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La forma
della coscienza
Il male oscuro
di Giuseppe Berto
saggio
Saggistica
Il tuo silenzio
mi rintrona dentro e scocca
punture di dubbio e tormento.
Svuotato mi sento
e in bocca
sapore di assenzio.
C. C. Gianforti1
1
Celestino Calogero Gianforti, ofm, Verdi Paradisi. Poesie, Ed. Isola d’O-
ro, Vico Equense, 1973.
La poesia Silenzio ricorda il Salmo 27 “se tu non mi parli/ io sono come
chi scende nella fossa”. Sono versi molto forti da me scelti e posti ad aper-
tura della mia ricerca per diverse ragioni. Sicuramente, testimoniano a
viva voce il valore della parola che noi studiosi del linguaggio celebriamo.
La parola è vita: solo chi pronuncia parola e/o la riceve è vivo. Se si pri-
va l’uomo di risposte, la depressione prende il sopravvento e cos’è essa
se non la morte dell’animo? Inoltre, a mio parere, rappresentano senza
dubbio il romanzo di Berto che è la storia dell’uomo che non si arrende
ma persevera nella ricerca di una voce che gli dia pace e serenità, al di là
della gioia di sentimenti che accompagnano i propri giorni. È l’uomo di
oggi che spesso sente in bocca un’amarezza che potrebbe trasformarsi in
veleno se egli non riscopre la dolcezza dell’anima che guarda l’orizzonte
e crede, seppur con un legittimo umano “forse”, di poter giungere al faro
bianco illuminato della costa di fronte.
Ho voluto rendere omaggio a padre Celestino cui ero legata da grande
affetto. Un uomo di cultura, professore di greco e latino, esperto di bota-
nica, poeta, giornalista e scrittore, fondatore della rivista “Voce francesca-
na”, appassionato di arte e di tutte le forme che esprimono la bellezza che
non è altro che manifestazione dell’Assoluto, secondo l’insegnamento di
San Francesco d’Assisi.
6
INTRODUZIONE
2
Alberto Bassan, G. Berto tra inconscio e coscienza, in «Profili di scrittori»,
Milano, ed. Letture, 1966.
3
Patrizio Rigobon, Appunti per una definizione umana e letteraria di G.
Berto (1914-1978), con un incontro- intervista inedito ed un epilogo di
Andrea Zanzotto. Venezia, maggio 1983.
4
Goffredo Buccini, L’eroica nevrosi dell’italiano qualunque, prefazione a
Il male oscuro, collana “I grandi romanzi italiani”, «Corriere della Sera»,
n. 42, Milano 2003.
7
due mesi e che, però, non avrebbe potuto evitare di scrivere
perché gli era accaduto un fatto insolito: “era come se avessi
scoperto il bandolo d’un filo che mi usciva dall’ombelico: io
tiravo e il filo veniva fuori, quasi ininterrottamente, e faceva un
po’ male si capisce, ma anche a lasciarlo dentro faceva male5”.
E aveva riconosciuto che si trattava di “una storia molto strana
[...] tutto si svolge per allusioni nell’intimo delle mie creature,
spiegato psicanaliticamente con un procedimento tecnico per
me nuovo, con periodi lunghissimi, arbitri di punteggiatura e
altro. [...] Un libro strano e nuovo6”.
Il pubblico guardò oltre i giudizi più frequenti su Berto e si
allineò con Buzzati nella positiva considerazione del nuovo ro-
manzo in commercio. Lo testimonia un sondaggio condotto dal
supplemento specializzato «Tuttolibri» nel 1975 che chiedeva
ai lettori di votare fra i libri della lista fornita il più importante,
il più amato e il meno amato della letteratura del Novecento.
La rivista forniva un elenco di cinquanta opere fra cui non era
menzionato alcun volume di Berto. Fu data, inoltre, la possi-
bilità di scegliere anche un libro non compreso nella lista. Ne
conseguì che Il male oscuro si trovò al terzo posto come libro
più importante e al secondo come più amato.
Lo scrittore Berto non raggiunse mai la gloria di cui andava
in cerca perché i suoi scritti furono osteggiati dalla critica per
un motivo o per un altro e per questo è rimasto nella periferia
della letteratura nazionale. Il narratore de Il male oscuro dietro
cui vediamo far capolino l’autore, afferma all’inizio della storia di
essere staccato “da ogni umana ambizione” e di avere “l’impres-
5
Giuseppe Berto, Appendice in Il male oscuro, Milano, Biblioteca Univer-
sale Rizzoli, 2004, pag. 417. Lo scrittore spiega così la scelta di porre sul
frontespizio del libro una citazione del Prometeo incatenato: “il racconto
è dolore ma anche il silenzio è dolore”. Queste parole sono anticipate da
altre due citazioni, la prima è il passo de La cognizione del dolore di Gadda
da dove Berto trae il titolo per il suo romanzo; la seconda è estrapolata da
una lettera di Freud del 1900.
6
Intervista di Massimo Grillandi a Giuseppe Berto, Il buono nell’arte vie-
ne dagli isolati, in «Il Gazzettino», 19 novembre 1963.
8
sione che la storia in certo qual modo si scriva da sola” per cui
gli pare “di essere passivo esecutore nel senso che non le presta
se non la sua diligenza espressiva, e diciamo pure stile”7. Strana-
mente, il libro che l’autore non giudica essere il suo capolavoro
vinse due Premi. “I due premi in una settimana m’erano capitati
addosso senza che io e tantomeno quelli che me li avevano dati
lo volessimo: una pura combinazione, di cui avrei pagato le con-
seguenze fino alla morte, e oltre”8. La critica e la stampa anche di
tipo popolare e scandalistico si interessarono al romanzo perché
sembrava non andare bene né per stile né per contenuto.
Questo significa che Il male oscuro è innovativo su entram-
bi i fronti: affronta con verità scrupolosa i meandri dell’animo
umano e lo fa usando uno stile drammatico e umoristico che
può ricordare a tratti altri autori (Svevo, Gadda, Pirandello,
Joyce, Beckett...) ma la tecnica scrittoria è personalissima. Ne-
gli anni in cui Berto compose il romanzo non c’era dibattito
riguardo alla psicoanalisi, anzi essa era taciuta, censurata, igno-
rata o disdegnata dalla cultura italiana e lui, consapevolmen-
te, accettò il rischio di trattare l’argomento. Anzi, dalla pratica
della psicoanalisi estrae la “sintassi associativa” che ordina il
dettato narrativo il quale sottintende parecchia punteggiatura.
È qui la libertà dello scrittore, il più libero fra tutti gli uomini,
che “lavorando con l’intelletto è tenuto a capire le cose prima e
più degli altri”9 e ad esporle nel modo che ritiene più consono
alla loro natura.
Il libro è stato tradotto in inglese (Incubus), francese, te-
desco, giapponese, spagnolo, ceco, serbo-croato. L’autore è
7
Giuseppe Berto, Il male oscuro, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli,
2004, pag. 4. Per l’analisi del romanzo ho fatto riferimento a questa edi-
zione dell’opera, di conseguenza tutti gli esempi da me riportati comple-
ti del numero della relativa pagina sono tratti da essa. Nell’esempio qui
proposto ho sostituito la terza persona singolare del verbo e del pronome
possessivo alla prima del testo originale.
8
GiuseppeBerto, Colloqui col cane, Venezia, Marsilio, 1986, pag. 73.
9
Giuseppe Berto, Modesta proposta per prevenire , Milano, Rizzoli, 1971,
pag. 9.
9
studiato nelle Università americane dove la lingua italiana è ap-
presa anche grazie ai suoi scritti.
Le pagine che seguono sono il risultato di una ricerca con-
dotta con cautela e riflessione, uno studio approfondito porta-
to avanti con sguardo attento analizzando principalmente e in
modo completo il romanzo, e poi tutti gli altri scritti dell’auto-
re, tutti i commenti, gli articoli, i saggi che sono custoditi in luo-
ghi di cultura come Università e Biblioteche di principali città
italiane (Messina, Siena, Padova, Treviso, Venezia, Roma), nel
Collegio Salesiano “Astori” di Mogliano Veneto dove studiò
l’autore, a Capo Vaticano che scelse come sua “patria dell’ani-
ma”, nonché documenti segnalati da professori e studiosi del-
lo scrittore delle Università di Padova, del New Jersey e della
Virginia.
Eppure, non esiste una trattazione della lingua del Nostro,
così particolare in ogni sua opera al di là della qualità conte-
nutistica, morale e poetica di esse che è stata, invece, degna
di attenzione nel periodo in cui era in vita Berto e in quello di
poco posteriore alla sua morte.
L'intento è di fornire un contributo dal punto di vista lin-
guistico alla conoscenza di un autore di cui ci si ricorda soltanto
in occasione del Premio letterario a lui intitolato e di altre ini-
ziative a livello delle scuole di Ricadi e Mogliano o in occasione
di ogni nuovo decennio che allontana dalla sua morte.
A questo fine viene vagliata la punteggiatura insolita, i co-
strutti sintattici e il lessico, tentando un’interpretazione dell’e-
sperienza stilistica de Il male oscuro in relazione allo scopo che
spinse l’autore a credere che sia “meglio scrivere un libro im-
perfetto su dei problemi vivi ed attuali che scrivere libri perfet-
tissimi su argomenti che non interessano a nessuno”.
10
Capitolo primo
LA PUNTEGGIATURA
10
Bice Mortara Garavelli, Prontuario di punteggiatura, Bari, Laterza,
2005, pag. 5.
11
nunzio fu il primo grande scrittore italiano a lottare apertamen-
te contro la punteggiatura. Dichiarò “Ero nemico delle virgole
come la cicogna invisa colubris è nimica delle serpi”11 e affer-
mò: “costrutto molto virgolato è costrutto molto bacato. Alle
troppe virgole si riconosce che la soluzione è marcescente”12.
Berto si istruì alla lezione di D’Annunzio, autore principe
nell’educazione scolastica dell’epoca, e lo approfondì durante
la prigionia in Texas. Fuor di dubbio che la personale bibliote-
ca di un autore guidi anche la sua penna.
Dunque, se in generale oggi un insufficiente ricorso all’in-
terpungere viene chiarito con un disordine nelle idee di pianifi-
cazione, una mancanza di padronanza della testualità da parte
dello scrittore, non è però la spiegazione giusta per Berto: sia
perché analizzando le altre sue opere si ammira un uso equi-
librato della punteggiatura che palesa un’armonica struttura-
zione del testo, sia perché Il male oscuro è un’opera, che dir si
voglia, studiata e ben organizzata dall’autore; d’altronde, il te-
sto creativo è per sua natura il più libero da convenzioni e nor-
me. L’uso originale che lo scrittore Berto fa della punteggiatura
mantiene comunque la sua funzione ordinatrice delle strutture
sintattiche e si veste di importanza dal punto di vista stilistico
ed espressivo. C. Salinari trova i precedenti di questa tecnica di
scrittura, che definisce “automatica”, negli scrittori surrealisti e
in alcuni “avanguardisti” ma, sebbene individui questo legame,
riconosce che Berto utilizza tale procedimento di ars punctandi
“con molta discrezione e autonomia, tanto che, anche senza la
normale punteggiatura, il periodo non perde mai la sua struttu-
ra logica e risulta sapientemente costruito con l’intreccio degli
incisi, delle subordinate e delle coordinate”13. La prosa della
11
D’Annunzio nella vita e nelle opere, Roma, Casa del Libro, 1934, pag.
49.
12
Bice Mortara Garavelli, Prontuario di punteggiatura, Bari, Laterza,
2005, pag. 133.
13
Carlo Salinari, Introduzione in Il male oscuro, Milano, Biblioteca Uni-
versale Rizzoli, 1977.
12
narrazione è scandita allora da pause logiche anziché grafiche:
“si tratta di un testo dal respiro lungo e la catena del flusso
non avrebbe potuto interrompersi (grammaticalmente) se non
a rischio di troncare la tensione”14. Virgole e punti, allora. Ma
non solo.
I. La sezione bianca
13
un misto di verità e fantasia. Il testo viene allora segmentato
in undici parti, l’ultima delle quali rappresenta un caso ancora
più singolare dei precedenti perché si estende per ventiquattro
pagine senza punti fermi, scandita soltanto da virgole. Lo stesso
Berto ammise che i periodi gli venivano “fuori lunghi lunghi al
pari di vermi solitari”19. La divisione del corpus in undici parti
non viene annunciata da alcun indice ma per comodità in que-
ste pagine chiameremo queste parti capitoli e li indicheremo
numericamente.
II. Il capoverso
“Se tra due frasi o tra due gruppi di frasi c’è uno stacco
molto netto, dopo il punto si va a capo e si comincia un nuovo
capoverso”20. L’a capo è una spia che ricorre ne Il male oscu-
ro settantacinque volte21 ad indicare la separazione del testo
per blocchi di informazioni nuove rispetto agli argomenti che
si sono già trattati. Il primo capoverso segna lo stacco con le
supposizioni del narratore sulla formazione di una sua coscien-
za o volontà nel feto: “Ad ogni modo, pur lasciando da parte
il periodo prenatale, la mia lotta col padre mi sembra quanto
basta varia e lunga da poter essere argomento di una storia...”
(pag. 5). Spesso, per evitare bruschi stacchi, l’autore dà inizio al
capoverso con l’avverbio così: “Così era stata proprio una bel-
la telefonata da consolarmi...” (pag. 20); “ Così tutto sommato
questa operazione del padre non era una cosa bella né sem-
plice...” (pag.20); “Così fu un buon sollievo quando vennero
con la barella a portarselo via...” (pag. 22); “Così ora il dolore
a poco a poco scacciato dalla morfina se ne va...” (pag.123);
19
I veri “immortali” da «Il Resto del Carlino», 24 gennaio 1965.
20
Dardano-Trifone, La nuova grammatica della Lingua italiana, Milano,
Zanichelli, 2001, pag. 624.
21
Escludo dalla somma gli undici incipit delle sezioni in cui è suddiviso
il romanzo.
14
“Così ora mi trovo con una moglie che aspetta un figlio...” (pag.
158); “ E così questa figlia appena nata mi riempie la mente
e l’anima...” (pag. 184); “Così con questo transfert ormai in
funzione le cose della psicoanalisi procedono un po’ meglio...”
(pag. 299). Ma ancora più frequenti sono i capoversi inaugurati
dall’avverbio di tempo ora che ben mantiene tese e congiunte le
fila della narrazione: “Ora, veramente, la vedova che m’era ve-
nuta appresso da Roma poteva avere sì qualche difetto però...”
(pag.23); “Ora non è da dire che io sia molto assuefatto a luoghi
come i casinò...” (pag. 33); “Ora non era facile stare inerti...”
(pag. 36); “Ora una cosa è chiara finalmente che mi taglieranno
la pancia...” (pag. 116); “Ora capita una mattina che mentre io
dormo...” (pag. 171); “Ora non è chi non veda quanto fosse in
fondo difficoltoso lavorare...” (pag. 163); “Ora abbastanza stra-
namente direi capita che...” (pag. 279); “Ora con questa a dire
il vero un po’ meccanica distribuzione delle parti...” (pag. 307).
A volte, lo scrittore inizia il nuovo periodo riprendendo
l’ultima parola o frase del periodo precedente: “... tanto valeva
che me ne tornassi in albergo. / Naturalmente non è che tornan-
do in albergo...” (pag. 30); “... quando tornavano a casa dalla
bottega. / La bottega era sotto i portici...” (pag. 76); “è meglio
che arrivi il chirurgo e buonanotte. / Però quando finalmente
arriva...” (pag. 122)22.
22
Questo procedimento è regolare in un altro romanzo di Berto, La glo-
ria. Qui la ripresa si ha puntualmente ad inizio paragrafo: “ ...E ancora:
perché la sofferenza, l’ignoranza, il dubbio? E l’impazienza? / Con impa-
zienza cercavo...” (pag. 16); “... Tutta la notte, in ginocchio, interrogai l’E-
terno. / Tutta la notte, o Eterno mio Dio, soffocata l’impazienza ma con la
febbre, t’interrogai...” (pag. 20); “...come racconta Luca. / Luca racconta...”
(pag. 35); “... gli obbedisti docilmente. / Per questa docile obbedienza...”
(pag. 38). G. Berto, La gloria, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 2001.
15
III. Il punto fermo
23
Luca Serianni, (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Gram-
matica italiana. Italiano comune e linguaggio letterario. Suoni, forme, co-
strutti, Torino, Utet, 1988, pag. 59.
24
Bice Mortara Garavelli, Prontuario di punteggiatura, Bari, Laterza,
2005, pag. 59.
16
ospedale veneto, e la difficoltà di comunicare tale scelta al pa-
dre moribondo:
– ... stando così le cose come lei dice io me ne torno a Roma
tranquillo anche perché tra l’altro so di lasciarlo in buone
mani. / Ora il difficile era spiegarlo al padre, da tre giorni
che stavo lì non s’era gran che accorto di me pareva... (pag.
49).
Oppure, il punto fermo serve a porre distanza fra i pensieri
del protagonista e quelli del padre, questi ultimi ipotizzati dal
figlio25:
– ... io ad esempio cercavo che mia figlia non sapesse com’e-
ro, non conoscesse tutte le apprensioni ed inquietudini che
la sua esistenza mi dava per via che io mai dimenticavo
d’essere responsabile e diciamo pure colpevole della sua
vita e questo mi caricava un cumulo di doveri inesauribili
fino alla mia morte prima di un certo accadimento che rese
a mio avviso superflua ogni mia sete di ulteriori espiazioni.
Ora, sicuramente mio padre non aveva questo genere di
pensieri, lui si sentiva in credito invece che in debito per
avermi messo al mondo... (pag. 92).
25
Le scelte sintattiche rafforzano la tematica affrontata nel romanzo, ov-
vero il conflittuale rapporto padre-figlio.
17
quando cominciamo a lavorare insieme ed io benché rilut-
tante dovetti spiegare che avevo un’idea straordinaria...”
(pag. 59);
– ... e c’erano gli ufficiali medici alloggiati in casa nostra che
chiedevano a mia madre perché non scappate voi che avete
figli piccoli, e mia madre rispondeva... (pag. 69);
– ... e mia madre diceva su non essere rustego perché non
rispondi, ma io non rispondevo... (pag. 73);
– ... che ce ne facciamo diceva delle croste e del pane che avan-
za meglio allevare... (pag. 88);
– ... interpellava ad alta voce la possibile cliente allora padro-
na possiamo servirla in qualche cosa... (pag. 97);
– ... nella sua qualità di pregnante ormai parecchio grossa
non ha più i freni inibitori a posto e dice sei matto a farti
ancora radiografie non te ne sei fatte già abbastanza, e io...
(pag. 169);
– ... perché non ti metti a lavorare qui che c’è il termosifone, ...
(pag. 174);
– ... e dice o Padreterno mettiti tu al mio posto che avresti
fatto, ed evidentemente il Padreterno dà l’assoluzione...
(pag. 199);
– ... mi dice amore quando mi vieni a trovare noi due anche
se litighiamo sempre ci vogliamo bene... (pag. 212);
– ... e Augusta ti cerca domanda sempre dov’è papà perché
non vieni su ti vogliamo tanto bene (pag. 224);
– ... le dico signorina vuole fare un giro in giostra con me, e lei
ora mi guarda... (pag. 329);
– ... su sta’ buono lo dicono tutti che non diventerai matto
perché continui a pensarci sopra a che ti serve allora la psico-
analisi, comunque... (pag. 348);
– ... gli dico be’ che ne pensi che sono stato promosso, e lui
risponde... (pag. 366);
– ... e poi mi dice perché mi dici bugie brutto figlio d’una ca-
gna fossero tutti come te... (pag. 374);
– ... e io dico che sua mamma non deve farle un bel niente
18
altrimenti come finirà domani nostra figlia abituata com’è a
dei genitori che le risolvono ogni difficoltà, e naturalmente...
(pag. 397);
– ... e lei mi dice be’ ma che stai facendo sei proprio stupido, ...
(pag. 345).
19
– ... siamo molto ragionevoli vero padre, ... (pag. 104);
– ... e io dico con l’anima in tumulto perché non rendi poi
quel che prometti allor, [...] cosa faccio al mondo io cosa
faccio,... (pag. 325).
20
nimo le corna non hai pensiero per me che ho la febbre alta e
neanche per tua figlia povera disgraziata con un padre simile,
e mi spiega [...] e mi dice sei contento adesso che mi hai fat-
to piangere e infatti si fa un paio di singhiozzi...” (pag.203);
– ... ti raccomando amore mio mi dice non farmi stare in pen-
siero... (pag. 245).
26
Luca Serianni, Prima lezione di grammatica, Roma - Bari, Laterza, 2006,
pagg. 118-119.
21
– ... certo non era possibile ossia non possibile senza grave
scandalo... (pag. 37);
– ... se n’era già andato per quel che si riferiva a questi pro-
blemi, nel senso che non era probabile che si potesse ormai
aggiungere alcunché di nuovo alla conoscenza che aveva-
mo l’uno dell’altro... (pag. 42).
VI. La virgola
22
– ... ne hanno tuttora più bisogno di quanto non si creda,
senonché una tale supposizione non andrebbe poi d’accordo
col sospetto che più d’uno potrà avere alla fine, ... (pag.1);
– ... non ho mai fatto parola di questo inconveniente delle
lombari, sebbene poi, da un altro punto di vista, possa anche
essere che abbia taciuto per non dargli dispiacere, ... (pag. 8);
– ... io, benché egli non me l’avesse chiesto, lo accompagnai
fin dentro... (pag. 22);
– ... le leggi sono fatte apposta per impedire le truffe, benché
questi dopo la guerra non fossero tempi troppo favorevoli alle
leggi coi sovversivi e gli scioperi e i delinquenti che trionfava-
no dappertutto, ... (pag. 76).
27
Raffaele Simone, Fondamenti di linguistica, Bari, Laterza, 2004, pagg.
221-225.
23
– ... spiegano soprattutto la mia interminabile solitudine,
poiché proprio ora che il padre era sceso dal piedistallo mito-
logico e mi avvinceva a sé sentimentalmente con la faccenda
dei sacrifici, ecco che io... (pag. 68)
– ... c’era sempre una gran confusione di forcine e pettinini
[...] con attaccati capelli lunghissimi, perché mia madre mai
si sarebbe tagliati i capelli alla garçonne, mentre mia zia...
(pag. 75).
28
Si tratta del XXX capoverso del romanzo, pg.32.
24
Come ben si può notare, in questo caso, pur essendoci le vir-
gole in apertura delle proposizioni consecutiva e concessiva,
mancano le virgole di chiusura.
La virgola compare nella maggioranza dei casi con la con-
giunzione «e» di valore a volte copulativo, a volte rafforzativo
(nel senso di “per di più”, “per giunta”). Leggiamo l’esempio
di una pagina del romanzo costituita da un unico periodo e che
ospita una lunga sequenza di virgole in accordo con la congiun-
zione «e»:
– ... altre volte lo interessava vivamente, e allora smetteva di
giocare con le chiavi [...] , e così accadde col sogno [...],
e le persone dentro potevano benissimo essere i radicali
[...], e questo precisamente perché erano molto legati l’uno
all’altro, e in realtà [...], e così a questo punto il sogno per
me era chiarissimo [...], e comunque in modo particolare
da quando m’accorsi [...], e naturalmente ciò poteva deri-
vare sì da me [...], e io si capisce in concorrenza con loro
[...], e naturalmente neppure le donne... (pag. 61).
25
Capitolo secondo
LA SINTASSI
27
ga nelle pagine de Il male oscuro difficilmente sarebbe potuta
entrare in una veste perfetta e luminosa. Le vicende narrate
rappresentano il buio in cui a volte si trova la vita e devono
scaturire nella pagina in tutto il loro fluire senza essere incasto-
nate nella rigidità di immagini e artifici. Ma Berto non si scrolla
completamente di dosso il classico: durò tre anni il labor limae
del romanzo steso in un paio di mesi. Berto affermava: “la mia
è una prosa che scorre senza mostrare l’enorme fatica che è
costata però non è che scorra a vuoto questo no giacché dietro
l’apparente leggerezza dell’andante con moto vi è a dir poco un
intero mondo morale”32. Non fu il primo né l’unico scrittore
che rifiutò lo stile consacrato dalla tradizione, la letterarietà.
Nello stesso anno in cui finiva di essere stampato il romanzo
di Berto, a sei mesi di distanza, compariva un articolo a pro-
posito dei nuovi orientamenti di scrittura: “Da qualche anno
in qua gli scrittori italiani sentono scricchiolare sotto la penna
le tradizionali categorie sintattiche della lingua. La vecchia e
gloriosa sintassi «ereditata da Omero» [...] sembra destinata
a cedere alle nuove e libere sintassi moderne [...]. Sembra ci
sia una predisposizione quasi generale degli scrittori italiani,
da Gadda a Berto”33. Evidentemente, i cambiamenti nell’am-
bito delle scelte linguistiche erano avvertiti come segni di una
crescente crisi della lingua degli scrittori. Ancora oltre, l’autore
dell’articolo rivela con chiare espressioni la forte preoccupazio-
ne nei confronti della nostra lingua nazionale: “L’unità logica e
sintattica di una delle lingue europee più stabili, come è stata
fino ad oggi la lingua italiana, [...] rischierebbe d’un tratto di
sgretolarsi”. Bisogna considerare certamente che l’ambiente
letterario ha percorso strade differenti, c’è stato chi si è diretto
verso il particolarismo dialettale e chi ha operato la scelta di
32
Da Alessandro Scurani , Giuseppe Berto. Il Male oscuro in «Civiltà Cat-
tolica» 16 maggio 1964.
33
Fortunato Pasqualino, Lingua e superlingua in «La Fiera letteraria» 27
settembre 1964.
28
una lingua definita sovrastorica. Lo stile del romanzo di Ber-
to è stato chiamato superficiale, fatto di scelte approssimative,
non profonde. Questo modus scribendi viene giustificato se si
tiene conto del clima letterario dell’Italia di allora per il quale
“scrivere male era una novità assoluta, o quasi”34. Berto è di-
sponibile a guardarsi indietro e a cercare soluzioni sintattiche e
punti d’appoggio nella tradizione, ma non in quella immediata
e neanche in quella imposta in modo più netto dalla scuola o
dal gusto letterario dominante. Forse subisce maggiore influen-
za dalle firme della letteratura veneta ottocentesca. Resta il fat-
to che Berto riesce a coniugare procedimenti tradizionali della
sintassi con recentissime novità.
Si è già detto nella parte di questo lavoro relativa alla pun-
teggiatura che non compaiono molte pause grafiche; ebbene,
la prosa è classicamente scandita da pause logiche. La struttu-
ra dei lunghi periodi risulta costruita in modo chiaro e logico,
tanto che si evince perfino il rispetto della sintassi latina, ovve-
ro consecutio temporum35. Nella fluvialità del periodare si può
ancora cogliere una “invalicabile ortodossia sintattica, regolata
sui più rigorosi canoni grammaticali”36. Le strutture sintatti-
che tradizionali si individuano sotto la fluidità ininterrotta del
pensiero che si dipana su due toni: quello realistico, ovvero il
resoconto dei fatti che fagocita anche i dialoghi, e quello psico-
logico che esterna le situazioni interiori.
34
Da un intervento di Michel David al Convegno di studio. Berto, Moglia-
no Veneto 29-30 marzo 1985, trascrizione dalle audiocassette a cura del
prof. don Severino Cagnin, sdb.
35
Corrado Piancastelli, Giuseppe Berto in Letteratura italiana. Novecento.
I contemporanei, diretto da Gianni Grana, Marzorati, Milano 1956, VIII
vol, pag. 854.
36
Alberto Frasson, Berto, ovvero il male oscuro della gloria, in «L’Osserva-
tore politico- letterario», a. XXIV, n. 12, dicembre 1978.
29
I. Sintassi associativa
37
Dizionario critico della Letteratura Italiana, diretto da Vittore Branca con
la collaborazione di Armando Balduino, Manlio Pastore Stocchi, Marco
Pecoraio, Unione Tipografico Editrice Torinese, 1986, pagg. 293-294.
