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ACTA philosophica

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ACTA
PHILOSOPHICA
Rivista internazionale di filosofia
fascicolo i volume 21 anno 2012

PISA ROMA
FABRIZIO SERRA EDITORE
MMXII
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SOMM A R IO

quaderno
christian freedom and the development of capitalism
Juan Andrs Mercado, Presentazione 00
Oreste Bazzichi, Appunti sulletica economica della Scuola francescana 00
Mauro Magatti, Monica Martinelli, Dentro e oltre le illusioni del ca-
pitalismo tecno-nichilista. Per un diverso immaginario della libert 00
Michael Novak, Creation theology in economics several catholic traditions 00
Martin Schlag, Iustitia est amor : Love as Principle of Social and Eco-

nomic Life ?

00
studi
Tommaso Valentini, La filosofia politica di Kant. Chiliasmo filosofico e di-
ritto cosmopolitico 00
note e commenti
Elena Irrera, Can a Good Citizen be a Good Ruler ? An Answer from Aristo-

tles Politics 00
forum
Francisco Fernndez Labastida Jean Grondin Gaspare Mura,
Hans-Georg Gadamer : un bilancio a dieci anni dalla morte

00
Maria Pia Chirinos - Matthew B. Crawford Marco DAvenia,
The Value of Manual Work 00
recensioni
Jean Grondin, Introduzione alla filosofia della religione (Marco Porta) 00
Karl Jaspers, Il male radicale in Kant (Giovanni Zuanazzi) 00
Antonio Livi, Filosofia del senso comune. Logica della scienza e della fede
( Juan Jos Sanguineti) 00
Antonio Malo, Io e gli altri. Dallidentit alla relazione (Paulin Sabuy
Sabangu) 00
schede bibliografiche
Agostino dIppona, De immortalitate animae - Limmortalit dellanima
(Niccol Turi) 00
ngel Guerra Sierra, Hombres de ciencia, hombres de fe (Mara ngeles
Vitoria) 00
8 sommario
Josep-Ignasi Saranyana, Breve historia de la filosofa medieval (France-
sco Russo) 00
Michel Serres, Tempo di crisi (Francesco Russo) 00
Pubblicazioni ricevute 000
quaderno
christian freedom
and the development of capitalism
PR ESENTA ZIONE
Juan A ndr s Mercado *

O gni tentativo di interpretare i processi storici ha dei limiti. La proposta


di Max Weber per spiegare le divergenze dellimpostazione morale nelle
chiese riformate e in quella cattolica ha segnato profondamente il dibattito
sulla concezione del lavoro e il suo ruolo nella vita cristiana e nella riflessio-
ne filosofica in generale. Il fatto che sociologi come Weber e Sombart o pi
recentemente Simmel e Berger, e altri autori come Rodney Stark presentino
riflessioni di ampio respiro sulla combinazione di elementi sociali, teologici,
ecc. per spiegare le dinamiche dello sviluppo sociale rende evidente la neces-
sit di affrontare questi argomenti in sede filosofica.
Nel presente quaderno monografico abbiamo voluto riprendere alcuni de-
gli elementi pi importanti della discussione, per mettere in evidenza la ric-
chezza del messaggio cristiano riguardante lordinamento sociale. Si tentato
di invitare alcuni autori che fossero in grado di spiegare diversi aspetti della
spinta che lo spirito cristiano ha dato allo sviluppo economico e alla prospe-
rit.
Nei quattro contributi che offriamo ai nostri lettori vengono messe in risal-
to alcune dinamiche del pensiero cristiano e gli sforzi dei pensatori e delle au-
torit ecclesiastiche per applicare ai mutamenti storici il messaggio cristiano :

come si evince dalle righe dello studio di Martin Schlag, il Nuovo Testamento
non offre indicazioni specifiche sullorganizzazione della societ. Il comanda-
mento della carit si andato declinando nella storia del pensiero in diversi
modi, in dialogo non sempre pacifico con le diverse correnti del pensiero.
Anche oggi i teologi si sforzano di ritradurre il messaggio rivelato nelle ca-
tegorie di pensiero attuali. Le oscillazioni fra carit, benevolenza, solidarie-
t mettono in luce la vivacit del pensiero sociale cristiano per in-formare le
strutture sempre pi ampie e complesse.
Un filone importantissimo di questa dinamica storica si trova nello studio
di Oreste Bazzichi. Lautore riassume idee e fatti fondamentali della storia del
pensiero francescano che portarono al superamento dellimpostazione intel-
lettuale classica sullusura. Le strade alle volte contorte che dovette percorrere
il pensiero medievale per capire come il movimento di capitali e limpegno nel

* Pontificia Universit della Santa Croce, Facolt di Filosofia, Piazza SantApollinare 49,
00186 Roma ; e-mail : mercado@pusc.it

acta philosophica i, 21, 2012 pp. 11-14


12 juan andrs mercado
lavoro si potevano tradurre in un valore aggiunto, e che questo non era im-
morale, sono una lezione da non ignorare per capire la natura della riflessione
filosofica e teologica sui fenomeni della vita sociale. La condanna aristotelica
del far soldi con i soldi, basata sulla realt che il denaro soltanto uninven-
zione umana per agevolare lo scambio e che nella sua condizione di mezzo
non poteva diventare un fine, segn profondamente la storia del pensiero. Il
rapporto fra prestito ed interesse e la distinzione di questultimo nei confronti
dellusura richiese uno sforzo notevole di riflessione e, soprattutto, di mes-
sa in atto di istituzioni miranti allo sviluppo del bene comunitario. A poco a
poco si comincia a conoscere meglio la storia del capitalismo cristiano del
medioevo e la creazione di istituzioni quali le banche, la necessit di stabilire
sistemi di credito e di assicurazione, linvenzione dei documenti di cambio,
ecc. Sarebbe auspicabile che parallelamente si conoscessero meglio gli sforzi
intellettuali per portare avanti limpresa di comprensione e traduzione delle
categorie economiche a livello filosofico e teologico, alcune delle quali sono
state enunciate da Bazzichi.
Sfumature importanti nella concezione della libert allinterno della tradi-
zione francescana nei confronti di quella domenicana portarono a una visio-
ne meno determinata da principi speculativi, come quelli aristotelici. Michael
Novak propone un altro punto di vista su questa libert per rileggere i risultati
dello sviluppo materiale degli ultimi secoli. Secondo il teologo americano, c
una coincidenza importante fra la fantasia dellarte cattolica che non rinun-
ci alle espressioni plastiche della bellezza dopo il xvi secolo, e la capacit di
innovare nellorganizzazione di istituzioni efficaci e redditizie, che nel medio
termine hanno rivoluzionato i livelli di benessere. Lascetismo delle chiese ri-
formate, asserisce Novak, non uno stimolo per lo scambio, e lidea della
ricompensa terrena quale pallido riflesso della predestinazione sono elementi
meno determinanti della capacit di invenzione delleconomia guidata da una
razionalit aperta. Tale apertura si fatta strada nel magistero cattolico e le
idee del lavoro come via di perfezione umana e la rivalutazione della collabo-
razione come mezzi di sviluppo umano nelle societ libere molto evidente
nelle encicliche sociali di Giovanni Paolo II. Anche se in maniera molto sinte-
tica, Novak fa riferimento alla necessit di un substrato culturale consistente
come cornice e humus delle istituzioni democratiche e libere.
Mauro Magatti e Monica Martinelli svolgono una lettura critica delle conse-
guenze sociali ed economiche del capitalismo tecno-nichilista, cio, della linea
di pensiero liberale determinata dallindividualismo tipico della modernit. Il
ruolo delle istituzioni che non pi un lavoro comunitario a servizio del be-
ne comune, come quello illustrato da Bazzichi, bens un sistema di controllo
esterno permeato da un relativismo che fa degenerare i principi di libert e
partecipazione democratica in un ambiente postmoderno di indifferenza nei
confronti della realt e delle esigenze sociali. Il decostruzionismo, con limpo-
presentazione 13
sizione dellidea che nulla ha un significato vero e profondo, pone limperativo
della realizzazione di s stessi come auto-costruzione libera da vincoli. Magat-
ti e Martinelli propongono la ripresa di nozioni basilari quali la vita e lattivit
umana in chiave relazionale : la vita umana proviene dalla relazione e ha un

carattere generativo sempre in un intreccio di relazioni. indispensabile risco-


prire il significato di queste relazioni per ricostruire un pensiero pi aderente
alle vere necessit della natura umana. Lattuale situazione economica e so-
ciale unoccasione per riflettere sulle radici della crisi e superare i limiti suac-
cennati. Le grandi tradizioni religiose, con i loro patrimoni, costituiscono uno
dei pochi contesti in grado di sfidare legemonia tecno-nichilista. Le istituzioni
educative devono riprendere la loro vocazione nei confronti del bene comune
e reagire per superare la bancarotta del liberismo individualista.
La vasta gamma di questioni apparse in questi quattro studi rende eviden-
te che i problemi non si possono risolvere con delle formule semplicistiche.
anche chiaro che non si pu avere un accordo totale sulle valutazioni dei
grandi processi storici e intellettuali : ci sarebbe molto da riflettere sullarmo-

nizzazione dellefficacia tecnica, preconizzata da Novak, per evitare le derive


nichiliste denunciate da Martinelli e Magatti. La riflessione sullimpatto reale
della gratuit e del dono, sottolineata da Bazzichi e da Schlag, iniziata solo
recentemente nel campo teologico e pu dirsi che non neanche avviata nel
dibattito pubblico. I progetti delle istituzioni universitarie per i prossimi anni
dovrebbero comprendere come capitolo fondamentale la riflessione mirata
sugli argomenti pi importanti che emergono nella discussione sullinflusso
delle idee, la religione e la cultura nello sviluppo economico e sociale.
A PPUNTI SULLETICA ECONOMICA
DELLA SCUOLA FR A NCESCA NA
Or este Bazzichi *
Sommario : 1. Le ragioni di un ritardo. 2. Fecondit del paradigma etico-sociale francescano.

2.1. Fra Pietro di Giovanni Olivi. 2.1.a La teoria del capitale. 2.1.b Teoria del valore economico
e del giusto prezzo. 2.2. Giovanni Duns Scoto. 2.3. Alessandro Bonini di Alessandria. 2.4. San
Bernardino da Siena riformatore sociale. 3. Dal discorso economico francescano al modello
civile.

U no dei pi autorevoli studiosi di storia del pensiero economico, Joseph A.


Schumpeter, nel formulare la periodizzazione dellevoluzione delle dot-
trine economiche dei dottori della Scolastica, giudicava di assoluta irrilevanza
il pensiero economico scolastico della prima fase (fino al Duecento), di scarsa
importanza i secoli xiii e xiv, e soltanto tutto il Quattrocento e il secolo suc-
cessivo di grande rilievo e di fondamentale importanza. Secondo lautorevole
studioso della Scuola socio-economica austriaca, il Quattrocento, infatti, era
dominato dallinsegnamento economico del domenicano santAntonino da
Firenze, il primo uomo al quale si possa attribuire una visione generale del

processo economico . 1

Appare del tutto singolare che uno studioso come Schumpeter non facesse
alcuna menzione al contrario del grande sociologo tedesco Max Weber 2

di unaltra importante figura di teologo-economista della prima met del


Quattrocento, il francescano san Bernardino da Siena. Ormai opinione lar-
gamente diffusa fra studiosi italiani e stranieri 3 che larcivescovo domenicano

* Pontificia Facolt Teologica San Bonaventura Seraphicum, Via del Serafico, 1 - 00142
Roma. E-mail : oreste.bazzichi@alice.it

1 J.A. Schumpeter, Storia dellanalisi economica, Einaudi, Torino 1959, vol. I, p. 117. Dello
stesso parere anche laltro grande storico del pensiero economico W. Sombart, Il capitali-
smo moderno, utet, Torino 1967 ; Idem, Il borghese, Longanesi, Milano 1950.

2 Cfr. M. Weber, Letica protestante e lo spirito del capitalismo, Rizzoli-bur, Milano 1997, pp.
134-135. In particolare, Weber scrive di teologi scotisti e mendicanti quattrocenteschi ,

citando specificamente Bernardino da Siena, che cerca di giustificare, come Antonino da


Firenze, il guadagno del commerciante, in quanto imprenditore, come lecito compenso

per la sua industria .


3 Cfr. R. De Roover, Scholastics Economics : Survival and Lasting Influence from the Sixteenth

Century to Adam Smith, Quaterly Journal of Economics , maggio 1955, pp. 161-190 (tra-

acta philosophica i, 21, 2012 pp. 15-40


16 oreste bazzichi
di Firenze, Antonino Pierozzi, utilizzava abbondantemente le elaborazioni
economiche di san Bernardino su temi fondamentali quali il valore econo-
mico, il giusto prezzo, la funzione della moneta, la produttivit del capitale
monetario, la giustificazione morale dellinteresse, il ruolo sociale e morale
del mercante-imprenditore nella comunit. Ora, se si tiene conto che la mag-
gior parte dei ragionamenti e delle idee del senese sui principali problemi
economici sono attinti dagli scritti dei teologi francescani precedenti tra cui :

Pietro di Giovanni Olivi, Giovanni Duns Scoto, Alessandro Bonini di Alessan-


dria, Astesano di Asti, Gerardo di Odone occorre collocare la nascita di un
organico, anche se ancora perfettibile, sistema economico almeno un secolo e
mezzo prima rispetto alla periodizzazione proposta da Schumpeter e tre seco-
li prima della nota tesi di Max Weber, che fa risalire lorigine dello spirito del
capitalismo alletica calvinista. 4

dotto in italiano : Leconomia scolastica e influenza sul pensiero economico dal sedicesimo secolo

a Adam Smith, in Suppl. 6 a La Societ , 6 (2007), pp. 12- 42 ; Idem, San Bernardino of Siena

and santAntonino of Florence. The Two Great Economic Thinkers of the Middle Ages, Mass, Bos-
ton 1967 ; Idem, La pense conomique des Scolastiques. Doctrine et mthodes, Institute dtude

mdivales, Montral-Paris 1971 ; Idem, Business Banking and Economic Thought in Late Medi-

eval and Early Modern Europe, ed. J. Kirshner, Chicago 1974 ; G. Barbieri, Il pensiero economico

dallantichit al Rinascimento, Istituto di Storia Economica, Bari 1963 ; Idem, Le dottrine mo-

netarie dal xiii al xvii secolo, Economia e Storia , 3 (1975) ; O. Capitani, La concezione della

povert nel Medioevo, Patron, Bologna 1981 ; Idem, Figure e motivi del francescanesimo medioe-

vale, Patron, Bologna 2000 ; G. Todeschini, Oeconomica Franciscana. Proposte di una nuova

lettura delle fonti delletica economica medioevale, Rivista di Storia e Letteratura Religiosa ,

xii (1976), pp. 15-77 e xiii (1977), pp. 461-494 ; Idem, Il prezzo della salvezza. Lessici medievali del

pensiero economico, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1994 ; Idem, I mercanti e il Tempio. La so-

ciet cristiana e il circolo virtuoso della ricchezza fra Medioevo e et moderna, Il Mulino, Bologna
2002 ; Idem, Dalla povert volontaria alla societ di mercato, Il Mulino, Bologna 2004 ; A. Spic-

ciani, SantAntonino, san Bernardino e Pier di Giovanni Olivi nel pensiero economico medievale,
Economia e Storia , 19 (1972), pp. 315-341 ; Idem, La mercatura e la formazione del prezzo nella

riflessione teologica medioevale, Atti Accademia dei Lincei, Roma 1977 ; O. Bazzichi, Alle origi-

ni del capitalismo, Dehoniane, Roma 1991 (riproposto con integrazioni Alle radici del capitali-
smo. Medioevo e scienza economica, Effat, Cantalupa (Torino) 2003) ; Idem, Dallusura al giusto

profitto. Letica economica della Scuola francescana, Effat, Cantalupa (Torino) 2008 ; Idem, Il

paradosso francescano tra povert e societ di mercato. Dai Monti di Piet alle nuove frontiere del
credito, Effat, Cantalupa (Torino) 2011, soprattutto pp. 75-77.
4 Uno dei concetti principali caratterizzanti la teologia di Giovanni Calvino (1509-1564)
quello della predestinazione ; tema che ha favorito nella storia della Chiesa costanti di-

scussioni e controversie. Da questa dottrina scaturisce lassunto che Dio fissa per ciascuno
la propria attivit su questa terra, alla quale luomo deve adeguarsi come ad una regola
perenne. Quindi, ogni lavoro rientra nel processo di santificazione ed connesso allele-
zione divina. Luomo potr raggiungere il successo e la prosperit materiale solo con la
benedizione di Dio. Da queste riflessioni scaturiscono le premesse del pensiero sulletica
economica calvinista, che giustifica moralmente laspirazione degli individui al guadagno
e al successo mondano. Perci, la dottrina della predestinazione calvinista carica dansia il
appunti sull etica economica della scuola francescana 17
Quindi, dalle opere dei pensatori della Scuola francescana scaturisce las-
sunto : la teoria e la pratica delleconomia di mercato sono germogliate, ben

prima di Calvino e del fondatore della scienza economica, Adam Smith.


La riflessione dei frati minori ha creato, cio, le condizioni per lo sviluppo
dei principi etici insiti nel capitalismo, contribuendo alla formazione di una
mentalit diffusa in cui il mercato ha trovato un valido appoggio per gli svi-
luppi successivi. In tale prospettiva il pensiero economico della Scuola fran-
cescana appare come la causa concretamente induttiva della nascita di isti-
tuzioni capitalistiche, quali i Monti di Piet prodromi dellodierne Casse di
Risparmio e delle organizzazioni del credito cooperativo e il trust.
Pu sembrare paradossale che i maestri francescani del xiii, xiv e xv secolo,
conciliando attivit speculativa con la pratica pastorale del vivere quotidiano
vicino alla gente e rigettando il denaro dalla propria vita, si siano scoperti degli
economisti di notevole valore, che hanno saputo anticipare alcune acquisizio-
ni teoriche fondamentali. Ma il paradosso attenuato dalla considerazione
per cui limpegno francescano per lo sviluppo di istituzioni pre-capitalistiche
era finalizzato non solo a non rigettare leconomia, ma a viverla in un oriz-
zonte di sobriet e nella logica della promozione del bene comune. Ed pro-
prio dallanalisi della parola paupertas che nasce nei francescani lopportunit
di occuparsi delle pratiche economiche e di contribuire alla formazione del
vocabolario economico occidentale. Essi, attraverso unazione parenetica e
pratica molto efficace sul popolo, riuscirono brillantemente a dare una forte
accelerazione al sistema sociale e allo sviluppo economico e civile, i cui fon-
damentali principi conservano ancora oggi, nellepoca della globalizzazione,
tutta la loro attualit.
La felice intuizione dei Monti di Piet, poi, elargendo i loro prestiti caso per
caso in funzione delle effettive necessit (microcredito), possono essere visti
come i primi finanziatori del credito al consumo ed allo sviluppo delle piccole
imprese.

1. Le ragioni di un ritardo
Quali sono state le cause del ritardo nella conoscenza delle fonti primarie della
Scuola francescana nel campo etico-sociale ? Le circostanze sono sostanzial-

mente quattro.
La prima riguarda il campo dellermeneutica teologica, in cui pesano alcuni
documenti pontifici sulla scelta del tradizionale sistema filosofico : quello della

Scuola aristotelico-tomista. Il pi rilevante e quello del 4 agosto 1879 quando


Leone XIII nella Aeterni Patris, pur parlando di Tommaso e di Bonaventura

credente a tal punto, che egli sente un assillante bisogno di certezze circa il proprio status di
eletto o di dannato. Ne consegue una nuova concezione che orienta lattivit professionale
ad una assidua e inarrestabile ricerca del massimo profitto.
18 oreste bazzichi
come di due candelabri in dono Dei lucentia, sceglie per limpostazione e
lanalisi teologica il sistema unico della Scolastica aristotelico-tomista. Occor-
re attendere 120 anni per tornare alla pluralit culturale : la grande enciclica

Fides et ratio (14 settembre 1998) di Giovanni Paolo II cancella, innanzi tutto, la
contrapposizione dei due sistemi filosofici e teologici (Scuola tomista e Scuola
francescana), proponendo e promuovendo la loro complementariet.
Nella recente enciclica Spe salvi Benedetto XVI, oltre a dichiarare lIllumi-
nismo, assieme al marxismo, speranze terrene fallite, chiarisce che nellepoca
attuale si registra in molti ambienti la sostituzione del razionalismo con una
sorta di dittatura del relativismo, un male che corrode dal di dentro le societ
occidentali.
E nella Caritas in veritate egli aggiunge che lideologia dellindividualismo,
nella sua forma sempre pi esasperata, che minaccia davvero la nostra societ,
la cui salvezza consiste nel trinomio fraternit, sviluppo economico e societ
civile.
Lo sfondo teorico dellenciclica, perci, ispirato dalletica francescana del-
la gratuit, che esprime letica dellalterit, via privilegiata per coniugare gra-
tuit e apertura dialogale, e letica della libert, da cui scaturisce letica della
responsabilit. 5 In continuit con ci nellenciclica si afferma continuamente

che la questione essenziale la purificazione del cuore, della mente e della


volont delluomo.
Accanto e in aggiunta a questa considerazione si innestata lidea che la
sancta rusticitas francescana non consentisse ai frati unadeguata attivit intel-
lettuale. Niente di pi falso. Basta ricordare i primi maestri dellUniversit
di Parigi (Alessandro dAles, san Bonaventura, Giovanni Duns Scoto, Alessan-
dro Bonini di Alessandria, Aimone di Favershan, Gilberto di Tournai, ecc.) e
dellUniversit di Oxford (Roberto Grossatesta, Adamo Marsch, ecc.). Non
corretta, quindi, linterpretazione che considera S. Francesco contrario agli
studi ed alla cultura. Si tratta di un equivoco che non tiene in considerazio-
ne il suo esatto pensiero. Difatti, lammonizione che egli rivolge ai frati nella
Regula bullata : Se non sanno di lettere non si curino di apprenderle (c.

9), altro non significa che nel movimento francescano c posto anche per gli
indotti. Tanto vero che S. Bonaventura nellExpositio super Regulam Fratrum
Minorum 6 interpreta la volont di Francesco nel senso di un incoraggiamento

a studiare teologia, senza la quale non sarebbe possibile neanche la predica-

5 Nella nota 102 lenciclica rimanda allIstruzione sulla libert cristiana e la liberazione,
Libertatis coscientia, del 22 marzo 1987 della Congregazione della Dottrina della Fede, che
porta la firma proprio dellallora card. Joseph Ratzinger. In tale documento si afferma che
il problema non sono le strutture in se stesse, ma il peccato delluomo che pu strutturarsi
in vere e proprie strutture di peccato.
6 Opera omnia, studio et cura PP. Collegii S. Bonaventurae ad fidem codicum edita, viii,
Ad Claras Aquas 1898, p. 339.
appunti sull etica economica della scuola francescana 19
zione. Daltra parte, fin dallinizio non mancarono frati dotti. Lo stesso frate
Elia da Cortona (morto nel 1253), secondo vicario di S. Francesco (1221-1227)
e secondo ministro generale (1232-1239) era ben istruito, essendo stato notaio
a Bologna. Anche il poeta francescano Iacopone da Todi, nella lauda 88, non
condanna la cultura in s, ma la vanagloria e lorgoglio che gli studi potrebbe-
ro suscitare, in contrasto con la minoritas francescana. Daltra parte, lui stesso
era uomo colto, competente in materia legale, conoscitore della poesia volga-
re contemporanea, nonch versato negli studi teologici. Un uomo di cultura,
dunque, che polemizza contro la cultura. 7 Ma con lintento di colpire la cultu-

ra che diviene incentivo alla sufficienza e alla superbia e mortifica lumilt e la


semplicit, provocando un pericoloso rilassamento dei costumi ed esigendo,
a motivo della superiorit culturale, un trattamento privilegiato rispetto agli
altri frati.
La seconda circostanza legata alla tesi weberiana comunemente accet-
tata dagli studiosi del pensiero economico , che individua una significativa
corrispondenza tra letica calvinista e lorigine dello spirito del capitalismo ; tesi

che ha impedito la ricerca di altre fonti, al di l degli accenni su san Tomma-


so e lapprodo su santAntonino da Firenze, come tra i primi fondatori della
scienza economica. Alla base di questo fatto storico curioso, da un lato, c
sicuramente la condanna e lancor pi grave oblio di Pietro di Giovanni Olivi,
dallaltro, il ritardo con cui si avuta ledizione critica delle opere di san Ber-
nardino, 8 che nei suoi vari scritti riproduce, talvolta integralmente, il pensiero

economico soprattutto di fra Pietro dei maestri francescani precedenti. 9 In

questo modo alcuni studiosi accorti hanno potuto agevolmente evidenziare il


significativo contributo della Scuola francescana medievale e tardo-medievale
alla genesi ed allo sviluppo della scienza economica, ripercorrendo a ritroso
litinerario delle idee economiche medievali : da Antonino allOlivi passando

per Bernardino. Ci piace qui ricordare, a vario titolo, i pionieri : Raymond De

Roover, Alberto Ghinato, Ovidio Capitani, Gino Barbieri, Amleto Spicciani,


Giacomo Todeschini, Oscar Nuccio, Oreste Bazzichi, a cui vanno aggiunti
due filosofi del calibro di Orlando Todisco e Dario Antiseri e leconomista
Stefano Zamagni.
La terza circostanza riguarda la questione della povert, snodo centrale e
fondamentale della mission francescana. 10 Perch Pietro di Giovanni Olivi fu

7
Cfr. G. Getto, Il realismo di Iacopone da Todi, Lettere Italiane , 38 (1956), pp. 223-269.

8
Cfr. Opera omnia, studio et cura PP. Collegii S. Bonaventurae ad fidem codicum edita,
9 voll., Florentiae 1950 - 1965. Cfr. anche D. Pacetti, La libreria di San Bernardino da Siena e le
sue vicende attraverso cinque secoli, Studi Francescani , 62 (1965), pp. 3-43.

