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Introduzione 1

1. Nel volume della Letteratura italiana Einaudi sulle Opere del XIX secolo, Claudio
Colaiacomo, all’inizio delle sue pagine dedicate allo Zibaldone, ricostruisce la storia della critica
riguardante Leopardi filosofo, di cui in passato si negava l’esistenza ma che è ormai ampliamente
riconosciuto come tale. 2

Il momento del riconoscimento di Manzoni filosofo non è ancora arrivato: basti vedere, nello
stesso volume, quello che c’è su di lui come filosofo…

2. Numerose sono le analogie di pensiero e di espressione tra Manzoni e Leopardi, che


dipendono anche dalle loro letture comuni. Manzoni, come Leopardi, insiste sulla “facoltà
osservativa e comparativa”, sul fatto che è importante, per il vero pensatore, individuare i rapporti,
avere un “filo” per orientarsi nel labirinto delle cose.

- Leopardi (Zibaldone, 1821):


Spesso è utilissimo il cercar la prova di una verità già certa, e riconosciuta, e non controversa. Una
verità isolata, come ho detto altrove, poco giova, massime al filosofo e al progresso dell’intelletto.
Cercandone la prova se ne conoscono i rapporti, e le ramificazioni (sommo scopo della filosofia): e si
scoprono pure spesso molte analoghe verità, o ignote, o poco note, o dei rapporti fra loro, sconosciuti
ecc.; si rimonta insomma bene spesso dal noto all’ignoto, o dal certo all’incerto, o dal chiaro all’oscuro,
ch’è il processo del vero filosofo nella ricerca della verità. 3

- Manzoni (Discorso sui longobardi, 1847):


Non vogliamo certamente negare (e sarebbe negare uno de’ più manifesti, come de’ più felici effetti
dello studio) che si possa qualche volta con una notizia, anche piccola riguardo a sé, dare nuovo lume
a un complesso intero, né che ciò riesca più facilmente ai grand’ingegni. Ma riesce quando s’abbia
presente quel complesso, quando s’abbiano lì raccolte e preparate le cose che devono ricevere quel
lume. E infatti, vedete come quelli a cui riesce davvero si diano premura di farvi osservare le relazioni
della loro scoperta con questa o quella parte del complesso, col complesso intero, di dimostrarvi prima
di tutto come essa s’accordi con ciò che già si sapeva di certo, e poi come lo rischiari e lo accresca. I
grand’ingegni corrono dove noi altri non possiamo se non camminare; ma la strada è una sola per tutti:
dal noto all’ignoto. La prerogativa di veder più lontano degli altri non è una dispensa dal guardare. Il
poco può servire, in qualche caso, a spiegare un tutto, ma non mai a farne le veci; e quando non
s’attacca al molto, il poco, o non è altro che ciò che tutti sanno, o risica molto d’esser cose in aria. 4

1
Ripubblico qui in traduzione italiana (e con qualche ritocco) il mio intervento (Manzoni philosophe) al convegno
organizzato dalla Société des Italianistes de l’Enseignement Supérieur (S.I.E.S.) su La philosophie italienne du XIVe au
XXe siècle (Parigi, Istituto Italiano di Cultura – Maison de l’Italie, 17-19 marzo 2000). Il testo, uscito negli atti (Rennes,
Lurpi-Université de Rennes II, 2001, pp. 239-249), è poi confluito nel mio Les régions de l’aigle et autres études sur
Manzoni, Bern-Berlin-Bruxelles-Frankfurt/M.-New York-Oxford-Wien, Peter Lang, 2005, pp. 268-279. Un’edizione
completa a mia cura degli Scritti filosofici e religiosi di Manzoni, con ampio commento, uscirà l’anno prossimo nella
collana “Il pensiero occidentale” dell’editore Bompiani.
2
C. Colaiacomo, “Zibaldone di pensieri di Giacomo Leopardi” in Letteratura italiana Einaudi. Le opere, III, Torino,
1995, pp. 221-225.
3
G. Leopardi, Zibaldone di pensieri, edizione critica e annotata a cura di G. Pacella, Milano, Garzanti, 1991, 3 voll., I, p.
754. Le pagine del manoscritto leopardiano sono: 1239-1240 (29 giugno 1821).
4
A. Manzoni, Scritti storici e politici, a cura di L. Badini Confalonieri, Torino, Utet (“Classici italiani”), 2012, 2 tt., I, p.
210.
5
- Galiani (Dialogue sur le commerce des bleds, 1770):
Une vérité que le pur hasard fait naître comme un champignon dans un pré, n’est bonne à rien: on ne
la sait pas employer si on ne sait d’où elle vient, où elle va, comment et de quelle chaîne de
raisonnemens elle dérive. 5