30
e il futuro rimane sempre più compromesso dal carico di que-
sti debiti etici [...] è così in realtà che mi si è formato questo
oscuro male [...] la vaghezza e la spiritualizzazione della ma-
lattia hanno fatto il loro tempo, sono stufo di lottare contro
fisime e astrazioni, ora voglio che questo male se c’è si manifesti
concretamente in forme plausibili, e così un po’ per giorno rie-
sco a localizzare un bel cancro allo stomaco [...] nella seconda
grande ansa del colon...” (pag. 276). E così via, ipotizzando e
credendo di essere vittima di una serie di mali che attaccano
all’improvviso: “questo terribile male può prendermi così a tra-
dimento come gli piace” (pag. 220); “...e poi crac, un lunedì
mattina scatta a tradimento quell’oscuro diabolico meccanismo
e io non faccio in tempo a dire Dio mio Dio mio che già vengo
travolto da angosce e paure, e correnti di caldo e di freddo
confuse e accavallatisi, e contorcimenti paurosi di budella [...]
le ghiandole testicolari dolgono moltissimo rivolgendosi miste-
riosamente, e dolgono anche le cinque vertebre che bruciano si
capisce ...” (pag. 265); “...sempreché non si sia verificata in me
una malattia straordinaria di cui i medici non hanno esperien-
za, o meglio ancora una eccezionale combinazione di malattie,
un po’ di diabete ad esempio o al contrario un po’ di glicemia
messa insieme con la colite spastica e in più l’ulcera duodenale
e l’artrosi lombare...” (pag. 230); “...non ero affatto sicuro del
genere di malattia che mi era capitato addosso, ossia da un cer-
to punto di vista era indubitabile che si trattava di esaurimento
o meglio sia nevrosi ma da un altro punto si poteva benissimo
pensare che avendo io un male cane allo stomaco si trattasse di
un bel cancro e la disgrazia mi sembrava molto probabile...”
(pag. 282). E quando il protagonista si trova a dover confidare
le sue pene allo psicanalista cerca di esporre con ordine i fatti
dalla prima apparizione di dolore: “giacché ero lì e non potevo
certo tirarla in lungo col mal di pancia cominciai a raccontar-
gli genericamente la cronistoria delle mie disgrazie prendendo
come punto di partenza l’ematuria e andando avanti coi libri
sotto i piedi del letto e con la colica famosa che mi aveva por-
31
tato nelle mani di coloro che m’avevano squartato per niente
sebbene non gratis...” (pag. 285).
Insomma, la sofferenza serve a scontare le “colpe oscure
e infinite” che il protagonista ha accumulato nella vita e più
egli riflette più ne trova e maggiori di numero sono i dolori che
subisce: “a me non bastano le colpe verso il padre per un così
disperato tracollo, non possono bastare, altre ce ne sono chissà
quante altre tutto un groviglio di colpe alle mie spalle, bestem-
mie provocatorie e eiaculazioni solitarie, sfide a Dio e sempre
l’inferno barattato per un attimo di piacere solitario, la mia co-
noscenza dell’albero che sta in mezzo al giardino ed ecco che
tutto si paga...” (pag. 220). Infine, dopo che avviene il transfert
medico-padre e il paziente narratore è pronto “alla più aperta
fiducia”38, l’aggrovigliato intreccio di colpe e pene si chiarifica:
“...e allora la storia è semplice, fin troppo direi giacché proprio
l’abbandono del padre in punto di morte avrebbe determina-
to il conflitto morale che mi ha condotto alla psiconevrosi, è
quella la realtà orrenda dalla quale fuggo per rifugiarmi nella
malattia, è quella la colpa che assomma tutte le altre della mia
vita e devo scontarla punirmi fino al punto da straziarmi con
angoscia e pazzia...” (pag. 301).
38
Pag. 298 del romanzo.
32
che non vi era alcuna connessione con Joyce”39. La differenza
fondamentale fra i due tipi di monologo consiste nel desiderio
dell’autore italiano di voler includere nel dramma il lettore e,
per dirla in termini tecnici, di stabilire con lui un transfert af-
fettivo. Questo intento applicato a Joyce appare paradossale; è
ancora agli albori in lui lo scopo scientifico. Tale aspetto diven-
ta chiaro analizzando le scelte lessicali di Berto per la cui analisi
rinviamo ad un’altra sezione del presente lavoro.
Tanti hanno usato l’espressione monologo interiore per
indicare il mezzo espressivo de Il male oscuro, studiosi che lo
biasimarono e scrittori che lo apprezzarono e continuano ad
amarlo. De Michelis scrive: “Berto mima il monologo interio-
re, cancellando quasi ogni segno di interpretazione, e accentua
l’urgenza del suo raccontare sostenendo il ritmo teso del perio-
do per pagine e pagine, riprende il fiato di rado, ma ha limpido
il disegno in ogni momento, tanto che il racconto procede svel-
to e appassionante fino alla fine”40. A lui fa eco con differente
tono Marvardi: “il monologo interiore, riguardando l’analisi
empirica dell’accadere quotidiano, non ha il rilievo stilistico
del sentimento, ma la sciatta successione percettiva sempre con
lo stesso ritmo, come un’interminabile cadenza. È mortalmente
noioso perché non ha né capo né coda”41. Addirittura Pianca-
stelli afferma che “il monologo interiore rappresenta un magma
informale di difficile controllo da parte dello stesso autore e
rappresenta, dunque, un modello chiuso e, forse, ineguagliabile
per l’asprezza stilistica e ontologica”42.
39
Giuseppe Berto, Appendice a Il male oscuro, Milano, Biblioteca Univer-
sale Rizzoli, 2004, pag. 418.
40
Cesare De Michelis, Il bisogno di raccontare, in «Scenari», n. 3, 1990.
Vedi anche Cesare De Michelis, Parole e dolore, in «Il Gazzettino», 13
gennaio 1990.
41
Umberto Marvardi, in «Persona», dicembre 1964.
42
Corrado Piancastelli, in Letteratura italiana. 900. I contemporanei, vol.
VIII, diretta da Gianni Grana, Milano, Marzorati 1956, pag. 858.
33
Il tessuto monologante si fa così fitto da riuscire ad unire
in collegamenti di difficile ricostruzione pensieri e azioni lon-
tani, che vanno al di là dei rapporti di contiguità. La parentela
fra un fatto ed un altro non viene inventata, non appare una
forzatura ma è spiegata da sottili analogie e balzi della memoria
del narratore. Avviene che il protagonista esterni un pensiero
e poi, dopo varie digressioni, vi torni: “...insomma mi alzo e
l’accompagno alla clinica per bene dove dicono si sia sgravata
anche Ingrid Bergman e sembra pure una o più mogli del re di
Giordania, la giornata non è molto festosa a dire il vero poiché
trovandoci noi quasi al centro di una zona a bassa pressione
piove a dirotto e fa freddo com’è giusto d’altronde dato che
siamo ai primi di novembre cioè praticamente in inverno, ma
a Roma non si sa perché quando viene l’inverno molti pensa-
no che la città goda di un clima tropicale di modo che nelle
case eccetto quelle dei Parioli e di qualche altra ristretta zona
di lusso gli inquilini si dividono in due partiti, quello che vuole i
termosifoni accesi subito e quello che dice appunto che a Roma
fino a Natale è ancora estate, e noi naturalmente abitiamo in un
palazzo dove democraticamente ha la maggioranza il partito di
Natale eppertanto a casa nostra si rabbrividisce e si fa la muffa
mentre qui in clinica coi termosifoni accesi c’è un caldo deli-
zioso, e la camera ha bellissime tende di cretonne alle finestre e
una grande poltrona ricoperta della stessa cretonne e invece a
casa nostra non ci sono né tende né poltrone, e del resto dicono
che questa sia la camera migliore dove fu degente per motivi
di parto la stessa Ingrid Bergman o altra stella del cinema di
grandezza quasi pari, e a mia moglie piace tanto e anche a me
piace sebbene...” (pag. 173).
In un altro passo descrive con ammirazione di bambino
“l’uomo del latte” ma per non scontentare la mamma afferma
che il suo desiderio sia essere ordinato sacerdote; il ricordo si
sposta allora ai lazzi dello zio in proposito. Il rimprovero rivol-
to a quest’ultimo di non parlare in modo boccaccesco davanti
“a degli innocenti” risveglia nel protagonista la memoria dei
34
giochi sporchi con una bambina soprannominata Lucia Sporca:
segue, ovviamente, il senso di colpa. Da qui la consapevolezza
che mai Dio l’avrebbe voluto prete e il ripiego diventa morire
in guerra come accade agli eroi innamorati e cantati dalle poe-
sie del Fusinato43. Gli esempi sarebbero molteplici ma quel che
vale è rendersi conto di come l’evocazione mentale gestisce la
narrazione.
Lo stile narrativo de Il male oscuro obbedisce ai principi
indicati da Chatman44, per cui il narratore coincide col perso-
naggio che parla di sé in prima persona con il linguaggio che gli
è proprio e senza intromissioni di pensieri provenienti dall’e-
sterno. Il racconto viene partorito dalla memoria del protagoni-
sta che spazia abilmente da una fase all’altra della vita trovando
di volta in volta nuovi legami prima ignorati. È qua, allora, che
il monologo interiore si fa discorso associativo e si distingue
anche dal flusso di coscienza. Esso è “basato sul libero, irrazio-
nale, magmatico accostamento delle immagini e dei ricordi, sul
fluire di un ininterrotto flusso conversativo ad una voce”45: “E
mentre io come essere pensante e ragionevole mi lascio trasci-
nare da alcune migliaia di millenni di cattive abitudini e faccio
tutto per costruirmi un’immagine melata e falsa del padre mio
il mio inconscio sa benissimo che questo padre era un cane ma-
ledetto che tutti i giorni mi rubava la madre mentre io ero nel
pieno della mia situazione edipica ossia per la madre morivo
d’amore, onnipotente cane contro il quale io piccolo non avevo
difesa all’infuori dell’odio, un odio smisurato come quello dei
bambini che non hanno limiti nel voler bene e nel voler male...”
(pag. 302).
Il monologo interiore in prima persona è una forma di di-
43
Vedi pagg. 80-81 del romanzo.
44
Seymour Chatman, Storia e discorso. La struttura narrativa nel romanzo
e nel film, Parma, Pratiche 1981, pag. 195.
45
G. Amoroso, Giuseppe Berto, in G. Mariani, M. Petrucciani, Letteratura
Italiana contemporanea, Roma, Lucarini, 1982-87, pag. 42.
35
scorso diretto libero46 perché privo di legami di natura ortogra-
fica e sintattica o di indicatori.
La scelta dell’autore non rende sterile il dettato, altre tro-
vate riescono ad elevare il tono da una povera cronaca e in que-
sto egli dimostra la destrezza a non ancorarsi al discorso scienti-
fico e la capacità di movimento al fine di realizzare un romanzo
interessante per storia e linguaggio. “Berto, in quanto scrittore
non poteva essere fedele ad un dettato ortodossamente associa-
tivo. Egli doveva rompere l’associazione per dar vita alla storia.
Il libro è un romanzo con un inizio ed una fine ed in ciò sta il
superamento della psicanalisi, usata da Berto come canovaccio
su cui stendere il drappeggio della poesia”47. Benché l’opera in
questione si presenti meno poetica di altre come Il cielo è rosso
e Oh Serafina, ci sono parti di vera ispirazione e bellezza. A vol-
te essa scaturisce dal ricordo di versi noti al protagonista come
nell’esempio seguente:
– ... amo amo amo così miseramente e immensamente che
non ho il coraggio di fissare un oggetto per il mio amore,
e poi il mio è amore amarezza amore rinuncia, ora case e
uomini sono lontani e posso cantare senza che nessuno mi
ascolti Sei bella quanto bugiarda e sciocca un fiore avve-
lenato è la tua bocca, anche questo mi fa piangere come
la ricordanza acerba e un canto che s’udia per li sentieri
lontani lontanando morire a poco a poco, così son io così,
già similmente mi stringeva il cuore, ed ora è venuto l’au-
tunno... (pag. 326).
Una parte di autentica suggestione si legge verso la fine
del romanzo quando l’anonimo protagonista, stanco del male
di cui son capaci gli uomini, decide di ritirarsi a vivere lontano
dalla società in un luogo nominato per perifrasi:
– ...e infine sia concesso che ognuno la sua quiete se la cerchi
46
Bice Mortara Garavelli, La parola d’altri. Prospettive di analisi del discor-
so, Palermo, Sellerio editore, 1985, pag. 20.
47
Corrado Piancastelli, Berto, Firenze, I Castori 1970, pagg. 96-97.
36
dove pensa di trovarla, pertanto andrò verso il paese dove
alzando una mano si colgono gli aranci che traboccano dai
giardini, così era mio padre, camminava nell’alba pei sen-
tieri della Conca d’Oro e alzava la mano verso i rami che
sorpassavano i muri e coglieva aranci con magnificenza,
ora io non ho paese né luogo al mondo ho solo questa ter-
ra dei suoi racconti e della mia memoria, questa è la terra
alla quale posso ancora in qualche modo appartenere, e
così vado per un altro giorno lungo il mare Adriatico e poi
attraverso i monti e poi ancora lungo un altro mare finché
giungo in fondo e l’isola degli aranci sta dall’altra parte
celeste e gialla e un poco verde nella sua breve lontananza,
e in mezzo c’è un piccolo tratto di mare proprio piccolo
ma non ho il coraggio di passarlo [...] e così verso sera
cerco un posto da dove si possa guardare la Sicilia, di notte
l’altra costa è una lunghissima distesa di lampadine con
segnali rossi e bianchi che si spengono e si riaccendono...
(pagg. 407- 408).
48
Userò tale espressione per indicare sia il discorso indiretto sia quello
diretto.
Per la terminologia e le differenti classificazioni di discorso consultare
Bice Mortara Garavelli, La parola d’altri. Prospettive di analisi del discorso,
Palermo, Sellerio editore, 1985, pag. 17 e segg.
37
È stato illustrato come Il male oscuro sia tessuto sul mo-
nologo interiore che è per sua natura monovocale. Ebbene, ci
sono pagine in cui le parole sembrano provenire direttamente
dalla bocca della moglie del protagonista o delle sue sorelle,
dei genitori, degli amici, dei medici. In realtà, è una replica del
dialogo che avviene sempre da parte del protagonista-narratore
e risponde a quella che Bachtin denomina ‘parola estranea ri-
flessa’49.
Nell’ambito dell’interazione faccia a faccia il narratore
introduce delle conversazioni. In alcuni casi le riporta con il
discorso indiretto sostenuto dal verbo introduttivo in modo
implicito o esplicito e dal che, segnale di traduzione50:
– ... e verso sera lei telefona da Siusi per sapere come sto
e dirmi che il marito della sua amica mi telefonerà e può
venire su dopodomani, ma intanto lei sarebbe contenta di
venirmi a prendere ora [...] e io mi faccio coraggio di dirle
di non muoversi che non occorre... (pag. 226).
– ... l’antico imperatore romano [...] dice che non devo per
niente fare modifiche [...] e a lui dico che ho buone amici-
zie al Centro Cattolico [...] quindi se lui mi dà un milione
di anticipo [...] l’imperatore mi guarda in verità costernato
e dice francamente che lui non è preparato ad una somma
così forte... (pag. 269).
49
Michail Bachtin, Dostoevskij. Poetica e stilistica, Torino, Einaudi 1968,
pag. 256.
50
Bice Mortara Garavelli, La parola d’altri. Prospettive di analisi del discor-
so, Palermo, Sellerio editore, 1985, pag. 84.
38
– ... poi cede all’evidenza tuttavia mi chiede ma che se ne fa di
tutti questi soldi lei che è uno scrittore, e io Commendatore
mi è nata una figlia cinque giorni fa, e lui dice ah sì me ne
ero dimenticato i figli sono l’unica consolazione della vita la
cosa più importante del mondo... (pag. 192).
È il discorso diretto libero!
51
Nella conversazione il turno equivale alla ‘battuta’ del linguaggio tea-
trale. Cfr. AAVV, Introduzione all’italiano contemporaneo. Le strutture, a
cura di A. Sobrero, Roma-Bari, Laterza 2005, pagg. 440-442.
39
insomma la conversazione diretta è maggiormente mimetica
anche in questo caso in cui essa nasce dal ricordo e dalla voce
del protagonista narratore. Un criterio di lettura del roman-
zo è seguire il passaggio tra i vari stili discorsivi che garantisce
comunque un continuum narrativo garantito dall’andamento
monovocale.
40
preceduta da subordinate di varia natura il che potrebbe farci
pensare che quello ipotattico sia lo stile prevalente dell’opera.
Malgrado qualche altro esempio simile di successione di subor-
dinate rette da un’unica principale, la prosa della memoria si
appiattirà sempre più per raggiungere spontaneità. Le subordi-
nate spesso saranno espresse da participi, gerundi, complemen-
ti. In particolare, il gerundio è un tratto discriminante l’italiano
rispetto alle altre lingue romanze e al latino stesso52. Il ricorso
al gerundio fino al secolo XV era abbastanza raro ma già nel
successivo la sua presenza si fa vivace, “si fanno sempre più
numerosi i periodi che controbilanciano il loro andamento a
progressione lineare ed aggiuntiva con le forme dei gerundi,
ovvero con uno dei più comuni strumenti di arginamento alla
tendenza alla coordinazione” 53. Il gerundio forma da solo una
clausola dipendente e viene usato con molta frequenza da Ber-
to in vece delle proposizioni temporali, causali, relative, ipo-
tetiche, ma soprattutto modali e tante volte annunciato dalle
congiunzioni coordinanti:
– Tutto questo il mio medico lo sa benissimo, meglio di me
si potrebbe dire, e in effetti fu proprio lui che, ancora ai
primi tempi della cura, interpretando nel modo più cor-
retto un sogno che m’era capitato di fare, e precisamente
[...] arrivammo alla spiegazione giusta ovverosia scientifica
di questa lotta, togliendole quanto poteva avere di super-
stizioso e tenebroso, e dandole non solo ordine logico ma,
soprattutto dimensioni umane quali, pareva, era possibile
sopportare (pag. 6).
– ... e mia madre li teneva d’occhio cercando di capire chi
aveva voglia di comprare e chi invece voleva solo far per-
dere tempo, e badando anche che... (pag. 97).
52
S. Ferreri, The evolving gerund, in «Journal of Italian Linguistics» 8,
1983-86.
53
Enrico Testa, Simulazione di parlato, III, Il respiro della voce, Firenze
1991, pagg. 202-203.
41
Nel caso precedente risulta difficile ridurre il gerundio a
una dipendente corrispondente ma è possibile scambiarlo con
il verbo principale54: mia madre, tenendoli d’occhio, cercava di
capire chi aveva voglia di comprare ... ; con tale inversione, però,
si toglie importanza all’azione del tenere d’occhio che secondo
la scelta di Berto deve assumere maggiore rilievo nel sintagma
in questione.
– ... e infatti la suora mi fa questa sospirata iniezione con l’a-
ria che deve avere avuto Ponzio Pilato nella nota circostan-
za ossia facendo ben vedere che lei nella mia dannazione
di alcaloidi non c’entra per nulla, e intanto tra una cosa e
l’altra si è fatto notte e dopo che i dolori faticosamente re-
cedono seppellendosi nel mio corpo squartato mi assopi-
sco, e dormo, e svegliandomi poi che è ancora notte vedo
la ragazzetta addormentata... (pag. 135).
– ... ce la faccio ad arrivare a Spoleto che come tutte le città
d’un tempo è costruita in collina il che significa che è un
po’ mossa e piuttosto carente di linee rette in tutti i sen-
si, sicché vado in giro mezzo stordito cercando in qualche
modo di mantenermi idealmente almeno perpendicolare
secondo la forza di gravità e sforzandomi anche di stare
insieme psichicamente... (pag. 297).
54
AA.VV., Introduzione all’italiano contemporaneo. Le strutture, a. c. di
Alberto Sobrero, Roma-Bari, Laterza, 2005, pagg. 82-83.
42
Lo stesso discorso va fatto per l’uso del participio il cui
ricorso risulta comunque essere nettamente inferiore rispetto
al modo gerundio:
– ... ma ecco che arrivato al punto del decesso quasi di colpo
mi metto a piangere... (pag. 286).
– ... quelli di stanotte più quelli di oggi derivanti dal taglio e
dallo scompiglio... (pag. 132).
43
In linea di massima, però, la costruzione paratattica colle-
ga le azioni verbali dei diversi soggetti che si avvicendano nella
storia narrata.
– ... e dall’amica di lei non mi lascio toccare neanche una
mano, solo e orfano bevo fino alla feccia il mio calice d’a-
gonia, e dopo quando mi sono alla fine un poco calmato
l’amica mi rivela che la ragazzetta ha avuto pasticci seri
con sua madre per causa mia sicché non può venire così
frequentemente come prima, e d’altra parte sembra che
abbia trovato un giovane molto serio e con una buona po-
sizione che si è innamorato di lei e per quanto lei non sia
innamorata di lui però gli vuole bene tutto sommato, e
inoltre questo giovane che fa l’avvocato a quanto pare non
ha che trent’anni sicché tra loro non c’è una grande diffe-
renza d’età come tanto per dire fra noi due, ma soprattut-
to questo avvocato è disposto a fare le cose con coscienza
ossia andandola a chiedere in famiglia [...], e io [...] (pag.
155).
Di seguito riportiamo esempi tratti dalle prime quasi otto
pagine del decimo capitolo in cui si trovano più di cento con-
giunzioni coordinanti:
– ... si strofinavano forte le palme delle mani fino a sentire
caldo e dolore e poi rapidamente si portavano le palme al
naso e si sentiva odore e si diceva questo è odore di morte,
la nostra carne che è strumento di morte, e va bene che poi
un po’ alla volta ... (pag. 345)
– ... e dal barbiere a tagliarmi i capelli neppure riesco ad an-
dare se non quando mia moglie mi ci costringe litigando e
mi ci accompagna naturalmente, e poi mi trovo male nelle
strade del centro quando non si può più andare né avanti
né indietro con la macchina, e una volta mi son sentito
poco bene anche davanti al ministero della marina alle ore
quattordici mentre uscivano tutti i marinai e gli impiegati
civili e ora normalmente faccio giri anche piuttosto lunghi
per evitare il ministero della marina verso le ore quattordi-
44
ci, e poi ce l’ho con i poliziotti [...] e ce l’ho con le guardie
di città pure, ... (pag. 346-7).
55
La congiunzione “e” ricorre molto di frequente nelle serie aggettivali:
pigro e pavido in fondo e alieno dalla violenza (pag. 68); questa era vecchia
e brutta e severa (pag. 85); ma la “e” ricorre anche nelle enumerazioni
di oggetti così come pure la “o”: la credenza e la mensola e l’acquaio [...]
famiglia e focolare e cibo (pag. 39); confusione di forcine e pettinini e fermi
per capelli e pettini (pag. 75); cardinale o deputato o attrice della televisione
o meglio annunciatrice (pag. 37). Tanti elenchi, invece, sono in sequen-
za asindetica: caffè, zucchero, riso, pasta, olio e latte condensato (pag. 68),
radicali, scrittori, giornalisti, commediografi, saggisti, esegeti e via dicendo
(pag. 61); spesso sono enumerazioni prive anche della virgola: la debolezza
la vecchiaia la malattia i patimenti e solo per ultimo la morte (pag. 64),
secondo l’uso inaugurato da Carducci.
45
– ... e spesso rimane come paura astratta o va a finire nel
caldo lombare... (pag. 273)
– ... aveva già i baffi oppure non li aveva... (pag. 74)
– ... e poi voleva che facessi lo statale invece di andare in giro
come un vagabondo, ma non dimentichiamo che per lui
la gloria era questione del tutto diversa da un’opera d’arte
letteraria... (pag. 361)
– ... allora vediamo un po’ da dove può essere nata questa
spina e invero c’erano tante componenti da far perdere la
testa ... (pag. 361)
– ... non aveva altre predilezioni, e quindi domando io per-
ché mai non riuscivo a rimuovere quella mia aspirazione a
scrivere opere d’arte... (pag. 362)
– ... egli non sapeva né comprare né rivendere , cioè com-
prava roba sbagliata che nemmeno i contadini volevano ...
(pag. 338)
– ... teneva copia di ogni lettera [.. .] per rinnovare a volontà
io credo il compiacimento di averle scritte, senonché un
bel giorno [...] mio padre [...] mi sottopose... (pag. 339).
V. Stile ipotattico
56
Vedi avanti, paragrafo “Gli incisi e i loro tempi”.
46
l’umorismo proprio di chi ha piena coscienza che esso consista
nel “ridere del proprio rapporto con la realtà intesa come regno
delle cose difficilmente afferrabili, o affatto ineffabili”57. Berto
vuole annullare i fatti veri e propri che riguardano la realtà del-
le cose e concentrare la sua attenzione e quella dei lettori sugli
effetti che quei medesimi accadimenti causano o proiettano sui
personaggi, o meglio sui loro animi.
Nella prima pagina del romanzo, ma anche in altri punti58,
ricorre all’apostrofe: segno che il narratore desidera interagire
con coloro che lo seguono nei suoi ragionamenti nella dispe-
rata ricerca di ricostruire gli eventi della sua malattia e cura59.
E in questo districarsi dell’animo del protagonista dai pensieri
nevrotici di fobie mostruose emerge una folla di dubbi, tanti
forse che vengono ben testimoniati dall’abbondanza di propo-
sizioni concessive, per cui il personaggio afferma una verità ma
subito ritratta non volendo darla come assoluta. Lo sforzo di
Berto scrittore e protagonista de Il male oscuro è convincersi
con ogni mezzo di credere nella capacità di vedere una verità
e trovare la determinatezza di raccontarla a chi ancora non la
vede. Un nobile compito che però si scontra continuamente
con la natura umana che ha insita nel suo esistere la vaghezza
e il disorientamento. Ecco perché, dunque, le subordinate pre-
valenti nel romanzo sono soprattutto causali e concessive nel
tentativo instancabile di fornire dimostrazioni alle tesi sebbene
subito dopo si è costretti a ritrattare. Ad un certo punto, in
seguito a profondi sforzi di discernimento, il nevrotico tocca la
verità ma poi gli sfugge di mano a causa di un tarlo che non si
allontana dal suo cervello:
57
Giuseppe Berto, lettera ad Andrea Zanzotto dicembre 1964, in «La
Repubblica» 10 marzo 1990.
58
“ebbene fottiamocene pure dei radicali e pederasti associati e scalatori
da salotto letterario siamo su di un piano diverso signori miei, ...” pag.
244.
59
“senonché una tale supposizione non andrebbe poi d’accordo col so-
spetto che più d’uno potrà avere alla fine...” pag. 3.
47
– Ora una cosa è chiara finalmente che mi taglieranno la
pancia secondo una prassi a me ben nota, ed un’altra cosa
è parimenti chiara se non di più e cioè che non posso farci
nulla, proprio mi manca la forza spirituale per oppormi ad
un simile sinistro avvenimento e per quanto sia bene sta-
bilire che è per una serie di circostanze tutte chiaramente
incasellate in un ordine logico e materialistico che io me ne
vado dov’è il mio destino andare niente riesce a togliermi
dalla mente il pensiero del padre mio che sta prendendosi
la sua legittima vendetta... (pag. 116).
48
– ... e in più ho sempre quei tre capitoli che quando andrò
avanti costituiranno sicuramente un monumento più dura-
turo del bronzo a gloria non solo mia ma anche del mio
paese e perché no dell’intero genere umano (pag. 352).
60
Cfr. Lorenzo Renzi, Grande Grammatica Italiana di consultazione, vol. I,
Il Mulino, Bologna 1988, pagg. 442-503, e Luca Serianni, Prima lezione di
grammatica, Laterza, Roma- Bari 2006, pagg. 157-160.
49
tanto io l’adopero solo nei tre mesi dell’estate e per il resto
dell’anno vado in collegio... (pag. 323).
interrogative
indirette, avversative,
modali esclusive, eccettuative,
comparative limitative
ipotetiche
consecutive
relative
soggettive/oggettive
causali
finali
temporali
concessive
50
anche possedere sebbene non certo nella misura che pre-
tendo, insomma a suo avviso sarei un mediocre per quanto
non peggiore di tanti altri che fanno carriera anche come
romanzieri ma sono matto se aspetto senza far niente che
gli altri s’inchinino al mio genio, e io fondamentalmente
non le do torto giacché so fin troppo bene che ci troviamo
in un tempo in cui tutto va per via di amicizie e raccoman-
dazioni reciproche e prodigiose scalate sociali e apparte-
nenza a clan di vario genere [...] (pag. 355).
51
... alle volte cominciamo
a litigare proprio da lì cioè
dalle scarpe sul letto-divano
52
della grammatica dal lessico alla sintassi, e la fonetica incide
sull’ortografia. Compaiono casi di univerbazione non sempre
attestati nella lingua scritta; ad esempio nel caso di preposi-
zioni: inquantoché (pag. 261, 382), amenoché (pag. 152, 230,
372), sempreché (voc. raro, pag. 348), epperciò (pag. 14, 45),
eppertanto (pag. 21, 23, 25); di alcune congiunzioni convivono
nel testo la forma univerbata e quella non: ovverossia (pag. 103,
113), v/s ovverosia (pag. 118, 395), dimodoché (pag. 147, 390)
v/s di modo che (pag. 176). In altri casi troviamo soltanto la
forma staccata: gran che (pag. 13, 19), fin che (pag. 19).
