Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
e religione
Atti del convegno internazionale
(Italian Studies - University of Toronto
11-13 ottobre 2012)
ISBN 978-88-7667-551-5
Foreword/Premessa
Italian Literature and Religion. Select Proceedings of the International
Conference (Toronto, October 11-13, 2012) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
Pietro Gibellini
Letteratura italiana e religione: uno sguardo panoramico . . . . . . . . . . . . 15
Alessandro Vettori
Prayer in Dante’s Purgatorio.
A Bonaventurean Reading of Two Psalms . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
William Franke
he Religious Vocation of Secular Literature:
Dante and Postmodern hought . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
Johnny L. Bertolio
Cristianizzare Platone: autocensure nel Phedrus
tradotto da Leonardo Bruni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71
Matteo Soranzo
Poesia e trasformazione spirituale nel primo Rinascimento:
Lodovico Lazzarelli, Giovanni A. Augurelli, Battista Mantovano . . . . . . 87
Pamela Arancibia
Alberto da Castello’s Rosario de la gloriosa vergine Maria: “non solamente
a gli litterati, ma etiam alli illitterati et ignoranti et idioti” . . . . . . . . . . . 111
Myriam Chiarla
L’opera di Angelo Grillo nella letteratura post-tridentina.
Temi e questioni per l’edizione dei Pietosi afetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125
Ziba Ahmadian
Poetry, Dramaturgy and Faith: Ortensio Scammacca (1562?-1648) . . . . 141
Erminia Ardissino
Le Dicerie sacre del Marino. Un esperimento tra sacro e profano? . . . . . . 149
Salvatore Bancheri
La Passione di Gesù Cristo secondo Filippo Orioles (1687-1793):
un “Riscatto” lungo trecento anni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163
Francesco Guardiani
Religione, spiritualità e spiritismo nell’opera di Francesco Mastriani . . . . . 173
Lucilla Bonavita
Trattatistica ottocentesca: La Lucilla disingannata
di Giovanni Perrone tra Chiesa e società civile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 209
Marinella Cantelmo
«Sono stato morto». Figure bibliche e tematiche religiose
in Lazzaro di Luigi Pirandello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 217
Edda Serra
Biagio Marin: il tempo di Dio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 229
Pericle Camuffo
Giuseppe Prezzolini e il “rischio” di Dio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 245
Matteo Vercesi
Le umili lingue. Presenza del sacro
nella poesia dialettale del Novecento. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 257
Alessandra Giappi
“È risorto: non è qui”. La Passione e la Resurrezione di Cristo
nella poesia italiana moderna e contemporanea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 273
Elisa Segnini
L’aldilà, il fantastico e l’allegoria nelle opere narrative e pittoriche
di Dino Buzzati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 293
Gianni Mussini
Clemente Rebora tra parole e Parola. Un itinerario testuale
dalla giovinezza “laica” all’approdo rosminiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 309
Francesca Parmeggiani
Testori anni Settanta: ediicazione e smembramento . . . . . . . . . . . . . . . 331
Serena Convito
La religione invisibile di Alda Merini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 339
Metello Mugnai
De André’s Gospel: La buona novella? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 355
Paul Colilli
Giorgio Agamben and the Posthumous Life of heological Signs . . . . . . 365
Fabrizio De Donno
he Radical Reformation: Müntzer and Anabaptism at the Turn
of the Millennium. Luther Blissett’s Q: A Nomadic Mythology
of Millennialism . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 373
CRISTIANIZZARE PLATONE: AUTOCENSURE NEL PHEDRUS
TRADOTTO DA LEONARDO BRUNI
Johnny L. Bertolio
University of Toronto
Fra il messaggio della salvezza e la cultura esistono molteplici rapporti. Dio infatti,
rivelandosi al suo popolo fino alla piena manifestazione di sé nel Figlio incarnato, ha
