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Baruch Spinoza

TRATTATO SULL'EMENDAZIONE DELL'INTELLETTO


E SULLA VIA CHE LO DIRIGE NEL MODO MIGLIORE ALLA VERA CONOSCENZA

Traduzione e cura di Michele Lavazza

Editing e impaginazione a cura di Foglio Spinoziano


(www.fogliospinoziano.it).

Copertina e grafica a cura di Federica Sforza (www.fsdesign-


consulting.com).

Il testo originale di quest'opera è nel pubblico dominio in tutti i


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condizione di citarne l'Autore e di pubblicare eventuali opere
derivate con la stessa licenza.

ISBN 978-1-326-83867-6.

Prima edizione 2016.

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Indice

Introduzione di M. Lavazza, p. 3

Avvertenza al lettore, p. 10

1. Prologo (§§ 1-17), p. 10

1 a. Conversione alla filosofia e ricerca del vero bene (§§ 1-10), p. 10

1 b. Determinazione del fine ultimo e regole di vita (§§ 11-17), p. 11

2. Esposizione generale del Metodo (§§ 18-49), p. 12

2 a. I modi della conoscenza e la determinazione del migliore (§§ 18-29), p. 12

2 b. L'idea vera e il metodo come conoscenza riflessiva (§§ 30-49), p. 15

3. Prima arte del Metodo: fenomenologia dell'errore (§§ 50-90), p. 18

3 a. L'idea finta (§§ 50-65), p. 18

3 b. L'idea falsa (§§ 66-76), p. 21

3 c. L'idea dubbia (§§ 77-80), p. 24

3 d. Su memoria, oblio e immaginazione (§§ 81-90), p. 25

4. Seconda e terza parte del Metodo (§§ 91-110), p. 26

4 a. Sulle condizioni per giungere a corrette definizioni (§§ 91-98), p. 26

4 b. Sull'ordine con cui procedere nella conoscenza (§§ 99-105), p. 28

4 c. Sulle forze dell'intelletto e le sue proprietà (§§ 106-110), p. 29

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Introduzione

Il Trattato sull'emendazione dell'intelletto (Tractatus de intellectus emendatione) di Baruch Spinoza


fu pubblicato per la prima volta nel 1677, pochi mesi dopo la morte dell'autore, in una duplice
edizione delle opere spinoziane curata dagli amici del filosofo prematuramente scomparso: gli
Opera posthuma in latino e i Nagelate Schriften in olandese.
Il testo, incompiuto, appartiene alla prima fase della produzione filosofica di Spinoza e anzi
è, probabilmente, la sua prima opera. A lungo esso fu unanimemente considerato dalla critica alla
stregua di un'introduzione metodologica all'Etica dimostrata con metodo geometrico (Ethica more
geometrico demonstrata), immediatamente anteriore a quest'ultima quanto alla data della sua
composizione; ciò almeno fino a quando, poco dopo la metà dell'Ottocento, venne riscoperta
un'opera di Spinoza fino ad allora sconosciuta, il Breve trattato su Dio, l'uomo e il suo bene (Korte
Verhandeling van God, de Mensch en deszelvs Welstand). L'ipotesi del legame tra il Trattato e
l'Etica, unita a considerazioni basate sulla comparazione del testo originale latino e della sua prima
traduzione neerlandese, suggerì per qualche tempo che il Breve trattato fosse precedente all'altro
testo giovanile di Spinoza. Tuttavia, più recentemente, analisi diverse delle due opere hanno fornito
convincenti argomenti sia filologici, sia filosofici a favore della tesi che il Trattato sia
effettivamente la prima opera di Spinoza. 1 La sua composizione sarebbe cominciata allora tra il
1656 (l'anno in cui Spinoza fu espulso dalla comunità ebraica di Amsterdam per ragioni
probabilmente legate alla sua professione di idee eterodosse) e il 1657 (quando ormai sicuramente
Spinoza aveva iniziato a frequentare la scuola di latino di Franciscus Van den Enden), per essere poi
interrotta verosimilmente verso il 1660, quando Spinoza abbandonò l'impresa per ricominciare da
capo un'esposizione, diversamente impostata, del suo pensiero nel Breve trattato.
Come da titolo (benché questo sia dovuto agli editori, e non a Spinoza stesso) il Trattato
sull'emendazione dell'intelletto si pone metodologicamente dal punto di vista di un lavoro di
correzione degli errori e dei pregiudizi che, radicati nelle credenze degli uomini, impediscono loro
di attingere tanto alla verità quanto – che, si vedrà, è lo stesso – al bene. L'approccio in ordine
critico, seguendo il quale la verità, figlia dell'errore, risulta precisamente dalla sua correzione, è una
testimonianza evidente dell'influenza su Spinoza di Cartesio; per il quale il dubbio era stato lo
strumento principe di una radicale purificazione della mente da tutte le sue false convinzioni,
tramite la quale diventava possibile approdare a una certezza irriducibile – quella della propria
esistenza in quanto sostanza pensante – tale da poter ben fare da fondamento a un sistema
metafisico. Proprio il fatto che questa via dall'errore alla verità sia stata superata da uno Spinoza più
maturo (nel Breve trattato e nell'Etica) in favore di un percorso che si muove interamente nel
perimetro della verità e che ha l'eliminazione degli errori come esito, non come presupposto, fa
pensare che l'abbandono dell'impostazione metodologica cartesiana abbia costituito una delle
principali ragioni teoretiche che determinarono l'interruzione della stesura del Trattato. D'altra parte
l'idea che la verità, per dirla con le parole dell'Etica, sia «norma di se stessa e del falso» (E II, p43s)
è già presente e operante in quest'opera giovanile, e si può dunque dire che quando Spinoza decise
di rinunciare a sgombrare il campo dall'errore prima di attingere alla verità superò una
contraddizione già latente nel Trattato stesso. Collegata a questo, anche la separazione tra Metodo e
Filosofia (quasi una forma e un contenuto) che si riscontra in quest'opera verrà lascia cadere dallo
Spinoza dei lavori successivi in considerazione del fatto che la verità, che è il criterio del metodo, è
anche il nucleo della filosofia, e che quindi non si dà filosofia senza metodo tanto quanto non si dà
metodo senza filosofia. Nell'Avvertenza al lettore anteposta all'opera dai curatori si allude anche ad
altre ragioni, di ordine più pratico, che contribuirono forse alla sospensione della scrittura del
Trattato.
Il testo si apre con un Prologo (§§ 1-17) di carattere in parte autobiografico nel quale, con
accenti esistenziali, si descrivono i motivi della conversione alla filosofia dell'autore. Spinoza
argomenta la vanità e futilità di tutte le cose che si incontrano nella vita quotidiana, e mostra come

1 Cfr. F. Mignini, Introduzione a Spinoza, Laterza, Roma-Bari 2006, pp. 3-11.

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quelle realtà materiali che gli uomini considerano alla stregua di veri beni – onori, ricchezze, piaceri
– sono effimere e instabili, fonte di preoccupazioni, e addirittura origine di mali che possono portare
alla rovina e accelerare la morte. Volendo trovare un vero bene, attingibile e comunicabile,
partecipando del quale si possa «godere in eterno di continua e perfetta felicità» (§ 1), Spinoza si
risolve a tentare un mutamento radicale del suo modo di vita: si tratta di lasciarsi alle spalle quei
beni apparenti, che alla prima riflessione seria si rivelano mali certi, in favore di un vero bene, che
pare incerto poiché il suo conseguimento da parte degli uomini è ancora imperfetto, ma che invece è
per sua natura un bene immutabile e sicuro. L'autore osserva che un oggetto è origine per noi di
beni o di mali in quanto siamo vincolati a esso da un legame di amore, o saremmo rispetto a tale
oggetto del tutto indifferenti (c'è qui una base importante della teoria delle passioni e della stessa
etica che Spinoza andrà elaborando); per cui è preferibile, in vista di una vera felicità, rivolgere il
nostro amore a un oggetto eterno e infinito anziché a ciò che è fuggevole.
Per quanto sia senz'altro un pensatore radicale, Spinoza non è però un sovversivo. Quelle
cose concrete che sono appena state definite mali certi lo sono solo se vengono ricercate
esclusivamente per se stesse, mentre se valgono non come fini, ma come mezzi per un fine
migliore, sono necessarie e buone (anche perché in questa prospettiva verranno perseguite con
moderazione). Spinoza ambisce a portare con sé molte persone lungo il proprio percorso verso il
vero bene, e desidera farlo all'interno della comunità umana, non al di là di essa. Egli si preoccupa
di favorire la comunicazione tra gli individui e difende la legittimità dei rapporti sociali e delle
scienze, che però orienta (in quanto beni relativi) a un nuovo fine (che è il bene sommo): il
raggiungimento, da parte dell'uomo, della consapevolezza di quel legame profondo e necessario che
egli intrattiene con la Natura.
Ma proprio per quest'obiettivo, il «raggiungimento della somma umana perfezione», è
necessario trovare «il modo di risanare l'intelletto, e purificarlo, tanto quanto all'inizio è possibile,
affinché comprenda felicemente, senza errore, e insomma nel migliore dei modi» (§ 16). Da cui la
delineazione del metodo che segue.
Vi è una conoscenza, quella «dell'unità tra la mente e la Natura nel suo complesso» (§ 13),
che è il fine ultimo della ricerca e il vero bene a cui si desidera pervenire; e vi sono diversi modi in
cui gli uomini possono, effettivamente, conoscere. Tra questi è innanzitutto da scegliere il migliore,
affinché la conoscenza a cui si mira sia raggiunta e acquisita quanto più pienamente e
adeguatamente. Schematicamente, nell'Esposizione generale del Metodo (§§ 18-49), Spinoza elenca
quattro modi di conoscenza, cioè: l'esperienza indiretta o l'opinione ricavata per sentito dire;
l'esperienza diretta ma vaga, e non determinata dall'intelletto; l'esperienza diretta dell'essenza stessa
di una cosa, inferita però da qualcosa di altro da quella cosa e non in modo tale da esaurirne la
conoscibilità; l'esperienza adeguata in cui di un'essenza, conosciuta per sé stessa o per tramite della
sua causa prossima, diviene noto tutto ciò che è possibile conoscere. Tali modi di conoscenza sono
tutti indicati con il termine perceptio, il quale, a causa della sua troppo forte eco sensista, verrà
abbandonato nelle opere successive per differenziare meglio l'opinione, la ragione, l'intelletto. Tra
questi il modo di conoscere migliore, che sarà lo strumento primario in vista di quella conoscenza
che ci si è posti come obiettivo, è evidentemente il quarto – con qualche riserva, che si vedrà più
avanti.
Ora, spiega Spinoza, il metodo per mezzo del quale diviene possibile conoscere nel modo
che si è determinato come migliore non mette capo a un regresso infinito: contro ciò che egli va
sostenendo si potrebbe certo obiettare che per garantire la validità di un metodo ci vorrebbe un
metodo la cui validità a sua volta andrebbe in qualche modo fondata metodicamente, e così
all'infinito. Ma tale obiezione non coglie nel segno, poiché gli uomini dispongono di strumenti
innati grazie a cui possono sempre realizzare costruzioni intellettive, dapprima semplici, sulla base
delle quali poi riescono a edificare strutture più complesse, sfruttando le quali stesse risultati sempre
migliori possono essere raggiunti con sempre minor fatica. Ciò avviene in modo del tutto analogo a
quanto vale per le realizzazioni materiali, dove si argomenterebbe invano l'impossibilità di costruire
un martello sulla base del fatto che ci sarebbe sempre voluto un martello precedente per forgiarlo.
Ma qual è la natura di questi strumenti innati? È in risposta a questa domanda che Spinoza

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introduce la sua teoria dell'idea vera.
L'idea, innanzitutto, differisce dal suo ideato, cioè differisce da ciò di cui è idea. L'idea di un
uomo non è quell'uomo stesso, l'idea di un cerchio non è il cerchio stesso. L'idea ha, per sua natura,
un carattere intelligibile, cioè può essere posseduta dall'intelletto: cosicché conoscere Pietro
significa possedere intellettivamente l'idea di Pietro, ciò che è in linea di principio possibile poiché
tale idea è appunto, in quanto tale, qualcosa di intelligibile. L'errore che non bisogna commettere è
ritenere che per conoscere Pietro ci sia bisogno di conoscere l'idea di Pietro, il che potrebbe farsi
allora solo conoscendo l'idea dell'idea di Pietro, per il che servirebbe conoscere l'idea dell'idea
dell'idea di Pietro, e così senza fine. La conoscenza, posta in questi termini, sarebbe impossibile.
Certo l'idea dell'idea di Pietro è un concetto sensato e un'essenza reale, ed è anche conoscibile
qualora si possieda intellettivamente l'idea di essa, cioè l'idea dell'idea dell'idea di Pietro; ma ciò
sarà superfluo sia al fine di conoscere Pietro, sia al fine di conoscere l'idea di Pietro, e servirà solo
(se mai questo risultasse interessante) a conoscere l'idea dell'idea di Pietro.
Per conoscere è sufficiente possedere l'idea (cioè l'essenza oggettiva) di ciò che si vuole
conoscere (che è un'essenza formale); e poiché per sapere non è necessario sapere di sapere, la
conoscenza vera non ha bisogno d'altro che del possesso dell'idea vera; cosicché insomma «per la
certezza della verità non è necessario alcun altro segno che il possesso dell'idea vera» (§ 35).
Conoscere non significa cercare, nelle idee che si possiedono, la marca della verità, ma
acquisire le idee in un modo tale da garantire che si tratti di idee vere. Le idee vere, cioè adeguate,
sono riconoscibili come tali alla luce della loro stessa verità, senza bisogno di altri segni. E il buon
metodo è precisamente quello che conduce la mente secondo la norma dell'idea vera, così come il
metodo perfettissimo è quello che conduce la mente secondo la norma dell'idea vera prima e
somma, l'idea cioè dell'«Ente perfettissimo» (§ 38). Proprio l'idea vera (che l'intelletto può
possedere perché l'idea, diversamente dall'ideato, è sempre per sua natura intelligibile e perché la
verità dell'idea, cioè la sua adeguatezza, si manifesta con certezza) è lo strumento innato grazie al
quale è possibile, metodicamente, discriminare tra il vero e il falso; e l'idea dell'ente perfettissimo
consente non solo di discriminare tra il vero e il falso, ma anche di derivare logicamente la
conoscenza di tutta la natura in perfetto parallelismo con il modo in cui dall'ente perfettissimo
deriva tutta la natura. Tanto tale ente perfettissimo è la fonte di tutte le cose, quanto la sua idea è la
fonte di tutte le idee – nel che si scorge l'origine della priorità accordata, nel Breve trattato e
nell'Etica, alla conoscenza di Dio rispetto a tutte le altre conoscenze.
Per spianare la via verso la vera conoscenza, Spinoza si adopera dapprima per eliminare il
rischio di confondere l'idea vera con idee finte, false o dubbie: e realizza quindi, nella Prima parte
del Metodo (§§ 50-90), una classificazione delle forme dell'errore che è allo stesso tempo una loro
neutralizzazione.
L'idea finta, oggetto cioè di una finzione, può avere come oggetto l'esistenza di qualcosa di
cui si conosce l'essenza oppure l'essenza stessa di qualcosa (che può essere considerata isolatamente
o in connessione con l'esistenza di tale cosa). Nel primo caso, che si verifica ad esempio là dove
«fingo che Pietro, che conosco, vada a casa, che mi faccia visita, e cose simili» (§ 52) si potrebbe
parlare di finzione d'esistenza; nel secondo, dato quando si finge «che gli alberi parlino, che gli
uomini si tramutino improvvisamente in pietre o in sorgenti, che negli specchi appaiano spettri, che
il nulla diventi qualcosa» (§ 58) si potrebbe parlare di finzione d'essenza. Ciò che accomuna le due
modalità è che la finzione può darsi solo fin dove si estende la nostra ignoranza, poiché è
impossibile fingere alcunché a proposito di ciò che si conosce: la conoscenza implica la verità, e la
verità esclude la finzione. Quelle idee che sono oggetto di una conoscenza chiara e distinta, e che
quindi sono vere, non ammettono per quanto le riguarda la possibilità di fingere. Sapendo
intuitivamente come lo so (ovvero con il quarto genere, intellettivo, di percezione) che io penso, che
Dio esiste, che l'anima non è estesa non posso in alcun modo fingere di non pensare, che Dio non
esista, che l'anima sia quadrata. Gli uomini non possono fingere nulla a proposito delle «verità
eterne» (§ 54), cioè necessarie; e Dio, che è onnisciente, non può fingere niente del tutto. È tanto
più facile fingere quanto più è vasta la nostra ignoranza: circa l'esistenza di ciò che non è di per sé
né necessario, né impossibile si può fingere solo laddove non si conoscono le cause che