61
Gaetano Berruto, L’italiano popolare e la semplificazione linguistica, in
«Vox Romanica», XVII, 1983, pp. 38-79, pp. 48-49.
62
Vedi esempi n. 1, 2, 3, 4, 5 dell’elenco nella pagina seguente.
63
Paolo D’Achille, Sintassi del parlato e tradizione scritta della lingua ita-
liana, Roma, Bonacci 1990, pag.262 e segg.
Pietro Trifone, L’italiano a teatro. Dalla commedia rinascimentale a Dario
Fo, Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2000, p.126.
64
Luca Serianni, Prima lezione di grammatica, Roma- Bari, Ed. Laterza,
2006, pag. 5.
53
– ... la Sicilia era il posto più bello e felice del mondo e io
sicuramente ci sarei andato non appena fossi diventato
grande (pag. 71)
– ... sulla salita di Bellolampo sopra la conca d’Oro ci andava
per guadagnare venti centesimi di straordinario (pag. 84)
– ... il giorno del funerale non ci andai (pag. 86)
– ... se tanta gente va a comprarsi il cappello da lui anch’io ci
voglio andare (pag. 95)
– ... e poi scelsi il letto matrimoniale, mi ci sdraiai sopra col
cappotto (pag. 40)
– ... mi ci misi pensando che non avrei preso sonno (pag. 46)
– ... alla dannata clinica non ci arriverò mai più, oppure
scontro e ci lascio la pelle (pag. 182)
– ... rimpiango di non aver fatto testamento perché ci avrei
espresso ... (pag. 121)
– ... tutto sommato spera di non morirci affatto (pag. 157)
– ... quando mia moglie mi ci costringe litigando e mi ci ac-
compagna naturalmente (pag. 346)
– ... sarebbero state capaci di piangerci sopra (pag. 56)
– ... non potrò fare a meno di illustrare in seguito se mi verrà
fatto di arrivarci (pag. 59)
– ... per la ricrescita dei capelli qualche speranza ce l’aveva
ancora ... (pag. 76)
– ... aveva un grande mantello o tabarro scuro come ce l’han-
no solitamente i carabinieri (pag. 70)
– i berretti alla marinara ce li aveva lui in bottega (pag. 82)
54
– ... e tirato giù il rotolante si andava a casa (pag. 78)
– ... noi si andava alla Trattoria alla Speranza [...] si prende-
va l’anguilla con la polenta (pag. 97)
– ... si camminava fino allo stallo dietro la piazza per pren-
dervi a nolo un cavallo (pag. 96)
– ... e in realtà vi si entrava ai primi di ottobre per uscirne
ai primi di giugno e mai si poteva andare a casa [...] e poi
si pativa un grande freddo perché d’inverno ci si lavava
...(pag. 67)
v La ripresa
65
Bice Mortara Garavelli, Strutture testuali e retoriche, in AA.VV., Introdu-
zione all’italiano contemporaneo. Le strutture, Roma- Bari, Laterza, 2005,
pag. 388.
55
– ... come quando ero sul punto di salire al cielo [...] o quan-
do sempre a maggior gloria del Re [... ] o quando in prigio-
nia mi operarono di ernia doppia (pag. 110)
– ... ma lui pure gridava con mia madre che gli stava sempre
appresso, gridava che era stufo di dar la vita per mantenere
certa gente che poltriva fino a mezzogiorno, gridava che
non ne poteva più di sfamare certi lazzaroni [...], gridava
che lui certi figli privi di coscienza uno di questi giorni li
avrebbe cacciatri di casa a pedate [...] e gridava per svegli-
armi (pag. 44)
– ... non ho fatto scrivere cittadino integerrimo, probo e
onesto, e neanche Maresciallo d’Alloggio in Pensione dei
Reali Carabinieri, e neanche Commerciante (pag. 54)
– e poi le loro case dentro sono belle hanno il gabinetto con
l’acqua che viene giù tirando la catena, e poi un altro ga-
binetto al piano di sopra molto grande dove c’è anche la
vasca per fare il bagno (pag. 84)
– oppure insegnandole a dire la parola papà, oppure guidan-
do la sua mano per farle scrivere a dentro le righe (pag. 92)
– e dice anche sono quasi tre anni che mi tengo questa cosa
dentro e non ne potevo più, e dice anche ora sei guarito
per questo te l’ho detto (pag. 399)
– ... è uno sconfinato godimento che contiene in sé ogni
brivido e piacere, di quando avevo paura bambino e la
mamma mi proteggeva, e di quando rabbrividivo davanti
al tabernacolo [...] e di quando tremavo d’orgoglio [...] e
di quando mi struggevo per i miei piaceri... (pag. 332)
– attraverso mia figlia ho potuto rivivere sia pure empirica-
mente tante sensazioni della mia infanzia quando mi face-
va saltare sui suoi ginocchi [...] o quando mi lasciava [...] o
quando non protestava ... (pag. 301)
– Dio mio se cominciassi a vedere i muri storti [...], Dio mio
forse sarei costretto telefonarle ... (pag. 403)
– ... e io non sono forte non so dire la poesia [...], non sono
forte ma ho la forza del mio orgoglio (pag. 303).
56
Tantissimi sono anche i casi di anadiplosi:
– ... perché mai ci vediamo così poco gli dico, gli dico anche
che sono contento (pag. 101)
– ...dico che ho un appuntamento d’affari verso le tre e me
ne vado, me ne vado dove poi non lo so (pag. 177)
– ... niente potrà più liberarmi dalla paura che non tornerà a
tradimento quando vuole senza mia colpa, senza mia col-
pa recente intendo dire (pag. 230)
– ... sebbene poi mi piombino addosso tutti i pentimenti del
mondo per ciò che ho fatto, si tratta di pentimenti che pre-
vedono un castigo abbastanza lontano (pag. 154)
57
ri solo polenta e latte o polenta e formaggio mangiavano
(pag. 91)
– e frattanto quella faccenda che noi per comodità e igno-
ranza chiamavamo esaurimento [...] quella faccenda dice-
vo ... (pag. 151-2)
58
Nell’enfasi della narrazione la riproduzione del linguaggio
parlato e la ricerca di esporre l’evolversi dei fatti in modo spon-
taneo e commosso favoriscono il ricorso all’iterazione:
– oh aiutatemi aiutatemi a salvarmi da questo terrore e di-
sperazione (pag. 219)
– tutte le clamorose disgrazie che mi sono piovute addosso
finora e quelle ancor più grosse che mi stanno per capitare
me le merito proprio me le merito (pag. 286)
– lei dice affannosamente non ti succederà ci sono qui io
non ti succederà (pag. 266)
– sono io io energia e destino, ci sono stelle sopra la nebbia
e sono mondi senza fine (pag. 334)
– il falso mio sorriso spensierato forse nasconde un gran do-
lor, un gran dolor, ... (pag. 236)
– cosa faccio al mondo io cosa faccio, amo amo amo così
miseramente e immensamente (pag. 325).
59
In altri casi l’accalorata ripetizione rientra nelle invocazio-
ni all’interno di richieste di aiuto o appassionati dialoghi imma-
ginati con un interlocutore che sia la figlia del protagonista o il
padre defunto o Dio:
– figlia figlia forse tu troppo piccola non ti ricorderai del
padre, non saprai com’è stato tuo padre... (pag. 219)
– Signore o Signore non sono degno ma aiutami lo stesso
(pag. 256).
v Invocazioni e interiezioni
60
ne dell’enunciato precedente l’esclamazione, come negli ultimi
esempi sopra citati.
Le interiezioni sono “squilli di tromba” che suscitano
l’attenzione dell’ascoltatore e gli comunicano il cosiddetto
“Stimmungstenor” del parlante67. Il loro scopo precipuo è ef-
fettivamente quello di esprimere una sensazione, una reazione
improvvisa dell’animo provocata da qualcosa che si è visto o
sentito o, molto più soventemente nel caso che stiamo esami-
nando, da qualche episodio che è riaffiorato alla mente del pro-
tagonista oppure che egli ha immaginato o sognato. In alcuni
casi le interiezioni informano di un sentimento di gioia e lieta
sorpresa o al contrario palesano dolore, sofferenza, sdegno, di-
sgusto o spiacevoli sorprese. A volte manifestano un comando,
una preghiera, un saluto oppure servono per esortare qualcuno
alla concentrazione o alla percezione di un pericolo, o ancora,
più semplicemente per destare l’attenzione del lettore o dell’in-
terlocutore nei casi in cui il narratore riporta dei dialoghi.
Così, come tutti gli altri elementi lessicali di una lingua,
esse hanno dei significati convenzionali e tradizionali e possono
anche, scisse da una struttura sintattica, equivalere da sole ad
una comunicazione completa. Queste sono perciò le loro carat-
teristiche più di rilievo: la capacità di realizzare il significato di
una frase intera e la loro autosufficienza, vale a dire la libertà da
ogni legame sintattico.
Spitzer definisce le interiezioni “absolute Musik, da sie
keinen (gesprochenen) Text besitzen,... Lieder ohne Worte, ...
rein musikalische Stimmungselemente”68. Esse in realtà non si
muovono sul piano concettuale e semiologico del linguaggio,
ma segnalano pur sempre una presenza che orienta l’ascolta-
tore. Spetta loro il compito di “intonare” il discorso del per-
67
Giovanni Nencioni, Tra grammatica e retorica. Da Dante a Pirandello,
Torino, Einaudi, 1983, pag. 218
68
Ivi
61
sonaggio69 e, pur non aprendolo quasi mai ne Il male oscuro,
esse incidono costantemente su di esso per evidenziarne la sua
essenziale affettività.
Le pagine di Berto sono piene di segnali ad alto quoziente
tonale: vocativi, incisi fatici, interiezioni. La frequenza di questi
elementi si spiega considerando in generale tutta la scrittura
dell’autore che è appunto disposta al parlato. Graficamente,
l’interiezione non è mai seguita da un punto esclamativo70. Sul
piano fonetico ogni interiezione ha una sua intonazione carat-
teristica che dipende molto dall’esecutore, dal suo carattere e
dalla situazione emozionale. È dunque un elemento linguistico
connesso all’oralità e alla spontaneità e per codesta ragione, ov-
viamente, è il lettore a dover interpretare il tempo della durata
dell’interiezione. La cosa non riesce difficile perché egli viene
coinvolto e compartecipa alle situazioni esperienziali del pro-
tagonista.
Nel parlare di interiezioni bisogna valutare la distinzione
fra interiezioni “primarie” e interiezioni “secondarie”71. Le
primarie hanno esclusiva valenza interiettiva: ah, ahimè, ohi...
Le secondarie costituiscono parti del discorso autonome che
sono in grado di assumere vari scopi. Le interiezioni sono alla
base delle locuzioni interiettive, che sono formate da più parole
come negli esempi:
– ... e lui dice dove sono i dialoghi di Gennarino ringrazi Id-
dio che dovrei addebitarle le spese di viaggio e soggiorno a
Parigi ... (pag. 204)
– mettilo giù per l’amor di Dio (pag. 82)
69
Pietro Trifone, L’italiano a teatro. Dalla commedia rinascimentale a Da-
rio Fo, Pisa – Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2000,
pagg. 115-116.
70
In tutto il romanzo non compare un solo punto esclamativo o inter-
rogativo. Per tale discorso rinvio alla parte del presente lavoro in cui ho
esaminato la punteggiatura dell’opera.
71
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Gram-
matica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme e costrutti,
Torino, Utet, 1988, pag. 311.
62
– ... ma da domani vita nuova se Dio vuole... (pag. 213).
72
Giovanni Nencioni, Tra grammatica e retorica. Da Dante a Pirandello,
Einaudi, Torino 1983, pagg. 210-253.
63
vero che ha valore olofrastico e quindi può fare battuta a sé ma
solo se inserita nella cornice di un contesto:
– io gli dico Commendatore non si ricorda che mi è nata una
figlia e lui dice ah sì e va ad aprire un cassetto... (pag. 204).
64
autonome nelle pagine dell’opera come esclamazioni tipiche
della lingua parlata informale (e soprattutto ‘pensata’ nel caso
del protagonista de Il male oscuro). Sono locuzioni tradizionali
ma nel caso di Berto potrebbero alludere a un significato meno
banale, ovvero un desiderio di rapportarsi con l’Assoluto73 che
è sotteso a tutta la narrazione e che governa molte scelte anche
di tipo sintattico-lessicale. Ecco alcune delle interiezioni-invo-
cazioni del tipo specificato:
– e io penso Cristo santo ma guarda un po’ questa qui cosa
pretende (pag. 180)
– e mi metto a gridare dove fuori per la Madonna (pag. 202)
– ma Dio mio al presente passo della narrazione credo che ...
(pag. 217)
– ma poi Madonna santa come me la fa pagare questo poli-
ziesco Super-Io (pag. 307)
– questa ci mancava ora santissimo Iddio (pag. 142).
73
Ferruccio Monterosso, Come leggere il Male oscuro di Giuseppe Berto,
Mursia, Milano 1977, pagg. 69-71.
65
v Gli incisi e i loro tempi
66
tutto storto io penso che sono sbagliato io e non sbagliato
il mondo (pag. 393).
74
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Gramma-
tica Italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme e costrutti,
Torino, Utet, 1988, p. 527.
75
Claudio Toscani, Ritorna il Male oscuro, in «Ragguaglio librario», gen-
naio 1990.
67
costruire e ordinare la materia della sua opera. Sempre al con-
giuntivo sono le concessive:
– il quale tale restava sebbene io fossi arrivato a capire an-
che da solo che c’era un bel po’ di esagerazione in questa
storia dei sacrifici (pag. 91)
– non tutti possono essere Gesù sulla croce per quanto an-
che lui raccomandasse padre se ti è possibile, il che in cer-
to qual modo potrebbe anche significare che ... (pag. 123)
– non sarei diventato matto perché non potevo diventarlo,
ma sebbene le sue parole fossero allettanti... (pag. 285).
Spesso anche le finali:
– affinché chiunque possa vedere il doppio aspetto di que-
ste traversie (pag. 145).
v La dislocazione
76
Enrico Testa, Simulazione di parlato. Fenomeni dell’oralità nelle novelle del
68
questo è riscontrabile più nella lingua orale che nella scritta e in
quest’ultima è caratteristica dei testi che sono vicini al parlato77.
Lo scopo perseguito è di mettere in evidenza un elemento
linguistico a spese di altri; serve per movimentare il discorso,
conferendo vivacità agli interventi verbali dei personaggi e ri-
spondendo all’esigenza di rapidità d’informazione.
La componente emotiva nella costruzione del discorso nel
linguaggio orale è fondamentale. Se Berto sceglie costrutti pro-
pri della lingua parlata si deve all’empatia che vuole stabilire
con il lettore e che trova un suo corrispettivo linguistico sulla
pagina. La libertà di spostamento di costituenti è possibile nella
nostra lingua perché il verbo, per sua flessione, contiene in sé
il soggetto, e perché l’italiano conosce varietà di pronomi atoni
che sono ottimi connettivi fra gli elementi della frase78.
La dislocazione ricorre quando, nel caso di un verbo tran-
sitivo, il complemento oggetto è in posizione diversa da quella
postverbale e, in alternativa, accanto al predicato viene inserito
un pronome clitico, il quale si riferisce all’oggetto stesso. Ciò
mira ad accrescere l’importanza semantica della voce verbale, a
volte accompagnata da avverbi o altri complementi che ampli-
ficano o viceversa restringono il suo significato; tali espressioni,
però, hanno limitazione dal punto di vista stilistico perché ri-
sultano calzanti più per una comunicazione spontanea anziché
formale79. Questo comunque accresce il valore artistico di Ber-
69
to perché gli si riconosce la destrezza nella riproduzione di un
linguaggio schietto e immediato.
Sappiamo che le dislocazioni possono avvenire in due sen-
si di marcia: si parla di dislocazione a destra e dislocazione a
sinistra. La prima costruzione consiste nella posticipazione di
un elemento della frase dalla sua posizione originaria, che viene
occupata da un clitico:
– glielo si leggeva nel viso quant’era felice (pag. 71)
– immaginarmela questa mia opera capitale (pag. 243)
– scriverlo un diario p. 184
– siamo riusciti a metterlo a posto il mio pletorico Super-Io
p. 389
– voglio vedermela sulla faccia questa smisurata rovina p.
220
– vorrei proprio prenderla io quella Wolsitt da corsa p. 326
– mai più lo dissi quando avevo male p. 77
– mica l’ho ammazzato io mio padre p. 111
– vorrei vederla ancora una volta questa mia viva ragazzet-
ta p. 117
– chi riusciva a fermarla più l’autocompassione p. 139.
80
G. Berruto, Le dislocazioni a destra in italiano, in Pietro Trifone, L’Ita-
liano a teatro. Dalla commedia rinascimentale a Dario Fo, Pisa – Roma,
Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2000, p. 121.
81
Lorenzo Renzi, Grande Grammatica Italiana di consultazione, a cura di
Lorenzo Renzi, Giampaolo Salvi, Anna Cardinaletti, Bologna, Il Mulino,
2001, pag. 146 e segg.
70
viene però ripresentata, per confermare quel che l’ascoltatore ha
appreso. Nell’ambito della testualità non c’è differenza fra dislo-
cazione a destra e dislocazione a sinistra, perché, come vedremo,
si discute sempre su temi che sono precedentemente nominati
nel testo o previsti nel livello conoscitivo dell’interlocutore.
La dislocazione a sinistra, molto più diffusa, si ottiene
anticipando un costituente, pur senza privarlo di connessione
sintattica con il resto della frase. Il clitico, che viene colloca-
to successivamente, esplicita tale legame, occupando il posto
che ordinariamente è riservato al sintagma che adesso subisce
dislocazione. Questo tipo di costruzione del discorso ha radi-
ci profonde; si trova nei più antichi testi volgari della nostra
lingua: le formule dei placiti cassinesi, ad esempio in quello di
Capua del 960:
‹‹ Sao ko kelle terre ..., trenta anni le possette parte Sancti
Benedicti ››
Questa documentazione permette di conferire autorità al
costrutto in questione e, così come scrive Sabatini, rappresenta
uno di quegli aspetti che “erano già presenti da tempo nel si-
stema [...] alla base della lingua italiana”, ma che “non furono
accolti in quella particolare norma, definibile come supernor-
ma, che dal secolo XVI in poi ha dominato l’uso standard della
lingua italiana”82.
82
Pietro Trifone, L’italiano a teatro. Dalla commedia rinascimentale a Da-
rio Fo, Pisa – Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2000,
pag. 121.
71
– i Promessi Sposi mai nessuno li leggeva p. 81
– i suoi cappelli c’era da vergognarsi a portarli p. 362
– il caffé non posso prenderlo e il pieno l’ho già fatto p. 233
– il cambiamento di sdraiarmi con le scarpe lo farò dopo
l’interruzione p. 300
– il direttore d’orchestra messicano lei voleva proprio ve-
derselo p. 297
– il Padreterno l’hanno inventato i preti p. 318
– il rapporto con esse ce lo poniamo come condizione p.
396
– intanto però l’antico imperatore romano mi sta spiegando
lui il significato p. 269
– io mio padre me lo ricordavo che brontolava sempre p. 94
– la gloria la lascia agli altri p. 201
– la medaglia vermeille me la sono conquistata p. 322
– la piscina è meglio lasciarla perdere p. 107
– la rata me la darà domani p. 186
– la sua quiete se la cerchi p. 407
– lascio che la notizia se la trovi p. 365
– la vedova francese non ce la facevo proprio più a reggerla
p. 55
– le corna se le merita p. 188
– le endovenose devono ancora inventarle p. 275
– le ottantamila non le ho p. 205
– le qualità richieste sembra possederle p. 280
– ora l’acqua attinta dal pozzo la porto con quei bidoni p. 410
– qualche acciacco bisogna pure averlo p. 106
– quel grande distintivo me lo appendevo al collo p. 88
– quelle a conti fatti era meglio se le tenevo per me p. 284
– quelle incaute fotografie non le volevo vedere p. 57
– questa cosa non riusciva a dimenticarsela p. 380
– questa donna dunque l’abbiamo mandata in vacanza
pure lei poveretta p. 214
– questa nuova condizione di non isolamento mi conveni-
va tenermela p. 35
72
– queste cose bisognava prenderle p. 368
– queste cose si finisce per dimenticarle p. 164
– queste sofferenza sarebbe stato meglio eliminarle p. 282
– questi libri li leggo p. 190
– questi marron glacé glieli compri in un bar qualsiasi p. 186
– questo mio padre morto ormai da tanti anni io l’ho per
così dire confuso con Dio p. 410
– questo padre non lo ricerco p. 407
– questo piacere o peccato che sia dovrò pagarlo p. 346
– questo problema delle scarpe bisognerebbe risolverlo p.
300
– suo padre ossia mio nonno materno non l’ho nemmeno
conosciuto p. 65
– tre capitoli bene o male ero riuscito a scriverli p. 281
– tutti questi ragionamenti me li faccio insieme con la barba
p. 217
– tutto questo cercavo di raccontarglielo p. 285
– un’operaia non l’avrebbero mai sposata p. 85
– un’iniezione di morfina gliel’avrebbe fatta fare p. 37
– un risultato lo raggiungo p. 397
– Vedrai se a quella lì non gliela faccio pagare p. 187
v Posposizioni
73
meno secondo la conoscenza mia (pag. 136)
– la rovina mia è stata il matrimonio (pag. 398)
– chissà mai quali colpe avrò da scontare io per farmi conti-
nuamente del male e non ne trovo, o meglio non ne trova
il medico mio (pag. 353).
74
v Deissi83
83
Per l’etimologia del vocabolo occorre riferirsi alla lingua greca, preci-
samente al verbo δε›κνυμι, “io indico, mostro”, da cui δε›ξις, “indica-
zione”.
84
Per usare la terminologia di Nencioni in Di scritto e di parlato. Discor-
si linguistici, Bologna, Zanichelli, 1983, possiamo riscontrare l’uso della
deissi nel parlato- parlato, parlato- scritto (che si ramifica in parlato della
novella o del romanzo, cioè insito in una cornice narrativa, e parlato- reci-
tando) e parlato-recitato, pag. 126.
85
Serpieri, Linguaggio drammaturgico e linguaggio comunicativo sempre
in AA.VV. Come comunica il teatro: dal testo alla scena, Milano, Il Formi-
chiere, 1978, pag. 21.
86
Pietro Trifone, Una maschera di parole. La commedia fra grammatica e
pragmatica, in M. Dardano, P. Trifone (a cura di), La sintassi dell’italiano
letterario, Atti del Convegno (Roma, 28-29 gennaio 1993), Roma, Bulzoni,
1995, pp. 193- 238.
87
Il problema dell’enunciazione e della conseguente indicalità del lin-
75
Nel linguaggio quotidiano infatti la sua funzione obbedi-
sce alla richiesta di massima comunicatività e da ciò deriva che
la sua mansione sia piuttosto di semplice indice utilitario. Ed è
questo tipo di linguaggio che lo scrittore veneto riproduce, pur
se specificatamente la deissi conosce il suo trionfo trovando la
realizzazione più completa nel linguaggio drammaturgico: in
esso i deittici si semantizzano, assumono una posizione rilevan-
te e simbolica nel tessuto verbale, integrandolo di contenuto88.
Ma l’aspetto senza dubbio principale cui è collegata la deissi è
la referenza. Il referente dei segmenti deittici può essere deciso
solo in rapporto agli interlocutori, il loro significato compreso
unicamente in riferimento al messaggio.
U. Eco scrive che “tutti gli oggetti a cui ci riferiamo si-
gnificando diventano a loro volta segni, verificandosi così una
semiotizzazione del referente”89. Un dimostrativo ha una sua
peculiarità diversa di volta in volta dipendentemente dal suo
referente in quel discorso. La deissi si comporta un po’ come
un bottone fissato sull’atto locutorio e introdotto nel contesto
pragmatico per tenere unite inscindibilmente le due parti90. Il
ricorso alla deissi è legato quasi sempre al tempo presente che
76
effettivamente è uno dei due tempi verbali dominanti ne Il male
oscuro accanto al passato91. Il presente interviene apportando
situazioni nuove da cui nasce un nuovo presente. L’asse lin-
guistico non può non coincidere con il presente che è il tempo
del discorso, in riferimento al quale si situano gli avvenimenti
in posizione anteriore partoriti dal ricordo. Berto scrive: “nello
stile psicanalitico ci sono tre qualità di tempi presente: il pre-
sente della narrazione, ossia quello in cui si immagina colloca-
ta la stesura del racconto, il presente storico tradizionale, e il
presente dell’analisi, ossia il vivido e dinamico presentarsi del
passato inconscio”92.
Il fatto da considerare attentamente è il rapporto tra il di-
scorso presente e il deittico, indifferentemente se esso indichi
persona, luogo, oggetto, tempo. La realtà a cui esso ci rimanda
è sempre quella del discorso. Il nucleo attorno al quale ruotano
aggettivi, avverbi temporali e di luogo è sicuramente il sogget-
to. Chiaro il modo in cui Serpieri sintetizza la classificazione
su scala di importanza dei segnali della deissi: io – qui - ora.
Il pronome assume dunque il ruolo guida: senza la presenza
della persona non reggerebbe alcun linguaggio. L’osservazione
conseguente ciò è che tutti ci appropriamo della prima persona
singolare; nella forma io si immerge ogni personaggio e tramite
il pronome lo spazio e il tempo trovano significato. Crediamo
che il protagonista de Il male oscuro sia anonimo proprio per-
ché qualunque lettore possa leggere in quelle pagine la propria
esperienza. Tutti gli altri personaggi, moglie genitori medici
figlia, vestiti del pronome io, diventano emittenti di informa-
zione e interpreti del discorso performativo93. I linguisti, nel
91
Riguardo al tempo della narrazione rinvio al paragrafo VII Il tempo.
92
Giuseppe Berto, Io e la psicanalisi. La sonda della verità, in «Il Resto del
Carlino», 17 maggio 1964.
93
Il performativo è il discorso che descrive un’azione del parlante impli-
cando l’esecuzione dell’azione stessa; con parole di Serpieri, performativo
è l’atto modificante i rapporti interpersonali sulla scena. ‘Ipotesi teorica di
segmentazione del testo teatrale’ in AA. VV., Come comunica il teatro: dal
77
fenomeno degli indici verbali, hanno stabilito una gerarchia,
o quanto meno una priorità fra i vari componenti deittici del
linguaggio. Oltre alla indiscussa superiorità di io fra i deittici
personali, essi pongono gli indicatori spaziali in una posizio-
ne antecedente quelli temporali. È soprattutto l’inglese John
Lyons94 a giustificare questa teoria con una formula di suo co-
nio: “the spatialization of time”. La narrazione nasce da un io
posizionato in un qui; il tempo ora è successivo di importanza
in quanto lo spazio permane differentemente dalla dimensione
temporale che muta continuamente.
Dopo quanto scritto, non desterà stupore l’elevato nume-
ro dei deittici in Berto, che insegue tenacemente il linguaggio
svelto del suo pensiero, e soprattutto la superiorità di quelli
di natura pronominale su tutti i restanti. È importante notare
come lo scrittore arricchisca le pagine narrative di descrizioni,
degli avverbi ora, così, ecco...: probabilmente in questo agisce
l’attività di sceneggiatore di Berto. La logica narrativa magari
investirebbe questi elementi linguistici solo di una funzione se-
condaria, benché sempre complementare, ma ne Il male oscuro
l’autore si interessa di illuminare pienamente anche tali segni
del discorso perché, in quanto segni, simboleggiano qualcosa e
sono apportatori di un senso. Potremmo sostenere che i deittici
abbiano, per Berto, un’autenticità al di là del loro ruolo conven-
zionale. L’avverbio indicativo ecco ricorre ben centoottantatré
volte in risposta al principio di emulazione della lingua parlata
sul piano espressivo. La suddetta forma linguistica è “manife-
stazione della concretezza della conversazione reale”95; essa ha
in sé un’alta percentuale di espressività, tanto che il più delle
volte capita di incontrare tale avverbio, o di pronunciarlo, sen-
za accompagnarlo con forme verbali. Spesso il suo significato si
78
deduce dal contesto, quando vale come semplice interiezione o
addirittura come particella riempitiva. In realtà può sostituire
un’intera frase, equivalendo ad un’esclamazione, rendendo così
superfluo il verbo ma quest’uso non figura ne Il male oscuro.
