoltolarsi” in uso dal 1861 come intensivo di avvol-
gersi. Evidentemente, sembrò a Berto che “involtolarsi” rendes-
se di più, definisse con maggiore precisione l’atto e contribuisse
meglio alla creazione dell’immagine mentale dell’azione nel let-
tore. È un’azione sempre riferita all’ambito metaforico: con tale
verbo Berto si riferisce all’agitarsi dell’uomo, non essere fisico
ma essere spirituale, nel male morale costituito dalle colpe com-
messe o supposte. Così leggiamo in due passi:

183
– ... in questa maniera avrei avuto agio di involtolarmi fino
alla fine in un inesauribile senso di colpa... (pag. 93);
– ... capisco che vado senza rimedio incontro alla disgrazia
di farmi mettere dentro [...] , e questo un po’ per attra-
zione delle note profezie paterne, e un po’ per un proces-
so psichico tipico del perseguitato dalla sfortuna il quale
normalmente sembra essere uno che ha l’inconscio pieno
di senso di colpa sicché si involtola nell’angoscia ... (pag.
354).
Nel caso di neologismi riferiti ad oggetti, compare la paro-
la “rotolante” per indicare il serramento di chiusura di un pub-
blico esercizio commerciale. Anziché ricorrere al comune voca-
bolo “saracinesca”, Berto scrive “rotolante”. Non si riscontra il
termine come regionalismo o dialettismo veneto, quindi anche
in questo caso siamo davanti a un vocabolo di conio bertiano.
D’altronde, “rotolante” comunica efficacemente l’idea dello
strumento in questione dirigendo subito l’immaginazione sulla
lamiera che si arrotola attorno al suo rullo:
– ... si chiudeva la bottega, spente le luci della vetrina e tirato
giù il rotolante si andava a casa... (pag. 78).
Altro esempio di neologismo è l’aggettivo “scamuffa”:
– ... sono dolori tremendi, però in sostanza si tratta d’una
sciocchezza, peccato che m’avessero tagliata la pancia al-
trimenti lui [...] avrebbe rimesso tutto a posto, comunque
adesso visto che questa è una clinica scamuffa dove non
sanno neanche dove sono i letti snodabili si farà dare un
paio di pedane o supporti di legno da collocare sotto i pie-
di del letto... (pag. 131).
È chiaro che il significato del termine è “falsa”, ovvero lo
scrittore vuol rendere il concetto di una struttura sanitaria ca-
rente di servizi. È facile dedurre che l’aggettivo provenga dal
verbo “camuffare” ma non con l’accezione di nascondere il
proprio aspetto, piuttosto di apparire in un aspetto diverso da
quello reale traendo in inganno.
In questo ambito segnaliamo anche un vocabolo di natura

184
semantica nuova, è la risemantizzazione del verbo “toccheggia-
re”. Nella lingua italiana definisce il rintocco delle campane,
nel romanzo di Berto è sinonimo di “palpare” ma esso confe-
risce in più l’intervallo frequente dell’azione scelta, palpare a
piccoli tocchi ripetuti:
– ... m’ha fatto fare quella levataccia come se il bambino le
scappasse sotto, e chissà invece quanto la tirerà in lungo in
quella clinica salotto col ginecologo alla moda che ci prova
gusto a toccheggiare le moglie altrui ... (pag. 177).
In letteratura è usato con significato differente da quello
canonico soltanto da Batacchi nel1791 con allusione oscena.

X. Riferimenti letterari

Berto è uomo colto, conosce la tradizione letteraria della


sua nazione e anche del panorama internazionale. Lo dimostra
nel romanzo in questione senza parlare con alterigia delle sue
conoscenze, al contrario esse vengono rivelate dal personaggio
protagonista in modo del tutto naturale e casuale. Come fareb-
be un uomo qualunque che ha frequentato gli studi o sempli-
cemente letto romanzi, soprattutto i classici della letteratura,
il personaggio de Il male oscuro cita frasi di capolavori famosi
come I Promessi Sposi o versi di poesie come La cavalla storna
di Pascoli. Insomma, il repertorio citato va dagli autori letti sui
banchi di scuola come Cervantes e Foscolo del carmen Dei se-
polcri agli autori contemporanei come Hemingway.
Fra i primi un posto importante nella memoria dell’autore
è riservato ad Arnaldo Fusinato:
– ... le poesie del Fusinato erano proprio belle e non per
niente mio padre le aveva comprate anche se costavano
tanti soldi, però lui non leggeva mai, leggeva mia madre
e aveva una voce meravigliosa nel leggere Lo studente di
Padova, o Sul ponte sventola bandiera bianca, o un’altra
poesia che era la più bella di tutte e parlava di un cavaliere

185
povero che andava a far la guerra lontano contro gli infe-
deli, ma prima passava sotto il verone della principessa di
cui era innamorato e dopo averla salutata partiva e non
tornava più perché moriva in guerra... (pag. 81).

Poeta del Risorgimento, era centrale nello studio scolasti-


co; obbligatorio imparare a memoria e recitare le sue poesie
fino al 1968196.
Il ricordo poetico dell’età infantile-adolescenziale può
essere attraente e ridestare sentimenti positivi, emozioni forti
come il desiderio di morire per la donna amata (la madre) su-
scitato dalla poesia appena nomata; oppure, il ricordo di versi
che un tempo esercitavano fascino sul bambino, adesso nel ri-
cordo dell’adulto causano paura: sembra capovolgersi la situa-
zione emozionale legata al fatto e all’età. È il caso della poesia
di Carducci Miramare:
“Tra boschi immani d’agavi non mai
mobili ad aura di benigno vento,
sta ne la sua piramide, vampante
livide fiamme
per la tenèbra tropicale, il dio
Huitzilopotli, che il tuo sangue fiuta,
e navigando il pelago co ‘l guardo
ulula – Vieni”.

L’immagine del dio Huitzilopotli torna alla mente del pro-


tagonista durante il ricovero in ospedale:
“... quei due funesti becchini mi hanno portato con intero
il mio dolore a questo prematuro appuntamento cogli an-
tenati, ecco che mi viene in mente il dio Huitzilopotli che
il tuo sangue fiuta e per quanto poco bella mi sembri al
196
In seguito, fu discrezione della maestra inserire lo studio della produ-
zione poetica dello scrittore veneziano nella programmazione didattica.
Ma ancora negli anni Ottanta c’erano insegnanti che perseguivano questo
progetto.

186
momento la poesia che tanto mi piaceva da ragazzo qui c’è
qualcuno che sta fiutando il mio sangue, e io non ho altra
difesa da opporre a un simile disastro se non il mite deside-
rio che almeno facciano presto” (pagg. 120-121).

Altre citazioni di autori sono ironiche, è il caso di Zefiro


torna, e ‘l bel tempo rimena di Petrarca: “il medico di casa come
sempre quando zefiro torna se ne va ad impinguarsi col fegato
malsano di attempate signore” (pag. 296); e ancora Molière:
“certo non è che io me ne intenda molto di queste faccende
anzi per meglio dire la mia conoscenza non va oltre il generico
ricordo di un titolo di una commedia intitolata appunto Le ma-
lade immaginaire [...] la cosiddetta scienza medica bene o male
di strada deve averne fatta da Molière in poi ...” (pag. 133).
Chiama in soccorso l’insegnamento lucreziano dell’imper-
turbabilità degli dei per convincersi che se gli dei si disinteres-
sano degli uomini, figuriamoci se i defunti (nella fattispecie, il
padre) possono interagire coi viventi, loro che stanno peggio
degli dei (vedi pag. 223)! Altri autori classici citati sono Cicero-
ne e Orazio, quest’ultimo imitato nell’opera di “limare indefes-
samente il già scritto” (pag. 211).
Sono presenti anche scrittori che il protagonista ha dovuto
leggere e studiare esclusivamente per lavoro di sceneggiatore
e in un caso precisa che non avrebbe altrimenti mai letto per
scelta propria:
– si tratta in verità del giustamente famoso drammone
di Gabriele D’annunzio intitolato La figlia di Jorio
e sinceramente a me non dispiace che il produttore
pensi di fare un film... (pag. 271);
– ora mi tocca sceneggiare il Conte di Montecristo che
avevo sempre sentito nominare e non avevo mai letto
e ora finalmente colmo questa lacuna rimanendone
tutto sommato deluso, anzi mi meraviglio che un tipo
in fondo ricercato come James Joyce se non mi sbaglio
lo trovasse apprezzabile [...] se quello non mi avesse

187
dato la sceneggiatura da fare io questo Conte di Mon-
tecristo non l’avrei letto né a quaranta né mai, anzi a
pensarci bene avrei potuto far a meno di leggerlo pur
dovendo scrivere la sceneggiatura ... (pag. 190).