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(deterministicamente) rendono la sua esistenza necessaria o impossibile; circa l'essenza di ciò che
non è intuitivamente conoscibile in modo esaustivo, cioè di cui non abbiamo un'idea adeguata, si
può appunto fingere solo nella misura in cui la nostra conoscenza è incompleta.
Lo stesso vale per l'idea falsa, che si differenzia da quella finta per il fatto di comportare un
«assenso» che manca nella finzione (la quale potrebbe essere considerata un'immaginazione
ipotetica nella quale non ci si impegna affermativamente). «Le idee che sono chiare e distinte non
possono mai essere false» (§ 68), e si può credere o dire il falso solo di ciò che si ignora, poiché la
conoscenza e la verità, che non sono altro che il possesso di idee chiare e distinte, sono la stessa
cosa.
Di nuovo, il medesimo discorso può farsi sulle idee dubbie, le quali non sono mai tali per un
carattere positivo che le distingue, bensì per la loro inadeguatezza. Il dubbio può insinuarsi
ovunque, ma solo laddove, la mancanza di chiarezza e di distinzione di un'idea lascia libero uno
spazio per qualche oscillazione: «Infatti il dubbio non è altro che la sospensione dell'animo a
proposito di qualche affermazione, o negazione, che si affermerebbe, o negherebbe, se solo non
intervenisse qualcosa di sconosciuto a causa del quale la conoscenza dell'oggetto di tale
affermazione o negazione non può che essere imperfetta» (§ 80). Dubitare della propria conoscenza
dell'idea del triangolo è possibile solo se tale idea è, almeno parzialmente, sconosciuta; e
immaginare che, cartesianamente, un Dio mendace ci inganni circa la natura del triangolo o di Dio
stesso o di altro è possibile solo se si ignora la natura di Dio. Il dubbio non può in alcun modo
intaccare le conoscenze vere, le idee adeguate, poiché la verità illumina sé stessa e il falso e chi
procede secondo il metodo, utilizzando il vero come norma e criterio e muovendosi con ordine, non
incorre mai in alcuna incertezza.
In generale, l'errore non ha in sé nulla di positivo, ma «indica un difetto della nostra
percezione, ovvero che abbiamo pensieri o idee mutilati e tronchi» (§ 73). L'errore dipende dalla
passività della mente rispetto alle cause esterne che la influenzano, non da qualche tipo di sua
attività reale; è un fatto puramente negativo, e le idee chiare e distinte sono automaticamente al
riparo dal rischio di rivelarsi erronee perché, come si diceva, l'adeguatezza dell'idea (che è il
carattere dell'idea non mutilata e tronca, ma tale da consentire di dedurre tutto ciò che c'è da dedurre
circa il suo oggetto) coincide perfettamente con la verità, la conoscenza e la certezza.
In particolare, poi, si dà che «le idee delle cose che sono concepite in modo chiaro e distinto
sono o semplicissime o composte di idee semplicissime, cioè dedotte da idee semplicissime» (§ 68).
Spinoza introduce qui un importante sviluppo della sua teoria, radicato però solidamente in ciò che
ha già fatto osservare – egli prosegue infatti: «Che davvero l'idea semplicissima non possa essere
falsa lo potrà vedere chiunque, purché sappia cosa è il vero, ossia l'intelletto, e contemporaneamente
cosa è il falso» (ibidem). Parlando di «intelletto», l'autore fa riferimento al quarto e migliore tra i
generi di percezione possibili che si sono elencati nell'Esposizione generale del Metodo: si tratta di
una conoscenza immediata ed esaustiva (nella quale cioè tutte le proprietà dell'oggetto vengono
colte intuitivamente) che gli uomini, con la limitatezza delle loro facoltà, possono raggiungere solo
relativamente di rado, e a cui tuttavia in alcuni casi possono effettivamente arrivare. Nello specifico,
le idee semplicissime (non ulteriormente scomponibili) sono accolte dalla mente nella loro interezza
o escluse del tutto: proprio in quanto non constano di parti, infatti, esse non possono essere
percepite confusamente, ma solo essere conosciute in modo adeguato o essere del tutto ignote.
Scrive Spinoza: «Poiché ogni confusione procede dal fatto che la mente conosca una cosa, unitaria
o composta di molte parti, soltanto in parte, [...] se l'idea è idea di una cosa semplicissima, essa non
può essere se non chiara e distinta: infatti tale cosa non può essere conosciuta in parte, ma solo
totalmente o per nulla» (§ 63).
Si vede allora più precisamente come la verità, secondo quanto si era detto preliminarmente,
possa fare da norma metodologica per la condotta della ricerca: a fondamento di ogni
giustificazione stanno idee vere che sono conosciute certamente in quanto tali perché sono oggetto
di percezioni del quarto tipo, cioè sono note intuitivamente: il che è possibile perché sono
semplicissime, o scomposte nelle loro parti semplicissime, e dunque ogni loro conoscenza è
esaustiva, adeguata. Sulla base di verità di questo genere è possibile costruirne altre che troveranno

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la loro legittimazione in qualcosa che non sono né loro stesse né le rispettive cause prossime, e si
passerà cioè a edificare un sistema di conoscenze non più intuitive e immediate (anzi organizzate
secondo una concatenazione discorsiva e dimostrate le une a partire dalle altre con andamento
deduttivo) ma comunque (proprio perciò) ben fondate, secondo il terzo genere di conoscenza.
L'esempio forse più perspicuo, e certamente significativo, di questo procedimento euristico che
ricalca l'ordine epistemologico secondo cui, per Spinoza, necessariamente la conoscenza deve
avanzare è la stessa Etica, il capolavoro del nostro filosofo. In quell'opera sviluppata more
geometrico, infatti, a partire da idee chiare e distinte (la cui natura torneremo ancora a trattare tra
poco) che sono oggetto di un'intellezione immediata l'autore dimostra dialetticamente, cioè
mediatamente, teoremi e corollari. In questo sta la rivalutazione del terzo genere di conoscenza a
cui si alludeva sopra: se il quarto è senza dubbio il più alto, tuttavia solo Dio potrebbe conoscere per
mezzo della sua causa prossima ogni ente finito nell'infinità complessità della natura; quanto agli
uomini, essi possono conoscere con il quarto genere di percezione solo poche idee relativamente
semplici che poi, legittimamente, tratteranno come basi per ulteriori sviluppi deduttivi i quali, però,
avranno già la forma meno nobile, benché efficace e degna, del terzo tipo di conoscenza.
Effettivamente, come nell'Etica si vedrà nel modo più chiaro e pregnante, l'idea vera prima e
somma (l'idea cioè dell'ente perfettissimo che è l'origine di tutta la natura, dalla quale si può dedurre
tutta la natura) è tale da poter essere compiutamente posseduta dall'intelletto e non è esposta ad
alcuna possibile confusione: si tratta dell'idea dell'ente unico e infinito che esaurisce tutto l'essere e
che certamente esiste. A partire da essa, con l'ausilio di altre idee conosciute con il quarto genere di
percezione ma, per così dire, secondarie, Spinoza svilupperà deduttivamente una metafisica, una
teoria della conoscenza, una psicologia, un'etica e una teologia.
Nell'identificare l'idea chiara e distinta con l'idea vera, Spinoza ha compiuto poi un altro
passo importante. In effetti, con ciò, egli ha proposto consapevolmente una nozione di verità che si
muove interamente all'interno del campo dei concetti, senza esigere una corrispondenza con
qualcosa che, eventualmente, pretenderebbe di trascendere tale campo. Per dirlo con le sue parole,
«per quanto riguarda ciò che costituisce la forma del vero, è certo che il pensiero vero si distingue
da quello falso non tanto per la denominazione estrinseca, ma soprattutto per la denominazione
intrinseca. […] Se qualcuno dice per esempio che Pietro esiste e tuttavia non sa se Pietro esiste,
quel pensiero dal punto di vista di questo qualcuno è falso o, se si vuole, non è vero, anche se in
verità Pietro esiste. E questa asserzione che Pietro esiste non è vera se non dal punto di vista di colui
che sa per certo che Pietro esiste» (§ 69). La verità non sta in qualche sorta di corrispondenza tra
idea e ideato, cioè tra il concetto e il suo oggetto; dopotutto l'oggetto non può essere conosciuto se
non nella misura in cui se ne possiede l'idea, e perciò la sussistenza di una corrispondenza tra l'uno e
l'altra si sottrae per principio alla possibilità di essere controllata; la verità sta bensì nell'adeguatezza
dell'idea, che si misura solo in riferimento all'idea stessa ed è un criterio, si potrebbe ben dire,
assoluto: «La forma del pensiero vero deve trovarsi nel medesimo pensiero stesso, senza relazione
ad altro; e non riconosce l'oggetto in quanto causa, ma deve dipendere solo dalla potenza stessa
dell'intelletto e dalla sua natura» (§ 71).
Come promesso bisogna ora tornare sul modo in cui, affinché l'ordine delle idee nella nostra
mente riproduca nel modo più perfetto l'ordine della natura, è necessario concatenare i pensieri e
svilupparli gli uni a partire dagli altri. Spinoza intraprende questa indagine nella Seconda e terza
parte del Metodo (§§ 91-110).
Per ottenere il fine ultimo che ci si è proposti fin dall'inizio, egli ricorda, è necessario (come
pure si è mostrato) conoscere la cosa nel migliore dei modi, cioè «per mezzo della sua sola essenza,
o per mezzo della sua causa prossima» (§ 92) a seconda che rispettivamente la cosa in questione sia
causa di sé oppure abbia bisogno di una causa esterna per esistere. Nell'un caso e nell'altro «la
conclusione migliore dovrà essere ricavata dall'essenza affermativa di qualcosa di particolare, cioè
da una definizione vera e appropriata» (§ 93). Per conoscere, insomma, bisogna esercitare i propri
ragionamenti a partire da idee adeguate delle cose che sono oggetto della nostra indagine, secondo
lo schema che si è già visto; ma, aggiunge ora Spinoza, tali idee devono essere particolari, adeguate
puntualmente agli enti che di volta in volta prendiamo in considerazione, e devono insomma

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metterci in grado di dedurre a partire da una certa cosa determinata tutte le sue proprietà e tutte le
sue implicazioni. Dunque ciò che ci serve come punto di partenza non è un assioma, a cui Spinoza
associa l'idea di un principio valido come regola generale, anzi universale, dal quale quindi è
impossibile discendere alle cose individuali, bensì una definizione della cosa stessa: «La retta via
della ricerca consiste nel formare i pensieri a partire da qualche definizione data: il che procede
tanto più facilmente e felicemente quanto meglio si è definita una certa cosa» (§ 94).
La definizione deve cogliere l'essenza della cosa e non le sue proprietà, poiché dalla prima è
possibile dedurre le seconde mentre non può avvenire il contrario; e insomma la definizione sarà
perfetta quando ci farà conoscere la causa prossima dell'oggetto definito se si tratta di una cosa
creata o escluderà ogni causa se si tratta della cosa increata, e quando inoltre, che la cosa sia creata
o increata, ci consentirà di dedurne tutte le proprietà. Il che di nuovo non significa altro se non che
dobbiamo acquisire un'idea adeguata della cosa, che esaurisca ciò che è possibile conoscere di essa
e che non lasci quindi aperto alcuno spiraglio per l'errore, poiché solo a partire da un fondamento
simile (riconducibile, di nuovo, al quarto genere di conoscenza) sarà possibile costruire un sistema
di altre verità ben fondate (benché a quel punto tale costruzione corrisponda invece al terzo genere
di conoscenza).
Negli ultimi paragrafi che precedono la brusca interruzione del Trattato Spinoza tocca in
modo rapido, e non esente da gravi criticità, diversi argomenti importanti. In primo luogo egli torna
sull'importanza di ricostruire sul piano ideale il sistema di nessi causali che costituisce la trama
della natura, in modo che l'ordine di questa sia riprodotto nel modo più efficace dall'ordine della
mente. Poiché, tuttavia, la serie delle singole cose finite e mutevoli è infinitamente complessa ed è
impossibile, per l'intelletto, da padroneggiare, e poiché d'altra parte il fatto di conoscere l'esistenza
di questo tipo di enti non ci darebbe alcuna conoscenza della loro essenza (in essi infatti, in quanto
finiti e mutevoli, l'esistenza e l'essenza non sono collegate) non è ad essi che deve rivolgersi la
nostra attenzione. Al contrario, la conoscenza dell'essenza delle cose, che è ciò che ci interessa, va
tratta da ciò che vi è di fisso e di eterno in questa «serie delle cause e degli enti reali» (§ 100) che
abbiamo preso in esame in quanto manifestazione dell'ordine della natura: si tratta delle «leggi […]
secondo le quali tutte le cose singole avvengono e sono ordinate» (§ 101). Tali leggi, che ovunque e
in ogni modo regolano la natura, sono effettivamente fisse ed eterne e possono essere considerate
universali, e rendono quindi disponibili strumenti intelligibili (Spinoza parla di «generi») molto
potenti al fine di definire e conoscere tramite la loro causa prossima le cose singole mutevoli. Di
questo programma però l'autore evidenzia subito le difficoltà: se è impossibile conoscere l'essenza
delle cose a partire dal semplice dato della loro esistenza, è impossibile anche dedurre l'esistenza
nel tempo delle cose mutevoli a partire da leggi eterne che si collocano fuori dal tempo. Benché egli
rimandi indefinitamente almeno parte della soluzione a questo problema, Spinoza ribadisce che gli
«esperimenti» di cui ci si può avvalere come ausili per determinare la causa prossima di una cosa, e
dunque in ultimo conoscere le leggi a cui obbedisce, devono rispettare i criteri metodologici già
stabiliti, cioè il fatto di procedere secondo la norma dell'idea vera fin dove le forze dell'intelletto lo
consentono.
Infine, Spinoza affronta la problematica della natura e della definizione dell'intelletto e della
conoscenza delle sue forze, necessaria per sapere fino a che punto è possibile spingersi nella propria
ricerca del vero e del bene. Il passaggio però è profondamente problematico, poiché Spinoza
afferma prima che la conoscenza della natura e della definizione dell'intelletto è necessaria e
preliminare al fine di produrre una qualsiasi altra definizione adeguata, e che dunque dovrebbe
essere una conoscenza data per sé; e poi sostiene che invece essa non è data per sé, e che dunque
dovrebbe essere dedotta dalle proprietà dell'intelletto che sono note in modo chiaro e distinto,
benché si sia detto poco sopra che non è possibile dedurre l'essenza dalle proprietà, ma solo il
contrario. Nei paragrafi conclusivi l'elenco delle proprietà dell'intelletto non fa che mostrare
l'equivocità del termine, con cui si può indicare ora il quarto genere di conoscenza, ora il terzo, ora
la facoltà umana del pensiero che in altri contesti va sotto il nome di «mente».
Per una ripresa di questi temi, benché in una chiave in gran parte diversa, con una nuova
impostazione e con una terminologia in parte aggiornata, così come per la soluzione delle questioni

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rimaste senza risposta nel Trattato sull'emendazione dell'intelletto, bisogna spostare la propria
attenzione sui testi successivi, in cui Spinoza affronta gli stessi problemi servendosi delle basi
gettate in quest'opera e superandole.

MICHELE LAVAZZA

La traduzione è stata condotta sul testo latino stabilito da Carl Gebhardt nell'edizione critica
Spinoza Opera pubblicata da Carl Winter, Heidelberg 1925. La divisione in paragrafi dell'opera
(composta di per sé come un testo continuo, senza scansioni interne) segue quella inizialmente
proposta da Carl Hermann Bruder nell'edizione Benedicti de Spinoza Opera, Bernh. Tauchnitz jun.,
Lipsia 1843-46 e ormai generalmente accettata. Per i titoli delle sezioni e delle sottosezioni si è
seguita la traduzione curata da Andrea Sangiacomo per l'edizione di Tutte le opere di Spinoza
pubblicata da Bompiani, Milano 2011. Le espressioni tra parentesi angolate sono le integrazioni
suggerite da Gebhart sulla base del confronto delle fonti. Si è rispettato l'uso delle maiuscole, a
volte apparentemente ridondante, del testo originale. Le note indicate con lettere dell'alfabeto sono
di Spinoza; le altre, segnalate dalla sigla N.d.T., sono invece del traduttore, così come sono dovute
al traduttore alcune annotazioni, pure segnalate con N.d.T., collocate tra parentesi quadre accanto
alle note di Spinoza.

