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ACTA philosophica

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ACTA
PHILOSOPHICA
Rivista internazionale di filosofia
fascicolo i volume 21 anno 2012

PISA ROMA
FABRIZIO SERRA EDITORE
MMXII
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SOMM A R IO

quaderno
christian freedom and the development of capitalism
Juan Andrs Mercado, Presentazione 00
Oreste Bazzichi, Appunti sulletica economica della Scuola francescana 00
Mauro Magatti, Monica Martinelli, Dentro e oltre le illusioni del ca-
pitalismo tecno-nichilista. Per un diverso immaginario della libert 00
Michael Novak, Creation theology in economics several catholic traditions 00
Martin Schlag, Iustitia est amor : Love as Principle of Social and Eco-

nomic Life ?

00
studi
Tommaso Valentini, La filosofia politica di Kant. Chiliasmo filosofico e di-
ritto cosmopolitico 00
note e commenti
Elena Irrera, Can a Good Citizen be a Good Ruler ? An Answer from Aristo-

tles Politics 00
forum
Francisco Fernndez Labastida Jean Grondin Gaspare Mura,
Hans-Georg Gadamer : un bilancio a dieci anni dalla morte

00
Maria Pia Chirinos - Matthew B. Crawford Marco DAvenia,
The Value of Manual Work 00
recensioni
Jean Grondin, Introduzione alla filosofia della religione (Marco Porta) 00
Karl Jaspers, Il male radicale in Kant (Giovanni Zuanazzi) 00
Antonio Livi, Filosofia del senso comune. Logica della scienza e della fede
( Juan Jos Sanguineti) 00
Antonio Malo, Io e gli altri. Dallidentit alla relazione (Paulin Sabuy
Sabangu) 00
schede bibliografiche
Agostino dIppona, De immortalitate animae - Limmortalit dellanima
(Niccol Turi) 00
ngel Guerra Sierra, Hombres de ciencia, hombres de fe (Mara ngeles
Vitoria) 00
8 sommario
Josep-Ignasi Saranyana, Breve historia de la filosofa medieval (France-
sco Russo) 00
Michel Serres, Tempo di crisi (Francesco Russo) 00
Pubblicazioni ricevute 000
quaderno
christian freedom
and the development of capitalism
PR ESENTA ZIONE
Juan A ndr s Mercado *

O gni tentativo di interpretare i processi storici ha dei limiti. La proposta


di Max Weber per spiegare le divergenze dellimpostazione morale nelle
chiese riformate e in quella cattolica ha segnato profondamente il dibattito
sulla concezione del lavoro e il suo ruolo nella vita cristiana e nella riflessio-
ne filosofica in generale. Il fatto che sociologi come Weber e Sombart o pi
recentemente Simmel e Berger, e altri autori come Rodney Stark presentino
riflessioni di ampio respiro sulla combinazione di elementi sociali, teologici,
ecc. per spiegare le dinamiche dello sviluppo sociale rende evidente la neces-
sit di affrontare questi argomenti in sede filosofica.
Nel presente quaderno monografico abbiamo voluto riprendere alcuni de-
gli elementi pi importanti della discussione, per mettere in evidenza la ric-
chezza del messaggio cristiano riguardante lordinamento sociale. Si tentato
di invitare alcuni autori che fossero in grado di spiegare diversi aspetti della
spinta che lo spirito cristiano ha dato allo sviluppo economico e alla prospe-
rit.
Nei quattro contributi che offriamo ai nostri lettori vengono messe in risal-
to alcune dinamiche del pensiero cristiano e gli sforzi dei pensatori e delle au-
torit ecclesiastiche per applicare ai mutamenti storici il messaggio cristiano :

come si evince dalle righe dello studio di Martin Schlag, il Nuovo Testamento
non offre indicazioni specifiche sullorganizzazione della societ. Il comanda-
mento della carit si andato declinando nella storia del pensiero in diversi
modi, in dialogo non sempre pacifico con le diverse correnti del pensiero.
Anche oggi i teologi si sforzano di ritradurre il messaggio rivelato nelle ca-
tegorie di pensiero attuali. Le oscillazioni fra carit, benevolenza, solidarie-
t mettono in luce la vivacit del pensiero sociale cristiano per in-formare le
strutture sempre pi ampie e complesse.
Un filone importantissimo di questa dinamica storica si trova nello studio
di Oreste Bazzichi. Lautore riassume idee e fatti fondamentali della storia del
pensiero francescano che portarono al superamento dellimpostazione intel-
lettuale classica sullusura. Le strade alle volte contorte che dovette percorrere
il pensiero medievale per capire come il movimento di capitali e limpegno nel

* Pontificia Universit della Santa Croce, Facolt di Filosofia, Piazza SantApollinare 49,
00186 Roma ; e-mail : mercado@pusc.it

acta philosophica i, 21, 2012 pp. 11-14


12 juan andrs mercado
lavoro si potevano tradurre in un valore aggiunto, e che questo non era im-
morale, sono una lezione da non ignorare per capire la natura della riflessione
filosofica e teologica sui fenomeni della vita sociale. La condanna aristotelica
del far soldi con i soldi, basata sulla realt che il denaro soltanto uninven-
zione umana per agevolare lo scambio e che nella sua condizione di mezzo
non poteva diventare un fine, segn profondamente la storia del pensiero. Il
rapporto fra prestito ed interesse e la distinzione di questultimo nei confronti
dellusura richiese uno sforzo notevole di riflessione e, soprattutto, di mes-
sa in atto di istituzioni miranti allo sviluppo del bene comunitario. A poco a
poco si comincia a conoscere meglio la storia del capitalismo cristiano del
medioevo e la creazione di istituzioni quali le banche, la necessit di stabilire
sistemi di credito e di assicurazione, linvenzione dei documenti di cambio,
ecc. Sarebbe auspicabile che parallelamente si conoscessero meglio gli sforzi
intellettuali per portare avanti limpresa di comprensione e traduzione delle
categorie economiche a livello filosofico e teologico, alcune delle quali sono
state enunciate da Bazzichi.
Sfumature importanti nella concezione della libert allinterno della tradi-
zione francescana nei confronti di quella domenicana portarono a una visio-
ne meno determinata da principi speculativi, come quelli aristotelici. Michael
Novak propone un altro punto di vista su questa libert per rileggere i risultati
dello sviluppo materiale degli ultimi secoli. Secondo il teologo americano, c
una coincidenza importante fra la fantasia dellarte cattolica che non rinun-
ci alle espressioni plastiche della bellezza dopo il xvi secolo, e la capacit di
innovare nellorganizzazione di istituzioni efficaci e redditizie, che nel medio
termine hanno rivoluzionato i livelli di benessere. Lascetismo delle chiese ri-
formate, asserisce Novak, non uno stimolo per lo scambio, e lidea della
ricompensa terrena quale pallido riflesso della predestinazione sono elementi
meno determinanti della capacit di invenzione delleconomia guidata da una
razionalit aperta. Tale apertura si fatta strada nel magistero cattolico e le
idee del lavoro come via di perfezione umana e la rivalutazione della collabo-
razione come mezzi di sviluppo umano nelle societ libere molto evidente
nelle encicliche sociali di Giovanni Paolo II. Anche se in maniera molto sinte-
tica, Novak fa riferimento alla necessit di un substrato culturale consistente
come cornice e humus delle istituzioni democratiche e libere.
Mauro Magatti e Monica Martinelli svolgono una lettura critica delle conse-
guenze sociali ed economiche del capitalismo tecno-nichilista, cio, della linea
di pensiero liberale determinata dallindividualismo tipico della modernit. Il
ruolo delle istituzioni che non pi un lavoro comunitario a servizio del be-
ne comune, come quello illustrato da Bazzichi, bens un sistema di controllo
esterno permeato da un relativismo che fa degenerare i principi di libert e
partecipazione democratica in un ambiente postmoderno di indifferenza nei
confronti della realt e delle esigenze sociali. Il decostruzionismo, con limpo-
presentazione 13
sizione dellidea che nulla ha un significato vero e profondo, pone limperativo
della realizzazione di s stessi come auto-costruzione libera da vincoli. Magat-
ti e Martinelli propongono la ripresa di nozioni basilari quali la vita e lattivit
umana in chiave relazionale : la vita umana proviene dalla relazione e ha un

carattere generativo sempre in un intreccio di relazioni. indispensabile risco-


prire il significato di queste relazioni per ricostruire un pensiero pi aderente
alle vere necessit della natura umana. Lattuale situazione economica e so-
ciale unoccasione per riflettere sulle radici della crisi e superare i limiti suac-
cennati. Le grandi tradizioni religiose, con i loro patrimoni, costituiscono uno
dei pochi contesti in grado di sfidare legemonia tecno-nichilista. Le istituzioni
educative devono riprendere la loro vocazione nei confronti del bene comune
e reagire per superare la bancarotta del liberismo individualista.
La vasta gamma di questioni apparse in questi quattro studi rende eviden-
te che i problemi non si possono risolvere con delle formule semplicistiche.
anche chiaro che non si pu avere un accordo totale sulle valutazioni dei
grandi processi storici e intellettuali : ci sarebbe molto da riflettere sullarmo-

nizzazione dellefficacia tecnica, preconizzata da Novak, per evitare le derive


nichiliste denunciate da Martinelli e Magatti. La riflessione sullimpatto reale
della gratuit e del dono, sottolineata da Bazzichi e da Schlag, iniziata solo
recentemente nel campo teologico e pu dirsi che non neanche avviata nel
dibattito pubblico. I progetti delle istituzioni universitarie per i prossimi anni
dovrebbero comprendere come capitolo fondamentale la riflessione mirata
sugli argomenti pi importanti che emergono nella discussione sullinflusso
delle idee, la religione e la cultura nello sviluppo economico e sociale.
A PPUNTI SULLETICA ECONOMICA
DELLA SCUOLA FR A NCESCA NA
Or este Bazzichi *
Sommario : 1. Le ragioni di un ritardo. 2. Fecondit del paradigma etico-sociale francescano.

2.1. Fra Pietro di Giovanni Olivi. 2.1.a La teoria del capitale. 2.1.b Teoria del valore economico
e del giusto prezzo. 2.2. Giovanni Duns Scoto. 2.3. Alessandro Bonini di Alessandria. 2.4. San
Bernardino da Siena riformatore sociale. 3. Dal discorso economico francescano al modello
civile.

U no dei pi autorevoli studiosi di storia del pensiero economico, Joseph A.


Schumpeter, nel formulare la periodizzazione dellevoluzione delle dot-
trine economiche dei dottori della Scolastica, giudicava di assoluta irrilevanza
il pensiero economico scolastico della prima fase (fino al Duecento), di scarsa
importanza i secoli xiii e xiv, e soltanto tutto il Quattrocento e il secolo suc-
cessivo di grande rilievo e di fondamentale importanza. Secondo lautorevole
studioso della Scuola socio-economica austriaca, il Quattrocento, infatti, era
dominato dallinsegnamento economico del domenicano santAntonino da
Firenze, il primo uomo al quale si possa attribuire una visione generale del

processo economico . 1

Appare del tutto singolare che uno studioso come Schumpeter non facesse
alcuna menzione al contrario del grande sociologo tedesco Max Weber 2

di unaltra importante figura di teologo-economista della prima met del


Quattrocento, il francescano san Bernardino da Siena. Ormai opinione lar-
gamente diffusa fra studiosi italiani e stranieri 3 che larcivescovo domenicano

* Pontificia Facolt Teologica San Bonaventura Seraphicum, Via del Serafico, 1 - 00142
Roma. E-mail : oreste.bazzichi@alice.it

1 J.A. Schumpeter, Storia dellanalisi economica, Einaudi, Torino 1959, vol. I, p. 117. Dello
stesso parere anche laltro grande storico del pensiero economico W. Sombart, Il capitali-
smo moderno, utet, Torino 1967 ; Idem, Il borghese, Longanesi, Milano 1950.

2 Cfr. M. Weber, Letica protestante e lo spirito del capitalismo, Rizzoli-bur, Milano 1997, pp.
134-135. In particolare, Weber scrive di teologi scotisti e mendicanti quattrocenteschi ,

citando specificamente Bernardino da Siena, che cerca di giustificare, come Antonino da


Firenze, il guadagno del commerciante, in quanto imprenditore, come lecito compenso

per la sua industria .


3 Cfr. R. De Roover, Scholastics Economics : Survival and Lasting Influence from the Sixteenth

Century to Adam Smith, Quaterly Journal of Economics , maggio 1955, pp. 161-190 (tra-

acta philosophica i, 21, 2012 pp. 15-40


16 oreste bazzichi
di Firenze, Antonino Pierozzi, utilizzava abbondantemente le elaborazioni
economiche di san Bernardino su temi fondamentali quali il valore econo-
mico, il giusto prezzo, la funzione della moneta, la produttivit del capitale
monetario, la giustificazione morale dellinteresse, il ruolo sociale e morale
del mercante-imprenditore nella comunit. Ora, se si tiene conto che la mag-
gior parte dei ragionamenti e delle idee del senese sui principali problemi
economici sono attinti dagli scritti dei teologi francescani precedenti tra cui :

Pietro di Giovanni Olivi, Giovanni Duns Scoto, Alessandro Bonini di Alessan-


dria, Astesano di Asti, Gerardo di Odone occorre collocare la nascita di un
organico, anche se ancora perfettibile, sistema economico almeno un secolo e
mezzo prima rispetto alla periodizzazione proposta da Schumpeter e tre seco-
li prima della nota tesi di Max Weber, che fa risalire lorigine dello spirito del
capitalismo alletica calvinista. 4

dotto in italiano : Leconomia scolastica e influenza sul pensiero economico dal sedicesimo secolo

a Adam Smith, in Suppl. 6 a La Societ , 6 (2007), pp. 12- 42 ; Idem, San Bernardino of Siena

and santAntonino of Florence. The Two Great Economic Thinkers of the Middle Ages, Mass, Bos-
ton 1967 ; Idem, La pense conomique des Scolastiques. Doctrine et mthodes, Institute dtude

mdivales, Montral-Paris 1971 ; Idem, Business Banking and Economic Thought in Late Medi-

eval and Early Modern Europe, ed. J. Kirshner, Chicago 1974 ; G. Barbieri, Il pensiero economico

dallantichit al Rinascimento, Istituto di Storia Economica, Bari 1963 ; Idem, Le dottrine mo-

netarie dal xiii al xvii secolo, Economia e Storia , 3 (1975) ; O. Capitani, La concezione della

povert nel Medioevo, Patron, Bologna 1981 ; Idem, Figure e motivi del francescanesimo medioe-

vale, Patron, Bologna 2000 ; G. Todeschini, Oeconomica Franciscana. Proposte di una nuova

lettura delle fonti delletica economica medioevale, Rivista di Storia e Letteratura Religiosa ,

xii (1976), pp. 15-77 e xiii (1977), pp. 461-494 ; Idem, Il prezzo della salvezza. Lessici medievali del

pensiero economico, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1994 ; Idem, I mercanti e il Tempio. La so-

ciet cristiana e il circolo virtuoso della ricchezza fra Medioevo e et moderna, Il Mulino, Bologna
2002 ; Idem, Dalla povert volontaria alla societ di mercato, Il Mulino, Bologna 2004 ; A. Spic-

ciani, SantAntonino, san Bernardino e Pier di Giovanni Olivi nel pensiero economico medievale,
Economia e Storia , 19 (1972), pp. 315-341 ; Idem, La mercatura e la formazione del prezzo nella

riflessione teologica medioevale, Atti Accademia dei Lincei, Roma 1977 ; O. Bazzichi, Alle origi-

ni del capitalismo, Dehoniane, Roma 1991 (riproposto con integrazioni Alle radici del capitali-
smo. Medioevo e scienza economica, Effat, Cantalupa (Torino) 2003) ; Idem, Dallusura al giusto

profitto. Letica economica della Scuola francescana, Effat, Cantalupa (Torino) 2008 ; Idem, Il

paradosso francescano tra povert e societ di mercato. Dai Monti di Piet alle nuove frontiere del
credito, Effat, Cantalupa (Torino) 2011, soprattutto pp. 75-77.
4 Uno dei concetti principali caratterizzanti la teologia di Giovanni Calvino (1509-1564)
quello della predestinazione ; tema che ha favorito nella storia della Chiesa costanti di-

scussioni e controversie. Da questa dottrina scaturisce lassunto che Dio fissa per ciascuno
la propria attivit su questa terra, alla quale luomo deve adeguarsi come ad una regola
perenne. Quindi, ogni lavoro rientra nel processo di santificazione ed connesso allele-
zione divina. Luomo potr raggiungere il successo e la prosperit materiale solo con la
benedizione di Dio. Da queste riflessioni scaturiscono le premesse del pensiero sulletica
economica calvinista, che giustifica moralmente laspirazione degli individui al guadagno
e al successo mondano. Perci, la dottrina della predestinazione calvinista carica dansia il
appunti sull etica economica della scuola francescana 17
Quindi, dalle opere dei pensatori della Scuola francescana scaturisce las-
sunto : la teoria e la pratica delleconomia di mercato sono germogliate, ben

prima di Calvino e del fondatore della scienza economica, Adam Smith.


La riflessione dei frati minori ha creato, cio, le condizioni per lo sviluppo
dei principi etici insiti nel capitalismo, contribuendo alla formazione di una
mentalit diffusa in cui il mercato ha trovato un valido appoggio per gli svi-
luppi successivi. In tale prospettiva il pensiero economico della Scuola fran-
cescana appare come la causa concretamente induttiva della nascita di isti-
tuzioni capitalistiche, quali i Monti di Piet prodromi dellodierne Casse di
Risparmio e delle organizzazioni del credito cooperativo e il trust.
Pu sembrare paradossale che i maestri francescani del xiii, xiv e xv secolo,
conciliando attivit speculativa con la pratica pastorale del vivere quotidiano
vicino alla gente e rigettando il denaro dalla propria vita, si siano scoperti degli
economisti di notevole valore, che hanno saputo anticipare alcune acquisizio-
ni teoriche fondamentali. Ma il paradosso attenuato dalla considerazione
per cui limpegno francescano per lo sviluppo di istituzioni pre-capitalistiche
era finalizzato non solo a non rigettare leconomia, ma a viverla in un oriz-
zonte di sobriet e nella logica della promozione del bene comune. Ed pro-
prio dallanalisi della parola paupertas che nasce nei francescani lopportunit
di occuparsi delle pratiche economiche e di contribuire alla formazione del
vocabolario economico occidentale. Essi, attraverso unazione parenetica e
pratica molto efficace sul popolo, riuscirono brillantemente a dare una forte
accelerazione al sistema sociale e allo sviluppo economico e civile, i cui fon-
damentali principi conservano ancora oggi, nellepoca della globalizzazione,
tutta la loro attualit.
La felice intuizione dei Monti di Piet, poi, elargendo i loro prestiti caso per
caso in funzione delle effettive necessit (microcredito), possono essere visti
come i primi finanziatori del credito al consumo ed allo sviluppo delle piccole
imprese.

1. Le ragioni di un ritardo
Quali sono state le cause del ritardo nella conoscenza delle fonti primarie della
Scuola francescana nel campo etico-sociale ? Le circostanze sono sostanzial-

mente quattro.
La prima riguarda il campo dellermeneutica teologica, in cui pesano alcuni
documenti pontifici sulla scelta del tradizionale sistema filosofico : quello della

Scuola aristotelico-tomista. Il pi rilevante e quello del 4 agosto 1879 quando


Leone XIII nella Aeterni Patris, pur parlando di Tommaso e di Bonaventura

credente a tal punto, che egli sente un assillante bisogno di certezze circa il proprio status di
eletto o di dannato. Ne consegue una nuova concezione che orienta lattivit professionale
ad una assidua e inarrestabile ricerca del massimo profitto.
18 oreste bazzichi
come di due candelabri in dono Dei lucentia, sceglie per limpostazione e
lanalisi teologica il sistema unico della Scolastica aristotelico-tomista. Occor-
re attendere 120 anni per tornare alla pluralit culturale : la grande enciclica

Fides et ratio (14 settembre 1998) di Giovanni Paolo II cancella, innanzi tutto, la
contrapposizione dei due sistemi filosofici e teologici (Scuola tomista e Scuola
francescana), proponendo e promuovendo la loro complementariet.
Nella recente enciclica Spe salvi Benedetto XVI, oltre a dichiarare lIllumi-
nismo, assieme al marxismo, speranze terrene fallite, chiarisce che nellepoca
attuale si registra in molti ambienti la sostituzione del razionalismo con una
sorta di dittatura del relativismo, un male che corrode dal di dentro le societ
occidentali.
E nella Caritas in veritate egli aggiunge che lideologia dellindividualismo,
nella sua forma sempre pi esasperata, che minaccia davvero la nostra societ,
la cui salvezza consiste nel trinomio fraternit, sviluppo economico e societ
civile.
Lo sfondo teorico dellenciclica, perci, ispirato dalletica francescana del-
la gratuit, che esprime letica dellalterit, via privilegiata per coniugare gra-
tuit e apertura dialogale, e letica della libert, da cui scaturisce letica della
responsabilit. 5 In continuit con ci nellenciclica si afferma continuamente

che la questione essenziale la purificazione del cuore, della mente e della


volont delluomo.
Accanto e in aggiunta a questa considerazione si innestata lidea che la
sancta rusticitas francescana non consentisse ai frati unadeguata attivit intel-
lettuale. Niente di pi falso. Basta ricordare i primi maestri dellUniversit
di Parigi (Alessandro dAles, san Bonaventura, Giovanni Duns Scoto, Alessan-
dro Bonini di Alessandria, Aimone di Favershan, Gilberto di Tournai, ecc.) e
dellUniversit di Oxford (Roberto Grossatesta, Adamo Marsch, ecc.). Non
corretta, quindi, linterpretazione che considera S. Francesco contrario agli
studi ed alla cultura. Si tratta di un equivoco che non tiene in considerazio-
ne il suo esatto pensiero. Difatti, lammonizione che egli rivolge ai frati nella
Regula bullata : Se non sanno di lettere non si curino di apprenderle (c.

9), altro non significa che nel movimento francescano c posto anche per gli
indotti. Tanto vero che S. Bonaventura nellExpositio super Regulam Fratrum
Minorum 6 interpreta la volont di Francesco nel senso di un incoraggiamento

a studiare teologia, senza la quale non sarebbe possibile neanche la predica-

5 Nella nota 102 lenciclica rimanda allIstruzione sulla libert cristiana e la liberazione,
Libertatis coscientia, del 22 marzo 1987 della Congregazione della Dottrina della Fede, che
porta la firma proprio dellallora card. Joseph Ratzinger. In tale documento si afferma che
il problema non sono le strutture in se stesse, ma il peccato delluomo che pu strutturarsi
in vere e proprie strutture di peccato.
6 Opera omnia, studio et cura PP. Collegii S. Bonaventurae ad fidem codicum edita, viii,
Ad Claras Aquas 1898, p. 339.
appunti sull etica economica della scuola francescana 19
zione. Daltra parte, fin dallinizio non mancarono frati dotti. Lo stesso frate
Elia da Cortona (morto nel 1253), secondo vicario di S. Francesco (1221-1227)
e secondo ministro generale (1232-1239) era ben istruito, essendo stato notaio
a Bologna. Anche il poeta francescano Iacopone da Todi, nella lauda 88, non
condanna la cultura in s, ma la vanagloria e lorgoglio che gli studi potrebbe-
ro suscitare, in contrasto con la minoritas francescana. Daltra parte, lui stesso
era uomo colto, competente in materia legale, conoscitore della poesia volga-
re contemporanea, nonch versato negli studi teologici. Un uomo di cultura,
dunque, che polemizza contro la cultura. 7 Ma con lintento di colpire la cultu-

ra che diviene incentivo alla sufficienza e alla superbia e mortifica lumilt e la


semplicit, provocando un pericoloso rilassamento dei costumi ed esigendo,
a motivo della superiorit culturale, un trattamento privilegiato rispetto agli
altri frati.
La seconda circostanza legata alla tesi weberiana comunemente accet-
tata dagli studiosi del pensiero economico , che individua una significativa
corrispondenza tra letica calvinista e lorigine dello spirito del capitalismo ; tesi

che ha impedito la ricerca di altre fonti, al di l degli accenni su san Tomma-


so e lapprodo su santAntonino da Firenze, come tra i primi fondatori della
scienza economica. Alla base di questo fatto storico curioso, da un lato, c
sicuramente la condanna e lancor pi grave oblio di Pietro di Giovanni Olivi,
dallaltro, il ritardo con cui si avuta ledizione critica delle opere di san Ber-
nardino, 8 che nei suoi vari scritti riproduce, talvolta integralmente, il pensiero

economico soprattutto di fra Pietro dei maestri francescani precedenti. 9 In

questo modo alcuni studiosi accorti hanno potuto agevolmente evidenziare il


significativo contributo della Scuola francescana medievale e tardo-medievale
alla genesi ed allo sviluppo della scienza economica, ripercorrendo a ritroso
litinerario delle idee economiche medievali : da Antonino allOlivi passando

per Bernardino. Ci piace qui ricordare, a vario titolo, i pionieri : Raymond De

Roover, Alberto Ghinato, Ovidio Capitani, Gino Barbieri, Amleto Spicciani,


Giacomo Todeschini, Oscar Nuccio, Oreste Bazzichi, a cui vanno aggiunti
due filosofi del calibro di Orlando Todisco e Dario Antiseri e leconomista
Stefano Zamagni.
La terza circostanza riguarda la questione della povert, snodo centrale e
fondamentale della mission francescana. 10 Perch Pietro di Giovanni Olivi fu

7
Cfr. G. Getto, Il realismo di Iacopone da Todi, Lettere Italiane , 38 (1956), pp. 223-269.

8
Cfr. Opera omnia, studio et cura PP. Collegii S. Bonaventurae ad fidem codicum edita,
9 voll., Florentiae 1950 - 1965. Cfr. anche D. Pacetti, La libreria di San Bernardino da Siena e le
sue vicende attraverso cinque secoli, Studi Francescani , 62 (1965), pp. 3-43.

9 Nel Contractibus et usuris, oltre allOlivi e a Scoto, si richiama ben 31 volte al trattato
De usuris di Alessandro Bonini di Alessandria, 23 volte alla Summa de casibus conscientiae di
Astesano di Asti e 22 volte al De contractibus di Gerardo di Odone.
10 Non dimentichiamo che Francesco era rimasto tanto innamorato della povert da
20 oreste bazzichi
uno dei pi attivi protagonisti nella ben nota polemica sorta nel xiii secolo in
seno allOrdine francescano riguardante linterpretazione della Regola sulla
povert e lo scontro tra papato e impero per la plenitudo potestatis. 11 Fra Pietro

fu la mente dottrinale pi lucida della corrente degli Spirituali e, pur essendo


morto in et relativamente giovane (1298), di quella corrente fu uno dei prin-
cipali capi. In realt, la difesa della povert volontaria (usus pauper) dei beni
materiali e la distanza, o meglio, la contrariet dellesercizio del potere civile
da parte degli uomini ecclesiastici, non potevano non suonare pericolose al
vertice della Chiesa, simile ad un rimprovero duro : rinunciare non solo alla

propriet, ma anche al potere politico, economico, sociale e culturale. Qui


sta il paradosso. Nellantropologia francescana, infatti, si incontra larmonia
tra lagostiniana citt terrestre con la citt di Dio : immanenza e trascen-

denza. Lumanesimo francescano, da un lato, comporta lo stare nel mondo, il


condividere, il coesistere, il dialogare, lo stare insieme e il progettare il sistema
sociale con tutte le creature esistenti ; dallaltro, la contemplazione e ascensio-

ne a Dio, che fa leva su una ontologia di comunione, di partecipazione e di


fraternit globale.
Pu essere interessante chiedersi : come mai i pensatori francescani del Due-

cento, e per di pi anche di appartenenza alla corrente degli Spirituali, abbiano


avuto un cos spiccato interesse per i problemi economici del proprio tempo.
Non vi dubbio che, oltre alla Regola francescana dei pauperes, dei pel-
legrini e forestieri di questo mondo, la penetrante intelligenza e lattento spi-
rito di osservazione di questo gruppetto di teologi, sotto i cui occhi andavano
trasformandosi il potere politico, la Chiesa, il potere ecclesiastico, la societ e
leconomia del loro tempo, riescono ad elaborare un linguaggio economico,
dando vita, nella logica del bene comune, ad una organizzazione di un giu-
sto uso dei beni nella societ civile. La minima idea che i francescani, fautori
della povert volontaria, si siano occupati di chiarire la differenza fra usura e
prestito, fra lusso e giusto uso dei beni, tra valore economico e giusto prezzo,

volerla sposare. Anche nella morte volle essere fedele alla sua sposa, ponendosi tutto nudo
sulla terra. Secondo lui, la povert suscita negli altri generosit, allontana le eccessive pre-
occupazioni per la vita terrena ed fonte di gioia. Cfr. Tommaso da Celano, Vita prima
e Vita secunda, Analecta Franciscana , x, Collegio San Bonaventura, Quaracchi-Firenze

1926-1941 ; Bonaventura da Bagnoregio, Legenda maior, Analecta Franciscana , x, Colle-


gio San Bonaventura, Quaracchi-Firenze 1941 ; Fioretti di S. Francesco, a cura di P. B. Bughet-


ti, Collegio San Bonaventura, Quaracchi-Firenze 1926 ; Sacrum Commercium sancti Francisci

cum Domina Paupertate, Collegio San Bonaventura, Quaracchi-Firenze 1929 ; Admonitiones,


in Opuscula Francisci Assisiensis, a cura di K. Esser, Collegio SantAntonio (ex Collegio


San Bonaventura di Quaracchi), Grottaferrata (Roma) 1976.
11 Per un approfondimento su entrambe le tematiche, cfr. O. Bazzichi, Il paradosso fran-
cescano tra povert e societ di mercato. Dai Monti di Piet alle nuove frontiere etico-sociali del cre-
dito, Effat, Cantalupa (Torino) 2011, pp. 23-51.
appunti sull etica economica della scuola francescana 21
tra la figura del mercante e quella dellusuraio, diventando, paradossalmente,
gli ideologi della societ di mercato, ha reso scettico qualunque studioso della
storia del pensiero economico. Daltra parte, se comprensibile che i ricerca-
tori siano stati attratti e influenzati dal mirabile edificio dottrinale di san Tom-
maso dAquino, e quindi da una sola Scuola medievale, non scientificamente
giustificabile che non abbiano ritenuto interessante allargare la loro attenzio-
ne anche ai rappresentanti dellaltra Scuola medievale, quella francescana, il
larga misura ancora inesplorata e meno conosciuta. 12 Ne una riprova il fatto

che ancora oggi insigni accademici continuino a considerare, nel panorama


etico-sociale, patrimonio culturale comune, sul versante teologico, san Tom-
maso, e sul piano sociologico, la tesi di Max Weber sulletica protestante e lo
spirito del capitalismo. 13

Infine, la quarta circostanza di natura epistemologica. Lanalisi etico-eco-


nomica della Scuola francescana ha due precisi riferimenti, uno storico e uno
ideologico : il pauperismo e il volontarismo. Il pauperismo medievale costi-

tuito da quel complesso magmatico di idee religiose, morali, politiche tal-


volta pi vicine ai confini delleresia che dellortodossia che scaturiva dalla
presa in considerazione della condizione di povert di vasti strati di popola-
zione emergenti della societ. un movimento vasto e complesso, sotto il cui
comune denominatore si possono interpretare molteplici e spesso contraddit-
tori aspetti della storia del Medioevo.
Il volontarismo nasce dalla sistemazione fatta da Giovanni Duns Scoto del
problema della libert dellagire umano, sistemazione che pur tenendo con-
to della dottrina tomista si impianta sulle suggestive radici del pensiero di
santAgostino.
La base dellimpostazione teorica di contenuto economico dei maestri fran-
cescani una concezione generale fondata sui principi antropologici di ma-
trice scotiana. Dal volontarismo di ascendenza agostiniana e scotiana nasce
la spiegazione del sistema e del processo economico. Il perno del diritto della
communitas non originata dallo Stato nozione ancora sconosciuta ai
pensatori medievali , n dalla legge naturale, ma dal sistema di contratti, la

12 Naturalmente con ci non si vuole togliere nulla allimportanza e alla validit delle
ricerche e delle tesi che partono da ottiche diverse, pi legate alla Scuola tomista o a quella
di Salamanca o alle forme letterarie degli umanisti laici.
13 doveroso ricordare che il primo studioso di area cattolica che intervenne coraggio-
samente a correggere lassunto di Weber fu A. Fanfani, Le origini dello spirito capitalistico in
Italia, Vita e Pensiero, Milano 1933 ; Idem, Cattolicesimo e protestantesimo nella funzione storica

del capitalismo, Vita e Pensiero, Milano 1934. La sua ricerca, oltre ad aprire un varco nelluna-
nimit alla tesi del grande sociologo tedesco del Novecento, pone una serie di riflessioni
non tanto nel campo della dottrina sociale della Chiesa, quanto piuttosto nel dibattito tra
cattolici, che attribuivano volentieri le distorsioni e le aberrazioni del paleo-capitalismo
alletica calvinista.
22 oreste bazzichi
cui rispondenza al bonum commune impedisce alla communitas di tra-
sformarsi in incommunitas, dominata dalliniquit. Un diritto senza Stato,
dunque, che nasce dalla societ civile e si articola in un sistema contrattua-
listico che d vita ad un mercato autoregolantesi in quanto rispondente a
quei principi del bonum commune che tengono la communitas coesa nel
rispetto del singolo. questa la proposta ma anche lutopia della filosofia
sociale francescana, per la quale criterio del vero il bene e il fondo abissale
dellessere costituito dalla libert, cifra della gratuit. 14 Sta qui la ricchezza

e la novit del pensiero etico-economico della Scuola francescana medievale e


tardo-medievale, fondato sulle esigenze concrete della vita quotidiana e della
realt sociale. Contatto con la gente, ricerca e analisi delle problematiche nuo-
ve emergenti dalla societ : questi i motivi essenziali che danno la risposta sto-

rica e epistemologica perch i francescani, a partire dalla seconda met del xiii
secolo, elaborano, sul piano dottrinale, una originale e lungimirante teologia
economica per superare le difficolt giuridico-morali sorte a seguito della se-
vera condanna canonica dellusura e, sul piano pratico, inventano i Monti di
Piet, consentendo, attraverso lerogazione del credito ad interesse, una forte
accelerazione al sistema sociale e allo sviluppo economico e civile.

2. Fecondit del paradigma etico-sociale francescano


Nella seconda met del xiii secolo tre teologi francescani Pietrro di Giovan-
ni Olivi (1248-1298), Giovanni Duns Scoto (1263/66-1308) e Alessandro Bonini
di Alessandria (1270-1314) elaborarono una serie di concetti economici : capi-

tale monetario, interesse, valore economico, giusto prezzo, cambio, sconto.


Essi furono indotti a ricercare, sul piano teorico, il superamento della condan-
na ecclesiastica dellusura, che costituiva un reale ostacolo allo sviluppo del
sistema economico-finanziario. 15

14 Cfr. O. Todisco, Il dono dellessere. Sentieri inesplorati del modello francescano, Edizioni
Messaggero, Padova 2006 ; Idem, La libert fondamento della verit. Ermeneutica francescana del

pensare occidentale, Edizioni Messaggero, Padova 2008.


15 Nel xiii secolo la tesi della proibizione morale, canonica e civile del prestito ad inte-
resse era rigidissima. Tutti gli autori di summae teologiche, di manuali per confessori, quasi
tutte le fonti normative civili e la totalit delle norme canoniche proibivano lusura. Basta
richiamare, fra le numerose citazioni possibili, la celebre quaestio n. 78, iii, della Summa
theologiae di S. Tommaso dAquino : cosa ingiusta in se stessa riscuotere linteresse del

denaro imprestato, perch equivale a vendere una cosa che non esiste ; ne deriva una disu-

guaglianza e questa compromette la giustizia . Le eccezioni a questa tesi, solo adombrate


dallAquinate, sono cos labili, astratte e lontane dalla realt che risultano inapplicabili. E
soprattutto non viene ipotizzato alcun legame tra luso della moneta e lesercizio di unat-
tivit mercantile che potrebbe rendere il denaro non sterile, come lo invece secondo la
rigorosa concezione aristotelica nummus non parit nummo.
appunti sull etica economica della scuola francescana 23

2. 1. Fra Pietro di Giovanni Olivi


Nellanalisi economica di fra Pietro di Giovanni Olivi troviamo gi una visio-
ne generale del processo economico molto moderna e altamente schematica
nella sua concettualizzazione, tanto che non azzardato considerarlo il primo
vero economista fra i pensatori della Scolastica. 16

Il funzionamento del mercato pu essere intrinsecamente morale purch


sia inquadrato in unetica comunitaria ; cio, un mercato, che nasce dalla so-

ciet civile e si articola e si autoregola in rispondenza ai principi del bonum


commune. Il prezzo delle merci pu essere giusto, anche se oscilla in presenza
di una carestia o per il semplice differimento dello scambio nel tempo, purch
non confligga con il bene comune.
Ai fini della storia del pensiero economico, il fatto rilevante di questi assunti
dellOlivi che vengono annunciati e diffusi nella seconda met del Duecen-
to, quando ancora alcuni meccanismi del capitalismo mercantile erano in fa-
se embrionale. Ma, vicino alle esigenze reali della gente, la sua intuizione lo
porta a cogliere i segni del nascente mutamento istituzionale ed economico in
tutta la loro complessit e sotto questo profilo va considerato ormai come la
figura pi eminente fra gli economisti medievali. 17

16 Il frate provenzale noto anche nel campo speculativo (tanto da meritarsi lappel-
lativo di Doctor speculativus) per la tesi della pluralit delle forme dellanima umana ;

dottrina condannata dalla costituzione dogmatica Fidei Catholicae del Concilio di Vienna
(1311-1312) : di conseguenza, tutti i suoi scritti teologici e canonici furono rigorosamente

proibiti sotto pena di scomunica e destinati ad essere bruciati da fra Giovanni da Murro
che fu generale dellOrdine francescano dal 1295 al 1303. Questo circostanza spiega ragio-
nevolmente il motivo per cui san Bernardino da Siena, pur attingendo a piene mani da Pie-
tro di Giovanni Olivi, non citi mai il confratello. Sulla vita e lopera del frate francescano,
cfr. S. Gieben, Bibliographia oliviana (18851967), Collectanea Franciscana , 38 (1968), pp.

167-195. Nel tomo iv dellOpera omnia di san Bernardino magistralmente edita dai Padri
francescani del Collegio S. Bonaventura di Quaracchi (Firenze), i Sermones dal xxxii al XLV
contengono il Tractatus de contractibus et usuris (1956). Si tratta sicuramente di una delle
opere pi interessanti per chi voglia studiare levoluzione del pensiero economico. Ma
limportanza dei Sermones ancora maggiore perch nei codici che egli ha utilizzato sono
stati scrupolosamente e onestamente annotati i riferimenti testuali alle opere dellOlivi e
degli altri confratelli di un secolo e mezzo precedenti. Circostanza della quale ledizione
critica di Quaracchi ha tenuto sempre conto con esemplare rigore scientifico e filologico.
In particolare, le idee dellOlivi in ordine al concetto di capitale mercantile e i ragio-
namenti che portano a concepire la qualit dellinteresse rispetto alla rigida proibizione
morale dellusura transitano pari pari nei Sermones bernardiniani e nella celebre Summa
theologica di santAntonino.
17 Certamente vero quanto scrive Schumpeter che la societ dei tempi feudali con-
teneva tutti i germi della societ dellet capitalistica, cos come la scienza scolastica del
Medioevo conteneva tutti i germi della scienza laica del Rinascimento (Storia dellanalisi
economica, o. c., p. 100), ma le analisi dellOlivi dimostrano anche inconfutabilmente la labi-
24 oreste bazzichi
Per constatare lacutezza del pensiero del frate provenzale e la modernit
della sua visione del processo economico si possono ricordare, semplifican-
done al massimo lesposizione, 18 due aspetti principali della sua lettura delle

categorie delleconomico ; aspetti che, con una classificazione terminologica


moderna, possiamo chiamare : la teoria del capitale e dellinteresse e la teoria


del valore economico e del giusto prezzo. 19

2. 1. a. La teoria del capitale


Il tema della produttivit del capitale trattato dallOlivi nel De usuris, 20 dove

pone in stretta relazione il mercato e il denaro.


Nel dubium sextum il teologo francescano propone la sua idea della pre-
senza seminale del lucro nel capitale, nella somma di denaro, cio, de-
stinata allattivit produttiva e commerciale. 21 Egli, infatti, definisce il capi-

tale come somma di denaro o qualsiasi merce che, essendo destinata ad una
qualche attivit economicamente produttiva, contiene gi in s un seme di
lucro ; questa presenza seminale di lucro fa s che il prezzo di un capitale ad

esempio, formato da una somma di denaro sia superiore al valore della sem-
plice moneta che lo misura : Ci che con ferma decisione (firmo proposito) del

lit della tesi di Max Weber sulle origini dello spirito del capitalismo, da far risalire alletica
protestante.
18 Ricorrendo anche ai nostri studi sullantropologia economica francescana, contenuta
nella trilogia pubblicata da Effat : Alle radici del capitalismo. Medioevo e scienza economica,

2003, pp. 108-113 ; Dallusura al giusto profitto. Letica economica della Scuola francescana, 2008,

pp. 60-71 ; Il paradosso francescano tra povert e societ di mercato. Dai Monti di Piet alle nuove

frontiere del credito, 2011, pp. 60-72.


19 La metodologia etico-eonomica del suo pensiero contenuta nel Tractatus de emptio-
ne et venditione, de contractibus usurariis et de restitutionibus. Lopera stata pubblicata da G.
Todeschini, Un trattato di economia politica francescana, Istituto Storico Italiano per il Me-
dioevo, Roma 1980. Le citazioni del Trattato sono tratte da questa pubblicazione, che, nella
trascrizione, ha tenuto conto dei vari manoscritti esistenti.
20 Costituisce la seconda parte dellopera citata nella nota precedente.
21 : Causa autem quare sub tali pretio potest iluud vendere vel commutare est, tum quia is cui

prestatur tenetur sibi ad probabiliter equivalens, seu ad preservandum ipsum a damno probabilis
lucri, tum quia illud quod in firmo proposito domini sui est ordinatum ad aliquod probabile lucrum
non solum habet rationem semplici pecunie seu rei, sed uktra hoc quamdam seminalem rationem
lucrosi quam communiter capitale vocamus, et ideo non solum habet reddi simpliciter valor ipsius
sed etiam valor superadiunctus (La spiegazione del perch egli possa vendere o commerciare
ad un simile prezzo questa : da una parte chi lo riceve tenuto a dargli verosimilmente un

equivalente o ad evitargli un danno sul probabile guadagno, dallaltra, ci che destinato


con ferma decisione del suo proprietario a fornire un possibile guadagno non solo possiede
la natura del semplice denaro o di un oggetto, ma oltre a ci ha in s la virtuale possibilit
di un guadagno, che comunemente chiamiamo capitale, e pertanto si deve restituire non
solo il semplice valore della moneta o delloggetto, ma anche il valore che si aggiunto)

(o.c., p. 85).
appunti sull etica economica della scuola francescana 25
proprietario destinato a qualche probabile lucro, non solo ha il significato
di semplice denaro o di qualsiasi merce, ma possiede anche in s un qualche
seme di lucro, che comunemente chiamiamo capitale ; perci esso non solo

deve rendere il suo stesso valore, ma anche un valore aggiunto (sed et valor
superadiunctus ) o dellinteresse per il lucro cessante che il mutuatario deve

restituire insieme alla somma ricevuta in prestito.


Per il pensatore francescano, dunque, la valutazione del capitale in termini
economici risiede nellaspettativa del lucro (il valor superadiunctus) ; esso deve,

cio, rientrare nellequit del suo prezzo, che superiore a quello della sempli-
ce moneta corrispondente. Identico, dal punto di vista economico-sociale, il
ragionamento che riguarda linteresse, inteso come valutazione del risultato
di un danno subito da chi ha sottratto il proprio denaro da un investimento
produttivo per darlo in prestito ; in questo caso il danno non pu che identifi-

carsi con il valor superadiunctus.


Secondo lOlivi, quindi, due sono le condizioni stabilite affinch una som-
ma di denaro o una cosa utile rivesta la qualifica di capitale : necessario che

essa sia destinata allinvestimento e che ci avvenga con la ferma decisione del
proprietario.
Laccento posto sullelemento soggettivo : si richiede, cio, la presenza di

una effettiva volont di utilizzare produttivamente il proprio denaro. Questo


un punto da sottolineare, perch lOlivi stesso rimanda 22 lapprofondimento

dellanalisi del capitale monetario, con la conseguente giustificazione dellin-


teresse, proprio a due Quaestiones Quodlibetales. 23 In particolare, nella Quaestio

xvi del Quolibet i precisa che gli elementi determinanti sono il primato dellin-

22 Item ex hoc patet quod quando aliquis pecuniam de qua firmiter mercari proponitur, prestat

alicui ex sola pietate et necessitate illius, sub tali pacto quod quantum consimilis summa apud talem
equivalentem mercato rem usuram, sed potius facit aliquam gratiam salva tamen sua indemnitate.
Sicut in quadam questione, de quolibet, plenius est ostensum (Da queste considerazioni appare
evidente che quando qualcuno presta ad un altro, spinto solo dalla piet e dalla necessit di
quello, del denaro che si era fermamente proposto di investire in operazioni commerciali,
con il patto che tutto quanto una simile somma guadagner o perder presso un mercante
come lui, altrettanto il creditore si accontenter di guadagnare o di perdere, egli non com-
mette usura, ma piuttosto compie un favore, salva tuttavia la sua indennit. Ma ci stato
ampiamente trattato in una questione del Quolibet) (ibidem).

23 Cfr. Petri Iohannis Olivi, Quodlibeta Quinque ad fidum codicum nunc primum edita
cum introductione historico-critica, curavit S. Defraia, Editiones Collegii Bonaventurae ad Cl-
ras Aquas, Grottaferrata (Roma) 2002, Quodlibet I, Quaestio xvi : An tenens mutuum vel

debitum, ultra tempus legitimum a domino preconcessum, teneatur ad restituendum to-


tum interesse damni et etiam lucri quod inde probabiliter provenisset, pp. 55-57 ; Quolibet

I, Quaestio xvii : An ille contractus sit usurarius quo aliquis tradit alteri centum libras, mox

in suis domesticis necessitatibus expendendas ; tradit, inquam, sub hoc pacto, quod sicut

consimiles centum libre apud Titium mercato rem legalem lucrabuntur vel perdent, sic iste
tradenti lucrentur vel perdant, pp. 58-63.
26 oreste bazzichi
tenzione (firmo proposito) e la concretezza nel progetto dinvestimento, che co-
stituiscono il perno dellequilibrio e della coesistenza fra lidea di capitale e di
interesse, anche se poi la realizzazione dellinvestimento non andasse a buon
fine, provocando il danno da ricompensare con linteresse. Secondo il pensa-
tore francescano, in questo caso specifico, saremmo di fronte ad un debitore
insolvente che sottrae al proprietario la disponibilit del proprio denaro su cui
il progetto di investimento era gi stato formulato.
La Quaestio xvi viene ripresa quasi in toto da Bernardino da Siena nei suoi
Sermones, 24 mentre la Quaestio xvii influenza notevolmente il Tractatus de con-

tractibus. 25

Solo con questo sottile argomento lOlivi riesce a separare eticamente lusura
dallinteresse : questultimo, essendo generato intenzionalmente in forma total-

mente diversa. Infatti, non la semplice moneta, ma il capitale che contiene


una presenza seminale di lucro. E c differenza fra la semplice moneta e il capi-
tale : la moneta s un capitale in potenza (come si sostiene oggi), ma lo diviene

realmente soltanto quando il suo proprietario ne ha deliberato linvestimento ;

questo, poi, non va inteso come puro desiderio o generica possibilit, ma deve
essere realisticamente possibile e tale da comportare un guadagno che si possa
economicamente valutare in anticipo, secondo i normale andamento degli affari.
Il pensiero economico oliviano diventa ancora pi chiaro nella Quaestio xvii,
dove nega che un prestito in denaro possa essere equiparato ad un investi-
mento mercantile, s da dover ritenere lecita la richiesta di un frutto pari al
tasso di un profitto ; nega, cio, la potenzialit economica della semplice mo-

neta, e condanna il prestito inteso come investimento alternativo rispetto a


quello mercantile. 26 Il capitale, invece, quando prestato fa eccezione perch

gi moneta inserita in un processo produttivo e la sua distrazione provoca


nel suo proprietario un vero danno che il mutuatario ha lobbligo morale di
riparare con linteresse. 27

24 Bernardinus Senensis, Quadragesimale de evangelio aeterno, ed. PP. Collegii S. Bona-


venturae, Opera omnia, vol. 4, Quaracchi 1956.
25 Cfr. S. Piron, Parcours dun intellectual franciscain. Dune thologie vers une pense sociale :

loeuvre de Pierre de Jean Olivi et son trait De contractibus, Ecole Hautes Etudes en Sciences
Sociales, Paris 1999, vol. iii, pp. 212-349.
26 per lappunto questa la novit che sar ripresa nei secoli successivi dai maggiori
moralisti, giuristi ed economisti : la distinzione tra simplex pecuniae e capitale. La simplex

pecuniae nientaltro che il denaro inteso come tradizionale mezzo di scambio non desti-
nato espressamente ad una attivit imprenditoriale, produttiva e di mercatura. Il capitale
invece una somma di denaro, o anche altra merce, che contiene in s un seme di lucro, in
quanto viene espressamente destinata allo sviluppo socio-economico.
27 Petri Iohannis Olivi, Quodlibeta quinque, p. 62 : [] dicendum quod secus est de casu

illo, quia ille simpliciter tradit pecuniam sub sola ratione mutui ; et ideo ex ipsa ratione mutui peri-

culum simpliciter ets eius cui est mutuata et qui inde tanquam ex sua est mercaturus : ex quo patet

quod creditor illud periculum suscepit in solam fraudem usure .


appunti sull etica economica della scuola francescana 27

2. 1. b. Teoria del valore economico e del giusto prezzo


Particolarmente interessante anche la teoria del valore economico e del giu-
sto prezzo, che lOlivi analizza nella prima parte del Trattato, cio, De emptione
et venditione.
In un mercato per usare lo schema dellOlivi una merce vale pi di unal-
tra :

- perch pi adatta ai nostri usi per le sue intrinseche qualit ;

- perch se ne sente di pi il bisogno, essendo scarsa o difficile da reperire ;

- perch soggettivamente pi desiderata di unaltra. 28

S. Bernardino da Siena nella sua trascrizione di questo passo, 29 per espri-

mere sinteticamente questi concetti, introduce tre espressioni ben conosciute


agli storici del pensiero economico : virtuositas, raritas, complacibilitas. Per vir-

tuositas sintende le intrinseche qualit e propriet che rendono un bene pi


adatto di un altro a soddisfare i nostri bisogni ; la raritas di una merce riguar-

da, invece, la sua maggiore o minore quantit rispetto alla domanda, cio la
sua scarsit o difficolt ad essere trovata ; la complacibilitas, infine, la volont

soggettiva di appagare un bisogno piuttosto che un altro (gusto individuale e


personale), stabilendo fra loro una gradualit.
Pertanto, il valore economico si determina in funzione dellutilit 30 sia

nella sua forma oggettiva (virtuositas), sia nella sua forma soggettiva (compla-
cibilitas) e in funzione della raritas.
LOlivi aggiunge che se i mercanti non sono scaltri nel prevedere le variazio-
ni di prezzo, oppure le giuste valutazioni delle cose, possono anche non riotte-
nere il loro capitale e quindi si troverebbero nel disagio di vendere in perdita.
Non solo, ma il guadagno del mercante non pu escludere quello degli altri
operatori economici. Gli artigiani, i commercianti, i contadini, i produttori
in genere, devono ottenere il loro giusto guadagno. Per questo, il mercante,
dopo aver acquistato una merce ad un prezzo che consenta un conveniente
guadagno per chi la prodotta, pu rivenderla dove pu realizzare di pi ; e ci

a motivo della diversit dei prezzi da luogo a luogo, in dipendenza della scar-
sit o abbondanza della merce in quel mercato, rendendo cos facendo un
servizio vantaggioso alla comunit. In altre parole, i mercanti comprano dove
la merce abbonda, pagandola meno, e la rivendono dove scarseggia, facendola
pagare di pi.
questa veramente la migliore e la pi moderna tra le teorie del valore che
si siano pensate per contribuire allo sviluppo della scienza economica.

28 In G. Todeschini, Un trattato di economia politica francescana, cit., p. 56.


29 Cfr. Opera omnia studio et cura PP. Collegi S. Bonaventurae ad fidem codicum edita, ad
Claras Aquas, Florentiae 1950-1965, tomus iv, p. 190 ss.
30 Lespressione oliviana valor usus significa genericamente valore economico.
28 oreste bazzichi

2. 2. Giovanni Duns Scoto


Scoto affronta il problema della mercatura e del valore economico come esi-
genza della giustizia commutativa. La sua analisi si snoda dentro lampio con-
testo tematico dellobbligo morale della restituzione delle cose altrui ingiu-
stamente tolte o danneggiate.
Il tema trattato nella lunga Quaestio ii sulla distinzione xv del quarto libro
delle sentenze, questione cos formulata : Domando se chi ingiustamente tol-

se o detiene una cosa altrui sia tenuto alla restituzione tanto che senza di ci
non si possa dire veramente pentito . 31

Scoto, dopo aver analizzato lorigine della propriet privata, 32 parte dalla

distinzione fra commutatio economica e commutatio negotiativa. La prima,


cio lo scambio economico, fatta in vista delluso della cosa ottenuta, men-
tre la seconda, cio lo scambio negoziativo, non fatta per luso, ma allo sco-
po di rivendere successivamente la cosa acquistata e ad un prezzo pi alto. 33

Questultimo tipo di scambio anche chiamato da Scoto commutatio pecu-


niaria vel lucrativa. Ma, al di l delle sottili differenziazioni sulle regole fonda-
mentali del giusto scambio, Scoto imposta il problema del valore economico

31 Quaero, utrum qui iniuste abstulit vel detinet rem alienam, teneatur illam restituire,

ita quod non possit vere poenitere absque tali restituzione (Ioannis Duns Scoti Doc-

toris Subtilis Ordinis Minorum, Quaestiones in Libros Quatuor Sententiarum, dist. 15, q.
2, n. 1, a cura di L. Wadding, Lugduni 1639, Tomus ix, p. 149). Le citazioni vengono tratte
da questa opera, perch la Commissione Scotista, fondata nel 1938, finora ha pubblicato
18 volumi dellOpera Omnia. I primi undici (vol. i-xii) attengono allOrdinatio, il principale
commento di Scoto ai quattro libri delle Sentenze di Pietro Lombardo. Gli altri sei volumi
invece xvi-xxi), la Lectura, sono il testo di base delle lezioni che Scoto andava preparando
per i suoi corsi. Il vol. xii delle Ordinatio, che comprende le Distinctiones 8 13, stato pub-
blicato nel 2010 ; quindi per il testo della Distinctio 15 occorrer ancora attendere la pubbli-

cazione del vol. xiii, a cui la Commissione sta lavorando. Daltra parte, occorre ricordare
che, a differenza di quanto avvenuto per S. Tommaso, Duns Scoto per lungo tempo non
ha avuto la fortuna di vedere pubblicate criticamente le sue opere. La prima edizione com-
pleta, infatti, risale al 1639, ad opera del famoso storico francescano Luca Wadding, in 12
volumi.
32 Per unanalisi sulloriginaria comunit dei beni e sul successivo diritto di propriet,
cfr. R. Lambertini, Aspetti etico-politici del pensiero di Duns Scoto, in Aa. Vv., Etica e persona.
Duns Scoto e suggestioni nel moderno, EFB, Bologna 1994, pp. 35-86. Per Scoto, come anche pi
analiticamente argomentato da Guglielmo dOckham (cfr. O. Bazzichi, Il paradosso fran-
cescano tra povert e societ di mercato. Dai Monti di Piet alle nuove frontiere del credito, Effat,
Cantalupa (TO) 2011, pp. 43-45), la propriet non si pu dire di diritto naturale, ma positivo,
dal momento che nello stato di innocenza non cera la propriet.
33 Edit. cit., p. 78 : Commutans intendit rem accipere pro qua commutat, ut non merce-

tur ea, sed ut ea utatur ; e p. 185 : Commutans intendit mercari de re quam acquirit, quia

emit non ut utatur, sed ut vendat et hoc carius .


appunti sull etica economica della scuola francescana 29
in maniera pi originale rispetto agli altri scolastici che lo hanno preceduto. 34

Egli, infatti, distingue il valore in naturale e usuale. Il valore naturale sarebbe


quello obiettivo, messo da Dio nella creatura : Un essere vivente (un topo,

una formica, una pulce) vale di pi di una cosa inanimata (pane), che non
ha vita, anima e sensi . 35 Laltro valore, che in termini moderni chiamiamo

valore economico e che dal ragionamento del Doctor subtilis ha avuto la


sua originale intuizione, quello usuale, che si assume nei riguardi delluso
umano. Poich frequentemente le cose che sono pi nobili nella loro sostan-

za naturale, sono meno utili quanto agli usi umani e quindi sono anche meno
preziose . 36 Sotto questo profilo tanto pi le cose sono utili ai nostri usi tanto

pi valgono, e perci il pane vale pi del topo. vero, il topo, la formica e la


pulce hanno la vita, e sono quindi naturalmente pi nobili del pane ; ma il

pane vale economicamente molto di pi per la sua utilit di nutrire gli uomi-
ni. 37 Poich la compravendita delle merci risponde allo scopo delluso della

vita umana, il loro valore determinato da questo secondo tipo e non dal
primo.
Passando allanalisi che Scoto fa dello scambio propriamente mercantile,
egli sostiene, in sostanza, che i mercanti acquistano i beni non gi per usar-
li, ma per venderli pi cari. Ma a questa regola generale ne aggiunge una di
carattere etico : in ogni tipo di scambio il mercante deve svolgere un servizio

utile alla societ e per questo ha diritto a ricevere unadeguata remunerazio-


ne. 38 Le condizioni per cui i mercanti recano un servizio utile alla comunit

sono : se trasferiscono da un posto allaltro cose utili, se le conservano, se le


migliorano, se aiutano la gente comune a giudicare rettamente il valore e il


prezzo delle cose. 39 Sulla base di questo servizio reso allo Stato e alla colletti-

vit, Scoto ammette e giustifica lacquisto delle merci non per il bisogno, ma
per la vendita da farsi con guadagno. Chiunque serve lo Stato in una attivit

lecita, ha diritto di viere del proprio lavoro. Inoltre [] il commerciante pu


con giustizia conseguire, oltre la propria sussistenza e quella della famiglia per
cui lavora, una ulteriore ricompensa per le proprie capacit e per i rischi che
affronta. Infine, pu anche ottenere un quid che copra i rischi che si assume sia
importando che conservando le merci . 40

34 Cfr. O. Bazzichi, Valore economico e giusto prezzo nella riflessione teologica medievale, Ri-

vista di Politica Economica , 10 (1985), pp. 1055-1086.



35 Edit cit., n. 14, p. 166.
36 Quia frequenter res, quae in se est nobilior in esse naturali, minus est utilis usui hominum : et

per hoc minus pretiosa (ibidem).

37 Et propter hoc additur secundum rectam rationem, attendentem scilicet naturam rei in comp-

arationem ad usum humanum, propter quem fit commutatio ista (ibidem).

38 Ibidem, n. 22, p. 185. 39 Ibidem, p. 186.


40 Ibidem, nn. 22 23, p.186. Sullidentificazione del valore economico con il costo di
produzione nellanalisi di Scoto, cfr. R. de Roover, The concept of the just price : theory and

economic policy, Journal of Economic History , 18 (1958), pp. 418-434.



30 oreste bazzichi
Leconomia perci diventa lo strumento del guadagno personale, che si su-
blima nellutilit al bene comune, alla societ, in una sintesi mirabile tra par-
ticolare e universale, soggetto e collettivit, individuo e societ. Il mercante
esaltato da Duns Scoto se in una comunit venissero a mancare gli impren-
ditori, la collettivit si troverebbe nella necessit di pagare dei funzionari pub-
blici che svolgessero le stesse funzioni, magari con il rischio di minore profes-
sionalit con la sua attivit provvede al proprio guadagno, ma, mettendo a
disposizione di tutti una merce, anche al bene della societ. 41

2. 3. Alessandro Bonini di Alessandria


Contemporaneo di Pietro di Giovanni Olivi e di Giovanni Duns Scoto,
senzaltro ben lontano dalla loro statura in campo teologico e filosofico, ma
pi portato e attento ai problemi pratici, Alessandro Bonini di Alessandria
un francescano poco conosciuto sia alla storia delle dottrine economiche, sia
nellambito delle discipline teologiche, nonostante sia succeduto a Scoto nella
cattedra di Parigi e sia stato Ministro generale dellOrdine nel 1313-1314.
Di lui interessa il Tractatus de usuris, scritto nel 1302, per alcune analisi di eco-
nomia monetaria e creditizia, che aprono la strada ad uno sviluppo delluso
della moneta negli scambi. Rimasto per oltre sei secoli manoscritto, 42 nel 1962

stato pubblicato per la prima volta dallo studioso francescano canadese Ha-
melin. 43

La produttivit della moneta o, meglio, del capitale monetario, una delle


idee che gli storici delle dottrine economiche fanno risalire al teologo domeni-
cano Antonino da Firenze. Gi prima adombrata scrive Schumpeter es-

41 Certamente questa idea, che corre gi lungo il tempo fino agli ultimi scolastici del xvii
secolo e consegnata alla Scuola italiana delleconomia civile del Genovesi e del Verri ed alla
Scuola scozzese di filosofia morale del mercato di Hutcheson e Smith, non lontana dalla
nascente Scuola classica, detta Economia Politica. Questa nuova scienza, con scopi diver-
si, riproporr le sue analisi riprendendo le vecchie idee e usando in modo nuovo un lessico
pazientemente creato dalla Scolastica. Naturalmente con la scienza economica si entra in
un clima diverso, perch si introduce lidea di sviluppo economico inteso come progresso
civile che era estranea alla Schola. In tale nuova prospettiva sta la vera differenza fra il
pensiero economico medievale (di tipo teologico) e quello sistematico classico, che conse-
gue lautonomia scientifica.
42 Il Tractatus de usuris ci pervenuto in quattro manoscritti : uno vaticano, uno fiorenti-

no, uno torinese ed un quarto pi antico e pi completo bolognese.


43 A.M. Hamelin, Un trait de morale conomique au xiv sicle. Le tractatus de usuris de Mai-
tre Alexandre dAlexandrie, vol. xiv della Collana Analecta Mediaevalia Namurcensis, ed.
Nauwelaerts, Louvain-Montral-Lille 1962. Cfr. G. Barbieri, Un trattato di morale economica
dei primi del Trecento, Economia e Storia , 1963, pp. 171-178. Per una sintesi, cfr. O. Bazzichi,

Un trattato di etica monetaria dei primi del Trecento del teologo francescano Alessandro Bonini di
Alessandria, La Societ , Suppl. n. 6 (2008), pp. 49-64, dove viene riportata la traduzione in

italiano della parte del trattato riguardante letica monetaria.


appunti sull etica economica della scuola francescana 31
sa fu per la prima volta espressa da santAntonino, il quale spiega che, sebbene
il denaro circolante possa essere sterile, il capitale monetario non lo , perch
esso rappresenta una condizione necessaria per intraprendere affari . 44

Attraverso lesame, seppur rapido, del contenuto del Tractatus de usuris del
francescano alessandrino, si ha la convinzione di essere in presenza di affer-
mazioni e di ammissioni nel campo della prassi economica non degli inizi del
Trecento, ma molti decenni dopo o addirittura nella seconda scolastica. 45

Il campo delle indagini, dove egli si dimostra innovativo, riguarda la teoria


sui cambi o arte campsoria, 46 che, per la sua sorprendente originalit, anticipa

quasi di un secolo le tesi del teologo e scienziato Nicola di Oresme (1320-1382),


vescovo di Lisieux, che scrisse un vero e proprio trattato di etica monetaria, il
De moneta, 47 dove viene difesa la produttivit del denaro.

La parte del Tractatus de usuris, che costituisce una fonte primaria per le ori-
gini della nascente scienza economica, quella del capitolo settimo, dove le
idee in materia di credito e di operazioni finanziarie aprono la strada ad uno
sviluppo delluso della moneta negli scambi.
La liceit dellars campsoria era negata, pur con sfumature diverse, da tutti i
teologi fatta eccezione, come abbiamo rilevato, del valor superadiunctus della
fecondit del capitale di Pietro di Giovanni Olivi , muovendo dal noto motivo
aristotelico della sterilit della moneta e della sua funzione di intermediazione
negli scambi. Di opinione diversa si mostra il teologo alessandrino. Affermato
che la Chiesa condanna gli usurai e non i campsores, che, anzi, magis su-
stinet, analizza tre tipi di monete : quella naturale, che nasce dal commercio

dei prodotti offerti dalla natura ; 48 quella usuraria, che proviene da altra mo-

neta, quasi per interiore accrescimento e pregnazione di essa (tipo di moneta


ovviamente condannata) ; 49 quella campsoria, che nasce dal divario attribuito,

44 J.A. Schumpeter, Storia dellanalisi economica, Boringhieri, Torino 1959, p. 129. Ancora
pi recentemente E. Salin, Leconomia politica. Storia delle idee da Platone ai giorni nostri, Riz-
zoli, Milano 1973, p. 59 attribuisce addirittura ad Antonino il merito dellelaborazione della
teoria del valore economico.
45Quasi tutti i tardoscolastici della Scuola di Salamanca condivideranno e amplieranno
le idee del Bonini.
46 Con campsor nel latino medievale si indicava il cambiavalute, che teneva banco nelle
varie piazze mercantili dellOccidente e svolgeva unazione pi o meno connessa con quella
bancaria.
47 Esiste la traduzione italiana del trattato in appendice al volume di G. Barbieri, Fonti
per la storia delle dottrine economiche. Dallantichit alla prima Scolastica, Marzorati, Milano
1958. Nella sua celebre opera il vescovo di Lisieux critica le nozioni aristoteliche della mone-
ta-segno, quelle tomistiche della moneta-misura e formula quelle pi nuove della moneta-
merce.
48 Prima est naturalis quae fit ex eo quo res naturalis in pecunia commutatur (o. c., p. 181).

49 Alia vero species pecuniae [] appellamus usuram. Videtur enim pecunia generare pecuniam.

Pecunia enim per hanc artem crescit in seipsa quasi per pregationem et partum (ibidem).

32 oreste bazzichi
in una data regione, alle monete locali, molto pi apprezzate nei confronti
delle monete forestiere, meno ricercate dagli indegeni. Da tale divario nella
valutazione delle monete nasce larte campsoria, esercitata da quanti sanno os-
servare il mutevole valore di esse attraverso le aree geografiche, traendo dallo
scambio delle monete un certo profitto, che giustificato e lecito, perch la
funzione del cambiavalute necessaria per lutilit di coloro che viaggiano,

nelle diverse regioni per lo scambio delle cose, senza il quale non c vita so-
ciale . 50

Pertanto, larte del cambio non ha lo stesso carattere del mutuo in quanto in
essa non sperato un lucro conseguente alla dilazione del tempo. Il cambiava-
lute d moneta di un genere a fronte di denaro di altro genere. Non un atto
di compravendita, ma di permutazione.
Da questi concetti appare evidente il contributo di idee del teologo france-
scano, che, fin dai primi anni del Trecento, ha saputo legittimare i cambi reali ;

teoria questa che acquister una importanza via via pi rilevante nella vita
mercantile dellultimo Medioevo.
Ma la sua dottrina dellarte campsoria raggiunge la massima originalit in
occasione della prova del come nasce un giusto profitto nel cambio delle mo-
nete. In esse si trova un duplice valore : luno stabilito dallautorit pubblica ;

laltro caratterizzato dal peso e dalla materia con cui sono formate. Con il suo
intervento il campsor giudica il rapporto delle specie monetarie in base ai loro
valori. Si definisca la sua operazione permutatio o altro, certo che egli svolge
un servizio utile alla societ e pertanto ha diritto alla ricompensa quale frutto
del suo lavoro. 51

Elegante, infine, il ragionamento svolto dal Bonini per spiegare come pos-
sa conciliarsi lepisodio della cacciata dei mercanti dal Tempio (Mt 21,12 - 17)
con la legittimazione dei cambiavalute. Cristo, egli scrive, espulse venditori
e compratori dal Tempio propter reverentiam loci : essendo il luogo destinato alle

cose spirituali, non conveniente che vi si svolgano transazioni daffari. Inol-


tre, occorre aggiungere che un negozio pu diventare illecito, altrimenti legit-
timo, se, per esempio, esercitato da un chierico, oppure in quanto posto in
essere durante un giorno festivo, o, infine, per il modo con cui lo si realizza. 52

Leconomia monetaria di Alessandro di Alessandria fu subito registrata da


quanti e furono molti si occuparono di monete e di cambi. Il primo fu un

50 Alia species pecuniae est quae dicitur campsoriaHaec enim necessaria est ad utilitatem pe-

regrinantium aliorum, qui circueunt diversas regione et ad commutationes rerum, sine qua non est
vita humana (ibidem, pp. 181-182).