La critica di Manzoni contro l’«esprit de système» e contro i falsi sistemi di don Ferrante o di
don Abbondio non significa che egli non senta l’esigenza di un sistema: è per il “sistema” proposto
dalla Rivelazione. Si potrebbe dire che lo sforzo filosofico di Manzoni si riassume in una critica
continua dei falsi sistemi, delle false cristallizzazioni nelle quali l’uomo si rinchiude in una pretesa
autosufficienza, per riaprire il discorso in direzione della fede. Manzoni evita tanto il fideismo
quanto la riduzione razionalista della fede. La critica dei falsi sistemi è razionale, risponde ad un
appello della realtà e del senso comune, e segue un’esigenza di coerenza e, quindi, di sistema. Ma
il solo sistema adatto all’uomo è un sistema che lo trascenda. 6

3. È stato detto – da Croce e da molti altri dopo di lui – che Manzoni sarebbe per la “piccola
logica” contro la “grande logica”. Una prima risposta – molto manzoniana – è l’impossibilità di
opporre le due logiche (come le due morali di cui parla il Dell’invenzione 7) e l’affermazione del
principio di non contraddizione. Ma una seconda risposta è che, facendo l’elogio di Vico come
affermando che nella battaglia contro l’errore bisogna evitare le piccole schermaglie, le lunghe
battaglie secondarie, Manzoni è per una “grande logica”, per il “vero” in quanto differente dal
“certo”, un “vero” che non è opposto o contraddittorio in rapporto al “certo” e alla “piccola logica”
ma che gli dà significato, inserendolo nel quadro più ampio della verità. In questo senso procede
il superamento manzoniano del sensismo, la sua critica di molti filosofi del XVIII secolo e
dell’inizio del XIX.

5
[F. Galiani,] Dialogues sur le commerce des bleds, Londres, s. é. [ma Paris, Merlin], 1770, p. 162. Il passo è citato anche
nell’introduzione di J. B. Say, Traité d’économie politique: ou simple exposition de la manière dont ses forment, se
distribuent et se consomment les richesses, Paris, Deterville, 18194, I, p. xxxviii nota, un testo conosciuto e attentamente
postillato da Manzoni (la prima edizione integrale, con traduzione e commento, delle postille manzoniane a Say è nella
cit. ed. a mia cura di Manzoni, Scritti storici e politici, II, pp. 1446-1575; per le postille all’ed. 1819 del Traité cfr. in part.
pp. 1446-1459).
6
Qualche esempio tratto dal Dell’invenzione: qui sotto a p. 196 sulla dinamica della verità, sulle soluzioni che conducono
a nuovi problemi e che lasciano gli intelletti «appiedi d’un mistero incomprensibile e innegabile, lieti del vero veduto,
lieti non meno di confessare un vero infinito» e, più avanti, sull’arrivare «a riconoscere quell’unità che non possiamo
abbracciare»; pp. 219-220 sulle idee di giustizia e di utilità intuite «da qualunque moltitudine, in qualunque tempo» come
distinte tra loro e che la «moltitudine Che apprese a creder al Figliuol del fabro» sa «riunite in una verità comune e
suprema»; «sanno ancora [i cristiani] che, non solo queste due verità distinte sono legate tra di loro, ma una di esse dipende
dall’altra, cioè, che l’utilità non può derivare se non dalla giustizia. Ma sanno insieme, che questa riunione finale non si
compisce se non in un ordine universalissimo, il quale abbraccia la serie intera e il nesso di tutti gli effetti che sono e
saranno prodotti da ogni azione e da ogni avvenimento, e comprende il tempo e l’eternità».
7
Il Dell’invenzione evoca Mirabeau e il suo principio che “la petite morale tue la grande” vale a dire che per realizzare
dei grandi progetti, come quelli di una società perfetta, non bisogna fermarsi a delle considerazioni di “piccola” morale,
cioè della morale relativa a ogni individuo (cfr. qui sotto, p. 217).
6
4. Gli ideologi si erano posti soprattutto il problema: che cosa facciamo quando pensiamo?
La loro risposta, che resta legata ai sensi, non è sufficiente per Manzoni, che è però attento al loro
interesse per il metodo, e per la precisione dei termini utilizzati. 8
La risposta di Ermes Visconti che parla, accanto all’esperienza, di un’«altra scienza», il
«senso comune» di Reid (ma il «senso comune» era stato anche evocato, in un’altra prospettiva,
dal Lamennais dell’Essai sur l’indifférence) è senza dubbio ben approfondita da Manzoni9, che
analizza anche e critica, nel 1829, la filosofia eclettica di Cousin.