Leggiamo, allora, di seguito gli esempi selezionati per mostrare
i vari ricorsi a tale formula. Nei primi ecco ha valore presentati-
vo, ovvero introduce un oggetto del discorso:
– ecco la morte mi dico (pag. 147)
– ecco spiegato il motivo per cui ci voleva la casa più grande
(pag. 171)
– ecco la mia stoltezza (pag. 221)
– ecco ad esempio questi tre capitoli tirati fuori dalla valigia
(pag. 238)
– ecco questo è proprio ciò che comunemente si sogna pen-
sando alla montagna un altipiano verde con gli abeti e il
vento (pag. 245)
– ecco un problema complicatissimo da risolvere in un istan-
te (pag. 327)
– ecco questo doveva accadere (pag. 332)
– ecco quindi il semplice congegno per cui l’ambizione di
scrivere un capolavoro alimentava il male (pag. 360)
– ecco questo è appunto l’errore atroce (pag. 399).
79
un po’ di pietà per lei, a anche per me si capisce, ecco che
è finita la speranza (pag. 266)
– ... queste attricette [...] proprio miserelle, ecco che senten-
domi in torto sarei automaticamente meno esigente (pag.
357).
80
– guarda qua con quanta rassegnazione mi faccio fare ciò
che vogliono (pag. 104)
– siccome stavo lì per colpa loro mica mi avrebbero fatto
pagare la degenza (pag. 136)
– il bravo medico dice sto qui io con te e veramente si mette
lì a sedere sulla poltrona (pag. 149).
96
Pietro Trifone, L’Italiano a teatro. Dalla commedia rinascimentale a Da-
rio Fo, Pisa- Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2000,
pag. 112
81
so dei pronomi personali e dimostrativi, degli aggettivi dimo-
strativi, degli avverbi di tempo e luogo... che creano legami nel
testo, rendendolo compatto, coeso.
Altro esempio di deittico è così che compare come avver-
bio di quantità seguito perlopiù dall’aggettivo lungo:
– la trovo con un muso così lungo che sta a guardare la tele-
visione (pag. 178)
– la ragazzetta [...] assicura che mi hanno infilato degli aghi
lunghi così (pag. 152)
– sebbene da quando mia moglie mi ha detto che mi infilava
degli aghi così lunghi abbia paura anche di lui (pag. 223)
– neanche mia madre le [=gonne] portava più così lunghe
(pag. 74).
VII. Il tempo
97
“Nello stile psicanalitico ci sono tre qualità di tempi presenti: il presente
della narrazione, ossia quello in cui si immagina collocata la stesura del
racconto, il presente storico tradizionale e il presente dell’analisi, ossia
il vivido e dinamico presentarsi del passato inconscio. Tutto confluisce
su un piano unico, fondendosi”. Giuseppe Berto, Io e la psicoanalisi. La
sonda della verità, in «Il Resto del Carlino», 17 maggio 1964.
82
Il presente è anche proprio delle affermazioni di carattere
informativo:
– Fare la psicanalisi è, almeno apparentemente, la cosa più
semplice del mondo nel senso che la cura consiste ...; il
dottor Freud è stato senza dubbio un grande uomo in qua-
lità di inventore della psicanalisi... (pag. 7);
– ora nell’analisi una delle cose importanti e anzi direi indi-
spensabili è avere sogni e ricordarsene in modo da poterli
poi raccontare al medico... (pag. 290);
– Così con questo transfert ormai in funzione le cose della
psicanalisi procedono un po’ meglio dal punto di vista af-
fettivo... (pag. 299).
83
gnarmi se riesco a stare qui solo in una camera d’albergo...
(pag. 239)
– ... mio padre quando usciamo dal collegio per prima cosa
mi porta davanti alla vetrina del negozio di biciclette e mi
chiede quale ti piace, è un giorno grande per me ma non
privo di problemi... (pag. 322).
84
vamente al passato ma si ripetono nel presente e sono premessa
del futuro. Insomma, malgrado il libro si presenti come un lungo
narrare confessionale di tipo biografico, perdura una sensazione
di mobilità come se i fatti non siano mai compiuti e allo stesso
modo i pensieri, i sogni e le preoccupazioni.
Parve all’autore di introdurre a un certo punto una solu-
zione per sbloccare l’eterno fluire incontrastato dei fatti. È il
momento in cui la fantasia scansa l’elemento autobiografico:
la moglie ragazzetta svela di tradire il marito già da molto tem-
po. Il tempo si ferma un attimo e ricomincia a correre con un
altro ritmo e verso una nuova direzione. Il protagonista non
regge all’onta, parte e si rifugia in Calabria, a Capo Vaticano
per incontrarsi idealmente col padre e attendere con una sor-
prendente e inaspettata serenità la morte. In questo luogo che
sa tanto di Isola che non c’è dove ancora l’uomo mantiene un
rapporto di amorevole rispetto con la terra, il personaggio ri-
trova sé stesso coltivando un quadrato di campo, avendo spora-
dici colloqui con gli indigeni, per di più per scrivere per conto
loro delle lettere verso i parenti emigrati in Germania o al nord
Italia, e osservando incantato e pensieroso la costa opposta,
la Sicilia. Ora che il tempo sembra immobile, che le azioni si
ripetono uguali giorno dopo giorno, ecco la svolta: vengono
introdotti elementi che ci fanno sentire lo scorrere inevitabile
degli anni ma sempre in modo impreciso. Così, nelle ultime tre
pagine e mezzo del romanzo, noi lettori coinvolti dal prota-
gonista nella sua inconsapevolezza dei giorni inarrestabili che
passano, leggiamo:
– ... poi un giorno dal paese viene un brigadiere dei carabi-
nieri a vedere cosa faccio e come vivo [...] e dopo il bri-
gadiere passato qualche tempo viene il medico col quale
mi metto a parlare senza imbarazzo alcuno del mio Io e
Super-Io e pure dell’Es [...] e dopo il medico passato non
molto tempo viene il parroco a vedere come sto con la re-
ligione, e neppure qui le cose sono semplici da spiegare
[...] e dopo il parroco passa molto tempo io credo, diverse
85
stagioni senza dubbio e intanto mi sono fatto calvo fin ol-
tre metà della testa e sul collo specialmente ho molte ru-
ghe [...] e dunque passa parecchio tempo e poi viene lei,
ha diciassette anni ora [...] e poi sarà tempo di dire Nunc
dimittis servum tuum Domine, forse è già tempo” (pagg.
409-412).
98
Letizia Giontella, Il realismo simbolico di Giuseppe Berto, in AA. VV.,
Letteratura italiana contemporanea, Roma, 1985, app. IV, pagg. 403-433.
86
che fa riflettere sulla condizione umana. È sottotesto del ro-
manzo Il male oscuro; è ascendente sostanziale ne La gloria99;
viene rivisitato e riscritto in Elogio della vanità100. Ebbene, nel
Qohélet si parla a lungo della dimensione temporale: “Tutto ha
il suo momento, e ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo”101.
Qohélet non divide il tempo in passato, presente e avvenire ma
conscio dell’eternità suddivide il tempo in tempo del nascere e
del morire, del demolire e del costruire, del cercare e del per-
dere, del tacere e del parlare, del piangere e del ridere e via
dicendo102. Ne Il male oscuro il narratore, prendendo spunto
dalla concezione temporale della Bibbia, ad un certo punto de-
finisce una fase della sua vita “il tempo del pianto” (pag. 152).
È chiaro, allora, come l’unica soluzione per rendere l’eternità
sulla pagina è il tempo verbale presente.
99
Alessandro Vettori, Giuda tradito, ovvero l’ermeneutica parodia di Giu-
seppe Berto, in MLN Italian Issue, January 2003, volume 118, no. 1, pag.
189.
100
Giuseppe Berto, Elogio della vanità: ovvero vediamo un po’ come siamo
combinati malamente:studio psicologico sul successo da esibizionismo, Vibo
Valentia, Monteleone 2007.
101
Qo 3, 1
102
Qo 3, 2-9
87
Capitolo terzo
IL LESSICO
Berto affermò di avere scritto “in una lingua che spero sia
l’italiano”103, creando un linguaggio che si avvale del vocabo-
lario comune della nostra lingua nazionale in modo da conse-
guire uno stile monolingue, un’uniformità linguistica raggiunta
da un sapiente uso del lessico italiano nelle sue diverse aree col
fine di calarsi in ogni realtà dell’esperienza umana per poterla
rappresentare. P. David Maria Turoldo, amico dello scrittore,
ammira la capacità di Berto di catturare con le parole la com-
plessità e gli interrogativi di un’anima estremamente moder-
na104. Un’operazione condotta con lucidità e sicurezza notevole
e sbalorditiva se si considera l’incertezza che contraddistingue
la riflessione del protagonista del romanzo. E se già abbia-
mo parlato della scelta dello stile psicoanalitico compiuta da
Berto, il lessico non ne è che la sposa fedele: “l’adesione alla
psicoanalisi garantisce nella scrittura uno scioglimento dell’a-
nima nella rete polinodale delle sue possibili funzioni logiche
e discorsive”105. Il discorso si esprime in una lingua modernis-
sima, quella usata comunemente da uno scrittore che mirava a
padroneggiare la lingua nazionale, pur amando il dialetto natìo
e adoperandosi di snocciolare parole degli idiomi indigeni dei
luoghi in cui sceglieva o gli capitava di vivere (Capo Vaticano,
Roma). Il lessico bertiano appare denso e corposo al punto che
è facile immaginare che in altre narrazioni o in altri scrittori
esso più che agevolare sarebbe di intralcio al logico dipanarsi
103
Rigobon Patrizio, Appunti per una definizione umana e letteraria di G.
Berto, Venezia, maggio 1983.
104
Luciana Ermini, Berto, più di un augurio, «La Tribuna», 16 luglio 1990.
105
Michel David, La psicoanalisi nella cultura italiana, Torino, 1966, pagg.
553-554.
89
della materia narrativa. Non si tratta di un libro automatico
che esce dal seno del padre repentinamente e già formato; per
quanto sia un libro compiuto, esso nasce da un travaglio soffer-
to che è quello della storia dell’Uomo, qui raccontata nel suo
fluire logico e in un chiarissimo eloquio.
Se da una parte Berto subisce il fascino della psicoanalisi,
dall’altra però non si fa sedurre da essa, mantenendo piuttosto
il desiderio di scrivere in cui getta con energia il bisogno di rac-
contare. Riscopre il suono del linguaggio, la forza delle parole
che riveste di espressività nuova e di realismo. Se ne serve per
attribuire valore di testimonianza al suo narrato, elevando così
al grado di veridicità la materia. La forte volontà di scrivere de-
riva da una personale capacità di Berto di proiettare lo sguardo
al di là della concretezza delle esperienze dirette e indirette del
dolore umano, è la consapevolezza di “avere riconosciuto che
cosa lo accende”106 e quindi la premura di illuminare su questo
l’umanità tutta.
Berto ha straordinarie capacità di trasformare la propria
esperienza in una sorta di esempio che valga per tutti: in que-
sto sta l’aria profetica de Il male oscuro , che poi è la storia di
tutta la letteratura mondiale- perchè si scrive? Per racconta-
re il bello-il vero-il buono. Appartiene alla tradizione classica
l’immagine dell’ascesa del poeta che dall’alto di una posizione
privilegiata, fuori dal mondo, osserva senza giudicare, guarda
e racconta. Malgrado l’idea sia alquanto classicheggiante, resta
il fatto che in ogni epoca la letteratura è intesa come uno dei
modi attraverso cui l’uomo cerca la verità interiore, morale, spi-
rituale. Ma il secolo XX ha messo un punto al realismo di tipo
ottocentesco: esso non è più possibile perché la modernità dice
che l’evoluzione, e quindi il meglio e il nuovo, appartengono al
domani. Quello che si può raccontare non è la verità perché la
verità, il bello, la felicità, la rivoluzione e la bontà sono del do-
106
Cesare De Michelis, Umanità di Berto in Giuseppe Berto: Thirty years
later, Venezia, Marsilio, 2009, pag. 24.
90
mani. Sempre, per principio. Allo scrittore è dato di raccontare
ieri, ossia il periodo in cui la gente era cieca. Questo scombus-
sola l’ipotesi del realismo.
Tempo dopo si scopre che l’uomo ha nella psiche delle
cose mostruose, nel senso latino del termine. La psicoanalisi
spiega che la verità è dentro di noi, essa è stata rimossa dagli
eventi ma con l’aiuto di qualcuno emerge involontariamente
mentre si parla. È un meccanismo riflessivo molto forte, non
è la persona a decidere di rivelare la propria verità ma mentre
parla allenta inavvertitamente il controllo, quindi si verifica un
lapsus per cui qualcun altro può entrare nel suo essere e vede-
re. Secondo Berto “uno scrittore non può essere moderno se
non ha conoscenza della psicologia del profondo scoperta da
Freud. Questo perché la psicoanalisi è soprattutto una dottrina
morale, ci offre la chiave per una nuova, e più giusta, compren-
sione dell’uomo”107.
Dal punto di vista stilistico, allora, non si può raccontare
tutto questo con la lingua che si usa uscendo dal mondo, cioè la
lingua classica, la sintassi classica, il periodare aulico. Nel ’900
non si usa. L’unico modo per esprimersi è inventarsi un lin-
guaggio che imita la psicoanalisi, nella fase in cui si affranca sé
stessi e si diventa sinceri. Berto ha ben capito: non si deve dire
la verità, ma essere sinceri. La sincerità è cosa diversa dalla ve-
rità; porta nella migliore delle ipotesi alla personale verità, non
alla verità di tutti. Per essere sincero non è necessario costruire
il discorso attraverso la retorica, ma bisogna scrivere mosso da
una pulsione interiore.
Dunque, la differenza con la psicoanalisi è semplice: si
conferisce libertà ai ricordi e ai pensieri non per raccontar-
li all’analista ma per raccontarli al lettore. Inoltre, poiché in
questo passaggio Berto è uno scrittore e non più un malato,
alla fine questo stile fatto di associazioni libere, di monologo
interiore, di confessione, gli consente di trasmettere al lettore
107
Giuseppe Berto, Colloqui col cane, Venezia, Marsilio, 1986, pag. 77.
91
la complicità di un discorso sincero. Il lettore legge pensan-
do esattamente che lo scrittore stia dicendo la verità, che non
stia mentendo e quindi, poiché gli crede, diventa confidente,
lo aiuta a percorrere insieme quel cammino che è lo stesso che
compie lui.
A tale fine è questione fondamentale la scelta del linguag-
gio: il personaggio de Il male oscuro si deve far capire da tutti
perché è lui il giglio che conduce gli altri alla coscienza della
vita. È la figura esemplare, il prototipo, il modello che aiuta a
capire come vanno le cose non a Giuseppe Berto ma all’uomo,
e allora questo anonimo diventa una specie di simbolo, di ar-
chetipo. Non è importante che egli coincida con lo scrittore;
per un lungo susseguirsi di pagine noi sappiamo che la vicenda
è autobiografica ma alla chiusura del romanzo Berto è costretto
ad inventare cosicché la vita del personaggio continua, quella
di Berto è decisamente altro. In questo lungo percorso il letto-
re, però, si convince che lo scrittore dice la verità e si identifica
nel personaggio e gli crede fino a credere che lo pseudo-berto
abbandoni la moglie: l’atto di fiducia è la luce che dà senso a
tutta la storia.
In questa operazione la scrittura immediata serve la since-
rità: l’unico elemento che può garantire la storia di questo per-
sonaggio non è la sua oggettività, perché nel ’900 i personag-
gi sono tutti soggettivi, ma è la sincerità. E il linguaggio della
sincerità è l’unico modo che aiuta il lettore ad identificarsi nel
personaggio simbolo. Mentre il povero Berto è partito dalla vi-
cenda del suo alter per arrivare a morire su un letto d’ospedale,
ridotto come tutti ad essere spirito unito a carne malata, come
l’immagine del padre che il personaggio ha sempre davanti agli
occhi, l’altro è l’eroe.
È un esempio, colui che è vissuto esattamente come tutti
noi vorremmo essere vissuti: si identifica col padre, diventa il
padre di sé stesso, il padre di tutti, il padre dell’uomo, Dio! In
altre parole, il piccolo borghese è riuscito a far sì che il figlio
del carabiniere-cappellaio sia stato un esemplare figlio di Dio,
92
una sorta di modello108. Ma per fare tutto questo si deve creare
la complicità fra lo scrittore e il lettore, per cui se il primo non
gli garantisce che non mente, il secondo non crederà mai che
è diventato Dio. E allora, il romanzo rischierebbe di diventare
una favola come La fantarca, un libretto in cui lo scrittore riesce
a fare il profeta più che il poeta. Ne Il male oscuro l’equilibrio
fra il poeta e il profeta è abbastanza straordinariamente riuscito
come in parte ne Il cielo è rosso e come ne La gloria109.
108
Ecco che in ultima analisi tendo a unirmi a Dio la qual cosa se non sba-
glio è lo scopo di qualsivoglia religione”, Il male oscuro, pag. 410
109
Ne La gloria, Berto, nonostante racconti una storia che non è la sua,
riesce a farci capire la sua umanità, la sua finitezza; si evince che sta vi-
vendo questo dolore di Giuda come se fosse suo. Ed è un libro disperato
di un uomo che sta morendo: come tutti quelli che muoiono non è felice
di morire e si interroga sul senso che ha avuto la sua vita. Il problema
non è quello di morire perché quando nasciamo sappiamo che dobbiamo
morire e non piangiamo tutta la vita, siamo più dalla parte di chi gode.
In quel contesto, invece, lo scrittore ci convince che la nostra vita ha un
senso. È lo stesso messaggio de Il male oscuro : la vita ha un senso perché
scriverò un libro che resterà alla storia, perché farò un figlio che conti-
nuerà la mia stirpe, ... quello che sto facendo ha un senso che è un senso
piccolo qualche volta- mi costruisco una casa, trasporto acqua con delle
latte, cose modeste.
93
D’Annunzio perché qui si predilige un lessico di tipo concet-
tuale, che evoca e nello stesso tempo esplica. La base è costitu-
ita a ben vedere dal registro tecnico, composto da termini del
linguaggio della politica, del diritto, della chimica e della bio-
logia, della musica, dello sport e in modo prevalente della me-
dicina e della psicoanalisi. Ma, benché i termini siano settoriali,
lo scrittore non lascia nell’ignoranza il lettore, anzi si premura
costantemente di spiegare i vocaboli con semplici definizioni e
esempi. Egli va, però, anche oltre questa veste sgargiante per
nutrire la sua lingua, al fine della riproduzione del parlato, di
regionalismi, popolarismi, gergalismi e forestierismi.
In Berto si affacciano anche linguaggi che appartengo-
no alla sua formazione culturale, agli anni di studio e alle sue
personali letture. Così nella contaminatio linguistica emergono
parole o intere espressioni latine, cultismi e citazioni. Anche il
linguaggio evangelico caratterizza la narrazione, ricordo degli
anni trascorsi nel collegio salesiano ma anche dell’attenta e ap-
profondita lettura dei Testi Sacri da adulto.
Nella ricerca del vocabolo migliore ad esprimere anche
visivamente un’azione o una cosa, lo scrittore risemantizza pa-
role già in possesso della lingua o la arricchisce di nuove. La
sua abilità si riscontra pure in un’opera di accostamento e op-
posizione di vocaboli di area semantica uguale e contraria che
aiuta a definire con logicità i poli dai quali partono e tornano le
vicende narrate.
La lingua risultante non è comunque un magma travolgen-
te e informe che copre la materia bensì la riveste donandole le
fattezze di un riuscito romanzo.
I . Linguaggio biblico
94
liari, cinici datori di lavoro, religiosi e dalla stessa esperienza
fenomenica che parla in simbologia. Volendo scrivere la storia
dell’uomo che si sforza di vivere e capire in modo non super-
ficiale la vita, Berto non può ignorare di provare un “presenti-
mento” di Dio. E se l’uomo percepisce questo mistero e “pos-
siede in sovrappiù il dono dell’analisi e gli strumenti espressivi
e di riflessione, potrà parlarne in modo migliore”110. Il Nostro
ha questa preziosa qualità di indagatore. Quando ci si immer-
ge nella mente e nell’animo umano non si può che riferirne in
toni speciali che nascono dalla mistura del lessico familiare,
confidenziale e del linguaggio biblico. A questo ricorre l’autore
perché si tratta del codice utilizzato dall’uomo di ogni dove
da millenni per esprimere il carattere assolutamente altro del
mistero di Dio. L’amico e scrittore Tumiati111 chiarisce che lo
stile biblico in Berto non è “mestiere e riuscito espediente”,
come in molti altri casi della nostra letteratura. È la forma più
adatta a rispecchiare pensieri e sentimenti dell’autore. Ed è,
perciò, una forma profondamente spontanea112. Berto ragazzo,
come si evince dal racconto, era stato impressionato mirabil-
mente dal linguaggio della Chiesa, dalle parole della liturgia
che, come azione del popolo113, raccolgono e presentano in dia-
110
Thaddée Matura, Dio “un’assenza ardente”. Ricerca e desiderio di Dio
dell’uomo di oggi, Pazzini, Verucchio (RN), 2000, pag. 17.
111
Tumiati e Berto si erano conosciuti nel campo di prigionia di Hereford,
nel Texas, l’uno sottotenente della Cavalleria corazzata, l’altro tenente
della Milizia; entrambi ivi portati dopo la resa italo-tedesca in Tunisia.
Vissero due anni nella stessa baracca con le brandine vicine. Tumiati è
stato il primo lettore dello scrittore veneto e lo ricorda scrivere “senza
cancellature” (dal documentario Raccontare l’uomo di Montanaro Carlo,
RAI-sede regionale per il Veneto-) su “tavolinetti messi insieme con quat-
tro assi [...] nello scrivere spesso gli capitava di commuoversi alle tristi
sorti dei suoi personaggi”. Gaetano Tumiati, Primo Incontro in Giuseppe
Berto, a cura di Manuela Berto e Pasquale Russo, Vibo Valentia, Monte-
leone, 2002, pag. 20.
112
Giuseppe Berto, L’inconsapevole approccio. Le opere di Dio, Milano,
Mondadori, 1980, pag. 38.
113
Liturgia ‹ λαός + έργον
95
logo a Dio aspirazioni e domande, dubbi e certezze, elementi
naturali, gesta e esperienze, limiti e talenti umani attraverso una
simbologia così densa di significati che permette nel linguag-
gio l’unione del doppio mistero di Dio e dell’uomo. E codesto
lessico vario e suggestivo, proprio per le sue qualità stimolanti,
resta nella memoria dell’individuo pur se egli si allontana dalla
pratica liturgica, perché in un modo o nell’altro, a volte per vie
mondane, egli continua la ricerca del Desiderabile, qualunque
nome gli si dia114.
Non è Berto ma è l’uomo che per una volta non si vergo-
gna di apparire un essere finito e si appella all’Altro sapendo
di poterne trarre infinità. Così, nell’invocazione continua a un
padre che prima è umano e poi divino e poi di nuovo ossa e car-
ne e poi tutto spirito, il protagonista inserisce citazioni evange-
liche e formule dei rituali ecclesiastici che attirano sulla pagina
elementi espressivi, verbi dal sapore lirico, sostantivi eletti e,
come scritto precedentemente nella parte dedicata alla sintassi
del romanzo, questo processo porta all’enfatizzazione dei voca-
boli garantita da un’accurata loro disposizione nell’ordine della
frase.
114
Sulla religiosità di Berto interessante è il saggio Il «Povero Cristo» di
Giuseppe Berto di p. Ferdinando Castelli. Egli puntualmente rintraccia
nelle opere dell’autore ogni anelito al divino e i cambiamenti nell’inter-
pretazione del sacro in rapporto a psicanalisi, ingiustizia, marxismo. Vedi
Il «Povero Cristo» di Giuseppe Berto, in «La Civiltà Cattolica», 2003 IV
216-229 quaderno 3681 (1° novembre 2003).
Vedi anche Claudio Toscani, Il Dio di Berto, in «Città di vita», anno 28, n.
3, sett.-ott. 1974, e Giorgio Pullini, Giuseppe Berto da «Il Cielo è rosso» a
«Il male oscuro», Mucchi editore, Modena 1991.
115
Mt 18, 12-14/ Lc 15, 3-7
96
capisce, e invece eccolo là in punta di piedi scommetto che
guarda in giro non meno ansiosamente di me si direbbe, e
non c’è bisogno di dire di quale pecorella smarrita vada in
cerca questo mio buon pastore ... (pag. 298).
116
Gn 3, 11; 14
117
Gn 3, 10
97
Più avanti nella narrazione si ribella a questo destino che
arbitrariamente aveva deciso per sé e aggiunge:
– ... non voglio accettare questo peccato originale della con-
cezione e della nascita, non voglio io camminare sul ventre
e mangiare polvere tutti i giorni della mia vita118, ... (pag.
322).
118
Gn 3, 14b
119
Il riferimento è allo stato di tristezza vissuto da Gesù nel giardino del
Getsèmani durante l'intensa preghiera che precedette l'arresto.
120
Nella preghiera Gesù chiese a Dio di allontanare da lui il calice del
dolore. Mt 26, 39; 42; Mc 14, 36; Lc 22, 42.
121
Lc 22,44 “In preda all’angoscia, pregava più intensamente; e il suo su-
dore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra”.
98
Nelle situazioni di estrema sofferenza il personaggio invo-
ca il p/Padre con le parole di Gesù:
– ... penso che perfino questa livida alba mi è stata concessa
per sbaglio o per punizione, ma perché non mi liberano da
questi dolori padre mio perché non allontani da me questo
calice122, dico padre che sei nei cieli123 e non tu che stai nella
tua cassa di noce che m’è costata invano un occhio della te-
sta, vedi quanto sei entrato in me padre terreno se penso ai
quattrini anche nei limiti estremi dell’agonia... (pag. 121).
122
Mc 14, 36/ Mt 26, 39b/ Lc 22,42
123
Mt 6, 9-13
124
Mt 26, 39b
99
per conto suo cioè non puntellato da alcuno ma solo at-
torniato dalla venerazione di aiuti e discepoli, santo cielo è
quasi bello questo appropriato cerimoniale, padre mio nel-
le tue mani in fondo così poco pietose rimetto l’anima mia,
in manus tuas commendo spiritum meum125, ma ecco che
quel fesso di anestesista rovina la solennità della funzione
perché sul più bello gli scappa un tubicino così che da un
ago che mi aveva preventivamente infilato vicino al polso
ora il mio sangue gagliardamente zampilla, ... (pag. 124).
100
parola pronunciata da Cristo possa salvarlo.
Altra citazione latina della Sacra Scrittura128, che è ripetuta
più di una volta, è trascritta qui di seguito non avulsa dal con-
testo del romanzo:
– ... e pregavo anche Non nobis Domine non nobis, se non
altro perché sono le parole che chissà come mai stanno
scritte fuori del palazzo dov’è sistemato il Casinò, chieden-
domi inoltre per quale ragione colui al quale era venuto in
mente di scriverle non ce l’avesse fatto mettere tutto il ver-
setto che dice anche sed nomini tuo da gloriam, significava
forse che il tizio era un po’ come me che avrei pregato il
Signore di non darmi la peste e la fame e la guerra, e possi-
bilmente neppure la morte per cancro del padre mio, ma la
gloria sì l’avrei voluta, per la gloria in fondo avevo sempre
lottato fin da quando ero venuto al mondo si poteva dire,
per quanto vorrei sapere se uno partendo da un padre
cappellaio e per di più presidente di una locale sezione
dell’Associazione Nazionale Carabinieri in Congedo può
in verità conquistarsi facilmente un qualsivoglia successo,
sicché tanto valeva che pregassi fino alla fine con sincerità
sed nomini tuo da gloriam, ... (pag. 33-34).
– ... in fin dei conti io chiedo la salute solo per lavorare e va
bene che voglio lavorare per la gloria mentre dovrei pre-
gare Non nobis Domine non nobis però c’è pure a questo
mondo chi ha buona salute e lavora e imbroglia per fare
quattrini o per avere donne o per avere potenza da impie-
gare contro il prossimo che odia, mentre io il mio prossimo
lo amo come ha prescritto Gesù con qualche eccezione si
capisce, ... (pag. 232-233).
101
tennamenti, di slanci di gioia, di intensi sentimenti d’amore e
di dolore. La conclusione dell’opera è preziosa e saggiamente
serba nelle ultime parole, elevate in veste di preghiera, il ca-
rattere di continua incertezza del protagonista. È, dunque, un
explicit aperto che è stato definito “quasi un addormentarsi col
Vangelo in mano”129. Il narratore si esprime con l’invocazione
che il sacerdote Simeone rivolge a Dio dopo aver riconosciuto
in Gesù bambino il Cristo tanto atteso:
– ... e poi sarà tempo di dire Nunc dimittis servum tuum Do-
mine130, forse è già tempo.