51 Praeteria numisma habet duplicem compensationem : una ex natura rei sive pondere, sive

censura ; alia ex determinatione positivae legis ex quo accidit quod frequenter aliquid numismatis

genus in aliquo loco non tantum valet quantum valorem dederit illi legis positivus (ibidem, p. 183).

52 Ibidem, p. 184.
appunti sull etica economica della scuola francescana 33
altro frate dellOrdine francescano, Astesano di Asti, 53 che a soli 15 anni di di-

stanza, nel 1317, trascriveva alla lettera nella sua Summa de casibus coscientiae,
detta anche Astesana, la dottrina cambiaria del confratello, e in particolare la
teoria del duplice valore della moneta : secondo il contenuto, in peso e mate-

ria, e secondo il valore politico-legale . 54

La Summa astensis incontr grande fortuna ed ebbe varie edizioni, diffon-


dendosi in tutta Europa.

2. 4. San Bernardino da Siena riformatore sociale


Il modello sociale proposto da San Bernardino, dando spessore allidea del va-
lore economico alla fraternit, al dialogo e alla relazione sociale in aggiunta
ai tradizionali valori duso e di scambio , sfocia, nella prospettiva del bene
comune, in una forma di economia civile e di economia di comunione.
Naturalmente, il suo osservatorio sociale il Quattrocento, che ha al cen-
tro luomo : non solo dal punto di vista della sua dignit, ma anche per quanto

riguarda laspetto economico e le regole che soprassiedono al buon funziona-


mento di uno Stato.
Umanisti e francescani sono i protagonisti del dibattito sulluomo nel
Quattrocento. 55 Entrambi hanno il merito di aver messo luomo al centro di

innumerevoli interessi e innovazioni, per costruire e diffondere una menta-


lit moderna. Umanisti e francescani Osservanti, in particolare, non poteva-
no ignorarsi, anzi in pi occasioni i litterati si espressero proprio sulla vita e
sullattivit economica con il saio. Si riscontra, insomma, tra frati e laici una
certa osmosi, pur nellambito di un dibattito critico delle reciproche ideo-
logie.
, quindi, un equivoco che tra umanisti e francescani ci fosse incomunica-
bilit e contrapposizione : 56 i primi non furono dei laici senza dimensione cri-

stiana, n i secondi furono tradizionalisti, nemici del progresso e delle huma-


nae litterae e degli studia humanitatis. Difatti, ben nota la religiosit di molti
umanisti ed altrettanto pacifico che dai francescani usc un vasto gruppo di
teologi e litterati, sensibili alle questioni civili e sociali.

53 Per maggiori dettagli, cfr. O. Bazzichi, Teorie monetarie francescane del tardo Medioevo.
Schema per un influsso etico-sociale, Rivista di Politica Economica , 1 (1987), pp. 49-78, spe-

cialmente pp. 57-63.


54 Cfr. Astesanus de Asta, Summa astensis, ed. Gerolamo Mainardi, Romae 1727, tomus
I, p. 321 : secundum naturam rei, vel ponderis, vel materiae e secundum taxationem legis

positivae .

55 Per un approfondimento, cfr. R.L. Guidi, Il dibattito sulluomo nel Quattrocento, Tielle
Media Editore, Roma 1998.
56 Un certo contrasto ci fu, ma pi su questioni teologiche e politico culturali. Entrambi
erano alla ricerca di una pi precisa definizione dei propri ruoli allinterno di una societ in
grande trasformazione.
34 oreste bazzichi
Emblematica, a questo riguardo, la lode e lossequio rivolti da Leonar-
do Bruni 57 allerede di Giovanni Duns Scoto, Bernardino da Siena, per la sua

stretta connessione fra cultura e vita sociale e morale. Da qui nasce il valore
del denaro per lo sviluppo della citt, che Poggio Bracciolini nel De avaritia
ne elogia la brama. La virt umana egli dice se vera virt (cio nata dal
lavoro di ognuno, e non da diritto ereditario), sociale, incremento socio-
economico della citt. Sullesaltazione del lavoro umano si esprime anche Le-
on Battista Alberti, il quale aggiunge che esso d prosperit alle famiglie e alle
citt, dove il fiorire delle ricchezze e il prosperare dei beni terreni costituisco-
no segno tangibile del favore di Dio. La dignit umana non risiede che nel
lavoro, e solo nel lavoro. 58

Mentre, quando San Bernardino parlava del vizio dellavarizia aveva in men-
te soprattutto i pericoli morali della ricchezza. Legoismo dei ricchi, che igno-
ravano i bisogni del prossimo e la bramosia del denaro, che coinvolgeva tutti
in un vortice di voluptas illimitata, conducono al disprezzo per ogni genere di
povert.
Da una parte, dunque, i francescani Bernardino da Siena, Antonio da Rho,
Lorenzo Guglielmo Traversagno, Giovanni da Spoleto, Giacomo della Marca,
Michele Carcamo, Angelo Carletti da Chivasso, Giovanni da Capestrano, Al-
berto da Sarteano, Bernardino Tometano da Feltre, ecc. ; dallaltra, gli umani-

sti Poggio Bracciolini, Coluccio Salutati, Leon Battista Alberti, Lorenzo Valla,
Pico della Mirandola, Leonardo Bruni, Giovanni Pontano, Battista Guarino,
Giannozzo Manetti, Matteo Palmieri, Marsilio Ficino, ecc.
Al pari degli umanisti, che teorizzavano lamministrazione della giustizia,
anche gli Osservanti intervennero sulla giustizia, ritenendo questa virt il ca-
posaldo di ogni organismo sociale. Lo Stato ha il compito di consentire alluo-
mo il raggiungimento della perfezione con lo strumento legislativo, nel quale
si realizza ogni giustizia, che, secondo San Bernardino, ha caratteristiche deci-
sive nelle sue tre espressioni di giustizia sociale, commutativa e distributiva. 59

E in altre parti fu ancora pi incisivo e quasi drammatico, sostenendo che

57 Per il Bruni, le humanae litterae e gli studia humanitatis formano luomo integrale. Per
questo egli tiene gli occhi fissi alla virt civile, che insieme perfezione dellindividuo e
della vita civile.
58 Cfr. O. Nuccio, La civilt italiana nella formazione della scienza economica, Etaslibri, Mi-
lano 1995.
59 San Bernardino da Siena, Antologia delle prediche volgari, a cura di F. Felice e M.
Fochesato (con postfazione di O. Bazzichi, Il modello socio-economico nel pensiero e nella pre-
dicazione di San Bernardino da Siena, pp. 205-226), Cantagalli, Siena 2010 (predica de Il Buon
Governo, p. 83 : Dico che la giustizia una costante volont e perpetua ; sai, che non vagilli,

ma sia ferma ; e che si renda a ciascuno quello che suo, e quello che se li conviene ; cio

che si renda a gattivi punizione, e a buoni premiazione .


appunti sull etica economica della scuola francescana 35
senza la giustizia non si pu organizzare e gestire la vita nella citt. 60 Come,

del resto, il denaro, senza il quale la citt non pu vivere ( necessario come
il sangue per il corpo umano), perch verrebbero meno i commerci e la citt
rimarrebbe privata di tutti quei beni di cui ha bisogno. Quindi, per una citt
leconomia monetaria vitale. 61

Da qui nasce losservatorio sociale di San Bernardino. Egli, infatti, conobbe i


suoi contemporanei e fu vivacissimo nel denunciare il cedimento morale del
popolo ; e nel rivolgersi ad esso ne adatt il gergo e le similitudini con unade-

renza che oggi, mutati gli usi e i costumi della societ civile, pu suscitare im-
barazzo, almeno per quanto concerne il senso estetico di certe scelte espressi-
ve, che si possono leggere anche nelle prediche qui raccolte. Ma si riscontra in
esse una carica di realismo, che il santo senese ricerca e accarezza per rendere
incisivo il discorso, comprensibile il messaggio e, non ultimo, per tradurre in
modo confacente, alla sensibilit degli ascoltatori, le proprie emozioni.
Egli, quindi, mira al cielo, ma non disdegna di osservare le cose della terra ;

ed essendo un francescano di vasta cultura, operante negli anni del grande


fervore intellettuale dellUmanesimo, il suo campo di osservazione spazia dai
precetti della morale ai principi delletica economica.
Vi uno stretto nesso come gi evidenziato tra Bernardino e la prece-
dente tradizione scolastica francescana. Qualche cifra significativa ci d lidea
dello spessore di tale influenza : nel Tractatus de contractibus et usuris citato

80 volte Pietro di Giovanni Olivi, 39 Giovanni Duns Scoto, e poi via via altri
confratelli che si sono occupati della mercatura, dellorigine del valore econo-
mico delle cose, del formarsi del prezzo delle merci sul mercato, dellusura e
dellinteresse, del mercato monetario e dello sconto.
Ma, se a queste analisi economiche, di proprio Bernardino aggiunse poco o
nulla, ci non esclude che non avesse una buona conoscenza del mondo degli
affari e non fosse attento alle realt sociali. Difatti, condanna i mercanti che
fanno incetta di viveri per farne aumentare i prezzi, e che perci determinano
situazioni artificiali di carestia e di fame. 62 Conosce bene i problemi del fi-

nanziamento mercantile, ottenuto attraverso rischiose operazioni bancarie. 63

Dimostra di essere ben informato su certe attivit commerciali e finanziarie


come puro e pericoloso gioco speculativo, che spesso determinava fallimenti

60 Se non si facesse la giustizia, ogni citt sarebbe piena di iniquit (ibidem, p. 88) ; e pi

oltre : Cos se tu levi i gattivi duna citt, poche volte vi troverai delle ingiustizie ; e ancora :

Uno gattivo non guasta solo la sua casa, ma tutta la sua citt e anco tutta Italia . E nella

predica il Timor di Dio (nella sezione E dove pi morta la giustizia che a Siena afferma :

Mai non trovai terra dove mancasse la giustizia, che mai sia bene capitata (ibidem, p. 105) ;

e a p. 106 aggiunge : Ella tanto necessaria ne le citt. Che non si pu bene vivere senza .

61 Cfr. Sermones imperfecti, in Opera omnia, studio et cura PP. Collegii S. Bonaventurae ad
fidem codicum edita, 9 voll., Florentiae 1950-1965, vol. viii, p. 46.
62 Cfr. Opera omnia, o. c., vol. iv, p. 153. 63 Ibidem, pp. 288-295.
36 oreste bazzichi
e disastri economici. 64 A proposito di questultime attivit speculative, Ber-

nardino pi volte dal pulpito denunci la pericolosit, anche sociale, di certi


contratti, come i barocchi, gli scrocchi o i ritrangoli, con i quali si voleva
meglio camuffare lusura. 65

Daltra parte, egli non poteva non essere attento osservatore della contra-
stata e rigogliosa vita economica del suo tempo. Lefficacia stessa della sua
predicazione esigeva, infatti, una continua aderenza alla realt quotidiana. Co-
s il dinamismo economico delle citt italiane del Basso Medioevo si riflessero
nel suo pensiero e nei suoi scritti e gli suggerirono i temi contingenti per la
sua predicazione. 66

Quindi, alla domanda se Bernardino, cos preparato nel campo teologico e


delle virt morali, ebbe coscienza e competenza delleconomia monetaria e
creditizia, la risposta non pu che essere affermativa, anche se la sua analisi
rimane entro una visione teologica della storia e del francescanesimo.
Infatti, sullo sfondo come nella prospettiva di un quadro pittorico do-
mina il concetto di fraternit, che per il francescano non un ideale astratto,
ma una vita di rapporti interpersonali, in cui ognuno si realizza come fra-
ter minor nella misura in cui non vive nellisolamento, ma si apre agli altri e
comunica agli altri se stesso. La vita fraterna viene vissuta umanamente con
tutta la sua carica di affetti e di sentimenti, tanto da poter dire che la fraternit
crescita umana e cristiana. Di conseguenza, lautorit non si attua al di sopra
della fraternit o a scapito della fraternit, ma in funzione di essa, alla ricerca
dei valori umani, sociali e comunitari.
Lumanesimo francescano si trova coinvolto in tutte le sfere che compon-
gono la realt, sia divina che umana. Vivere secondo la visione francescana
non significa soltanto lo stare nel mondo, e attraverso la sua contemplazione,
ascendere a Dio ; ma esige lo stare insieme, il co-esistere, il dialogare, il con-

dividere e il progettare il sistema sociale con tutte le creature esistenti. Si fa,


infatti, leva su una ontologia di comunione, di partecipazione e di fraternit
globale
Dunque, difesa della propriet privata, ma uso sociale di essa. Il possesso dei
beni naturale se lo per tutti, perch tutti devono avere diritto a possedere

64 Ibidem, pp. 186-188. 65 Ibidem, p. 150.


66 Su alcuni temi socio-economici della sua predicazione, cfr. G. Todeschini, Il problema
economico in Bernardino, in Bernardino predicatore nella societ del suo tempo, XVI Convegno
del Centro Studi sulla Spiritualit Medievale (Todi, 9 12 ottobre 1975), Accademia Tuder-
tina 1976, pp. 283-309 (riprodotto nel Suppl. Etica ed Economia n. 2/2007 de La Societ,
pp. 23-42) ; A. Spicciani, La povert involontaria e le sue cause economiche nel pensiero e nella

predicazione di Bernardino da Siena, in D. Maffei - P. Nardi (a cura di), Atti del Simposio
internazionale cateriniano-bernardiniano (Siena, 17 20 aprile 1980), Accademia Senese degli
Intronati, Siena 1982, pp. 811-834 (riprodotto nel Suppl. Etica ed Economia , n. 2 (2010) de

La Societ , pp. 42-68).



appunti sull etica economica della scuola francescana 37
qualcosa, e, quindi, nessuno pu avere il diritto a possedere in proprio qualco-
sa in senso assoluto, proprio per il fatto che laccesso alle risorse necessarie alla
vita riguarda tutti, in quanto legato ad un uso e non ad un possesso. Per tale
motivo, secondo S. Bernardino, non sufficiente la sola giustizia per salva-
guardare lintegrit dellordine sociale e sopprimere gli abusi, ma ci vuole lap-
poggio della carit, vale a dire, di un amore che non sia solo naturale, ma sia
capace di elevarsi al di sopra degli interessi terreni. nella carit che la societ
trova la sua perfezione, il suo compimento. lutopia delletica francescana.

3. Dal discorso economico francescano al modello civile


Dal significato ontologico della natura di Bonaventura, dalle teorie della mer-
catura, del capitale, del valore economico e del giusto prezzo di Pietro di Gio-
vanni Olivi e di Giovanni Duns Scoto o dalla dottrina monetaria di Alessandro
di Alessandria, passando per S. Bernardino, si svolge una lenta e progressiva
maturazione del discorso economico utile al progresso civile della societ e
allo stesso tempo cristianamente positivo anche sul piano pratico.
I tratti caratteristici di questo modello sociale della civilt cittadina sono
sostanzialmente due.
Anzitutto, una democrazia, che, con termine moderno potremmo chiama-
re partecipativa ; una democrazia, cio, che esprimeva lautogoverno e laf-

fermazione della responsabilit collettiva della citt : la piazza (intesa come


agor), la cattedrale, il palazzo del governo, il palazzo dei mercanti e delle cor-
porazioni di arti e mestieri (organizzazione del lavoro manifatturiero), il mer-
cato (luogo delle contrattazioni e degli scambi), i palazzi dei ricchi borghesi, i
conventi degli Ordini religiosi dislocati per lo pi ad anello dentro le mura ed,
infine, le chiese dove avevano sede anche le Confraternite. Attraverso questi
luoghi concreti si coltivavano le virt civiche, che definivano la societ pro-
priamente civile, le cui principali caratteristiche erano : la fiducia reciproca, la

sussidiariet, la solidariet, la fraternit, il rispetto delle idee altrui, la compe-


tizione di tipo cooperativo.
In secondo luogo, leconomia, costituita dagli imprenditori-mercanti. Essi
erano non solo i pi attivi soggetti di apertura culturale e di nuovi mercati,
ma anche i pi attivi produttori di innovazioni organizzative in campo azien-
dale, con la commenda, antesignana della moderna societ per azioni ; las-

sicurazione ; la partita doppia, sistematizzata dal francescano Luca Pacioli


nel 1494 ; 67 il foro dei mercanti ; le lettere di cambio ; i Monti di Piet ; la borsa ;

67 Ha scritto la Summa de Aritmetica Geometria proporzioni et proporzionalit. Il testo fece


il giro dellEuropa, perch grazie ai banchieri fiorentini, lucchesi e senesi e ai mercanti
veneziani e genovesi il modo di fare i conti allitaliana divent famoso. Fra Luca Pacioli
nella Summa illustra il metodo matematico per rappresentare i fatti umani che avvengono
nellazienda, per capire dove sta andando, se possibile migliorarne i conti, se si sta sba-
38 oreste bazzichi
tutte realt senza le quali non si sarebbe mai potuto avere uno sviluppo indu-
striale diffuso sul territorio.
In particolare, il Monte di Piet, ideato e diffuso dai discepoli del predicato-
re senese, Bernardino da Feltre, Giacomo della Marca, Alberto da Sarteano e
Giovanni da Capestrano, fu unistituzione cittadina, dedita allassistenza, ma
anche uniniziativa di carattere economico-creditizio, che ag da ammortiz-
zatore sociale in un contesto economico statico e soggetto a rapidi tracolli.
Secondo lenciclica Caritas in veritate questo metodo originale offre spunti e
parametri per un rinnovato rapporto tra credito e cittadini anche oggi. 68

Il modello socio-economico civile, proposto dal pensiero francescano e da-


gli Umanisti, verr ripreso nel Settecento, in Italia, dalla Scuola economica
soggettivista napoletana (Genovesi e Galiani) e da quella milanese (Muratori,
Beccaria e Verri), e in Scozia, dalla Scuola di Glasgow (Hutcheson e Smith 69).

Al centro delle loro analisi pongono lindividuo e la sua aspirazione a realizzare


il benessere personale, come motore dellagire economico. Per gli economisti
civili il mercato, limpresa, leconomico sono in s luoghi anche di amicizia,
reciprocit, gratuit, fraternit. Leconomia civile come scienza della felici-
t pubblica, frutto delle virt civiche (amicizia, fiducia, prudenza, giustizia,
ecc), legata al bene comune, perch o si felici tutti in una nazione o non lo
nessuno ; come strumento delle relazioni interpersonali ; come impegno civile

perch fondato sulla relazionalit ; come fattore di benessere di ciascuno e del-


la collettivit attraverso la cooperazione, il commercio equo e solidale, banca


popolare etica, imprese sociali, organizzazioni no profit, microcredito. 70

Non deve stupire, in fondo, che Bernardino, Bruni, Alberti o Poggio Brac-
ciolini sostengano lattivit economica e le ricchezze, proponendo tesi simili

gliando strategia e se il caso di chiudere. Il connubio fra matematica e misura dei fatti
aziendali costituisce appunto la partita doppia.
68 Benedetto XVI, Caritas in veritate, Libreria Editrice Vaticana, Citt del Vaticano 2009.
Cfr. O. Bazzichi, Paradigma francescano e Caritas in veritate, La Societ , 6 (2009), pp. 784-

800 ; inoltre Idem, Valenza antropologica del discorso economico francescano. Dai Monti di Piet

alle proposte odierne di finanza etica, Miscellanea Francescana , 105 (2005), pp. 480-500.

69 Il pensiero di Adam Smith, al di l di quanto la storia economica abbia lasciato intende-


re per lungo tempo, molto pi vicino al modello antropologico ed economico civile che
non nel solco classico di Mandeville e Hobbes. Smith riconosce che il modo pi naturale e
umano di ottenere le cose dagli altri la reciprocit, la simpatia, la benevolenza e lamicizia.
Egli, quindi, in piena continuit con la tradizione dellumanesimo civile, che vede il mer-
cato come luogo di sviluppo umano : luogo di rapporti orizzontali tra persone che possono

incontrarsi e scambiare beni, guardandosi in faccia con pari dignit. Cfr. F. Zamagni, Per
uneconomia civile nonostante Hobbes e Mandeville, Oikonomia , 3 (2003), pp. 11-23.

70 Sullesperienza della microfinanza, che affonda le radici come sostiene Benedetto


XVI nellenciclica Caritas in veritate nella riflessione e nelle opere degli umanisti civili e
della Scuola francescana, cfr. A. Andreani - V. Pelligra, Microfinanza, Il Mulino, Bologna
2009.
appunti sull etica economica della scuola francescana 39
sullutilit sociale della mercatura. Essi per sanno bene che la ricerca dellin-
teresse personale non si trasforma automaticamente in bene comune. Gli
obiettivi privati si trasformano in bene vivere sociale solo allinterno della
civitas, 71 che non deve essere chiusa, ma fondata sulla cultura della legalit,

della sovranit, dellospitalit territoriale, dove i nuovi cittadini devono condi-


videre i principi fondamentali, nei quali deve trovare spazio un ritorno gene-
rale alla sobriet nella vita, nei costumi e nei consumi.
I francescani hanno saputo sincronizzare meravigliosamente la speculazio-
ne con la vita, il pensiero con lazione, la mistica con il lavoro, leconomia con
la felicit, il bene con il ben-essere, la teoria con la prassi.
In questo momento assai delicato della nostra storia e del nostro presente,
aggravato dalla pi grande crisi economico-finanziaria internazionale dal 1929
in poi, non fuori luogo il ricorso al paradigma etico-economico francescano
e alle dinamiche sociali delleconomia civile. 72 Essa, affondando le sue radici

nella Scuola francescana, in grado di superare la contrapposizione non profit,


tipico del Terzo settore, e for profit, tipico del capitalismo. Come il donare
e ricevere, di ispirazione francescana, fu unoperazione sulla quale si tent
di innestare lo sviluppo delletica mercantile allinterno della civitas cristiana,
non arbitrario riproporla nellera della cosiddetta postmodernit : una con-

cezione del mercato, dello scambio e pi in generale della vita economica


in continuit e come emanazione delleconomia sociale e relazionale della
comunione fraterna, che la Rivoluzione francese ha schiacciato sul principio
delleguaglianza, di cui invece radice. Oggi il bene scarso da sempre log-
getto della scienza economica costituito anche dai rapporti interpersonali ;

e se leconomia resta ancorata allidea individualista rischia di perdere il con-


tatto con le dinamiche sociali importanti.
Lenciclica Caritas in veritate invita a superare la crisi del mercato, tenendo
conto anche delleconomia del dono. 73 I fallimenti del mercato si verificano

71 Sul tema delleconomia civile, cfr. S. Zamagni - L. Bruni, Lezioni di economia civile,
Editoriale Vita, Milano 2003 ; L. Bruni - S. Zamagni, Economia civile. Efficienza, equit, felicit

pubblica, Il Mulino, Bologna 2004.


72 Per un approfondimento sullumanesimo civile, accanto alle forme tipiche dello Sta-
to e del mercato, cfr. L. Bruni - S. Zamagni, Economia civile. Efficienza, equit, felicit pub-
blica, cit. ; S. Zamagni, Leconomia del bene comune, Citt Nuova, Roma 2007 ; L. Bruni - S.

Zamagni, Dizionario di economia civile, Citt Nuova, Roma 2009. Per un approfondimento
sullUmanesimo civile, accanto alle forme tipiche dello Stato e del mercato, cfr. F. Felice,
Leconomia sociale di mercato, Rubbettino, Soveria Mannelli 2008.
73 Il tema del terzo capitolo dellenciclica significativamente intitolato Fraternit, svi-
luppo economico e societ civile. Tra laltro, scrive Benedetto XVI : Il cattivo utilizzo della

finanza che ha danneggiato leconomia reale propone di ricorrere anche alla esperienza
della micro finanza, che affonda le proprie radici nella nascita dei Monti di Piet (n. 65) ;

unistituzione cittadina, portatrice di sensibilit teologica e sociale, dedita alla solidariet,


ma anche uniniziativa di carattere economico-creditizio capace di agire da ammortizzato-
40 oreste bazzichi
proprio quando viene meno il terreno dei compiti sociali, culturali e civili,
propri dellappartenenza ad una communitas.
Il pensiero economico francescano propone una sintesi tra concorrenza e
condivisione, aggiungendo ai due valori classici del sistema economico va-
lore duso e valore di scambio un terzo valore che racchiude entrambi : il

valore legame.

Abstract : In recent years studies surrounding the Low and Late Middle Ages have suggested

an interesting direction for research regarding the relationship between the thinkers of the
Franciscan School and the origins of capitalism. The authors analysis presents surprising
results that surpass Webers thesis on the links between Protestant ethics and the spirit of
capitalism : the reflection of Franciscan theologians needed to clarify the difference between

usury and loan, between luxury and proper use of goods, within the horizon of the common
good, and therefore created the conditions for economic growth. It has paradoxically contrib-
uted to the formation of a commercially semantic lexicon and a widespread social culture,
in which the society of the market has established the fundamental categories for subsequent
developments. Without detracting from the great wealth of ideas born out of the Thomistic
school nor the literary forms of secular humanists, this essay invites us to re-examine Fran-
ciscan economic thought in light of the current, serious economic and financial crisis. In
order to overcome this crisis we must examine not only the sphere of production, but also of
nonproduction, that is, the economy of gift, fellowship, and the sharing of goods, which does
not exclude competition. On the contrary, it places competition within solidarity and its com-
munal and social value.
Keywords : San Bernardino da Siena, Alessandro Bonini di Alessandria, Giovanni Duns

Scoto, economy, ethics, Fra Pietro di Giovanni Olivi, Franciscan political thought.

re sociale e da motore di sviluppo economico . Per un commento, cfr. O. Bazzichi, Para-


digma francescano e Caritas in veritate, La Societ , 6 (2009), pp. 784-800.



DENTRO E OLTR E LE ILLUSIONI
DEL CA PITA LISMO TECNO-NICHILISTA.
PER UN DI V ER SO IMM AGINA R IO DELLA LIBERT
Mauro Magatti * Monica Martinelli **
Sommario : 1. Il punto di partenza. 2. Logiche e forme del capitalismo tecno-nichilista. 2.1.

Ascesa ed espansione. 2.2. Frammentazione e implosione. 3. Lirrompere delle crisi : solo frat-

tura nel cronos o anche momento di kayrs ? 4. La libert dei liberi. 5. Riammettere la realt.

5.1. La realt come ambiente ospitale. Libert come cura. 5.2. La realt come forma. Libert
come assunzione del limite. 5.3. La realt come interpellazione. Libert e senso. 6. La libert
generativa.

1. Il punto di partenza

S e volessimo delineare sinteticamente la cornice entro cui comprendere la


storia europea degli ultimi due secoli dovremmo ripartire dalla libert e
dal legame tra verit e libert. Le principali tradizioni di pensiero sulla libert
contribuiscono, pur se da punti di vista diversi, a rafforzare lorientamento
delluomo moderno a non accontentarsi pi di una verit gi data, conside-
rata come qualcosa che schiaccia la libert. Infatti, la tradizione liberale insiste
sul soggetto detentore della libert il cui contenuto non pu essere definito
da nessuna autorit esterna. La tradizione critica, dal canto suo, non riesce pi
a delineare un futuro migliore, data la perdita di fiducia nella capacit della
ragione di arrivare a un qualche universalismo delle idee ; lunica strada che

sembra percorrere quella del decostruzionismo sistematico che lascia in pie-


di solo lopinione individuale.
In questo scenario prende forma, negli ultimi decenni del xx secolo, una
inedita alleanza quella tra un individualismo esasperato e una critica pura-
mente negativa , rafforzata da un particolare modello istituzionale il capi-
talismo tecno-nichilista che intercetta favorevolmente quelle spinte culturali
e fa leva su una certa visione della libert. Lirrompere della grave crisi che
ha colpito leconomia mondiale rileva le incongruenze di quel modello, co-
stringendo a ripensarne le logiche e i presupposti, con le loro implicazioni e

* Facolt di Sociologia, Universit Cattolica Milano, L.go Gemelli, 1 - 20123 Milano. E-


mail : mauro.magatti@unicatt.it

** Facolt di Sociologia, Universit Cattolica Milano, L.go Gemelli, 1 - 20123 Milano. E-


mail : monica.martinelli@unicatt.it

acta philosophica i, 21, 2012 pp. 41-62


42 mauro magatti monica martinelli
ambivalenze. In queste pagine, dopo aver tratteggiato le caratteristiche del
capitalismo tecno-nichilista, tenteremo di delineare un percorso orientato a
ripensare limmaginario della libert.

2. Logiche e forme del capitalismo tecno-nichilista


2. 1. Ascesa ed espansione
In Occidente, nel secondo dopoguerra, si sviluppa il capitalismo societario
che si regge sulla vittoria della democrazia, la regolazione keynesiana, il com-
promesso fordista-welfarista, laccesso generalizzato allistruzione. Esso ha
portato a successi notevoli in termini di sicurezze sociali, a prezzo tuttavia di
una imponente presenza delle istituzioni allinterno della vita sociale e indi-
viduale.
Tale eccesso ha scatenato una crisi sul piano soggettivo e lesplodere alla
fine degli anni 60 di una domanda di maggiore espressivit da parte degli
individui, che hanno cominciato a rifiutare ogni autorit e gerarchia sociale in
nome della centralit del S, dellautonomia delle scelte, della libert morale.
Al contempo, oltre alla crisi prodottasi sul piano soggettivo, anche sul piano
strutturale dopo decenni di crescita ininterrotta comincia ad affacciarsi,
nei primi anni 70, linstabilit economica che rende sempre meno convincenti
le risposte e politiche in merito. Ne deriva una crisi di legittimit nei confronti
delle istituzioni e ne consegue una ristrutturazione che riguarda, contempora-
neamente, il piano socio-culturale, quello politico e economico.
Tra queste due crisi si viene a realizzare una sintesi originale : la domanda

di libert individuale e di espressivit dei soggetti si interseca al di l di un


disegno predeterminato con la domanda di autonomia del mondo econo-
mico che chiede di sganciarsi dallo stato e dalle istituzioni al fine di muoversi
in piena libert. La transizione si accelera negli anni 80 quando si rafforza
la liberalizzazione dei mercati e si sgretola il modello socio-economico anta-
gonista a quello di mercato. Si prospetta cos la nascita di una nuova societ
globale di mercato : il termine globalizzazione serve per nominare questo

progetto. Al suo interno, lascesa del neoliberismo costituisce il pi importan-


te fattore di ristrutturazione del capitalismo contemporaneo, contrassegnato
dallavvio di una nuova fase di accumulazione in cui limmaterialit sostituisce
la produzione, la flessibilizzazione spiazza la rigidit degli assetti istituzionali
precedenti, lintervento istituzionale si ridimensiona notevolmente a fronte
delle istanze di dinamismo economico su scala globale e di quelle libertarie
dei singoli individui.
Il modello improntato sulla logica neoliberista del mercato trova un forte
alleato nella tecnica il cui sviluppo conosce una accelerazione ingente : la tec-

nica, similmente al modello neoliberista, si limita a offrire i binari entro cui


linfinita variet delle azioni individuali pu avere luogo, dopo aver potenziato
le illusioni del capitalismo tecno-nichilista 43
enormemente questultima e ampliato gli scopi perseguibili. Il contributo, in-
fine, dato da una particolare Weltanschauung che fa leva sul nichilismo costitu-
isce il sostrato culturale particolarmente pertinente allo scopo di manipolare
qualunque significato cos da non impedire la libert intesa come movimento
espansivo che, per potersi manifestare appieno, ha bisogno di una continua
crescita delle opportunit disponibili.
Nella configurazione sociale che si viene cos a formare negli ultimi decenni
del xx secolo, la dimensione capitalistica struttura un sistema di potere basato
sulla mobilit e sullo spostamento (di flussi di capitali, beni, informazioni, cul-
ture, persone, etc.) ; la dimensione tecnica permette di gestire efficientemente i

diversi flussi e di disporre di codici astratti che possano consentire scambi al di


l della variet culturale ; la visione nichilista, infine, rende malleabili e reversi-

bili i significati : il capitalismo tecno-nichilista si pone cos come nuova forma di


organizzazione (e legittimazione) della vita sociale. 1 Ma anche come un im-


maginario che supporta logiche di strutturazione dei rapporti e delle giustifi-


cazioni che forgiano il mondo sociale nel quale agli attori si muovono.
Le coordinate di questo immaginario consacrano lo spostamento del bari-
centro sullindividuo, ritenuto del tutto libero quando nella condizione di
scegliere i suoi significati, i suoi legami, la sua cultura. Esse traggono beneficio
dallenfasi posta sullo spazio estetico : 2 uno spazio che opta per lo sradicamen-

to da ogni vincolo territoriale e per la stratificazione della cultura su una plu-


ralit di piani, con riferimenti simbolici e contenuti eterogenei che penetrano
in qualunque mondo sociale, senza pi depositare i significati in un luogo, in
un gruppo, in una istituzione. Appoggiandosi allo spazio estetico deterrito-
rializzato, limmaginario tecno-nichilista predilige linguaggi simbolicamente
non troppo impegnativi, in modo tale che siano poco vincolati a gruppi speci-
fici. I criteri di valutazione non fanno pi riferimento alladesione a un sistema
consolidato di valori e alla legittimazione di una qualche autorit. Cruciale
qui il ruolo dei sistemi tecnici nel loro continuo divenire : infatti, sono le nuove

opportunit che continuano ad ampliarsi davanti a noi a ridefinire i significa-


ti delle nostre esperienze e gli obiettivi delle nostre azioni, nonch la nostra
libert.
Il predominio del significante rispetto al significato rafforza lo sganciamen-
to tra funzioni e significati, discendente dalla frattura tra la ragione intesa

1 Per la ricostruzione delle trasformazioni socio-culturali degli ultimi decenni rimandia-


mo a M. Magatti, Libert immaginaria. Le illusioni del capitalismo tecno-nichilista, Feltrinelli,
Milano 2009.
2 La nozione di spazio estetico viene utilizzata da Lull e Bauman. In particolare, J.
Lull (Media, communication and culture. A global approach, Polity Press, Cambridge, 2000)
ha parlato di deculturalizzazione e di supercultura per riferirsi allinsieme delle risorse
simboliche diffuse e riprodotte attraverso il sempre pi complesso e pervasivo sistema della
comunicazione mediale.
44 mauro magatti monica martinelli
quale facolt che ordina le nostre conoscenze e esperienze, ricomponendo il
senso, e la ragione quale mera strumentalit tecnica. La ragione ammessa
quella orientata allagire tecnico : ad essere considerato sensato solo ci che

permette di risolvere un problema e di raggiungere lo scopo che ci si prefis-


sati individualmente. Si tratta di una razionalit che diviene potente motore
di frammentazione, tenuto conto che la ricomposizione dei significati viene
relegata al piano individuale, laddove il singolo pretende di darsi i propri rife-
rimenti a prescindere da ogni vincolo, magari mescolando confusamente ele-
menti resi disponibili dallo spazio estetico deterritorializzato.
Il nuovo capitalismo combina la crescita mediante le risorse tecniche con la
mobilitazione della sfera affettivo-emozionale. Questo vuol dire che si allarga-
no gli ambiti della vita suscettibili di entrare nel circuito della valorizzazione
economica, la cui espansione viene sostenuta dalla risposta del consumatore
che, a tal fine, deve essere continuamente iperstimolata mediante la produ-
zione di eventi esperienziali. Significativamente, si utilizza il termine eco-
nomia dellesperienza. 3 Per far ci, il sistema inverte il desiderio in godimen-

to, la cui stimolazione avviene perseguendo una strategia vincente : quella di

accelerare continuamente. lidea che sta dietro il modello di sviluppo degli


ultimi decenni il cui dinamismo economico innegabile. Anzich investire
nella crescita di lungo periodo, la ricetta ha previsto lespansione senza limiti
della platea dei consumatori, anche a costo dellindebitamento personale e
collettivo. La grande accelerazione stata resa possibile dal combinarsi di al-
cuni ingredienti, come la creazione di sempre nuove infrastrutture tecniche, la
riforma del commercio internazionale, i mutamenti nei sistemi comunicativi
e, non da ultimo, la trasformazione del sistema finanziario internazionale il
cui peso lievitato in modo impensabile.
Dentro questo modello stata utilizzata la metafora energetica anche per
gli esseri umani : lenergia interna al sistema costituita dalla volont di potenza

dei soggetti, ossia dal desiderio di affermare la propria esistenza. Si tratta di


una energia che propria delluomo, ma che viene abilmente deviata su sod-
disfazione e godimento senza sosta, per cui deve essere adeguatamente attiva-
ta. Tutto ci retto da aspirazioni filosofiche che puntano sulla autonomia da
qualsiasi vincolo, la liberazione da ogni rigidit, il perseguimento del sacro
compito di realizzare se stessi.

2. 2. Frammentazione e implosione
Lalleanza tra nuovo capitalismo, tecnica e nichilismo struttura delle logiche
che investono la vita sociale collettiva e individuale. Una di queste la fram-
mentazione che interessa pi livelli. Ne menzioniamo alcuni. Vi la frammen-

3 Cfr. B.J. Pine - J.H. Gilmore, Leconomia delle esperienze, Etas Libri, Milano 2000.
le illusioni del capitalismo tecno-nichilista 45
tazione delle solidariet : lesaltazione dellindividuo comporta un indebolimen-

to del legame sociale e della solidariet sociale. Le soluzioni prospettate dal


quadro culturale contemporaneo vanno in due direzioni : la prima considera

la competizione come la forma di solidariet dinamica di questo tempo, la


seconda si muove sul piano dellaffermazione (spesso in termini regressivi)
dellidentit. Un altro livello riguarda la frammentazione delle relazioni : la forte

spinta allindividualizzazione implica che le relazioni sociali si appiattiscano,


da un lato, sulla interazione basata su un accordo di tipo funzionale, e, dallal-
tro, sulla relazione pura che Giddens definisce come sorprendente, senza
memoria n progetto, capace di esaltare lemotivit, listantaneit, la fisicit. 4

Sganciati dal loro contesto, deprivati del loro significato e appoggiati solo sul-
le spalle dellindividuo, i rapporti sociali e umani si trasformano in unimpresa
titanica, anche perch, in un mondo in cui ciascuno ha la pretesa di affermare
la propria verit, la probabilit dellincomprensione e dellequivoco non pu
che aumentare.
Infine, la frammentazione tocca il s, tanto che vi chi parla dellIo non pi
come individualit ma come singolarit evento : energia libera, volont di

potenza pura allinfinito, successione di esperienze, apertura allaccadimento,


macchina desiderante. A ci si aggiunge la frammentazione del corpo : attra-

verso i progressi della biologia, noi possiamo guardare ai fenomeni della vita
analizzandoli a livello della regione sub-microscopica, per cui il corpo diven-
ta un fatto compiutamente bio-tecnico. A questo punto, per, si compie un
passo antropologico enorme : nel momento in cui la tecnica, il sistema econo-

mico, la cultura nichilista varcano la soglia dellintangibilit e lessere umano


stesso viene assoggettato alla logica della frammentazione, ci si chiede che
cos luomo.
La logica della frammentazione mette insieme la forza della tecnologia che
avanza a un ritmo sempre pi serrato, penetrando in ogni ambito della nostra
vita, e la reversibilit dei significati propria di una cultura nichilista. In questo
contesto diventa sempre pi difficile riuscire a fissare un qualche significato
condiviso come vero. Sono piuttosto gli apparati tecnici a godere di straor-
dinaria solidit fino a che domina lidea per cui tutto ci che tecnicamente
possibile vero, e dunque dotato di senso. La prova di realt passa inoltre per
la forza del coinvolgimento emozionale : noi tendiamo a riconoscere come ve-

ro ci che ha la forza di prenderci emotivamente. Si riduce ai minimi termini


la componente riflessiva dellesperienza mentre aumenta la probabilit di una
manipolazione dal momento che la costruzione dellintensit momentanea e
la capacit di far sentire diventano veri e propri strumenti di potere. La rinun-
cia alla ricerca di una verit che non coincida con ci che facciamo esistere noi
fa s che la realt sia solo quella che affermiamo.

4 Cfr. A. Giddens, Le trasformazioni dellintimit, Il Mulino, Bologna 2008.


46 mauro magatti monica martinelli
Questo immaginario costituisce il substrato della crisi attuale, nelle sue
molteplici articolazioni. Il discorso sarebbe complesso. Basti solo accennare
che la crisi costituisce un punto di rottura del sistema, ma al contempo una
dura lezione. Certamente il capitalismo tecno-nichilista ha raggiunto impor-
tanti risultati : esso ha innescato una fase di straordinario sviluppo accrescendo

la capacit produttiva globale e ha aumentato le opportunit di vita di milioni


di persone. Per tale motivo, lesplosione della crisi stata vissuta, tanto da go-
verni come da opinioni pubbliche, con un diffuso senso di angoscia : il rallen-

tamento della crescita delle opportunit segna uno scacco alla garanzia di una
continua espansione che non ammette riduzioni del livello di vita. Tuttavia,
il limite del capitalismo tecno-nichilista sta nella dinamica che gli propria :

quanto pi si afferma, aumentando la propria potenza, tanto pi rivela la sua


fragilit perch ignora il limite delle risorse che ne alimentano il circuito, fino
a che vengono a erodersi le basi della sua stessa sostenibilit. La crisi che
contemporaneamente finanziaria, energetica, sociale con tutti i suoi effetti
collaterali rivela lautoreferenzialit di quel modello la cui espansione si veri-
ficata a prescindere dalla realt a meno che non si tratti della realt tecnica.
Di fatti, il sistema finanziario globale si progressivamente sviluppato se-
condo una logica di questo tipo sulla base dellidea che nessun tipo di rego-
lamentazione che non fosse tecnica dovesse essere implementata, al fine
di liberare lagire umano nelluso di strumenti finanziari nuovi al di l degli
effetti, tanto pi che tali strumenti introducevano la possibilit di socializzare
le eventuali perdite (ovvero di scaricarle su soggetti terzi) beneficiando invece
individualmente degli eventuali guadagni. Ci ha incentivato a contrarre de-
biti a livello macro come a livello micro, non curandosi degli effetti reali di tali
operazioni. Nel 2008, nel giro di poche settimane tutte le principali istituzioni
finanziarie del cuore pulsante del capitalismo globale rischiano il crollo. La cri-
si investe il cuore delleconomia globale, come un infarto. Che, in quanto tale,
spinge a ripensare lo stile di vita. Il punto che risulta improponibile chiedere
di cambiare stile di vita dopo decenni in cui si proclamata la libert di scopo
insieme allidea per cui importante che le cose funzionino, che non ci debba-
no essere dei significati condivisi perch questi ci vincolerebbero nelle scelte.
Nella logica del capitalismo tecno-nichilista, la crescita secondo il binomio
potenza-volont di potenza ha comportato poi una voracit nei confronti delle
risorse energetiche : naturali, sociali, umane. Il sovra-sfruttamento ambientale

si riflesso nella crisi alimentare, con limpennata dei prezzi del petrolio pri-
ma e dei generi alimentari poi. 5 Il problema che la gestione di certe risorse

viene lasciata totalmente al mercato che le considera univocamente dal punto

5 Tra la fine del 2006 e linizio del 2008 i prezzi dei generi alimentari sono aumentati del
70%, con drammatiche ripercussioni soprattutto in paesi gi attraversati al loro interno da
ingenti problemi sociali.
le illusioni del capitalismo tecno-nichilista 47
di vista della logica degli investimenti, tanto che una necessit energetica pu
essere soddisfatta anche a scapito di unaltra, nellillusione che la crescita pos-
sa continuare allinfinito.
Infine, la crisi sociale. A tale proposito, oltre a quanto gi sopra ricordato
a proposito della frammentazione dei legami, accenniamo alla crescita espo-
nenziale delle disuguaglianze globali e locali, processo che consegue allo sgan-
ciamento della crescita da qualsiasi nozione di equit distributiva. 6 Dietro alla

retorica di accrescere le uguali opportunit per tutti, il capitalismo tecno-ni-


chilista ha fatto delle asimmetrie e dei differenziali il proprio motore, cui ha
aggiunto lesasperazione delle differenze individuali di talento per il cui suc-
cesso viene considerata necessaria la rottura di ogni legame vincolante.
Lespansione economica e finanziaria accompagnata nel suo avanzare
dallarretrare, al contempo, socialmente e culturalmente. Gli effetti di ci di-
vengono fonti di instabilit politica e sociale, a livello globale oltre che inter-
no agli stati, e costituiscono delle strozzature alla crescita attuale dei paesi
avanzati. Il capitalismo tecno-nichilista ha, per cos dire, eroso le condizioni
che ne hanno permesso lo sviluppo reggendosi su un immaginario della liber-
t che ha preteso di identificare questultima con lautodeterminazione della
volont di potenza secondo una concezione antropologica fortemente ridut-
tiva. Il punto che lo sviluppo non mai una questione astratta di tecnica ed
efficienza, ma sempre la combinazione di molteplici fattori strutturali, s,
ma anche culturali e umani e risente di una certa visione delluomo e della
libert.

3. Lirrompere delle crisi : solo frattura nel cronos


o anche momento di kayrs ?

Il capitalismo tecno-nichilista ha ormai compiuto il suo tempo. Nei limiti delle


sue premesse e negazioni culturali, esso ha realizzato gli scopi per cui esso si
andato costituendo. Non a caso, in analogia a quanto accadde negli anni 70
quando si cominci a parlare di statalismo, oggi molti osservatori parlano di
mercatismo per indicare le degenerazioni di un sistema che ha, s, prodotto
crescita ma ha anche devastato societ, culture, relazioni. E anche oggi come
allora bisogna cercare di girare veramente pagina.
La crisi ci dice infatti che ci siamo perduti, nel perdere il senso della realt (la
crisi finanziaria con un debito che mangia il futuro emblematica a tale pro-
posito), nel perdere il rapporto di reciprocit con la natura/il mondo (come

6 Una idea di massima ci viene data dal rapporto del undp : il 5% pi ricco della popola-

zione dispone dell86% del Pil mondiale, mentre il 5% pi povero dell1%. Negli anni 60,
tale rapporto era di 30 :1. Anche i dati relativi al nostro paese sono sconfortanti : rispetto alla

met degli anni 80, la disuguaglianza cresciuta del 33%, e oggi il 10% delle famiglie dispo-
ne del 45% della ricchezza, mentre il 50% dispone solo del 9,8%.
48 mauro magatti monica martinelli
indica drammaticamente la crisi energetica), nel perdere laltro (come mostra
la crisi del legame).
Tali perdite non sono estranee ai presupposti dellimmaginario della libert
che ha fatto da sfondo al capitalismo tecno-nichilista. Dopo essersi espressa
nella ribellione e contestazione degli anni 70, la libert si alleata profonda-
mente con il binomio potenza-volont di potenza (potenza a livello aggre-
gato e volont di potenza sul piano soggettivo) fino a coincidere con la sua
inarrestabile espansione e indiscussa apertura. Limpressionante energia che
si sprigionata in questi decenni ha mostrato il potere della libert : il potere

di perdersi, appunto. Essa scivolata in anarchia e in perdizione, movimenti


puramente adattivi, i quali dicono quanto sia difficile non solo conquistare la
libert ma soprattutto conservarla, gestirla, esercitarla : la libert un proces-

so impegnativo, tanto pi la libert dei liberi.


Tuttavia, proprio questo tipo di esperienza sembra essere quella tipica
delluomo libero. La ribellione prelude sempre ad una qualche forma di smar-
rimento. I passaggi alle nostre spalle lo confermano : essi delineano la storia

propriamente della libert, che passa attraverso la ribellione e arriva fino al-
la perdizione anarchica. Ma, giunti a questo punto, si tratta di decidere se e
come farla evolvere o se ridurla fino a lasciarla morire. La crisi dentro cui ci
troviamo pu condurre alla implosione o alla maturazione della libert. In al-
tre parole, il tempo in cui ci troviamo pu limitarsi a costituire un momento
cronologico che succede, tra continuit e fratture di orizzonti, alle epoche che
lo hanno preceduto oppure essere guardato come momento opportuno un
kairs, appunto per riappropriarci di quelle domande reali che esigono rispo-
ste reali, lasciandoci interpellare dalle contraddizioni che, spesso, sono foriere
di percorsi generativi inediti, capaci di elevare il pensiero e rendere vivibile
lesperienza umana.
In tal senso, la crisi, nelle sue diverse sfaccettature, ci insegna che il primo
passo del cambiamento richiede di riconoscere che gran parte della realt
stata esclusa dal mondo costruito dal capitalismo tecno-nichilista. Essa pu
quindi divenire una straordinaria occasione per cambiare le cose e costruire le
condizioni per una nuova stagione di libert. Migliore di quella che abbiamo
conosciuto. Non si tratta di tornare indietro, di ipotizzare o auspicare, per cos
dire, un contenimento della crescita o una limitazione della libert. Si tratta di
star dentro la storia, apprendendo da essa. Il compito, per la libert matura, si
mostra in tutta la sua portata : assecondare i percorsi positivi che la fase storica

alle nostre spalle ha prodotto provando a cambiare rotta per delineare strade
alternative di un nuovo modello di sviluppo socio-economico sostenuto da
uno spirito e disposto a lasciarsi provocare dalla realt.
I classici del pensiero sociologico possono insegnarci qualcosa in tale dire-
zione : essi avevano infatti colto limportanza della dimensione spirituale nella

vita sociale, ove lo spirituale non si identifica n con un ritorno evanescente


le illusioni del capitalismo tecno-nichilista 49
del religioso n con un mero vitalismo incondizionato, ma si pone quale cana-
le per una visione differente delluomo. E, a ben vedere, le interpellazioni che
la realt pone hanno a che fare in primis con la messa a fuoco dei presupposti
antropologici delle nuove questioni sociali. La libert che si d come propriet
di un Io individualisticamente inteso, un soggetto irreale che si proietta solo
in un secondo momento sulla scena sociale e le sue forme istituite, una li-
bert immaginaria e vuota. Noi siamo volont di potenza e di realizzazione,
ma non solo. Siamo debito, desiderio di legame con altri, discussione, giudi-
zio, empatia, cura, fragilit, limite : i grandi rimossi di una fase storica in cui

la performance ha disprezzato il fallimento ; lauto-realizzazione e la felicit in-


dividuale hanno teso a minimizzare il debito e limpegno propri dellunione ;

la volont di potenza ha considerato vergognoso il limite. Le patologie della


libert riguardano, non a caso, la dimensione relazionale dellessere umano
con se stesso, laltro, il mondo.
Posta la natura della crisi, per superare limpasse urge, da un lato, lemersio-
ne di un nuovo immaginario. Che pu nascere solo come critica alla stagione
che stiamo vivendo. Dallaltro, ipotizzare sul versante istituzionale una
nuova modalit di crescita che, in un contesto sociale prosciugato in termini
di socialit e di vitalit, si impegni nel ripensare le condizioni che possono la-
sciare tracce dotate di senso. In questo nostro contributo intendiamo concen-
trarci ora, in particolare, sullurgenza di un nuovo immaginario della libert.
innegabile constatare che attorno a noi non si vedono ancora movimenti
culturali cos potenti da apparire in grado di portarci fuori dalla situazione nel-
la quale ci troviamo. Non ci deve sorprendere. Il capitalismo tecno-nichilista
prima di tutto difficile da capire. Ancora di pi da superare, anche perch esso
non solo ha eroso legami e significati, ma ha altres indebolito enormemente
la domanda relativa alla opportunit di questi ultimi. Tuttavia, non mancano i
segnali che vanno in questa direzione, anche se si tratta di segnali deboli, non
ancora in grado di determinare un cambiamento. Per uscire dalla crisi ci vorr
tempo. E una buona dose di innovazione istituzionale. Ma difficilmente sar
possibile procedere senza fare riferimento ad un nuovo spirito, cio ad un nuo-
vo immaginario della libert.
4. La libert dei liberi
La libert dei liberi ossia la libert propria del nostro tempo non pi
(solo) una meta da conquistare n un diritto da affermare (contro qualcosa
o qualcuno mera libert da), ma una istanza impegnativa da esercitare
assumendola in ci che essa implica. In primo luogo, di accettare di misurar-
si con la propria inconsistenza, con i propri fallimenti. E di conoscere che la
sua potenza anche distruttiva. In secondo luogo, di assumere che tale que-
stione del sapere di s implica una risposta : la libert che, dalla adolescenza

tipica della ribellione e dellanarchia, accetta di evolvere oltre, nella maturit,


50 mauro magatti monica martinelli
non si limita a reiterare lantica polemica della scusa di principio per cui la
responsabilit sta sempre altrove e viene sempre dopo, n si accontenta di
autodefinirsi come mera autonomia, ma si comprende come risposta (ossia
responsabilit) a un tempo, una storia, un mondo, un tu, cio come istanza in
relazione ad altro da s. Pertanto, si preoccupa di assicurare lesistenza delle
sue stesse precondizioni.
Lindividuo contemporaneo proclama, rivendica, desidera la libert non cu-
randosi di tali pre-condizioni : egli preferisce fantasticare circa la propria libert

che confrontarsi con la realt, considerata da un lato nientaltro che lespres-


sione di una qualche forma nascosta di autorit da rifiutarsi per principio,
dallaltro enfatizzata quale mera proiezione delle proprie rappresentazioni. La
realt non tuttavia semplicemente una barriera o la nostra proiezione. Per
operare questo riconoscimento del reale possiamo usare la nozione di vita,
non senza tentare di chiarire da subito ci a cui ci riferiamo.
La nozione di vita infatti estremamente delicata e, al contempo, cos artico-
lata e complessa da prestare il fianco a molteplici definizioni, scivolando nella
ambiguit. Del resto, innegabile che il capitalismo tecno-nichilista promuo-
va a suo modo una cultura della vita, ponendo forte enfasi sulla sua dimen-
sione biologica. Anzi, in quellimmaginario il biologico occupa il campo del
politico fino a sovrapporsi ad esso. Al centro dellattenzione del politico non
vi un progetto orientato a custodire la socialit, a promuovere la giustizia,
a migliorare le condizioni eco-sistemiche di porzioni sempre pi consistenti
della popolazione, bens un ideale bio-salutistico, ossia lallungamento della
vita del singolo individuo, insieme alla perfettibilit del corpo mediante lap-
plicazione delle tecnologie fino a intervenire sui processi vitali. 7 Allinterno di

questo frame, lessere umano ridotto a puro organismo biologico, privato del
suo rapporto con la parola, la memoria, la storia, il mistero. La vita diviene qui
un valore capitalizzabile e messo in produzione, al di l del limite della vita per
eccellenza, ossia la morte sempre pi allontanata dallorizzonte del possibile. 8

La nozione di vita cui intendiamo riferirci non il mero bios n la vita so-

7 Michel Foucault ha parlato di regime biopolitico a proposito di quellorientamento


ad intervenire contemporaneamente sulla infrastrutturazione tecnica sempre pi spinta
dellintero pianeta e sullo stesso corpo umano (cfr. M. Foucaul, Biopolitica e liberalismo,
Medusa, Milano 2001). In fondo, laspirazione del capitalismo tecno-nichilista di costruire
una forma sociale inedita, nella quale lintegrazione sistemica aspira ad autonomizzarsi da
quella sociale, viene resa possibile proprio dal modello biopolitico.
8 Il minimalismo antropologico che fa da sfondo allimmaginario della libert tecno-ni-
chilista ben sintetizzato da G. Bataille quando definisce lIo contemporaneo come sovra-
no e di lui dice che tale perch esiste come se la morte non esistesse [] Non luomo

nel senso individuale del termine, ma un dio, essenzialmente lincarnazione di colui che
ma che non (G. Bataille, Lal di l del serio e altri saggi, a cura di F.C. Papparo, Guida,

Napoli 2000, p. 205).


le illusioni del capitalismo tecno-nichilista 51
stanzializzata. Marcel aveva messo in guardia da tali rischi e denunciato i tratti
emergenti di un individuo che ha la tendenza di apparire a se stesso e di appa-
rire anche agli altri come un fascio di funzioni la cui prestazione viene garan-
tita da verificazioni periodiche, come se tutto il suo impegno fosse quello di
sottoporsi a dei controlli in una officina di riparazione. 9

Non questa la sede per approfondire il discorso come meriterebbe. Ci in-


teressa richiamare il tema per il fatto che il capitalismo tecno-nichilista perde
drammaticamente per strada la realt perch perde, ancor prima, la vita pro-
prio mentre convinto di difenderla dietro allidea che essa consista nellaprire
sempre nuove possibilit per la sua evoluzione tecnicamente a portata di mano.
Richiamare la vita per riammettere il reale quale primo interlocutore della
libert dei liberi significa assumere una diversa concezione antropologica, non
cio meramente quantitativa e biologistica. La realt intesa come vita unisce
il materiale (le esigenze del biologico e naturale) e lo spirituale (le istanze di
senso) ; il processo (il dinamismo della vita che evolve) e la forma (assunta dal-

le costruzioni umane derivanti dalle risposte date al mondo) ; lindividuale (il


per-s del soggetto) e il sociale (lessere proteso fuori di s dellIo).


In un percorso orientato a ripensare limmaginario della libert in questot-
tica sono utili tre sottolineature :

la realt (come vita) non semplicemente un limite da superare, ma un am-


biente ospitale che ci permette di vivere. Questo ambiente va quindi curato,
noi viviamo solo in relazione ad esso ;

la realt (come vita) accessibile solo attraverso delle forme. Le forme sta-
biliscono dei limiti : esse definiscono il modo attraverso cui abbiamo accesso

alla libert. Ci implica riportare ad una scala pi realistica alcune utopie della
societ contemporanea ;

la realt (come vita) apre e pone domande di senso : il mero coordinamento


funzionale non basta, anzi spezza la vita. Tornare a interrogarsi attorno a que-
sta dimensione significa ammettere che il significato ha una sua profondit.
Queste tre direzioni presuppongono come condizione, ma al contempo
hanno come effetto, una certa visione antropologica e consentono di perve-
nire a delineare una libert che accetta di evolvere verso la sua maturit come
libert generativa.

5. Riammettere la realt
5. 1. La realt come ambiente ospitale. Libert come cura
Per poter far fronte alle sue esigenze espansive di crescita, il capitalismo tecno-
nichilista si dispiegato lungo due direttrici ambigue rispetto al rapporto con
la realt.

9 G. Marcel, Filosofia della vita, Bocca, Milano 1943, pp. 31 e 33


52 mauro magatti monica martinelli
Da un lato, negando drammaticamente la realt, allo scopo di disinnescare
il limite attorno allindividuo. Fino a dare limpressione che le cose possono
andare avanti comunque e che, a fronte delle esigenze della libert di scopo,
ad essere antiquato luomo stesso (come denunciava Anders 10), ad essere

osceno il legame, ad essere extra-territoriale laltro. Dallaltro lato, esso si


dispiegato al contempo per la sua matrice nichilista negando la sua stessa
negazione, affermando quindi una sua realt, una iperrealt costituita da fe-
ticci e finzioni che saturano ogni spazio con mezzi tecnici e logiche funzionali
che, da istanze intermedie, divengono fine in s indebolendo la libert.
Assenza di realt, da un lato, e iperrealt, dallaltro, non consentono di vede-
re nella realt lambiente vitale che ospita il soggetto e la sua libert, la quale
necessita del materiale mondano oggetti, forme, contesti, fenomeni, ecc.
per la sua stessa concretizzazione e realizzazione. Del resto, noi non possedia-
mo evidenze empiriche diverse : la libert si sviluppa in uno spazio concreto e

in un orientamento alloggetto (sia esso la cosa materiale, la storia, il mondo,


laltro) quellobjectum senza il cui attrito essa stessa si dissolverebbe. E tale
oggetto sempre collocato da qualche parte.
Come indicato ormai da pi prospettive disciplinari, il puro Io inteso come
identit indipendente e autoreferenziale costituisce una mera finzione. Lin-
dividuo pur essendo un mondo in s non una totalit autosufficiente e
non agisce nel vuoto. La libert, in questottica, diviene quella intonazione
che lindividuo d allesistenza in relazione al suo situarsi dentro un ambiente,
concependosi imprescindibilmente in rapporto continuo con ci che altro
da s.
La realt a cui il soggetto si rivolge dunque un ambiente vitale : un am-

biente storico, naturale, relazionale, alla cui confluenza lIo stesso si forma.
Assumere ci significa porre al centro dellattenzione il fatto che, come tale,
questo ambiente richiede di essere curato se si vuole custodire lumano. Di
fronte alle interpellazioni e alle esigenze poste dalla storia, dalla natura e dalle
relazioni, la strategia espansiva fatta propria dal capitalismo tecno-nichilista
stata quella di far leva sulla innovazione meramente tecnica, sulla intensi-
t della mobilit e sulla fluidit delle situazioni, incuranti della natura, della
storia e del sociale mondi pensati come fossero un giacimento cui attingere
senza curarne la continuit e senza investire nella loro riproduzione, fino a
prosciugarli.
Curare lambiente storico implica riconsiderare le coordinate spazio-tem-
porali oltre la prospettiva che, negli ultimi decenni, le ha viste collassare e
appiattirsi sul mito, da un lato, del superamento dei vincoli dello spazio e,
dallaltro, dellaffermarsi del tempo come istantaneit, prestando il fianco a

10 Cfr. G. Anders, Luomo antiquato. Considerazioni sullanima nellera della seconda rivolu-
zione industriale, Il Saggiatore, Milano 1963.
le illusioni del capitalismo tecno-nichilista 53
una visione meccanicistica della realt. Curare implica ri-significare il ricor-
do e la memoria che danno consistenza a una esperienza, a un fenomeno, e
fanno durare qualcosa oltre il momento contingente. La continua adesione al
nuovo, predicata dal tecno-nichilismo, ha richiesto di cancellare rapidamente,
di girare la pagina per far tornare il foglio a essere miracolosamente bianco : 11

curare la dimensione storica consente quindi di approfondire criticamente la


questione dellapertura celebrata come sistematico sradicamento da tutto e
identificata con la libert. Per non implodere, lapertura necessita al contem-
po di una custodia che luogo di senso e di una continuit che valorizzi la
profondit delle cose.
Curare lambiente naturale chiama in causa le risorse ambientali e ener-
getiche, non meno di quelle umane, nella prospettiva di un pi equilibrato
rapporto con esse nel rispetto dei loro stessi limiti. Lespansione del sistema
capitalistico contemporaneo, per soddisfare le sue esigenze, ha infatti spre-
muto fino allultimo le risorse disponibili innescando una crisi energetica di
vaste proporzioni. Non a caso, gi dagli anni 80 viene reso noto, attraverso il
Brundtland Report, il concetto di sviluppo economico sostenibile, locuzio-
ne che poi si diffonde allinterno del dibattito politico internazionale. Sappia-
mo quanto faticosi continuino a essere i passi in tale direzione, tanto pi in
un contesto in cui mancano sia i soggetti storici in grado di sostenere credibil-
mente proposte di quel tipo sia i riferimenti teorici e valoriali in base ai quali
prendere decisioni che siano ampiamente condivise. Constatiamo tuttavia il
diffondersi di nuove sensibilit e soggettivit capaci di sdegnarsi rispetto allo
sfondamento di certi limiti : il moltiplicarsi di appelli orientati al rispetto della

natura costituisce un esempio in tale direzione.


Infine, vi la cura dellambiente relazionale, resa ancor pi urgente dalla
enorme sofferenza causata dallaffermazione della propria verit, per cui si
finisce per creare una societ di autistici. Allinterno del frame culturale del ca-
pitalismo tecno-nichilista, la resistenza data dallesistenza dellaltro e di altro
da s viene devitalizzata spostando la responsabilit (il rispondere-a-qualcosa/
qualcuno) sul versante dellautorealizzazione, in vista della felicit individuale
considerata un diritto da perseguire a tutti i costi.
Uscire dal capitalismo tecno-nichilista significa provare a cercare risposte
alla questione del legame sociale oltre lindifferenza e il fastidio ad esso asso-
ciati in quellimmaginario. Il punto riguarda qui la concezione del rapporto
individuo-sociale che, fin dalla modernit, si spostato sul lato individuale cui
tutto viene riferito. Non a caso lindividualizzazione spinta rischia di venire

11 Il problema che, come osservava H. Arendt, senza la continuit di una storia, di una
memoria, non c n presente n futuro, n possibilit di scegliere n di indicare cosa ha va-
lore, ma solo il divenire eterno del mondo, e in esso il ciclo biologico degli esseri viventi

(H. Arendt, La crise de la culture, Gallimard, Paris 1972, p. 14).


54 mauro magatti monica martinelli
contrastata dalla ricerca di forme comunitarie (tendenzialmente regressive)
che evocano una concezione organicistica e fusionale del sociale, ugualmente
rischiosa. In tutti i casi n lindividuale n il sociale vengono considerati come
aventi la medesima origine, per cui si trovano in una condizione di perma-
nente precariet, fino alla patologizzazione del rapporto individuo-gruppo o
allannullamento di uno dei due poli. La gestione di tale co-originariet richie-
de lassunzione di una concezione dialettica della libert che, da un lato, esige
lindividuo e lo esige in qualit di essere-per-s e, dallaltro, non procede sola-
mente nella direzione dellincremento di una autonomia personale, ma anche
nella costruzione di condizioni che consentano alla libert di svilupparsi come
relazione, legame, significato condiviso in rapporto alla realt salvaguardata
nella sua irriducibile alterit rispetto al soggetto.
5. 2. La realt come forma. Libert come assunzione del limite
Limmaginario del capitalismo tecno-nichilista considera il soggetto come ca-
pace di libert nel momento in cui si mantiene precostitutivamente aperto
agli eventi, in modo illimitato, a partire dallidea che sia sbagliato rinunciare
a qualcosa, persino scegliere qualcosa perch, cos facendo, ci si limita, ci si
preclude la possibilit di cogliere ulteriori opportunit.
Una tale libert fa da sfondo a uno dei miti contemporanei, quello della
societ delle differenze enfatizzate e celebrate come segno distintivo dellau-
tonomia individuale, la cui assolutizzazione pu divenire il pretesto per af-
fermare una libert che insegue lindeterminazione in modo da non dover
riconoscere alcuna forma di cui essere responsabili. Non a caso Anders ha de-
lineato il profilo duomo qui sottinteso come nichilista : egli, volendo fuggire

dallo choc della contingenza attraverso cui passa la realt della vita contin-
genza che gli rivela in fondo la provenienza da unorigine che non il suo Io
e a cui non corrisponde ma con cui interpellato a identificarsi limitandosi
, vuole perpetuare lindeterminazione per non precludersi la possibilit di
assumere una qualunque forma, di essere ovunque nello stesso tempo fino a
costruirsi una esistenza contro-storica.
Lesperienza del limite costituisce uno dei rimossi dellimmaginario del ca-
pitalismo tecno-nichilista. Tuttavia, proprio tale esperienza la condizione
di possibilit perch qualcosa esista, perch la vita stessa si dispieghi. Il limite
pu essere una fine ma anche un confine (limes) e quindi indicare la possibilit
di un inizio. Perch qualcosa possa esistere deve essere confinata, senn sa-
rebbe tutto e quindi niente : non ci pu essere infatti confine nei confronti del

nulla ; e laddove non si ammette un confine, si sul crinale del nulla.


Anche la vita a meno di appiattirla sullirrealt e identificarla con il nulla


si confronta strutturalmente con il limite, a livello sia esistenziale che strut-
turale. Dal punto di vista esistenziale, i due momenti estremi, generazione/
nascita e morte, sono particolarmente chiarificatori in tal senso. E, lungo il di-
le illusioni del capitalismo tecno-nichilista 55
spiegarsi di una vita, senza confinazioni ogni nostro passo sarebbe realmente
impossibile : se noi potessimo sempre controllare tutto, se non avessimo per

esempio limiti conoscitivi, probabilmente saremmo paralizzati nellagire. Al


contempo, tuttavia, quello che in generale sappiamo e quello che ignoriamo
non ci dato una volta per tutte ; ci sposta continuamente il limite.

Il processo di con-finazione continua il movimento stesso insito nella


struttura della vita. Questa infatti si d fenomenologicamente in una forma,
attraverso la quale noi ne facciamo esperienza. Si tratta qui della vita nella sua
empiricit, nel suo darsi di fatto dentro determinate configurazioni storiche,
intersoggettive e istituzionali. Ma, al contempo, della vita nella sua meta-fisici-
t, la vita che pone cio questioni relative allo spirito delle costruzioni umane,
al senso delle cose. Senza la forma, la vita non si darebbe per noi, per cui non
sarebbe nemmeno possibile la consapevolezza del suo movimento continuo,
e rimarrebbero astratte anche le interpellazioni provenienti da essa.
utile richiamare qui, seppur molto brevemente, Georg Simmel per il suo
prezioso contributo nel pensare il rapporto tra vita e forma come cifra per
comprendere la struttura della realt e del soggetto. Come noto, Simmel re-
cupera la vita nella sua dimensione creativa, sensoriale, spirituale e di ricchez-
za interiore di contro alla freddezza della forma e, pi in particolare, delle
forme emergenti nella modernit (costellazioni categoriali, procedure buro-
cratiche, produzioni tecniche). Ci detto, per, per Simmel la vita non si ap-
piattisce su una spontaneit vitalistica puramente fisiologica o psichica ; essa

non coincide con il mero processo cosmico o con una struttura biologica.
tutto ci e pi di tutto ci. La vita processo e forma insieme, in cui la forma
non una sostanza, cos come il processo non meramente fluido e indistin-
to. Questultimo, nel suo corso, tende ad assumere forme puntuali che ven-
gono continuamente trascese dalla vita. Nel suo rimanere in s, la vita si d
propriamente come processo continuo. Ma la vita si distanzia continuamente
da s, si trascende divenendo appunto forma in cui essa si d alla esperienza
che noi facciamo della vita in una situazione particolare.
Simmel insiste su ci : poich la forma costituisce un limite, la vita si d a

noi solo nella adesione al limite, sia nel senso di considerarla non solo come
mero fluire perenne e incondizionato sia nel senso di assumere attivamente
il dato della contingenza e dellidentificazione come costitutivo, seppur non
esaustivo, dellagire umano. La vita di cui facciamo esperienza e che noi stessi
siamo la vita intessuta di contenuti, volont, azioni, pensieri, decisioni, ecc.
non si esaurisce mai in essi. La nostra stessa biografia costituisce una espres-
sione della vita : in essa tendono a unificarsi la spinta a superare ogni limite e

la forma (che si identifica con il limite).