Ma è l’incontro con Rosmini, nel 1829, che permette a Manzoni di rispondere al problema
metafisico strettamente legato alla questione gnoseologica.

Una pagina dello Zibaldone indica molto chiaramente le conseguenze non solo estetiche ma
anche metafisiche che si possono trarre dal rifiuto, da parte di Locke, delle idee innate. Leopardi
scrive, il 17 luglio 1821:

la distruzione delle idee innate distrugge il principio della bontà, bellezza, perfezione assoluta, e de’ loro
contrarii. Vale a dire di una perfezione ec., la quale abbia un fondamento, una ragione, una forma anteriore
alla esistenza dei soggetti che la contengono, e quindi eterna, immutabile, necessaria, primordiale ed
esistente prima dei detti soggetti e indipendente da loro. Or dov’esiste questa ragione, questa forma? E in
che consiste? E come la possiamo noi conoscere o sapere, se ogn’idea ci deriva dalle sensazioni relative
ai soli oggetti esistenti? Supporre il bello e il buono assoluto, è tornare alle idee di Platone, e risuscitare le
idee innate dopo averle distrutte, giacchè tolte queste, non v’è altra possibile ragione per cui le cose
debbano assolutamente e astrattamente e necessariamente essere così o così, buone queste e cattive quelle,
indipendentemente da ogni volontà, da ogni accidente, da ogni cosa di fatto, che in realtà è la sola ragione
del tutto, e quindi sempre e solamente relativa, e quindi tutto non è buono, bello, vero, cattivo, brutto,
falso, se non relativamente; e quindi la convenienza delle cose tra loro è relativa, se così posso dire,
assolutamente.

L’indomani Leopardi cominciava così le sue considerazioni:

In somma il principio delle cose, e di Dio stesso, è il nulla.

Per terminare, nella pagina seguente:

Certo è che distrutte le forme Platoniche preesistenti alle cose, è distrutto Iddio.

Anche se pìù tardi, il 3 settembre 1821, Leopardi pensa di poter ancora salvare l’idea di Dio
(«non credo che le mie osservazioni circa la falsità d’ogni assoluto, debbano distruggere l’idea di
Dio»: cf. pp. 1619-23 del manoscritto) resta che per lui la distruzione delle idee innate porta con
sé quella di «ogni assoluto».

8
La critica dell’«abuso delle parole» è un tema caro al pensiero degli Illuministi, da Helvetius (De l’esprit, I, IV, De
l’abus des mots) agli idéologues: vedi U. Ricken, L’abus des mots, thème des Lumières, in Literaturgeschichte als
geschichtlicher Auftrag in memoriam Werner Krauss, herausgegeben von R. Geissler und J. J. Slomka, Berlin, 1978, pp.
157-63; Id., Réflexions du XVIIIe siècle sur l’“ abus des mots ”, in Mots, 4, 1982, pp. 29-45.
9
Il tema della “conoscenza popolare” e del “senso comune” ritornerà in pagine importanti del Dell’invenzione. Cfr. il mio
studio «Testimonium animae». Pour un thème de Manzoni, in Les régions de l’aigle, cit., pp. 249-259 (e già prima, in
italiano, nel “Giornale storico della letteratura italiana”, CLXXVIII, fasc. 584, 4° trim. 2001, pp. 481-492).
7
Nel Nuovo saggio sull’origine delle idee, del 1830, Rosmini, dopo una lunga analisi critica
delle teorie che l’hanno preceduto, giunge all’affermazione che c’è nell’uomo un’idea dell’essere,
o forma della verità 10, che ha i caratteri dell’infinità, dell’eternità, della necessità ma anche della
possibilità e dell’indeterminazione. Essa ci permette di pensare l’esperienza, fonda la sua possibile
oggettività.