9 Nel Contractibus et usuris, oltre allOlivi e a Scoto, si richiama ben 31 volte al trattato
De usuris di Alessandro Bonini di Alessandria, 23 volte alla Summa de casibus conscientiae di
Astesano di Asti e 22 volte al De contractibus di Gerardo di Odone.
10 Non dimentichiamo che Francesco era rimasto tanto innamorato della povert da
20 oreste bazzichi
uno dei pi attivi protagonisti nella ben nota polemica sorta nel xiii secolo in
seno allOrdine francescano riguardante linterpretazione della Regola sulla
povert e lo scontro tra papato e impero per la plenitudo potestatis. 11 Fra Pietro

fu la mente dottrinale pi lucida della corrente degli Spirituali e, pur essendo


morto in et relativamente giovane (1298), di quella corrente fu uno dei prin-
cipali capi. In realt, la difesa della povert volontaria (usus pauper) dei beni
materiali e la distanza, o meglio, la contrariet dellesercizio del potere civile
da parte degli uomini ecclesiastici, non potevano non suonare pericolose al
vertice della Chiesa, simile ad un rimprovero duro : rinunciare non solo alla

propriet, ma anche al potere politico, economico, sociale e culturale. Qui


sta il paradosso. Nellantropologia francescana, infatti, si incontra larmonia
tra lagostiniana citt terrestre con la citt di Dio : immanenza e trascen-

denza. Lumanesimo francescano, da un lato, comporta lo stare nel mondo, il


condividere, il coesistere, il dialogare, lo stare insieme e il progettare il sistema
sociale con tutte le creature esistenti ; dallaltro, la contemplazione e ascensio-

ne a Dio, che fa leva su una ontologia di comunione, di partecipazione e di


fraternit globale.
Pu essere interessante chiedersi : come mai i pensatori francescani del Due-

cento, e per di pi anche di appartenenza alla corrente degli Spirituali, abbiano


avuto un cos spiccato interesse per i problemi economici del proprio tempo.
Non vi dubbio che, oltre alla Regola francescana dei pauperes, dei pel-
legrini e forestieri di questo mondo, la penetrante intelligenza e lattento spi-
rito di osservazione di questo gruppetto di teologi, sotto i cui occhi andavano
trasformandosi il potere politico, la Chiesa, il potere ecclesiastico, la societ e
leconomia del loro tempo, riescono ad elaborare un linguaggio economico,
dando vita, nella logica del bene comune, ad una organizzazione di un giu-
sto uso dei beni nella societ civile. La minima idea che i francescani, fautori
della povert volontaria, si siano occupati di chiarire la differenza fra usura e
prestito, fra lusso e giusto uso dei beni, tra valore economico e giusto prezzo,

volerla sposare. Anche nella morte volle essere fedele alla sua sposa, ponendosi tutto nudo
sulla terra. Secondo lui, la povert suscita negli altri generosit, allontana le eccessive pre-
occupazioni per la vita terrena ed fonte di gioia. Cfr. Tommaso da Celano, Vita prima
e Vita secunda, Analecta Franciscana , x, Collegio San Bonaventura, Quaracchi-Firenze

1926-1941 ; Bonaventura da Bagnoregio, Legenda maior, Analecta Franciscana , x, Colle-


gio San Bonaventura, Quaracchi-Firenze 1941 ; Fioretti di S. Francesco, a cura di P. B. Bughet-


ti, Collegio San Bonaventura, Quaracchi-Firenze 1926 ; Sacrum Commercium sancti Francisci

cum Domina Paupertate, Collegio San Bonaventura, Quaracchi-Firenze 1929 ; Admonitiones,


in Opuscula Francisci Assisiensis, a cura di K. Esser, Collegio SantAntonio (ex Collegio


San Bonaventura di Quaracchi), Grottaferrata (Roma) 1976.
11 Per un approfondimento su entrambe le tematiche, cfr. O. Bazzichi, Il paradosso fran-
cescano tra povert e societ di mercato. Dai Monti di Piet alle nuove frontiere etico-sociali del cre-
dito, Effat, Cantalupa (Torino) 2011, pp. 23-51.
appunti sull etica economica della scuola francescana 21
tra la figura del mercante e quella dellusuraio, diventando, paradossalmente,
gli ideologi della societ di mercato, ha reso scettico qualunque studioso della
storia del pensiero economico. Daltra parte, se comprensibile che i ricerca-
tori siano stati attratti e influenzati dal mirabile edificio dottrinale di san Tom-
maso dAquino, e quindi da una sola Scuola medievale, non scientificamente
giustificabile che non abbiano ritenuto interessante allargare la loro attenzio-
ne anche ai rappresentanti dellaltra Scuola medievale, quella francescana, il
larga misura ancora inesplorata e meno conosciuta. 12 Ne una riprova il fatto

che ancora oggi insigni accademici continuino a considerare, nel panorama


etico-sociale, patrimonio culturale comune, sul versante teologico, san Tom-
maso, e sul piano sociologico, la tesi di Max Weber sulletica protestante e lo
spirito del capitalismo. 13

Infine, la quarta circostanza di natura epistemologica. Lanalisi etico-eco-


nomica della Scuola francescana ha due precisi riferimenti, uno storico e uno
ideologico : il pauperismo e il volontarismo. Il pauperismo medievale costi-

tuito da quel complesso magmatico di idee religiose, morali, politiche tal-


volta pi vicine ai confini delleresia che dellortodossia che scaturiva dalla
presa in considerazione della condizione di povert di vasti strati di popola-
zione emergenti della societ. un movimento vasto e complesso, sotto il cui
comune denominatore si possono interpretare molteplici e spesso contraddit-
tori aspetti della storia del Medioevo.
Il volontarismo nasce dalla sistemazione fatta da Giovanni Duns Scoto del
problema della libert dellagire umano, sistemazione che pur tenendo con-
to della dottrina tomista si impianta sulle suggestive radici del pensiero di
santAgostino.
La base dellimpostazione teorica di contenuto economico dei maestri fran-
cescani una concezione generale fondata sui principi antropologici di ma-
trice scotiana. Dal volontarismo di ascendenza agostiniana e scotiana nasce
la spiegazione del sistema e del processo economico. Il perno del diritto della
communitas non originata dallo Stato nozione ancora sconosciuta ai
pensatori medievali , n dalla legge naturale, ma dal sistema di contratti, la

12 Naturalmente con ci non si vuole togliere nulla allimportanza e alla validit delle
ricerche e delle tesi che partono da ottiche diverse, pi legate alla Scuola tomista o a quella
di Salamanca o alle forme letterarie degli umanisti laici.
13 doveroso ricordare che il primo studioso di area cattolica che intervenne coraggio-
samente a correggere lassunto di Weber fu A. Fanfani, Le origini dello spirito capitalistico in
Italia, Vita e Pensiero, Milano 1933 ; Idem, Cattolicesimo e protestantesimo nella funzione storica

del capitalismo, Vita e Pensiero, Milano 1934. La sua ricerca, oltre ad aprire un varco nelluna-
nimit alla tesi del grande sociologo tedesco del Novecento, pone una serie di riflessioni
non tanto nel campo della dottrina sociale della Chiesa, quanto piuttosto nel dibattito tra
cattolici, che attribuivano volentieri le distorsioni e le aberrazioni del paleo-capitalismo
alletica calvinista.
22 oreste bazzichi
cui rispondenza al bonum commune impedisce alla communitas di tra-
sformarsi in incommunitas, dominata dalliniquit. Un diritto senza Stato,
dunque, che nasce dalla societ civile e si articola in un sistema contrattua-
listico che d vita ad un mercato autoregolantesi in quanto rispondente a
quei principi del bonum commune che tengono la communitas coesa nel
rispetto del singolo. questa la proposta ma anche lutopia della filosofia
sociale francescana, per la quale criterio del vero il bene e il fondo abissale
dellessere costituito dalla libert, cifra della gratuit. 14 Sta qui la ricchezza

e la novit del pensiero etico-economico della Scuola francescana medievale e


tardo-medievale, fondato sulle esigenze concrete della vita quotidiana e della
realt sociale. Contatto con la gente, ricerca e analisi delle problematiche nuo-
ve emergenti dalla societ : questi i motivi essenziali che danno la risposta sto-

rica e epistemologica perch i francescani, a partire dalla seconda met del xiii
secolo, elaborano, sul piano dottrinale, una originale e lungimirante teologia
economica per superare le difficolt giuridico-morali sorte a seguito della se-
vera condanna canonica dellusura e, sul piano pratico, inventano i Monti di
Piet, consentendo, attraverso lerogazione del credito ad interesse, una forte
accelerazione al sistema sociale e allo sviluppo economico e civile.

2. Fecondit del paradigma etico-sociale francescano


Nella seconda met del xiii secolo tre teologi francescani Pietrro di Giovan-
ni Olivi (1248-1298), Giovanni Duns Scoto (1263/66-1308) e Alessandro Bonini
di Alessandria (1270-1314) elaborarono una serie di concetti economici : capi-

tale monetario, interesse, valore economico, giusto prezzo, cambio, sconto.


Essi furono indotti a ricercare, sul piano teorico, il superamento della condan-
na ecclesiastica dellusura, che costituiva un reale ostacolo allo sviluppo del
sistema economico-finanziario. 15

14 Cfr. O. Todisco, Il dono dellessere. Sentieri inesplorati del modello francescano, Edizioni
Messaggero, Padova 2006 ; Idem, La libert fondamento della verit. Ermeneutica francescana del

pensare occidentale, Edizioni Messaggero, Padova 2008.


15 Nel xiii secolo la tesi della proibizione morale, canonica e civile del prestito ad inte-
resse era rigidissima. Tutti gli autori di summae teologiche, di manuali per confessori, quasi
tutte le fonti normative civili e la totalit delle norme canoniche proibivano lusura. Basta
richiamare, fra le numerose citazioni possibili, la celebre quaestio n. 78, iii, della Summa
theologiae di S. Tommaso dAquino : cosa ingiusta in se stessa riscuotere linteresse del

denaro imprestato, perch equivale a vendere una cosa che non esiste ; ne deriva una disu-

guaglianza e questa compromette la giustizia . Le eccezioni a questa tesi, solo adombrate


dallAquinate, sono cos labili, astratte e lontane dalla realt che risultano inapplicabili. E
soprattutto non viene ipotizzato alcun legame tra luso della moneta e lesercizio di unat-
tivit mercantile che potrebbe rendere il denaro non sterile, come lo invece secondo la
rigorosa concezione aristotelica nummus non parit nummo.
appunti sull etica economica della scuola francescana 23

2. 1. Fra Pietro di Giovanni Olivi


Nellanalisi economica di fra Pietro di Giovanni Olivi troviamo gi una visio-
ne generale del processo economico molto moderna e altamente schematica
nella sua concettualizzazione, tanto che non azzardato considerarlo il primo
vero economista fra i pensatori della Scolastica. 16

Il funzionamento del mercato pu essere intrinsecamente morale purch


sia inquadrato in unetica comunitaria ; cio, un mercato, che nasce dalla so-

ciet civile e si articola e si autoregola in rispondenza ai principi del bonum


commune. Il prezzo delle merci pu essere giusto, anche se oscilla in presenza
di una carestia o per il semplice differimento dello scambio nel tempo, purch
non confligga con il bene comune.
Ai fini della storia del pensiero economico, il fatto rilevante di questi assunti
dellOlivi che vengono annunciati e diffusi nella seconda met del Duecen-
to, quando ancora alcuni meccanismi del capitalismo mercantile erano in fa-
se embrionale. Ma, vicino alle esigenze reali della gente, la sua intuizione lo
porta a cogliere i segni del nascente mutamento istituzionale ed economico in
tutta la loro complessit e sotto questo profilo va considerato ormai come la
figura pi eminente fra gli economisti medievali. 17

16 Il frate provenzale noto anche nel campo speculativo (tanto da meritarsi lappel-
lativo di Doctor speculativus) per la tesi della pluralit delle forme dellanima umana ;

dottrina condannata dalla costituzione dogmatica Fidei Catholicae del Concilio di Vienna
(1311-1312) : di conseguenza, tutti i suoi scritti teologici e canonici furono rigorosamente

proibiti sotto pena di scomunica e destinati ad essere bruciati da fra Giovanni da Murro
che fu generale dellOrdine francescano dal 1295 al 1303. Questo circostanza spiega ragio-
nevolmente il motivo per cui san Bernardino da Siena, pur attingendo a piene mani da Pie-
tro di Giovanni Olivi, non citi mai il confratello. Sulla vita e lopera del frate francescano,
cfr. S. Gieben, Bibliographia oliviana (18851967), Collectanea Franciscana , 38 (1968), pp.

167-195. Nel tomo iv dellOpera omnia di san Bernardino magistralmente edita dai Padri
francescani del Collegio S. Bonaventura di Quaracchi (Firenze), i Sermones dal xxxii al XLV
contengono il Tractatus de contractibus et usuris (1956). Si tratta sicuramente di una delle
opere pi interessanti per chi voglia studiare levoluzione del pensiero economico. Ma
limportanza dei Sermones ancora maggiore perch nei codici che egli ha utilizzato sono
stati scrupolosamente e onestamente annotati i riferimenti testuali alle opere dellOlivi e
degli altri confratelli di un secolo e mezzo precedenti. Circostanza della quale ledizione
critica di Quaracchi ha tenuto sempre conto con esemplare rigore scientifico e filologico.
In particolare, le idee dellOlivi in ordine al concetto di capitale mercantile e i ragio-
namenti che portano a concepire la qualit dellinteresse rispetto alla rigida proibizione
morale dellusura transitano pari pari nei Sermones bernardiniani e nella celebre Summa
theologica di santAntonino.
17 Certamente vero quanto scrive Schumpeter che la societ dei tempi feudali con-
teneva tutti i germi della societ dellet capitalistica, cos come la scienza scolastica del
Medioevo conteneva tutti i germi della scienza laica del Rinascimento (Storia dellanalisi
economica, o. c., p. 100), ma le analisi dellOlivi dimostrano anche inconfutabilmente la labi-
24 oreste bazzichi
Per constatare lacutezza del pensiero del frate provenzale e la modernit
della sua visione del processo economico si possono ricordare, semplifican-
done al massimo lesposizione, 18 due aspetti principali della sua lettura delle

categorie delleconomico ; aspetti che, con una classificazione terminologica


moderna, possiamo chiamare : la teoria del capitale e dellinteresse e la teoria


del valore economico e del giusto prezzo. 19

2. 1. a. La teoria del capitale


Il tema della produttivit del capitale trattato dallOlivi nel De usuris, 20 dove

pone in stretta relazione il mercato e il denaro.


Nel dubium sextum il teologo francescano propone la sua idea della pre-
senza seminale del lucro nel capitale, nella somma di denaro, cio, de-
stinata allattivit produttiva e commerciale. 21 Egli, infatti, definisce il capi-

tale come somma di denaro o qualsiasi merce che, essendo destinata ad una
qualche attivit economicamente produttiva, contiene gi in s un seme di
lucro ; questa presenza seminale di lucro fa s che il prezzo di un capitale ad

esempio, formato da una somma di denaro sia superiore al valore della sem-
plice moneta che lo misura : Ci che con ferma decisione (firmo proposito) del

lit della tesi di Max Weber sulle origini dello spirito del capitalismo, da far risalire alletica
protestante.
18 Ricorrendo anche ai nostri studi sullantropologia economica francescana, contenuta
nella trilogia pubblicata da Effat : Alle radici del capitalismo. Medioevo e scienza economica,

2003, pp. 108-113 ; Dallusura al giusto profitto. Letica economica della Scuola francescana, 2008,

pp. 60-71 ; Il paradosso francescano tra povert e societ di mercato. Dai Monti di Piet alle nuove

frontiere del credito, 2011, pp. 60-72.


19 La metodologia etico-eonomica del suo pensiero contenuta nel Tractatus de emptio-
ne et venditione, de contractibus usurariis et de restitutionibus. Lopera stata pubblicata da G.
Todeschini, Un trattato di economia politica francescana, Istituto Storico Italiano per il Me-
dioevo, Roma 1980. Le citazioni del Trattato sono tratte da questa pubblicazione, che, nella
trascrizione, ha tenuto conto dei vari manoscritti esistenti.
20 Costituisce la seconda parte dellopera citata nella nota precedente.
21 : Causa autem quare sub tali pretio potest iluud vendere vel commutare est, tum quia is cui

prestatur tenetur sibi ad probabiliter equivalens, seu ad preservandum ipsum a damno probabilis
lucri, tum quia illud quod in firmo proposito domini sui est ordinatum ad aliquod probabile lucrum
non solum habet rationem semplici pecunie seu rei, sed uktra hoc quamdam seminalem rationem
lucrosi quam communiter capitale vocamus, et ideo non solum habet reddi simpliciter valor ipsius
sed etiam valor superadiunctus (La spiegazione del perch egli possa vendere o commerciare
ad un simile prezzo questa : da una parte chi lo riceve tenuto a dargli verosimilmente un

equivalente o ad evitargli un danno sul probabile guadagno, dallaltra, ci che destinato


con ferma decisione del suo proprietario a fornire un possibile guadagno non solo possiede
la natura del semplice denaro o di un oggetto, ma oltre a ci ha in s la virtuale possibilit
di un guadagno, che comunemente chiamiamo capitale, e pertanto si deve restituire non
solo il semplice valore della moneta o delloggetto, ma anche il valore che si aggiunto)

(o.c., p. 85).
appunti sull etica economica della scuola francescana 25
proprietario destinato a qualche probabile lucro, non solo ha il significato
di semplice denaro o di qualsiasi merce, ma possiede anche in s un qualche
seme di lucro, che comunemente chiamiamo capitale ; perci esso non solo

deve rendere il suo stesso valore, ma anche un valore aggiunto (sed et valor
superadiunctus ) o dellinteresse per il lucro cessante che il mutuatario deve

restituire insieme alla somma ricevuta in prestito.


Per il pensatore francescano, dunque, la valutazione del capitale in termini
economici risiede nellaspettativa del lucro (il valor superadiunctus) ; esso deve,

cio, rientrare nellequit del suo prezzo, che superiore a quello della sempli-
ce moneta corrispondente. Identico, dal punto di vista economico-sociale, il
ragionamento che riguarda linteresse, inteso come valutazione del risultato
di un danno subito da chi ha sottratto il proprio denaro da un investimento
produttivo per darlo in prestito ; in questo caso il danno non pu che identifi-

carsi con il valor superadiunctus.


Secondo lOlivi, quindi, due sono le condizioni stabilite affinch una som-
ma di denaro o una cosa utile rivesta la qualifica di capitale : necessario che

essa sia destinata allinvestimento e che ci avvenga con la ferma decisione del
proprietario.
Laccento posto sullelemento soggettivo : si richiede, cio, la presenza di

una effettiva volont di utilizzare produttivamente il proprio denaro. Questo


un punto da sottolineare, perch lOlivi stesso rimanda 22 lapprofondimento

dellanalisi del capitale monetario, con la conseguente giustificazione dellin-


teresse, proprio a due Quaestiones Quodlibetales. 23 In particolare, nella Quaestio

xvi del Quolibet i precisa che gli elementi determinanti sono il primato dellin-

22 Item ex hoc patet quod quando aliquis pecuniam de qua firmiter mercari proponitur, prestat

alicui ex sola pietate et necessitate illius, sub tali pacto quod quantum consimilis summa apud talem
equivalentem mercato rem usuram, sed potius facit aliquam gratiam salva tamen sua indemnitate.
Sicut in quadam questione, de quolibet, plenius est ostensum (Da queste considerazioni appare
evidente che quando qualcuno presta ad un altro, spinto solo dalla piet e dalla necessit di
quello, del denaro che si era fermamente proposto di investire in operazioni commerciali,
con il patto che tutto quanto una simile somma guadagner o perder presso un mercante
come lui, altrettanto il creditore si accontenter di guadagnare o di perdere, egli non com-
mette usura, ma piuttosto compie un favore, salva tuttavia la sua indennit. Ma ci stato
ampiamente trattato in una questione del Quolibet) (ibidem).

23 Cfr. Petri Iohannis Olivi, Quodlibeta Quinque ad fidum codicum nunc primum edita
cum introductione historico-critica, curavit S. Defraia, Editiones Collegii Bonaventurae ad Cl-
ras Aquas, Grottaferrata (Roma) 2002, Quodlibet I, Quaestio xvi : An tenens mutuum vel

debitum, ultra tempus legitimum a domino preconcessum, teneatur ad restituendum to-


tum interesse damni et etiam lucri quod inde probabiliter provenisset, pp. 55-57 ; Quolibet

I, Quaestio xvii : An ille contractus sit usurarius quo aliquis tradit alteri centum libras, mox

in suis domesticis necessitatibus expendendas ; tradit, inquam, sub hoc pacto, quod sicut

consimiles centum libre apud Titium mercato rem legalem lucrabuntur vel perdent, sic iste
tradenti lucrentur vel perdant, pp. 58-63.
26 oreste bazzichi
tenzione (firmo proposito) e la concretezza nel progetto dinvestimento, che co-
stituiscono il perno dellequilibrio e della coesistenza fra lidea di capitale e di
interesse, anche se poi la realizzazione dellinvestimento non andasse a buon
fine, provocando il danno da ricompensare con linteresse. Secondo il pensa-
tore francescano, in questo caso specifico, saremmo di fronte ad un debitore
insolvente che sottrae al proprietario la disponibilit del proprio denaro su cui
il progetto di investimento era gi stato formulato.
La Quaestio xvi viene ripresa quasi in toto da Bernardino da Siena nei suoi
Sermones, 24 mentre la Quaestio xvii influenza notevolmente il Tractatus de con-

tractibus. 25

Solo con questo sottile argomento lOlivi riesce a separare eticamente lusura
dallinteresse : questultimo, essendo generato intenzionalmente in forma total-

mente diversa. Infatti, non la semplice moneta, ma il capitale che contiene


una presenza seminale di lucro. E c differenza fra la semplice moneta e il capi-
tale : la moneta s un capitale in potenza (come si sostiene oggi), ma lo diviene

realmente soltanto quando il suo proprietario ne ha deliberato linvestimento ;

questo, poi, non va inteso come puro desiderio o generica possibilit, ma deve
essere realisticamente possibile e tale da comportare un guadagno che si possa
economicamente valutare in anticipo, secondo i normale andamento degli affari.
Il pensiero economico oliviano diventa ancora pi chiaro nella Quaestio xvii,
dove nega che un prestito in denaro possa essere equiparato ad un investi-
mento mercantile, s da dover ritenere lecita la richiesta di un frutto pari al
tasso di un profitto ; nega, cio, la potenzialit economica della semplice mo-

neta, e condanna il prestito inteso come investimento alternativo rispetto a


quello mercantile. 26 Il capitale, invece, quando prestato fa eccezione perch

gi moneta inserita in un processo produttivo e la sua distrazione provoca


nel suo proprietario un vero danno che il mutuatario ha lobbligo morale di
riparare con linteresse. 27

24 Bernardinus Senensis, Quadragesimale de evangelio aeterno, ed. PP. Collegii S. Bona-


venturae, Opera omnia, vol. 4, Quaracchi 1956.
25 Cfr. S. Piron, Parcours dun intellectual franciscain. Dune thologie vers une pense sociale :

loeuvre de Pierre de Jean Olivi et son trait De contractibus, Ecole Hautes Etudes en Sciences
Sociales, Paris 1999, vol. iii, pp. 212-349.
26 per lappunto questa la novit che sar ripresa nei secoli successivi dai maggiori
moralisti, giuristi ed economisti : la distinzione tra simplex pecuniae e capitale. La simplex

pecuniae nientaltro che il denaro inteso come tradizionale mezzo di scambio non desti-
nato espressamente ad una attivit imprenditoriale, produttiva e di mercatura. Il capitale
invece una somma di denaro, o anche altra merce, che contiene in s un seme di lucro, in
quanto viene espressamente destinata allo sviluppo socio-economico.
27 Petri Iohannis Olivi, Quodlibeta quinque, p. 62 : [] dicendum quod secus est de casu

illo, quia ille simpliciter tradit pecuniam sub sola ratione mutui ; et ideo ex ipsa ratione mutui peri-

culum simpliciter ets eius cui est mutuata et qui inde tanquam ex sua est mercaturus : ex quo patet

quod creditor illud periculum suscepit in solam fraudem usure .


appunti sull etica economica della scuola francescana 27

2. 1. b. Teoria del valore economico e del giusto prezzo


Particolarmente interessante anche la teoria del valore economico e del giu-
sto prezzo, che lOlivi analizza nella prima parte del Trattato, cio, De emptione
et venditione.
In un mercato per usare lo schema dellOlivi una merce vale pi di unal-
tra :

- perch pi adatta ai nostri usi per le sue intrinseche qualit ;

- perch se ne sente di pi il bisogno, essendo scarsa o difficile da reperire ;

- perch soggettivamente pi desiderata di unaltra. 28

S. Bernardino da Siena nella sua trascrizione di questo passo, 29 per espri-

mere sinteticamente questi concetti, introduce tre espressioni ben conosciute


agli storici del pensiero economico : virtuositas, raritas, complacibilitas. Per vir-

tuositas sintende le intrinseche qualit e propriet che rendono un bene pi


adatto di un altro a soddisfare i nostri bisogni ; la raritas di una merce riguar-

da, invece, la sua maggiore o minore quantit rispetto alla domanda, cio la
sua scarsit o difficolt ad essere trovata ; la complacibilitas, infine, la volont

soggettiva di appagare un bisogno piuttosto che un altro (gusto individuale e


personale), stabilendo fra loro una gradualit.
Pertanto, il valore economico si determina in funzione dellutilit 30 sia

nella sua forma oggettiva (virtuositas), sia nella sua forma soggettiva (compla-
cibilitas) e in funzione della raritas.
LOlivi aggiunge che se i mercanti non sono scaltri nel prevedere le variazio-
ni di prezzo, oppure le giuste valutazioni delle cose, possono anche non riotte-
nere il loro capitale e quindi si troverebbero nel disagio di vendere in perdita.
Non solo, ma il guadagno del mercante non pu escludere quello degli altri
operatori economici. Gli artigiani, i commercianti, i contadini, i produttori
in genere, devono ottenere il loro giusto guadagno. Per questo, il mercante,
dopo aver acquistato una merce ad un prezzo che consenta un conveniente
guadagno per chi la prodotta, pu rivenderla dove pu realizzare di pi ; e ci

a motivo della diversit dei prezzi da luogo a luogo, in dipendenza della scar-
sit o abbondanza della merce in quel mercato, rendendo cos facendo un
servizio vantaggioso alla comunit. In altre parole, i mercanti comprano dove
la merce abbonda, pagandola meno, e la rivendono dove scarseggia, facendola
pagare di pi.
questa veramente la migliore e la pi moderna tra le teorie del valore che
si siano pensate per contribuire allo sviluppo della scienza economica.

28 In G. Todeschini, Un trattato di economia politica francescana, cit., p. 56.


29 Cfr. Opera omnia studio et cura PP. Collegi S. Bonaventurae ad fidem codicum edita, ad
Claras Aquas, Florentiae 1950-1965, tomus iv, p. 190 ss.
30 Lespressione oliviana valor usus significa genericamente valore economico.
28 oreste bazzichi

2. 2. Giovanni Duns Scoto


Scoto affronta il problema della mercatura e del valore economico come esi-
genza della giustizia commutativa. La sua analisi si snoda dentro lampio con-
testo tematico dellobbligo morale della restituzione delle cose altrui ingiu-
stamente tolte o danneggiate.
Il tema trattato nella lunga Quaestio ii sulla distinzione xv del quarto libro
delle sentenze, questione cos formulata : Domando se chi ingiustamente tol-

se o detiene una cosa altrui sia tenuto alla restituzione tanto che senza di ci
non si possa dire veramente pentito . 31

Scoto, dopo aver analizzato lorigine della propriet privata, 32 parte dalla

distinzione fra commutatio economica e commutatio negotiativa. La prima,


cio lo scambio economico, fatta in vista delluso della cosa ottenuta, men-
tre la seconda, cio lo scambio negoziativo, non fatta per luso, ma allo sco-
po di rivendere successivamente la cosa acquistata e ad un prezzo pi alto. 33

Questultimo tipo di scambio anche chiamato da Scoto commutatio pecu-


niaria vel lucrativa. Ma, al di l delle sottili differenziazioni sulle regole fonda-
mentali del giusto scambio, Scoto imposta il problema del valore economico

31 Quaero, utrum qui iniuste abstulit vel detinet rem alienam, teneatur illam restituire,

ita quod non possit vere poenitere absque tali restituzione (Ioannis Duns Scoti Doc-

toris Subtilis Ordinis Minorum, Quaestiones in Libros Quatuor Sententiarum, dist. 15, q.
2, n. 1, a cura di L. Wadding, Lugduni 1639, Tomus ix, p. 149). Le citazioni vengono tratte
da questa opera, perch la Commissione Scotista, fondata nel 1938, finora ha pubblicato
18 volumi dellOpera Omnia. I primi undici (vol. i-xii) attengono allOrdinatio, il principale
commento di Scoto ai quattro libri delle Sentenze di Pietro Lombardo. Gli altri sei volumi
invece xvi-xxi), la Lectura, sono il testo di base delle lezioni che Scoto andava preparando
per i suoi corsi. Il vol. xii delle Ordinatio, che comprende le Distinctiones 8 13, stato pub-
blicato nel 2010 ; quindi per il testo della Distinctio 15 occorrer ancora attendere la pubbli-

cazione del vol. xiii, a cui la Commissione sta lavorando. Daltra parte, occorre ricordare
che, a differenza di quanto avvenuto per S. Tommaso, Duns Scoto per lungo tempo non
ha avuto la fortuna di vedere pubblicate criticamente le sue opere. La prima edizione com-
pleta, infatti, risale al 1639, ad opera del famoso storico francescano Luca Wadding, in 12
volumi.
32 Per unanalisi sulloriginaria comunit dei beni e sul successivo diritto di propriet,
cfr. R. Lambertini, Aspetti etico-politici del pensiero di Duns Scoto, in Aa. Vv., Etica e persona.
Duns Scoto e suggestioni nel moderno, EFB, Bologna 1994, pp. 35-86. Per Scoto, come anche pi
analiticamente argomentato da Guglielmo dOckham (cfr. O. Bazzichi, Il paradosso fran-
cescano tra povert e societ di mercato. Dai Monti di Piet alle nuove frontiere del credito, Effat,
Cantalupa (TO) 2011, pp. 43-45), la propriet non si pu dire di diritto naturale, ma positivo,
dal momento che nello stato di innocenza non cera la propriet.
33 Edit. cit., p. 78 : Commutans intendit rem accipere pro qua commutat, ut non merce-

tur ea, sed ut ea utatur ; e p. 185 : Commutans intendit mercari de re quam acquirit, quia

emit non ut utatur, sed ut vendat et hoc carius .


appunti sull etica economica della scuola francescana 29
in maniera pi originale rispetto agli altri scolastici che lo hanno preceduto. 34

Egli, infatti, distingue il valore in naturale e usuale. Il valore naturale sarebbe


quello obiettivo, messo da Dio nella creatura : Un essere vivente (un topo,

una formica, una pulce) vale di pi di una cosa inanimata (pane), che non
ha vita, anima e sensi . 35 Laltro valore, che in termini moderni chiamiamo

valore economico e che dal ragionamento del Doctor subtilis ha avuto la


sua originale intuizione, quello usuale, che si assume nei riguardi delluso
umano. Poich frequentemente le cose che sono pi nobili nella loro sostan-

za naturale, sono meno utili quanto agli usi umani e quindi sono anche meno
preziose . 36 Sotto questo profilo tanto pi le cose sono utili ai nostri usi tanto

pi valgono, e perci il pane vale pi del topo. vero, il topo, la formica e la


pulce hanno la vita, e sono quindi naturalmente pi nobili del pane ; ma il

pane vale economicamente molto di pi per la sua utilit di nutrire gli uomi-
ni. 37 Poich la compravendita delle merci risponde allo scopo delluso della

vita umana, il loro valore determinato da questo secondo tipo e non dal
primo.
Passando allanalisi che Scoto fa dello scambio propriamente mercantile,
egli sostiene, in sostanza, che i mercanti acquistano i beni non gi per usar-
li, ma per venderli pi cari. Ma a questa regola generale ne aggiunge una di
carattere etico : in ogni tipo di scambio il mercante deve svolgere un servizio

utile alla societ e per questo ha diritto a ricevere unadeguata remunerazio-


ne. 38 Le condizioni per cui i mercanti recano un servizio utile alla comunit

sono : se trasferiscono da un posto allaltro cose utili, se le conservano, se le


migliorano, se aiutano la gente comune a giudicare rettamente il valore e il


prezzo delle cose. 39 Sulla base di questo servizio reso allo Stato e alla colletti-

vit, Scoto ammette e giustifica lacquisto delle merci non per il bisogno, ma
per la vendita da farsi con guadagno. Chiunque serve lo Stato in una attivit

lecita, ha diritto di viere del proprio lavoro. Inoltre [] il commerciante pu


con giustizia conseguire, oltre la propria sussistenza e quella della famiglia per
cui lavora, una ulteriore ricompensa per le proprie capacit e per i rischi che
affronta. Infine, pu anche ottenere un quid che copra i rischi che si assume sia
importando che conservando le merci . 40

34 Cfr. O. Bazzichi, Valore economico e giusto prezzo nella riflessione teologica medievale, Ri-

vista di Politica Economica , 10 (1985), pp. 1055-1086.