102
II . Uso del latino
Magistrale, per qualche anno finché partì per la Campagna Etiopica nei
reparti coloniali.
103
Nel caso appena enunciato il narratore vuol comunicare
al lettore l’alto proposito suggerito da una fase di particolare
e speranzoso ottimismo e lo fa con parole altrui che per lui
diventano sostegno importante in quanto si sente quasi spiri-
tualmente sorretto dal sommo scrittore toscano.
Si appropria anche delle parole iniziali della prima ode del
III libro di Orazio che ben interpretano la sua posizione anti-
conformista:
– ... ebbene fottiamocene pure di radicali e pederasti associati
e scalatori da salotto letterario siamo su di un piano diverso
signori miei, Odi profanum vulgus et arceo tanto per far ve-
dere che sono in regola anch’io ... (pag. 244).
104
ché tutta l’opera è costruita su base umoristica134. Tecnica che
permette di osservare con sguardo distaccato i paradossi della
mente umana135:
– ... infatti mi illustra un piano di cura abbastanza meticolo-
so con un nuovo farmaco che nelle cliniche psichiatriche
fa mirabilia nel senso che ha risolto o quasi risolto casi fino
ad oggi insolubili... (pag. 260)
– ... e pertanto posso dire in perfetta libertà a questo medico
ciò che penso di lui che tira fuori idee peregrine dopo che
ha collaborato a tagliarmi la pancia per niente, errare hu-
manum est gli dico sed diabolicum perseverare... (pag. 134)
Trascurabili le formule latine, tecniche e non, sentite ormai
come facenti parte dell’italiano: ad abundantiam (pag. 279), pro
forma (pag. 112), un caso transeunte (pag. 108), in articulo mor-
tis (pag. 117), in extremis (pagg. 117, 132, 386), post mortem
(pag. 392).
134
(Il male oscuro) “Ha un continuo umorismo [...] e d’altronde un ne-
vrotico non potrebbe scrivere se non fosse sostenuto dall’umorismo: una
fortuna in mezzo a tanti malanni”. Giuseppe Berto in Appendice de Il
male oscuro, pag. 419.
135
“Humor a means to attain the distance needed to safely comtemplate
the paradoxes of the human psyche”. Giacomo Striuli, Giuseppe Berto’s
pursuit of selfhood and literary glory: a didact contribuition, in Giuseppe
Berto: Thirty Years Later, Venezia, Marsilio, 2009, pag.62.
136
Per ciascun termine ho consultato Battaglia- Sanguineti- Barberi Squa-
rotti, Grande Dizionario della Lingua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002;
Tullio De Mauro, Grande Dizionario Italiano dell’uso, Torino, Utet, 2000;
Picchi- Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna, Zanichelli,
2001.
105
opere di altri autori veneti dei due secoli precedenti: Goldoni
e Nievo; e tanti termini abbondavano nel più recente D’An-
nunzio, poeta al quale Berto era legato da un contraddittorio
rapporto. Il Nostro riconosceva che nella sua formazione sco-
lastica D’Annunzio era stato una forte presenza, d’altronde co-
stui era il sacerdote delle Muse nell’epoca fascista. Ne L’incon-
sapevole approccio afferma di esserne rimasto affascinato tanto
da “imparare a memoria buona parte del Poema Paradisiaco e
quasi tutto l’Alcyone”137. In seguito, lo scrittore farà ironia su di
lui e d’altra parte anche la cultura ufficiale ne eseguirà una de-
mitizzazione. Anche il personaggio de Il male oscuro parla più
volte di D’Annunzio quando spiega il servizio, prestigioso agli
occhi del bambino, che il padre carabiniere compiva alla Caset-
ta Rossa dove stava il Poeta Soldato, chiarendo che il prestigio
del padre derivava esattamente dalla compagnia dell’eroe138. E
dalla conoscenza indiretta di questa figura il ragazzo passerà a
leggere le sue opere e addirittura ad adattare a sceneggiatura
La figlia di Jorio in vista di un film il cui produttore è completa-
mente ignaro del contenuto del dramma139. Significativa questa
comparsa nel romanzo, sicuramente è un elemento trasferito
dalla realtà dell’autore alla realtà del narratore. Il lessico de Il
male oscuro risente della letteratura dannunziana (sebbene non
in maniera così aderente come ne La Colonna Feletti), di conse-
guenza qui di seguito riportiamo i termini letterari presenti nel
romanzo di Berto e nelle opere di D’Annunzio:
137
Giuseppe Berto, L’inconsapevole approccio. Le opere di Dio, Milano,
Mondadori, 1980, pag. 18.
138
Vedi pagg. 68-69 del romanzo.
139
Alle pagine 271-272 si legge la vicenda in cui il produttore affida tale
consegna allo sceneggiatore e il successivo incontro in cui costui è tenuto
a raccontare la trama.
106
pre qui a guardare ciò che faccio e in genere disappro-
va, si mette qui di guardia a tutti quegli impulsi edoni-
stici che premono dall’Es e dice loro tornate indietro
dannati nel vostro brago... (pag. 307).
D’Annunzio:
Canti della guerra latina, 1918.
– il Vàrdari come/ lo stagno di Vlàsina fatto/ già bulgaro
brago di morte./ - Ode alla nazione serba.13
La Leda senza cigno, Milano, Treves, 1916.
– Pomeriggi d’ottobre desolati sul vasto brago, quando
ai muggiti dell’armento infetto rispondeva l’uggiolio -
Licenza 212
La nave, Milano, Treves, 1908.
– ZELAT\... I dèmoni/ sono entrati nel gregge nero
e sbràitano/ dal brago. -Soffochiamoli nel fango!/ \
POP.\ - Molt’anni - 2° Episodio.1
107
D.: Maia, Milano, Treves, 1903.
– che s’era estrutto alto luogo/ quivi a tener sue concio-
ni; / vidi il gran demagogo - Laus vitae, 18.132
Concione è parola usata abbondantemente nella nostra let-
teratura quasi sempre in ambito trattatistico: Machiavelli Discor-
si sopra la prima Deca di Tito Livio, Istorie fiorentine, Equicola
Libro de natura de amore, Lando La sferza de’ scrittori antichi e
moderni, Sarpi Istoria del Concilio tridentino, Boccalini Raggua-
gli di Parnaso, Gravina Della ragion poetica, Alfieri Del principe
e delle lettere, Vita, De Sanctis Storia della letteratura italiana.
Troviamo concioni in Leopardi Paralipomeni della Batracomio-
machia, Zibaldone di pensieri e ne I vicerè di De Roberto142.
108
– Piote < lat. plautu(m) “piatto”
B.: ...però tutto sommato mica potevo continuare in eter-
no a quel modo coi vocabolari sotto i piedi del letto e
le scrollatine per le piote... (pag. 137)
D’Annunzio, Alcyone, Milano, Treves, 1904
– e che le parti basse/ fossero enormi, cosce gambe piote,/
come di mostro, tanto era il volume/ - La morte del cer-
vo.12.
Questo lemma con l’accezione con cui viene usato da Ber-
to144 aveva avuto larga fortuna da Dante, Inferno 19.120 -“forte
spingava con ambo le piote”-, ripreso da Machiavelli Discorso o
dialogo sulla lingua (1524-25) - “... Quando tu di’: Forte spin-
gava con ambe le piote, questo “spingare” che vuol dire?” - Di-
scorso. 35, a Pirandello I vecchi e i giovani (1913) - “al signore
che gli veniva dietro il vecchio cameriere dalle piote sbieche in
fuori, che lo facevano andare in qua” - Parte 1, 3.1, e La vita
nuda, Firenze, Bemporad, 1922
– apposta, gravida, così che poteva appena spiccicar le
piote da terra, lo seguiva lemme lemme, per accrescer-
gli - Pallino e Mimì.4
– gran signore se lo sentiva nelle vene torpide, nelle pio-
te gottose, e un cotal fluido pazzesco gli circolava per
- Pallino e Mimì.20
– la minore, e se ne andò con quelle piote ben calzate
ma fuori di squadra e indolenzite, inchinandosi - Sen-
za malizia, 1.1
– mi raccomando! A pincenez. Alle piote, nessun accen-
no. Erano irrimediabili. - Senza malizia, 2.12.
109
B.: ... e mia moglie che nella sua qualità di pregnante or-
mai parecchio grossa non ha più i freni inibitori a po-
sto dice sei matto... (pag. 169)
– ... dopo aver aspettato una settimana o poco meno la
pregnante se n’è tornata a casa ... (pag. 173)145.
D’Annunzio, Trionfo della morte, Milano, Treves, 1894
– E le risa schiette della pregnante salirono nell’aria dol-
ce. - Libro 6, 2.72.
Fra gli scrittori precedenti che ricorsero a tal termine ri-
cordiamo:
Boccaccio, Comedìa delle ninfe fiorentine, 1341-42
– e Ibrida in Ameto, che non fu rendere alla pregnante
madre la femina Ifi maschio - XXV.
Manerbi, Volgarizzamento della “Legenda aurea”, Venezia,
1475
– infiate e el ventre similmente, a similitudine d’una
pregnante femina, e per la grande infiasione avea una
terribile - 31 S. Pietro martire.31
– lui albergare in esso tegoro, la cui ospita, pregnante e
vicina al parto, lo aconzò decentemente quanto lei -
58 S. Pelagio papa.11
Tasso, Gerusalemme liberata, 1581
– insieme poi cento altre piante/ cento ninfe produr dal
sen pregnante./ Quai le mostra la scena o quai dipinte
- Canto 18.26
Bruno, De la causa principio e uno, 1584
– Teofilo\... il profondo è privato di luce: ma come la pre-
gnante è senza la sua prole, la quale la manda - Dialogo
4.5
Manzoni, Inni e odi, 1822
– salia non vista alla magion felice/ d’una pregnante an-
nosa;/ e detto salve a lei, - Il Nome di Maria.4
145
Altrove Berto usa sinonimi come “partoriente”. Vedi pag. 174 del ro-
manzo.
110
Pirandello, La mosca, Firenze, Bemporad, 1923
– da rinunziare a quella sosta consueta, di cui la pre-
gnante specialmente aveva bisogno. Petix non disse
nulla; - La distruzione dell’uomo. 45
Per quanto riguarda gli altri cultismi presenti ne Il male
oscuro, di alcuni è registrato l’uso in secoli lontani dal Novecen-
to e altri compaiono in pochi autori.
– Cominciamento, ricorre da Guittone D’Arezzo e Dante e a
Villani.
B.: ... mettendomi alla scrivania non mi sento così in for-
ma come dovrei essere per intraprendere il comincia-
mento del quarto capitolo... (pag. 214).
111
– Proclività. Si trova in Pallavicino e Baretti.
B.: ... io appartengo al tipo coattivo dove predomina il
Super-Io che staccandosi dall’Io genera nell’individuo
un’alta tensione con proclività a fregarsene del mondo
esterno ... (pag. 390).
Pallavicino, La retorica delle puttane
– femine non mostrano altra condizione d’umanità se
non la proclività facile alli errori. Ne trasse però mai
sempre singolar - Lezione 1.1
– quasi sempre aggiunte condizioni riguardevoli. È tan-
to naturale questa proclività alli amorosi diletti, che
ne’ suoi accrescimenti ancora dipende - Confessione
dell’autore.11
Baretti, La frusta letteraria, Bari 1932 (pubblicata come ri-
vista fra il 1763 e il 1765)
– sciorrò il sacco alle commendazioni per poco che la
donnesca proclività verso qualcuno si possa combina-
re colle mie austere idee di - N.3 [Nota dell’autore].4
112
Cellini, Vita, 1566
– disse misser Alberto Bendedio in Ferrara, e con gran
sicumera me ne mostrò certi ritratti di terra; al quali -
Libro 1, 28
– terra, iscoperto con una tanta boriosità, ciurma e sicu-
mera, che veduto che io l’ebbi, voltomi a - Libro 2,8
De Roberto, I Viceré, Milano, Galli, 1894
– e degli ammiratori; egli saliva in cattedra con maggior
sicumera di prima e commentava l’opera del Parla-
mento. La - Parte 2,6.52
De Amicis, Sull’Oceano, Milano, Treves, 1889
– veneta, sulle “attaccature” lombarde, con una sicume-
ra impossibile a immaginarsi, - Sul Tropico del Can-
cro.5
113
Compare nelle Novelle di Bandello del 1554 e ricorre
tantissimo nel teatro: Metastasio, Goldoni e Gozzi, Prati,
Verdi. È usato nella traduzione dell’Iliade da Monti, dalle
riviste Il Caffè e Il Conciliatore e in romanzi come Malom-
bra di Fogazzaro.
B.: ... lavoro e preghiera fu il labaro santo che agli ardui ci-
menti don Bosco guidò, giusto sulla strada degli ardui
cimenti mi trovavo ... (pag. 315).
146
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.
114
– V’ho io forse mandato in galea il padre, annegata la
madre, assassinato il fratello e deflorata la sorella? -
N.26 Discorso 1.3
– Edotti
B.: ... la psicoanalisi [...] vuole semplicemente renderci
edotti dei problemi e conflitti sepolti nel nostro in-
conscio... (pag. 7).
Monti, Opere, Firenze, 1858-69, IV vol. pag. 152
– Venuto in Milano, trovo che il Brignole da voi edotto
del vero, avea rivelato il gran segreto148.
Barilli, Capricci di vegliardo, Milano 1951, pag. 75
– Lungo questi due ultimi anni di miserie infinite per
tutti, e anche per me, le mie mi hanno molto istruito e
reso edotto.
Landolfi, Ombre, Firenze 1954, pag. 175
– Un amico già edotto ci andava invece premonendo,
fornendo notizie, consigli, avvertimenti vari sulla festa
e la sua preparazione.
147
Consultati Picchi-Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna,
Zanichelli, 2001, Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizio-
nario della Lingua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002, e De Mauro, Grande
Dizionario Italiano dell’uso, Torino, Utet, 2000.
148
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.
115
tinente gustandosela insieme al suo trionfo ... (pag.
292).
116
– Pavidità.
B.: ... se non è proprio malattia sono quei lunghi periodi
di pavidità e stasi psichica ... (pag. 391).
Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, Milano
1958 (I°ed. 57), pag. 259
– la pavidità procedurale di quella che nel ‘Barbiere’ è
denominata in fa diesis ‘la forza’ non s’era per anco
inabissata, 1927, nelle odierne fosse oceaniche.
Pratolini, Le ragazze di San Frediano, Firenze 1955 (I° ed,
51), pag. 51
– v’era un sottofondo di pavidità, in tutto questo, in-
dubbiamente, ipocrisia, e il timore di affrontare le si-
tuazioni alla radice.
117
coll’assenso de’superiori, colla benedizione dei paren-
ti, con tutti i più felici auguri degli amici, colla con-
tentezza della Francia, che preconizzò altissime sorti al
suo giovine poeta.
149
Consultati De Mauro, Grande Dizionario Italiano dell’uso, Torino,
Utet, 2000, e Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Diziona-
rio della Lingua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002. Quest’ultimo nomina
soltanto Berto.
150
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.
118
– io, rapito al tuo merto, / fra i portici solenni e l’alte
menti / m’innoltro e spargo di perenni unguenti/ il
nobile tuo serto.
Monti, Opere (1776-1826), Firenze, 1858-1869, vol. I, pag.
449
– Altre [ombre] han altro diletto; e qual cogliendo/ va
per la riva delle Parche il fiore, / l’almo narciso, e ne
fa serto al crine.
Carducci, Opere (1863-1902), Bologna, 1950, III vol. , pag.
272
– Com’eri bella, o giovinetta, quando / tra l’ondeggiar
de’lunghi solchi uscivi, / un tuo serto di fiori in man
recando.
Cecchi, Et in Arcadia ego, Milano 1960 (I ed. 1936), pag.
73
– Le Grazie... intrecciano le braccia tornite, annodando
serti alla chioma.
151
Picchi- Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna, Zanichelli,
2001.
119
quelli di oggi derivanti dal taglio e dallo scompiglio che
il vegliardo avrà messo nelle mie viscere ... (pag. 132)
– ... secondo me lui e i suoi colleghi e il vegliardo sono
tutti beccamorti ... (pag. 134).
Livio volgar. (Crusca, prima metà del sec. XIV)
– Non tanto solamente i giovani, ma, non ch’altri, i ve-
gliardi152.
Bencivenni, Volgarizzamento dell’esposizione del Paterno-
stro, Firenze 1828, pag. 58
– Tal giovane è più da lodare che non è il vegliardo, che
mena sua vita dissolutamente.
Bandello, Novelle (1554) in Opere, Milano 1952, vol I, no-
vella 21, pag. 248
– Aveva ottenuto la grazia e l’amor d’una donna col
mezzo d’un vegliardo pollacco.
Pascoli, Poesie, Milano 1956, 29
– Un vegliardo austero mormora/ dall’altar suoi brevi
appelli: / dietro questi s’acciabbattono/ delle donne i
ritornelli.
Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Torino
1979, pag. 227
– Dapprima gli odori, i sapori, poi una luce di fiamma
illumina i visi senza età degli indios [...] forse erano
già dei vegliardi all’epoca che mio padre era qui.
152
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.
153
Ivi, è nominato soltanto Berto.
120
– ... una volta il cinquanta per cento degli ufficialetti di
cavalleria che volevano avere la vita snella e le ventra-
glie a posto ... (pag. 170).
D. Alighieri, Inf., c. 30, v. 54
– la grave idropesi, che sì dispaia/ le membra con l’o-
mor che mal converte, / che ‘l viso non risponde a
la ventraia, /faceva lui tener le labbra aperte / come
l’etico fa, che per la sete/ l’un verso e’l mento e l’altro
in su rinverte.
Boccaccio, L’Ameto- Lettere- Il Corbaccio, Bari, 1940, pag.
241
– Alle gote dalle bianche bende tirate risponde la ven-
traia...
Boiardo, Orlando innamorato (1475), Torino, 1951, l.1, c.
23, ottava 17
– Via tagliò un braccio, che è tutto peloso, /e gionse al
busto smisurato e grosso;/ giù per le coste insieme alla
ventraglia.
Pascoli, Poesie, Milano, 1956, pag. 1397
– Quando il Ciclope si fu riempita la grande ventraia/
d’uomini carne mangiando e bevendoci su latte puro, /
dentro la grotta giaceva sdraiatosi in mezzo alle greggi.
– Voce stentorea, da stentore >lat. stentore(m)>gr. Στέντωρ,
personaggio omerico dalla voce potente. Bellini usò
quest’espressione riferita all’esecuzione canora, dopo di
lui Da Ponte, Rovani, Nievo, Svevo, Moravia e Berto. Altri
autori usarono “stentoreo” non unito a “voce”ma a stru-
menti, frasi: Bacchelli, Manganelli, Arpino (tromba), Ber-
chet, Pellico, Pasolini.
B.: ... e con voce per lo più stentorea dico cose interessanti
in bella maniera ... (pag. 290).
Da Ponte, Memorie, 1823
– vedere disposti gli animi a secondarlo, lesse con voce
stentorea un’elegia latina, che poco doveva intendersi
da quegli - Parte I (1749-1777).69
121
– una mano pesante battermi la spalla e gridar con voce
stentorea: - Siete mio prigioniero! - Parte IV (1805-
1819).6
Rovani, Cento anni ,1859
– non dell’olimpo, ma del loggione, una voce stentorea
di trachea taurina, che gridò: Viva - Libro 10, 3.15
– Presidente Veneri, - gridava quello con voce stentorea.
- Un lungo fremito, con fischi laceranti e - Libro 17,
3.35
Nievo, Confessioni di un Italiano, 1857-1858
– i quali venivano mano a mano annunciati dalla voce
stentorea del portiere: era un profluvio di don - Cap.
19.53
Serao, Il ventre di Napoli , 1884
– alla bocca del vicolo e grida i numeri con voce stento-
rea: -Vintiquattro! - - 5. Il lotto.16
Svevo, Racconti- Saggi- Pagine sparse, in Opera omnia III,
Milano, 1968
– Con la sua voce stentorea si mise a narrare certe sto-
rielle sulla propria furberia e l’altrui dabbenaggine
negli affari.
Moravia, Il conformista, Milano 1955 (I ed. 1951), pag. 170
– la sua voce stentorea risuonava come un gong di bron-
zo nel silenzio gelato della clinica.
Croce, Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici, Bari, 1952
– Pur continuandosi a recitare il catechismo marxistico,
si avverte che questo è recitato tanto più insistente-
mente quanto meno è creduto e quanto meno si fa
sentire nella scienza e nella cultura, che nel fatto van-
no avanti senza di esso, tuttoché infastidite dal rim-
bombo della sua voce stentorea.
122
dargli dietro in bottega e pei mercati ... (pag. 308).
– ... neppure riesco a dirmi che finito l’anno scolastico
fra nove mesi andrò a cercarla e faremo le porcherie
pei prati ... (pag. 336).
– ... così era mio padre, camminava nell’alba pei sentieri
della Conca d’Oro... (pag. 407).
123
Inoltre, non si può trascurare di pensare all’influenza lessi-
cale gaddiana. Il titolo del romanzo non è inventato dallo scrit-
tore che lo chiarisce anche ponendo sul frontespizio la citazio-
ne da cui è tratto, ovvero una frase de La cognizione del dolore
di Gadda. La stima e l’ammirazione per Gadda, che raggiunge
la gloria mentre Berto il successo (cosa più modesta), il fascino
per il suo tormento, lo avranno coinvolto nell’assaggio di un
plurilinguismo che considerava non soltanto le lingue straniere,
come quelle di matrice iberica presenti ne La cognizione del
dolore, ma anche i dialetti nazionali157. Mentre in Gadda tut-
to è premeditazione (le parole, proprio perché sono dialetta-
li, dicono quello che altrimenti non si potrebbe esprimere), in
Berto tutto è spontaneo, involontario; il risultato non è l’effetto
di uno studio ma una cosa gli viene in mente nell’espressione
più vicina al suo uso quotidiano. Quando compaiono termini
napoletani o toscani probabilmente sono ricercatezze lettera-
rie, non sono dovuti all’espressivismo, dato più che altro dagli
intrecci e dalle emozioni. Questo per il motivo che in Berto la
lingua come strumento per esprimere ciò che non si riesce a
dire non esiste.
124
B.: ... compriamo castagne arrosto e bagigi prima di uscire
dal Luna Park e andiamo verso via Piave... (pag. 331).
Goldoni, I pettegolezzi delle donne, 1750
– No elo quello che vendeva bagiggi?158
I. Nievo, Le confessioni di un italiano, 1867
– le belle ragazze devono badare ai bei giovani, e quei
mezzi omiciattoli in Levante si mandano a vender ba-
giggi per le contrade.
G. Carretto, Via Muro Lungo 22 Verona, Milano 1994, p.58
– Quel primo assaggio però che m’era tanto piaciuto
che per molti anni a venire, ogni volta che mangiavo i
bagigi, due o tre li lavavo e li sgranocchiavo completi
di guscio159.
158
Picchi- Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna, Zanichelli,
2001.
159
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.
125
1837), adattamento del veneto pastròcio, da avvicinare a
pasticcio, pastocchia (cfr. milanese pastrugn ‘intruglio’).
B.: ...se il primo dono della luce è questo bel pastrocchio di
fronte al quale mi trovo... (pag. 126).
Panzini, Dizionario moderno delle parole che non si trovano
nei dizionari comuni, Milano 1950, pag. 497.
– Pastrocchio, voce familiare dell’Italia adriatica...: è
l’antica parola classica pastocchia (da pasta) e vale ‘in-
truglio’, indi ‘finzione, imbroglio, cosa mal fatta’.
Bernari, Vesuvio e Pane , Firenze 1952, pag. 270.
– era avvenuto un tale pastrocchio fra il suo nome, le sue
generalità, i suoi precedenti, la sua discesa dal Nord.
126
– ... lo vidi ancora lungo disteso su un sentierino tra
due gombine... (pag. 44)
Garzoni T., La piazza universale, Disc. 56.10, Venezia, 1585
– i correggiati e le parti loro - cioè le gombine, la mazza,
la maderla, il capuccio, -
Comisso, Un inganno d’amore, Milano, 1953 (1° ed. 1942),
pag. 126
– la vigna aveva le viti in filari inclinati a tetto e tra un fi-
lare e l’altro vi erano le gombine coltivate a pomodoro
o a meloni.
127
B.: ... e mia madre diceva su non essere rustego perché non
rispondi... (pag. 73)
160
Tullio De Mauro, Grande Dizionario Italiano dell’uso, Torino, Utet,
2000.
128
B.: ... e durante il viaggio pensai sempre che il vecchio
ormai era spacciato, o meglio, tanto per non sentirmi
menagramo, pensavo indirettamente a cosa mai sareb-
be cambiato, nella mia vita familiare e personale, nel
caso triste che egli fosse ormai spacciato... (pag. 13).
Panzini, Dizionario moderno delle parole che non si trovano
nei dizionari comuni, Milano 1950.
– menagramo: voce milanese (menagràm) che porta iet-
tatura, di persona o di cosa161.
Bacchelli, Il diavolo al Pontelungo, Milano 1951 (I°ed.
1927), pag. 150.
– parlavo, sappiate, propriamente delle calunnie e delle
maldicenze tue, pretonzolo, resto di seminario, ‘trista
fegura’, menagramo.
Buzzati, Sessanta racconti, Milano 1958, pag. 487.
– ma lo sai, zia, che sei una bella menagramo?
161
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.
162
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002 e Cortelazzo – Zolli, Dizionario
Etimologico della Lingua Italiana, Bologna, Zanichelli, 2000. Il Tullio De
Mauro, Grande Dizionario Italiano dell’uso, Torino, Utet, 2000, non for-
nisce ipotesi etimologiche.
129
B.: ... e me ne stavo steso sulla pancia con un pugno con-
ficcato nell’addome proprio per aiutare quell’immon-
do aggeggio a tornarsene al suo posto... (pag. 109).
Civinini Guelfo, Giorni del mondo di prima, Milano 1926,
p. 353
– un aggeggio di legno, munito di un saltaleone su cui
bisogna picchiare con una grossa mazzuola di quanta
forza s’ha.
Viani Lorenzo, Il nano e la statua nera, Firenze, 1943, p. 206
– egli trova sempre un aggeggio di stoffa da annodarsi al
collo taurino, rossa o celeste, e poi eccolo baldanzoso
e fiero.
Pirandello Luigi, Quando si è qualcuno, Milano, Monda-
dori, 1933
– 1° GIORNAL.\... a sapersi! \2°GIORNAL.\ Non
dorme dunque con nessun aggeggio sul capo per con-
servarsi la piega dei capelli? - Atto 3.53
– 2° GIORNAL.\... per conservarsi la piega dei capelli?
\CESARE\ Nessun aggeggio. Piega naturale. E prego
lor signori di non - Atto 3.54
In Gadda compare nel diminutivo ‘aggeggino’.
163
I dialetti italiani, Dizionario Etimologico, Utet, Battaglia- Sanguineti-
Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lingua Italiana, Torino, Utet,
1961-2002.
130
– ... spero che quest’animale col quale mi hai fatto becco
abbia tanti soldi ... (pag. 400).
Piovene G.,Viaggio in Italia, Milano 1958, p. 245
– Ecco un’altra bizzarria: la festa, che ricorre a San Mar-
tino, dei becchi. E chiedo scusa se l’esattezza mi obbli-
ga ad usare un termine crudo. Si vanno a chiamare i
mariti traditi per condurli in piazza.
164
Tullio De Mauro, Grande Dizionario Italiano dell’uso, Torino, Utet,
2000.
165
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.
131
– Nanni l’Orbo... s’era accollata la ganza di don Gesual-
do coi figliuoli.
De Roberto, Opere, Milano 1950, pag. 67
– aveva seminato figliuoli in tutto il quartiere e mante-
neva tre o quattro ganze.
Pirandello, Novelle per un anno, Milano, 1958, vol. I, pag.
1216 (I° ed. Firenze, Bemporad, 1922-28)
– S’era tolta in casa pubblicamente la ganza, senza voler
più sapere né della moglie né del figlio.
132
B.: ... e la giovane e graziosa signora tal dei tali va in sol-
lucchero mentre se lo mangia con gli occhi come se
fosse una equilibrata combinazione di padre Pio da
Petralcina con Lawrence Olivier, ... (pag. 175)
Nievo I., Confessioni di un Italiano, 1857-58, Cap. 19, pag.
188
– Bruto, che fin’allora era andato in solluchero per l’alle-
gra vita che si menava, scoperse ... -
Verga, Don Candeloro & C., 1894, cap. 9
– ... la ragazza ne andava in solluchero, e aveva a schifo
poi di lavare i piatti.
De Amicis, in Sull’Oceano, Il dormitorio delle donne, 2,
Milano, Treves, 1889
– Con quegli occhi in solluchero? Vi do tempo cinque
minuti...