Manzoni apprezza la parte critica compresa nei due primi volumi del Nuovo saggio
(suggerendo però all’amico di eliminare dall’opera il sottotitolo: «ovvero ricerche sulla questione
se v’ha qualcosa d’innato nella mente: e se v’ha, che cosa sia»), ma non arriva ad accettare la
nuova forma di innatismo ch’egli avanza nel terzo e ultimo volume.

Ricevuti i Principi della scienza morale, Manzoni scrive a Rosmini che li ha apprezzati
soprattutto perché «la parte che vi fa l’idea dell’essere mi sembra indipendente dalla questione
della sua origine»11. Rosmini gli chiede subito dopo: «che cosa sia ciò che Le fa sostenere l’assenso
dal metterla innata [l’idea dell’essere]». E Manzoni risponde a Rosmini, il 31 luglio 1831:

[…] il dimostrare, come mi par ch’Ella faccia mirabilmente, la non-derivabilità di questa idea né dalle
sensazioni, né da alcun’altra idea, e oltracciò come tutte queste idee sieno una derivazione o piuttosto
un’applicazione di questa, come essa sia di necessità l’anziana, l’iniziatrice12 e per dir così l’anima di tutte,
forzerebbe l’intelletto a sospettare, ad avvertire una questione singolare di cominciamento, di nascita per
questa idea, quando anche Ella non avesse a questa dimostrazione fatto succedere un sistema per risolverla.
Ma che è che non mi lascia assentire a codesta soluzione? Ahi! È il non intenderla, il non poter farmi
un’idea d’una idea assolutamente indeterminata, e necessariamente non avvertita.. […] Ella mi domanda
s’io lascio nel mio me la questione così pendente, oppure se, come si usa volentieri, io mi rispondo qualche
cosa, tanto per tenermi quieto. […] Le dirò o Le ridirò ch’io vo sospettando, arzigogolando, chimerizzando,
che la parola, con quella virtù sui generis con la quale muove la nostra mente ad atti che senza questo
mezzo essa non potrebbe produrre, la porti anche a quel primo ed universale concetto dell’ente13 .

È la parola, che dà all’uomo questa idea primordiale e universale dell’essere? Questa


riflessione sul rapporto tra la lingua e il pensiero costituisce un tratto originale della riflessione di
Manzoni, anche nella lettera a Cousin e nelle sue considerazioni su Locke, Condillac, Destutt de
Tracy, Degérando.

Ma la riflessione autonoma sul linguaggio, come fatto primario e inseparabile dalla vita
sociale dell’uomo, non esclude l’accettazione, da parte di Manzoni, di questa idea dell’essere, e
dunque, il fatto che egli giunga attraverso questa strada a superare il relativismo per un fondamento
oggettivo del vero, del bello e del buono. Che è l’argomento del dialogo Dell’invenzione, del 1850.

5. Il Dell’invenzione si compone di due parti: la prima parla d’arte, la seconda di morale.


L’invenzione, evocata nel titolo, consiste nel ritrovare un’idea che esiste già.

L’idea estetica, proprio come l’idea di giustizia, non è un prodotto dello spirito umano che si
possa trasformare o annullare a proprio piacimento. Il vero, oggetto dell’arte, sarà definito, nel
Discorso sul romanzo storico (sempre del 1850): “un vero diverso bensì, anzi diversissimo dal

10
Cfr. Nuovo saggio sull’origine delle idee, Intra, Bertolotti, 1875-1876 (ristampa anastatica: Stresa, Sodalitas, s.d.), §
40.
11
Cfr. qui sotto, p. 408.
12
Cfr. Nuovo saggio sull’origine delle idee, § 1381.
13
Cfr. qui sotto, p. 410.
8
reale, ma un vero veduto dalla mente per sempre o, per parlar con più precisione,
irrevocabilmente”.14 Bisognerebbe richiamare qui le riflessioni, affidate alle bozze del lavoro
inedito Della lingua italiana, sulle metafore, sul loro valore e la loro irriducibilità. 15 Non
dimentichiamo, d’altra parte, le dichiarazioni molto chiare di Manzoni, a partire dalla prima
redazione del romanzo (Fermo e Lucia, 1821- 1823), contro l’allegoria, come un modo di dire le
cose in maniera indiretta quando possiamo dirle, molto meglio, direttamente. L’irrevocabilità del
vero proprio dell’estetica è legata tra l’altro al fatto che esso non può essere sostituito né tradotto
dal vero storico o filosofico né da quello del discorso comune.