Limmaginario tecno-nichilista ha oscurato ampiamente queste dimensioni
e la loro correlativit : nella spinta oltre il limite, esso ha riconosciuto una mera

proiezione in avanti, orientata ad accrescere le opportunit, cosicch andan-


56 mauro magatti monica martinelli
do, e continuamente andando di evento in evento, si ha limpressione di essere
capaci di prendere le distanze dalla contingenza e, perci, di essere liberi ; nel-

la forma, esso ha visto semplicemente un principio di limitazione rispetto al


desiderio, un elemento di rigidit che, come tale, deve essere scalzato. Senza
la forma, lesperienza umana vaga per nel nulla informe : abdicare al limite

come punto di realt significa perdere laggancio alla condizione umana.


Assumere che il nostro accesso alla realt non prescinde dalle forme, im-
plica che la nostra stessa prospettiva sulla libert si confronti sempre con un
limite. E ci gi per il fatto che la libert non si regge senza il soggetto della
libert, la cui individualit in se stessa una forma che rimanda alla dimen-
sione pi fluida del processo della vita nel suo divenire sempre altro da s ma,
al contempo, racchiude in s i tratti di un carattere determinato che consente
di riconoscere in quellindividuo un Io peculiare. La libert si colloca dentro
questa relazione tra forma e processo della vita, limite e oltrepassamento del
limite. Pertanto, rispetto allevento che ci viene incontro sia che siamo atto-
ri sia che siamo spettatori si apre lo spazio della risposta. Una risposta non
preordinata come uneco meccanica che ripete meccanicamente quanto le ha

gridato una voce esterna , 12 ma attiva, originale, attraverso la quale possiamo


esistere come esseri-di-libert, senza venire semplicemente assimilati al flusso


incondizionato del divenire delle cose. 13 E perch questa risposta prenda for-

ma, la libert assume il limite, riconosce che creare dare forma a qualcosa
che dura e che, diversamente, rimarrebbe schiacciata sullistante e sulla super-
ficie dello scorrere degli eventi.
Guardare la libert attraverso la forma non solo la strappa dalla illusione
di totale ab-solutezza, ma la ancora dentro lesperienza umana aprendola ad
ospitare, come tratti di realt, lalterit, il legame, il mondo, la trascendenza.
Latto con cui la libert decide di affermare o negare la realt della vita-forma
anche latto con cui essa decide di s. Si pu infatti perdere la libert con un
atto di libert : per questo, la sfida della libert dei liberi ha uno spessore enor-

me. Un tempo come quello attuale, in cui la libert conosce la perdizione a


motivo della sistematica negazione della realt come vita, e di questa come
forma, pu divenire anche loccasione in cui la libert matura ed evolve in
libert generativa che rinnova continuamente quella presenza cui la forma
rimanda : la realt della vita, nel suo essere mistero e limite, nel suo essere

12 G. Simmel, Intuizione della vita (Quattro capitoli metafisici), Bompiani, Milano 1938, p.
134.
13 ancora Simmel a offrirci una indicazione preziosa, mettendo in evidenza che solo la
responsabilit pu fondare la libert. Essa non una riduzione di questa, ma ne costituisce
la condizione, trattandosi della differenza immessa dalla nostra risposta allevento e, pi
ampiamente, alla realt (per un approfondimento sul tema nellautore, ci permettiamo di
rimandare a M. Martinelli, Laltra libert. Saggio su Georg Simmel, Vita e Pensiero, Milano,
in corso di pubblicazione).
le illusioni del capitalismo tecno-nichilista 57
cio pi della forma e, allo stesso tempo, forma la cui definitezza rimanda a
un infinito.
5. 3. La realt come interpellazione. Libert e senso
Autori come Weber e Simmel, da angolature diverse, hanno esplicitato lim-
prescindibile legame tra la questione del senso e la libert. Secondo tali pen-
satori, porsi la domanda del senso , infatti, gi interrogarsi sulla libert nella
sua interezza, perch ci significa che luomo si percepisce come un essere che
non sottost n al meccanicismo di causa-effetto (e allinesorabilit del proces-
so di razionalizzazione), n alla casualit degli eventi e degli umori, n infine
al vitalismo. Egli si pensa come colui che pu dare una direzione alla propria
esistenza e alla convivenza collettiva in relazione alla totalit dellessere e della
vita, in relazione ad altri tu, a un ambiente, a una storia, a un mondo sociale
che, a sua volta, ci istituiscono come singoli individui mentre forgiamo rispo-
ste nei confronti delle interpellazioni che si dirigono a noi esigendo, appunto,
una risposta vivibile : pertanto, esse divengono interpellazioni di senso.

Lindividuo decide di vivere o meno attingendo a un senso, considerandolo


cio imprescindibile al fine di imprimere una direzione allesistenza. Tuttavia,
tale questione che investe la sfera individuale non solo individuale e tanto
meno autoreferenziale, non trova cio risposta soltanto al livello in cui si po-
ne. Altrimenti detto, essa rischia di implodere nel momento in cui viene fatta
ricadere soltanto e in toto sullindividuo, come vorrebbe il frame culturale con-
temporaneo per salvaguardare paradossalmente la sua libert. La domanda di
senso una domanda che porta con s una apertura oltre s.
Essa infatti trascende il singolo. Non perch lo proietta in una vuota o
astratta trascendenza, quanto piuttosto perch lo pone di fronte alla realt.
Nella risposta ad essa emerge la libert nel suo senso, quello cio di essere una
esperienza relazionale che non rinuncia a dare forma a una qualche ricompo-
sizione tra funzioni e significati. La costruzione del significato richiede di esse-
re ancorata oltre lindividuo : essa necessita di mondi entro cui pu generarsi

costantemente e a cui ci si pu riferire per elaborare delle risposte personali


s, ma non individualistiche attingendo, per le proprie valutazioni, ad un
paniere dato.
Uno di questi mondi costituito, per esempio, dalla sfera religiosa. Anches-
sa non immune dalle logiche tecno-nichiliste, come mostrano da un lato le
forme religiose reattive con le loro forzature sulla realt e, dallaltro, la stru-
mentalizzazione cui essa sottoposta divenendo il ricettacolo del malcon-
tento sociale. Ma la sfera religiosa, per antonomasia, colloca al suo centro
la questione della trascendenza o, come preferiamo dire, dello spazio sacro
dellinfinito : lo spazio del senso rispetto alla condizione umana per la cui co-

struzione essa in grado di offrire strumenti, percorsi e contenuti privilegiati,


nonch forme (anche istituzionali) e appartenenze durature, senza trascurare
58 mauro magatti monica martinelli
la persona e le sue istanze, nonch la realt e il tempo. Tale sfera pu offrire
una direzione al presente e alla frammentariet propria dellesistenza ed espe-
rienza umana. Il compito qui vasto : le grandi tradizioni religiose, con i loro

patrimoni, costituiscono uno dei pochi contesti in grado di sfidare legemonia


tecno-nichilista ; pertanto, esse possono offrire un contributo prezioso nella

costruzione di un mondo sociale plurale pi ricco, con implicazioni pi ade-


guate alle istanze della libert umana in questo tempo.
Accanto alla sfera religiosa, vi sono altri mondi le cui potenzialit ai fini del-
la libera costruzione e circolazione di significati dentro una visione plurale del
sociale sono cruciali. Per esempio, la scuola e le agenzie educative in genera-
le : ambiti che, negli ultimi decenni, sono andati nella direzione di una pretesa

neutralit valoriale con un disinvestimento rispetto al loro stesso compito,


fino a giungere a una condizione di estrema debolezza. Tuttavia, se ripensati
con appropriati investimenti in termini di infrastruttura umana, questi mondi
possono costituire una passerella indispensabile di significati tra una genera-
zione e laltra. Ad essi si aggiunge il mondo della ricerca con i luoghi connessi
(in primis, luniversit) : luoghi in cui lo sviluppo di una libera e autonoma di-

scussione su priorit e obiettivi della vita associata pu porre sotto pressione


lintelligenza strettamente tecnica, inadeguata per affrontarne e risolverne i
problemi, compresi quelli della crescita e dello sviluppo economico che neces-
sita di essere sempre considerato anche come sviluppo sociale.
A questi mondi, il singolo individuo pu agganciarsi trascendendo la prete-
sa (tipicamente tecno-nichilista) secondo cui ciascuno, una volta che si posto
faticosamente la questione del senso, se lo deve costruire da s, in una ope-
razione radicalmente solitaria, pena la messa in discussione della sua libert.
Non irrilevante che i segni dellemergere di nuove sensibilit insieme sociali,
ecologiche e culturali espresse sia da alcuni eventi planetari che dalla mode-
sta e recente onda civica italiana mobilitatasi rispetto a temi riguardanti beni
collettivi, a partire dal disincanto accelerato nei confronti del sogno libertario-
liberista siano animati da un nuovo spirito del tempo poco disposto a con-
siderare oltremodo irrilevante la domanda di senso e la condivisione di tale
domanda in relazione al futuro. 14 E questo non certamente a caso, se si pensa

che il capitalismo tecno-nichilista ha preteso di toccare dei nodi antropologici


molto grossi senza per porsi la questione dello spazio sacro dellinfinito. An-
zi, esso ha preteso di procedere come se non fosse in discussione molto di pi
di tutta una serie di aspetti materiali e immediati sui quali il dibattito pubblico

14 A tale proposito ci permettiamo di rimandare al progetto Genius Loci. LArchivio


della Generativit Italiana, promosso, dal 2009, dallIstituto L. Sturzo di Roma, il cui in-
tento quello di contribuire alla identificazione, analisi, narrazione e connessione di realt
organizzate connotate dal carattere della generativit, al cui centro vi la questione del
senso (si veda il sito : www.generativita.it).

le illusioni del capitalismo tecno-nichilista 59
di solito si concentra quando pone in agenda questioni delicate, dalla convi-
venza interculturale ai temi relativi allintervento sulla vita, dalla (de)crescita
economica alla tenuta della democrazia, dalla coesione sociale alla giustizia,
per citare solo alcuni esempi. E lo fa spensieratamente, come se appunto certe
questioni fossero solo tecniche.
Come abbiamo cercato di esplicitare, la realt come vita provoca la questio-
ne del senso : affinch lambiente naturale, relazionale, storico possa essere cu-

stodito e riprodotto in quanto contesto entro cui prende realmente forma la


libert individuale, occorre che esso sia rivestito di valore, venga cio conside-
rato significativo per s, per altri, per il presente e per il futuro, per la propria
e per le successive generazioni.

6. La libert generativa
La libert nel capitalismo tecno-nichilista ha assunto le sembianze proprie del-
la adolescenza che, non volendo sentir parlar daltro che di se stessi, si lascia-
ta trascinare dalla vertigine di s come se la realt non esistesse. Dal suo stato
di perdizione e anarchia, cui giunta, essa non pu che evolvere verso qualco-
sa daltro, pena rinunciare ad esistere. Il punto che la decisione rispetto alla
direzione da prendersi costituisce, a sua volta, un atto di libert : per questo,

la libert dei liberi, pi che come un mero stato, si presenta come una impe-
gnativa sfida. Il passaggio dalla adolescenza alla maturit, per non evolvere in
una implosione o stagnazione, richiede lincontro e lo scontro con la realt,
e questa come vita, la cui riammissione pu condurre a generare qualcosa di
nuovo, un mondo prima sconosciuto.
Generare un attributo riconosciuto dallo psicologo sociale Erikson
come proprio dellet adulta. Esso implica la volont del soggetto, ma al
contempo richiede la disponibilit a far esistere qualcosa in un modo che de-
mistifica la volont di potenza. La generativit non costituisce una mera pre-
rogativa individuale : gli studi a proposito mettono in luce la crucialit della

relazione e, pi ampiamente, del contesto. Come hanno messo in luce gli


studi di di MacAdams, Hart e Maruna, 15 la generativit fa nascere qualcosa

che ha e si d tempo in un mondo in cui tutto istantaneo e gli d uno slancio


di lungo periodo : dunque, qualcosa che risponde a chi verr dopo di noi. Le

modalit proprie dellazione generativa divengono quelle del creare, mante-


nere e donare.
La libert matura che assume i tratti tipici della generativit diventa con-
sapevole anzitutto del suo darsi (riconoscendo unorigine, sedimentando la
memoria, rispondendo al mondo) e si assume ci che contribuisce a genera-

15 Cfr. in particolare : D. McAdams, H.M. Hart, S. Maruna, The anatomy of generativity


in Generativity and Adult Development. How and Why we Care for the Next Generation, American
Psychological Association, Washington, USA 1998.
60 mauro magatti monica martinelli
re, a mettere al mondo. Essa sta dentro la vita reale di cui si prende cura, con
lattenzione a contrastare quelle patologie che sempre possono insorgere nel
momento in cui avviene uno sbarramento che si trasforma in chiusura rispet-
to allalterit. Questo prendersi cura si dirige verso realt concrete, esito del-
la combinazione variabile di spazialit fisiche e simboliche, nonch di diversi
campi del sapere, quadri valoriali, forme culturali e istituzionali, ammettendo
lesistenza di un prima, di un adesso e di un dopo, in relazione a cui si assume
la responsabilit del proprio darsi restando in ascolto di ci che non preve-
dibile pur se non genericamente indistinto. Tale libert pertanto una espe-
rienza anzitutto relazionale e di responsabilit, di risposta mai meramente
tecnica alle questioni, accettando piuttosto di esserne coinvolti, di lasciarsene
interpellare e, per questa via, di restituire un senso.
La libert che accetta la sfida della generativit, mentre fa esistere e cura ci
che crea, non lo trattiene presso di s, ma lo lascia a disposizione di altri, senza
tuttavia che termini la responsabilit nei suoi confronti. E questo perch non
termina lessere situati e immersi nella relazione del rispondere-a-qualcosa e
a-qualcuno, ben al di l dellidea dellessere umano come dotato genericamen-
te della libert. Una tale libert presuppone una certa visione antropologica.
Alcune sottolineature a proposito sono gi emerse. In chiusura ci limitiamo
a riprendere alcuni aspetti che ci vengono suggeriti da Ricoeur e, ancora una
volta, da Simmel.
Come noto, Ricoeur, nel delineare lidentit dellindividuo si distanzia
dallidea dellidem (identit come medesimezza) e propende per lipseit per cui
il medesimo/stesso non elimina la dialettica del s e dellaltro da s. Lin-
dicazione di Ricoeur va nella direzione del riconoscere che lindividuo una
forma avente una propria struttura, qualcosa cio che opposto allevento
e che ha una permanenza nel tempo (di contro alla logica del capitalismo
tecno-nichilista). Ma questa struttura costitutivamente relazionale e dialo-
gica poich confrontata con lalterit del mondo, degli oggetti, dellaltro, del
proprio corpo (di contro allimpianto volontaristico ancora dominante nella
prima met del 900) : essa non quindi una sostanza granitica, indipendente

dalle circostanze storiche, naturali e relazionali.


In questa dinamica, la libert generativa n meramente passiva n mera-
mente attiva non trova la sua espressione, il suo senso n nella totale apertu-
ra incondizionata agli eventi, fino a rifuggire qualsiasi forma, n nella chiusura
autoreferenziale e statica di una forma divenuta sostanza, bens nella dinamica
propria della vita nel suo uscire da s pur rimanendo se stessa, evitando quindi
che lindividuo si frammenti nei suoi prodotti o si lasci assorbire da sistemi che
lo sovrastano oppure si chiuda in difesa rispetto a ci che altro da s per non
lasciarsene contaminare.
La libert generativa trova la sua dimora nel limite. Che rimando e solo
cos diventa spazio per una visione dialettica dellessere umano, il quale non
le illusioni del capitalismo tecno-nichilista 61
prima in s e solo in un secondo momento intenzionalmente proiettato verso
laltro soggetto e verso la realt. Lidea di un individuo autonomo e indipen-
dente, appoggiato alle mere infrastrutture tecniche, una illusione. La vita
individuale e, contemporaneamente, inestricabilmente sociale. In tal senso,
Simmel parla di uomo intero per indicare il fatto che lindividuo non lo si pu
comprendere a partire da ci che rimane una volta eliminati gli aspetti che
condivide con altri poich egli unisce peculiarit e elementi condivisi. Lessere
umano non definibile mediante lassolutizzazione di una sola dimensione,
ma comprensibile a partire dalla simultaneit e correlativit delle diverse di-
mensioni, pur se tra loro contrapposte, tuttavia non contraddittorie ma cor-
relative. Un soggetto che si colloca al confine, e la cui libert si conserva tale
fintantoch non pretende di risolvere la tensione derivante dal fatto che noi
siamo esseri individuali e sociali, forma (limite) e vita (realt che si trascende).
Simmel insiste su questo punto : per quanto cerchiamo di rimuovere il legame

con laltro, noi nasciamo con un debito infinito nei confronti degli altri. Esso
un limite che ci abilita perch ci riporta alla concretezza della nostra realt.
Tutti siamo indebitati gli uni con gli altri. Ed su questa base che le societ
umane si costituiscono e sviluppano.
Ed su questa base che la libert pu fare un balzo in avanti dalla adole-
scenza alla maturit divenendo libert generativa che si sviluppa confrontan-
dosi continuamente con quel resto indiviso che affiora quando il riconosci-
mento di un debito non coincide mai perfettamente con la sua estinzione, per
cui si avvia un circuito di reciprocit estesa a terzi in grado di ricollocare la
nostra libert in presa diretta con la realt.

Abstract : In the last decades of the twentieth century, a powerful restructuring of capital-

ism particularly marked by the set up of a new accumulation phase has progressively oc-
cured. In this respect, the most crucial elements are represented by a typology of power system
based on flexibility and mobility, by the accentuation of technical dimensions which allow
the efficient management of diverse flows , and by the nihilistic vision according to which
all meanings are malleable. Thereby, the techno-nihilist capitalist has arisen as a new form
of social life organisation. On the one hand, it has taken form of a collective imaginary able
to support the logic underlying the social world structuring, and on the other, it has claimed
the identification of freedom with the will of power self-determination based on a highly
reductive anthropological idea. However, this system has soon reached a bottleneck, particu-
larly stressed by the crisis eruption. In fact, the latter, by having severely affected the world
economy, has somehow required to rethink this system logic and its underpinning schemes.
Finding the exit from the current crisis will need time, and, not irrelevantly, a certain amount
of institutional innovation. Anyhow, the solution will be hardly found without referring to a
new kind of spirit, namely to a new social imaginary of freedom.
Keywords : capitalism, political philosophy, sociology, social imaginary of freedom, social

life.
Creation theology in economics
several catholic traditions
Michael Novak*
Summary : 1. Introduction. 2. The Shocking Facts. 3. Looking Down on Commerce. 4. Angli-

can and Orthodox Catholic Traditions. 5. John Paul II and Creation Theology.

1. Introduction

S uppose someone asked you to write an article on the difficulties Catholic


cultures have traditionally had with coming to see the Christian impulses
within capitalism. They wanted you to include Eastern Orthodoxy, Russian
Orthodoxy, Roman Catholicism, Anglicanism all forms of Catholic culture.
It so happened that I was posed just this question by a University in Mos-
cow (give exact name) with a special interest in Russian Orthodoxy. It proved
necessary for me to move beyond the question of liberty, to the question of
creativity.
For more than eighteen centuries of Christian history, the economy expe-
rienced by Christian peoples was an agricultural economy rather like that of
the Bible. In Jewish and Christian Testaments, the traditional economy was
redolent with the scents of planting time and harvest time, separating the
weeds from the wheat, pruning the olive trees and fig trees, observing good
seed gone sterile from falling on rocky soil, pressing purple wet grapes into
wine, killing and preparing the selected lamb. One could say the biblical econ-
omy was a property economy or a labor economy. This economy was
remarkably stable down the centuries. Walking through fields in Russia in the
late 1700s was not much different from walking through them in the time of
Christ. In Great Britain, the land was a little more bucolic, neatly gardened,
a bit more tamed by the care and attention given to smaller plots, on a more
compacted, self-contained island.
In Great Britain, however, something new was coming into existence. In
Scotland in 1776 Adam Smith published the most revolutionary book ever
written, and launched a wholly new inquiry : An Inquiry into the Nature and

Causes of the Wealth of Nations.


Even today, many journalists ask questions about the causes of poverty.
But that is a useless inquiry. Suppose you figure out the causes of poverty ?

Good ! Now you know how to make more poverty.


Poor is what most humans in history have always been. Poverty, one might say,
acta philosophica i, 21, 2012 pp. 63-76
64 michael novak
is natural to humans. What is unusual is the systemic creation of wealth, slow but
steady development. That is what requires an inquiry into its nature and causes.
Once the nature and causes of wealth have been figured out, one can begin
to envision a time when the shackles of poverty are broken. One can begin to
imagine universal economic development. One can begin to imagine univer-
sal affluence (Adam Smiths term). That is why Smiths book is so revolution-
ary. That is why it launched a huge transvaluation of morals.
Before Smith, it was possible to believe that poverty was morally neutral, simply
a natural phenomenon. A large majority of people are poor, and there is noth-
ing we can do about it, people said. The poor ye shall always have with ye. 1

After Adam Smith, it became clear that whole nations could adopt new
systems and methods (as well as new habits), whose fruit would be greater
wealth, more widely distributed than ever before (not at first universally, but
more and more widely). Whole nations, one by one, learned how to make
steady economic progress, and their standard of living kept growing decade
by decade.
More important : No world leader could say : Most of my people are poor,

and I intend to keep them poor. Such a sentiment no longer reflects natural
wisdom, but gross and hard-hearted immorality. The continued existence of
systemic poverty in a nation has come to be seen as a moral deficiency, in need
of urgent correction. If the poor can be freed from the shackles of poverty,
then morally they must be. A new moral calculus has entered into this world.

2. The Shocking Facts


After Adam Smith published his fascinating inquiry, and came to his revo-
lutionary answer, the condition of the poor (first in Great Britain, then else-
where) improved steadily and dramatically. On this point, Marx and Engels
saw a part of the truth about 19th century Britain, but missed the real point.
The harsh capitalism of that time demanded reform. But during the 19th cen-
tury the average income of the poor in Britain increased by a total of 1600
percent. Their diets improved dramatically (and at ever declining cost), their
numbers more than doubled, and the products the poor now had for their
daily use multiplied rapidly. 2 Outstanding historians have published the fol-

lowing tables (See Tables 1 and 2 below). 3

1 See John 12,8 and Matthew 26,11.


2 See P. Johnson, Has Capitalism a Future ? in E.W. Lefever, ed., Will Capitalism Survive ?,

Ethics and Public Policy Center, Washington, D.C. 1979, p. 4. Also see L. von Mises, ed.,
The Anti-Capitalist Mentality, D. Van Nostrand Company, Inc., Princeton 1956 ; and F. von

Hayek, Capitalism and the Historians, University of Chicago Press, Chicago 1954.
3 Taken from J. Stuart Mill, Principles of Political Economy, D. Appleton and Company,
New York 1888, pp. 520-521.
creation theology 65

Table 1. Rise in Wages in Britain (1833-1883).

Occupation Place Wages / Wages / Increase or decrease,


week 1833 week 1883 amount percent
s. d.
s. d. s. d.
Carpenters Manchester 24 0 34 0 10 0 (+) 42
Glasgow 14 0 26 0 12 0 (+) 85
Bricklayers Manchester 24 0 36 0 12 0 (+) 50
Glasgow 15 0 27 0 12 0 (+) 80
Masons Manchester 24 0 29 10 5 10 (+) 24
Masons Glasgow 14 0 23 8 9 8 (+) 69
Miners Staffordshire 28 40 1 4 (+) 50
(daily wage)
Pattern-weavers Huddersfield 16 0 25 0 9 0 (+) 55
Wool scourers 17 0 22 0 5 0 (+) 30
Mule-spinners 25 6 30 0 4 6 (+) 20
Weavers 12 0 26 0 14 0 (+) 115
Warpers and beamers 17 0 27 0 10 0 (+) 58
Winders and reilers 60 11 0 5 0 (+) 83
Weavers (men) Bradford 83 20 6 12 3 (+) 150
Reeling and warping 79 15 6 7 9 (+) 100
Spinning (children) 45 11 6 7 1 (+) 160

In other words, in the short span of fifty years, most wage earners received
more than a 50% increase in wages, some more than 100%, with the highest,
the Weavers and Spinners gaining 150-160%.

Table 2. Annual Consumption of Food per Person in Britain (1840, 1881).

Articles 1840 1881


Bacon and Hams Pounds 0.01 13.93
Butter 1.05 6.36
Cheese 0.92 5.77
Currants and Raisins 1.45 4.34
Eggs No. 3.63 21.65
66 michael novak
Articles 1840 1881
Potatoes Pounds 0.01 12.85
Rice 0.90 16.32
Cocoa 0.08 0.31
Coffee 1.08 0.89
Corn, Wheat, and Wheatflower 42.47 216.92
Raw Sugar 15.20 58.92
Refined Sugar Nil. 8.44
Tea 1.22 4.58
Tobacco 0.86 1.41
Wine Gallons 0.25 0.45
Spirits 0.97 1.08
Malt Bushels 1.59 1.91

At the beginning of the nineteenth century, only duchesses wore silk stock-
ings ; by the end, even working girls did. At the beginning of that century,

few had eyeglasses ; by the end, eyeglasses were in frequent use. Dental care

advanced somewhat (much more so, however, in the 20th century). Longevity
rose steadily, and infant mortality began to decline (again, much more so in
the 20th century).
Moreover, during just the past thirty years, two of the nations on earth with
the largest number of poor persons China and India liberated more than
one-half billion of their citizens from poverty. This was the swiftest, largest
advance out of poverty in history. These nations used the very secrets uncov-
ered by Adam Smith : private ownership and personal initiative.

What is the cause of the wealth of nations ? At root, it is invention and dis-

covery such as the invention of the pin machine, which Smith describes in
his very first chapter. 4 It is the use of the mind in organizing work efficiently

(with less wasted time and effort), and in finding new ways of doing things. It
is supplying the incentives that prompt people to do things with energy and
desire, rather than being coerced into what they are doing.
As Abraham Lincoln put it, for example, the Patent and Copyright Clause
(of the U.S. Constitution) added the fuel of interest to the fire of genius, in
the discovery and production of new and useful things. 5 He meant that by

4 See The Wealth of Nations, bk. 1, chap. 1, Of the Division of Labour.


5 See A. Lincoln, Lecture on Discoveries and Inventions, Jacksonville, Illinois, February 11,
1859, in Speeches and Writings : 1859-1865, Library of America, Washington D.C. 1989.

creation theology 67
guaranteeing to authors and inventors the financial fruit of their inventions,
the new law for the first time in history turned the human mind into a much
more powerful source of wealth than land. For generations, the land and its
fruits had been the greatest source of wealth, for both Russia and the United
States (as well as in most other countries). Is that the case today ? Almost ev-

erywhere, land as a source of wealth has fallen far behind invention, discovery,
initiative, and other forms of creativity. Whole new sciences and technologies
have been developed, delivering all sorts of new medicines and medical op-
erations, new forms of energy, new modes of communication, new vehicles
for transport, airplanes, fi ber optics, genetic medicine. Not long ago, the vast
majority of the people of the world worked in agriculture. Not today. The
vast majority today work in centers of experimentation and discovery, com-
munications, and in multiple new forms of commerce and international trad-
ing. There is hardly a kitchen table in the developed world on which there are
not served fruits, foods, drinks, and condiments from other lands far across
the globe. Most food products today are marketed internationally.
Thus, a whole new world of economic activity has sprung from the human
mind during the past two centuries. Nowadays, creativity and know-how are
the greatest single causes of the wealth of nations. In the young especially,
the training and patient instruction of the mind is required, if the knowledge
gained in the past is to be used fruitfully for the human race. Practical knowl-
edge about how to bring new things never seen before into existence is essen-
tially important today.
The new economy in which we live is often called the free-market econo-
my. But markets are universal. Markets were central during the long agrar-
ian centuries, through biblical times, in all times. For this reason, the term
the market economy or even the free-market economy somewhat misses
the mark. More accurate is the initiative-centered, the invention-centered,
or in general the mind-centered economy. More than anything, mind is the
cause of wealth today. The Latin word caput (head) the linguistic root of
capitalism has inadvertently caught the new reality quite well.
The free economy captures only part of the secret it emphasizes the
conditions under which the mind is more easily creative, in the fresh air of
freedom. Freedom is a necessary condition, but the dynamic driving cause of
new wealth is the initiative, enterprise, creativity, invention which uses the
freedom. Freedom alone is not enough. Freedom alone can also produce in-
dolence and indulgence. To awaken slothful human beings out of the habitual
slumber and slowness of the species, the fuel of interest must normally be
ignited. One must move the will to action by showing it a route to a better
world. Since humans are fallen creatures, mixed creatures, not angels, the fuel
of interest is a practical necessity. The fire of invention lies hidden in every
human mind, the very image of the Creator infusing the creature. To ignite
68 michael novak
it, one must offer incentives, a vision of a higher, better human condition,
not only thisworldly, but also nourishing the expansion of the human soul
and easement of bodily infirmities. There is a natural desire in every human
being, although it is often slumbering, to better his or her condition. And it is
good for a woman to liberate herself and her whole people from the narrower
horizons within which they find themselves. It is good for humans to catch
glimmers of new possibilities for human development.
This, or something very like this, is the famous, celebrated, and usually
misunderstood spirit of capitalism. This is not a spirit of greed or avarice,
which are grasping and small, not creative. It is an esprit, a gift of the spirit
rather than of the body. It is sometimes found even in a single isolated human
breast (as in that of Robinson Crusoe, in the famous parable 6). But it is also

capable of being lit like a prairie fire across an entire culture, and transforming
its entire attitude toward life. The spirit of capitalism is far from being entirely
materialistic, even miserly. Far from it. This spirit teaches people to turn away
from what they now have, to put that at risk, to stop clinging to the safe things
of the past, and to set off bravely toward inventing new futures. It is a spirit of
risk. It is a spirit of adventure. It is a spirit of creativity. It is a spirit that incites
dreams, and in a quiet undertone murmurs, Why not ?.

The spirit of capitalism belongs more to the human spirit than to the rela-
tively inert flesh and matter of the past.
The early theoreticians about this new appearance in history linked this
new spirit, suggestively but ultimately erroneously, to the Protestant Ethic
of the 16th through 19th centuries. Its origins in Western Europe are far earlier.
These great scholars, pre-eminently Max Weber, usually did note as an aside
that the first intimations of this new spirit, which slowly dislodged the ancient
and traditional agrarian economy from the center of human history, blazed
up in the indispensable commercial ventures, and in the inventive, entrepre-
neurial talents of such medieval cities as Florence, Lucca, Bologna, Venice,
and others. They had flourished even earlier among the many single-resource
nations of the Middle East, which depended on one another for their well-
being, if not survival.
The real oversight of Weber and others, however, was to identify as the es-
sence of the new spirit : asceticism, hard work, frugality, self-discipline, and

the other self-denying ordinances of the Protestant Ethic. 7 The problem is,

6 D. Defoe, Robinson Crusoe (1719).


7 See M. Weber, The Protestant Ethic and the Spirit of Capitalism (1904 ; Scribner, New York

1958) : The religious valuation of restless, continuous, systematic work in a worldly calling,

as the highest means to asceticism, and at the same time the surest and most evident proof
of rebirth and genuine faith, must have been the most powerful conceivable lever for the
expansion of that attitude toward life which we have here called the spirit of capitalism

(ibidem, p. 172).
creation theology 69
their definition struck only in the outer rim of the bulls-eye. Asceticism, fru-
gality and related virtues are common to many communities of the monastic
traditions of many different religions (such as the Essenes in Palestine, some
forms of Buddhism, the Benedictines of the 6th century, etc.). But Weber and
the others missed the center of the target : that great lunge of the enterpris-

ing, adventuring, creative spirit that springs directly from the inspiration of the
Jewish Testament, the Torah, 8 and has been carried forward in history more

centrally by the Catholic traditions than by the Protestant. The heart of the
capitalist ethic is not self-denial (although that is important) but creativity. 9

One should not at all take from the Protestant Spirit the immense credit it
deserves in the history of human progress and development -- especially for
promoting popular education, the printing press, crucial elements of modern
democratic life, such as the recognition of human sin as a reason for checks
and balances, and also for honoring thrift and industry, and business as their
fruit. Protestantism played a large role in giving shape to the daily life of the
new bourgeoisie in the growing towns and cities, as opposed to the more Cath-
olic tenor of the feudal and chivalric life of the countryside and villages. This
new bourgeoisie was comprised of all those persons who were neither nobles
nor bonded serfs, but independent persons who lived by their own wits and
crafts.
By contrast, the Catholic churches (Greek, Roman, Russian, Anglican) had
lived so many centuries incarnated, so to speak, in the agrarian culture, that
they were closer to the land, less dynamic, less focused on the individual. They
were traditional rather than new. The new Protestantism seemed in some
ways better suited to the spirit of the bourgeoisie and its emphasis on indi-
vidual achievement. (This was ironic, because theologically, Protestants tend
to downplay works, individual efforts, and merit, in favor of faith and grace
alone.)
The empirical record does not entirely fit the theory attributing the origin
of capitalism to the Protestant Ethic. In Great Britain, contrary to what We-
bers theory would lead one to expect, it was not in Presbyterian Scotland,
nor in Methodist Wales, but in Anglican Catholic England that the invention
and creativity of the Industrial Revolution most strongly manifested itself. 10

The Catholic faiths tend large-mindedly to praise the beauties and glories of
creation, as do the Psalms of David and most other Hebrew books of the

8 See D.J. Boorstin, The Creators : A History of Heroes of the Imagination, Vintage, New

York 1993. See also D. Landes, The Wealth and Poverty of Nations, Norton, New York 1998.
9 See M. Novak, Beyond Weber, in On Capitalism, Stanford University Press, Stanford
2007.
10 See M. Novak, The Catholic Ethic and the Spirit of Capitalism, The Free Press, New York
1993, pp. 1-14.
70 michael novak
Bible. They stress the goodness of creation, while emphasizing as well the
wound that humans suffered. They exalt artistic creativity, architecture, the
visual arts.
By contrast, the most dissident Protestant sects tend to stress the fallenness,
indeed, the depravity of the human being, his helplessness beneath the Bar of
Gods Justice, his complete dependence on the necessity of Redemption by
and through Jesus Christ alone. There are magnificent exceptions, such as J.S.
Bach, but I think it must be said that the Catholic faiths place far more stress
upon the glories and beauties of God seen in creation. Especially in the visual
and tactile arts, including statuary and sculpture, they explode in festivals for
the eye and ear. By contrast, the dissident Protestant churches favor simplic-
ity, plainness, the absence of ornament, and only a restrained celebration of
nature. Protestant churches tend to get down to basics, as they see the basics.
They emphasize spirit far more than the flesh. They favor the ascetic rather
than the celebratory instinct, hard work rather than the serendipity in which
creative ideas are usually born.
For the Catholic faiths, the themes of Creation and Redemption work more
closely together. In the great Eastern churches of the first five centuries, the
great symbol of the Pantokrator, Maker of all things, Source of all good, domi-
nates the apses of great, colorful, mosaic-rich houses of worship.
In addition, the early Greek Fathers, as compared with the Western Fathers,
spoke very favorably of commerce. They used commercium divinum (the divine
commerce) as a metaphor for the interchange between God and Man personi-
fied in Jesus Christ. Commerce was to the Greek, Arab, and Turkish Fathers a
dear image. Their very lives depended on international commerce. The desert
nations around the eastern and southern Mediterranean needed many goods
from abroad. Church Fathers like St. Ephrem of Syria (306-373 AD) used im-
ages of the international commerce he observed around him in the sails and
busy harbors, as metaphors for the Mystical Body of Christ. He saw Christi-
anity as the one spiritual inner life of God, dwelt in at the same time by an
extended international community. Nations that produced wine and olive oil,
and those that produced wool or magnificent cedar wood, desperately needed
one another. The foot served the arm, the lungs the head, and every part of
the extended human body gave life to the others.

3. Looking Down on Commerce


In the West, by contrast, poets since Horace have spoken of commerce with
aristocratic hauteur. The academic traditions of the liberal arts and humani-
ties do so even today. This is true even in commercial and capitalist countries.
Most artists, intellectuals, and other symbol-makers think of themselves to-
day as aristocrats (of the spirit), of higher moral rank than businessmen.
At the heights of fashion and taste, we have heard almost two centuries of a
creation theology 71
thorough-going denigration of commerce and capitalism, as philistine, vul-
gar, and crass. The traditional agrarian spirit, carried out in the name of cour-
tesy, chivalry, leisure, and wisdom, over against busy-ness, distraction, vulgar-
ity, and cheap frivolity of capitalist culture (as they see it). A tiny example : I

have heard professors speak with contempt for paper napkins, paper cups and
plastic forks and spoons as obviously inferior to linens, real silver (carved or
engraved), and fine crystal ware. Such cultural critics prefer the aristocratic
style.
To this tradition, the several socialist movements of the 19th and 20th centu-
ries, especially Marx and Engels, added their own contempt for capitalism (as
they defined it) and all its works and all its pomps.
Still, though, commerce does not go to the heart of why the Catholic tra-
ditions bring deeper intellectual and cultural resources to an accurate under-
standing of capitalism. In the Catholic traditions, it is not necessary to go
down on all fours in order to praise God, nor to belittle human goodness, nor
to emphasize human depravity. In the Catholic view, Christ died to redeem
all of creation, its beauties, its goodnesses. The Catholic liturgy is intended
to resonate with all creation redeemed and at prayer (Romano Guardini),
all creation restored to its original beauty, and now infused with a divine ra-
diance. Human nature was never entitled to such grace, but is now called to
accept it as its unmerited destiny. The Divine has united itself taken up com-
merce with the human, in Christ.
It is this positive impulse that is the inner spring of this amazingly creative
age from which the world has moved forward so much during the last five
centuries. Think of the bravery of those intrepid Portuguese, Genoese, and
Spanish explorers aiming their tiny wooden vessels into the great unknown.
Some scientific theories predicted that such voyagers would reach the end
of the flat earth and drop into everlasting darkness. Still the explorers went.
For in their hearts they knew, and had celebrated for generations, that the Cre-
ator is good, that the world He created is good, that He intended us to make
it as one in His goodness. They thought the human vocation is to conquer
the world in the name of its Redeemer.
They were mercenaries, too, sometimes foremost. For such men, riches
were the fuel that ignited the fires of invention and discovery. Yet what is in-
human about that ? To gain the whole world through the loss of ones soul is

no profit. But for the sake of the image of the Creator-God implanted in us,
and for the sake of His Only Divine Son, through Whom and with Whom
and in Whom were made all the things that are made, for these, to carry
round this whole huge world the glorious news of Gods love for humans,
is by no means compromised through gaining earthly riches, too. Better the
first than the second ; the second is in fact in vain, without the first ; but both

together quite suit our joint nature, body and soul, human and divine. It would
72 michael novak
be odd of God to arrange the world in such a way that to glorify Him meant
to denigrate man. The glory of God is man fully alive, wrote St. Irenaeus
of Lyons (185 AD).
Contemporary efforts at human development, in the name of progress,
have not escaped being marked by greed, lust, pride, the will to power, and
in some places the defiance of God. There is on earth no fully developed nor
secure City of God. My good friend Irving Kristol wrote a book called Two
Cheers for Capitalism (Signet, 1979). That claim might be considered exuberant.
Compared with what feudalism did to my family in Slovakia, and compared
to what Socialism did to my cousins who remained there, the world of devel-
opment and education, and opportunity, which they are at last beginning
now to experience capitalism does deserve at least one cheer. One cheer for
the creative economy, the mind-centered economy, is quite enough. For like
all systems, capitalism has many flaws, and self-contradictions within it. It is
by no means paradise. It creates new problems. Its main claim is that, better
than any other system, it does raise up the poor. And it does so better by pro-
tecting human rights of individuals and their communities.

4. Anglican and Orthodox Catholic Traditions


At the present time, the Anglican Church, which once did so much to in-
spire international commerce and development and, in fact, presented the
first taste of it in the 19th century to the whole world has in recent genera-
tions given way to a pinkish socialism, a vague sort of anti-capitalism in-
termixed with an uncritical embrace of the welfare, or as the Brits say, the
nanny state.
Neither has the Orthodox Church in Russia yet had an opportunity to speak
about the power of creation theology to improve the lives, opportunities,
and even artistic and religious depths of its people. If I am wrong about that,
I am eager to be corrected.
In most of the Roman Catholic Church, strong opposition to the creative
economy still thrives, from both social democratic and traditionalist sources.
Capitalism is a term Marx may have blackened beyond repair. But an an-
tipathy toward the creative economy still echoes in the modern, traditionalist,
residually agrarian societies, and among many intellectuals.
Despite all this, Pope John Paul II (1922-2005) enunciated in a powerful se-
ries of encyclicals (letters addressed to all humanity) the new characteristics
of economic developments around the world. No other religious leader has
come so close to the bulls-eye. This is not the place for a long examination
of his analysis. But perhaps a few of his words may furnish us with a conclu-
sion.
creation theology 73

5. John Paul II and Creation Theology


The Roman Catholic Church at the present time is, in the main, divided into
four factions regarding economic questions.
The first, by far the largest faction, is Euro-social democrats and North
American progressives, perhaps in favor of Rhenish capitalism but op-
posed to Anglo-Saxon capitalism. Their distinctive belief is in a powerful
welfare state. Their highest ideals are their version of equality and their ver-
sion of community. By the latter, they rather quickly turn to the State as the
main efficient cause of national community. By equality they want to redis-
tribute income and equalize economic outcomes as near as may be possible,
and they tend to mean something approaching conformity or uniformity,
since they are made uncomfortable (they say) by social inequalities. They say
this is a reaction against the feudal class system that for centuries shaped Eu-
ropean history.
Another large part, particularly from Latin America and parts of Asia, nour-
ishes deep anti-capitalist (especially anti-American) resentments and hostili-
ties, from which they find release in liberation theology. Liberation theol-
ogy was born in Peru in 1971, predominately in the writings of Fr. Gustavo
Gutierrez. In its beginnings, liberation theology promised to show the con-
gruencies between Marxism and the Gospels.
The third is the party of the land, the traditionalists, rather anti-capitalis-
tic, anti-bourgeois, and aristocratic in its feeling. It is anti-capitalist from the
direction opposite to the socialists.
The fourth is a turn of thought rooted in part in Leo XIII, Benedict, XI, and
Pius XII, in their emphasis on voluntary associations as an alternative to
the socialist state, on small business and enterprise, and on the dignity of the
human person. The papal tradition since 1891 begins from the asymmetry be-
tween socialism and capitalism. Socialism is the name of a unitary system its
politics, economics, and morals. By contrast, capitalism names only one part
in a three-part system, the economic part. That part should be held checked
and balanced by the political part and moral/cultural part. This tradition has
regularly rejected socialism, but favored a limited welfare state. The Social En-
cyclicals welcomed the capitalist emphasis on the traditional right to private
property, and the protection of rights under the rule of law. They have also
been quite critical of current and historic abuses in the history of capitalism.
Pope John Paul II took that tradition in a creative direction. What is it that
is good about the market economy, private property, personal initiative, and
enterprise ? He condemned the abusive and coercive tendencies within un-

checked capitalism. At the same time, he noticed the affinities of capitalist


economies for liberty, creativity, and a large-minded human development, no-
tably in the poorest countries.
74 michael novak
In his very timely encyclical Laborem Exercens (1981), the Pope decisively
shifted the dynamic of economic life from liberation to creation. 11 The

metaphor of liberation, as in liberation theology, pictures the cause of poverty


as oppression that comes from outside the self. Thus, appeals to liberation
stoke feelings of resentment, hostility, and anger against external oppres-
sors. All will be well only if the oppressors are thrown down and kept down.
The partisans of liberation have nothing to say positively or constructively
about how wealth is actually created. Nor do they reflect on the severe lim-
its of economic development when ingenuity and creativity are constricted.
Seemingly, they fail to understand that human ingenuity and creativity reside,
first of all, in the individual human person theologically, in the imago Dei en-
coded in human capacities for action ; and economically, in the human capacity

for enterprise, discovery, and creative energy.


By contrast, the metaphor of creation pictures poverty as the baseline state
of humanity. Men and women come into the world natively poor, but made
by God with a potency for creating new wealth. This potency must be awak-
ened, however. Human beings must learn to be intelligent, gain insight, hy-
pothesize, experiment, in order to use well the new resources and new prod-
ucts of their own invention. Thus is wealth created, where it did not exist
before.
Their remains one point to emphasize. Pope John Paul II came only slowly
to the insight that wealth depends on individual initiative and invention, that
is, on human capital. In 1981 (Laborem Exercens) he was still describing capital
as a matter of things. Capital for him meant money, machinery, and the tools
and material instruments of production. For this reason, in his mind, labor
always had priority over capital. Capital was always something outside hu-
man beings, pre-human, and inferior. But by 1987, in Sollicitudo Rei Socialis,
he began to look more closely. He recognized the importance of economic
initiative as a basic human right, rooted in the imago Dei, the Creator in every
human being. From here it was a short step to the concept of human capi-
tal for instance the human capacity for initiative for imagining new futures,
and for learning the needed new habits and skills. This step gave John Paul II a
wholly new way of thinking about the contemporary economy.
By 1991, in Centesimus Annus, the encyclical written in the one hundredth
year after the first papal encyclical on economics by Leo XIII in 1891, the
Pope brought a long evolution in Catholic Social Thought to a new point.
He affirmed that such qualities of the human spirit as initiative, teamwork,
cooperation, and creativity are our chief hope of lifting the poor around the

11 John Paul II, Laborem Exercens, 4, 25, 27 (available online at http ://www.vatican.

va/holy_father/john_paul_ii/encyclicals/documents/hf_jpii_enc_14091981_laborem-ex-
ercens_en.html).
creation theology 75
world out of poverty. He also saw that these economic capacities also require
corrective institutions and the rule of law, to keep them on the path of helping
human persons to flourish.
Let us conclude with this one paragraph from Centesimus Annus :

[I]t is important to note that there are specific differences between the trends of

modern society and those of the past, even the recent past. Whereas at one time the
decisive factor of production was the land, and later capital understood as a total
complex of the instruments of production today the decisive factor is increasingly
man himself, that is, his knowledge, especially his scientific knowledge, his capacity for
interrelated and compact organization, as well as his ability to perceive the needs of
others and to satisfy them . 12

The Pope then went on to speak about the urgent need today to bring the
poorest of the world into an expanding circle of progress. He stressed sev-
eral times that a creative economy is inspired by a vigorous set of moral and
cultural institutions, and a watchful, constitutional, political system, the only
good soil in which it can grow.
The free society is three systems in one : and economic system that liberates

the poor from poverty, a political system that frees all its citizens from torture
and tyranny, and a moral/cultural system that nourishes an ecology of lib-
erty, designed for human flourishing.

Abstract : In the last 250 years, capitalism has transformed and liberated societies from

poverty in an unprecedented way. Caput, the Latin root for capitalism reflects the idea of
mind-centered economy. More than anything else, mind is the cause of wealth today, so the
spirit of capitalism is far from being entirely materialistic. It teaches people to turn away from
what they now have, to put that at risk, to set off bravely toward inventing new futures. The
weberian interpretation of Protestant ethics ignores this and pays little attention to the fact
that the first experiences of modern trading and entrepreneurship were developed by catholic
cities in the late Middle Ages. After the Reformation, Catholic culture fostered invention in
the visual and tactile arts. By contrast, the dissident Protestant churches favored simplicity,
plainness, and the absence of ornament. Even now capitalism faces resistance within catholic
culture, but John Paul IIs encyclicals (Laborem exercens, Sollicitudo rei socialis and Centesi-
mus annus) made clear that work is a way of human development (both personal and social)
and that economic creativity, teamwork and cooperation are our chief hope of lifting the poor
around the world out of poverty. The free society is three systems in one : an economic system

that liberates the poor from poverty, a political system that frees all its citizens from torture
and tyranny, and a moral/cultural system that nourishes an ecology of liberty, designed
for human flourishing.
Keywords : capitalism, Catholic Social Thought, economy, creation theology.

12 John Paul II, Centesimus Annus, 32 (available online at http ://www.vatican.va/ho-


ly_father/john_paul_ii/encyclicals/documents/hf_jpii_enc_01051991_centesimus-annus_
en.html).
IUSTITI A EST A MOR : LOVE AS PR INCIPLE

OF SOCI A L A ND ECONOMIC LIFE ?

Martin Schlag *
Summary : 1. Formulating the Question. 2. Justice and Mercy as Twin Social Principle. 2.1.

The Stoics. 2.2. Charity as a Social Principle in the Holy Scripture ? 2.3. Justice and Love in

Early Christian Theology. 2.3.1. Lactantius. 2.3.2. Ambrose. 2.3.3. Augustine. 2.3.4. Leo the
Great. 3. Systematical Reflections on Social Charity. 4. Conclusion.

1. Formulating the Question

T he very title of Benedict XVIs social encyclical Caritas in veritate under-


scores the Popes wish to promote love or charity as a principle of con-
temporary social life. He writes :

Charity is at the heart of the Churchs social doctrine. Every responsibility and

every commitment spelt out by that doctrine is derived from charity, which, accord-
ing to the teaching of Jesus, is the synthesis of the entire Law (cf. Mt 22 :36- 40). It

gives real substance to the personal relationship with God and with neighbor ; it is

the principle not only of micro-relationships (with friends, with family members or
within small groups) but also of macro-relationships (social, economic and politi-
cal ones) . 1

On the one hand, this principle is not new to the social doctrine of the Popes.
Leo XIII pointed to love, friendship and fraternity as the fundamental princi-
ples governing the relationship between the different groups of society. 2 Pius

XI referred to social justice and social charity as the supreme structural


elements in the economy ; these two principles, not unrestricted competition,

were to be the steering wheels of the economy. 3 Paul VI coined the expres-

sion civilization of love ; 4 and John Paul II identified all these expressions

with his preferred concept of solidarity. 5 Even before Caritas in veritate, the

Compendium of the Social Doctrine of the Church encouraged the redis-


covery of charity as the highest and universal criterion of the whole of social

* Pontificia Universit della Santa Croce, Facolt di Teologia, Piazza SantApollinare 49,
00186 Roma. E-mail : schlag@pusc.it

1 Enc. Caritas in veritate, Nr. 2. 2 Enc. Rerum novarum, Nr. 18-21.


3 Enc. Quadragesimo anno, Nr. 89.
4 Message World Day for Peace 1977, AAS 68 (1976), 709.
5 Enc. Centesimus annus, Nr. 10.

acta philosophica i, 21, 2012 pp. 77-98


78 martin schlag
ethics. As from an inner wellspring the values of truth, freedom and justice
are born and grow from love. 6

On the other hand, however, Pope Benedict XVIs words as quoted above
pose several questions. What substance does charity possess as the principle
of macro-relationships ? How does it relate to justice ? How can charity be

defined as a social principle, considering that love cannot be institutionalized


and considering that social ethics are structural, not individual, ethics ?

2. Justice and Mercy as Twin Social Principle


The insight that strict justice alone does not suffice to create an ordered soci-
ety is not exclusively a product of the painful social question during the 19th
century. Nor is this realization of purely Christian origin. Two streams of tra-
dition merge to establish charity as a social principle : the pre-Christian Greek

philosophy and the biblical teachings of Gods justice and mercy, and of fra-
ternity among all people as a consequence of Gods universal paternity.

2. 1. The Stoics
The Stoic philosophy taught that compassion and mercy were personal weak-
nesses, even a spiritual disease, which threatened to disturb the sages tran-
quility of mind. 7 In spite of this negative attitude, Stoics did hold that justice

did not suffice as a social principle and had to be complemented by benefi-


cence. Cicero, for instance, belonged to the Middle Stoics and introduced the
works of Panaetius and Posidonius into the Latin world, thereby also convey-
ing Stoicisms concepts to the Latin Church Fathers. Cicero upheld two social
principles : justice and beneficence (beneficentia, liberalitas). Of these two

he attributed greater importance to justice. In his own words :

Of the three remaining divisions, the most extensive in its application is the principle

by which society and what we may call its common bonds are maintained. Of this
again there are two divisions justice, in which is the crowning glory of the virtues
(virtutis splendor) and on the basis of which men are called good men (viri boni) ;

and, close akin to justice, charity (beneficentia), which may also be called kindness
(benignitas) or generosity (liberalitas). The first office of justice is to keep one man
from doing harm to another, unless provoked by wrong ; and the next is to lead men to

use common possessions for the common interests, private property for their own . 8

Cicero thus upheld two social principles of which justice was the first and
more important. Of the second principle, however, that is of charity and gen-

6 Papal Council for Justice and Peace, Compendium of the Social Doctrine of the
Church, LEV, Vatican City 2005, Nr. 204 ff.
7 Cfr. W. Schwer, Barmherzigkeit, RAC 1, 1950, p. 1203.
8 Cicero, De officiis, i, 7 (20).
love as principle of social and economic life? 79
erosity he says : Nothing appeals more to the best in human nature than this,

but it calls for the exercise of caution in many particulars . 9 The caution which

Cicero recommends refers mainly to not exceeding ones financial means and
therewith damaging ones own family. Indeed, Cicero states, Nothing is gen-

erous if it is not at the same time just . 10 Generosity should be demonstrated


towards everyone while at the same time respecting varying degrees in social
bonds. 11 Cicero placed the family as most intimate union in the first posi-

tion, 12 then came friends. Amongst these he prioritized the virtuous and the

benefactors. The interests of society, however, and its common bonds will

be best preserved, if kindness be shown to each individual in proportion to


the closeness of his relationship . 13 As a follower of the Stoic school, Cicero

perceived all men to be united by universal friendship. This made him assume
that the use of material goods was destined to serve all people. At the same
time he justified the existence of private property. Nature produced every-
thing for the common use of mankind. All men are friends, and friends use all
things in common. Thus all men are united in a common bond.

2. 2. Charity as a Social Principle in the Holy Scripture ?

The qualitative increase which the Judeo-Christian revelation brought to the


pagan world with respect to generosity and mercy, social justice and social
charity has been pointedly described by Ernst Dassmann, who holds, the

liberalitas of late antiquity [was] as dissimilar to caritas as paganism to Chris-


tianity . 14

In the Old Testament, God is characterized as just and merciful. 15 The

explicit combination of both expressions is seldom found in the Old Testa-


ment, 16 whereas the term merciful and gracious God is repeated often. Jus-

tice is rooted in jurisprudence. In a society characterized by social inequality,


a fair judge is obliged to assist the disadvantaged. You shall not pervert jus-

9 Ibidem, i, 14 (42).

10 Nihil est enim liberale, quod non idem iustum (ibidem, i, 14 (43)).

11 Gradus autem plures sunt societatis hominum (ibidem, i, 17 (53)).


12 Only in connection with the family does Cicero use the word love : Sanguinis autem

coniunctio et benivolentia devincit homines (et) caritate (ibidem, i, 17 (54)).

13 Ibidem, i, 16 (50).
14 E. Dassmann, Nchstenliebe unter den Bedingungen der Knappheit. Zum
Problem der Prio-
ritten und Grenzen der Karitas in frhchristlicher Zeit, in Idem, Ausgewhlte kleine Schriften zur
Patrologie, Kirchengeschichte und christlichen Archologie, Jahrbuch fr Antike und Christen-

tum , Ergnzungsband 37 (2011), Aschendorff, Mnster 2011, p. 277 ff., p. 278.


15 Cfr. Ex 34, 6 : The LORD, the LORD, a God gracious and merciful, slow to anger and

abounding in love and fidelity. See also Neh 9,31 ; Ps 86,15 ; 103,8 ; 111,4 ; 112,4 ; 116,5 ; 145,8. Dt

32,4 : The Rock how faultless are his deeds, how right all his ways ! A faithful God, with-

out deceit, just and upright is he ! . 16 For example in Tob 3,2 ; Ps 112,4 ; 116,5.

80 martin schlag
tice for the needy among you in a lawsuit (Ex 23,6). A fair judge must also

be a merciful judge, one who has a heart for the poorJustice, therefore, is
in practice also mercy as an awareness of suffering and as assistance to those
in need . 17 This explanation defines what God does : He is just because he is

merciful and because he sides with the weak, the poor and the oppressed. 18

A person striving to imitate God must do so in the side-by-side path of jus-


tice and mercy. 19 The Old Testament continued the semantic shift, already

formulated in Egypt, of the words mercy and benevolence, 20 restricting them


to pity for the poor and finally to donations to the poor and to almsgiv-
ing. 21 In the New Testament, the term eleemosyne came to be used to express

alms, as evidenced in its use in Romance languages and thence also in the
English word alms. In Greek, however, there were many other words to ex-
press the central definition of mercy and compassion in the New Testament, for
example splagchon, eleos, oiktirmos and their associated derivatives. Jesus dou-
ble commandment of loving God and loving ones neighbor embraced the old
and new meaning of justice with an absoluteness which startled his followers.
Basing ones entire existence on God demands the dissolution of all bonds
except the bond to God alone. The love of God signifies the determination
to renounce all things except God. The Lord names two powers which man
must renounce if he is to love God : mammon and the addiction to prestige.

Furthermore Jesus disciples must expect persecutions as testing ordeals. Jesus


links the love of God to the love of neighbor and even to love of the enemy,
the second commandment equal to the love of God. Jesus liberates the love of
neighbor from the borders of ethnicity and directs it towards the helpless man
lying on the side of the road. In the parable of the Good Samaritan Jesus es-
tablishes an example of a person who fulfills the commandment to charity by

17 H.-J. Benedict, Barmherzigkeit und Diakonie. Von der rettenden Liebe zum gelingenden Le-
ben, Kohlhammer, Stuttgart 2008, p. 13 ff.
18 Cfr. Ps 103,6 : The LORD does righteous deeds, brings justice to all the oppressed .

19 Cfr. Tob 12,9 ; Prv 21,21.


20 The Hebrew words rachamim (mercy) and chsd (benevolence, clemency) are
often found together. Rachamim originally means womb, as the perceived base of em-
pathetic emotions. In its oral use it designates charity and mercy which extend from the
higher to the lower. Four-fifths of all the Biblical references with the root rchm have God
as the subject or actor. Through his rachamim, God places human beings in a parent-child
relationship, which protects and restores the people of Israel. Gods compassion replaces
his anger. (For further evidence see E. Jenni - C. Westermann (edd.), Theologisches Wrter-
buch zum Alten Testament (THAT), Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Gtersloh 20046, vol.
2, p. 761 ff. Chsd (benevolence, goodness, clemency) is not limited to a relational direc-
tion between a higher-up and a weaker party, but occurs in reciprocity. (See further THAT,
vol. 1, p. 600 ff.
21 See W. Scher, RAC 1, 1950, p. 1202 ; H. Bolkestein - W. Scher, Keyword almsgiving

(Almosen), in RAC 1, 1950, p. 301 ff.


love as principle of social and economic life? 81
practicing mercy. Of the three persons involved, only the Samaritan abides by
the commandment to love ones neighbor. The priest and the Levite who pass
by obey the ethical codex of the purity laws. They do not touch the motion-
less injured man, since he could already be dead, and to touch a cadaver would
make them unclean. The priest and the Levite want to be clean before God,
without reaching down to the injured man. The Samaritan transcends these
moral beliefs. He rises to true divine worship by abasing himself to serve the
injured and in the process making himself ritually unclean. Exceeding the
spirit of casuistry, Jesus challenges the scribes not to ask who ones neighbor
might be and not to make distinctions based on the closeness or distance of
the relationship, but actively to turn to ones neighbor in need, depending on
the case and situation at hand. God also acts towards us in this way.
In the synoptic gospels Jesus rarely uses the noun agape. He proclaims and
brings forgiveness of sins (afesis), Gods mercy. Accordingly, the exhortation
to mercy and forgiveness is at the forefront of mans calling to holiness and to
emulate God : Be merciful, just as your Father is merciful (Lc 6,36). 22

2. 3. Justice and Love in Early Christian Theology


The exceptional social dynamic which arose from Jesus postulation in this
and other scriptural passages, such as the eschatological discourse, induced
the early Christian community in Jerusalem to associate liturgy, kerygma and
catechesis with diaconia (Acts 2,42-47 ; 4,32-36). The endeavor to realize charity

as a social principle was evident in the early Christians from the beginning
onwards. However, the first generations of Christians encountered great dif-
ficulties in this endeavor. Foremost there existed an initial, practically insur-
mountable, difficulty in the harsh fact of the number of poor, the extent of
material disparities and the magnitude of poverty. The small Christian com-
munity could not be expected to have the financial power and the energy to
relieve the social injustice in the entire Roman empire. The reaction to this
situation was to reduce the radius of those entitled to assistance. Soon the
Christian duty of charity and assistance applied not to all humankind, but
only to brothers and sisters in Christ. 23

22 On the above-mentioned see E. Stauffer, Keyword agape, in G. Kittel (Publ.), The-


ologisches Wrterbuch zum Neuen Testament, vol. i, Kohlhammer, Stuttgart (Studienausgabe
1990), p. 44 ff.
23 Cfr. Jas 2,15 ff. : What good is it, my brothers, if someone says he has faith but does

not have works ? Can that faith save him ? If a brother or sister has nothing to wear and has

no food for the day, and one of you says to them, Go in peace, keep warm, and eat well,
but you do not give them the necessities of the body, what good is it ? . For a more detailed

account of this set of problems cfr. E. Dassmann, Nchstenliebe unter den Bedingungen der
Knappheit. Zum Problem der Prioritten und Grenzen der Karitas in frhchristlicher Zeit, cit., p.
284 ff.
82 martin schlag
A further, related difficulty was the New Testament moral guidance, with
its marked character of an individual ethic, which distracted attention from
the formal aspect intrinsic to social ethics. Here too can the parable of the
Good Samaritan serve as an example. From the point of view of social ethics
the reactions and consequences after the unjust robbery would be different.
This does not diminish the importance of the Samaritans mercy but both
types of ethics require different mindsets for or logics of response. A solution
based on social ethics strives for the creation of social and legal structures
which can intervene in a preventive, accompanying and sustainable manner.
Examples of socially ethic solutions would be taking measures to relieve pov-
erty and to re-socialize convicts, so that robbery might not occur in the first
place. Or installing a police force to make the streets safe. Or establishing
emergency and health services which as institutions take responsibility for the
transport, accommodation, healing and caring of the sick, as opposed to the
Samaritan and the host, who carry these burdens individually. Or to ensure a
functioning justice system, which prosecutes crimes in a timely manner and
makes sure that criminals are rehabilitated. These are just a few examples of
institutions based on social ethics. A solution based on individual ethics only
addresses individual persons and their duties.
Reducing love to its dimension of individual ethics also led to the phenom-
enon that in Christian tradition of charity, the early Fathers of the Church
called for mercy, emphasizing the individual salvation of the wealthy donors,
while attempting to motivate the rich to donate voluntarily, since mercy, be-
neficence and almsgiving remained optional. Structural reforms were not de-
manded even in those situations stridently criticized by Ambrose and Basil, in
which the idle accumulation of riches not utilized for social purposes was in
the hands of a few privileged families. 24 Nor were legal, structural reforms

demanded when Ambrose denounced as unethical all forms of collecting in-


terest. 25 Only in the Renaissance 26 and finally in the 19th century as a result

of the dissolution of the medieval system did a new structural view of social
problems gain acceptance. 27

24 See Ambrose, De nabuthe, PL 14, p. 725 ff. ; Basil, Homily on Lk 12,18 I shall tear down my

barns and build larger ones, PG 31, p. 261 ff. ; Homily against the rich, PG 31, p. 277 ff.

25 Ambrose, De Tobia, PL 14, p. 759 ff.


26
For the motivational shift in helping behavior from the High Middle Ages in the transi-
tion to the Early Modern Age, see A. Keck, Das philosophische Motiv der Frsorge im Wandel.
Vom Almosen bei Thomas von Aquin zu Juan Luis Vives De subventione pauperum, Echter,
Wrzburg 2010, Diss.
Hochschule fr Philosophie Mnchen. With the inception of human-
ism a de-personalized and unified concept of welfare is heralded.
27 On this development see W. Ockenfels, Katholische Soziallehre - Stand und Entwick-
lung, in L. Diversy (Publ), Christentum und Politik. Stand und Entwicklung der christlichen So-
ziallehren. Wegweiser ins dritte Jahrtausend, Dadder, Saarbrcken-Scheidt 1990, p. 36 ff.
love as principle of social and economic life? 83
The writings of the Fathers, charged by individual ethic, reflect not only the
specific individual ethics character of the New Testament but also reflect anoth-
er difficulty for the relevancy of love as a social principle. Outside of marriage
and the family, it is not possible to institutionalize and structuralize love. 28 If

love is manifested in the form of social institutions, it becomes (social) justice.


A social institution consists of regulated services, which must be rendered by
agreed service providers to their entitled recipients. These are services which
pro forma have a legal nature when the recipient obtains an enforceable entitle-
ment to them. The motive for granting these services may be charitable, but
the services themselves mutate into rights. In this way social charity is not
tangible as such, but as justice.
Due to the described difficulty to embrace the central Christian teaching
of charity as a social structural principle, the Fathers of the Church made re-
course to Stoic philosophy in their reflections on mercy and charity as a social
principle. The early Christian theologians inculturated the Christian faith by
expressing the tenets of their faith in the form of familiar philosophical terms
or by criticizing Hellenistic philosophy where it was incompatible with faith
(e.g. in cosmological and anthropological questions).

2. 3. 1. Lactantius
Lactantius explicitly turned to the educated elite of his time and attempted to
give them an understanding of the new ideas in Christianity convincingly. For
Lactantius there is no true justice without faith in God. Without God there
can be positive human laws, these however are subject to utilitarian consid-
erations and are derived from a calculation of interest. Justice, on the other
hand, originates from God and is simple and is the same for everyone. 29 Gen-

uine virtues can exist even without faith in the true God, take for example
Cimo of Athens : he donated to the suffering, invited the poor into his home,

clothed the naked and buried the dead. Nevertheless can he be considered
a well-formed body without a head, because without faith in God all other
aspects of existence lack life and meaning. 30 Lactantius, in his pagan environ-

ment, apparently could find not only justice but the seed of works of mercy
as well. What is new in his formulations on the one hand is that he incorpo-
rates the works of mercy as a constitutive element when defining justice. This
means that for Lactantius there can be no justice without mercy. On the other
hand Lactantius goes beyond the Stoic notion of beneficence, as expressed by
Cicero, by considering first and foremost the poor, the disenfranchised, in a
word the lower class as the recipient of generosity and beneficence.

28 It is noteworthy and significant for the standing of love as a Christian characteristic


that matrimony was the only social institution of his time which Jesus changed.
29 Lactantius, Divinae Institutiones, vi, 9. 30 Ibidem, vi, 9, 8.
84 martin schlag
Lactantius delves into this thought further along in the same book. How a
person treats fellow human beings, so does that person treat god, in as much
as man is Gods likeness (homo dei simulacrum est). The first obligation of
justice entails uniting with God ; the second obligation is to unite with fellow

man. The first obligation is religion ; the second is misercordia or humani-


tas. This second virtue is inherent only to the just and to the worshippers of
God, because it alone encompasses the logic of community. 31 God endowed

animals with natural immunity, but humans with a sense of community, so


that man would defend, encourage and love fellow human beings and protect
them against every danger. The highest bond among men is humanity (Sum-

mum igitur inter se hominum vinculum est humanitas) . Whoever violates this

bond is a criminal and a patricide. Since we all are descended from one man,
we are all related. Therefore the greatest crime is to hate a fellow human be-
ing, even when that fellow human being damages us. We may be no ones en-
emy and must love our enemy, and even help an enemy in distress. We are all
brothers created by one and the same God. Those who go against the law of
humanity (ius humanitatis) and against Gods laws (fas) by robbing, tortur-
ing, killing and extirpating are wild animals. Gods commandment is to assist
the weary and those that labor ; to feed the hungry. As God is a loving Father,

so did he want us to be social beings. 32 We should see ourselves in others : we


do not deserve assistance when we are in danger if we do not help others in


danger ; we do not deserve support if we ourselves deny support to others.

The philosophical ethical systems, affirms Lactantius, had not developed fur-
ther in this aspect : for although they often speak of a sense of community,

their inclemency makes them far removed from any sense of community.
In another passage Lactantius criticizes the Stoic, Zeno, for viewing mercy,
the greatest of all virtues, as a disease, because indeed misercordia is dear
to God and necessary for humans. 33 Once again Lactantius substantiates this

assessment with reciprocity : who does not want to count on the help of oth-

ers when he himself is needy ? It does not matter whether it is termed humani-

tas or pietas. What matters is the basic stance, which is only given to man.
With this stance we help one another, otherwise we live like the animals do.