Gli autori modello per il personaggio scrittore del roman-


zo sono: Dante, Carlo Levi, Musil e Svevo autori di “capolavo-
ri” (pag. 356). E su questo punto possiamo bene affermare che
i gusti del personaggio narratore coincidono con quelli dell’au-
tore. Si va dal sommo scrittore della nostra letteratura “persona
che stimo parecchio” (pag. 265) il quale perde tenore solo se
paragonato “a una galassia o al parapithecus o meglio ancora
alla guerra nucleare” (pag. 395), al contemporaneo Carlo Levi
di cui scrive “sognando sogno di essere come lui” (pag. 216).
Ma nella realtà Berto personaggio si sente prossimo a Tasso e
ad Alfieri o a Svevo. Al primo si sente simile per la condizione
di malattia che vive contemporaneamente al suo desiderio di
affermarsi scrittore e per questa figura prova profonda ammira-
zione in quanto scrittore e forse di più in quanto uomo: “Tasso
che a poco a poco mi sta diventando simpatico giacché devo
riconoscere che lui la sua gloria poca o molta che sia se l’è con-
quistata a prezzo di gravissimi patimenti se è vero che in questo
ospedale di Sant’Anna dov’era ricoverato in qualità di matto lo
incatenavano al muro, Dio mio pensare uno incatenato in una
cella mentre ha la claustrofobia come ce l’ho io, io morirei di
sicuro mentre il Tasso non morì e anzi trovò il modo di poetare
perfino là dentro e allora è comprensibile che uno arrivi alla
gloria ...” (pag. 238). Eppure, non riesce a trarre coraggio ne-
anche da questo esempio: “ma io ci rinuncio se deve costarmi
tanto”.
Anche Alfieri è nominato per la qualità della perseveranza
che evidentemente non è propria del nostro personaggio mal-
grado in questo caso l’esempio lo rinvigorisca ed egli assuma
audacia: “mi metto alla macchina da scrivere non certo legato
alla sedia come Vittorio Alfieri dato che ho sempre considerato

188
simili gesti poco seri, e inoltre io a differenza del fero allobrogo
mi trovo al presente privo di domestici che possano legarmi,
però anche senza legarmi non mi alzerò di sicuro finché non
avrò scritto...” (pag. 216).
La vicinanza del protagonista a Svevo è esclusivamente sul
piano umano poiché riguardo alla psicanalisi, cui si affida nella
speranza della guarigione, il personaggio conosce “solo quel
poco che mi è giunto attraverso Svevo” (pag. 280). C’è allora
distinzione fra l’ammirazione confessata da parte dell’autore
per lo scrittore triestino e la considerazione di stima del mala-
to nei confronti di colui che lo ha iniziato alla disciplina della
psicanalisi.
Sappiamo che la malattia del personaggio è causata anche
da un'insaziabile ed estenuante sete di gloria; non riesce ad an-
dare oltre i primi tre capitoli di quello che dovrà essere il suo
capolavoro. Conosce frequenti periodi di depressione in cui si
convince che mai e poi mai ultimerà l’opera; in altre circostanze
esprime fiducia nelle sue capacità, è superbo del suo talento ma
si tratta soltanto di vani tentativi per accrescere la sua autostima
e in questi frangenti positivi e slanci di presunzione corre fra le
righe la citazione leopardiana: “chiunque dovrà ammirarmi e
applaudirmi, [...] fa parte del mio smoderato e insolente desi-
derio di gloria come direbbe il Leopardi” (pag. 292)197.
Leopardi rappresenta anche una consolazione per il per-

197
La citazione è tratta dall’Epistolario di Leopardi. Nella II lettera al
Giordani che risale al 21 Marzo 1817, un mese esatto dalla prima, il poeta
rivela in un clima di confidenza e di affetti letterari, la confessione del suo
amore di gloria: “Io ho grandissimo, forse smoderato e insolente, desi-
derio di gloria...” e prende rilievo la dichiarazione circa il suo modo di
leggere i classici greci e latini e la giustificazione del suo assiduo tradurre
che lo muove a commozione. Nella stessa missiva esattamente il pensiero
precedente quello esposto nel romanzo di Berto, è un’ammirazione alla
costanza di Alfieri (di cui sopra ho parlato) che conclude: “Buon per l’Al-
fieri che tenne duro: se non l’avesse fatto, ora sarebbe di lui quel ch’è de’
suoi giudici”. Giacomo Leopardi, Epistolario, a cura di Prospero Viani,
Firenze, Le Monnier, 1849, pag. 14.

189
sonaggio “... con nessuno parlo e di giorno sto sempre chiuso
in camera a dormire o a pensare o a cercare nelle opere del
sommo Leopardi disgrazie paragonabili alle mie...” e recita i
suoi versi alla luna198, “e gridavo come un matto nella campa-
gna versi di questo Leopardi che sembrava essermi congeniale
pure nei rari passaggi d’euforia” (pag. 373).
Al poeta di Recanati si allude più avanti nella narrazione:
“là in fondo è facile sconfinare [...] nel mare dell’infinito tanto
caro a chi è propenso a naufragare...” (pag. 396)199.
E il primo bacio che riceve ragazzino da una coetanea lo
porta ad apprezzare maggiormente Leopardi,Tolstoi e Dosto-
ievskij (pag. 333).

XI. Aree semantiche

L’intreccio del romanzo si dipana attorno a due nodi se-


mantici opposti che definiamo del bene e del male. I pensieri
pieni di angoscia o di speranza si susseguono alternandosi, e il
senso di colpa permea le azioni del protagonista che propende
alla redenzione e alla gloria. Analizzando l’opera e rintraccian-
do i termini appartenenti ai due campi semantici, il risultato è
che la drammaticità della narrativa assurge a un grado più alto
grazie all’eco delle aspirazioni al bene.
Il polo negativo compare già nel titolo: il male oscuro o
invisibile che secondo la definizione dell’autore de La cognizio-
ne del dolore “le storie e le leggi e le universe discipline delle
gran cattedre persistono a dover ignorare la causa, i modi: e lo
si porta dentro di sé per tutto il fulgurato scoscendere d’una

198
Cfr. Giacomo Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia,
in Canti, Introduzione e commento di Mario Fubini, Loescher, Torino
1966, pag. 180.
199
Cfr. Giacomo Leopardi, L’infinito, in Canti, Introduzione e commento
di Mario Fubini, Loescher, Torino 1966, pag. 114.

190
vita, più greve ogni giorno, immedicato”200. Le parole gaddiane
sostennero Berto che aveva eletto come concetto ispiratore il
principio che esiste un male da cui gli uomini cercano di difen-
dersi senza risultati apparentemente definitivi201. Nei romanzi
Il cielo è rosso, Le opere di Dio, Il brigante la carica negativa è
data dalla guerra e dalla violenza ma con l’abbandono del neo-
realismo e la conversione alla psicologia si realizza l’interioriz-
zazione del male: “prima era ingiustizia umana e sperequazione
sociale, diventa adesso patologia individuale e disagio relazio-
nale del singolo”202.
Il male oscuro testimonia l’incertezza della provenienza e
della natura del male che nel lessico italiano indica sia quello
fisico che quello morale. Il termine è interiorizzato dal protago-
nista e diventa nome del suo disagio psicologico che si esterna
in molteplici modi e situazioni, malattie, fobie e sensi di colpa
paurosi. E in tutte le sue apparizioni semantiche il male spinge
l’uomo a una liberazione che consiste nella rivalutazione di ciò
che può sembrare male: la morte. Alla fine del romanzo essa
non è più vista nella sua accezione negativa come un’entità dan-
nosa e temuta (sin dalla sua manifestazione nel padre) ma come
la possibilità di salvezza; non più morte fisica ma morte con un
significato metafisico ovvero morte al mondo. Il personaggio
muore alla società. Altri personaggi di Berto hanno risolto il
loro rapporto col male con il suicidio o la corsa incontro alla
morte, ma era una morte fisica e straziante203. È il pensiero ri-