Nella sfera morale, Manzoni critica, come nell’Appendice al capitolo terzo della Morale
Cattolica del 1855, l’utilitarismo, che considera un sistema impossibile in quanto, limitandosi alla
sola realtà terrestre, non permette di prendere in conto tutti gli elementi necessari al giudizio, ed è
quindi continuamente incerto. Egli critica sia la posizione di chi vorrebbe la “speranza” senza la
“rassegnazione” (quella di Robespierre che, volendo il paradiso sulla terra, vi produce l’inferno)
sia quella di chi vorrebbe la “rassegnazione” senza la “speranza” (quella del conservatorismo e del
ripiegamento deluso sull’accettazione del presente, del relativismo e del dubbio perpetuo).

E quelli che, prendendo qua e là dagl’indivisibili insegnamenti del cristianesimo ciò che a loro par meglio,
propongono la rassegnazione senza la speranza, non si meraviglino di trovarsi a fronte chi predica la
speranza senza rassegnazione. Utopie insensate, dicono; e non s’avvedono che è un’utopia insensata anche
il pensare che l’umanità possa acquietarsi nel dubbio. Non basta aver che fare con degli avversari che
abbiano torto: bisogna aver ragione. Stringersi nelle spalle quando si arriva alle questioni primarie, non è
la maniera di terminare quelle che ne dipendono. La vittoria definitiva e salutare, Dio sa a qual tempo
serbata, e con nove e forse più gravi vicende di mezzo, sarà quella della verità sugli uni e sugli altri, sul
falso e sul nulla. 16

Il “falso” indica qui l’ideologia rivoluzionaria, il “nulla”, il “pensiero debole” (come si


sarebbe detto qualche tempo fa) proprio al nichilismo postrivoluzionario. Manzoni oppone, a
queste due forme di definizione dell’uomo in relazione solamente con il mondo che lo circonda,
la riproposta della visione tradizionale in cui l’uomo si definisce nella sua relazione con la verità,
con l’essere.17

È qui la ragione profonda dell’incontro con Rosmini. Ecco ancora un passaggio del dialogo:

Come si potrebbe arrivare a delle verità, se queste non esistessero? È la questione prima e perpetua della
filosofia con le filosofie o, per parlare esattamente, con quei tanti sistemi che, affatto opposti in apparenza,
sono d’accordo nel tentare in diverse maniere lo stesso impossibile. Cioè di fare nascere l’idea dalla mente
che la contempla; che è quanto dire la luce dall’occhio, il mezzo necessario all’operazione dall’operazione
medesima. Sistemi, per conseguenza, i seguaci de’ quali, anzi gli autori medesimi, quando vadano un po’

14
Ed. Riccardi-Travi degli Scritti letterari, pp. 298-299.
15
Cfr. ed. Poma-Stella di Della lingua italiana, pp. 781-792.
16
Cfr. qui sotto, p. 216.
17
Qui si può evocare anche una nota “vertiginosa” della seconda edizione del Discorso sui Longobardi (Manzoni, Scritti
storici e politici, I, pp. 142-150) sull’origine divina del potere (l’“omnis potestas a Deo” di san Paolo, letto in maniera del
tutto differente in rapporto alle interpretazioni reazionarie del “diritto divino” di Maistre, Bonald, del primo Lamennais o
di Haller). Per una sua interpretazione dettagliata rimando alle mie numerose note di commento nell’edizione citata. Per
un inquadramento più vasto cfr. L. Badini Confalonieri, Due schede italiane e due francesi per Manzoni e l’autorità:
Beccaria, Diderot, Mme de Staël, Rosmini, in Maitre et passeur. Per Marziano Guglielminetti dagli amici di Francia, a
cura di C. Sensi, introduzione di L. Sozzi, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2008, pp. 305-322.
9
avanti nell’applicazione, finiscono con il fare della verità una cosa contingente e relativa, negandole
esplicitamente i suoi attributi essenziali d’universalità, d’eternità, di nec essità; perché in effetto tali
attributi non convengono a una cosa prodotta. 18