35 Edit cit., n. 14, p. 166.
36 Quia frequenter res, quae in se est nobilior in esse naturali, minus est utilis usui hominum : et

per hoc minus pretiosa (ibidem).

37 Et propter hoc additur secundum rectam rationem, attendentem scilicet naturam rei in comp-

arationem ad usum humanum, propter quem fit commutatio ista (ibidem).

38 Ibidem, n. 22, p. 185. 39 Ibidem, p. 186.


40 Ibidem, nn. 22 23, p.186. Sullidentificazione del valore economico con il costo di
produzione nellanalisi di Scoto, cfr. R. de Roover, The concept of the just price : theory and

economic policy, Journal of Economic History , 18 (1958), pp. 418-434.



30 oreste bazzichi
Leconomia perci diventa lo strumento del guadagno personale, che si su-
blima nellutilit al bene comune, alla societ, in una sintesi mirabile tra par-
ticolare e universale, soggetto e collettivit, individuo e societ. Il mercante
esaltato da Duns Scoto se in una comunit venissero a mancare gli impren-
ditori, la collettivit si troverebbe nella necessit di pagare dei funzionari pub-
blici che svolgessero le stesse funzioni, magari con il rischio di minore profes-
sionalit con la sua attivit provvede al proprio guadagno, ma, mettendo a
disposizione di tutti una merce, anche al bene della societ. 41

2. 3. Alessandro Bonini di Alessandria


Contemporaneo di Pietro di Giovanni Olivi e di Giovanni Duns Scoto,
senzaltro ben lontano dalla loro statura in campo teologico e filosofico, ma
pi portato e attento ai problemi pratici, Alessandro Bonini di Alessandria
un francescano poco conosciuto sia alla storia delle dottrine economiche, sia
nellambito delle discipline teologiche, nonostante sia succeduto a Scoto nella
cattedra di Parigi e sia stato Ministro generale dellOrdine nel 1313-1314.
Di lui interessa il Tractatus de usuris, scritto nel 1302, per alcune analisi di eco-
nomia monetaria e creditizia, che aprono la strada ad uno sviluppo delluso
della moneta negli scambi. Rimasto per oltre sei secoli manoscritto, 42 nel 1962

stato pubblicato per la prima volta dallo studioso francescano canadese Ha-
melin. 43

La produttivit della moneta o, meglio, del capitale monetario, una delle


idee che gli storici delle dottrine economiche fanno risalire al teologo domeni-
cano Antonino da Firenze. Gi prima adombrata scrive Schumpeter es-

41 Certamente questa idea, che corre gi lungo il tempo fino agli ultimi scolastici del xvii
secolo e consegnata alla Scuola italiana delleconomia civile del Genovesi e del Verri ed alla
Scuola scozzese di filosofia morale del mercato di Hutcheson e Smith, non lontana dalla
nascente Scuola classica, detta Economia Politica. Questa nuova scienza, con scopi diver-
si, riproporr le sue analisi riprendendo le vecchie idee e usando in modo nuovo un lessico
pazientemente creato dalla Scolastica. Naturalmente con la scienza economica si entra in
un clima diverso, perch si introduce lidea di sviluppo economico inteso come progresso
civile che era estranea alla Schola. In tale nuova prospettiva sta la vera differenza fra il
pensiero economico medievale (di tipo teologico) e quello sistematico classico, che conse-
gue lautonomia scientifica.
42 Il Tractatus de usuris ci pervenuto in quattro manoscritti : uno vaticano, uno fiorenti-

no, uno torinese ed un quarto pi antico e pi completo bolognese.


43 A.M. Hamelin, Un trait de morale conomique au xiv sicle. Le tractatus de usuris de Mai-
tre Alexandre dAlexandrie, vol. xiv della Collana Analecta Mediaevalia Namurcensis, ed.
Nauwelaerts, Louvain-Montral-Lille 1962. Cfr. G. Barbieri, Un trattato di morale economica
dei primi del Trecento, Economia e Storia , 1963, pp. 171-178. Per una sintesi, cfr. O. Bazzichi,

Un trattato di etica monetaria dei primi del Trecento del teologo francescano Alessandro Bonini di
Alessandria, La Societ , Suppl. n. 6 (2008), pp. 49-64, dove viene riportata la traduzione in

italiano della parte del trattato riguardante letica monetaria.


appunti sull etica economica della scuola francescana 31
sa fu per la prima volta espressa da santAntonino, il quale spiega che, sebbene
il denaro circolante possa essere sterile, il capitale monetario non lo , perch
esso rappresenta una condizione necessaria per intraprendere affari . 44

Attraverso lesame, seppur rapido, del contenuto del Tractatus de usuris del
francescano alessandrino, si ha la convinzione di essere in presenza di affer-
mazioni e di ammissioni nel campo della prassi economica non degli inizi del
Trecento, ma molti decenni dopo o addirittura nella seconda scolastica. 45

Il campo delle indagini, dove egli si dimostra innovativo, riguarda la teoria


sui cambi o arte campsoria, 46 che, per la sua sorprendente originalit, anticipa

quasi di un secolo le tesi del teologo e scienziato Nicola di Oresme (1320-1382),


vescovo di Lisieux, che scrisse un vero e proprio trattato di etica monetaria, il
De moneta, 47 dove viene difesa la produttivit del denaro.

La parte del Tractatus de usuris, che costituisce una fonte primaria per le ori-
gini della nascente scienza economica, quella del capitolo settimo, dove le
idee in materia di credito e di operazioni finanziarie aprono la strada ad uno
sviluppo delluso della moneta negli scambi.
La liceit dellars campsoria era negata, pur con sfumature diverse, da tutti i
teologi fatta eccezione, come abbiamo rilevato, del valor superadiunctus della
fecondit del capitale di Pietro di Giovanni Olivi , muovendo dal noto motivo
aristotelico della sterilit della moneta e della sua funzione di intermediazione
negli scambi. Di opinione diversa si mostra il teologo alessandrino. Affermato
che la Chiesa condanna gli usurai e non i campsores, che, anzi, magis su-
stinet, analizza tre tipi di monete : quella naturale, che nasce dal commercio

dei prodotti offerti dalla natura ; 48 quella usuraria, che proviene da altra mo-

neta, quasi per interiore accrescimento e pregnazione di essa (tipo di moneta


ovviamente condannata) ; 49 quella campsoria, che nasce dal divario attribuito,

44 J.A. Schumpeter, Storia dellanalisi economica, Boringhieri, Torino 1959, p. 129. Ancora
pi recentemente E. Salin, Leconomia politica. Storia delle idee da Platone ai giorni nostri, Riz-
zoli, Milano 1973, p. 59 attribuisce addirittura ad Antonino il merito dellelaborazione della
teoria del valore economico.
45Quasi tutti i tardoscolastici della Scuola di Salamanca condivideranno e amplieranno
le idee del Bonini.
46 Con campsor nel latino medievale si indicava il cambiavalute, che teneva banco nelle
varie piazze mercantili dellOccidente e svolgeva unazione pi o meno connessa con quella
bancaria.
47 Esiste la traduzione italiana del trattato in appendice al volume di G. Barbieri, Fonti
per la storia delle dottrine economiche. Dallantichit alla prima Scolastica, Marzorati, Milano
1958. Nella sua celebre opera il vescovo di Lisieux critica le nozioni aristoteliche della mone-
ta-segno, quelle tomistiche della moneta-misura e formula quelle pi nuove della moneta-
merce.
48 Prima est naturalis quae fit ex eo quo res naturalis in pecunia commutatur (o. c., p. 181).

49 Alia vero species pecuniae [] appellamus usuram. Videtur enim pecunia generare pecuniam.

Pecunia enim per hanc artem crescit in seipsa quasi per pregationem et partum (ibidem).

32 oreste bazzichi
in una data regione, alle monete locali, molto pi apprezzate nei confronti
delle monete forestiere, meno ricercate dagli indegeni. Da tale divario nella
valutazione delle monete nasce larte campsoria, esercitata da quanti sanno os-
servare il mutevole valore di esse attraverso le aree geografiche, traendo dallo
scambio delle monete un certo profitto, che giustificato e lecito, perch la
funzione del cambiavalute necessaria per lutilit di coloro che viaggiano,

nelle diverse regioni per lo scambio delle cose, senza il quale non c vita so-
ciale . 50

Pertanto, larte del cambio non ha lo stesso carattere del mutuo in quanto in
essa non sperato un lucro conseguente alla dilazione del tempo. Il cambiava-
lute d moneta di un genere a fronte di denaro di altro genere. Non un atto
di compravendita, ma di permutazione.
Da questi concetti appare evidente il contributo di idee del teologo france-
scano, che, fin dai primi anni del Trecento, ha saputo legittimare i cambi reali ;

teoria questa che acquister una importanza via via pi rilevante nella vita
mercantile dellultimo Medioevo.
Ma la sua dottrina dellarte campsoria raggiunge la massima originalit in
occasione della prova del come nasce un giusto profitto nel cambio delle mo-
nete. In esse si trova un duplice valore : luno stabilito dallautorit pubblica ;

laltro caratterizzato dal peso e dalla materia con cui sono formate. Con il suo
intervento il campsor giudica il rapporto delle specie monetarie in base ai loro
valori. Si definisca la sua operazione permutatio o altro, certo che egli svolge
un servizio utile alla societ e pertanto ha diritto alla ricompensa quale frutto
del suo lavoro. 51

Elegante, infine, il ragionamento svolto dal Bonini per spiegare come pos-
sa conciliarsi lepisodio della cacciata dei mercanti dal Tempio (Mt 21,12 - 17)
con la legittimazione dei cambiavalute. Cristo, egli scrive, espulse venditori
e compratori dal Tempio propter reverentiam loci : essendo il luogo destinato alle

cose spirituali, non conveniente che vi si svolgano transazioni daffari. Inol-


tre, occorre aggiungere che un negozio pu diventare illecito, altrimenti legit-
timo, se, per esempio, esercitato da un chierico, oppure in quanto posto in
essere durante un giorno festivo, o, infine, per il modo con cui lo si realizza. 52

Leconomia monetaria di Alessandro di Alessandria fu subito registrata da


quanti e furono molti si occuparono di monete e di cambi. Il primo fu un

50 Alia species pecuniae est quae dicitur campsoriaHaec enim necessaria est ad utilitatem pe-

regrinantium aliorum, qui circueunt diversas regione et ad commutationes rerum, sine qua non est
vita humana (ibidem, pp. 181-182).

51 Praeteria numisma habet duplicem compensationem : una ex natura rei sive pondere, sive

censura ; alia ex determinatione positivae legis ex quo accidit quod frequenter aliquid numismatis

genus in aliquo loco non tantum valet quantum valorem dederit illi legis positivus (ibidem, p. 183).

52 Ibidem, p. 184.
appunti sull etica economica della scuola francescana 33
altro frate dellOrdine francescano, Astesano di Asti, 53 che a soli 15 anni di di-

stanza, nel 1317, trascriveva alla lettera nella sua Summa de casibus coscientiae,
detta anche Astesana, la dottrina cambiaria del confratello, e in particolare la
teoria del duplice valore della moneta : secondo il contenuto, in peso e mate-

ria, e secondo il valore politico-legale . 54

La Summa astensis incontr grande fortuna ed ebbe varie edizioni, diffon-


dendosi in tutta Europa.

2. 4. San Bernardino da Siena riformatore sociale


Il modello sociale proposto da San Bernardino, dando spessore allidea del va-
lore economico alla fraternit, al dialogo e alla relazione sociale in aggiunta
ai tradizionali valori duso e di scambio , sfocia, nella prospettiva del bene
comune, in una forma di economia civile e di economia di comunione.
Naturalmente, il suo osservatorio sociale il Quattrocento, che ha al cen-
tro luomo : non solo dal punto di vista della sua dignit, ma anche per quanto

riguarda laspetto economico e le regole che soprassiedono al buon funziona-


mento di uno Stato.
Umanisti e francescani sono i protagonisti del dibattito sulluomo nel
Quattrocento. 55 Entrambi hanno il merito di aver messo luomo al centro di

innumerevoli interessi e innovazioni, per costruire e diffondere una menta-


lit moderna. Umanisti e francescani Osservanti, in particolare, non poteva-
no ignorarsi, anzi in pi occasioni i litterati si espressero proprio sulla vita e
sullattivit economica con il saio. Si riscontra, insomma, tra frati e laici una
certa osmosi, pur nellambito di un dibattito critico delle reciproche ideo-
logie.
, quindi, un equivoco che tra umanisti e francescani ci fosse incomunica-
bilit e contrapposizione : 56 i primi non furono dei laici senza dimensione cri-

stiana, n i secondi furono tradizionalisti, nemici del progresso e delle huma-


nae litterae e degli studia humanitatis. Difatti, ben nota la religiosit di molti
umanisti ed altrettanto pacifico che dai francescani usc un vasto gruppo di
teologi e litterati, sensibili alle questioni civili e sociali.

53 Per maggiori dettagli, cfr. O. Bazzichi, Teorie monetarie francescane del tardo Medioevo.
Schema per un influsso etico-sociale, Rivista di Politica Economica , 1 (1987), pp. 49-78, spe-

cialmente pp. 57-63.


54 Cfr. Astesanus de Asta, Summa astensis, ed. Gerolamo Mainardi, Romae 1727, tomus
I, p. 321 : secundum naturam rei, vel ponderis, vel materiae e secundum taxationem legis

positivae .

55 Per un approfondimento, cfr. R.L. Guidi, Il dibattito sulluomo nel Quattrocento, Tielle
Media Editore, Roma 1998.
56 Un certo contrasto ci fu, ma pi su questioni teologiche e politico culturali. Entrambi
erano alla ricerca di una pi precisa definizione dei propri ruoli allinterno di una societ in
grande trasformazione.
34 oreste bazzichi
Emblematica, a questo riguardo, la lode e lossequio rivolti da Leonar-
do Bruni 57 allerede di Giovanni Duns Scoto, Bernardino da Siena, per la sua

stretta connessione fra cultura e vita sociale e morale. Da qui nasce il valore
del denaro per lo sviluppo della citt, che Poggio Bracciolini nel De avaritia
ne elogia la brama. La virt umana egli dice se vera virt (cio nata dal
lavoro di ognuno, e non da diritto ereditario), sociale, incremento socio-
economico della citt. Sullesaltazione del lavoro umano si esprime anche Le-
on Battista Alberti, il quale aggiunge che esso d prosperit alle famiglie e alle
citt, dove il fiorire delle ricchezze e il prosperare dei beni terreni costituisco-
no segno tangibile del favore di Dio. La dignit umana non risiede che nel
lavoro, e solo nel lavoro. 58

Mentre, quando San Bernardino parlava del vizio dellavarizia aveva in men-
te soprattutto i pericoli morali della ricchezza. Legoismo dei ricchi, che igno-
ravano i bisogni del prossimo e la bramosia del denaro, che coinvolgeva tutti
in un vortice di voluptas illimitata, conducono al disprezzo per ogni genere di
povert.
Da una parte, dunque, i francescani Bernardino da Siena, Antonio da Rho,
Lorenzo Guglielmo Traversagno, Giovanni da Spoleto, Giacomo della Marca,
Michele Carcamo, Angelo Carletti da Chivasso, Giovanni da Capestrano, Al-
berto da Sarteano, Bernardino Tometano da Feltre, ecc. ; dallaltra, gli umani-

sti Poggio Bracciolini, Coluccio Salutati, Leon Battista Alberti, Lorenzo Valla,
Pico della Mirandola, Leonardo Bruni, Giovanni Pontano, Battista Guarino,
Giannozzo Manetti, Matteo Palmieri, Marsilio Ficino, ecc.
Al pari degli umanisti, che teorizzavano lamministrazione della giustizia,
anche gli Osservanti intervennero sulla giustizia, ritenendo questa virt il ca-
posaldo di ogni organismo sociale. Lo Stato ha il compito di consentire alluo-
mo il raggiungimento della perfezione con lo strumento legislativo, nel quale
si realizza ogni giustizia, che, secondo San Bernardino, ha caratteristiche deci-
sive nelle sue tre espressioni di giustizia sociale, commutativa e distributiva. 59

E in altre parti fu ancora pi incisivo e quasi drammatico, sostenendo che

57 Per il Bruni, le humanae litterae e gli studia humanitatis formano luomo integrale. Per
questo egli tiene gli occhi fissi alla virt civile, che insieme perfezione dellindividuo e
della vita civile.
58 Cfr. O. Nuccio, La civilt italiana nella formazione della scienza economica, Etaslibri, Mi-
lano 1995.
59 San Bernardino da Siena, Antologia delle prediche volgari, a cura di F. Felice e M.
Fochesato (con postfazione di O. Bazzichi, Il modello socio-economico nel pensiero e nella pre-
dicazione di San Bernardino da Siena, pp. 205-226), Cantagalli, Siena 2010 (predica de Il Buon
Governo, p. 83 : Dico che la giustizia una costante volont e perpetua ; sai, che non vagilli,

ma sia ferma ; e che si renda a ciascuno quello che suo, e quello che se li conviene ; cio

che si renda a gattivi punizione, e a buoni premiazione .


appunti sull etica economica della scuola francescana 35
senza la giustizia non si pu organizzare e gestire la vita nella citt. 60 Come,

del resto, il denaro, senza il quale la citt non pu vivere ( necessario come
il sangue per il corpo umano), perch verrebbero meno i commerci e la citt
rimarrebbe privata di tutti quei beni di cui ha bisogno. Quindi, per una citt
leconomia monetaria vitale. 61

Da qui nasce losservatorio sociale di San Bernardino. Egli, infatti, conobbe i


suoi contemporanei e fu vivacissimo nel denunciare il cedimento morale del
popolo ; e nel rivolgersi ad esso ne adatt il gergo e le similitudini con unade-

renza che oggi, mutati gli usi e i costumi della societ civile, pu suscitare im-
barazzo, almeno per quanto concerne il senso estetico di certe scelte espressi-
ve, che si possono leggere anche nelle prediche qui raccolte. Ma si riscontra in
esse una carica di realismo, che il santo senese ricerca e accarezza per rendere
incisivo il discorso, comprensibile il messaggio e, non ultimo, per tradurre in
modo confacente, alla sensibilit degli ascoltatori, le proprie emozioni.
Egli, quindi, mira al cielo, ma non disdegna di osservare le cose della terra ;

ed essendo un francescano di vasta cultura, operante negli anni del grande


fervore intellettuale dellUmanesimo, il suo campo di osservazione spazia dai
precetti della morale ai principi delletica economica.
Vi uno stretto nesso come gi evidenziato tra Bernardino e la prece-
dente tradizione scolastica francescana. Qualche cifra significativa ci d lidea
dello spessore di tale influenza : nel Tractatus de contractibus et usuris citato

80 volte Pietro di Giovanni Olivi, 39 Giovanni Duns Scoto, e poi via via altri
confratelli che si sono occupati della mercatura, dellorigine del valore econo-
mico delle cose, del formarsi del prezzo delle merci sul mercato, dellusura e
dellinteresse, del mercato monetario e dello sconto.
Ma, se a queste analisi economiche, di proprio Bernardino aggiunse poco o
nulla, ci non esclude che non avesse una buona conoscenza del mondo degli
affari e non fosse attento alle realt sociali. Difatti, condanna i mercanti che
fanno incetta di viveri per farne aumentare i prezzi, e che perci determinano
situazioni artificiali di carestia e di fame. 62 Conosce bene i problemi del fi-

nanziamento mercantile, ottenuto attraverso rischiose operazioni bancarie. 63

Dimostra di essere ben informato su certe attivit commerciali e finanziarie


come puro e pericoloso gioco speculativo, che spesso determinava fallimenti

60 Se non si facesse la giustizia, ogni citt sarebbe piena di iniquit (ibidem, p. 88) ; e pi

oltre : Cos se tu levi i gattivi duna citt, poche volte vi troverai delle ingiustizie ; e ancora :

Uno gattivo non guasta solo la sua casa, ma tutta la sua citt e anco tutta Italia . E nella

predica il Timor di Dio (nella sezione E dove pi morta la giustizia che a Siena afferma :

Mai non trovai terra dove mancasse la giustizia, che mai sia bene capitata (ibidem, p. 105) ;

e a p. 106 aggiunge : Ella tanto necessaria ne le citt. Che non si pu bene vivere senza .

61 Cfr. Sermones imperfecti, in Opera omnia, studio et cura PP. Collegii S. Bonaventurae ad
fidem codicum edita, 9 voll., Florentiae 1950-1965, vol. viii, p. 46.
62 Cfr. Opera omnia, o. c., vol. iv, p. 153. 63 Ibidem, pp. 288-295.
36 oreste bazzichi
e disastri economici. 64 A proposito di questultime attivit speculative, Ber-

nardino pi volte dal pulpito denunci la pericolosit, anche sociale, di certi


contratti, come i barocchi, gli scrocchi o i ritrangoli, con i quali si voleva
meglio camuffare lusura. 65

Daltra parte, egli non poteva non essere attento osservatore della contra-
stata e rigogliosa vita economica del suo tempo. Lefficacia stessa della sua
predicazione esigeva, infatti, una continua aderenza alla realt quotidiana. Co-
s il dinamismo economico delle citt italiane del Basso Medioevo si riflessero
nel suo pensiero e nei suoi scritti e gli suggerirono i temi contingenti per la
sua predicazione. 66

Quindi, alla domanda se Bernardino, cos preparato nel campo teologico e


delle virt morali, ebbe coscienza e competenza delleconomia monetaria e
creditizia, la risposta non pu che essere affermativa, anche se la sua analisi
rimane entro una visione teologica della storia e del francescanesimo.
Infatti, sullo sfondo come nella prospettiva di un quadro pittorico do-
mina il concetto di fraternit, che per il francescano non un ideale astratto,
ma una vita di rapporti interpersonali, in cui ognuno si realizza come fra-
ter minor nella misura in cui non vive nellisolamento, ma si apre agli altri e
comunica agli altri se stesso. La vita fraterna viene vissuta umanamente con
tutta la sua carica di affetti e di sentimenti, tanto da poter dire che la fraternit
crescita umana e cristiana. Di conseguenza, lautorit non si attua al di sopra
della fraternit o a scapito della fraternit, ma in funzione di essa, alla ricerca
dei valori umani, sociali e comunitari.
Lumanesimo francescano si trova coinvolto in tutte le sfere che compon-
gono la realt, sia divina che umana. Vivere secondo la visione francescana
non significa soltanto lo stare nel mondo, e attraverso la sua contemplazione,
ascendere a Dio ; ma esige lo stare insieme, il co-esistere, il dialogare, il con-

dividere e il progettare il sistema sociale con tutte le creature esistenti. Si fa,


infatti, leva su una ontologia di comunione, di partecipazione e di fraternit
globale
Dunque, difesa della propriet privata, ma uso sociale di essa. Il possesso dei
beni naturale se lo per tutti, perch tutti devono avere diritto a possedere

64 Ibidem, pp. 186-188. 65 Ibidem, p. 150.


66 Su alcuni temi socio-economici della sua predicazione, cfr. G. Todeschini, Il problema
economico in Bernardino, in Bernardino predicatore nella societ del suo tempo, XVI Convegno
del Centro Studi sulla Spiritualit Medievale (Todi, 9 12 ottobre 1975), Accademia Tuder-
tina 1976, pp. 283-309 (riprodotto nel Suppl. Etica ed Economia n. 2/2007 de La Societ,
pp. 23-42) ; A. Spicciani, La povert involontaria e le sue cause economiche nel pensiero e nella

predicazione di Bernardino da Siena, in D. Maffei - P. Nardi (a cura di), Atti del Simposio
internazionale cateriniano-bernardiniano (Siena, 17 20 aprile 1980), Accademia Senese degli
Intronati, Siena 1982, pp. 811-834 (riprodotto nel Suppl. Etica ed Economia , n. 2 (2010) de

La Societ , pp. 42-68).



appunti sull etica economica della scuola francescana 37
qualcosa, e, quindi, nessuno pu avere il diritto a possedere in proprio qualco-
sa in senso assoluto, proprio per il fatto che laccesso alle risorse necessarie alla
vita riguarda tutti, in quanto legato ad un uso e non ad un possesso. Per tale
motivo, secondo S. Bernardino, non sufficiente la sola giustizia per salva-
guardare lintegrit dellordine sociale e sopprimere gli abusi, ma ci vuole lap-
poggio della carit, vale a dire, di un amore che non sia solo naturale, ma sia
capace di elevarsi al di sopra degli interessi terreni. nella carit che la societ
trova la sua perfezione, il suo compimento. lutopia delletica francescana.