parlato secondo il tipo di cultura proprio delle diverse epoche storiche. (Gaudium
et spes, § 58)
la nuova letteratura umanistica scende nell’agone armata d’una lingua che è quella
stessa dei teologi, dei legisti e degli artisti, e non è però più quella […]. È una lingua
e dottrina che richiamandosi all’antichità come pur l’altra lingua e le altre discipline
facevano, ma con un rigore e con una larghezza d’informazione che mancavano a
quelle, propone un ideale di perfezione umana, mondana, non impugnabile in quei
frangenti se non da isolati e disarmati profeti di sventura, e pone tale ideale al di là
di ogni differenziazione settaria, al servizio di qualunque stato, monarchia o repub-
blica, al servizio della discussione e della pacifica e proficua convivenza fra uomini
altrimenti diversi e avversi gli uni agli altri. (“Chierici”, pp. 62-63)
nel 1416, era anche divenuto ufficialmente cittadino (Vasoli, p. 626). Il suo im-
pegno storiografico, accanto a quello di traduttore, trattatista e oratore, avrebbe
contribuito a farlo accedere, nell’autunno del 1427, alla prestigiosa e desiderata
carica di Cancelliere della Repubblica. Proprio in quegli anni, l’umanista intra-
prese nuove fatiche versorie: nella prima metà del 1424 completò la traduzione,
in latino, del Fedro (Hankins, Plato, p. 383; Viti, “Sul Fedro”, p. 81), entro il
giugno del 1427 tornò su due precedenti versioni, Apologia e Critone, e premise
alle Epistole la dedica a Cosimo de’ Medici (Hankins, Plato, pp. 379-387). Il
predominante interesse aristotelico, negli anni Dieci, culminato nella fortunatis-
sima versione dell’Etica Nicomachea (1416/1417), si era sovrapposto alla giova-
nile predilezione platonica; del resto, leggendo le pagine del De interpretatione
recta (1424/1426),4 trattato teorico che per molti aspetti testimonia la parallela
attività di traduttore, si ha l’impressione di una fusione, sullo stesso piano, dei
due classici, piuttosto che dell’abbandono dell’uno in favore dell’altro. Gli stes-
si incarichi istituzionali del cancelliere Bruni contribuirono a riorientare i suoi
gusti più verso il pragmatico Aristotele che non verso il metafisico Platone, da
cui, non a caso, si congeda traducendo le Lettere, che dedicano ampio spa-
zio alla concreta esperienza politica, ad Atene e a Siracusa, del filosofo (Garin,
“Noterelle”, pp. 324-25, “Ricerche”, pp. 361-67; Berti, “Traduzioni”, p. 247).5
Eppure, negli anni Venti, Bruni tornò al suo ‘primo amore’, scegliendo
di tradurre un dialogo che tuttavia dovette apparirgli controverso: il Fedro;
esso affronta varie questioni, ma è quella dell’amore, delle sue origini, del-
le sue capacità nobilitanti, a occupare lo spazio maggiore della discussione.
Anche il tema della retorica e quello, connesso, della scrittura potevano susci-
tare l’attenzione di Bruni e della sua cerchia; se non che, Socrate, nel dialogo,
attacca duramente la retorica per il suo legame, filosoficamente debole, con
la verosimiglianza piuttosto che con la verità, e, più in generale, biasima la
prassi di scrivere libri, che, interrogati dal lettore, non rispondono in modo
soddisfacente. Tale visione non poteva non destare disagio in un umanista che
sul dibattito critico, sul libro e sulla ricerca di libri fondava il proprio ruolo di
intellettuale e di scrittore; già il Gorgia, con la stessa, anzi ancora più recisa cri-
tica della retorica da parte di Socrate, aveva contribuito ad allontanare Bruni
da Platone (Hankins, La riscoperta, pp. 99-104; Berti, “Leonardo Bruni”, pp.
218-219). Nel Fedro ritroviamo, poi, la dottrina dell’immortalità dell’anima,
4 Mancano dati certi per fissare in maniera definitiva la data di composizione del tratta-
tello; ci atteniamo perciò qui alla (seconda) proposta di Hans Baron (p. 615), oggi comune-
mente accettata.
5 Di Platone, in seguito, nel 1435 (ma la data non è certissima), Bruni avrebbe tradotto
soltanto un passo del Simposio in forma di panegirico di Socrate, con dedica, ancora una
volta, a Cosimo (Hankins, La riscoperta, pp. 134-36).
