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PONTIFICIA UNIVERSIT DELLA SANTA CROCE
ACTA
PHILOSOPHICA
Rivista internazionale di filosofia
fascicolo i volume 21 anno 2012
PISA ROMA
FABRIZIO SERRA EDITORE
MMXII
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SOMM A R IO
quaderno
christian freedom and the development of capitalism
Juan Andrs Mercado, Presentazione 00
Oreste Bazzichi, Appunti sulletica economica della Scuola francescana 00
Mauro Magatti, Monica Martinelli, Dentro e oltre le illusioni del ca-
pitalismo tecno-nichilista. Per un diverso immaginario della libert 00
Michael Novak, Creation theology in economics several catholic traditions 00
Martin Schlag, Iustitia est amor : Love as Principle of Social and Eco-
nomic Life ?
00
studi
Tommaso Valentini, La filosofia politica di Kant. Chiliasmo filosofico e di-
ritto cosmopolitico 00
note e commenti
Elena Irrera, Can a Good Citizen be a Good Ruler ? An Answer from Aristo-
tles Politics 00
forum
Francisco Fernndez Labastida Jean Grondin Gaspare Mura,
Hans-Georg Gadamer : un bilancio a dieci anni dalla morte
00
Maria Pia Chirinos - Matthew B. Crawford Marco DAvenia,
The Value of Manual Work 00
recensioni
Jean Grondin, Introduzione alla filosofia della religione (Marco Porta) 00
Karl Jaspers, Il male radicale in Kant (Giovanni Zuanazzi) 00
Antonio Livi, Filosofia del senso comune. Logica della scienza e della fede
( Juan Jos Sanguineti) 00
Antonio Malo, Io e gli altri. Dallidentit alla relazione (Paulin Sabuy
Sabangu) 00
schede bibliografiche
Agostino dIppona, De immortalitate animae - Limmortalit dellanima
(Niccol Turi) 00
ngel Guerra Sierra, Hombres de ciencia, hombres de fe (Mara ngeles
Vitoria) 00
8 sommario
Josep-Ignasi Saranyana, Breve historia de la filosofa medieval (France-
sco Russo) 00
Michel Serres, Tempo di crisi (Francesco Russo) 00
Pubblicazioni ricevute 000
quaderno
christian freedom
and the development of capitalism
PR ESENTA ZIONE
Juan A ndr s Mercado *
come si evince dalle righe dello studio di Martin Schlag, il Nuovo Testamento
non offre indicazioni specifiche sullorganizzazione della societ. Il comanda-
mento della carit si andato declinando nella storia del pensiero in diversi
modi, in dialogo non sempre pacifico con le diverse correnti del pensiero.
Anche oggi i teologi si sforzano di ritradurre il messaggio rivelato nelle ca-
tegorie di pensiero attuali. Le oscillazioni fra carit, benevolenza, solidarie-
t mettono in luce la vivacit del pensiero sociale cristiano per in-formare le
strutture sempre pi ampie e complesse.
Un filone importantissimo di questa dinamica storica si trova nello studio
di Oreste Bazzichi. Lautore riassume idee e fatti fondamentali della storia del
pensiero francescano che portarono al superamento dellimpostazione intel-
lettuale classica sullusura. Le strade alle volte contorte che dovette percorrere
il pensiero medievale per capire come il movimento di capitali e limpegno nel
* Pontificia Universit della Santa Croce, Facolt di Filosofia, Piazza SantApollinare 49,
00186 Roma ; e-mail : mercado@pusc.it
2.1. Fra Pietro di Giovanni Olivi. 2.1.a La teoria del capitale. 2.1.b Teoria del valore economico
e del giusto prezzo. 2.2. Giovanni Duns Scoto. 2.3. Alessandro Bonini di Alessandria. 2.4. San
Bernardino da Siena riformatore sociale. 3. Dal discorso economico francescano al modello
civile.
processo economico . 1
Appare del tutto singolare che uno studioso come Schumpeter non facesse
alcuna menzione al contrario del grande sociologo tedesco Max Weber 2
* Pontificia Facolt Teologica San Bonaventura Seraphicum, Via del Serafico, 1 - 00142
Roma. E-mail : oreste.bazzichi@alice.it
1 J.A. Schumpeter, Storia dellanalisi economica, Einaudi, Torino 1959, vol. I, p. 117. Dello
stesso parere anche laltro grande storico del pensiero economico W. Sombart, Il capitali-
smo moderno, utet, Torino 1967 ; Idem, Il borghese, Longanesi, Milano 1950.
2 Cfr. M. Weber, Letica protestante e lo spirito del capitalismo, Rizzoli-bur, Milano 1997, pp.
134-135. In particolare, Weber scrive di teologi scotisti e mendicanti quattrocenteschi ,
3 Cfr. R. De Roover, Scholastics Economics : Survival and Lasting Influence from the Sixteenth
Century to Adam Smith, Quaterly Journal of Economics , maggio 1955, pp. 161-190 (tra-
dotto in italiano : Leconomia scolastica e influenza sul pensiero economico dal sedicesimo secolo
a Adam Smith, in Suppl. 6 a La Societ , 6 (2007), pp. 12- 42 ; Idem, San Bernardino of Siena
and santAntonino of Florence. The Two Great Economic Thinkers of the Middle Ages, Mass, Bos-
ton 1967 ; Idem, La pense conomique des Scolastiques. Doctrine et mthodes, Institute dtude
mdivales, Montral-Paris 1971 ; Idem, Business Banking and Economic Thought in Late Medi-
eval and Early Modern Europe, ed. J. Kirshner, Chicago 1974 ; G. Barbieri, Il pensiero economico
dallantichit al Rinascimento, Istituto di Storia Economica, Bari 1963 ; Idem, Le dottrine mo-
netarie dal xiii al xvii secolo, Economia e Storia , 3 (1975) ; O. Capitani, La concezione della
povert nel Medioevo, Patron, Bologna 1981 ; Idem, Figure e motivi del francescanesimo medioe-
vale, Patron, Bologna 2000 ; G. Todeschini, Oeconomica Franciscana. Proposte di una nuova
lettura delle fonti delletica economica medioevale, Rivista di Storia e Letteratura Religiosa ,
xii (1976), pp. 15-77 e xiii (1977), pp. 461-494 ; Idem, Il prezzo della salvezza. Lessici medievali del
pensiero economico, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1994 ; Idem, I mercanti e il Tempio. La so-
ciet cristiana e il circolo virtuoso della ricchezza fra Medioevo e et moderna, Il Mulino, Bologna
2002 ; Idem, Dalla povert volontaria alla societ di mercato, Il Mulino, Bologna 2004 ; A. Spic-
ciani, SantAntonino, san Bernardino e Pier di Giovanni Olivi nel pensiero economico medievale,
Economia e Storia , 19 (1972), pp. 315-341 ; Idem, La mercatura e la formazione del prezzo nella
riflessione teologica medioevale, Atti Accademia dei Lincei, Roma 1977 ; O. Bazzichi, Alle origi-
ni del capitalismo, Dehoniane, Roma 1991 (riproposto con integrazioni Alle radici del capitali-
smo. Medioevo e scienza economica, Effat, Cantalupa (Torino) 2003) ; Idem, Dallusura al giusto
profitto. Letica economica della Scuola francescana, Effat, Cantalupa (Torino) 2008 ; Idem, Il
paradosso francescano tra povert e societ di mercato. Dai Monti di Piet alle nuove frontiere del
credito, Effat, Cantalupa (Torino) 2011, soprattutto pp. 75-77.
4 Uno dei concetti principali caratterizzanti la teologia di Giovanni Calvino (1509-1564)
quello della predestinazione ; tema che ha favorito nella storia della Chiesa costanti di-
scussioni e controversie. Da questa dottrina scaturisce lassunto che Dio fissa per ciascuno
la propria attivit su questa terra, alla quale luomo deve adeguarsi come ad una regola
perenne. Quindi, ogni lavoro rientra nel processo di santificazione ed connesso allele-
zione divina. Luomo potr raggiungere il successo e la prosperit materiale solo con la
benedizione di Dio. Da queste riflessioni scaturiscono le premesse del pensiero sulletica
economica calvinista, che giustifica moralmente laspirazione degli individui al guadagno
e al successo mondano. Perci, la dottrina della predestinazione calvinista carica dansia il
appunti sull etica economica della scuola francescana 17
Quindi, dalle opere dei pensatori della Scuola francescana scaturisce las-
sunto : la teoria e la pratica delleconomia di mercato sono germogliate, ben
1. Le ragioni di un ritardo
Quali sono state le cause del ritardo nella conoscenza delle fonti primarie della
Scuola francescana nel campo etico-sociale ? Le circostanze sono sostanzial-
mente quattro.
La prima riguarda il campo dellermeneutica teologica, in cui pesano alcuni
documenti pontifici sulla scelta del tradizionale sistema filosofico : quello della
credente a tal punto, che egli sente un assillante bisogno di certezze circa il proprio status di
eletto o di dannato. Ne consegue una nuova concezione che orienta lattivit professionale
ad una assidua e inarrestabile ricerca del massimo profitto.
18 oreste bazzichi
come di due candelabri in dono Dei lucentia, sceglie per limpostazione e
lanalisi teologica il sistema unico della Scolastica aristotelico-tomista. Occor-
re attendere 120 anni per tornare alla pluralit culturale : la grande enciclica
Fides et ratio (14 settembre 1998) di Giovanni Paolo II cancella, innanzi tutto, la
contrapposizione dei due sistemi filosofici e teologici (Scuola tomista e Scuola
francescana), proponendo e promuovendo la loro complementariet.
Nella recente enciclica Spe salvi Benedetto XVI, oltre a dichiarare lIllumi-
nismo, assieme al marxismo, speranze terrene fallite, chiarisce che nellepoca
attuale si registra in molti ambienti la sostituzione del razionalismo con una
sorta di dittatura del relativismo, un male che corrode dal di dentro le societ
occidentali.
E nella Caritas in veritate egli aggiunge che lideologia dellindividualismo,
nella sua forma sempre pi esasperata, che minaccia davvero la nostra societ,
la cui salvezza consiste nel trinomio fraternit, sviluppo economico e societ
civile.
Lo sfondo teorico dellenciclica, perci, ispirato dalletica francescana del-
la gratuit, che esprime letica dellalterit, via privilegiata per coniugare gra-
tuit e apertura dialogale, e letica della libert, da cui scaturisce letica della
responsabilit. 5 In continuit con ci nellenciclica si afferma continuamente
9), altro non significa che nel movimento francescano c posto anche per gli
indotti. Tanto vero che S. Bonaventura nellExpositio super Regulam Fratrum
Minorum 6 interpreta la volont di Francesco nel senso di un incoraggiamento
5 Nella nota 102 lenciclica rimanda allIstruzione sulla libert cristiana e la liberazione,
Libertatis coscientia, del 22 marzo 1987 della Congregazione della Dottrina della Fede, che
porta la firma proprio dellallora card. Joseph Ratzinger. In tale documento si afferma che
il problema non sono le strutture in se stesse, ma il peccato delluomo che pu strutturarsi
in vere e proprie strutture di peccato.
6 Opera omnia, studio et cura PP. Collegii S. Bonaventurae ad fidem codicum edita, viii,
Ad Claras Aquas 1898, p. 339.
appunti sull etica economica della scuola francescana 19
zione. Daltra parte, fin dallinizio non mancarono frati dotti. Lo stesso frate
Elia da Cortona (morto nel 1253), secondo vicario di S. Francesco (1221-1227)
e secondo ministro generale (1232-1239) era ben istruito, essendo stato notaio
a Bologna. Anche il poeta francescano Iacopone da Todi, nella lauda 88, non
condanna la cultura in s, ma la vanagloria e lorgoglio che gli studi potrebbe-
ro suscitare, in contrasto con la minoritas francescana. Daltra parte, lui stesso
era uomo colto, competente in materia legale, conoscitore della poesia volga-
re contemporanea, nonch versato negli studi teologici. Un uomo di cultura,
dunque, che polemizza contro la cultura. 7 Ma con lintento di colpire la cultu-
7
Cfr. G. Getto, Il realismo di Iacopone da Todi, Lettere Italiane , 38 (1956), pp. 223-269.
8
Cfr. Opera omnia, studio et cura PP. Collegii S. Bonaventurae ad fidem codicum edita,
9 voll., Florentiae 1950 - 1965. Cfr. anche D. Pacetti, La libreria di San Bernardino da Siena e le
sue vicende attraverso cinque secoli, Studi Francescani , 62 (1965), pp. 3-43.
9 Nel Contractibus et usuris, oltre allOlivi e a Scoto, si richiama ben 31 volte al trattato
De usuris di Alessandro Bonini di Alessandria, 23 volte alla Summa de casibus conscientiae di
Astesano di Asti e 22 volte al De contractibus di Gerardo di Odone.
10 Non dimentichiamo che Francesco era rimasto tanto innamorato della povert da
20 oreste bazzichi
uno dei pi attivi protagonisti nella ben nota polemica sorta nel xiii secolo in
seno allOrdine francescano riguardante linterpretazione della Regola sulla
povert e lo scontro tra papato e impero per la plenitudo potestatis. 11 Fra Pietro
volerla sposare. Anche nella morte volle essere fedele alla sua sposa, ponendosi tutto nudo
sulla terra. Secondo lui, la povert suscita negli altri generosit, allontana le eccessive pre-
occupazioni per la vita terrena ed fonte di gioia. Cfr. Tommaso da Celano, Vita prima
e Vita secunda, Analecta Franciscana , x, Collegio San Bonaventura, Quaracchi-Firenze
ti, Collegio San Bonaventura, Quaracchi-Firenze 1926 ; Sacrum Commercium sancti Francisci
12 Naturalmente con ci non si vuole togliere nulla allimportanza e alla validit delle
ricerche e delle tesi che partono da ottiche diverse, pi legate alla Scuola tomista o a quella
di Salamanca o alle forme letterarie degli umanisti laici.
13 doveroso ricordare che il primo studioso di area cattolica che intervenne coraggio-
samente a correggere lassunto di Weber fu A. Fanfani, Le origini dello spirito capitalistico in
Italia, Vita e Pensiero, Milano 1933 ; Idem, Cattolicesimo e protestantesimo nella funzione storica
del capitalismo, Vita e Pensiero, Milano 1934. La sua ricerca, oltre ad aprire un varco nelluna-
nimit alla tesi del grande sociologo tedesco del Novecento, pone una serie di riflessioni
non tanto nel campo della dottrina sociale della Chiesa, quanto piuttosto nel dibattito tra
cattolici, che attribuivano volentieri le distorsioni e le aberrazioni del paleo-capitalismo
alletica calvinista.
22 oreste bazzichi
cui rispondenza al bonum commune impedisce alla communitas di tra-
sformarsi in incommunitas, dominata dalliniquit. Un diritto senza Stato,
dunque, che nasce dalla societ civile e si articola in un sistema contrattua-
listico che d vita ad un mercato autoregolantesi in quanto rispondente a
quei principi del bonum commune che tengono la communitas coesa nel
rispetto del singolo. questa la proposta ma anche lutopia della filosofia
sociale francescana, per la quale criterio del vero il bene e il fondo abissale
dellessere costituito dalla libert, cifra della gratuit. 14 Sta qui la ricchezza
rica e epistemologica perch i francescani, a partire dalla seconda met del xiii
secolo, elaborano, sul piano dottrinale, una originale e lungimirante teologia
economica per superare le difficolt giuridico-morali sorte a seguito della se-
vera condanna canonica dellusura e, sul piano pratico, inventano i Monti di
Piet, consentendo, attraverso lerogazione del credito ad interesse, una forte
accelerazione al sistema sociale e allo sviluppo economico e civile.
14 Cfr. O. Todisco, Il dono dellessere. Sentieri inesplorati del modello francescano, Edizioni
Messaggero, Padova 2006 ; Idem, La libert fondamento della verit. Ermeneutica francescana del
denaro imprestato, perch equivale a vendere una cosa che non esiste ; ne deriva una disu-
dallAquinate, sono cos labili, astratte e lontane dalla realt che risultano inapplicabili. E
soprattutto non viene ipotizzato alcun legame tra luso della moneta e lesercizio di unat-
tivit mercantile che potrebbe rendere il denaro non sterile, come lo invece secondo la
rigorosa concezione aristotelica nummus non parit nummo.
appunti sull etica economica della scuola francescana 23
16 Il frate provenzale noto anche nel campo speculativo (tanto da meritarsi lappel-
lativo di Doctor speculativus) per la tesi della pluralit delle forme dellanima umana ;
dottrina condannata dalla costituzione dogmatica Fidei Catholicae del Concilio di Vienna
(1311-1312) : di conseguenza, tutti i suoi scritti teologici e canonici furono rigorosamente
proibiti sotto pena di scomunica e destinati ad essere bruciati da fra Giovanni da Murro
che fu generale dellOrdine francescano dal 1295 al 1303. Questo circostanza spiega ragio-
nevolmente il motivo per cui san Bernardino da Siena, pur attingendo a piene mani da Pie-
tro di Giovanni Olivi, non citi mai il confratello. Sulla vita e lopera del frate francescano,
cfr. S. Gieben, Bibliographia oliviana (18851967), Collectanea Franciscana , 38 (1968), pp.
167-195. Nel tomo iv dellOpera omnia di san Bernardino magistralmente edita dai Padri
francescani del Collegio S. Bonaventura di Quaracchi (Firenze), i Sermones dal xxxii al XLV
contengono il Tractatus de contractibus et usuris (1956). Si tratta sicuramente di una delle
opere pi interessanti per chi voglia studiare levoluzione del pensiero economico. Ma
limportanza dei Sermones ancora maggiore perch nei codici che egli ha utilizzato sono
stati scrupolosamente e onestamente annotati i riferimenti testuali alle opere dellOlivi e
degli altri confratelli di un secolo e mezzo precedenti. Circostanza della quale ledizione
critica di Quaracchi ha tenuto sempre conto con esemplare rigore scientifico e filologico.
In particolare, le idee dellOlivi in ordine al concetto di capitale mercantile e i ragio-
namenti che portano a concepire la qualit dellinteresse rispetto alla rigida proibizione
morale dellusura transitano pari pari nei Sermones bernardiniani e nella celebre Summa
theologica di santAntonino.
17 Certamente vero quanto scrive Schumpeter che la societ dei tempi feudali con-
teneva tutti i germi della societ dellet capitalistica, cos come la scienza scolastica del
Medioevo conteneva tutti i germi della scienza laica del Rinascimento (Storia dellanalisi
economica, o. c., p. 100), ma le analisi dellOlivi dimostrano anche inconfutabilmente la labi-
24 oreste bazzichi
Per constatare lacutezza del pensiero del frate provenzale e la modernit
della sua visione del processo economico si possono ricordare, semplifican-
done al massimo lesposizione, 18 due aspetti principali della sua lettura delle
tale come somma di denaro o qualsiasi merce che, essendo destinata ad una
qualche attivit economicamente produttiva, contiene gi in s un seme di
lucro ; questa presenza seminale di lucro fa s che il prezzo di un capitale ad
esempio, formato da una somma di denaro sia superiore al valore della sem-
plice moneta che lo misura : Ci che con ferma decisione (firmo proposito) del
lit della tesi di Max Weber sulle origini dello spirito del capitalismo, da far risalire alletica
protestante.
18 Ricorrendo anche ai nostri studi sullantropologia economica francescana, contenuta
nella trilogia pubblicata da Effat : Alle radici del capitalismo. Medioevo e scienza economica,
2003, pp. 108-113 ; Dallusura al giusto profitto. Letica economica della Scuola francescana, 2008,
pp. 60-71 ; Il paradosso francescano tra povert e societ di mercato. Dai Monti di Piet alle nuove
prestatur tenetur sibi ad probabiliter equivalens, seu ad preservandum ipsum a damno probabilis
lucri, tum quia illud quod in firmo proposito domini sui est ordinatum ad aliquod probabile lucrum
non solum habet rationem semplici pecunie seu rei, sed uktra hoc quamdam seminalem rationem
lucrosi quam communiter capitale vocamus, et ideo non solum habet reddi simpliciter valor ipsius
sed etiam valor superadiunctus (La spiegazione del perch egli possa vendere o commerciare
ad un simile prezzo questa : da una parte chi lo riceve tenuto a dargli verosimilmente un
(o.c., p. 85).
appunti sull etica economica della scuola francescana 25
proprietario destinato a qualche probabile lucro, non solo ha il significato
di semplice denaro o di qualsiasi merce, ma possiede anche in s un qualche
seme di lucro, che comunemente chiamiamo capitale ; perci esso non solo
deve rendere il suo stesso valore, ma anche un valore aggiunto (sed et valor
superadiunctus ) o dellinteresse per il lucro cessante che il mutuatario deve
cio, rientrare nellequit del suo prezzo, che superiore a quello della sempli-
ce moneta corrispondente. Identico, dal punto di vista economico-sociale, il
ragionamento che riguarda linteresse, inteso come valutazione del risultato
di un danno subito da chi ha sottratto il proprio denaro da un investimento
produttivo per darlo in prestito ; in questo caso il danno non pu che identifi-
essa sia destinata allinvestimento e che ci avvenga con la ferma decisione del
proprietario.
Laccento posto sullelemento soggettivo : si richiede, cio, la presenza di
xvi del Quolibet i precisa che gli elementi determinanti sono il primato dellin-
22 Item ex hoc patet quod quando aliquis pecuniam de qua firmiter mercari proponitur, prestat
alicui ex sola pietate et necessitate illius, sub tali pacto quod quantum consimilis summa apud talem
equivalentem mercato rem usuram, sed potius facit aliquam gratiam salva tamen sua indemnitate.
Sicut in quadam questione, de quolibet, plenius est ostensum (Da queste considerazioni appare
evidente che quando qualcuno presta ad un altro, spinto solo dalla piet e dalla necessit di
quello, del denaro che si era fermamente proposto di investire in operazioni commerciali,
con il patto che tutto quanto una simile somma guadagner o perder presso un mercante
come lui, altrettanto il creditore si accontenter di guadagnare o di perdere, egli non com-
mette usura, ma piuttosto compie un favore, salva tuttavia la sua indennit. Ma ci stato
ampiamente trattato in una questione del Quolibet) (ibidem).
23 Cfr. Petri Iohannis Olivi, Quodlibeta Quinque ad fidum codicum nunc primum edita
cum introductione historico-critica, curavit S. Defraia, Editiones Collegii Bonaventurae ad Cl-
ras Aquas, Grottaferrata (Roma) 2002, Quodlibet I, Quaestio xvi : An tenens mutuum vel
I, Quaestio xvii : An ille contractus sit usurarius quo aliquis tradit alteri centum libras, mox
in suis domesticis necessitatibus expendendas ; tradit, inquam, sub hoc pacto, quod sicut
consimiles centum libre apud Titium mercato rem legalem lucrabuntur vel perdent, sic iste
tradenti lucrentur vel perdant, pp. 58-63.
26 oreste bazzichi
tenzione (firmo proposito) e la concretezza nel progetto dinvestimento, che co-
stituiscono il perno dellequilibrio e della coesistenza fra lidea di capitale e di
interesse, anche se poi la realizzazione dellinvestimento non andasse a buon
fine, provocando il danno da ricompensare con linteresse. Secondo il pensa-
tore francescano, in questo caso specifico, saremmo di fronte ad un debitore
insolvente che sottrae al proprietario la disponibilit del proprio denaro su cui
il progetto di investimento era gi stato formulato.
La Quaestio xvi viene ripresa quasi in toto da Bernardino da Siena nei suoi
Sermones, 24 mentre la Quaestio xvii influenza notevolmente il Tractatus de con-
tractibus. 25
Solo con questo sottile argomento lOlivi riesce a separare eticamente lusura
dallinteresse : questultimo, essendo generato intenzionalmente in forma total-
questo, poi, non va inteso come puro desiderio o generica possibilit, ma deve
essere realisticamente possibile e tale da comportare un guadagno che si possa
economicamente valutare in anticipo, secondo i normale andamento degli affari.