2. 3. 2. Ambrose
The great bishop of Milan called his moral instruction of the clergy De offici-
is and based his book on the work of Cicero with the same name. Ambrose
partly paraphrased Ciceros work and in part expanded upon it with biblical
examples and Christian insertions.

31 Ibidem, vi, 10.


32 Deus enim quoniam pius est, animal nos voluit esse sociale (Div. Inst. vi, 10, 10).

33 Lactantius, Epitome divinarum institutionum, 33, 6.


love as principle of social and economic life? 85
Ambrose borrowed word for word Ciceros double social principle of jus-
tice and beneficence (justitia et beneficentia). The inner structure and logic

of society consists of two parts : justice and beneficence, which is also called

generosity and benevolence. Justice appears to me to be the more noble, gen-


erosity the more amiable. Justice provides the standard for a strict scrutiny of
morals ; generosity grants benevolence . 34 This passage paraphrases Cicero

almost word for word. Ambrose goes beyond the Stoic prototype by some-
what unsystematically dividing beneficentia (beneficence) into benevolen-
tia (benevolence) and liberalitas (generosity). Beneficence is composed of
both benevolence and generosity ; without them beneficence would not be

complete. It is not enough to want good (bene volere), one also has to do
good. By the same token it is also not enough to do good ; doing good must

spring from a good source, namely from good will. 35 Benevolence is more

than generosity, since it may sometimes be impossible to be generous due to


a lack of material means. Good will, on the other hand, is always possible.
Benevolence is like a common mother binding everyone in friendship. Be-
nevolence is expressed in dependable advice, in joy over someone elses good
welfare, in sorrow over someone elses affliction. Remove benevolence from

human dealings and you have removed the sun from the world ; for without

benevolence there are no human dealings : showing a stranger the way, cor-

recting the errant, returning hospitality are all fruits of benevolence. It is like
a spring of water which refreshes the thirsty . 36

2. 3. 3. Augustine
In his main work of social theory, City of God, Augustine emphasizes above
all that justice is the principle which structures society. Without justice, cities
are nothing more than bands of robbers (De civitate Dei iv, 4). Augustine, simi-
lar to Lactantius, advocates a religious-based theory of justice : a man and a

nation who do not adore the true God do not possess justice. From this stand-
point, the Roman Empire was never a true res publica.
For Augustine the earthly common good is the collective sharing in the
highest good (summum bonum). The highest good exists in God or to be
precise in taking pleasure in God (frui Deo). We should utilize (uti) earthly
things but should not look for happiness in them, for happiness can only stem
from pleasure in God, the highest good. Augustine did not recognize a sepa-
rate theory of social charity which explicitly used that term. However, in
many passages the idea of charity as a social principle is perceptible.

34 Societatis enim ratio dividitur in partes duas : iustitiam et beneficentiam quam eamdem libe-

ralitatem et benignitatem vocant ; iustitia mihi excelsior videtur, liberalitas gratior ; illa censuram

tenet, ista bonitatem (Ambrose, De officiis, i, 28, 130).


35 Ambrose, De officiis, i, 30, 143. 36 Ibidem, i, 32, 167.


86 martin schlag
This perception applies generally because Augustine grants love the central
and defining place in moral life. 37 As is well known, Augustine defines all vir-

tues from the viewpoint of love, whereby he delineates the four cardinal vir-
tues as manifestations of love. Even justice is charity, which serves only the

beloved and therefore governs well . 38

Justice governs objectively and in line with reason, not with the libido domi-

nandi 39 (desire for domination), which Augustine accuses the Roman Empire

of doing. Augustine makes it immediately clear that justice towards fellow


human beings has to do with the love of God. It does not have to do with any
kind of love, but with the love of God, the highest good. Therefore one can
also describe justice as charity, which serves God alone, and therefore can put

into good order the other things, which are governable by man . 40

Such an interpretation of justice based on the love of God is hardly appli-


cable to the modern interpretation of justice. To raise such a virtue to a so-
cial principle could not be reconciled with the liberal principle of our social
order as it presupposes a religious creed. Indeed, even Thomas Aquinas did
not take up the Augustinian definition of justice and criticized Augustines
lack of differentiation between the association with God, in which no equality
between God and man can be attained, and the association of human beings
amongst one another in which equality and thus justice are achievable. Aqui-
nas accepts the love of God as a motivation for interpersonal justice, but he
differentiates the two concepts clearly. 41 With all the brilliance and acuity of

his opinions Augustine writes passionately as a rhetorician and as a pastor, not


as a calculating systematic theologian. One may not absolutize his sometimes
absolute-sounding principles, but must read them in the context of his com-
plete oeuvre, where their hard edges are buffed by real life and understanding
of human nature, where the absolutes blend into the contemplation of faith
in a harmonious and balanced manner and so remain fruitful for their respec-
tive time.
In this respect Augustine differentiated between the supernatural caritas
as a virtue of the transcendent City of God, on one hand, and beneficence,
justice and concord, which served as social principles for worldly society, on
the other hand. Gods authority entrusts us with these and other virtues, so
that we not only lead our earthly life in a morally upstanding way, but also so

37 Cfr. for example Enchiridion de fide, spe et caritate, xxxii, 121 : All the divine precepts

are, therefore, referred back to love. Thus every commandment harks back to love .

38 Iustitia, amor soli amato serviens, et propterea recte dominans ; [...] (Augustine, De mori-

bus ecclesiae Catholicae, i, 15 (25) ; NBA xiii/1, p. 52 ff.).


39 Augustine, De civitate Dei, xiv, 28.


40 Iustitiam, amorem deo tantum servientem, et ob hoc bene imperantem caeteris quae homini

subiecta sunt ; [...] (Augustine, De moribus ecclesiae catholicae, i, 15 (25) ; NBA xiii/1, p. 52 ff.).

41 Thomas Aquinas, Summa Theologiae, ii-ii, q. 57, a. 1, ad 3 ; q. 58, a. 1, ad 6.



love as principle of social and economic life? 87
that through these virtues we can attain eternal salvation. We can only be-
come citizens of Gods heavenly kingdom through the virtues of faith, hope
and charity. As long as we are on the road towards Gods kingdom, we must
endure those who want to maintain an earthly state without penalizing the
vices. In contrast the first Romans built and expanded their state through vir-
tues. Although they did not worship the true God, they still possessed a cer-
tain amount of propriety which sufficed to found, strengthen and maintain
the body politic. 42 The distinction between the level of natural virtues and

the level of supernatural virtues is markedly clear in these words. Augustine


recognizes and affirms the possibility of at least a respectable secular state.
Likewise it is unmistakable that Augustine, in continuation and further devel-
opment of the Platonic-Stoic inheritance, places morals such as benevolence,
self-control and unity next to justice. In this sense Augustine also recognizes
the Ciceronian double social principle of justice and beneficence. Augus-
tine, however, expands this to a triple principle consisting of justice, benevo-
lence and piety :

It is due to innocence that we do not hurt anyone ; due to benevolence that we en-

courage others as much as is in our power to do so ; due to piety that we worship


God . 43

Augustine also elaborates clearly the social nature of human beings and the
universal friendship among all people. Human nature is something social ,

he wrote explicitly. 44 The social character of human nature embodies a great


good for man and grants the strength for friendship (vim amicitiae). 45 What

is particularly significant is that Augustine does not speak of the political


character of human nature, as might seem obvious based on Aristoteles, but
rather speaks of human natures social, communal character. Human fellow-

42 In ista enim conluvie morum pessimorum et veteris perditae disciplinae maxime venire ac

subvenire debuit caelestis auctoritas, quae voluntariam paupertatem, quae continentiam, benivolen-
tiam, iustitiam atque concordiam veramque pietatem persuaderet ceterasque vitae luminosas vali-
dasque virtutes non tantum propter istam vitam honestissime gerendam nec tantum propter civita-
tis terrenae concordissimam societatem verum etiam propter adipiscendam sempiternam salutem et
sempiterni cuiusdam populi caelestem divinamque rem publicam, cui nos cives adsciscit fides, spes,
caritas, ut, quam diu inde peregrinamur, feramus eos, si corrigere non valemus, qui vitiis inpuni-
tis volunt stare rem publicam, quam primi romani constituerunt auxeruntque virtutibus etsi non
habentes veram pietatem erga deum verum, quae illos etiam in aeternam ciuitatem posset salubri re-
ligione perducere, custodientes tamen quandam sui generis probitatem, quae posset terrenae civitati
constituendae, augendae conservandaeque sufficere (Epistula 138, 17 ; CCL xxxi B, p. 287 ff.).

43 Innocentia est, qua nulli nocemus ; benivolentia, qua etiam prosumus, cui possumus ; pietas,

qua colimus deum (De mendacio 19, 40 ; NBA vii/2, p. 382). Cicero emphasized innocence as

the primary element of justice. Pars pro toto for Augustine innocence stands for justice.
44 Sociale quiddam est humana natura (Augustine, De bono coniugali 1, 1 ; NBA vii/1, p.

10 ff.). 45 Ibidem.
88 martin schlag
ship reaches further than simple politics or the relation to only one polis : we

are connected to all people in friendship through our common human na-
ture.
Augustine borrows Ciceros definition of friendship. From the general Stoic
tradition he adopts the concept of a structure for the ties of friendship in lev-
els or concentric circles originating with blood relatives. Indeed, Augustine
defines friendship as the benevolent and loving agreement on human and

divine matters . 46 Benevolence, benevolentia is the decisive triggering mo-


ment of the friendship uniting human beings. 47 Indeed, God willed friendship

for man ; it is vital for mankind. 48 Friendship presupposes an invisible bond of


faith in the reciprocity of love between friends. Without reciprocity, friend-


ship would not be possible, because friendship is not one-sided, but requited,
reciprocal benevolence. Augustine utilizes this simple human experience as
a fundamental theological argument for the possibility of faith in that which
cannot be seen. If faith in invisible things were impossible, friendship would
become impossible, because reciprocal love cannot be seen. Excluding hu-
man faith from human affairs would cause havoc. 49 With this argument, he

embraces a concept dealt with in Caritas in veritate : namely, the importance


of reciprocity and gratitude as social principles. 50

Despite his emphasis on benevolence and related virtues as social principles,


Augustine remains a realist when it comes to the substantiality of crimes and
wrongdoings. Augustines main statement to the topic reads : mercy is fake

if it serves to encourage vices. Forgiveness requires an acknowledgement of


evil. He who shies away from punishing a child because he is afraid the child
will cry is not merciful. 51

46 Amicitia rectissime atque sanctissime definita est rerum humanarum et divinarum cum beni-

volentia et caritate consensio (Augustine, Contra Academicos, iii, 6, 13 ; NBA iii, 120 ; Epistula

258, 1 ; NBA xxiii, p. 884).


47 Ubi enim benivolentia, ibi amicizia (Augustinus, De sermone Domini in monte, i, 11, 31 ;

CCL xxxv, 32). 48 See Augustine, Sermo 299 D, 1 ; NBA xxxiii, p. 414 ff.

49 Si auferatur haec fides de rebus humanis, quis non attendat, quanta earum perturbatio et

quam horrenda confusio subsequatur ? Quis enim mutua caritate diligetur ab aliquo, cum sit invisi-

bilis ipsa dilectio, si quod non video, credere non debeo ? Tota itaque peribit amicitia, quia nonnisi

mutuo amore constat. quid enim eius poterit ab aliquo recipere, si nihil eius creditum fuerit exhiberi ?

Porro amicitia pereunte neque conubiorum neque cognationum et affinitatum vincula in animo ser-
vabuntur, quia et in his utique amica consensio est (De fide rerum invisibilium, 4 ; CCL xlvi, 4).

50 Encyclical Caritas in veritate, Nr. 34 ff. Gestures of friendship are made as an expression
of selfless and disinterested charity. However, if they are to continue, these gestures need to
be reciprocated, if not immediately then within a reasonably expected time. If reciprocation
does not occur, no friendship can emerge. Although one soliciting a friendship subjectively
views the soliciting of a true friendship as unconditional and without reservation, friendship
itself, when viewed objectively, is conditioned in its existence.
Friendship is conditional un-
conditionality. 51 See Augustine, Epistula 104, 15f ; CCL 31B, p. 46 ff.

love as principle of social and economic life? 89

2. 3. 4. Leo the Great


Leo the Great in some sermons appeals for donations for the poor. In these
sermons he also mentions goodness (benignitas), benevolence (benevolentia),
mercy (misericordia) and friendship (amicitia) as social principles. 52 Certainly

Leos emphasis is less an expression of common social theory, but more so


an indication of the significant decrease in the enthusiastic willingness to do-
nate, which had marked the early ecstatic Christian community. Leo, how-
ever, treats as a certainty the association of justice with mercy. To love God is
nothing other than to love justice. May the virtue of mercy be consorted with
the aspiration for justice. 53

3. Systematical Reflections on Social Charity


The historical introduction to the topic analyzed two currents of tradition
which were essential for the Christian faith and its social aspects : pre-Christian

Platonic-Stoic philosophy adopted by the Fathers of the Church and the


Bible. The historical introduction was an attempt by way of revelation and
reason to answer the questions about social charity posed in Caritas in veri-
tate and formulated at the beginning of this article.
It became evident that in the Christian tradition justice alone was not viewed
as a sufficient means to order society. A second, complementary principle is
needed. Whereas justice was analyzed in concrete detail and evolved into judi-
cial order, the second principle remained rather vague. Various terms are used
for the second principle : mercy, beneficence, benevolence, generosity, etc. As

important as the second principle is, it remains emotional and insubstantial


and is an appeal to generosity.
The remainder of the work aims to bring greater clarity to the subject by de-
lineating various opinions represented in the framework of Catholic theologi-
cal thought on the term social charity. Most of the opinions revolve around
the most pointed formulation of this principle in Pius XIs encyclical Quadrag-
esimo anno. Pius XI refers to social charity explicitly three times and implicitly
one further time. These references are always in direct relation to justice. On
the one hand it becomes evident that in Pius opinion charity has an ancillary
and mitigating effect in those cases where justice fails. On the other hand Pius
XI regards charity as the soul of social justice. 54 Not since that time has the

52 See Leo, Tractatus, vi-xi ; CCL 138, p. 27 ff.


53 Leo comments on the Beatitudes and the commandment of love in the Shema Israel :

[...] nihil est aliud diligere Deum quam amare iustitiam. Denique sicut illic dilectioni Dei proximi

cura subiungitur, ita et hic desiderio iustitiae virtus misericordiae copulatur, et dicitur : Beati mise-

ricordes [...] (Leo, Tractatus, xcv, 7 ; CCL 138A, p. 588)


54 As a reminder a few vital excerpts from the text are given ; (bold print indicates au-

thors emphasis) :
90 martin schlag
term social charity been used with such immediacy and clarity. Caritas in
veritate draws on the language of Quadragesimo anno.
Oswald von Nell-Breuning, who is considered one of the main authors of
Quadragesimo anno, writes that social charity is imbued with the power of
cleansing self-interestedness and egotism, which rouses sentiments of benev-
olence towards fellow human beings. Social charity, however, does not sub-
stantially add anything to social justice. 55 Gustav Gundlach also contributed

to the encyclicals content and writes similarly. In a commentary to Quadrag-


esimo anno Gundlach characterizes social charity as the soul of social justice.
It might seem as if relationships of human beings in society are formed sole-
ly through norms and duties of a statutory and legal nature. Therefore Pius
XI added that relationships of a personal nature and the cordial advocacy

of one human being for another may not be absent. 56 Gundlach continues

that it would be erroneous to expect societys renewal from justice alone ; the

hearts of human beings can only be united by love. Because this love in the

Popes opinion should downright pervade in social institutions and relation-


ships, he referred to it as social charity in his encyclical . Gundlach defines

social charity as the attitude of fellowship and unity, in which all human be-

ings converge as children of one Father in heaven and as those redeemed by


the Savior . Through this charity society resembles the mysterious body of

Christ. 57

88. [...] Just as the unity of human society cannot be founded on an opposition of classes, so also

the right ordering of economic life cannot be left to a free competition of forces. [...] But free competi-
tion, while justified and certainly useful provided it is kept within certain limits, clearly cannot di-
rect economic life. [...] Therefore, it is most necessary that economic life be again subjected to
and governed by a true and effective directing principle. () Loftier and nobler principles
social justice and social charity must, therefore, be sought whereby this dictatorship may
be governed firmly and fully. Hence, the institutions themselves of peoples and, particu-
larly those of all social life, ought to be penetrated with this justice, and it is most necessary
that it be truly effective, that is, establish a juridical and social order which will, as it were,
give form and shape to all economic life. Social charity, moreover, ought to be as the soul of
this order, [] 137. But in effecting all this, the law of charity, which is the bond of perfec-

tion, must always take a leading role. How completely deceived, therefore, are those rash
reformers who concern themselves with the enforcement of justice alone and this, com-
mutative justice and in their pride reject the assistance of charity ! Admittedly, no vicari-

ous charity can substitute for justice which is due as an obligation and is wrongfully denied.
Yet even supposing that everyone should finally receive all that is due him, the widest field
for charity will always remain open. For justice alone can, if faithfully observed, remove the
causes of social conflict but can never bring about union of minds and hearts .

55 Summary of A.F. Utz, Sozialethik, Teil I : Die Prinzipien der Gesellschaftslehre, Kehrle,

Heidelberg und Nauwelaerts, Lwen 19642, p. 231.


56 G. Gundlach SJ, Die Ordnung der menschlichen Gesellschaft, publ. by the Katholische
Sozialwissenschaftliche Zentralstelle Mnchengladbach, Bachem, Kln 1964, 2 volumes,
vol. i, p. 314. 57 Ibidem, p. 324.
love as principle of social and economic life? 91
Arthur F. Utz dealt extensively with the topic of social charity. He relates
social charity directly with the common good. In general he defines social
charity as the solidarity which is founded on an ethic common good 58. Utz

understands social charity as a virtue, on which basis the individual volun-


tarily and willingly takes on his functioning part in human society. According
to Utz, social charity as a virtue is initially not a virtue which is distinguish-

able from social justice, but only a section of the same, inasmuch as it refers
to the spiritual relationship from human being to human being as required by
the common good 59. The attainment of the common good requires both ap-

proaches, those of social justice and social charity. Social charity is however in
essence only a section of justice. Our fellow human beings have, for example,
a claim (and therefore a right) to a friendly countenance, to sociable, affable

behavior . We in turn have a claim and right to these manners from others.

Charity can in general be seen as the bestowal of a personal good and the de-
ferment of selfish wishes. 60

Utz nevertheless reaches the opinion that social charity is a distinct virtue,
different from social justice, due to the consideration that in reality not all hu-
man beings fulfill their social duties. In doing so, they go against social justice ;

thus is equality damaged, and others in turn can withdraw from the fulfill-
ment of their duties, which would damage the common good. It is therefore
necessary for social charity to come before social justice. Social charity is the

categorical and unconditional esteem of the common good [], which even
then makes the effort for society when the duties cannot be distributed equi-
tably or when it is prevented by the failure of members of society 61. Accord-

ingly, Utz recognizes two virtues of the common good, that is, two different
virtues which correlate to the common good : social justice and social char-

ity.
Utz clarifies the apparent contradiction into which he gets entangled here.
At the highest level of reflection about social ethics there is only one supe-
rior virtue of common good. That superior virtue he calls justice of the com-
mon good (Gemeinwohlgerechtigkeit). It comprises of both social justice and
social charity. On the level of social reality, however, two virtues are needed,
namely social justice and social charity. Social charity cannot, however, exist
or be explained without referring to social justice. 62 Utz limits the term social

charity to that which should actually be performed according to social jus-


tice, but which under existing circumstances is not performed. 63

58 A.F. Utz, Sozialethik, Teil i : Die Prinzipien der Gesellschaftslehre, cit., p. 167.

59 Ibidem, p. 194 ff. 60 Ibidem, p. 192 ff. 61 Ibidem, p. 197.


62 Ibidem, p. 231 ff.
63 As outlined by J. Messner, Das Naturrecht. Handbuch der Gesellschaftsethik, Staatsethik
und Wirtschaftsethik, Tyrolia, Innsbruck 19666, p. 454.
92 martin schlag
Utz approach to this question is not of a structural nature but of an indi-
vidual virtues ethics nature. He does not attempt to answer the question of
how a society must be structured in order to correspond to charity as a social
principle. Instead Utz is concerned with what the individual must do to ful-
fill his social duties. In Utz works, social charity certainly preserves its criti-
cal potential as a prerequisite virtue for the existing order. Social charity also
contributes to the improvement of existing social relationships ; however the

focus is on the fulfillment of already existing charitable duties, not on the im-
provement of social structures.
Johannes Messner beholds the love of neighbor as a basic duty of one hu-
man being towards a fellow human being. The highest natural social principle
is that you should love your neighbor as yourself. Justice has its deepest roots
in the love of neighbor. 64 As does Utz, Messner interprets social charity on the

one hand as a virtue and defines social charity as the steadfast willingness (ha-

bitus) of thinking and acting out of concern for the community and the good
of the community. Social charitys object and its immediate basis of obliga-
tion is thus the good of society, not the good of the individual as in the love
of neighbor 65. In todays terminology this virtue would be called solidarity.

On the other hand, Messner approaches the structural results of social char-
ity with regard to societal order. He reaches the conclusion that charity as an
objective social principle purports the existence and the promotion of small
communities according to the principle of professional and regional organi-

zation 66. In this excerpt the principle of subsidiarity is manifested.


In order to delineate between justice and charity, Messner designates char-


ity as the basic principle and justice as the ordering principle of coexistence. It
is indeed true that society is in essence a legal federation, not a charitable one.
But without mutual benevolence there would be no peaceful coexistence. Law
as an ordering principle points above and beyond itself to the same human
nature and the same human dignity. Messner continues rather academically,
The ontology of law can only be perfected in the ontology of charity . 67 In

any case a seminal approach is evident here, in the authors opinion, inasmuch
as Messner refers to human dignity as a basic principle.
Referring to Pius XII, Anton Rauscher emphasizes the relationship between
the principle of solidarity and the basic Christian norm of charity : All hu-

man beings are members of one family, which allows them to take part of
all joys, sorrows and worries of the individual members. 68 The principle of

64 Ibidem, p. 447 ff. 65 Ibidem, p. 449. 66 Ibidem, p. 451 ff.


67 Ibidem, 454 ff. See further B. Sutor, Politische Ethik. Gesamtdarstellung auf der Basis der
Christlichen Gesellschaftslehre, Schningh, Paderborn 1991, p. 110 ff.
68 A. Rauscher, Kirche in der Welt. Beitrge zur christlichen Gesellschaftsverantwortung, Ech-
ter, Wrzburg 1988, Band i, p. 273. See also Idem, Zum Verhltnis von katholischer Soziallehre
und Caritas, Bachem, Kln 1999.
love as principle of social and economic life? 93
solidarity in itself urges the corresponding organization and order of soci-

ety towards a goal, and furthermore the implementation of and adherence


to social justice . 69 Truth and justice can only effect peace when they are

joined by charity . The relationship of charity and justice is clarified ; there is


no contradiction between the two. Charity presumes the respect of the rights
of others ; charity urges human beings to open themselves up to the truth and

to practice justice. 70 Rauscher emphasizes social charity both as a principle of


social life and as a virtue.


Wilhelm Korff links charity with human dignity as a social principle in an
approach decidedly marked by structural ethics. 71 In the 19th century a para-

digm shift took place. Until then, social ethics were viewed foremost as an
ethics of rules regulating behavior. Man lived in preordained and fundamen-
tally irrevocable social structures. These structures determined the functions
and duties of the individual, who through his virtues should contribute to the
common good. The virtues which should be practiced were in turn a con-
sequence of social rank and of the specific function of the affected person.
Social duties were predominantly listed in the various spaecula (mirrors),
which were moral handbooks on the duties of emperors, princes, bishops
and later merchants. In the 19th century the opinion broke ground that social
structures could be altered by human beings, and we were therefore respon-
sible for them. The questioning course of social ethics shifted from an ethics
which mainly dealt with the duties of human beings subject to the predeter-
mined social structures to a social ethics which itself questioned the justifica-
tion of the structures. As an example Korff analyzes slavery. The Christian
commandment of love, which revolutionized the ancient value system, did
not abolish the institution of slavery, but mitigated the hard edges of the un-
derlying societal structure by inculcating it with clemency and meekness and
declaring the existing social inequality as irrelevant within itself : There is

neither Jew nor Greek, there is neither slave nor free person, there is not male
and female ; for you are all one in Christ Jesus (Gal. 3,28). Charity had the abil-

ity to revolutionize the behavioral ethic side, but not the structural ethic side.
This is explained in the fact that a power of enforcement does not belong to
charity. Charity cannot force or threaten compulsion as law can. Compulsion
or the threat of compulsion unfortunately is necessary in order to alter social
structures. Charity knows no compulsion, justice does. In the course of the
paradigm shift in social ethics, the perspective on justice also shifted from a

69 A. Rauscher, Kirche in der Welt. Beitrge zur christlichen Gesellschaftsverantwortung, Band


I, cit., p. 274. 70 Ibidem, Band ii, p. 124.
71 W. Korff, Stichwort Sozialethik, LThK3 (2000) Band 9, p. 767ff ; on the nature of so-

cial ethics also see Idem, Was ist Sozialethik ?, Mnchener Theologische Zeitschrift , 44

(1987), p. 327ff.
94 martin schlag
distribution and allocation according to existing structures to a question of
the proper foundation and the proper standard of this distribution.
Charity does not assess that which is due to human beings and which they should

be afforded from a rationale based on those rights a person asserts for herself. A per-
son asserts rights based on what she is structurally due, or based on what she can
lay claim to on the grounds of services rendered, or based on what can be expected
considering certain qualities distinguishing her from others. On the contrary, charity
assesses its stance based on what befits a human being in respect of his simply being
human. Moreover, charity is assessed in the face of the challenges and the deficits of
the human situation in order to correspond to his dignity, to his destiny to freedom,
to his calling to life always and under any circumstance. By virtue of its own im-
mediacy to the human condition of our fellow men, charity sets out from that point
where a fellow human being in the conditionality and fractured nature of his exis-
tence reveals something which is unconditional, unalienable and universally binding :

Man is an image of God, holy matter, an aim in itself. It is charity that discovers
that the human being is a person . 72

Only through the discovery chronicle of charity and the charging of hu-
man thinking with consciousness of universal human dignity does the just
power become aware of its duty to take the person as a standard and to struc-
ture laws according to human dignity. As a result of genuine effectivity of the
Christian ideals in history (Wirkungsgeschichte), law finally reaches that point

which charity has already reached : the point where a human being is consid-

ered as a person 73

In conclusion, reference should be made to the innovative sociological ap-


proach of Pierpaolo Donati. 74 Love is a semantically ambiguous concept.

Love has a different meaning depending on the relational network being spo-
ken of : filial love, parental love, sibling love, marital love, friendly affection,

social charity, etc. Today a return of love can be observed into social areas
such as economics and politics, from which the term had earlier been disas-
sociated. Modernity had limited love to the private sphere (family, friends).
The return of love, according to Donati, is caused by a newly awakened
desire for relationality and relationship in all spheres of society. Social char-
ity in economics and politics is not the same love as an emotion or passion,
but a fostering of the relationship culture. Donati divides charity as a social
principle into four domains. 1. In the domain of economics, charity reveals it-
self as solidarity to provide the necessary economic means through trust and

72 W. Korff, Stichwort Sozialethik, LThK3 (2000) Band 9, p. 772.


73 Ibidem, p. 773.
74 P. Donati, Lamore come cura dei beni relazionali, unpublished manuscript, 19.-20.11.2010 ;

Idem, Teoria relazionale della societ : I concetti di base, FrancoAngeli, Milano (20097) ; summa-

rizing S. Zamboni, Lamore come principio di vita sociale, xi Colloquio di teologia morale del
Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, Rivista di Teologia Morale , 169 (2011), p. 91 ff.

love as principle of social and economic life? 95
through loans. This solidarity happens in relationships. If, for instance, a bank
provides a loan to a cash-stricken company, the bank takes on a risk which was
entered into out of solidarity. 2. In the political domain, Donati identifies char-
ity as subsidiarity in terms of helping another person to fulfill her functions
with respect to the bounties received. The grateful recognition of the dignity
of fellow human beings also belongs in this domain. 3. In the domain of civil
society charity is expressed as brotherly love. Donati conceives this as a prin-
ciple of free affiliation on the basis of reciprocity. Thus emerge collectives in
society, whose socii foster relationships based on a culture of values. 4. And
finally in the cultural domain, charity exists in maintaining interpersonal re-
lationships.
Divided in this manner, charity permeates all societal domains. In the econ-
omy charity leads to altruistic forms of behavior ; in politics to the primacy

of the common good ; in civil society charity becomes a principle of broth-


erly reciprocity ; in the family and circle of friends to a relationship of giving.


Charitys power as a social principle lies in the fact that without establishing
relationships through personal dedication and material gifts, no social bonds
can exist, and without social bonds, a human being cannot survive. The an-
thropology which lies beneath such a model is an anthropology of relation.
A human being flourishes as a person also through the relationships in which
she is born and into which she enters consciously. Only in relation to other
human beings can the deepest aspirations of a human being be fulfilled : to

love and be loved, give and receive, trust and be trusted, recognize and be rec-
ognized, etc. One could define all of these aspects figuratively as goods, but
not as goods in an economic, instrumental sense. These are social goods,
relational goods, or affiliation goods. The foremost relational good is the
common good, which is not the greatest good for the greatest number of
persons, but that good which one can partake of without diminishing the
same. Contrary to private possessions, the common good is communicable.
One cannot swallow with the same bite, but one can eat together ; one cannot

make the same sound, but one can talk to another and take part in the same
conversation. Material goods separate one person from another ; immaterial

goods unite them through participation. Relational goods are not decreased
through use and sharing ; on the contrary, they are increased. Analogously one

cannot possess the truth for oneself. Truth is always a common good of those
that cherish it.
4. Conclusion
The Gospels are not an immediately applicable socio-economic or political
program. Christians do not have a specially patented formula which would
spare us the tedious search for what is proper. The Gospels do not contain a

political course of action to build up a specifically Christian economic and


96 martin schlag
societal order. The Sermon on the Mount does not as Bismarck said make
a state . 75 On the other hand the church may not encapsulate itself in a pi-

etistic and personal sphere, because indeed actions in the socio-economic and
political domain are relevant to salvation (which does not mean that the king-
dom of God can be confused with a future earthly realm).
All these concepts apply to the central Christian commandment of charity
as a part of the Gospels. Considered as a principle of social structure, charity
is not immediately applicable. Attempts to do just the same have failed. For
example, Maxim Gorki wrote in 1934 referring to Soviet communism, for the

first time in history, the authentic love for mankind is organized as a creative
power and aims at liberating millions of workers . 76 Considered as agape

charity is the selfless gift of what is not owed how could one organize, in-
stitutionalize or structuralize such a thing ? Of the three types of friendship

which in the writings of Thomas Aquinas approach closest to social charity 77,

the friendship out of utility and the friendship out of pleasure are recipro-
cal and predictable, like a do et des (I give that you may give) relationship.
A similar benefit is given in exchange for the benefit, which a friendly rela-
tionship brings. If the reciprocal response is omitted or expectations are not
met, the friendship expires. Such a relationship is symmetrical and predict-
able and can be built into a system as a social principle applicable to regula-
tions. Agape, however, is asymmetrical. Its dedication is unpredictable and
not bound to the calculation of self-advantage. Love is a wild power, wrote
Maritain. 78 Love does not let itself be incorporated into a regulated social

system of predictable patterns of behavior. But no one wishes to live without


agape, at the very least no one can be happy without agape. To borrow the
imagery of St. Ambrose, love is like the sun, which warms and brightens all
things.
In this respect the Compendium of the Social Doctrine of the Church refers
to charity as the highest and universal criterion of the whole of social eth-

ics . As from an inner wellspring, the principles and values of social ethics

originate and develop from charity. 79

75 W. Ockenfels, Katholische Soziallehre - Stand und Entwicklung, in L. Diversy (Publ.),


Christentum und Politik. Stand und Entwicklung der christlichen Soziallehren. Wegweiser ins dritte
Jahrtausend, Dadder, Saarbrcken-Scheidt 1990, p. 44.
76 Prawda 23. Mai 1934 cited by J. Maritain, Christlicher Humanismus.
Politische und geisti-
ge Fragen einer neuen Christenheit, Carl Pfeffer Verlag, 1950, 69. Maritain cites Hlne Iswol-
sky, Lhomme 1936 en Russie sovitique, Courier des Iles, Paris 1936.
77 Cfr. A.F. Utz, Sozialethik I, p. 226 ff.
78 J. Maritain, Christlicher Humanismus. Politische

und geistige Fragen einer neuen Christen-
heit, cit., p. 69.
79 Papal Council for Justice and Peace, Compendium of the Social Doctrine of the
Church, lev, Vatican City/Freiburg (2006), Nr. 204 ff.
love as principle of social and economic life? 97
Within the framework of social ethics understood as structural ethics, char-
ity discovers the human being as a person. The awareness of human dignity
leads to the personal principle which trusts the responsible freedom and au-
tonomy of the individual as a moral subject and which regards the person as
the beginning, the subject and the goal of all social institutions 80. The re-

spect for the dignity of every human being is not foremost a result of justice.
It is a result of Christian charity, which bestows justice not only with new
power and fortitude, but also expands its scope to all human beings, according
to the breadth and depth of Gods love. Love, when understood as the super-
natural virtue of caritas, does not simply give the impulse to respect a fellow
human being as a person, but goes beyond that measure by respecting every-
body with the attitude of the limitless love with which God loves every man
and woman as son and daughter and with which God redeemed them. It is
interesting to note, that for instance Josefmaria Escriv linked the concept of
human dignity as a social principle more to charity than to justice. He wrote,
Be convinced that justice alone is never enough to solve the great problems of man-

kind. When justice alone is done, dont be surprised if people are hurt. The dignity
of man, who is a son of God, requires much more. Charity must penetrate and ac-
company justice because it sweetens and deifies everything [] . 81

Human dignity demands more than justice, because human dignity is an in-
sight which is conveyed by charity and conveys charity. Charity affirms the
fellow human beings.
If Caritas in veritate regards charity as at the heart of the Churchs social
doctrine, one can only agree. However, charity is not an immediately appli-
cable social principle. The primary route of charity flows into the path of
the tenets of social principles, as they have been developed by the social doc-
trine since the 19th century. The principles of human dignity, of the common
good, of solidarity and of subsidiarity, in their mutual connectedness, express
how social charity can concretely and tangibly be institutionally implement-
ed in a community. But without charity, which keeps all structures and social
establishments alive, everything else would break down.

Abstract : In an introduction the paper analyzes two currents of tradition which were es-

sential for the Christian faith and its social aspects : pre-Christian Platonic-Stoic philosophy

adopted by the Fathers of the Church and the Bible. It became evident that in the Chris-
tian tradition justice alone was not viewed as a sufficient means to order society. A second,
complementary principle is needed. Various terms are used for the second principle : mercy,

beneficence, benevolence, generosity, etc. As important as the second principle is, it remains
emotional and insubstantial and is an appeal to generosity. Caritas in veritate regards char-

80 Second Vatican Council, Gaudium et Spes, Nr. 25.


81 J. Escriv, Freunde Gottes, Adamas, Kln 19792, Nr. 172.
98 martin schlag
ity as at the heart of the Churchs social doctrine. However, charity is not an immediately
applicable social principle. The primary route of charity flows into the path of the tenets
of social principles, as they have been developed by the social doctrine since the 19th century.
The principles of human dignity, of the common good, of solidarity and of subsidiarity, in
their mutual connectedness, express how social charity can concretely and tangibly be insti-
tutionally implemented in a community. But without charity, which keeps all structures and
social establishments alive, everything else would break down.
Keywords : Ambrose, Augustine, Leo the Great, Churchs social doctrine, Early Christian

Theology, Social and Economic Life.


studi
LA FILOSOFI A POLITICA DI K A NT.
CHILI ASMO FILOSOFICO
E DIR ITTO COSMOPOLITICO
Tommaso Valentini*
Sommario : 1. Introduzione. 2. Lagire politico come sittliche Aufgabe. 3. La storia come

progresso morale : chiliasmo filosofico e chiliasmo teologico. 4. Repubblicanesimo kantiano e


Stato di diritto. 5. Diritto internazionale e diritto cosmopolitico : lideale regolativo della Wel-

trepublik. 6. Sviluppi ed attualit del cosmopolitismo kantiano.

1. Introduzione

U no degli elementi pi caratteristici della riflessione politica e giuridica di


Immanuel Kant pu essere individuato nellesigenza della costituzione di
un diritto internazionale e cosmopolitico in grado di garantire lo stabilirsi ed il
consolidarsi di una pace perpetua tra gli Stati. La formazione di una societ co-
smopolitica (weltbrgerliche Gesellschaft) una delle istanze fondamentali della
filosofia politica dellautore ed allo stesso tempo uno dei principali motivi ispi-
ratori anche dei suoi scritti sulla filosofia della storia e della religione. Nel corso
della trattazione cerchiamo di approfondire gli elementi fondamentali che ad
avviso di Kant consentono listituzione di un diritto cosmopolitico e listaurarsi
stesso sul piano storico di quello che egli definisce come chiliasmo filosofico. 1

Nel nostro studio ci proponiamo quindi di porre in luce la stretta relazione istitu-
ita dal pensatore di Knigsberg tra diritto cosmopolitico e chiliasmo filosofico.
Fin da ora possiamo affermare che la costituzione di un diritto cosmopoli-
tico (Weltbrgerrecht) per Kant lo scopo finale (Endzweck) di un agire politico
moralmente ispirato e si pone come la concreta realizzazione storica di un
chiliasmo filosofico : con questultimo egli intende qualificare la speranza di

un generale rinnovamento dei rapporti giuridici tra gli Stati del mondo, con-
dizione necessaria al consolidarsi di una pace universale, stabile e duratura.

* Universit degli Studi Guglielmo Marconi, Via Plinio, 44, 00193 Roma. E-mail :

t.valentini@unimarconi.it
1 Si ricordi che chiliasmo (chlios parola greca che significa mille) sinonimo di
millenarismo. Nicola Abbagnano definisce chiliasmo o millenarismo ogni credenza

nellavvento di un radicale rinnovamento del genere umano e nellinstaurazione di uno


stato definitivo di perfezione (N. Abbagnano, Dizionario di Filosofia, terza edizione aggior-

nata e ampliata da G. Fornero, Utet, Torino 2005, p. 153).

acta philosophica i, 21, 2012 pp. 101-124


102 tommaso valentini
Kant parla esplicitamente di un chiliasmo filosofico che spera in uno stato di

pace perpetua, fondata in una lega delle nazioni come repubblica mondiale . 2

2. Lagire politico come sittliche Aufgabe


Prima di analizzare le principali opere in cui viene sviluppata lidea di un di-
ritto cosmopolitico in relazione alla speranza nella realizzazione storica di un
chiliasmo filosofico, tentiamo di porre in rilievo uno dei pi importanti pre-
supposti speculativi della riflessione politica kantiana, ovvero la concezione
dellagire politico come sittliche Aufgabe, come compito etico da realizzare
secondo i princpi dellimperativo categorico : i princpi della ragion pura nel

suo uso pratico. In particolare nello scritto dal titolo Sopra il detto comune :

Questo pu essere giusto in teoria, ma non vale per la pratica , e nella prima Appen-

dice della Pace perpetua, Kant tematizza il rapporto tra la politica, intesa come

dottrina pratica del diritto , 3 e la morale, intesa come dottrina teoretica del

diritto : 4 per il filosofo non pu esserci nessun conflitto tra i princpi dellagire

politico ed il dovere morale. In antitesi alla figura tipicamente machiavellica 5

delluomo di Stato che persegue in politica il proprio utile ed il successo per-


sonale, incurante della moralit delle sue azioni, viene posta al centro dellat-
tenzione la figura del politico morale, di un uomo di governo che adotta
i princpi della prudenza politica (Staatsklugheit) in modo da farli coesistere

con la morale : 6 il politico morale colui che sa subordinare la politica alla


morale, luomo di potere che fa guidare la sua azione di governo dal principio
formale dellimperativo categorico, dallideale del diritto. Allagire eticamente
ispirato del politico morale, vengono contrapposte le massime soggettive,
non dichiarabili pubblicamente, tipiche del machiavellico : Fac et excusa ,

Si fecisti, nega , Divide et impera .


2 I. Kant, Die Religion innerhalb der Grenzen der blossen Vernunft [prima edizione 1793 ; se-

conda edizione 1794], in Akademie-Ausgabe, Kants gesammelte Schriften, hrsg. von der Kni-
glich Preussischen Akademie der Wissenschaften, Berlin 1902 ss, vol. vi (1907), a cura di G.
Wobbermin, pp. 1-202, p. 34 ; tr. it. di A. Poggi, Introd., revisione e cura di M.M. Olivetti, La

religione entro i limiti della sola ragione, Laterza, Roma-Bari 20005, p. 34. Dora in poi faremo
riferimento allAkademie-Ausgabe con la sigla AA, seguita dal numero del volume in cifre ro-
mane e dal numero della pagina in cifre arabe.
3 I. Kant, Zum ewigen Frieden. Ein philosophischer Entwurf [prima edizione 1795 ; seconda

edizione 1796], in AA, vol. viii (1912), a cura di H. Maier, pp. 343-386, p. 370 ; tr. it. di V. Cicero,

Introd. e cura di M. Roncoroni, Pace perpetua, Rusconi, Milano 1997, p. 123. Una buona tra-
duzione del testo Zum ewigen Frieden anche quella contenuta nel volume I. Kant, Scritti di
storia, politica e diritto, a cura di F. Gonnelli, Laterza, Roma-Bari 20034, pp. 163-207.
4 I. Kant, Pace perpetua, cit., p. 123 (AA, viii, p. 370).
5 A questo proposito stato osservato che esiste un eterno dialogo tra Kant e Machia-

velli (quello dellidealismo e del realismo) (P. Hassner, Situation de la philosophie politique

chez Kant, Annales de la philosophie politique , 4, Paris 1962, p. 78).


6 I. Kant, Pace perpetua, cit., p. 127 (AA, viii, p. 372).


la filosofia politica di kant 103
Kant tuttavia consapevole che il politico morale, seguendo senza media-
zione ed equilibrio pratico lidea pura del dovere giuridico, rischi di divenire
un moralista dispotico, ovvero un uomo che impone, attraverso misure pre-
cipitose, la trasformazione dei comandi del diritto in prassi : si tratterebbe di

un uomo privo della necessaria prudenza politica (Staatsklugheit) e della sag-


gezza pratica (Staatsweisheit) nelle scelte di governo : incapace di distingue-

re tra esigenza morale e situazione data, egli manifesta essenzialmente una


riflessione insufficiente in ordine alla diversificazione dei fenomeni, ai quali
quellesigenza devessere applicata . 7 Possiamo quindi rilevare che Kant nel

delineare le caratteristiche del politico morale non manchi affatto di rea-


lismo politico, un realismo in grado di coniugare lideale formale del dovere
con la realt delle circostanze : la teoria, (ci che vero in thesi), con la prassi,

ci che concretamente realizzabile (in hypothesi) ; il politico morale si con-


figura come uomo dazione in grado di tradurre le istanze etiche ed i princpi


del diritto in prudenza politica, colui che sa realizzare un pratico equilibrio
tra il dover-essere ideale e la sua effettiva realizzabilit.
Kant consapevole del fatto che per il costituirsi di una pace perpetua e
di un diritto cosmopolitico sia necessario un preliminare accordo dellagire
politico con limperativo morale, un accordo realizzabile per mezzo di una
duttile arte della mediazione pratica e della prudenza (la prudentia, virt di
cui parlava anche tanta parte della trattatistica politica medievale 8). Il filosofo

ribadisce, quindi, con vigore che per una speranza criticamente fondata nella
costituzione pacifica di un ordine internazionale occorre che la politica si in-
chini innanzi al diritto : soltanto cos essa pu sperare di giungere, bench

lentamente, a quel grado in cui briller di durevole splendore . 9

7 D. Falcioni, Natura e Libert in Kant. Una interpretazione del progetto Per la pace perpe-
tua (1795), Presentazione di R. Brandt, Bulzoni, Roma 1995, p. 59. Nello studio viene inoltre
sottolineato che il politico morale a dover riaffermare nella propria azione il radicamen-

to morale della dottrina del diritto e a dover guardare alla politica come ad una messa in
pratica del diritto (ibidem, p. 81).

8 Ricordiamo ad esempio che per Tommaso dAquino lattivit politica viene a coincidere
con lesercizio stesso della prudentia. Per lAquinate la politica arte della prudentia avente
come fine il bene comune : Prudentia relata ad bonum commune vocatur politica (Tommaso

dAquino, Summa Theologiae, ii-ii, q. 47, a 10 ad 1). Notiamo inoltre che il significato della
parola latina prudentia nella cultura tedesca del 700 viene reso con il termine Staatsklugheit
(letteralmente intelligenza nel governo dello Stato), termine usato spesso anche da Kant.
A tal proposito cfr. N. Pirillo, Regno dei fini e dottrina della prudenza, in A. Rigobello (a
cura di), Il regno dei fini in Kant, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli 1996, pp.
29-52 ; G. Marini, Figure di uomo politico tra sapienza e prudenza. Considerazioni sulla prima ap-

pendice al progetto kantiano per la pace perpetua, in D. Venturelli (a cura di), Prospettive della
morale kantiana, Impressioni Grafiche, Acqui Terme 2001, pp. 217-233.
9 I. Kant, Pace perpetua, cit., p. 147 (AA, viii, p. 380).
104 tommaso valentini

3. La storia come progresso morale : chiliasmo filosofico

e chiliasmo teologico
Gi a partire dal cosiddetto periodo precritico le riflessioni politiche e giuri-
diche di Kant trovano delle singolari convergenze con le sue tesi in ambito di
filosofia della storia e della religione : questo emerge in particolare a proposito

delle tematiche del diritto cosmopolitico e del chiliasmo filosofico, dove le


riflessioni di tipo giuridico-istituzionale vengono inserite allinterno di unam-
pia prospettiva di filosofia della storia (Geschichtsphilosophie) e della religione
(Religionsphilosophie).
Lo scritto del 1784, dal titolo Idea di una storia universale dal punto di vista
cosmopolitico presenta una concezione della storia alla luce del senso che essa
pu rivestire per il genere umano : in questo testo Kant tenta di rintracciare

nelle vicende umane singole e collettive il filo conduttore (Leitfaden) di un di-


segno della natura : 10 si domanda se si possa parlare di un progresso morale


e civile dellumanit (Befrderung der Humanitt), e se effettivamente vi siano


un fine ed una destinazione ultima delluomo (Bestimmung des Menschen). 11 Il

filosofo si chiede se la storia possa essere interpretata come un avvicinamen-


to dellumanit verso un fine ultimo da realizzare : la storia del genere umano

viene quindi considerata come uno sviluppo continuato e costante (als eine

stetig fortgehende Entwicklung), anche se lento 12 verso la realizzazione ultima


10 I. Kant, Idee zu einer allgemeinen Geschichte in weltbrgerlicher Absicht [in Berlinische


Monatsschrift , Novembre 1784, pp. 385-411], in AA, vol. viii (1912), pp. 15-31, p. 18 ; trad. it. di

G. Solari e G. Vidari, Introd. e note di D. Faucci, Idea di una storia universale dal punto di vista
cosmopolitico, in Idem, Scritti di filosofia politica, La Nuova Italia, Firenze 1969, p. 2.
11 Si ricordi che la domanda filosofico-teologica sulla destinazione delluomo (Bestim-
mung des Menschen) ha interessato moltissimo i filosofi del 700 : nellambito culturale tede-

sco Johann Joachim Spalding dedic a questo tema un libro comparso nel 1748 proprio dal
titolo Betrachtungen ber die Bestimmug des Menschen (Considerazioni sulla destinazione/
missione delluomo). Questo volume trattava una tematica cara sia agli illuministi che ai
pietisti ed ebbe allepoca ampia diffusione : significativo ad esempio che anche J.G. Fichte

pubblic nel 1800 un libro con lo stesso titolo. Sul tema della destinazione delluomo in
Kant cfr. R. Brandt, Die Bestimmung des Menschen bei Kant, Meiner, Hamburg 2007.
12 I. Kant, Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in Idem, Scritti di fi-
losofia politica, cit., pp. 1-2 (AA, viii, p. 18). Sulla concezione kantiana della storia come tele-
ologia morale e progressivo perfezionamento giuridico e costituzionale cfr. M. Riedel,
Geschichtstheologie, Geschichtsideologie, Geschichtsphilosophie. Untersuchung zum Ursprung und
zur Systematik einer kritischen Theorie der Geschichte bei Kant, Philosophische Perspektiven ,

5 (1973), pp. 200-226 ; W.A. Galston, Kant and the Problem of History, University of Chicago

Press, Chicago 1975 ; J.-F. Lyotard, Lenthousiasme : la critique kantienne de lhistoire, Galile,

Paris 1986 ; tr. it. Di F. Mariani Zini, Lentusiasmo. La critica kantiana della storia, Guerini e

Associati, Milano 1989 ; A. Philonenko, La thorie kantienne de lhistoire, Vrin, Paris 1986 ; G.

Cunico, Da Lessing a Kant. La storia in prospettiva escatologica, Marietti, Genova 1992, in par-
ticolare pp. 133 ss. ; J.-M. Muglioni, La philosophie de lhistoire de Kant. Quest-ce que lhomme ?,

la filosofia politica di kant 105
di un ordinamento giuridico universale, tale da regolare razionalmente e pa-
cificamente i rapporti tra gli Stati. In particolare nella tesi quinta di questo
scritto che viene posto il problema di come si possa pervenire ad attuare una

societ civile (brgerliche Gesellschaft) che faccia valere universalmente il dirit-


to : 13 osserviamo che per attuare il fine supremo (hchste Absicht), la natura 14

si serva proprio di quellantagonismo e di quell insocievole socievolezza (un-

gesellige Geselligkeit) che caratterizzano luomo ed i singoli Stati prima che essi

si costituiscano in un ordinamento giuridico. In Kant, cos come successiva-


mente sar affermato anche da Johann Gottlieb Fichte, lostacolo rappresen-
tato dallinsocievolezza e dalla generale rivalit diviene il presupposto logica-
mente necessario per una nuova tensione morale, per far emergere lesigenza
di una societ civile in cui sovrano sia il diritto e non la forza.
quindi da un originario antagonismo che nascono le virt sociali, lintima
istanza di costituire per il progresso e la pace uno Stato di diritto ed una legalit
internazionale : senza la condizione, in s certo non desiderabile, della insocievo-

lezza (Ungeselligkeit), [...] tutti i talenti rimarrebbero in eterno chiusi nei loro ger-
mi in una vita pastorale arcadica di perfetta armonia []. Gli impulsi naturali che
lo spingono a ci, le fonti della insocievolezza e della generale rivalit sono causa
di molti mali, ma questi per spingono a nuova tensione di sforzi, ad un maggior
sviluppo delle disposizioni naturali, che rivelano lordine di in saggio Creato-
re . 15 Nella dialettica sociale kantiana, in questo paradosso della insocievole so-

cievolezza degli uomini (ungesellige Geselligkeit der Menschen) , 16 sono state rinve-

nute delle notevoli affinit anche con le riflessioni politiche di Thomas Hobbes 17

puf, Paris 1993 ; L. Tundo Ferente, Kant.



Utopia e senso della storia. Progresso, cosmopoli, pa-
ce, Dedalo, Bari 1998 ; G. Cunico, Il millennio del filosofo : chiliasmo e teleologia morale in Kant,

Edizioni ETS, Pisa 2001.


13 I. Kant, Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in Idem, Scritti di
filosofia politica, cit., p. 9 (AA, viii, p. 22).
14 Da notare che con il termine Natur Kant non intenda affatto la natura in generale,

qualcosa che anticipi in non-io di Fichte (F. Gonnelli, La filosofia politica di Kant, Later-

za, Roma-Bari 1996, p. 238), bens una natura che agisce in maniera razionale e teleologica
anche al di l delle singole volont e libert degli individui : questa concezione della natura

finalisticamente orientata costituisce quasi una sorta di provvidenza laica e si potrebbe


interpretare anche come unanticipazione dellastuzia della ragione di cui parla Hegel.
15 I. Kant, Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in Idem, Scritti di
filosofia politica, cit., p. 8 (AA, viii, pp. 21-22). 16 Ibidem (AA, viii, p. 20).
16 A questo proposito stato osservato che Kant mantiene per un verso in tutta la sua

costrittivit lo schema hobbesiano : lantagonismo propriamente il male, la causa inter-


media che rende necessaria lunificazione degli uomini e la coazione ; unificazione che li co-

stringe a sviluppare i loro talenti (F. Gonnelli, La filosofia politica di Kant, cit., p. 77). Pur

sottolineando gli influssi delle argomentazioni hobbesiane su Kant, viene tuttavia rilevato
che la tesi dei vantaggi naturali dellegoismo, del bene globale prodotto dal male locale,

viene trasferita da Kant in un quadro diverso da quello condiviso, in linea generale, dalla
tradizione inglese (ibidem). Per Kant il fine dellattivit di governo inoltre assai diverso da

106 tommaso valentini
e di Bernard de Mandeville. 18 Si deve tener presente per che radicalmente di-

verso il significato generale dato da Kant a tale originario e costitutivo anta-


gonismo : la natura pertanto si valsa della discordia degli uomini, e persino

di quella delle grandi societ [...], come di un mezzo (zu einem Mittel) per trar-
re dal loro inevitabile antagonismo una condizione di pace e di sicurezza . 19

Diversamente da Hobbes e Mandeville, per Kant la finalit ultima della natura


nel porre loriginaria insocievolezza degli uomini quella di dar luogo ad una
costituzione giuridica statale ed internazionale, cio ad una federazione di
popoli quale condizione cosmopolitica di pubblica sicurezza (weltbrgerlicher

Zustand der ffentlichen Staatssicherheit) . 20

Nella settima tesi dello scritto kantiano sulla filosofia della storia, anche
per gli Stati gi costituzionalmente formati al loro interno viene rilevata lesi-
genza di uscire dal loro originario stato di natura, caratterizzato da un bel-
lum omnium erga omnes, per unirsi in una federazione di popoli, in un foedus
pacificum : Kant afferma che sar la situazione sempre pi insopportabile di

disastrose e dispendiose guerre a costringere i popoli ad uscire dallo stato

eslege di barbarie per entrare in una federazione di popoli (Vlkerbund), nella


quale ogni Stato, anche il pi piccolo, possa sperare la propria sicurezza e la
tutela dei propri diritti non dalla propria forza o dalle proprie valutazioni giu-
ridiche, ma solo da questa grande federazione di popoli (foedus amphictyonum),
da una forza collettiva e dalla deliberazione secondo leggi della volont comu-
ne (nach Gesetzen des vereinigten Willens) . 21

La costituzione di una federazione di popoli per Kant la garanzia per il for-


marsi di un generale stato di pace e di sviluppo sociale ; non viene considerata

come un progetto utopico, bens come un ideale concretamente realizzabile,


seppur in tappe graduali e in un volgere lunghissimo di anni. Il tempo per
leffettiva realizzazione storica di tale universale ordinamento cosmopolitico
viene paragonato al periodo lunghissimo che dovette trascorrere per il pas-
saggio delluomo dallo stato di natura allo stato civile : per quanto chimerica

(schwrmerisch) questa idea possa apparire (e come tale fu derisa quando ne


scrissero un abate di Saint-Pierre o un Rousseau, forse perch essi la credeva-
no di realizzazione troppo vicina), certo che questa linevitabile via dusci-
ta dai mali che gli uomini si procurano a vicenda e che devono costringere gli

quello teorizzato da Hobbes : ad avviso di Kant lattivit politica non deve avere come fine

solo la conservazione dellordine e della stabilit, ma deve tendere alla costituzione di un


ordinamento internazionale e cosmopolitico in grado di salvaguardare la libert di tutti i
cittadini del mondo e di tutelarli giuridicamente.
18 Cfr. S. Semplici, Kant e Mandeville. Politica e Selbstliebe , Archivio di Filosofia , 59

(1991), pp. 65-88.


19 I. Kant, Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in Idem, Scritti di
filosofia politica, cit., p. 13 (AA, viii, p. 24). 20 Ibidem, p. 16 (AA, viii, p. 26).
21 Ibidem, p. 13 (AA, viii, p. 24).
la filosofia politica di kant 107
Stati a quella stessa decisione (per quanto difficile essa possa riuscir loro) a cui
luomo selvaggio non meno malvolentieri fu costretto : cio rinunciare alla

sua libert brutale e cercare pace e sicurezza in una costituzione legale (geset-
zmssige Verfassung) . 22 Nel progetto per listituzione storica di un diritto in-

ternazionale e cosmopolitico Kant ripone le ragioni della sua speranza sul pia-
no etico e politico (si ricordi il celebre interrogativo kantiano : che cosa posso

sperare ? 23). Egli tuttavia consapevole del lungo cammino che dovr percor-

rere lumanit per il suo perfezionamento morale e giuridico, ed per questo


che non esita a parlare di un chiliasmo filosofico, di una speranza che trova
le sue intime motivazioni solo su di un amplissimo scenario storico : come

si vede, la filosofia pu anche avere il suo millenarismo (die Philosophie knne


auch ihren Chiliasmus haben) : ma un fine millenaristico tale che alla sua attua-

zione pu giovare anche solo lidea di esso, sia pure molto lontana, e che per-
ci tuttaltro che illusorio . 24 La speranza nella realizzazione di un universa-

le ordinamento giuridico spinge lagire politico ad operare in vista dellideale


costituzione cosmopolitica, spinge ad agire collettivamente come se (als ob)
tale finalit fosse realmente raggiungibile : Kant parla a questo proposito di

indizi storici che possono dar ragione della speranza in un generale progres-
so morale e civile dellumanit : [] e per tal modo tutto si prepara per una

grande futura federazione di Stati, di cui le generazioni passate non ci hanno


dato alcun esempio. Sebbene questa federazione di Stati (Staatskrper) appaia
oggi soltanto abbozzata, comincia per a destarsi un presentimento in tutti i
membri interessati alla conservazione del tutto, e ci d a sperare che dopo
qualche crisi rivoluzionaria di trasformazione, sorga finalmente quel che il
fine supremo della natura, cio un generale ordinamento cosmopolitico (ein
allgemeiner weltbrgerlicher Zustand) . 25 Nello scritto Idee di una storia universale

dal punto di vista cosmopolitico viene in tal modo anticipato uno dei concetti
fondamentali sviluppato nella seconda parte della Critica del Giudizio e soprat-
tutto nella Metafisica dei costumi : scopo finale della creazione (Endzweck der

Schpfung) 26 luomo e ladempimento della sua missione etica e politica, ov-


vero la costituzione di una pace perpetua e di un diritto universalmente valido.


La visione teleologica della storia che consente di riflettere sulle vicende
umane come un ampio concatenarsi finalisticamente ordinato trova, a nostro

22 Ibidem, pp. 13-14 (AA, viii, p. 24).


23 Was darf ich hoffen ? (I. Kant, Kritik der reinen Vernunft, AA, vol. iii (1904), a cura di B.

Erdmann, B 833). Sulla concezione kantiana della speranza allinterno della fondazione cri-
tico-trascendentale cfr. A. Rigobello, Kant. Che cosa posso sperare ?, Studium, Roma 1983.

24 I. Kant, Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in Idem, Scritti di
filosofia politica, cit. p. 19 (AA, viii, p. 27). 25 Ibidem, p. 20 (AA, viii, p. 28).
26 I. Kant, Kritik der Urteilskraft, AA, vol. v (1913), a cura di G. Reimer, pp. 165-485, B 435 ;

trad. it. di A. Gargiulo, Intod. di P. DAngelo, Critica del Giudizio, Laterza, Roma-Bari 2006,
p. 557.
108 tommaso valentini
avviso, una compiuta formulazione nellopera kantiana del 1793 dal titolo La
religione entro i limiti della sola ragione : in tale scritto compare infatti con chia-

rezza lidea di una repubblica mondiale (Weltrepublik) come compito storico


al quale tendere e speranza politica da realizzare. Parlando del male radicale
nella natura umana, Kant analizza la drammatica presenza di tale tendenza
negativa allinterno dei rapporti internazionali, in cui le nazioni stanno le

une di fronte alle altre secondo i rapporti del rozzo stato di natura (stato di
guerra perpetua) : 27 il male radicale non pesa dunque solo sulla vita persona-

le del singolo individuo ma si diffonde nella vita sociale investendo il modo di


concepire e praticare la politica e il diritto. A causa del male radicale presente
nella natura umana (ber das radikale Bse in der menschlichen Natur il titolo
stesso della prima parte dellopera) sia la speranza politica di un chiliasmo
filosofico sia la speranza religiosa di un chiliasmo teologico vengono de-
risi dagli uomini come irrealizzabili ideali utopici : il chiliasmo filosofico (der

philosophische Chiliasm), che spera in uno stato di pace perpetua, fondato sulla
federazione di popoli come repubblica mondiale (Vlkerbund als Weltrepublik),
precisamente come il chiliasmo teologico, che fa assegnamento sul com-
pleto miglioramento morale di tutto il genere umano messo generalmente
in ridicolo come una stravaganza (als Schwrmerei) . 28 In questi passi viene de-

finita con chiarezza anche la differenza tra chiliasmo filosofico e chiliasmo


teologico : mentre il primo afferma la speranza politica di una pace perpetua

fondata su di unideale repubblica universale, il secondo si configura come


speranza religiosa nellinstaurazione terrena del regno di Dio (il Reich Gottes
della tradizione cristiana e luterana in particolare).
Possiamo rilevare delle singolari affinit tra la duplice speranza kantiana in
un rinnovamento istituzionale e religioso e la prospettiva, presentata da Ago-
stino nel De civitate Dei, di un cammino etico e spirituale dellumanit (civitas
Dei peregrina) verso una pace perpetua, preludio alla beatitudo caelestis : in

questo luogo dinsicurezza e tempi di malvagit afferma SantAgostino


non vana neanche questansia di raggiungere con un desiderio pi fervido


quella sicurezza in cui pace sommamente piena e certissima. [...] La pace il

27 I. Kant, La religione entro i limiti della sola ragione, cit., p. 34 (AA, vi, p. 34). Sulla visione
kantiana della guerra come segno della presenza di un male radicale nella storia umana
cfr. A. Philonenko, Histoire et guerre chez Kant, Y. Yovel (a cura di), Kants Practical Philo-
sophy Reconsidered. Papers presented at the Seventh Jerusalem Philosophical Encounter. December
1986, Kluwer, Dordrecht 1989, pp. 168-182 ; di particolare interesse sono anche le tesi presen-

tate da Carla De Pascale la quale entra in discussione critica con delle interpretazioni che
leggono Kant come il capostipite di una filosofia della guerra i cui pieni sviluppi sono
facilmente individuabili in Hegel : a questo proposito cfr. C. De Pascale, Guerra, dialettica,

progresso tra Kant e Hegel, G. Rametta (a cura di), Filosofia e guerra nellet dellidealismo tede-
sco, FrancoAngeli, Milano 2003, pp. 29-50.
28 I. Kant, La religione entro i limiti della sola ragione, cit., p. 35 (AA, vi, p. 34).
la filosofia politica di kant 109
fine del nostro bene. [...] La pace dello Stato lordinata concordia del coman-
dare e obbedire dei cittadini, la pace della citt celeste lunione sommamente
ordinata e concorde di essere felici di Dio e scambievolmente in Dio, la pace
delluniverso tranquillit dellordine (tranquillitas ordini) . 29 Sia in Agostino

che in Kant, seppur con diverse accentuazioni, il male radicale, interpretazio-


ne laica del peccato originale, presente nelluomo e nella storia, e spinge
lumanit ad una continua e drammatica lotta per il perfezionamento morale,
ad una tensione dinamica che si concluder solo alla fine dei tempi, in ci che
Kant definisce chiliasmo filosofico e chiliasmo teologico.
Un ulteriore elemento che emerge dalla gi citata opera di Kant sulla re-
ligione pu essere rilevato nella grande simmetria storica costituita dalle
chiese e dagli Stati : come le singole chiese storiche dovranno progressivamen-

te purificarsi ed avvicinarsi, fino a raggiungere lunit dellecclesia universalis,


cos i singoli Stati dovranno divenire repubbliche sempre pi concordi tra di
loro, per potersi alla fine unificare in una respublica universalis. Se la chiesa
visibile rappresentazione storica (historische Darstellung) della chiesa invi-
sibile e spirituale (civitas Dei caelestis nel linguaggio di Agostino), anche la
repubblica storica rappresentazione e prefigurazione della repubblica ideale,
della respublica noumenon : alla fine del lunghissimo cammino della storia uma-

na la respublica universalis avr raggiunto un ordinamento di giustizia tale da


potersi avvicinare alla ecclesia universalis, ed alla fine coincidere con essa. Per
Kant nel regno dei fini (Reich der Zwecke), in questo puro mondo intelle-

gibile, [...] regno universale dei fini in s (degli esseri razionali) a cui possiamo
appartenere come membri , 30 che i cittadini della respublica e i fedeli dellec-

29 Agostino dIppona, De civitate Dei, libro xix, 10-13 ; trad. it. e cura di D. Gentili, Introd.

di A. Pieretti, La Citt di Dio, Citt Nuova, Roma 1997, pp. 1046-1047 e 1052.
30 I. Kant, Grundlegung zur Metaphysik der Sitten, AA, vol. iv (1911), a cura di G. Reimer,
pp. 385-463, p. 433 ; tr. it. e cura di V. Mathieu, Fondazione della metafisica dei costumi, Rusconi,

Milano 1994, p. 225. Il regno dei fini pu essere interpretato anche come una delle figure
dellescatologia kantiana : in questo regno che per Kant si attuer una definitiva riuni-

ficazione dei cittadini della respublica con i membri dellecclesia. Giuliano Marini, leggendo
lopera del 1793 sulla Religione in connessione con gli scritti etico-politici di Kant, nei suoi
studi ha particolarmente messo in evidenza questi aspetti della posizione kantiana ; egli af-

ferma ad esempio : nellarchitettonica della Religione, la repubblica mondiale sta accanto


alla chiesa universale ; e questo parallelismo si estende fino al convergere delle due istituzio-

ni verso una duplice purezza dalla coazione, per la repubblica, dalla superstizione, per la
chiesa - ; quella duplice purezza, che sar propria soltanto della respublica universalis noume-

non e della ecclesia universalis noumenon. Ma non sar possibile in questa vita terrena ; e nella

vita eterna respublica ed ecclesia si riuniranno nella beatitudine del regno dei fini (G. Ma-

rini, Il diritto cosmopolitico nel progetto kantiano per la pace perpetua con particolare riferimento
al secondo articolo definitivo, in Aa. Vv., Kant politico. A duecento anni dalla pace perpetua ,

Convegno della Societ italiana di studi kantiani, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazio-
nali, Pisa-Roma 1996, pp. 22-23). La concezione kantiana del regno dei fini nel quale le
istanze morali, giuridiche e politiche delluomo troverebbero la loro unificazione e la loro
110 tommaso valentini
clesia si riuniranno come perfetta comunit etica dei figli di Dio. Alla fine del
percorso storico dellumanit non vi sar pi n Stato n chiesa : la compiuta

realizzazione morale delluomo render superflue queste istituzioni. Il chilia-


smo filosofico e teologico definiscono lescatologia kantiana, la visione della
fine di tutte le cose (lschaton) cos come appare agli occhi di Kant.
Nella concezione kantiana del regno dei fini la comunit civile coincider
con la comunit etico-religiosa, e la morale si identificher pienamente con il
diritto : in questo Reich der Zwecke si ritrover una perfetta congiunzione tra

eticit e diritto, ambiti di per s distinti e concettualmente separati. La coa-


zione esterna tipica della legge giuridica potr essere sostituita dal semplice
dovere morale : i membri del regno dei fini agiranno nel rispetto dellimpera-

tivo categorico e della dignit (Wrdigkeit) della persona, senza alcun bisogno
della costrizione esterna del diritto. A questo proposito stato osservato che
nellassoluto mondo della libert che il regno dei fini, si attua la coincidenza

del diritto, condizione della coesistenza e delle libert esterne, con la morale,
principio di libert interiore. La legge che governa il regno dei fini la legge
morale, che adempie in esso ununione di esseri assolutamente razionali, la
funzione che nella societ adempie [invece] la legge giuridica . 31

per solo alla fine dei tempi, 32 in una dimensione metastorica, che Kant

concepisce un completo rinnovamento dellumanit, in cui gli ideali dellat-

compiuta attuazione viene ampiamente trattata nel volume di A. Pirni, Il regno dei fini in
Kant : morale, religione, politica in collegamento sistematico, Il Melangolo, Genova 2000.

31 G. Fass, Storia della filosofia del diritto, Vol. ii, Let moderna, Il Mulino, Bologna 1968,
p. 409. Circa il rapporto tra filosofia del diritto e filosofia della religione in Kant stato os-
servato : il punto in cui filosofia della religione e filosofia del diritto, mediate da una pre-

cisa interpretazione della storia, coincidono nellaffermata primalit della struttura etica
delluomo, corrisponde con il nascere della repubblica morale e della repubblica giuridica.
[...] Laver trasferito in uno spazio metastorico la realizzazione di tale fine non comun-
que vanificazione delloperare umano sulla terra perch il Reich Gottes ha il suo inizio gi
nel mondo [] . (P. Quattrocchi, Comunit religiosa e societ civile nel pensiero di Kant, Le

Monnier, Firenze 1975, p. 156).