200
Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore, Garzanti, 2007, pag. 128.
201
La risposta che dà ragione al bene è insita nella religione cristiana che
Berto rincorre, afferra ma mai arriva ad abbracciare senza mantenere un
dubbio finale. “Si arresta alla Passione e non giunge mai allo sfogo libera-
torio di una Resurrezione”, Alessandro Vettori, La predestinazione al male
nell’opera di Giuseppe Berto, in «Forum Italicum», a journal of Italian
Studies, vol. 36, no. 2, Fall 2002, pag. 317.
202
Alessandro Vettori, Libertà e predestinazione nell’opera di Berto, in Giu-
seppe Berto: Thirty Years Later, Venezia, Marsilio, 2009, pag. 74.
203 Daniele ne Il cielo è rosso si getta dal treno in corsa; Il brigante Mi-
chele “voleva morire come un leone” e incita l’appuntato “Spara!” finché

191
corrente dello scrittore esplicitato anche nella sua scrittura opi-
nionistica: “Quel che ci accade intorno, e quel che sentiamo
avvenire dentro di noi, è talmente tragico che, se preso di petto,
ci condurrebbe dritti al suicidio”204. Ne Il male oscuro, invece,
pare che alla fine prevalga il bene: la morte è metaforica perché
il protagonista è defunto al mondo e vivo nella contemplazione
della purezza paesaggistica205. È una morte civile! È una morte
simbolica e porta alla realtà ciò che le parole avevano cercato di
descrivere dell’animo umano. L’intimità è altro dalle brutture
della società e una volta che ci si libera di esse, tutto si mani-
festa luminoso, sparisce la figura paterna perché assunta nella
persona del figlio, sparisce il motivo dell’ambizione letteraria
data in pasto al fuoco, e si entra nella vera realtà dell’uomo. Ma
questo è il finale del romanzo. Vediamo come si arriva a tale
soluzione.
Nelle trentadue pagine del primo capitolo le parole morte/
morto/mortale e il verbo morire ricorrono quarantasette volte
e sono esclusi dal conteggio gli altri termini sinonimi o eufemi-
stici o perifrastici: la non vita (pag. 29), il trapassato (pag. 6), il
trapasso (pag. 11), il vecchio era spacciato (pag. 13), spedire drit-
to l’ammalato all’altro mondo, abbreviare le sofferenze, azione di
eutanasia (pag. 17).
Il vocabolo “morte” è il più delle volte accompagnato da
aggettivi che sottolineano la sua negatività: “morte inevitabile
e particolarmente spiacevole” (pag. 17), “orribile morte” (pag.
19), “quant’è brutto questo tipo di morte, possibile che non ce
ne sia uno migliore” (pag. 26), “tra tutte le morti [...] nessuna
era altrettanto crudele” (pag. 27).

quello lo ammazzò; ne Le opere di Dio è il padre che va verso la fine men-


tre in altre opere – L’uomo e la sua morte, La passione secondo noi stessi, La
gloria- c’è una accettazione della morte senza alcun tentativo di ribellione
ad essa.
204
Giuseppe Berto, Colloqui col cane, Venezia, Marsilio, 1986, pag. 96.
205
Alessandro Vettori, Libertà e predestinazione nell’opera di Berto, in Giu-
seppe Berto: Thirty Years Later, Venezia, Marsilio, 2009, pag. 76.

192
Tutta la storia si presenta come una “lotta”: la lotta col pa-
dre che diventa lotta contro le proprie malattie, contro l’ango-
scia; lotta che è “conflitto” non soltanto con l’esterno ma anche
con l’inconscio; lotta che diventa “litigi” con le persone che
non capiscono il punto di vista del protagonista, compresa la
moglie; prima ancora è “sfortunata opposizione al mio destino
di venire al mondo” (pag. 4). E, ovviamente, correlati a questi
vocaboli compaiono i termini “sconfitta” e “vittoria”.
Concentrandoci sul campo semantico negativo individuia-
mo la presenza cospicua di vocaboli che esprimono con diversa
intensità il malessere del personaggio. Nel primo capitolo in-
contriamo: “grumo di tensione, preoccupazione, aggravamento
di disagio, spiacevoli sensazioni tutte dannose per il rilassamen-
to oltre che per l’insieme del mio difficile equilibrio psichico,
donde paura e tensione” (pag. 8), “dispiaceri” (pagg. 8, 19, 28),
“influssi depressivi” (pag. 13), “sgomento” (pag. 14), “senso
di crescente infelicità” (pag. 22), “sofferenze /soffrire” (pag.
17, 23, 29, 30, 33), “dolore” (pagg. 26, 27, 29, 30), “dispiace-
ri” (pag. 28, 33), “tristezza” (pag. 32), “situazioni disgraziate”
(pag. 34). Malumori che concernano il mondo interiore del per-
sonaggio e che si manifestano nella propria malattia in seguito
a quella del padre: “malattia /malato” (pagg. 10, 15), “oscura
malattia, brutta malattia” (pag. 11), “padre moribondo” (pagg.
14, 15, 23, 27), “infermo” (pag. 16), “morbo crudele che non
perdona” (pag. 17), “spaventoso male esteriorizzato” (pag. 26),
“attuale catastrofe” (pag. 27), “tumore maligno, cancro” (pagg.
16, 17- ricorre sette volte -, 18, 19).
Spostando il discorso all’intera opera calcoliamo la fre-
quenza di alcuni vocaboli che sono eloquenti nel ruolo di soste-
gno della narrazione e del significato della stessa. Al di sopra di
tutti è il vocabolo “padre” che compare cinquecentocinquan-
tanove volte e ciò non stupisce dal momento che sin dall’inizio
del romanzo il narratore afferma che sia proprio il rapporto col
padre vivo e poi morto a condizionare ogni azione del prota-
gonista.

193
Di seguito elenchiamo le occorrenze dei termini-chiave.
Sono posti in modo sinottico nella seconda colonna i vocaboli
della sfera positiva che possono essere considerati come con-
trari a quelli dell’area semantica negativa elencati nella prima
colonna.

CAMPO SEMANTICO NEGATIVO CAMPO SEMANTICO POSITIVO


Male 243 Bene 291
Malattia 61 Salute 23
Cancro 45 Sano/a/i/sanare 20+1
Tumore 8
Pazzia 7
Piangere 55 Ridere /risate 13+ 1
Pianto/lacrime/ 16+15 Sorriso 6
Singhiozzare 6 Compiacimento 4
Lamentarsi 2 Commozione 10
Guerra 64 Pace 21
Lotta 28 Tranquillo 5
Sconfitta 2 Vittoria/trionfo 2+2
Disgrazia 49
Rovina 13
Morte 105 Vita 165
Paura 100 Coraggio 44
Spavento 45
Terrore 15
Infedeltà 1 Fedeltà, fede/Fiducia 32+16
Infelicità 33 Felicità 5
Sofferenza 11 Gioia 17
Dolore 15 Contento/a/i 62
Solitudine 69 Compagnia 11

194
CAMPO SEMANTICO NEGATIVO CAMPO SEMANTICO POSITIVO
Gente/amicizia/amici 62+4+81

Amarezza (amaro) 9 Dolcezza (dolce) 22


Dispiacere 9 Piacere 33
Colpa 19+ Innocente /innocenza 6+3
/ colpe 61
Castigo 22 Merito/meritevole 12+3
Buio 6 Luce 32
Vecchiaia/vecchio/ 10+45 Giovinezza/giovane/ 5+3+
Vecchietto/vegliardo/anziano 37+7+2 Giovanotto 3
Notte 84 Giorno 127
Dubbio 28 Certezza 5
Bugia/bugiarda/buggerare 3+1+2 Verità 23
Disonestà/ disonesta 1+1 Onestà, onesto,onestamente 27
Angoscia 25 Calma 19
Vizio 14 Virtù 9
Peccato 40 Coscienza 27
Vergogna 34 Orgoglio 11
Pericolo 14
Disperazione/ disperato 23 + 6 Speranza/sperare 15+9
Fuga /fuggire 10
Odio 15 Gloria 67
Ambizione 9
Amore 126