3. Dal discorso economico francescano al modello civile


Dal significato ontologico della natura di Bonaventura, dalle teorie della mer-
catura, del capitale, del valore economico e del giusto prezzo di Pietro di Gio-
vanni Olivi e di Giovanni Duns Scoto o dalla dottrina monetaria di Alessandro
di Alessandria, passando per S. Bernardino, si svolge una lenta e progressiva
maturazione del discorso economico utile al progresso civile della societ e
allo stesso tempo cristianamente positivo anche sul piano pratico.
I tratti caratteristici di questo modello sociale della civilt cittadina sono
sostanzialmente due.
Anzitutto, una democrazia, che, con termine moderno potremmo chiama-
re partecipativa ; una democrazia, cio, che esprimeva lautogoverno e laf-

fermazione della responsabilit collettiva della citt : la piazza (intesa come


agor), la cattedrale, il palazzo del governo, il palazzo dei mercanti e delle cor-
porazioni di arti e mestieri (organizzazione del lavoro manifatturiero), il mer-
cato (luogo delle contrattazioni e degli scambi), i palazzi dei ricchi borghesi, i
conventi degli Ordini religiosi dislocati per lo pi ad anello dentro le mura ed,
infine, le chiese dove avevano sede anche le Confraternite. Attraverso questi
luoghi concreti si coltivavano le virt civiche, che definivano la societ pro-
priamente civile, le cui principali caratteristiche erano : la fiducia reciproca, la

sussidiariet, la solidariet, la fraternit, il rispetto delle idee altrui, la compe-


tizione di tipo cooperativo.
In secondo luogo, leconomia, costituita dagli imprenditori-mercanti. Essi
erano non solo i pi attivi soggetti di apertura culturale e di nuovi mercati,
ma anche i pi attivi produttori di innovazioni organizzative in campo azien-
dale, con la commenda, antesignana della moderna societ per azioni ; las-

sicurazione ; la partita doppia, sistematizzata dal francescano Luca Pacioli


nel 1494 ; 67 il foro dei mercanti ; le lettere di cambio ; i Monti di Piet ; la borsa ;

67 Ha scritto la Summa de Aritmetica Geometria proporzioni et proporzionalit. Il testo fece


il giro dellEuropa, perch grazie ai banchieri fiorentini, lucchesi e senesi e ai mercanti
veneziani e genovesi il modo di fare i conti allitaliana divent famoso. Fra Luca Pacioli
nella Summa illustra il metodo matematico per rappresentare i fatti umani che avvengono
nellazienda, per capire dove sta andando, se possibile migliorarne i conti, se si sta sba-
38 oreste bazzichi
tutte realt senza le quali non si sarebbe mai potuto avere uno sviluppo indu-
striale diffuso sul territorio.
In particolare, il Monte di Piet, ideato e diffuso dai discepoli del predicato-
re senese, Bernardino da Feltre, Giacomo della Marca, Alberto da Sarteano e
Giovanni da Capestrano, fu unistituzione cittadina, dedita allassistenza, ma
anche uniniziativa di carattere economico-creditizio, che ag da ammortiz-
zatore sociale in un contesto economico statico e soggetto a rapidi tracolli.
Secondo lenciclica Caritas in veritate questo metodo originale offre spunti e
parametri per un rinnovato rapporto tra credito e cittadini anche oggi. 68

Il modello socio-economico civile, proposto dal pensiero francescano e da-


gli Umanisti, verr ripreso nel Settecento, in Italia, dalla Scuola economica
soggettivista napoletana (Genovesi e Galiani) e da quella milanese (Muratori,
Beccaria e Verri), e in Scozia, dalla Scuola di Glasgow (Hutcheson e Smith 69).

Al centro delle loro analisi pongono lindividuo e la sua aspirazione a realizzare


il benessere personale, come motore dellagire economico. Per gli economisti
civili il mercato, limpresa, leconomico sono in s luoghi anche di amicizia,
reciprocit, gratuit, fraternit. Leconomia civile come scienza della felici-
t pubblica, frutto delle virt civiche (amicizia, fiducia, prudenza, giustizia,
ecc), legata al bene comune, perch o si felici tutti in una nazione o non lo
nessuno ; come strumento delle relazioni interpersonali ; come impegno civile

perch fondato sulla relazionalit ; come fattore di benessere di ciascuno e del-


la collettivit attraverso la cooperazione, il commercio equo e solidale, banca


popolare etica, imprese sociali, organizzazioni no profit, microcredito. 70

Non deve stupire, in fondo, che Bernardino, Bruni, Alberti o Poggio Brac-
ciolini sostengano lattivit economica e le ricchezze, proponendo tesi simili

gliando strategia e se il caso di chiudere. Il connubio fra matematica e misura dei fatti
aziendali costituisce appunto la partita doppia.
68 Benedetto XVI, Caritas in veritate, Libreria Editrice Vaticana, Citt del Vaticano 2009.
Cfr. O. Bazzichi, Paradigma francescano e Caritas in veritate, La Societ , 6 (2009), pp. 784-

800 ; inoltre Idem, Valenza antropologica del discorso economico francescano. Dai Monti di Piet

alle proposte odierne di finanza etica, Miscellanea Francescana , 105 (2005), pp. 480-500.

69 Il pensiero di Adam Smith, al di l di quanto la storia economica abbia lasciato intende-


re per lungo tempo, molto pi vicino al modello antropologico ed economico civile che
non nel solco classico di Mandeville e Hobbes. Smith riconosce che il modo pi naturale e
umano di ottenere le cose dagli altri la reciprocit, la simpatia, la benevolenza e lamicizia.
Egli, quindi, in piena continuit con la tradizione dellumanesimo civile, che vede il mer-
cato come luogo di sviluppo umano : luogo di rapporti orizzontali tra persone che possono

incontrarsi e scambiare beni, guardandosi in faccia con pari dignit. Cfr. F. Zamagni, Per
uneconomia civile nonostante Hobbes e Mandeville, Oikonomia , 3 (2003), pp. 11-23.

70 Sullesperienza della microfinanza, che affonda le radici come sostiene Benedetto


XVI nellenciclica Caritas in veritate nella riflessione e nelle opere degli umanisti civili e
della Scuola francescana, cfr. A. Andreani - V. Pelligra, Microfinanza, Il Mulino, Bologna
2009.
appunti sull etica economica della scuola francescana 39
sullutilit sociale della mercatura. Essi per sanno bene che la ricerca dellin-
teresse personale non si trasforma automaticamente in bene comune. Gli
obiettivi privati si trasformano in bene vivere sociale solo allinterno della
civitas, 71 che non deve essere chiusa, ma fondata sulla cultura della legalit,

della sovranit, dellospitalit territoriale, dove i nuovi cittadini devono condi-


videre i principi fondamentali, nei quali deve trovare spazio un ritorno gene-
rale alla sobriet nella vita, nei costumi e nei consumi.
I francescani hanno saputo sincronizzare meravigliosamente la speculazio-
ne con la vita, il pensiero con lazione, la mistica con il lavoro, leconomia con
la felicit, il bene con il ben-essere, la teoria con la prassi.
In questo momento assai delicato della nostra storia e del nostro presente,
aggravato dalla pi grande crisi economico-finanziaria internazionale dal 1929
in poi, non fuori luogo il ricorso al paradigma etico-economico francescano
e alle dinamiche sociali delleconomia civile. 72 Essa, affondando le sue radici

nella Scuola francescana, in grado di superare la contrapposizione non profit,


tipico del Terzo settore, e for profit, tipico del capitalismo. Come il donare
e ricevere, di ispirazione francescana, fu unoperazione sulla quale si tent
di innestare lo sviluppo delletica mercantile allinterno della civitas cristiana,
non arbitrario riproporla nellera della cosiddetta postmodernit : una con-

cezione del mercato, dello scambio e pi in generale della vita economica


in continuit e come emanazione delleconomia sociale e relazionale della
comunione fraterna, che la Rivoluzione francese ha schiacciato sul principio
delleguaglianza, di cui invece radice. Oggi il bene scarso da sempre log-
getto della scienza economica costituito anche dai rapporti interpersonali ;

e se leconomia resta ancorata allidea individualista rischia di perdere il con-


tatto con le dinamiche sociali importanti.
Lenciclica Caritas in veritate invita a superare la crisi del mercato, tenendo
conto anche delleconomia del dono. 73 I fallimenti del mercato si verificano

71 Sul tema delleconomia civile, cfr. S. Zamagni - L. Bruni, Lezioni di economia civile,
Editoriale Vita, Milano 2003 ; L. Bruni - S. Zamagni, Economia civile. Efficienza, equit, felicit

pubblica, Il Mulino, Bologna 2004.


72 Per un approfondimento sullumanesimo civile, accanto alle forme tipiche dello Sta-
to e del mercato, cfr. L. Bruni - S. Zamagni, Economia civile. Efficienza, equit, felicit pub-
blica, cit. ; S. Zamagni, Leconomia del bene comune, Citt Nuova, Roma 2007 ; L. Bruni - S.

Zamagni, Dizionario di economia civile, Citt Nuova, Roma 2009. Per un approfondimento
sullUmanesimo civile, accanto alle forme tipiche dello Stato e del mercato, cfr. F. Felice,
Leconomia sociale di mercato, Rubbettino, Soveria Mannelli 2008.
73 Il tema del terzo capitolo dellenciclica significativamente intitolato Fraternit, svi-
luppo economico e societ civile. Tra laltro, scrive Benedetto XVI : Il cattivo utilizzo della

finanza che ha danneggiato leconomia reale propone di ricorrere anche alla esperienza
della micro finanza, che affonda le proprie radici nella nascita dei Monti di Piet (n. 65) ;

unistituzione cittadina, portatrice di sensibilit teologica e sociale, dedita alla solidariet,


ma anche uniniziativa di carattere economico-creditizio capace di agire da ammortizzato-
40 oreste bazzichi
proprio quando viene meno il terreno dei compiti sociali, culturali e civili,
propri dellappartenenza ad una communitas.
Il pensiero economico francescano propone una sintesi tra concorrenza e
condivisione, aggiungendo ai due valori classici del sistema economico va-
lore duso e valore di scambio un terzo valore che racchiude entrambi : il

valore legame.

Abstract : In recent years studies surrounding the Low and Late Middle Ages have suggested

an interesting direction for research regarding the relationship between the thinkers of the
Franciscan School and the origins of capitalism. The authors analysis presents surprising
results that surpass Webers thesis on the links between Protestant ethics and the spirit of
capitalism : the reflection of Franciscan theologians needed to clarify the difference between

usury and loan, between luxury and proper use of goods, within the horizon of the common
good, and therefore created the conditions for economic growth. It has paradoxically contrib-
uted to the formation of a commercially semantic lexicon and a widespread social culture,
in which the society of the market has established the fundamental categories for subsequent
developments. Without detracting from the great wealth of ideas born out of the Thomistic
school nor the literary forms of secular humanists, this essay invites us to re-examine Fran-
ciscan economic thought in light of the current, serious economic and financial crisis. In
order to overcome this crisis we must examine not only the sphere of production, but also of
nonproduction, that is, the economy of gift, fellowship, and the sharing of goods, which does
not exclude competition. On the contrary, it places competition within solidarity and its com-
munal and social value.
Keywords : San Bernardino da Siena, Alessandro Bonini di Alessandria, Giovanni Duns

Scoto, economy, ethics, Fra Pietro di Giovanni Olivi, Franciscan political thought.

re sociale e da motore di sviluppo economico . Per un commento, cfr. O. Bazzichi, Para-


digma francescano e Caritas in veritate, La Societ , 6 (2009), pp. 784-800.



DENTRO E OLTR E LE ILLUSIONI
DEL CA PITA LISMO TECNO-NICHILISTA.
PER UN DI V ER SO IMM AGINA R IO DELLA LIBERT
Mauro Magatti * Monica Martinelli **
Sommario : 1. Il punto di partenza. 2. Logiche e forme del capitalismo tecno-nichilista. 2.1.

Ascesa ed espansione. 2.2. Frammentazione e implosione. 3. Lirrompere delle crisi : solo frat-

tura nel cronos o anche momento di kayrs ? 4. La libert dei liberi. 5. Riammettere la realt.

5.1. La realt come ambiente ospitale. Libert come cura. 5.2. La realt come forma. Libert
come assunzione del limite. 5.3. La realt come interpellazione. Libert e senso. 6. La libert
generativa.

1. Il punto di partenza

S e volessimo delineare sinteticamente la cornice entro cui comprendere la


storia europea degli ultimi due secoli dovremmo ripartire dalla libert e
dal legame tra verit e libert. Le principali tradizioni di pensiero sulla libert
contribuiscono, pur se da punti di vista diversi, a rafforzare lorientamento
delluomo moderno a non accontentarsi pi di una verit gi data, conside-
rata come qualcosa che schiaccia la libert. Infatti, la tradizione liberale insiste
sul soggetto detentore della libert il cui contenuto non pu essere definito
da nessuna autorit esterna. La tradizione critica, dal canto suo, non riesce pi
a delineare un futuro migliore, data la perdita di fiducia nella capacit della
ragione di arrivare a un qualche universalismo delle idee ; lunica strada che

sembra percorrere quella del decostruzionismo sistematico che lascia in pie-


di solo lopinione individuale.
In questo scenario prende forma, negli ultimi decenni del xx secolo, una
inedita alleanza quella tra un individualismo esasperato e una critica pura-
mente negativa , rafforzata da un particolare modello istituzionale il capi-
talismo tecno-nichilista che intercetta favorevolmente quelle spinte culturali
e fa leva su una certa visione della libert. Lirrompere della grave crisi che
ha colpito leconomia mondiale rileva le incongruenze di quel modello, co-
stringendo a ripensarne le logiche e i presupposti, con le loro implicazioni e

* Facolt di Sociologia, Universit Cattolica Milano, L.go Gemelli, 1 - 20123 Milano. E-


mail : mauro.magatti@unicatt.it

** Facolt di Sociologia, Universit Cattolica Milano, L.go Gemelli, 1 - 20123 Milano. E-


mail : monica.martinelli@unicatt.it

acta philosophica i, 21, 2012 pp. 41-62


42 mauro magatti monica martinelli
ambivalenze. In queste pagine, dopo aver tratteggiato le caratteristiche del
capitalismo tecno-nichilista, tenteremo di delineare un percorso orientato a
ripensare limmaginario della libert.

2. Logiche e forme del capitalismo tecno-nichilista


2. 1. Ascesa ed espansione
In Occidente, nel secondo dopoguerra, si sviluppa il capitalismo societario
che si regge sulla vittoria della democrazia, la regolazione keynesiana, il com-
promesso fordista-welfarista, laccesso generalizzato allistruzione. Esso ha
portato a successi notevoli in termini di sicurezze sociali, a prezzo tuttavia di
una imponente presenza delle istituzioni allinterno della vita sociale e indi-
viduale.
Tale eccesso ha scatenato una crisi sul piano soggettivo e lesplodere alla
fine degli anni 60 di una domanda di maggiore espressivit da parte degli
individui, che hanno cominciato a rifiutare ogni autorit e gerarchia sociale in
nome della centralit del S, dellautonomia delle scelte, della libert morale.
Al contempo, oltre alla crisi prodottasi sul piano soggettivo, anche sul piano
strutturale dopo decenni di crescita ininterrotta comincia ad affacciarsi,
nei primi anni 70, linstabilit economica che rende sempre meno convincenti
le risposte e politiche in merito. Ne deriva una crisi di legittimit nei confronti
delle istituzioni e ne consegue una ristrutturazione che riguarda, contempora-
neamente, il piano socio-culturale, quello politico e economico.
Tra queste due crisi si viene a realizzare una sintesi originale : la domanda

di libert individuale e di espressivit dei soggetti si interseca al di l di un


disegno predeterminato con la domanda di autonomia del mondo econo-
mico che chiede di sganciarsi dallo stato e dalle istituzioni al fine di muoversi
in piena libert. La transizione si accelera negli anni 80 quando si rafforza
la liberalizzazione dei mercati e si sgretola il modello socio-economico anta-
gonista a quello di mercato. Si prospetta cos la nascita di una nuova societ
globale di mercato : il termine globalizzazione serve per nominare questo

progetto. Al suo interno, lascesa del neoliberismo costituisce il pi importan-


te fattore di ristrutturazione del capitalismo contemporaneo, contrassegnato
dallavvio di una nuova fase di accumulazione in cui limmaterialit sostituisce
la produzione, la flessibilizzazione spiazza la rigidit degli assetti istituzionali
precedenti, lintervento istituzionale si ridimensiona notevolmente a fronte
delle istanze di dinamismo economico su scala globale e di quelle libertarie
dei singoli individui.
Il modello improntato sulla logica neoliberista del mercato trova un forte
alleato nella tecnica il cui sviluppo conosce una accelerazione ingente : la tec-

nica, similmente al modello neoliberista, si limita a offrire i binari entro cui


linfinita variet delle azioni individuali pu avere luogo, dopo aver potenziato
le illusioni del capitalismo tecno-nichilista 43
enormemente questultima e ampliato gli scopi perseguibili. Il contributo, in-
fine, dato da una particolare Weltanschauung che fa leva sul nichilismo costitu-
isce il sostrato culturale particolarmente pertinente allo scopo di manipolare
qualunque significato cos da non impedire la libert intesa come movimento
espansivo che, per potersi manifestare appieno, ha bisogno di una continua
crescita delle opportunit disponibili.
Nella configurazione sociale che si viene cos a formare negli ultimi decenni
del xx secolo, la dimensione capitalistica struttura un sistema di potere basato
sulla mobilit e sullo spostamento (di flussi di capitali, beni, informazioni, cul-
ture, persone, etc.) ; la dimensione tecnica permette di gestire efficientemente i

diversi flussi e di disporre di codici astratti che possano consentire scambi al di


l della variet culturale ; la visione nichilista, infine, rende malleabili e reversi-

bili i significati : il capitalismo tecno-nichilista si pone cos come nuova forma di


organizzazione (e legittimazione) della vita sociale. 1 Ma anche come un im-


maginario che supporta logiche di strutturazione dei rapporti e delle giustifi-


cazioni che forgiano il mondo sociale nel quale agli attori si muovono.
Le coordinate di questo immaginario consacrano lo spostamento del bari-
centro sullindividuo, ritenuto del tutto libero quando nella condizione di
scegliere i suoi significati, i suoi legami, la sua cultura. Esse traggono beneficio
dallenfasi posta sullo spazio estetico : 2 uno spazio che opta per lo sradicamen-

to da ogni vincolo territoriale e per la stratificazione della cultura su una plu-


ralit di piani, con riferimenti simbolici e contenuti eterogenei che penetrano
in qualunque mondo sociale, senza pi depositare i significati in un luogo, in
un gruppo, in una istituzione. Appoggiandosi allo spazio estetico deterrito-
rializzato, limmaginario tecno-nichilista predilige linguaggi simbolicamente
non troppo impegnativi, in modo tale che siano poco vincolati a gruppi speci-
fici. I criteri di valutazione non fanno pi riferimento alladesione a un sistema
consolidato di valori e alla legittimazione di una qualche autorit. Cruciale
qui il ruolo dei sistemi tecnici nel loro continuo divenire : infatti, sono le nuove

opportunit che continuano ad ampliarsi davanti a noi a ridefinire i significa-


ti delle nostre esperienze e gli obiettivi delle nostre azioni, nonch la nostra
libert.
Il predominio del significante rispetto al significato rafforza lo sganciamen-
to tra funzioni e significati, discendente dalla frattura tra la ragione intesa

1 Per la ricostruzione delle trasformazioni socio-culturali degli ultimi decenni rimandia-


mo a M. Magatti, Libert immaginaria. Le illusioni del capitalismo tecno-nichilista, Feltrinelli,
Milano 2009.
2 La nozione di spazio estetico viene utilizzata da Lull e Bauman. In particolare, J.
Lull (Media, communication and culture. A global approach, Polity Press, Cambridge, 2000)
ha parlato di deculturalizzazione e di supercultura per riferirsi allinsieme delle risorse
simboliche diffuse e riprodotte attraverso il sempre pi complesso e pervasivo sistema della
comunicazione mediale.
44 mauro magatti monica martinelli
quale facolt che ordina le nostre conoscenze e esperienze, ricomponendo il
senso, e la ragione quale mera strumentalit tecnica. La ragione ammessa
quella orientata allagire tecnico : ad essere considerato sensato solo ci che

permette di risolvere un problema e di raggiungere lo scopo che ci si prefis-


sati individualmente. Si tratta di una razionalit che diviene potente motore
di frammentazione, tenuto conto che la ricomposizione dei significati viene
relegata al piano individuale, laddove il singolo pretende di darsi i propri rife-
rimenti a prescindere da ogni vincolo, magari mescolando confusamente ele-
menti resi disponibili dallo spazio estetico deterritorializzato.
Il nuovo capitalismo combina la crescita mediante le risorse tecniche con la
mobilitazione della sfera affettivo-emozionale. Questo vuol dire che si allarga-
no gli ambiti della vita suscettibili di entrare nel circuito della valorizzazione
economica, la cui espansione viene sostenuta dalla risposta del consumatore
che, a tal fine, deve essere continuamente iperstimolata mediante la produ-
zione di eventi esperienziali. Significativamente, si utilizza il termine eco-
nomia dellesperienza. 3 Per far ci, il sistema inverte il desiderio in godimen-

to, la cui stimolazione avviene perseguendo una strategia vincente : quella di

accelerare continuamente. lidea che sta dietro il modello di sviluppo degli


ultimi decenni il cui dinamismo economico innegabile. Anzich investire
nella crescita di lungo periodo, la ricetta ha previsto lespansione senza limiti
della platea dei consumatori, anche a costo dellindebitamento personale e
collettivo. La grande accelerazione stata resa possibile dal combinarsi di al-
cuni ingredienti, come la creazione di sempre nuove infrastrutture tecniche, la
riforma del commercio internazionale, i mutamenti nei sistemi comunicativi
e, non da ultimo, la trasformazione del sistema finanziario internazionale il
cui peso lievitato in modo impensabile.
Dentro questo modello stata utilizzata la metafora energetica anche per
gli esseri umani : lenergia interna al sistema costituita dalla volont di potenza

dei soggetti, ossia dal desiderio di affermare la propria esistenza. Si tratta di


una energia che propria delluomo, ma che viene abilmente deviata su sod-
disfazione e godimento senza sosta, per cui deve essere adeguatamente attiva-
ta. Tutto ci retto da aspirazioni filosofiche che puntano sulla autonomia da
qualsiasi vincolo, la liberazione da ogni rigidit, il perseguimento del sacro
compito di realizzare se stessi.

2. 2. Frammentazione e implosione
Lalleanza tra nuovo capitalismo, tecnica e nichilismo struttura delle logiche
che investono la vita sociale collettiva e individuale. Una di queste la fram-
mentazione che interessa pi livelli. Ne menzioniamo alcuni. Vi la frammen-

3 Cfr. B.J. Pine - J.H. Gilmore, Leconomia delle esperienze, Etas Libri, Milano 2000.
le illusioni del capitalismo tecno-nichilista 45
tazione delle solidariet : lesaltazione dellindividuo comporta un indebolimen-

to del legame sociale e della solidariet sociale. Le soluzioni prospettate dal


quadro culturale contemporaneo vanno in due direzioni : la prima considera

la competizione come la forma di solidariet dinamica di questo tempo, la


seconda si muove sul piano dellaffermazione (spesso in termini regressivi)
dellidentit. Un altro livello riguarda la frammentazione delle relazioni : la forte

spinta allindividualizzazione implica che le relazioni sociali si appiattiscano,


da un lato, sulla interazione basata su un accordo di tipo funzionale, e, dallal-
tro, sulla relazione pura che Giddens definisce come sorprendente, senza
memoria n progetto, capace di esaltare lemotivit, listantaneit, la fisicit. 4

Sganciati dal loro contesto, deprivati del loro significato e appoggiati solo sul-
le spalle dellindividuo, i rapporti sociali e umani si trasformano in unimpresa
titanica, anche perch, in un mondo in cui ciascuno ha la pretesa di affermare
la propria verit, la probabilit dellincomprensione e dellequivoco non pu
che aumentare.
Infine, la frammentazione tocca il s, tanto che vi chi parla dellIo non pi
come individualit ma come singolarit evento : energia libera, volont di

potenza pura allinfinito, successione di esperienze, apertura allaccadimento,


macchina desiderante. A ci si aggiunge la frammentazione del corpo : attra-

verso i progressi della biologia, noi possiamo guardare ai fenomeni della vita
analizzandoli a livello della regione sub-microscopica, per cui il corpo diven-
ta un fatto compiutamente bio-tecnico. A questo punto, per, si compie un
passo antropologico enorme : nel momento in cui la tecnica, il sistema econo-

mico, la cultura nichilista varcano la soglia dellintangibilit e lessere umano


stesso viene assoggettato alla logica della frammentazione, ci si chiede che
cos luomo.
La logica della frammentazione mette insieme la forza della tecnologia che
avanza a un ritmo sempre pi serrato, penetrando in ogni ambito della nostra
vita, e la reversibilit dei significati propria di una cultura nichilista. In questo
contesto diventa sempre pi difficile riuscire a fissare un qualche significato
condiviso come vero. Sono piuttosto gli apparati tecnici a godere di straor-
dinaria solidit fino a che domina lidea per cui tutto ci che tecnicamente
possibile vero, e dunque dotato di senso. La prova di realt passa inoltre per
la forza del coinvolgimento emozionale : noi tendiamo a riconoscere come ve-

ro ci che ha la forza di prenderci emotivamente. Si riduce ai minimi termini


la componente riflessiva dellesperienza mentre aumenta la probabilit di una
manipolazione dal momento che la costruzione dellintensit momentanea e
la capacit di far sentire diventano veri e propri strumenti di potere. La rinun-
cia alla ricerca di una verit che non coincida con ci che facciamo esistere noi
fa s che la realt sia solo quella che affermiamo.

4 Cfr. A. Giddens, Le trasformazioni dellintimit, Il Mulino, Bologna 2008.


46 mauro magatti monica martinelli
Questo immaginario costituisce il substrato della crisi attuale, nelle sue
molteplici articolazioni. Il discorso sarebbe complesso. Basti solo accennare
che la crisi costituisce un punto di rottura del sistema, ma al contempo una
dura lezione. Certamente il capitalismo tecno-nichilista ha raggiunto impor-
tanti risultati : esso ha innescato una fase di straordinario sviluppo accrescendo

la capacit produttiva globale e ha aumentato le opportunit di vita di milioni


di persone. Per tale motivo, lesplosione della crisi stata vissuta, tanto da go-
verni come da opinioni pubbliche, con un diffuso senso di angoscia : il rallen-

tamento della crescita delle opportunit segna uno scacco alla garanzia di una
continua espansione che non ammette riduzioni del livello di vita. Tuttavia,
il limite del capitalismo tecno-nichilista sta nella dinamica che gli propria :

quanto pi si afferma, aumentando la propria potenza, tanto pi rivela la sua


fragilit perch ignora il limite delle risorse che ne alimentano il circuito, fino
a che vengono a erodersi le basi della sua stessa sostenibilit. La crisi che
contemporaneamente finanziaria, energetica, sociale con tutti i suoi effetti
collaterali rivela lautoreferenzialit di quel modello la cui espansione si veri-
ficata a prescindere dalla realt a meno che non si tratti della realt tecnica.
Di fatti, il sistema finanziario globale si progressivamente sviluppato se-
condo una logica di questo tipo sulla base dellidea che nessun tipo di rego-
lamentazione che non fosse tecnica dovesse essere implementata, al fine
di liberare lagire umano nelluso di strumenti finanziari nuovi al di l degli
effetti, tanto pi che tali strumenti introducevano la possibilit di socializzare
le eventuali perdite (ovvero di scaricarle su soggetti terzi) beneficiando invece
individualmente degli eventuali guadagni. Ci ha incentivato a contrarre de-
biti a livello macro come a livello micro, non curandosi degli effetti reali di tali
operazioni. Nel 2008, nel giro di poche settimane tutte le principali istituzioni
finanziarie del cuore pulsante del capitalismo globale rischiano il crollo. La cri-
si investe il cuore delleconomia globale, come un infarto. Che, in quanto tale,
spinge a ripensare lo stile di vita. Il punto che risulta improponibile chiedere
di cambiare stile di vita dopo decenni in cui si proclamata la libert di scopo
insieme allidea per cui importante che le cose funzionino, che non ci debba-
no essere dei significati condivisi perch questi ci vincolerebbero nelle scelte.
Nella logica del capitalismo tecno-nichilista, la crescita secondo il binomio
potenza-volont di potenza ha comportato poi una voracit nei confronti delle
risorse energetiche : naturali, sociali, umane. Il sovra-sfruttamento ambientale

si riflesso nella crisi alimentare, con limpennata dei prezzi del petrolio pri-
ma e dei generi alimentari poi. 5 Il problema che la gestione di certe risorse

viene lasciata totalmente al mercato che le considera univocamente dal punto

5 Tra la fine del 2006 e linizio del 2008 i prezzi dei generi alimentari sono aumentati del
70%, con drammatiche ripercussioni soprattutto in paesi gi attraversati al loro interno da
ingenti problemi sociali.
le illusioni del capitalismo tecno-nichilista 47
di vista della logica degli investimenti, tanto che una necessit energetica pu
essere soddisfatta anche a scapito di unaltra, nellillusione che la crescita pos-
sa continuare allinfinito.
Infine, la crisi sociale. A tale proposito, oltre a quanto gi sopra ricordato
a proposito della frammentazione dei legami, accenniamo alla crescita espo-
nenziale delle disuguaglianze globali e locali, processo che consegue allo sgan-
ciamento della crescita da qualsiasi nozione di equit distributiva. 6 Dietro alla

retorica di accrescere le uguali opportunit per tutti, il capitalismo tecno-ni-


chilista ha fatto delle asimmetrie e dei differenziali il proprio motore, cui ha
aggiunto lesasperazione delle differenze individuali di talento per il cui suc-
cesso viene considerata necessaria la rottura di ogni legame vincolante.
Lespansione economica e finanziaria accompagnata nel suo avanzare
dallarretrare, al contempo, socialmente e culturalmente. Gli effetti di ci di-
vengono fonti di instabilit politica e sociale, a livello globale oltre che inter-
no agli stati, e costituiscono delle strozzature alla crescita attuale dei paesi
avanzati. Il capitalismo tecno-nichilista ha, per cos dire, eroso le condizioni
che ne hanno permesso lo sviluppo reggendosi su un immaginario della liber-
t che ha preteso di identificare questultima con lautodeterminazione della
volont di potenza secondo una concezione antropologica fortemente ridut-
tiva. Il punto che lo sviluppo non mai una questione astratta di tecnica ed
efficienza, ma sempre la combinazione di molteplici fattori strutturali, s,
ma anche culturali e umani e risente di una certa visione delluomo e della
libert.