32 La speranza kantiana nel compimento del progresso morale della comunit umana
viene espressa con pthos emotivo nello scritto del 1794 dal titolo La fine di tutte le cose (Das
Ende aller Dinge in AA, viii, pp. 325-339) ; tr. it. in I. Kant, Scritti sul criticismo, a cura di G. de

Flaviis, Laterza, Roma-Bari 1991, pp. 217-228. Di particolare interesse per la comprensione
della concezione kantiana del progresso la recensione critica che nel 1785 il filosofo fece
allopera del suo discepolo Herder sulla filosofia della storia : Recensionen von J.G. Herders

Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit. Theil 1 und 2 (AA, viii, pp. 43-66) ; tr. it. in

I. Kant, Scritti di storia, politica e diritto, cit., pp. 53-75. Circa il dibattito svoltosi tra Kant ed
Herder sulla Geschichtsphilosophie cfr. H.D. Irmscher, Die geschichtsphilosophische Kontroverse
zwischen Kant und Herder, Aa. Vv., Hamann - Kant - Herder. Acta des vierten Intern. Hamann -
Kolloquiums im Herder-Institut zu Marburg/Lahn 1985, Lang, Frankfurt a.M. 1987, pp. 293-316 ;

V. Verra, Herder e la filosofia della storia, Introduzione a J.G. Herder, Idee per la filosofia della
storia dellumanit, Laterza, Roma-Bari 1992, pp. vii - lxiii.
la filosofia politica di kant 111
tivit politica e della speranza religiosa saranno unificati e trasposti insieme :

solo in questa dimensione escatologica il chiliasmo filosofico verr ad identi-


ficarsi con il chiliasmo teologico e nel regno dei fini si attuer il completo
perfezionamento morale delluomo.

4. Repubblicanesimo kantiano e Stato di diritto


Abbiamo constatato che la realizzazione della pace viene considerata da Kant
come il bene politico pi fruttuoso ed il compito etico pi alto da realizza-
re : la costituzione di questo bene devessere il fine ultimo della conviven-

za umana e lideale regolativo dei rapporti diplomatici tra i diversi Stati del
mondo. La pace perpetua dunque il chiliasmo filosofico, la finalit ideale di
unazione di governo eticamente ispirata. Kant per lontano da ogni vago
sentimentalismo pacifista e per fondare il suo discorso nella concretezza della
prassi politica descrive con dovizia di particolari le istituzioni giuridiche in-
ternazionali necessarie al conseguimento di questordine di pace mondiale.
anche per tale finalit che Kant compone lo scritto sulla Pace perpetua come
un ipotetico trattato internazionale tra gli Stati : egli ricorre allespediente,

gi utilizzato in precedenza dallAbb de Saint-Pierre, 33 di presentare le sue


idee sotto forma di veri e propri articoli di un trattato internazionale. Se i


primi sei articoli costituiscono la pars destruens del discorso kantiano e si pre-
sentano essenzialmente come una critica fatta dal filosofo alle leggi ed alle
consuetudini pi ingiuste delle monarchie assolutistiche europee, i tre artico-
li definitivi costituiscono la parte propositiva dello scritto. Questi ultimi deli-
neano sotto il profilo delle istituzioni listanza kantiana di un rinnovamento
del modello organizzativo internazionale. I tre articoli definitivi stabiliscono
tre necessit, tre graduali passaggi giuridici e costituzionali, indispensabili al
conseguimento di una legalit internazionale : nel primo articolo viene affer-

mato che la costituzione civile (brgerliche Verfassung) di ogni Stato devesse-


re repubblicana , 34 nel secondo che il diritto internazionale (das Vlkerrecht)


devessere fondato su di un federalismo di Stati liberi , 35 nel terzo che il


diritto cosmopolitico (das Weltbrgerrecht) devessere limitato alle condizioni


dellospitalit universale . 36

sul primo articolo che intendiamo ora soffermare la nostra attenzione,


poich in esso viene posta la condizione primaria ed imprescindibile per il
costituirsi della pace perpetua : per la prima volta nella tradizione pacifista

del pensiero moderno viene posta lesigenza dellomogeneit fra le costitu-


zioni politiche dei singoli Stati che intendono stipulare unalleanza di pace

33 Cfr. Abb de Saint-Pierre, Projet pour rendre la paix perptuelle en Europe (1713-1717), a
cura di S. Goyard-Fabre, Fayard, Paris 1986.
34 I. Kant, Pace perpetua, cit., p. 69 (AA, viii, p. 349).
35 Ibidem, p. 81 (AA, viii, p. 354). 36 Ibidem, p. 84 (AA, viii, p. 357).
112 tommaso valentini
(Friedensbund), omogeneit che va ricercata nellordinamento repubblicano.
Ad avviso di Kant, la costituzione di unorganizzazione internazionale che
si proponga come finalit primaria la conservazione della pace tra gli Stati
non pu non prevedere la libert, luguaglianza e la partecipazione politica
dei cittadini allinterno dei singoli Stati : solo una costituzione repubblicana

sarebbe in grado di garantire ai cittadini unadeguata partecipazione al go-


verno della cosa pubblica, una partecipazione essenziale alla conservazione
e al mantenimento della pace : in uno Stato a costituzione repubblicana, la

decisione di intraprendere o no la guerra pu avvenire soltanto sulla base


dellassenso dei cittadini ; in tale contesto, dunque, fin troppo naturale che

essi riflettano a lungo prima di iniziare un gioco cos pericoloso, appunto per-
ch spetta a loro decidere di far ricadere su se stessi tutti i disagi e i tormenti
della guerra . 37

Kant ci presenta la costituzione repubblicana come lunica che scaturisce

dalla sorgente pura dellidea di diritto (aus dem reinen Quell des Rechtsbegrif-
fs) : 38 essa viene, infatti, istituita secondo i princpi della libert (Freiheit) dei

membri di una societ (in quanto uomini) ; secondo i princpi della dipendenza

(Abhngigkeit) di tutti (in quanto sudditi) da una legislazione unica e comune ;

secondo la legge delluguaglianza (Gleichheit) di tutti (in quanto cittadini) . 39

allinterno di una forma regiminis repubblicana che la legislazione giuridica,


fondandosi sullidea del contratto originario, prevede per i cittadini pari con-
dizioni di partecipazione al governo della cosa pubblica : il potere legislativo

spetta alla volont generale del popolo e lobbedienza alle leggi dipende
dallassenso che i cittadini hanno potuto dare ad esse : la mia libert esterna

(cio, giuridica) va piuttosto definita come la facolt di obbedire unicamente


a leggi esterne alle quali ho potuto dare il mio assenso . 40 Il governo per

Kant repubblicano quando la sua prassi si configura come una pura e sempli-
ce esecuzione delle leggi, leggi create non dallarbitrio di un sovrano ma dalla
volont generale (collettiva) del popolo. Possiamo rilevare quindi una stretta
connessione tra i princpi del repubblicanesimo kantiano e la concezione di
uno Stato di diritto, di uno Stato in cui sovrana la legge e non larbitrio di

un qualsiasi altro membro del popolo . 41 A questo proposito stato osser-


vato che per Kant lo Stato altro non era che ununione di uomini sorta dal

proposito di fissare nel diritto e nella sua forza coattiva i termini permanenti

37 Ibidem, p. 73 (AA, viii, p. 351). 38 Ibidem (AA, viii, p. 351).


39 Ibidem, p. 69 (AA, viii, pp. 349-350).
40 Ibidem. Sulle caratteristiche del repubblicanesimo kantiano in confronto con le pro-
spettive del liberalismo contemporaneo si veda lo studio di A. Pinzani, Il cittadino in Kant
tra liberalismo e repubblicanesimo, Filosofia Politica , 1, xvii (2003), pp. 109-126.

41 I. Kant, Die Metaphysik der Sitten (AA, vi, pp. 203-549, p. 314 ; tr. it., note e cura di G.

Vidari, La metafisica dei costumi, Laterza, Roma-Bari 19892, p. 143.


la filosofia politica di kant 113
della loro convivenza. [...] Il fondamento dello Stato era il diritto, ma senza lo
Stato non esisteva neppure il diritto. [] Lo Stato doveva limitarsi a gestire le
relazioni esterne tra gli individui, lasciando il massimo spazio allesplicazione
di tutte quelle libert empiriche che non entrassero in contrasto col diritto . 42

Ponendo una precisa linea di demarcazione tra lambito della sfera pubblica
e lambito della sfera privata, la concezione kantiana del repubblicanesimo e
dello Stato di diritto si avvicina notevolmente alla formulazione del liberali-
smo data da Wilhelm von Humboldt. Questultimo, radicalizzando i princpi
del liberalismo kantiano stato il teorico del cosiddetto Stato minimo, ov-
vero di uno Stato che governa limitando la sua ingerenza al minimo indispen-
sabile, per lasciare ai cittadini piena libert di iniziative in ambito economico,
sociale e culturale. Gli scritti politici del giovane Humboldt sono quindi ca-
ratterizzati dalla definizione giuridica dei limiti (Grenzen) oltre i quali lo Stato
non dovrebbe spingere il proprio intervento. 43

Per Kant la creazione di una costituzione repubblicana, di un diritto interna-


zionale e di un diritto cosmopolitico sono in logica consequenzialit ed in un
graduale sviluppo cronologico : 44 si tratta di una sorta di Auf hebung storica. 45

La compiuta attuazione del diritto cosmopolitico sar raggiunta solo quan-


do tutti gli Stati avranno creato al loro interno un governo repubblicano e si
saranno accordati tra di loro secondo normative stabilite da un diritto inter-
nazionale. La realizzazione dellideale di una repubblica mondiale possibile
perci solo attraverso una lunga serie di riforme, di modifiche costituzionali
dellordinamento interno ai singoli Stati e con lintroduzione di pi adeguati

42 F. Boiardi, Storia delle dottrine politiche, Vol. ii, Rivoluzione e Restaurazione 1781-1820. Da
Condorcet a Haller, Nuova cei, Milano 1979, p. 367.
43 A tal proposito cfr. il celebre scritto di W. von Humboldt, Ideen zu einem Versuch,
die Grenzen der Wirksamkeit des Staats zu bestimmen, in Wilhelm von Humboldts Gesammelte
Schriften, Preussische Akademie der Wissenschaften, hrsg. von A. Leitzmann et alii, Behr,
Berlin 1903-1936 (rist. De Gruyter, Berlin 1967-68), vol. i, pp. 97-254 ; tr. it. di G. Moretto, Idee

per un saggio sui limiti dellattivit dello Stato, in W. von Humboldt, Scritti filosofici, a cura di
G. Moretto e F. Tessitore, Utet, Torino 2004, pp. 127-263. Cfr. anche G. Bedeschi, Humboldt :

la teoria dello Stato minimo, in Idem, Storia del pensiero liberale, Laterza, Roma-Bari 19994, pp.
121-136.
44 A questo proposito stato notato che per Kant il raggiungimento da parte degli Stati

di una situazione realmente civile per mezzo di una costituzione repubblicana la condi-
zione necessaria per luscita degli Stati dal contesto anarchico e bellicoso. Lordine interna-
zionale possibile n pi n meno di quello nazionale, ma dopo di questo (L. Bonanate,

Diritto naturale e relazione tra gli Stati, Loescher, Torino 1976, p. 28). Viene inoltre posto in
evidenza che per Kant la storia dellumanit, del suo passato e del suo futuro, si organizza

sulla base di due grandi tappe : luscita dallo stato di natura individuale con la formazione

degli Stati ; luscita successiva, dallo stato naturale internazionale con la formazione di una

federazione universale (ibidem, p. 241).


45 Si ricordi che Auf hebung un termine tipico del lessico hegeliano e significa letteral-
mente superare conservando.
114 tommaso valentini
strumenti diplomatici per i rapporti internazionali. Il primo passo verso la
creazione di uno stabile equilibrio pacifico nel mondo dato, dunque, dallin-
troduzione di una costituzione repubblicana allinterno di ogni Stato che suc-
cessivamente aderisce al grande foedus pacificum : questultimo una costitu-

zione internazionale che assicura la libert dei suoi membri (libertas sub lege),
il rispetto del diritto (Achtung des Rechtes) e la dignit stessa del cittadino.

5. Diritto internazionale e diritto cosmopolitico :

l ideale regolativo della Weltrepublik


I tre articoli definitivi della Pace perpetua presentano le condizioni necessarie
per istituire uno stato di pace. Lo stabilirsi di una costituzione repubblicana
allinterno di un singolo Stato condizione necessaria ma non sufficiente alla
realizzazione della pace perpetua : per raggiungere questultima soprattutto

necessaria la creazione di un diritto internazionale fondato su un federali-


smo di Stati liberi e di un diritto cosmopolitico. Il diritto cosmopolitico deve
garantire la possibilit di unospitalit universale : esso viene definito come il

diritto di ogni straniero a non essere trattato ostilmente quando arriva in un


territorio altrui . 46 Listanza di fondo kantiana quella della realizzazione di

una repubblica universale, in grado di assicurare una pacifica convivenza e il


rispetto del diritto da parte di tutti gli Stati della terra : questa la speranza

politica che caratterizza il chiliasmo filosofico. Kant si dimostra tuttavia con-


sapevole delle difficolt pratiche nella realizzazione di tale progetto e propone
una soluzione pi moderata, pi concretamente realizzabile nellimmediata
situazione storica e politica : si tratta della creazione di una federazione di Sta-

ti, di unalleanza garantita giuridicamente dalla comune accettazione di un


diritto internazionale. Se lideale kantiano quello della formazione di uno
Stato di popoli (Vlkerstaat) (civitas gentium) che crescerebbe sempre pi fino

ad abbracciare tutti i popoli della terra , 47 egli cosciente del fatto che que-

sto costituisce soltanto unidea regolativa, un tlos ideale intorno al quale far
convergere tutti gli sforzi dellattivit politica e diplomatica : gli Stati, per,

in base allidea che si fanno del diritto internazionale, non intendono affatto
ricorrere a questo mezzo, e rigettano in hypothesi ci che giusto in thesi. E
allora, se non si vuole perdere tutto, al posto dellidea positiva di repubblica
universale (Idee einer Weltrepublik) non resta che il surrogato negativo di una

46 I. Kant, Pace perpetua, cit., p. 91 (AA, viii, p. 358). Una riattualizzazione del cosmopoliti-
smo kantiano inteso come ospitalit universale stata anche auspicata dal filosofo francese
Jacques Derrida : cfr. J. Derrida, Cosmopolites de tous les pays, encore un effort !, Galile, Paris

1997 ; trad. it. di M. Moroncini, Cosmopoliti di tutti i paesi, ancora uno sforzo !, Cronopio, Napo-

li 1997 ; e soprattutto Idem, De lhospitalit, Calmann-Lvy, Paris 1997 ; trad. it. di I. Landolfi,

Sullospitalit, Baldini & Castoldi, Milano 2000.


47 I. Kant, Pace perpetua, cit., p. 87 (AA, viii, p. 357).
la filosofia politica di kant 115
federazione permanente e sempre pi estesa (bestehenden und sich immer au-
sbreitenden Bundes) . 48

Avvertendo tutta la difficolt dellideale compito politico da perseguire, Kant


sente la necessit di adeguare la teoria alla prassi e nella Metafisica dei costumi
parla della realizzabilit di un progressivo avvicinamento degli Stati tramite la
stipulazione di alleanze e la creazione di un permanente congresso di Stati :

un esempio storico di questultimo istituto giuridico internazionale consi-


derato da Kant la realizzazione dellassemblea degli Stati dellAja, nella prima
met del Settecento : si pu chiamare questa specie di alleanza di alcuni Stati

per conservare la pace, un permanente congresso di Stati, lassociarsi del qua-


le non precluso ad alcuno Stato vicino. Tale fu [] lassemblea degli Stati
generali, che ebbe luogo allAja nella prima met di questo secolo , assemblea

nella quale si consider lEuropa intera come un unico Stato federato . 49


Il passo decisivo che le istituzioni devono compiere per creare uno stato di
pace duratura per Kant la realizzazione di una riunione (Zusammentretung)

volontaria e in ogni tempo revocabile dei diversi Stati . 50 Solo a partire dalla

creazione di questistituzione giuridica si possono avere concrete possibilit


per lattuazione di un diritto dei popoli (Vlkerrecht), cio di un diritto inter-
nazionale in grado di far risolvere pacificamente le controversie tra gli Stati :

unicamente per mezzo di un congresso siffatto pu essere realizzata lidea


di un diritto pubblico internazionale che decida le controversie dei popoli in


modo civile, per cos dire mediante un processo, e non gi in modo barbaro
(al modo dei selvaggi), vale a dire per mezzo della guerra . 51 Lunione federa-

tiva degli Stati viene quindi posta come surrogato negativo dellideale della
Weltrepublik, un surrogato realizzabile tuttavia solo sotto la spinta dellideale,
solo presupponendo come attuabile, anche se non nellimmediato, lidea della
repubblica universale. Anche per Kant , sotto certi aspetti, valida la nota af-
fermazione di Karl Mannheim secondo la quale lutopia muove la storia : 52

48 Ibidem, pp. 87-89. Come sul piano teoretico la concezione kantiana dellidea ha un
valore soltanto regolativo cos anche dal punto di vista pratico e giuridico, essa ha una
funzione regolativa : lidea della creazione di una Weltrepublik ad ispirare lagire politico

e a guidare la stessa riflessione politica come se (als ob) la costituzione di tale repubblica
universale fosse realmente possibile ed attuabile.
49 I. Kant, Metafisica dei costumi, cit., p. 188 (AA, vi, p. 350). Linflusso delle idee politiche
kantiane sul processo di costituzione dellUnione Europea messo particolarmente in rilie-
vo nel saggio di S. Dallavalle, Kant, lordine internazionale e lintegrazione europea, Filoso-

fia Politica , 2, xx (2006), pp. 245-272.



50 Ibidem (AA, vi, p. 351).
51 Ibidem.
52 Cfr. K. Mannheim, Ideologie und Utopie, Cohen, Bonn 1929 ; trad. it. di A. Santucci, Ide-

ologia e utopia, Il Mulino, Bologna 19993. Ad avviso di Mannheim lutopia nasce nel mondo
tedesco del Cinquecento con Thomas Mnzer : nei suoi studi sullutopia anche Paul Rico-

eur ricorda che Mannheim sostiene che la prima forma della mentalit utopica avviene

nel momento in cui il chiliasmo un movimento millenaristico un le proprie forze alle


116 tommaso valentini
lutopia politica di Kant il chiliasmo filosofico, la speranza nella realizzabilit
storica di uno stato di pace perpetua tra i popoli, garantito dalla condivisione
di un diritto comune.
Il fine ultimo dellattivit politica per Kant la costituzione di unallean-
za universale di pace (Friedensbund) realizzabile attraverso una federazione di
Stati in grado di arrivare a comprendere gradualmente ed in un lungo pe-
riodo storico tutti i popoli della terra. Il filosofo tuttavia consapevole dei
possibili rischi che si possono presentare allinterno di un progetto cos ampio
come quello di una Weltrepublik, e propone la fondazione di una federazione
di popoli retta non da un potere sovrano, che potrebbe facilmente degenerare
in un dispotismo universale, bens da una associazione (confederazione)

di Stati, unione che pu essere disdetta in ogni tempo e che per conseguen-

za deve essere periodicamente rinnovata . 53 Kant non intende affatto con-


fondere lideale di una repubblica mondiale, che assicuri ai popoli pace e


prosperit, con un organismo internazionale dispotico in grado di ledere la
libert dei singoli Stati : il fine che Kant si propone invece quello di creare

una confederazione sempre pi estesa di Stati allinterno dei quali vige una
costituzione repubblicana ed un effettivo stato di diritto : si tratta quindi di una

confederazione in grado di garantire il rispetto dellordine e della legalit in-


ternazionale. con tali parole che nello scritto ber den Widerspruch viene de-
lineato lideale storico e politico kantiano : [...] i mali derivanti dalle continue

guerre, per le quali gli Stati cercano a loro volta di indebolirsi e di soggiogarsi

esigenze degli strati oppressi della societ [cit. da Ideologie und Utopie] con Thomas Mnzer
e gli Anabattisti (P. Ricoeur, Lectures on Ideology and Utopia, Columbia University Press,

New York 1986 ; tr. it. G. Grampa e C. Ferrari, Conferenze su Ideologia e Utopia, Jaca Book, Mi-

lano 1994, p. 199). Paul Ricoeur mette inoltre particolarmente in rilievo che lutopia si origi-
na dalle potenzialit creative dellimmaginazione produttiva : egli estende anche allambito

politico le potenzialit dellimmaginazione produttiva (produktive Einbildungskraft) di cui ha


parlato Kant nella Critica della ragion pura e nella Critica del Giudizio. Per Ricoeur la forza
dellimmaginazione che spinge lazione politica verso lideale utopico da realizzare : tra-

mite questa facolt che si possono ideare nuove dimensioni della realt, [...] nuovi valori,

nuovi modi di essere al mondo (P. Ricoeur, Limagination dans le discours et dans laction,

in Idem, Du texte laction. Essais dhermneutique II, Seuil, Paris 1986 ; tr. it. di G. Grampa,

Limmaginazione nel discorso e nellazione, in Dal testo allazione. Saggi di ermeneutica, Jaca Bo-
ok, Milano 1989, pp. 205-227, p. 212).
53 I. Kant, La metafisica dei costumi, cit., p. 180 (AA, vi, p. 344). Riguardo la possibile dege-
nerazione pratica dellideale repubblica universale in una sorta di dispotismo universale,
stato sottolineato che il cosmopolitismo kantiano non mira a stabilire un superstato o

una comunit cosmopolita sotto un unico sovrano, ma una federazione sulla base di un
diritto internazionale stabilito in comune, senza che gli Stati debbano sottomettersi a leggi
pubbliche e a coazione reciproca (P. Armellini, Elementi di storia del pensiero politico fede-

ralista, in Introduzione al pensiero federalista, P. Armellini (a cura di), Aracne, Roma 2003,
p. 42).
la filosofia politica di kant 117
reciprocamente, dovranno da ultimo portarli, anche loro malgrado, o a entra-
re in una costituzione cosmopolitica (weltbrgerliche Verfassung), o, siccome un
tale stato di pace universale [...], per un altro aspetto ancora pi pericoloso
per la libert, potendo originare il pi orribile dispotismo, questa necessit
dovr portarli non ad una comunit cosmopolitica sotto un unico sovrano,
ma ad una condizione giuridica di federazione sulla base di un diritto interna-
zionale stabilito in comune . 54 Sostenendo che ci che vale in teoria in virt

dei princpi della ragione deve valere anche nella pratica, almeno come ideale
regolativo al quale tendere, Kant sottolinea che questo vale anche dal punto
di vista cosmopolitico : lideale di una confederazione universale di popoli

deve essere perseguito come dovere morale, come compito politico necessa-
rio per la conservazione della pace. Attraverso la teorizzazione di un diritto
internazionale e di un diritto cosmopolitico valido erga omnes, Kant indica le
direttive da seguire affinch una siffatta repubblica universale dei popoli ven-

ga preparata e sia considerata possibile (in praxi) e tale da poter esistere . 55 La

speranza kantiana tuttavia riposta anche nella natura stessa delle cose la
quale spinge i popoli ad unirsi in vista di una maggior stabilit politica, eco-
nomica e sociale : sarebbe, dunque, lo stesso processo storico a portare verso

listituzione di una confederazione di Stati, per i vantaggi ed i benefici stessi


che questi ne trarrebbero ; a questo proposito viene riportata unincisiva affer-

mazione di Seneca proprio per sottolineare la necessaria finalit della storia


verso una feconda convivenza pacifica degli uomini : Fata volentem ducunt,

nolentem trahunt , 56 il destino guida chi acconsente e trascina chi si ribella.


stato anche messo in evidenza che nel definire concettualmente la necessit


della pace tra gli Stati, Kant recuperi e faccia proprie alcune argomentazioni
proposte nel 700 dai teorici della grande repubblica mercantile : 57 lesigen-

za di creare un ordine universale di pace non solo un nobile ideale etico da


perseguire ma si pu originare anche da motivazioni di carattere utilitaristico
ed economico. La pace feliciterebbe gli scambi commerciali tra gli Stati, con-
sentendo ad essi un reciproco arricchimento. Inoltre i commerci sarebbero
protetti e tutelati da un diritto internazionale comunemente condiviso. Nelle
argomentazioni a favore della pace Kant non esita quindi a far emergere an-

54 I. Kant, ber den Gemeinspruch : Das mag in der Theorie richtig sein, taugt aber nicht fr die

Praxis, [1793], in AA, viii, pp. 273-313, pp. 310-311 ; tr. it di G. Solari e G. Vidari, Sopra il detto co-

mune : questo pu essere giusto in teoria, ma non vale per la pratica , in Scritti di filosofia politica,

cit., p. 82. 55 Ibidem, p. 86 (AA, viii, p. 313).


56 Seneca, Epistolae morales, xviii.
57 in particolare Reinhard Brandt a rilevare la possibilit che nel trattato di Kant sulla
pace siano presenti delle affinit con alcune argomentazioni proposte da Adam Smith nel
volume del 1776 dal titolo An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations [tr.
it. : Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni] : cfr. R. Brandt, Vom Weltbrger-

recht, in O. Hffe (hrsg.), Zum ewigen Frieden, Akademie Verlag, Berlin 1995, pp. 133-148.
118 tommaso valentini
che vantaggi di carattere economico e commerciale : nel dare le ragioni (lgon

didnai) della pace, il filosofo non si appella solamente alle istanze del dovere
morale (Sollen) ma anche ad istanze e finalit di carattere pratico e materiale,
come ad esempio quelle dello sviluppo economico dei popoli. Sono quindi
anche la saggezza pratica e la prudentia politica (la phrnesis aristotelica), a
guidare le indicazioni di Kant per la formazione di una federazione di Stati in
grado di stipulare un duraturo foedus pacificum.
Un ulteriore approfondimento meritano le pagine della Pace perpetua e della
Metafisica dei costumi dedicate a quella parte del diritto pubblico definita dirit-
to cosmopolitico (jus cosmopoliticum ; Weltbrgerrecht) : questultimo viene li-

mitato (eingeschrnkt) da Kant alle condizioni stabilite per garantire unospi-


talit universale, unospitalit da parte di tutti gli Stati della terra per tutti i
cittadini del mondo. Il Weltbrgerrecht un diritto che regola i rapporti fra uno
Stato e i cittadini degli altri Stati e si configura anche come un diritto di vi-

sita (Besuchsrecht) appartenente a tutti gli uomini, che consiste nel dichiararsi
pronti a socializzare in virt del diritto al possesso comune della superficie
della terra . 58 Il diritto cosmopolitico trova le sue profonde motivazioni (la

sua legittimit) in unoriginaria comunanza del suolo che avvicinerebbe tutti


gli uomini in una sorta di possesso comune, di comune padronanza e signo-
ria (Herrschaft) umana sulla terra. 59 da tale originaria comunanza del pos-

sesso (communio) che deriva il diritto da parte di ogni uomo di poter visitare
tutti i luoghi del mondo e di poter entrare in commercio con tutti i popoli :

il diritto cosmopolitico si configura come la possibilit di tentare di entrare


in comunit con tutti, e, a questo scopo, di esplorare tutte le contrade del-


la terra . 60 Il diritto cosmopolitico comprende quindi il diritto alluniversale

ospitalit (allgemeine Hospitalitt) ed il diritto di visita (Besuchsrecht). Listanza


di fondo del cosmopolitismo kantiano quella di ununiversale e pacifica fra-
tellanza (Brderlichkeit) degli uomini, fratellanza che dovere garantire sotto
il profilo giuridico tramite lintroduzione di una vera propria costituzione co-
smopolitica (weltbrgerliche Verfassung). Il diritto di visita in qualsiasi territorio
straniero viene considerato come la possibilit di istituire rapporti amichevoli,
diplomatici e commerciali con tutti i popoli della terra, al fine di istituire con
il tempo un diritto cosmopolitico : solo questultimo in grado di assicurare

in maniera duratura linstaurazione della pace perpetua nel regnum hominis :

58 I. Kant, Pace perpetua, cit., p. 91 (AA, viii, p. 358).


59 Si ricordi che secondo il racconto della Genesi sarebbe stato Dio stesso ad aver reso gli
uomini signori e padroni della terra : [] riempite la terra e rendetela soggetta, e domi-

nate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo (Genesi I, 28). Possiamo dire che la visione

illuministica e kantiana delluomo come possessore e padrone (Eigentmer) del mondo


costituisca una secolarizzazione, una laicizzazione della concezione antropologica tipica-
mente biblica.
60 I. Kant, La metafisica dei costumi, cit., p. 190 (AA, vi, p. 353).
la filosofia politica di kant 119
in questo modo che regioni lontane hanno la possibilit di entrare in reci-

proche relazioni pacifiche, le quali possono poi venire ufficializzate legalmen-


te e portare infine il genere umano sempre pi vicino ad una costituzione
cosmopolitica . 61 Lo ius cosmopoliticum o Weltbrgerrecht viene definito come

lunione possibile di tutti i popoli in conformit di certe leggi universali che


presiedono alle loro possibili relazioni (die mgliche Vereinigung aller Vlker in
Absicht auf gewisse allgemeine Gesetze ihres mglichen Verkehrs) : 62 in esso che

Kant pone la speranza ultima nella realizzazione di un chiliasmo filosofico in


terra viventium, la speranza dellideale politico rappresentato dalla costituzio-
ne di una repubblica universale, in grado di garantire una feconda e pacifica
convivenza dei popoli.
Uno dei principali ostacoli per la realizzazione del diritto cosmopolitico vie-
ne individuato da Kant nel colonialismo. Il suo giudizio su questo fenomeno
assai severo : egli critica aspramente tutte nazioni europee che sfruttano indi-

scriminatamente i popoli e gli Stati pi deboli. Proprio a partire dai presup-


posti da cui si origina il diritto cosmopolitico (loriginario diritto al possesso
del suolo da parte di ogni uomo della terra 63), il filosofo ritiene del tutto ingiu-

stificato il colonialismo ed ogni sua possibile legittimazione. Il colonialismo


non trova nessuna giustificazione de jure e devessere moralmente condanna-
to per la sua violenza ed aggressivit. Innanzi a questo fenomeno del mondo
moderno, per Kant, non si pu restare che inorriditi : per gli Stati commer-

ciali europei le nuove terre scoperte e conquistate non appartenevano a nes-


suno, perch ai loro occhi gli indigeni non contavano nulla . 64 Lautore ricor-

da quanto avvenne nelle Indie Orientali, dove gli Europei, con il pretesto di

insediare soltanto presunti empori commerciali, introdussero truppe stranie-


re con cui oppressero gli indigeni e provocarono tra i differenti Stati di quella
regione guerre sempre pi estese, carestie, rivolte, infedelt, ecc. insomma,

61 Idem, Pace perpetua, cit., p. 93 (AA, viii, p. 358).


62 Idem, La metafisica dei costumi, cit., p. 189 (AA, vi, p. 352).
63 Lidea di un originario e comune possesso del suolo pu essere considerata anche il
presupposto speculativo di unetica della responsabilit collettiva : la terra patrimonio di

tutti gli uomini e perci questi ne sono i diretti responsabili. Nellattuale contesto filosofico,
anche a partire dal presupposto di questidea secondo la quale luomo devessere padrone
e custode responsabile della terra, Hans Jonas ha parlato della necessit di unetica della
responsabilit (Verantwortungsethik) e Kar-Otto Apel di macroetica universale : quelle di

Jonas e Apel rappresentano proposte di unetica per unet in cui gli enormi sviluppi della
tecnologia mettono a serio rischio il futuro del pianeta e delluomo stesso. Cfr. H. Jonas,
Das Prinzip Verantwortung. Versuch einer Ethik fr die technologische Zivilisation, Suhrkamp,
Frankfurt a.M. 1979 ; tr. it. di P. Rinaudo, Il principio responsabilit. Unetica per la civilt tecno-

logica, Einaudi, Torino 1990 ; K.-O. Apel, Das Problem einer universalistischen Makroethik der

Mitverantwortung, Deutsche Zeitschrift fr Philosophie , 41 (1993), pp. 201-215.


64 I. Kant, Pace perpetua, cit., p. 93 (AA, viii, pp. 358).


120 tommaso valentini
la litania di tutti i mali che affliggono lumanit . 65 In Kant lideale cosmopo-

litico viene connesso a quello di una giustizia universale, in base alla quale la

violazione del diritto commessa in un luogo della terra viene avvertita in tutti
i luoghi : 66 la costituzione di un diritto cosmopolitico legittima quindi anche

un organismo internazionale, al di sopra ed indipendente dagli interessi dei


singoli Stati (un organismo super partes) che vigili attentamente contro ogni
ingiustizia e sopraffazione.

6. Sviluppi ed attualit del cosmopolitismo kantiano


La riflessione politica di Kant si situa nellambito della tradizione del pacifismo
moderno : come gi Emeric Cruc nel Nouveau Cyne, 67 il duca di Sully, lAb-

b de Saint-Pierre, William Penn, Jean-Jacques Rousseau e Jeremy Bentham,


anche il filosofo di Knigsberg propone una generale ridefinizione dellordine
internazionale inteso a raggiungere ed assicurare il mantenimento della pace.
NellEuropa moderna soprattutto il definitivo tramonto del concetto unita-
rio di Res Publica Christiana a determinare lesigenza di una nuova concezione
degli equilibri politici, una nuova concezione dei rapporti tra gli Stati, non pi
basata sulluniversalismo cristiano bens sullesigenza strategica ed economi-
ca della pace. Kant certamente una delle voci pi autorevoli che, nellEu-
ropa di fine Settecento, avverte listanza di dover dare una nuova fondazione
critica allideale della costituzione di pacifici rapporti internazionali garantiti
dal comune rispetto del diritto. Possiamo rilevare che un elemento nuovo ed
originale della posizione kantiana sia costituito proprio dalla teorizzazione di
un Weltbrgerrecht, di un diritto cosmopolitico idealmente comprendente tutti
gli Stati della terra : ci costituisce un significativo ampliamento di orizzonti e

di prospettive rispetto ai precedenti progetti politici per la pace tra i popoli. 68

65 Ibidem (AA, viii, pp. 358-359). 66 Ibidem, p. 97 (AA, viii, pp. 365).
67 Cfr. E. Cruc, Il Nuovo Cinea, [1623], a cura di A. Lazzarino Del Grosso, Guida, Napoli
1979 ; unampia ricostruzione storiografica della definizione politico-giuridica dellutopia

pacifista del Seicento viene effettuata nel volume di F. Russo, Alle origini della Societ delle
Nazioni. Pacificazione ed arbitrato nella cultura europea del Seicento, Studium, Roma 2000. Tra i
maggiori autori della modernit che hanno scritto un progetto filosofico e politico per lin-
staurazione di un pacifico ordine internazionale sono da ricordare : Abb de Saint-Pierre,

Projet pour rendre la paix perptuelle en Europe, cit. ; W. Penn, An Essay towards the Present and

Future of Europe, [1693], ristampa anastatica della prima edizione a cura di P. van den Dun-
gen, Georg Olms Verlag, Hildesheim 1983 ; tr. it. a cura di F. Voltaggio, in Filosofi per la pace,

cit., pp. 11- 35 ; J.-J. Rousseau, crits sur labb de Saint-Pierre, [1758-1759] in Oeuvres Compltes,

ed. critica a cura di B. Gagnebin e M. Raymond, Gallimard, Paris 1959 ; J. Bentham, A Plan

for an Universal and Perpetual Peace, [1786-1789], in The Works of Jeremy Bentham, a cura di J.
Bowring, W. Tait, Edinburgh 1838-1842 : trad. it. a cura di F. Voltaggio, in Filosofi per la pace,

cit., pp. 183-202.


67 Gi lo stesso J.G. Fichte, nella sua recensione del 1796 allo scritto Zum ewigen Frieden,
evidenziava lalto valore speculativo delle grandi, sublimi idee in esso presenti , e lorigi-

la filosofia politica di kant 121
Con la formulazione dellesigenza di un diritto cosmopolitico, in grado di le-
gittimare giuridicamente anche i rapporti tra gli Stati e i singoli cittadini del
mondo, Kant fonda inoltre una nuova branca del diritto, un nuovo ambito di
studi giuridici.
I testi kantiani che parlano del diritto cosmopolitico e dellesigenza di creare
istituzioni giuridiche che garantiscano la pace trovarono vasta eco tra filosofi
e giuristi di fine 700. Un testo che documenta lampia diffusione delle idee
politiche di Kant 69 pu essere considerato anche il volume sul diritto naturale

pubblicato da Johann Gottlieb Fichte nel 1796. Con argomentazioni analoghe


a quelle di Kant, Fichte parla della necessit dellistituzione di una confedera-
zione di Stati per la promozione della pace e di un diritto cosmopolitico in ba-
se al quale ogni cittadino [..] legittimato a recarsi in tutti i luoghi della terra

dove il suo incarico lo chiama . 70 Come Kant, anche Fichte auspica la costitu-

zione di una confederazione degli Stati di tutto il mondo il cui fine supremo
dovessere la conservazione della pace : Quando questa confederazione di

Stati si allargher ulteriormente, fino ad abbracciare tutta la terra, allora si


avr la pace perpetua, lunico rapporto legittimo tra gli Stati (Wie dieser Bund
sich weiter verbreitet, und allmhlig die ganze Erde umfasst, tritt der ewige Friede ein :

das einzige rechtmssige Verhltniss der Staaten) . 71

Le istanze kantiane di una pace perpetua e di un diritto cosmopolitico, este-


so a tutti i cittadini della terra, hanno trovato dei notevoli sviluppi anche in
numerosi filosofi e giuristi del Novecento ; 72 ad esse si ispirano inoltre gli at-

nalit stessa della concezione kantiana del diritto internazionale e cosmopolitico, ovvero
lunione degli Stati in uno Stato di popoli in cui le loro controversie vengono risolte da

leggi positive (Rezension Zum ewigen Frieden, in Fichtes Werke [1834-1846], hrsg. von I.H.

Fichte, W. de Gruyter & Co., Berlin 1971, vol. viii, pp. 427-436 ; tr. it. a cura di B. Widmar, in

Appendice a Per la pace perpetua. Progetto filosofico di Emanuele Kant, Gheroni, Torino 1946,

p. 125).
69 A tal proposito cfr. F. Oncina Coves, La pace kantiana come palinsesto : la prima ricezione

dellopuscolo Zum ewigen Frieden , in G. Rametta (a cura di), Filosofia e guerra nellet dellide-

alismo tedesco, cit., pp. 65-91.


70 J.G. Fichte, Grundlage des Naturrechts nach Principien der Wissenschaftslehre, [1796], in
Fichtes Werke, cit., vol. iii, p. 382 ; tr. it., Introd. e cura di L. Fonnesu, Fondamento del diritto

naturale secondo i princpi della dottrina della scienza, Laterza, Roma-Bari 1994, p. 333. Sulla
concezione del diritto cosmopolitico in Fichte cfr. C. De Pascale, Das Vlkerrecht (Zweiter
Anhang), in J.-C. Merle (hrsg.), Johann Gottlieb Fichte. Grundlage des Naturrechts, Akademie
Verlag, Berlin 2001, pp. 197-210.
71 Ibidem, in Fichtes Werke, cit, vol. iii, p. 382 ; tr. it., p. 333.

72 A tal proposito si veda J. Habermas, Kants Idee des ewigen Friedens - aus dem historischen
Abstand von 200 Jahren, Kritische Justiz , 28 (1995), pp. 293-319 ; R. Merkel - R. Wittman

(hrsg.), Zum ewigen Frieden : Grundlagen, Aktualitt und Aussichter einer Idee von Immanuel Kant,

Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1996 ; O. Hffe, Kants Cosmopolitan Theory of Law and Peace,

Cambridge University Press, Cambridge 2006


. Si richiamano allideale cosmopolitico kan-
tiano anche questi recenti volumi : G. Wallace Brown, Grounding Cosmopolitanism : From

122 tommaso valentini
tuali movimenti pacifisti. Dal punto di vista pi strettamente politico e giuri-
dico, alcuni significativi aspetti del cosmopolitismo kantiano si possono rin-
tracciare nelle formulazioni del liberalismo che si sono avute nel Novecento.
in particolare nella teorizzazione del diritto internazionale di Hans Kelsen
e nella formulazione di un diritto dei popoli da parte di John Rawls che
possiamo rinvenire le tracce delleredit del pensiero kantiano. Se in Kelsen,
teorico della dottrina pura del diritto, i temi del pacifismo giuridico kantiano
trovano un loro pieno sviluppo allinterno della sua teorizzazione del diritto
internazionale, 73 soprattutto in Rawls che si pu parlare di un effettivo ri-

pensamento del federalismo kantiano e del diritto cosmopolitico : sulla base

di una teoria della giustizia come equit, questultimo giunge a teorizzare


una societ dei popoli garantita giuridicamente da un diritto internazionale
ed, in ultima analisi, cosmopolitico.
Fin dallIntroduzione al volume dal titolo The Law of Peoples, Rawls richia-
ma esplicitamente il suo debito nei confronti della posizione politica kantia-
na : lidea base di seguire la direzione tracciata da Kant nella Pace perpetua

(1795) con la sua nozione di foedus pacificum. Interpreto questa idea nel senso
che dobbiamo prendere le mosse dallidea, basata sul contratto sociale, della
concezione politica liberale di un regime a democrazia costituzionale, per poi
estenderla introducendo unulteriore posizione originaria di secondo livello,
in cui i rappresentanti di popoli liberali stipulano un accordo con altri popoli
liberali . 74 Rawls, seguendo nelle linee essenziali la formulazione del liberali-

Kant to the Idea of a Cosmopolitan Constitution, Edinburgh University Press, Edinburgh 2009 ;

S. Van Hooft, Cosmopolitanism : A Philosophy for Global Ethics, Acumen Publishing Ltd,

Durham 2009 ; D. Held, Cosmopolitanism : Ideals and Realities, Polity Press, Cambridge 2010 ;

G. Wallace Brown - D. Held, The Cosmopolitanism Reader, Polity Press, Cambridge 2010
[sul cosmopolitismo kantiano il volume contiene i seguenti saggi : Garret Wallace Brown

- David Held (I. Kant and Contemporary Cosmopolitanism), Martha C. Nussbaum (Kant and
Cosmopolitanism), Garrett Wallace Brown (Kants Cosmopolitanism), Onora ONeill (A Kan-
tian Approach to Transnational Justice)].
73 Cfr. H. Kelsen, Das Problem der Souveranitt und die Theorie des Vlkerrechts. Beitrag zu
einer reinen Rechtslehre, Mohr, Tbingen 1920 ; tr. it. di A. Carrino, Il problema della sovranit

e la teoria del diritto internazionale, Giuffr, Milano 1989 ; Idem, Peace through Law, The Uni-

versity of North Carolina Press, Chapel Hill 1944 ; tr. it. di L. Cimurro, La pace attraverso il

diritto, Giappichelli, Torino 1990.


74 J. Rawls, The Law of Peoples with The Idea of Public Reason Revisited, Harvard Colle-
ge, Cambridge Mass. 1999 ; tr. it. di G. Ferranti e P. Palminiello, Premessa di S. Maffettone,

Il diritto dei popoli, Edizioni di Comunit, Torino 2001, p. 12. Cfr. anche lopera fondamen-
tale di John Rawls del 1971 che stata al centro del dibattito politico americano degli ultimi
decenni : A Theory of Justice, The Belknap Press of Harvard University, Cambridge 1971 ; tr.

it. di U. Santini, a cura di S. Maffettone, Una teoria della giustizia, Feltrinelli, Milano 1986.
Sullinfluenza del pensiero etico-politico kantiano nella formulazione del liberalismo di
Rawls cfr. il saggio stesso di J. Rawls, Kantian constructivism in moral theory, Journal of Phi-

losophy , 77 (1980), pp. 515-572 ; O. Hffe, Is RawlsTheory of Justice really Kantian ?, Ratio ,

la filosofia politica di kant 123
smo kantiano, auspica un sempre pi esteso accordo politico tra i popoli, cio
la creazione di un effettivo diritto dei popoli che garantisca il rispetto delle
fondamentali libert dei cittadini di tutto il mondo : ciascuno di questi accor-

di va inteso come ipotetico e non storico, e i partecipanti sono popoli eguali


situati simmetricamente nella posizione originaria sotto un appropriato velo
dignoranza. Di qui lequit dellaccordo fra i popoli. Tutto questo in sinto-
nia con lidea di Kant che un regime costituzionale deve stabilire un diritto dei
popoli efficace allo scopo di realizzare in modo completo la libert dei suoi
cittadini . 75

Richiamandosi alla posizione kantiana secondo la quale ci sarebbe un gra-


duale sviluppo storico dalla costituzione repubblicana dello Stato ad un fede-
ralismo di Stati liberi e ad un diritto cosmopolitico, anche il filosofo americano
prospetta un graduale ampliamento del diritto a tutti i popoli della terra, che
consenta la conservazione di un pacifico equilibrio internazionale, condizio-
ne indispensabile per lo sviluppo economico, civile e sociale. Particolarmente
significative sono le parole con le quali Rawls conclude il saggio sul diritto dei
popoli, ricollegandosi esplicitamente allistanza etica kantiana della costitu-
zione di una Weltrepublik e di un diritto internazionale : in questa monografia

sul diritto dei popoli ho cercato di estendere queste idee con il fine di stabilire
le linee guida di politica estera per una societ liberale inserita in una societ
dei popoli ragionevolmente giusta. Se una societ dei popoli ragionevolmente
giusta i cui membri subordinano il potere di cui dispongono al raggiungimen-
to di scopi ragionevoli non si dimostrasse possibile, e gli esseri umani si rive-
lassero per lo pi amorali, se non incurabilmente cinici ed egoisti, saremmo
forse costretti a chiederci, con Kant, che valore mai abbia per gli esseri umani
vivere su questa terra . 76

Possiamo notare che per Rawls, come per Kant, lagire politico si configura
come un compito etico, una sittliche Aufgabe nei confronti dellumanit, che
spinge la riflessione teorica stessa a pensare e proporre le condizioni giuridi-
che di un diritto dei popoli (Vlkerrecht nel linguaggio kantiano), il quale as-
sicuri il mantenimento della pace e un ordine politico internazionale rispet-
toso della libert e della dignit dei singoli cittadini. Anche nei testi di Rawls
possiamo scorgere in nuce la presenza dellideale regolativo di un chiliasmo
filosofico, ovvero la speranza nella costituzione di un ordine giuridico cosmo-
politico e di una pace duratura tra i popoli. Al filosofo americano potrebbero,

26 (1984), pp. 103-124 ; S. Veca, Kant e il paradigma della giustizia, in G.M. Chiodi, G. Marini,

R. Gatti (a cura di), La filosofia politica di Kant, FrancoAngeli, Milano 2001, pp. 143-152 ; G.

Fiaschi, Da Rawls a Kant : saccheggiare a ritroso, in Aa. Vv., La filosofia politica di Kant, op. cit.,

pp. 173-182 ; F. Pizzoli, Il pensiero politico di John Rawls e le sue ascendenze kantiane, Filosofia

Politica , 2, xviii (2004), pp. 199-228.


75 J. Rawls, Il diritto dei popoli, cit., p. 12. 76 Ibidem, p. 171.


124 tommaso valentini
dunque, essere attribuite le stesse parole di Kant secondo le quali lidea di un

diritto cosmopolitico non pu passare per unesagerazione fantastica : essa il

complemento necessario del codice non scritto che, comprendendo il diritto


statuale e il diritto internazionale, deve divenire diritto pubblico generale e
attuare cos la pace perpetua ; solo a questa condizione possiamo coltivare la

speranza di avvicinarci costantemente . 77

Abstract : This paper deals with Kants view of a philosophical chiliasmus, by which it

is to be understood the political hope of a perpetual peace between the worlds states. In his
philosophical and political writings, Kant shows how this peace can be achieved through dip-
lomatic means, trying to define the original concept of a cosmopolitical right (Weltbrger-
recht). This paper aims at highlighting the modernity of Kants political perspective, which
has been renewed and developed in the twentieth century by many philosophers and jurists as
Hans Kelsen and John Rawls.
Keywords : cosmopolitical right, Immanuel Kant, John Rawls, philosophy of history, philo-

sophical chiliasmus, political philosophy.

77 I. Kant, Pace perpetua, cit., p. 97 (AA, viii, p. 360). Il diritto cosmopolitico teorizzato da
Kant pu essere interpretato come unutopia realistica (laccostamento dei due termini
ossimorici tipica di Rawls), unutopia che pu divenire ideale regolativo del pensiero giu-
ridico e dellagire politico.
note e commenti
CA N A GOOD CITIZEN BE A GOOD RULER ?

A N A NSW ER FROM A R ISTOTLES POLITICS


Elena Ir r er a*
Summary : 1. Introduction. 2. The Citizen and His Distinctive Excellence. 3. Two Competing

Reconstructions. 4. Is the Ideal City made by good men ? 5. A Final Defence of the Coexistence

Thesis.

1. Introduction

I t is widely believed that the issues of individual goodness and participation


in political life are so deeply intertwined in Aristotles philosophy that no
clear boundary can be discerned between the nature of man and his role in
the political community. 1 This would seem to find a forceful confirmation in

the first Book of the Politics, where he defines man as a political animal . 2

Nevertheless, to speak of the good citizen might not be equivalent to speaking


of the good man. Evidence of this can be found in the third Book of the Poli-
tics, where Aristotle draws a significant distinction between the two notions.
Unlike the good citizen (ho spoudaios polites), whose excellence consists in an
unquestioning allegiance to the prescriptions issued by the rulers (even when
such prescriptions fail to achieve the common good of the polis), the good
man (ho agathos aner) distinguishes himself as an individual in possession of
practical wisdom (phronesis), i.e. an intellectual excellence employed by ethi-
cally virtuous people in their deliberative activity. Such an excellence, as Aris-
totle claims at Politics iii, 4.1277 a15-16, is also the marking trait of the authen-

* Universit degli Studi di Bologna, Facolt di Lettere e Filosofia, Via Zamboni 38, 40126
Bologna. E-mail : irrera@hotmail.com.

1 See for instance D.J. Allan, Individual and State in the Ethics and Politics, Entretiens

sur lAntiquit Classique , xi (1965), pp. 55-85, p. 61. As he claims, the good citizen and his

relation to that of the good man should not be examined by making abstraction from any
qualities of the human soul that are not of social-nature. Cfr. G. Bien, Die Grundlegung der
Politischen Philosophie bei Aristoteles, Verlag Karl Alber, Freiburg/Mnchen 1973, p. 72, where
he suggests that, in Aristotles lexicon, the adjectives human, political juridical are
interchangeable.
2 Pol. I, 2.1253 a2-3 ; cfr. Pol. iii, 6.1278 b19 ; NE ix, 9.1169 b18. Quotations of the Greek text

will follow Rossedition of the Politics (W.D. Ross, Aristotelis Politica, E Typographeo Clar-
endoniano, Oxonii 1957) and F. Susemihl O. Apelt (Aristotelis Ethica Nicomachea, rec. F.
Susemihl, ed. tertia curavit O. Apelt, Teubner, Lipsiae 19123).

acta philosophica i, 21, 2012 pp. 127-148


128 elena irrera
tically good ruler (ho spoudaios archon). If, on the one hand, this suggests the
possibility that each and every good ruler, qua practically wise, is also a good
man, it also implies, on the other, a stark differentiation between the excel-
lence of the good ruler and that of the good citizen, whose commitment in
political activity does not demand a display of practical wisdom on his part.
We might wonder, then, why Aristotle appears so eager to establish a distinc-
tion between the characteristic excellences of the good citizen and the good
ruler. In this paper I shall contend that such a difference represents the starting
point of an argument which leads to the following conclusion : there are cases

in which even simple citizens, although not involved in concrete ruling ac-
tivity, are potentially good rulers. This attempt will lead me to devote special
attention to one of the conceptual frameworks within which the Aristotelian
distinction between good man/ruler and good citizen is illustrated : the ideal

polis. I will argue that the picture of the ideal city offers a strategic perspective
in the light of which the idea of someone possessing the qualities of a good
citizen and at the same time the characteristic excellence of the good ruler
does not appear unreasonable. My contention is that, in the course of Aristo-
tles argument, the purely conceptual distinction between good ruler/man and
good citizen introduced in Book III of the Politics gradually leaves room for the
possibility of an actual coexistence of the two excellences in a single person.
Within the ideal city, such a coexistence will be the rule, not the exception.

2. The Citizen and His Distinctive Excellence


The distinction between the excellence of the good ruler and that of the good
citizen is made by Aristotle in chapter iv of Book III of the Politics, in the
course of an inquiry into the polis and its structural features. As the philoso-
pher in fact explains in the opening lines of Book iii, the city like any other
whole made up of parts is something composite, being made of a multitude
of citizens, and the strategy best suited to promote a correct understanding
of its nature and distinctive functioning is to undertake a preliminary analysis
of its discrete parts : the citizens themselves. 3 This is why, within the present

framework of discussion, a careful treatment of the issue of citizenship takes


on a special urgency.

3 On this point see P.L. Phillips Simpson, The Politics of Aristotle. Translated with Intro-
duction, Analysis and Notes, University of North Carolina Press, Chapel Hill 1997, p. 75. As
Simpson rightly observes, the argumentative strategy followed by Aristotle in Book III of
the Politics is a concrete instantiation of a methodological principle stated in generic terms
in Pol. I, 1.1252 a17-21. On this principle, for a correct inquiry into a subject it is necessary to
divide a compound into its uncompounded elements (for these are the smallest parts of the
whole). Cfr. P.L. Phillips Simpson, A Philosophical Commentary on The Politics of Aristotle,
University of North Carolina Press, Chapel Hill 1998, p. 133.
can a good citizen be a good ruler? 129
There are many possible ways of accounting a man as citizen, not all of
which are equally relevant to Aristotles philosophical purposes. In the effort
to pin down what seems to be an extremely elusive quarry, Aristotle proceeds
by a process of elimination. 4 The first candidates to be ruled out are the so-

called honorary or made citizens, i.e. those who have the name but not the
distinctive functions of citizens ; 5 these are disqualified on the ground that

the mere name is an unnecessary criterion for citizenship. Then, Aristotle dis-
misses those criteria that appear necessary but not sufficient. 6 Just to give two

examples, citizenship is determined neither by residence in a given place 7 nor

by entitlements concerning private law, e.g. rights to sue and be sued. 8

As a result of this process of elimination, Aristotle is finally able to lay down


a preliminary definition of citizenship, which focuses on concrete activity
within the political community. In his words, a citizen is someone who actu-
ally shares in judgment and rule, that is, one who shares in deciding how the
city is to be run or governed. 9 Even the definition given above, however, has a

number of weak points. First, some offices are differentiated by time, so that
it is not permitted at all for the same person to hold them more than once or
without any interval 10 (Pol. III, 1.1275 a23-25). Second, if office is confined to of-

ficial position alone, that would have the absurd result of denying citizenship
to people committed to other tasks of high political relevance, for instance
those who speak in the assembly. It would be unreasonable, then, to deny a
political role to those who have the most control, simply because there are
times in which they do not actually exert a public role and/or because they do
not hold official positions.
This is why Aristotle prefers to consider as citizen anyone in the city who
is simply entitled to share in these functions. His being a citizen does not rest
on actual participation, but on mere possibility of participation in public of-
fices. In Aristotles own words,
[W]hoever is entitled to participate in an office involving deliberation or decision is,

we can now say, a citizen in this city . 11

4 See ibidem, p. 134. For a detailed account of the process of elimination see also F.D.
Miller Jr., Nature, Justice and Rights in Aristotles Politics, Clarendon Press, Oxford 1995, pp.
143-148. 5 Pol. iii, 1.1275 a5-6.
6 See P.L. Phillips Simpson, A Philosophical Commentary on The Politics of Aristotle, cit.,
p. 134. 7 Pol. iii, 1.1275 a7-8. 8 Pol. iii, 1.1275 a8-11.
9 Pol. iii, 1.1275a22-23 : polites dhaplos oudeni ton allon horizetai mallon he toi metechein

kriseos kai arches .



10 Pol. iii, 1.1275 a23-25.
11 Pol. iii, 1.1275 b18-20 : ho gar exousia koinonein arch]s bouleutikes kai kritikes . I follow

Lords translation (C. Lord, Aristotle. The Politics, Translated with an Introduction, Notes
and Glossary, The University of Chicago Press, Chicago and London 1984, from which all
the passages of the Politics cited in this paper are taken, unless otherwise specified. The is-
sue as to whether the definition above should be retained as the definitive one has caused
130 elena irrera
The account above, just like the previous one, implies that citizenship does
not rely on a supposed passive abidance by the laws in force in the political
community (an attitude which is also shared by those who do not enjoy the
status of citizens, like aliens and slaves). In both cases, citizenship presupposes
the capacity (and, as we might hypothesize, even the propensity) of individu-
als to cooperate towards the well-being of their city through some kind of
participation in offices and deliberative activity. 12 Their contribution, how-

ever, does not include unrestrained freedom of agency, but is rather confined
to compliance with the prescriptions in force in their constitution. Provided
that the nature of citizenship is determined by entitlement to participation in
office, and offices are distributed on the basis of the distinctive values cham-

a wide debate among scholars. Aristotles focus on the entitlement (exousia) of citizens to
political participation, for instance, has led Miller Jr to believe that this concept takes the
burden of Pol. iii, 1 is that of defining the citizens as holders of distinctive political rights (see
also F.D. Miller Jr., Nature, Justice and Rights in Aristotles Politics, cit., p. 144). Unlike Miller,
Irwin, Schofield and Susemihl-Hicks doubt that this is Aristotles precise aim (T.H Irwin,
The Good of Political Activity, in G. Patzig (ed.), Aristoteles Politik : Akten des xi. Symposium

Aristotelicum, Vandenhoeck & Ruprect, Gttingen 1990, pp. 73-98 : 82. M. Schofield, Sharing

in the Constitution, Review of Metaphysics , 49 (1996), pp. 831-858, pp. 840-842. F. Susemihl

- R.D. Hicks (eds.), The Politics of Aristotle : A Revised Text, With Introduction, Analysis and

Commentary, Macmillan and Co., London and New York 1894, pp. 359-360). For a reconstruc-
tion of the debate see P.L. Phillips Simpson, A Philosophical Commentary on The Politics of
Aristotle, cit., pp. 135-136, footnote 7). Simpson, who tends to adhere to the views of Miller Jr
(views to which I subscribe myself ), explains that Irwin and Schofield suppose that the pre-

cise definition is the one given earlier (1275 a22-23), namely that the citizen is someone who
(actually) shares in judgment and rule or office and not someone who is entitled so to share
without actually now sharing. But this view is contrary to what Aristotle actually says at the
end of this chapter, as well as to what he says later at 3.5.1277 b34-35. It also entails that some-
one eligible for office but not now in office is not actually or fully a citizen. This means that
citizens who alternate in ruling and being ruled are not really citizens when they are being
ruled... (P.L. Phillips Simpson, A Philosophical Commentary on The Politics of Aristotle, cit.,

pp. 135-136, footnote 7). Further suggestions are supplied by Berti and Moss, who claim
that indefinite offices, such as juridical functions or membership in the assembly, grant
the right of citizenship, but only those offices held for a limited period constitute political
participation in its proper sense (E. Berti, La Nozione di Societ Politica in Aristotele, in M.
Migliori (ed.), Il Dibattito Etico e Politico in Grecia tra il v e il iv Secolo, La Citt del Sole, Napo-
li 2000, pp. 511-528, p. 522. C. Moss, Citoyens actifs et citoyens passifs dans les cits grecques :

une approche thorique du problme, Revue des tudes Anciennes , 81 (1979), pp. 241-249.

12 As Newman points out in his commentary to Pol. iii, 1.1275 b18-20, the meaning of
political participation and the extent to which it can be practiced by citizens is not en-
tirely clear. In particular, he exhibits considerable perplexity over Pol. vi, 4.1318 b21ff., where
Aristotle considers the case of people who, living under some specific types of tyranny or
oligarchy, were regarded as citizens simply in virtue of their entitlement to elect magistra-
cies, without being allowed exercise deliberative authority (W.L. Newman, The Politics of
Aristotle. With an Introduction, Two Prefatory Essays and Notes Critical and Explanatory, iv vol-
umes, Cambridge University Press, Cambridge 2010 [first ed. 1902]. Vol. iii, p. 140).
can a good citizen be a good ruler? 131
pioned by each polis, the excellence of a citizen will derive its specific content
from the principles according to which offices are distributed in the constitu-
tion of his city. This point is first introduced at Pol. iii, 1.1275 a38-b5, where Ar-
istotle explains that, as is evident to inspection
regimes differ from one another in kind, and [that] some are prior and some poste-

rior ; for those that are errant and deviant must necessarily be posterior to those that

are without error [...] Hence 13 the citizen must necessarily differ in the case of each

sort of regime . 14

The thrust of Aristotles talk of citizenship becomes clearer in section four of


Book iii, where he shifts the focus of attention from the notion of citizen
to that of good citizen. In virtue of such a shift, the reader is invited to look
at the citizen as a member of a partnership whose specific goal is its own
well-functioning. Each citizen is involved in the promotion of such a goal, be-
ing required to perform a distinctive function and actively cooperate towards
the safety of the community. In this respect, as Aristotle points out at Pol. iii,
4.1276 b21-29, we might find a noteworthy similarity between a citizen and
a sailor. We say that, just as a sailor is a member of a community (eis tis ton
koinonon), i.e. the ships company, with its various members and different du-
ties, so too is a citizen. Provided that sailors differ from one another in virtue
of the different capacities (ten dynamin) in which they act (one is a rower, an-
other a pilot, another a look-out man ; and others again will have other names

just according to their capacities), it is clear that the most accurate definition
of the excellence of each sailor will be peculiar (idios) to each, but it will also
become evident that there must be some common account that fits them all,
insofar as safety in navigation (he soteria tes nautilias) is the work of (ergon) all
of them, and the object at which each must aim. Aristotle tells us that what is
true of sailors is also true of citizens, for
Although citizens are dissimilar, 15 preservation of the partnership is their task, and

the regime is [this] partnership . 16

Given that the nature of citizenship is defined by relation to a mans member-


ship in a given political community and to the peculiar task performed by him

13 That is, as regimes differ. This concept is well stressed by Barkers translation (E.
Barker (ed.), Aristotle. Politics. Translated with an Introduction, notes and Appendixes, Oxford
University Press, Oxford 1948 [first published 1946].
14 hoste kai ton politen heteron anagkaion einai on kathhekasten politeian . Lords transla-

tion conveys the idea that each constitution has the power to affect the nature of citizen-
ship. Such a concept is not enough stressed in an alternative (and, in my opinion, inap-
propriate) rendering of the passage, which is offered by Barker : the citizen under each

different kind of constitution must also necessarily be different .

15 That is, dissimilar in the capacity in which they act.


16 anomoion onton, he soteria tes koinonias ergon esti, koinonia destin he politeia .

132 elena irrera
within it, it becomes evident that the distinctive virtue of a citizen rests on his
supposed ability to comply to the goals of the constitution and to perform his
assigned role in it in the best possible way. This is why, as we read at Pol. iii,
4.1276 b30-31,
[] the excellence of the citizen must be an excellence relative to the constitution

(dio ten areten anagkaion einai tou politou pros ten politeian). If, then, there are indeed
several forms of constitutions, it is clear that it is not possible for the virtue of the
excellent citizen to be single, or complete virtue (delon hos ouk endechetai tou spoudaiou
politou mian areten einai, ten teleian) . 17

The message Aristotle is trying to convey here is that different constitutions


require different types of good citizen ; 18 this seems to presuppose that each

constitution provides the criterion of civic excellence and, all the same, the
end towards which each citizen ought to work. Furthermore, we may observe
that his view of excellent citizenship has no special relationships with the ethi-
cal qualities of the individual. Citizens will be deemed good only in relation
to the capacity to perform their specific role in the polis and so contribute to
its general well-functioning. Notwithstanding the diversity of roles covered
by citizens in a given community, what gives them their shared status (which
is also what promotes cohesion among them) is mainly the contribution of
each to an agreed goal : safety in the working of their partnership (Pol. iii,

4.1276 b28-30).

3. Two Competing Reconstructions


We may now ask in what respect the typical excellence of the good citizen
differs from that of the good man. The first comparison between the two
excellences is made at Pol. iii, 4.1276 b30-38, from which we learn that it is
manifestly possible to be a good citizen without possessing the excellence that
constitutes a good man. After claiming that, due to the wide variety of consti-
tutions, the virtue of the excellent citizen cannot be single or absolute, Aristo-
tle explains that, by contrast,
the good (agathos) man is a man so called in virtue of a single absolute excel-

lence . 19

17 My own translation. Lord translates politeia as regime and pros ten politeian as with
a view to the regime.
18 On this point see R.G. Mulgan, Aristotles Political Theory, Clarendon Press, Oxford
1987 (first published 1977), p. 57 ; cfr. A.W.H. Adkins, The Connection between Aristotles Ethics

and Politics, in D. Keyt - F.D. Miller Jr. (Eds.), A Companion to Aristotles Politics, Blackwell,
Oxford 1991, pp. 75-93, p. 88. Adkins points out that Aristotle does not emphasize the point,

but since some kinds of constitution are bad, being a good citizen under some constitu-
tions might require one to be a bad man . See also R. Kraut, Aristotle, Oxford University

Press, Oxford 2002, p. 363. 19 Pol. iii, 4.1276 b33-34.


can a good citizen be a good ruler? 133

The nature of such an excellence is revealed only in Pol. iii, 4.1277 a14-16,
where we read that the good ruler, being at the same time a good man, is
good in virtue of his phronesis. Aristotle does not take pains to offer an accu-
rate illustration of phronesis in the Politics, and its nature and contribution to-
wards the achievement of the human good are simply relegated to the back-
ground. Despite the absence of an in-depth treatment of phronesis here, he
holds practical wisdom to play a crucial role in concrete political life, and
the views he carefully outlines in the Nicomachean Ethics are still at work in
the Politics. In NE vi, 5.1140 b4-6 phronesis is described as a true disposition ac-
companied by rational prescription, relating to action in the sphere of what
is good and bad for human beings. The core of phronesis is a correct form of
reasoning (orthos logos), which, by dealing with things that can be otherwise
(NE vi, 2.1139 a13 ; cfr. 4.1139 b30-31), just like actions and situations, has the

power to change human life in the direction of happiness. Aristotle expends a


great deal of effort to prove that phronesis has seminal applications in the field
of politics. As the intellectual excellence responsible for virtuous deliberative
activity (See NE vi, 5.1140 a25-28 ; cfr. NE vi, 8.1141 b8-10), phronesis acquires a

profound political significance if we consider that, through exercise of such


a virtue, good politicians make choices directed to the well-being of both the
whole community and each of its members. By providing well-ordered pat-
terns of virtuous communities and constitutions, the distinctive phronesis of
virtuous rulers supplies the citizens with a sound guide towards the achieve-
ment of virtuous goals.
Having said that phronesis is the defining excellence of both the good man
and the good ruler, it is now necessary to consider in which way it contributes
to clarifying Aristotles intentions in the first stage of the argument outlined
in Book iii of the Politics. Before embarking on this task, it might be useful to
offer a schematic subdivision of section iv in four different steps :

Step 1 : Laying down the question : is the virtue of the good citizen the same as that

of the good man ? (1276 b16-18).


Step 2 : Finding an answer. Generally speaking, it is not the same virtue. The virtue

of the good citizen is relative to the nature of the constitution, whereas that of the
good man depends on an absolute virtue (1276 b18-34).
Step 3 : Answering the same question by reference to the ideal city. It seems that, even

within such a framework, the virtue of the good citizen cannot be the same as the
virtue of the good man (1276 b34-b12).
Step 4 : Only in one case the good citizen is also a good man : when the good citizen

can also be a good ruler (1277 a12-b32)


On the basis of such a preliminary subdivision, let us try to reconstruct the
sense of the Aristotelian argument. A first possibility is that the real focus of
134 elena irrera
his investigation is the distinction between good citizen and good man. The
claim might then be, for instance, that the difference between the good citizen
and the good ruler is not in need of theoretical demonstration, being adopted
by Aristotle simply as a starting point towards a justification of the view that,
unlike the good man, the good citizen cannot be phronimos. So conceived, a
possible reconstruction of the argument would be the following :

P(1) The characteristic excellence of the good ruler is the same as the excellence
possessed by the good man (as implied by Pol. iii, 4.1277a14-15 ; cf. Pol. III, 4.1277 a21).

P(2) Citizens, however good, cannot rule, especially because they do not possess the
same virtue as the one proper to excellent governors (which is implied by Pol. iii,
4.1277 a20-25, where it is explained that the ruler and the ruled have different sorts of
excellence).
1,2 : (3) The characteristic virtue of the good citizen is not the same as that of the

good man (see Pol. iii, 4.1277 a22-23).


