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PLATONE

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12/03/21 16:51

Platone nacque ad Atene tra il 428 e il 427 a.C. , egli proveniva da una famiglia aristocratica ateniese, da Aristone il
padre e Perictione la madre, egli aveva anche dei fratelli tra cui Adimanto, Glaucone e Potone
In realtà Platone si chiamava Aristocle dal nonno e solo successivamente fu soprannominato Platone per 3 motivi:
- per la sua forza fisica, infatti platis in greco significa vasto, ampio;
- per la vastità della sua fronte;
- per la grandezza del suo stile letterario.
Il suo primo maestro fu Cratilo e inoltre inizialmente egli voleva far parte della vita politica ma 2 fattori cambiarono
le cose:
- l’incontro con Socrate, che lo fece riflettere sulla politica allontanandolo da essa;
- il disgusto per la politica ateniese, infatti ad Atene in quel periodo c’erano prima i 30 tiranni che portarono
ingiustizie e violenze e poi il governo democratico che condannò a morte Socrate.
Dopo la morte di Socrate, per Platone sarebbe stato pericoloso stare ad Atene essendo suo discepolo, e per questo
andò prima a Megara, poi in Egitto e anche a Cirene, anche se non si hanno notizie su questi viaggi. Una volta
ritornato ad Atene, nel 387 Platone acquisisce un edificio DI ACADEMO vicino al ginnasio E FONDA L’ACCADEMIA
chiamata così perché si trovava nel giardino dell’ eroe Accademo, essa era un'associazione basata sulla vita comune
con discussioni quotidiane, infatti la scuola era strutturata come una comunità. La struttura era molto simile a
quella delle scuole pitagoriche anche se era completamente assente l’aspetto religioso. L’Accademia rimase aperta
ad Atene fino al 528 d.C., venendo gestita poi dagli allievi di Platone. Nel 367 a.C. Platone andò a Siracusa dove vi
era la tirannia di Dionigi il Giovane. Questo secondo viaggio fu richiesto da Dione, che era convinto che Dionigi fosse
in grado di attuare le riforme di Platone, ma questo viaggio si concluse in maniera negativa dato che furono cacciati.
Successivamente nel 361 a.C. Platone partì per un terzo viaggio a Siracusa, invitato da Dionigi, ma anche questa
volta egli non accettò le sue riforme. Solo nel 360 a.C. Platone tornò ad Atene dove morì nel 347 a.C.
Platone scrisse 13 lettere – l’Apologia di Socrate – 34 dialoghi. Tutte le opere scritte di Platone ci sono pervenute, e
ciò attesta che nell’Antichità e nel Medioevo sono state sempre ritenute importanti e “degne” di essere copiate.
Oggi però alcune lettere e alcuni dialoghi minori non vengono ritenuti autentici. Ogni dialogo è dedicato a un tema
particolare (l’anima, l’amore, la politica, la retorica, le leggi, la cosmologia ecc.), la finalità etico-politica è alla base
di tutti i dialoghi; la teoria delle Idee, fondamentale teoria platonica, attraversa tutti i dialoghi. Nell’antichità le
opere di Platone vennero divise in 9 tetralogie (gruppi di 4) sulla base del loro contenuto tematico. Oggi si
preferisce distinguere le opere in 3 gruppi corrispondenti a tre fasi della vita e del pensiero di Platone.
Scritti giovanili socratici in cui Platone espone (probabilmente) i dialoghi realmente avvenuti tra Socrate e i suoi
concittadini, presenta discussioni vive, animate: tra questi i più notevoli sono Apologia di Socrate, Critone,
Eutifrone, Protagora, Alcibiade .
Nei Dialoghi della maturità espone, attraverso dialoghi immaginari di cui Socrate è ancora il protagonista, il suo
pensiero – il dialogo assume un carattere più riflessivo alcuni esempi possono essere il Gorgia, Menone, Fedone,
Repubblica, Simposio, Fedro.
Nei Dialoghi della vecchiaia o “dialettici” Platone rivede, completa o corregge le teorie esposte nei dialoghi della
maturità; Socrate è meno presente.