195
La parola cardine “male” per due volte soltanto è accom-
pagnata dall’aggettivo “oscuro” (pagg. 222, 276) che richia-
ma il titolo dell’opera. Su questo vocabolo prevale “bene”,
entrambi contati comprendendo anche il loro uso avverbiale.
Una differenza limitata di occorrenze caratterizza il prevalere
di “speranza” su “disperazione”. Superiore la distanza fra “ma-
lattia”, considerando anche il nome di quella più temuta dal
protagonista - il cancro -, e “salute”; fra l’azione del piange-
re e quella del ridere: il protagonista si trova frequentemente
a versare lacrime commiserandosi e cercando la consolazione
della moglie (valga l’esempio di quando trovandosi nel Rifugio
a Siusi si chiude a piangere nel bagno del locale con la moglie
sulle ginocchia) ma anche ironizzando sulla sua inclinazione al
pianto (“e io figurassi se perdo un’occasione per farmi una bel-
la scorpacciata di singhiozzi e lacrime”- pag. 160). Ancora sono
tanti i termini dell’area semantica negativa che predominano
sul corrispondente positivo: “guerra” su “pace”; “paura” con
le varianti “spavento” e “terrore” su “coraggio”; “infelicità” su
“felicità”; “dubbio” su “certezza”; “colpa, peccato, vergogna”
su “innocenza e coscienza”. “L’inizio dell’oscura malattia che
mi venne nell’anima” sta in una “colpa” del protagonista, ossia
l’aver abbandonato il padre in punto di morte, questo “provo-
cò la scossa provvisoriamente inavvertita che mise in moto tutti
gli altri sentimenti di colpa rimossi e tenuti in deposito nell’in-
conscio, in attesa di nuocermi” (pag. 11). Il romanzo è un sus-
seguirsi di colpe davanti alle quali l’uomo non può dichiararsi
innocente, fra esse addirittura il senso di colpa di aver dato al
mondo una figlia la quale, però, aiuta il malato a comprendere
l’amore paterno riscattando il proprio padre dalle colpe impu-
tate e riconoscendo le proprie. Soltanto per lo psicoanalista i
peccati e le colpe non esistono affatto, ma rispetto a questo è
più forte la coscienza del paziente che gli suggerisce le buone
azioni.
Abbiamo evidenziato anche due stadi della vita come la
giovinezza e la vecchiaia perché per il protagonista la vecchiaia

196
è simbolo di decadenza tant’è che egli intende la perdita dei
capelli segno di invecchiamento e con timore giorno per giorno
controlla la presunta e poi reale calvizie. Ecco che i termini
riferiti al terzo stadio della vita prevalgono considerevolmen-
te a volte riferiti al padre, più spesso “vecchio”, altre al padre
adottivo, ovvero al medico, l’affettuoso “vecchietto”, mentre
il narratore per il luminare della clinica riserva “vegliardo” in
accezione ironica.
Malgrado questo quadro generale del lessico del romanzo
in cui sembrano prevalere i vocaboli che indicano o causano
stati d’animo depressivi, è opportuno dare uno sguardo alla co-
lonna di destra della tabella in cui in grassetto abbiamo eviden-
ziato le parole “piacere”, “dolcezza”, “amicizia, compagnia”,
“vita”, “luce”, “giorno”, “fedeltà, fede, fiducia”, “amore”, “glo-
ria”. In definitiva, emerge dall’esame semantico del lessico tutta
la poetica dell’autore. Se da una prima lettura possiamo credere
che l’opera tratti in misura esclusiva di una guerra contro la
malattia con le sue molteplici manifestazioni, i sensi di colpa,
la paura e gli infelici pianti disperati, e la morte in agguato,
in seguito il messaggio del romanzo è ai nostri occhi una vera
epifania: vivere è sempre bello. E lo confermano i termini che
rivelano speranza come la luce, il giorno, gli affetti - l’amicizia
e l’amore sono sempre presenti206-, la fedeltà che è fiducia negli
altri e fede in Dio, la verità e l’onestà, e la gloria intesa nella nar-
razione come la meta umana che si prefigge il protagonista207

206
In una lettera alla sorella Maria Giuseppe Berto dichiarava che “l’amo-
re per gli uomini è quello che conta sopra le altre cose”. Testimonianza in
Giuseppe Berto l’uomo e lo scrittore, testo della trasmissione Radio Astori
Mogliano (RAM), novembre 1978
207
Anche in altre opere bertiane è presente questo motivo con uguale
intensità. Riporto un riferimento da La cosa buffa: “per l’amore bisognava
pur sottoporsi a qualche sacrificio e non parliamo poi per la gloria futura
che d’ordinario costa assai cara a chi la vuol raggiungere” - pag. 132-; “si
metteva a sognare che ben presto avrebbe riempito il mondo con la sua
gloria e che quindi uscendo dalla messa di mezzogiorno a Santa Maria
gloriosa dei Frari tutti si sarebbero inchinati al suo passaggio”- pag. 137.

197
per smentire le profezie paterne, per lasciar qualcosa a moglie e
figlia, per l’umanità intera208.

XII. Incipit

Il romanzo, come già detto in precedenza209, suddiviso in


undici capitoli senza titolo, presenta per ogni sezione incipit
che rivelano comuni particolarità. Eccezion fatta per l’incipit
dell’opera: “Penso che questa mia lunga lotta col padre...” che
annuncia consapevolmente il contenuto di tutto il romanzo: per
il narratore tutta la sua vita di fobie nuove e ancestrali (paura di
defecare, paura del sesso, paura dei mezzi di trasporto, paura
di scrivere, claustrofobia e agorafobia, vertigini...) acquista una
spiegazione alla luce del confronto con quella del padre. E, in-
fatti, nelle due sequenze dopo il punto fermo seguenti l’incipit
viene ripetuto come soggetto “la lotta col padre”, facendo sem-
pre esplicito riferimento alla durata temporale di tale battaglia:
– Comunque sia, questa lotta col padre, [...] è durata
sessant’anni e quattro mesi per non dire di più... (pag.
4)
– Ad ogni modo, pur lasciando da parte il periodo pre-
natale, la mia lotta col padre mi sembra quanto basta
varia e lunga da poter essere argomento di una sto-
ria... (pag. 5).

A conferma del ruolo fondamentale accordato all’autorita-


ria figura paterna, il secondo e quarto capitolo cominciano con
“mio padre”:

G. Berto, La cosa buffa, Milano, Rizzoli, 1966.


208
A proposito della “gloria” si può leggere un percorso fra le pagine delle
opere maggiori dell’autore in Alberto Bassan, Giuseppe Berto tra inconscio
e coscienza, «Profili di scrittori», Milano, ed. Letture, 1966, pag 144 e
segg.
209
Vedi capitolo sulla punteggiatura, paragrafo sulla sezione bianca, pag. 9.

198
– Mio padre non era morto ad ogni modo, era si poteva
dire fermo nella medesima condizione della sera pre-
cedente ... (pag. 35)
– Mio padre in quel tempo era ancora senza volto, ma
aveva già i baffi ... (pag. 74).

Nel quarto anche la successiva sequenza dopo il punto ha


lo stesso inizio:
– Mio padre dunque essendo senza volto era ancora in
gran parte assenza ... (pag. 75).

Negli altri casi gli incipit sono tutti con connettivi; nel ter-
zo, quinto e ottavo capitolo compaiono in incipit anche i con-
nettivi di natura temporale:
— TERZO CAPITOLO - POI CI FURONO I FUNERALI 210 al paese col
carro di prima classe... (pag. 53)
— QUINTO CAPITOLO - COSÌ ORA me ne stavo a casa convale-
scente... (pag. 137)
— SESTO CAPITOLO - IN CONCLUSIONE dunque questo esauri-
mento era un bel mistero ... (pag. 167)
— SETTIMO CAPITOLO - IO DUNQUE per quel che posso mi
divido in due ... (pag. 210)
— OTTAVO CAPITOLO - COMINCIA DUNQUE ORA un periodo
piuttosto contrastato e affannoso per ciò che si riferisce alla
salute ... (pag. 268)
— NONO CAPITOLO - CI MANCAVA dunque poco che in quel
periodo non mi facessi santo ... (pag. 314)
— DECIMO CAPITOLO - COMUNQUE questa rottura delle rela-
zioni dirette tra me e mio padre... (pag. 342)
— UNDECIMO CAPITOLO - ECCO dunque che io stesso comin-
cio a ragionare in termini psicoanalitici (pag. 389).