The above-sketched reconstruction holds by itself a substantial degree of
plausibility, especially if we consider that, as emerges in steps 1,2 and 3 of our
initial scheme, Aristotle insists on the idea that the good citizen cannot be
identical to the good man, and not to the good ruler. Despite this, I believe
that the argument, so re-phrased, fails to account for the remainder of Aris-
totles discussion in section 4. In the first place, it would not justify the fact
that the notion of good man is gradually left aside throughout the argu-
ment and gets overshadowed by a treatment of the relationships between the
good citizen and the good ruler and their respective intellectual faculties. In
fact, unlike the good ruler, whose peculiar excellence is phronesis, the good
citizen committed to political activity confines himself to displaying a right
opinion (doxa alethes) about the things deliberated on by the ruler/rulers (Pol.
iii, 4.1277 b25-30). Within such a context, phronesis is not mentioned with ref-
erence to the good man, but rather to the good ruler. Secondly (and perhaps
most crucially), the latter reconstruction would not explain the reason why, in
the remainder of his discussion, Aristotle sets out to illustrate the difference
between good man/ruler and good citizen within the framework of the ideal
polis. Had he really intended to focus on the conceptual distinction between
the excellence of good man and that of the good citizen, he could probably
have better brought such a distinction to light within the context of any exist-
ing, imperfect city, where the good citizen does not necessarily have to com-
ply with the dictates of a virtuous constitution.
In the ideal polis, by contrast, both good rulers and good citizens operate in
view of a shared end : ethical excellence. Even if we assume (as some Aristote-

lian scholars do ; see section below) that not every good citizen is a good man

in the ideal polis (this is the assumption that I am attempting to undermine


in this paper), his lack of practical wisdom would not be as evident as in the
can a good citizen be a good ruler? 135
case of a citizen of a imperfect polis, whose participation in political life is sim-
ply addressed to the safety of the constitution and not specifically designed
to the promotion of ethical excellence. This is why I believe that Aristotle is
not inclined to highlight differences between the good citizen and the good
man, but he is rather keen to offer theoretical support to the distinction be-
tween the good citizen and the good ruler. An alternative (and possibly more
pertinent, on my view) reconstruction of Aristotles argument might run as
follows :

P(1) The excellence of the good citizen is not the same as the excellence of the good
man (Pol. iii, 4.1276 b18-35).
P(2) The excellence of the good man is the same as the excellence of the good ruler
(as implied by Pol. iii, 4.1277 a14-15 ; cf. Pol. iii, 4.1277 a21 20).

P(3) The excellence of the good ruler is phronesis (Pol. iii, 4.1277 a15).
1,2 : (4) The excellence of the good citizen differs from that of the good ruler.

4,3 : (5) A good citizen, qua citizen, is not taken to be phronimos. 21


According to the reconstruction sketched above, Aristotles reference to the


excellence of the good man would simply be instrumental to a clarification
of the difference between the good citizen and the good ruler. In the sections
that follow I shall argue that such a reconstruction not only is consistent with,
but also explains the reason why Aristotle adopts the ideal polis as a suitable
framework for discussion. I will propose that Aristotles discussion of good
citizenship and virtuous governance in the ideal city gradually discloses a cru-
cial characteristic of the perfect community : its capacity to guide each and ev-

ery citizen towards complete ethical goodness and, all the same, the ability to
make each of them a potentially good ruler. My contention is that, although
a member of the perfect city, qua citizen, does not need to exhibit full ethical
excellence, he might still possess all the requisites for wise ruling activity. The
semantic distinction between excellences, in other words, would not imply
the impossibility of a good citizen being endowed with both excellences, even
though these cannot be displayed at the same time and in the same contexts.
It is my understanding that ethical goodness is not specifically determined by
exercise of ruling activity, but, vice versa, it proves to be the legitimate ground
of ruling activity.

20 It ought to be noted that the identity between the two excellences is introduced here
as a hypothesis, but its validity is never questioned in the Politics.
21 As I hope to make clear in the rest of this paper, the conclusion expressed at point
(5) does not of necessity imply the absolute impossibility of a citizen possessing phronesis.
Rather, it might simply mean that, as a citizen, one does not need to have phronesisand that,
in case he has it, he does not have to employ it at the level of mere citizenship.
136 elena irrera
4. Is the Ideal City made by good men ?

In Pol. iii, 4.1276 b35ff. Aristotle proposes to analyse the difference between the
excellence of the good citizen and that of the good man within the framework
of the ideal polis. As implied in Pol. iii, 4.1276 b35-37, the ideal city constitutes
only one of the eligible frames of discussion in the light of which the distinction
at issue may emerge, and Aristotle does not appear keen to explain whether
each frame is of equal value to the others. Yet, we might reasonably wonder
whether the perfect city is capable of throwing a specially powerful light on the
distinction at issue. Different answers might be offered to the questions above,
depending on the view one has about the nature of Aristotles ideal city. One
possibility is that the perfect city is seen as a form of community entirely made
by good citizens who, although lacking the characteristic excellence of the
good man, are nevertheless well-inclined to contribute to the maintenance of
ethical virtue (i.e. the central value endorsed by the constitution). On this pos-
sibility, it might be hypothesized that the ideal polis, although not representing
the only eligible framework for discussion, is chosen by Aristotle simply to
enforce his supposed belief that no good citizen, qua citizen, can possess the
characteristic excellence of the good man. I shall call that view the incompat-
ibility thesis (IT), because it expresses the impossibility of a good city (even
the ideal one) being entirely composed of good men. According to this thesis,
not every citizen of the ideal polis is a good man and a potentially good ruler.
A different view is one which presents the perfect polis as one in which each
and every citizen possesses excellence in a complete sense, being therefore
a good man and also a potentially good ruler. This is the view to which I
subscribe and in support of which I shall offer evidence below. I call this the
coexistence thesis (CT), since it argues for the possibility of a coexistence
between the excellences of the good citizen and of the good man/ruler in one
and the same individual.
Against the CT, supporters of the IT might object that, at least in the first
stage of his discussion of the ideal polis, Aristotle seems firmly intent on ex-
cluding the possibility of a community made of good citizens being at the
same time good men. He claims at Pol. iii, 4.1276 b37-1277 a1,
[i]f it is impossible 22 for a city to consist entirely of excellent persons, yet if each

22 A textual problem can be detected in Pol. iii, 1276b38. Bernays alters the adynaton (im-
possible) and gives dynaton (possible) ( J. Bernays, Aristoteles Politik. Erstes, zweites und
drittes Buch mit erklrenden Zustzen ins Deutsch bertragung, Hertz, Berlin 1872). However,
as Rackham suggests, even in that case, the general sense of the sentence would remain
unaltered. Assuming the possibility of a perfect state, not all its members would be good
men ; rather, they all might be spoudai`oi citizens (H. Rackham, Aristotle, Politics. Transla-

tion, Harvard University Press, Cambridge (Massachusetts) 1977 [first published 1932], ad-
ditional note to 1276 b38, p. 275).
can a good citizen be a good ruler? 137
should perform his own work well, and this [means] out of virtue, there would still
not be a single virtue of the citizen and the good man, since it is impossible for all the
citizens to be similar .

Understandably, many scholars and commentators have read the passage


above as incontrovertible evidence that not even within the frame of the ideal
polis will we find an identity between the excellences. One such commentator
is Develin, who in his article The Good Man and the Good Citizen in Aristotles
Politics 23 sets out to show that the excellence of the ruler and the excellence

of the ruled do not coincide, not even within the framework of the ideal po-
lis, 24 whose well-being mainly depends on a well balanced diversification of

functions. 25 As Develin claims, Aristotle believes that a man qua ruler will

not be able to display the same range of skills as a man qua common citizen,
i.e. qua ruled. On his view, the excellence of the good man and that of the good
member of a polis coincide in a perfectly virtuous city exclusively in the case of the
ruler ; if that is so, then Aristotle would have to maintain that, aside from the

ruler, no member of a political community can be a good man.


In like manner, Kraut maintains that, on the account of good man and good
citizen provided in Book III of the Politics, not even in the ideal city will an in-
dividual qua citizen be provided with the set of competences required for the
correct performance of a virtuous ruling activity. 26 Viewed in this light, the

framework of the ideal city would encourage us to believe that even in a case
of absolute ethical and administrational perfection, the roles held respectively
by simple citizens and rulers remain separate. Both Develin and Kraut read
the passage as proof that the excellence of the good citizen cannot be identi-
cal with that of the good man, firstly because it is impossible for a polis to be
entirely composed of good men, secondly because the roles and capacities of
citizens and rulers that result are differentiated. In particular, Develin defends
his view by calling upon Aristotles idea that the rulers and the ruled should
learn different things. As Aristotle explains in Pol. III, 4.1277a16-21, some people
believe that the training of the ruler should differ from that of the good citi-
zen. With regard to this view, he quotes Euripides, who says :

No subtleties for me, but what is needed for the city ,


which, as Aristotle himself claims, suggests the need for special training for
the ruler. Of course, a similar stance appears reasonable if we consider that,

23 R. Develin, The Good Man and the Good Citizen in Aristotles Politics, Phronesis , 18

(1973), pp. 71-79. 24 Ibidem, p. 72. 25 Ibidem, p. 78.


26 See R. Kraut, Aristotle, cit., pp. 364-368. However, as he makes clear at p. 186, this view
does not hold good in Books vii-viii of the Politics, where the ideal city seems to be de-
scribed as one in which all citizens possess a correct understanding of well-being and have
the equipment needed to live an ethically virtuous life. Cfr. also pp. 359-360.
138 elena irrera
with a view to a sound ruling activity, a would-be ruler should primarily focus
on and learn how to cope with the specific aims and methods of good gover-
nance.
On the other hand, it is important to notice that being a good ruler does not
and cannot exclude being a good citizen for Aristotle. To begin with, in Pol.
iii, 4.1277 b10 ff. he claims that, in order to become a good ruler, one should
first learn how to be a good citizen. There is in fact a form of rule of the
sort which is exercised over persons who are similar in birth and in freedom
to rulers. This sort of command is called political rule and this is what the
ruler must learn by being ruled and obeying, just as in the military sphere one
learns to be a commander of cavalry by serving under other commanders.
Most crucially, as he concludes :

[H]ence this too has been rightly said that it is not possible to rule well without

having been ruled . 27

One might suppose that, by mentioning the view that citizens should also
be able to rule, Aristotle is simply implying that citizens should not learn the
work of all kinds of ruled persons, 28 and not that the training they receive

should make them potentially good rulers. I prefer to adopt a stronger read-
ing, and suggest that the passage above highlights an important connection
between the two excellences under examination, offering significant support
for the CT : a ruler will never be good unless he has first become a good citi-

zen. This is the point I wish to defend in the remainder of this paper. First,
let me deal with the potential objection that, even admitting that my view is
correct and that this is sufficient to show that each and every good ruler must
possess the characteristic excellence of the good citizen, it is nevertheless not
enough to argue that a good citizen of the ideal polisshould necessarily pos-
sess the characteristic excellence of the good man. In response to that objec-
tion, we might once again make reference to Pol. iii, 13.1283 b42-1284 a2, where
it is asserted that, in the ideal city, citizens should also be able to rule :

A citizen in the common sense is one who shares in ruling and being ruled ; but he

differs in accordance with each regime. In the case of the best regime, he is one who
is capable of and intentionally chooses being ruled and ruling 29 with a view to the life in

accordance with virtue . 30

A similar suggestion had first been presented in the form of a generally held

27 Pol. iii, 4.1277 b10 11-13 : dio legetai kai touto kalos, hos ouk estin eu arxai me archthenta .

28 Such a view is held for instance by Newman. See W.L. Newman, o.c., p. 164.
29 My emphasis. A similar point was already made by Plato in Laws I, 643e.
30 polites de koinei men ho metechon tou archein kai archesthai esti, kathhekasten de politeian

heteros, pros de ten aristen ho dynamenos kai proairoumenos archesthai kai archein pros ton bion
ton katareten .
can a good citizen be a good ruler? 139
view at Pol. iii, 4.1277a25-27, in which Aristotle was outlining competing views
bearing on the excellence of the good ruler and that of the good citizen :

[At the same time,] the capacity to rule and be ruled is praised, and the virtue of a

citizen of reputation is held to be 31 the capacity to rule and be ruled finely .


The passage at Pol. iii, 13.1283b42-1284a2, cited above, shows that the opinion
at issue is neither rejected nor accepted with any reservations, but fully en-
dorsed by Aristotle. Further support for this stance is offered in the last sec-
tion of Book iii, where the philosopher returns to the former speeches (en
de tois protois logois ; Pol. iii, 18.1288 a37) and once again says that the virtue of

man and citizen is necessarily the same in the best city. 32 It is evident that, by

former speeches Aristotle is not referring to section 13, which is too close to
the conclusion, but to the very outset of the discussion on the excellence of
the good citizen and that of the good man, i.e. to sections 4-6. 33

On my reading, all the passages I have just mentioned confirm that the im-
possibility of a simultaneous exercise of the two excellences does not hinder
the logical possibility of a coexistence of both excellences in one and the same
individual. Just as citizens, although equipped with the right of citizenship,
do not continuously take part in political activity, the citizens of the ideal po-
lis might not engage in ruling activity and still retain the phronesis proper to
the good man/ruler. The idea of a perfect city whose members, besides be-
ing good citizens, are also good men and therefore potentially good rulers is
not dismissed after the end of Book III, but seems to be sustained in Books
vii-viii of the Politics, where such a city is portrayed as a community in which
each and every member would be enabled to lead an authentically virtuous
life, rather than merely professing an unquestioning allegiance to the virtuous
prescriptions issued by wise rulers. 34

Aristotles best state, as sketched out in the later books of the Politics, seeks
to attain a very ambitious goal : that of guaranteeing the most desirable way

of life for each citizen, 35 rather than ensuring happiness to a restricted num-

31 As Lord points out in his edition of the Politics (p. 254, footnote 16), the text is some-
what uncertain. Lord reads dokei mou with Bernays and Newman instead of dokei pou ( the

virtue of a citizen is surely held ) with Jackson and Dreizehnter.


32 Pol. iii, 18.1288 a 38-39 : ten auten anagkaion andros areten einai kai politou, tes poleos tes

aristes .

33 This point is well made by Thurot, in M. Thurot, La Morale et la Politique dAristote,


F. Didot, pre et fils, Paris 1823, p. 108. Cfr. F. Susemihl - R.D. Hicks (eds.), The Politics of
Aristotle, cit., p. 368.
34 The issue is discussed by R. Kraut, Aristotle, cit., pp. 359-361.
35 This ideal is explicitly stated in the opening lines of Book vii, where Aristotle, by set-
ting out to establish the nature of the best city, stresses the necessity of offering a prelimi-
nary investigation of the best kind of life. Given that the best state is that which can realize
the greatest happiness, the first question to pose for a sound investigation of the nature of
140 elena irrera
ber of them (Pol. vii, 9.1329 a24-25). As indicated at Pol. vii, 1.1323 b20-24, the
amount of happiness which falls to the lot of each individual man is equal
to the amount of his goodness and wisdom and also to that of the good and
wise actions performed by him. On this premise, if the citizens of the ideal
city were not endowed with the characteristic virtue of the good man/ruler,
they would be denied the opportunity to live a happy life in a properly Aris-
totelian sense.
The characteristic virtue of the members of the ideal city, then, will not
depend (either primarily or exclusively) on the quality of the constitution. As
we read in Pol. vii 9.1328 b37-39, a state run by an ideal constitution has for its
members men who are just in absolute terms (dikaious andras haplos), and not
in relation to a particular standard. 36 It is true that, in the passage above, the

main focus of his interest is not a distinction between man/ruler and citizen,
but an opposition between virtuous men and people devoted to manual work
or commercial activities. What he means to stress, after all, is the idea that
citizens should never live a vulgar or a merchants way of life (oute banauson
bion outagoraion), as this sort of life is ignoble and contrary to virtue. Never-
theless, the account Aristotle provides here may give us some inkling of the
quality which the good member of the ideal polis no matter whether he is a
ruler or one of the ruled should never lack and which other individuals can
afford to miss : the set of virtues which qualifies a given individual as a good

man. Conceived in absolute terms, virtue cannot rely on simple loyal citizen-
ship, and obedience of citizens to the law, when not backed up by possession
of authentic moral goodness, can hardly have a claim to the character of ab-
soluteness and be acceptable as the mark of complete goodness.

5. A Final Defence of the Coexistence Thesis


What has been proposed so far certainly endorses the view that the ideal city
is not simply made of citizens obedient to the laws in force, but of individuals
who are able and willing to achieve ethical perfection. It is important to note,
however, that the evidence brought forward so far is not sufficient to establish
the validity of this view. To begin, it might be questioned whether the con-
ception of the ideal state emerging from Book iii is the same as that sketched
in Books vii-viii. As Kraut, for instance, suggests, 37 it is not necessary to be-

lieve that each book of the Politics is expressing the same views about the
ideal state. Different books might be handling the problem of the ideal city by

the best state is concerned with the kind of life which proves capable of assuring the most
perfect happiness.
36 See E. Barker, Aristotle. Politics, cit., p. 353, footnote 3 : i.e. the particular standard of

an oligarchy, or a democracy, which has its own-and lower-conception of justice .

37 See R. Kraut, Aristotle, cit., pp. 359-361.


can a good citizen be a good ruler? 141
adopting different points of view, and each might explore a different aspect of
the issue. Kraut himself believes that the third Book faces the problem of the
ideal city from the perspective of existing constitutions and of the highest de-
gree of perfection these can achieve compatibly with their imperfect nature,
whereas Books vii-viii explore the nature of the ideal constitution as a mere
logical possibility, or as a regulative ideal not necessarily actualisable in con-
crete political life towards which existing communities should be guided. 38

If this is true, one might argue that the CT is valid for Books vii-viii, but not in
Book iii, which means that, at least in Book iii, good citizens are not generally
good men and are not therefore entitled to ruling activity.
A second problem which still needs solution is that when, at Pol. iii, 4.1276
b37-40, the excellence of a good citizen is presented as one which cannot be
identical with that of a good man, Aristotle prefaces his claim by specifying if

it is impossible for a city to consist entirely of excellent persons . Even more


worryingly, what is presented as a simple working hypothesis is turned into an


affirmative statement in the lines that follow :

[yet if each should perform his own work well, and this [means] out of virtue,] there

would still not be a single virtue of the citizen and the good man, since it is impossible
for all the citizens to be similar (epei de adunaton homoious einai pantas tous politas) . 39

At least on a first reading of the passage above, finding a valid justification


for the CT appears an extremely arduous and problematic task. One possible
strategy is to insist on the idea (frequently expressed by Aristotle, as we have
already seen) that the citizens of a well-run city should also be able to rule, and
that such an idea clashes with what has been asserted in the passage above. 40

Paradoxically enough, profitable suggestions towards a defence of the CT


come from two supporters of the IP : Susemihl and Hicks. Although eventu-

ally ruling out the possibility of a city whose members are all endowed with
the distinctive virtue of the good man/ruler, the two scholars realize that the
picture of good citizens endowed with ruling capacities might jeopardize the
consistency of their thesis. To avoid the risk of contradiction, they postulate
that in Pol. iii, 4-6, while asserting the impossibility of good citizens being at
the same time good men, Aristotle was still full of doubts and uncertainties
on the matter, and that only at a subsequent stage of his reflection he came to
formulate a definitive view on the relation between the good citizens and the
good men (Book iii, 13 and 18). On their reading, then, Pol. iii, 4.1276 b37-40
would just express a provisional and erroneous belief, which Aristotle never
had the chance to revise and make consonant to his overall argument. 41

38 See ibidem, p. 193. 39 My emphasis.


40 Such a clash is stressed for instance by M. Thurot, La Morale et la Politique dAristote,
cit., p. 108.
41 In the course of their account, Susemihl and Hicks mention the possibility that Aris-
142 elena irrera
It seems to me, however, that it is still possible to construct a sound defence
of the CT, without being compelled to charge Aristotle with inconsistency. In
order to explain this possibility, I believe it is necessary to resort to Aristotles
approach to conducting a philosophical discussion. On his view, the initial
stage of any correct inquiry (practical or theoretical) is to set out and pay
careful attention to what seems to be the case 42 in the area under investiga-

tion. Each philosophical discussion begins from a preliminary exposition of


what appears to (or, in the context at issue, of the beliefs entertained by) all or
the majority or the wise, 43 followed by a critical analysis which raises logical

or philosophical puzzles 44 (called aporiai) that jeopardize the validity of the


totles genuine discussion at Pol. iii was wholly or for the most part lost, and that sections
4 and 5 are wholly or in part a spurious interpolation. They dismiss such an hypothesis on
the ground that it would be such a desperate and violent step . See F. Susemihl and R.D.

Hicks, The Politics of Aristotle, cit., pp. 368-369.


42 Aristotle uses two distinct words to indicate what appears to individuals : phainomena

and endoxa. Both words are employed in EN vii, 1.1145 b2-7, where (just before undertaking
his treatment of the problem of akrasia) he prefaces his discussion by claiming that here,

as in all other cases, we must set down the appearances (phainomena) and first, working
through the puzzles, in this way go on to show, if possible, the truth of all the beliefs (en-
doxa) we hold about these experiences . On the relation between phainomena and endoxa see

R. Kraut, How to justify Ethical Propositions : Aristotles Method, in R. Kraut (ed.), The Black-

well Guide to Aristotles Nicomachean Ethics, Blackwell, Oxford 2006, pp. 76-95, p. 78 : we can

safely assume that in our NE vii,1 passage Aristotle uses his terms phainomena and endoxa to
refer to the same things . The word phainomena is specifically designed to indicate observed

data in scientific investigations (see M. Craven Nussbaum, Saving Aristotles Appearances, in


M. Nussbaum - M. Schofield (eds.), Language and Logos : Studies in Ancient Greek Philosophy,

Cambridge University Press, Cambridge 1982, pp. 267-293, pp. 268-269). Instead, endoxa usu-
ally express general beliefs about given subjects. Besides phainomena and endoxa, Aristotle
also uses the word legomena, i.e. the things said. See for instance EN vii, 1.1145 b8-20, b10-15
and 19-20). On the nature of ta legomena see G.E.L. Owen, (1986), TITHENAI TA PHAINOM-
ENA, in M. Nussbaum (ed.), Logic, Science, and Dialectic (Owens collected papers), Cornell UP,
Ithaca, NY 1986, pp. 239-251, p. 240 : the legow`mena turn out as so often to be partly mat-

ters of linguistic usage or, if you prefer, of the conceptual structure revealed by language .

43 See Topics I, 1.100 b20-21. Aristotle does not always reveal whose views are those he sets
out (see R. Kraut, How to justify Ethical Propositions : Aristotles Method, cit., p. 79). However,

he seems to be keen to show that such views allow us to hit upon the truth. On his view,
human beings have a propensity to the truth (see Rhetoric I,1.1355 a15-18), but their mind
can reach or get close to it only if properly oriented. However, as Kraut points out at 79,
even though everything that is an endoxon has something to recommend it, that does not
guarantee that all of the endoxon are error-free. As he claims, it will be the task of the theo-
retician to turn that mixes bag of truths, near-truths, and falsehoods-all of them deriving
from reputable sources (that is, from people who have some claim to credibility) into
something that meets higher intellectual standards.
44 On what is generally regarded the second stage of the method, see G.E.L. Owen,
TITHENAI TA PHAINOMENA, cit., p. 241. He explains that the aporiai that Aristotle sets
out are not unexplained or recalcitrant data of observation, but logical or philosophical
can a good citizen be a good ruler? 143
starting assumptions. The final stage of the investigation is a retrieval of the
initial observed data/beliefs through an explanation which offers a theoreti-
cal justification of such beliefs. Under the new intellectual frame, the initial
beliefs will appear in a different light, and they will certainly prove to be more
reasonable than at the beginning of the discussion. 45

If Aristotle is really applying this methodological strategy (generally labelled


dialectic) to his analysis of the virtues of the good citizen and the good ruler
in Book iii of the Politics, in the first stage of his discussion he might want to
enter a belief which is likely to get a favourable reception from his readers, i.e.
the impossibility of a city being exclusively composed of good citizens who
are at the same time good men (Pol. iii, 4.1276 b36-7). That belief, presented in
a hypothetical form, would also be supported by the fact that, from a purely
semantic point of view, the excellence of the good citizen and that of the
good man cannot be absolutely the same (Pol. iii, 4.1277 a22). In the second
stage of his argument, however, Aristotle might question the validity of the
starting hypothesis and successively re-formulate the hypothesis itself on a
new basis. If he is really following a dialectical procedure, at the end of his
argument he will still be able to subscribe to the starting hypothesis, by giving
it, though, a different and a more theoretically profound sense. This process,
however, presupposes the liability of the starting hypothesis to a plurality of
readings and perhaps also some ambiguity of expression. 46

Notably, the hypothesis of the impossibility of citizens being at the same


time good men and good rulers is liable at least to two different interpreta-
tions. The initial expression if it is impossible that, rather than merely stress-
ing a logical and/or empirical impossibility, might simply indicate a very rare
occurance. As we read for instance in De Caelo i, 11.280 b11-14, the adjective
impossible (adynaton) is itself ambiguous :

Impossibility has two uses : first, where it is untrue to say that the thing can ever

come into being and secondly, where it cannot do so easily, quickly, or well . 47

In the argument of the Politics in question, the notion of impossibility might


be employed in Aristotles dialectical argument to show that what appears im-

puzzles generated by expositing some of the things commonly said. Cfr. M. Nussbaum,
Saving Aristotles Appearances, cit., p. 276.
45 See G.E.L. Owen, TITHENAI TA PHAINOMENA, cit., p. 239 : The phainomena must

be collected as a prelude to finding the theory which explains them . See also Nussbaum,

Cfr. Nussbaum, Saving Aristotles Appearances, cit., p. 268 : Aristotles phainomena need sav-

ing. This implies that they are in trouble, or under attack. First, on the level of the text itself,
the phainomena are in danger of vanishing altogether .

46 On the ambiguity of endoxa see R. Kraut, How to justify Ethical Propositions : Aristotles

Method, cit., p. 81-82. Cfr. G.E.L. Owen, TITHENAI TA PHAINOMENA, cit., p. 245.
47 to dadynaton legetai dichos. e gar toi me alethes einai eipein hoti genoitan, e toi me

radios mede tachu e kalos .



144 elena irrera
possible at a first sight is, after careful examination, only something extremely
difficult to realize, and, what is most important, not impossible at all in the
ideal city.
If Aristotle is really undertaking a dialectical investigation, what we should
expect in the second stage of the argument is to see the validity of the claim
above questioned by observations which would stand in apparent contradic-
tion with them. Does the remainder of Aristotles argument give grounds for
criticism of its starting assumption ? As it might be observed, Aristotles belief

that the citizens of the ideal polis should be also able to rule might be read
as a powerful objection to the IT. Evidence of this is supplied in the already
mentioned Pol. iii, 4.1277a25 ff., where Aristotle, just after apparently support-
ing what we have called the IT (Pol. iii, 4.1277a20-25), introduces a view which
might put the validity of the starting assumption at risk :

At the same time, the capacity to ruler and be ruled is praised, and the virtue of a

citizen of reputation is held to be the capacity to rule and be ruled finely (Pol. iii,

4.1277 a25).
It might be wondered whether Aristotle is inclined to leave the conflict un-
resolved. Although in his conclusive remarks (Pol. iii, 4.1277 b30 ff.) he vigor-
ously confirms that phronesis is the only virtue proper to rulers, the CT does
not seem to be rejected. Had Aristotle meant to rule it out, he would probably
have tried to offer evidence against it, as he usually does in his dialectical inves-
tigations when he deals with theses in need of emendation. In contrast, at Pol.
iii, 4.1277 b32-33 he makes room for the possibility of several interpretations of
the relationship between the good man and good citizen :

Whether the virtue of the good man and the excellent citizen is the same or dif-

ferent, then, and in what sense (pos) it is the same and in what sense (pos) different, is
evident from these things .

I take the claim above to show that, although there is an unquestionable sense
in which it is impossible for good citizens to be good rulers, there is another
in which the impossibility fades away. This could imply that Aristotle is seri-
ously ready to accept as a real matter of fact, and not only as a mere hypoth-
esis, the idea that good citizens cannot be at the same time good men, but he
also needs to specify the extent to which accepting it is reasonable. On the
one hand, it is impossible to consider the excellence of the good citizen qua
citizen to be the same as the excellence of the good man qua man, and this
is the respect in which a good citizen cannot be at the same time a good man ;

on the other hand, different excellences do not mutually exclude each other,
even though they cannot be performed at the same time and in the same po-
litical context.
Further aid to the CT is offered by Pol. iii, 4.1277 a2-5, where Aristotle, after
stating that the virtue of the good man cannot be found in every citizen, speci-
can a good citizen be a good ruler? 145
fies ei me pantas anagkaion agathous einai tous en tei spoudaia polei politas. In line
with his own reading of the whole argument, Kraut renders the Greek ei me
and the subsequent words as follows : if it is necessary that not all the citizens

in the excellent city are good men . 48 However, this is not the only admissible

rendering of the sentence. The Greek phrase ei me also means unless ; 49 so

translated, Aristotles argument would assume a totally different meaning. On


this reading, good citizens would generally differ from good rulers, unless

all the citizens of an excellent city are necessarily good men . 50 The adverb

unless seems to pave the way for the idea that a city can actually be made
of exclusively good men. Although such a condition is highly unlikely to take
place in existing constitutions, that possibility is perfectly reasonable within
the framework of the ideal polis. 51 Understood in this sense, the adverb un-

less would launch a vigorous challenge to the generally recognized opinion


that perfect excellence is a target achievable only by an exiguous number of
individuals, even in the ideal polis. It is not unreasonable to suppose, then, that
an authentically good city should endeavour to turn each citizen into a good
man and a potentially good ruler.
Furthermore, the picture of an ideal city made of good men seems to fit
well with Aristotles insistence on the fairness of the government in relays. 52

In Pol. ii, 2.1261 a33 it is asserted that the well-being of every city depends on
each of its members rendering to the others an amount equivalent to what
each receives from them. As they cannot all rule simultaneously, they must
each have office for a temporary period. In a similar fashion, as Aristotle
explains in Book iii (16.1287 a11-13), the sovereignty of one man over all of
the other members of a state is not natural wherever a state is composed of
equals. That is why these people believe that justice for equals means their be-
ing ruled as well as their ruling, and involves rotation of office.
Resort to government in relays is reasonable both in those imperfect com-
munities in which it is difficult to establish whether some members are superi-

48 See R. Kraut, Aristotle, cit., p. 365, footnote 11.


49 See J. Liddle-Scott, Greek-English dictionary, s.v.
50 See for instance B. Jowett, Aristotle : Politics. Translation, in J. Barnes (ed.), The Com-

plete Works of Aristotle : The Revised Oxford Translation, (2 vols.), Princeton University Press,

Princeton 1984 ; E. Barker, Aristotle. Politics, cit. ; P.L. Phillips Simpson, The Politics of Ar-

istotle. Translated with Introduction, Analysis and Notes, University of North Carolina Press,
Chapel Hill 1997.
51 See W.L. Newman, Aristotle : Politics, Vol. iii, cit., pp. 156-157, footnote 37. As he explains,

the passage at issue implies that the citizens will not be alike if they all possess the virtue

of a citizen, but [that] they will, if they possess in addition the virtue of a good man .

52 On the issue of government in relays and the rotation of magistracies on which it rests
see G. Cambiano, Aristotele e La Rotazione del Potere, in M. Migliori (ed.), Il Dibattito Etico e
Politico in Grecia tra il v e il iv Secolo, La Citt del Sole, Napoli 2000, pp. 529-544.
146 elena irrera
or to the others 53 and in those cities in which no individual is effectively better

qualified than the others. Also, if the good citizens of the ideal city were not
necessarily good men, we would not be able to understand how a ruler, once
having quit his role, can benefit from the rule of the people who have replaced
him ; 54 their substitutes should in fact possess the same qualities as those of

their predecessors. Only possession of phronesis entitles individuals to claim


ruling positions in the ideal city.
It is now time to formulate some brief conclusions. My contention is that
the distinction between good man and good citizen illustrated in Book III of
the Politics, if considered in isolation from the remainder of Aristotles discus-
sion, draws attention away from what I take to be the central theme of his
discussion : each citizen should strive to become a good man, and this is what

happens in the ideal polis. On the basis of the identity between the excellence
of the good man and that of the good ruler established by Aristotle, we might
suppose not only that a good ruler will necessarily be a good man, but also that
any good man would be a potentially good ruler, had he the chance to attain
a ruling position and develop some specific knowledge of politics, of its aims,
methods and constitutions.
While being ruled, truly wise people do not lose their phronesis and com-
plete ethical virtue, 55 nor is their having only a doxa alethes about what is good

for the polis to be explained in terms of a supposed incapacity to elaborate


solutions in view of the instantiation and preservation of justice and virtue in
the community ; rather, doxa alethes marks the status of an individual as simple

citizen, i.e. a role which does not require the troublesome task of deliberating
well on important political issues. As I read the argument, Aristotles interest
is not so much on the distinction between good citizen and good man, but on
that between good citizen and good ruler. The distinction he draws is part of
an attempt to show that only in one case, that is, in the ideal city, is each and
every citizen expected to become a ruler.

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53 See Pol. vii, 14.1332 b27-29. 54 See Pol. iii, 6.1279 a3-8.
55 See P.L. Phillips Simpson, Philosophical Commentary on The Politics of Aristotle, cit., p.
145 : It does not follow from this [i.e. the fact that the excellence of the ruler differs from

that of the ruled] that the good man is only a good man when ruling, as if, absurdly, he were
to lose prudence when he left office. Rather what follows is that the virtue by which he is a
good man will only be the same as the virtue by which he is a good citizen when he is actu-
ally ruling. When he is ruled his virtue as a good citizen will be different, and his virtue of
prudence will not be exercised (at least not in ruling the city) .

can a good citizen be a good ruler? 147
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Abstract : This paper aims to explore both the nature and the purposes of the Aristotelian

distinction between the good man and the good citizen outlined in Book iii of the Politics.
Unlike the excellence of the good citizen, affected by the quality of his city, the excellence
of the good ruler, which Aristotle identifies with that of the good man, rests on an absolute
standard : the possession of practical wisdom. I shall argue that Aristotles argument, rather

than stressing the impossibility of a city being entirely constituted of morally excellent men,
is ultimately designed to show that, in the case of the ideal city, all the citizens of the ideal
polis are at the same time potentially virtuous rulers. The defence of this thesis involves criti-
cal engagement with those scholars who deny the possibility of the two excellences coexisting
in one and the same individual.
Keywords : Ancient political philosophy, Aristotles Politics, common good, ethics, the good

citizen.
forum
DI A LCTICA, ESPR ITU OBJETI VO Y LENGUAJE :

PR ESENCI A DE HEGEL
EN LA HER MENUTICA GA DA MER I A NA
Fr ancisco Fer nndez Labastida*

E l pensamiento de Hans-Georg Gadamer, que con su obra cumbre Ver-


dad y mtodo dio inicio a la hermenutica filosfica, tiene como fuente
primigenia de inspiracin a Platn y a Martin Heidegger, pero sta no hu-
biera podido existir sin el posterior influjo de Aristteles y de Hegel 1 en el

pensamiento de este autor. En efecto, Verdad y mtodo nace gracias al dilogo


fecundo que Gadamer instaura entre la dialctica especulativa hegeliana, el
pensamiento platnico-aristotlico y la hermenutica de la facticidad que
su maestro Martin Heidegger haba teorizado durante sus aos de enseanza
en Marburgo. Basta revisar con un poco de atencin el ndice de nombres de
Verdad y mtodo para comprobar que las referencias ms abundantes en esa
obra son a Hegel, Heidegger, Platn y Aristteles, seguidos de cerca por Kant,
Schleiermacher y Dilthey. Sin embargo, no resulta fcil establecer qu pers-
pectiva prevalece al final, si es la hegeliana, o por el contrario la ontologico-
existencial de Martin Heidegger.
Hegel entra tardamente, pero con vigor contundente, en la gnesis de la
hermenutica filosfica. Aunque Gadamer conoca el pensamiento de los idea-
listas alemanes desde sus aos de estudiante universitario, slo a mediados de
los aos treinta se interes en modo serio por el sistema hegeliano, cuando ya
era profesor extraordinario en Marburgo. En ese periodo Gadamer buscaba
superar el subjetivismo de la consciencia moderna por medio de un anlisis
de la experiencia hermenutica, siguiendo las lneas trazadas por el pensa-
miento existencial de Heidegger. En esta empresa, el estudio de Kierkegaard
lo llev a sumergirse en la lectura de Hegel. 2 Gadamer muestra su entusiasmo

* Facolt di Filosofia, Pontificia Universit della Santa Croce (Piazza di SantApollinare,


49 ; I-00186 Roma, Italia), email : ffernandez@pusc.it

1 En la presentacin del tercer volumen de sus Gesammelte Werke, Gadamer afirmar que
Hegel, Husserl y Heidegger son sus tres grandes maestros modernos, en los que se entrev
una vuelta a los griegos (cfr. H.-G. Gadamer, Vorwort, en Gesammelte Werke, vol. 3, J.C.B.
Mohr, Tbingen 1987, p. v).
2 Cfr. H.-G. Gadamer, Das Erbe Hegels, en Gesammelte Werke, vol. 4, J.C.B. Mohr, Tbin-
gen 1987, pp. 467-468.

acta philosophica i, 21, 2012 pp. 151-170


152 forum
por el filsofo de Stuttgart en una serie de cartas a Karl Lwith, fechadas en
1937. En ellas dice a Lwith que ha descubierto en Hegel un nuevo acceso al
pensamiento de los griegos, ms all de la estrecha perspectiva de la mera fi-
lologa textual. Al ao siguiente, en el curriculum vitae que envi fechado el 10
de junio de 1938 para su candidatura a la ctedra de filosofa de la universidad
de Leipzig, anunciaba la publicacin de un escrito sobre Hegel y la dialctica
antigua, fruto de sus investigaciones hegelianas. 3

Gadamer quera cambiar la imagen de fillogo clsico que sus precedentes


publicaciones le haban forjado. En efecto, hasta entonces era conocido en el
ambiente universitario alemn sobre todo por sus escritos de filologa y litera-
tura clsica, y por su dominio del pensamiento de Platn. Con este fin, dedic
a Hegel la leccin inaugural al momento de tomar posesin de la ctedra de
Leipzig en 1939. Su ttulo era Hegel y el espritu histrico. 4 Pero su inters por la

dialctica hegeliana no disminuye despus de haber obtenido la ctedra. En


1940 participa en un congreso en Weimar dedicado al pensamiento de Hegel,
que le da la oportunidad de confrontarse con los mayores especialistas alema-
nes del momento. Gadamer recuerda en un escrito autobiogrfico el ambien-
te enrarecido y rancio de ese encuentro con la interpretacin acadmica del
pensamiento hegeliano, que personalmente no le interesaba. Sin embargo,
necesitaba enfrentarse a ellos y demostrarles que l tambin saba de Hegel. 5

All tuvo una intervencin dedicada a la relacin de Hegel con la dialctica


antigua, tema sobre el cual haba anunciado una publicacin aos atrs. Sin
embargo, el texto de esa conferencia apareci publicado slo en 1961, en el
primer nmero de la revista Hegel-Studien. 6

En el decenio 1950-1960, Gadamer se encuentra afincado en Heidelberg,


ocupando la ctedra que haba sido de Karl Jaspers. La preparacin de Verdad y
mtodo, 7 la obra en la que finalmente ver la luz en modo explcito y orgnico

su peculiar visin filosfica, le ocupa en este periodo casi todo su tiempo. En


ella se ve que su dilogo con Hegel no haba pasado a segundo plano. Despus

3 Cfr. J. Grondin, Hans Georg Gadamer : eine Biographie, J.C.B. Mohr, Tbingen 1999, pp.

164 y 217. Quien est interesado en conocer con mayor detalle la vida y la gnesis del pensa-
miento de Hans-Georg Gadamer puede consultar esa excelente biografa intelectual (trad.
castellana : Hans-Georg Gadamer : una biografa, Herder, Barcelona 2000).

4 H.-G. Gadamer, Hegel und der geschichtliche Geist, Publicado originalmente en


Zeitschrift fr die gesamte Staatswissenschaft , [Laupp, Tbingen], Bd. 100 (1939), H. 1/2

(November), pp. 25-37. Ahora se puede encontrar fcilmente en Gesammelte Werke, vol. 4,
pp. 384-394.
5 Cfr. H.-G. Gadamer, Philosophische Lehrjahre : Eine Rckschau, Vittorio Klostermann,

Frankfurt am Main 1977. Vase el captulo titulado Leipzig (pp. 111-138).


6 Idem, Hegel und die antike Dialektik, Hegel-Studien , 1 (1961), pp. 173-199.

7 Idem, Wahrheit und Methode : Grundzge einer philosophischen Hermeneutik, J.C.B. Mohr

(Paul Siebeck), Tbingen 1960. xvii+486 pp.


forum 153
de la publicacin de Verdad y Mtodo en 1960, 8 Gadamer pudo retomar algunos

de sus viejos proyectos. Entre ellos, se encontraba el estudio y la difusin del


pensamiento de Hegel. En 1962 fundar la Hegel Vereinigung, 9 de la que ser

presidente hasta 1970, promoviendo diversos congresos. De esos aos es su


conferencia Los fundamentos filosficos del siglo xx, en la que pone de relieve co-
mo tarea principal de la filosofa contempornea la asimilacin y la confronta-
cin con la dialctica hegeliana. 10 En ese periodo profundiza su anlisis tanto

de la dialctica hegeliana como de la relacin del pensamiento heideggeriano


con el idealismo absoluto de Hegel. El fruto de esas reflexiones se concretar
en la publicacin de la coleccin de ensayos algunos anteriormente publi-
cados, otros inditos titulada Hegels Dialektik de 1971. 11 Una de sus ltimas

intervenciones dedicadas a Hegel fue su conferencia de 1980 Das Erbe Hegels,


en la que hace una visin retrospectiva del influjo del pensamiento hegeliano
en la configuracin de su hermenutica filosfica. 12

Entre los rasgos que la hermenutica filosfica hereda de la filosofa he-


geliana, o comparte con ella, se destaca la coincidencia en el modo de con-
cebir el espritu objetivo y el mundo histrico, unida a la comn negacin
del formalismo kantiano. A la vez, Gadamer comparte con Hegel y Kant el
rechazo de toda filosofa de la trascendencia (Jenseitsphilosophie). 13 Desde las

primeras pginas de Verdad y Mtodo, Hegel se muestra como un punto de re-


ferencia fundamental para poder superar la consciencia esttica kantiana. Sin
embargo, la confrontacin con las posiciones hegelianas aumenta de inten-
sidad, convirtindose en un autntico dilogo, conforme se progresa hacia
su momento culminante en la tercera y ltima parte de la obra, titulada El
lenguaje como hilo conductor del giro ontolgico de la hermenutica, en
donde despliega el fundamento ltimo de su argumentacin. En efecto, su
propuesta de una ontologa hermenutica fundada sobre el lenguaje, que ex-
presa sintticamente con la famosa frase el ser que puede ser comprendido

es lenguaje (Sein, das verstehen werden kann, ist Sprache) , 14 no se comprende


8 Haremos las referencias a esta obra siguiendo la traduccin espaola : Verdad y mto-

do, Sgueme, Salamanca 2005 (dcimoprimera edicin castellana a partir de la cuarta edi-
cin alemana).
9 El nombre completo de la asociacin es Internationalen Vereinigung zur Frderung
der Hegel-Studien. Cfr. J. Grondin, Hans Georg Gadamer : eine Biographie, cit., p. 339.

10 Cfr. H.-G. Gadamer, Die philosophischen Grundlagen des zwanzigsten Jahrhunderts, en


Gesammelte Werke, vol. 4, pp. 3-22 (conferencia dictada en Pars en 1962).
11 Idem, Hegels Dialektik, J.C.B. Mohr, Tbingen 1971.
12 Esta conferencia se encuentra en el cuarto volumen de sus Gesammelte Werke, pp. 463-
483.
13 Cfr. H.-G. Gadamer, Verdad y mtodo, cit., pp. 19-20 ; R.B. Pippin, Gadamers Hegel, en

J. Malpas - U. Arnswald - J. Kertscher (eds.), Gadamers Century. Essays in Honor of Hans-


Georg Gadamer, mit Press, Cambridge (us-ma) 2002, pp. 218-221.
14 H.-G. Gadamer, Verdad y mtodo, cit., p. 567.
154 forum
fuera de las coordenadas marcadas por el dilogo de Gadamer con el idealis-
mo hegeliano. 15

Gadamer encuentra en el espritu objetivo en ese infinito malo hacia el


cual Hegel haba mostrado una actitud ambigua el fundamento ontolgico
para la experiencia de la verdad en el horizonte temporal y finito que buscaba.
Desde la perspectiva histrico-finita que haba heredado de Heidegger, y que
se remonta al historicismo de Wilhelm Dilthey, Gadamer considera que el
espritu objetivo es el concepto clave para la interpretacin del pensamiento
hegeliano. 16 Nuestro filsofo piensa que slo si se pone en el centro el con-

cepto de espritu objetivo es posible satisfacer las exigencias ms profundas de


la filosofa hegeliana. Cuando habla del espritu objetivo, Gadamer se refiere
a aquella realidad comn y vinculante que va ms all de la conciencia indi-
vidual y que constituye el fundamento de la vida humana en el estado y en la
sociedad. 17 Sin embargo, para poder realizar todas las potencialidades de este

concepto, es necesario dejar atrs la pretensin de alcanzar una reflexin ab-


soluta del espritu, que lo haga transparente a s mismo. Es decir, abandonar la
perspectiva del espritu absoluto. Por esta razn, los intrpretes que se apoyan
en la Fenomenologa del Espritu para explicar el sistema hegeliano no logran
superar el horizonte del subjetivismo moderno, sino que representan su cul-
minacin, al intentar conciliar el mundo objetivo de la naturaleza con el de la
cultura humana en el seno de la subjetividad, por medio de la total autotrans-
parencia del espritu absoluto para s mismo, que comprende y reconcilia en
s la conciencia subjetiva y el espritu objetivo de modo sistemtico y racional.
En cambio, Gadamer utiliza la Ciencia de la Lgica como clave principal para la
comprensin del idealismo hegeliano. En esa obra ve la conciliacin entre el
pensamiento clsico y el moderno, porque
la idea de la lgica hegeliana viene a ser una especie de reincorporacin de la totali-

dad de la filosofa griega a la ciencia especulativa. Por mucho que est determinado
por el punto de partida de la filosofa moderna, segn el cual lo absoluto es vida,
actividad, espritu, no es, sin embargo, en la subjetividad de la autoconciencia donde
ve Hegel el fundamento de todo saber, sino en la racionalidad de todo lo real, y, por
ende, en un concepto del espritu como lo verdaderamente real. Ello sita netamente
a Hegel dentro de la tradicin de la filosofa griega del nous, que comienza con Par-
mnides . 18

15 Cfr. ibidem, pp. 555-569.


16 Cfr. J. Grondin, Hans Georg Gadamer : eine Biographie, cit., pp. 317-318.

17 Cfr. H.-G. Gadamer, La filosofa de Hegel y su influencia actual, en La razn en la poca


de la ciencia, Alfa, Barcelona 1981, p. 34. Se trata de una conferencia dictada en 1971 en la
Herbstakademie 1971 der Vereinigung Vorarlberger Akademiker ber Hegel - Marx - Hei-
degger.
18 H.-G. Gadamer, La dialctica de Hegel. Cinco ensayos hermenuticos, Ctedra, Madrid
2000, p. 21.
forum 155

Este modo de comprender a Hegel es una evolucin de la interpretacin de


Wilhelm Dilthey, que rechaza la gran sntesis del espritu absoluto, desarro-
llando en cambio la esfera del espritu objetivo. 19 Esta interpretacin de Hegel

permite a Gadamer dar un fundamento metafsico ms slido a las intuicio-


nes sobre el lenguaje de su maestro Heidegger. Como Gianni Vattimo seala
con acierto, segn Gadamer el problema de la filosofa contempornea se

define () como la necesidad de tomarse en serio el concepto hegeliano de


espritu objetivo, teniendo en cuenta al mismo tiempo el descubrimiento exis-
tencialista dicho en sentido ms vasto y general posible (desde Kierkegaard
hasta Heidegger, pasando por Marx) del carcter no-definitivo de la instancia
de la conciencia, es decir, del carcter finito del hombre. Este problema, que
los puntos de vista interpretativos del pensamiento posthegeliano no resuel-
ven en modo autntico, puede entrar en vas de solucin, segn Gadamer,
solamente redescubriendo tambin aqu junto con toda una tradicin de
pensamiento que va de Heidegger a Wittgenstein y ya se va consolidando en
nuestro siglo la centralidad de la nocin de lenguaje . 20

En efecto, Gadamer entiende la comprensin del ser como evento (Gesche-


hen) que ocurre en el seno del lenguaje. 21 A su vez, la idea de lenguaje que

fundamenta la ontologa hermenutica gadameriana es un nuevo avatar del


espritu objetivo hegeliano, que se inspira en el concepto de espritu que se
desarroll en la tradicin de la corriente mstica cristiana alemana, cuyo ori-
gen se remonta a Thauler, con tendencias pantestas. En su conferencia Los
fundamentos filosficos del siglo xx, Gadamer expresa esta correspondencia entre
espritu objetivo y lenguaje en modo claro :

este concepto de espritu, que trasciende la subjetividad del yo, encuentra su ver-

dadera correspondencia en el fenmeno del lenguaje, que poco a poco se ha ido


colocando al centro de la filosofa contempornea. Y esto es as, porque el fenme-
no del lenguaje, en comparacin con ese concepto de espritu que Hegel tom de
la tradicin cristiana, posee la ventaja adecuada a nuestra finitud de ser infinito
como el espritu y sin embargo finito como todo evento que sucede en el tiempo y
el espacio . 22

Es decir, el lenguaje tal como lo concibe Gadamer es espritu infinito, pe-


ro que, como el espritu objetivo, no vuelve en s mismo : es irreflexivo, y por

lo tanto, inconsciente. El infinito hacerse del lenguaje que Gadamer postula

19 Cfr. Idem, Das Erbe Hegels, cit., pp. 464-465.


20 G. Vattimo, Lontologia ermeneutica nella filosofia contemporanea, ensayo introductorio
a H.-G. Gadamer, Verit e metodo, Bompiani, Milano 1983, p. iii.
21 Cfr. F. Bianco, Introduzione a Gadamer, Laterza, Roma 2004, p. 120.
22 H.-G. Gadamer, Die philosophischen Grundlagen des zwanzigsten Jahrhunderts, cit., p.
21.
156 forum
no culmina en la perfecta y eterna autorreflexin del espritu. Se trata de una
conversacin, de un dilogo abierto que no termina jams. Por el contrario,
la dialctica hegeliana es un monlogo del pensar que intenta producir por

adelantado lo que poco a poco va madurando en una conversacin autnti-


ca . 23 Para el fundador de la hermenutica filosfica, la realidad espiritual

del lenguaje es pneuma, la del espritu que unifica el yo y el t. La realidad del


habla, como se ha observado desde hace tiempo, consiste en el dilogo. Pero
en el dilogo impera siempre un espritu, espritu de comunicacin y de inter-
cambio fluido entre el yo y el t . 24

Sin embargo, Gadamer encuentra puntos de contacto y de confrontacin


en este dilogo abierto e infinito entre la dialctica expuesta en la Ciencia de la
lgica y su propia ontologa hermenutica. All es donde hermenutica y dia-
lctica se funden, porque la verdad se revela en el lenguaje, que vive en el di-
logo, y slo en la realidad viva del dilogo, en el cual los hombres de buena

disposicin y autntica dedicacin a las cosas alcanzan mutuo acuerdo, pue-


de obtenerse el conocimiento de la verdad . Por lo que Gadamer inmediata-

mente concluye : Toda filosofa es, por tanto, dialctica . 25 En este marco hay

que colocar la paradjica afirmacin con la que termina su ensayo La idea de


la lgica hegeliana : Dialektik mu sich in Hermeneutik zurcknehmen . 26 Sen-

tencia que podramos glosar diciendo que, para poder alcanzar su realizacin,
la dialctica hegeliana debe redescubrirse a s misma en la hermenutica.

Truth and method as a classic


Jean Grondin 27

Ten years after Gadamers death in 2012 and more than fifty years after the
publication of Truth and Method (1960) there is little doubt that the book has
turned into a classic of the philosophical literature. This is all the more be-
coming since Truth and Method developed an impressive theory of the classi-
cal, certainly unaware that it could one day be applied to itself. In what fol-
lows, I would thus like to reflect on the ground-breaking intuitions that make
Gadamers book a classic worth reading and rereading, well aware that every
epoch has to sort that out for itself.
The first thing that strikes one about the book is that it requires a fair
amount of patience, which is in this case the patior of the pathei mathos (suffer-
ing makes wise). It is a thick and rather scholarly book that shuns away from

23 Idem, Verdad y mtodo, cit., p. 447.


24 Idem, Hombre y lenguaje, (1965), en Verdad y Mtodo ii , Sgueme, Salamanca 1992, p.150.
25 H.-G. Gadamer, La dialctica de Hegel. Cinco ensayos hermenuticos, cit., p. 37.
26 Idem, Die Idee der Hegelschen Logik, en Gesammelte Werke, vol. 3, p. 86.
27 Universit de Montral, Department of Philosophy, Arts Hall, 70 Laurier Avenue East,
Room 234, Ottawa ON Canada, K1N 6N5. E-mail : jean.grondin@umontreal.ca

forum 157
revealing its most important insights in the form of arguments which could be
presented in snappy nugget form in short papers or in an abstract, as has be-
come prevalent in the philosophical outpouring of our day. The book needed
patience to be brought about in the first place, since Gadamer only published
it when he was sixty and after working towards it for decades, the way great
books used to be written and perhaps the only way they still can. Endurance
is also required from the reader since it is only at the end of the 500page book
that one can start to understand what was said at the beginning of the book.
It is the hermeneutical circle of the volume : it is only at the end, as in many

a suspense novel, that one begins to grasp the intent that launched Gadamers
enquiry into the humanities, the experience of art, history and language. It is
indeed one of the main lessons of the book that wisdom requires patience,
application, temporal distance and the work of history. It is in books such as
these that our meaningful experience of the world is put into work (mise en
oeuvre) and elevated to consciousness. Those books of philosophy and litera-
ture are called classics.
One of the secrets of the books success lies in this patient conception of
education, which Truth and Method puts into practice and with which it be-
gins. 28 The books starts off with a powerful defense of humanism in a climate

where it was increasingly challenged, including by Gadamers own master,


Martin Heidegger. The basic tenet of humanism is that knowledge isnt only
a matter of methodical mastery and that it doesnt only depend on objective
distance, technology and mathematical accuracy. All of this scientific know-
how is fine and good and has been rightly celebrated in our avid scientific
culture. But it certainly isnt the only form of knowledge, nor does it really
offer all that much wisdom, especially when it is applied to questions where
mathematical certainty is impossible. We also learn, indeed we learn perhaps
even more when we strive to acquire a general education or Bildung, thus
partaking into the discussion about the ends of human life that has gone on
well before us and to which there are a host of answers, making up our open-
ended cultural traditions. This is the type of education, Gadamer argues, that
is achieved through the human sciences, the humaniora, literally the more
human disciplines. Gadamer doesnt shy away from revealing his favorite dis-
ciplines : philosophy, to be sure, since it is always philosophical insight one

gains from education or Bildung, literature, classical philology, history and art
history, and he even alludes to the fields of jurisprudence and theology as
models of an understanding rooted in practical concerns. One could argue, or
bemoan, that this scope is limited, that it doesnt take into account the social

28 See my recent piece on Gadamers Theory and Experience of Education : Learning that the

Other May Be Right, in P. Fairfield (dir), Education, Dialogue and Hermeneutics, Continuum
Press, London/New York 2011, pp. 5-20.
158 forum
sciences, ideology critique, and the like. But arent these also human sciences
in the best sense of the word ? Dont they also belong to the vast realm of phi-

losophy, literature and history ? Doesnt everything ? Why is it that the human-

iora fail to acknowledge the evidence that they were nurtured in the cradle
of humanism ? It is, Gadamer rightly and profoundly diagnoses, because our

scientific day and age has afflicted them with a nagging bad conscience when
it confronted them with the question : what concrete mathematical and objec-

tive results can those chattering sciences really deliver ? Hence the rush toward

the use and overuse of ever refined objectifying methods in the humanities,
where statistics play an important role, for instance, since they sound scientif-
ic. But are the humanities only scientific to the extent that they provide stats,
conduct field work and surveys yielding mathematical knowledge ? Here Ga-

damer simply says : come on ! Is this why we read books, learn languages and

study history ? The inferiority complex of the humanities is understandable,


given that there is indeed a lot of mindless blabber in them (as if, lest we for-
get, science itself were immune against that), but it is on the whole unjusti-
fied. By their mimicry of their exact sciences, they misunderstand themselves
and their singular contribution to knowledge. Gadamers analysis is here most
subtle : by claiming to escape their own historical nature and espousing the

conquering ethos of exact science, the humanities that have gone method-
ological actually fall prey to the scientism of our time, thus confirming Gad-
amers judgment about the indebtedness of all knowledge to history.
The idea that it is something else that we learn from history, from tradition
and the classics viewed as models, was for Gadamer the basic conviction of
humanism. Isnt it odd, Gadamer asks, with an ounce of mischief, that the
humaniora have forgotten all about humanism ? It is their tragic self-misunder-

standing and Gadamers book masterfully succeeds in reminding all the prac-
titioners of the humanities what it is they are doing. The aim of the humani-
ties is not to produce methodically assured results, comparable to the ones
we can garner in the exact sciences, it is to bring about Bildung, i.e. the forma-
tion of the individual. Limited as we are, we are beings in need of education,
learning and forming. This occurs through the encounter with the tradition
and the learning of languages, most specifically with the founding languages
of our culture and thinking. This encounter broadens our limited horizon. By
reading the classics, be they ancient, modern or contemporary, just as Truth
and Method is a classic, i.e. a major reference for our self-understanding, one
acquires more horizon, more perspective on things, and in so doing, we
come to realize how little we know. The cultivated individual for Gadamer
is not the pedant who can proudly display a vast array of cultural tidbits, it is
the one who, thanks to the encounter with tradition, is aware of his own lim-
its and thus remains open to other, more encompassing perspectives. By this,
says Gadamer, with the help of Hegel and all of humanism, we elevate our-
forum 159
selves a little above our particularity. Through this effort we reach a universal-
ity that is not that of the law of nature, but the scope we gain by overcoming
our particularity : we learn to put things in perspective, starting with our own

very limited one. Out of this we come to develop better judgment and a more
distanced sense of things. This is what we hope to achieve in the humanities.
An analogous type of knowledge takes place in the art experience, Gadamer
compellingly shows. After his tremendous defense of humanism, Gadamers
reflection on the art experience constitutes another high point of Truth and
Method, which one can only recommend to anyone wanting to know what the
enigmatic art experience is all about. It is the achievement of a true art lover
but who isnt too preoccupied with aesthetic theory. Gadamers first insight
is indeed that the art experience is mostly not an artistic affair, but primarily
an encounter with reality and truth. He strongly deconstructs the notion that
art is only about art, that works of art should be the object of a specific aes-
thetic feeling and criticism. Yes, there is artistic mastery and genius in works
of art, but it disappears behind what the artwork has to say. Ars latet arte sua,
art disappears in the art that enchants. With his provocative genius, Gadamer
reinvests the notion of Spiel (play, game) to sort out what happens in the con-
frontation with a work of art : it is not we who are engaging in a mere playful

exercise, it is the artwork itself which takes us into its play, eliciting an answer
which we can call an interpretation, which is as much an understanding of
the world as of ourselves. This understanding arises out of the dialogue with
the artwork, where the initiative stems from the work itself. It works on us,
as it were, bringing us up in its reality, which is actually our reality, but which
is transformed (verwandelt) and revealed by the work of art. As in humanist
knowledge, our reaction, or execution of the art piece in the performing arts,
which function here as a model for Gadamer, is part and parcel of what hap-
pens in the work of art.
One cannot engage an artwork without being touched and in the best case
scenario be transformed (verwandelt also) by it. Every artwork tells me, Ga-
damer says, after Rilke and Mozart : you must change your life ! Art brings

about a transforming experience of reality and thus of truth, yet of a truth


in which we always partake. By changing and challenging us, art imparts us
a wisdom that doesnt conform to the prevailing scientific model. With these
insights, Gadamer helps us rediscover what art is, even if he goes against the
grain of what many artists (to say nothing about philosophers of art) claim to
say about their art. But, as Gadamer constantly reminds us, authors are not
always their best interpreters. Art reaches much farther than philosophers of
art and even artists think.
The same type of transforming knowledge can be found in the field of his-
tory, to which the centerpiece of Truth and Method is devoted. The theme of
history has been pressed upon the humanities, and indeed our civilization, ev-
160 forum
er since the emergence of the historical consciousness in the 18th, but mostly
in the 19th century. It finds its epitome in Hegels vision that the spirit is only
at work in history, through which it gains a consciousness of itself. This vi-
sion reappears in a weaker version in Dilthey, but with a new twist : Hegel is

right to say that the spirit only unfolds historically in its quest for itself, and it
remains the purpose of the rightly named Geisteswissenschaften to study this
journey, but how, asks Dilthey, can this historical knowledge be called a rig-
orous science ? In spite of his romantic inspirations, Diltheys question has a

positivist ring to it since the idea of rigorous knowledge is urged upon him
by the exact sciences. Dilthey would probably disagree, since his intent was to
safeguard the uniqueness of the humanities, but his search for a methodologi-
cal basis for the humanities, Gadamer argues, perhaps a bit harshly, would
nevertheless betray the seduction of the scientific model. Here one can say
that Gadamer is Dilthey without the methodological glasses.
What Gadamer challenges is the silent assumption that history would con-
stitute an impediment of sorts for the human sciences. The question of the
19th and 20th century was always : how can we reach knowledge in spite of our

history and the relative nature of our knowledge ? Are there methods to do so ?

This is a distorting question for Gadamer. To strive to overcome history is to


miss the point that human sciences only exist in the first place because there is
history. Non historical being would not study the humanities or seek for un-
derstanding. To hope for methodological and thus for a kind of non-relative
knowledge in the humanities is to misjudge not only the raison dtre of the
humanities, but the nature of history and historical Beings. This is why the
aim of Gadamer is to emphasize historicity, to turn it into a hermeneutical
principle instead of viewing it as a mere enemy.
Certainly, some have claimed that the emergence of a historical conscious-
ness in and of itself would enable us to overcome or control our historical
determination : to know ourselves as historically determined would enable us

to know our historical determination and break out of it, as it were. The emer-
gence of historical consciousness unquestionably marks a new phenomenon,
but it doesnt interrupt or radically alter our belongingness to history since we
remain finite and thus historical beings. Why is it that one desperately seeks to
overpower or circumvent historicity, as if this were a fight we could win ? This

pursuit is itself a reflection of its age and its idea that true knowledge cannot
depend on historical presuppositions since this would lead to relativism. Ga-
damer thoroughly calls into question this identification of the historical na-
ture of our knowledge with relativism. In this regard, Gadamers classic gains
relevance for the debates surrounding postmodernism and relativism which
have sprung up after his opus appeared in 1960.
For Gadamer it is not true that everything becomes relative if one raises his-
toricity to a hermeneutical principle. He finds the best confirmation of this in
forum 161
the evidence of classics in philosophy, literature, and all fields of knowledge.
What are classics ? They are works that stand out, literally that have class

and provide orientation in our disciplines and our lives. No discipline, no edu-
cation is without them, be it only by the selection of books and disciplines one
deems worthy of study. But how do classical references come about ? They

certainly do not fall from the sky. They are themselves the fruits of history. It
is the working of history, the Wirkungsgeschichte, the distance of time which
slowly establishes works as classics, i.e. as milestones in the field of historical
knowledge. But the canon of the classics does not remain rigid throughout
the ages. On the contrary, every present has to redefine it, but it can only do
so out of its own appreciation of history, i.e. of what its references, guideposts
and classics are. Insight, Gadamer says in a splendid metaphor, happens as a
fusion of horizons between the past and the present, between the knower
and what one knows. The present and past are always at play in knowledge,
but in such a manner that they become almost undistinguishable. To know
this is to develop what Gadamer calls a hermeneutical consciousness : when

we become aware of the working of history and of the present in our knowl-
edge and Being, we can also become attuned to the misunderstandings that
are possible. We thus become aware of our finitude. It is this acknowledgment
of our finitude which leads, Gadamer hopes, to more openness.
The dialogue with tradition that we are finds its expression in language,
which forms the focus of the third and final part of Truth and Method. Gadam-
ers views on language are incredibly subtle, so much so that they have been
perhaps less understood than his ideas on the work of history in the second
part (but they too have been widely misunderstood 29). In the same manner

he fought against the negative understanding of history and historicity in the


second part, he takes aim at the view that sees in the linguistic expression of
our understanding a limitation. Yes, many philosophers and social scientists
argue, our understanding is framed by language, i.e. by linguistic schemes
and frameworks, but they tend to view this as a barrier of sorts, as if language
would impress its schemes on the things themselves, which would remain
unknowable. This has given rise to two opposite views of our belongingness
to language, which are predominant today : realism and antirealism. Antire-

alism claims that reality is not knowable as it is in itself, because our linguis-
tic schemes are stamped upon it. Pragmatism and postmodernism draw this
hasty conclusion. Realism, for its part, argues that there is a reality beyond
language which we can understand. Most have seen Gadamer, erroneously

29 On the postmodern misreadings see my Nihilistic or Metaphysical Consequences of


Hermeneutics ?, in J. Malpas and S. Zabala (dir.), Consequences of Hermeneutics, Northwest-

ern University Press, Evanston 2010, pp. 190-201.


162 forum
I believe, as an antirealist, 30 including many Gadamer scholars. Fewer have

claimed he was a realist, 31 but mostly did so by arguing that language did in-

deed provide a reliable view of reality. 32 Those are interesting and to a large

extent ongoing debates, which have been sparked by the classic that is Truth
and Method. But according to Gadamer, they share a common premise inher-
ited from nominalism : namely that language amounts to a view of things

and an intellectual grasp of reality. In this perspective, it is easy to understand


why the antirealists would tend to view language as a prism impeding (or
framing) access to reality as it is in itself.
Gadamer sees in this a most stifling view of language, since it only consid-
ers it as an instrument to express thoughts that would have been developed
without language. Not only is thought without language unconceivable, lan-
guage is much more than an instrument for the ventilation of our thoughts.
It is less our language, Gadamer sometimes writes, than the language of the
things themselves, who offer themselves in language. It is less about us than
about the things that become present thanks to language. Language is thus
not a confinement which would make it impossible for us to speak of the
world of objects out there. It is only through language that things are there
in the first place.
Far from being a restriction on understanding, language, Gadamer refresh-
ingly contends, is open to everything that can be understood. Finite beings
as we are, there are limits to our understanding, no doubt, but they can be
extended : language can always find new ways to express things, even for that

which appears to resist understanding. For it is in language that we try to say


what is and why it is that something withstands understanding and thus lin-
guisticality. Language happily refutes the claim that it is limited by the mere
fact that this claim can itself only be brought forward in language. The limits
of language, on which the later Gadamer insisted perhaps more than the au-
thor of Truth and Method, are boundaries which language can reflect and at-
tempt to overcome.
This is the meaning of the famous thesis about the universality of language
in Truth and Method : everything there is can only be understood to the extent

that it can be put into language. Language is open to everything which can be
understood. Language, in sum, is not a limitation, it is the light of our under-
standing. This generous view entails the universal possibility of translation :

every foreign meaning can, to a certain degree, be translated into our lan-

30 See the very critical book of the famous classics scholar H. Krmer, Kritik der Herme-
neutik. Interpretationsphilosophie und Realismus, C. H. Beck, Munich 2007.
31 See B. Wachterhauser, Gadamerss Realism : The Belongingness of Word and Reality, in

B. Wachterhauser (ed.), Hermeneutics and Truth, Northwestern University Press, Evan-


ston 1994, pp. 148-171. 32 Ibidem, p. 156.
forum 163
guage, 33 just as our stammering language can be rendered in other ways. This

implies, refreshingly also, that cultures can understand one another and open
themselves to what is foreign thanks to language. In this age of globalization
and intercultural dialogue this is one of the precious insights of the class act
that is Truth and Method.

Ermeneutica e verit in Hans-Georg Gadamer.


Incontro con un maestro
Gaspare Mura 34

Phaselus ille, quem videtis, hospite, ait fuisse navium celerrimus., cum veniret a

mari novissimo hunc ad usque limpidum lacum ; 35 con la recita di questi versi

inizi quella memorabile giornata di fine agosto 1986, in cui ebbi il privilegio
di fare laccompagnatore turistico di Hans-Georg Gadamer per visitare le
belle isole del Lago Maggiore. 36 Era la giornata di riposo del xx corso della

Cattedra Rosmini, dedicato al tema Pensiero rosminiano e cultura contem-


poranea, di cui Gadamer era stato ospite donore, 37 e stavamo per imbarcarci

33 This insight can also be found in the early work of Paul Ricur, most notably in the
second volume of his Philosophy of the Will (P. Ricoeur, Finitude et culpabilit, nouvelle
dition, Aubier, Paris 1988, p. 77) published in 1960, the same as Truth and Method : il nest

point de signe de lhomme radicalement incomprhensible, point de langue radicalement


intraduisible, pas duvre dart quoi mon got ne puisse stendre .

34 Accademia di Scienze Umane e Sociali (ASUS), Piazza Santa Croce in Gerusalemme


12, 00185 Roma. E-mail : gaspare.mura@asusweb.it

35 Quella barchetta che vedete, amici, dice desser stata pi veloce delle navi quando

venne dallultimo mare a questo limpido lago (Catullo, Carmina, iv).