9
Avvertenza al lettore2

Questo trattato sull'Emendazione dell'Intelletto che qui ti consegniamo incompiuto, Benevolo


Lettore, fu scritto dall'autore ormai molti anni fa. Egli ebbe sempre in animo di portarlo a termine;
ma, assorbito da altri impegni, e infine portato via dalla morte, non poté condurlo al fine desiderato.
Poiché però contiene molte cose eccellenti e utili che al sincero indagatore della Verità non potranno
che essere di grande vantaggio, siamo stati subito sicuri di non volertene privare; e, affinché tu non
fatichi troppo a perdonare le pur molte parti oscure, e inoltre grezze e non limate, che in esso qua e
là occorrono, volendo che tu di esse non fossi ignaro, abbiamo fatto in modo di informartene. Sta'
bene.

[1. Prologo]

[a. Conversione alla filosofia e ricerca del vero bene]

[1] Dopo che l'Esperienza mi ebbe insegnato che tutte le cose che accadono normalmente nella vita
comune sono vane e futili; e quando ebbi visto che tutto ciò che temevo e che generava in me
inquietudine non aveva niente di buono né di malvagio in sé, ma solo in quanto l'animo ne era
agitato; decisi infine di indagare se si desse qualcosa che fosse il vero bene, che fosse attingibile di
per sé, e da cui solo, abbandonati tutti gli altri, l'animo potesse essere affetto; e insomma se si desse
qualcosa per mezzo del quale, una volta trovatolo e raggiuntolo, potessi godere in eterno di continua
e perfetta felicità. [2] Dico che decisi infine: a prima vista infatti sembrava incauto voler
abbandonare una cosa certa per una allora incerta: vedevo senza dubbio gli agi che derivano dagli
onori e dalle ricchezze, e che a essi ero costretto a rinunciare se volevo impegnarmi seriamente in
qualcosa di nuovo e diverso: e se per caso la somma felicità fosse stata in essi, mi rendevo conto,
essa sarebbe venuta a mancarmi; d'altronde, se essa non si fosse trovata in essi, e ad essi io mi fossi
soltanto dedicato, allora la somma felicità sarebbe venuta a mancarmi ugualmente. [3] Riflettevo
dunque nel mio animo se fosse in qualche modo possibile pervenire a un nuovo proposito, o almeno
alla certezza di stabilirne uno, pur senza mutare l'ordine e il proposito stesso della mia vita
consueta; ciò che tentai spesso di fare, invano. Infatti, tra le cose che si concretizzano nella vita dei
più, quelle che presso gli uomini, da quanto si può dedurre dai loro comportamenti, vengono
considerate alla stregua del sommo bene si riducono a queste tre: le ricchezze, gli onori e i piaceri
sensibili. Da esse la mente è a tal punto assorbita che può a mala pena pensare a qualche altro bene.
[4] Infatti ciò che riguarda i piaceri lascia l'animo a tal punto sospeso, come se riposasse in un vero
bene, che esso è del tutto incapace di pensare ad altro; ma, dopo la fruizione di tali piaceri, subentra
una somma tristezza che, se non tiene altrettanto in sospeso la mente, tuttavia la turba e inebetisce.
Anche perseguendo gli onori e le ricchezze 3 la mente è non poco distratta, e soprattutto
quando essi, identificati con il sommo bene, non sono ricercati se non per sé; [5] la mente invero è
assorbita dagli onori ancora molto di più: si ritiene infatti sempre che essi siano buoni di per sé, ed
essi sono considerati come fini ultimi verso cui tutto deve tendere. Inoltre a onori e ricchezze non è
associata, come ai piaceri sensibili, una penitenza; bensì a colui che possiede la maggior quantità di
entrambi spetta tanto maggiore felicità, e di conseguenza siamo sempre più incoraggiati a
incrementarli entrambi: e se le nostre speranze risultano in qualche modo frustrate, ciò è causa di
grande tristezza.
La ricerca degli onori è insomma di grande intralcio poiché, per ottenerli, la vita deve

2 L'Avvertenza al lettore è degli editori degli Opera posthuma di Spinoza, e probabilmente in particolare di Jarig
Jellesz (cfr. F. Mignini, Introduzione a Spinoza, Laterza, Roma-Bari 2006, p. 5). N.d.T.
3 [a] Queste cose potrebbero essere spiegate più ampiamente e più chiaramente distinguendo le ricchezze, che
vengono ricercate o per sé, o in vista degli onori, o in vista dei piaceri sensibili, o in vista della salute e del
progresso delle scienze e delle arti; ma ciò viene rimandato al momento opportuno, poiché non è questo il luogo per
indagare la questione tanto in profondità.

10
necessariamente essere condotta secondo le abitudini dei più, evitando quello che evita il volgo,
cercando quello che il volgo cerca.
[6] E così, vedendo come tutto ciò era di grande ostacolo al tentativo di dare a chiunque un
nuovo modo di vita, e che addirittura a tal punto si opponeva a questo disegno da rendere necessario
escludere una delle due vie, fui costretto a indagare quale fosse la più utile; infatti, come dicevo, mi
sembrava di rinunciare a un bene certo per uno incerto. Ma dopo che ebbi appena un poco iniziato
ad addentrarmi in questa ricerca, trovai prima di tutto che se, trascurando quelle cose, mi fossi
accinto ad assumere un nuovo modo di vivere, avrei abbandonato un bene per sua natura incerto,
come chiaramente possiamo dimostrare, per uno incerto, sì, ma non per sua natura (cercavo infatti
un bene immutabile), bensì solamente quanto alla sua acquisizione. [7] E con riflessioni assidue
giunsi a concludere che, al contrario, solo e appena fossi riuscito a risolvermi in modo radicale mi
sarei lasciato alle spalle mali certi per un bene certo. Mi vedevo infatti correre un enorme pericolo,
e costretto a cercare con tutte le mie forze un rimedio per quanto incerto; come il malato che soffre
di un morbo mortale, che quando prevede una fine certa se non viene applicato un rimedio, è
costretto a cercarlo con tutte le forze, per quanto sia incerto, poiché in esso sono riposte tutte le sue
speranze. Mentre tutte le cose che il volgo insegue non solo non costituiscono in alcun modo un
rimedio al fine di conservare la nostra esistenza, ma anzi ostacolano il raggiungimento di
quest'obiettivo: spesso sono la causa della rovina di coloro che le possiedono ⟨(se si può dire così) ⟩,
e sempre sono la causa della rovina di coloro che ne sono posseduti. 4 [8] Esistono moltissimi
esempi di persone che hanno patito terribili sofferenze e sono giunte persino alla morte a causa delle
proprie ricchezze, e anche di persone che, per procurarsi beni, si sono esposte a tanti pericoli da
pagare con la vita il fio della loro stoltezza. Né sono meno gli esempi di coloro che, per inseguire
gli onori o difenderli, hanno patito nel modo più misero. Infine ci sono innumerevoli casi di persone
che a causa della sfrenata dissolutezza hanno avvicinato la propria morte. [9] Sembrava poi che
questi mali fossero sorti dal fatto che tutta la felicità, o infelicità, dipende unicamente dalla qualità
dell'oggetto a cui per amore siamo attaccati: infatti a causa di ciò che non è amato non nasceranno
mai liti, non vi sarà alcuna tristezza se scomparisse né invidia se fosse posseduto da altri, nessun
timore, nessun odio, e, per dirlo in una parola, nessun movimento dell'animo; tutte queste cose
infatti riguardano l'amore di ciò che può trapassare, così come tutto ciò di cui abbiamo parlato. [10]
Ma l'amore nei confronti di qualcosa di eterno e infinito nutre l'animo di pura felicità e per mezzo di
essa sola tutta la tristezza è dissipata; il che è da desiderarsi intensamente e da perseguire con tutte
le forze. Invero non senza ragione ho usato queste parole: solo riuscendo a risolvermi in modo
radicale. Infatti benché tutto questo mi fosse molto chiaro, non avrei tuttavia potuto perciò soltanto
abbandonare ogni desiderio di ricchezza, di piaceri sensibili e di onori.

[b. Determinazione del fine ultimo e regole di vita]

[11] Vedevo solamente questo: che, fintantoché la mia mente si dedicava a pensieri come questi,
essa era volta altrove rispetto alle vecchie cure e rifletteva seriamente su un nuovo modo di vita; il
che mi fu di grande conforto. Infatti vedevo che quei mali non erano di natura tale da non
ammettere alcuna soluzione. E benché inizialmente questi momenti di serenità fossero rari, e
durassero per intervalli di tempo estremamente esigui, tuttavia man mano che il vero bene mi si
rivelava maggiormente questi intervalli si fecero più frequenti e più prolungati – soprattutto quando
ebbi compreso che l'acquisizione di denaro, o la sregolatezza, o la sete di gloria nuocciono solo
fintantoché sono ricercate per se stesse e non in quanto mezzo per altri scopi; se infatti sono
ricercate in vista di altro, allora sono perseguite con moderazione e non nuocciono per nulla, anzi
molto favoriscono il raggiungimento dello scopo per cui sono ricercate, come mostreremo a tempo
debito.
[12] Ora dirò solamente, in breve, cosa intenderò per “vero bene”, e allo stesso tempo cosa

4 [b] Ciò va dimostrato più accuratamente.

11
sia il sommo bene. Affinché ciò sia correttamente compreso, bisogna notare che il bene e il male si
definiscono solo in riferimento l'uno all'altro, e che la stessa cosa può essere detta buona o cattiva a
seconda dei punti di vista; e lo stesso vale per la perfezione e l'imperfezione. Niente, infatti, che sia
considerato quanto alla sua sola natura, è detto perfetto o imperfetto; e a maggior ragione quando
avremo visto che tutte le cose che accadono obbediscono a un ordine eterno e alle leggi certe della
Natura. [13] Poiché invece la debolezza degli uomini non segue nelle sue riflessioni quest'ordine
naturale, e nel frattempo l'essere umano concepisce una certa altra natura umana ben più forte della
sua e, contemporaneamente, non vede niente che gli impedisca di raggiungerla, è spinto a cercare
dei mezzi che lo conducano a tale perfezione: e tutto ciò che può fungere da mezzo per pervenire a
questo scopo viene chiamato vero bene. Ma il sommo bene sta appunto nel raggiungerlo, affinché
costui, insieme ad altri individui, se ciò è possibile, goda di tale natura. Quale mai sia tale natura, e
come essa coincida senz'altro con la conoscenza5 dell'unità tra la mente e la Natura nel suo
complesso, sarà mostrato a suo luogo. [14] Qui sta dunque lo scopo a cui tendo, raggiungere cioè
questa natura, e tentare di far sì che molti la raggiungano con me; cioè la mia felicità dipende anche
dal mio adoperarmi affinché molti altri, come me, capiscano, affinché il loro intelletto, e inoltre la
loro volontà, convengano con il mio intelletto e la mia volontà. E affinché questo accada, è
necessario6 ⟨prima di tutto⟩ comprendere della Natura tanto quanto è sufficiente per acquisire quella
natura; quindi formare una società, come è da desiderare, tale da rendere per quanti più possibile
quanto più facile e sicuro pervenire a questo risultato. [15] Poi⟨, in terzo luogo,⟩ bisogna adoperarsi
per il progresso della Filosofia Morale, e per la Dottrina dell'Educazione dei bambini; e, poiché la
salute è un mezzo non trascurabile al fine di raggiungere quello scopo, sono da coltivare ⟨in quarto
luogo⟩ tutti gli aspetti della Medicina; e poiché molte cose difficili sono rese facili dalla tecnica, e
per mezzo di essa possiamo guadagnare molto in tempo e in comodità di vita, ⟨in quinto luogo ⟩ la
Meccanica non è in alcun modo da trascurare. [16] Ma prima di tutto va escogitato il modo di
risanare l'intelletto, e purificarlo, tanto quanto all'inizio è possibile, affinché comprenda felicemente,
senza errore, e insomma nel migliore dei modi. Da ciò, chiunque ha già potuto vedere che io voglio
dirigere tutte le scienze a un unico fine 7 e scopo, che è il raggiungimento della somma umana
perfezione di cui abbiamo parlato; e così tutto ciò che nelle scienze non ci fa procedere verso il
nostro fine e scopo sarà da evitare in quanto inutile; cioè, per dirlo in una parola, tutte le nostre
azioni, così come tutti i nostri pensieri, devono essere dirette a questo fine. [17] Ma poiché, mentre
ci impegniamo per raggiungere questo obiettivo, e ci adoperiamo affinché l'intelletto sia ricondotto
sulla retta via, bisogna vivere, prima di tutto siamo costretti ad ammettere come buone alcune
regole di vita – e cioè queste.
1. Parlare secondo le capacità del popolo, e mettere in atto tutti gli accorgimenti che evitino
di ostacolare il raggiungimento del nostro scopo. Infatti da esso possiamo ottenere non pochi
vantaggi, solo concedendo al suo livello di intendimento tutto ciò che è possibile; si aggiunga a
questo che in tal modo essi presteranno volentieri orecchio per ascoltare la verità.
2. Godere dei piaceri tanto quanto basta a preservare la salute.
3. Infine, cercare di denaro, e di qualunque altra cosa, solo tanto quanto è sufficiente a
supplire alle necessità della vita, della salute e dei costumi civili che non contrastano con il nostro
scopo.

[2. Esposizione generale del Metodo]

[a. I modi della conoscenza e la determinazione del migliore]

[18] Posto così tutto questo, mi accingerò a fare ciò che viene prima di tutto, cioè a emendare

5 [c] Ciò sarà spiegato più diffusamente a tempo debito.


6 [d] Si noti che, poiché qui desidero enumerare solo le scienze necessarie al nostro scopo, è possibile che io non
osservi il loro ordine e la loro serie.
7 [e] Il fine delle scienze, a cui tutte devono essere dirette, è unico.

12
l'intelletto e a renderlo capace di comprendere le cose nel modo che è più adatto affinché noi
possiamo conseguire il nostro scopo. Affinché questo avvenga, l'ordine che naturalmente dobbiamo
seguire esige che ora io riassuma tutti i modi di percepire che fino a qui ho avuto a disposizione per
affermare, o negare, qualcosa in modo indubbio, e che tra tutti questi io scelga il migliore; e, allo
stesso tempo, che io cominci a conoscere le mie forze e la natura che desidero perfezionare.
[19] Se studio la cosa accuratamente, risulta che tali modi di percepire possono essere ridotti
principalmente a quattro.
1. Vi è la Percezione che abbiamo dal sentito dire o da qualche altro segno che viene
chiamato a piacere.
2. Vi è la Percezione che abbiamo dall'esperienza vaga, cioè dall'esperienza non determinata
dall'intelletto; ma si dice così solo poiché qualcosa accade per caso e non abbiamo alcun
esperimento che si opponga a tale avvenimento, e allora provvisoriamente esso resta tenuto tra noi
per indiscusso.
3. Vi è la Percezione in cui l'essenza di una cosa viene dedotta da un'altra cosa, ma non in
modo adeguato; il che avviene quando o concludiamo da qualche effetto a una causa o quando
concludiamo da qualcosa di universale che esso si accompagna sempre a una qualche proprietà. 8
4. Infine vie è la Percezione in cui una cosa è percepita per la sua sola essenza o per
conoscenza della sua causa prossima.
[20] Illustrerò tutto questo con degli esempi. Conosco il giorno della mia nascita solo per
sentito dire, e poiché ebbi tali genitori, e per ragioni simili; delle quali non ho mai dubitato. Per
esperienza vaga so che morirò: e dico così perché ho visto che altri miei simili sono morti, benché
non tutti abbiano vissuto per la stessa durata di tempo e non tutti siano morti per gli stessi mali.
Inoltre so per esperienza vaga anche che l'olio è un alimento adatto a nutrire la fiamma, e che
l'acqua è adatta a spegnerla; e so pure che il cane è un animale che latra, l'uomo un animale che
ragiona, e così conosco quasi tutte le cose che fanno parte della vita quotidiana. [21] In questo
modo da una cosa invero diversa concludiamo che, poiché percepiamo chiaramente che sentiamo un
certo corpo e nessun altro, allora, dico, deduciamo chiaramente che l'anima è unita al corpo, e che
tale unione è la causa di tale sensazione; 9 ma da ciò non possiamo comprendere assolutamente la
natura di questa stessa sensazione e di quest'unione. 10
O anche, dopo che abbiamo conosciuto la natura della vista e quindi abbiamo imparato che
essa ha una proprietà tale che una e la stessa cosa appare più piccola quando è vista da distanza
maggiore rispetto a quando la vediamo da vicino, da ciò concludiamo che il Sole è più grande di
come appare, e altre cose simili a questa. [22] Infine, la cosa può venire percepita per la sua sola
essenza; come quando, per il fatto di conoscere qualcosa, so cosa significhi conoscerla; oppure
quando, per il fatto di conoscere l'essenza dell'anima, so che essa è unita al corpo. Con lo stesso tipo
di conoscenza sappiamo che due e tre fanno cinque, e che se si danno due linee entrambe parallele a
una terza esse sono anche parallele tra loro, eccetera. Tuttavia, le cose che finora ho potuto
comprendere in questo modo sono pochissime.