Il pensiero economico oliviano diventa ancora pi chiaro nella Quaestio xvii,
dove nega che un prestito in denaro possa essere equiparato ad un investi-
mento mercantile, s da dover ritenere lecita la richiesta di un frutto pari al
tasso di un profitto ; nega, cio, la potenzialit economica della semplice mo-
loeuvre de Pierre de Jean Olivi et son trait De contractibus, Ecole Hautes Etudes en Sciences
Sociales, Paris 1999, vol. iii, pp. 212-349.
26 per lappunto questa la novit che sar ripresa nei secoli successivi dai maggiori
moralisti, giuristi ed economisti : la distinzione tra simplex pecuniae e capitale. La simplex
pecuniae nientaltro che il denaro inteso come tradizionale mezzo di scambio non desti-
nato espressamente ad una attivit imprenditoriale, produttiva e di mercatura. Il capitale
invece una somma di denaro, o anche altra merce, che contiene in s un seme di lucro, in
quanto viene espressamente destinata allo sviluppo socio-economico.
27 Petri Iohannis Olivi, Quodlibeta quinque, p. 62 : [] dicendum quod secus est de casu
illo, quia ille simpliciter tradit pecuniam sub sola ratione mutui ; et ideo ex ipsa ratione mutui peri-
culum simpliciter ets eius cui est mutuata et qui inde tanquam ex sua est mercaturus : ex quo patet
da, invece, la sua maggiore o minore quantit rispetto alla domanda, cio la
sua scarsit o difficolt ad essere trovata ; la complacibilitas, infine, la volont
nella sua forma oggettiva (virtuositas), sia nella sua forma soggettiva (compla-
cibilitas) e in funzione della raritas.
LOlivi aggiunge che se i mercanti non sono scaltri nel prevedere le variazio-
ni di prezzo, oppure le giuste valutazioni delle cose, possono anche non riotte-
nere il loro capitale e quindi si troverebbero nel disagio di vendere in perdita.
Non solo, ma il guadagno del mercante non pu escludere quello degli altri
operatori economici. Gli artigiani, i commercianti, i contadini, i produttori
in genere, devono ottenere il loro giusto guadagno. Per questo, il mercante,
dopo aver acquistato una merce ad un prezzo che consenta un conveniente
guadagno per chi la prodotta, pu rivenderla dove pu realizzare di pi ; e ci
a motivo della diversit dei prezzi da luogo a luogo, in dipendenza della scar-
sit o abbondanza della merce in quel mercato, rendendo cos facendo un
servizio vantaggioso alla comunit. In altre parole, i mercanti comprano dove
la merce abbonda, pagandola meno, e la rivendono dove scarseggia, facendola
pagare di pi.
questa veramente la migliore e la pi moderna tra le teorie del valore che
si siano pensate per contribuire allo sviluppo della scienza economica.
se o detiene una cosa altrui sia tenuto alla restituzione tanto che senza di ci
non si possa dire veramente pentito . 31
Scoto, dopo aver analizzato lorigine della propriet privata, 32 parte dalla
31 Quaero, utrum qui iniuste abstulit vel detinet rem alienam, teneatur illam restituire,
ita quod non possit vere poenitere absque tali restituzione (Ioannis Duns Scoti Doc-
toris Subtilis Ordinis Minorum, Quaestiones in Libros Quatuor Sententiarum, dist. 15, q.
2, n. 1, a cura di L. Wadding, Lugduni 1639, Tomus ix, p. 149). Le citazioni vengono tratte
da questa opera, perch la Commissione Scotista, fondata nel 1938, finora ha pubblicato
18 volumi dellOpera Omnia. I primi undici (vol. i-xii) attengono allOrdinatio, il principale
commento di Scoto ai quattro libri delle Sentenze di Pietro Lombardo. Gli altri sei volumi
invece xvi-xxi), la Lectura, sono il testo di base delle lezioni che Scoto andava preparando
per i suoi corsi. Il vol. xii delle Ordinatio, che comprende le Distinctiones 8 13, stato pub-
blicato nel 2010 ; quindi per il testo della Distinctio 15 occorrer ancora attendere la pubbli-
cazione del vol. xiii, a cui la Commissione sta lavorando. Daltra parte, occorre ricordare
che, a differenza di quanto avvenuto per S. Tommaso, Duns Scoto per lungo tempo non
ha avuto la fortuna di vedere pubblicate criticamente le sue opere. La prima edizione com-
pleta, infatti, risale al 1639, ad opera del famoso storico francescano Luca Wadding, in 12
volumi.
32 Per unanalisi sulloriginaria comunit dei beni e sul successivo diritto di propriet,
cfr. R. Lambertini, Aspetti etico-politici del pensiero di Duns Scoto, in Aa. Vv., Etica e persona.
Duns Scoto e suggestioni nel moderno, EFB, Bologna 1994, pp. 35-86. Per Scoto, come anche pi
analiticamente argomentato da Guglielmo dOckham (cfr. O. Bazzichi, Il paradosso fran-
cescano tra povert e societ di mercato. Dai Monti di Piet alle nuove frontiere del credito, Effat,
Cantalupa (TO) 2011, pp. 43-45), la propriet non si pu dire di diritto naturale, ma positivo,
dal momento che nello stato di innocenza non cera la propriet.
33 Edit. cit., p. 78 : Commutans intendit rem accipere pro qua commutat, ut non merce-
tur ea, sed ut ea utatur ; e p. 185 : Commutans intendit mercari de re quam acquirit, quia
una formica, una pulce) vale di pi di una cosa inanimata (pane), che non
ha vita, anima e sensi . 35 Laltro valore, che in termini moderni chiamiamo
za naturale, sono meno utili quanto agli usi umani e quindi sono anche meno
preziose . 36 Sotto questo profilo tanto pi le cose sono utili ai nostri usi tanto
pane vale economicamente molto di pi per la sua utilit di nutrire gli uomi-
ni. 37 Poich la compravendita delle merci risponde allo scopo delluso della
vita umana, il loro valore determinato da questo secondo tipo e non dal
primo.
Passando allanalisi che Scoto fa dello scambio propriamente mercantile,
egli sostiene, in sostanza, che i mercanti acquistano i beni non gi per usar-
li, ma per venderli pi cari. Ma a questa regola generale ne aggiunge una di
carattere etico : in ogni tipo di scambio il mercante deve svolgere un servizio
vit, Scoto ammette e giustifica lacquisto delle merci non per il bisogno, ma
per la vendita da farsi con guadagno. Chiunque serve lo Stato in una attivit
34 Cfr. O. Bazzichi, Valore economico e giusto prezzo nella riflessione teologica medievale, Ri-
37 Et propter hoc additur secundum rectam rationem, attendentem scilicet naturam rei in comp-
stato pubblicato per la prima volta dallo studioso francescano canadese Ha-
melin. 43
41 Certamente questa idea, che corre gi lungo il tempo fino agli ultimi scolastici del xvii
secolo e consegnata alla Scuola italiana delleconomia civile del Genovesi e del Verri ed alla
Scuola scozzese di filosofia morale del mercato di Hutcheson e Smith, non lontana dalla
nascente Scuola classica, detta Economia Politica. Questa nuova scienza, con scopi diver-
si, riproporr le sue analisi riprendendo le vecchie idee e usando in modo nuovo un lessico
pazientemente creato dalla Scolastica. Naturalmente con la scienza economica si entra in
un clima diverso, perch si introduce lidea di sviluppo economico inteso come progresso
civile che era estranea alla Schola. In tale nuova prospettiva sta la vera differenza fra il
pensiero economico medievale (di tipo teologico) e quello sistematico classico, che conse-
gue lautonomia scientifica.
42 Il Tractatus de usuris ci pervenuto in quattro manoscritti : uno vaticano, uno fiorenti-
Un trattato di etica monetaria dei primi del Trecento del teologo francescano Alessandro Bonini di
Alessandria, La Societ , Suppl. n. 6 (2008), pp. 49-64, dove viene riportata la traduzione in
Attraverso lesame, seppur rapido, del contenuto del Tractatus de usuris del
francescano alessandrino, si ha la convinzione di essere in presenza di affer-
mazioni e di ammissioni nel campo della prassi economica non degli inizi del
Trecento, ma molti decenni dopo o addirittura nella seconda scolastica. 45
La parte del Tractatus de usuris, che costituisce una fonte primaria per le ori-
gini della nascente scienza economica, quella del capitolo settimo, dove le
idee in materia di credito e di operazioni finanziarie aprono la strada ad uno
sviluppo delluso della moneta negli scambi.
La liceit dellars campsoria era negata, pur con sfumature diverse, da tutti i
teologi fatta eccezione, come abbiamo rilevato, del valor superadiunctus della
fecondit del capitale di Pietro di Giovanni Olivi , muovendo dal noto motivo
aristotelico della sterilit della moneta e della sua funzione di intermediazione
negli scambi. Di opinione diversa si mostra il teologo alessandrino. Affermato
che la Chiesa condanna gli usurai e non i campsores, che, anzi, magis su-
stinet, analizza tre tipi di monete : quella naturale, che nasce dal commercio
dei prodotti offerti dalla natura ; 48 quella usuraria, che proviene da altra mo-
44 J.A. Schumpeter, Storia dellanalisi economica, Boringhieri, Torino 1959, p. 129. Ancora
pi recentemente E. Salin, Leconomia politica. Storia delle idee da Platone ai giorni nostri, Riz-
zoli, Milano 1973, p. 59 attribuisce addirittura ad Antonino il merito dellelaborazione della
teoria del valore economico.
45Quasi tutti i tardoscolastici della Scuola di Salamanca condivideranno e amplieranno
le idee del Bonini.
46 Con campsor nel latino medievale si indicava il cambiavalute, che teneva banco nelle
varie piazze mercantili dellOccidente e svolgeva unazione pi o meno connessa con quella
bancaria.
47 Esiste la traduzione italiana del trattato in appendice al volume di G. Barbieri, Fonti
per la storia delle dottrine economiche. Dallantichit alla prima Scolastica, Marzorati, Milano
1958. Nella sua celebre opera il vescovo di Lisieux critica le nozioni aristoteliche della mone-
ta-segno, quelle tomistiche della moneta-misura e formula quelle pi nuove della moneta-
merce.
48 Prima est naturalis quae fit ex eo quo res naturalis in pecunia commutatur (o. c., p. 181).
49 Alia vero species pecuniae [] appellamus usuram. Videtur enim pecunia generare pecuniam.
Pecunia enim per hanc artem crescit in seipsa quasi per pregationem et partum (ibidem).
32 oreste bazzichi
in una data regione, alle monete locali, molto pi apprezzate nei confronti
delle monete forestiere, meno ricercate dagli indegeni. Da tale divario nella
valutazione delle monete nasce larte campsoria, esercitata da quanti sanno os-
servare il mutevole valore di esse attraverso le aree geografiche, traendo dallo
scambio delle monete un certo profitto, che giustificato e lecito, perch la
funzione del cambiavalute necessaria per lutilit di coloro che viaggiano,
nelle diverse regioni per lo scambio delle cose, senza il quale non c vita so-
ciale . 50
Pertanto, larte del cambio non ha lo stesso carattere del mutuo in quanto in
essa non sperato un lucro conseguente alla dilazione del tempo. Il cambiava-
lute d moneta di un genere a fronte di denaro di altro genere. Non un atto
di compravendita, ma di permutazione.
Da questi concetti appare evidente il contributo di idee del teologo france-
scano, che, fin dai primi anni del Trecento, ha saputo legittimare i cambi reali ;
teoria questa che acquister una importanza via via pi rilevante nella vita
mercantile dellultimo Medioevo.
Ma la sua dottrina dellarte campsoria raggiunge la massima originalit in
occasione della prova del come nasce un giusto profitto nel cambio delle mo-
nete. In esse si trova un duplice valore : luno stabilito dallautorit pubblica ;
laltro caratterizzato dal peso e dalla materia con cui sono formate. Con il suo
intervento il campsor giudica il rapporto delle specie monetarie in base ai loro
valori. Si definisca la sua operazione permutatio o altro, certo che egli svolge
un servizio utile alla societ e pertanto ha diritto alla ricompensa quale frutto
del suo lavoro. 51
Elegante, infine, il ragionamento svolto dal Bonini per spiegare come pos-
sa conciliarsi lepisodio della cacciata dei mercanti dal Tempio (Mt 21,12 - 17)
con la legittimazione dei cambiavalute. Cristo, egli scrive, espulse venditori
e compratori dal Tempio propter reverentiam loci : essendo il luogo destinato alle
50 Alia species pecuniae est quae dicitur campsoriaHaec enim necessaria est ad utilitatem pe-
regrinantium aliorum, qui circueunt diversas regione et ad commutationes rerum, sine qua non est
vita humana (ibidem, pp. 181-182).
51 Praeteria numisma habet duplicem compensationem : una ex natura rei sive pondere, sive
censura ; alia ex determinatione positivae legis ex quo accidit quod frequenter aliquid numismatis
genus in aliquo loco non tantum valet quantum valorem dederit illi legis positivus (ibidem, p. 183).
52 Ibidem, p. 184.
appunti sull etica economica della scuola francescana 33
altro frate dellOrdine francescano, Astesano di Asti, 53 che a soli 15 anni di di-
stanza, nel 1317, trascriveva alla lettera nella sua Summa de casibus coscientiae,
detta anche Astesana, la dottrina cambiaria del confratello, e in particolare la
teoria del duplice valore della moneta : secondo il contenuto, in peso e mate-
53 Per maggiori dettagli, cfr. O. Bazzichi, Teorie monetarie francescane del tardo Medioevo.
Schema per un influsso etico-sociale, Rivista di Politica Economica , 1 (1987), pp. 49-78, spe-
positivae .
55 Per un approfondimento, cfr. R.L. Guidi, Il dibattito sulluomo nel Quattrocento, Tielle
Media Editore, Roma 1998.
56 Un certo contrasto ci fu, ma pi su questioni teologiche e politico culturali. Entrambi
erano alla ricerca di una pi precisa definizione dei propri ruoli allinterno di una societ in
grande trasformazione.
34 oreste bazzichi
Emblematica, a questo riguardo, la lode e lossequio rivolti da Leonar-
do Bruni 57 allerede di Giovanni Duns Scoto, Bernardino da Siena, per la sua
stretta connessione fra cultura e vita sociale e morale. Da qui nasce il valore
del denaro per lo sviluppo della citt, che Poggio Bracciolini nel De avaritia
ne elogia la brama. La virt umana egli dice se vera virt (cio nata dal
lavoro di ognuno, e non da diritto ereditario), sociale, incremento socio-
economico della citt. Sullesaltazione del lavoro umano si esprime anche Le-
on Battista Alberti, il quale aggiunge che esso d prosperit alle famiglie e alle
citt, dove il fiorire delle ricchezze e il prosperare dei beni terreni costituisco-
no segno tangibile del favore di Dio. La dignit umana non risiede che nel
lavoro, e solo nel lavoro. 58
Mentre, quando San Bernardino parlava del vizio dellavarizia aveva in men-
te soprattutto i pericoli morali della ricchezza. Legoismo dei ricchi, che igno-
ravano i bisogni del prossimo e la bramosia del denaro, che coinvolgeva tutti
in un vortice di voluptas illimitata, conducono al disprezzo per ogni genere di
povert.
Da una parte, dunque, i francescani Bernardino da Siena, Antonio da Rho,
Lorenzo Guglielmo Traversagno, Giovanni da Spoleto, Giacomo della Marca,
Michele Carcamo, Angelo Carletti da Chivasso, Giovanni da Capestrano, Al-
berto da Sarteano, Bernardino Tometano da Feltre, ecc. ; dallaltra, gli umani-
sti Poggio Bracciolini, Coluccio Salutati, Leon Battista Alberti, Lorenzo Valla,
Pico della Mirandola, Leonardo Bruni, Giovanni Pontano, Battista Guarino,
Giannozzo Manetti, Matteo Palmieri, Marsilio Ficino, ecc.
Al pari degli umanisti, che teorizzavano lamministrazione della giustizia,
anche gli Osservanti intervennero sulla giustizia, ritenendo questa virt il ca-
posaldo di ogni organismo sociale. Lo Stato ha il compito di consentire alluo-
mo il raggiungimento della perfezione con lo strumento legislativo, nel quale
si realizza ogni giustizia, che, secondo San Bernardino, ha caratteristiche deci-
sive nelle sue tre espressioni di giustizia sociale, commutativa e distributiva. 59
57 Per il Bruni, le humanae litterae e gli studia humanitatis formano luomo integrale. Per
questo egli tiene gli occhi fissi alla virt civile, che insieme perfezione dellindividuo e
della vita civile.
58 Cfr. O. Nuccio, La civilt italiana nella formazione della scienza economica, Etaslibri, Mi-
lano 1995.
59 San Bernardino da Siena, Antologia delle prediche volgari, a cura di F. Felice e M.
Fochesato (con postfazione di O. Bazzichi, Il modello socio-economico nel pensiero e nella pre-
dicazione di San Bernardino da Siena, pp. 205-226), Cantagalli, Siena 2010 (predica de Il Buon
Governo, p. 83 : Dico che la giustizia una costante volont e perpetua ; sai, che non vagilli,
ma sia ferma ; e che si renda a ciascuno quello che suo, e quello che se li conviene ; cio
del resto, il denaro, senza il quale la citt non pu vivere ( necessario come
il sangue per il corpo umano), perch verrebbero meno i commerci e la citt
rimarrebbe privata di tutti quei beni di cui ha bisogno. Quindi, per una citt
leconomia monetaria vitale. 61
renza che oggi, mutati gli usi e i costumi della societ civile, pu suscitare im-
barazzo, almeno per quanto concerne il senso estetico di certe scelte espressi-
ve, che si possono leggere anche nelle prediche qui raccolte. Ma si riscontra in
esse una carica di realismo, che il santo senese ricerca e accarezza per rendere
incisivo il discorso, comprensibile il messaggio e, non ultimo, per tradurre in
modo confacente, alla sensibilit degli ascoltatori, le proprie emozioni.
Egli, quindi, mira al cielo, ma non disdegna di osservare le cose della terra ;
80 volte Pietro di Giovanni Olivi, 39 Giovanni Duns Scoto, e poi via via altri
confratelli che si sono occupati della mercatura, dellorigine del valore econo-
mico delle cose, del formarsi del prezzo delle merci sul mercato, dellusura e
dellinteresse, del mercato monetario e dello sconto.
Ma, se a queste analisi economiche, di proprio Bernardino aggiunse poco o
nulla, ci non esclude che non avesse una buona conoscenza del mondo degli
affari e non fosse attento alle realt sociali. Difatti, condanna i mercanti che
fanno incetta di viveri per farne aumentare i prezzi, e che perci determinano
situazioni artificiali di carestia e di fame. 62 Conosce bene i problemi del fi-
60 Se non si facesse la giustizia, ogni citt sarebbe piena di iniquit (ibidem, p. 88) ; e pi
oltre : Cos se tu levi i gattivi duna citt, poche volte vi troverai delle ingiustizie ; e ancora :
Uno gattivo non guasta solo la sua casa, ma tutta la sua citt e anco tutta Italia . E nella
predica il Timor di Dio (nella sezione E dove pi morta la giustizia che a Siena afferma :
Mai non trovai terra dove mancasse la giustizia, che mai sia bene capitata (ibidem, p. 105) ;
e a p. 106 aggiunge : Ella tanto necessaria ne le citt. Che non si pu bene vivere senza .
61 Cfr. Sermones imperfecti, in Opera omnia, studio et cura PP. Collegii S. Bonaventurae ad
fidem codicum edita, 9 voll., Florentiae 1950-1965, vol. viii, p. 46.
62 Cfr. Opera omnia, o. c., vol. iv, p. 153. 63 Ibidem, pp. 288-295.
36 oreste bazzichi
e disastri economici. 64 A proposito di questultime attivit speculative, Ber-
Daltra parte, egli non poteva non essere attento osservatore della contra-
stata e rigogliosa vita economica del suo tempo. Lefficacia stessa della sua
predicazione esigeva, infatti, una continua aderenza alla realt quotidiana. Co-
s il dinamismo economico delle citt italiane del Basso Medioevo si riflessero
nel suo pensiero e nei suoi scritti e gli suggerirono i temi contingenti per la
sua predicazione. 66
predicazione di Bernardino da Siena, in D. Maffei - P. Nardi (a cura di), Atti del Simposio
internazionale cateriniano-bernardiniano (Siena, 17 20 aprile 1980), Accademia Senese degli
Intronati, Siena 1982, pp. 811-834 (riprodotto nel Suppl. Etica ed Economia , n. 2 (2010) de
agor), la cattedrale, il palazzo del governo, il palazzo dei mercanti e delle cor-
porazioni di arti e mestieri (organizzazione del lavoro manifatturiero), il mer-
cato (luogo delle contrattazioni e degli scambi), i palazzi dei ricchi borghesi, i
conventi degli Ordini religiosi dislocati per lo pi ad anello dentro le mura ed,
infine, le chiese dove avevano sede anche le Confraternite. Attraverso questi
luoghi concreti si coltivavano le virt civiche, che definivano la societ pro-
priamente civile, le cui principali caratteristiche erano : la fiducia reciproca, la
nel 1494 ; 67 il foro dei mercanti ; le lettere di cambio ; i Monti di Piet ; la borsa ;
Non deve stupire, in fondo, che Bernardino, Bruni, Alberti o Poggio Brac-
ciolini sostengano lattivit economica e le ricchezze, proponendo tesi simili
gliando strategia e se il caso di chiudere. Il connubio fra matematica e misura dei fatti
aziendali costituisce appunto la partita doppia.
68 Benedetto XVI, Caritas in veritate, Libreria Editrice Vaticana, Citt del Vaticano 2009.
Cfr. O. Bazzichi, Paradigma francescano e Caritas in veritate, La Societ , 6 (2009), pp. 784-
800 ; inoltre Idem, Valenza antropologica del discorso economico francescano. Dai Monti di Piet
alle proposte odierne di finanza etica, Miscellanea Francescana , 105 (2005), pp. 480-500.
incontrarsi e scambiare beni, guardandosi in faccia con pari dignit. Cfr. F. Zamagni, Per
uneconomia civile nonostante Hobbes e Mandeville, Oikonomia , 3 (2003), pp. 11-23.
71 Sul tema delleconomia civile, cfr. S. Zamagni - L. Bruni, Lezioni di economia civile,
Editoriale Vita, Milano 2003 ; L. Bruni - S. Zamagni, Economia civile. Efficienza, equit, felicit
Zamagni, Dizionario di economia civile, Citt Nuova, Roma 2009. Per un approfondimento
sullUmanesimo civile, accanto alle forme tipiche dello Stato e del mercato, cfr. F. Felice,
Leconomia sociale di mercato, Rubbettino, Soveria Mannelli 2008.
73 Il tema del terzo capitolo dellenciclica significativamente intitolato Fraternit, svi-
luppo economico e societ civile. Tra laltro, scrive Benedetto XVI : Il cattivo utilizzo della
finanza che ha danneggiato leconomia reale propone di ricorrere anche alla esperienza
della micro finanza, che affonda le proprie radici nella nascita dei Monti di Piet (n. 65) ;
valore legame.
Abstract : In recent years studies surrounding the Low and Late Middle Ages have suggested
an interesting direction for research regarding the relationship between the thinkers of the
Franciscan School and the origins of capitalism. The authors analysis presents surprising
results that surpass Webers thesis on the links between Protestant ethics and the spirit of
capitalism : the reflection of Franciscan theologians needed to clarify the difference between
usury and loan, between luxury and proper use of goods, within the horizon of the common
good, and therefore created the conditions for economic growth. It has paradoxically contrib-
uted to the formation of a commercially semantic lexicon and a widespread social culture,
in which the society of the market has established the fundamental categories for subsequent
developments. Without detracting from the great wealth of ideas born out of the Thomistic
school nor the literary forms of secular humanists, this essay invites us to re-examine Fran-
ciscan economic thought in light of the current, serious economic and financial crisis. In
order to overcome this crisis we must examine not only the sphere of production, but also of
nonproduction, that is, the economy of gift, fellowship, and the sharing of goods, which does
not exclude competition. On the contrary, it places competition within solidarity and its com-
munal and social value.
Keywords : San Bernardino da Siena, Alessandro Bonini di Alessandria, Giovanni Duns
Scoto, economy, ethics, Fra Pietro di Giovanni Olivi, Franciscan political thought.