210
Il maiuscolo è originale del libro, il grassetto e il sottolineato sono miei
per evidenziare i connettivi.

199
CONCLUSIONI

Studiare il modo di esprimersi di Giuseppe Berto apre la


mente a un universo di scelte mai uguali da una sua opera all’al-
tra, da una pagina alla seguente di uno stesso suo scritto. L’ansia
di comunicare propria di Berto si evince smaniosa e impetuosa
nel procedere della scrittura. Caleidoscopica la sua produzione,
e la lingua lo è altrettanto. Ne Il male oscuro lo stile linguistico
disarma; dalle prime impressioni che si possono avere l’idea di
esso matura giacché è intento dell’autore trasmettere prima di
tutto l’incandescente contenuto e poi far trasparire l’importan-
za e la eccezionalità della lingua. Impressiona immediatamente
la punteggiatura così parca e, appunto per questo, studiata con
lo scopo di fermare il lettore laddove il narratore avesse voluto
creare respiro e pausa e riflessione. Si tratta, come dimostrato,
di una punteggiatura a servizio dei concetti da comunicare nel
senso che è posta ove il contenuto necessità di un’attenzione in
più, di uno sguardo particolare nella lunga sequenza di fatti e
elaborazioni mentali offerte.
Una scelta coraggiosa quella di eleggere soltanto alcuni ele-
menti dell’ars punctandi, ovvero la virgola, il punto e gli spazi
bianchi, in un panorama letterario in cui c’era l’avanguardismo
e tanti scrittori fra i quali un altro innovatore di punteggiatura e
sintassi: Gadda, che con scelte neo-barocche poneva puntini di
sospensione, due punti, virgolette, esclamativi, parentesi.
Coraggioso Berto poiché in Italia nessuno ancora aveva
scritto i propri pensieri come veloce fiume di lava (Joyce ave-
va inaugurato lo stream of consciousness); ardimentoso perché
unico in senso assoluto a scrivere sottoforma di discorso asso-
ciativo. È un’altra grande novità di Berto che in questa tecnica
sintattica crede di poter esprimere al meglio l’onestà dell’intel-
lettuale e la sincerità della testimonianza del protagonista della

201
sua storia. È la traslazione sulla carta del racconto orale più
vero e spontaneo ovvero la confessione che sia dietro un con-
fessionale o, con tempi più lunghi, sul lettino dell’analista. È
con la figura dello psicoanalista che l’uomo soggetto del roman-
zo si abbandona “alla più aperta fiducia”211, la stessa fiducia
senza ostacoli e limiti che lo scrittore vuole raggiungere col suo
pubblico. Bene, il risultato dell’analisi condotta sulla sintassi
del romanzo porta ad affermare che Berto usa la psicoanalisi
come strumento di lavoro per raggiungere il suo fine più alto.
Più volte afferma di non credere nella sua positività e nella ca-
pacità guaritrice, ma la designa a ruolo guida riconoscendone
il carattere precipuo di riuscita nell’esteriorizzazione di ciò che
compone l’animo umano. Senza questa trovata attorno cui co-
struire il romanzo, non avrebbe potuto eleggere tutti gli artifi-
ci stilistici che abbiamo trovato degni di questo alto compito.
Nella sintassi associativa unisce la soggettività con l’oggettività:
da una parte ci sono le frasi cariche d’angoscia in una sequenza
incontrastata di preoccupazioni che non conoscono pause (an-
che grafiche) e fatte di causali e concessive nell’indefesso sforzo
di esplicare le tesi espresse, purtroppo ben presto abbandonate
e mutate per l’opposto; dall’altra parte le conseguenze reali de-
gli stati del burrascoso moto psichico che sono rivelate in tutta
la loro concretezza con puntuale precisione, ricorrendo spesso
al procedimento sintattico della glossa.
La scelta del procedere monologante, differente da quello
di Joyce come abbiamo spiegato nel testo, è straordinaria nella
sua riuscita per il merito di mettere in contatto realtà fisiche
quali accadimenti presenti e passati e futuri, con realtà morali
e metafisiche di ogni dimensione dell’essere. Questo strumento
permette l’alternanza continua dei punti di vista: il protagoni-
sta bambino- ragazzo liceale- soldato- scrittore disorientato ne-
gli affetti- sposo, padre e uomo maturo; è un meccanismo che
si verifica senza brusco movimento così che a volte leggiamo

211
Vedi pag. 298 del romanzo.

202
dall’ottica del profano di psicoanalisi che conosce tale discipli-
na scientifica esclusivamente a causa della lettura di Svevo, e
altre volte dal punto di vista del conoscitore esperto che spiega
le nozioni freudiane scientificamente e poi con trasposizione al
livello popolare.
Dall’analisi della sintassi abbiamo colto che la libertà
dell’irrazionale accostamento di temi, ricordi, scoperte e sen-
sazioni è ordinata dal discorso diretto libero, ossia scevro di le-
gami ortografico - sintattici. L’optare per la sintassi associativa,
però, non incasella lo scrittore nello schema rigido del dettato
scientifico; nella sua scrittura ci sono espedienti che elevano
la cronaca a storia: sono le sezioni poetiche, l’inserimento del
discorso riportato e la paratassi che sposta costantemente il di-
scorso e lega tra loro le subordinate senza generare pesantezza.
La scrittura comunica una certa vivacità anche perché i mecca-
nismi usati rendono bene il carattere dell’oralità della lingua.
In ambito sintattico abbiamo riscontrato la ripresa che permet-
te di non distogliere l’attenzione dal topic e si fa anadiplosi,
percontatio e litania; i segnali ad alto quoziente tonale come
vocativi, incisi fatici e interiezioni; dislocazioni, posposizioni
(soprattutto dell’aggettivo possessivo dopo il nome); la deissi.
Il risultato di questa indagine linguistica comprende il
singolare uso del tempo verbale che risulta dalla mistione fra
tempo cronologico e tempo morale. Esiste nelle pagine un’al-
ternanza di tempi verbali (presente, passato remoto, passato
prossimo, imperfetto) che apparentemente genera confusione.
Il tempo verbale prevalente che sembra fagocitare il passato è il
presente nelle sue varie forme e funzioni fino ad assumerne una
nuova e aperta: il tempo è atemporale, cioè eterno, e da mobile
si fa immobile. Il presente è la chiave per esprimere l’estensione
metafisica. In pratica, lo scrittore disloca un assioma di Cartesio
dal pensiero alla scrittura, per cui trasferendo la tesi del filosofo
nella nostra discussione sul tempo possiamo affermare che esso
nella sua dimensione reale è eterno, in quella cronologica che
consente le periodizzazioni è una creazione dell’uomo.

203
Come si è visto, importanti sono stati gli studi eseguiti
sul lessico del romanzo. Le selezioni in questo ambito sono
compiute in armonia con lo stile associativo e quanto messo in
evidenza precedentemente. Il lessico usato deve risultare spon-
taneo, parole che afferrano i concetti al volo e li fissano sulla
carta. In realtà, è un lavoro di lungo studio e di cancellature
di almeno due anni per scegliere in ogni situazione il vocabo-
lo che apparisse fedele alla volontà di guadagnare il lettore ad
uno stretto legame amicale. L’autore stesso afferma di vivere
il “tormentoso piacere di permettere ai pensieri di cercarsi a
lungo le parole più appropriate”212. Così, abbiamo evidenziato
come a volte lo scrittore ricorra a neologismi, non perché non
esista il vocabolo per indicare l’oggetto interessato ma perché,
evidentemente per lui, i vocaboli canonizzati dall’uso hanno
sfumature diverse da quella che a lui preme comunicare in quel
punto della narrazione.
Anche in questo settore obbedisce alla sete di libertà
espressiva attingendo sì alle aree differenti del linguaggio ma
piegandole a proprio piacimento, plasmandole secondo i suoi
intenti cosicché, come succede per l’ordito sintattico, le prefe-
renze raggiunte paiono capovolgere la tradizionale letterarietà
e linguistica. In verità, Berto non tradisce la lingua e letteratura
italiana ma cerca un equilibrio nuovo. A prova di questo il fatto
che quando si trovava nel campo di Hereford non disponeva
di vocabolari della nostra lingua, e allora andava in cerca di
italiani per chiedere conferme o suggerimenti: “uno scrittore
appartiene ad un popolo e ad una cultura dalle quali non si può
mai completamente separare, specie se quando scrive, non fa
altro che pensare a quel popolo e a quella cultura”213.

212
G. Berto, Prefazione ad Anonimo Veneziano, Milano, Rizzoli, 1976,
pag. 8.
213
G. Berto, L’inconsapevole approccio. Le opere di Dio, Milano, Monda-
dori, 1980, pag. 56.