8 [f] Quando avviene così, non comprendiamo niente della causa se non ciò che consideriamo nell'effetto: il che
risulta abbastanza manifesto a partire dal fatto che in questi casi la causa non si spiega se non in termini
generalissimi come questi: Perciò si dà qualcosa, Perciò si dà qualche potenza, eccetera. O anche dal fatto che lo
stesso accade quando si dice la stessa cosa in negativo: Perciò non è questo o quello, eccetera. Nel secondo caso si
attribuisce qualcosa alla causa per l'effetto, il quale è concepito chiaramente, come abbiamo mostrato nell'esempio;
ma invero non si attribuisce niente oltre le proprietà, e niente dell'essenza della cosa particolare.
9 [g] Da questo esempio si nota con chiarezza ciò che ho appena evidenziato: infatti per mezzo di quella unione non
comprendiamo nulla oltre la sensazione stessa, cioè l'effetto dal quale concludevamo a una causa di cui non
comprendiamo niente.
10 [h] Benché questa conclusione sia certa, essa non è tuttavia abbastanza al sicuro dal dubbio se non per coloro che vi
fanno la massima attenzione. Infatti chi non esercita la massima prudenza si imbatte subito nell'errore: poiché, dove
le cose vengono concepite astrattamente, e non per la loro vera essenza, ci si confonde subito a causa
dell'immaginazione. Infatti ciò che è unico in sé viene concepito dagli uomini come molteplice; e questi inoltre
impongono nomi alle cose che immaginano astrattamente, isolatamente e confusamente, usurpando termini che
normalmente servono a significare altre cose più familiari; il che fa sì che quelle cose siano immaginate allo stesso
modo di quelle che erano prima soliti immaginare e alle quali inizialmente avevano dato questi nomi.

13
[23] Ma affinché tutto questo venga meglio compreso, userò solamente un unico esempio,
cioè questo. Siano dati tre numeri: si chiede quale sia il quarto che sta al terzo come il secondo sta
al primo. I mercanti qui dicono senza riflettere di sapere cosa si debba fare per trovare il quarto,
poiché certamente non hanno dimenticato quell'operazione che udirono nuda e senza dimostrazione
dai loro maestri; altri invece traggono dall'esperienza dei casi semplici un assioma universale, cioè
dai casi in cui il quarto numero è di per sé evidente, come nella sequenza 2, 4, 3, 6, dove vedono
che moltiplicato il secondo per il terzo e poi diviso il prodotto per il primo si ottiene il quoziente 6;
e quando vedono che risulta lo stesso numero che, anche senza questa operazione, sapevano essere
proporzionale, da ciò concludono che il procedimento sia adatto a trovare sempre il quarto numero
proporzionale. [24] Ma i Matematici, in forza della dimostrazione della Proposizione 19 del libro 7
di Euclide, sanno quali numeri sono tra loro proporzionali, cioè a partire dalla natura della
proporzione e dalle sue proprietà sanno senz'altro che il numero che risulta dal prodotto del primo e
del quarto è uguale a quello che risulta dal prodotto del secondo e del terzo; e tuttavia non vedono la
proporzionalità adeguata dei numeri dati, e se la vedono non è grazie a quella Proposizione
euclidea, ma intuitivamente, ⟨cioè⟩ senza svolgere alcuna operazione. 11 [25] Dunque, affinché tra
questi venga scelto il miglior modo di percepire, si richiede che noi enumeriamo brevemente i
mezzi necessari per raggiungere il nostro scopo, che sono i seguenti.
1. Conoscere esattamente la nostra natura, che desideriamo perfezionare, e allo stesso tempo
tanto della Natura in generale quanto è necessario.
2. Pervenire, poi, a enumerare correttamente le differenze, le convergenze e le opposizioni
tra le cose.
3. Concepire rettamente cosa possa essere ammesso e cosa no.
4. Confrontare tutto questo con la natura e le capacità dell'uomo. E da ciò apparirà
facilmente la somma perfezione a cui l'uomo può giungere.
[26] Considerando così queste cose, vediamo quale modo di percepire dobbiamo scegliere.
Per quanto riguarda il primo. È di per sé evidente che tramite il sentito dire, oltre al fatto che
si tratta di un modo di conoscere quantomai incerto, non percepiamo nulla dell'essenza della cosa,
così come è chiaro dal nostro esempio; e poiché, come poi si vedrà, non si conosce l'esistenza di
una cosa singola se non se ne conosce l'essenza, da ciò concludiamo con chiarezza che che ogni
sicurezza che traiamo dal sentito dire dev'essere bandita dal campo delle scienze. Infatti il semplice
sentir dire qualcosa, laddove esso non sia preceduto da una comprensione appropriata, non può mai
convincere nessuno.
[27] Per quanto riguarda il secondo.12 Bisogna dire che non vi è nessuno che abbia grazie ad
esso un'idea di quella proporzione che cerca. Oltre al fatto che si tratta di un modo di conoscere
quantomai incerto, e senza determinazione precisa, niente si coglie mai grazie ad esso di ciò che
appartiene alle cose della natura se non gli accidenti, e queste non sono mai comprese chiaramente a
meno che non siano già note. Per il che anch'esso dev'essere escluso.
[28] Del terzo invece bisogna in qualche modo dire che abbiamo, per suo tramite, un'idea
della cosa, e che quindi in accordo con esso traiamo conclusioni senza pericolo di errore; e tuttavia
non sarà per sé questo il mezzo con cui acquisiremo la nostra perfezione.

11 Il primo genere di conoscenza è esemplificato dai mercanti, che si fidano ciecamente di ciò che hanno «sentito
dire» dai loro maestri; il secondo da coloro che sulla base di alcuni casi semplici della cui efficienza hanno avuto
una prova empirica ricavano, senza però una rigorosa dimostrazione, una regola; il terzo dai matematici che, con un
ragionamento strutturato secondo premesse e conseguenze, sono in grado di dimostrare irrefutabilmente un teorema
di portata generale; il quarto da chiunque, semplicemente guardando i numeri, ha l'evidenza chiara, distinta e,
rispetto a ciò che può conoscersi in proposito, esaustiva dell'esito di quella proporzione particolare, cioè insomma
ha un'intuizione. L'esempio è particolarmente perspicuo e potrà essere utilmente ripreso in considerazione anche
quando più avanti si tornerà a fare riferimento ai quattro generi di conoscenza. Spinoza lo riprenderà anche nel
Breve trattato (KV II, 1) e poi nell'Etica (E II p40s2), modificandolo qui solo quel tanto che risulterà necessario per
adattarlo alla nuova visione tripartita, e non più quadripartita, dei generi di conoscenza, in cui i primi due presentati
nel Trattato sull'emendazione dell'intelletto sono riassunti da uno solo. N.d.T.
12 [i] Qui tratterò un po' più prolissamente dell'esperienza, ed esaminerò i Metodi secondo cui procedono gli Empirici
e i filosofi recenti.

14
[29] Solo il quarto modo comprende l'essenza della cosa adeguatamente e senza pericolo
d'errore, e perciò dovrà essere per noi il principale. Ci occuperemo dunque di spiegare in che modo
debba essere usato affinché cose ignote vengano da noi comprese per mezzo di tale tipo di
conoscenza e, allo stesso tempo, di far sì che ciò avvenga quanto più concisamente possibile.

[b. L'idea vera e il metodo come conoscenza riflessiva]

[30] Dopo aver compreso quale tipo di Conoscenza sia per noi necessario, bisogna insegnare la Via
e il Metodo per mezzo del quale le cose che vogliamo conoscere possano venir da noi conosciute in
questo modo. E per far ciò, c'è prima di tutto da considerare che qui non si darà una ricerca tale da
spingersi avanti fino all'infinito: cioè per trovare il Metodo migliore per investigare il vero non è
necessario un altro Metodo affinché il Metodo dell'indagine sia a sua volta investigato; e, per
investigare il secondo Metodo, non ne serve un terzo, e così via: infatti in tal modo non si
perverrebbe mai a una vera conoscenza, bensì a nessuna conoscenza. Questo sta come per gli
strumenti materiali, come si può argomentare in modo del tutto analogo. Infatti, affinché il ferro sia
battuto, è necessario il martello, e per avere il martello bisogna costruirlo; per il che servono un
altro martello e ulteriori strumenti, per avere i quali anche servono altri strumenti, e così via
all'infinito; ma in questo modo si tenterebbe invano di provare che gli uomini non hanno alcuna
possibilità di battere il ferro. [31] Al contrario, così come gli uomini all'inizio furono capaci, benché
con fatica, di fare alcune cose semplicissime con gli strumenti che erano loro innati, e realizzate
queste poterono farne altre più difficili con minor fatica e maggior perizia, e così passando
gradualmente da manufatti semplicissimi a strumenti e da strumenti ad altri manufatti e ad altri
strumenti, pervennero a costruire con poco sforzo cose estremamente difficili in gran numero; così
anche l'intelletto con la forza che gli è innata 13 si costruisce degli strumenti di ragionamento, grazie
ai quali acquisisce altre forze per altre opere intellettuali, 14 e grazie a queste altri strumenti, ovvero
la capacità di spingere più oltre la sua indagine, e così gradualmente procede fino al momento in cui
raggiunge il culmine della sua sapienza. [32] Che l'intelletto si comporti così sarà facile a vedersi
appena si sia compreso qual è il Metodo della ricerca della verità e quali sono quegli strumenti
innati dei quali soltanto l'intelletto stesso ha bisogno per realizzare grazie ad essi altri mezzi per
progredire oltre. Per mostrare questo, procedo così.
[33] L'idea vera15 (abbiamo infatti idee vere) è qualcosa di diverso dal suo ideato: infatti una
cosa è il cerchio, un'altra l'idea del cerchio. L'idea del cerchio non è qualcosa che ha una periferia e
un centro come li ha il cerchio. E l'idea del corpo non è il corpo stesso. E poiché l'idea è qualcosa di
diverso dal suo ideato, sarà anche qualcosa di intelligibile di per sé; cioè l'idea, quanto alla sua
essenza formale, può essere l'oggetto di un'altra essenza oggettiva, 16 e a sua volta quest'altra essenza
oggettiva sarà anche in sé vista come qualcosa di reale e intelligibile; e così indefinitamente. [34]
Per esempio, Pietro è qualcosa di reale; mentre la vera idea di Pietro è l'essenza oggettiva di Pietro,
che è qualcosa di reale in sé e di completamente diverso da Pietro stesso. Poiché dunque l'idea di
Pietro è qualcosa di reale che ha la sua specifica essenza, sarà anche qualcosa di intelligibile, cioè
sarà l'oggetto di un'altra idea, la quale avrà in sé oggettivamente tutto ciò che appartiene
formalmente all'idea di Pietro, e a sua volta l'idea che è l'idea di Pietro ha di nuovo la sua essenza,
che pure può essere oggetto di un'altra idea, e così indefinitamente. E questo può essere esperito da
chiunque osservi di sapere che cosa è Pietro, e anche di sapere di saperlo, e ancora di sapere di
sapere che sa, eccetera. Dal che è chiaro che, per comprendere l'essenza di Pietro, non è necessario

13 [k] Per forza nativa intendo ciò che in noi non è causato da cause esterne, il che verrà spiegato poi, nella mia
Filosofia.
14 [l] Qui vengono chiamate opere, ma nella mia Filosofia si spiegherà di cosa si tratta.
15 [m] Nota che qui non ci preoccuperemo solo di mostrare ciò che ho appena detto, ma anche che abbiamo proceduto
correttamente fino a qui e che allo stesso tempo altre cose che è importantissimo sapere.
16 Riprendendo un lessico già cartesiano, Spinoza indica con l'espressione «essenza formale» la realtà della cosa
stessa, e con «essenza oggettiva» la sua idea. N.d.T.

15
comprendere l'idea stessa di Pietro, né tanto meno l'idea dell'idea; il che è lo stesso che se dicessi
che non è necessario, per sapere, il sapere di sapere, e ancor meno è necessario sapere di sapere che
so; così come per comprendere l'essenza del triangolo è inutile comprendere l'essenza del cerchio. 17
Vale però il contrario: per sapere di sapere, infatti, devo prima di tutto sapere. [35] Da tutto questo è
evidente che la certezza di qualcosa non è altro che la stessa essenza oggettiva, cioè il modo in cui
percepiamo l'essenza formale è la certezza stessa. Da cui ancora è evidente che per la certezza della
verità non è necessario alcun altro segno che il possesso dell'idea vera: infatti, come abbiamo
mostrato, non serve affinché io sappia che io sappia di sapere. E da ciò a sua volta è evidente che
nessuno può sapere cosa sia la somma certezza se non chi possieda l'idea adeguata o l'essenza
oggettiva di qualche cosa; proprio perché la certezza e l'essenza oggettiva sono la stessa cosa. [36]
Poiché dunque la verità non ha bisogno di alcun segno, e poiché al contrario affinché sia eliminato
ogni dubbio è sufficiente avere le essenze oggettive delle cose, o, che è lo stesso, le idee, da ciò
segue che il Metodo veridico non sta nel cercare un segno della verità dopo l'acquisizione delle
idee, bensì consiste in quella via per cui la verità stessa, o le essenze oggettive delle cose, o le idee
(tutte queste cose vogliono dire lo stesso) vengono cercate con un sistema opportuno. 18 [37] A sua
volta il Metodo deve necessariamente parlare del Ragionamento, o dell'intellezione; cioè il Metodo
non è esso stesso il ragionare per comprendere le cause degli eventi, e ancor meno è il conoscere le
cause degli eventi; è, bensì, il comprendere cosa sia l'idea vera, distinguendola dalle altre percezioni
e investigando la sua natura, affinché da ciò conosciamo la nostra capacità di intellezione e
costringiamo la mente a comprendere secondo quella norma tutte le cose che vogliamo
comprendere; usando come aiuti certe regole e anche facendo in modo che la mente non sia
affaticata da cose inutili. [38] Da ciò si conclude che il Metodo non è altro se non la conoscenza
riflessiva, ossia l'idea dell'idea; e poiché non si dà idea dell'idea se non è prima data l'idea, non si dà
Metodo se non è data prima l'idea. Perciò il buon Metodo sarà quello che mostra come bisogna
dirigere la mente secondo la norma di una data idea vera. Inoltre, poiché il rapporto che sussiste tra
due idee è uguale al rapporto che sussiste tra le essenze formali di quelle idee, ne segue che la
cognizione riflessiva dell'idea dell'Ente perfettissimo sarà più eccellente della cognizione riflessiva
delle altre idee; cioè, sarà perfettissimo quel Metodo che mostra come bisogna dirigere la mente
secondo la norma dell'idea data dell'Ente perfettissimo.
[39] Si capisce facilmente, sulla base di tutto questo, in che modo la mente, comprendendo
molte cose, allo stesso tempo acquisisca altri strumenti tramite i quali proseguire più facilmente nel
comprendere. Infatti, come si può dedurre da quanto si è detto, deve prima di tutto esistere in noi
un'idea vera, come strumento innato, compresa la quale venga compresa allo stesso tempo la
differenza che esiste tra quella conoscenza e tutte le altre. In questo consiste una parte del Metodo.
E poiché è di per se chiaro che la mente comprende tanto meglio se stessa quante più cose
comprende della Natura, questa parte del Metodo sarà tanto più perfetta quante più cose la mente
comprende, e sarà dunque perfettissima allorquando la mente riflette e si dedica alla conoscenza
dell'Ente perfettissimo. [40] Quindi, quante più cose la mente conosce, tanto meglio comprende sia
le sue forze sia l'ordine della Natura: mentre quanto meglio comprende le sue forze, tanto più
facilmente può dirigere se stessa e darsi delle regole; e quanto meglio comprende l'ordine della
Natura, tanto più facilmente può tenersi lontana dalle cose inutili; in tutto ciò consiste il Metodo,
come dicevamo. [41] Si aggiunga a questo che alle stesse condizioni l'idea è oggettiva e il suo
ideato reale. Se dunque si desse qualcosa in Natura tale da non avere alcuna relazione con
qualcos'altro, se anche si desse di esso l'essenza oggettiva, che dovrebbe corrispondere
perfettamente con l'essenza formale, allora anche questa non avrebbe alcuna relazione con altre
idee,19 cioè non potremmo ⟨conoscere né⟩ concludere nulla a proposito di essa; e al contrario, le
cose che hanno relazione con altre, come tutte quelle che esistono in Natura, verranno comprese e le

17 [n] Nota che qui non indaghiamo in che modo la prima essenza oggettiva sia innata in noi. Infatti questo è di
pertinenza della ricerca sulla natura, dove ciò viene spiegato più ampiamente e allo stesso tempo si mostra che oltre
l'idea non si dà affermazione alcuna, né negazione, né volontà.
18 [o] Che cosa significhi cercare nell'anima sarà spiegato nella mia Filosofia.
19 [p] Avere relazione con altre cose significa essere prodotto da altre cose o produrre altre cose.