Ascesa ed espansione. 2.2. Frammentazione e implosione. 3. Lirrompere delle crisi : solo frat-
tura nel cronos o anche momento di kayrs ? 4. La libert dei liberi. 5. Riammettere la realt.
5.1. La realt come ambiente ospitale. Libert come cura. 5.2. La realt come forma. Libert
come assunzione del limite. 5.3. La realt come interpellazione. Libert e senso. 6. La libert
generativa.
1. Il punto di partenza
2. 2. Frammentazione e implosione
Lalleanza tra nuovo capitalismo, tecnica e nichilismo struttura delle logiche
che investono la vita sociale collettiva e individuale. Una di queste la fram-
mentazione che interessa pi livelli. Ne menzioniamo alcuni. Vi la frammen-
3 Cfr. B.J. Pine - J.H. Gilmore, Leconomia delle esperienze, Etas Libri, Milano 2000.
le illusioni del capitalismo tecno-nichilista 45
tazione delle solidariet : lesaltazione dellindividuo comporta un indebolimen-
Sganciati dal loro contesto, deprivati del loro significato e appoggiati solo sul-
le spalle dellindividuo, i rapporti sociali e umani si trasformano in unimpresa
titanica, anche perch, in un mondo in cui ciascuno ha la pretesa di affermare
la propria verit, la probabilit dellincomprensione e dellequivoco non pu
che aumentare.
Infine, la frammentazione tocca il s, tanto che vi chi parla dellIo non pi
come individualit ma come singolarit evento : energia libera, volont di
verso i progressi della biologia, noi possiamo guardare ai fenomeni della vita
analizzandoli a livello della regione sub-microscopica, per cui il corpo diven-
ta un fatto compiutamente bio-tecnico. A questo punto, per, si compie un
passo antropologico enorme : nel momento in cui la tecnica, il sistema econo-
tamento della crescita delle opportunit segna uno scacco alla garanzia di una
continua espansione che non ammette riduzioni del livello di vita. Tuttavia,
il limite del capitalismo tecno-nichilista sta nella dinamica che gli propria :
si riflesso nella crisi alimentare, con limpennata dei prezzi del petrolio pri-
ma e dei generi alimentari poi. 5 Il problema che la gestione di certe risorse
5 Tra la fine del 2006 e linizio del 2008 i prezzi dei generi alimentari sono aumentati del
70%, con drammatiche ripercussioni soprattutto in paesi gi attraversati al loro interno da
ingenti problemi sociali.
le illusioni del capitalismo tecno-nichilista 47
di vista della logica degli investimenti, tanto che una necessit energetica pu
essere soddisfatta anche a scapito di unaltra, nellillusione che la crescita pos-
sa continuare allinfinito.
Infine, la crisi sociale. A tale proposito, oltre a quanto gi sopra ricordato
a proposito della frammentazione dei legami, accenniamo alla crescita espo-
nenziale delle disuguaglianze globali e locali, processo che consegue allo sgan-
ciamento della crescita da qualsiasi nozione di equit distributiva. 6 Dietro alla
6 Una idea di massima ci viene data dal rapporto del undp : il 5% pi ricco della popola-
zione dispone dell86% del Pil mondiale, mentre il 5% pi povero dell1%. Negli anni 60,
tale rapporto era di 30 :1. Anche i dati relativi al nostro paese sono sconfortanti : rispetto alla
met degli anni 80, la disuguaglianza cresciuta del 33%, e oggi il 10% delle famiglie dispo-
ne del 45% della ricchezza, mentre il 50% dispone solo del 9,8%.
48 mauro magatti monica martinelli
indica drammaticamente la crisi energetica), nel perdere laltro (come mostra
la crisi del legame).
Tali perdite non sono estranee ai presupposti dellimmaginario della libert
che ha fatto da sfondo al capitalismo tecno-nichilista. Dopo essersi espressa
nella ribellione e contestazione degli anni 70, la libert si alleata profonda-
mente con il binomio potenza-volont di potenza (potenza a livello aggre-
gato e volont di potenza sul piano soggettivo) fino a coincidere con la sua
inarrestabile espansione e indiscussa apertura. Limpressionante energia che
si sprigionata in questi decenni ha mostrato il potere della libert : il potere
propriamente della libert, che passa attraverso la ribellione e arriva fino al-
la perdizione anarchica. Ma, giunti a questo punto, si tratta di decidere se e
come farla evolvere o se ridurla fino a lasciarla morire. La crisi dentro cui ci
troviamo pu condurre alla implosione o alla maturazione della libert. In al-
tre parole, il tempo in cui ci troviamo pu limitarsi a costituire un momento
cronologico che succede, tra continuit e fratture di orizzonti, alle epoche che
lo hanno preceduto oppure essere guardato come momento opportuno un
kairs, appunto per riappropriarci di quelle domande reali che esigono rispo-
ste reali, lasciandoci interpellare dalle contraddizioni che, spesso, sono foriere
di percorsi generativi inediti, capaci di elevare il pensiero e rendere vivibile
lesperienza umana.
In tal senso, la crisi, nelle sue diverse sfaccettature, ci insegna che il primo
passo del cambiamento richiede di riconoscere che gran parte della realt
stata esclusa dal mondo costruito dal capitalismo tecno-nichilista. Essa pu
quindi divenire una straordinaria occasione per cambiare le cose e costruire le
condizioni per una nuova stagione di libert. Migliore di quella che abbiamo
conosciuto. Non si tratta di tornare indietro, di ipotizzare o auspicare, per cos
dire, un contenimento della crescita o una limitazione della libert. Si tratta di
star dentro la storia, apprendendo da essa. Il compito, per la libert matura, si
mostra in tutta la sua portata : assecondare i percorsi positivi che la fase storica
alle nostre spalle ha prodotto provando a cambiare rotta per delineare strade
alternative di un nuovo modello di sviluppo socio-economico sostenuto da
uno spirito e disposto a lasciarsi provocare dalla realt.
I classici del pensiero sociologico possono insegnarci qualcosa in tale dire-
zione : essi avevano infatti colto limportanza della dimensione spirituale nella
questo frame, lessere umano ridotto a puro organismo biologico, privato del
suo rapporto con la parola, la memoria, la storia, il mistero. La vita diviene qui
un valore capitalizzabile e messo in produzione, al di l del limite della vita per
eccellenza, ossia la morte sempre pi allontanata dallorizzonte del possibile. 8
La nozione di vita cui intendiamo riferirci non il mero bios n la vita so-
nel senso individuale del termine, ma un dio, essenzialmente lincarnazione di colui che
ma che non (G. Bataille, Lal di l del serio e altri saggi, a cura di F.C. Papparo, Guida,
la realt (come vita) accessibile solo attraverso delle forme. Le forme sta-
biliscono dei limiti : esse definiscono il modo attraverso cui abbiamo accesso
alla libert. Ci implica riportare ad una scala pi realistica alcune utopie della
societ contemporanea ;
funzionale non basta, anzi spezza la vita. Tornare a interrogarsi attorno a que-
sta dimensione significa ammettere che il significato ha una sua profondit.
Queste tre direzioni presuppongono come condizione, ma al contempo
hanno come effetto, una certa visione antropologica e consentono di perve-
nire a delineare una libert che accetta di evolvere verso la sua maturit come
libert generativa.
5. Riammettere la realt
5. 1. La realt come ambiente ospitale. Libert come cura
Per poter far fronte alle sue esigenze espansive di crescita, il capitalismo tecno-
nichilista si dispiegato lungo due direttrici ambigue rispetto al rapporto con
la realt.
biente storico, naturale, relazionale, alla cui confluenza lIo stesso si forma.
Assumere ci significa porre al centro dellattenzione il fatto che, come tale,
questo ambiente richiede di essere curato se si vuole custodire lumano. Di
fronte alle interpellazioni e alle esigenze poste dalla storia, dalla natura e dalle
relazioni, la strategia espansiva fatta propria dal capitalismo tecno-nichilista
stata quella di far leva sulla innovazione meramente tecnica, sulla intensi-
t della mobilit e sulla fluidit delle situazioni, incuranti della natura, della
storia e del sociale mondi pensati come fossero un giacimento cui attingere
senza curarne la continuit e senza investire nella loro riproduzione, fino a
prosciugarli.
Curare lambiente storico implica riconsiderare le coordinate spazio-tem-
porali oltre la prospettiva che, negli ultimi decenni, le ha viste collassare e
appiattirsi sul mito, da un lato, del superamento dei vincoli dello spazio e,
dallaltro, dellaffermarsi del tempo come istantaneit, prestando il fianco a
10 Cfr. G. Anders, Luomo antiquato. Considerazioni sullanima nellera della seconda rivolu-
zione industriale, Il Saggiatore, Milano 1963.
le illusioni del capitalismo tecno-nichilista 53
una visione meccanicistica della realt. Curare implica ri-significare il ricor-
do e la memoria che danno consistenza a una esperienza, a un fenomeno, e
fanno durare qualcosa oltre il momento contingente. La continua adesione al
nuovo, predicata dal tecno-nichilismo, ha richiesto di cancellare rapidamente,
di girare la pagina per far tornare il foglio a essere miracolosamente bianco : 11
11 Il problema che, come osservava H. Arendt, senza la continuit di una storia, di una
memoria, non c n presente n futuro, n possibilit di scegliere n di indicare cosa ha va-
lore, ma solo il divenire eterno del mondo, e in esso il ciclo biologico degli esseri viventi
dallo choc della contingenza attraverso cui passa la realt della vita contin-
genza che gli rivela in fondo la provenienza da unorigine che non il suo Io
e a cui non corrisponde ma con cui interpellato a identificarsi limitandosi
, vuole perpetuare lindeterminazione per non precludersi la possibilit di
assumere una qualunque forma, di essere ovunque nello stesso tempo fino a
costruirsi una esistenza contro-storica.
Lesperienza del limite costituisce uno dei rimossi dellimmaginario del ca-
pitalismo tecno-nichilista. Tuttavia, proprio tale esperienza la condizione
di possibilit perch qualcosa esista, perch la vita stessa si dispieghi. Il limite
pu essere una fine ma anche un confine (limes) e quindi indicare la possibilit
di un inizio. Perch qualcosa possa esistere deve essere confinata, senn sa-
rebbe tutto e quindi niente : non ci pu essere infatti confine nei confronti del
non coincide con il mero processo cosmico o con una struttura biologica.
tutto ci e pi di tutto ci. La vita processo e forma insieme, in cui la forma
non una sostanza, cos come il processo non meramente fluido e indistin-
to. Questultimo, nel suo corso, tende ad assumere forme puntuali che ven-
gono continuamente trascese dalla vita. Nel suo rimanere in s, la vita si d
propriamente come processo continuo. Ma la vita si distanzia continuamente
da s, si trascende divenendo appunto forma in cui essa si d alla esperienza
che noi facciamo della vita in una situazione particolare.
Simmel insiste su ci : poich la forma costituisce un limite, la vita si d a
noi solo nella adesione al limite, sia nel senso di considerarla non solo come
mero fluire perenne e incondizionato sia nel senso di assumere attivamente
il dato della contingenza e dellidentificazione come costitutivo, seppur non
esaustivo, dellagire umano. La vita di cui facciamo esperienza e che noi stessi
siamo la vita intessuta di contenuti, volont, azioni, pensieri, decisioni, ecc.
non si esaurisce mai in essi. La nostra stessa biografia costituisce una espres-
sione della vita : in essa tendono a unificarsi la spinta a superare ogni limite e
ma, la libert assume il limite, riconosce che creare dare forma a qualcosa
che dura e che, diversamente, rimarrebbe schiacciata sullistante e sulla super-
ficie dello scorrere degli eventi.
Guardare la libert attraverso la forma non solo la strappa dalla illusione
di totale ab-solutezza, ma la ancora dentro lesperienza umana aprendola ad
ospitare, come tratti di realt, lalterit, il legame, il mondo, la trascendenza.
Latto con cui la libert decide di affermare o negare la realt della vita-forma
anche latto con cui essa decide di s. Si pu infatti perdere la libert con un
atto di libert : per questo, la sfida della libert dei liberi ha uno spessore enor-
12 G. Simmel, Intuizione della vita (Quattro capitoli metafisici), Bompiani, Milano 1938, p.
134.
13 ancora Simmel a offrirci una indicazione preziosa, mettendo in evidenza che solo la
responsabilit pu fondare la libert. Essa non una riduzione di questa, ma ne costituisce
la condizione, trattandosi della differenza immessa dalla nostra risposta allevento e, pi
ampiamente, alla realt (per un approfondimento sul tema nellautore, ci permettiamo di
rimandare a M. Martinelli, Laltra libert. Saggio su Georg Simmel, Vita e Pensiero, Milano,
in corso di pubblicazione).
le illusioni del capitalismo tecno-nichilista 57
cio pi della forma e, allo stesso tempo, forma la cui definitezza rimanda a
un infinito.
5. 3. La realt come interpellazione. Libert e senso
Autori come Weber e Simmel, da angolature diverse, hanno esplicitato lim-
prescindibile legame tra la questione del senso e la libert. Secondo tali pen-
satori, porsi la domanda del senso , infatti, gi interrogarsi sulla libert nella
sua interezza, perch ci significa che luomo si percepisce come un essere che
non sottost n al meccanicismo di causa-effetto (e allinesorabilit del proces-
so di razionalizzazione), n alla casualit degli eventi e degli umori, n infine
al vitalismo. Egli si pensa come colui che pu dare una direzione alla propria
esistenza e alla convivenza collettiva in relazione alla totalit dellessere e della
vita, in relazione ad altri tu, a un ambiente, a una storia, a un mondo sociale
che, a sua volta, ci istituiscono come singoli individui mentre forgiamo rispo-
ste nei confronti delle interpellazioni che si dirigono a noi esigendo, appunto,
una risposta vivibile : pertanto, esse divengono interpellazioni di senso.
6. La libert generativa
La libert nel capitalismo tecno-nichilista ha assunto le sembianze proprie del-
la adolescenza che, non volendo sentir parlar daltro che di se stessi, si lascia-
ta trascinare dalla vertigine di s come se la realt non esistesse. Dal suo stato
di perdizione e anarchia, cui giunta, essa non pu che evolvere verso qualco-
sa daltro, pena rinunciare ad esistere. Il punto che la decisione rispetto alla
direzione da prendersi costituisce, a sua volta, un atto di libert : per questo,
la libert dei liberi, pi che come un mero stato, si presenta come una impe-
gnativa sfida. Il passaggio dalla adolescenza alla maturit, per non evolvere in
una implosione o stagnazione, richiede lincontro e lo scontro con la realt,
e questa come vita, la cui riammissione pu condurre a generare qualcosa di
nuovo, un mondo prima sconosciuto.
Generare un attributo riconosciuto dallo psicologo sociale Erikson
come proprio dellet adulta. Esso implica la volont del soggetto, ma al
contempo richiede la disponibilit a far esistere qualcosa in un modo che de-
mistifica la volont di potenza. La generativit non costituisce una mera pre-
rogativa individuale : gli studi a proposito mettono in luce la crucialit della
in Generativity and Adult Development. How and Why we Care for the Next Generation, American
Psychological Association, Washington, USA 1998.
60 mauro magatti monica martinelli
re, a mettere al mondo. Essa sta dentro la vita reale di cui si prende cura, con
lattenzione a contrastare quelle patologie che sempre possono insorgere nel
momento in cui avviene uno sbarramento che si trasforma in chiusura rispet-
to allalterit. Questo prendersi cura si dirige verso realt concrete, esito del-
la combinazione variabile di spazialit fisiche e simboliche, nonch di diversi
campi del sapere, quadri valoriali, forme culturali e istituzionali, ammettendo
lesistenza di un prima, di un adesso e di un dopo, in relazione a cui si assume
la responsabilit del proprio darsi restando in ascolto di ci che non preve-
dibile pur se non genericamente indistinto. Tale libert pertanto una espe-
rienza anzitutto relazionale e di responsabilit, di risposta mai meramente
tecnica alle questioni, accettando piuttosto di esserne coinvolti, di lasciarsene
interpellare e, per questa via, di restituire un senso.
La libert che accetta la sfida della generativit, mentre fa esistere e cura ci
che crea, non lo trattiene presso di s, ma lo lascia a disposizione di altri, senza
tuttavia che termini la responsabilit nei suoi confronti. E questo perch non
termina lessere situati e immersi nella relazione del rispondere-a-qualcosa e
a-qualcuno, ben al di l dellidea dellessere umano come dotato genericamen-
te della libert. Una tale libert presuppone una certa visione antropologica.
Alcune sottolineature a proposito sono gi emerse. In chiusura ci limitiamo
a riprendere alcuni aspetti che ci vengono suggeriti da Ricoeur e, ancora una
volta, da Simmel.
Come noto, Ricoeur, nel delineare lidentit dellindividuo si distanzia
dallidea dellidem (identit come medesimezza) e propende per lipseit per cui
il medesimo/stesso non elimina la dialettica del s e dellaltro da s. Lin-
dicazione di Ricoeur va nella direzione del riconoscere che lindividuo una
forma avente una propria struttura, qualcosa cio che opposto allevento
e che ha una permanenza nel tempo (di contro alla logica del capitalismo
tecno-nichilista). Ma questa struttura costitutivamente relazionale e dialo-
gica poich confrontata con lalterit del mondo, degli oggetti, dellaltro, del
proprio corpo (di contro allimpianto volontaristico ancora dominante nella
prima met del 900) : essa non quindi una sostanza granitica, indipendente
con laltro, noi nasciamo con un debito infinito nei confronti degli altri. Esso
un limite che ci abilita perch ci riporta alla concretezza della nostra realt.
Tutti siamo indebitati gli uni con gli altri. Ed su questa base che le societ
umane si costituiscono e sviluppano.
Ed su questa base che la libert pu fare un balzo in avanti dalla adole-
scenza alla maturit divenendo libert generativa che si sviluppa confrontan-
dosi continuamente con quel resto indiviso che affiora quando il riconosci-
mento di un debito non coincide mai perfettamente con la sua estinzione, per
cui si avvia un circuito di reciprocit estesa a terzi in grado di ricollocare la
nostra libert in presa diretta con la realt.
Abstract : In the last decades of the twentieth century, a powerful restructuring of capital-
ism particularly marked by the set up of a new accumulation phase has progressively oc-
cured. In this respect, the most crucial elements are represented by a typology of power system
based on flexibility and mobility, by the accentuation of technical dimensions which allow
the efficient management of diverse flows , and by the nihilistic vision according to which
all meanings are malleable. Thereby, the techno-nihilist capitalist has arisen as a new form
of social life organisation. On the one hand, it has taken form of a collective imaginary able
to support the logic underlying the social world structuring, and on the other, it has claimed
the identification of freedom with the will of power self-determination based on a highly
reductive anthropological idea. However, this system has soon reached a bottleneck, particu-
larly stressed by the crisis eruption. In fact, the latter, by having severely affected the world
economy, has somehow required to rethink this system logic and its underpinning schemes.
Finding the exit from the current crisis will need time, and, not irrelevantly, a certain amount
of institutional innovation. Anyhow, the solution will be hardly found without referring to a
new kind of spirit, namely to a new social imaginary of freedom.
Keywords : capitalism, political philosophy, sociology, social imaginary of freedom, social
life.
Creation theology in economics
several catholic traditions
Michael Novak*
Summary : 1. Introduction. 2. The Shocking Facts. 3. Looking Down on Commerce. 4. Angli-
can and Orthodox Catholic Traditions. 5. John Paul II and Creation Theology.
1. Introduction
Poor is what most humans in history have always been. Poverty, one might say,
acta philosophica i, 21, 2012 pp. 63-76
64 michael novak
is natural to humans. What is unusual is the systemic creation of wealth, slow but
steady development. That is what requires an inquiry into its nature and causes.
Once the nature and causes of wealth have been figured out, one can begin
to envision a time when the shackles of poverty are broken. One can begin to
imagine universal economic development. One can begin to imagine univer-
sal affluence (Adam Smiths term). That is why Smiths book is so revolution-
ary. That is why it launched a huge transvaluation of morals.
Before Smith, it was possible to believe that poverty was morally neutral, simply
a natural phenomenon. A large majority of people are poor, and there is noth-
ing we can do about it, people said. The poor ye shall always have with ye. 1
After Adam Smith, it became clear that whole nations could adopt new
systems and methods (as well as new habits), whose fruit would be greater
wealth, more widely distributed than ever before (not at first universally, but
more and more widely). Whole nations, one by one, learned how to make
steady economic progress, and their standard of living kept growing decade
by decade.
More important : No world leader could say : Most of my people are poor,
and I intend to keep them poor. Such a sentiment no longer reflects natural
wisdom, but gross and hard-hearted immorality. The continued existence of
systemic poverty in a nation has come to be seen as a moral deficiency, in need
of urgent correction. If the poor can be freed from the shackles of poverty,
then morally they must be. A new moral calculus has entered into this world.
Ethics and Public Policy Center, Washington, D.C. 1979, p. 4. Also see L. von Mises, ed.,
The Anti-Capitalist Mentality, D. Van Nostrand Company, Inc., Princeton 1956 ; and F. von
Hayek, Capitalism and the Historians, University of Chicago Press, Chicago 1954.
3 Taken from J. Stuart Mill, Principles of Political Economy, D. Appleton and Company,
New York 1888, pp. 520-521.
creation theology 65
In other words, in the short span of fifty years, most wage earners received
more than a 50% increase in wages, some more than 100%, with the highest,
the Weavers and Spinners gaining 150-160%.
At the beginning of the nineteenth century, only duchesses wore silk stock-
ings ; by the end, even working girls did. At the beginning of that century,
few had eyeglasses ; by the end, eyeglasses were in frequent use. Dental care
advanced somewhat (much more so, however, in the 20th century). Longevity
rose steadily, and infant mortality began to decline (again, much more so in
the 20th century).
Moreover, during just the past thirty years, two of the nations on earth with
the largest number of poor persons China and India liberated more than
one-half billion of their citizens from poverty. This was the swiftest, largest
advance out of poverty in history. These nations used the very secrets uncov-
ered by Adam Smith : private ownership and personal initiative.
What is the cause of the wealth of nations ? At root, it is invention and dis-
covery such as the invention of the pin machine, which Smith describes in
his very first chapter. 4 It is the use of the mind in organizing work efficiently
(with less wasted time and effort), and in finding new ways of doing things. It
is supplying the incentives that prompt people to do things with energy and
desire, rather than being coerced into what they are doing.
As Abraham Lincoln put it, for example, the Patent and Copyright Clause
(of the U.S. Constitution) added the fuel of interest to the fire of genius, in
the discovery and production of new and useful things. 5 He meant that by
erywhere, land as a source of wealth has fallen far behind invention, discovery,
initiative, and other forms of creativity. Whole new sciences and technologies
have been developed, delivering all sorts of new medicines and medical op-
erations, new forms of energy, new modes of communication, new vehicles
for transport, airplanes, fi ber optics, genetic medicine. Not long ago, the vast
majority of the people of the world worked in agriculture. Not today. The
vast majority today work in centers of experimentation and discovery, com-
munications, and in multiple new forms of commerce and international trad-
ing. There is hardly a kitchen table in the developed world on which there are
not served fruits, foods, drinks, and condiments from other lands far across
the globe. Most food products today are marketed internationally.
Thus, a whole new world of economic activity has sprung from the human
mind during the past two centuries. Nowadays, creativity and know-how are
the greatest single causes of the wealth of nations. In the young especially,
the training and patient instruction of the mind is required, if the knowledge
gained in the past is to be used fruitfully for the human race. Practical knowl-
edge about how to bring new things never seen before into existence is essen-
tially important today.
The new economy in which we live is often called the free-market econo-
my. But markets are universal. Markets were central during the long agrar-
ian centuries, through biblical times, in all times. For this reason, the term
the market economy or even the free-market economy somewhat misses
the mark. More accurate is the initiative-centered, the invention-centered,
or in general the mind-centered economy. More than anything, mind is the
cause of wealth today. The Latin word caput (head) the linguistic root of
capitalism has inadvertently caught the new reality quite well.