74 Johnny L. Bertolio
sviluppata meglio nel Fedone, e qui delineata insieme con il celebre mito della
biga alata; il passaggio del dialogo che costituisce il cuore della dimostrazione
aveva, già nel Medioevo, trovato ampia risonanza grazie alla traduzione che
di esso aveva fornito Cicerone, prima nel De re publica (6.27-28), quindi nel-
le Tusculanae disputationes (1.53-54). Se si considera che la versione del De
re publica è contenuta nella sezione, presto divenuta autonoma, del Somnium
Scipionis, commentata da Macrobio in direzione neoplatonica, si potrà trovare
già nel V secolo un tentativo di sintesi misticheggiante del pensiero di Platone
non lontano dalle successive interpretazioni cristiane.6
Sempre nel Fedro è centrale la teoresi delle quattro “manie” ispirate dal-
la divinità e dunque positive: la mantica, la possessione rituale e purificatri-
ce, il furore poetico e la follia generata da eros. Le ultime due ispireranno a
Bruni la bellissima lettera al Marrasio (6.1 Mehus: 1429)7 e un carme volgare,
la Canzone a laude di Venere (in Lanza, pp. 333-335) (Hankins, La riscoperta,
pp. 121-123). Saranno proprio questi temi a garantire alla versione bruniana,
perfezionata da Marsilio Ficino, e alla dottrina platonica una straordinaria for-
tuna rinascimentale; lo stesso Ficino attingerà alla traduzione di Bruni, prima
che alla propria, per la composizione della sua celebre epistola De divino furore
(Gentile, “In margine”, pp. 35-39 e 50-56; “Sulle prime traduzioni”, pp. 80-
82), che consegnerà all’Italia e all’Europa l’essenza stessa della concezione pla-
tonica della poesia e dell’amore8 – basti citare, a titolo di esempio, gli Asolani e
il finale del Libro del Cortegiano (Kraye, pp. 78-84).
Alla prassi versoria Bruni dedicò un trattato, il già citato De interpretatione
recta, composto proprio sull’onda della versione del Fedro. Anche se proba-
bilmente rimasto inedito tra le sue carte, se non addirittura incompiuto, il De
interpretatione recta espone i criteri che dovrebbero guidare il buon traduttore,
specialmente chi si applichi ai classici; se infatti l’opuscolo ambisce a fornire le
regole universali di una valida teoria, esso è ispirato a quei testi che negli stessi
mesi l’autore volgeva dal greco in latino. Per questo, il De interpretatione recta
contiene un’analisi critica dello stile di Platone e di Aristotele, verificato alla
luce di alcuni brani tratti dalle opere che Bruni aveva ultimato da pochi anni
(Etica a Nicomaco) o mesi (Fedro), o che aveva in cantiere (Politica), e alle quali
evidentemente assegnava un’alta considerazione. Nessun cenno, tuttavia, è ri-
servato alla problematicità di certi passaggi platonici in aperto contrasto con la
6 In gara con Cicerone, Bruni si cimenta nella traduzione del relativo brano platonico
(245c5-246a2) (Hankins, Plato, pp. 397-398).
7 Giovanni Marrasio aveva dedicato a Bruni l’Angelinetum, ovvero il suo breve canzoniere
(Luiso, p. 112).
8 E già nel Medioevo, a cui pure era ignoto il testo del Fedro, il tema aveva avuto un certo
riscontro (Curtius, pp. 527-528).
Cristianizzare Platone: autocensure nel Phedrus tradotto da Leonardo Bruni 75
dottrina cristiana; come già aveva rilevato Eusebio di Cesarea, che pure aveva
notato una certa affinità tra Platone e Mosè,9 la concezione platonica dell’amo-
re è troppo nettamente ed esplicitamente indirizzata in direzione omoerotica.
La Torah tuona contro chi “ha rapporti con un uomo come con una donna,
tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte: il
loro sangue ricadrà su di loro” (Lev 20.13, citato da Eusebio, Praeparatio evan-
gelica 13.20; e cfr. Lev 18.22), una punizione estesa, peraltro, a molte violazioni
in campo sessuale. Questo, tuttavia, non implica la condanna in blocco, alme-
no in Eusebio, di Platone, ma conferma la sua appartenenza storica al mondo
pagano. Del resto, sullo stesso filosofo ateniese (Hankins, La riscoperta, pp.
200-1) come pure su molti umanisti gravava il sospetto, più o meno fondato, di
un orientamento sessuale perseguitato (Debby, pp. 148-149) oltre che sgradito,
come testimonia, tra i molti, Ariosto nella Satira 6.25-33, proprio nel luogo in
cui la parola “umanista” riceve la sua prima consacrazione letteraria in volgare
(Segre in Ariosto, p. 101):
9 L’idea di una conoscenza, da parte di Platone, della Bibbia attraverso il profeta Geremia
o mediante la lettura dei Settanta fu espressa da Bruni nel Prologus in Phaedonem Platonis
(Humanistisch-philosophische, p. 4).
