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KOINΩNIA

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2021
KOINΩNIA
Rivista dell’Associazione Internazionale di Studi Tardoantichi
Comitato scientifico: Franco Amarelli (Università degli Studi di Napoli Federico II) – Francesco
Arcaria (Università degli Studi di Catania) – Gaetano Arena (Università degli Studi di Catania) –
Bruno Bureau (Université de Lyon 3) – Jean-Michel Carrié (École des Hautes Études en Sciences
Sociales, Paris) – Francesco Paolo Casavola (Università degli Studi di Napoli Federico II, Presidente
emerito della Corte Costituzionale) – Donato Antonio Centola (Università degli Studi di Napoli
Federico II) – Fabrizio Conca (Università degli Studi di Milano) – Chiara Corbo (Università degli
Studi di Napoli Federico II) – Jean-Pierre Coriat (Université Panthéon-Assas Paris II) – Lellia
Cracco Ruggini (Università degli Studi di Torino, Accademia dei Lincei) – Ugo Criscuolo
(Università degli Studi di Napoli Federico II, Direttore) – Giovanni Cupaiuolo (Università degli
Studi di Messina) – Lucio De Giovanni (Università degli Studi di Napoli Federico II, Presidente
dell’Associazione Internazionale di Studi Tardoantichi, Condirettore) – Lietta De Salvo (Università
degli Studi di Messina) – Emilio Germino (Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli) –
Andrea Giardina (Scuola Normale Superiore di Pisa, Accademia dei Lincei) – Mario Lamagna
(Università degli Studi di Napoli Federico II) – Renzo Lambertini (Università degli Studi di
Modena e Reggio Emilia) – Orazio Licandro (Università degli Studi di Catania) – Detlef Liebs
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Educación a Distancia, Madrid) – Arnaldo Marcone (Università degli Studi Roma Tre) – Grazia
Maria Masselli (Università degli Studi di Foggia) – Giulio Massimilla (Università degli Studi di
Napoli Federico II) – Giuseppina Matino (Università degli Studi di Napoli Federico II) – Daniela Milo
(Università degli Studi di Napoli Federico II) – Claudio Moreschini (Università degli Studi di Pisa) –
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Federico II) – Laurent Pernot (Université de Strasbourg) – Teresa Piscitelli (Università degli Studi di
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di Parma) – Umberto Roberto (Università degli Studi di Napoli Federico II) – Marcello Rotili
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am Main) – Adriaan Johan Boudewijn Sirks (University of Oxford) – Marisa Squillante (Università
degli Studi di Napoli Federico II) – Luigi Tartaglia (Università degli Studi di Napoli L’Orientale) –
Domenico Vera (Università degli Studi di Parma) – Nigel Guy Wilson (University of Oxford).
Comitato editoriale: Maria Consiglia Alvino – Maria Vittoria Bramante – Maria Carmen De Vita –
Loredana Di Pinto – Alessio Guasco – Assunta Iovine – Emanuela Malafronte – Giulia Marconi –
Aglaia McClintock – Giovanna Daniela Merola – Valerio Massimo Minale – Cristiano Minuto –
Giuseppina Maria Oliviero Niglio – Paola Pasquino – Francesco Pelliccio – Antonella Prenner –
Margherita Scognamiglio.
Coordinamento di redazione: Daniela Milo (Responsabile).
Collaboratori: Valentina Caruso – Isabella D’Auria – Giuseppe Nardiello – Antonio Stefano Sembiante.
I lavori proposti per le Note e discussioni andranno inviati al seguente indirizzo: Redazione di Koinonia,
Prof. Daniela Milo, Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Napoli Federico II - Via
Porta di Massa, 1 - 80133 Napoli.
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ISSN 0393-2230
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Reg. Trib. Napoli n. 2595 del 22 ottobre 1975 - D. A. Centola, Direttore responsabile
De falsa moneta