The free economy captures only part of the secret it emphasizes the
conditions under which the mind is more easily creative, in the fresh air of
freedom. Freedom is a necessary condition, but the dynamic driving cause of
new wealth is the initiative, enterprise, creativity, invention which uses the
freedom. Freedom alone is not enough. Freedom alone can also produce in-
dolence and indulgence. To awaken slothful human beings out of the habitual
slumber and slowness of the species, the fuel of interest must normally be
ignited. One must move the will to action by showing it a route to a better
world. Since humans are fallen creatures, mixed creatures, not angels, the fuel
of interest is a practical necessity. The fire of invention lies hidden in every
human mind, the very image of the Creator infusing the creature. To ignite
68 michael novak
it, one must offer incentives, a vision of a higher, better human condition,
not only thisworldly, but also nourishing the expansion of the human soul
and easement of bodily infirmities. There is a natural desire in every human
being, although it is often slumbering, to better his or her condition. And it is
good for a woman to liberate herself and her whole people from the narrower
horizons within which they find themselves. It is good for humans to catch
glimmers of new possibilities for human development.
This, or something very like this, is the famous, celebrated, and usually
misunderstood spirit of capitalism. This is not a spirit of greed or avarice,
which are grasping and small, not creative. It is an esprit, a gift of the spirit
rather than of the body. It is sometimes found even in a single isolated human
breast (as in that of Robinson Crusoe, in the famous parable 6). But it is also
capable of being lit like a prairie fire across an entire culture, and transforming
its entire attitude toward life. The spirit of capitalism is far from being entirely
materialistic, even miserly. Far from it. This spirit teaches people to turn away
from what they now have, to put that at risk, to stop clinging to the safe things
of the past, and to set off bravely toward inventing new futures. It is a spirit of
risk. It is a spirit of adventure. It is a spirit of creativity. It is a spirit that incites
dreams, and in a quiet undertone murmurs, Why not ?.
The spirit of capitalism belongs more to the human spirit than to the rela-
tively inert flesh and matter of the past.
The early theoreticians about this new appearance in history linked this
new spirit, suggestively but ultimately erroneously, to the Protestant Ethic
of the 16th through 19th centuries. Its origins in Western Europe are far earlier.
These great scholars, pre-eminently Max Weber, usually did note as an aside
that the first intimations of this new spirit, which slowly dislodged the ancient
and traditional agrarian economy from the center of human history, blazed
up in the indispensable commercial ventures, and in the inventive, entrepre-
neurial talents of such medieval cities as Florence, Lucca, Bologna, Venice,
and others. They had flourished even earlier among the many single-resource
nations of the Middle East, which depended on one another for their well-
being, if not survival.
The real oversight of Weber and others, however, was to identify as the es-
sence of the new spirit : asceticism, hard work, frugality, self-discipline, and
the other self-denying ordinances of the Protestant Ethic. 7 The problem is,
1958) : The religious valuation of restless, continuous, systematic work in a worldly calling,
as the highest means to asceticism, and at the same time the surest and most evident proof
of rebirth and genuine faith, must have been the most powerful conceivable lever for the
expansion of that attitude toward life which we have here called the spirit of capitalism
(ibidem, p. 172).
creation theology 69
their definition struck only in the outer rim of the bulls-eye. Asceticism, fru-
gality and related virtues are common to many communities of the monastic
traditions of many different religions (such as the Essenes in Palestine, some
forms of Buddhism, the Benedictines of the 6th century, etc.). But Weber and
the others missed the center of the target : that great lunge of the enterpris-
ing, adventuring, creative spirit that springs directly from the inspiration of the
Jewish Testament, the Torah, 8 and has been carried forward in history more
centrally by the Catholic traditions than by the Protestant. The heart of the
capitalist ethic is not self-denial (although that is important) but creativity. 9
One should not at all take from the Protestant Spirit the immense credit it
deserves in the history of human progress and development -- especially for
promoting popular education, the printing press, crucial elements of modern
democratic life, such as the recognition of human sin as a reason for checks
and balances, and also for honoring thrift and industry, and business as their
fruit. Protestantism played a large role in giving shape to the daily life of the
new bourgeoisie in the growing towns and cities, as opposed to the more Cath-
olic tenor of the feudal and chivalric life of the countryside and villages. This
new bourgeoisie was comprised of all those persons who were neither nobles
nor bonded serfs, but independent persons who lived by their own wits and
crafts.
By contrast, the Catholic churches (Greek, Roman, Russian, Anglican) had
lived so many centuries incarnated, so to speak, in the agrarian culture, that
they were closer to the land, less dynamic, less focused on the individual. They
were traditional rather than new. The new Protestantism seemed in some
ways better suited to the spirit of the bourgeoisie and its emphasis on indi-
vidual achievement. (This was ironic, because theologically, Protestants tend
to downplay works, individual efforts, and merit, in favor of faith and grace
alone.)
The empirical record does not entirely fit the theory attributing the origin
of capitalism to the Protestant Ethic. In Great Britain, contrary to what We-
bers theory would lead one to expect, it was not in Presbyterian Scotland,
nor in Methodist Wales, but in Anglican Catholic England that the invention
and creativity of the Industrial Revolution most strongly manifested itself. 10
The Catholic faiths tend large-mindedly to praise the beauties and glories of
creation, as do the Psalms of David and most other Hebrew books of the
8 See D.J. Boorstin, The Creators : A History of Heroes of the Imagination, Vintage, New
York 1993. See also D. Landes, The Wealth and Poverty of Nations, Norton, New York 1998.
9 See M. Novak, Beyond Weber, in On Capitalism, Stanford University Press, Stanford
2007.
10 See M. Novak, The Catholic Ethic and the Spirit of Capitalism, The Free Press, New York
1993, pp. 1-14.
70 michael novak
Bible. They stress the goodness of creation, while emphasizing as well the
wound that humans suffered. They exalt artistic creativity, architecture, the
visual arts.
By contrast, the most dissident Protestant sects tend to stress the fallenness,
indeed, the depravity of the human being, his helplessness beneath the Bar of
Gods Justice, his complete dependence on the necessity of Redemption by
and through Jesus Christ alone. There are magnificent exceptions, such as J.S.
Bach, but I think it must be said that the Catholic faiths place far more stress
upon the glories and beauties of God seen in creation. Especially in the visual
and tactile arts, including statuary and sculpture, they explode in festivals for
the eye and ear. By contrast, the dissident Protestant churches favor simplic-
ity, plainness, the absence of ornament, and only a restrained celebration of
nature. Protestant churches tend to get down to basics, as they see the basics.
They emphasize spirit far more than the flesh. They favor the ascetic rather
than the celebratory instinct, hard work rather than the serendipity in which
creative ideas are usually born.
For the Catholic faiths, the themes of Creation and Redemption work more
closely together. In the great Eastern churches of the first five centuries, the
great symbol of the Pantokrator, Maker of all things, Source of all good, domi-
nates the apses of great, colorful, mosaic-rich houses of worship.
In addition, the early Greek Fathers, as compared with the Western Fathers,
spoke very favorably of commerce. They used commercium divinum (the divine
commerce) as a metaphor for the interchange between God and Man personi-
fied in Jesus Christ. Commerce was to the Greek, Arab, and Turkish Fathers a
dear image. Their very lives depended on international commerce. The desert
nations around the eastern and southern Mediterranean needed many goods
from abroad. Church Fathers like St. Ephrem of Syria (306-373 AD) used im-
ages of the international commerce he observed around him in the sails and
busy harbors, as metaphors for the Mystical Body of Christ. He saw Christi-
anity as the one spiritual inner life of God, dwelt in at the same time by an
extended international community. Nations that produced wine and olive oil,
and those that produced wool or magnificent cedar wood, desperately needed
one another. The foot served the arm, the lungs the head, and every part of
the extended human body gave life to the others.
have heard professors speak with contempt for paper napkins, paper cups and
plastic forks and spoons as obviously inferior to linens, real silver (carved or
engraved), and fine crystal ware. Such cultural critics prefer the aristocratic
style.
To this tradition, the several socialist movements of the 19th and 20th centu-
ries, especially Marx and Engels, added their own contempt for capitalism (as
they defined it) and all its works and all its pomps.
Still, though, commerce does not go to the heart of why the Catholic tra-
ditions bring deeper intellectual and cultural resources to an accurate under-
standing of capitalism. In the Catholic traditions, it is not necessary to go
down on all fours in order to praise God, nor to belittle human goodness, nor
to emphasize human depravity. In the Catholic view, Christ died to redeem
all of creation, its beauties, its goodnesses. The Catholic liturgy is intended
to resonate with all creation redeemed and at prayer (Romano Guardini),
all creation restored to its original beauty, and now infused with a divine ra-
diance. Human nature was never entitled to such grace, but is now called to
accept it as its unmerited destiny. The Divine has united itself taken up com-
merce with the human, in Christ.
It is this positive impulse that is the inner spring of this amazingly creative
age from which the world has moved forward so much during the last five
centuries. Think of the bravery of those intrepid Portuguese, Genoese, and
Spanish explorers aiming their tiny wooden vessels into the great unknown.
Some scientific theories predicted that such voyagers would reach the end
of the flat earth and drop into everlasting darkness. Still the explorers went.
For in their hearts they knew, and had celebrated for generations, that the Cre-
ator is good, that the world He created is good, that He intended us to make
it as one in His goodness. They thought the human vocation is to conquer
the world in the name of its Redeemer.
They were mercenaries, too, sometimes foremost. For such men, riches
were the fuel that ignited the fires of invention and discovery. Yet what is in-
human about that ? To gain the whole world through the loss of ones soul is
no profit. But for the sake of the image of the Creator-God implanted in us,
and for the sake of His Only Divine Son, through Whom and with Whom
and in Whom were made all the things that are made, for these, to carry
round this whole huge world the glorious news of Gods love for humans,
is by no means compromised through gaining earthly riches, too. Better the
first than the second ; the second is in fact in vain, without the first ; but both
together quite suit our joint nature, body and soul, human and divine. It would
72 michael novak
be odd of God to arrange the world in such a way that to glorify Him meant
to denigrate man. The glory of God is man fully alive, wrote St. Irenaeus
of Lyons (185 AD).
Contemporary efforts at human development, in the name of progress,
have not escaped being marked by greed, lust, pride, the will to power, and
in some places the defiance of God. There is on earth no fully developed nor
secure City of God. My good friend Irving Kristol wrote a book called Two
Cheers for Capitalism (Signet, 1979). That claim might be considered exuberant.
Compared with what feudalism did to my family in Slovakia, and compared
to what Socialism did to my cousins who remained there, the world of devel-
opment and education, and opportunity, which they are at last beginning
now to experience capitalism does deserve at least one cheer. One cheer for
the creative economy, the mind-centered economy, is quite enough. For like
all systems, capitalism has many flaws, and self-contradictions within it. It is
by no means paradise. It creates new problems. Its main claim is that, better
than any other system, it does raise up the poor. And it does so better by pro-
tecting human rights of individuals and their communities.
11 John Paul II, Laborem Exercens, 4, 25, 27 (available online at http ://www.vatican.
va/holy_father/john_paul_ii/encyclicals/documents/hf_jpii_enc_14091981_laborem-ex-
ercens_en.html).
creation theology 75
world out of poverty. He also saw that these economic capacities also require
corrective institutions and the rule of law, to keep them on the path of helping
human persons to flourish.
Let us conclude with this one paragraph from Centesimus Annus :
[I]t is important to note that there are specific differences between the trends of
modern society and those of the past, even the recent past. Whereas at one time the
decisive factor of production was the land, and later capital understood as a total
complex of the instruments of production today the decisive factor is increasingly
man himself, that is, his knowledge, especially his scientific knowledge, his capacity for
interrelated and compact organization, as well as his ability to perceive the needs of
others and to satisfy them . 12
The Pope then went on to speak about the urgent need today to bring the
poorest of the world into an expanding circle of progress. He stressed sev-
eral times that a creative economy is inspired by a vigorous set of moral and
cultural institutions, and a watchful, constitutional, political system, the only
good soil in which it can grow.
The free society is three systems in one : and economic system that liberates
the poor from poverty, a political system that frees all its citizens from torture
and tyranny, and a moral/cultural system that nourishes an ecology of lib-
erty, designed for human flourishing.
Abstract : In the last 250 years, capitalism has transformed and liberated societies from
poverty in an unprecedented way. Caput, the Latin root for capitalism reflects the idea of
mind-centered economy. More than anything else, mind is the cause of wealth today, so the
spirit of capitalism is far from being entirely materialistic. It teaches people to turn away from
what they now have, to put that at risk, to set off bravely toward inventing new futures. The
weberian interpretation of Protestant ethics ignores this and pays little attention to the fact
that the first experiences of modern trading and entrepreneurship were developed by catholic
cities in the late Middle Ages. After the Reformation, Catholic culture fostered invention in
the visual and tactile arts. By contrast, the dissident Protestant churches favored simplicity,
plainness, and the absence of ornament. Even now capitalism faces resistance within catholic
culture, but John Paul IIs encyclicals (Laborem exercens, Sollicitudo rei socialis and Centesi-
mus annus) made clear that work is a way of human development (both personal and social)
and that economic creativity, teamwork and cooperation are our chief hope of lifting the poor
around the world out of poverty. The free society is three systems in one : an economic system
that liberates the poor from poverty, a political system that frees all its citizens from torture
and tyranny, and a moral/cultural system that nourishes an ecology of liberty, designed
for human flourishing.
Keywords : capitalism, Catholic Social Thought, economy, creation theology.
ly_father/john_paul_ii/encyclicals/documents/hf_jpii_enc_01051991_centesimus-annus_
en.html).
IUSTITI A EST A MOR : LOVE AS PR INCIPLE
Martin Schlag *
Summary : 1. Formulating the Question. 2. Justice and Mercy as Twin Social Principle. 2.1.
The Stoics. 2.2. Charity as a Social Principle in the Holy Scripture ? 2.3. Justice and Love in
Early Christian Theology. 2.3.1. Lactantius. 2.3.2. Ambrose. 2.3.3. Augustine. 2.3.4. Leo the
Great. 3. Systematical Reflections on Social Charity. 4. Conclusion.
Charity is at the heart of the Churchs social doctrine. Every responsibility and
every commitment spelt out by that doctrine is derived from charity, which, accord-
ing to the teaching of Jesus, is the synthesis of the entire Law (cf. Mt 22 :36- 40). It
gives real substance to the personal relationship with God and with neighbor ; it is
the principle not only of micro-relationships (with friends, with family members or
within small groups) but also of macro-relationships (social, economic and politi-
cal ones) . 1
On the one hand, this principle is not new to the social doctrine of the Popes.
Leo XIII pointed to love, friendship and fraternity as the fundamental princi-
ples governing the relationship between the different groups of society. 2 Pius
were to be the steering wheels of the economy. 3 Paul VI coined the expres-
sion civilization of love ; 4 and John Paul II identified all these expressions
with his preferred concept of solidarity. 5 Even before Caritas in veritate, the
* Pontificia Universit della Santa Croce, Facolt di Teologia, Piazza SantApollinare 49,
00186 Roma. E-mail : schlag@pusc.it
On the other hand, however, Pope Benedict XVIs words as quoted above
pose several questions. What substance does charity possess as the principle
of macro-relationships ? How does it relate to justice ? How can charity be
philosophy and the biblical teachings of Gods justice and mercy, and of fra-
ternity among all people as a consequence of Gods universal paternity.
2. 1. The Stoics
The Stoic philosophy taught that compassion and mercy were personal weak-
nesses, even a spiritual disease, which threatened to disturb the sages tran-
quility of mind. 7 In spite of this negative attitude, Stoics did hold that justice
Of the three remaining divisions, the most extensive in its application is the principle
by which society and what we may call its common bonds are maintained. Of this
again there are two divisions justice, in which is the crowning glory of the virtues
(virtutis splendor) and on the basis of which men are called good men (viri boni) ;
and, close akin to justice, charity (beneficentia), which may also be called kindness
(benignitas) or generosity (liberalitas). The first office of justice is to keep one man
from doing harm to another, unless provoked by wrong ; and the next is to lead men to
use common possessions for the common interests, private property for their own . 8
Cicero thus upheld two social principles of which justice was the first and
more important. Of the second principle, however, that is of charity and gen-
6 Papal Council for Justice and Peace, Compendium of the Social Doctrine of the
Church, LEV, Vatican City 2005, Nr. 204 ff.
7 Cfr. W. Schwer, Barmherzigkeit, RAC 1, 1950, p. 1203.
8 Cicero, De officiis, i, 7 (20).
love as principle of social and economic life? 79
erosity he says : Nothing appeals more to the best in human nature than this,
but it calls for the exercise of caution in many particulars . 9 The caution which
Cicero recommends refers mainly to not exceeding ones financial means and
therewith damaging ones own family. Indeed, Cicero states, Nothing is gen-
towards everyone while at the same time respecting varying degrees in social
bonds. 11 Cicero placed the family as most intimate union in the first posi-
tion, 12 then came friends. Amongst these he prioritized the virtuous and the
benefactors. The interests of society, however, and its common bonds will
perceived all men to be united by universal friendship. This made him assume
that the use of material goods was destined to serve all people. At the same
time he justified the existence of private property. Nature produced every-
thing for the common use of mankind. All men are friends, and friends use all
things in common. Thus all men are united in a common bond.
9 Ibidem, i, 14 (42).
10 Nihil est enim liberale, quod non idem iustum (ibidem, i, 14 (43)).
12 Only in connection with the family does Cicero use the word love : Sanguinis autem
13 Ibidem, i, 16 (50).
14 E. Dassmann, Nchstenliebe unter den Bedingungen der Knappheit. Zum
Problem der Prio-
ritten und Grenzen der Karitas in frhchristlicher Zeit, in Idem, Ausgewhlte kleine Schriften zur
Patrologie, Kirchengeschichte und christlichen Archologie, Jahrbuch fr Antike und Christen-
15 Cfr. Ex 34, 6 : The LORD, the LORD, a God gracious and merciful, slow to anger and
abounding in love and fidelity. See also Neh 9,31 ; Ps 86,15 ; 103,8 ; 111,4 ; 112,4 ; 116,5 ; 145,8. Dt
32,4 : The Rock how faultless are his deeds, how right all his ways ! A faithful God, with-
out deceit, just and upright is he ! . 16 For example in Tob 3,2 ; Ps 112,4 ; 116,5.
80 martin schlag
tice for the needy among you in a lawsuit (Ex 23,6). A fair judge must also
be a merciful judge, one who has a heart for the poorJustice, therefore, is
in practice also mercy as an awareness of suffering and as assistance to those
in need . 17 This explanation defines what God does : He is just because he is
merciful and because he sides with the weak, the poor and the oppressed. 18
to pity for the poor and finally to donations to the poor and to almsgiv-
ing. 21 In the New Testament, the term eleemosyne came to be used to express
alms, as evidenced in its use in Romance languages and thence also in the
English word alms. In Greek, however, there were many other words to ex-
press the central definition of mercy and compassion in the New Testament, for
example splagchon, eleos, oiktirmos and their associated derivatives. Jesus dou-
ble commandment of loving God and loving ones neighbor embraced the old
and new meaning of justice with an absoluteness which startled his followers.
Basing ones entire existence on God demands the dissolution of all bonds
except the bond to God alone. The love of God signifies the determination
to renounce all things except God. The Lord names two powers which man
must renounce if he is to love God : mammon and the addiction to prestige.
17 H.-J. Benedict, Barmherzigkeit und Diakonie. Von der rettenden Liebe zum gelingenden Le-
ben, Kohlhammer, Stuttgart 2008, p. 13 ff.
18 Cfr. Ps 103,6 : The LORD does righteous deeds, brings justice to all the oppressed .
20 The Hebrew words rachamim (mercy) and chsd (benevolence, clemency) are
often found together. Rachamim originally means womb, as the perceived base of em-
pathetic emotions. In its oral use it designates charity and mercy which extend from the
higher to the lower. Four-fifths of all the Biblical references with the root rchm have God
as the subject or actor. Through his rachamim, God places human beings in a parent-child
relationship, which protects and restores the people of Israel. Gods compassion replaces
his anger. (For further evidence see E. Jenni - C. Westermann (edd.), Theologisches Wrter-
buch zum Alten Testament (THAT), Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Gtersloh 20046, vol.
2, p. 761 ff. Chsd (benevolence, goodness, clemency) is not limited to a relational direc-
tion between a higher-up and a weaker party, but occurs in reciprocity. (See further THAT,
vol. 1, p. 600 ff.
21 See W. Scher, RAC 1, 1950, p. 1202 ; H. Bolkestein - W. Scher, Keyword almsgiving
as a social principle was evident in the early Christians from the beginning
onwards. However, the first generations of Christians encountered great dif-
ficulties in this endeavor. Foremost there existed an initial, practically insur-
mountable, difficulty in the harsh fact of the number of poor, the extent of
material disparities and the magnitude of poverty. The small Christian com-
munity could not be expected to have the financial power and the energy to
relieve the social injustice in the entire Roman empire. The reaction to this
situation was to reduce the radius of those entitled to assistance. Soon the
Christian duty of charity and assistance applied not to all humankind, but
only to brothers and sisters in Christ. 23
not have works ? Can that faith save him ? If a brother or sister has nothing to wear and has
no food for the day, and one of you says to them, Go in peace, keep warm, and eat well,
but you do not give them the necessities of the body, what good is it ? . For a more detailed
account of this set of problems cfr. E. Dassmann, Nchstenliebe unter den Bedingungen der
Knappheit. Zum Problem der Prioritten und Grenzen der Karitas in frhchristlicher Zeit, cit., p.
284 ff.
82 martin schlag
A further, related difficulty was the New Testament moral guidance, with
its marked character of an individual ethic, which distracted attention from
the formal aspect intrinsic to social ethics. Here too can the parable of the
Good Samaritan serve as an example. From the point of view of social ethics
the reactions and consequences after the unjust robbery would be different.
This does not diminish the importance of the Samaritans mercy but both
types of ethics require different mindsets for or logics of response. A solution
based on social ethics strives for the creation of social and legal structures
which can intervene in a preventive, accompanying and sustainable manner.
Examples of socially ethic solutions would be taking measures to relieve pov-
erty and to re-socialize convicts, so that robbery might not occur in the first
place. Or installing a police force to make the streets safe. Or establishing
emergency and health services which as institutions take responsibility for the
transport, accommodation, healing and caring of the sick, as opposed to the
Samaritan and the host, who carry these burdens individually. Or to ensure a
functioning justice system, which prosecutes crimes in a timely manner and
makes sure that criminals are rehabilitated. These are just a few examples of
institutions based on social ethics. A solution based on individual ethics only
addresses individual persons and their duties.
Reducing love to its dimension of individual ethics also led to the phenom-
enon that in Christian tradition of charity, the early Fathers of the Church
called for mercy, emphasizing the individual salvation of the wealthy donors,
while attempting to motivate the rich to donate voluntarily, since mercy, be-
neficence and almsgiving remained optional. Structural reforms were not de-
manded even in those situations stridently criticized by Ambrose and Basil, in
which the idle accumulation of riches not utilized for social purposes was in
the hands of a few privileged families. 24 Nor were legal, structural reforms
of the dissolution of the medieval system did a new structural view of social
problems gain acceptance. 27
24 See Ambrose, De nabuthe, PL 14, p. 725 ff. ; Basil, Homily on Lk 12,18 I shall tear down my
barns and build larger ones, PG 31, p. 261 ff. ; Homily against the rich, PG 31, p. 277 ff.