Fogazzaro, Daniele Cortis, Torino, Casanova, 1885, Cap.
19, pag. 60
– un’accoglienza così cordiale che il senatore ne andò in
sollucchero.
– Uzzolo, toscanismo ‘voglia intensa e capricciosa, ghiribiz-
zo’. Usato in letteratura sin da prima del Quattrocento da
Franco Sacchetti.
B.: ... io parto brontolando segretamente per l’uzzolo di
Moribondo al Corso non aveva un posto più comodo
dove mandarmi ... (pag. 180).
133
– cafone, uomo di villa, lavoratore di terra. Vocabolario
domestico napoletano e toscano. Napoli 1841.
Pirandello, L. Sagra del Signore della Nave, Firenze, Bem-
porad, 1925
– TAVOLEGGIANTE\... svelta svelta sul ponticello
una graziosa servetta con un goffo cafone intenerito.
D’Annunzio, Prose di romanzi 2 voll., Milano 1955, pag.
293
– Dunque ancora erano considerati come cafoni?
Panzini, Dizionario moderno delle parole che non si trovano
nei dizionari comuni, Milano 1950. pag. 97
– Cafone: voce dialettale dell’Italia meridionale, estesa
poi ad altre regioni: indica persona plebea, villana,
rozza, maldestra.
Bacchelli, Il mulino del Po, 3 voll. Milano 1947, pag. 77
– I suoi fedeli [della corte borbonica] e i suoi emissari
eccitavano nei “cafoni” il vecchio, fanatico odio contro
i giacobini, i civili, i “galantuomini”, e contro le tasse e
la leva militare.
Bartolini, Signora malata di cuore, Firenze 1954, pag. 68.
– interloquì la minore d’Età, per giurare che piuttosto
di sposarsi “male”, con un uomo brutto, cafone o chè,
preferiva attendere, o rimanere zitella.
Silone, Vino e pane, Milano 1955, pag. 136.
– il giovane cafone tagliò alcune fette di pane di grantur-
co, sminuzzò due pomidori e una cipolla.
Pavese, Il compagno, Torino 1954, pag. 185.
– che cos’è che volevano gli altri italiani? Farla finita coi
violenti, coi cafoni, coi ladri, ritornare al rispetto di sé
e della legge.
134
Basile, Lo cunto de li cunti, Napoli 1634-36
– ciento arme cacciava co na saglioccola ciento scrofe,
che mannaggia mille vote li vische di chi la comman-
naie a sti - Giorn. 3, tratten. 10.21166
Belli, Sonetti
– Nu lo vedi che ddritto nun ce vai,/ Mannaggia li mor-
tacci de tu’ zio? Son. 251.4
– Ma ttu cc’hai sempre st’ideacce storte,/ Mannaggia la
nepote de tu’ nonno!,/ Dichi mo che sta - Son. 266.6
– è un paino? indov’èllo? indov’èllo?/ Mannaggia! nun
ze vede un accidente./ Ecco, ecco - Son. 1994.4
– nu lo pijjassi in petto?! -/ Che vvòi, mannaggia li mor-
tacci sui!,/ Me se messe a scappà pp’ - Son. 2012.13
– La commare de l’aritirato- Mannaggia er corpo tuo!
co sta caterba/ De debbiti, - Son. 2233.1
Verga, Don Candeloro & C. 43
– d’accordo fra di voi! E tu spiegati, mannaggia! - Che
volete? Perdonatemi!... Ah - Il peccato di Donna San-
ta.
Cavalleria rusticana, Torino, Casanova, 1883
– TUR.\...strappandosi da lei) Finiamola ti dico! man-
naggia! \SANT.\ Turiddu! per questo Dio che scende
- Scena 4.25
Pirandello L., Il turno, Catania, Giannotta, 1902
– Tanto di naso, don Pepè! Mannaggia la prescia! - Non
mi seccate, vecchiaccio - Cap. 24.2
Scialle nero, Firenze, Bemporad, 1922
– Don Filippino! - gridò lo Scala. - Mannaggia a voi!
Non ci fate disperare! Attesero - Il “fumo”, 4.26
– E lui: - Mi rivesto, mannaggia! Non posso dormire.
Mi metterò a sedere qua - Il tabernacolo, 1.17
– bajocchi? Manco pe’ fallo! - Be’, mannaggia a tene!
166
Picchi-Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna, Zanichelli,
2001.
135
Dammelo. Moro de callo. - Il ventaglino.79
Il termine è frequentissimo in tanti romanzi, dramma e no-
velle pirandelliani.
167
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.
136
– Scoppola, dialetto romano. Prima attestazione 1832.
B.: ... si trova davanti a san Pietro che gli dice e ora come
la mettiamo con queste bugie [...] ma poi chiude un
occhio e lo fa passare con una scoppola affettuosa...
(pag. 199).
D’Azeglio, I miei ricordi, Torino 1949 (1° ed. 1867)
– quella benedetta carabina non so che difetto interno
avesse, ma so bene il difetto esterno quale era, di dar-
mi una terribile scopola ogni volta che la sparavo.
Marinetti, Taccuini 1915-1921, pag. 234
– Il generale li chiama e dopo aver spillato la medaglia
li bacia commosso e ad alcuni dà una piccola scoppola
affettuosa.
Papini, Lacerba III, 1915, pag. 122
– Il maestro senza bacchetta e la scuola senza scopole
non esistevano in rerum natura.
137
nella prima metà del XIV secolo. È un termine di origine
araba da tabbùt ‘tomba’. Usato anche da Capuana e Scia-
scia.
B.: ... un fotografo di provincia che ritraeva mio padre col
vestito nero da sposo in attesa di essere sistemato nel
tabbuto, o cassa da morto che sia (pag. 52).
V. Forestierismi 168
168
Per tutti i forestierismi è stato consultato Tullio De Mauro, Grande
Dizionario Italiano dell’uso, Torino, Utet, 2000.
169
Ivi, vol. III, pag. 202.
138
Soprattutto lo scrittore attinge al lessico francese. È il caso
in cui, ad esempio, fa parlare il personaggio della vedova fran-
cese (es. a), ma il francese ricorre spesso quando si fa riferimen-
to a una tendenza modaiola come portare i capelli alla garçonne
(b- in uso dal 1923) o avere una nurse (c- in uso dal 1905) o
desiderare tende e poltrone di cretonne (d- in uso dal 1765):
a) e allora lei diceva merde perché non si vedeva niente
... (pagg. 31-32)
b) ... nel cassettino dalla parte opposta che era quello di
mia madre c’era sempre una gran confusione di forci-
ne e pettinini e fermi per i capelli e pettini mai puliti
con attaccati capelli lunghissimi, perché mia madre
mai si sarebbe tagliati i capelli alla garçonne... (pag.
75)
c) ... naturalmente col figlio ci vorrà la nurse svizzera o
almeno altoatesina o sudtirolese che sia... (pag. 171)
d) ... la camera ha bellissime tende di cretonne alle fine-
stre e una grande poltrona ricoperta della stessa cre-
tonne e invece a casa nostra non ci sono né tende né
poltrone... (pag. 173).
E, a proposito dell’arredamento, viene nominata anche la
dormeuse (in uso dal 1858), poltrona a sdraio che è sistemata
nell’appartamento del produttore e che lo sceneggiatore sceglie
per passare le sue notti quando si trova a Parigi per lavoro:
e) ... al secondo giorno ho detto al signore perché spen-
dere soldi per la mia camera posso anche sistemarmi
nell’anticamera del suo appartamento dove c’è una
dormeuse, e così infatti avviene ... (pag. 201).
139
anche il frigidaire tanto per dire e i mobili e la bian-
cheria di casa ... (pag. 401).
140
l) ... tre sole erano le medaglie di merito ossia al primo
classificato medaglia vermeille, al secondo medaglia
d’argento, al terzo medaglia di bronzo... (pag. 315) ...
già che ci sono e la medaglia vermeille me la sono con-
quistata mi piacerebbe che (mio padre) mi comprasse
la bicicletta... (pag. 322).
170
Il termine (“nuova onda” in francese) apparve per la prima volta sul
settimanale francese L’Express il 3 novembre 1957, in un articolo a firma
Françoise Giroud, e verrà ripreso da Pierre Billard nel febbraio 1958 sulla
rivista Cinéma 58. Con questa espressione si fa riferimento ai nuovi film
distribuiti a partire dal 1959 ed in particolare a quelli presentati al festival
di Cannes di quell’anno. La Nouvelle Vague è il primo movimento cine-
matografico a testimoniare in tempo reale l’immediatezza del divenire, la
realtà in cui esso stesso prende vita. I film che ne fanno parte sono girati
con mezzi di fortuna, nelle strade, in appartamenti, ma proprio per la
loro singolarità, hanno la sincerità di un diario intimo di una generazione
nuova, disinvolta, inquieta. www.wikipedia.it
141
VI. Popolarismi 171
171
Consultato il Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizio-
nario della Lingua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002, e Picchi- Stoppelli,
Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna, Zanichelli, 2001. Gli esempi sono
tratti da quest’ultimo.
142
bilmente chiedendomi con quale razza di farabutti
mangia a ufo come me avessi fatto le quattro del mat-
tino…
Goldoni, Il contrattempo, At.1, sc.1.42
– BEAT.\... \COR.\ È un mese che gli date da mangiare
a ufo.
Manzoni, Promessi sposi (1840), Cap.30.40
– Agnese e Perpetua, per non mangiare il pane a ufo,
avevan voluto essere impiegate ne' servizi …
Giusti, Poesie, Lettera a un amico, 57
– per serrar la finestra:/ come secca mangiando anc'a
ufo/ ogni giorno la stessa minestra…
Verga, Don Candeloro & C., 39
– venisse a cercarlo: Nunziata invece, che mangiava a
ufo dalla cugina Menica…
Verga, I Malavoglia, Cap. 8.20
– madre le aveva detto che quelli eran tutti mangiapani
a ufo, più birri che altro…
Collodi, Le avventure di Pinocchio, Cap. 33.64
– Sarebbe un mangiapane a ufo. Portalo dunque in piaz-
za e rivendilo.
De Roberto, I Viceré, Parte 1,3.9
– le femmine non sapevano far altro che mangiare a ufo
e portar via parte della roba di casa…
Fucini, Le veglie di Neri, 54
– Madonna del Grilli. "Questi bighelloni mangiapanac-
ci a ufo!" continuò il postino, fermandosi a dare una
cartolina.
143
Imbriani, Merope IV, Cap. 5.31
– le maldicenze dei corridoi e dei gabinetti; rivedeva le
bucce ai colleghi ed ai superiori.
Chelli, L’eredità Ferramonti , Cap. 20.12; Cap. 9.1
– io diventerei parziale? Di mia propria autorità rivedrei
le bucce alle sentenze de’ magistrati, assolverei questa,
condannerei quello ...
– ... ozio a rimpiangere il passato, ed a rivedere le bucce
al prossimo.
E ancora: non c’è santi che mi rinvenga in mente (pag.
294), non era poi tanto fuori di giustizia (pag. 20), tirar giù sa-
cramenti da stancare i santi (pag. 180), non servono a un’ostia
(pag. 182), non si conclude un’ostia di niente (pag. 208). Que-
ste ultime espressioni ci riportano all’ambito regionale veneto
e piemontese. Comunemente la parola ‘ostia’ è giudicata in due
modi: come bestemmia dal punto di vista psicanalitico- reli-
gioso; come esclamazione popolare secondo l’ottica linguisti-
co- antropologica. In regioni in cui la storia ha favorito l’indot-
trinamento religioso del popolo sin dalla primissima età, senza
volerlo i vocaboli più cari della religione diventano esclama-
zioni, dapprima vengono fuori come invocazioni e in seguito si
introducono nel parlato come intercalari del discorso. Allora,
oggettivamente l’esclamazione suddetta è una bestemmia, sog-
gettivamente è il linguaggio proprio dell’uomo veneto172. Nei
grandi scrittori, Dante, Pirandello, Berto... i personaggi parla-
no col proprio registro linguistico e alcuni lo cambiano in rap-
porto al destinatario. Su questo tema, il narratore si sofferma ad
esporre la sua teoria: “sia pure limitatamente alla parte lessicale
e sintattica adatto sempre il discorso alla persona alla quale lo
172
Nel momento in cui ne Le opere di Dio a parlare è uno sventurato
contadino costretto ad abbandonare tutto quel che costituisce la sua ric-
chezza, terra e bestie, le bestemmie sono frequenti e pesanti ma si tratta
del registro linguistico del personaggio. Questa riproduzione del parlato,
però, causò allo scrittore non pochi problemi culminati infine con un pro-
cesso intentato dalla scrittrice Maraini.
144
rivolgo, e in verità forse siamo in molti a farlo e a quanto ne so
io i modi di dire sono parecchio diversi a seconda che si parli a
un cardinale o a un colonnello o ad una battona da marciapie-
de...” (pag. 290).
173
Consultato il Cortelazzo- Zolli, Dizionario Etimologico della Lingua Ita-
liana, Bologna, Zanichelli, 2000.
145
fare l’amore con lei per paura di contrarre la sifilide. Ironica è
la sfida tra la ragazzetta e la vedova francese entrambe amanti
del malato, la prima risulterà vincitrice su colei che conside-
ra bagascia semidecomposta (pag. 132). A proposito di questo
vocabolo di incerto etimo (forse dal provenzale bagassa “ser-
va”, “ragazza” o da un antico romano *bakassa “ragazza”), la
prima attestazione è del 1363 in M. Villani; compare anche in
un documento lucchese del 1339, mentre al maschile bagascio
è in una traduzione volgare di Esopo del 1325. È interessante
notare come sia stato usato nell’ambito della nostra letteratura
da autori che hanno fatto largo uso di ironia o satira: Boccaccio,
Pulci, Boiardo, Ariosto, Berni (negli scherzi scenici e pensieri
satirici), Gozzi, D’Annunzio (nella Figlia di Iorio) e infine an-
che Gadda.
174
Ciascun termine è stato controllato su Cortelazzo- Zolli, Dizionario
Etimologico della Lingua Italiana, Bologna, Zanichelli, 2000, da cui ho
tratto le prime attestazioni in opere scientifiche; Picchi Eugenio, Stop-
pelli Pasquale, Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna, Zanichelli, 2001;
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lingua
Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.
146
mente accettato, e ibrida voce, per indicare il telegramma trans
marino”.
Berto: mi viene in mente di fare un cablogramma alla Man-
za che venga a Napoli (pag. 378).
147
B.: ... sarebbe opportuno che facessi un buon esame ra-
diologico, ma soltanto se lo desidero mi dice l’amico
perché a stretto rigore non sarebbe necessario, tanto
avere numerose emazie nelle orine e tutto il resto a
posto con appena tracce di urobilina e di albumina
non è proprio niente... (pag. 103).
Il termine reviviscenza è usato già da D’Annunzio e prima
ancora da De Roberto:
B.: ... e per un pezzo lui se ne sta lì non so se più medi-
tabondo o compassionevole, sai che me ne faccio io
della sua compassione, quindi con improvvisa revivi-
scenza vuol vedere le radiografie... (pag. 141)
D’Annunzio, L’Innocente, Napoli, Bideri, 1892
– Guardate! Guardate! La lieve reviviscenza fittizia pro-
vocata dall’etere si spegneva. - Cap. 50.3175
Le vergini delle rocce, Roma, De Bosis, 1895
– anzi un pregio e una grazia singolari e quasi una revi-
viscenza fittizia sotto il mio sguardo. - Libro 2. 288
De Roberto, I Viceré, 1894
– rammentava le primitive; così, per una specie di revi-
viscenza delle vecchie cellule del nobile sangue - Parte
1, 3.47
175
Picchi- Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna, Zanichelli,
2001.
148
– i tè benefici... avevano un sapore di infermeria, di aci-
do fenico176.
Soffici, D’ogni erba un fascio , Firenze 1958 pag. 77
– due bottiglie, ... dalle quali esalava un puzzo di acido
fenico e di petrolio
Papini, Poesia in versi, Firenze 1941, (pag.) 24
– la vita è più saputa in questi posti/ dove l’aria non
puzza che l’acido fenico
176
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.
149
Vittorini, Diario in pubblico, Milano 1957
– vediamo, a una radioscopia, il bario percorrere i visce-
ri che vuol rivelarci.
– Clorato di potassio
B.: ... il clorato di potassio che davano all’infermeria era
considerato una leccornía... (pag. 310).
150
– in queste vasche si preparano i bagni di soda e di sa-
pone, di acido solforico, di bisolfito, di permanganato.
151
di questi vocaboli erano già scappati dalla penna di Berto nel
racconto Esaurimento nervoso su cui ci soffermeremo più avan-
ti a proposito del lessico della psicologia177.
177
Vedi pag. 172 e segg.
152
– Anamnesi. È in Bonavilla, Dizionario Etimologico di tutti
i vocaboli usati nelle scienze, arti e mestieri, che traggono
origine dal greco, 1819.
B.: ... mi trovai un giorno al cospetto della celebrità me-
dico chirurgica la quale [...] rilesse concentrandovisi
sopra l’anamnesi sia familiare che personale ... (pag.
138)
Rajberti, Il viaggio di un ignorante, a cura di E. Colombo,
Milano 1943
– udita l’anamnesi, indagata l’eziologia, meditato il
complesso sintomatologico..., gli prescrissi un’ampol-
la di tamarindo.
Panzini, Dizionario moderno delle parole che non si trovano
nei dizionari comuni, Milano 1950
– Anamnesi personale: consiste nel raccogliere i sintomi
della malattia: anamnesi prossima [...] anamnesi re-
mota....
153
– Incapace... di decidere fra il parere dei medici che
crollando il capo gli auscultavano il polmone e quello
della sua travagliata, bramosa coscienza ...
Borgese, I vivi e i morti, Milano 1927, pag. 346
– Gli s’inginocchiò accanto, auscultandolo, e presogli il
polso ne cercò invano il battito...
Tecchi, Gli egoisti, Milano 1959, pag 22
– Modo di parlare... preciso, come può essere quello di
un medico, anzi di un tisiologo, conosciuto per la fi-
nezza dell’orecchio ad auscultare, nei segreti del petto,
i segni, ancorché lievissimi, del maligno occulto assali-
tore dei polmoni.
Silone, Vino e pane, Milano 1955
– il medico rimase un po’ incerto poi andò verso di lui e
gli disse “lasciami almeno auscultare”.
154
– Ogni tanto ritornava a guardare il suo bubbone; ma
voltava subito la testa dall’altra parte, - Cap.33.29
– intermittenti la maggior parte, con al più qualche pic-
col bubbone scolorito, che si curava come un fignolo
ordinario. - Cap.37.37
Belli, Sonetti
– nnun rimane statico./ Cuanno morze mi’ padre d’un
bubbone,/ Vorze fasse pagà ccrosce e vviatico. - Son.
849.10178
Rovani, Cento anni , 1859
– il ritorno di un contagio, come la peste del bubbone,
come il colera. - Libro 18, 8.4 Cagna, Alpinisti ciabattoni
– stare, altrimenti le può venire un flemone, un bubbo-
ne, o una periostite galoppante, ed allora - Febbre sa-
lutare. 92
– Calcoletto
B.: ... delle innumerevoli coliche renali dipendevano da
un calcoletto che manco si vedeva ... (pag. 170)
Redi, Opere, 9 voll. Milano 1809-11, vol. 8 pag. 335
– partorì un calcoletto grosso e due altri de’ più picco-
li179.
178
Picchi- Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna, Zanichelli,
2001.
179
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.
155
– ... siamo soltanto io e il mio cervello fuoriuscito e il
ricordo attivo del carcinoma... (pag. 265)
– ... forse neppure il padre mio col suo mostruoso carci-
noma viscerale aveva patito tanto ... (pag. 123)
G. Del Papa, Consulti medici, Roma Salvioni 1733 2 voll.
Crusca, pag. 45
– tubercoli duri dolorosi e disposti alle funeste esulce-
razioni costituenti la pessima di tutte le piaghe, quale
si è il carcinoma.
Cocchi, Dei bagni di Pisa, Milano 1824, pag. 346
– le quali poi facilmente degenerano in scirrosa solidez-
za, o in ulceroso carcinoma.
Tommaseo, Dizionario della lingua italiana, Torino 1861-
1879
– alcuni assegnarono il nome di carcinoma più special-
mente al cancro incipiente, ed altri al cancro encefa-
loideo. Così detto dalla somiglianza che ha col gran-
chio [...].
Cassola, Il taglio del bosco. Racconti lunghi e romanzi brevi,
Torino, 1959. pag. 148
– Se ti dicono “è stata una polmonite, un carcinoma”,
non per questo ti rassegni; ma è sempre meglio che
niente.
156
B.: ... l’infermiera del reparto radiologico [...] pretende
di farmi lei un clistere, per conto mio è matta me lo
faccio da solo ... (pag. 104)
Redi, Opere, voll 9, milano 1809-11, 9° vol., pag. 32
– se si ha mai a far disordine di soverchi medicamenti, si
faccia il disordine ne’ clisteri, i quali non saranno mai
troppi.
Stuparich, Simone, Milano 1953, pag. 336
– Chi mi tirava per una manica di qua e mi faceva tasta-
re il suo polso, chi per una manica di là e mi mostrava
la lingua... “e clisteri, non t’hanno chiesto?” “no, quel-
li glieli fanno i sorveglianti”.
180
Picchi- Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna, Zanichelli,
2001.
157
Boito, Storielle vane, Milano 1876
– mi sono accorto che il non avermi visto preso dalle
coliche aveva dato coraggio a tutti, e segnatamente al
capitano - Baciale ‘l piede, 5.3
Verga, Mastro don Gesualdo
– aprivano delle piaghe vive, dei veleni che davano delle
coliche più forti e mettevano come del rame nella boc-
ca, - Parte 4, cap.5.12
Faldella, Donna Folgore (composto tra il 1906 e il 1909),
I° ed. 1974
– in foggia di Semiramide, se non l’avessero colta coli-
che nefritiche, - Cap. 8.68
– pianto! che pianto! Nerina esce dal lavacro delle coli-
che più purgata che dalle acque del Giordano. - Cap.
8.2
Pirandello, I vecchi e i giovani, Milano, Treves, 1913
– poi... eh, poi l’aveva scontato con tremende coliche e
disturbi viscerali d’ogni genere - Parte 2,6.36
Pirandello, Una giornata, Milano, Mondadori, 1937
– e un umore che si può bene immaginare. Coliche ter-
ribili. - Una sfida. 10
– Colite spastica
B.: ... una eccezionale combinazione di malattie, un po’
di diabete ad esempio, o al contrario un po’ di ipo-
glicemia messa insieme con la colite spastica e in più
l’ulcera duodenale e l’artrosi lombare delle quali non
è lecito dubitare... (pag. 230).
158
Gadda, I viaggi. La morte, Milano 1958, pag. 286
– se io nego le tenere carezze al proteso muso di un
cane, la qual bestia notoriamente si pasce delle peg-
giori porcherie sino a grondarne dai labbri, ebbene,
io mi comporto come un egoista igienico...: la bestia
coprofagia si deterga è prima le labbra181.
181
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.
159
bercolosi negli espettorati: ingrassa a vista; - 8.15
– egli sarà pure imperatore dei bacilli, accendendo fra
essi la guerra civile con una serie - 8.94182
182
Picchi- Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna, Zanichelli,
2001.
183
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.
160
veva abbandonato mi sentivo molto solo. - 8 Psico-
analisi.60184
– Emitorace.
B.: ... idea del suicidio, qualche volta veniva anche attra-
verso comuni dolori di pancia o semplici movimenti
di gas intestinali [...] oppure dolorini all’emitorace si-
nistro ... (pag. 161).
184
Picchi- Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna, Zanichelli,
2001.
185
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.
161
scienze, arti e mestieri, che traggono origine dal greco, 1820.
B.: ... non andavo certo al cinema o a passeggio con l’e-
nuresi che mi affliggeva, ma enuresi non è il termi-
ne esatto e infatti si trattava di un deflusso pressoché
continuo a gocce determinato dall’infiammazione
prostatica, o da un misterioso dolore come di puntura
che io sentivo all’orifizio pubico... (pag.145).
186
Picchi- Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna, Zanichelli,
2001.
162
– Tanai seccar tutto in un die./ Troppo gonfiossi l’ernia
contumace, / e rotti i lacci il gran braghier sdrucito -
Satira 8.346
Baretti, La frusta letteraria, Bari 1932 (pubblicata come ri-
vista fra il 1763 e il 1765)
– Quinta osservazione. Sopra un’idrocele, o ernia ac-
quosa, radicalmente guarita da una percossa. - N.9
Casi medici.8
Rovani, Cento anni , 1859
– senza fatica, ritardando con quell’impreveduto riposo
l’inevitabile ernia dei vecchi anni. - Libro 9, 7.1
– che pur bastava per assicurare e l’asma e l’ernia al loro
deplorabile avvenire. - Libro 9, 8.3
De Amicis, Cuore
– le s’era manifestata una malattia gravissima: un’ernia
intestinale strozzata. Da quindici giorni non s’alzava -
83 Dagli Apennini alle Ande.97
D’Annunzio,Trionfo della morte
– un palo, sollevava il grembiule per mostrare la sua er-
nia enorme e giallognola come una vescica di sevo.
- Libro 4,7.136
163
be andato all’altro mondo, ossia gli avevo suggerito
un’azione di eutanasia ... (pag. 17).
Panzini, Dizionario moderno delle parole che non si trovano
nei dizionari comuni, Milano, 1905
– ‘Eutanasia’, ‘la buona, la placida morte’ mercè l’ope-
ra medica, che con farmaci toglie la pena dell’agonia.
Grave questione se la medicina può , in ceri casi, va-
lersi dell’eutanasia!187
Montale, Farfalla di Dinard, Milano 1960, pag. 248
– Siete favorevole o contrario all’eutanasia?
– Faccenda fibrinosa
B.: ... e quello mi porta la risposta scritta che si tratta d’u-
na tenue faccenda fibrinosa a forma di ragnatela che
compare nel liquido cefalo- rachidiano... (pag. 260).
– Ghiandole riproduttive
B.: ... da collegarsi si capisce al concetto di infarto del
miocardio, oppure anche con un banale mal di testa o
dolore reumatico, o anche con certi arcani rimescolii
delle due grosse ghiandole riproduttive... (pag. 161).
187
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet,1961-2002.
164
Piovene, Madame la France, Milano 1966 pag. 552
– protesta e rivolta... si riducono... a una suppurazione
di idiosincrasie e insofferenze.
Pavese, Il mestiere di vivere, Torino 1955 (I°ed. 52), pag.
192
– difetti ed idiosincrasie scoperti in chi ci è vicino, ci
tolgono l’illusione... che fossero in noi singolarità scu-
sabili perché originali.
165
glicemia messa insieme con la colite spastica e in più
l’ulcera duodenale e l’artrosi lombare delle quali non
è lecito dubitare... (pag. 230).
166
Il termine meningite compare in diversi autori da Manzoni
in poi - Serao, Oriani e Pirandello- ma nello specifico “me-
ningite tubercolare” solo in Oriani.
B.: . .. e quello mi porta la risposta scritta che si tratta d’u-
na tenue faccenda fibrinosa a forma di ragnatela che
compare nel liquido cefalo- rachidiano in corso di me-
ningite tubercolare... (pag. 260)
Oriani, Opera omnia a cura di B. Mussolini, 30 voll. Bolo-
gna 1934-43, vol. 21, pag. 264
– Quella meningite basilare tubercolosa non consentiva
nemmeno di essere lenita.
167
to come sarà facile capire), le prime parole che Placi-
do mi disse riguardavano il bambino.
– Occlusione intestinale
B.: ... secondo lui aveva un’occlusione intestinale, anche
l’esame radiologico aveva rivelato questo fatto con as-
soluta chiarezza ... (pag. 16).
Fogazzaro, Lettere scelte, a cura di T. Gallarati- Scotti, Mi-
lano 1940, pag. 591
– Il primo fenomeno grave fu l’occlusione intestinale189.
188
Picchi- Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna, Zanichelli,
2001.
189
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario del-
la Lingua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.
168
– Parto eutocico
B.: ... lei spendeva oltre duecentotrentamilalire per met-
tere al mondo una figlia con un normalissimo parto
eutocico... (pag. 195).
– Perforazione intestinale
B.: ... se ne va via dritto lasciandomi il suo aiuto a spiega-
re che i sintomi erano tutti per una perforazione inte-
stinale e che pertanto era loro dovere tagliare d’urgen-
za... (pag.127)
Michele Lessona, Dizionario universale di scienze, lettere
ed arti, 2 voll. Milano 1874-75, suppl. 1883. pag. 1108
– Perforazione: apertura accidentale nella continuità de-
gli organi, prodotta da una lesione esterna o risultante
da una malattia interna.