36 De nobis ipsis silemus : questo motto, tratto dalla prefazione allInstauratio magna di

Bacone, e gi usato da Kant nella seconda edizione della Critica della ragion pura, venne ap-
posto da Gadamer nel frontespizio di quella che un po la sua autobiografia culturale : Ma-

estri e compagni nel cammino del pensiero. Uno sguardo retrospettivo (Queriniana, Brescia 1980 ;

titolo originale : Philosophische Lehrjahre-Eine Rckschau, Klostermann, Frankfurt a.M. 1977).


Ci nondimeno Gadamer non stato avaro di interviste, apparse su riviste e quotidiani eu-
ropei, e lo stesso Rckschau non privo di riferimenti autobiografici. Per questo ho ritenuto
non indelicato fare memoria, in queste pagine, del lungo colloquio avuto con Gadamer
nellagosto del 1986 ; e ci sebbene, a motivo del carattere informale e non ufficiale della

conversazione, non abbia mai chiesto a Gadamer lautorizzazione alla pubblicazione degli
appunti presi la sera stessa dellincontro. Nondimeno ritengo che sia ugualmente opportu-
no farlo ora, seguendo un preciso criterio : quello di corroborare ogni affermazione emersa

nel colloquio con testi tratti dalle opere di Gadamer e in particolare da Verit e metodo ; e ci

con la finalit di offrire una pi approfondita, e talvolta inedita, interpretazione delle fonti
e della finalit veritativa dell ermeneutica gadameriana.
37 Il testo del tema svolto da Gadamer : Lermeneutica nel dibattito filosofico contemporaneo,

stato pubblicato in P. Pellegrino (a cura di), Pensiero rosminiano e cultura contemporanea,


Atti del xx corso (1986) della Cattedra Rosmini, Sodalitas-Spes, Stresa-Milazzo 1987, pp.19-
29.
164 forum
sul battello ; ben presto, e poi quasi ad intercalare i momenti di quel viaggio

che lo stesso Gadamer volle trasformare in un confidenziale dialogo filosofi-


co, ad ogni attracco del traghetto, ad ogni volo di uccelli, ad ogni fruscio delle
onde, dopo Catullo seguirono i versi di Orazio e Virgilio, di Alceo e Teocrito
a commentare lo spettacolo di una natura tra le pi belle al mondo. Mentre
mi chiedevo la ragione di tanta insistenza sui classici latini e greci, Gadamer
anticip la mia domanda con una semplice dichiarazione : Io sono un filologo

classico . 38 Negli anni ho compreso in modo pi compiuto e profondo la den-


sit di contenuti, non solo letterari ma filosofici ed autenticamente ermeneu-


tici, racchiusi in quella dichiarazione, sebbene ne intuii subito limportanza.
Gadamer voleva presentarsi, in un contesto non ufficiale, come filologo e non
come filosofo : perch ? Certamente non solo per il fatto che la maggior parte

dei filosofi tedeschi, a cominciare da Nietzsche come peraltro lui stesso mi


ricordava sono stati prima di tutto dei filologi classici, quasi a voler sottoli-
neare limportanza che ha rivestito lo studio della classicit in quella tradizio-
ne filosofica. E forse nemmeno per menzionare i suoi Studi platonici, che in
quegli anni solo Giovanni Moretto in Italia riteneva fossero fondamentali per
la comprensione adeguata dellintenzionalit veritativa dellermeneutica ga-
dameriana. 39 Compresi subito che lessere filologo significava innanzi tutto

per Gadamer il riferimento alla rivalutazione che Verit e metodo aveva fatto
della tradizione culturale di appartenenza come orizzonte di comprensione
della verit ; e che implicava quel conversare con i grandi 40 che aveva costi-

tuito lanima profonda della tradizione umanistica italiana, che mi confid di


conoscere e di amare come pochi, parlando perfettamente la nostra lingua, e

38 sintomatico il fatto che il riconoscimento del carattere classico del pensiero di Ga-
damer venga offerto indirettamente dal suo maggiore e severo critico, Hans Albert, il quale
scrive : la valorizzazione della tradizione classica, operata da Gadamer, assimilata a una

molteplicit di voci di defunti che continuano a parlare ai viventi e per questo fatta di
testi che ci parlano ancora, perch ancora ci pongono domande, in analogia alla tradizione
religiosa che deliberatamente preserva i suoi testi, nei quali si annuncia un appello di verit
e di salvezza (H. Albert, Per un razionalismo critico, trad. it. a cura di E. Picardi, Il Mulino,
Bologna 1973, pp. 173.179).
39 Cfr. H.-G. Gadamer, Studi platonici, i e ii, a cura di G. Moretto, Marietti, Casale Mon-
ferrato 1983.
40Questa espressione risale alla lettera che Nicol Machiavelli scrisse a Francesco Vet-
tori, allora ambasciatore fiorentino presso il papa, il 10 dicembre del 1523, e in cui racconta
la sua giornata : dopo essersi ingaglioffato in osteria , a bere ed a giocare a tric trac, scrive

Machiavelli, la sera si ritira, mette panni reali e curiali , ed entra nelle antique corti delli

antiqui huomini , dove si sente ricevuto amorevolmente ; io non mi vergogno egli


scrive parlare con loro... e quelli per loro humanit mi rispondono ; Machiavelli cita

quindi Dante, il grande umanista cristiano il quale insegna che non fa scienza sanza lo ri-

tenere lo havere inteso e per questo, continua Machiavelli, ho notato quello di che per

la loro conversazione ho fatto capitale .


forum 165
narrandomi dei suoi soggiorni semestrali allIstituto di Studi filosofici di Na-
poli, che volle ricordare come polo della cultura europea dopo il Rinascimen-
to e per questo mta del grand tour, che concludeva il curriculum studiorum
dei giovani europei ; la citt di Napoli conferir per questo a Gadamer la cit-

tadinanza onoraria il 27 novembre 1990. La menzione della filologia voleva


esprimere in qualche modo anche la nostalgia per un programma di istruzio-
ne superiore, che proprio lo studio della classicit finalizzava alla formazione
al dialogo ed alla reciproca comprensione, ritenuti da Gadamer essenziali nel
contesto di una crisi culturale dellEuropa, che egli paragonava alla crisi della
democrazia ateniese ai tempi di Platone, e di cui in pi occasioni aveva de-
nunciato la perdita ; 41 ma ben pi direttamente significava il riferimento alla

tesi principale della Scienza Nuova di Giambattista Vico, lautore che occupava
un posto centrale in Verit e metodo, e secondo cui la nuova scienza, ovvero
la conoscenza dellhumanum, nasceva dalla sintesi di filologia e filosofia, e
per questo considerata da Gadamer la vera anticipatrice dei principi teoreti-
ci e metodologici su cui andava fondata lermeneutica filosofica. 42 Forse il

riferimento alla filologia nascondeva anche un richiamo al fatto che in que-


gli anni limportanza di Vico per lermeneutica gadameriana fosse pressoch
dimenticata dagli studiosi italiani. certo invece che sono centrali in Verit
e metodo alcune delle nozioni fondamentali della Scienza Nuova, che avevano
permesso a Vico di individuare, oltre lambito della scienza naturale svelato da
Galilei, ed oltre le certezze richieste dal razionalismo cartesiano, un altro tipo
di certezze universali, soprattutto di carattere estetico, etico e religioso, che

41 Linteresse di Gadamer per il futuro dellEuropa testimoniato da una serie di testi


importanti, che mostrano la finalit etico-politica della sua prospettiva ermeneutica. Per
Gadamer, il futuro dellEuropa strettamente congiunto al destino della parola poetica e fi-
losofica, ereditata dalla tradizione, e capace di instaurare il dialogo tra le culture e fondare l
oikoumene europea (cfr. H.-G. Gadamer, LEuropa e loikoumene, in M. Heidegger - H.-G.
Gadamer, LEuropa e la filosofia, Marsilio, Venezia 1999, pp. 37-66) ; in Leredit dellEuropa

(Einaudi, Torino 1991), Gadamer sostiene che il futuro dellEuropa dipende dalla sua capa-
cit di riconoscere ed accettare la sua eredit umanistica, che non consiste nel razionalismo,
ma nel mondo classico, nel mondo latino e germanico, nel Rinascimento, nella rivoluzione
scientifica, ma soprattutto nella cultura dellincontro con laltro, che sola rende possibile la
tolleranza e il dialogo ; ne La molteplicit dEuropa. Eredit e futuro, Gadamer scrive, analo-

gamente a Verit e metodo, che compito dellermeneutica venire a conoscenza dellaltro


e degli altri come gli altri di noi stessi per prender parte uno allaltro (in Lidentit culturale

europea tra germanesimo e latinit, a cura di A. Krali, Jaca Book, Milano 1988, p. 32) ; per que-

sto Gadamer assegna alla filosofia un importante compito per lEuropa, perch il futuro

dipende dalle origini (La filosofia nella crisi del moderno, Herrenhaus, Milano 2000, p.43) ; cfr.

anche Idem, Le radici umanistiche della cultura, in A. Sobrero, Lantropologia dopo lantropolo-
gia, Roma, Meltemi 1999 ; vedi infine H.-G. Gadamer, Appello per lEuropa, pubblicato da

Sostenitori dellIstituto per gli Studi Filosofici, Napoli.


42 8 La base dellhistorica dunque lermeneutica , H.-G. Gadamer, Verit e metodo,

tr.it. a cura di G. Vattimo, Fratelli Fabbri, Milano 1972, p. 240.


166 forum
interessavano in modo particolare lermeneutica di Gadamer : la nozione di

sensus communis, che Vico, sottraendolo al dubbio metodico cartesiano, con-


siderava un giudizio senzalcuna riflessione, comunemente sentito da tutto

un ordine, da tutto un popolo, da tutta una nazione o da tutto il genere uma-


no (Vico) ; e la nozione di Bildung, corrispondente ai termini classici di Paideia

o Humanitas, e indicante quella formazione integrale delluomo trasmessa


dalle humanae litterae, che non si limita alle competenze tecnico-scientifiche,
ma ritiene che lautentico sapere sia classicamente una cultura dellanima,
al cui centro stanno i valori estetici, etici e religiosi. Non era forse in relazione
alla Bildung che Gadamer, in Verit e metodo, aveva visto nella phronesis, rivalu-
tata dallEtica aristotelica e riformulata in prospettiva ermeneutica, lessenza
stessa della filosofia ermeneutica ? 43 Tutto questo dunque racchiudeva il rife-

rimento alla filologia ed alla tradizione culturale di Napoli.


Incoraggiato dal clima di dialogo che Gadamer aveva voluto stabilire, pur
senza trascurare la visita delle incantevoli Isole Borromee, ritenni giunto il
momento di entrare nella questione che maggiormente mi interessava : il rap-

porto tra lermeneutica filosofica e la verit. Non volendo essere indiscreto,


presi tuttavia il discorso alla larga, con lespediente che mi parve in quel mo-
mento pi appropriato. Stavo curando, in quel periodo, ledizione italiana di
unopera pubblicata da Emilio Betti in tedesco : Die Hermeneutik als allgemeine

Methodik der Geisteswissenschaften, 44 e che avevo scoperto per caso lanno pri-

ma alla Buchmesse di Francoforte, suscitando il mio interesse. Sapevo infatti


che Betti era stato insieme amico e critico di Gadamer, e ci a motivo di una
pi marcata intenzionalit, da parte di Betti, di conseguire la verit dell og-
getto dellinterpretazione, soprattutto di carattere giuridico e storico, intro-
ducendo nellermeneutica, a differenza di Gadamer, adeguate distinzioni tra
i vari oggetti da interpretare, e ben precisi canoni metodologici, volti a ga-
rantirne la verit. Tuttavia non riuscivo a convincermi che la comune ascen-
denza vichiana di Betti e di Gadamer, che si riconosceva nella scienza nuova
quale sintesi di filologia e filosofia, e la comune valutazione della Bildung,
che Betti aveva tematizzato nel quarto canone dellermeneutica e Gadamer
nellassimilazione dellermeneutica al sapere performativo della phronesis ari-
stotelica, rendesse veramente inconciliabili le due prospettive ; per questo non

mi sembrava corretto parlare, come facevano alcuni studiosi, di radicale anti-


tesi in Gadamer tra verit e metodo ; e questo tenendo anche conto della

sensibilit di Gadamer per la verit come pensiero dei valori ed esperienza


della bellezza, che rende piena e felice la vita delluomo, in antitesi ai meto-
di del sapere tecnico-scientifico. Chiesi di conseguenza a Gadamer un giudi-

43 Cfr. H.-G. Gadamer, Verit e metodo, cit., pp. 45 ss.


44 Cfr. E. Betti, Die Hermeneutik als allgemeine Methodik der Geisteswissenschaften, Mohr -
Siebeck, Tbingen 19722.
forum 167
zio su Betti, e la mia domanda racchiudeva anche il desiderio di sapere cosa
Gadamer pensasse delle interpretazioni correnti di Verit e metodo. Gadamer
volle comunicarmi subito non solo la stima per Betti, di cui fa fede la corri-
spondenza tra i due, 45 ma anche precisare che tra loro non era mai intercorsa

una vera polemica, ma un alto dialogo filosofico, di stile platonico, secondo


la tematizzazione che di questo ne aveva fornito lo stesso Gadamer : i parte-

cipanti al dialogo, secondo Platone, esprimono domande diverse nella ricerca


della verit, consapevoli che la verit presiede lascesa dialettica dei dialoganti ;

per questo le due prospettive, di Betti e di Gadamer, circa la natura e la finalit


dellermeneutica non dovevano essere ritenute opposte ma complementari.
Gadamer aggiunse poi di stimare molto gli studiosi italiani che in quegli anni
avevano fatto conoscere le sue opere ma, con una battuta napoletana, pre-
cis di non riconoscersi sempre nella loro interpretazione che non sottolinea-
va sufficientemente la sua intenzionalit veritativa, sottolineando ancora che
era dalla nozione di Bildung che scaturiva la retta interpretazione di alcune
cognizioni centrali di Verit e metodo : in particolare la nozione di orizzonte

di comprensione, da non intendere come una soggettiva attribuzione di si-


gnificato (Betti), ma nel senso evidenziato dal Menone platonico, secondo cui
non ci possibile cercare qualcosa se non ne abbiamo una qualche implicita
conoscenza, e nel cui contesto andava collocata anche la nozione di tradizio-
ne culturale di appartenenza ; e poi la concezione del carattere insieme dialo-

gico ed aperto dellermeneutica, 46 perch comprendere significa soprattutto


il modo di essere dellesistenza come tale ; e di conseguenza, analogamente


allesperienza, anche il linguaggio delluomo, pur storicamente determinato,


aperto allinfinito. 47

Fu in seguito a questo colloquio che nel Saggio introduttivo alledizione


italiana dellopera di Betti, potei sostenere non la coincidenza, ma la comple-
mentarit tra lermeneutica esistenziale di Gadamer e lermeneutica me-
todologica di Betti, perch le figure magistrali di Betti e di Gadamer esclu-

dono ogni parzialit e unilateralit nella ricerca del vero . 48 Avevo compreso

infatti che lermeneutica di Gadamer, come quella di Betti, era finalizzata so-
prattutto, non solo per motivi teoretici, ma autenticamente etici, educativi e

45 Sul dibattito intercorso tra Gadamer e Betti, cfr. T. Griffero, Interpretare. La teoria di
Emilio Betti e il suo contesto, Rosenberg & Sellier, Torino 1988, cap. 6.
46 La dialettica dellesperienza non ha il suo compimento in un sapere, ma in quellaper-

tura allesperienza che prodotta dallesperienza stessa (H.-G. Gadamer, Verit e metodo,

cit., p. 411).
47 Ogni discorrere umano finito nel senso che in esso c sempre una infinit di senso

da sviluppare e interpretare (H.-G. Gadamer, Verit e metodo, cit., p. 524).


48 G. Mura, Saggio introduttivo : la teoria ermeneutica di Emilio Betti, in E. Betti, Lerme-


neutica come metodica generale delle scienze dello spirito, a cura di G. Mura, Citt Nuova, Roma
19902, p. 40.
168 forum
infine politici, a far s che la cultura umanistica, relegata a museo dal dominan-
te modello scientifico del sapere, potesse nuovamente divenire un tempio per
sostenere la vita delluomo in questo passaggio di civilt.
Laver introdotto il discorso su Betti fu loccasione, per Gadamer, di andare
con la memoria a quelli che erano stati i suoi maestri e compagni nel cam-

mino del pensiero , 49 con notazioni anche biografiche sui vari autori da

Jaspers a Scheler, da Heidegger a Lwith che arricchirono la conversazione


di notazioni anche divertenti. Come ad esempio la descrizione del modo con
cui Heidegger amava vestirsi secondo luso dei montanari della Foresta Nera.
Nonostante linteresse che suscitavano in me le interpretazioni che Gadamer
offriva dei maggiori rappresentanti della cultura tedesca del xx secolo, ma
che gi conoscevo dallopera che aveva pubblicata rammemorando questi au-
tori, ritenni che fosse opportuno ricondurre il Maestro sul terreno specifico
dellermeneutica. Con mio grande stupore, Gadamer introdusse nella nostra
conversazione un tema sorprendente, che non avrei neanche osato proporre :

la teologia. Andando con il discorso ai teologi del xx secolo, Gadamer afferm


che a suo avviso i teologi potevano suddividersi in due scuole principali, deri-
vanti da due diverse nozioni e pratiche di ermeneutica teologica : i teologi pre-

occupati dellortodossia della fede e i teologi liberali, tesi alla demitizzazione e


quindi alla svalutazione del messaggio della salvezza. Era chiaro che le figure
di fondo erano quelle di Barth e di Bultmann ; ma non solo, perch mi sembr

che Gadamer volesse offrire alla teologia, non solo evangelica, il contributo
prezioso della propria lezione ermeneutica, e che potrebbe essere sintetizzato
da questa espressione di Verit e metodo : il teologo deve tener sempre fermo

che la Sacra Scrittura lannuncio divino della salvezza. La comprensione di


essa non pu, di conseguenza, essere solo lindagine scientifica sul suo sen-
so . 50 La lettera uccide lo spirito che vivifica (2 Cor.3) : il contributo che ler-

meneutica poteva offrire alla teologia, per Gadamer, consisteva nel riproporre
lascolto della Verit della Parola della Rivelazione, da incontrare e sperimen-
tare sotto la guida dello Spirito e non solo come prodotto di metodi scientifici
o esegetici raffinati.
A questo punto mi sentii incoraggiato a porre la domanda che finora avevo
cercato di mascherare : quale il rapporto tra ermeneutica e verit ? Gadamer

mi sorprese ancora una volta con una dichiarazione inattesa : Io sono un pla-

tonico agostiniano . E comment questa affermazione chiarendo che poich


la verit in noi ma anche al di sopra di noi, la sua presenza a spingerci a


ricercarla sempre di pi, a suscitare la tensione ermeneutica a dialogare con
tutti i cercatori della verit, ad ascendere in modo dialettico-ermeneutico ver-
so il suo orizzonte infinito, perch, come scrive Agostino, fecisti nos ad te et

49 Cfr. H.-G. Gadamer, Maestri e compagni nel cammino del pensiero. Uno sguardo retrospet-
tivo, Queriniana, Brescia 1980. 50 H.-G. Gadamer, Verit e metodo, cit., p. 384.
forum 169
inquietum est cor nostrum donec requiescat in te (Conf., I,1). Gadamer, forse per-

ch ci trovavamo in un clima rosminiano, insieme allinterpretazione della


sua ermeneutica mi stava confidando la sua fede cristiana. Ho potuto allora
comprendere molte affermazioni contenute in Verit e metodo, altrimenti di-
menticate o fraintese, ma che erano al centro del pensiero gadameriano e
davano senso illuminativo a tutte le altre tesi. Al di l della controversa no-
zione gadameriana di Wirkungsgeschichtliches Bewusstsein (ovvero coscienza
della determinazione storica), interpretata sovente nel senso del relativismo
storico, soprattutto la concezione gadameriana del linguaggio ad impedire
un esito relativista allermeneutica gadameriana. Di fatti il noto enunciato di
Verit e metodo secondo cui Sein, das verstanden werden kann, ist Sprache , 51 alla

luce dellagostinismo gadameriano, non da intendere nel senso nominali-


sta della riduzione dellessere a linguaggio, ma in quello teologico dellidenti-
t di essere e linguaggio, che ha il suo paradigma nel mistero Trinitario. Come
mostra tutta la terza parte di Verit e metodo, e in particolare il paragrafo dal
titolo significativo : Linguaggio e verbum, 52 per Gadamer il fondamento della

natura ontologica del linguaggio ovvero la relazione linguaggio-essere il


Verbum in sinu Trinitatis, cos come stato tematizzato dai Padri, da Agosti-
no e da Tommaso, citato da Gadamer, perch riconduce la parola esteriore al
verbum mentis : verbum proprie dicitur personaliter tantum (Summa theol. I, q.34 e

passim). La parola interna scrive Gadamer cos lo specchio e limma-


gine della parola divina . 53 nel mysterium Trinitatis che Gadamer istituisce

il fondamento del mistero del linguaggio nella sua relazione con lessere : Il

mistero della Trinit trova nel miracolo del linguaggio il proprio specchio in
quanto la parola, che vera perch dice come le cose sono, non e non vuol
essere nulla di per s : nihil de suo habens, sed totum de illa scientia de qua nascitur.

Il suo essere consiste nellessere manifesto . 54 Pi volte Gadamer ha ricono-


sciuto il suo debito nei confronti di Agostino, anche per quanto riguarda la
relazione anch essa ermeneutica tra il pensiero filosofico e la fede : Io

ho imparato molto dai libri di Agostino sulla Trinit. Questi libri contengono
una vera sovrabbondanza di metafore, che vogliono rendere comprensibile il
grande mistero della dottrina cristiana della fede, la Trinit. Agostino si orien-
ta sul concetto di Logos e di processo in Dio. Egli in fondo sempre ispirato
in senso neoplatonico e in questo modo raggiunge il superamento della gnosi.
Se le cose stanno cos, allora si ha qui un limite della conoscenza e c bisogno
della fede....qui non si pu dimostrare nulla . 55

51 Lessere che pu venir compreso linguaggio (H.-G. Gadamer, Verit e metodo, cit.,

p. 542). 52 Ibidem, pp. 480 ss. 53 Ibidem, p. 482.


54 Ibidem, p. 483.
53 Intervista a Jean Grondin, pubblicata col titolo Dialogische Rckblick auf das Gesammelte
Werk und dessen Wirkungsgeschichte, in Gadamer Lesebuch, hrsg. von J. Grondin, Mohr, Tbin-
gen 1997, pp. 285-288.
170 forum
Fu in seguito a questo colloquio che fui indirizzato ad approfondire la que-
stione del rapporto tra ermeneutica e verit, perch avevo compreso che Ga-
damer aveva voluto comunicarmi il suo debito nei confronti di Agostino. Per
questo ho posto come motto nel frontespizio del mio Ermeneutica e verit : 56

Veritas ubique praesides omnibus consulentibus te simulque respondes omnibus etiam


diversa consulentibus (Confessiones, x, 26, 37).


56 Cfr. G. Mura, Ermeneutica e verit. Storia e problemi della filosofia dellinterpretazione, Cit-
t Nuova, Roma 1990, 19972.
THE VA LUE OF M A NUA L WOR K
Mar ia Pia Chir inos Matthew B. Cr awfor d
Marco DAvenia

M atthew B. Crawford, ricercatore presso lInstitute for Advanced Stu-


dies in Culture dellUniversit della Virginia, un filosofo e uno stimato
meccanico, specializzato nella riparazione di motociclette. La riflessione filo-
sofica sul proprio lavoro lo ha portato a scrivere un saggio sul lavoro manuale 1

e la possibilit di raggiungere in esso la pienezza della vita umana. Sicuramen-


te unopera suggestiva, che pu essere letta da diverse angolature, come testi-
moniano i titoli delle traduzioni in lingua straniera. 2

Questo Forum, curato da Marco DAvenia, si articola in tre contributi : una

valutazione etico-antropologica scritta dal curatore del Forum, una riflessione


di Maria Pia Chirinos sul valore del lavoro manuale e un contributo dello stes-
so Matthew Crawford sul giudizio allinterno delle dinamiche interpersonali
nellmbito del lavoro manuale. 3

Pensare con le mani


Marco DAvenia 4

La tesi centrale del libro di Matthew Crawford che il lavoro manuale una
componente necessaria per comprendere ci che bene per luomo e per
realizzarlo. Se questo rimasto in ombra fino alla tarda modernit si deve a
unerrata distinzione tra pensare e fare, interpretata persino come separazio-
ne radicale e supportata nel tempo sia a livello di teoria che di prassi (sociale,
economica etc.). Al nocciolo di questo fraintendimento c una concezione

1 Shop Class as Soulcraft. An Inquiry into the Value of Work, The Penguin Press, New York
2009, pp. 246 ; edizione italiana : Il lavoro manuale come medicina dellanima. Perch tornare a

riparare le cose da s pu renderci felici, Mondadori, Milano 2010 ; ed. spagnola : Con las manos o

con la mente : sobre el valor de los trabajos manuales e intelectuales, Urano, Barcelona 2010)

2 Oltre ai titoli riportati nella nota precedente, si segnalano tra gli altri quelli delledizio-
ne francese : loge du carburateur : Essai sur le sens et la valeur du travail (La Dcouverte, Paris

2011) e tedesca : Ich schraube, also bin ich : Vom Glck, etwas mit den eigenen Hnden zu schaffen

(Ullstein, Berlin 2011).


3 I rimandi dei diversi contributi corrispondono sia al testo originale, sia alle traduzioni
rispettivamente spagnola e italiana (riferimenti riportati tra parentesi).
4 Pontificia Universit della Santa Croce, Facolt di Filosofia, Piazza SantApollinare 49,
00186 Roma ; e-mail : davenia@pusc.it

acta philosophica i, 21, 2012 pp. 171-184


172 forum
riduzionistica dellesperienza umana e del legame con la conoscenza teorica :

lesperienza del lavoro manuale non mai semplicemente quella dellosserva-


tore, piuttosto quella di un soggetto che attivamente interagisce con il mon-
do ; lesperienza, infatti, non si esaurisce nel semplice vedere e di conseguenza

non termina in una distaccata contemplazione, valorizza invece lintero spet-


tro di una sensibilit nella quale ha parte importante la componente tattile,
in particolare luso delle mani : 5 di questo aveva gi parlato Anassagora, che

concepiva le mani come strumento indispensabile per lacquisizione dellin-


telligenza (Aristotele aveva significativamente criticato Anassagora, soste-
nendo al contrario che le mani sono strumento a disposizione di un essere
originariamente intelligente). Stando cos le cose, senza lopportunit di impa-

rare con le mani, la realt rimarr astratta e distante, e la passione del sapere
non avr modo di svilupparsi . 6

Luomo che lavora, che interviene creativamente sul mondo, ne comprende


le possibilit virtuali di compimento allinterno dei vincoli imposti dalla realt ;

acquisisce modalit di giudizio adeguate a comprendere situazioni comples-


se, variabili e contingenti ; modifica le proprie attitudini e il proprio carattere,

nella misura in cui riconosce il giusto valore a ciascuna di queste componenti,


educando le proprie inclinazioni, la propria sensibilit e misurando su questo
insieme di fattori il proprio pensiero ; sviluppa la consapevolezza di s nella

continua interazione con gli altri individui con i quali collabora nel proprio
lavoro, instaurando relazioni di subordinazione, apprendistato o insegnamen-
to, colleganza, etc.
Allopposto di questa visione sono ovviamente le concezioni tayloristiche
del lavoro, nelle quali una ragione tecnicistica (che si autorappresenta come in
s sufficiente) elabora e applica modelli teorici per raggiungere efficacemente
gli obiettivi di comune utilit in vista della produzione. Di conseguenza, nel
lavoro manuale luomo si riduce a strumento allinterno di un sistema econo-
mico orientato al prodotto da realizzare. 7

Il lettore pu individuare facilmente nello svolgersi dellargomentazione un


armamentario teorico che attinge largamente alla tradizione aristotelica ma
non solo. Per inciso Aristotele, nella misura in cui concepiva il lavoro manuale

5Questo punto era gi stato rilevato tra gli altri, da Hans Jonas e da diversi esponenti
della fenomenologia. Recenti studi di neurofisiologia confortano questa tesi, mostrando
come proprio attraverso il tatto si acquisiscono o si completano essenzialmente esperienze
fondamentali, come ad esempio quella della causalit.
6 Shop Class as Soulcraft, p. 13 (Il lavoro manuale, p. 11) : ho modificato in parte la traduzio-

ne.
7 Beninteso, anche lui potr essere beneficiario del benessere al quale si orienta il siste-
ma, tuttavia il suo lavoro rimarr confinato a una dimensione estrinseca alla sua vita ; la

quale si esplicherebbe in maniera umana solamente al di fuori del lavoro stesso, nellm-
bito di un tempo libero che pura liberazione dal lavoro.
forum 173
come inevitabilmente legato ai bisogni animali delluomo, lo aveva affidato alla
condizione inferiore dello schiavo, mentre la vera perfezione sarebbe stata libe-
ra dal bisogno e identificata con la vita contemplativa. Accorciando la distanza
tra pensare e fare, facile comprendere che quello di Aristotele un pregiu-
dizio che si smonta criticamente con i suoi stessi strumenti. Pertanto, luomo
si realizza anche nel compimento di un lavoro manuale ; la stessa vita intellet-

tuale essa pure una forma di lavoro. 8 Ancora di pi, il lavoro manuale una

forma di contemplazione nellazione, nella quale emergono e si precisano for-


me simboliche immaginative che innescano e incanalano inclinazioni, passio-
ni, desideri e che qualificano le relazioni interpersonali della vita quotidiana. 9

Vorrei soffermarmi in breve sul tipo particolare di lavoro manuale che Craw-
ford considera nel suo saggio, cio quello del meccanico, per dar ragione del
titolo originario del saggio e indicare quella che (a mio parere) ne costituisce
la suggestione pi originale. Il meccanico (primariamente) non crea bens ri-
crea : si inserisce nella dimensione della conservazione fedele. Le sue mani non

solamente trasformano ma riparano. La natura non viene solamente amplia-


ta dalla techne umana 10 ma esige anche di essere riparata, di essere conti-

nuamente rimessa a nuovo : il meccanico affidabile sa misurarsi con una


creazione danneggiata, forse per qualche aspetto in maniera irrimediabile.

8 Su questo si veda il fondamentale volume di A.D. Sertillanges, Il lavoro intellettuale,


Studium, Roma 1998.
9 Ogni artefatto costruito e si comprende allinterno di una visione simbolica, unim-
magine concreta del proprio valore, dellintenzione di chi lha realizzato e del contesto
relazionale nel quale stato realizzato ; perch la pratica nella quale si realizza lartefat-

to e linterpretazione (individuale e condivisa) della vita buona che ne costituisce sempre


lorizzonte sono in continua sinergia. La dimensione simbolica consente poi di unificare
sia colui che inventa, progetta e dirige e chi collabora con lui ai diversi livelli del processo
di realizzazione. Un esempio lopera dei costruttori delle cattedrali medievali che con-
cepivano il loro compito come contributo alla Creazione e allo scopo della glorificazione
di Dio ; contributo magari nascosto, nondimeno autenticamente inventivo e pertanto mai

alienante (cfr. Jean Gimpel, I costruttori delle cattedrali, Jaca Book, Milano 1983). Un altro
esempio eloquente (che deve essere accuratamente distinto da diverse ambiguit) quello
della visione condivisa della realizzazione di oggetti funzionali ed esteticamente perfetti
che anima ogni componente di quella particolare azienda che la Apple di Steve Jobs e che
da senso ai compiti anche pi prosaici, come si evince in molti passi della recente biografia
di Walter Isaacson, Steve Jobs, Mondadori 2011 (in questottica interessante il paragone
con la Microsoft di Bill Gates. Ma si potrebbe parlare anche di altre attivit con un brand
qualificante. Allinterno di questa concezione, il lavoro viene innalzato a un livello superio-
re, che definirei con il termine di professione (termine che pu sembrare forte se applica-
to per esempio al lavoro di un operaio, di una casalinga o di uno spazzino) Ma tutto questo
richiederebbe una dettagliata argomentazione che non si pu dare in uno spazio cos breve ;

lascio questa nota come semplice suggestione.


10 larte che imita la natura ed esiste per aiutarla e colmarne le deficienze (Aristo-

tele, Protrettico, xi)


174 forum
Proprio nel misurarsi con un oggetto danneggiato si definisce la sua abilit
e creativit : egli deve essere attento, capace di leggere la situazione, paziente

nellaffrontarla e nellaccettare di strappare creativamente qualcosa a un limi-


te con il quale deve sempre, inevitabilmente fare i conti.
Attraverso la propria esperienza, il meccanico svela una dimensione propria
(non esclusiva certo ma imprescindibile) di ogni altro lavoro, quella dellaccet-
tazione del limite, di un difetto certe volte incolmabile. E questa consapevo-
lezza riverbera anche nellopera di miglioramento della propria personalit e
del proprio carattere : nellaccettazione e la negoziazione del limite, luomo

ripara continuamente se stesso e le sue relazioni con gli altri. 11 Chi realizza

un lavoro manuale (e chi realizza ogni lavoro per quello che lo definisce tale)
si prende cura di esso, di s, degli altri. Serve, con volont attiva e appassio-
nata. In questo senso preciso, il lavoro medicina per lanima e fonte di ri-
creazione ; compimento creativo che si completa necessariamente nel riposo

che gli si accompagna. Insomma, una felicit che consegue a riparare le cose
e a riparare se stessi e gli altri.
Ci si pu quindi domandare che mondo sia quello ove la natura e gli uomi-
ni in relazione esistono in questa modalit radicalmente contingente. Ma qui
siamo gi ampiamente e consapevolmente oltre Il lavoro manuale.

Juicios y prejuicios en torno al trabajo manual


Mara Pa Chirinos Montalbetti 12

No es casual el inters por un tema tan poco filosfico como el trabajo manual
en este comienzo del s. xxi con ttulos como el de Matthew Crawford. Tam-
poco lo es la conmemoracin en 2011 del centenario de la obra de Frederick
Taylor, The Principles of Scientific Management y sus tesis sobre el trabajo en
cadena. En efecto, desde hace 100 aos, el trabajador manual o blue-collar em-
pez a ser sinnimo de rutina, de ausencia de conocimiento, y su trabajo fue
disminuyendo en valor humano o social. La filosofa no vio en estas tesis espe-
cial dificultad. Botn de muestra, una obra de especial sabor aristotlico : The

Human Condition de Hannah Arendt. Si a esto se une el feminismo de Betty


Friedan, con sus crticas a la mujer en el hogar, entonces la segunda mitad del
s. xx refleja la cada del trabajo manual en el ms hondo desprestigio.

11 A dover esser riparato certe volte deve essere lo stesso lavoro. unillusione pensare
che il lavoro, specialmente quello dipendente, corrisponda sempre ai talenti e alle aspirazio-
ni di chi deve svolgerlo. Spesso necessit familiari o condizioni indipendenti dalla propria
volont oppure conseguenti a scelte sbagliate richiedono di modificare, almeno in parte, la
visione che d senso alla propria opera. Allo stesso tempo per si deve operare per cambiare
questa situazione.
12 Universidad de Piura, Facultad de Humanidades, Av. Ramn Mugica 131, Urb. San
Eduardo, Piura (Per) ; e-mail : mariapia.chirinos@udep.pe

forum 175
Sin embargo, la obra de Crawford nos ayuda a superar estas posiciones. En
primer lugar y frente a las de Taylor, Arendt y Friedan, se propone descubrir
la riqueza intrnseca del trabajo manual, tanto cognitiva como social, sin
olvidar su atractivo psicolgico ms amplio. 13 Riqueza que revela una rela-

cin directa (no inversa ni excluyente) entre trabajo y antropologa, y ms en


concreto entre trabajo manual y ser humano con todas sus notas : racionali-

dad, libertad, corporeidad, etc. Por eso, en estas lneas afrontar tres frecuen-
tes prejuicios sobre este trabajo : su irracionalidad, su monotona y su escasa

relevancia humana y social.


Desafiando la irracionalidad La conocida dicotoma entre white-collar y
blue-collar no hizo ms que reflejar la antigua separacin entre accin y pro-
duccin, y una ms moderna que contrapone lo mental a lo manual. 14 Por

debajo persiste una separacin menos sospechosa, pero ms insidiosa : la di-

cotoma cartesiana entre sensible y racional, con su ego abstracto. Por eso,
para desafiar la irracionalidad, la batalla hay que plantearla mucho antes : en la

relacin entre sensibilidad y racionalidad.


Empecemos por un asombro : la escasa atencin de la filosofa al sentido del

tacto. En efecto, lejos de ser secundario respecto a la vista y al odo, el tacto


en su materialidad comparte con la razn algo de su universalidad. Ya lo
deca un filsofo nada sospechoso de materialismo como Toms de Aquino :

adems de ser el fundante de los dems sentidos, el tacto es el que mejor re-
fleja la realidad corpreo-espiritual humana. El tacto no se encuentra unido
a un rgano determinado sino que se halla en todo el cuerpo, a travs de la
sensibilidad de la piel ; a diferencia del resto de sentidos, su objeto se encuen-

tra entre varios pares de contrarios : fro-calor, hmedo-seco, suave-duro, etc.


Esta apertura a opuestos lo asemeja a la infinitud del alma, abierta tambin a


todas las cosas. Por esto, tambin Toms nos sorprende con una audaz afir-
macin : entre los mismos hombres, aqullos que tienen mejor tacto, son lo

ms inteligentes.
Del tacto a la razn parece haber un paso, pero puede ser un paso en falso
si la razn encubre el ego desencarnado del dualismo cartesiano. Fernando
Inciarte, nos brinda algunas tesis para desmantelarlo partiendo de un dato de
experiencia : las acciones como la nutricin que tanto las plantas y animales

como los hombres comparten. Detengmonos en la nutricin, que se sirve


de rganos especficos para el intercambio con el ambiente. Las plantas se
nutren con las races, los animales con el pico, el hocico o con rganos an-
logos ; el hombre, con la boca y un aparato digestivo nico. Otro ejemplo es

el movimiento local, propio de animales y del hombre : ste utiliza sus pies,

mientras que aqullos despliegan una mayor diversidad corporal (las patas de

13 Shop Class as Soulcraft, p. 27 (Con las manos o con la mente, p. 38).


14 Ibidem, p. 25 (p. 31).
176 forum
los animales terrestres, las alas de las aves, las aletas de muchos peces y otras
variedades difciles de distinguir en serpientes, moluscos, etc.). El alma, prin-
cipio activo, se manifiesta en la funcin, pero para su realizacin concreta,
se sirve de rganos corporales, que, a diferencia de la funcin, son plurales y
particulares. Funcin y rganos se necesitan, como se exigen alma y cuerpo y
constituyen todo el ser viviente. Y las funciones ms bsicas en el hombre, an
en estado vegetativo, son asumidas por su alma racional : en el hombre sta vi-

vifica todos los rganos humanos y permite que distintas funciones corpreas
participen de esta racionalidad.
Qu aade la racionalidad al comer, al moverse, al conocer sensible ? Obvia-

mente, la dimensin universal propia y, con ella, la no determinacin de mu-


chos de sus actos corporales que los convierte en actos libres. La libertad no
es propiedad exclusiva del alma. Hay libertad y creatividad en las necesidades
corpreas y en su satisfaccin. Aparece una racionalidad diversa que da lugar
a un sentido de cultura ms amplio, menos intelectual, ms democrtico.
Entramos en el terreno de la razn prctica.
Desafiando la monotona Es ya casi un tpico, por un lado, la identificacin
de lo repetitivo o montono con el mbito de lo mecnico e irracional, y, por
otro, de lo creativo y libre con el arte y el genio. Tcnica y arte, que en el mun-
do griego eran sinnimos, con la modernidad comenzaron caminos distintos,
hoy antagnicos : el progreso tcnico reemplaz a la monotona y la razn

terica pas a ser considerada como si fuera la totalidad del saber [sin tener]

en cuenta en absoluto la corporeidad y la voluntariedad . 15

Sin embargo, ya Martin Heidegger sali en defensa la razn prctica : el

mejor modo de conocer un martillo no es contemplarlo sino agarrarlo del


mango para golpear el clavo martillando. Pensar no es una prerrogativa ex-
clusiva de la abstraccin : tambin lo es del hacer y concretamente de lo que ya

Aristteles denomina razn prctica. Cul es la caracterstica de esta razn ?

Referirse no a lo universal y necesario, sino a lo particular y contingente y,


sobre todo, su naturaleza correctiva : la recta razn es corregible y corregida,

y, por eso, conoce tambin en el error y en el hacer repetitivo hasta dar con
el blanco. Mientras la teora se refiere a la verdad o a la falsedad del juicio, la
razn prctica busca esa verdad en el mismo hacer, sin reglas, 16 y la repeticin

no es contraria a esta racionalidad.


El nuevo feminismo lo ha visto tambin. La vida cotidiana muchas veces se
entiende como gris y rutinaria. Sin embargo, quienes esto afirman han tenido
un contacto falso con esta realidad porque la entienden como una especie de
camisa de fuerza que coacciona nuestras vidas. No es as. La rutina disciplina-
da es un valioso requisito para todo trabajo : incluso aquellas acciones cotidia-

nas repetidas por placer (el trato con los vecinos, or la misma msica, comer

15 Ibidem, p. 163 (p. 173). 16 Ibidem, p. 165 (p. 175).


forum 177
platos conocidos, etc.) ordenan nuestra subjetividad, la enriquecen y ponen
las bases para un sentimiento subconsciente de autonoma y control. Muchas
veces su valor recin se descubre cuando no pueden llevarse a cabo.
Desafiando el elitismo Pero respecto del trabajo manual quedan otros pre-
juicios tan antiguos como la filosofa clsica : quienes a ellos se dedican, repre-

sentan una existencia de segunda categora, porque no cultivan ni el espritu


ni las virtudes ms altas Y por eso, este prrafo pretende rebatir un elitismo
intelectual revalorizando la razn prctica y su hacer repetitivo. En efecto, a
veces, la repeticin se entiende como un movimiento en aparente vaco, pro-
pio de una tambin aparente e infructfera circularidad. Sin embargo, para Lo-
urdes Flamarique, la circularidad de la razn prctica es la propia de los prin-
cipios : cuando algo es evidente, entonces no es posible demostrarlo. Llega un

momento en que esa repeticin comienza a ser creativa. Por eso, no es una
simple repeticin : es una circularidad que crea hbitos. Pero qu hbitos ?

Por lo general, pensamos que la virtud intelectual y la virtud moral son


dos cosas muy distintas, pero yo creo que no es as , afirma Crawford. 17 Todo

trabajador, ms an si su quehacer es correctivo (el mecnico que descubre


un desperfecto para arreglarlo ; o el mdico que cura una enfermedad), nece-

sita hbitos cognoscitivos como la ciencia ; prcticos como el arte o tcnica ; e


incluso morales como la honradez y humildad. 18

Esta afirmacin contradice las tesis clsicas que recluyen al trabajador ma-
nual en el mbito de la oikia, identificndolo con el esclavo o la mujer. Segn
stas, ni el trabajo de la oikia es racional porque no es terico (no es ocio, sino
nec-ocio), ni es fuente de virtudes porque el mbito de stas es la polis donde se
vive la vida buena. Nos encontramos con un humanismo aristocrtico todava
presente en nuestra cultura post-marxista y neo-capitalista.
La propuesta de Crawford es precisamente superar esta dicotoma entre tra-
bajo manual y virtud, y abrir lo prctico-moral al mbito de lo prctico-poiti-
co. Con ello, la polis abandona su carcter de coto cerrado para las virtudes
y stas adquieren una funcin adverbial : acompaan la actividad laboral y

mantienen, sin confundirse con el trabajo, sus notas de hbitos operativos que
perfeccionan al sujeto en cuanto hombre o mujer. Un pescador, un carpintero,
un maestro pueden adquirir virtudes (o vicios) mientras trabajan y llegar a ser
buenos (o moralmente malos). Cae el elitismo que asociaba la plena humani-
zacin a la racionalidad abstracta en la ciudad y se establece un nuevo puente
entre, por un lado, la vida moral y poltica y, por otro, la actividad laboral y la
vida en la oikia que empieza a entenderse tambin como vida buena, es decir,
vida humana y libre.
Todo trabajo puede ser descrito como una actividad humana coherente que
requiere de ejercicios tcnicos y de la posesin de una sensibilidad y habili-

17 Ibidem, p. 106 (p. 95). 18 Ibidem, p. 100 (p. 110).


178 forum
dades propias para que ese trabajo, siguiendo a MacIntyre, adquiera bienes
internos. ste parece el quid : la capacidad de adquirir no slo bienes externos

(dinero, fama, etc.), sino principalmente bienes internos, tambin en forma de


hbitos. De ah que los hbitos intelectuales y morales no deban entenderse
como algo contrapuesto : aunque el ejercicio de la tcnica no asegure de suyo

el fin al que sta se dirige, porque su objetivo se abre a contrarios, s que nece-
sita de un poder racional prctico y moral que, sin confundirse, le conduzca a
adquirir bienes genuinamente buenos.
El trabajo manual as entendido fomenta actitudes ltimamente olvidadas :

reconoce los logros de otros que comparten el mismo oficio ; admite errores

en su quehacer para rectificarlos 19 y, al enfrentar al trabajador con la realidad,


hace difcil la excusa o la elaboracin de una falsa teora para justificar o en-
cubrir el fallo cometido al trabajar. Por esto, Crawford afirma que el trabajo
manual puede ser un buen camino para empezar a dudar del relativismo cul-
tural imperante, que slo admite un mundo subjetivo. 20 Es ms, el trabajo

entendido como oficio fomenta la fidelidad, porque el espritu del verdadero


artesano es mejorar su quehacer y buscar esos bienes intrnsecos al oficio, sin
ceder ante las dificultades.
Estas notas no son ajenas a los trabajos intelectuales que comparten, segn
la conocida expresin de MacIntyre, las notas de los oficios artesanales, porque
todo trabajo humano, tambin el que parece moverse en mbitos abstractos,
participa de nuestra condicin corprea : exige esfuerzo, produce cansancio,

se basa en actos repetitivos. La investigacin pura tiene mucho de esto : no es

una actividad propia de espritus, como bien lo sabe quien a ella se dedica. Tal
y como afirma MacIntyre, es, al igual que el trabajo manual, un craft.
Desafiando la negacin de la dimensin social Queda ahora pendiente pro-
fundizar en la relevancia social de los trabajos manuales y Crawford lo hace
atacando un punto muy conocido del marxismo, a saber, la alienacin del
trabajador que pierde su identidad cuando el fruto de su trabajo es vendido
por el capitalista. Pero su argumentacin es ciertamente original : si soy un

fabricador de sillas, qu voy a hacer con 100 de ellas ? Cmo puedo pretender

quedrmelas ? Mi intencin al fabricarlas es precisamente que se usen, que


ayuden a otros : eso es lo que completa o perfecciona mi trabajo, porque me


hace sentir que contribuyo al bien comn. 21

El carcter social del trabajo manual no es un aadido : es intrnseco a l, no


slo por esa relacin con el bien comn sino tambin por la que surge entre
quienes comparten el oficio. 22 Todo trabajador sabe que su quehacer se per-

fecciona cuando descubre su insercin en una comunidad de trabajadores que


comparten sus descubrimientos, sus repeticiones, sus fracasos. Adems, todo

19 Cfr. ibidem, pp. 203-205 (pp. 214-215). 20 Cfr. ibidem, p. 218 (p. 206).
21 Cfr. ibidem, pp. 186 (pp. 196-197). 22 Cfr. ibidem, pp. 207-208 (pp. 218-219).
forum 179
oficio despliega una cierta solidaridad manifestada en el tiempo. Con la comu-
nidad anterior : hay un aprecio por las tradiciones recibidas ; y con la comuni-

dad futura : entre los que pertenecen a mi oficio y contribuyen a mejorarlo,


surge una conciencia de crear cultura.


Acabo con una ltima mencin a un oficio, cuya dimensin social sea qui-
z la ms relevante : el que incide directamente en la familia. Frente a una

concepcin del hombre y de la mujer como seres racionales, autnomos e


independientes, recientes corrientes del feminismo abogan por una revolu-
cin social y de pensamiento para revalorizar el cuidado. En efecto, la tica
del cuidado se esfuerza por difundir el valor de trabajos principalmente ma-
nuales que se ocupan de nuestra frgil corporalidad : ah donde aparece una

carencia y nos referimos a carencias corporales y cotidianas , ah cabe una


respuesta no slo emocional sino tambin profesional, que acompae a la,
a veces fra, respuesta de la tcnica. En este contexto, el hogar y la casa, se
constituyen en fuente de humanizacin de todo ser humano, porque en ellos
se realiza un servicio directo a la persona en su dimensin corporal, cultural
e incluso espiritual.
Quedan en el tintero abundantes temas de investigacin en torno a esta rea-
lidad tan profundamente humana como el trabajo manual. Un primer intento
de valorizarlo deba enfrentarse con su escasa reputacin. La obra de Matthew
Crawford, positivamente acogida por la comunidad intelectual, aporta una
serie de juicios que rechazan no pocos prejuicios.

On the Who of Justificatory Norms


Matthew B. Crawford 23

According to a line of thought in Hegel, one knows oneself by ones deeds.


And deeds are inherently social : they come to be what they are only as they

are taken up by others. The problem of self-knowledge is in large part the


problem of how we can make ourselves intelligible to others through our ac-
tions, and thereby receive back a reflected view of ourselves.
The worry that guides this train of thought would seem to be a worry
about solipsism ; it is Hegels corrective to the exaggerated ideal of autonomy,

and the posited self-sufficiency of individual will, offered by Kant. In his re-
cent book on Hegel, Robert Pippin writes, You have not executed an inten-

tion successfully unless others attribute to you the deed and intention you
attribute to yourself . 24

23 University of Virginia, Institute for Advanced Studies in Culture, Watson Manor, 3


University Circe, Charlottesville, VA 22903 ; e-mail : iasc@virginia.edu

24 R. Pippin, Hegels Practical Philosophy : Rational Agency as Ethical Life, Cambridge Uni-

versity Press, Cambridge 2008, p. 173.


180 forum
The Hegelian account of agency elaborated by Pippin puts one in mind of
economics. In economics, when we speak of the value of something, we are
referring to an assignation of worth that must be shared in order to be deter-
minate. This is what it means for something to have a price. This resemblance
is suggestive, and I believe it may be fruitful to bring the Hegelian train of
thought to bear on one area in economics in particular : pay for services ren-

dered. Doing so sheds light on the ethics of a microeconomic exchange, but


also reveals difficulties with the Hegelian account.
Consider the case of a motorcycle mechanic. In handing a labor bill to a
customer, I make a claim for the value of what I have done, and put it to him
in the most direct way possible. I have to steel myself for this moment ; it feels

like a confrontation. The point of having a posted labor rate, and hours billed
in tenths on the service ticket, is to create the impression of calculation, and
appeal to the authority of an institution with established rules. But this is a
thin and fragile pretense observed by me and my customer (it is hard to pose
as an institution when you run a one-man operation), and in fact the bill I
present is never a straightforward account of hours worked. It always involves
a prior dialectic in which I try to put myself in the shoes of the other and
imagine what he might find reasonable.
This lack of straightforward determinateness in valuing the work is due to
the fact the work is subject to chance and mishap, as well as many diagnostic
obscurities. Like medicine, it is what Aristotle calls a stochastic art. Especial-
ly when working on older bikes, in trying to solve one problem, I may create
another. How should I bill for work done to solve a problem of my own mak-
ing ? Should I attribute this new problem to chance, or to a culpable lack of

foresight on my part ? This question has to be answered when I write the ser-

vice ticket, and in doing so I find that I compose little justificatory narratives.
When a customer comes to pick up his bike, I usually go over the work with
him in detail, and I often find myself delaying the presentation of the dollar
amount, because I fear that my valuation isnt justified. But all my fretting
about the bill has to get condensed into a definite assertion on my own behalf.
Whatever conversation may ensue, in the end the work achieves a valuation
that is determinate : a certain amount of money changes hands. As he loads

his bike onto the back of a pickup truck, I want to feel that the customer feels
he has gotten a square deal ; I want to come away feeling justified in the claim

I made for the value of what I did.


Here, in a microeconomic exchange, lies the kernel of ethics altogether,
perhaps. In presenting the labor bill, I am owning my actions. I am standing
behind them retrospectively. And this requires making my actions intelligible
to the customer. The Hegelian suggestion seems true to me namely, that it
is in the confrontation between the self and the world beyond ones skull that
one acquires a sharpened picture of each, under the sign of responsibility.
forum 181
As Pippin writes, what distinguishes human acts from mere events, and
from animal doings, is that we are concerned with justification. Our deeds
dont simply enact our desires. Rather, in acting we make a tacit normative
claim for ourselves for the legitimacy of the act, and indeed the worthiness
of its end. 25 Crucially, Hegel (following Fichte) suggests that this normative

moment arises in a certain kind of encounter with another person : it occurs

only if I am challenged by another, or anticipate being challenged by another,


who doesnt merely stand in my way as an impediment, but rejects my claim.
It is in rising to this challenge that one becomes a reflexive being, adopting an
evaluative stance toward ones own ends or desires. This is a necessary con-
dition for me to be able to own my deeds ; for me to be able to stand behind

them and identify with them as my own.


Work, then, is a mode of acting in the world that carries the possibility of
justification through pay. When the claim I make for the value of what I have
done prevails in a meeting with another free agent, and I succeed in getting
paid, I take this as a validation of my own take on my doings. 26 The absence of

such experiences may help us to understand why the long-term unemployed


often suffer self-doubt, as do the idle adult children of wealthy parents.
But consider also that this validation through pay is a function of the pre-
vailing political economy. As Talbot Brewer put it to me in conversation, the
politico-economic regime may reflect back a distorted view of oneself. It may
confer an inflated salary and corollary self-regard on some professions while
placing a slight value on others, being indifferent or oblivious to the excel-
lences these latter demand of their practitioners. 27 Because we are social crea-

tures and refer ourselves to others for justification, such obliviousness in the

25 Charles Taylor has emphasized this latter issue of distinctions of worth (taking up
Harry Frankfurts distinction of first and second-order desires) as being the crux of dis-
tinctly human agency (Philosophical Papers, vol. 1 : Human Agency and Language).

26 But note that, even in a free market, my customer and I do not come to the exchange
on a footing of equality ; I have superior information. This asymmetry tempts me to be dis-

honest. Only to the extent I resist this temptation can I take the customers payment of the
full bill as validation of the claim I have made for myself. Even if I am completely honest,
however, this satisfaction is of a lower order than, or at any rate different from, that which I
would receive from another mechanic who recognizes the work as being well done.
27
The salaries of corporate CEOs might seem preposterous to an un-acculturated visi-
tor from another planet who looks only at the daily activities of said CEOs and assesses
their demands. Having had a chance to read the newspaper and watch CNBC, however, the
visitor would learn that the pay structure is girded about with a justificatory framework
that renders it right and proper in the minds of its participants. Such justifications are ut-
tered in the most responsible-sounding language of public reason (though with a curious
Austrian accent) - the language of the neoliberal consensus that posits the existence of a
mysterious quality called executive talent, which the labor market is able to discern and
price appropriately.
182 forum
larger society may infect a mans own experience in such a way as to make it
illegible to himself.
Every regime has such blind spots and exaggerated valuations with regard
to the range of human possibilities. They have a political character to them,
shaping souls and forming the young in the image of the regime. Imagine
a high-achieving university student who understands that he is supposed to
want to be an investment banker, but is left cold by the picture of his future
that comes into view when he imagines such a life. He would really rather be
building houses, having gotten a taste of that life while working in construc-
tion one summer. But he finds it difficult to articulate what he finds valuable
about this activity and to justify it as a choice of livelihood in the terms pre-
vailing in the public discourse, or the expectations of his social milieu. So he
brackets as best he can these unsanctioned intimations of what a good life for
himself would look like, and with the help of a little medication they whither,
like a limb that has been tied off to prevent an infection from spreading.
On the Hegelian position explicated by Pippin, there would seem to be little
room for dissent from the mainstream. To be an agent in the full-fledged sense
is to be well-adjusted to social norms, because these provide the only possible
justificatory framework for ones deeds. Absent the public framework, one is at
sea without a compass or keel, listing badly toward fantasy. The fate especially
to be avoided is that of Don Quixote, who takes himself to be a knight engaged
in acts of chivalry but inhabits a social world in which such roles and deeds
are not possible. That is, they are not recognized ; not intelligible to others.

One can take due notice of the conformist tendencies of this line of thought,
even while affirming Hegels central insight into the social character of genu-
ine agency (and corollary worry about solipsism).
The question I would like to pose is this : to whom does one look for a check

on ones own subjective take ? To the public, or to the competent within some

concrete community of practice ? There are many such communities, corre-


sponding to diverse niche-ecologies of human excellence, while the public is


undifferentiated blob. Some of these niches correspond to occupations. 28

28 Some readers may recognize here an echo of the famous quarrel between Alexandre
Kojeve and Leo Strauss. One point at issue in that quarrel was the question, how does the
philosopher know he is not insane ? He spends his time huddling with a few choice inter-

locutors, and it certainly feels to them like they are making progress in understanding ; see-

ing through the illusions that everyone else suffers, etc. But how do they know it isnt some
crazy little sect that they have formed ? Kojeve says, essentially, that the philosopher has to

make his thought actual in the world so that it achieves a kind of facticity, an intersubjec-
tive certainty. The problem, Strauss says, is that this is what tempts the intellectual to ally
with the tyrant, so he can put his theory into effect and see it realized in history ; see it vali-

dated. Strauss suggests that this is why intellectuals get involved with politics more gener-
ally -- its usually an attempt to rationalize everything. He showed the tyrannical tendencies
forum 183
For Hegel, the who with reference to whom one justifies ones actions
are those who are similarly habituated within a Sittlichkeit, a form of ethical
life that is historically constituted. In such a life world, deeds have a revelatory
power. They speak for themselves, and this is because they are addressed to,
or potentially taken up by, others who inhabit the same culture, within which
deeds have somewhat fixed meanings. Sacrificing a lamb is intelligible (as a
sacrifice rather than, say, as performance art) only if a whole set of cultural
enabling conditions are in place.
But this means that in times of cultural flux and aporia, when it is not clear
what our rules are, there is a basic difficulty for individual agency under-
stood socially, la Hegel (and I think this Hegelian understanding is basically
correct). One is thrown back into oneself, with little reference beyond the
movements of ones own will and solitary judgment.
Under such conditions, material practices that are oriented toward basic
utility take on special significance. Their meaning does not depend on fragile
cultural conditions and shifting articulations ; if we are dealing with concrete

stuff together, our actions are likely to achieve the mutual intelligibility that
is required for genuine agency. As Matthew Feeney put it to me in conversa-
tion, the nature that is providing for and vexing me is the same nature that is
providing for and vexing everyone.
Note that this is true of nature only in a trivial sense if the everyone is
not further specified in that case we are limited to such banalities as what
goes up must come down. Nature provides a meaningful ground for mutual
intelligibility only within a community of practice. Within such a community,
competence rests on an apprehension of real features of the world, as refract-
ed through some set of technological practices. These features may be easy
to grasp, as when a master plumber shows his apprentice that he has to vent
a drain pipe in a certain way so that sewage gases dont seep up through the
toilet and make a house stink. Or it may be something requiring discernment,
as when a better motorcyclist than I explains, from a riders point of view, why
it would be good to decrease the damping in the front suspension of his mo-
torcycle. There is a progressive character to these apprehensions something
about the world is coming into clearer view, and your own judgments are
becoming truer. Or rather, you are becoming more discerning, seeing things
about which you had no judgments previously. Getting outside your head in

of Kojeves position. But he didnt answer Kojeves point about the craziness problem, not
really. Here is my contribution : material practices, unlike disengaged theorizing, offer an

external check on craziness. With such a check in place, the intersubjective field of the phi-
losophers thought doesnt have to be on the largest scale the scale of politics -- in order to
ease the worry about sectarianism. Of course, mechanics are not generally philosophers.
But the problem of self-enclosure, or rather enclosure in little narcissistic echo chambers
of opinion, is a problem for all of us, not just theoreticians.
184 forum
this way, you have the experience of joining a world that is independent of
your self, usually with the help of another person who is further along.
The epistemology of a skilled practice is, I think, intimately bound up with
the visceral concern for excellence that comes with being initiated into the
skill, and a corollary contempt for the shoddy. Affect is joined to judgment,
and our perception becomes evaluative : the functional ends served by the

practice illuminate our activity, casting deep shadows wherever our perfor-
mance fails to live up to them. Usually these functional ends are graspable by
anyone ; they are public in that sense. But they may also be under-determin-

ing of the practice that realizes them, leaving room for a kind of freedom and
individuality in the practitioner.
A carpenter faces the accusation of his level. Such standards have a universal
validity. Yet the discriminations made by practitioners of an art respond also
to subtleties that may not be visible to the bystander. Only a fellow journey-
man is entitled to say nicely done. In doing the job nicely, the tradesman
puts his own stamp on it. His individuality is thus expressed in an activity that,
in answering to a shared world, connects him to others : the customers he

serves and other practitioners of his art, who are competent to recognize the
peculiar excellence of his work.
Such a sociable individuality contrasts both with the self-enclosure that is
implicit in the idea of autonomy, and with the evaporation of the individual
who lives under an imperative of publicity, internalizing the judgment of all
and sundry.
recensioni
Jean Grondin, Introduzione alla filosofia della religione, Queriniana, Brescia
2011, pp. 166 (tit. orig. La philosophie de la religion, puf, Paris 2009).
Il canadese Jean Grondin, noto in ambito internazionale per i suoi studi sullerme-
neutica e in particolare su Gadamer, ci offre unottima panoramica delle tematiche e
degli svolgimenti storici del pensiero filosofico sulla religione. Si tratta di una sintesi
divulgativa, apprezzabile per la chiarezza dellesposizione e per il tono ponderato ed
equilibrato dei giudizi, la cui lettura risulter indubbiamente utile a chi si appresta a
studiare come disciplina accademica la filosofia della religione.
Fin dai primordi della civilt greca, la religione ha interpellato il logos, il pensiero
razionale e discorsivo che si progressivamente configurato come filosofia, attivando
una riflessione critica sul significato della credenza nei miti e del culto degli di. Il
problema della religione non mai scomparso dallorizzonte filosofico, a cominciare
dalla questione stessa se sia corretto includere in un genere onnicomprensivo una
variet sterminata di forme religiose. Nellepoca moderna la filosofia e la scienza,
o forse sarebbe meglio dire il razionalismo e lo scientismo, hanno assunto un
atteggiamento prevalentemente ostile verso la religione, fino a generare movimenti
ideologici che hanno combattuto e combattono la religione come un fattore di di-
sumanizzazione alienante, da estirpare con le buone o con le cattive maniere per
spianare la strada alla felicit e al progresso.
Il paradosso stimolante per il filosofo contemporaneo, nel contesto di un sorpren-
dente e vivace revival del sacro che ha messo in crisi i teorici della secolarizzazione,
sta nel fatto che quando la filosofia o la scienza ritengono di poter decretare la fine
della religione, in realt per sostituirsi ad essa. Nota, infatti, acutamente Grondin
che la critica della religione fa parte della stessa esperienza religiosa : come la critica

filosofica del mito mirava a purificare la religione dallantropomorfismo, cos la cri-


tica biblica degli idoli mirava a proteggere il culto del vero Dio. Non c niente di

pi religioso della critica della religione. Ci vero anche delle critiche radicali della
religione : in esse la religione condannata solo perch si ha una concezione pi rigo-

rosa della salvezza che luomo pu sperare. Da tutto questo si pu trarre una lezione
importante per una filosofia della religione : si pu criticare la religione solo se si ha

qualcosa daltro da proporre, in certo qual modo una religione migliore (p. 39).

Allo stesso modo i tentativi di spiegare la religione in termini funzionalisti (cio co-
me mera risposta a determinati bisogni umani, da quello di spiegare i grandi feno-
meni naturali, o di giustificare la legge morale o lordine politico, a quello di calmare
le angosce esistenziali, ecc.) non sfuggono ad una visione essenzialista : dire della

religione che essa questo o quello, significa esprimersi sulla sua essenza, su ci che
essa nel suo nucleo profondo che si pretende di decifrare una volta per tutte. Nessu-
no quindi sfugge a un approccio essenzialista, a una riflessione su ci che costituisce
specificamente la religione, quale che ne sia lincommensurabile variet (p. 41). La

filosofia della religione mira innanzitutto, afferma Grondin, a rispondere alla do-

manda pi elementare : Di che cosa si parla, quando si tratta di religione ? Che cos

acta philosophica i, 21, 2012 pp. 187-202


188 recensioni
che si mantiene nel fenomeno religioso attraverso tutte le sue metamorfosi ? (p. 34).

I due poli tra cui oscilla il religioso, sostiene lo studioso canadese, sono il culto e la
credenza. Nelle religioni antiche, profondamente segnate dal carattere etnico o civi-
le, prevaleva la dimensione cultuale, con i grandi riti di passaggio che scandivano la
vita sociale ; nelle religioni moderne prevale il credere, la fede. Ma chiaro che i due

poli sono sempre compresenti, per cui Grondin ritiene che si possa indicare il carat-
tere di culto credente come elemento essenziale della religione.
Merita di essere evidenziata unosservazione preliminare dello studioso canadese :

quando ci si riferisce alla filosofia della religione, normalmente si interpreta la speci-


ficazione della religione come un genitivo oggettivo, intendendo la religione come
oggetto della riflessione filosofica. Ma si pu dare al genitivo un valore soggettivo,
per indicare la presenza di una filosofia allinterno della religione : forse c qual-

che cosa come una filosofia che appartiene alla religione stessa, una via della saggezza,
se si vuole, tale che la filosofia, nella sua ricerca specifica di saggezza ( il senso del
termine philo-sopha) non pu non disdegnare e dalla quale essa ha delle cose da im-
parare : e se per caso ci fosse pi saggezza nella religione che nella filosofia stessa ?

(p. 9).
Questo richiamo di Grondin risulta quanto mai opportuno in unepoca che tende
ad estromettere dalla religione la dimensione veritativa. Per alcuni pensatori post-
moderni la religione sarebbe principalmente questione di sentimenti, di inclinazio-
ni, di gusti, ecc. Anche di credenze, ovvio, ma senza un fondamento razionale.
Pertanto, come asseriva Rorty qualche anno fa, alla religione non si dovrebbe con-
cedere alcun ruolo epistemico (cfr. R. Rorty - G. Vattimo, Il futuro della religione.
Solidariet, carit, ironia, a cura di S. Zabala, Garzanti, Milano 2005) : solo la scienza

pu offrire risposte affidabili, dichiarava il filosofo statunitense, mentre la religione


ha una funzione meramente psicologica, di tipo consolatorio. La religione sarebbe
un po come la musica, spiegava Rorty : a chi non la gradisce nessuno pu pretende-

re di imporla in forza di qualche ragione. La religione, pertanto, dovrebbe restare


confinata negli spazi privati della soggettivit individuale, senza poter interferire in
quelli pubblici della legislazione, dellorganizzazione politica e sociale, ecc.
Giustamente Grondin chiarisce che lorizzonte di pensiero che vede nella religio-

ne una costruzione culturale che si aggiunge a una realt che solo la scienza fisica
sarebbe in grado di conoscere, quello del nominalismo (p. 14). Per Occam esisto-

no solo gli individui, mentre le essenze sono puri nomi creati dalla mente umana,
da recidere con il famoso rasoio. Abbastanza ironicamente, in un primo tempo il

suo motivo fu teologico : egli riteneva che lonnipotenza di Dio, della quale il tardo

Medioevo aveva una viva coscienza, appariva incompatibile con un ordine eterno di
essenze che lavrebbe in qualche modo limitata. Se Dio onnipotente, pu in ogni
momento sconvolgere lordine delle essenze, fare in modo che luomo possa volare
o che le piante di limone producano mele (p. 16). Lironia risiede nel fatto che la ne-

gazione della possibilit di cogliere luniversale riduce il sapere a quello puramente


empirico, talch loccamismo, invece di liberare la religione dalla gabbia delle cate-
gorie metafisiche, finisce per indebolirla come mera esperienza, come mera creazio-
ne mentale. ovvio che questo nominalismo risulta particolarmente rovinoso per

la religione stessa e la sua giusta comprensione. una verit lapalissiana dire che le
recensioni 189
realt della religione lesistenza della divinit, per esempio devono far problema
in un quadro nominalistico : Dio esiste come esistono una mela o una formica ? Cer-

tamente no. Dio, quindi, per una certa modernit non esiste, o esiste solo a titolo di
superstizione inventata dal cervello umano (p. 17).