3. Lirrompere delle crisi : solo frattura nel cronos


o anche momento di kayrs ?

Il capitalismo tecno-nichilista ha ormai compiuto il suo tempo. Nei limiti delle


sue premesse e negazioni culturali, esso ha realizzato gli scopi per cui esso si
andato costituendo. Non a caso, in analogia a quanto accadde negli anni 70
quando si cominci a parlare di statalismo, oggi molti osservatori parlano di
mercatismo per indicare le degenerazioni di un sistema che ha, s, prodotto
crescita ma ha anche devastato societ, culture, relazioni. E anche oggi come
allora bisogna cercare di girare veramente pagina.
La crisi ci dice infatti che ci siamo perduti, nel perdere il senso della realt (la
crisi finanziaria con un debito che mangia il futuro emblematica a tale pro-
posito), nel perdere il rapporto di reciprocit con la natura/il mondo (come

6 Una idea di massima ci viene data dal rapporto del undp : il 5% pi ricco della popola-

zione dispone dell86% del Pil mondiale, mentre il 5% pi povero dell1%. Negli anni 60,
tale rapporto era di 30 :1. Anche i dati relativi al nostro paese sono sconfortanti : rispetto alla

met degli anni 80, la disuguaglianza cresciuta del 33%, e oggi il 10% delle famiglie dispo-
ne del 45% della ricchezza, mentre il 50% dispone solo del 9,8%.
48 mauro magatti monica martinelli
indica drammaticamente la crisi energetica), nel perdere laltro (come mostra
la crisi del legame).
Tali perdite non sono estranee ai presupposti dellimmaginario della libert
che ha fatto da sfondo al capitalismo tecno-nichilista. Dopo essersi espressa
nella ribellione e contestazione degli anni 70, la libert si alleata profonda-
mente con il binomio potenza-volont di potenza (potenza a livello aggre-
gato e volont di potenza sul piano soggettivo) fino a coincidere con la sua
inarrestabile espansione e indiscussa apertura. Limpressionante energia che
si sprigionata in questi decenni ha mostrato il potere della libert : il potere

di perdersi, appunto. Essa scivolata in anarchia e in perdizione, movimenti


puramente adattivi, i quali dicono quanto sia difficile non solo conquistare la
libert ma soprattutto conservarla, gestirla, esercitarla : la libert un proces-

so impegnativo, tanto pi la libert dei liberi.


Tuttavia, proprio questo tipo di esperienza sembra essere quella tipica
delluomo libero. La ribellione prelude sempre ad una qualche forma di smar-
rimento. I passaggi alle nostre spalle lo confermano : essi delineano la storia

propriamente della libert, che passa attraverso la ribellione e arriva fino al-
la perdizione anarchica. Ma, giunti a questo punto, si tratta di decidere se e
come farla evolvere o se ridurla fino a lasciarla morire. La crisi dentro cui ci
troviamo pu condurre alla implosione o alla maturazione della libert. In al-
tre parole, il tempo in cui ci troviamo pu limitarsi a costituire un momento
cronologico che succede, tra continuit e fratture di orizzonti, alle epoche che
lo hanno preceduto oppure essere guardato come momento opportuno un
kairs, appunto per riappropriarci di quelle domande reali che esigono rispo-
ste reali, lasciandoci interpellare dalle contraddizioni che, spesso, sono foriere
di percorsi generativi inediti, capaci di elevare il pensiero e rendere vivibile
lesperienza umana.
In tal senso, la crisi, nelle sue diverse sfaccettature, ci insegna che il primo
passo del cambiamento richiede di riconoscere che gran parte della realt
stata esclusa dal mondo costruito dal capitalismo tecno-nichilista. Essa pu
quindi divenire una straordinaria occasione per cambiare le cose e costruire le
condizioni per una nuova stagione di libert. Migliore di quella che abbiamo
conosciuto. Non si tratta di tornare indietro, di ipotizzare o auspicare, per cos
dire, un contenimento della crescita o una limitazione della libert. Si tratta di
star dentro la storia, apprendendo da essa. Il compito, per la libert matura, si
mostra in tutta la sua portata : assecondare i percorsi positivi che la fase storica

alle nostre spalle ha prodotto provando a cambiare rotta per delineare strade
alternative di un nuovo modello di sviluppo socio-economico sostenuto da
uno spirito e disposto a lasciarsi provocare dalla realt.
I classici del pensiero sociologico possono insegnarci qualcosa in tale dire-
zione : essi avevano infatti colto limportanza della dimensione spirituale nella

vita sociale, ove lo spirituale non si identifica n con un ritorno evanescente


le illusioni del capitalismo tecno-nichilista 49
del religioso n con un mero vitalismo incondizionato, ma si pone quale cana-
le per una visione differente delluomo. E, a ben vedere, le interpellazioni che
la realt pone hanno a che fare in primis con la messa a fuoco dei presupposti
antropologici delle nuove questioni sociali. La libert che si d come propriet
di un Io individualisticamente inteso, un soggetto irreale che si proietta solo
in un secondo momento sulla scena sociale e le sue forme istituite, una li-
bert immaginaria e vuota. Noi siamo volont di potenza e di realizzazione,
ma non solo. Siamo debito, desiderio di legame con altri, discussione, giudi-
zio, empatia, cura, fragilit, limite : i grandi rimossi di una fase storica in cui

la performance ha disprezzato il fallimento ; lauto-realizzazione e la felicit in-


dividuale hanno teso a minimizzare il debito e limpegno propri dellunione ;

la volont di potenza ha considerato vergognoso il limite. Le patologie della


libert riguardano, non a caso, la dimensione relazionale dellessere umano
con se stesso, laltro, il mondo.
Posta la natura della crisi, per superare limpasse urge, da un lato, lemersio-
ne di un nuovo immaginario. Che pu nascere solo come critica alla stagione
che stiamo vivendo. Dallaltro, ipotizzare sul versante istituzionale una
nuova modalit di crescita che, in un contesto sociale prosciugato in termini
di socialit e di vitalit, si impegni nel ripensare le condizioni che possono la-
sciare tracce dotate di senso. In questo nostro contributo intendiamo concen-
trarci ora, in particolare, sullurgenza di un nuovo immaginario della libert.
innegabile constatare che attorno a noi non si vedono ancora movimenti
culturali cos potenti da apparire in grado di portarci fuori dalla situazione nel-
la quale ci troviamo. Non ci deve sorprendere. Il capitalismo tecno-nichilista
prima di tutto difficile da capire. Ancora di pi da superare, anche perch esso
non solo ha eroso legami e significati, ma ha altres indebolito enormemente
la domanda relativa alla opportunit di questi ultimi. Tuttavia, non mancano i
segnali che vanno in questa direzione, anche se si tratta di segnali deboli, non
ancora in grado di determinare un cambiamento. Per uscire dalla crisi ci vorr
tempo. E una buona dose di innovazione istituzionale. Ma difficilmente sar
possibile procedere senza fare riferimento ad un nuovo spirito, cio ad un nuo-
vo immaginario della libert.
4. La libert dei liberi
La libert dei liberi ossia la libert propria del nostro tempo non pi
(solo) una meta da conquistare n un diritto da affermare (contro qualcosa
o qualcuno mera libert da), ma una istanza impegnativa da esercitare
assumendola in ci che essa implica. In primo luogo, di accettare di misurar-
si con la propria inconsistenza, con i propri fallimenti. E di conoscere che la
sua potenza anche distruttiva. In secondo luogo, di assumere che tale que-
stione del sapere di s implica una risposta : la libert che, dalla adolescenza

tipica della ribellione e dellanarchia, accetta di evolvere oltre, nella maturit,


50 mauro magatti monica martinelli
non si limita a reiterare lantica polemica della scusa di principio per cui la
responsabilit sta sempre altrove e viene sempre dopo, n si accontenta di
autodefinirsi come mera autonomia, ma si comprende come risposta (ossia
responsabilit) a un tempo, una storia, un mondo, un tu, cio come istanza in
relazione ad altro da s. Pertanto, si preoccupa di assicurare lesistenza delle
sue stesse precondizioni.
Lindividuo contemporaneo proclama, rivendica, desidera la libert non cu-
randosi di tali pre-condizioni : egli preferisce fantasticare circa la propria libert

che confrontarsi con la realt, considerata da un lato nientaltro che lespres-


sione di una qualche forma nascosta di autorit da rifiutarsi per principio,
dallaltro enfatizzata quale mera proiezione delle proprie rappresentazioni. La
realt non tuttavia semplicemente una barriera o la nostra proiezione. Per
operare questo riconoscimento del reale possiamo usare la nozione di vita,
non senza tentare di chiarire da subito ci a cui ci riferiamo.
La nozione di vita infatti estremamente delicata e, al contempo, cos artico-
lata e complessa da prestare il fianco a molteplici definizioni, scivolando nella
ambiguit. Del resto, innegabile che il capitalismo tecno-nichilista promuo-
va a suo modo una cultura della vita, ponendo forte enfasi sulla sua dimen-
sione biologica. Anzi, in quellimmaginario il biologico occupa il campo del
politico fino a sovrapporsi ad esso. Al centro dellattenzione del politico non
vi un progetto orientato a custodire la socialit, a promuovere la giustizia,
a migliorare le condizioni eco-sistemiche di porzioni sempre pi consistenti
della popolazione, bens un ideale bio-salutistico, ossia lallungamento della
vita del singolo individuo, insieme alla perfettibilit del corpo mediante lap-
plicazione delle tecnologie fino a intervenire sui processi vitali. 7 Allinterno di

questo frame, lessere umano ridotto a puro organismo biologico, privato del
suo rapporto con la parola, la memoria, la storia, il mistero. La vita diviene qui
un valore capitalizzabile e messo in produzione, al di l del limite della vita per
eccellenza, ossia la morte sempre pi allontanata dallorizzonte del possibile. 8

La nozione di vita cui intendiamo riferirci non il mero bios n la vita so-

7 Michel Foucault ha parlato di regime biopolitico a proposito di quellorientamento


ad intervenire contemporaneamente sulla infrastrutturazione tecnica sempre pi spinta
dellintero pianeta e sullo stesso corpo umano (cfr. M. Foucaul, Biopolitica e liberalismo,
Medusa, Milano 2001). In fondo, laspirazione del capitalismo tecno-nichilista di costruire
una forma sociale inedita, nella quale lintegrazione sistemica aspira ad autonomizzarsi da
quella sociale, viene resa possibile proprio dal modello biopolitico.
8 Il minimalismo antropologico che fa da sfondo allimmaginario della libert tecno-ni-
chilista ben sintetizzato da G. Bataille quando definisce lIo contemporaneo come sovra-
no e di lui dice che tale perch esiste come se la morte non esistesse [] Non luomo

nel senso individuale del termine, ma un dio, essenzialmente lincarnazione di colui che
ma che non (G. Bataille, Lal di l del serio e altri saggi, a cura di F.C. Papparo, Guida,

Napoli 2000, p. 205).


le illusioni del capitalismo tecno-nichilista 51
stanzializzata. Marcel aveva messo in guardia da tali rischi e denunciato i tratti
emergenti di un individuo che ha la tendenza di apparire a se stesso e di appa-
rire anche agli altri come un fascio di funzioni la cui prestazione viene garan-
tita da verificazioni periodiche, come se tutto il suo impegno fosse quello di
sottoporsi a dei controlli in una officina di riparazione. 9

Non questa la sede per approfondire il discorso come meriterebbe. Ci in-


teressa richiamare il tema per il fatto che il capitalismo tecno-nichilista perde
drammaticamente per strada la realt perch perde, ancor prima, la vita pro-
prio mentre convinto di difenderla dietro allidea che essa consista nellaprire
sempre nuove possibilit per la sua evoluzione tecnicamente a portata di mano.
Richiamare la vita per riammettere il reale quale primo interlocutore della
libert dei liberi significa assumere una diversa concezione antropologica, non
cio meramente quantitativa e biologistica. La realt intesa come vita unisce
il materiale (le esigenze del biologico e naturale) e lo spirituale (le istanze di
senso) ; il processo (il dinamismo della vita che evolve) e la forma (assunta dal-

le costruzioni umane derivanti dalle risposte date al mondo) ; lindividuale (il


per-s del soggetto) e il sociale (lessere proteso fuori di s dellIo).


In un percorso orientato a ripensare limmaginario della libert in questot-
tica sono utili tre sottolineature :

la realt (come vita) non semplicemente un limite da superare, ma un am-


biente ospitale che ci permette di vivere. Questo ambiente va quindi curato,
noi viviamo solo in relazione ad esso ;

la realt (come vita) accessibile solo attraverso delle forme. Le forme sta-
biliscono dei limiti : esse definiscono il modo attraverso cui abbiamo accesso

alla libert. Ci implica riportare ad una scala pi realistica alcune utopie della
societ contemporanea ;

la realt (come vita) apre e pone domande di senso : il mero coordinamento


funzionale non basta, anzi spezza la vita. Tornare a interrogarsi attorno a que-
sta dimensione significa ammettere che il significato ha una sua profondit.
Queste tre direzioni presuppongono come condizione, ma al contempo
hanno come effetto, una certa visione antropologica e consentono di perve-
nire a delineare una libert che accetta di evolvere verso la sua maturit come
libert generativa.

5. Riammettere la realt
5. 1. La realt come ambiente ospitale. Libert come cura
Per poter far fronte alle sue esigenze espansive di crescita, il capitalismo tecno-
nichilista si dispiegato lungo due direttrici ambigue rispetto al rapporto con
la realt.

9 G. Marcel, Filosofia della vita, Bocca, Milano 1943, pp. 31 e 33


52 mauro magatti monica martinelli
Da un lato, negando drammaticamente la realt, allo scopo di disinnescare
il limite attorno allindividuo. Fino a dare limpressione che le cose possono
andare avanti comunque e che, a fronte delle esigenze della libert di scopo,
ad essere antiquato luomo stesso (come denunciava Anders 10), ad essere

osceno il legame, ad essere extra-territoriale laltro. Dallaltro lato, esso si


dispiegato al contempo per la sua matrice nichilista negando la sua stessa
negazione, affermando quindi una sua realt, una iperrealt costituita da fe-
ticci e finzioni che saturano ogni spazio con mezzi tecnici e logiche funzionali
che, da istanze intermedie, divengono fine in s indebolendo la libert.
Assenza di realt, da un lato, e iperrealt, dallaltro, non consentono di vede-
re nella realt lambiente vitale che ospita il soggetto e la sua libert, la quale
necessita del materiale mondano oggetti, forme, contesti, fenomeni, ecc.
per la sua stessa concretizzazione e realizzazione. Del resto, noi non possedia-
mo evidenze empiriche diverse : la libert si sviluppa in uno spazio concreto e

in un orientamento alloggetto (sia esso la cosa materiale, la storia, il mondo,


laltro) quellobjectum senza il cui attrito essa stessa si dissolverebbe. E tale
oggetto sempre collocato da qualche parte.
Come indicato ormai da pi prospettive disciplinari, il puro Io inteso come
identit indipendente e autoreferenziale costituisce una mera finzione. Lin-
dividuo pur essendo un mondo in s non una totalit autosufficiente e
non agisce nel vuoto. La libert, in questottica, diviene quella intonazione
che lindividuo d allesistenza in relazione al suo situarsi dentro un ambiente,
concependosi imprescindibilmente in rapporto continuo con ci che altro
da s.
La realt a cui il soggetto si rivolge dunque un ambiente vitale : un am-

biente storico, naturale, relazionale, alla cui confluenza lIo stesso si forma.
Assumere ci significa porre al centro dellattenzione il fatto che, come tale,
questo ambiente richiede di essere curato se si vuole custodire lumano. Di
fronte alle interpellazioni e alle esigenze poste dalla storia, dalla natura e dalle
relazioni, la strategia espansiva fatta propria dal capitalismo tecno-nichilista
stata quella di far leva sulla innovazione meramente tecnica, sulla intensi-
t della mobilit e sulla fluidit delle situazioni, incuranti della natura, della
storia e del sociale mondi pensati come fossero un giacimento cui attingere
senza curarne la continuit e senza investire nella loro riproduzione, fino a
prosciugarli.
Curare lambiente storico implica riconsiderare le coordinate spazio-tem-
porali oltre la prospettiva che, negli ultimi decenni, le ha viste collassare e
appiattirsi sul mito, da un lato, del superamento dei vincoli dello spazio e,
dallaltro, dellaffermarsi del tempo come istantaneit, prestando il fianco a

10 Cfr. G. Anders, Luomo antiquato. Considerazioni sullanima nellera della seconda rivolu-
zione industriale, Il Saggiatore, Milano 1963.
le illusioni del capitalismo tecno-nichilista 53
una visione meccanicistica della realt. Curare implica ri-significare il ricor-
do e la memoria che danno consistenza a una esperienza, a un fenomeno, e
fanno durare qualcosa oltre il momento contingente. La continua adesione al
nuovo, predicata dal tecno-nichilismo, ha richiesto di cancellare rapidamente,
di girare la pagina per far tornare il foglio a essere miracolosamente bianco : 11

curare la dimensione storica consente quindi di approfondire criticamente la


questione dellapertura celebrata come sistematico sradicamento da tutto e
identificata con la libert. Per non implodere, lapertura necessita al contem-
po di una custodia che luogo di senso e di una continuit che valorizzi la
profondit delle cose.
Curare lambiente naturale chiama in causa le risorse ambientali e ener-
getiche, non meno di quelle umane, nella prospettiva di un pi equilibrato
rapporto con esse nel rispetto dei loro stessi limiti. Lespansione del sistema
capitalistico contemporaneo, per soddisfare le sue esigenze, ha infatti spre-
muto fino allultimo le risorse disponibili innescando una crisi energetica di
vaste proporzioni. Non a caso, gi dagli anni 80 viene reso noto, attraverso il
Brundtland Report, il concetto di sviluppo economico sostenibile, locuzio-
ne che poi si diffonde allinterno del dibattito politico internazionale. Sappia-
mo quanto faticosi continuino a essere i passi in tale direzione, tanto pi in
un contesto in cui mancano sia i soggetti storici in grado di sostenere credibil-
mente proposte di quel tipo sia i riferimenti teorici e valoriali in base ai quali
prendere decisioni che siano ampiamente condivise. Constatiamo tuttavia il
diffondersi di nuove sensibilit e soggettivit capaci di sdegnarsi rispetto allo
sfondamento di certi limiti : il moltiplicarsi di appelli orientati al rispetto della

natura costituisce un esempio in tale direzione.


Infine, vi la cura dellambiente relazionale, resa ancor pi urgente dalla
enorme sofferenza causata dallaffermazione della propria verit, per cui si
finisce per creare una societ di autistici. Allinterno del frame culturale del ca-
pitalismo tecno-nichilista, la resistenza data dallesistenza dellaltro e di altro
da s viene devitalizzata spostando la responsabilit (il rispondere-a-qualcosa/
qualcuno) sul versante dellautorealizzazione, in vista della felicit individuale
considerata un diritto da perseguire a tutti i costi.
Uscire dal capitalismo tecno-nichilista significa provare a cercare risposte
alla questione del legame sociale oltre lindifferenza e il fastidio ad esso asso-
ciati in quellimmaginario. Il punto riguarda qui la concezione del rapporto
individuo-sociale che, fin dalla modernit, si spostato sul lato individuale cui
tutto viene riferito. Non a caso lindividualizzazione spinta rischia di venire

11 Il problema che, come osservava H. Arendt, senza la continuit di una storia, di una
memoria, non c n presente n futuro, n possibilit di scegliere n di indicare cosa ha va-
lore, ma solo il divenire eterno del mondo, e in esso il ciclo biologico degli esseri viventi

(H. Arendt, La crise de la culture, Gallimard, Paris 1972, p. 14).


54 mauro magatti monica martinelli
contrastata dalla ricerca di forme comunitarie (tendenzialmente regressive)
che evocano una concezione organicistica e fusionale del sociale, ugualmente
rischiosa. In tutti i casi n lindividuale n il sociale vengono considerati come
aventi la medesima origine, per cui si trovano in una condizione di perma-
nente precariet, fino alla patologizzazione del rapporto individuo-gruppo o
allannullamento di uno dei due poli. La gestione di tale co-originariet richie-
de lassunzione di una concezione dialettica della libert che, da un lato, esige
lindividuo e lo esige in qualit di essere-per-s e, dallaltro, non procede sola-
mente nella direzione dellincremento di una autonomia personale, ma anche
nella costruzione di condizioni che consentano alla libert di svilupparsi come
relazione, legame, significato condiviso in rapporto alla realt salvaguardata
nella sua irriducibile alterit rispetto al soggetto.
5. 2. La realt come forma. Libert come assunzione del limite
Limmaginario del capitalismo tecno-nichilista considera il soggetto come ca-
pace di libert nel momento in cui si mantiene precostitutivamente aperto
agli eventi, in modo illimitato, a partire dallidea che sia sbagliato rinunciare
a qualcosa, persino scegliere qualcosa perch, cos facendo, ci si limita, ci si
preclude la possibilit di cogliere ulteriori opportunit.
Una tale libert fa da sfondo a uno dei miti contemporanei, quello della
societ delle differenze enfatizzate e celebrate come segno distintivo dellau-
tonomia individuale, la cui assolutizzazione pu divenire il pretesto per af-
fermare una libert che insegue lindeterminazione in modo da non dover
riconoscere alcuna forma di cui essere responsabili. Non a caso Anders ha de-
lineato il profilo duomo qui sottinteso come nichilista : egli, volendo fuggire

dallo choc della contingenza attraverso cui passa la realt della vita contin-
genza che gli rivela in fondo la provenienza da unorigine che non il suo Io
e a cui non corrisponde ma con cui interpellato a identificarsi limitandosi
, vuole perpetuare lindeterminazione per non precludersi la possibilit di
assumere una qualunque forma, di essere ovunque nello stesso tempo fino a
costruirsi una esistenza contro-storica.
Lesperienza del limite costituisce uno dei rimossi dellimmaginario del ca-
pitalismo tecno-nichilista. Tuttavia, proprio tale esperienza la condizione
di possibilit perch qualcosa esista, perch la vita stessa si dispieghi. Il limite
pu essere una fine ma anche un confine (limes) e quindi indicare la possibilit
di un inizio. Perch qualcosa possa esistere deve essere confinata, senn sa-
rebbe tutto e quindi niente : non ci pu essere infatti confine nei confronti del

nulla ; e laddove non si ammette un confine, si sul crinale del nulla.


Anche la vita a meno di appiattirla sullirrealt e identificarla con il nulla


si confronta strutturalmente con il limite, a livello sia esistenziale che strut-
turale. Dal punto di vista esistenziale, i due momenti estremi, generazione/
nascita e morte, sono particolarmente chiarificatori in tal senso. E, lungo il di-
le illusioni del capitalismo tecno-nichilista 55
spiegarsi di una vita, senza confinazioni ogni nostro passo sarebbe realmente
impossibile : se noi potessimo sempre controllare tutto, se non avessimo per

esempio limiti conoscitivi, probabilmente saremmo paralizzati nellagire. Al


contempo, tuttavia, quello che in generale sappiamo e quello che ignoriamo
non ci dato una volta per tutte ; ci sposta continuamente il limite.

Il processo di con-finazione continua il movimento stesso insito nella


struttura della vita. Questa infatti si d fenomenologicamente in una forma,
attraverso la quale noi ne facciamo esperienza. Si tratta qui della vita nella sua
empiricit, nel suo darsi di fatto dentro determinate configurazioni storiche,
intersoggettive e istituzionali. Ma, al contempo, della vita nella sua meta-fisici-
t, la vita che pone cio questioni relative allo spirito delle costruzioni umane,
al senso delle cose. Senza la forma, la vita non si darebbe per noi, per cui non
sarebbe nemmeno possibile la consapevolezza del suo movimento continuo,
e rimarrebbero astratte anche le interpellazioni provenienti da essa.
utile richiamare qui, seppur molto brevemente, Georg Simmel per il suo
prezioso contributo nel pensare il rapporto tra vita e forma come cifra per
comprendere la struttura della realt e del soggetto. Come noto, Simmel re-
cupera la vita nella sua dimensione creativa, sensoriale, spirituale e di ricchez-
za interiore di contro alla freddezza della forma e, pi in particolare, delle
forme emergenti nella modernit (costellazioni categoriali, procedure buro-
cratiche, produzioni tecniche). Ci detto, per, per Simmel la vita non si ap-
piattisce su una spontaneit vitalistica puramente fisiologica o psichica ; essa

non coincide con il mero processo cosmico o con una struttura biologica.
tutto ci e pi di tutto ci. La vita processo e forma insieme, in cui la forma
non una sostanza, cos come il processo non meramente fluido e indistin-
to. Questultimo, nel suo corso, tende ad assumere forme puntuali che ven-
gono continuamente trascese dalla vita. Nel suo rimanere in s, la vita si d
propriamente come processo continuo. Ma la vita si distanzia continuamente
da s, si trascende divenendo appunto forma in cui essa si d alla esperienza
che noi facciamo della vita in una situazione particolare.
Simmel insiste su ci : poich la forma costituisce un limite, la vita si d a

noi solo nella adesione al limite, sia nel senso di considerarla non solo come
mero fluire perenne e incondizionato sia nel senso di assumere attivamente
il dato della contingenza e dellidentificazione come costitutivo, seppur non
esaustivo, dellagire umano. La vita di cui facciamo esperienza e che noi stessi
siamo la vita intessuta di contenuti, volont, azioni, pensieri, decisioni, ecc.
non si esaurisce mai in essi. La nostra stessa biografia costituisce una espres-
sione della vita : in essa tendono a unificarsi la spinta a superare ogni limite e

la forma (che si identifica con il limite).


Limmaginario tecno-nichilista ha oscurato ampiamente queste dimensioni
e la loro correlativit : nella spinta oltre il limite, esso ha riconosciuto una mera

proiezione in avanti, orientata ad accrescere le opportunit, cosicch andan-


56 mauro magatti monica martinelli
do, e continuamente andando di evento in evento, si ha limpressione di essere
capaci di prendere le distanze dalla contingenza e, perci, di essere liberi ; nel-

la forma, esso ha visto semplicemente un principio di limitazione rispetto al


desiderio, un elemento di rigidit che, come tale, deve essere scalzato. Senza
la forma, lesperienza umana vaga per nel nulla informe : abdicare al limite

come punto di realt significa perdere laggancio alla condizione umana.