76 Johnny L. Bertolio
proprio il deprecato Platone aveva mosso, nella sua Repubblica, contro Omero
e i poeti, banditi, salvo pochissime eccezioni, dalla città ideale. Nella lettera
prefatoria della versione bruniana di Basilio si coglie un’allusione chiara a que-
ste polemiche; scrive Bruni:
Atque ideo libentius id fecimus, quod auctoritate tanti viri ignaviam ac perversi-
tatem eorum cupiebamus refringere, qui studia humanitatis vituperant atque ab
his omnino abhorrendum censent. Quod his contingit fere, qui ea tarditate ingenii
sunt, ut nihil altum neque egregium valeant intueri, qui, cum ad nullam partem
humanitatis aspirare ipsi possint, nec alios quidem id debere facere arbitrantur.10
Il Fedro non si prestava, se non in minima parte, a questa lettura per così
dire ‘attualizzante’: ne nasce, dunque, rispetto agli altri dialoghi,14 una tradu-
zione frammentaria, che tralascia completamente la parte finale, dedicata a un
lungo excursus sulla storia della retorica e sulla sua funzione.
Non si dimentichi, d’altronde, la grave penuria di codici greci da cui at-
tingere un testo soddisfacente: è stato già finemente dimostrato quanta parte
(cospicua) ebbe, nel fraintendimento dell’excursus filosofico della Lettera VII
di Platone, il corrotto testo greco adoperato e quanta (poca) la tensione ‘nor-
12 “Molte cose in quei libri [di Platone] sono lungi dalle nostre abitudini, cose che, per
non disonorare Platone, è meglio tacere piuttosto che rivelare” (Hankins, La riscoperta, p.
115).
13 “Infatti, sia sulla creazione del mondo da parte del vero e sommo dio sia su premi e
castighi dei pii e degli empi dopo la morte sia su altre dottrine che la nostra fede giustissima-
mente insegna, Platone fornisce dimostrazioni e spiegazioni in modo da sembrare familiare
con le nostre dottrine. Nell’etica poi la sua posizione è tale e tanto utile e ineccepibile che
spesso, mentre leggo i suoi scritti, ho l’impressione di ascoltare Pietro e Paolo che imparti-
scono le regole di vita” (Bruni, Gorgias, p. 239).
14 Si vedano: Berti-Carosini, pp. 33-38 (prima versione del Critone) e 91-106 (seconda
versione); Hankins, Plato, pp. 388-400; Venier in Bruni, Gorgias, pp. 84-90.
78 Johnny L. Bertolio
malizzatrice’ del Bruni (Berti, “L’Excursus”). Tuttavia, nel Fedro, di cui ancora
manca una analisi che tenga conto dell’originale greco utilizzato, pare che il se-
condo fattore abbia prevalso sul primo: considerate le aree tematiche maggior-
mente esposte ad ‘auto-censure’, amore omosessuale (Berti, “La traduzione”,
pp. 12-13) e rifiuto della retorica e della scrittura, sembra di poter concludere
– ma si tratta di un concludere fatalmente provvisorio in questa fase – che
Bruni sia intervenuto con piena consapevolezza sul testo che leggeva per darne
una versione politically correct. Per alcuni, era già uno scandalo il solo tradurre
Platone: meglio dosare lo scrupolo filologico col sempre vittorioso buon senso.
Bruni traduce, con qualche lieve omissione, dall’inizio del dialogo alla lettu-
ra, da parte di Fedro, dell’orazione di Lisia esclusa (227a1-230e5), compendiata
nei codici15 con RECITATIO ORATIONIS LYSIE SATIS LONGA. Quindi,
riprende da 234c5 e si interrompe a 238e2, quando cioè Socrate si propone di
esporre pro e contro del rapporto amoroso sia nella prospettiva di chi è inna-
morato sia in quella di chi non lo è; i manoscritti segnalano il nuovo salto con
ORATIONES IAM SEQUUNTUR. La versione riprende a 241e7 e si inter-
rompe di nuovo a 243c2: Bruni si volge al secondo discorso di Socrate, attribu-
ito a Stesicoro di Imera, e, dopo aver parafrasato questa indicazione d’autore
e invertito l’ordine di alcune frasi, ricomincia da 244a5 e arriva sino a 250e1.