Anna Banti, Le mosche d’oro, Milano 1962, pag. 361
– Intanto l’Anita aveva preso a raccontare quel che era
successo, peritonite fulminante, perforazione intesti-
nale.
Levi, Cristo s’è fermato ad Eboli, Torino 1963, pag. 198
– era una peritonite con perforazione, il malato era or-
mai in agonia.
169
Anna Banti, Le mosche d’oro, Milano 1962, pag. 361
– Intanto l’Anita aveva preso a raccontare quel che era
successo, peritonite fulminante, perforazione intesti-
nale.
Levi, Cristo s’è fermato ad Eboli, Torino 1963, pag. 198
– era una peritonite con perforazione, il malato era or-
mai in agonia.
170
– le pupille delle mammelle per l’acutezza del latte ov-
vero per morso dell’infante sono molestate da fessure
dette da’ greci ragade.
– Resecare
Nel senso di “resecare il tumore” non è comune e in let-
teratura non si trovano esempi. Il filosofo Campanella
ricorre a questo verbo nel momento in cui costruisce un
190
Picchi- Stoppelli, Letteratura Italiana Zanichelli, Bologna, Za-
nichelli, 2001.
171
paragone fra la Repubblica e un corpo umano.
B.: ... quanto al tumore propriamente detto lui domani o
dopo l’avrebbe resecato... (pag. 49)
Campanella, La città del sole
– GEN.\... plachi l’ira sua, dolendosi che sian venuti a
resecare un membro infetto dal corpo della republica;
- 94
– Schiacciamento di cartilagini.
Nell’accezione di riduzione di spessore o deformazione
di un tessuto muscolare, osseo, etc in seguito a una lunga
pressione o a un trauma violento in letteratura compare
solo l’es. di Berto:
B.: ... forse c’è un principio di ernia del disco o comun-
que schiacciamento di cartilagini che premono sul ner-
vo sciatico... (pag. 169).
172
B.: ... la paura della paura è arcana e ubiqua, sfugge sia
ai raggi che agli esami istologici sicché nessuno al di
fuori può capire se ci sia o non ci sia fino a che non si
scarica in manifestazioni anche troppo evidenti come
pallore o tachicardia o diarrea ... (pag. 273).
173
– Tumore maligno
Tantissime sono le occorrenze in letteratura cominciando
da Cecco d’Ascoli e Colonna a Vico, Baretti, Pellico, Man-
zoni, Leopardi, Verga, De Roberto, Zena, Fucini, Piran-
dello, D’Annunzio.
B.: ... poteva anche essere un tumore magari maligno, os-
sia un cancro ... (pag. 16).
174
– di significazioni inaspettate. Gli scopriva nella segreta
anima un’ulcera ancor viva sebben nascosta e glie la
faceva sanguinare; - Libro 2,1.14
La nave, Milano, Treves, 1908
– PRIG.\... La peste/ dall’anguinaia lo colga! - Sia tut-
to/ ulcera e piaga colante! - Perisca/ attossicato dalla
concubina! - 1° Episodio.1
Il trionfo della morte Milano, Treves, 1894
– Ciascuna aveva in patrimonio la sua ulcera da coltiva-
re perché rendesse. - Libro 4,7.134 .
191
La lettera datata Roma 14 maggio 1963 è stata pubblicata in Ginetta
Auzzas- Manlio Pastore Stocchi, Ventitré aneddoti, Padova, Neri Pozza,
1980.
192
Il titolo della raccolta è tratto da una frase che Corrado Alvaro rivolse
in una lettera all’editore Bompiani “come vede, ho bisogno di un po’ di
successo” e che Berto ha fatto propria poiché esprimeva la sua necessità
economica ed anche umana. Giuseppe Berto, Un po’ di successo, Milano,
Longanesi, 1963.
175
tore Longanesi193 che intendeva spronarlo a superare la malat-
tia in cui Berto già viveva. Esaurimento nervoso è stato scritto
nel momento in cui lo scrittore analizzava con occhio attento e
sguardo dritto e aperto il volto del “male oscuro” che non lo la-
sciava in pace. Il brano ha differenti espedienti letterari rispetto
al romanzo successivo. La punteggiatura è regolare, compreso
l’uso delle virgolette, dei trattini, dei puntini di sospensione; è
presente persino l’asterismo: carattere tipografico che sappia-
mo essere raro nei romanzi e che nella lettura è considerato
un simbolo di pausa equivalente a un punto fermo. Il racconto
aspira all’inizio ai toni di un trattato per poi trasformarsi in nar-
razione in prima persona che sin dall’incipit chiama in causa
i lettori: “vi sarete accorti che al giorno d’oggi non si fa che
parlare di esaurimento nervoso” (pag. 287).
L’autore viene subito al nocciolo della questione ragionan-
do coi lettori sulla definizione psichica di tale malattia. È un
incipit tecnico da cui si distanzia nel corso della narrazione sol-
tanto per riferire esempi della propria esperienza e far ricorso
all’immancabile ironia. Argomenta sulla terminologia scientifi-
ca e sulle credenze popolari in merito con la licenza di dubbio
che compare più volte anche nel romanzo. Così, leggiamo che
“esaurimento nervoso” è soltanto una “definizione assoluta-
mente impropria, illegittima [...] disprezzata dalla psicopatolo-
gia seria”. E allora, definizioni appropriate sono “psiconevrosi
nevrastenica o nevrosi da angoscia”.
È in queste pagine che appaiono i fastidi fisici dell’ema-
turia, del rene mobile, dell’ulcera al duodeno, calcoli e coliche
renali e i tumori maligni o cancri. Fanno la loro comparsa an-
che i termini ipocondria, inconscio e subconscio, libido, sper-
sonalizzazione, complesso di colpa, psicopatologia. Insomma,
sono parole che all’epoca si trovavano esclusivamente nei trat-
tati di psicologia, nelle opere di Freud e dei suoi discepoli o
193
Vedi la testimonianza di Mario Monti nel programma documentario
RAI di C. Montanari Raccontare l’uomo.
176
studiosi critici. Ecco, la novità apportata da Berto nell’ambito
del lessico speciale, fatto di tecnicismi insoliti, anzi innovativi,
per la letteratura. Anche il Grande Dizionario della Lingua Ita-
liana per alcuni termini riporta solo l’esempio di Berto, per altri
aggiunge Musatti che è riconosciuto come il fondatore della
psicoanalisi italiana e che scrisse anche un saggio sul rapporto
di Svevo con la psicoanalisi.
Ne Il male oscuro vengono utilizzate in modo appropriato,
cioè secondo il loro significato scientifico, parole-chiave della
dottrina freudiana, corredate spesso da didascalie letterarie e
ortodosse. In ogni caso, l’autore propone il bagaglio tecnico
della cura psicoanalitica con attenzione e prudenza, pur se non
fa discrimine fra psicoanalisi e psicologia analitica (ad esempio,
istinto e pulsione sembrano essere la stessa cosa194).
Nel romanzo sono tante le parti nelle quali l’autore de-
scrive il fenomeno psichico o il termine di riferimento usato;
ci sono sezioni della narrazione nelle quali Berto spiega la dif-
ferenza fra un analista junghiano e un freudiano, parla dell’e-
sistenza delle scuole svizzera, viennese, inglese o americana,
etc. Il carattere esplicativo adottato dal narratore in più punti
necessita del ricorso alla terminologia specifica della scienza
che governa la malattia del protagonista. Comunque, ci sono
dei vocaboli che precedenti autori avevano utilizzato nelle loro
opere; troviamo il termine libido già parecchi secoli prima in
Sacchetti. Di seguito vediamo in ordine alfabetico le voci della
psicologia incontrate nelle pagine de Il male oscuro.
– Abbandonismo
B.: ... mia moglie, oltre che incompetente in fatto di psi-
coanalisi, era molto innamorata di me, o così sembra-
va, e in realtà era possessiva, egocentrica e abbandoni-
ca, come ben mi spiegava il medico ... (pag. 9).
194
Berto, uno scrittore dall’impegno al disimpegno, in «Quaderni Calabre-
si», n. 3, maggio 1968.
177
– Associazioni
B.: ... il medico alle mie spalle [...] smetteva di giocare
con le chiavi e faceva domande una dietro l’altra, vo-
leva sapere questo e quello ossia le associazioni come
si dice ... (pagg. 60-61).
178
sere e ci porterebbe ad azioni indecorose e delittuose
e in genere asociali o antisociali e nonostante questo
è un prezioso serbatoio di impulsi ed energie, e vi sa-
rebbe poi la seconda parte che si chiama Io costituito
per quanto ne capisco da una specie di compromesso
tra il precedente Es e il mondo reale, ossia sarebbe ciò
che si fa e ciò che si pensa la porzione più evidente
dell’anima nostra quella che ci dà il senso di esistere
in rapporto ai fatti e ai problemi, e vi è infine la terza
parte sulla quale io devo mettere grandissima atten-
zione inquantoché è proprio quella che mi ha bugge-
rato, e questa parte si chiama Super- Io [...] una parte
di me che sta sopra di me e mi spia e normalmente si
diverte a sfottermi quando faccio qualcosa di impe-
gnativo... (pagg. 304-305).
– Pansessualismo
A tale voce il Dizionario specifica che il termine fu usato
solo dai critici di Freud.
B.: ... una volta che si è giunti alla decisione psicanalitica
si è fatto solo il primo passo perché subito dopo biso-
195
Battaglia- Sanguineti- Barberi Squarotti, Grande Dizionario della Lin-
gua Italiana, Torino, Utet, 1961-2002.
179
gna prendere altre decisioni particolareggiate, ossia se
è preferibile [...] un freudiano che propende piuttosto
per il pansessualismo... (pag. 279).
180
Ottieri, L’irrealtà quotidiana, Milano 1966, pag. 148
– conosco ogni bellezza, ogni tranello dell’utopia...
Come reificazione essa è l’alibi di un tipo psiconevro-
tico e socionevrotico, un tipo che non vive, ma vive in
attesa della vita, sta al di qua di un fossato, profondis-
simo e più largo di un passo, non tanto più di un salto
spericolato.
– Psicoplegici
B.: ... io penso non è che se la piglierebbe tanto alla legge-
ra se mi ammazzassi per causa sua, meglio comunque
se mi prendo un altro paio di psicoplegici così m’ad-
dormento ... (pag. 403)
D’Agata, Il circolo Otes, Milano 1966, pag. 182
– sono affezionato al mio psicoplegico quotidiano.
– Sadomasochistico
B.: ... le mie drammatiche defecazioni sono manifestazio-
ni sadomasochistiche, combinazione rilevante in me
una carica sadica ... (pag. 353)
Moravia, Opere 1927-1947
– immagino per un inconscio impulso di punizione sa-
domasochistica.
181
– Sessuofobico
Il termine fu usato per la prima volta da Berto e ripreso da
Calvino in un articolo del Caffè.
B.: ... insisto sul rapporto sessuofobico col padre mio ...
(pag. 337)
– ... il mio Super-Io [...] ha pensato bene di non seguire
l’Io nella sua diciamo pure tardiva evoluzione sessua-
le, è rimasto ancorato a certi pregiudizi sessuofobici ...
(pag. 348)
Calvino, Il caffè politico e letterario, 429
– la rappresentazione dei rapporti sessuali più tipica –
penso soprattutto ai romanzi americani degli ultimi
anni- è su un registro di anticlimax, in cui gli elementi
di ripugnanza e della desolazione e quelli grottesco-
caricaturali sono così forti da richiamare alla memoria
la tradizione sessuofobia della predicazione ecclesia-
stica e le visioni erotico-mostruose delle tentazioni dei
Santi.
– Stasi psichica
B.: ... se non è proprio malattia sono quei lunghi periodi
di pavidità e stasi psichica che potrebbero essere an-
che scambiati per pigrizia ... (pag. 391).
– Stato di fluttuazione
B.: ... non si trattava di sospetti continui, sebbene per con-
verso non tanto eccezionali, che mi venivano quando
mi trovavo nello stato di fluttuazione ... (pag. 65).
– Tipi libidinosi
B.: ... e inoltre è chiaro che dei tre tipi libidinosi escogitati
da Freud io appartengo al tipo coattivo dove predomi-
na il Super-Io che staccandosi dall’Io genera nell’indi-
viduo un’alta tensione con proclività a fregarsene del
mondo esterno ma con spiccata dipendenza interiore
182
e paura della propria coscienza [...] a differenza del
tipo erotico dove prevale l’Es e del tipo narcisistico
dove si capisce prevale l’Io ... (pagg. 389 -390).
IX. Neologismi
183
– ... in questa maniera avrei avuto agio di involtolarmi fino
alla fine in un inesauribile senso di colpa... (pag. 93);
– ... capisco che vado senza rimedio incontro alla disgrazia
di farmi mettere dentro [...] , e questo un po’ per attra-
zione delle note profezie paterne, e un po’ per un proces-
so psichico tipico del perseguitato dalla sfortuna il quale
normalmente sembra essere uno che ha l’inconscio pieno
di senso di colpa sicché si involtola nell’angoscia ... (pag.
354).
Nel caso di neologismi riferiti ad oggetti, compare la paro-
la “rotolante” per indicare il serramento di chiusura di un pub-
blico esercizio commerciale. Anziché ricorrere al comune voca-
bolo “saracinesca”, Berto scrive “rotolante”. Non si riscontra il
termine come regionalismo o dialettismo veneto, quindi anche
in questo caso siamo davanti a un vocabolo di conio bertiano.
D’altronde, “rotolante” comunica efficacemente l’idea dello
strumento in questione dirigendo subito l’immaginazione sulla
lamiera che si arrotola attorno al suo rullo:
– ... si chiudeva la bottega, spente le luci della vetrina e tirato
giù il rotolante si andava a casa... (pag. 78).
Altro esempio di neologismo è l’aggettivo “scamuffa”:
– ... sono dolori tremendi, però in sostanza si tratta d’una
sciocchezza, peccato che m’avessero tagliata la pancia al-
trimenti lui [...] avrebbe rimesso tutto a posto, comunque
adesso visto che questa è una clinica scamuffa dove non
sanno neanche dove sono i letti snodabili si farà dare un
paio di pedane o supporti di legno da collocare sotto i pie-
di del letto... (pag. 131).
È chiaro che il significato del termine è “falsa”, ovvero lo
scrittore vuol rendere il concetto di una struttura sanitaria ca-
rente di servizi. È facile dedurre che l’aggettivo provenga dal
verbo “camuffare” ma non con l’accezione di nascondere il
proprio aspetto, piuttosto di apparire in un aspetto diverso da
quello reale traendo in inganno.
In questo ambito segnaliamo anche un vocabolo di natura
184
semantica nuova, è la risemantizzazione del verbo “toccheggia-
re”. Nella lingua italiana definisce il rintocco delle campane,
nel romanzo di Berto è sinonimo di “palpare” ma esso confe-
risce in più l’intervallo frequente dell’azione scelta, palpare a
piccoli tocchi ripetuti:
– ... m’ha fatto fare quella levataccia come se il bambino le
scappasse sotto, e chissà invece quanto la tirerà in lungo in
quella clinica salotto col ginecologo alla moda che ci prova
gusto a toccheggiare le moglie altrui ... (pag. 177).
In letteratura è usato con significato differente da quello
canonico soltanto da Batacchi nel1791 con allusione oscena.
X. Riferimenti letterari
185
povero che andava a far la guerra lontano contro gli infe-
deli, ma prima passava sotto il verone della principessa di
cui era innamorato e dopo averla salutata partiva e non
tornava più perché moriva in guerra... (pag. 81).
186
momento la poesia che tanto mi piaceva da ragazzo qui c’è
qualcuno che sta fiutando il mio sangue, e io non ho altra
difesa da opporre a un simile disastro se non il mite deside-
rio che almeno facciano presto” (pagg. 120-121).
187
dato la sceneggiatura da fare io questo Conte di Mon-
tecristo non l’avrei letto né a quaranta né mai, anzi a
pensarci bene avrei potuto far a meno di leggerlo pur
dovendo scrivere la sceneggiatura ... (pag. 190).
188
simili gesti poco seri, e inoltre io a differenza del fero allobrogo
mi trovo al presente privo di domestici che possano legarmi,
però anche senza legarmi non mi alzerò di sicuro finché non
avrò scritto...” (pag. 216).
La vicinanza del protagonista a Svevo è esclusivamente sul
piano umano poiché riguardo alla psicanalisi, cui si affida nella
speranza della guarigione, il personaggio conosce “solo quel
poco che mi è giunto attraverso Svevo” (pag. 280). C’è allora
distinzione fra l’ammirazione confessata da parte dell’autore
per lo scrittore triestino e la considerazione di stima del mala-
to nei confronti di colui che lo ha iniziato alla disciplina della
psicanalisi.
Sappiamo che la malattia del personaggio è causata anche
da un'insaziabile ed estenuante sete di gloria; non riesce ad an-
dare oltre i primi tre capitoli di quello che dovrà essere il suo
capolavoro. Conosce frequenti periodi di depressione in cui si
convince che mai e poi mai ultimerà l’opera; in altre circostanze
esprime fiducia nelle sue capacità, è superbo del suo talento ma
si tratta soltanto di vani tentativi per accrescere la sua autostima
e in questi frangenti positivi e slanci di presunzione corre fra le
righe la citazione leopardiana: “chiunque dovrà ammirarmi e
applaudirmi, [...] fa parte del mio smoderato e insolente desi-
derio di gloria come direbbe il Leopardi” (pag. 292)197.
Leopardi rappresenta anche una consolazione per il per-
197
La citazione è tratta dall’Epistolario di Leopardi. Nella II lettera al
Giordani che risale al 21 Marzo 1817, un mese esatto dalla prima, il poeta
rivela in un clima di confidenza e di affetti letterari, la confessione del suo
amore di gloria: “Io ho grandissimo, forse smoderato e insolente, desi-
derio di gloria...” e prende rilievo la dichiarazione circa il suo modo di
leggere i classici greci e latini e la giustificazione del suo assiduo tradurre
che lo muove a commozione. Nella stessa missiva esattamente il pensiero
precedente quello esposto nel romanzo di Berto, è un’ammirazione alla
costanza di Alfieri (di cui sopra ho parlato) che conclude: “Buon per l’Al-
fieri che tenne duro: se non l’avesse fatto, ora sarebbe di lui quel ch’è de’
suoi giudici”. Giacomo Leopardi, Epistolario, a cura di Prospero Viani,
Firenze, Le Monnier, 1849, pag. 14.
189
sonaggio “... con nessuno parlo e di giorno sto sempre chiuso
in camera a dormire o a pensare o a cercare nelle opere del
sommo Leopardi disgrazie paragonabili alle mie...” e recita i
suoi versi alla luna198, “e gridavo come un matto nella campa-
gna versi di questo Leopardi che sembrava essermi congeniale
pure nei rari passaggi d’euforia” (pag. 373).
Al poeta di Recanati si allude più avanti nella narrazione:
“là in fondo è facile sconfinare [...] nel mare dell’infinito tanto
caro a chi è propenso a naufragare...” (pag. 396)199.
E il primo bacio che riceve ragazzino da una coetanea lo
porta ad apprezzare maggiormente Leopardi,Tolstoi e Dosto-
ievskij (pag. 333).
198
Cfr. Giacomo Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia,
in Canti, Introduzione e commento di Mario Fubini, Loescher, Torino
1966, pag. 180.
199
Cfr. Giacomo Leopardi, L’infinito, in Canti, Introduzione e commento
di Mario Fubini, Loescher, Torino 1966, pag. 114.
190
vita, più greve ogni giorno, immedicato”200. Le parole gaddiane
sostennero Berto che aveva eletto come concetto ispiratore il
principio che esiste un male da cui gli uomini cercano di difen-
dersi senza risultati apparentemente definitivi201. Nei romanzi
Il cielo è rosso, Le opere di Dio, Il brigante la carica negativa è
data dalla guerra e dalla violenza ma con l’abbandono del neo-
realismo e la conversione alla psicologia si realizza l’interioriz-
zazione del male: “prima era ingiustizia umana e sperequazione
sociale, diventa adesso patologia individuale e disagio relazio-
nale del singolo”202.
Il male oscuro testimonia l’incertezza della provenienza e
della natura del male che nel lessico italiano indica sia quello
fisico che quello morale. Il termine è interiorizzato dal protago-
nista e diventa nome del suo disagio psicologico che si esterna
in molteplici modi e situazioni, malattie, fobie e sensi di colpa
paurosi. E in tutte le sue apparizioni semantiche il male spinge
l’uomo a una liberazione che consiste nella rivalutazione di ciò
che può sembrare male: la morte. Alla fine del romanzo essa
non è più vista nella sua accezione negativa come un’entità dan-
nosa e temuta (sin dalla sua manifestazione nel padre) ma come
la possibilità di salvezza; non più morte fisica ma morte con un
significato metafisico ovvero morte al mondo. Il personaggio
muore alla società. Altri personaggi di Berto hanno risolto il
loro rapporto col male con il suicidio o la corsa incontro alla
morte, ma era una morte fisica e straziante203. È il pensiero ri-
200
Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore, Garzanti, 2007, pag. 128.
201
La risposta che dà ragione al bene è insita nella religione cristiana che
Berto rincorre, afferra ma mai arriva ad abbracciare senza mantenere un
dubbio finale. “Si arresta alla Passione e non giunge mai allo sfogo libera-
torio di una Resurrezione”, Alessandro Vettori, La predestinazione al male
nell’opera di Giuseppe Berto, in «Forum Italicum», a journal of Italian
Studies, vol. 36, no. 2, Fall 2002, pag. 317.
202
Alessandro Vettori, Libertà e predestinazione nell’opera di Berto, in Giu-
seppe Berto: Thirty Years Later, Venezia, Marsilio, 2009, pag. 74.
203 Daniele ne Il cielo è rosso si getta dal treno in corsa; Il brigante Mi-
chele “voleva morire come un leone” e incita l’appuntato “Spara!” finché
191
corrente dello scrittore esplicitato anche nella sua scrittura opi-
nionistica: “Quel che ci accade intorno, e quel che sentiamo
avvenire dentro di noi, è talmente tragico che, se preso di petto,
ci condurrebbe dritti al suicidio”204. Ne Il male oscuro, invece,
pare che alla fine prevalga il bene: la morte è metaforica perché
il protagonista è defunto al mondo e vivo nella contemplazione
della purezza paesaggistica205. È una morte civile! È una morte
simbolica e porta alla realtà ciò che le parole avevano cercato di
descrivere dell’animo umano. L’intimità è altro dalle brutture
della società e una volta che ci si libera di esse, tutto si mani-
festa luminoso, sparisce la figura paterna perché assunta nella
persona del figlio, sparisce il motivo dell’ambizione letteraria
data in pasto al fuoco, e si entra nella vera realtà dell’uomo. Ma
questo è il finale del romanzo. Vediamo come si arriva a tale
soluzione.
Nelle trentadue pagine del primo capitolo le parole morte/
morto/mortale e il verbo morire ricorrono quarantasette volte
e sono esclusi dal conteggio gli altri termini sinonimi o eufemi-
stici o perifrastici: la non vita (pag. 29), il trapassato (pag. 6), il
trapasso (pag. 11), il vecchio era spacciato (pag. 13), spedire drit-
to l’ammalato all’altro mondo, abbreviare le sofferenze, azione di
eutanasia (pag. 17).
Il vocabolo “morte” è il più delle volte accompagnato da
aggettivi che sottolineano la sua negatività: “morte inevitabile
e particolarmente spiacevole” (pag. 17), “orribile morte” (pag.
19), “quant’è brutto questo tipo di morte, possibile che non ce
ne sia uno migliore” (pag. 26), “tra tutte le morti [...] nessuna
era altrettanto crudele” (pag. 27).
192
Tutta la storia si presenta come una “lotta”: la lotta col pa-
dre che diventa lotta contro le proprie malattie, contro l’ango-
scia; lotta che è “conflitto” non soltanto con l’esterno ma anche
con l’inconscio; lotta che diventa “litigi” con le persone che
non capiscono il punto di vista del protagonista, compresa la
moglie; prima ancora è “sfortunata opposizione al mio destino
di venire al mondo” (pag. 4). E, ovviamente, correlati a questi
vocaboli compaiono i termini “sconfitta” e “vittoria”.
Concentrandoci sul campo semantico negativo individuia-
mo la presenza cospicua di vocaboli che esprimono con diversa
intensità il malessere del personaggio. Nel primo capitolo in-
contriamo: “grumo di tensione, preoccupazione, aggravamento
di disagio, spiacevoli sensazioni tutte dannose per il rilassamen-
to oltre che per l’insieme del mio difficile equilibrio psichico,
donde paura e tensione” (pag. 8), “dispiaceri” (pagg. 8, 19, 28),
“influssi depressivi” (pag. 13), “sgomento” (pag. 14), “senso
di crescente infelicità” (pag. 22), “sofferenze /soffrire” (pag.
17, 23, 29, 30, 33), “dolore” (pagg. 26, 27, 29, 30), “dispiace-
ri” (pag. 28, 33), “tristezza” (pag. 32), “situazioni disgraziate”
(pag. 34). Malumori che concernano il mondo interiore del per-
sonaggio e che si manifestano nella propria malattia in seguito
a quella del padre: “malattia /malato” (pagg. 10, 15), “oscura
malattia, brutta malattia” (pag. 11), “padre moribondo” (pagg.
14, 15, 23, 27), “infermo” (pag. 16), “morbo crudele che non
perdona” (pag. 17), “spaventoso male esteriorizzato” (pag. 26),
“attuale catastrofe” (pag. 27), “tumore maligno, cancro” (pagg.
16, 17- ricorre sette volte -, 18, 19).
Spostando il discorso all’intera opera calcoliamo la fre-
quenza di alcuni vocaboli che sono eloquenti nel ruolo di soste-
gno della narrazione e del significato della stessa. Al di sopra di
tutti è il vocabolo “padre” che compare cinquecentocinquan-
tanove volte e ciò non stupisce dal momento che sin dall’inizio
del romanzo il narratore afferma che sia proprio il rapporto col
padre vivo e poi morto a condizionare ogni azione del prota-
gonista.
193
Di seguito elenchiamo le occorrenze dei termini-chiave.
Sono posti in modo sinottico nella seconda colonna i vocaboli
della sfera positiva che possono essere considerati come con-
trari a quelli dell’area semantica negativa elencati nella prima
colonna.
194
CAMPO SEMANTICO NEGATIVO CAMPO SEMANTICO POSITIVO
Gente/amicizia/amici 62+4+81
195
La parola cardine “male” per due volte soltanto è accom-
pagnata dall’aggettivo “oscuro” (pagg. 222, 276) che richia-
ma il titolo dell’opera. Su questo vocabolo prevale “bene”,
entrambi contati comprendendo anche il loro uso avverbiale.
Una differenza limitata di occorrenze caratterizza il prevalere
di “speranza” su “disperazione”. Superiore la distanza fra “ma-
lattia”, considerando anche il nome di quella più temuta dal
protagonista - il cancro -, e “salute”; fra l’azione del piange-
re e quella del ridere: il protagonista si trova frequentemente
a versare lacrime commiserandosi e cercando la consolazione
della moglie (valga l’esempio di quando trovandosi nel Rifugio
a Siusi si chiude a piangere nel bagno del locale con la moglie
sulle ginocchia) ma anche ironizzando sulla sua inclinazione al
pianto (“e io figurassi se perdo un’occasione per farmi una bel-
la scorpacciata di singhiozzi e lacrime”- pag. 160). Ancora sono
tanti i termini dell’area semantica negativa che predominano
sul corrispondente positivo: “guerra” su “pace”; “paura” con
le varianti “spavento” e “terrore” su “coraggio”; “infelicità” su
“felicità”; “dubbio” su “certezza”; “colpa, peccato, vergogna”
su “innocenza e coscienza”. “L’inizio dell’oscura malattia che
mi venne nell’anima” sta in una “colpa” del protagonista, ossia
l’aver abbandonato il padre in punto di morte, questo “provo-
cò la scossa provvisoriamente inavvertita che mise in moto tutti
gli altri sentimenti di colpa rimossi e tenuti in deposito nell’in-
conscio, in attesa di nuocermi” (pag. 11). Il romanzo è un sus-
seguirsi di colpe davanti alle quali l’uomo non può dichiararsi
innocente, fra esse addirittura il senso di colpa di aver dato al
mondo una figlia la quale, però, aiuta il malato a comprendere
l’amore paterno riscattando il proprio padre dalle colpe impu-
tate e riconoscendo le proprie. Soltanto per lo psicoanalista i
peccati e le colpe non esistono affatto, ma rispetto a questo è
più forte la coscienza del paziente che gli suggerisce le buone
azioni.