1. Queste pagine intendono discutere un’opera che affronta con rigore e


acutezza un argomento non frequentato spesso dalla dottrina romanistica: la
ricerca in merito alla persecuzione del falso nummario svolta lungo la catena
concettuale coniazione-moneta-falsificazione, con costante attenzione non solo
agli aspetti giuridici, ma anche agli apporti che vengono dalla scienza numisma-
tica e dallo studio del contesto storico-sociale.
Dopo una breve introduzione (pp. 1-5), il primo capitolo (Falso nummario
ed editto del pretore, pp. 7-33) è dedicato all’analisi delle fonti relative alla repres-
sione del falso nummario introdotta dal pretore nel corso del I secolo a.C.
Viene preso in considerazione, innanzitutto, il passaggio della Naturalis
Historia di Plinio il Vecchio (33, 46, 132), in cui si narra come, intorno all’85
a.C., a causa delle frequenti falsificazioni di monete, si fosse reso necessario
istituire l’arte che insegnava a riconosce una moneta falsa da una vera, per
svolgere la quale a volte era necessario acquistare delle monete false, pagandole
anche più del valore che avrebbero avuto se fossero vere. Inoltre, i tribuni della
plebe avevano sollecitato e ottenuto una riforma che rendesse più sicuro
l’utilizzo delle monete e punisse i contraffattori. Il testo parla di una lex che fu
molto gradita alla plebe, al punto che furono dedicate in segno di ringrazia-
mento varie statue al suo autore, Marco Gratidiano: Vinci esclude che si faccia
riferimento a una legge pubblica e ritiene piuttosto che il richiamo sia alla lex
annua del pretore, il quale avrebbe introdotto nel suo editto una clausola (una
lex appunto), con cui avrebbe istituzionalizzato l’ars denarios probandi, attività
che permetteva una sorta di tutela preventiva nei confronti del falso.
La stessa vicenda è descritta con maggiori dettagli tecnico-giuridici da Cicerone
nel de officis (3, 20, 80s.): l’Arpinate afferma che, in seguito alla sollecitazione
giunta dai tribuni della plebe, tutti i pretori di quell’anno si sarebbero riuniti e
avrebbero emanato communiter un edictum cum poena atque iudicio, provvedi-
mento di cui si sarebbe poi preso il merito il solo Gratidiano. La procedura
introdotta era finalizzata a reprimere le condotte di coloro che approfittavano
della pesante instabilità monetaria dell’epoca.
Al termine di un’attenta analisi della complessa situazione politico-econo-
mica, l’a. giunge a escludere che si sia trattato di una persecuzione di natura
pubblicistica, la quale avrebbe anticipato di poco la repressione sillana, e ritiene
invece sicuro che l’intervento pretorio si sarebbe attuato tramite l’inserimento


A proposito di M. Vinci, ‘De falsa moneta’. Ricerche in tema di falso nummario tra diritto
romano e numismatica (L’arte del diritto, Collana diretta da Luigi Garofalo), Napoli, 2020,
p. X-184.
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nell’editto di una nuova azione in factum. Ipotizza, inoltre, che l’intentio di tale
nuova azione facesse riferimento a un falsam monetam tradere, accertato il quale
il giudice avrebbe condannato la persona che aveva consegnato dolo malo
monete adulterate a un multiplo (forse il doppio) della somma indicata nel-
l’intentio.
La ricostruzione proposta appare alquanto congetturale, considerate le
scarse e ambigue notizie fornite dalle fonti; in particolare, il fatto che Plinio parli
di lex e Cicerone dica che tutti i pretori di quell’anno conscripserunt communiter
edictum cum poena atque iudicio farebbe pensare più a un provvedimento di
stampo pubblicistico e non alla semplice introduzione di un’azione pretoria nel
processo formulare.

2. Dall’analisi dei testi del Digesto e delle Pauli Sententiae svolta nel
secondo capitolo (Falso nummario tra ‘lex Cornelia’ ed interpretazione dei giuristi
romani, pp. 35-87) emerge come l’idea centrale del falso nummario consistesse
nella tutela della moneta in senso materiale, quale metallo prezioso che veniva
alterato perdendo la garanzia di autenticità. In questo senso, si possono leggere
le fattispecie più importanti descritte nelle principali fonti che vengono analiz-
zate dall’autore (Ulp. 8 de off. proc. D. 48, 10, 9 pr.-1 e il corrispondente Paul.
Sent. 5, 25, 5; Ulp. 7 de off. proc. D. 48, 10, 8 e i corrispondenti Paul. Sent. 5,
25, 1-1a).
Tra le molteplici attività materiali che integravano il crimine, elencate in
modo ampio e ridondante secondo quell’esigenza di completezza tipica delle
leggi repubblicane, l’a. dedica un’attenzione particolare alle fattispecie più
complesse, come il nummos aureos argenteos lavare (Paul. Sent. 5, 25, 1): met-
tendolo in relazione con il tingere di Ulpiano, ritiene che starebbe a indicare un
mutamento esteriore della moneta, ottenuto attraverso la sua immersione in un
reagente chimico.
Più delicata l’interpretazione del conflaverit, presente nel testo paolino,
confrontato con il flare del frammento ulpianeo; i due verbi indicano la
produzione di monete false attraverso delle fusioni di metallo e potrebbero
essere legati da una prospettiva di complementarietà: nel primo la moneta
falsificata sarebbe il punto di arrivo della fusione di metalli non preziosi, mentre
nel secondo le monete autentiche sarebbero il punto di partenza del crimine,
perché venivano fuse per produrne di nuove false.
Maggiore spazio viene dedicato alla fattispecie del vultum principum
signatam monetam praeter adulterinam reprovare (Paul. Sent. 5, 25, 1), dalla
quale affiora un ampliamento concettuale del crimen falsi, in quanto è assente
un’attività di modificazione materiale della moneta e la condotta del criminale è
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puramente omissiva: il rifiuto delle monete autentiche, che si riflette anche in