Nel nominalismo tardomedievale era assente la critica radicale della religione che
contraddistingue la cosiddetta modernit. Tuttavia in embrione o in radice, come
ben mostra Grondin, lantiessenzialismo nominalista di Occam e Buridano pose la
premessa da cui partita una linea di pensiero che con irresistibile coerenza ha con-
dotto allagnosticismo empirista e illuminista (cfr. p. 119) e poi allateismo nichilista.
Descartes, Spinoza, Hume costituiscono le prime tappe del processo di separazione
tra religione e filosofia, ma la svolta decisiva, secondo lo studioso canadese, si realizza
con il pensiero di Kant, al di l delle sue intenzioni. Da un lato la negazione di una
conoscenza metafisica del sopra-sensibile ha indebolito la religione di fronte alla
scienza : Kant apre cos, che lo volesse o meno, let positivistica durante la quale

tutto ci che rientra nella metafisica o nella religione screditato come superstizio-
ne, nel nome della scienza (p. 131). Dallaltro, la sua svalutazione del culto e la ridu-

zione della religione a una sorta di complemento della morale inaugura la possibilit
di unetica senza religione : se la ragione umana la sola responsabile dellagire

umano, luomo potr costituire un fine in se stesso. Lumanesimo che ne scaturisce


tender sempre pi a sostituire la religione nelle societ dette moderne o secolarizza-
te (ibidem). Non c da sorprendersi nel constatare che gli autori suindicati siano stati

accusati di ateismo dai loro contemporanei : accusa che quasi tutti hanno sdegnosa-

mente respinto, magari rivendicando per s una religiosit pi genuina di quella tra-
dizionale, proprio perch contenuta nei limiti della ragione.
Gli eredi immediati del pensiero illuminista-idealista hanno rifiutato questa reli-
gione razionale, smascherandola come mero residuo illusorio. Feuerbach, Marx e

Nietzsche, senza dimenticare Freud e la sua denuncia della religione come forma di
nevrosi collettiva, sono i grandi maestri del sospetto, il cui impatto sulla filosofia della
religione rimane enorme. Il loro motivo duplice : a) la critica della religione come

forma di alienazione condotta innanzitutto nel nome di un ideale di autonomia deri-


vato dai Lumi e da Kant (ma osserviamo lironia : mentre per Kant questa autonomia

ci imparentava ancora al creatore divino, essa per i suoi eredi sar ci che ci inciter a
fare a meno di lui) ; b) essa altrettanto fortemente ispirata dal positivismo circostante,

elaborato da Comte con la sua distinzione degli stadi religioso, metafisico e positivo
dellumanit : secondo lui, solo la scienza pu pronunciarsi in maniera autorizzata sul

reale, ma anche sulla religione stessa, la quale pu essere trattata come una forma di
patologia. E allora la morte prossima della religione pu essere proclamata come una
certezza filosofica. La sua sopravvivenza non pu essere spiegata se non in termini
sociologici o psicologici. Pi recentemente alcuni specialisti delle scienze cognitive
hanno anche voluto vedere nel sentimento religioso leffetto di un gene particolare o
di unillusione prodotta chimicamente dal nostro cervello (p. 142).

Secondo Grondin, prima Levinas, con il suo peculiare recupero delle radici religio-
se delletica, e poi Heidegger, con lappello ad un nuova intelligenza dellessere, han-
no contribuito in modo determinante a una riabilitazione delle tematiche religiose
nel dibattito filosofico. Grondin minimizza al riguardo linflusso della fenomenologia
190 recensioni
husserliana : se la religione pu essere considerata un fenomeno, i suoi oggetti e le sue

espressioni sono sospette e relativamente poco trattate dai grandi fenomenologi della
prima generazione (p. 143). Forse questaffermazione andrebbe un po sfumata, con

un riferimento al pensiero di Max Scheler e di Edith Stein, e alla vasta ricerca storica
di alcuni fenomenologi della religione (van der Leeuw, Eliade, Widengren e altri).
Agli occhi di Grondin, Heidegger ha diagnosticato acutamente la deriva nichilista
del pensiero calcolante che nasce dal nominalismo dimentico dellessere. La gran-

dezza di Heidegger sta nellaver riconosciuto questa aporia del nichilismo, scaturito
dal nominalismo. [] Solo una diversa intelligenza dellessere pu ancora salvarci, ed
da essa che dipenderebbe la questione del sacro, del senso o del divino. Ma Heideg-
ger non pretende di elaborare lui stesso questa concezione. Avventista a modo suo,
egli spera soltanto di disporre il pensiero al suo possibile avvento (p. 148). Grondin

obietta giustamente che nella storia delloblio dellessere non si pu includere la me-
tafisica platonica. Lasciando da parte la discussione sulla matrice teologico-religio-
sa del pensiero heideggeriano, mi permetto di aggiungere che anche la concezione
dellatto intensivo di essere elaborata da san Tommaso dAquino si sottrae manifesta-
mente allaccusa heideggeriana che attribuisce in blocco alla metafisica occidentale
lincapacit di pensare la differenza ontologica fra ente ed essere. LIpsum Esse sub-
sistens dellAquinate non ha nulla a che vedere con lente sommo a cui perverrebbe,
secondo Heidegger, la concezione occidentale dellessere.
In conclusione, Grondin afferma che non si d religione, rigorosamente compre-

sa, senza filosofia . Laffermazione non deve far pensare a un assorbimento o a una

subordinazione della religione da parte della filosofia. Per il filosofo canadese filosofia
e religione devono mantenersi in un rapporto di reciproca e feconda complementa-
riet, distinguendo e rispettando lindole peculiare di ciascuna delle due istanze. La
religione stimola la ricerca filosofica e la preserva dal rischio di cadere in un raziona-
lismo riduttivo, perch ci sono pi cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni
la tua filosofia, come scrive Shakespeare nellAmleto. La filosofia trattiene la religione
dalle suggestioni irrazionali della superstizione, come pure dalla funesta intolleranza
dei fondamentalismi. una tesi che riflette bene linsegnamento del Beato Giovan-
ni Paolo II sullaiuto scambievole che sono chiamate a prestarsi la fede e la ragione :

esercitando luna per laltra una funzione sia di vaglio critico e purificatore, sia di

stimolo a progredire nella ricerca e nellapprofondimento (Fides et ratio, n. 100).


Marco Porta

Karl Jaspers, Il male radicale in Kant, a cura di Roberto Celada Ballanti, [ Il

Pellicano Rosso , n. 124], Morcelliana, Brescia 2011, pp. 88.


K
ant, dopo aver avuto bisogno di una lunga vita umana per ripulire il suo mantel-

lo filosofico dai numerosi pregiudizi che linsudiciavano, lo ha ignominiosamente im-


brattato con la macchia vergognosa del male radicale affinch anche i cristiani siano
allettati a baciarne il lembo . Con queste sarcastiche parole Goethe liquidava lope-

ra di Kant La religione nei limiti della semplice ragione, pubblicata nel 1793, nella quale
giocava un ruolo fondamentale il problema del male radicale nella natura umana .

Evidentemente quel tema, nuovo per lo stesso Kant, doveva apparire allautore del
recensioni 191
Faust fin troppo simile alla dottrina cristiana del peccato originale, e dunque un vero
e proprio tradimento dello spirito dei Lumi.
In realt, nel suo sforzo di pensare la radice del male morale, Kant intendeva sot-
trarsi proprio a quellopposizione tra cristianesimo e humanitas a cui solo una razio-
nalit negligente potrebbe rassegnarsi, sforzandosi di cogliere al di l di ogni ingenuo
ottimismo il fondo tragico dellesistenza. quanto sostiene Karl Jaspers nel breve
saggio Il male radicale in Kant, scritto nel 1935 e recentemente tradotto in italiano da
Roberto Celada Ballanti, al quale si deve anche una limpida introduzione al testo.
Scrive Jaspers : In realt, Kant n si poneva nella prospettiva cristiana, dal momento

che pensava a partire da una posizione indipendente da ogni fede rivelata, n stava
senzaltro dalla parte di quello spirito umanistico, poich gett lo sguardo in un abis-
so che la forma di pensiero propria, quanto meno, dellumanesimo estetico solita
trascurare, o che il poeta evoca tra le possibilit umane con grandiosit estetica ma,
alla fine, non meno velandolo, in quanto inaccessibile a ogni rappresentazione

(pp. 4344).
Lesposizione del pensiero di Kant si articola in tre parti, in corrispondenza dei tre
interrogativi principali : 1. che cos il male radicale ? 2. Com possibile una liberazio-

ne da questo male ? 3. Che cosa significa il male radicale per la religione filosofica ?

1. La trattazione prende avvio dalla questione circa lessenza del male radicale.
Com noto, secondo Kant, vi nellessere umano non solo una predisposizione (An-
lage) al bene, ossia alladempimento della legge morale, ma anche una propensione
(Hang) al male, che lo spinge ad agire cercando di soddisfare i propri desideri egoisti-
ci. Si tratta di una tendenza , dunque di una condizione che, come Kant stesso dice,

intrecciata con la natura umana , ma non risiede nelle inclinazioni, negli impulsi,

nei bisogni di felicit in quanto tali, perch, se cos fosse, verrebbe a mancare il prin-
cipio della responsabilit, dellimputabilit dellagire. Il fondamento del male morale
appartiene piuttosto alla volont, senza tuttavia identificarsi con essa, altrimenti luo-
mo si trasformerebbe in un essere diabolico. Secondo Jaspers ci significa che il male
morale cos come il bene non per nulla un elemento dellesserci che si lasci

esaminare (p. 50) : non una forza o un oggetto che si possa raggiungere con un

qualsiasi sapere oggettivante (p. 54). Il male una possibilit della mia volont : esso

esiste perch esiste la libert. Solo un atto della volont pu essere il male.
Ma come si conciliano questi due aspetti apparentemente opposti ? Il male un at-

to libero, in quanto realt storica contingente e imputabile alluomo, ed al tempo


stesso una tendenza naturale o innata , che precede ogni uso della libert dato

nellesperienza. La soluzione di Kant consiste nellinterpretare questa inclinazione

al male come una distorsione dello stesso fondamento soggettivo delluso della

libert. Pi precisamente, si tratta di una subordinazione del movente universale al


movente particolare delle azioni, a causa della quale si giunge a dare alla propria vo-
lont di felicit la precedenza rispetto alla legge incondizionata che si mostra alla ra-
gione. Tale rovesciamento nellordine dei moventi accolto liberamente nel nostro
libero arbitrio, pertanto pu essere considerato un atto proprio delluomo. Ma da-

to che la tendenza che ne scaturisce corrompe alla radice il fondamento di ogni agire
morale, si pu comprendere come essa preceda ogni azione malvagia e possa quindi
essere detta naturale o innata .

192 recensioni
Questa la soluzione di Kant, ma a ben vedere essa non fa che rendere ancora pi
acuto il problema dellorigine ultima del male oltre che quello del suo superamento.
Innato nella natura umana e tuttavia liberamente assunto, anteriore ad ogni atto libero
e tuttavia non anteriore alla libert : nel gorgo di queste antitesi apparentemente sen-

za vie duscita che sprofonda la filosofia quando si confronta con lenigma del male
radicale, il fondo demonico della libert umana , come lo definir Paul Ricoeur. La

presenza del male pu essere rilevata a livello fenomenico, la sua essenza pu essere
indagata e descritta dal pensiero : ma il perch del fatto che possiamo fare il male, ossia

il perch di questa nostra libert rimane per noi ultimamente impenetrabile (uner-

forschlich), come Kant stesso costretto a riconoscere.


2. Se la ragion dessere del male inspiegabile, ancor pi incomprensibile la pos-
sibilit di un suo superamento, perch la sua radice non pu essere cancellata, come
scrive Kant, mediante forze umane . questo il secondo punto su cui si sofferma

il saggio di Jaspers. Una completa liberazione dal male appare impossibile alluomo,
perch ci potrebbe accadere solo grazie a buoni princpi, il che risulta impossibile

dal momento che il fondamento soggettivo supremo di tutti i princpi presupposto


come corrotto (pp. 5657). dunque necessario sorpassare tutti i nostri concetti ,

per comprendere come sia possibile che un uomo naturalmente cattivo si faccia

buono da se stesso (Kant), e nondimeno questa possibilit deve essere in qualche


modo ammessa per evitare che il fondamento stesso dellagire morale risulti privo
di senso.
Siamo giunti cos ad una conclusione doppiamente paradossale : linspiegabilit

del male, da un lato, e la sua inestirpabilit, dallaltro, mettono allo scoperto limpo-
tenza della ragione in ogni ambito dellesistenza, nel sapere cos come nellagire. In
particolare, qui la stessa libert dellesserci umano ad apparire limitata : non solo e

non tanto perch chiamata a conformarsi allimperativo morale (in questo consiste
infatti la sua dignit pi alta), quanto perch si scopre ferita , ossia incapace di ade-

guarsi con le sue sole forze allincondizionatezza di quel principio.


Come si vede, la posizione kantiana nello scritto sulla religione assai diversa da
quella delineata nella Critica della ragion pratica, dove la volont appariva del tutto
autonoma nelle sue possibilit di conformarsi allimperativo etico. Eppure, lungi dal
costituire un corpo estraneo nella riflessione di Kant (come pensavano Goethe,

Herder e Schiller), il tema del male radicale sinnesta nel nucleo pi profondo del suo
pensiero, che consiste, in ultima analisi, nella scoperta dei limiti (Grenzen) della ra-

gione. Jaspers al pari di altri pensatori del Novecento ha dunque il merito di porre
la questione del male al centro della filosofia trascendentale e di valorizzarla come
uno dei suoi pi essenziali enigmi (p. 64).

Per il filosofo dellesistenza, proprio lurto nel limite nel quale lesserci umano
scopre di non essere libero in forza di se stesso, ma di essere donato a se stesso nella
sua libert che consente a tale esserci di aprirsi a qualcosa che lo trascende, ossia
allorigine della sua libert, al ci da cui questa libert proviene. Si tratta di quella

totalit onnicomprensiva che nella sua inoggettivabile ulteriorit abbraccia e sostie-


ne tutti gli enti : ci che Jaspers chiama Trascendenza o das Umgreifende (questulti-

ma espressione destinata a segnare pi di ogni altra la riflessione del filosofo nelle


opere successive). In altri termini, come osserva Celada Ballanti : Se la libert locus
recensioni 193
revelationis, il luogo dove Dio parla , lo in quanto essa ha urtato contro i limiti,

inverandosi nel rapporto con la Trascendenza (p. 36).

3. Lesperienza del conflitto e della colpa dunque il punto in cui la libert finita
delluomo si illumina nella sua profondit autenticamente religiosa . Il male radi-

cale scrive Jaspers, affrontando il terzo interrogativo della sua indagine diviene il
punto in cui la religione di Kant si accende in tutta la sua autentica profondit (p.

68). infatti nello spazio aperto dallUmgreifende, in questo spazio del pensare vuoto
di ogni contenuto determinato, che sorge la religione kantiana : una religione essenzial-

mente filosofica , perch ricondotta entro i limiti della ragione , o meglio come

giustamente rileva il curatore ai limiti di una ragione attenta al richiamo della Tra-
scendenza (cfr. pp. 3435).
Certo, nella prospettiva jaspersiana, lincondizionato della ragione non pu essere
confuso con il Dio delle religioni storicopositive, che a suo avviso, annullando ogni
distanza tra lesserci umano e la Trascendenza, finiscono inevitabilmente col distrug-
gere ogni ulteriorit e ogni rinvio. Ed nota lintransigenza con la quale il filosofo di
Oldenburg ha distinto la fede filosofica (philosophische Glaube) dalla fede nella rive-

lazione (Offenbarungsglaube), come pure il suo impegno nel favorire il dialogo tra la

filosofia e la coscienza credente. Del resto, gi in Kant lo spazio di ulteriorit sembra


prefigurare in qualche modo il proprium della stessa trascendenza cristiana, quale po-
sitivamente rivelata nei testi biblici. E in tal senso in una celebre pagina di La religione
nei limiti della semplice ragione il grande filosofo parla della possibilit di una fede che
egli chiama riflettente (proprio per distinguerla dalla fede dogmatica che si spaccia

come un sapere e dunque appare insincera o presuntuosa).


In Jaspers lapertura al religioso va nella direzione della Liberalitt : lesistenza non

pu che avere a che fare, volta per volta, con delle determinazioni ; ma nessuna di es-

se pu essere fissata quale immutabile oggettivazione della Trascendenza (la qual cosa,
poi, sarebbe una contraddizione in termini). Le diverse tradizioni storiche (i miti, le
religioni, la stessa rivelazione cristiana) altro non sono che simboli (o cifre ) di una

rivelazione gi inscritta nella coscienza del singolo e che si configura come una libe-
ra decisione esistenziale. Nel momento in cui tale rivelazione pretendesse di valere
come lacquisizione in qualche modo definitiva di una verit universale, finirebbe col
tradire le proprie possibilit.
Ma possiamo chiederci proprio vero che ladesione a una parola assoluta non
pu che essere intesa come lassoluta e definitiva adeguazione della verit ? proprio

vero che la fede in una rivelazione annulla ogni spazio di ulteriorit ? La rivelazione

cristiana non forse la manifestazione di un senso che rimane, nellorizzonte del


tempo, sempre incompiuto ? Il filosofare scrive Jaspers trae origine dal silenzio di

fronte a ci che nascosto (p. 74). Anche il credente chiamato ad ascoltare questo

silenzio, ad infrangere tutti i simboli , come diceva Meister Eckhart, se vuole attin-

gere la dimensione pi autentica della propria esistenza.


Giovanni Zuanazzi
194 recensioni

Antonio Livi, Filosofia del senso comune. Logica della scienza e della fede, Leonar-
do da Vinci, Roma 2010, nuova edizione interamente elaborata, pp. 210.
Questa nuova edizione della Filosofia del senso comune (la prima risale al 1990) pre-
senta in maniera sistematica e approfondita la tesi di Antonio Livi sul ruolo fon-
damentale del senso comune nel sapere filosofico. Siamo davanti a unopera della
maturit in cui lautore, dopo anni di dibattiti, di docenza, di scambi di opinione, ma
anche di critiche, riesce ad esporre con chiarezza logica ed espositiva la tematica del
senso comune, nucleo forte del sapere e anello di congiunzione tra la conoscenza
ordinaria e la filosofia scientifica.
Esporre il contenuto e la forma logica del senso comune significa esplicitare la co-
noscenza metafisica esistenziale di base della persona tramite una riflessione critica
e unargomentazione dimostrativa, compito proprio della filosofia intesa non come
sapere spontaneo ma come una scienza rigorosa e superiore alle scienze partico-
lari. La filosofia si colloca in questo modo, per esprimerci in termini classici, tra lin-
tellectus e la ratio, in quanto cerca di sviscerare i contenuti dellintellectus tramite la
metodologia razionale caratteristica della filosofia. Il livello epistemologico di questo
trattato, secondo la terminologia di Livi, la logica aletica, cio una logica gnose-
ologica previa alla logica formale, capace di collegare il senso comune con la metafi-
sica. La logica aletica offre a questultima il nucleo teoretico fondamentale con cui si
pu procedere ad esaminare le diverse posizioni epistemologiche nonch a segnalare
la struttura essenziale della conoscenza umana nel suo valore di verit.
Il primo capitolo considera i diversi significati del termine senso comune nella storia
della filosofia. Talvolta esso venne utilizzato con unaccezione sociologica negativa
e cos fu ridotto ad una conoscenza pre-scientifica vaga e popolare. Nel campo del-
la filosofia della mente, ad esempio, Patricia Churchland parla di Folkpsychology per
riferirsi alla visione psicologica comune, di scarso valore e previa al sapere neuro-
scientifico. Questultimo verrebbe a sostituire e ad eliminare la psicologia popolare
(eliminativismo), cos come la credenza fenomenica del tramonto del sole venne
scavalcata dalla fisica. In altre versioni negative ancor pi radicali il senso comune
interpretato come uno strumento al servizio di posizioni ideologiche.
Ci sono versioni anche positive ma minimaliste del senso comune, qualora lo si ve-
da come semplice buon senso di valore pratico, senza rilevanza teoretica, o come
una sorta di intuizione o inclinazione estetica o morale comune a tutti gli uomi-
ni. Pi vicine alla posizione di Livi sono le idee dei filosofi del senso comune, quali
Pascal, Buffier, Vico, Reid, Jacobi, Hamilton, Balmes, Searle e altri, i quali hanno in-
terpretato il senso comune come unintuizione valida della realt esistenziale e come
una piattaforma fondante delle verit metafisiche, morali e religiose.
La tesi di Livi che il senso comune un insieme organico di evidenze primarie ap-
partenenti allesperienza originaria e metafisica di ogni persona umana, sempre presente
almeno in modo implicito, a titolo di presupposto fortissimo, anzi non eliminabile, di
ogni altra forma di sapere derivato, mediato oppure immediato ma pi particolare.
Ritengo che lenciclica del beato Giovanni Paolo II Fides et ratio nel suo n. 4 (parte
finale) contenga un cenno esplicito al senso comune, denominato in questo docu-
recensioni 195
mento filosofia implicita. Mi pare importante che per Livi il senso comune non sia
una lista di assiomi primari, bens ununit organica (non un sistema), nel senso
che ogni conoscenza dellesperienza ontologica primaria (sul mondo, su me stesso,
sui rapporti sociali, ecc.) sempre in collegamento con altre conoscenze dello stesso
tipo e costituisce in definitiva unesperienza vitale unitaria e flessibile, al punto che ogni
tentativo di separazione di una verit del senso comune rispetto alle altre (ad esem-
pio, separare lio dal mondo, la morale dalla realt esistenziale, la persona dalla vita,
ecc.) porta al suo snaturamento e genera uninfinit di pseudo-problemi metafisici.
Le conoscenze intellettive di base, ben pi ampie dei primi principi aristotelici,
costituiscono il fondamento ontologico veritativo di ogni sapere, in maniera direi
parallela alla funzione che Aristotele assegnava al principio di non contraddizione,
ma allargata ad altre conoscenze primarie, soprattutto di carattere esistenziale, quali
lesistenza del mondo, degli altri, del proprio soggetto, della causalit, della moralit,
perfino di Dio. Proprio queste conoscenze esistenziali forniscono la base di esperien-
za per linduzione dei primi principi universali sia nellordine teoretico che pratico.
Le conoscenze del senso comune sono indicative, secondo Livi, in quanto segna-
lano una realt indubitabile (un est : esiste la causalit, esiste la libert, esiste la comu-

nicazione con gli altri), ma non ne chiariscono lessenza, intesa in senso ampio : ad

esempio quando comprendiamo perfettamente il senso veritativo e incontrovertibile


di io sono, senza disporre di una teoria, anzi nemmeno di una concettualizzazione
riflessa relativa a che cosa sia lio oppure il sono della certezza ego sum. Operare tale
concettualizzazione o proporne almeno una chiarificazione concettuale compito
della filosofia ed ci che di fatto fanno i filosofi pur con risultati diversi.
Il senso comune viene perci a costituire una sorta di nocciolo duro e di criterio
di verifica della validit di ogni filosofia, dal momento che una teoria filosofica (ma
anche una scienza particolare) che intendesse proporre una nuova versione del sen-
so comune in contrasto con lesperienza originaria ad esempio, una filosofia o una
scienza che intendesse spiegarci che non siamo liberi sarebbe ipso facto invalidata
proprio a causa di tale contrasto (sarebbe invalidata anche in modo vissuto : nes-

suno ci crederebbe seriamente, nemmeno i sostenitori di tale posizione). Il senso


comune originario quindi come il termine di una reductio allindietro da parte del
sapere filosofico. La filosofia ovviamente va oltre il senso comune, ma non pu mai
separarsene. Ogni sua direzione razionale verso una pi profonda comprensione del-
la realt (la sapienza o la razionalit filosofica) va fatta sempre secondo le indicazioni
intenzionali dellesperienza originaria, la quale pu essere tradita dai filosofi, ma non
eliminata.
Volendo fare un paragone con la visione aristotelico-tomistica delle virt intellet-
tuali fondamentali (intellectus principiorum, sapienza, scienza, prudenza e arte), direi
che gli elementi del senso comune, come vengono esposti da Livi, non si limitano
allintellectus teoretico e pratico (pratico nel senso della sinderesi di San Tommaso),
ma coprono anche la sapienza, non per necessariamente la sapientia philosophorum,
bens un minimo fortissimo di sapienza metafisica inerente ad ogni persona umana
proprio in quanto soggetto intelligente e volontario.
Per questo motivo Livi include la conoscenza dellesistenza di Dio nel senso co-
mune, senza perci cadere nellontologismo. Non perch Dio sia evidente alla nostra
196 recensioni
ragione, ma perch la percezione mediata e razionale di Dio, tramite lesperienza
delle cose del mondo, naturale ad ogni uomo in quanto entra nellambito delle
conoscenze primarie dellesercizio naturale della ratio. La xi sessione plenaria della
Pontificia Accademia di San Tommaso (giugno del 2011) stata dedicata precisamen-
te allapprofondimento della inclinatio naturalis verso la conoscenza della verit di
Dio affermata da Tommaso dAquino in S. Th., i-ii, q. 94, a. 2.
Il secondo capitolo considera le caratteristiche gnoseologiche del senso comune
e ne sviluppa il contenuto sommario in cinque punti, il primo riferito allesistenza
delle cose del mondo, il secondo riguardo allesistenza del proprio soggetto, il terzo
in rapporto allesistenza di altre persone, il quarto in relazione alla moralit, il quinto
infine in rapporto a Dio. Livi precisa che la conoscenza di queste realt previa ad
ogni oggettivazione, anzi alcuni referenti intenzionali del senso comune non sono
oggetti, quindi non possono essere compresi in una vera e propria oggettivazio-
ne (ad esempio, lessere, lio, Dio).
A mio parere in questa sezione potrebbero essere messi pi in risalto due principi
fondamentali, quello di non contraddizione e quello di causalit. Il primo governa
in maniera assoluta ogni forma di pensiero razionale, esigendo la coerenza, mentre
il secondo spinge verso il passaggio dai fenomeni alle cause, tenendo conto della
variet di sensi del concetto di causa. Ratio e causalit sono gli assi portanti della no-
stra conoscenza mediata, in quanto la ragione parte dallimmediato e procede verso
la risoluzione nei principi secondo le esigenze della causalit. Questo punto non
puramente speculativo, ma incide profondamente sulla vita umana intesa come un
dramma esistenziale (e personale) che tende a risolvere il problema del senso della
mia esistenza nel mondo.
Il terzo capitolo si occupa della dimostrazione delle certezze del senso comune. In
quanto conoscenze immediate, esse non sono dimostrabili, poich ovviamente non
ci sono premesse o conoscenze previe, se vero che quelle certezze costituiscono i
presupposti di ogni conoscenza. Ma secondo lautore possiamo e dobbiamo tentare
di dimostrarle nellambito della logica aletica con un procedimento a ritroso che
porta ad evidenziare fino a che punto le certezze primarie sono i presupposti ultimi di
qualsiasi conoscenza, anche di qualsiasi azione razionale compiuta consapevolmente.
In altre parole, occorre presentare una motivazione dellespressione linguisti-
ca dei princpi di senso comune. Tale motivazione si trova nei presupposti impliciti
nellesperienza originaria, il che comporta il compimento di una forma di induzione
eseguita a partire dallenunciato di senso comune, preso come se fosse unipotesi,
portato per al livello della riflessione razionale. Lesperienza sostiene dunque il sen-
so e la verit dellaffermazione di senso comune e della sua dimostrazione, la quale
consiste, quindi, in una sorta di riflessione sulla verit giudicata (espressa in forma
di giudizio) e riferita a ritroso allesperienza originaria.
Il procedimento dimostrativo invocato da Livi introduce un elemento di razionali-
t non per fondare ci che evidente, ma piuttosto per fare un passo indietro, direi,
il quale dal giudizio riflessivo sui princpi, preso come materia da discutere, procede
verso limmediatezza cognitiva, proprio per renderla pi consapevole. Un caso spe-
ciale invece la dimostrazione dellesistenza di Dio come verit di senso comune,
dove entra in gioco il principio di causalit trascendentale.
recensioni 197
La dimostrazione, elemento metodologico della logica aletica, in qualche mo-
do un procedimento dialettico simile alla dialettica impiegata da Aristotele per la
discussione dei grandi principi. Tale metodologia si pu adoperare, come Livi fa in
questo studio, per meglio evidenziare i contenuti del senso comune, ma anche per
mostrare lauto-contraddizione di chi li nega a parole, oppure per portare alla luce la
petizione di principio di chi pretende di dimostrarli scientificamente.
Dal momento che la dimostrazione delle verit di senso comune si colloca sul
piano della ratio, sembra opportuno il riferimento al livello sopra-razionale dellintel-
lectus, nel quale si compie la percezione ontologica abituale cio non intermittente,
ma continua mentre si pensa o si vive in modo consapevole dellessere del mondo,
delle operazioni del pensiero e della luce intellettiva da cui procedono i pensieri, il
che in fin dei conti rimanda alla persona in quanto soggetto conoscente. Questo li-
vello (intellectus) corrisponde al senso comune nella sua condizione gnoseologica di
abito cognitivo prelinguistico, pre-oggettivo e pre-razionale, una dimensione in cui
non si compiono ancora operazioni (concetti, giudizi, ragionamenti), nella quale pe-
r si trova la radice stessa che rende possibile tute le operazioni mentali. In questo
senso direi che, al di sopra della verit del giudizio, esiste una verit gnoseologica
pre-operativa, la quale consiste nel sapere abituale del soggetto conoscente in quanto
conosce la verit dellessere, in quanto cio si trova intenzionalmente nel mondo con
un adeguamento veritativo previo ad ogni operazione. Questa sarebbe una versione
pi alta della verit in rapporto al semplice adeguamento proporzionato del giudizio
inteso come operazione mentale riferita alla realt dei fatti.
Il quarto e ultimo capitolo affronta il ruolo di fondamento delle verit del senso
comune in rapporto alla conoscenza mediata di fede per via di testimonianza, non-
ch in relazione al sapere scientifico di tipo inferenziale, pure esso mediato. Lespe-
rienza originaria rende naturale e ragionevole credere nella testimonianza degli altri,
ovviamente con le dovute condizioni, a causa dei limiti della conoscenza diretta e
della simmetria gnoseologica riguardo alla verit di ogni soggetto nei confronti
degli altri. Credere un atto cognitivo mediato, ma la credibilit altrui unevidenza
primaria basata sulla condizione comunicativa esistente tra gli uomini. Riguardo alla
conoscenza scientifica, infine, Livi ne rileva il limite critico, in particolare il carattere
derivato del sapere mediato in quanto sempre fondato sui presupposti del senso co-
mune.
Il libro di Antonio Livi rigoroso e merita unattenta considerazione. La sua tesi
va alla radice della filosofia della conoscenza e consente di evitare le complicazioni
artificiali che nascono dal tentativo di sorvolare la condizione gnoseologica primaria
della persona umana. Ritengo che la tematica esposta possa essere applicata ulterior-
mente alle inclinazioni e alla volont umana, dove esiste pure una sorta di senso
comune che porta ad amare naturalmente e nel modo giusto tutto quanto lespe-
rienza ontologica primaria ci svela come consistente e quindi come amabile (amore
del mondo, di se stessi, degli altri, di Dio). Questo libro importante per studiosi ma
anche per quanti cominciano a percorrere la strada della verit nel campo filosofico
o scientifico.
Juan Jos Sanguineti
198 recensioni

Antonio Malo, Io e gli altri. Dallidentit alla relazione, Edusc, Roma 2010,
pp. 376.
Nella sua ultima opera (Parcours de la reconnaissance. Trois tudes, Stock, Paris 2004)
Paul Ricur ha voluto affrontare il tema del riconoscimento (dellidentit umana)
ripercorrendo la storia di questidea, per offrirne una teoria generale che, rileva il
grande pensatore francese, era finora mancata.
Nel presente saggio Antonio Malo, Ordinario di Antropologia filosofica nella Pon-
tificia Universit della Santa Croce, simbatte nel problema parallelo dellidentit
umana, facendo convergere, in qualche modo, gli apporti delle diverse epoche stori-
che allo stesso interrogativo di fondo. Egli scrive : possibile distinguere nella storia

filosofica dellidentit tre tappe fondamentali : la visione dellidentit come corporei-


t razionale, che corrisponderebbe al principio dellindividualizzazione della meta-


fisica classica ovvero alla materia signata quantitate ; la visione moderna dellidentit

come autocoscienza ; e, infine, la visione post-moderna del rifiuto dellidentit che


viene sostituita dalle differenze (p. 16).


Secondo lautore, lorigine e il destino della libert umana si trovano nella rela-
zione con altre persone (p. 9). Nonostante certe accentuazioni sbagliate, la nostra
epoca post-moderna non ha assolutamente torto quando sottolinea e rivendica le
differenze o variazioni. La nostra identit si gioca anche in esse. Anzi, libert e rela-
zionalit si richiamano a vicenda.
In cinque densi capitoli, Malo entra in discussione con i filosofi antichi, moderni
e contemporanei, ma tiene conto anche dei risultati delle diverse discipline scienti-
fiche come la psicologia, la sociologia o le neuroscienze, a riprova della tesi che egli
sostiene, secondo cui la nostra identit integra sia la corporeit e lautocoscienza che
la relazionalit.
Nellepoca pre-moderna, lidentit oggettivit ; invece, nellepoca moderna, la si

concepisce come coscienza soggettiva. Dal cogito cartesiano allo Spirito Assoluto he-
geliano, passando attraverso il soggetto trascendentale kantiano, ci troviamo sempre
in presenza di una stessa identit (p. 22). Infine, nella post-modernit, da Nietzsche a
Foucault, la soggettivit moderna viene sradicata e lidentit non c pi.
In effetti, dopo Nietzsche, alla soggettivit, ridotta ad una molteplicit di masche-
re, subentra un desiderio perverso e polimorfo. Se lidentit pu essere considerata
la cifra della modernit, la differenza pu essere ugualmente ritenuta il simbolo della
postmodernit dalla differenza ontologica heideggereana fino a quella trascenden-
tale di Derrida, passando attraverso quella etica di Lvinas. [] Di fronte allio As-
soluto e alla sua volont di potenza i postmoderni propongono : la finitezza dellesi-

stente o Da-sein (Heidegger), le voglie di un desiderio ludico (Foucault), oppure il suo


sacrificio in favore dellassoluta alterit (Lvinas) (p. 24).
Diversi autori recenti hanno messo in risalto le questioni collegate al problema
dellidentit, tenendo presenti le conseguenze pratiche sul piano della morale. Tutto
sommato, il dilemma che si trova ad affrontare lidentit (o totalit o chiusura in s
stessi), dipende da una visione astratta e statica dellidentit umana propria del passa-
to, che spiega la causa del suo rifiuto da parte di tanti pensatori contemporanei e di
recensioni 199
tanti uomini e donne comuni che considerano tale visione egoista e violenta. Infatti,
unidentit chiusa e monologica conduce necessariamente al conflitto e alla distruzio-
ne delle differenze. Solo quando si in grado di pensarla come apertura, lidentit,
lungi dal seguire la logica dialettica che conduce allo stato totalitario o allindividua-
lismo selvaggio, il fondamento di relazioni stabili e responsabili, su cui le persone
possono crescere aiutandosi a vicenda (pp. 15-16).
Secondo Malo, nonostante esista una molteplicit di relazioni possibili fra identit
e differenze, solo nella donazione si danno le condizioni di possibilit perch le per-
sone, lungi dal distruggersi a vicenda, possano crescere nelle loro identit aiutandosi,
a loro volta, a far crescere le altre persone (p. 17). Non abbiamo a che fare con un
discorso parenetico, che invita semplicemente ad avere dei buoni sentimenti nelle no-
stre relazioni, anche se questaspetto, naturalmente, non del tutto assente. Lautore
fa una lettura efficace della storia della filosofia dal punto di vista del problema posto
e cerca di dedurne i capisaldi della relazionalit umana, in cui si articolano lidentit e
la differenza. In effetti, la differenza strutturalmente correlata allidentit e implica
lo stare in unit di aspetti diversi, ma incapaci di spezzare lunit stessa. La differenza
dunque quella diversit interna allidentit (p. 64).
Lautore affronta anche il problema, cos vivamente sentito oggi, dellidentit e
della differenza sessuale. A questo riguardo, decisiva la distinzione tra luomo e le
altre specie animali. In effetti, la sessualit non serve ad individualizzare lanimale,
ma a dar luogo ad un altro individuo di quella specie. Essa non , quindi, origine
dindividuazione, ma dindividualit. La distinzione fra individualit e individuazione
pertinente, perch implica la separazione del semplice individuo di una specie da
quello che, allinterno della stessa specie, differente da tutti gli altri individui non
solo ontologicamente, ma sopratutto esistenzialmente. Il vivere proprio dellessere
in grado di individualizzarsi, ovvero luomo, non quello caratteristico del semplice
individuo della specie, bens quello dellindividuo capace di differenziarsi progressi-
vamente da tutti gli altri individui umani attraverso le proprie azioni (pp. 71-72).
Ci spiega anche i numerosi problemi chiamati in causa dalla galassia dei movi-
menti femministi. Rifacendosi a Ricoeur, che distingue identit-idem da identit-ipse,
Malo afferma : Se lanimale non perde mai il suo essere-in-s e per-s come indivi-

duo della specie, la persona non perde mai la sua identit ontologica, ma pu non
raggiungere lidentit etica che non ancora pienamente presente, giacch dipende
dal suo agire e, soprattutto, dalla sua vocazione o destino (p. 75). proprio qui, in
questa distinzione tra identit data e identit assunta, che lideologia del genere si fa
strada e crede nella possibilit di una rivoluzione che porter alla riconsiderazione
dellinsieme dei rapporti umani. Da una prospettiva radicalmente marxista, i movi-
menti che diffondono questa ideologia si sentono coinvolti nella lotta di classe tra i
due sessi, che sarebbero da sovvertire e da sostituire con le variazioni polimorfe del
gender. Ma, osserva il nostro autore, lautoproduzione dellindividuo e della societ
conduce cos, prima alla guerra di riconoscimento, e poi alla dittatura (p. 54).
Nelle filosofie moderne e post-moderne, e nelle diverse ideologie che vi si ispirano,
libert e corporeit sono contrapposte, certamente a causa del loro diverso dinami-
smo, ma in tal modo si dimentica che si appartengono a vicenda, visto che concor-
rono al costituirsi della stessa realt della persona. Infatti, la corporeit, sebbene sia
200 recensioni
condizione necessaria della libert, si trova in un certo senso a sua disposizione. Per
cui, si pu affermare che ci che condizione di possibilit della libert nel contem-
po lambito in cui si manifesta ed attualizza il suo potere. Libert e corporeit sono
elementi necessari dellidentit, anche se hanno un ruolo differente nel suo sviluppo
(p. 59).
In questo contesto, il bisogno, il piacere della sua soddisfazione e laiuto esterno
che questa soddisfazione eventualmente richiede vengono valutati positivamente.
Anzitutto, Malo, contrariamente a ci che a volte viene sostenuto, ci dice che in
Aristotele non c (...) nessuna traccia di una visione negativa del dare compimento
alle inclinazioni del piacere ad esso [al bisogno naturale] collegato, perch ci che
positivo o negativo non il piacere, ma latto con cui si soddisfa il bisogno, in quanto
razionale o irrazionale (p. 85). Poi, assumendo volentieri questa prospettiva, affer-
ma : Nel rapporto di dipendenza asimmetrica, invece, le necessit e la loro soddisfa-

zione non sono il mezzo per costruire rapporti di dominio, ma un servizio in cui il
servire laltro compatibile con il lasciarsi servire, giacch ambedue bisognoso e
tutore non cercano dimporsi ma di comunicare le loro vite con i loro limiti e i loro
talenti (p. 92).
Si capisce quindi che quando lidentit assoluta o, al contrario, quando dissolta
(e sostituita con le sole differenze) la relazione svanisce : si nega o si vive come un pe-

so insopportabile. Invece, secondo lautore, la relazione perfettiva. Essere bisogno-


so non equivale solo ad essere mancante neppure ad essere capace di riempimento,
ma anche ad essere aperto allaltro che in grado di aiutarci e cos facendo cresce in
umanit. Il bisognoso capace di arricchire lumanit di colui che lo serve. Ecco che
cosa sintende per relazione perfettiva (pp. 92-93).
Il problema di fondo, come si detto e come si intuisce subito anche dal titolo del
libro, proprio quello della relazione, per capire la quale anzitutto necessario capire
lidentit. La tesi sostenuta che lidentit (umana) include la differenza, cio liden-
tit si forma grazie alla differenza e si definisce rispetto alla differenza. Ovvero, la
persona un essere tale che comprende sempre gi una differenza interna ma anche
delle differenze verso lesterno. La persona , cio, caratterizzata dalla relazionalit.
Partendo da qui, lautore entra in discussione e cerca di confutare anche le diver-
se correnti della piscologia e del cognotivismo, da Freud a Minsky. In effetti, nessun
determinismo pu spiegare la personalit, la sua ricchezza, n il suo carattere tipica-
mente asimmetrico.
Mentre ben chiaro il filo conduttore di tutta lopera, lo sviluppo del testo non
molto lineare e talvolta d limpressione di una certa dispersione. Inoltre, anche
se ricorrono autori come Aristotele, SantAgostino o San Tommaso, in alcuni passi
decisivi del discorso la terminologia usata, in consonanza con la problematica, che si
fatta sentire in modo pi drammatico nella modernit, decisamente quella della
filosofia pi recente, di stampo fenomenologico-esistenziale. Tuttavia, va detto che
lintero testo pervaso da unintenzione di fondazione metafisica.
Lautore cerca di fondare lidentit umana che da sempre aperta alla relazionalit ;

anzi, un po come il Ricoeur di Soi-mme comme un autre, cerca di mettere in luce il fat-
to che la relazionalit (con altri) fa essa stessa parte dellidentit e che non costituisce
affatto per questa una minaccia, anzi una necessit e unopportunit. Laltro, lungi
recensioni 201
dallimpoverirci o dal sottometterci, ci rende maggiormente noi stessi. Tale alterit
perfettiva si trova, soprattutto, nel terzo (il figlio, il bisognoso, lo straniero, il credente
di unaltra religione, ecc.) che rompe il rapporto simmetrico fra gli io gi costituiti
(Io-tu dei diritti e doveri), dando luogo al noi (alla famiglia, alla comunit civile, reli-
giosa, ecc.). Quando il terzo viene incluso (riconosciuto-amato), lo si aiuta a diventa-
re tu in grado di poter realizzare, a sua volta, il rapporto asimmetrico originario nel
riconoscimento dellaltro ; quando il terzo viene escluso, non solo gli si impedisce di

raggiungere lidentit del tu, ma anche si rende impossibile la stessa costituzione del
noi, ed in questo modo la crescita della propria identit (p. 138).
Cos viene fondata loriginalit antropologica della famiglia e dellamicizia, come
luogo della fioritura di quella relazionalit insita nella persona (cfr. p. 142). Esse, cio,
arricchiscono le persone con il dono di unaltra persona, talvolta, o con la crescita
spirituale delle stesse. La famiglia una realt fondamentale e fondante sia per la
personalit delluomo sia per la sua socialit. Essa si fonda sulla complementarit tra
uomo e donna, la cui differenza sessuale (in senso biologico) riconosciuta come un
assoluto anche dal pi recente femminismo della differenza (diverso dal femmini-
smo di genere).
Parallelamente alla distinzione tra individualit e individualizzazione, sopra rife-
rita, Malo propone quella tra sessualit e condizione sessuata. La distinzione fra
sessualit e condizione sessuata sembrerebbe, ad un primo sguardo, simile a quella
fatta dalla cosiddetta identit di genere fra sesso e genere, in quanto il genere co-
me la condizione sessuata costituisce la forma personale della sessualit. Infatti, il
termine genere (in inglese gender) designa il sesso non nella sua stretta connotazione
biologica, che linglese indica con sex, ma in quanto riguarda la sessualit personale.
C per una differenza molto importante fra genere e condizione sessuata. Secon-
do i fautori dellideologia di genere, il genere sarebbe solo il sesso dappartenenza,
costruito socialmente da aspettative, aspirazioni e norme di condotta appropriata,
mentre il sesso sarebbe solo la connotazione di attributi biologici. La condizione ses-
suata come abbiamo visto non diversa dalla sessualit, ma la include come ele-
mento basilare ; daltro canto, la sessualit non si riduce a pura biologia, giacch si

tratta di una tendenza personale, modellata dalla relazione e aperta alla relazione.
vero, infine, che nella condizione sessuata, occupano un posto di rilievo la cultura e le
pratiche sociali, ma non fino al punto di poter inventare nuovi generi o di considerare
la mascolinit e la femminilit due costruzioni storico-sociali (pp. 164-165).
La fiducia e la confidenza che rendono possibile la realizzazione della famiglia, che
unisce e trascende le differenze, hanno pure luogo, anche se diversamente, nellami-
cizia. Nellamicizia che aiuta alla costituzione della propria identit, ognuno cono-
sce-ama laltro come fine, non come mezzo, n in base alle sue qualit o capacit, il
che significa che conosce-ama laltro come indipendente dai suoi bisogni, sentimenti
o utilit. Nellamicizia perfettiva, la base non sono le attivit realizzate insieme e
neanche il piacere o lutilit che si condividono, ma lamico in quanto tale ; solo cos

non c il pericolo che il rapporto scivoli verso una mutua dipendenza strumentale
(p. 319).
Lamicizia, realt tipicamente umana e che ci contraddistingue come persone, ap-
pare cos distinta dal puro istinto gregario ma anche da una semplice complicit cir-
202 recensioni
costanziale ovvero dalla mutua dipendenza strumentale (ivi), perch dipende dallo
svelamento dellaltro come altro a cui segue lidea del servizio disinteressato.
Lautore pienamente consapevole del fatto che lamicizia tra gli uomini non
sempre cos, essa non presenta infallibilmente le splendide caratteristiche sopra se-
gnalate. Ma gli basta che si tratti di una possibilit reale, sicch essa appare come
una delle pi alte manifestazioni della nostra essenza, la cui realizzazione per non
affatto scontata e richiede il coinvolgimento delle persone interessate e lo sforzo
concreto per scartare tendenze viziose.
Inoltre, al di l dellamicizia umana, affiora lamicizia pi sicura con Dio. Siamo
cos arrivati al punto pi alto della nostra ricerca : lasimmetria originaria, che si trova

alla base di tutti i nostri rapporti, si fonda sulla donazione di un Essere trascendente.
Una donazione infinita che sostenta lasimmetria dei rapporti umani, i quali, a loro
volta, si trovano alla base della simmetria della giustizia nellordine dei rapporti in-
terpersonali e nello scambio dei beni. Nella donazione amorosa umana si scopre,
quindi, la partecipazione che la persona ha dellInfinito (pp. 340-341).
In questo libro, gli argomenti delineati, anche se gi presenti nei precedenti lavori
dellautore, sintegrano in una vigorosa sintesi, in modo da offrire unautentica pro-
posta originale. In definitiva, si sostiene che lidentit delle persone tale che essa
matura e in qualche modo si costituisce nella doppia direzione, interiore ed esteriore,
dellunit e dellunione, cio nel senso dellintegrazione delle diverse sue dimensioni
somatico-psichico-spirituale da una parte e, dallaltra parte, in quella dellarmonizza-
zione possibile e sempre auspicabile del rapporto con i suoi simili e con Dio. Si pu
cos concludere sinteticamente con la seguente tesi : la persona, mediante la relazio-

ne di donazione, diventa comunione di s con tutte le persone umane e con Dio (p.
359).
Lo sforzo di Antonio Malo per gettare un ponte tra identit e relazione ricorda
quello che si dice di Robert Spaemann, il quale avrebbe scelto per il suo libro il titolo
Personen (Persone) pensando, a quanto sembra, al volume di P.F. Strawson, intitolato
Individuals (Individui), perch lidea di persona, contrariamente a quella di individuo,
fin dalla sua origine nella teologia della Santissima Trinit e in cristologia, include e
significa anzitutto relazionalit.
Indubbiamente, in questo libro lautore offre intuizioni molto interessanti, che ri-
guardano alcune delle questioni pi dibattute ai nostri giorni. Si tratta, cio, di un
contributo importante allodierno sforzo delluomo per la comprensione di s stesso.
Anche se, come si gi detto, sarebbero stati auspicabili uno stile pi scorrevole e una
maggiore chiarezza in certi passi dellesposizione.
Paulin Sabuy Sabangu
schede bibliografiche
Agostino dIppona, De immortalita- siero filosofico sulla dottrina dellanima,
te animae - Limmortalit dellanima, evidenzia i termini principali utilizzati
testo latino-italiano, introduzione, da Agostino : anima, animus, subiectum,

traduzione, note e appendice, a cu- doctrina, disciplina, dialectica, ratio, mens,


ra di Giuseppe Balido, Editrice Do- ars, contemplatio, verum, species. Pur sot-
tolineando il debito culturale che Ago-
menicana Italiana, Napoli 2010, pp. stino contrae con la filosofia platonico-
224. neoplatonica, il curatore esclude che la
Lopera De immortalitate animae stata stessa abbia potuto esercitare sullIppo-
nense uninfluenza organico-strutturale,
scritta da Agostino probabilmente nella
primavera del 387, lanno della sua con- poich di essa il genio di Tagaste si serve
versione. Questo lavoro, estremamente solo in funzione strumentale (p. 36).
impegnativo, destinato a dare una ri- Con anima, secondo Balido, Agostino
sposta pi precisa ai problemi lasciati in si riferisce : sia a ci che d vita al corpo

sospeso nellultima parte dei Soliloquia, (psych, cio il soffio vitale di cui hanno
in cui lautore rifletteva sulla problemati- trattato vari filosofi greci), sia alla forma
ca relativa alla natura immortale dellani- del corpo umano organico con richiami
ma umana individuale, personale, per-
ad Aristotele. Con animus, invece, lIp-
ch sede inseparabile di una disciplina, ponense designa le facolt dellintellet-
la dialettica, coincidente con la verit e to e della volont della persona umana.
perci con limmortalit (p. 41).

Balido, accogliendo la posizione di Nel-
Ledizione critica latina del De immor- lo Cipriani (p. 66), pu constatare come
talitate animae, tenuta presente dal cura- Agostino in questopera giunge alla con-
tore, quella tratta dalledizione Mau- clusione che sia tutta lanima ad essere
rina (PL 32, 1021-1034, ed. Migne) citata immortale e non solo lanimus. Da qui,
secondo la Nuova Biblioteca Agostinia-
viene richiamata lattenzione sulla po-
na (iii/1, Citt Nuova Editrice, Roma
sizione agostiniana che, nel recuperare
1970) ma senza apparati critici. Sono note il carattere dellappetitus dellanima, nei
le difficolt che si incontrano nella lettu- confronti del corpo, d avvio ad nuovo
ra del De immortalitate animae ; ci viene
modello antropologico distante sia da
confermato dallesiguit delle traduzioni quello platonico-aristotelico sia da quel-
italiane offerte dalla ricerca specializza- lo neoplatonico (p. 67).
ta. Prima di quella prodotta da Giuseppe I diversi spunti al riguardo consentono
Balido, infatti, cerano state la traduzione di rileggere, alla luce dellinsegnamento
di D. Gentili nel 1970, pubblicata nelledi- di Agostino, lo stesso De anima di Aristo-
zione critica precedentemente citata, tele come uneffettiva rigorizzazione an-
e quella di G. Catapano, pubblicata da tropologica della visione platonica ; tali

Bompiani nel 2003, a fronte di innume-


ipotesi e suggestioni esegetiche esigono
revoli studi sviluppati sullargomento unattenta e meno sprovveduta verifica
(p. 15). Balido, nella sua introduzione (pp. filologica. Non un dato marginale ri-
19-61), nel tracciare le linee fondamentali flettere sullimportanza della nuova con-
che accompagnano lo sviluppo del pen- cezione che Agostino ci offre sullani-

acta philosophica i, 21, 2012 pp. 205-210


206 schede bibliografiche
ma, poich essa si ripercuote sul valore soffrendo e dimenticando cose acquisi-
ontologico del corpo che pur tendendo te, essa non pu morire, poich parte-
al nulla non raggiunge il totale annien- cipando delluniversale non si trasforma
tamento ontologico (pp. 111-115) ; in ta-
in una essenza inferiore (cfr. De imm. ani-
li passaggi del testo agostiniano, Balido mae, 13, 21), non pu essere convertita in
scorge la conferma razionale di ci che corpo (cfr. ibidem, 13, 22), non le viene
Agostino ha ricevuto come dono della meno la sua specifica capacit di vivere
fede : il corpo che partecipa alla gloria
(cfr. ibidem, 14, 23). Il sentire dellanima,
della resurrezione. Dunque, siamo por- dunque, non interessato ai condiziona-
tati a ritenere che il termine animus as- menti spazio-temporali (cfr. ibidem, 16,
suma, complessivamente, un significato 25) ; lanima, perci, presenta una diversi-

quasi sinonimo di anima a cui vengono t strutturale rispetto al corpo fisico che
collegati il soggetto (subiectum) che condizione fondamentale per la sua im-
riceve la dottrina, la dialettica, o la mortalit.
ragione, larte, lessenza. Questi Il contributo importante di questa ul-
termini sono utilizzati da Agostino per tima edizione del De immortalitate animae
dimostrare con serrate argomentazioni (rispetto alle due precedenti edizioni,
limmortalit dellanima. Nel corso di pur lodevoli per diversi aspetti), ritenia-
tali argomentazioni viene evidenziato lo mo consista nella rigorizzazione scien-
stridente contrasto fra realt mutevoli, tifica delle argomentazioni agostiniane,
oggetto delle scienze naturali, umane e scandagliate con gli strumenti della lo-
sociali, e realt immutabili come quella gica antica e della logica simbolica con-
dei rapporti fra numeri (p. 72) relativi al- temporanea. Con la guida di M. Malate-
la scienza matematica o geometrica. Da sta, Balido riuscito ad illuminare molti
ci nasce il problema di capire e chiarire passi dello scritto agostiniano, rimasti in
la connessione, la relazione, tra le facol- precedenza oscuri e motivo di ingiusti-
t sensibili e quelle intellettive, quindi tra ficate interpretazioni, anche da parte di
ci che mutevole e ci che universa- autorevoli studiosi (p. 204). In tale pro-
le, immutabile, immortale. spettiva, il curatore fornisce in Appen-
Agostino prende le distanze da Plato- dice (pp. 169-205) gli elementi di logica
ne, non solo sulla dottrina della cono- formale utili per comprendere lanalisi
scenza come reminiscenza, che implica condotta sul testo.
la preesistenza dellanima e la ciclicit Niccol Turi
delle reincarnazioni, ma anche sulla di-
mostrazione dellimmortalit dellanima ngel Guerra Sierra, Hombres de
basata sulla legge dei contrari, sostenen- ciencia, hombres de fe, Rialp, Madrid
do convinto lopposizione fra sensibile

2011, pp. 236.
e intelligibile e laffinit dellanima con
Dio, poich proprio questa condizio- ngel Guerra,
especialista en Biolo-
ne a rendere possibile alla mens lacqui- ga marina y autor tambin de publica-
sizione delle conoscenze che le consen- ciones sobre ciencia, fe y sociedad dedica
tono di contemplare gli intelligibili (p.

este ensayo de alta divulgacin a algunos
37). Lanima della singola persona pu temas cientficos con resonancias filos-
avere la scienza matematica degli uni- fico-religiosas : el Big Bang, el origen de

versali, immortali, ma pur mutando, la vida y del hombre, las diversas teoras
schede bibliografiche 207
evolutivas, la manipulacin gentica y el patible con su trabajo, sino que potencia
problema ecolgico, entre otros. Aun- los anhelos de verdad insitos en la mis-
que estas cuestiones han sido abundante- ma actividad cientfica. El autor describe
mente tratadas, tanto en el mbito divul- tambin siempre de modo biogrfico
gativo como en el de la especializacin, la incidencia del cristianismo en la cultu-
la obra tiene una nota de originalidad. ra occidental, particularmente en el naci-
En efecto, el autor presenta las temticas miento de la ciencia moderna.
no de modo abstracto sino al hilo de la En sus reflexiones, Guerra muestra
experiencia de los cientficos que prota- ser buen conocedor de la vida y obra de
gonizaron avances importantes en los sus biografiados, as como del contexto
campos correspondientes. cultural correspondiente. Puntualmen-
Esta perspectiva est en consonancia te, sin embargo, al ofrecer juicios globa-
con el giro operado en la epistemologa les de perodos histricos extensos, o de
de las ltimas dcadas, en la que se ha corrientes de pensamiento, afirmaciones
pasado de una concepcin de la ciencia sustancialmente vlidas requeriran, qui-
centrada en los aspectos metodolgicos z, una mayor riqueza de matices.
y en los resultados de la actividad cien- Hombres de ciencia, hombres de fe, es un
tfica a una visin de la misma como ac- libro que con la presentacin de la rea-
tividad humana y, por tanto, en ntima lidad histrica puede ayudar a deshacer
relacin con todas las dimensiones de la prejuicios transmitidos por una histo-
persona. Guerra consigue as hacer ms riografa de corte ideolgico, en la que
comprensibles y amenas las cuestiones los hechos se han interpretado a priori a
tratadas, en las que privilegia la relacin partir de la conviccin de la supuesta in-
de la ciencia con la fe y la finalidad de ser- compatibilidad entre cristianismo y pro-
vicio al bien del hombre, propia de la ac- greso.
tividad cientfica. Mara ngeles Vitoria
La eleccin de los cientficos parece
acertada. Entre ellos figuran pioneros en Jos Mara Montiu de Nuix, Ma-
las diferentes ramas de la ciencia (Stensen, nuel Garca Morente. Vida y pensa-
Boscovich, Spallanzani, Pasteur, Mendel, miento, Edicep, Valencia 2010, pp.
Lematre), autores que unieron a su com- 428.
petencia profesional un alto sentido de
servicio a los dems (Albareda, Ortiz de Frutto di una tesi dottorale, questope-
Landzuri, Lejeune, R.S. Yalow) y perso- ra presenta unanalisi della svolta intel-
najes que, sin ser cientficos en el sentido lettuale del filosofo spagnolo Manuel
moderno del trmino, estn en el itinera- Garca Morente (1886-1942). Non man-
rio que condujo a la puesta en marcha de cano un ritratto dellambiente culturale
la empresa cientfica (San Alberto Mag- massonico e laicista della Spagna allini-
no, Santa Hildegarda de Bingen, etc.). zio del ventesimo secolo, la traiettoria
Por lo que se refiere a la relacin en- del pensiero agnostico di Garca Moren-
tre ciencia y religin, el libro va ms all te e le ripercussioni della sua inaspettata
de mostrar la compatibilidad entre es- conversione al cristianesimo durante la
tos dos rdenes del saber. A lo largo de guerra civile spagnola.
la historia, muchos cientficos han dado Composta da undici capitoli, lopera
testimonio de que la fe no slo es com- ne dedica i primi cinque a spiegare per-
208 schede bibliografiche
ch Garca Morente considerato uno ste da Bergson, Husserl, Scheler e Or-
dei principali filosofi spagnoli. Prima di tega y Gasset. La prematura morte del
diventare Decano della Facolt di Lette- filosofo, per, imped la conclusione di
re e Filosofia dellUniversit Central questobiettivo.
di Madrid (1931-1936), culmine della sua Montiu de Nuix descrive tre momen-
carriera, ottiene la laurea in Filosofia ti nel progetto di Garca Morente di co-
allUniversit della Sorbona e torna a struire una filosofia compatibile con la
Madrid. In seguito si reca nelle Universit sua fede. Il primo caratterizzato dal suo
tedesche di Mnich, Berlino e Marburgo avvicinamento al realismo di Tommaso
per ampliare i suoi studi. Influenzato da dAquino, seguito da una valutazione
pensatori come Kant, Bergson, Scheler, della filosofia moderna come soggettiva
Husserl, Heidegger e Ortega y Gasset, e lontana dalla realt, per arrivare ad un
Garca Morente finisce per elaborare un nuovo orientamento di pensiero metafi-
pensiero filosofico proprio, il cui apice sico, caratterizzato dalla metafisica pu-
la metafisica della vita, una concezione ra e dalletica dei valori (cfr. pp. 312-
fenomenologica e vitalista del concetto 358). Garca Morente, da cattolico, resta
di vivere (cfr. pp. 146-179). convinto dellautonomia della ragione
La conversione e il conseguente av- rispetto alla fede per la formazione di
vicinamento alla dottrina cattolica non una vera filosofia, ma dopo la sua con-
cambieranno la base della metafisica di versione afferma lapertura della ragio-
Garca Morente, come sostiene Mon- ne allipotesi di Dio, prima assente nel
tiu di Nuix nei capitoli sei, sette e otto. suo pensiero. In questo senso, Montiu de
In effetti, il lettore aiutato a scorgere Nuix non si stanca di mettere in rilievo la
sorprendenti segni di continuit insie- continuit dellapertura alla totalit del
me a indizi di discontinuit nellinsieme Garca Morente agnostico con il ricono-
del pensiero del filosofo spagnolo. Ci si scimento della possibilit di Dio nel Gar-
spiegherebbe perch la preoccupazione ca Morente convertito (cfr. pp. 314 e ss.).
scientifica di Garca Morente lo porta a Il saggio si conclude con lesposizione
cercare con costanza il reale statuto della critica delle obiezioni rivolte dai filosofi
natura umana e del mondo, con rispet- spagnoli Jos Luis Abelln e Julin Maras
to assoluto verso la ragione, anche se il a Garca Morente dopo la sua conversio-
risultato raggiunto non corrisponde alle ne. Lautore spiega perch, secondo lui,
aspettative del filosofo al momento di co- la filosofia di Garca Morente non sem-
minciare le sue indagini (cfr. pp. 175-179). plicemente frutto della confusa situazio-
Questonest di metodo non scomparir ne politica spagnola dellepoca, come
lungo tutto il suo percorso speculativo. sostiene Abelln, o un orteghismo che
La contrapposizione di Garca Mo- cerca di essere cattolico, come ritiene
rente agnostico a Tommaso dAquino, Maras. Montiu de Nuix, invece, afferma
tuttavia, rimane evidente. Il filosofo con- che i testi di Garca Morente mostrano
vertito, daltra parte, accetta la sfida di chiaramente la sua adesione al tomismo
superare lostacolo. Come si spiega nei e il corrispondente tentativo di prosegui-
capitoli nono e decimo, il filosofo ormai re la ricerca filosofica seguendone le or-
cattolico si avvia a sviluppare un pensie- me (cfr. p. 380 e il capitolo x).
ro in armonia con il cristianesimo, che Ci sembra che, a prima vista, il presente
coesiste con alcune delle idee propo- libro possa essere poco gradito da un non
schede bibliografiche 209
credente, soprattutto perch si sofferma mentali, voci di dizionari e biografie)
sugli aspetti mistici della conversione di stata aggiornata.
Morente. Nonostante ci, superato que- Il libro corrisponde pienamente al-
sto possibile pregiudizio, il lettore potr lobiettivo di fornire una guida intro-
seguire il cammino intellettuale svolto duttiva per gli studenti dei primi anni
dal filosofo spagnolo, pur senza sottoscri- universitari (soprattutto delle Facolt di
verne le conclusioni. Senzaltro ci trovia- Teologia) nello studio della filosofia me-
mo davanti ad unopera che apporta un dioevale. Non si limita per ad un per-
utile contributo alla comprensione della corso puramente descrittivo, ma cerca di
generazione orteghiana e della discussio- offrire un vero itinerario filosofico, giac-
ne da essa generata. ch, come osserva lautore, la storia del-

Denise A. Drechsel la filosofia non una mera storia degli in-


tellettuali ; anche filosofia, una filosofia

Josep-Ignasi Saranyana, Breve hi- che, in questo caso, si trova alla base dei
trattati di teologia dogmatica (p. 17).
storia de la filosofa medieval, Eunsa,

Pamplona 20102, pp. 190. Francesco Russo

Con la ricca esperienza di chi ha inse- Michel Serres, Tempo di crisi, tra-
gnato filosofia medioevale per quasi ven- duzione di Gaspare Polizzi, Bollati
ticinque anni, lautore offre al pubblico Boringhieri, Torino 2010, pp. 92.
la seconda edizione del presente manua-
le introduttivo, nella quale ha inserito Un libro scomodo e inquietante. In
diversi miglioramenti nel contenuto e poche pagine Michel Serres, docente di
nel stile. Il periodo storico studiato va Storia della Scienza nellUniversit di
dallagostinismo dellalto medioevo alla Stanford (Stati Uniti), obbliga il lettore
filosofia scolastica del sedicesimo secolo, a confrontarsi con gli interrogativi che
con una particolare attenzione al rappor- cerchiamo di evitare : come stanno cam-

to tra cristianesimo, islamismo e giudai- biando la terra e noi stessi ? Ci stiamo ac-

smo. corgendo degli sconvolgimenti in atto ?

Saranyana riconosce con franchezza Siamo ancora in tempo per invertire la


(e gliene va riconosciuto il merito) di rotta ?

aver precisato lungo gli anni la sua inter- La sua analisi prende spunto dallat-
pretazione di Duns Scoto e di aver mes- tuale crisi finanziaria e mette in luce che
so meglio a fuoco il ruolo del pensiero essa ha radici molto profonde ed stata
di Guglielmo di Ockham. Tra le novit preparata da mutamenti storici dei quali
della seconda edizione, vanno segnalati non facile calcolare la portata. Con stile
il completo rifacimento del nono ed ul- da requisitoria, Serres esamina le trasfor-
timo capitolo, intitolato Dallumanesi- mazioni avvenute nel secolo corso in sei
mo rinascimentale al barocco filosofico, ambiti : agricoltura, trasporti, salute, de-

oltre alla migliore contestualizzazio- mografia, connessioni e conflitti, per di-


ne di vari pensatori, tra cui Anselmo di mostrare la conclusione che ci troviamo
Canterbury, Alberto Magno, Avicenna in una crisi globale il cui nucleo viene
e Averro. Anche la bibliografia finale indicato cos : Sappiamo ormai che sia-

(suddivisa nelle quattro categorie di ma- mo infiniti, nella ragione, nella ricerca,
nuali, testi filosofici medioevali e rinasci- nel desiderio e nella volont, nella storia
210 schede bibliografiche
e nella potenza, persino nel consumo, e gea : ha fine unera immensa della no-

che la natura, di fronte a noi, finita (p.



stra storia ; meglio, inizia il nostro tempo

37) ; quindi, vediamo fronteggiarsi lin-



di ominescenza (ibidem).

finitezza degli umani contro la finitezza Lautore confida che questa situazione
del mondo (p. 36).

possa essere affrontata nel modo giusto
La situazione attuale ha, per, messo grazie al lavoro degli studiosi delle scien-
in evidenza che nel corso della storia an- ze della vita e della terra, ma propone lo-
zich diventare sempre pi indipendenti ro due giuramenti che ne guidino lope-
siamo maggiormente vincolati : Dipen-

rato. In effetti, c da constatare che gli
diamo alla fine dalle cose che dipendo- scienziati non sono affatto immuni dal
no da noi. [] Dipendiamo, infatti, da desiderio di successo e dallasservimento
un mondo della produzione del quale al potere politico ed economico. Sicch,
siamo in parte responsabili. [] Dipen- mi pare molto opportuno che Serres ri-
diamo esattamente da ci che dipende valuti il ruolo della filosofia e guardi con
da noi, il denaro, il mercato, il lavoro, il fiducia alla libert con cui tutti possono
commercio (p. 40). In fin dei conti, una

(almeno in teoria) accedere al sapere, sic-
volta acquisiti, o quasi, la padronanza e il ch ciascuno in grado di dare la sua

possesso della natura finiscono per il fat- opinione, di partecipare alle decisioni, di
to che la natura ci possiede e praticamen- condividere la competenza, in breve, di
te ci padroneggia (p. 41).

restare attento al proprio destino e attivo
Il soggetto umano, che si riteneva re in quello della collettivit (p. 83). Insom-

incontrastato del mondo, deve fare i con- ma, anzich rimanere nella passivit
ti con la propria vulnerabilit e le pro- necessario un ruolo attivo di cittadinan-
prie paure, che tante volte sono emerse za del mondo.
in questi ultimi tempi dinanzi allappari- Viste le esigue dimensioni, con qual-
re di vere o presunte epidemie. Ha avu- che inevitabile semplificazione, questo
to inizio, secondo Serres, una nuova era piccolo libro sembra un sassolino gettato
chiamata antropocene, nella quale gli in uno stagno, che potrebbe per inne-
esseri umani sono diventati oggetto del scare una serie positiva di reazioni con-
mondo che a sua volta viene oggettivato centriche. Me lo auguro sinceramente.
dagli uomini, in un doppio legame in-

crociato di feedback (p. 61) con la bio-


Francesco Russo
PUBBLICA ZIONI R ICEV UTE
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NOTE TO CONTR IBUTOR S
1. Submissions of articles should be addressed to the Editorial Office of Acta Philosophica (Via

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a) for books :

S. L. Brock, Action and Conduct, T&T Clark, Edinburgh 1998, pp. 95-102.
b) for contributions in a collective work of several authors :

J. Watkin, The Idea of Fate in Kierkegaards Thought, in J. Giles (editor), Kierkegaard


and Freedom, Palgrave, Basingstoke 2000, pp. 105-120.
c) for articles in a journal :

A. Llano, The Different Meanings of Being According to Aristotle and Aquinas, Acta

Philosophica , 10 (2002), pp. 29-44.


When a work is cited more than once in an article, it should be written as, S. L. Brock, o.c.,
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2000, pp. xxvii + 630.
(text of review)
(name of reviewer)
c o mp os to in car atter e dan t e mon ot y p e d a l l a
fabrizio serr a editor e , p i s a r oma .
stamp ato e rileg a t o n e l l a
t ipog r afia di ag n an o, ag na n o p i s a n o ( p i s a ) .
*
Febbraio 2012
(cz 2 fg 3)

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