16
loro essenze oggettive avranno la stessa relazione, cioè altre idee potranno essere dedotte da esse,
che a loro volta avranno relazione con altre, e così cresceranno gli strumenti per procedere
ulteriormente. Il che è ciò che tentavamo di dimostrare. [42] Infine da quest'ultima cosa che
abbiamo detto, cioè che l'idea deve corrispondere perfettamente con la sua essenza formale, risulta
evidente a sua volta che, affinché la nostra mente imiti perfettamente il modello della Natura, essa
deve produrre tutte le sue idee a partire da quella che imita l'origine e la fonte di tutta la Natura, così
che questa sia la sorgente delle altre idee.
[43] Qui forse qualcuno si meraviglierà che noi, nello stesso luogo in cui abbiamo detto che
il buon Metodo è quello che mostra in che modo la mente debba essere diretta secondo la norma di
una data idea vera, lo proviamo anche con il ragionamento: il che sembra mostrare che ciò non è
noto di per sé. E ci si potrebbe persino chiedere se ragioniamo bene. Se ragioniamo bene, dobbiamo
cominciare da un'idea data, e poiché cominciare da un'idea data richiede la dimostrazione di essa,
dovremmo daccapo provare la bontà del nostro ragionamento, e questa a sua volta con un altro
ragionamento, e così all'infinito. [44] Ma a questo rispondo che se per un caso qualcuno avesse
proceduto così indagando la Natura (cioè acquisendo altre idee, nell'ordine opportuno, secondo la
norma di una data idea vera) non avrebbe mai dubitato della sua verità, 20 poiché la verità stessa
come abbiamo mostrato si palesa, e inoltre tutte le cose a costui sarebbero venute spontaneamente.
Ma poiché questo non capita mai, o capita raramente, sono stato costretto a metterla in quel modo,
affinché ciò che non possiamo acquisire per caso lo acquisiamo tramite un disegno ponderato, e allo
stesso tempo affinché risultasse evidente che per provare la verità e la bontà del ragionamento non
ci servono altri strumenti che la stessa verità e il buon ragionamento. Infatti ho provato e ancora mi
sforzo di provare la bontà del ragionamento con il buon ragionamento. [45] Si aggiunga che in
questo modo, oltretutto, gli uomini si abituano alle riflessioni introspettive. Mentre la ragione per
cui raramente la ricerca si indirizza verso la Natura affinché essa sia indagata con un ordine
opportuno sta in pregiudizi le cause dei quali spiegheremo più tardi nella nostra Filosofia; e nel fatto
che è necessario fare importanti e accurate distinzioni, come mostreremo, il che è molto difficile; e
infine nello stato delle cose umane, che, come abbiamo già mostrato, è estremamente mutevole;
oltreché in altre ragioni, che non indaghiamo.
[46] Se qualcuno per caso chiedesse perché io abbia esposto in questo ordine, subito e prima
di tutto, le verità della Natura – non si manifesta infatti la verità da se stessa? – a costui risponderei,
e allo stesso tempo lo ammonirei, che non voglia rigettare la mia teoria in quanto falsa a causa dei
risultati controintuitivi che, per caso, capitano qua e là; ma che prima si degni di considerare
l'ordine per mezzo del quale l'abbiamo dimostrata, e allora risulterà certo che noi abbiamo raggiunto
la verità; e questo è il motivo per cui l'ho premessa.
[47] Se poi per caso qualche Scettico rimanesse ancora dubbioso sia di questa prima verità,
sia di tutte le cose che secondo la norma di essa dimostreremo, certamente egli o parlerebbe in
cattiva fede, o noi ammetteremmo che ci sono uomini accecati nel più profondo dell'animo fin dalla
nascita, o a causa di pregiudizi (cioè per qualche caso esterno). Infatti costoro non hanno coscienza
neanche di se stessi: se affermano, o dubitano, qualcosa, non sanno di dubitare o di affermare:
dicono di non sapere nulla; e dicono di ignorare questo fatto stesso di non saper nulla. E anche
questo non lo dicono in modo assoluto: infatti temono di confessare di esistere, poiché non sanno
nulla; e si spingono fino al punto di dover infine tacere per non supporre per caso qualcosa che
abbia odore di verità. [48] Infine con essi non c'è da parlare di scienze: infatti per ciò che riguarda la
vita e i costumi della società la necessità li costringe ad ammettere di esistere, e a ricercare il loro
utile, e ad affermare e negare molte cose sotto giuramento, e se qualcosa fosse loro provato, non
saprebbero se l'argomentazione sia cogente o fallace. Se negano, ammettono o controbattono non
sanno di negare, ammettere o controbattere; tanto che sono da considerare come automi del tutto
privi di una mente.
[49] Riprendiamo ora il nostro proposito. Abbiamo trattato, fino a qui, per prima cosa il fine
a cui vogliamo dirigere tutte le nostre riflessioni. Abbiamo conosciuto in secondo luogo quale sia il

20 [q] Così come anche qui non dubitiamo della nostra verità.

17
miglior modo di percepire per mezzo del quale possiamo pervenire alla nostra perfezione. Abbiamo
visto in terzo luogo quale sia la prima via su cui la mente deve fondarsi per cominciare bene il suo
cammino, la quale consiste nel procedere con la propria indagine per mezzo di leggi certe, secondo
la norma di una qualsiasi idea vera data. E affinché questo avvenga correttamente, il Metodo deve
garantire queste cose: primo, distinguere l'idea vera da tutte le altre percezioni, e tenere la mente
lontana da queste altre percezioni; secondo, mettere a disposizione le regole che consentono di
percepire secondo tale norma ciò che è ignoto; terzo ⟨e ultimo ⟩ stabilire un ordine tale che non
siamo assorbiti da cose inutili.21 Dopo aver conosciuto questo Metodo, abbiamo visto in quarto
luogo che esso raggiungerà la sua somma perfezione quando avremo raggiunto l'idea dell'Ente
sommamente perfetto. Perciò subito questo sarà soprattutto da considerare, affinché perveniamo
alla conoscenza di questo Ente quanto prima.

[3. Prima parte del Metodo: fenomenologia dell'errore]

[a. L'idea finta]

[50] Cominciamo dunque dalla prima parte del Metodo, che consiste, come dicevamo, nel
distinguere e separare l'idea vera dalle altre percezioni, e nel trattenere la mente affinché essa non
confonda le idee vere con idee finte, 22 false o dubbie. Il che qui abbiamo in animo di spiegare
quanto più diffusamente al fine di far riflettere i Lettori a proposito di cose molto importanti, anche
perché sono molti coloro che dubitano del vero per non aver prestato attenzione alla distinzione che
esiste tra la percezione vera e tutte le altre – a tal punto da essere come quegli uomini che, durante
la veglia, non dubitavano di vegliare, ma dopo aver una volta ritenuto in sogno, come accade
spesso, di essere certamente svegli, e dopo aver poi trovato che questo era falso, dubitarono anche
della propria veglia: ciò che accade perché non stabilirono mai una distinzione tra il sonno e la
veglia. [51] Nel frattempo avverto che qui non spiegherò l'essenza di una qualsiasi percezione né la
spiegherò tramite la sua causa prossima, poiché ciò è di pertinenza della Filosofia, ma dirò soltanto
ciò che postula il Metodo, cioè quello che riguarda la percezione finta, falsa e dubbia, e in che modo
potremo liberarci da ciascuna di esse. Che la prima ricerca riguardi dunque l'idea finta.
[52] Poiché ogni percezione è o di una cosa considerata in quanto esistente, o solo di
un'essenza, e poiché le finzioni più frequenti riguardano cose considerate in quanto esistenti, parlerò
prima di queste; cioè dei casi in cui viene finta solo l'esistenza, mentre la cosa la cui esistenza viene
finta in tale atto si comprende, o si suppone di comprendere. Per esempio fingo che Pietro, che
conosco, vada a casa, che mi faccia visita, e cose simili. 23 Ora, chiedo, questa idea cosa riguarda?
Vedo che essa riguarda solo cose possibili, e invero non cose necessarie né cose impossibili. [53]
Chiamo impossibile una cosa la cui natura ⟨ammessane l'esistenza⟩ implica la contraddittorietà
della sua esistenza; necessaria una cosa la cui natura implica la contraddittorietà della sua
inesistenza; e possibile una cosa la cui esistenza, per sua stessa natura, non implica la
contraddittorietà né della sua esistenza, né della sua inesistenza, ma la necessità o impossibilità
della cui esistenza dipende da cause che, fintantoché fingiamo la sua esistenza, sono a noi ignote; e
perciò se la sua necessità o impossibilità, che dipende da cause esterne, ci fosse nota, non potremmo
fingere niente per quanto la riguarda. [54] Dal che segue che se si dà qualche Dio o essere
onnisciente esso non può assolutamente fingere niente. Infatti, per quanto ci riguarda, dopo aver
saputo di esistere non possiamo fingere di esistere o di non esistere, 24 né possiamo fingere che un
21 Sono qui delineate le tre «parti» del metodo successivamente sviluppate, benché in modo incompleto. N.d.T.
22 Ovunque Spinoza parli di idea «finta», si tenga presente il valore di questo termine come participio del verbo
“fingere”. N.d.T.
23 [r] Nota ciò che osserveremo più avanti sulle ipotesi che vengono da noi chiaramente comprese, mentre la finzione
sta nel fatto che diciamo che esse esistano nei corpi celesti. [Cfr. nota y. N.d.T.]
24 [s] Poiché la cosa, appena la si comprenda, risulta di per sé evidente, abbiamo bisogno solo di un esempio senza
altra dimostrazione. E sarà lo stesso per la cosa contraria, che, affinché risulti manifestamente falsa, ha bisogno solo
che ci si rifletta, come sarà subito evidente quando parleremo della finzione che riguarda l'essenza.

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elefante passi per la cruna di un ago; e non possiamo, dopo aver conosciuto la natura di Dio, fingere
che esso esista o che non esista;25 lo stesso è da intendersi per la Chimera, la cui natura implica la
contraddittorietà della sua esistenza. Da queste cose risulta evidente ciò che dicevo, cioè che la
finzione della quale stiamo ora parlando non ha a che fare con le verità eterne. 26 [55] Ma prima che
io proceda oltre, bisogna qui notare per inciso che la differenza che intercorre tra l'essenza di una
cosa e l'essenza di un'altra è la stessa che intercorre tra l'attualità, ossia l'esistenza dell'una cosa, e
l'attualità, ossia l'esistenza dell'altra. Al punto che se volessimo concepire l'esistenza per esempio di
Adamo solo per mezzo dell'esistenza in generale, questo sarebbe lo stesso che se, al fine di
concepire l'essenza di Adamo stesso, studiassimo la natura dell'ente in generale per stabilire infine
che Adamo è un ente. E così dove l'esistenza viene concepita più in generale, lì viene anche
concepita più confusamente, e più facilmente può essere attribuita erroneamente a qualunque cosa;
al contrario, quando la si concepisce più in particolare, allora la si capisce più chiaramente, e più
difficilmente viene attribuita erroneamente, quando non facciamo attenzione all'ordine della Natura,
a qualcosa se non alla cosa stessa. Il che è degno di nota.
[56] Vanno ora prese in considerazione quelle cose che comunemente sono dette finte
benché comprendiamo chiaramente che la cosa non sta così come la fingiamo. Per esempio benché
io sappia che la Terra è rotonda, niente tuttavia vieta che io dica a qualcuno che essa è un mezzo
globo e che sembra un'arancia tagliata a metà su un vassoio, o che il Sole si muove intorno alla
Terra, o altre cose simili. Se facciamo attenzione a ciò, non vedremo niente che non sia coerente con
quanto abbiamo già detto, purché osserviamo che noi abbiamo potuto di quando in quando errare e
ormai essere consci dei nostri errori, e che quindi possiamo fingere, o almeno ritenere, che altri
uomini abbiano commesso lo stesso errore o che possano ancora incappare in esso come noi prima
di loro. Questo, dico, possiamo fingerlo fintantoché non vediamo alcuna impossibilità né alcuna
necessità: e così quando dico a qualcuno che la Terra non è rotonda, eccetera, non faccio altro che
rievocare con la memoria un errore che commisi accidentalmente o nel quale avrei potuto cadere e
poi fingere o ritenere che colui a cui dico questo sia o possa cadere nello stesso errore. Poiché, come
ho detto, fingo fintantoché non vedo alcuna impossibilità né alcuna necessità: se comprendessi
un'impossibilità o una necessità non potrei assolutamente fingere niente, e si potrebbe dire solo che
metto in pratica qualcosa.
[57] Resta ancora da prendere in considerazione ciò che viene supposto nelle Questioni, 27 il
che a volte riguarda anche cose impossibili. Per esempio ogni volta che diciamo: supponiamo che
questa candela accesa non sia accesa in questo momento, o supponiamo che essa sia accesa in
qualche spazio immaginario, o là dove non si dà alcun corpo: cose simili a queste vengono supposte
di continuo, benché si comprenda chiaramente che l'ultima è impossibile; ma quando accade, niente
viene affatto finto. Infatti nel primo caso non ho fatto altro che richiamare alla memoria una candela
non accesa (o concepire questa stessa senza fiamma), 28 e, poiché penso a questa candela, comprendo
lo stesso a proposito di essa, fintantoché non presto attenzione alla fiamma. Nel secondo non accade
altro se non che i pensieri vengano astratti dai corpi circostanti affinché la mente si rivolga
unicamente alla contemplazione della candela, considerata in sé sola, per poi concludere che la
candela non contiene alcuna causa tale da comportare la sua distruzione, cosicché se intorno non vi
25 [t] Nota: benché molti dicano di dubitare che Dio esista, essi tuttavia non considerano niente oltre il nome o fingono
qualcosa che chiamano Dio: il che non si confà alla natura di Dio, come più avanti, a suo luogo, mostrerò.
26 [u] Per verità eterna intendo quella tale che se è affermativa non potrà mai essere negativa. Così che Dio esiste è
una verità prima ed eterna, mentre non è una verità eterna che Adamo pensa. Che la Chimera non esiste è una verità
eterna, ma non che Adamo non pensa.
27 Spinoza sembra riferirsi alle discussioni (spesso caratterizzate da un'andamento ipotetico) tipiche della filosofia
Scolastica, le quaestiones. N.d.T.
28 [x] Più avanti, quando parleremo della finzione che concerne le essenze, apparirà chiaramente che la finzione non
crea mai né presenta mai alla mente qualcosa di nuovo, bensì che ciò che si trova nel cervello o nell'immaginazione
viene solamente richiamato alla memoria, e che la mente si dedica confusamente a tutto quanto insieme. Ad
esempio se sono richiamati alla memoria la parola e un albero, quando la mente si rivolge ad essi confusamente e
senza distinzione ritiene che l'albero parli. Lo stesso vale per l'esistenza, soprattutto, come dicevano, quando viene
concepita tanto in generale quanto l'ente stesso in quanto tale; poiché allora viene facilmente applicata a tutte le
cose che si offrono insieme alla memoria. Il che valeva certamente la pena di essere notato.