204
Nel corso del saggio abbiamo dimostrato dove risiedono
le novità delle scelte lessicali del Nostro. Sa che la lingua è uno
strumento fondamentale per le sue caratteristiche attrattive e
comunicative. Il suono delle parole, la loro forza espressiva ve-
stono il dettato di veridicità. Il ricorso ad espressioni di tipo
borghese testimonia la sua origine sociale di cui tanto spesso
fa lamentare i personaggi ma di cui lui era fiero214. Esse rive-
lano l’estrazione sociale di alcuni personaggi ma nel comples-
so tutti i protagonisti degli avvenimenti si esprimono con lo
stesso registro in obbedienza all’uniformità linguistica ricercata
dall’autore. Sono state individuate tutte le espressioni popolari
distinguendo anche un lessico dell’insulto.
Dall’analisi eseguita si ricava che il lessico è prevalente-
mente di tipo concettuale, ogni termine ha una sua ragion d’es-
sere sulla pagina a preferenza di un sinonimo, e ciascuna parola
che costruisce una perifrasi ha una profonda motivazione che la
predilige al sostantivo di riferimento. Berto è uomo di studio, le
sue letture e esperienze più varie nel settore culturale – artistico
da critico a sceneggiatore teatrale e cinematografico, ad attore e
ad opinionista e trattatista, sono tutte presenti nella lingua de Il
male oscuro. Così, il suo vissuto fra Nord Italia (Veneto), centro
(Roma) e Meridione (Capo Vaticano) fa la sua comparsa con
termini delle diverse aree geografiche che tuttavia non danno
l’idea di essere selezionati fra tante opzioni, bensì l’impressione
che se ne ricava è la scelta della parola più vicina all’uso lingui-
stico giornaliero dello scrittore. E questa prima sensazione è
confermata in concretezza stilistica a seguito dello studio con-
dotto.
I forestierismi presenti ci riportano alla moda degli anni
Sessanta e al mondo dell’arte teatrale- cinematografica.
Particolare rilievo assumono le espressioni di tipo biblico
che sottintendono rimandi importanti per la caratterizzazione

214
“... amando essere borghese” in Giuseppe Berto, Modesta proposta per
prevenire, Milano, Rizzoli, 1971, pag. 89.

205
del protagonista, e i cultismi e i riferimenti letterari. Inoltre, si è
dimostrato il ruolo del latino presente in espressioni letterarie e
modi di dire e che spesso ha funzione ironica.
L’esame notevole del lessico riguarda la sezione corposa
dei tecnicismi: vocaboli di linguaggi speciali come quello spor-
tivo, politico ma soprattutto il linguaggio scientifico della biolo-
gia, medicina e psicologia. In quest’ambito si è dimostrato che
per Berto ogni parola va usata con il proprio significato e anche
fra sinonimi bisogna cogliere l’accezione corretta. Dal momen-
to, poi, che l’autore presuppone che il pubblico di lettori sia
distante dalla terminologia specifica, si sofferma ad insegnare
con scrupolo le differenze fra un elemento e un altro nominati.
Avendo cercato le occorrenze nella letteratura nazionale prece-
dente e coeva, alcuni vocaboli medici risultano già usati nella
prosa e/o poesia italiana ma altri in numero alto compaiono per
la prima volta nel Nostro. Spostandoci alla psicologia, Berto è il
primo in assoluto, fatta eccezione per Freud e i teorici della ma-
teria, a usare i termini scientifici che indicano le caratteristiche
dell’animo umano e le patologie a esso correlate. Siamo davanti
al primo scrittore della letteratura italiana che rinnova il lessico
letterario introducendo tante parole/espressioni della psicolo-
gia senza appesantire la sua prosa né trasformarla in trattato.
Svevo è da meno da questo punto di vista ma sul rapporto fra i
due autori si è già detto.
Tutto è studiato nel lessico e ci siamo interessati di mostra-
re il rapporto fra le diverse aree semantiche, lo scontro oppo-
sitivo fra vocaboli concernenti la tristezza e la morte, ossia la
sfera negativa, e vocaboli riferentisi alla luce e alla vita: un’alta-
lena fra gioia e pianto, malattia e salute, vecchiaia e giovinezza,
e soprattutto colpa e redenzione sperata nel raggiungimento
dell’agognata gloria. Questa dinamica fa dondolare tutta la
narrazione presentando varietà terminologica al riguardo così
come messo in evidenza nel lavoro.
Lo studio condotto ha portato allo scoperto nel campo
d’indagine della lingua italiana un autore le cui opere, nono-

206
stante i commenti critici negativi e i pochi positivi sulla sua
letterarietà, rivelano di essere prezioso cantiere di lavoro della
nostra lingua. L’indagine condotta ha apportato risultati sulla
freschezza degli intenti stilistici di Berto e gli incontri con la
moglie, con alcuni critici, con i pochi studiosi delle sue opere
(soltanto sul piano letterario), professori di Università italiane e
americane, con chi lo ha conosciuto come scrittore e poi come
uomo, hanno incoraggiato questo studio o per sfida (verso co-
loro che negano il valore dell’autore) o per ammirazione. Ab-
biamo raccolto testimonianze più o meno utili a tracciare un
profilo dell’autore nell’ottica della lingua e dove le parole di
chi lo ha conosciuto non concorrono a rappresentare l’impe-
gno stilistico di Berto, sicuramente sono state vantaggiose nel
ritrarre ciò che sta dietro le scelte di scrittura portate alla luce
dall’opera più premiata del Nostro. Anche queste parole rac-
colte nel corso di spostamenti dalla cima dell’Italia (province di
Treviso e Padova) alla punta dello stivale, passando per Roma,
sono informazioni sostanziali che favoriscono la completezza
di un quadro, che è ancora agli inizi della sua realizzazione, di
uno scrittore laureato in Storia dell’arte e che con l’inchiostro e
i colori a tinte varie della nostra lingua nazionale, ha disegnato
la realtà più vicina all’uomo. Quella realtà di così difficile mes-
sa a punto e il più delle volte censurata anche oggi, dopo cin-
quant'anni dalla pubblicazione de Il male oscuro, forse perché
si ha paura di parlare di fatti così delicati e intimi come l’ansia
di Dio che prova chi crede alla sua inesistenza, o problemi le-
gati alle fobie e alla mancanza di realizzazione umana. O forse,
e non è una motivazione da meno, non si trovano gli strumenti
del linguaggio atti a parlarne con libertà e immediatezza e non
si è tanto umili da riconoscere che qualcuno, malgrado il giu-
dizio che se ne possa dare di mediocre scrittore, aveva però
trovato e sperimentato. Vocaboli e strutture sono messe insie-
me con ironia ed estrema serietà tanto che la spontaneità della
lingua non significa banalità ma è semplicità figlia di doloroso
parto. Essa nasconde il potere dell’umile bellezza celata nelle

207
parole o nelle costruzioni linguistiche più elementari, perché
appena svezzate dalla mente umana, impazienti di compari-
re sulla carta a tal punto da sfuggire al controllo razionale: è
questo il fine perseguito da Berto, volere offrire un’opera come
nasce nell’immaginazione dell’autore senza che venga doma-
ta da un lavorio cervellotico. È quello che abbiamo cercato di
mettere a fuoco puntando molto, però, a ciò che sostiene lo
scopo finale dello scrittore. Ed è come se le parole che spende
per descrivere il paesaggio del Sud Italia valessero anche per
l’animo umano e per la scrittura: “il vero fascino” del posto è
“l’umiltà del campo a contatto con la gloria del mare”. Dietro
la miseria e la semplicità povera delle cose risiede la dignità e
l’armonia; trovare l’equilibrio rivela la vera bellezza. Che abbia
o meno trovato l’equilibrio come uomo non è argomento di cui
interessa occuparci, ma crediamo che abbia raggiunto l’equili-
brio sul piano dell’elaborazione linguistica nell’amalgama delle
soluzioni che abbiamo esaminato.

208
APPENDICE LESSICALE

VOCABOLI LETTERARI 327, 350, 272, 305, 327 (2)


– Brago p. 307 – Buggeratura p. 50, 309
– Cimenti p. 315 – Cafone p. 189
– Cominciamento p. 214, 234 – Cribbio p. 160,
– Concioni p. 315 – Diamine p. 130
– Deflorare p. 380 – Dindia p. 365
– Diana di gloria p. 216 – Essere becco e beato p. 399, 400
– Dozzinante p. 47 – Ganzo p. 24
– Edotti p. 7 – Garbare (mi garbano) p. 195, 292
– Immantinente p. 292 – Gombine p. 43-44
– Lisi p. 91 – Mannaggia p.110
– M’è d’uopo p. 127 – Massariotti p. 97
– Mera p. 106 – Menagramo p. 13
– Pavidità p. 391 – Micragnosa p. 250
– Pei p. 96, 308, 336, 407 (per i : compl. – Pastrocchio p. 126, 260
di moto per luogo) – Ramengo p. 49
– Piote p. 137 – Rùstego p. 73
– Poscia p. 101, 162 – Sberla p. 89, 157
– Precipuamente p. 300, 347 – Scoppola p. 200
– Preconizzate p. 363 – Sfruculiare p. 4, 161
– Pregnante p. 169, 173 – Solluchero p. 175
– Proclività p. 390 – Tabbuto p. 52
– Quadrotta p. 338, 340 – Terrone p. 280
– Quisquilia p. 107 – Traccagnotta p. 192
– Serto p. 268 – Uzzolo p. 180
– Sicumera p. 295 – Vespillone p. 103
– Vegliardo p. 122, 123, 124, 127, 132,
134 FORESTIERISMI
– Ventraglie p. 120, 170 – Alla garconne p.75
– Voce stentorea p. 290 – Cretonne p. 173
– Dormeuse p. 201
REGIONALISMI – Fox trot p. 371
– Aggeggio p. 105,109 – Frigidaire p. 401
– Bagìgi p. 331 – Ghebì p. 377
– Baruffa p. 89 – Merde p. 31
– Buggerare p. 166, 259, 272, 306, 309, – Milieu p. 177