A questo punto, il traduttore adotta una strategia alquanto spregiudicata, co-
struendo l’ultima sezione della versione come un montaggio di brani che nel
greco non solo non sono contigui, ma si presentano in un ordine diverso: prima
Bruni inserisce il mito della biga alata con molti tagli (253c7-254e4), quindi
torna su una breve considerazione espressa in 252d1-3 e compendia fortemente
252c2-253c2, escludendo così il legame di dipendenza tra la propensione all’a-
more delle anime e la loro rispettiva affinità con uno degli dèi; inserisce il bre-
ve riferimento alle due specie di follia, umana e divina, e alle ulteriori quattro
di quest’ultima (265a9-11 e b2-5); infine, ritorna alla conclusione del secondo
discorso di Socrate, come se anche quelle considerazioni ne facessero parte, e
termina con la battuta di Fedro che assegna al filosofo la palma della vittoria
sia sul suo primo discorso sia rispetto a un’eventuale palinodia di Lisia (257a3-
c4). Riassumendo, Bruni costruisce la propria versione sulla base delle seguen-
ti pagine Stephanus: 227a1-230e5; RECITATIO ORATIONIS LYSIE SATIS
LONGA; 234c5-238e2; ORATIONES IAM SEQUUNTUR; 241e7-243c2;
244a5-250e1; 253c7-254e4; 252d1-3; 252c2-253c2; 265a9-11 e b2-5; 257a3-c4.
Ne risulta un’esposizione che appena lambisce la sostanza filosofica del
dialogo e completamente trascura l’asserito legame tra retorica e conoscenza
dell’anima, il mito di Thamus e Theuth, con la condanna della scrittura a favo-
15 Il testo della versione bruniana, inedito, è costituito sulla base dei seguenti manoscritti del-
la Biblioteca Apostolica Vaticana: Regin. lat. 1321, Urb. lat. 1314, Vat. lat. 8611, Vat. lat. 3348.
Cristianizzare Platone: autocensure nel Phedrus tradotto da Leonardo Bruni 79
Scripserat enim Lysias non pro amatore quidem; sed id ipsum preclarum erat quod
aiebat non amanti potius quam amanti esse indulgendum.17
16 “Lisia infatti ha scritto di un bel ragazzo corteggiato da uno che però non è innamorato;
proprio in questo è stato brillante: nel sostenere che bisogna concedersi a chi non ama invece
che a chi ama” (trad. Velardi). Sul passo aveva già attirato l’attenzione Hankins, Plato, p. 396.
17 “Lisia infatti aveva scritto non certo in favore di chi ama; ma questo stesso concetto era
illuminante, che cioè diceva che bisogna cedere a chi non ama anziché a chi ama”.
80 Johnny L. Bertolio
In Platone siamo di fronte a una doppia articolazione della scena: Lisia cita
l’esempio di una relazione pederotica tra un giovane sedotto da un adulto che
però non lo ama, e da questa situazione trae spunto per sostenere l’idea che
essa è più conveniente di quella, tradizionale, tra . Bruni
tace su questo e passa direttamente, dopo una fugace menzione dell’amator,
alla massima generale.
In un caso, l’omissione del traduttore ‘braghettone’ presenta una sorta di
ipercorrettismo, sull’onda di uno scrupolo eccessivo. Quando Socrate chiede
a Fedro di potersi cimentare in un discorso dedicato allo stesso argomento di
quello di Lisia, si avverte una certa ironia:
Bruni deve aver pensato che Socrate qui alluda a una relazione effettiva tra
Fedro e Lisia se ha preferito adattare la frase:
Serio hec accipis, o Phedre, et me putas vere hoc aggressurum esse, ut dicam preter
illius sapientiam aliud quiddam ornatius?19
Così Bruni:
18 “Hai preso sul serio, Fedro, il fatto che ho attaccato il tuo amato per prendermi gioco
di te. Credi davvero che proverò a superarlo in sapienza dicendo qualcosa di diverso e di
più vario?” (trad. Velardi).
19 “Prendi queste cose sul serio, Fedro, e pensi davvero che mi cimenterò in questo, nel
dire qualcosa di più eccellente, superiore alla sua sapienza?”.
20 “[Il discorso arriva dunque a dire] che questa è la più nobile tra tutte le forme di pos-
sessione divina, che si genera, in chi ne è preso e in chi la condivide, da quanto c’è di più
nobile e, ancora, che chi ama i belli, in quanto è affetto da questa forma di follia, è chiamato
innamorato” (trad. Velardi).