Manzoni è, qui, perfettamente d’accordo con il testo di Rosmini al quale rinvia esplicitamente
a metà e alla fine del dialogo, il Rinnovamento della filosofia in Italia… esaminato, che leggeva
nell’edizione di Milano, Boniardi-Pogliani, 1840, in cui l’opera occupava per intero il quarto
volume dei trattati di Ideologia e logica (i primi tre erano costituiti dal Nuovo saggio).19 In questo
testo, e in particolare nel suo quarto libro, “Della natura delle idee”, Rosmini riprende e chiarisce,
presentandoli in forma differente, i concetti già sostenuti nel Nuovo saggio, utilizzando anche, tra
l’altro, a tre riprese, la forma del dialogo, tra lui stesso e il giovane amico prematuramente
scomparso Maurizio Moschini, che «tenevasi volentieri dalla parte del Condillac e del Bonnet» 20.
La differenza tra “sussistenza” e “cognizione”, o meglio tra modo d’essere delle cose reali
(contingente e relativo) e modo d’essere delle idee (preesistenti all’uomo e universali), questa
differenza che Secondo, nel Dell’invenzione, arriva alla fine a comprendere facendo il famoso
“passo dell’uscio” 21, costituisce l’oggetto delle pagine alle quali il Dell’invenzione si riferisce
esplicitamente. Non è da escludere che sia proprio a partire da queste pagine che Manzoni abbia
potuto accedere completamente al sistema di Rosmini. Certo, è questa lettura che viene consigliata
nel Dell’invenzione, e Manzoni la presenta come un accesso al Nuovo saggio, aggiungendo che il
volume (del Rinnovamento) «ha un inconveniente prezioso, che è di non poter esser letto senza
quelli che lo precedono».

È vero che accettare l’idea dell’essere e l’esistenza degli «oggetti dell’intendimento» – le idee
– che possiedono caratteristiche specifiche in rapporto alle cose reali, non è ancora la stessa cosa
che accettare il carattere innato di quest’idea dell’essere: non abbiamo niente che ci attesti, in
maniera esplicita, che Manzoni abbia fatto tale passo. Ma non è questo il punto. L’importante è
che Manzoni sia arrivato, anche grazie a Rosmini, a “fondare” la conoscenza, l’estetica e la morale
su qualcosa di stabile, di non posto dall’uomo. E abbia evitato, con Rosmini, il rischio, legato a
questa operazione, di subordinare lo spirito divino al sistema delle verità eterne: le idee dell’uomo
preesistono al fatto d’essere pensate da lui stesso, ma non preesistono all’atto creatore di Dio. 22

Manzoni cita esplicitamente, ad un certo punto, un passaggio del Rinnovamento di Rosmini:

Tutto sta dunque, tutto si riduce in provare una cosa, che la verità non è un modo di qualche ente limitato;
e se fosse, avrebbe perduto ogni pregio; tutto sta in provare ben fermo, come dicevo, che v’hanno degli
esseri intellegibili [= le idee], ai quali il nostro spirito è unito indivisibilmente, e pei quali solo può
conoscere, e conosce tutto ciò che conosce. 23
18
Cfr. qui sotto, p. 222.
19
I trattati sono presenti nella “sala manzoniana” della Biblioteca di Brera (Manz. XIII. 56-9). Proprio nel quarto volume,
quello del Rinnovamento della filosofia in Italia, si leggono postille di Manzoni.
20
Charles Bonnet (1720-1793), biologo e filosofo svizzero. Ceco dal 1792, si dedica alla filosofia: La palingénésie
philosophique… (1769), Recherches philosophiques sur les preuves du christianisme (1770).
21
L’espressione ritorna più volte nel dialogo di Manzoni, per indicare il passo da farsi per entrare nella comprensione del
sistema di Rosmini, un passo che Secondo, nella prima metà del dialogo, ha difficoltà a compiere. Cfr. il mio studio Il
“passo dell’uscio”. Per una lettura del dialogo “Dell’invenzione”, in Manzoni e l’idea di letteratura, Atti del convegno
di Torino 5-7 dicembre 1985, Torino, Liceo Linguistico Cadorna, s. d. [ma 1986], pp. 115-123.
22
Al dialogo con Maurizio, nel quale il problema è affrontato, c’è, come testimonianza della lettura attenta e consenziente
di Manzoni, una postilla di quest’ultimo che è in realtà una citazione di San Tommaso, a conferma del discorso di Rosmini.
23
Cfr. qui sotto, p. 222.
10
C’è qualcosa di divino nell’uomo, qualcosa che rinvia a Dio come al suo principio. In uno dei
suoi ultimi scritti, Del divino nella natura, dedicato a Manzoni, Rosmini esprimerà così questa
idea:

Se dunque io non m’inganno e la cosa sta così, noi abbiamo nelle mani l’elemento che cercavamo, cioè un
elemento per il quale l’opera del mondo da Dio creata ritiene nel suo seno qualche cosa continuamente
lucente del suo eterno ed infinito autore, qualche cosa che si continua e si lega con la sua prima causa che
creandolo, non ha abbandonato l’ente finito a sé solo e divisane l’esistenza interamente dalla sua propria:
e questa cosa rimasta nel mondo, quasi reliquia nelle mani di chi lo fabbricò, costituisce certamente la
sommità e quasi direi la punta di questa meravigliosa mole dell’universo, sommità e punta che, se vista
d’occhio mortale, si perde nell’infinito e nell’assoluto essere, e ivi come nel suo terreno, quasi fortissima
radice di gran pianta rovescia, penetra, profonda e tenacemente si tiene e si nasconde. 24

Questo bel passaggio di Rosmini ci fa pensare al Dell’invenzione, e in particolare alle pagine


in cui si risponde alle dicerie che circolano contro la filosofia dell’amico (“dicono che questa
filosofia pretende d’annullare la ragione, di non lasciare all’intelligenza altro lume che l’autorità
della fede”):

come volete che non ci siano di quelli che lo dicono? È il contrario appunto di quello che è. Nessuna
filosofia è più aliena da un tale errore stranissimo, che fa di Dio quasi un artefice inesperto, il quale, per
aggiungere un novo lume alla sua immagine, impressa per dono ineffabile, nell’uomo, avesse bisogno di
cancellarla…25

Manzoni è per una filosofia cristiana che sia capace, come ho scritto, di superare il fideismo
e il razionalismo. Una filosofia cristiana:

ma vi par egli – esclama Manzoni – che sia a scapito della ragione? E che? Si vorrebbe forse, che, per
essere razionale, per rimaner libera, una filosofia dovesse pronunziare o ammettere a priori, che tra la
ragione e la fede c’è repugnanza? Cioè, o che l’intelligenza dell’uomo è illimitata, o che è limitata la
verità? Questo sì, che sarebbe servitù, e una tristissima servitù. Le tengano dietro, passo a passo, a questa
filosofia; e quando trovino che o sciolga o tronchi con l’autorità della fede questioni filosofiche, dicano
pure che cessa d’essere filosofica. Ma sarebbe una ricerca vana; e è più spiccio, per gli uni l’affermare, per
gli altri il ripetere. 26

Come nel suo lavoro sulla Rivoluzione francese, Manzoni dimostra di conoscere bene, in
anticipo, certe obiezioni…

6. In conclusione, il senso della riflessione filosofica di Manzoni risiede nel suo sforzo di
ripensare la visione tradizionale dell’uomo. Egli prende le misure dei problemi imposti dalla
modernità. Sa di intervenire dopo il sensismo e l’utilitarismo, dopo il pensiero rivoluzionario e il

24
A. Rosmini Serbati, Del divino nella natura (postumo e incompiuto: 1854), a cura di P. P. Ottonello, Roma, Città
Nuova, 1991, pp. 24- 25.
25
Cfr. qui sotto, p. 213.
26
Ibid.
11
nichilismo. La sua filosofia resiste alle obiezioni: “ma allora, tutto si risolve nella fede: non c’è
più filosofia”; o anche : “Se vuoi tornare alla visione tradizionale sei naturalmente libero di farlo,
ma non sei più nel campo della filosofia, che è ricerca libera e originale”. Penso che sia difficile
trovare un pensatore più aperto, più critico verso i falsi sistemi, più disposto a concepire la filosofia
come una ricerca perpetua, una continua messa in movimento, di Manzoni. Il modello di Socrate,
ricordato in una lettera a Cousin del 1832, è in lui pienamente operante: “J’aime Socrate
représentant (autant qu’un homme et un gentil le pouvait) le sens commun, lui revendiquant les
mots, qui sont sa propriété, et forçant les systèmes à renier la signification arbitraire qu’ils veulent
leur donner, ou les significations, car c’est là le bon, de les faire promener de position en position,
pour les envoyer promener tout-à-fait”.27 La sua filosofia, anche in rapporto a quella di Rosmini,
percorre delle strade originali, non solo nella sua pars destruens, ma anche attraverso nuove
aperture, praticate sempre nel linguaggio semplice dell’uomo comune.