209
– Nouvelle vague p. 269 – Piantare rogne p. 108
– Nurse p. 171 – Piove che Dio la manda p. 192
– Oui oui p. 202 – Povero diavolo p. 130
– Petit-fours p. 180 – Prendersela a male p. 170
– Pourparler p. 270 – Ringrazi Iddio p. 204
– Reclame p. 76 – Rivedendo [...] le bucce p. 300
– Surmenage p. 99, 220 – Rogna da grattare p. 144, 189
– Treatment p. 271 – Rompere le scatole p. 403
– Vermeille p. 315, 322 – Se Dio vuole p. 213
– Senza soffrire l’ira di Dio di mal di
pancia p. 293
POPOLARISMI – Si addormentò di piombo p. 47
– Si rimette a campare come Dio vuole
– A Dio piacendo p. 36 p. 18
– Andare al diavolo p. 403 – Snocciolare balle p. 50
– Andato a farsi benedire p. 404 – Tirar giù sacramenti da stancare i santi
– Andava in malora p. 281, 374 p. 180
– Attaccar briga p. 347 – Uscire dai gangheri p. 398
– Buon diavolo p. 18, 32 – Vivaddio p. 109, 397
– Caldo cane p. 297
– Carne paga p. 19
– Che Dio la manda p. 177 LESSICO DELL’INSULTO
– Com’è vero Iddio p. 187
– Come Dio volle p. 39 – Andare al diavolo p. 403
– Con l’aiuto del cielo p. 219 – Andare a farsi benedire p. 404
– Con l’aiuto di Dio p. 184 – Andare in malora p. 281, 374
– Dio solo sa p. 130, 142 157, 173 – Avere le scatole piene p. 402
– Ficcare il naso p. 317 – Bagascia semidecomposta p. 132
– Grazie a Dio p. 46, 187, ... – Battona p. 290
– Il cuore mi va a tomboloni p. 328 – Brutta puttana p. 155
– Lasciarci il ben dell’intelletto p. 284 – Figlio d’una cagna p. 374
– Lasciarla di stucco p. 364 – Figlio d’una puttana d’un rene p. 109
– Litigammo brutto p. 34 – Fottermene p. 15
– Mangiare ad ufo p. 340 – Fottuta p. 254
– Morbo crudele che non perdona p. 17 – Va a farsi fottere p. 398
– Non c’è santi che mi rinvenga in mente p. – Mi manda a farmi fottere p. 224
294 – Fottiamocene p. 244
– Non era poi tanto fuori di giustizia p. 20 – Caldo fottuto p. 244
– Non servono a un’ostia p. 182 – Me ne fotto p. 249
– Non si conclude un’ostia di niente p. – Buccia fottuta p. 250
208 – Ce ne fottiamo di tutto e di tutti p.

210
306, 374, 398, Chimica
– Mandami secco all’inferno p. 318 – Acido fenico p. 118
– Merdosa p. 38 – Alcaloidi p. 135
– Primario della malora p. 48 – Bario p. 16
– Puttana d’un’Eva schifosa p. 43 – Calcio p. 149
– Puttane p. 46, 198, 400, 401 – Clorato di potassio p. 310
– Rompere le scatole p. 9, 101 – Fosfati p. 149
– Schifarmi p. 392 – Permanganato p. 344
– Schifezza p. 107, 187, 311 – Piramidone p. 110
– Schifo p. 145, 311, 367, 404
– Schifosa/o p. 309, 311, 358, 400, Medicina
– Se ne andasse all’inferno p. 46 – Afasia motoria p. 147
– Sfotte p. 365 (3), sfotterlo p. 366 (2) – Agorafobia, claustrofobia p. 170-171
– Stronzo pervertito p. 114 – Anamnesi p. 138
– Troietta p. 336 (2 ) – Artrosi lombare p. 230
– Va a farsi benedire p. 350, 404 – Auscultare p. 148
– Va a farsi fottere p. 398 – Barbiturici p. 140
– Vada a farsi friggere p. 191 – Bubbone canceroso p. 18
– Vacca p. 27 – Calcoletto p. 170
– Zoccola p. 155 – Carcinoma p. 32, 123, 265
– Cardioplegia p. 262
– Cistoscopia p. 161
– Clistere p. 104
TECNICISMI – Coliche renali p. 170
– Colite spastica p. 230
Sport – Coprofagi, coprofili p. 217
– Crawl p. 99 – Cultura di bacilli p. 191
– Surmenage p. 99 – Diabete p. 230
– Ematuria p. 100
Politica – Emazie p. 103
– Radicali p. 60, 61 – Emitorace p. 161
– Revanscista p. 61 – Enuresi p. 145
– Ernia del disco p. 169
Diritto – Esame radiologico /istologico p. 16,
– Mallevadore p. 201-202 273
– Eutanasia p. 17
Biologia – Faccenda fibrinosa p. 260
– Albumina p. 103 – Ghiandole riproduttive p. 261
– Urobilina p. 103 – Idiosincrasia p. 338
– Reviviscenza p. 141 – Infarto p. 161
– Intestino colon p. 16

211
– Ipoglicemia p. 230 Psicologia/ psicoanalisi
– Laparatomia p. 20, 115 – Abbandonismo p. 9
– Liquido cefalo-rachidiano p. 260 – Associazioni p. 60
– Meningite tubercolare p. 260 – Desideri edipici / situazioni edipiche p.
– Narcosi p. 17 348, 392
– Nervo sciatico p. 169 – Energia orgonica p. 336, 390
– Occlusione intestinale p. 16 – Es, Io, Super-Io p. 304, 305, ...
– Parto eutocico p. 195 – Libido p. 337
– Perforazione intestinale p. 127 – Pansessualismo p. 279
– Peritonite p. 118 – Pletorico p. 353, 389
– Radioscopia p. 104 – Psiconevrotici, psicopatici p. 397
– Ragadi p. 203 – Psicoplegici p. 403
– Rene mobile p. 106 – Ricognizione critica del passato p. 392
– Reni e ureteri p. 104 – Sadismo p. 36
– Resecare p. 49 – Sadomasochismo p. 353
– Schiacciamento di cartilagini p. 169 – Sessuofobico p. 337, 348
– Sifilide p. 374 – Stasi psichica p. 391
– Streptomicina p. 142 – Stato di fluttuazione p. 65
– Tachicardia p. 273 – Tipi libidinosi p. 389-390
– Tubercolosi renale p. 138 – Transfert p. 6, 393
– Tumore maligno p. 16
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– Novelli Angelo, Tra Marx e Freud il romanzo italiano è arrivato alla pazzia, in «Il
secolo d’Italia», 16 giugno 1964
– Pampaloni Geno, L’opera di Berto, in ‹‹La Fiera Letteraria››, 26 genn.1967
– Pancrazi Pietro, Il cielo è rosso, ‹‹Corriere della sera››, 6 luglio 1947
– Pasqualino Fortunato, Lingua e superlingua in «La Fiera letteraria» 27 settembre
1964.
– Pedullà Walter, Il “Male oscuro” di Giuseppe Berto, in «L’Avanti», 16 aprile 1964
– Petrocchi Giorgio, La “Gloria”di Berto, in Critica Letteraria VI, 1978
– Pomilio Mario, Il ritorno di Giuseppe Berto. Col “Male oscuro” ha ritrovato se
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– Pomilio Mario, Possiamo cercare incessantemente Dio ma può mancare l’umiltà di
trovarlo, in ‹‹Il Nostro Tempo››, 12 nov. 1978
– Pomilio Mario, Postilla per “La Gloria” di Giuseppe Berto, in ‹‹Il Ragguaglio
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– Porzio Domenico, Berto, un talento dissipato con rabbia, in ‹‹La Stampa››, 3 nov.
1978
– Porzio Domenico, L’oscuro male da cui è nato un bel libro, in «Oggi illustrato»,