Il tempo di Platone è caratterizzato dal tramonto dell'età dell'oro dell’Atene di Pericle. La sconfitta subita dalla città
nella guerra del Peloponneso, il fallimento dell’esperimento aristocratico dei 30 tiranni e il deludente ritorno di
una democrazia ben diversa da quella precedente e presto bagnata dal sangue di Socrate delineano un vistoso
quadro di decadenza politica e sociale. Platone fu indotto a concepire e vivere la situazione problematica come crisi
dell’uomo nella sua totalità e per questo motivo cominciò a idealizzare la figura di Socrate che ai suoi occhi divenne
un simbolo della crisi e nello stesso tempo della speranza di superarla. Platone si convinse sempre più della
dell’insufficienza di un semplice mutamento delle forme di governo e dell’improrogabile necessità di una riforma
globale dell’esistenza umana. Tale riforma poteva essere ottenuta solo mediante una rinnovata filosofia cioè con
una rivoluzione culturale. Quindi Platone ritiene che soltanto nuove certezze di pensiero possano offrire solide basi
per una riedificazione esistenziale e politica dell’uomo e di conseguenza progetta una rifondazione della politica alla
luce del sapere. Quella di Platone fu una mente poliedrica e universale. La ricerca platonica tende a configurarsi
come uno sforzo di interpretazione della personalità filosofica di Socrate. La stessa modalità espressiva adottata da
Platone nelle sue opere, il dialogo, rappresenta un atto di fedeltà al silenzio letterario di Socrate, la scrittura
platonica e il dialogare socratico hanno lo stesso fondamento cioè la concezione della filosofia come un sapere
aperto che ripropone e rivede incessantemente i suoi problemi e le sue soluzioni. La stessa convinzione che
trattiene Socrate dallo scrivere spinge dunque Platone a scegliere la forma dialogica per i suoi scritti.
I primi filosofi hanno rifiutato la mitologia, Platone invece inserisce nei suoi dialoghi miti: racconti di fantasia
generalmente creati da lui stesso. I miti avevano due funzioni: la prima quella di chiarire con immagini una dottrina
razionale difficilmente comprensibile, la seconda, quando si presenta un problema che la ragione non è in grado di
risolvere, andare oltre i limiti della conoscenza razionale con l’immaginazione; il mito platonico non è una
dimostrazione razionale, ma non è neppure pura fantasia, ha un contenuto verosimile, ragionevolmente plausibile –
procede oltre la ragione nella direzione tracciata dalla ragione. Per esempio: la ragione afferma l’immortalità
dell’anima, ma non può conoscere il destino delle anime dopo la morte; il mito tenta di rappresentare questo
destino in modo verosimile e compatibile con le conoscenze razionali già acquisite.
L'APOLOGIA
L’Apologia è ambientata ad Atene, Platone ci descrive la difesa del suo maestro Socrate durante il processo per la
sua condanna a morte, egli esalta notevolmente la figura del suo maestro, che anche in una situazione così estrema
non rinnega la sua ideologia.
L'apologia vuole quindi essere anche una sorta di presentazione del personaggio di Socrate, del suo pensiero e del
suo stile di vita.
È divisa in tre parti distinte.
La prima è incentrata sul grande discorso in difesa di Socrate, in cui egli tenta di persuadere i cittadini presenti di
essere stato calunniato ingiustamente e sulle posizioni d’accusa dei suoi antagonisti politici.
Nella seconda parte emerge che anche dopo il suo primo tentativo di persuasione, la maggioranza vota a favore
della sua condanna a morte. Nonostante ammetta di ritenersi completamente innocente, suggerisce pene in
denaro alternative, comunque sottolineando che continuerà a filosofare.
La terza parte comprende un breve discorso di Socrate dopo la seconda votazione, in cui si congeda. Inizialmente si
rivolge a coloro che lo giudicano colpevole e mette a confronto morte e malvagità. È più difficile sfuggire alla
malvagità che alla morte, perché essa corre più veloce della morte, e i suoi accusatori sono stati raggiunti proprio
dalla malvagità, mentre Socrate dalla morte. Dice anche che uccidendo un uomo non si uccide l’idea che egli aveva
creato.
In secondo luogo, rivolto ai magistrati che lo hanno assolto, esplicita che forse, se sono vere le cose che si dicono, la
strada della morte risulta migliore di quella della vita ad Atene, della prigionìa o dell’esilio, concludendo di affidarsi
agli dèi, gli unici a cui non è oscuro il suo futuro.
IL PROTAGORA
La tesi suggerita nell’unità della virtù e la sua riducibilità al sapere è positivamente dimostrata nel Protagora. In
questo dialogo Socrate obietta il sofista, il quale si dice maestro di virtù, ma la virtù di cui parla non è vera scienza
ma un semplice insieme di abilità acquisite accidentalmente attraverso l’esperienza e si tratta quindi di un
patrimonio privato che non può essere trasmesso agli altri. Protagora non può affermare che la virtù sia insegnabile
infatti soltanto la scienza si può insegnare e per questo la virtù si può trasmettere e comunicare solo in quanto
scienza. Nel Protagora la scienza è intesa come calcolo dei piaceri, secondo una concezione ancora legata
all’insegnamento socratico. Il Protagora nega all’insegnamento sofistico ogni valore educativo e formativo,
screditando così la sofistica nel suo complesso. Oltre che alla concezione della virtù il giovane Platone rivolge la
propria critica anche ad altri aspetti della sofistica tra cui l’eristica contro la quale è diretto l’Eutidemo e la retorica
contro la quale è diretto il Gorgia.