un’offesa all’imperatore, è punito perché ostacola la circolazione monetaria.
Del resto, oltre a tutte le attività materiali di contraffazione delle monete,
era perseguito anche il nummos stagneos emere vendere dolo malo (Ulp. 8 de off.
proc. D. 48, 10, 9, 2) che, secondo Vinci, non farebbe riferimento a una semplice
compravendita con un acquirente di buona fede, ma a un complesso disegno
criminoso, consistente nell’incarico dato a un opifex corrotto di produrre delle
monete alterate, acquistate in seguito dal committente; naturalmente la sanzione
avrebbe colpito entrambe le parti contrattuali, ben consapevoli dell’illiceità della
condotta.
Decisamente originale l’interpretazione proposta per il caso di qui falsam
monetam percusserit, si id totum formare noluerunt (Paul. 5 Sent. D. 48, 10, 19 =
Paul. Sent. 5, 25, 1a): a detta dell’A., non si tratterebbe né di tentativo né di
desistenza, ma se ne potrebbe desumere che l’elemento costitutivo del crimine
sarebbe lo spaccio delle monete contraffatte; l’accusato sarebbe dunque assolto
perché il fatto non costituisce reato. L’a. è giustamente cauto nel proporre questa
ipotesi interpretativa: infatti, se davvero si dovesse ritenere che il requisito dello
spaccio fosse essenziale al fine di consumare qualunque ipotesi di falso numma-
rio, le conseguenze in via generale sarebbero dirompenti.
Fattispecie vicine al falso nummario sono contenute nel titolo 48, 13 del
Digesto dedicato ad legem Iuliam peculatus et de sacrilegis et de residuis; nel primo
frammento (Ulp. 44 ad Sab.) si tratta del caso di quis in aurum argentum aes
publicum quid indat neve immisceat in modo tale da diminuire il valore
intrinseco della pecunia publica. Per giustificare la presenza anche del bronzo tra
i materiali preziosi (che non compare più nel corrispondente passo dei Basilici),
Vinci si ricollega alla riforma monetaria augustea, nell’ottica della quale la
finalità della persecuzione criminale era la tutela della purezza del conio,
qualunque fosse il metallo utilizzato: non rilevava tanto il profitto che ne potesse
ricavare il falsario, quanto la qualità della moneta uscita dalla zecca.
Che il frammento 48, 13, 8 fosse collocato nel contesto del falso nummario
è provato dal fatto che proviene dal settimo libro del commentario sull’ufficio
del proconsole di Ulpiano e che Lenel ne colloca il principium subito prima di D.
48, 10, 8 e il primo paragrafo subito dopo. Le fattispecie criminose descritte nel
principio possono essere compiute solo da persone impiegate nelle zecche
pubbliche, le quali hanno la possibilità di coniare delle monete per se stessi
oppure di rubare delle monete già coniate; dal momento che in entrambe le
condotte è esclusa la contraffazione monetaria, il giurista non ha difficoltà a
ricondurle al furto, in particolare al furtum publicae monetae, che può essere
avvicinato al peculato (quod ad peculatus crimen accedit).
Al medesimo ambito criminale sarebbe da ricondurre anche il caso trattato
nel primo paragrafo, cioè il furto di oro o di argento dalle miniere imperiali
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destinato alla coniazione di monete, punito, in base a un editto di Antonino Pio,


con l’esilio o i lavori forzati in miniera. L’a. osserva come ci sia stato bisogno di
un intervento imperiale per ricondurre questa fattispecie al peculato, in quanto
l’oggetto del reato, inteso come moneta pubblica, qui ancora non esiste e la
giurisprudenza non avrebbe avuto la ‘forza’ di accorciare la distanza, sia fisica
che giuridica, che separa il metallo grezzo dalla moneta coniata.
Infine, nel finale del paragrafo si afferma che sarà punito con la pena del
quadruplo, come se avesse commesso un furto manifesto, chi agevoli il ladro del
metallo dalle miniere imperiali (sanzionato anche con l’infamia) e chi, ricevuto
quel metallo, lo abbia fuso in modo da impedire l’accertamento della sua
provenienza.