Assumere che il nostro accesso alla realt non prescinde dalle forme, im-
plica che la nostra stessa prospettiva sulla libert si confronti sempre con un
limite. E ci gi per il fatto che la libert non si regge senza il soggetto della
libert, la cui individualit in se stessa una forma che rimanda alla dimen-
sione pi fluida del processo della vita nel suo divenire sempre altro da s ma,
al contempo, racchiude in s i tratti di un carattere determinato che consente
di riconoscere in quellindividuo un Io peculiare. La libert si colloca dentro
questa relazione tra forma e processo della vita, limite e oltrepassamento del
limite. Pertanto, rispetto allevento che ci viene incontro sia che siamo atto-
ri sia che siamo spettatori si apre lo spazio della risposta. Una risposta non
preordinata come uneco meccanica che ripete meccanicamente quanto le ha

gridato una voce esterna , 12 ma attiva, originale, attraverso la quale possiamo


esistere come esseri-di-libert, senza venire semplicemente assimilati al flusso


incondizionato del divenire delle cose. 13 E perch questa risposta prenda for-

ma, la libert assume il limite, riconosce che creare dare forma a qualcosa
che dura e che, diversamente, rimarrebbe schiacciata sullistante e sulla super-
ficie dello scorrere degli eventi.
Guardare la libert attraverso la forma non solo la strappa dalla illusione
di totale ab-solutezza, ma la ancora dentro lesperienza umana aprendola ad
ospitare, come tratti di realt, lalterit, il legame, il mondo, la trascendenza.
Latto con cui la libert decide di affermare o negare la realt della vita-forma
anche latto con cui essa decide di s. Si pu infatti perdere la libert con un
atto di libert : per questo, la sfida della libert dei liberi ha uno spessore enor-

me. Un tempo come quello attuale, in cui la libert conosce la perdizione a


motivo della sistematica negazione della realt come vita, e di questa come
forma, pu divenire anche loccasione in cui la libert matura ed evolve in
libert generativa che rinnova continuamente quella presenza cui la forma
rimanda : la realt della vita, nel suo essere mistero e limite, nel suo essere

12 G. Simmel, Intuizione della vita (Quattro capitoli metafisici), Bompiani, Milano 1938, p.
134.
13 ancora Simmel a offrirci una indicazione preziosa, mettendo in evidenza che solo la
responsabilit pu fondare la libert. Essa non una riduzione di questa, ma ne costituisce
la condizione, trattandosi della differenza immessa dalla nostra risposta allevento e, pi
ampiamente, alla realt (per un approfondimento sul tema nellautore, ci permettiamo di
rimandare a M. Martinelli, Laltra libert. Saggio su Georg Simmel, Vita e Pensiero, Milano,
in corso di pubblicazione).
le illusioni del capitalismo tecno-nichilista 57
cio pi della forma e, allo stesso tempo, forma la cui definitezza rimanda a
un infinito.
5. 3. La realt come interpellazione. Libert e senso
Autori come Weber e Simmel, da angolature diverse, hanno esplicitato lim-
prescindibile legame tra la questione del senso e la libert. Secondo tali pen-
satori, porsi la domanda del senso , infatti, gi interrogarsi sulla libert nella
sua interezza, perch ci significa che luomo si percepisce come un essere che
non sottost n al meccanicismo di causa-effetto (e allinesorabilit del proces-
so di razionalizzazione), n alla casualit degli eventi e degli umori, n infine
al vitalismo. Egli si pensa come colui che pu dare una direzione alla propria
esistenza e alla convivenza collettiva in relazione alla totalit dellessere e della
vita, in relazione ad altri tu, a un ambiente, a una storia, a un mondo sociale
che, a sua volta, ci istituiscono come singoli individui mentre forgiamo rispo-
ste nei confronti delle interpellazioni che si dirigono a noi esigendo, appunto,
una risposta vivibile : pertanto, esse divengono interpellazioni di senso.

Lindividuo decide di vivere o meno attingendo a un senso, considerandolo


cio imprescindibile al fine di imprimere una direzione allesistenza. Tuttavia,
tale questione che investe la sfera individuale non solo individuale e tanto
meno autoreferenziale, non trova cio risposta soltanto al livello in cui si po-
ne. Altrimenti detto, essa rischia di implodere nel momento in cui viene fatta
ricadere soltanto e in toto sullindividuo, come vorrebbe il frame culturale con-
temporaneo per salvaguardare paradossalmente la sua libert. La domanda di
senso una domanda che porta con s una apertura oltre s.
Essa infatti trascende il singolo. Non perch lo proietta in una vuota o
astratta trascendenza, quanto piuttosto perch lo pone di fronte alla realt.
Nella risposta ad essa emerge la libert nel suo senso, quello cio di essere una
esperienza relazionale che non rinuncia a dare forma a una qualche ricompo-
sizione tra funzioni e significati. La costruzione del significato richiede di esse-
re ancorata oltre lindividuo : essa necessita di mondi entro cui pu generarsi

costantemente e a cui ci si pu riferire per elaborare delle risposte personali


s, ma non individualistiche attingendo, per le proprie valutazioni, ad un
paniere dato.
Uno di questi mondi costituito, per esempio, dalla sfera religiosa. Anches-
sa non immune dalle logiche tecno-nichiliste, come mostrano da un lato le
forme religiose reattive con le loro forzature sulla realt e, dallaltro, la stru-
mentalizzazione cui essa sottoposta divenendo il ricettacolo del malcon-
tento sociale. Ma la sfera religiosa, per antonomasia, colloca al suo centro
la questione della trascendenza o, come preferiamo dire, dello spazio sacro
dellinfinito : lo spazio del senso rispetto alla condizione umana per la cui co-

struzione essa in grado di offrire strumenti, percorsi e contenuti privilegiati,


nonch forme (anche istituzionali) e appartenenze durature, senza trascurare
58 mauro magatti monica martinelli
la persona e le sue istanze, nonch la realt e il tempo. Tale sfera pu offrire
una direzione al presente e alla frammentariet propria dellesistenza ed espe-
rienza umana. Il compito qui vasto : le grandi tradizioni religiose, con i loro

patrimoni, costituiscono uno dei pochi contesti in grado di sfidare legemonia


tecno-nichilista ; pertanto, esse possono offrire un contributo prezioso nella

costruzione di un mondo sociale plurale pi ricco, con implicazioni pi ade-


guate alle istanze della libert umana in questo tempo.
Accanto alla sfera religiosa, vi sono altri mondi le cui potenzialit ai fini del-
la libera costruzione e circolazione di significati dentro una visione plurale del
sociale sono cruciali. Per esempio, la scuola e le agenzie educative in genera-
le : ambiti che, negli ultimi decenni, sono andati nella direzione di una pretesa

neutralit valoriale con un disinvestimento rispetto al loro stesso compito,


fino a giungere a una condizione di estrema debolezza. Tuttavia, se ripensati
con appropriati investimenti in termini di infrastruttura umana, questi mondi
possono costituire una passerella indispensabile di significati tra una genera-
zione e laltra. Ad essi si aggiunge il mondo della ricerca con i luoghi connessi
(in primis, luniversit) : luoghi in cui lo sviluppo di una libera e autonoma di-

scussione su priorit e obiettivi della vita associata pu porre sotto pressione


lintelligenza strettamente tecnica, inadeguata per affrontarne e risolverne i
problemi, compresi quelli della crescita e dello sviluppo economico che neces-
sita di essere sempre considerato anche come sviluppo sociale.
A questi mondi, il singolo individuo pu agganciarsi trascendendo la prete-
sa (tipicamente tecno-nichilista) secondo cui ciascuno, una volta che si posto
faticosamente la questione del senso, se lo deve costruire da s, in una ope-
razione radicalmente solitaria, pena la messa in discussione della sua libert.
Non irrilevante che i segni dellemergere di nuove sensibilit insieme sociali,
ecologiche e culturali espresse sia da alcuni eventi planetari che dalla mode-
sta e recente onda civica italiana mobilitatasi rispetto a temi riguardanti beni
collettivi, a partire dal disincanto accelerato nei confronti del sogno libertario-
liberista siano animati da un nuovo spirito del tempo poco disposto a con-
siderare oltremodo irrilevante la domanda di senso e la condivisione di tale
domanda in relazione al futuro. 14 E questo non certamente a caso, se si pensa

che il capitalismo tecno-nichilista ha preteso di toccare dei nodi antropologici


molto grossi senza per porsi la questione dello spazio sacro dellinfinito. An-
zi, esso ha preteso di procedere come se non fosse in discussione molto di pi
di tutta una serie di aspetti materiali e immediati sui quali il dibattito pubblico

14 A tale proposito ci permettiamo di rimandare al progetto Genius Loci. LArchivio


della Generativit Italiana, promosso, dal 2009, dallIstituto L. Sturzo di Roma, il cui in-
tento quello di contribuire alla identificazione, analisi, narrazione e connessione di realt
organizzate connotate dal carattere della generativit, al cui centro vi la questione del
senso (si veda il sito : www.generativita.it).

le illusioni del capitalismo tecno-nichilista 59
di solito si concentra quando pone in agenda questioni delicate, dalla convi-
venza interculturale ai temi relativi allintervento sulla vita, dalla (de)crescita
economica alla tenuta della democrazia, dalla coesione sociale alla giustizia,
per citare solo alcuni esempi. E lo fa spensieratamente, come se appunto certe
questioni fossero solo tecniche.
Come abbiamo cercato di esplicitare, la realt come vita provoca la questio-
ne del senso : affinch lambiente naturale, relazionale, storico possa essere cu-

stodito e riprodotto in quanto contesto entro cui prende realmente forma la


libert individuale, occorre che esso sia rivestito di valore, venga cio conside-
rato significativo per s, per altri, per il presente e per il futuro, per la propria
e per le successive generazioni.

6. La libert generativa
La libert nel capitalismo tecno-nichilista ha assunto le sembianze proprie del-
la adolescenza che, non volendo sentir parlar daltro che di se stessi, si lascia-
ta trascinare dalla vertigine di s come se la realt non esistesse. Dal suo stato
di perdizione e anarchia, cui giunta, essa non pu che evolvere verso qualco-
sa daltro, pena rinunciare ad esistere. Il punto che la decisione rispetto alla
direzione da prendersi costituisce, a sua volta, un atto di libert : per questo,

la libert dei liberi, pi che come un mero stato, si presenta come una impe-
gnativa sfida. Il passaggio dalla adolescenza alla maturit, per non evolvere in
una implosione o stagnazione, richiede lincontro e lo scontro con la realt,
e questa come vita, la cui riammissione pu condurre a generare qualcosa di
nuovo, un mondo prima sconosciuto.
Generare un attributo riconosciuto dallo psicologo sociale Erikson
come proprio dellet adulta. Esso implica la volont del soggetto, ma al
contempo richiede la disponibilit a far esistere qualcosa in un modo che de-
mistifica la volont di potenza. La generativit non costituisce una mera pre-
rogativa individuale : gli studi a proposito mettono in luce la crucialit della

relazione e, pi ampiamente, del contesto. Come hanno messo in luce gli


studi di di MacAdams, Hart e Maruna, 15 la generativit fa nascere qualcosa

che ha e si d tempo in un mondo in cui tutto istantaneo e gli d uno slancio


di lungo periodo : dunque, qualcosa che risponde a chi verr dopo di noi. Le

modalit proprie dellazione generativa divengono quelle del creare, mante-


nere e donare.
La libert matura che assume i tratti tipici della generativit diventa con-
sapevole anzitutto del suo darsi (riconoscendo unorigine, sedimentando la
memoria, rispondendo al mondo) e si assume ci che contribuisce a genera-

15 Cfr. in particolare : D. McAdams, H.M. Hart, S. Maruna, The anatomy of generativity


in Generativity and Adult Development. How and Why we Care for the Next Generation, American
Psychological Association, Washington, USA 1998.
60 mauro magatti monica martinelli
re, a mettere al mondo. Essa sta dentro la vita reale di cui si prende cura, con
lattenzione a contrastare quelle patologie che sempre possono insorgere nel
momento in cui avviene uno sbarramento che si trasforma in chiusura rispet-
to allalterit. Questo prendersi cura si dirige verso realt concrete, esito del-
la combinazione variabile di spazialit fisiche e simboliche, nonch di diversi
campi del sapere, quadri valoriali, forme culturali e istituzionali, ammettendo
lesistenza di un prima, di un adesso e di un dopo, in relazione a cui si assume
la responsabilit del proprio darsi restando in ascolto di ci che non preve-
dibile pur se non genericamente indistinto. Tale libert pertanto una espe-
rienza anzitutto relazionale e di responsabilit, di risposta mai meramente
tecnica alle questioni, accettando piuttosto di esserne coinvolti, di lasciarsene
interpellare e, per questa via, di restituire un senso.
La libert che accetta la sfida della generativit, mentre fa esistere e cura ci
che crea, non lo trattiene presso di s, ma lo lascia a disposizione di altri, senza
tuttavia che termini la responsabilit nei suoi confronti. E questo perch non
termina lessere situati e immersi nella relazione del rispondere-a-qualcosa e
a-qualcuno, ben al di l dellidea dellessere umano come dotato genericamen-
te della libert. Una tale libert presuppone una certa visione antropologica.
Alcune sottolineature a proposito sono gi emerse. In chiusura ci limitiamo
a riprendere alcuni aspetti che ci vengono suggeriti da Ricoeur e, ancora una
volta, da Simmel.
Come noto, Ricoeur, nel delineare lidentit dellindividuo si distanzia
dallidea dellidem (identit come medesimezza) e propende per lipseit per cui
il medesimo/stesso non elimina la dialettica del s e dellaltro da s. Lin-
dicazione di Ricoeur va nella direzione del riconoscere che lindividuo una
forma avente una propria struttura, qualcosa cio che opposto allevento
e che ha una permanenza nel tempo (di contro alla logica del capitalismo
tecno-nichilista). Ma questa struttura costitutivamente relazionale e dialo-
gica poich confrontata con lalterit del mondo, degli oggetti, dellaltro, del
proprio corpo (di contro allimpianto volontaristico ancora dominante nella
prima met del 900) : essa non quindi una sostanza granitica, indipendente

dalle circostanze storiche, naturali e relazionali.


In questa dinamica, la libert generativa n meramente passiva n mera-
mente attiva non trova la sua espressione, il suo senso n nella totale apertu-
ra incondizionata agli eventi, fino a rifuggire qualsiasi forma, n nella chiusura
autoreferenziale e statica di una forma divenuta sostanza, bens nella dinamica
propria della vita nel suo uscire da s pur rimanendo se stessa, evitando quindi
che lindividuo si frammenti nei suoi prodotti o si lasci assorbire da sistemi che
lo sovrastano oppure si chiuda in difesa rispetto a ci che altro da s per non
lasciarsene contaminare.
La libert generativa trova la sua dimora nel limite. Che rimando e solo
cos diventa spazio per una visione dialettica dellessere umano, il quale non
le illusioni del capitalismo tecno-nichilista 61
prima in s e solo in un secondo momento intenzionalmente proiettato verso
laltro soggetto e verso la realt. Lidea di un individuo autonomo e indipen-
dente, appoggiato alle mere infrastrutture tecniche, una illusione. La vita
individuale e, contemporaneamente, inestricabilmente sociale. In tal senso,
Simmel parla di uomo intero per indicare il fatto che lindividuo non lo si pu
comprendere a partire da ci che rimane una volta eliminati gli aspetti che
condivide con altri poich egli unisce peculiarit e elementi condivisi. Lessere
umano non definibile mediante lassolutizzazione di una sola dimensione,
ma comprensibile a partire dalla simultaneit e correlativit delle diverse di-
mensioni, pur se tra loro contrapposte, tuttavia non contraddittorie ma cor-
relative. Un soggetto che si colloca al confine, e la cui libert si conserva tale
fintantoch non pretende di risolvere la tensione derivante dal fatto che noi
siamo esseri individuali e sociali, forma (limite) e vita (realt che si trascende).
Simmel insiste su questo punto : per quanto cerchiamo di rimuovere il legame

con laltro, noi nasciamo con un debito infinito nei confronti degli altri. Esso
un limite che ci abilita perch ci riporta alla concretezza della nostra realt.
Tutti siamo indebitati gli uni con gli altri. Ed su questa base che le societ
umane si costituiscono e sviluppano.
Ed su questa base che la libert pu fare un balzo in avanti dalla adole-
scenza alla maturit divenendo libert generativa che si sviluppa confrontan-
dosi continuamente con quel resto indiviso che affiora quando il riconosci-
mento di un debito non coincide mai perfettamente con la sua estinzione, per
cui si avvia un circuito di reciprocit estesa a terzi in grado di ricollocare la
nostra libert in presa diretta con la realt.

Abstract : In the last decades of the twentieth century, a powerful restructuring of capital-

ism particularly marked by the set up of a new accumulation phase has progressively oc-
cured. In this respect, the most crucial elements are represented by a typology of power system
based on flexibility and mobility, by the accentuation of technical dimensions which allow
the efficient management of diverse flows , and by the nihilistic vision according to which
all meanings are malleable. Thereby, the techno-nihilist capitalist has arisen as a new form
of social life organisation. On the one hand, it has taken form of a collective imaginary able
to support the logic underlying the social world structuring, and on the other, it has claimed
the identification of freedom with the will of power self-determination based on a highly
reductive anthropological idea. However, this system has soon reached a bottleneck, particu-
larly stressed by the crisis eruption. In fact, the latter, by having severely affected the world
economy, has somehow required to rethink this system logic and its underpinning schemes.
Finding the exit from the current crisis will need time, and, not irrelevantly, a certain amount
of institutional innovation. Anyhow, the solution will be hardly found without referring to a
new kind of spirit, namely to a new social imaginary of freedom.
Keywords : capitalism, political philosophy, sociology, social imaginary of freedom, social

life.
Creation theology in economics
several catholic traditions
Michael Novak*
Summary : 1. Introduction. 2. The Shocking Facts. 3. Looking Down on Commerce. 4. Angli-

can and Orthodox Catholic Traditions. 5. John Paul II and Creation Theology.

1. Introduction

S uppose someone asked you to write an article on the difficulties Catholic


cultures have traditionally had with coming to see the Christian impulses
within capitalism. They wanted you to include Eastern Orthodoxy, Russian
Orthodoxy, Roman Catholicism, Anglicanism all forms of Catholic culture.
It so happened that I was posed just this question by a University in Mos-
cow (give exact name) with a special interest in Russian Orthodoxy. It proved
necessary for me to move beyond the question of liberty, to the question of
creativity.
For more than eighteen centuries of Christian history, the economy expe-
rienced by Christian peoples was an agricultural economy rather like that of
the Bible. In Jewish and Christian Testaments, the traditional economy was
redolent with the scents of planting time and harvest time, separating the
weeds from the wheat, pruning the olive trees and fig trees, observing good
seed gone sterile from falling on rocky soil, pressing purple wet grapes into
wine, killing and preparing the selected lamb. One could say the biblical econ-
omy was a property economy or a labor economy. This economy was
remarkably stable down the centuries. Walking through fields in Russia in the
late 1700s was not much different from walking through them in the time of
Christ. In Great Britain, the land was a little more bucolic, neatly gardened,
a bit more tamed by the care and attention given to smaller plots, on a more
compacted, self-contained island.
In Great Britain, however, something new was coming into existence. In
Scotland in 1776 Adam Smith published the most revolutionary book ever
written, and launched a wholly new inquiry : An Inquiry into the Nature and

Causes of the Wealth of Nations.


Even today, many journalists ask questions about the causes of poverty.
But that is a useless inquiry. Suppose you figure out the causes of poverty ?

Good ! Now you know how to make more poverty.


Poor is what most humans in history have always been. Poverty, one might say,
acta philosophica i, 21, 2012 pp. 63-76
64 michael novak
is natural to humans. What is unusual is the systemic creation of wealth, slow but
steady development. That is what requires an inquiry into its nature and causes.
Once the nature and causes of wealth have been figured out, one can begin
to envision a time when the shackles of poverty are broken. One can begin to
imagine universal economic development. One can begin to imagine univer-
sal affluence (Adam Smiths term). That is why Smiths book is so revolution-
ary. That is why it launched a huge transvaluation of morals.
Before Smith, it was possible to believe that poverty was morally neutral, simply
a natural phenomenon. A large majority of people are poor, and there is noth-
ing we can do about it, people said. The poor ye shall always have with ye. 1

After Adam Smith, it became clear that whole nations could adopt new
systems and methods (as well as new habits), whose fruit would be greater
wealth, more widely distributed than ever before (not at first universally, but
more and more widely). Whole nations, one by one, learned how to make
steady economic progress, and their standard of living kept growing decade
by decade.
More important : No world leader could say : Most of my people are poor,

and I intend to keep them poor. Such a sentiment no longer reflects natural
wisdom, but gross and hard-hearted immorality. The continued existence of
systemic poverty in a nation has come to be seen as a moral deficiency, in need
of urgent correction. If the poor can be freed from the shackles of poverty,
then morally they must be. A new moral calculus has entered into this world.

2. The Shocking Facts


After Adam Smith published his fascinating inquiry, and came to his revo-
lutionary answer, the condition of the poor (first in Great Britain, then else-
where) improved steadily and dramatically. On this point, Marx and Engels
saw a part of the truth about 19th century Britain, but missed the real point.
The harsh capitalism of that time demanded reform. But during the 19th cen-
tury the average income of the poor in Britain increased by a total of 1600
percent. Their diets improved dramatically (and at ever declining cost), their
numbers more than doubled, and the products the poor now had for their
daily use multiplied rapidly. 2 Outstanding historians have published the fol-

lowing tables (See Tables 1 and 2 below). 3

1 See John 12,8 and Matthew 26,11.


2 See P. Johnson, Has Capitalism a Future ? in E.W. Lefever, ed., Will Capitalism Survive ?,

Ethics and Public Policy Center, Washington, D.C. 1979, p. 4. Also see L. von Mises, ed.,
The Anti-Capitalist Mentality, D. Van Nostrand Company, Inc., Princeton 1956 ; and F. von

Hayek, Capitalism and the Historians, University of Chicago Press, Chicago 1954.
3 Taken from J. Stuart Mill, Principles of Political Economy, D. Appleton and Company,
New York 1888, pp. 520-521.
creation theology 65

Table 1. Rise in Wages in Britain (1833-1883).

Occupation Place Wages / Wages / Increase or decrease,


week 1833 week 1883 amount percent
s. d.
s. d. s. d.
Carpenters Manchester 24 0 34 0 10 0 (+) 42
Glasgow 14 0 26 0 12 0 (+) 85
Bricklayers Manchester 24 0 36 0 12 0 (+) 50
Glasgow 15 0 27 0 12 0 (+) 80
Masons Manchester 24 0 29 10 5 10 (+) 24
Masons Glasgow 14 0 23 8 9 8 (+) 69
Miners Staffordshire 28 40 1 4 (+) 50
(daily wage)
Pattern-weavers Huddersfield 16 0 25 0 9 0 (+) 55
Wool scourers 17 0 22 0 5 0 (+) 30
Mule-spinners 25 6 30 0 4 6 (+) 20
Weavers 12 0 26 0 14 0 (+) 115
Warpers and beamers 17 0 27 0 10 0 (+) 58
Winders and reilers 60 11 0 5 0 (+) 83
Weavers (men) Bradford 83 20 6 12 3 (+) 150
Reeling and warping 79 15 6 7 9 (+) 100
Spinning (children) 45 11 6 7 1 (+) 160

In other words, in the short span of fifty years, most wage earners received
more than a 50% increase in wages, some more than 100%, with the highest,
the Weavers and Spinners gaining 150-160%.

Table 2. Annual Consumption of Food per Person in Britain (1840, 1881).

Articles 1840 1881


Bacon and Hams Pounds 0.01 13.93
Butter 1.05 6.36
Cheese 0.92 5.77
Currants and Raisins 1.45 4.34
Eggs No. 3.63 21.65
66 michael novak
Articles 1840 1881
Potatoes Pounds 0.01 12.85
Rice 0.90 16.32
Cocoa 0.08 0.31
Coffee 1.08 0.89
Corn, Wheat, and Wheatflower 42.47 216.92
Raw Sugar 15.20 58.92
Refined Sugar Nil. 8.44
Tea 1.22 4.58
Tobacco 0.86 1.41
Wine Gallons 0.25 0.45
Spirits 0.97 1.08
Malt Bushels 1.59 1.91

At the beginning of the nineteenth century, only duchesses wore silk stock-
ings ; by the end, even working girls did. At the beginning of that century,

few had eyeglasses ; by the end, eyeglasses were in frequent use. Dental care

advanced somewhat (much more so, however, in the 20th century). Longevity
rose steadily, and infant mortality began to decline (again, much more so in
the 20th century).
Moreover, during just the past thirty years, two of the nations on earth with
the largest number of poor persons China and India liberated more than
one-half billion of their citizens from poverty. This was the swiftest, largest
advance out of poverty in history. These nations used the very secrets uncov-
ered by Adam Smith : private ownership and personal initiative.

What is the cause of the wealth of nations ? At root, it is invention and dis-

covery such as the invention of the pin machine, which Smith describes in
his very first chapter. 4 It is the use of the mind in organizing work efficiently

(with less wasted time and effort), and in finding new ways of doing things. It
is supplying the incentives that prompt people to do things with energy and
desire, rather than being coerced into what they are doing.
As Abraham Lincoln put it, for example, the Patent and Copyright Clause
(of the U.S. Constitution) added the fuel of interest to the fire of genius, in
the discovery and production of new and useful things. 5 He meant that by

4 See The Wealth of Nations, bk. 1, chap. 1, Of the Division of Labour.


5 See A. Lincoln, Lecture on Discoveries and Inventions, Jacksonville, Illinois, February 11,
1859, in Speeches and Writings : 1859-1865, Library of America, Washington D.C. 1989.

creation theology 67
guaranteeing to authors and inventors the financial fruit of their inventions,
the new law for the first time in history turned the human mind into a much
more powerful source of wealth than land. For generations, the land and its
fruits had been the greatest source of wealth, for both Russia and the United
States (as well as in most other countries). Is that the case today ? Almost ev-

erywhere, land as a source of wealth has fallen far behind invention, discovery,
initiative, and other forms of creativity. Whole new sciences and technologies
have been developed, delivering all sorts of new medicines and medical op-
erations, new forms of energy, new modes of communication, new vehicles
for transport, airplanes, fi ber optics, genetic medicine. Not long ago, the vast
majority of the people of the world worked in agriculture. Not today. The
vast majority today work in centers of experimentation and discovery, com-
munications, and in multiple new forms of commerce and international trad-
ing. There is hardly a kitchen table in the developed world on which there are
not served fruits, foods, drinks, and condiments from other lands far across
the globe. Most food products today are marketed internationally.
Thus, a whole new world of economic activity has sprung from the human
mind during the past two centuries. Nowadays, creativity and know-how are
the greatest single causes of the wealth of nations. In the young especially,
the training and patient instruction of the mind is required, if the knowledge
gained in the past is to be used fruitfully for the human race. Practical knowl-
edge about how to bring new things never seen before into existence is essen-
tially important today.
The new economy in which we live is often called the free-market econo-
my. But markets are universal. Markets were central during the long agrar-
ian centuries, through biblical times, in all times. For this reason, the term
the market economy or even the free-market economy somewhat misses
the mark. More accurate is the initiative-centered, the invention-centered,
or in general the mind-centered economy. More than anything, mind is the
cause of wealth today. The Latin word caput (head) the linguistic root of
capitalism has inadvertently caught the new reality quite well.
The free economy captures only part of the secret it emphasizes the
conditions under which the mind is more easily creative, in the fresh air of
freedom. Freedom is a necessary condition, but the dynamic driving cause of
new wealth is the initiative, enterprise, creativity, invention which uses the
freedom. Freedom alone is not enough. Freedom alone can also produce in-
dolence and indulgence. To awaken slothful human beings out of the habitual
slumber and slowness of the species, the fuel of interest must normally be
ignited. One must move the will to action by showing it a route to a better
world. Since humans are fallen creatures, mixed creatures, not angels, the fuel
of interest is a practical necessity. The fire of invention lies hidden in every
human mind, the very image of the Creator infusing the creature. To ignite
68 michael novak
it, one must offer incentives, a vision of a higher, better human condition,
not only thisworldly, but also nourishing the expansion of the human soul
and easement of bodily infirmities. There is a natural desire in every human
being, although it is often slumbering, to better his or her condition. And it is
good for a woman to liberate herself and her whole people from the narrower
horizons within which they find themselves. It is good for humans to catch
glimmers of new possibilities for human development.
This, or something very like this, is the famous, celebrated, and usually
misunderstood spirit of capitalism. This is not a spirit of greed or avarice,
which are grasping and small, not creative. It is an esprit, a gift of the spirit
rather than of the body. It is sometimes found even in a single isolated human
breast (as in that of Robinson Crusoe, in the famous parable 6). But it is also

capable of being lit like a prairie fire across an entire culture, and transforming
its entire attitude toward life. The spirit of capitalism is far from being entirely
materialistic, even miserly. Far from it. This spirit teaches people to turn away
from what they now have, to put that at risk, to stop clinging to the safe things
of the past, and to set off bravely toward inventing new futures. It is a spirit of
risk. It is a spirit of adventure. It is a spirit of creativity. It is a spirit that incites
dreams, and in a quiet undertone murmurs, Why not ?.