Cristianizzare Platone: autocensure nel Phedrus tradotto da Leonardo Bruni 81
hec igitur tanquam omnium alienationum optima et habenti et participanti fit et qui
hoc tenetur furore amator vocatur.21
Moechi vero isti et paederestae, quid est, quod pro libidine explenda non
praetermittant? His si forte deus aliquis cupiditatem illam morbumque evellat
ac boni viri mentem iudiciumque infundat, tamquam resipiscentes lumenque
recipientesque, quantis in tenebris versati sint, recognoscent suumque ipsi maxime
detestabuntur errorem.22
21 “Perciò questa è quasi la migliore di tutte le possessioni sia per chi la subisce sia per
chi ne partecipa, e chi è posseduto da questo furore è definito innamorato”.
22 “Ma cosa non farebbero questi adulteri e pederasti per soddisfare la loro cupidigia?
Se mai un dio sradichi la loro brama e il morbo del loro animo, e vi infonda l’indole e
il discernimento propri degli uomini perbene, riconosceranno in che profonde tenebre si
sono trovati e da soli detesteranno immensamente il proprio errore, come se rinsavissero e
accogliessero di nuovo la luce” (Bruni, Humanistisch-philosophische, pp. 40-41).
82 Johnny L. Bertolio
23 “Ora dunque ho tradotto in parte il libro di Platone intitolato Fedro, davvero meravi-
glioso e divino”.
Cristianizzare Platone: autocensure nel Phedrus tradotto da Leonardo Bruni 83
Troppo grande era ancora l’ignoranza del greco e limitata la diffusione di ma-
noscritti platonici per accorgersi della spregiudicata revisione bruniana, e lo
stesso Aretino faceva parte di una generazione ancora incapace di maneggiare
in modo pieno e appropriato la cultura ellenica: eppure,
come non s’intende il successo d’un Ficino o d’un Poliziano senza il precedente
sforzo, su quelle stesse vie, di più generazioni, così è da vedere negli studi greci,
nella terza dimensione vaga e smisurata di un ellenismo ancora infantile, la condi-
zione sufficiente e necessaria dello spirito d’avventura, della febbrile investigazione
e esercitazione critica che distingue la prima metà del Quattrocento. (Dionisotti,
“Discorso”, p. 188)
Non si tratta soltanto di una ancora non del tutto raggiunta padronanza
linguistica ma anche di penuria di codici, di strumenti didattici, di maestri.
Infine, come ricorda ancora la Gaudium et spes, da cui siamo partiti,
l’uomo inoltre, applicandosi allo studio delle varie discipline, quali la filosofia, la
storia, la matematica, le scienze naturali, e coltivando l’arte, può contribuire moltis-
simo ad elevare l’umana famiglia a più alti concetti del vero, del bene e del bello e a
una visione delle cose di universale valore. (Gaudium et spes, § 57)
“Il vero, il bene, il bello” sono la meta gnoseologica, etica, estetica che la fi-
losofia platonica, ben prima della teologia cristiana, si era prefissa. Lo aveva ben
compreso Bruni, nella sua complessa e sofferta sintesi delle due culture, sforzan-
dosi di consegnare al pieno Rinascimento il bandolo di una immortale matassa.
OPERE CITATE
Allen, Michael. Marsilio Ficino and the Phaedran charioteer. Berkeley: University
of California Press, 1981.
Ariosto, Ludovico. Satire. A cura di Cesare Segre. Torino: Einaudi, 1987.
Baron, Hans. The Crisis of the Early Italian Renaissance: Civic Humanism
and Republican Liberty in an Age of Classicism and Tyranny. Princeton:
Princeton University Press, 1955.
Berti, Ernesto. “L’Excursus filosofico della VII Epistola di Platone nella versio-
ne di Leonardo Bruni”. In Dotti bizantini e libri greci nell’Italia del secolo
XV. Atti del Convegno internazionale, Trento 22-23 ottobre 1990. A cura
di Mariarosa Cortesi e Enrico Maltese. Napoli: D’Auria, 1992. Pp. 67-116.
__________. “La traduzione umanistica”. In Tradurre dal greco in età umani-
stica: metodi e strumenti. Atti del Seminario di studio, Firenze, Certosa del
Galluzzo 9 settembre 2005. A cura di Mariarosa Cortesi. Firenze: Sismel-
Edizioni del Galluzzo, 2007. Pp. 3-15.
__________. “Leonardo Bruni traduttore”. In Moderni e Antichi 2-3 (2004-
2005). Pp. 197-224.
84 Johnny L. Bertolio