3. Il terzo capitolo (Falso nummario e politiche imperiali: sistematiche e


contenuti a confronto, pp. 90-173) è dedicato a un’analitica esegesi dei numerosi
provvedimenti imperiali dedicati al tema da Costantino a Giustiniano. La
notevole elasticità del crimine repubblicano – che dalla protezione del metallo
prezioso di cui era composta la moneta si era allargato fino a ricomprendere
anche l’ipotesi del rifiuto di monete autentiche – permetterà agli imperatori di
punire a quel titolo condotte lesive di interessi sempre più vasti, fino ad arrivare
alla sua assimilazione al crimine di lesa maestà.
Il Codice Teodosiano presenta una sequenza cronologica delle 13 costitu-
zioni in argomento, suddivise in tre titoli: 9, 21 (De falsa moneta), 9, 22 (Si quis
solidi circulum exteriorem inciderit vel adulteratum in vendendo subiecerit), 9, 23
(Si quis pecunias conflaverit vel mercandi causa transtulerit aut vetitas contrectaverit).
La meticolosità nella descrizione delle condotte e nell’articolazione delle
sanzioni, che caratterizza i quattro provvedimenti di Costantino (CTh. 9, 21, 1-
4), si giustifica con la stringente preoccupazione per la tutela dell’autenticità
della moneta, nel quadro di quella che Andrea Giardina ha chiamato «rivolu-
zione monetaria costantiniana».
Le tre costituzioni attribuibili al figlio Costanzo (CTh. 9, 21, 5-6; CTh. 9, 22, 1)
proseguono e inaspriscono la repressione introdotta dal padre, mentre la le-
gislazione di Valentiniano, Valente e Graziano (CTh. 9, 21, 7-8), accentuando
l’aspetto del monopolio imperiale sulla monetazione, pone le basi per la ricon-
duzione del falso monetario nell’alveo del crimen maiestatis, che sarà compiuta
da Teodosio.
Nella logica delle due costituzioni che chiudono il titolo 9, 21 (Valenti-
niano II, Teodosio e Arcadio CTh. 9, 21, 9-10) l’adulterazione della moneta è
punita perché rappresenta un grave oltraggio all’imperatore, ledendone le
prerogative di garante del sistema economico; sanzionata è, altresì, la coniazione
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privata di monete e addirittura la stessa istanza di concessione a coniare. In tal


modo, finisce per mutare lo stesso bene giuridico tutelato: «non più (tanto) la
genuinità sostanziale della moneta, quanto (piuttosto) la maiestas dell’impera-
tore, che di quella integrità è considerato sia garante sia espressione inalterabile»
(p. 136).
Il titolo CTh. 9, 23 contiene disposizioni accessorie che si allontanano
sempre più dal tema del falso, orientate principalmente a politiche di gestione
del circolante e non propriamente al contrasto della falsificazione monetaria; il
falso finisce per avvicinarsi al generico divieto di impiegare monete non più in
corso, come se, al cessarne la vigenza, la moneta perdesse anche la propria
autenticità.
Giustiniano non emana alcuna costituzione in materia e i suoi compilatori
riuniscono in un unico titolo (C. 9, 24 De falsa moneta) una cernita dei provve-
dimenti precedenti, che vengono anche sottoposti a opportuni tagli e adatta-
menti; ne risulta una disciplina organica e coerente, che ribadisce il principio
dell’esclusività in capo all’imperatore della coniazione e del controllo sugli
scambi monetari.
Un ultimo sguardo viene rivolto ai passi dei Basilici, dai quali risulta un
importante cambiamento di prospettiva: dal momento che il sistema sanzio-
natorio è depotenziato (dalla pena di morte si passa al taglio della mano), il falso
nummario sembra aver perduto la sua connotazione politica di offesa alla
maestà dell’imperatore.
Chiudono il libro alcune pagine di Considerazioni conclusive (pp. 175-178),
e gli indici degli autori (pp. 179-182) e delle fonti (pp. 183-184).
Si tratta di un’opera di sicuro pregio, che illustra esaustivamente con
apprezzabile chiarezza espositiva e con spunti originali un tema a cavallo tra
repressione criminale del falso, del furto e della lesa maestà.

PAOLA LAMBRINI

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