The spirit of capitalism belongs more to the human spirit than to the rela-
tively inert flesh and matter of the past.
The early theoreticians about this new appearance in history linked this
new spirit, suggestively but ultimately erroneously, to the Protestant Ethic
of the 16th through 19th centuries. Its origins in Western Europe are far earlier.
These great scholars, pre-eminently Max Weber, usually did note as an aside
that the first intimations of this new spirit, which slowly dislodged the ancient
and traditional agrarian economy from the center of human history, blazed
up in the indispensable commercial ventures, and in the inventive, entrepre-
neurial talents of such medieval cities as Florence, Lucca, Bologna, Venice,
and others. They had flourished even earlier among the many single-resource
nations of the Middle East, which depended on one another for their well-
being, if not survival.
The real oversight of Weber and others, however, was to identify as the es-
sence of the new spirit : asceticism, hard work, frugality, self-discipline, and

the other self-denying ordinances of the Protestant Ethic. 7 The problem is,

6 D. Defoe, Robinson Crusoe (1719).


7 See M. Weber, The Protestant Ethic and the Spirit of Capitalism (1904 ; Scribner, New York

1958) : The religious valuation of restless, continuous, systematic work in a worldly calling,

as the highest means to asceticism, and at the same time the surest and most evident proof
of rebirth and genuine faith, must have been the most powerful conceivable lever for the
expansion of that attitude toward life which we have here called the spirit of capitalism

(ibidem, p. 172).
creation theology 69
their definition struck only in the outer rim of the bulls-eye. Asceticism, fru-
gality and related virtues are common to many communities of the monastic
traditions of many different religions (such as the Essenes in Palestine, some
forms of Buddhism, the Benedictines of the 6th century, etc.). But Weber and
the others missed the center of the target : that great lunge of the enterpris-

ing, adventuring, creative spirit that springs directly from the inspiration of the
Jewish Testament, the Torah, 8 and has been carried forward in history more

centrally by the Catholic traditions than by the Protestant. The heart of the
capitalist ethic is not self-denial (although that is important) but creativity. 9

One should not at all take from the Protestant Spirit the immense credit it
deserves in the history of human progress and development -- especially for
promoting popular education, the printing press, crucial elements of modern
democratic life, such as the recognition of human sin as a reason for checks
and balances, and also for honoring thrift and industry, and business as their
fruit. Protestantism played a large role in giving shape to the daily life of the
new bourgeoisie in the growing towns and cities, as opposed to the more Cath-
olic tenor of the feudal and chivalric life of the countryside and villages. This
new bourgeoisie was comprised of all those persons who were neither nobles
nor bonded serfs, but independent persons who lived by their own wits and
crafts.
By contrast, the Catholic churches (Greek, Roman, Russian, Anglican) had
lived so many centuries incarnated, so to speak, in the agrarian culture, that
they were closer to the land, less dynamic, less focused on the individual. They
were traditional rather than new. The new Protestantism seemed in some
ways better suited to the spirit of the bourgeoisie and its emphasis on indi-
vidual achievement. (This was ironic, because theologically, Protestants tend
to downplay works, individual efforts, and merit, in favor of faith and grace
alone.)
The empirical record does not entirely fit the theory attributing the origin
of capitalism to the Protestant Ethic. In Great Britain, contrary to what We-
bers theory would lead one to expect, it was not in Presbyterian Scotland,
nor in Methodist Wales, but in Anglican Catholic England that the invention
and creativity of the Industrial Revolution most strongly manifested itself. 10

The Catholic faiths tend large-mindedly to praise the beauties and glories of
creation, as do the Psalms of David and most other Hebrew books of the

8 See D.J. Boorstin, The Creators : A History of Heroes of the Imagination, Vintage, New

York 1993. See also D. Landes, The Wealth and Poverty of Nations, Norton, New York 1998.
9 See M. Novak, Beyond Weber, in On Capitalism, Stanford University Press, Stanford
2007.
10 See M. Novak, The Catholic Ethic and the Spirit of Capitalism, The Free Press, New York
1993, pp. 1-14.
70 michael novak
Bible. They stress the goodness of creation, while emphasizing as well the
wound that humans suffered. They exalt artistic creativity, architecture, the
visual arts.
By contrast, the most dissident Protestant sects tend to stress the fallenness,
indeed, the depravity of the human being, his helplessness beneath the Bar of
Gods Justice, his complete dependence on the necessity of Redemption by
and through Jesus Christ alone. There are magnificent exceptions, such as J.S.
Bach, but I think it must be said that the Catholic faiths place far more stress
upon the glories and beauties of God seen in creation. Especially in the visual
and tactile arts, including statuary and sculpture, they explode in festivals for
the eye and ear. By contrast, the dissident Protestant churches favor simplic-
ity, plainness, the absence of ornament, and only a restrained celebration of
nature. Protestant churches tend to get down to basics, as they see the basics.
They emphasize spirit far more than the flesh. They favor the ascetic rather
than the celebratory instinct, hard work rather than the serendipity in which
creative ideas are usually born.
For the Catholic faiths, the themes of Creation and Redemption work more
closely together. In the great Eastern churches of the first five centuries, the
great symbol of the Pantokrator, Maker of all things, Source of all good, domi-
nates the apses of great, colorful, mosaic-rich houses of worship.
In addition, the early Greek Fathers, as compared with the Western Fathers,
spoke very favorably of commerce. They used commercium divinum (the divine
commerce) as a metaphor for the interchange between God and Man personi-
fied in Jesus Christ. Commerce was to the Greek, Arab, and Turkish Fathers a
dear image. Their very lives depended on international commerce. The desert
nations around the eastern and southern Mediterranean needed many goods
from abroad. Church Fathers like St. Ephrem of Syria (306-373 AD) used im-
ages of the international commerce he observed around him in the sails and
busy harbors, as metaphors for the Mystical Body of Christ. He saw Christi-
anity as the one spiritual inner life of God, dwelt in at the same time by an
extended international community. Nations that produced wine and olive oil,
and those that produced wool or magnificent cedar wood, desperately needed
one another. The foot served the arm, the lungs the head, and every part of
the extended human body gave life to the others.

3. Looking Down on Commerce


In the West, by contrast, poets since Horace have spoken of commerce with
aristocratic hauteur. The academic traditions of the liberal arts and humani-
ties do so even today. This is true even in commercial and capitalist countries.
Most artists, intellectuals, and other symbol-makers think of themselves to-
day as aristocrats (of the spirit), of higher moral rank than businessmen.
At the heights of fashion and taste, we have heard almost two centuries of a
creation theology 71
thorough-going denigration of commerce and capitalism, as philistine, vul-
gar, and crass. The traditional agrarian spirit, carried out in the name of cour-
tesy, chivalry, leisure, and wisdom, over against busy-ness, distraction, vulgar-
ity, and cheap frivolity of capitalist culture (as they see it). A tiny example : I

have heard professors speak with contempt for paper napkins, paper cups and
plastic forks and spoons as obviously inferior to linens, real silver (carved or
engraved), and fine crystal ware. Such cultural critics prefer the aristocratic
style.
To this tradition, the several socialist movements of the 19th and 20th centu-
ries, especially Marx and Engels, added their own contempt for capitalism (as
they defined it) and all its works and all its pomps.
Still, though, commerce does not go to the heart of why the Catholic tra-
ditions bring deeper intellectual and cultural resources to an accurate under-
standing of capitalism. In the Catholic traditions, it is not necessary to go
down on all fours in order to praise God, nor to belittle human goodness, nor
to emphasize human depravity. In the Catholic view, Christ died to redeem
all of creation, its beauties, its goodnesses. The Catholic liturgy is intended
to resonate with all creation redeemed and at prayer (Romano Guardini),
all creation restored to its original beauty, and now infused with a divine ra-
diance. Human nature was never entitled to such grace, but is now called to
accept it as its unmerited destiny. The Divine has united itself taken up com-
merce with the human, in Christ.
It is this positive impulse that is the inner spring of this amazingly creative
age from which the world has moved forward so much during the last five
centuries. Think of the bravery of those intrepid Portuguese, Genoese, and
Spanish explorers aiming their tiny wooden vessels into the great unknown.
Some scientific theories predicted that such voyagers would reach the end
of the flat earth and drop into everlasting darkness. Still the explorers went.
For in their hearts they knew, and had celebrated for generations, that the Cre-
ator is good, that the world He created is good, that He intended us to make
it as one in His goodness. They thought the human vocation is to conquer
the world in the name of its Redeemer.
They were mercenaries, too, sometimes foremost. For such men, riches
were the fuel that ignited the fires of invention and discovery. Yet what is in-
human about that ? To gain the whole world through the loss of ones soul is

no profit. But for the sake of the image of the Creator-God implanted in us,
and for the sake of His Only Divine Son, through Whom and with Whom
and in Whom were made all the things that are made, for these, to carry
round this whole huge world the glorious news of Gods love for humans,
is by no means compromised through gaining earthly riches, too. Better the
first than the second ; the second is in fact in vain, without the first ; but both

together quite suit our joint nature, body and soul, human and divine. It would
72 michael novak
be odd of God to arrange the world in such a way that to glorify Him meant
to denigrate man. The glory of God is man fully alive, wrote St. Irenaeus
of Lyons (185 AD).
Contemporary efforts at human development, in the name of progress,
have not escaped being marked by greed, lust, pride, the will to power, and
in some places the defiance of God. There is on earth no fully developed nor
secure City of God. My good friend Irving Kristol wrote a book called Two
Cheers for Capitalism (Signet, 1979). That claim might be considered exuberant.
Compared with what feudalism did to my family in Slovakia, and compared
to what Socialism did to my cousins who remained there, the world of devel-
opment and education, and opportunity, which they are at last beginning
now to experience capitalism does deserve at least one cheer. One cheer for
the creative economy, the mind-centered economy, is quite enough. For like
all systems, capitalism has many flaws, and self-contradictions within it. It is
by no means paradise. It creates new problems. Its main claim is that, better
than any other system, it does raise up the poor. And it does so better by pro-
tecting human rights of individuals and their communities.

4. Anglican and Orthodox Catholic Traditions


At the present time, the Anglican Church, which once did so much to in-
spire international commerce and development and, in fact, presented the
first taste of it in the 19th century to the whole world has in recent genera-
tions given way to a pinkish socialism, a vague sort of anti-capitalism in-
termixed with an uncritical embrace of the welfare, or as the Brits say, the
nanny state.
Neither has the Orthodox Church in Russia yet had an opportunity to speak
about the power of creation theology to improve the lives, opportunities,
and even artistic and religious depths of its people. If I am wrong about that,
I am eager to be corrected.
In most of the Roman Catholic Church, strong opposition to the creative
economy still thrives, from both social democratic and traditionalist sources.
Capitalism is a term Marx may have blackened beyond repair. But an an-
tipathy toward the creative economy still echoes in the modern, traditionalist,
residually agrarian societies, and among many intellectuals.
Despite all this, Pope John Paul II (1922-2005) enunciated in a powerful se-
ries of encyclicals (letters addressed to all humanity) the new characteristics
of economic developments around the world. No other religious leader has
come so close to the bulls-eye. This is not the place for a long examination
of his analysis. But perhaps a few of his words may furnish us with a conclu-
sion.
creation theology 73

5. John Paul II and Creation Theology


The Roman Catholic Church at the present time is, in the main, divided into
four factions regarding economic questions.
The first, by far the largest faction, is Euro-social democrats and North
American progressives, perhaps in favor of Rhenish capitalism but op-
posed to Anglo-Saxon capitalism. Their distinctive belief is in a powerful
welfare state. Their highest ideals are their version of equality and their ver-
sion of community. By the latter, they rather quickly turn to the State as the
main efficient cause of national community. By equality they want to redis-
tribute income and equalize economic outcomes as near as may be possible,
and they tend to mean something approaching conformity or uniformity,
since they are made uncomfortable (they say) by social inequalities. They say
this is a reaction against the feudal class system that for centuries shaped Eu-
ropean history.
Another large part, particularly from Latin America and parts of Asia, nour-
ishes deep anti-capitalist (especially anti-American) resentments and hostili-
ties, from which they find release in liberation theology. Liberation theol-
ogy was born in Peru in 1971, predominately in the writings of Fr. Gustavo
Gutierrez. In its beginnings, liberation theology promised to show the con-
gruencies between Marxism and the Gospels.
The third is the party of the land, the traditionalists, rather anti-capitalis-
tic, anti-bourgeois, and aristocratic in its feeling. It is anti-capitalist from the
direction opposite to the socialists.
The fourth is a turn of thought rooted in part in Leo XIII, Benedict, XI, and
Pius XII, in their emphasis on voluntary associations as an alternative to
the socialist state, on small business and enterprise, and on the dignity of the
human person. The papal tradition since 1891 begins from the asymmetry be-
tween socialism and capitalism. Socialism is the name of a unitary system its
politics, economics, and morals. By contrast, capitalism names only one part
in a three-part system, the economic part. That part should be held checked
and balanced by the political part and moral/cultural part. This tradition has
regularly rejected socialism, but favored a limited welfare state. The Social En-
cyclicals welcomed the capitalist emphasis on the traditional right to private
property, and the protection of rights under the rule of law. They have also
been quite critical of current and historic abuses in the history of capitalism.
Pope John Paul II took that tradition in a creative direction. What is it that
is good about the market economy, private property, personal initiative, and
enterprise ? He condemned the abusive and coercive tendencies within un-

checked capitalism. At the same time, he noticed the affinities of capitalist


economies for liberty, creativity, and a large-minded human development, no-
tably in the poorest countries.
74 michael novak
In his very timely encyclical Laborem Exercens (1981), the Pope decisively
shifted the dynamic of economic life from liberation to creation. 11 The

metaphor of liberation, as in liberation theology, pictures the cause of poverty


as oppression that comes from outside the self. Thus, appeals to liberation
stoke feelings of resentment, hostility, and anger against external oppres-
sors. All will be well only if the oppressors are thrown down and kept down.
The partisans of liberation have nothing to say positively or constructively
about how wealth is actually created. Nor do they reflect on the severe lim-
its of economic development when ingenuity and creativity are constricted.
Seemingly, they fail to understand that human ingenuity and creativity reside,
first of all, in the individual human person theologically, in the imago Dei en-
coded in human capacities for action ; and economically, in the human capacity

for enterprise, discovery, and creative energy.


By contrast, the metaphor of creation pictures poverty as the baseline state
of humanity. Men and women come into the world natively poor, but made
by God with a potency for creating new wealth. This potency must be awak-
ened, however. Human beings must learn to be intelligent, gain insight, hy-
pothesize, experiment, in order to use well the new resources and new prod-
ucts of their own invention. Thus is wealth created, where it did not exist
before.
Their remains one point to emphasize. Pope John Paul II came only slowly
to the insight that wealth depends on individual initiative and invention, that
is, on human capital. In 1981 (Laborem Exercens) he was still describing capital
as a matter of things. Capital for him meant money, machinery, and the tools
and material instruments of production. For this reason, in his mind, labor
always had priority over capital. Capital was always something outside hu-
man beings, pre-human, and inferior. But by 1987, in Sollicitudo Rei Socialis,
he began to look more closely. He recognized the importance of economic
initiative as a basic human right, rooted in the imago Dei, the Creator in every
human being. From here it was a short step to the concept of human capi-
tal for instance the human capacity for initiative for imagining new futures,
and for learning the needed new habits and skills. This step gave John Paul II a
wholly new way of thinking about the contemporary economy.
By 1991, in Centesimus Annus, the encyclical written in the one hundredth
year after the first papal encyclical on economics by Leo XIII in 1891, the
Pope brought a long evolution in Catholic Social Thought to a new point.
He affirmed that such qualities of the human spirit as initiative, teamwork,
cooperation, and creativity are our chief hope of lifting the poor around the

11 John Paul II, Laborem Exercens, 4, 25, 27 (available online at http ://www.vatican.

va/holy_father/john_paul_ii/encyclicals/documents/hf_jpii_enc_14091981_laborem-ex-
ercens_en.html).
creation theology 75
world out of poverty. He also saw that these economic capacities also require
corrective institutions and the rule of law, to keep them on the path of helping
human persons to flourish.
Let us conclude with this one paragraph from Centesimus Annus :

[I]t is important to note that there are specific differences between the trends of

modern society and those of the past, even the recent past. Whereas at one time the
decisive factor of production was the land, and later capital understood as a total
complex of the instruments of production today the decisive factor is increasingly
man himself, that is, his knowledge, especially his scientific knowledge, his capacity for
interrelated and compact organization, as well as his ability to perceive the needs of
others and to satisfy them . 12

The Pope then went on to speak about the urgent need today to bring the
poorest of the world into an expanding circle of progress. He stressed sev-
eral times that a creative economy is inspired by a vigorous set of moral and
cultural institutions, and a watchful, constitutional, political system, the only
good soil in which it can grow.
The free society is three systems in one : and economic system that liberates

the poor from poverty, a political system that frees all its citizens from torture
and tyranny, and a moral/cultural system that nourishes an ecology of lib-
erty, designed for human flourishing.

Abstract : In the last 250 years, capitalism has transformed and liberated societies from

poverty in an unprecedented way. Caput, the Latin root for capitalism reflects the idea of
mind-centered economy. More than anything else, mind is the cause of wealth today, so the
spirit of capitalism is far from being entirely materialistic. It teaches people to turn away from
what they now have, to put that at risk, to set off bravely toward inventing new futures. The
weberian interpretation of Protestant ethics ignores this and pays little attention to the fact
that the first experiences of modern trading and entrepreneurship were developed by catholic
cities in the late Middle Ages. After the Reformation, Catholic culture fostered invention in
the visual and tactile arts. By contrast, the dissident Protestant churches favored simplicity,
plainness, and the absence of ornament. Even now capitalism faces resistance within catholic
culture, but John Paul IIs encyclicals (Laborem exercens, Sollicitudo rei socialis and Centesi-
mus annus) made clear that work is a way of human development (both personal and social)
and that economic creativity, teamwork and cooperation are our chief hope of lifting the poor
around the world out of poverty. The free society is three systems in one : an economic system

that liberates the poor from poverty, a political system that frees all its citizens from torture
and tyranny, and a moral/cultural system that nourishes an ecology of liberty, designed
for human flourishing.
Keywords : capitalism, Catholic Social Thought, economy, creation theology.

12 John Paul II, Centesimus Annus, 32 (available online at http ://www.vatican.va/ho-


ly_father/john_paul_ii/encyclicals/documents/hf_jpii_enc_01051991_centesimus-annus_
en.html).
IUSTITI A EST A MOR : LOVE AS PR INCIPLE

OF SOCI A L A ND ECONOMIC LIFE ?

Martin Schlag *
Summary : 1. Formulating the Question. 2. Justice and Mercy as Twin Social Principle. 2.1.

The Stoics. 2.2. Charity as a Social Principle in the Holy Scripture ? 2.3. Justice and Love in

Early Christian Theology. 2.3.1. Lactantius. 2.3.2. Ambrose. 2.3.3. Augustine. 2.3.4. Leo the
Great. 3. Systematical Reflections on Social Charity. 4. Conclusion.

1. Formulating the Question

T he very title of Benedict XVIs social encyclical Caritas in veritate under-


scores the Popes wish to promote love or charity as a principle of con-
temporary social life. He writes :

Charity is at the heart of the Churchs social doctrine. Every responsibility and

every commitment spelt out by that doctrine is derived from charity, which, accord-
ing to the teaching of Jesus, is the synthesis of the entire Law (cf. Mt 22 :36- 40). It

gives real substance to the personal relationship with God and with neighbor ; it is

the principle not only of micro-relationships (with friends, with family members or
within small groups) but also of macro-relationships (social, economic and politi-
cal ones) . 1

On the one hand, this principle is not new to the social doctrine of the Popes.
Leo XIII pointed to love, friendship and fraternity as the fundamental princi-
ples governing the relationship between the different groups of society. 2 Pius

XI referred to social justice and social charity as the supreme structural


elements in the economy ; these two principles, not unrestricted competition,

were to be the steering wheels of the economy. 3 Paul VI coined the expres-

sion civilization of love ; 4 and John Paul II identified all these expressions

with his preferred concept of solidarity. 5 Even before Caritas in veritate, the

Compendium of the Social Doctrine of the Church encouraged the redis-


covery of charity as the highest and universal criterion of the whole of social

* Pontificia Universit della Santa Croce, Facolt di Teologia, Piazza SantApollinare 49,
00186 Roma. E-mail : schlag@pusc.it

1 Enc. Caritas in veritate, Nr. 2. 2 Enc. Rerum novarum, Nr. 18-21.


3 Enc. Quadragesimo anno, Nr. 89.
4 Message World Day for Peace 1977, AAS 68 (1976), 709.
5 Enc. Centesimus annus, Nr. 10.

acta philosophica i, 21, 2012 pp. 77-98


78 martin schlag
ethics. As from an inner wellspring the values of truth, freedom and justice
are born and grow from love. 6

On the other hand, however, Pope Benedict XVIs words as quoted above
pose several questions. What substance does charity possess as the principle
of macro-relationships ? How does it relate to justice ? How can charity be

defined as a social principle, considering that love cannot be institutionalized


and considering that social ethics are structural, not individual, ethics ?

2. Justice and Mercy as Twin Social Principle


The insight that strict justice alone does not suffice to create an ordered soci-
ety is not exclusively a product of the painful social question during the 19th
century. Nor is this realization of purely Christian origin. Two streams of tra-
dition merge to establish charity as a social principle : the pre-Christian Greek

philosophy and the biblical teachings of Gods justice and mercy, and of fra-
ternity among all people as a consequence of Gods universal paternity.

2. 1. The Stoics
The Stoic philosophy taught that compassion and mercy were personal weak-
nesses, even a spiritual disease, which threatened to disturb the sages tran-
quility of mind. 7 In spite of this negative attitude, Stoics did hold that justice

did not suffice as a social principle and had to be complemented by benefi-


cence. Cicero, for instance, belonged to the Middle Stoics and introduced the
works of Panaetius and Posidonius into the Latin world, thereby also convey-
ing Stoicisms concepts to the Latin Church Fathers. Cicero upheld two social
principles : justice and beneficence (beneficentia, liberalitas). Of these two

he attributed greater importance to justice. In his own words :

Of the three remaining divisions, the most extensive in its application is the principle

by which society and what we may call its common bonds are maintained. Of this
again there are two divisions justice, in which is the crowning glory of the virtues
(virtutis splendor) and on the basis of which men are called good men (viri boni) ;

and, close akin to justice, charity (beneficentia), which may also be called kindness
(benignitas) or generosity (liberalitas). The first office of justice is to keep one man
from doing harm to another, unless provoked by wrong ; and the next is to lead men to

use common possessions for the common interests, private property for their own . 8

Cicero thus upheld two social principles of which justice was the first and
more important. Of the second principle, however, that is of charity and gen-

6 Papal Council for Justice and Peace, Compendium of the Social Doctrine of the
Church, LEV, Vatican City 2005, Nr. 204 ff.
7 Cfr. W. Schwer, Barmherzigkeit, RAC 1, 1950, p. 1203.
8 Cicero, De officiis, i, 7 (20).
love as principle of social and economic life? 79
erosity he says : Nothing appeals more to the best in human nature than this,

but it calls for the exercise of caution in many particulars . 9 The caution which

Cicero recommends refers mainly to not exceeding ones financial means and
therewith damaging ones own family. Indeed, Cicero states, Nothing is gen-

erous if it is not at the same time just . 10 Generosity should be demonstrated


towards everyone while at the same time respecting varying degrees in social
bonds. 11 Cicero placed the family as most intimate union in the first posi-

tion, 12 then came friends. Amongst these he prioritized the virtuous and the

benefactors. The interests of society, however, and its common bonds will

be best preserved, if kindness be shown to each individual in proportion to


the closeness of his relationship . 13 As a follower of the Stoic school, Cicero

perceived all men to be united by universal friendship. This made him assume
that the use of material goods was destined to serve all people. At the same
time he justified the existence of private property. Nature produced every-
thing for the common use of mankind. All men are friends, and friends use all
things in common. Thus all men are united in a common bond.

2. 2. Charity as a Social Principle in the Holy Scripture ?

The qualitative increase which the Judeo-Christian revelation brought to the


pagan world with respect to generosity and mercy, social justice and social
charity has been pointedly described by Ernst Dassmann, who holds, the

liberalitas of late antiquity [was] as dissimilar to caritas as paganism to Chris-


tianity . 14

In the Old Testament, God is characterized as just and merciful. 15 The

explicit combination of both expressions is seldom found in the Old Testa-


ment, 16 whereas the term merciful and gracious God is repeated often. Jus-

tice is rooted in jurisprudence. In a society characterized by social inequality,


a fair judge is obliged to assist the disadvantaged. You shall not pervert jus-

9 Ibidem, i, 14 (42).

10 Nihil est enim liberale, quod non idem iustum (ibidem, i, 14 (43)).

11 Gradus autem plures sunt societatis hominum (ibidem, i, 17 (53)).


12 Only in connection with the family does Cicero use the word love : Sanguinis autem

coniunctio et benivolentia devincit homines (et) caritate (ibidem, i, 17 (54)).

13 Ibidem, i, 16 (50).
14 E. Dassmann, Nchstenliebe unter den Bedingungen der Knappheit. Zum
Problem der Prio-
ritten und Grenzen der Karitas in frhchristlicher Zeit, in Idem, Ausgewhlte kleine Schriften zur
Patrologie, Kirchengeschichte und christlichen Archologie, Jahrbuch fr Antike und Christen-

tum , Ergnzungsband 37 (2011), Aschendorff, Mnster 2011, p. 277 ff., p. 278.


15 Cfr. Ex 34, 6 : The LORD, the LORD, a God gracious and merciful, slow to anger and

abounding in love and fidelity. See also Neh 9,31 ; Ps 86,15 ; 103,8 ; 111,4 ; 112,4 ; 116,5 ; 145,8. Dt

32,4 : The Rock how faultless are his deeds, how right all his ways ! A faithful God, with-

out deceit, just and upright is he ! . 16 For example in Tob 3,2 ; Ps 112,4 ; 116,5.

80 martin schlag
tice for the needy among you in a lawsuit (Ex 23,6). A fair judge must also

be a merciful judge, one who has a heart for the poorJustice, therefore, is
in practice also mercy as an awareness of suffering and as assistance to those
in need . 17 This explanation defines what God does : He is just because he is

merciful and because he sides with the weak, the poor and the oppressed. 18

A person striving to imitate God must do so in the side-by-side path of jus-


tice and mercy. 19 The Old Testament continued the semantic shift, already

formulated in Egypt, of the words mercy and benevolence, 20 restricting them


to pity for the poor and finally to donations to the poor and to almsgiv-
ing. 21 In the New Testament, the term eleemosyne came to be used to express

alms, as evidenced in its use in Romance languages and thence also in the
English word alms. In Greek, however, there were many other words to ex-
press the central definition of mercy and compassion in the New Testament, for
example splagchon, eleos, oiktirmos and their associated derivatives. Jesus dou-
ble commandment of loving God and loving ones neighbor embraced the old
and new meaning of justice with an absoluteness which startled his followers.
Basing ones entire existence on God demands the dissolution of all bonds
except the bond to God alone. The love of God signifies the determination
to renounce all things except God. The Lord names two powers which man
must renounce if he is to love God : mammon and the addiction to prestige.

Furthermore Jesus disciples must expect persecutions as testing ordeals. Jesus


links the love of God to the love of neighbor and even to love of the enemy,
the second commandment equal to the love of God. Jesus liberates the love of
neighbor from the borders of ethnicity and directs it towards the helpless man
lying on the side of the road. In the parable of the Good Samaritan Jesus es-
tablishes an example of a person who fulfills the commandment to charity by

17 H.-J. Benedict, Barmherzigkeit und Diakonie. Von der rettenden Liebe zum gelingenden Le-
ben, Kohlhammer, Stuttgart 2008, p. 13 ff.
18 Cfr. Ps 103,6 : The LORD does righteous deeds, brings justice to all the oppressed .