19
fossero affatto corpi questa candela e anche la fiamma rimarrebbero immutabili, o simili: dunque
qui non si dà alcuna finzione, ma solo vere, e mere, asserzioni. 29
[58] Passiamo ora alle finzioni che riguardano le sole essenze o le essenze che hanno
qualche attualità, cioè esistenza. A proposito di queste bisogna tenere nella massima considerazione
il fatto che, quanto meno la mente comprende e quante più cose tuttavia percepisce, tanto più
grande è la sua capacità di fingere, mentre quante più cose comprende tanto più questa capacità di
fingere diminuisce. Per esempio così come, in accordo con quanto abbiamo visto sopra, fintantoché
pensiamo non possiamo fingere di pensare o di non pensare, così anche dopo aver conosciuto la
natura del corpo non possiamo fingere che una mosca sia infinitamente grande, e, dopo aver
conosciuto la natura dell'anima, non possiamo fingere che essa sia quadrata, benché a parole si
possa dire tutto.30 Ma, come abbiamo detto, quanto meno gli uomini conoscono la Natura, tanto più
facilmente possono fingere molte cose: che gli alberi parlino, che gli uomini si tramutino
improvvisamente in pietre o in sorgenti, che negli specchi appaiano spettri, che il nulla diventi
qualcosa, che gli Dei stessi si trasformino in bestie e in uomini, e infinite altre cose di questo
genere.
[59] Qualcuno forse riterrà che solo la finzione, e non la comprensione, argini la finzione;
cioè che, dopo aver finto qualcosa, e aver voluto assentire per così dire liberamente alla sua
esistenza nella natura delle cose, accade che dopo non possiamo più pensarlo altrimenti che come
esistente. Per esempio dopo aver finto (per parlare con costoro) una certa natura di un corpo ed
essermi voluto persuadere grazie alla mia libertà che essa esiste veramente così, non per questo è
più legittimo fingere che la mosca sia, per esempio, infinita, e dopo aver finto l'essenza dell'anima,
non posso renderla quadrata, eccetera. [60] Ma questo è da esaminare. Primo: costoro o negano, o
concedono che noi possiamo comprendere qualcosa. Se lo concedono, necessariamente lo stesso
che dicono della finzione dovranno dirlo anche della comprensione. Se invece lo negano, vediamo
noi, che sappiamo di sapere qualcosa, che cosa dicono: essi dicono, cioè, che l'anima può sentire e
percepire in molti modi non se stessa, né le cose che esistono, ma soltanto quelle cose che non sono
né in sé né altrove, cioè che l'anima può con la sua sola forza creare sensazioni o idee che non
appartengono alle cose; tanto che da questo punto di vista la considerano alla stessa stregua di Dio.
Poi dicono che noi, o la nostra anima, abbiamo una libertà tale da dominare noi stessi, o la nostra
anima, o persino la libertà medesima: infatti dopo che essa 31 ha finto qualcosa e ha dato a ciò
l'assenso non può pensare né fingere ciò in un altro modo, e addirittura è costretta da quella finzione
a pensare in tal modo anche le altre cose, così da non opporle alla prima finzione; e dunque essi
sono qui costretti anche ad ammettere, a causa della loro finzione, quelle cose assurde che
descrivevo or ora, e per respingere le quali non ci affaticheremo con alcuna dimostrazione. [61] Ma,
lasciando costoro nei loro deliri, ci preoccuperemo di far sì che dalla discussione che abbiamo avuto
con loro ricaviamo qualcosa di vero e utile per il nostro scopo, e in particolare questo: la mente,
quando si concentra sulla cosa finta, e per sua natura falsa, per esaminarla e comprenderla e per
dedurre da essa secondo l'ordine corretto ciò che da essa si può dedurre, rende facilmente evidente
la sua falsità;32 e se invece la cosa finta è, per sua natura, vera, quando la mente si concentra su di
29 [y] Lo stesso vale per le ipotesi che fungono da spiegazione per certi moti i quali concordano con i fenomeni
celesti; se non per il fatto che esse, se venissero applicate ai moti celesti, limiterebbero la natura dei cieli, che
tuttavia può essere diversa, soprattutto perché per spiegare quei moti possano essere concepite molte altre cause.
30 [z] Spesso capita che l'uomo richiami alla memoria questa parola anima e che allo stesso tempo formi l'immagine di
qualche corpo. Quando in effetti queste due cose vengono rappresentate insieme egli ritiene facilmente di
immaginare e fingere che l'anima sia corporea: poiché non distingue il nome dalla cosa stessa. Qui chiedo che i
lettori non siano precipitosi nel rifiutare questo, il che, spero, non faranno, purché facciano quanta più attenzione
possibile agli esempi e anche alle cose che seguiranno.
31 Cioè tale libertà. N.d.T.
32 [a] Benché io sembri concludere ciò sulla base dell'esperienza, e poiché qualcuno potrebbe ritenere che quanto dico,
dal momento che non è accompagnato da una dimostrazione, non vale nulla, essa, se qualcuno la desidera, sia
espressa così: poiché in natura non può darsi nulla che contraddica le sue leggi, e poiché al contrario tutto accade
secondo le sue leggi certe, così che esse producono i loro effetti certi secondo un'inderogabile concatenazione e
appunto secondo leggi certe, da questo segue che l'anima, quando concepisce la cosa veridicamente, continua a
formare oggettivamente gli stessi effetti. Si veda più avanti, dove parlo dell'idea falsa.

20
essa per comprenderla e comincia a dedurre da essa, secondo l'ordine corretto, ciò che da essa
deriva, prosegue felicemente senza alcuna interruzione, così come abbiamo visto che dalla finzione
falsa, appena esposta, l'intelletto si è offerto subito per mostrare l'assurdità di essa e delle altre cose
dedotte da essa.
[62] Non sarà dunque da temere in alcun modo che noi fingiamo qualcosa, se percepiamo la
cosa in modo chiaro e distinto: infatti se per caso dicessimo che gli uomini si tramutano
improvvisamente in animali, questo sarebbe detto in modo molto astratto, tanto che non sarebbe
dato alcun concetto, cioè idea, o coerenza del soggetto e del predicato nella mente: se infatti si
desse, allo stesso tempo si vedrebbe il mezzo, e le cause, per cui e perché accade così. E inoltre non
si presta attenzione alla natura del soggetto e del predicato.
[63] Quindi, alla sola condizione che la prima idea non sia finta, e che da essa si deducano
tutte le altre idee, svanisce poco a poco l'errore della finzione. Infine, poiché l'idea finta non può
essere chiara e distinta, ma solamente confusa, e ogni confusione procede dal fatto che la mente
conosca una cosa, unitaria o composta di molte parti, soltanto in parte, e non distingua ciò che è
noto da ciò che è ignoto, e inoltre dal fatto che a molte cose che appartengono a una certa cosa
presti attenzione contemporaneamente e senza alcuna distinzione, da ciò segue prima di tutto che se
l'idea è idea di una cosa semplicissima, essa non può essere se non chiara e distinta: infatti tale cosa
non può essere conosciuta in parte, ma solo totalmente o per nulla. [64] E ne segue anche, in
secondo luogo, che se una cosa che è composta di molte parti viene divisa nel pensiero in parti tutte
semplicissime, e se si presta attenzione a ciascuna separatamente, allora ogni confusione svanisce.
E, in terzo luogo, ne segue che la finzione non può essere semplice, ma che risulta dalla
composizione di diverse idee confuse di cose diverse e di azioni diverse esistenti nella Natura (o
meglio, dall'attenzione simultanea, priva però di assenso, a tali diverse idee); 33 se infatti fosse
semplice, sarebbe chiara, e distinta, e di conseguenza vera. Se risultasse dalla composizione di idee
distinte, anche il prodotto di tale composizione sarebbe chiaro, e distinto, e perciò vero. Per esempio
dopo aver conosciuto la natura del cerchio e la natura del quadrato non possiamo confrontare le due
e rendere quadrato il cerchio, o rendere quadrata l'anima, o cose simili.
[65] Concludiamo allora brevemente, e vediamo come non sia in alcun modo da temere che
la finzione venga confusa con l'idea vera. Infatti quanto alla prima finzione di cui abbiamo parlato
precedentemente, cioè dove la cosa viene concepita chiaramente, vediamo che se tale cosa che
viene concepita chiaramente è, così come la sua esistenza, di per sé una verità eterna, non possiamo
fingere nulla a proposito di essa; ma se l'esistenza della cosa concepita non è una verità eterna,
bisogna preoccuparsi solo che l'esistenza della cosa sia collegata con la sua essenza, e che
contemporaneamente si presti attenzione all'ordine della Natura. Quanto alla seconda finzione, che
abbiamo detto essere l'attenzione simultanea, ma senza assenso, a diverse idee confuse di cose
diverse e azioni diverse esistenti nella Natura, abbiamo anche detto che una cosa semplicissima non
può essere finta, ma solo compresa, e così pure la cosa composita, purché prestiamo attenzione alle
parti semplicissime di cui si compone; e in ultimo, che sulla base di esse stesse 34 non possiamo
fingere azioni che non sono vere, poiché siamo costretti a contemplare in che modo e perché
avviene così.

[b. L'idea falsa]

[66] Comprese così queste cose, passiamo ora all'indagine delle idee false, per vedere di cosa si
tratta e in che modo possiamo badare di non cadere in percezioni false. Entrambe le cose non

33 [b] Nota bene che la finzione, considerata in sé, non differisce molto dal sogno, se non per il fatto che nei sogni non
si offrono le cause che, per mezzo dei sensi, si offrono a chi veglia, e grazie alle quali si deduce che quelle
rappresentazioni in quel momento non sono dovute a cose costituite al di fuori di esse stesse. L'errore, come sarà
subito chiaro, è sognare a occhi aperti, il che, se avviene in modo del tutto manifesto, viene considerato alla stregua
del delirio.
34 Cioè le cose o le parti semplicissime. N.d.T.

21
saranno per noi difficili, dopo lo studio dell'idea finta: infatti tra l'idea finta e l'idea falsa non vi è
altra differenza se non il fatto che questa35 presuppone l'assenso, cioè (come abbiamo già notato)
che, mentre si offrono rappresentazioni, non si offre alcuna causa grazie alla quale, come accade
fingendo, sia possibile dedurre che esse non sono prodotte da cose esterne a noi e che quindi non si
tratta quasi di alcunché di diverso dal sognare a occhi aperti, cioè mentre vegliamo. L'idea falsa
dunque riguarda, o (per dir meglio) si riferisce all'esistenza di una cosa la cui essenza è conosciuta,
ovvero per quanto riguarda l'essenza funziona allo stesso modo dell'idea finta. [67] L'idea falsa che
concerne l'esistenza si corregge allo stesso modo dell'idea finta: infatti se la natura della cosa nota
implica la sua necessaria esistenza è impossibile che ci sbagliamo circa l'esistenza di tale cosa; ma
se l'esistenza della cosa non è una verità eterna, com'è la sua essenza, e la necessità o l'impossibilità
che essa esista dipende invece da cause esterne, allora tutto è da intendere allo stesso modo di cui
dicevamo quando si parlava della finzione. Infatti essa viene corretta nello stesso modo.
[68] Per ciò che concerne l'altra idea finta, che è riferita alle essenze o, anche, alle azioni,
queste percezioni sono sempre e necessariamente confuse, composte da diverse percezioni confuse
di cose esistenti nella Natura, come quando gli uomini si convincono che nei boschi, nelle
immagini, nelle bestie e in altre cose ci sono divinità; che si diano corpi dalla cui sola composizione
derivi l'intelletto; che i cadaveri pensino, camminino, parlino; che Dio menta e cose simili. Ma le
idee che sono chiare e distinte non possono mai essere false: infatti le idee delle cose che sono
concepite in modo chiaro e distinto sono o semplicissime o composte di idee semplicissime, cioè
dedotte da idee semplicissime. E che davvero l'idea semplicissima non possa essere falsa lo potrà
vedere chiunque, purché sappia cosa è il vero, ossia l'intelletto, e contemporaneamente cosa è il
falso.
[69] Infatti, per quanto riguarda ciò che costituisce la forma del vero, è certo che il pensiero
vero si distingue da quello falso non tanto per la denominazione estrinseca, ma soprattutto per la
denominazione intrinseca. Infatti se un artigiano concepisce una struttura, anche se tale struttura
non è mai esistita e non è nemmeno destinata ad esistere, cionondimeno il pensiero di essa è vero, e
il pensiero è lo stesso sia che la struttura esista, sia che non esista; e per contro se qualcuno dice per
esempio che Pietro esiste e tuttavia non sa se Pietro esiste, quel pensiero dal punto di vista di questo
qualcuno è falso o, se si vuole, non è vero, anche se in verità Pietro esiste. E questa asserzione che
Pietro esiste non è vera se non dal punto di vista di colui che sa per certo che Pietro esiste. [70] Da
cui segue che nelle idee si dà qualcosa di reale per mezzo del quale quelle vere sono distinte da
quelle false: il che ora bisognerà senz'altro fare oggetto di indagine, affinché noi abbiamo a
disposizione la migliore norma della verità (abbiamo infatti detto che dobbiamo determinare i nostri
pensieri in base alla norma di un'idea vera data e che il metodo è conoscenza riflessiva) e affinché
conosciamo le proprietà dell'intelletto; e non bisogna dire che questa differenza, come sopra l'ho
spiegata, sorge dal fatto che il pensiero vero consiste solo nel conoscere le cose tramite le loro cause
prime, nel che pure certamente differisce molto da quello falso: infatti è detto vero anche il pensiero
che comprende oggettivamente l'essenza di qualche principio che non ha causa ed è conosciuto per
sé e in sé. [71] Perciò la forma del pensiero vero deve trovarsi nel medesimo pensiero stesso, senza
relazione ad altro; e non riconosce l'oggetto in quanto causa, ma deve dipendere solo dalla potenza
stessa dell'intelletto e dalla sua natura. Infatti se supponiamo che l'intelletto percepisca qualche ente
nuovo, che non è mai esistito (così come alcuni ritengono proprio dell'intelletto di Dio prima che
creasse le cose) e che da tale percezione, che non può ragionevolmente aver origine da nessun
oggetto, ne deduca legittimamente altre, allora tutti questi pensieri sarebbero veri, e non determinati
da alcun oggetto esterno, ma dalla sola potenza e natura dell'intelletto. Per cui ciò che costituisce la
forma del pensiero vero deve essere cercato nel medesimo pensiero stesso e dev'essere dedotto dalla
natura dell'intelletto. [72] Per indagare questo argomento, dunque, poniamo davanti ai nostri occhi
un'idea vera il cui oggetto sappiamo con la massima certezza dipendere dalla forza del nostro
pensiero e non trovarsi affatto nella Natura: in tale idea infatti, come è evidente da ciò che si è già
detto, potremo studiare più facilmente ciò che ci interessa. Per esempio per formare il concetto della