2. 3. 1. Lactantius
Lactantius explicitly turned to the educated elite of his time and attempted to
give them an understanding of the new ideas in Christianity convincingly. For
Lactantius there is no true justice without faith in God. Without God there
can be positive human laws, these however are subject to utilitarian consid-
erations and are derived from a calculation of interest. Justice, on the other
hand, originates from God and is simple and is the same for everyone. 29 Gen-
uine virtues can exist even without faith in the true God, take for example
Cimo of Athens : he donated to the suffering, invited the poor into his home,
clothed the naked and buried the dead. Nevertheless can he be considered
a well-formed body without a head, because without faith in God all other
aspects of existence lack life and meaning. 30 Lactantius, in his pagan environ-
ment, apparently could find not only justice but the seed of works of mercy
as well. What is new in his formulations on the one hand is that he incorpo-
rates the works of mercy as a constitutive element when defining justice. This
means that for Lactantius there can be no justice without mercy. On the other
hand Lactantius goes beyond the Stoic notion of beneficence, as expressed by
Cicero, by considering first and foremost the poor, the disenfranchised, in a
word the lower class as the recipient of generosity and beneficence.
tas. This second virtue is inherent only to the just and to the worshippers of
God, because it alone encompasses the logic of community. 31 God endowed
mum igitur inter se hominum vinculum est humanitas) . Whoever violates this
bond is a criminal and a patricide. Since we all are descended from one man,
we are all related. Therefore the greatest crime is to hate a fellow human be-
ing, even when that fellow human being damages us. We may be no ones en-
emy and must love our enemy, and even help an enemy in distress. We are all
brothers created by one and the same God. Those who go against the law of
humanity (ius humanitatis) and against Gods laws (fas) by robbing, tortur-
ing, killing and extirpating are wild animals. Gods commandment is to assist
the weary and those that labor ; to feed the hungry. As God is a loving Father,
The philosophical ethical systems, affirms Lactantius, had not developed fur-
ther in this aspect : for although they often speak of a sense of community,
their inclemency makes them far removed from any sense of community.
In another passage Lactantius criticizes the Stoic, Zeno, for viewing mercy,
the greatest of all virtues, as a disease, because indeed misercordia is dear
to God and necessary for humans. 33 Once again Lactantius substantiates this
assessment with reciprocity : who does not want to count on the help of oth-
ers when he himself is needy ? It does not matter whether it is termed humani-
tas or pietas. What matters is the basic stance, which is only given to man.
With this stance we help one another, otherwise we live like the animals do.
2. 3. 2. Ambrose
The great bishop of Milan called his moral instruction of the clergy De offici-
is and based his book on the work of Cicero with the same name. Ambrose
partly paraphrased Ciceros work and in part expanded upon it with biblical
examples and Christian insertions.
of society consists of two parts : justice and beneficence, which is also called
almost word for word. Ambrose goes beyond the Stoic prototype by some-
what unsystematically dividing beneficentia (beneficence) into benevolen-
tia (benevolence) and liberalitas (generosity). Beneficence is composed of
both benevolence and generosity ; without them beneficence would not be
complete. It is not enough to want good (bene volere), one also has to do
good. By the same token it is also not enough to do good ; doing good must
spring from a good source, namely from good will. 35 Benevolence is more
human dealings and you have removed the sun from the world ; for without
benevolence there are no human dealings : showing a stranger the way, cor-
recting the errant, returning hospitality are all fruits of benevolence. It is like
a spring of water which refreshes the thirsty . 36
2. 3. 3. Augustine
In his main work of social theory, City of God, Augustine emphasizes above
all that justice is the principle which structures society. Without justice, cities
are nothing more than bands of robbers (De civitate Dei iv, 4). Augustine, simi-
lar to Lactantius, advocates a religious-based theory of justice : a man and a
nation who do not adore the true God do not possess justice. From this stand-
point, the Roman Empire was never a true res publica.
For Augustine the earthly common good is the collective sharing in the
highest good (summum bonum). The highest good exists in God or to be
precise in taking pleasure in God (frui Deo). We should utilize (uti) earthly
things but should not look for happiness in them, for happiness can only stem
from pleasure in God, the highest good. Augustine did not recognize a sepa-
rate theory of social charity which explicitly used that term. However, in
many passages the idea of charity as a social principle is perceptible.
34 Societatis enim ratio dividitur in partes duas : iustitiam et beneficentiam quam eamdem libe-
ralitatem et benignitatem vocant ; iustitia mihi excelsior videtur, liberalitas gratior ; illa censuram
tues from the viewpoint of love, whereby he delineates the four cardinal vir-
tues as manifestations of love. Even justice is charity, which serves only the
Justice governs objectively and in line with reason, not with the libido domi-
nandi 39 (desire for domination), which Augustine accuses the Roman Empire
into good order the other things, which are governable by man . 40
37 Cfr. for example Enchiridion de fide, spe et caritate, xxxii, 121 : All the divine precepts
are, therefore, referred back to love. Thus every commandment harks back to love .
38 Iustitia, amor soli amato serviens, et propterea recte dominans ; [...] (Augustine, De mori-
subiecta sunt ; [...] (Augustine, De moribus ecclesiae catholicae, i, 15 (25) ; NBA xiii/1, p. 52 ff.).
It is due to innocence that we do not hurt anyone ; due to benevolence that we en-
God . 43
Augustine also elaborates clearly the social nature of human beings and the
universal friendship among all people. Human nature is something social ,
good for man and grants the strength for friendship (vim amicitiae). 45 What
42 In ista enim conluvie morum pessimorum et veteris perditae disciplinae maxime venire ac
subvenire debuit caelestis auctoritas, quae voluntariam paupertatem, quae continentiam, benivolen-
tiam, iustitiam atque concordiam veramque pietatem persuaderet ceterasque vitae luminosas vali-
dasque virtutes non tantum propter istam vitam honestissime gerendam nec tantum propter civita-
tis terrenae concordissimam societatem verum etiam propter adipiscendam sempiternam salutem et
sempiterni cuiusdam populi caelestem divinamque rem publicam, cui nos cives adsciscit fides, spes,
caritas, ut, quam diu inde peregrinamur, feramus eos, si corrigere non valemus, qui vitiis inpuni-
tis volunt stare rem publicam, quam primi romani constituerunt auxeruntque virtutibus etsi non
habentes veram pietatem erga deum verum, quae illos etiam in aeternam ciuitatem posset salubri re-
ligione perducere, custodientes tamen quandam sui generis probitatem, quae posset terrenae civitati
constituendae, augendae conservandaeque sufficere (Epistula 138, 17 ; CCL xxxi B, p. 287 ff.).
43 Innocentia est, qua nulli nocemus ; benivolentia, qua etiam prosumus, cui possumus ; pietas,
qua colimus deum (De mendacio 19, 40 ; NBA vii/2, p. 382). Cicero emphasized innocence as
the primary element of justice. Pars pro toto for Augustine innocence stands for justice.
44 Sociale quiddam est humana natura (Augustine, De bono coniugali 1, 1 ; NBA vii/1, p.
10 ff.). 45 Ibidem.
88 martin schlag
ship reaches further than simple politics or the relation to only one polis : we
are connected to all people in friendship through our common human na-
ture.
Augustine borrows Ciceros definition of friendship. From the general Stoic
tradition he adopts the concept of a structure for the ties of friendship in lev-
els or concentric circles originating with blood relatives. Indeed, Augustine
defines friendship as the benevolent and loving agreement on human and
ment of the friendship uniting human beings. 47 Indeed, God willed friendship
46 Amicitia rectissime atque sanctissime definita est rerum humanarum et divinarum cum beni-
volentia et caritate consensio (Augustine, Contra Academicos, iii, 6, 13 ; NBA iii, 120 ; Epistula
47 Ubi enim benivolentia, ibi amicizia (Augustinus, De sermone Domini in monte, i, 11, 31 ;
CCL xxxv, 32). 48 See Augustine, Sermo 299 D, 1 ; NBA xxxiii, p. 414 ff.
49 Si auferatur haec fides de rebus humanis, quis non attendat, quanta earum perturbatio et
quam horrenda confusio subsequatur ? Quis enim mutua caritate diligetur ab aliquo, cum sit invisi-
bilis ipsa dilectio, si quod non video, credere non debeo ? Tota itaque peribit amicitia, quia nonnisi
mutuo amore constat. quid enim eius poterit ab aliquo recipere, si nihil eius creditum fuerit exhiberi ?
Porro amicitia pereunte neque conubiorum neque cognationum et affinitatum vincula in animo ser-
vabuntur, quia et in his utique amica consensio est (De fide rerum invisibilium, 4 ; CCL xlvi, 4).
50 Encyclical Caritas in veritate, Nr. 34 ff. Gestures of friendship are made as an expression
of selfless and disinterested charity. However, if they are to continue, these gestures need to
be reciprocated, if not immediately then within a reasonably expected time. If reciprocation
does not occur, no friendship can emerge. Although one soliciting a friendship subjectively
views the soliciting of a true friendship as unconditional and without reservation, friendship
itself, when viewed objectively, is conditioned in its existence.
Friendship is conditional un-
conditionality. 51 See Augustine, Epistula 104, 15f ; CCL 31B, p. 46 ff.
love as principle of social and economic life? 89
53 Leo comments on the Beatitudes and the commandment of love in the Shema Israel :
[...] nihil est aliud diligere Deum quam amare iustitiam. Denique sicut illic dilectioni Dei proximi
cura subiungitur, ita et hic desiderio iustitiae virtus misericordiae copulatur, et dicitur : Beati mise-
54 As a reminder a few vital excerpts from the text are given ; (bold print indicates au-
thors emphasis) :
90 martin schlag
term social charity been used with such immediacy and clarity. Caritas in
veritate draws on the language of Quadragesimo anno.
Oswald von Nell-Breuning, who is considered one of the main authors of
Quadragesimo anno, writes that social charity is imbued with the power of
cleansing self-interestedness and egotism, which rouses sentiments of benev-
olence towards fellow human beings. Social charity, however, does not sub-
stantially add anything to social justice. 55 Gustav Gundlach also contributed
of one human being for another may not be absent. 56 Gundlach continues
that it would be erroneous to expect societys renewal from justice alone ; the
hearts of human beings can only be united by love. Because this love in the
social charity as the attitude of fellowship and unity, in which all human be-
Christ. 57
88. [...] Just as the unity of human society cannot be founded on an opposition of classes, so also
the right ordering of economic life cannot be left to a free competition of forces. [...] But free competi-
tion, while justified and certainly useful provided it is kept within certain limits, clearly cannot di-
rect economic life. [...] Therefore, it is most necessary that economic life be again subjected to
and governed by a true and effective directing principle. () Loftier and nobler principles
social justice and social charity must, therefore, be sought whereby this dictatorship may
be governed firmly and fully. Hence, the institutions themselves of peoples and, particu-
larly those of all social life, ought to be penetrated with this justice, and it is most necessary
that it be truly effective, that is, establish a juridical and social order which will, as it were,
give form and shape to all economic life. Social charity, moreover, ought to be as the soul of
this order, [] 137. But in effecting all this, the law of charity, which is the bond of perfec-
tion, must always take a leading role. How completely deceived, therefore, are those rash
reformers who concern themselves with the enforcement of justice alone and this, com-
mutative justice and in their pride reject the assistance of charity ! Admittedly, no vicari-
ous charity can substitute for justice which is due as an obligation and is wrongfully denied.
Yet even supposing that everyone should finally receive all that is due him, the widest field
for charity will always remain open. For justice alone can, if faithfully observed, remove the
causes of social conflict but can never bring about union of minds and hearts .
55 Summary of A.F. Utz, Sozialethik, Teil I : Die Prinzipien der Gesellschaftslehre, Kehrle,
able from social justice, but only a section of the same, inasmuch as it refers
to the spiritual relationship from human being to human being as required by
the common good 59. The attainment of the common good requires both ap-
proaches, those of social justice and social charity. Social charity is however in
essence only a section of justice. Our fellow human beings have, for example,
a claim (and therefore a right) to a friendly countenance, to sociable, affable
behavior . We in turn have a claim and right to these manners from others.
Charity can in general be seen as the bestowal of a personal good and the de-
ferment of selfish wishes. 60
Utz nevertheless reaches the opinion that social charity is a distinct virtue,
different from social justice, due to the consideration that in reality not all hu-
man beings fulfill their social duties. In doing so, they go against social justice ;
thus is equality damaged, and others in turn can withdraw from the fulfill-
ment of their duties, which would damage the common good. It is therefore
necessary for social charity to come before social justice. Social charity is the
categorical and unconditional esteem of the common good [], which even
then makes the effort for society when the duties cannot be distributed equi-
tably or when it is prevented by the failure of members of society 61. Accord-
ingly, Utz recognizes two virtues of the common good, that is, two different
virtues which correlate to the common good : social justice and social char-
ity.
Utz clarifies the apparent contradiction into which he gets entangled here.
At the highest level of reflection about social ethics there is only one supe-
rior virtue of common good. That superior virtue he calls justice of the com-
mon good (Gemeinwohlgerechtigkeit). It comprises of both social justice and
social charity. On the level of social reality, however, two virtues are needed,
namely social justice and social charity. Social charity cannot, however, exist
or be explained without referring to social justice. 62 Utz limits the term social
58 A.F. Utz, Sozialethik, Teil i : Die Prinzipien der Gesellschaftslehre, cit., p. 167.
focus is on the fulfillment of already existing charitable duties, not on the im-
provement of social structures.
Johannes Messner beholds the love of neighbor as a basic duty of one hu-
man being towards a fellow human being. The highest natural social principle
is that you should love your neighbor as yourself. Justice has its deepest roots
in the love of neighbor. 64 As does Utz, Messner interprets social charity on the
one hand as a virtue and defines social charity as the steadfast willingness (ha-
bitus) of thinking and acting out of concern for the community and the good
of the community. Social charitys object and its immediate basis of obliga-
tion is thus the good of society, not the good of the individual as in the love
of neighbor 65. In todays terminology this virtue would be called solidarity.
On the other hand, Messner approaches the structural results of social char-
ity with regard to societal order. He reaches the conclusion that charity as an
objective social principle purports the existence and the promotion of small
communities according to the principle of professional and regional organi-
any case a seminal approach is evident here, in the authors opinion, inasmuch
as Messner refers to human dignity as a basic principle.
Referring to Pius XII, Anton Rauscher emphasizes the relationship between
the principle of solidarity and the basic Christian norm of charity : All hu-
man beings are members of one family, which allows them to take part of
all joys, sorrows and worries of the individual members. 68 The principle of
no contradiction between the two. Charity presumes the respect of the rights
of others ; charity urges human beings to open themselves up to the truth and
digm shift took place. Until then, social ethics were viewed foremost as an
ethics of rules regulating behavior. Man lived in preordained and fundamen-
tally irrevocable social structures. These structures determined the functions
and duties of the individual, who through his virtues should contribute to the
common good. The virtues which should be practiced were in turn a con-
sequence of social rank and of the specific function of the affected person.
Social duties were predominantly listed in the various spaecula (mirrors),
which were moral handbooks on the duties of emperors, princes, bishops
and later merchants. In the 19th century the opinion broke ground that social
structures could be altered by human beings, and we were therefore respon-
sible for them. The questioning course of social ethics shifted from an ethics
which mainly dealt with the duties of human beings subject to the predeter-
mined social structures to a social ethics which itself questioned the justifica-
tion of the structures. As an example Korff analyzes slavery. The Christian
commandment of love, which revolutionized the ancient value system, did
not abolish the institution of slavery, but mitigated the hard edges of the un-
derlying societal structure by inculcating it with clemency and meekness and
declaring the existing social inequality as irrelevant within itself : There is
neither Jew nor Greek, there is neither slave nor free person, there is not male
and female ; for you are all one in Christ Jesus (Gal. 3,28). Charity had the abil-
ity to revolutionize the behavioral ethic side, but not the structural ethic side.
This is explained in the fact that a power of enforcement does not belong to
charity. Charity cannot force or threaten compulsion as law can. Compulsion
or the threat of compulsion unfortunately is necessary in order to alter social
structures. Charity knows no compulsion, justice does. In the course of the
paradigm shift in social ethics, the perspective on justice also shifted from a
cial ethics also see Idem, Was ist Sozialethik ?, Mnchener Theologische Zeitschrift , 44
(1987), p. 327ff.
94 martin schlag
distribution and allocation according to existing structures to a question of
the proper foundation and the proper standard of this distribution.
Charity does not assess that which is due to human beings and which they should
be afforded from a rationale based on those rights a person asserts for herself. A per-
son asserts rights based on what she is structurally due, or based on what she can
lay claim to on the grounds of services rendered, or based on what can be expected
considering certain qualities distinguishing her from others. On the contrary, charity
assesses its stance based on what befits a human being in respect of his simply being
human. Moreover, charity is assessed in the face of the challenges and the deficits of
the human situation in order to correspond to his dignity, to his destiny to freedom,
to his calling to life always and under any circumstance. By virtue of its own im-
mediacy to the human condition of our fellow men, charity sets out from that point
where a fellow human being in the conditionality and fractured nature of his exis-
tence reveals something which is unconditional, unalienable and universally binding :
Man is an image of God, holy matter, an aim in itself. It is charity that discovers
that the human being is a person . 72
Only through the discovery chronicle of charity and the charging of hu-
man thinking with consciousness of universal human dignity does the just
power become aware of its duty to take the person as a standard and to struc-
ture laws according to human dignity. As a result of genuine effectivity of the
Christian ideals in history (Wirkungsgeschichte), law finally reaches that point
which charity has already reached : the point where a human being is consid-
ered as a person 73
Love has a different meaning depending on the relational network being spo-
ken of : filial love, parental love, sibling love, marital love, friendly affection,
social charity, etc. Today a return of love can be observed into social areas
such as economics and politics, from which the term had earlier been disas-
sociated. Modernity had limited love to the private sphere (family, friends).
The return of love, according to Donati, is caused by a newly awakened
desire for relationality and relationship in all spheres of society. Social char-
ity in economics and politics is not the same love as an emotion or passion,
but a fostering of the relationship culture. Donati divides charity as a social
principle into four domains. 1. In the domain of economics, charity reveals it-
self as solidarity to provide the necessary economic means through trust and
Idem, Teoria relazionale della societ : I concetti di base, FrancoAngeli, Milano (20097) ; summa-
rizing S. Zamboni, Lamore come principio di vita sociale, xi Colloquio di teologia morale del
Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, Rivista di Teologia Morale , 169 (2011), p. 91 ff.
love as principle of social and economic life? 95
through loans. This solidarity happens in relationships. If, for instance, a bank
provides a loan to a cash-stricken company, the bank takes on a risk which was
entered into out of solidarity. 2. In the political domain, Donati identifies char-
ity as subsidiarity in terms of helping another person to fulfill her functions
with respect to the bounties received. The grateful recognition of the dignity
of fellow human beings also belongs in this domain. 3. In the domain of civil
society charity is expressed as brotherly love. Donati conceives this as a prin-
ciple of free affiliation on the basis of reciprocity. Thus emerge collectives in
society, whose socii foster relationships based on a culture of values. 4. And
finally in the cultural domain, charity exists in maintaining interpersonal re-
lationships.
Divided in this manner, charity permeates all societal domains. In the econ-
omy charity leads to altruistic forms of behavior ; in politics to the primacy
Charitys power as a social principle lies in the fact that without establishing
relationships through personal dedication and material gifts, no social bonds
can exist, and without social bonds, a human being cannot survive. The an-
thropology which lies beneath such a model is an anthropology of relation.
A human being flourishes as a person also through the relationships in which
she is born and into which she enters consciously. Only in relation to other
human beings can the deepest aspirations of a human being be fulfilled : to
love and be loved, give and receive, trust and be trusted, recognize and be rec-
ognized, etc. One could define all of these aspects figuratively as goods, but
not as goods in an economic, instrumental sense. These are social goods,
relational goods, or affiliation goods. The foremost relational good is the
common good, which is not the greatest good for the greatest number of
persons, but that good which one can partake of without diminishing the
same. Contrary to private possessions, the common good is communicable.
One cannot swallow with the same bite, but one can eat together ; one cannot
make the same sound, but one can talk to another and take part in the same
conversation. Material goods separate one person from another ; immaterial
goods unite them through participation. Relational goods are not decreased
through use and sharing ; on the contrary, they are increased. Analogously one
cannot possess the truth for oneself. Truth is always a common good of those
that cherish it.
4. Conclusion
The Gospels are not an immediately applicable socio-economic or political
program. Christians do not have a specially patented formula which would
spare us the tedious search for what is proper. The Gospels do not contain a
etistic and personal sphere, because indeed actions in the socio-economic and
political domain are relevant to salvation (which does not mean that the king-
dom of God can be confused with a future earthly realm).
All these concepts apply to the central Christian commandment of charity
as a part of the Gospels. Considered as a principle of social structure, charity
is not immediately applicable. Attempts to do just the same have failed. For
example, Maxim Gorki wrote in 1934 referring to Soviet communism, for the
first time in history, the authentic love for mankind is organized as a creative
power and aims at liberating millions of workers . 76 Considered as agape
charity is the selfless gift of what is not owed how could one organize, in-
stitutionalize or structuralize such a thing ? Of the three types of friendship
which in the writings of Thomas Aquinas approach closest to social charity 77,
the friendship out of utility and the friendship out of pleasure are recipro-
cal and predictable, like a do et des (I give that you may give) relationship.
A similar benefit is given in exchange for the benefit, which a friendly rela-
tionship brings. If the reciprocal response is omitted or expectations are not
met, the friendship expires. Such a relationship is symmetrical and predict-
able and can be built into a system as a social principle applicable to regula-
tions. Agape, however, is asymmetrical. Its dedication is unpredictable and
not bound to the calculation of self-advantage. Love is a wild power, wrote
Maritain. 78 Love does not let itself be incorporated into a regulated social
ics . As from an inner wellspring, the principles and values of social ethics
spect for the dignity of every human being is not foremost a result of justice.
It is a result of Christian charity, which bestows justice not only with new
power and fortitude, but also expands its scope to all human beings, according
to the breadth and depth of Gods love. Love, when understood as the super-
natural virtue of caritas, does not simply give the impulse to respect a fellow
human being as a person, but goes beyond that measure by respecting every-
body with the attitude of the limitless love with which God loves every man
and woman as son and daughter and with which God redeemed them. It is
interesting to note, that for instance Josefmaria Escriv linked the concept of
human dignity as a social principle more to charity than to justice. He wrote,
Be convinced that justice alone is never enough to solve the great problems of man-
kind. When justice alone is done, dont be surprised if people are hurt. The dignity
of man, who is a son of God, requires much more. Charity must penetrate and ac-
company justice because it sweetens and deifies everything [] . 81
Human dignity demands more than justice, because human dignity is an in-
sight which is conveyed by charity and conveys charity. Charity affirms the
fellow human beings.
If Caritas in veritate regards charity as at the heart of the Churchs social
doctrine, one can only agree. However, charity is not an immediately appli-
cable social principle. The primary route of charity flows into the path of
the tenets of social principles, as they have been developed by the social doc-
trine since the 19th century. The principles of human dignity, of the common
good, of solidarity and of subsidiarity, in their mutual connectedness, express
how social charity can concretely and tangibly be institutionally implement-
ed in a community. But without charity, which keeps all structures and social
establishments alive, everything else would break down.
Abstract : In an introduction the paper analyzes two currents of tradition which were es-
sential for the Christian faith and its social aspects : pre-Christian Platonic-Stoic philosophy
adopted by the Fathers of the Church and the Bible. It became evident that in the Chris-
tian tradition justice alone was not viewed as a sufficient means to order society. A second,
complementary principle is needed. Various terms are used for the second principle : mercy,
beneficence, benevolence, generosity, etc. As important as the second principle is, it remains
emotional and insubstantial and is an appeal to generosity. Caritas in veritate regards char-
Stato di diritto. 5. Diritto internazionale e diritto cosmopolitico : lideale regolativo della Wel-
1. Introduzione
Nel nostro studio ci proponiamo quindi di porre in luce la stretta relazione istitu-
ita dal pensatore di Knigsberg tra diritto cosmopolitico e chiliasmo filosofico.
Fin da ora possiamo affermare che la costituzione di un diritto cosmopoli-
tico (Weltbrgerrecht) per Kant lo scopo finale (Endzweck) di un agire politico
moralmente ispirato e si pone come la concreta realizzazione storica di un
chiliasmo filosofico : con questultimo egli intende qualificare la speranza di
un generale rinnovamento dei rapporti giuridici tra gli Stati del mondo, con-
dizione necessaria al consolidarsi di una pace universale, stabile e duratura.