19 Cfr. Tob 12,9 ; Prv 21,21.


20 The Hebrew words rachamim (mercy) and chsd (benevolence, clemency) are
often found together. Rachamim originally means womb, as the perceived base of em-
pathetic emotions. In its oral use it designates charity and mercy which extend from the
higher to the lower. Four-fifths of all the Biblical references with the root rchm have God
as the subject or actor. Through his rachamim, God places human beings in a parent-child
relationship, which protects and restores the people of Israel. Gods compassion replaces
his anger. (For further evidence see E. Jenni - C. Westermann (edd.), Theologisches Wrter-
buch zum Alten Testament (THAT), Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Gtersloh 20046, vol.
2, p. 761 ff. Chsd (benevolence, goodness, clemency) is not limited to a relational direc-
tion between a higher-up and a weaker party, but occurs in reciprocity. (See further THAT,
vol. 1, p. 600 ff.
21 See W. Scher, RAC 1, 1950, p. 1202 ; H. Bolkestein - W. Scher, Keyword almsgiving

(Almosen), in RAC 1, 1950, p. 301 ff.


love as principle of social and economic life? 81
practicing mercy. Of the three persons involved, only the Samaritan abides by
the commandment to love ones neighbor. The priest and the Levite who pass
by obey the ethical codex of the purity laws. They do not touch the motion-
less injured man, since he could already be dead, and to touch a cadaver would
make them unclean. The priest and the Levite want to be clean before God,
without reaching down to the injured man. The Samaritan transcends these
moral beliefs. He rises to true divine worship by abasing himself to serve the
injured and in the process making himself ritually unclean. Exceeding the
spirit of casuistry, Jesus challenges the scribes not to ask who ones neighbor
might be and not to make distinctions based on the closeness or distance of
the relationship, but actively to turn to ones neighbor in need, depending on
the case and situation at hand. God also acts towards us in this way.
In the synoptic gospels Jesus rarely uses the noun agape. He proclaims and
brings forgiveness of sins (afesis), Gods mercy. Accordingly, the exhortation
to mercy and forgiveness is at the forefront of mans calling to holiness and to
emulate God : Be merciful, just as your Father is merciful (Lc 6,36). 22

2. 3. Justice and Love in Early Christian Theology


The exceptional social dynamic which arose from Jesus postulation in this
and other scriptural passages, such as the eschatological discourse, induced
the early Christian community in Jerusalem to associate liturgy, kerygma and
catechesis with diaconia (Acts 2,42-47 ; 4,32-36). The endeavor to realize charity

as a social principle was evident in the early Christians from the beginning
onwards. However, the first generations of Christians encountered great dif-
ficulties in this endeavor. Foremost there existed an initial, practically insur-
mountable, difficulty in the harsh fact of the number of poor, the extent of
material disparities and the magnitude of poverty. The small Christian com-
munity could not be expected to have the financial power and the energy to
relieve the social injustice in the entire Roman empire. The reaction to this
situation was to reduce the radius of those entitled to assistance. Soon the
Christian duty of charity and assistance applied not to all humankind, but
only to brothers and sisters in Christ. 23

22 On the above-mentioned see E. Stauffer, Keyword agape, in G. Kittel (Publ.), The-


ologisches Wrterbuch zum Neuen Testament, vol. i, Kohlhammer, Stuttgart (Studienausgabe
1990), p. 44 ff.
23 Cfr. Jas 2,15 ff. : What good is it, my brothers, if someone says he has faith but does

not have works ? Can that faith save him ? If a brother or sister has nothing to wear and has

no food for the day, and one of you says to them, Go in peace, keep warm, and eat well,
but you do not give them the necessities of the body, what good is it ? . For a more detailed

account of this set of problems cfr. E. Dassmann, Nchstenliebe unter den Bedingungen der
Knappheit. Zum Problem der Prioritten und Grenzen der Karitas in frhchristlicher Zeit, cit., p.
284 ff.
82 martin schlag
A further, related difficulty was the New Testament moral guidance, with
its marked character of an individual ethic, which distracted attention from
the formal aspect intrinsic to social ethics. Here too can the parable of the
Good Samaritan serve as an example. From the point of view of social ethics
the reactions and consequences after the unjust robbery would be different.
This does not diminish the importance of the Samaritans mercy but both
types of ethics require different mindsets for or logics of response. A solution
based on social ethics strives for the creation of social and legal structures
which can intervene in a preventive, accompanying and sustainable manner.
Examples of socially ethic solutions would be taking measures to relieve pov-
erty and to re-socialize convicts, so that robbery might not occur in the first
place. Or installing a police force to make the streets safe. Or establishing
emergency and health services which as institutions take responsibility for the
transport, accommodation, healing and caring of the sick, as opposed to the
Samaritan and the host, who carry these burdens individually. Or to ensure a
functioning justice system, which prosecutes crimes in a timely manner and
makes sure that criminals are rehabilitated. These are just a few examples of
institutions based on social ethics. A solution based on individual ethics only
addresses individual persons and their duties.
Reducing love to its dimension of individual ethics also led to the phenom-
enon that in Christian tradition of charity, the early Fathers of the Church
called for mercy, emphasizing the individual salvation of the wealthy donors,
while attempting to motivate the rich to donate voluntarily, since mercy, be-
neficence and almsgiving remained optional. Structural reforms were not de-
manded even in those situations stridently criticized by Ambrose and Basil, in
which the idle accumulation of riches not utilized for social purposes was in
the hands of a few privileged families. 24 Nor were legal, structural reforms

demanded when Ambrose denounced as unethical all forms of collecting in-


terest. 25 Only in the Renaissance 26 and finally in the 19th century as a result

of the dissolution of the medieval system did a new structural view of social
problems gain acceptance. 27

24 See Ambrose, De nabuthe, PL 14, p. 725 ff. ; Basil, Homily on Lk 12,18 I shall tear down my

barns and build larger ones, PG 31, p. 261 ff. ; Homily against the rich, PG 31, p. 277 ff.

25 Ambrose, De Tobia, PL 14, p. 759 ff.


26
For the motivational shift in helping behavior from the High Middle Ages in the transi-
tion to the Early Modern Age, see A. Keck, Das philosophische Motiv der Frsorge im Wandel.
Vom Almosen bei Thomas von Aquin zu Juan Luis Vives De subventione pauperum, Echter,
Wrzburg 2010, Diss.
Hochschule fr Philosophie Mnchen. With the inception of human-
ism a de-personalized and unified concept of welfare is heralded.
27 On this development see W. Ockenfels, Katholische Soziallehre - Stand und Entwick-
lung, in L. Diversy (Publ), Christentum und Politik. Stand und Entwicklung der christlichen So-
ziallehren. Wegweiser ins dritte Jahrtausend, Dadder, Saarbrcken-Scheidt 1990, p. 36 ff.
love as principle of social and economic life? 83
The writings of the Fathers, charged by individual ethic, reflect not only the
specific individual ethics character of the New Testament but also reflect anoth-
er difficulty for the relevancy of love as a social principle. Outside of marriage
and the family, it is not possible to institutionalize and structuralize love. 28 If

love is manifested in the form of social institutions, it becomes (social) justice.


A social institution consists of regulated services, which must be rendered by
agreed service providers to their entitled recipients. These are services which
pro forma have a legal nature when the recipient obtains an enforceable entitle-
ment to them. The motive for granting these services may be charitable, but
the services themselves mutate into rights. In this way social charity is not
tangible as such, but as justice.
Due to the described difficulty to embrace the central Christian teaching
of charity as a social structural principle, the Fathers of the Church made re-
course to Stoic philosophy in their reflections on mercy and charity as a social
principle. The early Christian theologians inculturated the Christian faith by
expressing the tenets of their faith in the form of familiar philosophical terms
or by criticizing Hellenistic philosophy where it was incompatible with faith
(e.g. in cosmological and anthropological questions).

2. 3. 1. Lactantius
Lactantius explicitly turned to the educated elite of his time and attempted to
give them an understanding of the new ideas in Christianity convincingly. For
Lactantius there is no true justice without faith in God. Without God there
can be positive human laws, these however are subject to utilitarian consid-
erations and are derived from a calculation of interest. Justice, on the other
hand, originates from God and is simple and is the same for everyone. 29 Gen-

uine virtues can exist even without faith in the true God, take for example
Cimo of Athens : he donated to the suffering, invited the poor into his home,

clothed the naked and buried the dead. Nevertheless can he be considered
a well-formed body without a head, because without faith in God all other
aspects of existence lack life and meaning. 30 Lactantius, in his pagan environ-

ment, apparently could find not only justice but the seed of works of mercy
as well. What is new in his formulations on the one hand is that he incorpo-
rates the works of mercy as a constitutive element when defining justice. This
means that for Lactantius there can be no justice without mercy. On the other
hand Lactantius goes beyond the Stoic notion of beneficence, as expressed by
Cicero, by considering first and foremost the poor, the disenfranchised, in a
word the lower class as the recipient of generosity and beneficence.

28 It is noteworthy and significant for the standing of love as a Christian characteristic


that matrimony was the only social institution of his time which Jesus changed.
29 Lactantius, Divinae Institutiones, vi, 9. 30 Ibidem, vi, 9, 8.
84 martin schlag
Lactantius delves into this thought further along in the same book. How a
person treats fellow human beings, so does that person treat god, in as much
as man is Gods likeness (homo dei simulacrum est). The first obligation of
justice entails uniting with God ; the second obligation is to unite with fellow

man. The first obligation is religion ; the second is misercordia or humani-


tas. This second virtue is inherent only to the just and to the worshippers of
God, because it alone encompasses the logic of community. 31 God endowed

animals with natural immunity, but humans with a sense of community, so


that man would defend, encourage and love fellow human beings and protect
them against every danger. The highest bond among men is humanity (Sum-

mum igitur inter se hominum vinculum est humanitas) . Whoever violates this

bond is a criminal and a patricide. Since we all are descended from one man,
we are all related. Therefore the greatest crime is to hate a fellow human be-
ing, even when that fellow human being damages us. We may be no ones en-
emy and must love our enemy, and even help an enemy in distress. We are all
brothers created by one and the same God. Those who go against the law of
humanity (ius humanitatis) and against Gods laws (fas) by robbing, tortur-
ing, killing and extirpating are wild animals. Gods commandment is to assist
the weary and those that labor ; to feed the hungry. As God is a loving Father,

so did he want us to be social beings. 32 We should see ourselves in others : we


do not deserve assistance when we are in danger if we do not help others in


danger ; we do not deserve support if we ourselves deny support to others.

The philosophical ethical systems, affirms Lactantius, had not developed fur-
ther in this aspect : for although they often speak of a sense of community,

their inclemency makes them far removed from any sense of community.
In another passage Lactantius criticizes the Stoic, Zeno, for viewing mercy,
the greatest of all virtues, as a disease, because indeed misercordia is dear
to God and necessary for humans. 33 Once again Lactantius substantiates this

assessment with reciprocity : who does not want to count on the help of oth-

ers when he himself is needy ? It does not matter whether it is termed humani-

tas or pietas. What matters is the basic stance, which is only given to man.
With this stance we help one another, otherwise we live like the animals do.

2. 3. 2. Ambrose
The great bishop of Milan called his moral instruction of the clergy De offici-
is and based his book on the work of Cicero with the same name. Ambrose
partly paraphrased Ciceros work and in part expanded upon it with biblical
examples and Christian insertions.

31 Ibidem, vi, 10.


32 Deus enim quoniam pius est, animal nos voluit esse sociale (Div. Inst. vi, 10, 10).

33 Lactantius, Epitome divinarum institutionum, 33, 6.


love as principle of social and economic life? 85
Ambrose borrowed word for word Ciceros double social principle of jus-
tice and beneficence (justitia et beneficentia). The inner structure and logic

of society consists of two parts : justice and beneficence, which is also called

generosity and benevolence. Justice appears to me to be the more noble, gen-


erosity the more amiable. Justice provides the standard for a strict scrutiny of
morals ; generosity grants benevolence . 34 This passage paraphrases Cicero

almost word for word. Ambrose goes beyond the Stoic prototype by some-
what unsystematically dividing beneficentia (beneficence) into benevolen-
tia (benevolence) and liberalitas (generosity). Beneficence is composed of
both benevolence and generosity ; without them beneficence would not be

complete. It is not enough to want good (bene volere), one also has to do
good. By the same token it is also not enough to do good ; doing good must

spring from a good source, namely from good will. 35 Benevolence is more

than generosity, since it may sometimes be impossible to be generous due to


a lack of material means. Good will, on the other hand, is always possible.
Benevolence is like a common mother binding everyone in friendship. Be-
nevolence is expressed in dependable advice, in joy over someone elses good
welfare, in sorrow over someone elses affliction. Remove benevolence from

human dealings and you have removed the sun from the world ; for without

benevolence there are no human dealings : showing a stranger the way, cor-

recting the errant, returning hospitality are all fruits of benevolence. It is like
a spring of water which refreshes the thirsty . 36

2. 3. 3. Augustine
In his main work of social theory, City of God, Augustine emphasizes above
all that justice is the principle which structures society. Without justice, cities
are nothing more than bands of robbers (De civitate Dei iv, 4). Augustine, simi-
lar to Lactantius, advocates a religious-based theory of justice : a man and a

nation who do not adore the true God do not possess justice. From this stand-
point, the Roman Empire was never a true res publica.
For Augustine the earthly common good is the collective sharing in the
highest good (summum bonum). The highest good exists in God or to be
precise in taking pleasure in God (frui Deo). We should utilize (uti) earthly
things but should not look for happiness in them, for happiness can only stem
from pleasure in God, the highest good. Augustine did not recognize a sepa-
rate theory of social charity which explicitly used that term. However, in
many passages the idea of charity as a social principle is perceptible.

34 Societatis enim ratio dividitur in partes duas : iustitiam et beneficentiam quam eamdem libe-

ralitatem et benignitatem vocant ; iustitia mihi excelsior videtur, liberalitas gratior ; illa censuram

tenet, ista bonitatem (Ambrose, De officiis, i, 28, 130).


35 Ambrose, De officiis, i, 30, 143. 36 Ibidem, i, 32, 167.


86 martin schlag
This perception applies generally because Augustine grants love the central
and defining place in moral life. 37 As is well known, Augustine defines all vir-

tues from the viewpoint of love, whereby he delineates the four cardinal vir-
tues as manifestations of love. Even justice is charity, which serves only the

beloved and therefore governs well . 38

Justice governs objectively and in line with reason, not with the libido domi-

nandi 39 (desire for domination), which Augustine accuses the Roman Empire

of doing. Augustine makes it immediately clear that justice towards fellow


human beings has to do with the love of God. It does not have to do with any
kind of love, but with the love of God, the highest good. Therefore one can
also describe justice as charity, which serves God alone, and therefore can put

into good order the other things, which are governable by man . 40

Such an interpretation of justice based on the love of God is hardly appli-


cable to the modern interpretation of justice. To raise such a virtue to a so-
cial principle could not be reconciled with the liberal principle of our social
order as it presupposes a religious creed. Indeed, even Thomas Aquinas did
not take up the Augustinian definition of justice and criticized Augustines
lack of differentiation between the association with God, in which no equality
between God and man can be attained, and the association of human beings
amongst one another in which equality and thus justice are achievable. Aqui-
nas accepts the love of God as a motivation for interpersonal justice, but he
differentiates the two concepts clearly. 41 With all the brilliance and acuity of

his opinions Augustine writes passionately as a rhetorician and as a pastor, not


as a calculating systematic theologian. One may not absolutize his sometimes
absolute-sounding principles, but must read them in the context of his com-
plete oeuvre, where their hard edges are buffed by real life and understanding
of human nature, where the absolutes blend into the contemplation of faith
in a harmonious and balanced manner and so remain fruitful for their respec-
tive time.
In this respect Augustine differentiated between the supernatural caritas
as a virtue of the transcendent City of God, on one hand, and beneficence,
justice and concord, which served as social principles for worldly society, on
the other hand. Gods authority entrusts us with these and other virtues, so
that we not only lead our earthly life in a morally upstanding way, but also so

37 Cfr. for example Enchiridion de fide, spe et caritate, xxxii, 121 : All the divine precepts

are, therefore, referred back to love. Thus every commandment harks back to love .

38 Iustitia, amor soli amato serviens, et propterea recte dominans ; [...] (Augustine, De mori-

bus ecclesiae Catholicae, i, 15 (25) ; NBA xiii/1, p. 52 ff.).


39 Augustine, De civitate Dei, xiv, 28.


40 Iustitiam, amorem deo tantum servientem, et ob hoc bene imperantem caeteris quae homini

subiecta sunt ; [...] (Augustine, De moribus ecclesiae catholicae, i, 15 (25) ; NBA xiii/1, p. 52 ff.).

41 Thomas Aquinas, Summa Theologiae, ii-ii, q. 57, a. 1, ad 3 ; q. 58, a. 1, ad 6.



love as principle of social and economic life? 87
that through these virtues we can attain eternal salvation. We can only be-
come citizens of Gods heavenly kingdom through the virtues of faith, hope
and charity. As long as we are on the road towards Gods kingdom, we must
endure those who want to maintain an earthly state without penalizing the
vices. In contrast the first Romans built and expanded their state through vir-
tues. Although they did not worship the true God, they still possessed a cer-
tain amount of propriety which sufficed to found, strengthen and maintain
the body politic. 42 The distinction between the level of natural virtues and

the level of supernatural virtues is markedly clear in these words. Augustine


recognizes and affirms the possibility of at least a respectable secular state.
Likewise it is unmistakable that Augustine, in continuation and further devel-
opment of the Platonic-Stoic inheritance, places morals such as benevolence,
self-control and unity next to justice. In this sense Augustine also recognizes
the Ciceronian double social principle of justice and beneficence. Augus-
tine, however, expands this to a triple principle consisting of justice, benevo-
lence and piety :

It is due to innocence that we do not hurt anyone ; due to benevolence that we en-

courage others as much as is in our power to do so ; due to piety that we worship


God . 43

Augustine also elaborates clearly the social nature of human beings and the
universal friendship among all people. Human nature is something social ,

he wrote explicitly. 44 The social character of human nature embodies a great


good for man and grants the strength for friendship (vim amicitiae). 45 What

is particularly significant is that Augustine does not speak of the political


character of human nature, as might seem obvious based on Aristoteles, but
rather speaks of human natures social, communal character. Human fellow-

42 In ista enim conluvie morum pessimorum et veteris perditae disciplinae maxime venire ac

subvenire debuit caelestis auctoritas, quae voluntariam paupertatem, quae continentiam, benivolen-
tiam, iustitiam atque concordiam veramque pietatem persuaderet ceterasque vitae luminosas vali-
dasque virtutes non tantum propter istam vitam honestissime gerendam nec tantum propter civita-
tis terrenae concordissimam societatem verum etiam propter adipiscendam sempiternam salutem et
sempiterni cuiusdam populi caelestem divinamque rem publicam, cui nos cives adsciscit fides, spes,
caritas, ut, quam diu inde peregrinamur, feramus eos, si corrigere non valemus, qui vitiis inpuni-
tis volunt stare rem publicam, quam primi romani constituerunt auxeruntque virtutibus etsi non
habentes veram pietatem erga deum verum, quae illos etiam in aeternam ciuitatem posset salubri re-
ligione perducere, custodientes tamen quandam sui generis probitatem, quae posset terrenae civitati
constituendae, augendae conservandaeque sufficere (Epistula 138, 17 ; CCL xxxi B, p. 287 ff.).

43 Innocentia est, qua nulli nocemus ; benivolentia, qua etiam prosumus, cui possumus ; pietas,

qua colimus deum (De mendacio 19, 40 ; NBA vii/2, p. 382). Cicero emphasized innocence as

the primary element of justice. Pars pro toto for Augustine innocence stands for justice.
44 Sociale quiddam est humana natura (Augustine, De bono coniugali 1, 1 ; NBA vii/1, p.

10 ff.). 45 Ibidem.
88 martin schlag
ship reaches further than simple politics or the relation to only one polis : we

are connected to all people in friendship through our common human na-
ture.
Augustine borrows Ciceros definition of friendship. From the general Stoic
tradition he adopts the concept of a structure for the ties of friendship in lev-
els or concentric circles originating with blood relatives. Indeed, Augustine
defines friendship as the benevolent and loving agreement on human and

divine matters . 46 Benevolence, benevolentia is the decisive triggering mo-


ment of the friendship uniting human beings. 47 Indeed, God willed friendship

for man ; it is vital for mankind. 48 Friendship presupposes an invisible bond of


faith in the reciprocity of love between friends. Without reciprocity, friend-


ship would not be possible, because friendship is not one-sided, but requited,
reciprocal benevolence. Augustine utilizes this simple human experience as
a fundamental theological argument for the possibility of faith in that which
cannot be seen. If faith in invisible things were impossible, friendship would
become impossible, because reciprocal love cannot be seen. Excluding hu-
man faith from human affairs would cause havoc. 49 With this argument, he

embraces a concept dealt with in Caritas in veritate : namely, the importance


of reciprocity and gratitude as social principles. 50

Despite his emphasis on benevolence and related virtues as social principles,


Augustine remains a realist when it comes to the substantiality of crimes and
wrongdoings. Augustines main statement to the topic reads : mercy is fake

if it serves to encourage vices. Forgiveness requires an acknowledgement of


evil. He who shies away from punishing a child because he is afraid the child
will cry is not merciful. 51

46 Amicitia rectissime atque sanctissime definita est rerum humanarum et divinarum cum beni-

volentia et caritate consensio (Augustine, Contra Academicos, iii, 6, 13 ; NBA iii, 120 ; Epistula

258, 1 ; NBA xxiii, p. 884).


47 Ubi enim benivolentia, ibi amicizia (Augustinus, De sermone Domini in monte, i, 11, 31 ;

CCL xxxv, 32). 48 See Augustine, Sermo 299 D, 1 ; NBA xxxiii, p. 414 ff.

49 Si auferatur haec fides de rebus humanis, quis non attendat, quanta earum perturbatio et

quam horrenda confusio subsequatur ? Quis enim mutua caritate diligetur ab aliquo, cum sit invisi-

bilis ipsa dilectio, si quod non video, credere non debeo ? Tota itaque peribit amicitia, quia nonnisi

mutuo amore constat. quid enim eius poterit ab aliquo recipere, si nihil eius creditum fuerit exhiberi ?

Porro amicitia pereunte neque conubiorum neque cognationum et affinitatum vincula in animo ser-
vabuntur, quia et in his utique amica consensio est (De fide rerum invisibilium, 4 ; CCL xlvi, 4).

50 Encyclical Caritas in veritate, Nr. 34 ff. Gestures of friendship are made as an expression
of selfless and disinterested charity. However, if they are to continue, these gestures need to
be reciprocated, if not immediately then within a reasonably expected time. If reciprocation
does not occur, no friendship can emerge. Although one soliciting a friendship subjectively
views the soliciting of a true friendship as unconditional and without reservation, friendship
itself, when viewed objectively, is conditioned in its existence.
Friendship is conditional un-
conditionality. 51 See Augustine, Epistula 104, 15f ; CCL 31B, p. 46 ff.

love as principle of social and economic life? 89

2. 3. 4. Leo the Great


Leo the Great in some sermons appeals for donations for the poor. In these
sermons he also mentions goodness (benignitas), benevolence (benevolentia),
mercy (misericordia) and friendship (amicitia) as social principles. 52 Certainly

Leos emphasis is less an expression of common social theory, but more so


an indication of the significant decrease in the enthusiastic willingness to do-
nate, which had marked the early ecstatic Christian community. Leo, how-
ever, treats as a certainty the association of justice with mercy. To love God is
nothing other than to love justice. May the virtue of mercy be consorted with
the aspiration for justice. 53

3. Systematical Reflections on Social Charity


The historical introduction to the topic analyzed two currents of tradition
which were essential for the Christian faith and its social aspects : pre-Christian

Platonic-Stoic philosophy adopted by the Fathers of the Church and the


Bible. The historical introduction was an attempt by way of revelation and
reason to answer the questions about social charity posed in Caritas in veri-
tate and formulated at the beginning of this article.
It became evident that in the Christian tradition justice alone was not viewed
as a sufficient means to order society. A second, complementary principle is
needed. Whereas justice was analyzed in concrete detail and evolved into judi-
cial order, the second principle remained rather vague. Various terms are used
for the second principle : mercy, beneficence, benevolence, generosity, etc. As

important as the second principle is, it remains emotional and insubstantial


and is an appeal to generosity.
The remainder of the work aims to bring greater clarity to the subject by de-
lineating various opinions represented in the framework of Catholic theologi-
cal thought on the term social charity. Most of the opinions revolve around
the most pointed formulation of this principle in Pius XIs encyclical Quadrag-
esimo anno. Pius XI refers to social charity explicitly three times and implicitly
one further time. These references are always in direct relation to justice. On
the one hand it becomes evident that in Pius opinion charity has an ancillary
and mitigating effect in those cases where justice fails. On the other hand Pius
XI regards charity as the soul of social justice. 54 Not since that time has the

52 See Leo, Tractatus, vi-xi ; CCL 138, p. 27 ff.


53 Leo comments on the Beatitudes and the commandment of love in the Shema Israel :

[...] nihil est aliud diligere Deum quam amare iustitiam. Denique sicut illic dilectioni Dei proximi

cura subiungitur, ita et hic desiderio iustitiae virtus misericordiae copulatur, et dicitur : Beati mise-

ricordes [...] (Leo, Tractatus, xcv, 7 ; CCL 138A, p. 588)


54 As a reminder a few vital excerpts from the text are given ; (bold print indicates au-

thors emphasis) :
90 martin schlag
term social charity been used with such immediacy and clarity. Caritas in
veritate draws on the language of Quadragesimo anno.
Oswald von Nell-Breuning, who is considered one of the main authors of
Quadragesimo anno, writes that social charity is imbued with the power of
cleansing self-interestedness and egotism, which rouses sentiments of benev-
olence towards fellow human beings. Social charity, however, does not sub-
stantially add anything to social justice. 55 Gustav Gundlach also contributed

to the encyclicals content and writes similarly. In a commentary to Quadrag-


esimo anno Gundlach characterizes social charity as the soul of social justice.
It might seem as if relationships of human beings in society are formed sole-
ly through norms and duties of a statutory and legal nature. Therefore Pius
XI added that relationships of a personal nature and the cordial advocacy

of one human being for another may not be absent. 56 Gundlach continues

that it would be erroneous to expect societys renewal from justice alone ; the

hearts of human beings can only be united by love. Because this love in the

Popes opinion should downright pervade in social institutions and relation-


ships, he referred to it as social charity in his encyclical . Gundlach defines

social charity as the attitude of fellowship and unity, in which all human be-

ings converge as children of one Father in heaven and as those redeemed by


the Savior . Through this charity society resembles the mysterious body of

Christ. 57

88. [...] Just as the unity of human society cannot be founded on an opposition of classes, so also

the right ordering of economic life cannot be left to a free competition of forces. [...] But free competi-
tion, while justified and certainly useful provided it is kept within certain limits, clearly cannot di-
rect economic life. [...] Therefore, it is most necessary that economic life be again subjected to
and governed by a true and effective directing principle. () Loftier and nobler principles
social justice and social charity must, therefore, be sought whereby this dictatorship may
be governed firmly and fully. Hence, the institutions themselves of peoples and, particu-
larly those of all social life, ought to be penetrated with this justice, and it is most necessary
that it be truly effective, that is, establish a juridical and social order which will, as it were,
give form and shape to all economic life. Social charity, moreover, ought to be as the soul of
this order, [] 137. But in effecting all this, the law of charity, which is the bond of perfec-

tion, must always take a leading role. How completely deceived, therefore, are those rash
reformers who concern themselves with the enforcement of justice alone and this, com-
mutative justice and in their pride reject the assistance of charity ! Admittedly, no vicari-

ous charity can substitute for justice which is due as an obligation and is wrongfully denied.
Yet even supposing that everyone should finally receive all that is due him, the widest field
for charity will always remain open. For justice alone can, if faithfully observed, remove the
causes of social conflict but can never bring about union of minds and hearts .

55 Summary of A.F. Utz, Sozialethik, Teil I : Die Prinzipien der Gesellschaftslehre, Kehrle,

Heidelberg und Nauwelaerts, Lwen 19642, p. 231.


56 G. Gundlach SJ, Die Ordnung der menschlichen Gesellschaft, publ. by the Katholische
Sozialwissenschaftliche Zentralstelle Mnchengladbach, Bachem, Kln 1964, 2 volumes,
vol. i, p. 314. 57 Ibidem, p. 324.
love as principle of social and economic life? 91
Arthur F. Utz dealt extensively with the topic of social charity. He relates
social charity directly with the common good. In general he defines social
charity as the solidarity which is founded on an ethic common good 58. Utz

understands social charity as a virtue, on which basis the individual volun-


tarily and willingly takes on his functioning part in human society. According
to Utz, social charity as a virtue is initially not a virtue which is distinguish-

able from social justice, but only a section of the same, inasmuch as it refers
to the spiritual relationship from human being to human being as required by
the common good 59. The attainment of the common good requires both ap-

proaches, those of social justice and social charity. Social charity is however in
essence only a section of justice. Our fellow human beings have, for example,
a claim (and therefore a right) to a friendly countenance, to sociable, affable

behavior . We in turn have a claim and right to these manners from others.

Charity can in general be seen as the bestowal of a personal good and the de-
ferment of selfish wishes. 60

Utz nevertheless reaches the opinion that social charity is a distinct virtue,
different from social justice, due to the consideration that in reality not all hu-
man beings fulfill their social duties. In doing so, they go against social justice ;

thus is equality damaged, and others in turn can withdraw from the fulfill-
ment of their duties, which would damage the common good. It is therefore
necessary for social charity to come before social justice. Social charity is the

categorical and unconditional esteem of the common good [], which even
then makes the effort for society when the duties cannot be distributed