35 Cioè l'idea falsa. N.d.T.

22
sfera fingo una causa a piacere, nella fattispecie che un semicerchio ruoti intorno al centro e che la
sfera quasi abbia origine dalla rotazione. Questa è certamente un'idea vera, e benché sappiamo che
in Natura nessuna sfera abbia mai avuto origine in questo modo, questa è tuttavia una percezione
veridica, e un modo facilissimo di formare il concetto della sfera. È ora da notare che questa
percezione afferma che il semicerchio ruoti, affermazione che sarebbe falsa se non fosse collegata al
concetto della sfera o al concetto della causa che determina tale moto, ossia se questa affermazione
fosse assolutamente nuda. Infatti allora la mente tenderebbe unicamente ad affermare il solo moto
del semicerchio, che non è né contenuto nel concetto del semicerchio, né ha origine dal concetto
della causa che determina il moto. Perciò la falsità consiste solamente nel fatto che a proposito di
qualcosa sia affermato qualcos'altro che non è contenuto nel concetto che ci siamo formati di quella
cosa, come il moto o la quiete del semicerchio. Dal che segue che i pensieri semplici non possono
non essere veri, come l'idea semplice del semicerchio, o del moto, o della quantità, eccetera.
Qualunque cosa queste contengano di affermativo, è uguale 36 al loro concetto e non si estende oltre
se stesso; perciò ci è lecito formare idee semplici a piacere senza timore di errori. [73] Resta quindi
soltanto da chiedersi con quale potenza la nostra mente possa formarle, e fino a che punto tale
potenza si estenda: trovato ciò, infatti, vedremo facilmente quale sia la conoscenza più alta a cui
siamo in grado di pervenire: infatti quando affermiamo di qualcosa qualcos'altro che non è
contenuto nel concetto che siamo formati di quella cosa, ciò indica un difetto della nostra
percezione, ovvero che abbiamo pensieri o idee mutilati e tronchi. Vediamo infatti che il moto del
semicerchio è falso quando si trova nudo nella mente, mentre lo stesso è vero se è collegato al
concetto della sfera o al concetto di qualche causa che determina questo moto. Poiché se è proprio
della natura dell'essere pensante, come si vede a prima vista, formare pensieri veri, ovvero adeguati,
è certo che le idee inadeguate sorgono in noi soltanto dal fatto che siamo parte di qualche essere
pensante, i cui pensieri costituiscono, alcuni del tutto, alcuni solo in parte, la nostra mente.
[74] Ma ciò che c'è ancora da considerare, e che a proposito della finzione non valeva la
pena di notare, e in cui si dà il massimo inganno, è quando accade che certe cose che si offrono
nell'immaginazione siano anche nell'intelletto, cioè che siano concepite chiaramente e
distintamente: poiché allora, fintantoché ciò che è distinto non viene scernito da ciò che è confuso,
la certezza, cioè l'idea vera, è mischiata con le idee non distinte. Per esempio alcuni tra gli Stoici
udirono per caso il nome dell'anima e che essa fosse immortale, ciò che immaginavano solo
confusamente; e immaginavano anche, e contemporaneamente comprendevano, che i corpi finissimi
penetrano tutti gli altri, e non sono penetrati da nessuno. Poiché immaginavano tutto ciò
simultaneamente, con la concomitante certezza di quell'assioma, furono immediatamente certi che
la mente fosse uno di quei corpi finissimi e che quei corpi sottilissimi fossero indivisibili, eccetera.
[75] Ma ci liberiamo anche da questo mentre ci sforziamo di esaminare tutte le nostre percezioni
secondo la norma di una data idea vera, evitando, come dicevamo all'inizio, quelle che abbiamo dal
sentito dire o dall'esperienza vaga. Si aggiunga a ciò che tale inganno ha origine dal fatto che la
cosa viene concepita troppo astrattamente: infatti è di per sé abbastanza chiaro che io non posso
applicare quello che concepisco nel suo vero oggetto a qualcos'altro altro. E ha origine infine anche
dal fatto che gli elementi primi di tutta la natura non vengono compresi; per cui procedendo senza
ordine, e confondendo la Natura con le cose astratte, benché vi siano degli assiomi veri, ci si
confonde, e si stravolge l'ordine della Natura. Noi invece non dobbiamo temere questo inganno, se
procediamo quanto meno astrattamente possibile e cominciamo quanto prima possibile dagli
elementi primi, cioè dalla fonte e origine della Natura.
[76] Per quanto invece riguarda la conoscenza dell'origine della Natura, non c'è affatto da
temere che la confondiamo con qualcosa di astratto: infatti quando si concepisce qualcosa
astrattamente, come accade con tutti gli universali, essi vengono sempre compresi nell'intelletto in
modo più generale di quanto in realtà possano esistere in Natura i loro particolari. Infine, poiché in
Natura si danno molte cose la cui differenza è così esigua da sfuggire quasi all'intelletto, può
accadere facilmente (se le si concepisce astrattamente) che esse vengano confuse; ma poiché

36 Cioè adeguato. N.d.T.

23
l'origine della Natura, come poi vedremo, non può essere concepita astrattamente o universalmente,
e non può essere estesa nell'intelletto fino a una generalità maggiore di quella reale, né ha alcuna
somiglianza con le cose mutevoli, non c'è da temere a proposito della sua idea alcuna confusione,
purché possediamo una norma della verità (che abbiamo già mostrato): e questo ente è senz'altro
unico e infinito,37 cioè è tutto l'essere, e oltre ad esso non si dà essere. 38

[c. L'idea dubbia]

[77] Fino a qui si è parlato dell'idea falsa. Ci resta da indagare l'idea dubbia, cioè dobbiamo
investigare la natura di ciò che può indurci a dubitare e allo stesso tempo in che modo il dubbio
possa essere rimosso. Parlo del vero dubbio nella mente, e non di quel dubbio che vediamo darsi,
senza ordine, nei casi in cui qualcuno dice a parole di dubitare benché il suo animo non dubiti: la
correzione di questo non sta al Metodo, ma piuttosto è di pertinenza della ricerca sull'ostinazione e
della sua correzione. [78] Dunque, nell'anima non si dà alcun dubbio dovuto alla cosa stessa della
quale si dubita; cioè, se nell'anima vi fosse solo un'unica idea, ovvero se essa fosse vera o falsa, non
si darebbe alcun dubbio, e nemmeno certezza: ma solo quella sensazione. Essa infatti non è, in sé,
nient'altro se non quella sensazione. Ma si darà per via di un'altra idea, che non è tanto chiara e
distinta da far sì che noi possiamo concludere qualcosa di certo a proposito della cosa di cui si
dubita; cioè l'idea che ci getta nel dubbio non è chiara e distinta. Per esempio se qualcuno non ha
mai riflettuto sull'inattendibilità dei sensi, per l'esperienza o in qualunque altro modo, allora non
dubiterà mai se il Sole sia più grande o più piccolo di ciò che appare. Per cui i contadini, senza
riflettere, si meravigliano quando sentono dire che il Sole è molto più grande del globo terrestre; e
riflettendo sull'inattendibilità dei sensi ha origine il dubbio. Cioè, il senso sa di essersi qualche volta
sbagliato, ma lo sa solo confusamente: infatti non sa in che modo i sensi sbaglino. Ma se qualcuno
dopo il dubbio acquisisse una conoscenza veridica dei sensi, e del modo in cui tramite essi le cose
distanti vengono rappresentate, allora il dubbio sarebbe di nuovo tolto. [79] Da cui segue che noi
non possiamo revocare in dubbio idee vere per il fatto che forse esiste qualche Dio ingannatore, che
ci illude anche nelle cose più certe, se non fintantoché non abbiamo alcuna idea chiara e distinta di
Dio; cioè, se ci concentriamo sulla conoscenza che abbiamo dell'origine di tutte le cose e non
troviamo niente che ci insegni che Dio non ci inganna in quella stessa conoscenza per la quale, se
prestiamo attenzione alla natura del triangolo, troviamo che i suoi tre angoli sono uguali a due
retti⟨, allora rimane il dubbio ⟩; ma se invece abbiamo di Dio la stessa conoscenza che abbiamo del
triangolo, allora ogni dubbio è rimosso. E allo stesso modo in cui possiamo pervenire a questa
conoscenza del triangolo senza sapere per certo se qualche sommo ingannatore ci illude, possiamo
anche pervenire a questa conoscenza di Dio senza sapere per certo se si dà qualche sommo
ingannatore; e questa sola conoscenza è sufficiente a rimuovere, come ho detto, ogni dubbio che
possiamo avere su idee chiare e distinte. [80] Se poi si procede rettamente indagando prima ciò che
va indagato prima e senza interrompere la concatenazione delle cose, e se si sa in che modo le
questioni vanno determinate prima di accingersi a conoscerle, allora non si avranno mai se non idee
certissime, cioè chiare e distinte: infatti il dubbio non è altro che la sospensione dell'animo a
proposito di qualche affermazione, o negazione, che si affermerebbe, o negherebbe, se solo non
intervenisse qualcosa di sconosciuto a causa del quale la conoscenza dell'oggetto di tale
affermazione o negazione non può che essere imperfetta. Dal che si conclude che il dubbio sorge
sempre dal fatto che le cose vengano indagate senza ordine.

37 [z] Questi non sono attributi di Dio che manifestano la sua essenza, come mostrerò nella Filosofia.
38 [a] Questo è già stato dimostrato sopra. Se infatti tale ente non esistesse, non potrebbe mai essere prodotto, cosicché
la mente potrebbe comprendere più di quanto la Natura possa produrre, il che, da quanto detto sopra, è sicuramente
falso.

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[d. Su memoria, oblio e immaginazione]

[81] Questo è quello che avevo promesso di dire in questa prima parte del Metodo. Ma affinché io
non ometta niente di ciò che può condurre alla conoscenza dell'intelletto e delle sue forze tratterò
anche brevemente della memoria e dell'oblio. Qui è da tenere nella massima considerazione il fatto
che la memoria è corroborata sia con il supporto dell'intelletto, sia anche senza il supporto
dell'intelletto. Infatti per quanto riguarda il primo punto quanto più la cosa è intelligibile, tanto più
facilmente sarà trattenuta nel ricordo, e al contrario, quanto meno è intelligibile, tanto più
facilmente la dimenticheremo. Ad esempio se trasmetto a qualcuno una gran quantità di parole
disordinate esse saranno ricordate molto più difficilmente che se trasmettessi le stesse parole in
forma di narrazione. [82] Ma la memoria è corroborata anche senza l'aiuto dell'intelletto, cioè dalla
forza con cui l'immaginazione o il senso che è detto comune sono influenzati da una singola cosa
corporea. Dico singola: l'immaginazione infatti è influenzata solo dalle cose singole: per esempio se
qualcuno legge un'unica commedia amorosa la ricorderà perfettamente finché non ne leggerà altre
dello stesso genere, poiché allora essa sola avrà vigore nell'immaginazione: ma se ve ne sono
diverse dello stesso genere le immagineremo tutte insieme e le confonderemo facilmente. Dico
anche corporea: infatti l'immaginazione è influenzata solo dai corpi. Poiché dunque la memoria è
corroborata dall'intelletto, ma anche senza intelletto, concludiamo che essa è qualcosa di diverso
dall'intelletto stesso, e che nell'intelletto considerato in sé non si dà né memoria, né oblio. [83] Che
cosa sarà allora la memoria? Nient'altro che la sensazione delle impressioni del cervello, insieme
con il pensiero rivolto alla determinata durata della sensazione; 39 il che è manifestato anche dalla
riminiscenza. Infatti qui l'anima pensa a quella sensazione, ma non come durata continua; e così
l'idea di tale sensazione non è essa stessa la durata della sensazione, cioè la stessa memoria. Se
invero le idee stesse siano soggette a qualche corruzione, lo vedremo nella Filosofia. E se a
qualcuno questo sembra completamente assurdo è sufficiente al nostro proposito che costui pensi
che quanto più una cosa è singolare, tanto più facilmente viene ricordata, così come risulta evidente
dall'esempio della commedia appena addotto. Inoltre quanto più una cosa è intelligibile, tanto più
facilmente anche viene ricordata. Perciò non potremo non ricordare quello che è sommamente
singolare e intelligibile.
[84] Così dunque abbiamo distinto tra l'idea vera e le altre percezioni e abbiamo mostrato
che le idee finte, false e le altre hanno la loro origine nell'immaginazione, cioè da alcune sensazioni
fortuite e, per così dire, disordinate, che non sorgono dalla potenza stessa della mente ma da cause
esterne, in quanto il corpo, vuoi sognando, vuoi vegliando, subisce vari moti. O, se piace, si intenda
qui per immaginazione ciò che si vuole, purché sia qualcosa di diverso dall'intelletto e sia qualcosa
per cui l'anima abbia un ruolo passivo; infatti è lo stesso qualunque cosa si intenda, dopo che si è
compreso che l'immaginazione è qualcosa di vago e che di fronte a essa l'anima è passiva, e
contemporaneamente si è compreso in che modo con l'aiuto dell'intelletto possiamo liberarci da
essa. Perciò anche nessuno si meravigli che io qui non dimostri ancora che esistono un corpo e le
altre cose necessarie e che tuttavia parli di immaginazione, del corpo e della sua costituzione. Per
l'appunto, come ho detto, è indifferente che cosa si intenda purché si sappia che è qualcosa di vago
eccetera.
[85] Ma abbiamo mostrato che l'idea vera è semplice, o composta di idee semplici, e che
mostra in che modo e perché qualcosa sia o sia stato fatto, e che i suoi effetti oggettivi nell'anima
progrediscono proporzionalmente alla formalità del suo oggetto; ciò che è lo stesso che dissero gli
antichi, appunto che la vera scienza procede dalla causa all'effetto; se non che non concepirono mai,
per quanto ne so, che la mente agisca secondo leggi certe e quasi come un automa spirituale, come
facciamo noi qui. [86] Perciò, nella misura in cui all'inizio era lecito, abbiamo acquisito una

39 [d] Se invece la durata è indeterminata, la memoria della cosa in questione è imperfetta, il che sembra sia stato
insegnato a ognuno dalla natura. Spesso infatti, per credere meglio a qualcuno in ciò che ci dice gli chiediamo
quando e dove questo è capitato. Benché anche le idee stesse abbiano una loro durata nella mente, tuttavia poiché
siamo abituati a determinare la durata con l'aiuto di qualche misura del moto, il che avviene anche grazie
all'immaginazione, finora non osserviamo nessun ricordo che si origini dalla pura mente.

25
conoscenza del nostro intelletto e una tale norma dell'idea vera da non temere ora di confondere la
verità con la falsità o la finzione; né ci meraviglieremo del perché comprendiamo certe cose che non
cadono in alcun modo sotto l'immaginazione e nell'immaginazione se ne trovino altre che senz'altro
si oppongono all'intelletto; che altre infine convergano con l'intelletto; poiché sappiamo che quelle
operazioni da cui le immaginazioni vengono prodotte obbediscono ad altre leggi, del tutto diverse
da quelle dell'intelletto, e che per quanto riguarda l'immaginazione l'anima ha un ruolo soltanto
passivo. [87] Da questo è evidente anche quanto facilmente coloro che non hanno distinto
accuratamente tra l'immaginazione e l'intellezione possano essere tratti in gravi errori, per esempio
in questi: che l'estensione debba trovarsi in un luogo, che debba essere finita, che le sue parti si
distinguono realmente le une dalle altre, che sia il primo e unico fondamento di tutte le cose e che in
un momento occupi uno spazio più grande che in un altro, e molte altre cose di tal genere che
contrastano del tutto con la verità, come a suo luogo mostreremo.
[88] Infine poiché le parole sono parte dell'immaginazione, cioè poiché nella misura in cui
vengono unite in ordine sparso nella memoria sulla base di qualche disposizione del corpo fingiamo
molti concetti, è fuor di dubbio che anche le parole, come l'immaginazione, possono essere causa di
molti e gravi errori se non ce ne guardiamo con grande attenzione. [89] Si aggiunga a questo che
esse sono costituite arbitrariamente e secondo le capacità del popolo, a tal punto che non sono altro
che segni delle cose come si trovano nell'immaginazione e non come si trovano nell'intelletto; il che
emerge con chiara evidenza dal fatto che a tutte quelle cose che si trovano solo nell'intelletto e non
nell'immaginazione furono dati spesso nomi negativi, come incorporeo, infinito, eccetera, e che
persino molti che invece sono affermativi furono espressi negativamente, come increato,
indipendente, infinito, immortale, eccetera, poiché senza dubbio immaginiamo i loro contrari molto
più facilmente e perciò questi vennero in mente per primi ai primi uomini, usurpando i nomi
positivi; e viceversa. Affermiamo e neghiamo molte cose perché la natura delle parole, e non invero
la natura delle cose, ammette che ciò sia affermato o negato; al punto che, ignorando questa,
riterremo facilmente vero qualcosa di falso.
[90] Evitiamo inoltre un'altra grande causa di confusione che fa anche sì che l'intelletto non
rifletta su se stesso: appunto il fatto che quando non distinguiamo tra immaginazione e intellezione
riteniamo che le cose che immaginiamo più facilmente ci siano più chiare e riteniamo di
comprendere ciò che immaginiamo. Per cui mettiamo prima le cose che vanno messe dopo, e così si
sovverte il retto ordine con cui si deve procedere e non si conclude niente di legittimo.