221
26 aprile 1964
– Porzio Domenico, La speranza come estremo messaggio, in «Epoca», n. 1466, 11
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– Rizza Livio, Dibattito su G. Berto, in «La Fiera Letteraria», 26 gennaio 1967
– Rossi Italo, L’uomo del ‹ ‹ male oscuro ›› con la voglia di girare il mondo, in ‹‹Il
Diario››, 3 nov. 1978
– Rossi Roberto, L’emarginato che piaceva a Gadda, in «Panorama», 21 ottobre
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– Rossini Stefania, Il Berto oscuro, in «L’Espresso», 7 ottobre 1999
– Scurani Alessandro, Il male oscuro, in «Civiltà Cattolica», 16 maggio 1964
– Scurani Alessandro, La “Gloria” di Berto, in ‹‹Letture›› n. 12, 1978
– Scurani Alessandro, Oh, Serafina!, in «Letture», n. 10, 1973
– Serantini Francesco, Da Berto ai ricordi d’infanzia. Il Male oscuro, in ‹‹Il Resto
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– Servadio Emilio, A proposito delle coraggiose confessioni dello scrittore G. Berto.
Poe “psicanalizzato” sarebbe stato meno infelice?, in «Il Tempo», 13 maggio 1964
– Servadio, in «Annali di neuropsichiatria e psicoanalisi», anno XI, n.1-2, 1964
– Soru Luigi, Giuseppe Berto, o de “Il male oscuro”, in ‹‹Cenobio››, 1979
– Speciale Giuseppe Berto, in «Mogliano città», a. XV, n.2, aprile 1999
– Stajano Corrado, Berto. Tutte le baruffe di un escluso, in «Corriere della Sera», 6
novembre 1999
– Tempini Nilda, «Notiziario bibliografico» (periodico della Giunta Regionale del
Veneto), n. 7-8, sett. 1991
– Toscani Claudio, Berto “minore”?, in «Il lettore di provincia», a. II, fascicolo
trimestrale n. 7, dic. 1971
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– Toscani Claudio, Il Dio di Berto, in «Città di vita», anno 28, n. 3, settembre- ot-
tobre 1974
– Toscani Claudio, Ritorna il male oscuro, in «Ragguaglio librario», gennaio 1990
– Trevisanello Mirko, Ricordi trevigiani di Giuseppe Berto (di poco, stentato reci-
proco amore), in ‹‹Il Diario››, 3 novembre 1978
– Trischitta Domenico, Un insolito ma incondizionato amore è “ scoppiato” fra il nor-
dico Giuseppe Berto e la Calabria, in «Gazzetta del Sud», anno IV, n. 9, settembre
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– Tumiati Gaetano, in «L’eco del Terraglio», giugno 1988
– Ulivi Ferruccio, Quel rovello lo consumava a fuoco rapido..., in «L’Osservatore
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– Vegnaduzzo Stefano, Lo stile indiretto libero e i tempi grammaticali, in «Quader-
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– Verderame Marianovella, Rassegna di studi critici su Giuseppe Marotta, in ‹‹Cri-
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– Vettori Alessandro, La parodia come strategia ermeneutica francescana in Oh,

222
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– Vettori Alessandro, La predestinazione al male nell’opera di Giuseppe Berto, in
«Forum Italicum», a Journal of Italian Studies, vol. 36, no. 2 Fall 2002, pagg.
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– Vigorelli Giancarlo, Domande a Giuseppe Berto, in «Europa letteraria», marzo
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– Vigorelli, Questo romanzo di Berto prende subito il posto tra le opere più rivelatri-
ci del nostro tempo, in «Tempo», 18 apr. 1964
– Volpini Valerio, in «Humanitas», XIX, n. 7-8 lug.- ag. 1964
– Zaccuri Alessandro, Berto, tutti gli scandali di un “ateo-non”, in «Avvenire», 14
ottobre 1999
– Zanetti Nicola, Giuseppe Berto vent’anni dopo, in «Il Terraglio», novembre 1998

VIDEO

– Premio Letterario “G. Berto” 15 giugno 1997, Notiziario tg3


– L’ora della verità: Giuseppe Berto, RAI
– Giuseppe Berto. Documentario RAI, C. Montanaro
– Berto a Capo Vaticano, RAI
– Raccontare l’uomo, documentario RAI, programma di C. Montanaro

REGISTRAZIONE AUDIO

– G. Berto: l’uomo e lo scrittore, trasmissione di RAM (Radio Astori Mogliano),


22-29 novembre 1978

223
INDICE

Introduzione................................................................................ .7
Capitolo primo LA PUNTEGGIATURA ......................... 11
I. La sezione bianca ...................................................................... 13
II. Il capoverso ................................................................................ 14
III. Il punto fermo ............................................................................ 16
IV. Punto interrogativo, esclamativo, puntini di sospensione...17
V. Virgolette, lineette, parentesi, due punti .............................. 20
VI. La virgola .................................................................................... 22
Capitolo secondo LA SINTASSI ......................................... 27
I. Sintassi associativa..................................................................... 30
II. Monologo interiore ................................................................... 32
III. Il discorso riportato .................................................................. 37
IV. Stile paratattico .......................................................................... 40
V. Stile ipotattico ............................................................................ 46
VI. Sintassi del parlato .................................................................... 52
VII. Il tempo ....................................................................................... 82
Capitolo terzo IL LESSICO ................................................. 89
I. Linguaggio biblico .................................................................... 94
II. Uso del latino ........................................................................... 103
III. Cultismi ..................................................................................... 105
IV. Regionalismi e dialettismi ...................................................... 123
V. Forestierismi............................................................................. 138
VI. Popolarismi .............................................................................. 142
VII. Lessico dell’insulto.................................................................. 145
VIII. Tecnicismi: chimica, medicina, psicologia ......................... 146
IX. Neologismi................................................................................ 183
X. Riferimenti letterari................................................................. 185
XI. Aree semantiche ...................................................................... 190
XII. Incipit ........................................................................................ 198
CONCLUSIONI .................................................................... 201
Appendice lessicale ................................................................. 209
Bibliografia ............................................................................... 213
Il linguaggio per Giuseppe Berto è una que-
stione più che mai intima, morale, è forma
dei sentimenti. L’autore sente forte l’ansia di
comunicare e le parole si dispiegano in tut-
ta la loro carica espressiva, tese a toccare e
trasportare il lettore in un percorso di vita
guadagnandone empatia e fiducia. È l’one-
stà intellettuale che guida la spontanea testi-
monianza del protagonista de Il male oscuro
in un impeto di ricordi ordinati da pause
logiche, non grafiche, in un andamento pre-
valentemente paratattico. La sintassi asso-
ciativa nel discorso diretto libero esterioriz-
za ciò che compone l’animo umano unendo
soggettività e oggettività in un susseguirsi di
causali e concessive alla ricerca di una verità
attraverso tutte le età della vita che sono pre-
sentate su un unico piano perché sono vive
in un eterno presente in quanto nulla di ciò
che è stato si è concluso. Il tempo verbale
segue il passaggio dal tempo cronologico a
quello metafisico. Ma il linguaggio non vuo-
le essere trascendente, anzi vicino al lettore,
immediato; il lessico proviene da aree dif-
ferenti, dai linguaggi settoriali e rimanda al
vissuto di Berto in diverse regioni d’Italia.
Notevole l’abbondanza di tecnicismi, spesso
accompagnati da glosse. Per la prima volta,
senza avvizzire la prosa, popolano la pagi-
na letteraria termini della psicologia. Nella
semantica si verifica lo scontro tra vocaboli
di sfera negativa (colpa, morte…) e positiva
(gioia, vita…) e, a sorpresa, il segreto mes-
saggio del romanzo si condensa nella bellez-
za della vita, degli affetti, della fiducia, della
verità, della gloria ovvero il desiderio di la-
sciare un’eredità all’umanità.
Paola Dottore è nata nel 1980 a Messina,
nella cui università si è laureata a pieni voti
in Lettere e ha successivamente ottenuto il
dottorato in Studi Linguistici Italiani con
una ricerca sull’opera di Giuseppe Berto che
costituisce il nucleo portante del presente
saggio. Insegna nella provincia di Treviso.

In copertina: Giuseppe Berto a Roma, maggio 1961.


La grande paura era di fermarmi e forse fu
questa paura che mi fece trovare un modo
di scrivere, sembra, abbastanza nuovo.
(Giuseppe Berto, Appendice a Il male oscuro)

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