Bisognerebbe ricordare la grande stima che Rosmini professava non solo per la sua opera
letteraria ma anche proprio per le sue capacità filosofiche 28, e che Gioberti, dal canto suo, parlava
delle Osservazioni sulla morale cattolica come di un “capolavoro di filosofia cristiana e di
dialettica”.29 Recentemente un filosofo italiano ha potuto rinviare alla “critica magistrale del
razionalismo religioso” 30 delle appendici A e B della lettera a Cousin, prima di scrivere, a proposito
del Dell’invenzione, che “è certamente uno dei migliori testi filosofici italiani del secolo”. 31 Una
nuova attenzione a queste pagine può forse diventare possibile?

27
Cfr. qui sotto, pp. 402-405, in part. p. 402 (e p. 403 per la traduzione).
28
Un alto elogio del pensiero e dello stile del Dell’invenzione (come conclusione ideale di una pagina sui suoi «compagni
di strada»), in A. Rosmini-Serbati, Introduzione alla filosofia, Casale, Casuccio, 1851, p. 125 (ora nella nuova edizione,
Roma, Città Nuova, 1979, a cura di P. P. Ottonello, pp. 107-8). Cfr. anche la dedica a Manzoni di A. Rosmini-Serbati,
Del divino nella natura, cit., pp. 19-21. Una “ricostruzione” delle conversazioni filosofiche tra Manzoni e Rosmini ci è
stata proposta da R. Bonghi, nelle Stresiane (che possiamo leggere nell’edizione a cura di P. Prini, Milano, Camunia,
1985). Rosmini aveva incoraggiato Manzoni a scrivere altri dialoghi filosofici, e quest’ultimo abbozzò allora un dialogo
Del piacere (qui sotto alle pp. 277-281). Riguardo alla seconda edizione della Morale Cattolica, Rosmini scriveva a un
amico l’8 gennaio 1854: “Manzoni … sta ora attendendo ad una nuova edizione del suo prezioso libro contro le calunnie
de’ protestanti, e vi so dire che ci fa bellissime giunte: ne ha lavorato qualche parte qui meco” (Carteggio fra A. Manzoni
e A. Rosmini, raccolto e annotato da G. Bonola, Milano, Cogliati, 1901, ristampa anastatica: Stresa, Edizioni Rosminiane
Sodalitas, 1996, p. 505).
29
Cfr. V. Gioberti, Teorica del soprannaturale, Capolago, Tipografia Elvetica – Torino, Libreria Patria, 1850 (seconda
ed : la prima è Bruxelles, 1838), 2 tomi, II, p. 354 (ora nell’ed. nazionale: Teorica del soprannaturale, a cura di A. Cortese,
Padova, Cedam, 1970, 3 voll., II, p. 230). La Teorica del soprannaturale termina dedicando il suo ultimo capitolo (il
CCXXII) proprio a Manzoni, nell’ed. cit., pp. 309-314 (ed. naz. cit., II, pp. 197-200).
30
Cfr. G. Riconda, Rosmini e Manzoni. Una considerazione filosofica sul dialogo Dell’invenzione, in Annuario filosofico,
14, 1998, Milano, Mursia, 1999, pp. 383-396, in part. p. 385. Tutto l’articolo di Riconda è stato costantemente tenuto
presente nel corso delle nostre considerazioni.
31
Ibid., p. 387. Già un filosofo come C. Mazzantini aveva d’altra parte definito il dialogo di Manzoni un “gioiello della
nostra letteratura filosofica” (cf. Il dialogo “Dell’invenzione”, dans «Rivista di filosofia neoscolastica», sett. 1941).

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