L'EUTIDEMO
L'eutidemo rappresenta una presentazione del metodo eristico, ovvero l’arte di battagliare a parole. Gli
interlocutori del dialogo sono i fratelli Eutidemo e Dionisidoro che si divertono, per esempio a dimostrare che solo
l’ignorante può apprendere e subito dopo che invece apprende solo il sapiente, che si apprende solo ciò che non si
sa e poi che si apprende solo ciò che si sa e via dicendo. A questa idea Socrate ribatte che allora non ci sarebbe nulla
da insegnare nulla da apprendere e che la stessa eristica sarebbe inutile. Socrate continua dicendo che nulla si può
insegnare se non la sapienza e la sapienza non si può insegnare né a prendere se non amandola. Quindi il dialogo da
critica del procedimento eristico si trasforma in un’esortazione alla filosofia.
IL GORGIA
Nel Gorgia Platone attacca l’arte che costituiva la principale creazione dei sofisti e la base del loro insegnamento, la
retorica. Nella prospettiva sofistica la retorica voleva essere una tecnica della persuasione utilizzabile in maniera del
tutto indipendente rispetto all’argomento trattato o ai contenuti della tesi da difendere, a questa tesi Platone
oppone l’idea secondo cui ogni arte o scienza è veramente persuasiva solo se si esprime riguardo all’oggetto che le
è proprio. La retorica non è un oggetto proprio, consente di parlare di tutto non riuscendo a convincere se non
quelli che hanno già una conoscenza inadeguata e sommaria delle cose di cui si tratta e cioè gli ignoranti, essa non è
un’arte ma soltanto una pratica adulatoria. La retorica può essere utile a difendere con discorsi, un’ingiustizia
commessa e ad evitare di subirne la pena. Quello della giustizia è un tema fondamentale trattato nel Gorgia, nel
dialogo infatti Callicle deride Socrate per la sua ingenuità e gli espone la sua idea della giustizia come una
convinzione umana che è da sciocchi rispettare.
IL CRATILO
Nel Cratilo si cerca di chiarire se il linguaggio sia davvero un mezzo per insegnare la natura delle cose. Platone non
ritiene che il linguaggio sia il prodotto di una convenzione, Né che i nomi siano imposti ad arbitrio.
il linguaggio deve essere adatto a farci discernere la natura delle cose. Non tutti i nomi hanno questo carattere
naturale, per esempio quelli dei numeri sono convenzionali, non si può sostenere come fa Cratilo che la scienza dei
nomi sia anche la scienza delle cose e che non ci sia altra via di indagare e scoprire la realtà se non quella di
scoprirne i nomi e che non si possano insegnare con i nomi stessi.
i nomi presuppongono la conoscenza delle cose, prima della creazione del linguaggio gli uomini dovevano
conoscere le cose per un’altra via. Il dialogo contiene l’enunciazione delle tre alternative fondamentali che si
presenteranno costantemente nella storia della teoria del linguaggio:
1) la tesi sostenuta dagli eleati, dai sofisti e da Democrito, secondo cui il linguaggio è pura convenzione, cioè si deve
esclusivamente alla libera iniziativa degli uomini.
2) la tesi sostenuta da Cratilo, che era propria di Eraclito, secondo cui il linguaggio è naturalmente prodotto
dall’azione causale delle cose.
3) la tesi difesa da Platone, secondo cui il linguaggio è la scelta intelligente di uno strumento che serve ad avvicinare
l’uomo alla conoscenza delle cose.
Nell'illustrare questa tesi Platone fa riferimento a delle idee che chiama spesso sostanze intendendo con questi
termini ciò che l’oggetto è. Egli tuttavia non attribuisce la produzione del linguaggio alla natura stessa delle
cose, lo ritiene una produzione dell'uomo, ma nello stesso tempo ammette che non si tratti di una
produzione arbitraria bensì diretta alla conoscenza delle essenze cioè della natura delle cose. il teorema
fondamentale che Platone si propone di diffondere è quello che il linguaggio può essere più o meno esatto
o anche sbagliato, cioè che si può dire il falso.
si trattava di un'idea inammissibile nella prospettiva delle altre due concezioni del linguaggio per le quali
esso è sempre esatto, o perché una convenzione vale l'altra o perché è la natura della cose a imporlo.

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