* Universit degli Studi Guglielmo Marconi, Via Plinio, 44, 00193 Roma. E-mail :
t.valentini@unimarconi.it
1 Si ricordi che chiliasmo (chlios parola greca che significa mille) sinonimo di
millenarismo. Nicola Abbagnano definisce chiliasmo o millenarismo ogni credenza
pace perpetua, fondata in una lega delle nazioni come repubblica mondiale . 2
suo uso pratico. In particolare nello scritto dal titolo Sopra il detto comune :
Questo pu essere giusto in teoria, ma non vale per la pratica , e nella prima Appen-
dice della Pace perpetua, Kant tematizza il rapporto tra la politica, intesa come
dottrina pratica del diritto , 3 e la morale, intesa come dottrina teoretica del
diritto : 4 per il filosofo non pu esserci nessun conflitto tra i princpi dellagire
morale, luomo di potere che fa guidare la sua azione di governo dal principio
formale dellimperativo categorico, dallideale del diritto. Allagire eticamente
ispirato del politico morale, vengono contrapposte le massime soggettive,
non dichiarabili pubblicamente, tipiche del machiavellico : Fac et excusa ,
2 I. Kant, Die Religion innerhalb der Grenzen der blossen Vernunft [prima edizione 1793 ; se-
conda edizione 1794], in Akademie-Ausgabe, Kants gesammelte Schriften, hrsg. von der Kni-
glich Preussischen Akademie der Wissenschaften, Berlin 1902 ss, vol. vi (1907), a cura di G.
Wobbermin, pp. 1-202, p. 34 ; tr. it. di A. Poggi, Introd., revisione e cura di M.M. Olivetti, La
religione entro i limiti della sola ragione, Laterza, Roma-Bari 20005, p. 34. Dora in poi faremo
riferimento allAkademie-Ausgabe con la sigla AA, seguita dal numero del volume in cifre ro-
mane e dal numero della pagina in cifre arabe.
3 I. Kant, Zum ewigen Frieden. Ein philosophischer Entwurf [prima edizione 1795 ; seconda
edizione 1796], in AA, vol. viii (1912), a cura di H. Maier, pp. 343-386, p. 370 ; tr. it. di V. Cicero,
Introd. e cura di M. Roncoroni, Pace perpetua, Rusconi, Milano 1997, p. 123. Una buona tra-
duzione del testo Zum ewigen Frieden anche quella contenuta nel volume I. Kant, Scritti di
storia, politica e diritto, a cura di F. Gonnelli, Laterza, Roma-Bari 20034, pp. 163-207.
4 I. Kant, Pace perpetua, cit., p. 123 (AA, viii, p. 370).
5 A questo proposito stato osservato che esiste un eterno dialogo tra Kant e Machia-
velli (quello dellidealismo e del realismo) (P. Hassner, Situation de la philosophie politique
ribadisce, quindi, con vigore che per una speranza criticamente fondata nella
costituzione pacifica di un ordine internazionale occorre che la politica si in-
chini innanzi al diritto : soltanto cos essa pu sperare di giungere, bench
7 D. Falcioni, Natura e Libert in Kant. Una interpretazione del progetto Per la pace perpe-
tua (1795), Presentazione di R. Brandt, Bulzoni, Roma 1995, p. 59. Nello studio viene inoltre
sottolineato che il politico morale a dover riaffermare nella propria azione il radicamen-
to morale della dottrina del diritto e a dover guardare alla politica come ad una messa in
pratica del diritto (ibidem, p. 81).
8 Ricordiamo ad esempio che per Tommaso dAquino lattivit politica viene a coincidere
con lesercizio stesso della prudentia. Per lAquinate la politica arte della prudentia avente
come fine il bene comune : Prudentia relata ad bonum commune vocatur politica (Tommaso
dAquino, Summa Theologiae, ii-ii, q. 47, a 10 ad 1). Notiamo inoltre che il significato della
parola latina prudentia nella cultura tedesca del 700 viene reso con il termine Staatsklugheit
(letteralmente intelligenza nel governo dello Stato), termine usato spesso anche da Kant.
A tal proposito cfr. N. Pirillo, Regno dei fini e dottrina della prudenza, in A. Rigobello (a
cura di), Il regno dei fini in Kant, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli 1996, pp.
29-52 ; G. Marini, Figure di uomo politico tra sapienza e prudenza. Considerazioni sulla prima ap-
pendice al progetto kantiano per la pace perpetua, in D. Venturelli (a cura di), Prospettive della
morale kantiana, Impressioni Grafiche, Acqui Terme 2001, pp. 217-233.
9 I. Kant, Pace perpetua, cit., p. 147 (AA, viii, p. 380).
104 tommaso valentini
e chiliasmo teologico
Gi a partire dal cosiddetto periodo precritico le riflessioni politiche e giuri-
diche di Kant trovano delle singolari convergenze con le sue tesi in ambito di
filosofia della storia e della religione : questo emerge in particolare a proposito
viene quindi considerata come uno sviluppo continuato e costante (als eine
Monatsschrift , Novembre 1784, pp. 385-411], in AA, vol. viii (1912), pp. 15-31, p. 18 ; trad. it. di
G. Solari e G. Vidari, Introd. e note di D. Faucci, Idea di una storia universale dal punto di vista
cosmopolitico, in Idem, Scritti di filosofia politica, La Nuova Italia, Firenze 1969, p. 2.
11 Si ricordi che la domanda filosofico-teologica sulla destinazione delluomo (Bestim-
mung des Menschen) ha interessato moltissimo i filosofi del 700 : nellambito culturale tede-
sco Johann Joachim Spalding dedic a questo tema un libro comparso nel 1748 proprio dal
titolo Betrachtungen ber die Bestimmug des Menschen (Considerazioni sulla destinazione/
missione delluomo). Questo volume trattava una tematica cara sia agli illuministi che ai
pietisti ed ebbe allepoca ampia diffusione : significativo ad esempio che anche J.G. Fichte
pubblic nel 1800 un libro con lo stesso titolo. Sul tema della destinazione delluomo in
Kant cfr. R. Brandt, Die Bestimmung des Menschen bei Kant, Meiner, Hamburg 2007.
12 I. Kant, Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in Idem, Scritti di fi-
losofia politica, cit., pp. 1-2 (AA, viii, p. 18). Sulla concezione kantiana della storia come tele-
ologia morale e progressivo perfezionamento giuridico e costituzionale cfr. M. Riedel,
Geschichtstheologie, Geschichtsideologie, Geschichtsphilosophie. Untersuchung zum Ursprung und
zur Systematik einer kritischen Theorie der Geschichte bei Kant, Philosophische Perspektiven ,
5 (1973), pp. 200-226 ; W.A. Galston, Kant and the Problem of History, University of Chicago
Press, Chicago 1975 ; J.-F. Lyotard, Lenthousiasme : la critique kantienne de lhistoire, Galile,
Paris 1986 ; tr. it. Di F. Mariani Zini, Lentusiasmo. La critica kantiana della storia, Guerini e
Associati, Milano 1989 ; A. Philonenko, La thorie kantienne de lhistoire, Vrin, Paris 1986 ; G.
Cunico, Da Lessing a Kant. La storia in prospettiva escatologica, Marietti, Genova 1992, in par-
ticolare pp. 133 ss. ; J.-M. Muglioni, La philosophie de lhistoire de Kant. Quest-ce que lhomme ?,
la filosofia politica di kant 105
di un ordinamento giuridico universale, tale da regolare razionalmente e pa-
cificamente i rapporti tra gli Stati. In particolare nella tesi quinta di questo
scritto che viene posto il problema di come si possa pervenire ad attuare una
gesellige Geselligkeit) che caratterizzano luomo ed i singoli Stati prima che essi
lezza (Ungeselligkeit), [...] tutti i talenti rimarrebbero in eterno chiusi nei loro ger-
mi in una vita pastorale arcadica di perfetta armonia []. Gli impulsi naturali che
lo spingono a ci, le fonti della insocievolezza e della generale rivalit sono causa
di molti mali, ma questi per spingono a nuova tensione di sforzi, ad un maggior
sviluppo delle disposizioni naturali, che rivelano lordine di in saggio Creato-
re . 15 Nella dialettica sociale kantiana, in questo paradosso della insocievole so-
cievolezza degli uomini (ungesellige Geselligkeit der Menschen) , 16 sono state rinve-
nute delle notevoli affinit anche con le riflessioni politiche di Thomas Hobbes 17
qualcosa che anticipi in non-io di Fichte (F. Gonnelli, La filosofia politica di Kant, Later-
za, Roma-Bari 1996, p. 238), bens una natura che agisce in maniera razionale e teleologica
anche al di l delle singole volont e libert degli individui : questa concezione della natura
media che rende necessaria lunificazione degli uomini e la coazione ; unificazione che li co-
stringe a sviluppare i loro talenti (F. Gonnelli, La filosofia politica di Kant, cit., p. 77). Pur
sottolineando gli influssi delle argomentazioni hobbesiane su Kant, viene tuttavia rilevato
che la tesi dei vantaggi naturali dellegoismo, del bene globale prodotto dal male locale,
viene trasferita da Kant in un quadro diverso da quello condiviso, in linea generale, dalla
tradizione inglese (ibidem). Per Kant il fine dellattivit di governo inoltre assai diverso da
106 tommaso valentini
e di Bernard de Mandeville. 18 Si deve tener presente per che radicalmente di-
di quella delle grandi societ [...], come di un mezzo (zu einem Mittel) per trar-
re dal loro inevitabile antagonismo una condizione di pace e di sicurezza . 19
Nella settima tesi dello scritto kantiano sulla filosofia della storia, anche
per gli Stati gi costituzionalmente formati al loro interno viene rilevata lesi-
genza di uscire dal loro originario stato di natura, caratterizzato da un bel-
lum omnium erga omnes, per unirsi in una federazione di popoli, in un foedus
pacificum : Kant afferma che sar la situazione sempre pi insopportabile di
quello teorizzato da Hobbes : ad avviso di Kant lattivit politica non deve avere come fine
sua libert brutale e cercare pace e sicurezza in una costituzione legale (geset-
zmssige Verfassung) . 22 Nel progetto per listituzione storica di un diritto in-
ternazionale e cosmopolitico Kant ripone le ragioni della sua speranza sul pia-
no etico e politico (si ricordi il celebre interrogativo kantiano : che cosa posso
sperare ? 23). Egli tuttavia consapevole del lungo cammino che dovr percor-
zione pu giovare anche solo lidea di esso, sia pure molto lontana, e che per-
ci tuttaltro che illusorio . 24 La speranza nella realizzazione di un universa-
indizi storici che possono dar ragione della speranza in un generale progres-
so morale e civile dellumanit : [] e per tal modo tutto si prepara per una
dal punto di vista cosmopolitico viene in tal modo anticipato uno dei concetti
fondamentali sviluppato nella seconda parte della Critica del Giudizio e soprat-
tutto nella Metafisica dei costumi : scopo finale della creazione (Endzweck der
Erdmann, B 833). Sulla concezione kantiana della speranza allinterno della fondazione cri-
tico-trascendentale cfr. A. Rigobello, Kant. Che cosa posso sperare ?, Studium, Roma 1983.
24 I. Kant, Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in Idem, Scritti di
filosofia politica, cit. p. 19 (AA, viii, p. 27). 25 Ibidem, p. 20 (AA, viii, p. 28).
26 I. Kant, Kritik der Urteilskraft, AA, vol. v (1913), a cura di G. Reimer, pp. 165-485, B 435 ;
trad. it. di A. Gargiulo, Intod. di P. DAngelo, Critica del Giudizio, Laterza, Roma-Bari 2006,
p. 557.
108 tommaso valentini
avviso, una compiuta formulazione nellopera kantiana del 1793 dal titolo La
religione entro i limiti della sola ragione : in tale scritto compare infatti con chia-
une di fronte alle altre secondo i rapporti del rozzo stato di natura (stato di
guerra perpetua) : 27 il male radicale non pesa dunque solo sulla vita persona-
philosophische Chiliasm), che spera in uno stato di pace perpetua, fondato sulla
federazione di popoli come repubblica mondiale (Vlkerbund als Weltrepublik),
precisamente come il chiliasmo teologico, che fa assegnamento sul com-
pleto miglioramento morale di tutto il genere umano messo generalmente
in ridicolo come una stravaganza (als Schwrmerei) . 28 In questi passi viene de-
27 I. Kant, La religione entro i limiti della sola ragione, cit., p. 34 (AA, vi, p. 34). Sulla visione
kantiana della guerra come segno della presenza di un male radicale nella storia umana
cfr. A. Philonenko, Histoire et guerre chez Kant, Y. Yovel (a cura di), Kants Practical Philo-
sophy Reconsidered. Papers presented at the Seventh Jerusalem Philosophical Encounter. December
1986, Kluwer, Dordrecht 1989, pp. 168-182 ; di particolare interesse sono anche le tesi presen-
tate da Carla De Pascale la quale entra in discussione critica con delle interpretazioni che
leggono Kant come il capostipite di una filosofia della guerra i cui pieni sviluppi sono
facilmente individuabili in Hegel : a questo proposito cfr. C. De Pascale, Guerra, dialettica,
progresso tra Kant e Hegel, G. Rametta (a cura di), Filosofia e guerra nellet dellidealismo tede-
sco, FrancoAngeli, Milano 2003, pp. 29-50.
28 I. Kant, La religione entro i limiti della sola ragione, cit., p. 35 (AA, vi, p. 34).
la filosofia politica di kant 109
fine del nostro bene. [...] La pace dello Stato lordinata concordia del coman-
dare e obbedire dei cittadini, la pace della citt celeste lunione sommamente
ordinata e concorde di essere felici di Dio e scambievolmente in Dio, la pace
delluniverso tranquillit dellordine (tranquillitas ordini) . 29 Sia in Agostino
gibile, [...] regno universale dei fini in s (degli esseri razionali) a cui possiamo
appartenere come membri , 30 che i cittadini della respublica e i fedeli dellec-
29 Agostino dIppona, De civitate Dei, libro xix, 10-13 ; trad. it. e cura di D. Gentili, Introd.
di A. Pieretti, La Citt di Dio, Citt Nuova, Roma 1997, pp. 1046-1047 e 1052.
30 I. Kant, Grundlegung zur Metaphysik der Sitten, AA, vol. iv (1911), a cura di G. Reimer,
pp. 385-463, p. 433 ; tr. it. e cura di V. Mathieu, Fondazione della metafisica dei costumi, Rusconi,
Milano 1994, p. 225. Il regno dei fini pu essere interpretato anche come una delle figure
dellescatologia kantiana : in questo regno che per Kant si attuer una definitiva riuni-
ficazione dei cittadini della respublica con i membri dellecclesia. Giuliano Marini, leggendo
lopera del 1793 sulla Religione in connessione con gli scritti etico-politici di Kant, nei suoi
studi ha particolarmente messo in evidenza questi aspetti della posizione kantiana ; egli af-
alla chiesa universale ; e questo parallelismo si estende fino al convergere delle due istituzio-
ni verso una duplice purezza dalla coazione, per la repubblica, dalla superstizione, per la
chiesa - ; quella duplice purezza, che sar propria soltanto della respublica universalis noume-
non e della ecclesia universalis noumenon. Ma non sar possibile in questa vita terrena ; e nella
vita eterna respublica ed ecclesia si riuniranno nella beatitudine del regno dei fini (G. Ma-
rini, Il diritto cosmopolitico nel progetto kantiano per la pace perpetua con particolare riferimento
al secondo articolo definitivo, in Aa. Vv., Kant politico. A duecento anni dalla pace perpetua ,
Convegno della Societ italiana di studi kantiani, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazio-
nali, Pisa-Roma 1996, pp. 22-23). La concezione kantiana del regno dei fini nel quale le
istanze morali, giuridiche e politiche delluomo troverebbero la loro unificazione e la loro
110 tommaso valentini
clesia si riuniranno come perfetta comunit etica dei figli di Dio. Alla fine del
percorso storico dellumanit non vi sar pi n Stato n chiesa : la compiuta
tivo categorico e della dignit (Wrdigkeit) della persona, senza alcun bisogno
della costrizione esterna del diritto. A questo proposito stato osservato che
nellassoluto mondo della libert che il regno dei fini, si attua la coincidenza
del diritto, condizione della coesistenza e delle libert esterne, con la morale,
principio di libert interiore. La legge che governa il regno dei fini la legge
morale, che adempie in esso ununione di esseri assolutamente razionali, la
funzione che nella societ adempie [invece] la legge giuridica . 31
per solo alla fine dei tempi, 32 in una dimensione metastorica, che Kant
compiuta attuazione viene ampiamente trattata nel volume di A. Pirni, Il regno dei fini in
Kant : morale, religione, politica in collegamento sistematico, Il Melangolo, Genova 2000.
31 G. Fass, Storia della filosofia del diritto, Vol. ii, Let moderna, Il Mulino, Bologna 1968,
p. 409. Circa il rapporto tra filosofia del diritto e filosofia della religione in Kant stato os-
servato : il punto in cui filosofia della religione e filosofia del diritto, mediate da una pre-
cisa interpretazione della storia, coincidono nellaffermata primalit della struttura etica
delluomo, corrisponde con il nascere della repubblica morale e della repubblica giuridica.
[...] Laver trasferito in uno spazio metastorico la realizzazione di tale fine non comun-
que vanificazione delloperare umano sulla terra perch il Reich Gottes ha il suo inizio gi
nel mondo [] . (P. Quattrocchi, Comunit religiosa e societ civile nel pensiero di Kant, Le
Flaviis, Laterza, Roma-Bari 1991, pp. 217-228. Di particolare interesse per la comprensione
della concezione kantiana del progresso la recensione critica che nel 1785 il filosofo fece
allopera del suo discepolo Herder sulla filosofia della storia : Recensionen von J.G. Herders
Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit. Theil 1 und 2 (AA, viii, pp. 43-66) ; tr. it. in
I. Kant, Scritti di storia, politica e diritto, cit., pp. 53-75. Circa il dibattito svoltosi tra Kant ed
Herder sulla Geschichtsphilosophie cfr. H.D. Irmscher, Die geschichtsphilosophische Kontroverse
zwischen Kant und Herder, Aa. Vv., Hamann - Kant - Herder. Acta des vierten Intern. Hamann -
Kolloquiums im Herder-Institut zu Marburg/Lahn 1985, Lang, Frankfurt a.M. 1987, pp. 293-316 ;
V. Verra, Herder e la filosofia della storia, Introduzione a J.G. Herder, Idee per la filosofia della
storia dellumanit, Laterza, Roma-Bari 1992, pp. vii - lxiii.
la filosofia politica di kant 111
tivit politica e della speranza religiosa saranno unificati e trasposti insieme :
za umana e lideale regolativo dei rapporti diplomatici tra i diversi Stati del
mondo. La pace perpetua dunque il chiliasmo filosofico, la finalit ideale di
unazione di governo eticamente ispirata. Kant per lontano da ogni vago
sentimentalismo pacifista e per fondare il suo discorso nella concretezza della
prassi politica descrive con dovizia di particolari le istituzioni giuridiche in-
ternazionali necessarie al conseguimento di questordine di pace mondiale.
anche per tale finalit che Kant compone lo scritto sulla Pace perpetua come
un ipotetico trattato internazionale tra gli Stati : egli ricorre allespediente,
33 Cfr. Abb de Saint-Pierre, Projet pour rendre la paix perptuelle en Europe (1713-1717), a
cura di S. Goyard-Fabre, Fayard, Paris 1986.
34 I. Kant, Pace perpetua, cit., p. 69 (AA, viii, p. 349).
35 Ibidem, p. 81 (AA, viii, p. 354). 36 Ibidem, p. 84 (AA, viii, p. 357).
112 tommaso valentini
(Friedensbund), omogeneit che va ricercata nellordinamento repubblicano.
Ad avviso di Kant, la costituzione di unorganizzazione internazionale che
si proponga come finalit primaria la conservazione della pace tra gli Stati
non pu non prevedere la libert, luguaglianza e la partecipazione politica
dei cittadini allinterno dei singoli Stati : solo una costituzione repubblicana
essi riflettano a lungo prima di iniziare un gioco cos pericoloso, appunto per-
ch spetta a loro decidere di far ricadere su se stessi tutti i disagi e i tormenti
della guerra . 37
dalla sorgente pura dellidea di diritto (aus dem reinen Quell des Rechtsbegrif-
fs) : 38 essa viene, infatti, istituita secondo i princpi della libert (Freiheit) dei
membri di una societ (in quanto uomini) ; secondo i princpi della dipendenza
spetta alla volont generale del popolo e lobbedienza alle leggi dipende
dallassenso che i cittadini hanno potuto dare ad esse : la mia libert esterna
Kant repubblicano quando la sua prassi si configura come una pura e sempli-
ce esecuzione delle leggi, leggi create non dallarbitrio di un sovrano ma dalla
volont generale (collettiva) del popolo. Possiamo rilevare quindi una stretta
connessione tra i princpi del repubblicanesimo kantiano e la concezione di
uno Stato di diritto, di uno Stato in cui sovrana la legge e non larbitrio di
vato che per Kant lo Stato altro non era che ununione di uomini sorta dal
proposito di fissare nel diritto e nella sua forza coattiva i termini permanenti
41 I. Kant, Die Metaphysik der Sitten (AA, vi, pp. 203-549, p. 314 ; tr. it., note e cura di G.
Ponendo una precisa linea di demarcazione tra lambito della sfera pubblica
e lambito della sfera privata, la concezione kantiana del repubblicanesimo e
dello Stato di diritto si avvicina notevolmente alla formulazione del liberali-
smo data da Wilhelm von Humboldt. Questultimo, radicalizzando i princpi
del liberalismo kantiano stato il teorico del cosiddetto Stato minimo, ov-
vero di uno Stato che governa limitando la sua ingerenza al minimo indispen-
sabile, per lasciare ai cittadini piena libert di iniziative in ambito economico,
sociale e culturale. Gli scritti politici del giovane Humboldt sono quindi ca-
ratterizzati dalla definizione giuridica dei limiti (Grenzen) oltre i quali lo Stato
non dovrebbe spingere il proprio intervento. 43
42 F. Boiardi, Storia delle dottrine politiche, Vol. ii, Rivoluzione e Restaurazione 1781-1820. Da
Condorcet a Haller, Nuova cei, Milano 1979, p. 367.
43 A tal proposito cfr. il celebre scritto di W. von Humboldt, Ideen zu einem Versuch,
die Grenzen der Wirksamkeit des Staats zu bestimmen, in Wilhelm von Humboldts Gesammelte
Schriften, Preussische Akademie der Wissenschaften, hrsg. von A. Leitzmann et alii, Behr,
Berlin 1903-1936 (rist. De Gruyter, Berlin 1967-68), vol. i, pp. 97-254 ; tr. it. di G. Moretto, Idee
per un saggio sui limiti dellattivit dello Stato, in W. von Humboldt, Scritti filosofici, a cura di
G. Moretto e F. Tessitore, Utet, Torino 2004, pp. 127-263. Cfr. anche G. Bedeschi, Humboldt :
la teoria dello Stato minimo, in Idem, Storia del pensiero liberale, Laterza, Roma-Bari 19994, pp.
121-136.
44 A questo proposito stato notato che per Kant il raggiungimento da parte degli Stati
di una situazione realmente civile per mezzo di una costituzione repubblicana la condi-
zione necessaria per luscita degli Stati dal contesto anarchico e bellicoso. Lordine interna-
zionale possibile n pi n meno di quello nazionale, ma dopo di questo (L. Bonanate,
Diritto naturale e relazione tra gli Stati, Loescher, Torino 1976, p. 28). Viene inoltre posto in
evidenza che per Kant la storia dellumanit, del suo passato e del suo futuro, si organizza
sulla base di due grandi tappe : luscita dallo stato di natura individuale con la formazione
degli Stati ; luscita successiva, dallo stato naturale internazionale con la formazione di una
45 Si ricordi che Auf hebung un termine tipico del lessico hegeliano e significa letteral-
mente superare conservando.