[4. Seconda e terza parte del Metodo]

[a. Sulle condizioni per giungere a corrette definizioni]

[91] Quindi, per venire infine alla seconda parte di questo Metodo, proporrò prima il nostro scopo
in questo Metodo e poi i mezzi per raggiungerlo. 40 Lo scopo dunque è avere idee chiare e distinte,
tali cioè che siano originate dalla pura mente, e non da moti fortuiti del corpo. Poi, per ricondurre a
una tutte le idee, tenteremo di concatenarle e ordinarle in un modo tale che la nostra mente, nella
misura in cui ne è capace, riproduca oggettivamente la formalità della natura nel suo complesso e
nelle sue parti.
[92] Quanto alla prima cosa, come abbiamo già detto, è richiesto per il nostro fine ultimo
che la cosa sia concepita o per mezzo della sua sola essenza, o per mezzo della sua causa prossima.
Cioè se la cosa esiste in sé, o, come si dice comunemente, è causa di sé, allora dovrà essere
compresa per mezzo della sua sola essenza; se invece la cosa non esiste in sé, ma ha bisogno di una
causa per esistere, allora dovrà essere compresa per mezzo della sua causa prossima: infatti invero

40 [e] La Regola principale di questa parte, come segue da quanto detto nella prima parte, è di passare in rassegna tutte
le idee che troviamo in noi originate dal puro intelletto per distinguerle da quelle che immaginiamo; questa
distinzione dovrà essere ricavata dalle proprietà di ciascuna, cioè dell'immaginazione e dell'intellezione.

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la conoscenza dell'effetto non è altro che l'acquisizione della conoscenza più perfetta della causa. 41
[93] Per cui, fintantoché ci occuperemo dell'Indagine delle cose, non ci sarà mai permesso
concludere qualcosa a partire dall'astratto, e faremo la massima attenzione a non mescolare ciò che
si trova solo nell'intelletto con ciò che si trova nelle cose. Bensì la conclusione migliore dovrà
essere ricavata dall'essenza affermativa di qualcosa di particolare, cioè da una definizione vera e
appropriata. Infatti a partire solo da assiomi universali l'intelletto non può discendere alle cose
particolari, dal momento che gli assiomi si estendono a infinite cose e non determinano l'intelletto a
contemplare più una certa cosa singolare che un'altra. [94] Perciò la retta via della ricerca consiste
nel formare i pensieri a partire da qualche definizione data: il che procede tanto più facilmente e
felicemente quanto meglio si è definita una certa cosa. Perciò il cardine di tutta questa seconda parte
del Metodo consiste solamente in questo, cioè nella conoscenza delle condizioni di una buona
definizione e poi nel modo di trovarle. Perciò tratterò prima di tutto delle condizioni della
definizione.
[95] Affinché una definizione possa dirsi perfetta dovrà spiegare l'intima essenza della cosa
e garantire che non assumiamo al suo posto qualche proprietà. Per spiegare questo, al fine di
omettere altri esempi (perché non sembri che voglio correggere gli errori altrui) porterò solo
l'esempio di una cosa astratta che può essere definita indifferentemente in qualunque modo, cioè il
cerchio: se esso è definito come la figura in cui le linee tratte dal centro alla circonferenza sono
uguali, tutti vedono che tale definizione non spiega affatto l'essenza del cerchio, ma solo una sua
proprietà; e benché, come dicevo, questo riguardi poco le figure e gli altri enti della ragione, tuttavia
riguarda molto da vicino gli enti Fisici e reali: soprattutto perché le proprietà delle cose non
vengono comprese fintantoché le loro essenze sono ignote, e se queste vengono tralasciate
necessariamente la concatenazione dell'intelletto, che deve riprodurre la concatenazione della
Natura, sarà sovvertita, e noi ci allontaneremo del tutto dal nostro scopo. [96] Affinché quindi noi ci
liberiamo da questo vizio, queste cose dovranno essere osservate nella Definizione.
1. Se la cosa è stata creata, la definizione dovrà, come abbiamo detto, comprendere la sua
causa prossima. Per esempio il cerchio secondo questa legge dovrà essere definito come la figura
che viene descritta da una linea qualunque di cui un'estremità è fissa e l'altra mobile – definizione
che comprende chiaramente la causa prossima.
2. È necessario un concetto, ovvero definizione, della cosa tale che da esso possano essere
dedotte tutte le proprietà di tale cosa fintantoché essa viene considerata per sé sola e non in
congiunzione con altre, così come si può vedere in questa definizione del cerchio. Infatti da essa si
conclude chiaramente che tutte le linee condotte dal centro alla circonferenza sono uguali; e che
questo sia un requisito necessario della definizione è talmente chiaro, per sé stesso, agli occhi di chi
vi presta attenzione che non sembra che valga la pena di indugiare in una dimostrazione di questo
fatto, e nemmeno di dimostrare che in base a questo secondo requisito ogni definizione deve essere
affermativa. Parlo dell'affermazione intellettiva e do poco peso a quella verbale, che a causa della
debolezza delle parole potrebbe forse a volte essere espressa negativamente, benché sia
intellettivamente compresa in modo affermativo.
[97] I requisiti della Definizione di una cosa increata sono invece questi.
1. Che escluda ogni causa, cioè che l'oggetto non abbia bisogno per la sua spiegazione di
nient'altro che il suo stesso essere.
2. Che data la definizione di questa cosa non resti più alcuno spazio per interrogarsi se essa
esista.
3. Che, quanto alla mente, non abbia alcun sostantivo che possa essere aggettivato, cioè che
non sia spiegata per mezzo di cose astratte.
4. E infine (benché notare questo non sia davvero necessario) è richiesto che dalla sua
definizione si deducano tutte le sue proprietà. Anche tutte queste cose risultano manifeste a chi
seriamente presta attenzione.
[98] Dicevo anche che la conclusione migliore dovrà essere dedotta da un'essenza
41 [f] Nota che da questo è evidente che non possiamo conoscere ⟨legittimamente⟩ nulla della Natura senza
contemporaneamente rendere più ampia la conoscenza della causa prima, cioè di Dio.

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particolare affermativa: quanto più infatti un'idea è speciale, tanto più è distinta e quindi chiara. Per
cui noi dobbiamo ricercare il più possibile la conoscenza delle cose particolari.

[b. Sull'ordine in cui procedere nella conoscenza]

[99] Invero quanto all'ordine, e affinché tutte le nostre percezioni siano ordinate e unite, è
necessario che il prima possibile e appena la ragione lo richiede indaghiamo se si dia un ente che è
causa di tutte le cose e allo stesso tempo quali siano le sue proprietà, affinché la sua essenza
oggettiva sia anche la causa di tutte le nostre idee; allora la nostra mente, come abbiamo detto,
riprodurrà al meglio la Natura: infatti possiederà oggettivamente sia la sua essenza, sia il suo ordine,
sia la sua unione. Da questo possiamo vedere che è per noi assolutamente necessario dedurre
sempre tutte le nostre idee da cose Fisiche o da enti reali, procedendo, per quanto è possibile,
secondo la serie causale da un ente reale a un altro ente reale, e così senz'altro affinché non
passiamo a cose astratte e universali, ovvero affinché da cose di questo genere non concludiamo
qualcosa di reale né concludiamo cose di questo genere a partire da qualcosa di reale: entrambe
queste cose infatti interrompono il vero progresso dell'intelletto. [100] Ma bisogna notare che io qui
quando parlo di serie delle cause e degli enti reali non intendo una serie di cose singole mutevoli,
ma solo una serie di cose fisse ed eterne. La serie di cose singole mutevoli infatti sarebbe
impossibile da comprendere per la debolezza dell'intelletto umano, da una parte per via del fatto che
il loro numero supera ogni moltitudine, dall'altra per via del fatto che in una stessa cosa vi sono
infinite circostanze una qualunque delle quali può essere la causa che la cosa esista o non esista; dal
momento che la loro esistenza non ha alcuna connessione con la loro essenza, ovvero, come
abbiamo già detto, non è una verità eterna. [101] D'altro canto non è nemmeno necessario che noi
comprendiamo una tale serie se è vero che le essenze delle cose singole mutevoli non possono
essere dedotte da tale serie, cioè dall'ordine in cui esistono, poiché essa qui non ci offre altro che le
denominazioni estrinseche, le relazioni e insomma le circostanze: tutte cose che sono molto lontane
dall'intima essenza delle cose. Questa invero deve essere ricercata solo a partire da cose fisse ed
eterne e contemporaneamente dalle leggi che sono scritte in queste cose come nei loro propri codici,
secondo le quali tutte le cose singole avvengono e sono ordinate; in ultimo queste cose singole
mutevoli dipendono in modo così intimo e, per così dire, essenziale da quelle fisse da non poter
essere né essere concepite senza esse. Per cui queste cose fisse ed eterne, benché siano singolari, a
causa della loro ubiqua presenza e della loro grandissima potenza saranno per noi come universali,
ovvero generi delle definizioni delle cose singole mutevoli e cause prossime di tutte le cose.
[102] Ma, poiché è così, sembra che incombano non poche difficoltà sul nostro tentativo di
pervenire alla conoscenza di queste cose singole: infatti concepire tutte le cose
contemporaneamente è molto al di sopra delle forze dell'intelletto umano, mentre l'ordine con cui le
cose possano essere comprese una dopo l'altra, come abbiamo detto, non deve essere ricercato a
partire dalla serie in cui esistono, e nemmeno a partire dalle cose eterne – quanto a queste, infatti,
esse per natura sono tutte simultanee. Quindi bisogna necessariamente cercare altri strumenti oltre
quelli di cui ci serviamo per comprendere le cose eterne e le loro leggi; tuttavia non è questo il
luogo opportuno per trattarne, e non è nemmeno necessario farlo se non dopo che avremo acquisito
una conoscenza sufficiente delle cose eterne e delle loro leggi infallibili e ci si sarà chiarita la natura
dei nostri sensi.
[103] Prima che ci accingiamo a conoscere le cose singolari sarà tempo di trattare di quegli
strumenti che tendono tutti a che noi impariamo a servirci dei nostri sensi e fare (in accordo con
leggi certe e con ordine) esperimenti che bastino a determinare la cosa che è ricercata, affinché
infine da essi concludiamo secondo quali leggi delle cose eterne essa sia fatta e la sua intima natura
ci si chiarisca, come mostrerò a suo luogo. Ora, per tornare al mio proposito, mi sforzerò solo di
comunicare le cose che sembrano necessarie affinché possiamo pervenire alla conoscenza delle cose
eterne e formare le loro definizioni in accordo con le condizioni viste sopra.
[104] Per fare questo bisogna richiamare alla memoria ciò che dicevamo sopra, cioè che,

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quando la mente si dedica a qualche pensiero per considerarlo correttamente e dedurre a partire da
esso nell'ordine giusto le cose che devono esserne dedotte, se tale pensiero fosse falso la mente lo
scoprirebbe; mentre se è vero allora procede senza alcuna interruzione a dedurre felicemente da
esso altre idee vere; il che, dico, è richiesto dalla nostra questione. Infatti i nostri pensieri non
possono essere determinati da alcun altro fondamento. [105] Se dunque vogliamo investigare la
cosa che viene prima di tutte è necessario che si dia un fondamento che diriga verso di essa i nostri
pensieri. Quindi, poiché il Metodo è la stessa conoscenza riflessiva, questo fondamento che deve
dirigere i nostri pensieri non può essere altro che la conoscenza di ciò che costituisce la forma della
verità e la conoscenza dell'intelletto e delle sue proprietà e forze: acquisito infatti tutto questo
avremo un fondamento da cui dedurre i nostri pensieri e una via per mezzo della quale l'intelletto,
fin dove lo porta la sua capacità, potrà pervenire a conoscere le cose eterne, calcolate appunto le sue
forze.

[c. Sulle forze dell'intelletto e le sue proprietà]

[106] Se davvero appartiene alla natura del pensiero il formare idee vere, come è stato mostrato
nella prima parte, ora bisogna indagare che cosa intendiamo parlando di forze e potenza
dell'intelletto. Poiché invero la parte precipua del nostro Metodo consiste nel conoscere nel modo
migliore le forze dell'intelletto e la sua natura, siamo costretti necessariamente (per via di quello che
ho detto nella seconda parte del Metodo) a dedurre queste cose dal pensiero stesso e dalla
definizione dell'intelletto. [107] Ma fino a qui non abbiamo avuto nessuna regola per trovare le
definizioni, e poiché non possiamo comunicare regole del genere se non conoscendo la natura,
ovvero la definizione, dell'intelletto e la sua potenza, ne segue che o la definizione dell'intelletto
dev'essere chiara per sé o noi non possiamo comprendere nulla. Essa però non è assolutamente
chiara per sé; e tuttavia poiché le sue proprietà, come tutto ciò che abbiamo dall'intelletto, non
possono essere percepite chiaramente e distintamente se non è nota la loro natura, si deduce che la
definizione dell'intelletto è per sé chiara se ci concentriamo sulle sue proprietà che comprendiamo
chiaramente e distintamente. Quindi elenchiamo qui le proprietà dell'intelletto, valutiamole
attentamente e cominciamo a trattare dei nostri strumenti innati. 42
[108] Le proprietà dell'intelletto che notavo principalmente e che comprendo chiaramente
sono queste.
1. Che comporta la certezza, cioè che sa che le cose sono, formalmente, nello stesso modo in
cui sono contenute oggettivamente in esso.
2. Che percepisce qualcosa, ovvero forma certe idee assolutamente, certe a partire da altro.
Certamente forma l'idea della quantità assolutamente, senza considerare altri pensieri; invece non
forma le idee del moto se non considerando l'idea della quantità.
3. Le idee che forma assolutamente esprimono un'infinità, mentre a partire da altro forma
idee determinate. Infatti se percepisce per mezzo di qualche causa l'idea della quantità, allora la
determina per mezzo della quantità, come percepisce che il volume si origina dal movimento di un
piano, che invece il piano si origina dal movimento di una linea e che infine la linea si origina dal
moto di un punto; percezioni queste che senz'altro non servono a comprendere la quantità, ma solo a
determinarla. E questo è evidente dal fatto che concepiamo che esse sorgono quasi dal moto, mentre
il moto non viene percepito se non è percepita la quantità, e inoltre possiamo continuare all'infinito
il moto che forma la linea, il che non potremmo affatto fare se non possedessimo l'idea della
quantità infinita.
4. Forma prima le idee positive che quelle negative.
5. Percepisce le cose non tanto sotto l'aspetto della durata quanto sotto una certa specie di
eternità, e in numero infinito. O piuttosto nel percepire le cose non considera né il numero né la
durata, mentre nell'immaginare le cose le percepisce sotto un certo numero e una determinata durata

42 [g] Si veda sopra, pp. 13-14 e segg. [Pagine dell'edizione di Gebhardt corrispondenti ai §§ 27-34 e segg. N.d.T.]

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e quantità.
6. Le idee chiare e distinte che formiamo sembrano derivare solo dalla necessità della nostra
natura tanto che sembrano dipendere assolutamente solo dalla nostra potenza. Per quelle confuse
vale, invece, il contrario, e infatti sono spesso formate da noi involontariamente.
7. La mente può determinare in molti modi le idee delle cose che l'intelletto forma a partire
da altro: come, ad esempio, per determinare il piano di un'ellisse essa finge che uno stilo attaccato a
una corda si muova intorno a due centri, o concepisce infiniti punti aventi sempre lo stesso certo
rapporto con una linea retta, o un cono tagliato da qualche piano obliquo in modo che l'angolo con
cui questo è inclinato sia maggiore dell'angolo al vertice del cono, o in infiniti altri modi.
8. Quanto più le idee esprimono della perfezione di un certo oggetto tanto più sono perfette.
Infatti l'artigiano che ha progettato un'edicola non è ammirato tanto quanto quello che ha progettato
un tempio straordinario.
[109] Non indugio nelle altre cose che riguardano il pensiero, come l'amore, la felicità,
eccetera: infatti esse non fanno al caso del nostro compito attuale, e non possono essere nemmeno
concepite se non dopo aver conosciuto l'intelletto, e queste cose, tolta completamente tale
conoscenza, vengono tutte eliminate.
[110] Le idee false e finte, come abbiamo abbondantemente mostrato, non hanno niente di
positivo per cui vengono dette false o finte, bensì sono considerate tali solo per un difetto della
conoscenza. Dunque le idee false e finte, nella misura in cui sono tali, non possono insegnarci nulla
dell'essenza del pensiero; questa dev'essere bensì ricercata a partire dalle proprietà positive che
abbiamo poco fa esaminato; cioè ora bisogna stabilire qualcosa di comune a partire dal quale queste
proprietà seguano necessariamente, ovvero dato il quale queste necessariamente si diano, e tolto il
quale tutte siano tolte.

Il resto è mancante.

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