Abbiamo evidenziato anche due stadi della vita come la
giovinezza e la vecchiaia perché per il protagonista la vecchiaia
196
è simbolo di decadenza tant’è che egli intende la perdita dei
capelli segno di invecchiamento e con timore giorno per giorno
controlla la presunta e poi reale calvizie. Ecco che i termini
riferiti al terzo stadio della vita prevalgono considerevolmen-
te a volte riferiti al padre, più spesso “vecchio”, altre al padre
adottivo, ovvero al medico, l’affettuoso “vecchietto”, mentre
il narratore per il luminare della clinica riserva “vegliardo” in
accezione ironica.
Malgrado questo quadro generale del lessico del romanzo
in cui sembrano prevalere i vocaboli che indicano o causano
stati d’animo depressivi, è opportuno dare uno sguardo alla co-
lonna di destra della tabella in cui in grassetto abbiamo eviden-
ziato le parole “piacere”, “dolcezza”, “amicizia, compagnia”,
“vita”, “luce”, “giorno”, “fedeltà, fede, fiducia”, “amore”, “glo-
ria”. In definitiva, emerge dall’esame semantico del lessico tutta
la poetica dell’autore. Se da una prima lettura possiamo credere
che l’opera tratti in misura esclusiva di una guerra contro la
malattia con le sue molteplici manifestazioni, i sensi di colpa,
la paura e gli infelici pianti disperati, e la morte in agguato,
in seguito il messaggio del romanzo è ai nostri occhi una vera
epifania: vivere è sempre bello. E lo confermano i termini che
rivelano speranza come la luce, il giorno, gli affetti - l’amicizia
e l’amore sono sempre presenti206-, la fedeltà che è fiducia negli
altri e fede in Dio, la verità e l’onestà, e la gloria intesa nella nar-
razione come la meta umana che si prefigge il protagonista207
206
In una lettera alla sorella Maria Giuseppe Berto dichiarava che “l’amo-
re per gli uomini è quello che conta sopra le altre cose”. Testimonianza in
Giuseppe Berto l’uomo e lo scrittore, testo della trasmissione Radio Astori
Mogliano (RAM), novembre 1978
207
Anche in altre opere bertiane è presente questo motivo con uguale
intensità. Riporto un riferimento da La cosa buffa: “per l’amore bisognava
pur sottoporsi a qualche sacrificio e non parliamo poi per la gloria futura
che d’ordinario costa assai cara a chi la vuol raggiungere” - pag. 132-; “si
metteva a sognare che ben presto avrebbe riempito il mondo con la sua
gloria e che quindi uscendo dalla messa di mezzogiorno a Santa Maria
gloriosa dei Frari tutti si sarebbero inchinati al suo passaggio”- pag. 137.
197
per smentire le profezie paterne, per lasciar qualcosa a moglie e
figlia, per l’umanità intera208.
XII. Incipit
198
– Mio padre non era morto ad ogni modo, era si poteva
dire fermo nella medesima condizione della sera pre-
cedente ... (pag. 35)
– Mio padre in quel tempo era ancora senza volto, ma
aveva già i baffi ... (pag. 74).
Negli altri casi gli incipit sono tutti con connettivi; nel ter-
zo, quinto e ottavo capitolo compaiono in incipit anche i con-
nettivi di natura temporale:
TERZO CAPITOLO - POI CI FURONO I FUNERALI 210 al paese col
carro di prima classe... (pag. 53)
QUINTO CAPITOLO - COSÌ ORA me ne stavo a casa convale-
scente... (pag. 137)
SESTO CAPITOLO - IN CONCLUSIONE dunque questo esauri-
mento era un bel mistero ... (pag. 167)
SETTIMO CAPITOLO - IO DUNQUE per quel che posso mi
divido in due ... (pag. 210)
OTTAVO CAPITOLO - COMINCIA DUNQUE ORA un periodo
piuttosto contrastato e affannoso per ciò che si riferisce alla
salute ... (pag. 268)
NONO CAPITOLO - CI MANCAVA dunque poco che in quel
periodo non mi facessi santo ... (pag. 314)
DECIMO CAPITOLO - COMUNQUE questa rottura delle rela-
zioni dirette tra me e mio padre... (pag. 342)
UNDECIMO CAPITOLO - ECCO dunque che io stesso comin-
cio a ragionare in termini psicoanalitici (pag. 389).
210
Il maiuscolo è originale del libro, il grassetto e il sottolineato sono miei
per evidenziare i connettivi.
199
CONCLUSIONI
201
sua storia. È la traslazione sulla carta del racconto orale più
vero e spontaneo ovvero la confessione che sia dietro un con-
fessionale o, con tempi più lunghi, sul lettino dell’analista. È
con la figura dello psicoanalista che l’uomo soggetto del roman-
zo si abbandona “alla più aperta fiducia”211, la stessa fiducia
senza ostacoli e limiti che lo scrittore vuole raggiungere col suo
pubblico. Bene, il risultato dell’analisi condotta sulla sintassi
del romanzo porta ad affermare che Berto usa la psicoanalisi
come strumento di lavoro per raggiungere il suo fine più alto.
Più volte afferma di non credere nella sua positività e nella ca-
pacità guaritrice, ma la designa a ruolo guida riconoscendone
il carattere precipuo di riuscita nell’esteriorizzazione di ciò che
compone l’animo umano. Senza questa trovata attorno cui co-
struire il romanzo, non avrebbe potuto eleggere tutti gli artifi-
ci stilistici che abbiamo trovato degni di questo alto compito.
Nella sintassi associativa unisce la soggettività con l’oggettività:
da una parte ci sono le frasi cariche d’angoscia in una sequenza
incontrastata di preoccupazioni che non conoscono pause (an-
che grafiche) e fatte di causali e concessive nell’indefesso sforzo
di esplicare le tesi espresse, purtroppo ben presto abbandonate
e mutate per l’opposto; dall’altra parte le conseguenze reali de-
gli stati del burrascoso moto psichico che sono rivelate in tutta
la loro concretezza con puntuale precisione, ricorrendo spesso
al procedimento sintattico della glossa.
La scelta del procedere monologante, differente da quello
di Joyce come abbiamo spiegato nel testo, è straordinaria nella
sua riuscita per il merito di mettere in contatto realtà fisiche
quali accadimenti presenti e passati e futuri, con realtà morali
e metafisiche di ogni dimensione dell’essere. Questo strumento
permette l’alternanza continua dei punti di vista: il protagoni-
sta bambino- ragazzo liceale- soldato- scrittore disorientato ne-
gli affetti- sposo, padre e uomo maturo; è un meccanismo che
si verifica senza brusco movimento così che a volte leggiamo
211
Vedi pag. 298 del romanzo.
202
dall’ottica del profano di psicoanalisi che conosce tale discipli-
na scientifica esclusivamente a causa della lettura di Svevo, e
altre volte dal punto di vista del conoscitore esperto che spiega
le nozioni freudiane scientificamente e poi con trasposizione al
livello popolare.
Dall’analisi della sintassi abbiamo colto che la libertà
dell’irrazionale accostamento di temi, ricordi, scoperte e sen-
sazioni è ordinata dal discorso diretto libero, ossia scevro di le-
gami ortografico - sintattici. L’optare per la sintassi associativa,
però, non incasella lo scrittore nello schema rigido del dettato
scientifico; nella sua scrittura ci sono espedienti che elevano
la cronaca a storia: sono le sezioni poetiche, l’inserimento del
discorso riportato e la paratassi che sposta costantemente il di-
scorso e lega tra loro le subordinate senza generare pesantezza.
La scrittura comunica una certa vivacità anche perché i mecca-
nismi usati rendono bene il carattere dell’oralità della lingua.
In ambito sintattico abbiamo riscontrato la ripresa che permet-
te di non distogliere l’attenzione dal topic e si fa anadiplosi,
percontatio e litania; i segnali ad alto quoziente tonale come
vocativi, incisi fatici e interiezioni; dislocazioni, posposizioni
(soprattutto dell’aggettivo possessivo dopo il nome); la deissi.
Il risultato di questa indagine linguistica comprende il
singolare uso del tempo verbale che risulta dalla mistione fra
tempo cronologico e tempo morale. Esiste nelle pagine un’al-
ternanza di tempi verbali (presente, passato remoto, passato
prossimo, imperfetto) che apparentemente genera confusione.
Il tempo verbale prevalente che sembra fagocitare il passato è il
presente nelle sue varie forme e funzioni fino ad assumerne una
nuova e aperta: il tempo è atemporale, cioè eterno, e da mobile
si fa immobile. Il presente è la chiave per esprimere l’estensione
metafisica. In pratica, lo scrittore disloca un assioma di Cartesio
dal pensiero alla scrittura, per cui trasferendo la tesi del filosofo
nella nostra discussione sul tempo possiamo affermare che esso
nella sua dimensione reale è eterno, in quella cronologica che
consente le periodizzazioni è una creazione dell’uomo.
203
Come si è visto, importanti sono stati gli studi eseguiti
sul lessico del romanzo. Le selezioni in questo ambito sono
compiute in armonia con lo stile associativo e quanto messo in
evidenza precedentemente. Il lessico usato deve risultare spon-
taneo, parole che afferrano i concetti al volo e li fissano sulla
carta. In realtà, è un lavoro di lungo studio e di cancellature
di almeno due anni per scegliere in ogni situazione il vocabo-
lo che apparisse fedele alla volontà di guadagnare il lettore ad
uno stretto legame amicale. L’autore stesso afferma di vivere
il “tormentoso piacere di permettere ai pensieri di cercarsi a
lungo le parole più appropriate”212. Così, abbiamo evidenziato
come a volte lo scrittore ricorra a neologismi, non perché non
esista il vocabolo per indicare l’oggetto interessato ma perché,
evidentemente per lui, i vocaboli canonizzati dall’uso hanno
sfumature diverse da quella che a lui preme comunicare in quel
punto della narrazione.
Anche in questo settore obbedisce alla sete di libertà
espressiva attingendo sì alle aree differenti del linguaggio ma
piegandole a proprio piacimento, plasmandole secondo i suoi
intenti cosicché, come succede per l’ordito sintattico, le prefe-
renze raggiunte paiono capovolgere la tradizionale letterarietà
e linguistica. In verità, Berto non tradisce la lingua e letteratura
italiana ma cerca un equilibrio nuovo. A prova di questo il fatto
che quando si trovava nel campo di Hereford non disponeva
di vocabolari della nostra lingua, e allora andava in cerca di
italiani per chiedere conferme o suggerimenti: “uno scrittore
appartiene ad un popolo e ad una cultura dalle quali non si può
mai completamente separare, specie se quando scrive, non fa
altro che pensare a quel popolo e a quella cultura”213.
212
G. Berto, Prefazione ad Anonimo Veneziano, Milano, Rizzoli, 1976,
pag. 8.
213
G. Berto, L’inconsapevole approccio. Le opere di Dio, Milano, Monda-
dori, 1980, pag. 56.
204
Nel corso del saggio abbiamo dimostrato dove risiedono
le novità delle scelte lessicali del Nostro. Sa che la lingua è uno
strumento fondamentale per le sue caratteristiche attrattive e
comunicative. Il suono delle parole, la loro forza espressiva ve-
stono il dettato di veridicità. Il ricorso ad espressioni di tipo
borghese testimonia la sua origine sociale di cui tanto spesso
fa lamentare i personaggi ma di cui lui era fiero214. Esse rive-
lano l’estrazione sociale di alcuni personaggi ma nel comples-
so tutti i protagonisti degli avvenimenti si esprimono con lo
stesso registro in obbedienza all’uniformità linguistica ricercata
dall’autore. Sono state individuate tutte le espressioni popolari
distinguendo anche un lessico dell’insulto.
Dall’analisi eseguita si ricava che il lessico è prevalente-
mente di tipo concettuale, ogni termine ha una sua ragion d’es-
sere sulla pagina a preferenza di un sinonimo, e ciascuna parola
che costruisce una perifrasi ha una profonda motivazione che la
predilige al sostantivo di riferimento. Berto è uomo di studio, le
sue letture e esperienze più varie nel settore culturale – artistico
da critico a sceneggiatore teatrale e cinematografico, ad attore e
ad opinionista e trattatista, sono tutte presenti nella lingua de Il
male oscuro. Così, il suo vissuto fra Nord Italia (Veneto), centro
(Roma) e Meridione (Capo Vaticano) fa la sua comparsa con
termini delle diverse aree geografiche che tuttavia non danno
l’idea di essere selezionati fra tante opzioni, bensì l’impressione
che se ne ricava è la scelta della parola più vicina all’uso lingui-
stico giornaliero dello scrittore. E questa prima sensazione è
confermata in concretezza stilistica a seguito dello studio con-
dotto.
I forestierismi presenti ci riportano alla moda degli anni
Sessanta e al mondo dell’arte teatrale- cinematografica.
Particolare rilievo assumono le espressioni di tipo biblico
che sottintendono rimandi importanti per la caratterizzazione
214
“... amando essere borghese” in Giuseppe Berto, Modesta proposta per
prevenire, Milano, Rizzoli, 1971, pag. 89.
205
del protagonista, e i cultismi e i riferimenti letterari. Inoltre, si è
dimostrato il ruolo del latino presente in espressioni letterarie e
modi di dire e che spesso ha funzione ironica.
L’esame notevole del lessico riguarda la sezione corposa
dei tecnicismi: vocaboli di linguaggi speciali come quello spor-
tivo, politico ma soprattutto il linguaggio scientifico della biolo-
gia, medicina e psicologia. In quest’ambito si è dimostrato che
per Berto ogni parola va usata con il proprio significato e anche
fra sinonimi bisogna cogliere l’accezione corretta. Dal momen-
to, poi, che l’autore presuppone che il pubblico di lettori sia
distante dalla terminologia specifica, si sofferma ad insegnare
con scrupolo le differenze fra un elemento e un altro nominati.
Avendo cercato le occorrenze nella letteratura nazionale prece-
dente e coeva, alcuni vocaboli medici risultano già usati nella
prosa e/o poesia italiana ma altri in numero alto compaiono per
la prima volta nel Nostro. Spostandoci alla psicologia, Berto è il
primo in assoluto, fatta eccezione per Freud e i teorici della ma-
teria, a usare i termini scientifici che indicano le caratteristiche
dell’animo umano e le patologie a esso correlate. Siamo davanti
al primo scrittore della letteratura italiana che rinnova il lessico
letterario introducendo tante parole/espressioni della psicolo-
gia senza appesantire la sua prosa né trasformarla in trattato.
Svevo è da meno da questo punto di vista ma sul rapporto fra i
due autori si è già detto.
Tutto è studiato nel lessico e ci siamo interessati di mostra-
re il rapporto fra le diverse aree semantiche, lo scontro oppo-
sitivo fra vocaboli concernenti la tristezza e la morte, ossia la
sfera negativa, e vocaboli riferentisi alla luce e alla vita: un’alta-
lena fra gioia e pianto, malattia e salute, vecchiaia e giovinezza,
e soprattutto colpa e redenzione sperata nel raggiungimento
dell’agognata gloria. Questa dinamica fa dondolare tutta la
narrazione presentando varietà terminologica al riguardo così
come messo in evidenza nel lavoro.
Lo studio condotto ha portato allo scoperto nel campo
d’indagine della lingua italiana un autore le cui opere, nono-
206
stante i commenti critici negativi e i pochi positivi sulla sua
letterarietà, rivelano di essere prezioso cantiere di lavoro della
nostra lingua. L’indagine condotta ha apportato risultati sulla
freschezza degli intenti stilistici di Berto e gli incontri con la
moglie, con alcuni critici, con i pochi studiosi delle sue opere
(soltanto sul piano letterario), professori di Università italiane e
americane, con chi lo ha conosciuto come scrittore e poi come
uomo, hanno incoraggiato questo studio o per sfida (verso co-
loro che negano il valore dell’autore) o per ammirazione. Ab-
biamo raccolto testimonianze più o meno utili a tracciare un
profilo dell’autore nell’ottica della lingua e dove le parole di
chi lo ha conosciuto non concorrono a rappresentare l’impe-
gno stilistico di Berto, sicuramente sono state vantaggiose nel
ritrarre ciò che sta dietro le scelte di scrittura portate alla luce
dall’opera più premiata del Nostro. Anche queste parole rac-
colte nel corso di spostamenti dalla cima dell’Italia (province di
Treviso e Padova) alla punta dello stivale, passando per Roma,
sono informazioni sostanziali che favoriscono la completezza
di un quadro, che è ancora agli inizi della sua realizzazione, di
uno scrittore laureato in Storia dell’arte e che con l’inchiostro e
i colori a tinte varie della nostra lingua nazionale, ha disegnato
la realtà più vicina all’uomo. Quella realtà di così difficile mes-
sa a punto e il più delle volte censurata anche oggi, dopo cin-
quant'anni dalla pubblicazione de Il male oscuro, forse perché
si ha paura di parlare di fatti così delicati e intimi come l’ansia
di Dio che prova chi crede alla sua inesistenza, o problemi le-
gati alle fobie e alla mancanza di realizzazione umana. O forse,
e non è una motivazione da meno, non si trovano gli strumenti
del linguaggio atti a parlarne con libertà e immediatezza e non
si è tanto umili da riconoscere che qualcuno, malgrado il giu-
dizio che se ne possa dare di mediocre scrittore, aveva però
trovato e sperimentato. Vocaboli e strutture sono messe insie-
me con ironia ed estrema serietà tanto che la spontaneità della
lingua non significa banalità ma è semplicità figlia di doloroso
parto. Essa nasconde il potere dell’umile bellezza celata nelle
207
parole o nelle costruzioni linguistiche più elementari, perché
appena svezzate dalla mente umana, impazienti di compari-
re sulla carta a tal punto da sfuggire al controllo razionale: è
questo il fine perseguito da Berto, volere offrire un’opera come
nasce nell’immaginazione dell’autore senza che venga doma-
ta da un lavorio cervellotico. È quello che abbiamo cercato di
mettere a fuoco puntando molto, però, a ciò che sostiene lo
scopo finale dello scrittore. Ed è come se le parole che spende
per descrivere il paesaggio del Sud Italia valessero anche per
l’animo umano e per la scrittura: “il vero fascino” del posto è
“l’umiltà del campo a contatto con la gloria del mare”. Dietro
la miseria e la semplicità povera delle cose risiede la dignità e
l’armonia; trovare l’equilibrio rivela la vera bellezza. Che abbia
o meno trovato l’equilibrio come uomo non è argomento di cui
interessa occuparci, ma crediamo che abbia raggiunto l’equili-
brio sul piano dell’elaborazione linguistica nell’amalgama delle
soluzioni che abbiamo esaminato.
208
APPENDICE LESSICALE
209
– Nouvelle vague p. 269 – Piantare rogne p. 108
– Nurse p. 171 – Piove che Dio la manda p. 192
– Oui oui p. 202 – Povero diavolo p. 130
– Petit-fours p. 180 – Prendersela a male p. 170
– Pourparler p. 270 – Ringrazi Iddio p. 204
– Reclame p. 76 – Rivedendo [...] le bucce p. 300
– Surmenage p. 99, 220 – Rogna da grattare p. 144, 189
– Treatment p. 271 – Rompere le scatole p. 403
– Vermeille p. 315, 322 – Se Dio vuole p. 213
– Senza soffrire l’ira di Dio di mal di
pancia p. 293
POPOLARISMI – Si addormentò di piombo p. 47
– Si rimette a campare come Dio vuole
– A Dio piacendo p. 36 p. 18
– Andare al diavolo p. 403 – Snocciolare balle p. 50
– Andato a farsi benedire p. 404 – Tirar giù sacramenti da stancare i santi
– Andava in malora p. 281, 374 p. 180
– Attaccar briga p. 347 – Uscire dai gangheri p. 398
– Buon diavolo p. 18, 32 – Vivaddio p. 109, 397
– Caldo cane p. 297
– Carne paga p. 19
– Che Dio la manda p. 177 LESSICO DELL’INSULTO
– Com’è vero Iddio p. 187
– Come Dio volle p. 39 – Andare al diavolo p. 403
– Con l’aiuto del cielo p. 219 – Andare a farsi benedire p. 404
– Con l’aiuto di Dio p. 184 – Andare in malora p. 281, 374
– Dio solo sa p. 130, 142 157, 173 – Avere le scatole piene p. 402
– Ficcare il naso p. 317 – Bagascia semidecomposta p. 132
– Grazie a Dio p. 46, 187, ... – Battona p. 290
– Il cuore mi va a tomboloni p. 328 – Brutta puttana p. 155
– Lasciarci il ben dell’intelletto p. 284 – Figlio d’una cagna p. 374
– Lasciarla di stucco p. 364 – Figlio d’una puttana d’un rene p. 109
– Litigammo brutto p. 34 – Fottermene p. 15
– Mangiare ad ufo p. 340 – Fottuta p. 254
– Morbo crudele che non perdona p. 17 – Va a farsi fottere p. 398
– Non c’è santi che mi rinvenga in mente p. – Mi manda a farmi fottere p. 224
294 – Fottiamocene p. 244
– Non era poi tanto fuori di giustizia p. 20 – Caldo fottuto p. 244
– Non servono a un’ostia p. 182 – Me ne fotto p. 249
– Non si conclude un’ostia di niente p. – Buccia fottuta p. 250
208 – Ce ne fottiamo di tutto e di tutti p.
210
306, 374, 398, Chimica
– Mandami secco all’inferno p. 318 – Acido fenico p. 118
– Merdosa p. 38 – Alcaloidi p. 135
– Primario della malora p. 48 – Bario p. 16
– Puttana d’un’Eva schifosa p. 43 – Calcio p. 149
– Puttane p. 46, 198, 400, 401 – Clorato di potassio p. 310
– Rompere le scatole p. 9, 101 – Fosfati p. 149
– Schifarmi p. 392 – Permanganato p. 344
– Schifezza p. 107, 187, 311 – Piramidone p. 110
– Schifo p. 145, 311, 367, 404
– Schifosa/o p. 309, 311, 358, 400, Medicina
– Se ne andasse all’inferno p. 46 – Afasia motoria p. 147
– Sfotte p. 365 (3), sfotterlo p. 366 (2) – Agorafobia, claustrofobia p. 170-171
– Stronzo pervertito p. 114 – Anamnesi p. 138
– Troietta p. 336 (2 ) – Artrosi lombare p. 230
– Va a farsi benedire p. 350, 404 – Auscultare p. 148
– Va a farsi fottere p. 398 – Barbiturici p. 140
– Vada a farsi friggere p. 191 – Bubbone canceroso p. 18
– Vacca p. 27 – Calcoletto p. 170
– Zoccola p. 155 – Carcinoma p. 32, 123, 265
– Cardioplegia p. 262
– Cistoscopia p. 161
– Clistere p. 104
TECNICISMI – Coliche renali p. 170
– Colite spastica p. 230
Sport – Coprofagi, coprofili p. 217
– Crawl p. 99 – Cultura di bacilli p. 191
– Surmenage p. 99 – Diabete p. 230
– Ematuria p. 100
Politica – Emazie p. 103
– Radicali p. 60, 61 – Emitorace p. 161
– Revanscista p. 61 – Enuresi p. 145
– Ernia del disco p. 169
Diritto – Esame radiologico /istologico p. 16,
– Mallevadore p. 201-202 273
– Eutanasia p. 17
Biologia – Faccenda fibrinosa p. 260
– Albumina p. 103 – Ghiandole riproduttive p. 261
– Urobilina p. 103 – Idiosincrasia p. 338
– Reviviscenza p. 141 – Infarto p. 161
– Intestino colon p. 16
211
– Ipoglicemia p. 230 Psicologia/ psicoanalisi
– Laparatomia p. 20, 115 – Abbandonismo p. 9
– Liquido cefalo-rachidiano p. 260 – Associazioni p. 60
– Meningite tubercolare p. 260 – Desideri edipici / situazioni edipiche p.
– Narcosi p. 17 348, 392
– Nervo sciatico p. 169 – Energia orgonica p. 336, 390
– Occlusione intestinale p. 16 – Es, Io, Super-Io p. 304, 305, ...
– Parto eutocico p. 195 – Libido p. 337
– Perforazione intestinale p. 127 – Pansessualismo p. 279
– Peritonite p. 118 – Pletorico p. 353, 389
– Radioscopia p. 104 – Psiconevrotici, psicopatici p. 397
– Ragadi p. 203 – Psicoplegici p. 403
– Rene mobile p. 106 – Ricognizione critica del passato p. 392
– Reni e ureteri p. 104 – Sadismo p. 36
– Resecare p. 49 – Sadomasochismo p. 353
– Schiacciamento di cartilagini p. 169 – Sessuofobico p. 337, 348
– Sifilide p. 374 – Stasi psichica p. 391
– Streptomicina p. 142 – Stato di fluttuazione p. 65
– Tachicardia p. 273 – Tipi libidinosi p. 389-390
– Tubercolosi renale p. 138 – Transfert p. 6, 393
– Tumore maligno p. 16
– Ulcera al duodeno /perforata p. 47,
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VIDEO
REGISTRAZIONE AUDIO
223
INDICE
Introduzione................................................................................ .7
Capitolo primo LA PUNTEGGIATURA ......................... 11
I. La sezione bianca ...................................................................... 13
II. Il capoverso ................................................................................ 14
III. Il punto fermo ............................................................................ 16
IV. Punto interrogativo, esclamativo, puntini di sospensione...17
V. Virgolette, lineette, parentesi, due punti .............................. 20
VI. La virgola .................................................................................... 22
Capitolo secondo LA SINTASSI ......................................... 27
I. Sintassi associativa..................................................................... 30
II. Monologo interiore ................................................................... 32
III. Il discorso riportato .................................................................. 37
IV. Stile paratattico .......................................................................... 40
V. Stile ipotattico ............................................................................ 46
VI. Sintassi del parlato .................................................................... 52
VII. Il tempo ....................................................................................... 82
Capitolo terzo IL LESSICO ................................................. 89
I. Linguaggio biblico .................................................................... 94
II. Uso del latino ........................................................................... 103
III. Cultismi ..................................................................................... 105
IV. Regionalismi e dialettismi ...................................................... 123
V. Forestierismi............................................................................. 138
VI. Popolarismi .............................................................................. 142
VII. Lessico dell’insulto.................................................................. 145
VIII. Tecnicismi: chimica, medicina, psicologia ......................... 146
IX. Neologismi................................................................................ 183
X. Riferimenti letterari................................................................. 185
XI. Aree semantiche ...................................................................... 190
XII. Incipit ........................................................................................ 198
CONCLUSIONI .................................................................... 201
Appendice lessicale ................................................................. 209
Bibliografia ............................................................................... 213
Il linguaggio per Giuseppe Berto è una que-
stione più che mai intima, morale, è forma
dei sentimenti. L’autore sente forte l’ansia di
comunicare e le parole si dispiegano in tut-
ta la loro carica espressiva, tese a toccare e
trasportare il lettore in un percorso di vita
guadagnandone empatia e fiducia. È l’one-
stà intellettuale che guida la spontanea testi-
monianza del protagonista de Il male oscuro
in un impeto di ricordi ordinati da pause
logiche, non grafiche, in un andamento pre-
valentemente paratattico. La sintassi asso-
ciativa nel discorso diretto libero esterioriz-
za ciò che compone l’animo umano unendo
soggettività e oggettività in un susseguirsi di
causali e concessive alla ricerca di una verità
attraverso tutte le età della vita che sono pre-
sentate su un unico piano perché sono vive
in un eterno presente in quanto nulla di ciò
che è stato si è concluso. Il tempo verbale
segue il passaggio dal tempo cronologico a
quello metafisico. Ma il linguaggio non vuo-
le essere trascendente, anzi vicino al lettore,
immediato; il lessico proviene da aree dif-
ferenti, dai linguaggi settoriali e rimanda al
vissuto di Berto in diverse regioni d’Italia.
Notevole l’abbondanza di tecnicismi, spesso
accompagnati da glosse. Per la prima volta,
senza avvizzire la prosa, popolano la pagi-
na letteraria termini della psicologia. Nella
semantica si verifica lo scontro tra vocaboli
di sfera negativa (colpa, morte…) e positiva
(gioia, vita…) e, a sorpresa, il segreto mes-
saggio del romanzo si condensa nella bellez-
za della vita, degli affetti, della fiducia, della
verità, della gloria ovvero il desiderio di la-
sciare un’eredità all’umanità.
Paola Dottore è nata nel 1980 a Messina,
nella cui università si è laureata a pieni voti
in Lettere e ha successivamente ottenuto il
dottorato in Studi Linguistici Italiani con
una ricerca sull’opera di Giuseppe Berto che
costituisce il nucleo portante del presente
saggio. Insegna nella provincia di Treviso.