114 tommaso valentini
strumenti diplomatici per i rapporti internazionali. Il primo passo verso la
creazione di uno stabile equilibrio pacifico nel mondo dato, dunque, dallin-
troduzione di una costituzione repubblicana allinterno di ogni Stato che suc-
cessivamente aderisce al grande foedus pacificum : questultimo una costitu-
zione internazionale che assicura la libert dei suoi membri (libertas sub lege),
il rispetto del diritto (Achtung des Rechtes) e la dignit stessa del cittadino.
ad abbracciare tutti i popoli della terra , 47 egli cosciente del fatto che que-
sto costituisce soltanto unidea regolativa, un tlos ideale intorno al quale far
convergere tutti gli sforzi dellattivit politica e diplomatica : gli Stati, per,
in base allidea che si fanno del diritto internazionale, non intendono affatto
ricorrere a questo mezzo, e rigettano in hypothesi ci che giusto in thesi. E
allora, se non si vuole perdere tutto, al posto dellidea positiva di repubblica
universale (Idee einer Weltrepublik) non resta che il surrogato negativo di una
46 I. Kant, Pace perpetua, cit., p. 91 (AA, viii, p. 358). Una riattualizzazione del cosmopoliti-
smo kantiano inteso come ospitalit universale stata anche auspicata dal filosofo francese
Jacques Derrida : cfr. J. Derrida, Cosmopolites de tous les pays, encore un effort !, Galile, Paris
1997 ; trad. it. di M. Moroncini, Cosmopoliti di tutti i paesi, ancora uno sforzo !, Cronopio, Napo-
li 1997 ; e soprattutto Idem, De lhospitalit, Calmann-Lvy, Paris 1997 ; trad. it. di I. Landolfi,
Il passo decisivo che le istituzioni devono compiere per creare uno stato di
pace duratura per Kant la realizzazione di una riunione (Zusammentretung)
volontaria e in ogni tempo revocabile dei diversi Stati . 50 Solo a partire dalla
tiva degli Stati viene quindi posta come surrogato negativo dellideale della
Weltrepublik, un surrogato realizzabile tuttavia solo sotto la spinta dellideale,
solo presupponendo come attuabile, anche se non nellimmediato, lidea della
repubblica universale. Anche per Kant , sotto certi aspetti, valida la nota af-
fermazione di Karl Mannheim secondo la quale lutopia muove la storia : 52
48 Ibidem, pp. 87-89. Come sul piano teoretico la concezione kantiana dellidea ha un
valore soltanto regolativo cos anche dal punto di vista pratico e giuridico, essa ha una
funzione regolativa : lidea della creazione di una Weltrepublik ad ispirare lagire politico
e a guidare la stessa riflessione politica come se (als ob) la costituzione di tale repubblica
universale fosse realmente possibile ed attuabile.
49 I. Kant, Metafisica dei costumi, cit., p. 188 (AA, vi, p. 350). Linflusso delle idee politiche
kantiane sul processo di costituzione dellUnione Europea messo particolarmente in rilie-
vo nel saggio di S. Dallavalle, Kant, lordine internazionale e lintegrazione europea, Filoso-
ologia e utopia, Il Mulino, Bologna 19993. Ad avviso di Mannheim lutopia nasce nel mondo
tedesco del Cinquecento con Thomas Mnzer : nei suoi studi sullutopia anche Paul Rico-
eur ricorda che Mannheim sostiene che la prima forma della mentalit utopica avviene
di Stati, unione che pu essere disdetta in ogni tempo e che per conseguen-
una confederazione sempre pi estesa di Stati allinterno dei quali vige una
costituzione repubblicana ed un effettivo stato di diritto : si tratta quindi di una
guerre, per le quali gli Stati cercano a loro volta di indebolirsi e di soggiogarsi
esigenze degli strati oppressi della societ [cit. da Ideologie und Utopie] con Thomas Mnzer
e gli Anabattisti (P. Ricoeur, Lectures on Ideology and Utopia, Columbia University Press,
New York 1986 ; tr. it. G. Grampa e C. Ferrari, Conferenze su Ideologia e Utopia, Jaca Book, Mi-
lano 1994, p. 199). Paul Ricoeur mette inoltre particolarmente in rilievo che lutopia si origi-
na dalle potenzialit creative dellimmaginazione produttiva : egli estende anche allambito
mite questa facolt che si possono ideare nuove dimensioni della realt, [...] nuovi valori,
nuovi modi di essere al mondo (P. Ricoeur, Limagination dans le discours et dans laction,
in Idem, Du texte laction. Essais dhermneutique II, Seuil, Paris 1986 ; tr. it. di G. Grampa,
Limmaginazione nel discorso e nellazione, in Dal testo allazione. Saggi di ermeneutica, Jaca Bo-
ok, Milano 1989, pp. 205-227, p. 212).
53 I. Kant, La metafisica dei costumi, cit., p. 180 (AA, vi, p. 344). Riguardo la possibile dege-
nerazione pratica dellideale repubblica universale in una sorta di dispotismo universale,
stato sottolineato che il cosmopolitismo kantiano non mira a stabilire un superstato o
una comunit cosmopolita sotto un unico sovrano, ma una federazione sulla base di un
diritto internazionale stabilito in comune, senza che gli Stati debbano sottomettersi a leggi
pubbliche e a coazione reciproca (P. Armellini, Elementi di storia del pensiero politico fede-
ralista, in Introduzione al pensiero federalista, P. Armellini (a cura di), Aracne, Roma 2003,
p. 42).
la filosofia politica di kant 117
reciprocamente, dovranno da ultimo portarli, anche loro malgrado, o a entra-
re in una costituzione cosmopolitica (weltbrgerliche Verfassung), o, siccome un
tale stato di pace universale [...], per un altro aspetto ancora pi pericoloso
per la libert, potendo originare il pi orribile dispotismo, questa necessit
dovr portarli non ad una comunit cosmopolitica sotto un unico sovrano,
ma ad una condizione giuridica di federazione sulla base di un diritto interna-
zionale stabilito in comune . 54 Sostenendo che ci che vale in teoria in virt
dei princpi della ragione deve valere anche nella pratica, almeno come ideale
regolativo al quale tendere, Kant sottolinea che questo vale anche dal punto
di vista cosmopolitico : lideale di una confederazione universale di popoli
deve essere perseguito come dovere morale, come compito politico necessa-
rio per la conservazione della pace. Attraverso la teorizzazione di un diritto
internazionale e di un diritto cosmopolitico valido erga omnes, Kant indica le
direttive da seguire affinch una siffatta repubblica universale dei popoli ven-
speranza kantiana tuttavia riposta anche nella natura stessa delle cose la
quale spinge i popoli ad unirsi in vista di una maggior stabilit politica, eco-
nomica e sociale : sarebbe, dunque, lo stesso processo storico a portare verso
54 I. Kant, ber den Gemeinspruch : Das mag in der Theorie richtig sein, taugt aber nicht fr die
Praxis, [1793], in AA, viii, pp. 273-313, pp. 310-311 ; tr. it di G. Solari e G. Vidari, Sopra il detto co-
mune : questo pu essere giusto in teoria, ma non vale per la pratica , in Scritti di filosofia politica,
recht, in O. Hffe (hrsg.), Zum ewigen Frieden, Akademie Verlag, Berlin 1995, pp. 133-148.
118 tommaso valentini
che vantaggi di carattere economico e commerciale : nel dare le ragioni (lgon
didnai) della pace, il filosofo non si appella solamente alle istanze del dovere
morale (Sollen) ma anche ad istanze e finalit di carattere pratico e materiale,
come ad esempio quelle dello sviluppo economico dei popoli. Sono quindi
anche la saggezza pratica e la prudentia politica (la phrnesis aristotelica), a
guidare le indicazioni di Kant per la formazione di una federazione di Stati in
grado di stipulare un duraturo foedus pacificum.
Un ulteriore approfondimento meritano le pagine della Pace perpetua e della
Metafisica dei costumi dedicate a quella parte del diritto pubblico definita dirit-
to cosmopolitico (jus cosmopoliticum ; Weltbrgerrecht) : questultimo viene li-
sita (Besuchsrecht) appartenente a tutti gli uomini, che consiste nel dichiararsi
pronti a socializzare in virt del diritto al possesso comune della superficie
della terra . 58 Il diritto cosmopolitico trova le sue profonde motivazioni (la
sesso (communio) che deriva il diritto da parte di ogni uomo di poter visitare
tutti i luoghi del mondo e di poter entrare in commercio con tutti i popoli :
nate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo (Genesi I, 28). Possiamo dire che la visione
presiedono alle loro possibili relazioni (die mgliche Vereinigung aller Vlker in
Absicht auf gewisse allgemeine Gesetze ihres mglichen Verkehrs) : 62 in esso che
suno, perch ai loro occhi gli indigeni non contavano nulla . 64 Lautore ricor-
da quanto avvenne nelle Indie Orientali, dove gli Europei, con il pretesto di
tutti gli uomini e perci questi ne sono i diretti responsabili. Nellattuale contesto filosofico,
anche a partire dal presupposto di questidea secondo la quale luomo devessere padrone
e custode responsabile della terra, Hans Jonas ha parlato della necessit di unetica della
responsabilit (Verantwortungsethik) e Kar-Otto Apel di macroetica universale : quelle di
Jonas e Apel rappresentano proposte di unetica per unet in cui gli enormi sviluppi della
tecnologia mettono a serio rischio il futuro del pianeta e delluomo stesso. Cfr. H. Jonas,
Das Prinzip Verantwortung. Versuch einer Ethik fr die technologische Zivilisation, Suhrkamp,
Frankfurt a.M. 1979 ; tr. it. di P. Rinaudo, Il principio responsabilit. Unetica per la civilt tecno-
logica, Einaudi, Torino 1990 ; K.-O. Apel, Das Problem einer universalistischen Makroethik der
litico viene connesso a quello di una giustizia universale, in base alla quale la
violazione del diritto commessa in un luogo della terra viene avvertita in tutti
i luoghi : 66 la costituzione di un diritto cosmopolitico legittima quindi anche
65 Ibidem (AA, viii, pp. 358-359). 66 Ibidem, p. 97 (AA, viii, pp. 365).
67 Cfr. E. Cruc, Il Nuovo Cinea, [1623], a cura di A. Lazzarino Del Grosso, Guida, Napoli
1979 ; unampia ricostruzione storiografica della definizione politico-giuridica dellutopia
pacifista del Seicento viene effettuata nel volume di F. Russo, Alle origini della Societ delle
Nazioni. Pacificazione ed arbitrato nella cultura europea del Seicento, Studium, Roma 2000. Tra i
maggiori autori della modernit che hanno scritto un progetto filosofico e politico per lin-
staurazione di un pacifico ordine internazionale sono da ricordare : Abb de Saint-Pierre,
Projet pour rendre la paix perptuelle en Europe, cit. ; W. Penn, An Essay towards the Present and
Future of Europe, [1693], ristampa anastatica della prima edizione a cura di P. van den Dun-
gen, Georg Olms Verlag, Hildesheim 1983 ; tr. it. a cura di F. Voltaggio, in Filosofi per la pace,
cit., pp. 11- 35 ; J.-J. Rousseau, crits sur labb de Saint-Pierre, [1758-1759] in Oeuvres Compltes,
ed. critica a cura di B. Gagnebin e M. Raymond, Gallimard, Paris 1959 ; J. Bentham, A Plan
for an Universal and Perpetual Peace, [1786-1789], in The Works of Jeremy Bentham, a cura di J.
Bowring, W. Tait, Edinburgh 1838-1842 : trad. it. a cura di F. Voltaggio, in Filosofi per la pace,
dove il suo incarico lo chiama . 70 Come Kant, anche Fichte auspica la costitu-
zione di una confederazione degli Stati di tutto il mondo il cui fine supremo
dovessere la conservazione della pace : Quando questa confederazione di
nalit stessa della concezione kantiana del diritto internazionale e cosmopolitico, ovvero
lunione degli Stati in uno Stato di popoli in cui le loro controversie vengono risolte da
leggi positive (Rezension Zum ewigen Frieden, in Fichtes Werke [1834-1846], hrsg. von I.H.
Fichte, W. de Gruyter & Co., Berlin 1971, vol. viii, pp. 427-436 ; tr. it. a cura di B. Widmar, in
Appendice a Per la pace perpetua. Progetto filosofico di Emanuele Kant, Gheroni, Torino 1946,
p. 125).
69 A tal proposito cfr. F. Oncina Coves, La pace kantiana come palinsesto : la prima ricezione
dellopuscolo Zum ewigen Frieden , in G. Rametta (a cura di), Filosofia e guerra nellet dellide-
naturale secondo i princpi della dottrina della scienza, Laterza, Roma-Bari 1994, p. 333. Sulla
concezione del diritto cosmopolitico in Fichte cfr. C. De Pascale, Das Vlkerrecht (Zweiter
Anhang), in J.-C. Merle (hrsg.), Johann Gottlieb Fichte. Grundlage des Naturrechts, Akademie
Verlag, Berlin 2001, pp. 197-210.
71 Ibidem, in Fichtes Werke, cit, vol. iii, p. 382 ; tr. it., p. 333.
72 A tal proposito si veda J. Habermas, Kants Idee des ewigen Friedens - aus dem historischen
Abstand von 200 Jahren, Kritische Justiz , 28 (1995), pp. 293-319 ; R. Merkel - R. Wittman
(hrsg.), Zum ewigen Frieden : Grundlagen, Aktualitt und Aussichter einer Idee von Immanuel Kant,
Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1996 ; O. Hffe, Kants Cosmopolitan Theory of Law and Peace,
(1795) con la sua nozione di foedus pacificum. Interpreto questa idea nel senso
che dobbiamo prendere le mosse dallidea, basata sul contratto sociale, della
concezione politica liberale di un regime a democrazia costituzionale, per poi
estenderla introducendo unulteriore posizione originaria di secondo livello,
in cui i rappresentanti di popoli liberali stipulano un accordo con altri popoli
liberali . 74 Rawls, seguendo nelle linee essenziali la formulazione del liberali-
Kant to the Idea of a Cosmopolitan Constitution, Edinburgh University Press, Edinburgh 2009 ;
S. Van Hooft, Cosmopolitanism : A Philosophy for Global Ethics, Acumen Publishing Ltd,
Durham 2009 ; D. Held, Cosmopolitanism : Ideals and Realities, Polity Press, Cambridge 2010 ;
G. Wallace Brown - D. Held, The Cosmopolitanism Reader, Polity Press, Cambridge 2010
[sul cosmopolitismo kantiano il volume contiene i seguenti saggi : Garret Wallace Brown
- David Held (I. Kant and Contemporary Cosmopolitanism), Martha C. Nussbaum (Kant and
Cosmopolitanism), Garrett Wallace Brown (Kants Cosmopolitanism), Onora ONeill (A Kan-
tian Approach to Transnational Justice)].
73 Cfr. H. Kelsen, Das Problem der Souveranitt und die Theorie des Vlkerrechts. Beitrag zu
einer reinen Rechtslehre, Mohr, Tbingen 1920 ; tr. it. di A. Carrino, Il problema della sovranit
e la teoria del diritto internazionale, Giuffr, Milano 1989 ; Idem, Peace through Law, The Uni-
versity of North Carolina Press, Chapel Hill 1944 ; tr. it. di L. Cimurro, La pace attraverso il
Il diritto dei popoli, Edizioni di Comunit, Torino 2001, p. 12. Cfr. anche lopera fondamen-
tale di John Rawls del 1971 che stata al centro del dibattito politico americano degli ultimi
decenni : A Theory of Justice, The Belknap Press of Harvard University, Cambridge 1971 ; tr.
it. di U. Santini, a cura di S. Maffettone, Una teoria della giustizia, Feltrinelli, Milano 1986.
Sullinfluenza del pensiero etico-politico kantiano nella formulazione del liberalismo di
Rawls cfr. il saggio stesso di J. Rawls, Kantian constructivism in moral theory, Journal of Phi-
losophy , 77 (1980), pp. 515-572 ; O. Hffe, Is RawlsTheory of Justice really Kantian ?, Ratio ,
la filosofia politica di kant 123
smo kantiano, auspica un sempre pi esteso accordo politico tra i popoli, cio
la creazione di un effettivo diritto dei popoli che garantisca il rispetto delle
fondamentali libert dei cittadini di tutto il mondo : ciascuno di questi accor-
sul diritto dei popoli ho cercato di estendere queste idee con il fine di stabilire
le linee guida di politica estera per una societ liberale inserita in una societ
dei popoli ragionevolmente giusta. Se una societ dei popoli ragionevolmente
giusta i cui membri subordinano il potere di cui dispongono al raggiungimen-
to di scopi ragionevoli non si dimostrasse possibile, e gli esseri umani si rive-
lassero per lo pi amorali, se non incurabilmente cinici ed egoisti, saremmo
forse costretti a chiederci, con Kant, che valore mai abbia per gli esseri umani
vivere su questa terra . 76
Possiamo notare che per Rawls, come per Kant, lagire politico si configura
come un compito etico, una sittliche Aufgabe nei confronti dellumanit, che
spinge la riflessione teorica stessa a pensare e proporre le condizioni giuridi-
che di un diritto dei popoli (Vlkerrecht nel linguaggio kantiano), il quale as-
sicuri il mantenimento della pace e un ordine politico internazionale rispet-
toso della libert e della dignit dei singoli cittadini. Anche nei testi di Rawls
possiamo scorgere in nuce la presenza dellideale regolativo di un chiliasmo
filosofico, ovvero la speranza nella costituzione di un ordine giuridico cosmo-
politico e di una pace duratura tra i popoli. Al filosofo americano potrebbero,
26 (1984), pp. 103-124 ; S. Veca, Kant e il paradigma della giustizia, in G.M. Chiodi, G. Marini,
R. Gatti (a cura di), La filosofia politica di Kant, FrancoAngeli, Milano 2001, pp. 143-152 ; G.
Fiaschi, Da Rawls a Kant : saccheggiare a ritroso, in Aa. Vv., La filosofia politica di Kant, op. cit.,
pp. 173-182 ; F. Pizzoli, Il pensiero politico di John Rawls e le sue ascendenze kantiane, Filosofia
Abstract : This paper deals with Kants view of a philosophical chiliasmus, by which it
is to be understood the political hope of a perpetual peace between the worlds states. In his
philosophical and political writings, Kant shows how this peace can be achieved through dip-
lomatic means, trying to define the original concept of a cosmopolitical right (Weltbrger-
recht). This paper aims at highlighting the modernity of Kants political perspective, which
has been renewed and developed in the twentieth century by many philosophers and jurists as
Hans Kelsen and John Rawls.
Keywords : cosmopolitical right, Immanuel Kant, John Rawls, philosophy of history, philo-
77 I. Kant, Pace perpetua, cit., p. 97 (AA, viii, p. 360). Il diritto cosmopolitico teorizzato da
Kant pu essere interpretato come unutopia realistica (laccostamento dei due termini
ossimorici tipica di Rawls), unutopia che pu divenire ideale regolativo del pensiero giu-
ridico e dellagire politico.
note e commenti
CA N A GOOD CITIZEN BE A GOOD RULER ?
Reconstructions. 4. Is the Ideal City made by good men ? 5. A Final Defence of the Coexistence
Thesis.
1. Introduction
the first Book of the Politics, where he defines man as a political animal . 2
* Universit degli Studi di Bologna, Facolt di Lettere e Filosofia, Via Zamboni 38, 40126
Bologna. E-mail : irrera@hotmail.com.
1 See for instance D.J. Allan, Individual and State in the Ethics and Politics, Entretiens
sur lAntiquit Classique , xi (1965), pp. 55-85, p. 61. As he claims, the good citizen and his
relation to that of the good man should not be examined by making abstraction from any
qualities of the human soul that are not of social-nature. Cfr. G. Bien, Die Grundlegung der
Politischen Philosophie bei Aristoteles, Verlag Karl Alber, Freiburg/Mnchen 1973, p. 72, where
he suggests that, in Aristotles lexicon, the adjectives human, political juridical are
interchangeable.
2 Pol. I, 2.1253 a2-3 ; cfr. Pol. iii, 6.1278 b19 ; NE ix, 9.1169 b18. Quotations of the Greek text
will follow Rossedition of the Politics (W.D. Ross, Aristotelis Politica, E Typographeo Clar-
endoniano, Oxonii 1957) and F. Susemihl O. Apelt (Aristotelis Ethica Nicomachea, rec. F.
Susemihl, ed. tertia curavit O. Apelt, Teubner, Lipsiae 19123).
in which even simple citizens, although not involved in concrete ruling ac-
tivity, are potentially good rulers. This attempt will lead me to devote special
attention to one of the conceptual frameworks within which the Aristotelian
distinction between good man/ruler and good citizen is illustrated : the ideal
polis. I will argue that the picture of the ideal city offers a strategic perspective
in the light of which the idea of someone possessing the qualities of a good
citizen and at the same time the characteristic excellence of the good ruler
does not appear unreasonable. My contention is that, in the course of Aristo-
tles argument, the purely conceptual distinction between good ruler/man and
good citizen introduced in Book III of the Politics gradually leaves room for the
possibility of an actual coexistence of the two excellences in a single person.
Within the ideal city, such a coexistence will be the rule, not the exception.
3 On this point see P.L. Phillips Simpson, The Politics of Aristotle. Translated with Intro-
duction, Analysis and Notes, University of North Carolina Press, Chapel Hill 1997, p. 75. As
Simpson rightly observes, the argumentative strategy followed by Aristotle in Book III of
the Politics is a concrete instantiation of a methodological principle stated in generic terms
in Pol. I, 1.1252 a17-21. On this principle, for a correct inquiry into a subject it is necessary to
divide a compound into its uncompounded elements (for these are the smallest parts of the
whole). Cfr. P.L. Phillips Simpson, A Philosophical Commentary on The Politics of Aristotle,
University of North Carolina Press, Chapel Hill 1998, p. 133.
can a good citizen be a good ruler? 129
There are many possible ways of accounting a man as citizen, not all of
which are equally relevant to Aristotles philosophical purposes. In the effort
to pin down what seems to be an extremely elusive quarry, Aristotle proceeds
by a process of elimination. 4 The first candidates to be ruled out are the so-
called honorary or made citizens, i.e. those who have the name but not the
distinctive functions of citizens ; 5 these are disqualified on the ground that
the mere name is an unnecessary criterion for citizenship. Then, Aristotle dis-
misses those criteria that appear necessary but not sufficient. 6 Just to give two
number of weak points. First, some offices are differentiated by time, so that
it is not permitted at all for the same person to hold them more than once or
without any interval 10 (Pol. III, 1.1275 a23-25). Second, if office is confined to of-
ficial position alone, that would have the absurd result of denying citizenship
to people committed to other tasks of high political relevance, for instance
those who speak in the assembly. It would be unreasonable, then, to deny a
political role to those who have the most control, simply because there are
times in which they do not actually exert a public role and/or because they do
not hold official positions.
This is why Aristotle prefers to consider as citizen anyone in the city who
is simply entitled to share in these functions. His being a citizen does not rest
on actual participation, but on mere possibility of participation in public of-
fices. In Aristotles own words,
[W]hoever is entitled to participate in an office involving deliberation or decision is,
4 See ibidem, p. 134. For a detailed account of the process of elimination see also F.D.
Miller Jr., Nature, Justice and Rights in Aristotles Politics, Clarendon Press, Oxford 1995, pp.
143-148. 5 Pol. iii, 1.1275 a5-6.
6 See P.L. Phillips Simpson, A Philosophical Commentary on The Politics of Aristotle, cit.,
p. 134. 7 Pol. iii, 1.1275 a7-8. 8 Pol. iii, 1.1275 a8-11.
9 Pol. iii, 1.1275a22-23 : polites dhaplos oudeni ton allon horizetai mallon he toi metechein
Lords translation (C. Lord, Aristotle. The Politics, Translated with an Introduction, Notes
and Glossary, The University of Chicago Press, Chicago and London 1984, from which all
the passages of the Politics cited in this paper are taken, unless otherwise specified. The is-
sue as to whether the definition above should be retained as the definitive one has caused
130 elena irrera
The account above, just like the previous one, implies that citizenship does
not rely on a supposed passive abidance by the laws in force in the political
community (an attitude which is also shared by those who do not enjoy the
status of citizens, like aliens and slaves). In both cases, citizenship presupposes
the capacity (and, as we might hypothesize, even the propensity) of individu-
als to cooperate towards the well-being of their city through some kind of
participation in offices and deliberative activity. 12 Their contribution, how-
ever, does not include unrestrained freedom of agency, but is rather confined
to compliance with the prescriptions in force in their constitution. Provided
that the nature of citizenship is determined by entitlement to participation in
office, and offices are distributed on the basis of the distinctive values cham-
a wide debate among scholars. Aristotles focus on the entitlement (exousia) of citizens to
political participation, for instance, has led Miller Jr to believe that this concept takes the
burden of Pol. iii, 1 is that of defining the citizens as holders of distinctive political rights (see
also F.D. Miller Jr., Nature, Justice and Rights in Aristotles Politics, cit., p. 144). Unlike Miller,
Irwin, Schofield and Susemihl-Hicks doubt that this is Aristotles precise aim (T.H Irwin,
The Good of Political Activity, in G. Patzig (ed.), Aristoteles Politik : Akten des xi. Symposium
Aristotelicum, Vandenhoeck & Ruprect, Gttingen 1990, pp. 73-98 : 82. M. Schofield, Sharing
in the Constitution, Review of Metaphysics , 49 (1996), pp. 831-858, pp. 840-842. F. Susemihl
- R.D. Hicks (eds.), The Politics of Aristotle : A Revised Text, With Introduction, Analysis and
Commentary, Macmillan and Co., London and New York 1894, pp. 359-360). For a reconstruc-
tion of the debate see P.L. Phillips Simpson, A Philosophical Commentary on The Politics of
Aristotle, cit., pp. 135-136, footnote 7). Simpson, who tends to adhere to the views of Miller Jr
(views to which I subscribe myself ), explains that Irwin and Schofield suppose that the pre-
cise definition is the one given earlier (1275 a22-23), namely that the citizen is someone who
(actually) shares in judgment and rule or office and not someone who is entitled so to share
without actually now sharing. But this view is contrary to what Aristotle actually says at the
end of this chapter, as well as to what he says later at 3.5.1277 b34-35. It also entails that some-
one eligible for office but not now in office is not actually or fully a citizen. This means that
citizens who alternate in ruling and being ruled are not really citizens when they are being
ruled... (P.L. Phillips Simpson, A Philosophical Commentary on The Politics of Aristotle, cit.,
pp. 135-136, footnote 7). Further suggestions are supplied by Berti and Moss, who claim
that indefinite offices, such as juridical functions or membership in the assembly, grant
the right of citizenship, but only those offices held for a limited period constitute political
participation in its proper sense (E. Berti, La Nozione di Societ Politica in Aristotele, in M.
Migliori (ed.), Il Dibattito Etico e Politico in Grecia tra il v e il iv Secolo, La Citt del Sole, Napo-
li 2000, pp. 511-528, p. 522. C. Moss, Citoyens actifs et citoyens passifs dans les cits grecques :
une approche thorique du problme, Revue des tudes Anciennes , 81 (1979), pp. 241-249.
12 As Newman points out in his commentary to Pol. iii, 1.1275 b18-20, the meaning of
political participation and the extent to which it can be practiced by citizens is not en-
tirely clear. In particular, he exhibits considerable perplexity over Pol. vi, 4.1318 b21ff., where
Aristotle considers the case of people who, living under some specific types of tyranny or
oligarchy, were regarded as citizens simply in virtue of their entitlement to elect magistra-
cies, without being allowed exercise deliberative authority (W.L. Newman, The Politics of
Aristotle. With an Introduction, Two Prefatory Essays and Notes Critical and Explanatory, iv vol-
umes, Cambridge University Press, Cambridge 2010 [first ed. 1902]. Vol. iii, p. 140).
can a good citizen be a good ruler? 131
pioned by each polis, the excellence of a citizen will derive its specific content
from the principles according to which offices are distributed in the constitu-
tion of his city. This point is first introduced at Pol. iii, 1.1275 a38-b5, where Ar-
istotle explains that, as is evident to inspection
regimes differ from one another in kind, and [that] some are prior and some poste-
rior ; for those that are errant and deviant must necessarily be posterior to those that
are without error [...] Hence 13 the citizen must necessarily differ in the case of each
sort of regime . 14
just according to their capacities), it is clear that the most accurate definition
of the excellence of each sailor will be peculiar (idios) to each, but it will also
become evident that there must be some common account that fits them all,
insofar as safety in navigation (he soteria tes nautilias) is the work of (ergon) all
of them, and the object at which each must aim. Aristotle tells us that what is
true of sailors is also true of citizens, for
Although citizens are dissimilar, 15 preservation of the partnership is their task, and
13 That is, as regimes differ. This concept is well stressed by Barkers translation (E.
Barker (ed.), Aristotle. Politics. Translated with an Introduction, notes and Appendixes, Oxford
University Press, Oxford 1948 [first published 1946].
14 hoste kai ton politen heteron anagkaion einai on kathhekasten politeian . Lords transla-
tion conveys the idea that each constitution has the power to affect the nature of citizen-
ship. Such a concept is not enough stressed in an alternative (and, in my opinion, inap-
propriate) rendering of the passage, which is offered by Barker : the citizen under each
(dio ten areten anagkaion einai tou politou pros ten politeian). If, then, there are indeed
several forms of constitutions, it is clear that it is not possible for the virtue of the
excellent citizen to be single, or complete virtue (delon hos ouk endechetai tou spoudaiou
politou mian areten einai, ten teleian) . 17
constitution provides the criterion of civic excellence and, all the same, the
end towards which each citizen ought to work. Furthermore, we may observe
that his view of excellent citizenship has no special relationships with the ethi-
cal qualities of the individual. Citizens will be deemed good only in relation
to the capacity to perform their specific role in the polis and so contribute to
its general well-functioning. Notwithstanding the diversity of roles covered
by citizens in a given community, what gives them their shared status (which
is also what promotes cohesion among them) is mainly the contribution of
each to an agreed goal : safety in the working of their partnership (Pol. iii,
4.1276 b28-30).
lence . 19
17 My own translation. Lord translates politeia as regime and pros ten politeian as with
a view to the regime.
18 On this point see R.G. Mulgan, Aristotles Political Theory, Clarendon Press, Oxford
1987 (first published 1977), p. 57 ; cfr. A.W.H. Adkins, The Connection between Aristotles Ethics
and Politics, in D. Keyt - F.D. Miller Jr. (Eds.), A Companion to Aristotles Politics, Blackwell,
Oxford 1991, pp. 75-93, p. 88. Adkins points out that Aristotle does not emphasize the point,
but since some kinds of constitution are bad, being a good citizen under some constitu-
tions might require one to be a bad man . See also R. Kraut, Aristotle, Oxford University
The nature of such an excellence is revealed only in Pol. iii, 4.1277 a14-16,
where we read that the good ruler, being at the same time a good man, is
good in virtue of his phronesis. Aristotle does not take pains to offer an accu-
rate illustration of phronesis in the Politics, and its nature and contribution to-
wards the achievement of the human good are simply relegated to the back-
ground. Despite the absence of an in-depth treatment of phronesis here, he
holds practical wisdom to play a crucial role in concrete political life, and
the views he carefully outlines in the Nicomachean Ethics are still at work in
the Politics. In NE vi, 5.1140 b4-6 phronesis is described as a true disposition ac-
companied by rational prescription, relating to action in the sphere of what
is good and bad for human beings. The core of phronesis is a correct form of
reasoning (orthos logos), which, by dealing with things that can be otherwise
(NE vi, 2.1139 a13 ; cfr. 4.1139 b30-31), just like actions and situations, has the
Step 1 : Laying down the question : is the virtue of the good citizen the same as that
Step 2 : Finding an answer. Generally speaking, it is not the same virtue. The virtue
of the good citizen is relative to the nature of the constitution, whereas that of the
good man depends on an absolute virtue (1276 b18-34).
Step 3 : Answering the same question by reference to the ideal city. It seems that, even
within such a framework, the virtue of the good citizen cannot be the same as the
virtue of the good man (1276 b34-b12).
Step 4 : Only in one case the good citizen is also a good man : when the good citizen
P(1) The characteristic excellence of the good ruler is the same as the excellence
possessed by the good man (as implied by Pol. iii, 4.1277a14-15 ; cf. Pol. III, 4.1277 a21).
P(2) Citizens, however good, cannot rule, especially because they do not possess the
same virtue as the one proper to excellent governors (which is implied by Pol. iii,
4.1277 a20-25, where it is explained that the ruler and the ruled have different sorts of
excellence).
1,2 : (3) The characteristic virtue of the good citizen is not the same as that of the
lian scholars do ; see section below) that not every good citizen is a good man
P(1) The excellence of the good citizen is not the same as the excellence of the good
man (Pol. iii, 4.1276 b18-35).
P(2) The excellence of the good man is the same as the excellence of the good ruler
(as implied by Pol. iii, 4.1277 a14-15 ; cf. Pol. iii, 4.1277 a21 20).
P(3) The excellence of the good ruler is phronesis (Pol. iii, 4.1277 a15).
1,2 : (4) The excellence of the good citizen differs from that of the good ruler.
ery citizen towards complete ethical goodness and, all the same, the ability to
make each of them a potentially good ruler. My contention is that, although
a member of the perfect city, qua citizen, does not need to exhibit full ethical
excellence, he might still possess all the requisites for wise ruling activity. The
semantic distinction between excellences, in other words, would not imply
the impossibility of a good citizen being endowed with both excellences, even
though these cannot be displayed at the same time and in the same contexts.
It is my understanding that ethical goodness is not specifically determined by
exercise of ruling activity, but, vice versa, it proves to be the legitimate ground
of ruling activity.
20 It ought to be noted that the identity between the two excellences is introduced here
as a hypothesis, but its validity is never questioned in the Politics.
21 As I hope to make clear in the rest of this paper, the conclusion expressed at point
(5) does not of necessity imply the absolute impossibility of a citizen possessing phronesis.
Rather, it might simply mean that, as a citizen, one does not need to have phronesisand that,
in case he has it, he does not have to employ it at the level of mere citizenship.
136 elena irrera
4. Is the Ideal City made by good men ?
In Pol. iii, 4.1276 b35ff. Aristotle proposes to analyse the difference between the
excellence of the good citizen and that of the good man within the framework
of the ideal polis. As implied in Pol. iii, 4.1276 b35-37, the ideal city constitutes
only one of the eligible frames of discussion in the light of which the distinction
at issue may emerge, and Aristotle does not appear keen to explain whether
each frame is of equal value to the others. Yet, we might reasonably wonder
whether the perfect city is capable of throwing a specially powerful light on the
distinction at issue. Different answers might be offered to the questions above,
depending on the view one has about the nature of Aristotles ideal city. One
possibility is that the perfect city is seen as a form of community entirely made
by good citizens who, although lacking the characteristic excellence of the
good man, are nevertheless well-inclined to contribute to the maintenance of
ethical virtue (i.e. the central value endorsed by the constitution). On this pos-
sibility, it might be hypothesized that the ideal polis, although not representing
the only eligible framework for discussion, is chosen by Aristotle simply to
enforce his supposed belief that no good citizen, qua citizen, can possess the
characteristic excellence of the good man. I shall call that view the incompat-
ibility thesis (IT), because it expresses the impossibility of a good city (even
the ideal one) being entirely composed of good men. According to this thesis,
not every citizen of the ideal polis is a good man and a potentially good ruler.
A different view is one which presents the perfect polis as one in which each
and every citizen possesses excellence in a complete sense, being therefore
a good man and also a potentially good ruler. This is the view to which I
subscribe and in support of which I shall offer evidence below. I call this the
coexistence thesis (CT), since it argues for the possibility of a coexistence
between the excellences of the good citizen and of the good man/ruler in one
and the same individual.
Against the CT, supporters of the IT might object that, at least in the first
stage of his discussion of the ideal polis, Aristotle seems firmly intent on ex-
cluding the possibility of a community made of good citizens being at the
same time good men. He claims at Pol. iii, 4.1276 b37-1277 a1,
[i]f it is impossible 22 for a city to consist entirely of excellent persons, yet if each
22 A textual problem can be detected in Pol. iii, 1276b38. Bernays alters the adynaton (im-
possible) and gives dynaton (possible) ( J. Bernays, Aristoteles Politik. Erstes, zweites und
drittes Buch mit erklrenden Zustzen ins Deutsch bertragung, Hertz, Berlin 1872). However,
as Rackham suggests, even in that case, the general sense of the sentence would remain
unaltered. Assuming the possibility of a perfect state, not all its members would be good
men ; rather, they all might be spoudai`oi citizens (H. Rackham, Aristotle, Politics. Transla-
tion, Harvard University Press, Cambridge (Massachusetts) 1977 [first published 1932], ad-
ditional note to 1276 b38, p. 275).
can a good citizen be a good ruler? 137
should perform his own work well, and this [means] out of virtue, there would still
not be a single virtue of the citizen and the good man, since it is impossible for all the
citizens to be similar .
of the ruled do not coincide, not even within the framework of the ideal po-
lis, 24 whose well-being mainly depends on a well balanced diversification of
functions. 25 As Develin claims, Aristotle believes that a man qua ruler will
not be able to display the same range of skills as a man qua common citizen,
i.e. qua ruled. On his view, the excellence of the good man and that of the good
member of a polis coincide in a perfectly virtuous city exclusively in the case of the
ruler ; if that is so, then Aristotle would have to maintain that, aside from the
framework of the ideal city would encourage us to believe that even in a case
of absolute ethical and administrational perfection, the roles held respectively
by simple citizens and rulers remain separate. Both Develin and Kraut read
the passage as proof that the excellence of the good citizen cannot be identi-
cal with that of the good man, firstly because it is impossible for a polis to be
entirely composed of good men, secondly because the roles and capacities of
citizens and rulers that result are differentiated. In particular, Develin defends
his view by calling upon Aristotles idea that the rulers and the ruled should
learn different things. As Aristotle explains in Pol. III, 4.1277a16-21, some people
believe that the training of the ruler should differ from that of the good citi-
zen. With regard to this view, he quotes Euripides, who says :
which, as Aristotle himself claims, suggests the need for special training for
the ruler. Of course, a similar stance appears reasonable if we consider that,
23 R. Develin, The Good Man and the Good Citizen in Aristotles Politics, Phronesis , 18
[H]ence this too has been rightly said that it is not possible to rule well without
One might suppose that, by mentioning the view that citizens should also
be able to rule, Aristotle is simply implying that citizens should not learn the
work of all kinds of ruled persons, 28 and not that the training they receive
should make them potentially good rulers. I prefer to adopt a stronger read-
ing, and suggest that the passage above highlights an important connection
between the two excellences under examination, offering significant support
for the CT : a ruler will never be good unless he has first become a good citi-
zen. This is the point I wish to defend in the remainder of this paper. First,
let me deal with the potential objection that, even admitting that my view is
correct and that this is sufficient to show that each and every good ruler must
possess the characteristic excellence of the good citizen, it is nevertheless not
enough to argue that a good citizen of the ideal polisshould necessarily pos-
sess the characteristic excellence of the good man. In response to that objec-
tion, we might once again make reference to Pol. iii, 13.1283 b42-1284 a2, where
it is asserted that, in the ideal city, citizens should also be able to rule :
A citizen in the common sense is one who shares in ruling and being ruled ; but he
differs in accordance with each regime. In the case of the best regime, he is one who
is capable of and intentionally chooses being ruled and ruling 29 with a view to the life in
A similar suggestion had first been presented in the form of a generally held
27 Pol. iii, 4.1277 b10 11-13 : dio legetai kai touto kalos, hos ouk estin eu arxai me archthenta .
28 Such a view is held for instance by Newman. See W.L. Newman, o.c., p. 164.
29 My emphasis. A similar point was already made by Plato in Laws I, 643e.
30 polites de koinei men ho metechon tou archein kai archesthai esti, kathhekasten de politeian
heteros, pros de ten aristen ho dynamenos kai proairoumenos archesthai kai archein pros ton bion
ton katareten .
can a good citizen be a good ruler? 139
view at Pol. iii, 4.1277a25-27, in which Aristotle was outlining competing views
bearing on the excellence of the good ruler and that of the good citizen :
[At the same time,] the capacity to rule and be ruled is praised, and the virtue of a
The passage at Pol. iii, 13.1283b42-1284a2, cited above, shows that the opinion
at issue is neither rejected nor accepted with any reservations, but fully en-
dorsed by Aristotle. Further support for this stance is offered in the last sec-
tion of Book iii, where the philosopher returns to the former speeches (en
de tois protois logois ; Pol. iii, 18.1288 a37) and once again says that the virtue of
man and citizen is necessarily the same in the best city. 32 It is evident that, by
former speeches Aristotle is not referring to section 13, which is too close to
the conclusion, but to the very outset of the discussion on the excellence of
the good citizen and that of the good man, i.e. to sections 4-6. 33
On my reading, all the passages I have just mentioned confirm that the im-
possibility of a simultaneous exercise of the two excellences does not hinder
the logical possibility of a coexistence of both excellences in one and the same
individual. Just as citizens, although equipped with the right of citizenship,
do not continuously take part in political activity, the citizens of the ideal po-
lis might not engage in ruling activity and still retain the phronesis proper to
the good man/ruler. The idea of a perfect city whose members, besides be-
ing good citizens, are also good men and therefore potentially good rulers is
not dismissed after the end of Book III, but seems to be sustained in Books
vii-viii of the Politics, where such a city is portrayed as a community in which
each and every member would be enabled to lead an authentically virtuous
life, rather than merely professing an unquestioning allegiance to the virtuous
prescriptions issued by wise rulers. 34
Aristotles best state, as sketched out in the later books of the Politics, seeks
to attain a very ambitious goal : that of guaranteeing the most desirable way
of life for each citizen, 35 rather than ensuring happiness to a restricted num-
31 As Lord points out in his edition of the Politics (p. 254, footnote 16), the text is some-
what uncertain. Lord reads dokei mou with Bernays and Newman instead of dokei pou ( the
32 Pol. iii, 18.1288 a 38-39 : ten auten anagkaion andros areten einai kai politou, tes poleos tes
aristes .
main focus of his interest is not a distinction between man/ruler and citizen,
but an opposition between virtuous men and people devoted to manual work
or commercial activities. What he means to stress, after all, is the idea that
citizens should never live a vulgar or a merchants way of life (oute banauson
bion outagoraion), as this sort of life is ignoble and contrary to virtue. Never-
theless, the account Aristotle provides here may give us some inkling of the
quality which the good member of the ideal polis no matter whether he is a
ruler or one of the ruled should never lack and which other individuals can
afford to miss : the set of virtues which qualifies a given individual as a good
man. Conceived in absolute terms, virtue cannot rely on simple loyal citizen-
ship, and obedience of citizens to the law, when not backed up by possession
of authentic moral goodness, can hardly have a claim to the character of ab-
soluteness and be acceptable as the mark of complete goodness.
lieve that each book of the Politics is expressing the same views about the
ideal state. Different books might be handling the problem of the ideal city by
the best state is concerned with the kind of life which proves capable of assuring the most
perfect happiness.
36 See E. Barker, Aristotle. Politics, cit., p. 353, footnote 3 : i.e. the particular standard of
If this is true, one might argue that the CT is valid for Books vii-viii, but not in
Book iii, which means that, at least in Book iii, good citizens are not generally
good men and are not therefore entitled to ruling activity.
A second problem which still needs solution is that when, at Pol. iii, 4.1276
b37-40, the excellence of a good citizen is presented as one which cannot be
identical with that of a good man, Aristotle prefaces his claim by specifying if
[yet if each should perform his own work well, and this [means] out of virtue,] there
would still not be a single virtue of the citizen and the good man, since it is impossible
for all the citizens to be similar (epei de adunaton homoious einai pantas tous politas) . 39
ally ruling out the possibility of a city whose members are all endowed with
the distinctive virtue of the good man/ruler, the two scholars realize that the
picture of good citizens endowed with ruling capacities might jeopardize the
consistency of their thesis. To avoid the risk of contradiction, they postulate
that in Pol. iii, 4-6, while asserting the impossibility of good citizens being at
the same time good men, Aristotle was still full of doubts and uncertainties
on the matter, and that only at a subsequent stage of his reflection he came to
formulate a definitive view on the relation between the good citizens and the
good men (Book iii, 13 and 18). On their reading, then, Pol. iii, 4.1276 b37-40
would just express a provisional and erroneous belief, which Aristotle never
had the chance to revise and make consonant to his overall argument. 41
totles genuine discussion at Pol. iii was wholly or for the most part lost, and that sections
4 and 5 are wholly or in part a spurious interpolation. They dismiss such an hypothesis on
the ground that it would be such a desperate and violent step . See F. Susemihl and R.D.
and endoxa. Both words are employed in EN vii, 1.1145 b2-7, where (just before undertaking
his treatment of the problem of akrasia) he prefaces his discussion by claiming that here,
as in all other cases, we must set down the appearances (phainomena) and first, working
through the puzzles, in this way go on to show, if possible, the truth of all the beliefs (en-
doxa) we hold about these experiences . On the relation between phainomena and endoxa see
R. Kraut, How to justify Ethical Propositions : Aristotles Method, in R. Kraut (ed.), The Black-
well Guide to Aristotles Nicomachean Ethics, Blackwell, Oxford 2006, pp. 76-95, p. 78 : we can
safely assume that in our NE vii,1 passage Aristotle uses his terms phainomena and endoxa to
refer to the same things . The word phainomena is specifically designed to indicate observed
Cambridge University Press, Cambridge 1982, pp. 267-293, pp. 268-269). Instead, endoxa usu-
ally express general beliefs about given subjects. Besides phainomena and endoxa, Aristotle
also uses the word legomena, i.e. the things said. See for instance EN vii, 1.1145 b8-20, b10-15
and 19-20). On the nature of ta legomena see G.E.L. Owen, (1986), TITHENAI TA PHAINOM-
ENA, in M. Nussbaum (ed.), Logic, Science, and Dialectic (Owens collected papers), Cornell UP,
Ithaca, NY 1986, pp. 239-251, p. 240 : the legow`mena turn out as so often to be partly mat-
ters of linguistic usage or, if you prefer, of the conceptual structure revealed by language .
43 See Topics I, 1.100 b20-21. Aristotle does not always reveal whose views are those he sets
out (see R. Kraut, How to justify Ethical Propositions : Aristotles Method, cit., p. 79). However,
he seems to be keen to show that such views allow us to hit upon the truth. On his view,
human beings have a propensity to the truth (see Rhetoric I,1.1355 a15-18), but their mind
can reach or get close to it only if properly oriented. However, as Kraut points out at 79,
even though everything that is an endoxon has something to recommend it, that does not
guarantee that all of the endoxon are error-free. As he claims, it will be the task of the theo-
retician to turn that mixes bag of truths, near-truths, and falsehoods-all of them deriving
from reputable sources (that is, from people who have some claim to credibility) into
something that meets higher intellectual standards.
44 On what is generally regarded the second stage of the method, see G.E.L. Owen,
TITHENAI TA PHAINOMENA, cit., p. 241. He explains that the aporiai that Aristotle sets
out are not unexplained or recalcitrant data of observation, but logical or philosophical
can a good citizen be a good ruler? 143
starting assumptions. The final stage of the investigation is a retrieval of the
initial observed data/beliefs through an explanation which offers a theoreti-
cal justification of such beliefs. Under the new intellectual frame, the initial
beliefs will appear in a different light, and they will certainly prove to be more
reasonable than at the beginning of the discussion. 45
Impossibility has two uses : first, where it is untrue to say that the thing can ever
come into being and secondly, where it cannot do so easily, quickly, or well . 47
puzzles generated by expositing some of the things commonly said. Cfr. M. Nussbaum,
Saving Aristotles Appearances, cit., p. 276.
45 See G.E.L. Owen, TITHENAI TA PHAINOMENA, cit., p. 239 : The phainomena must
be collected as a prelude to finding the theory which explains them . See also Nussbaum,
Cfr. Nussbaum, Saving Aristotles Appearances, cit., p. 268 : Aristotles phainomena need sav-
ing. This implies that they are in trouble, or under attack. First, on the level of the text itself,
the phainomena are in danger of vanishing altogether .
46 On the ambiguity of endoxa see R. Kraut, How to justify Ethical Propositions : Aristotles
Method, cit., p. 81-82. Cfr. G.E.L. Owen, TITHENAI TA PHAINOMENA, cit., p. 245.
47 to dadynaton legetai dichos. e gar toi me alethes einai eipein hoti genoitan, e toi me
that the citizens of the ideal polis should be also able to rule might be read
as a powerful objection to the IT. Evidence of this is supplied in the already
mentioned Pol. iii, 4.1277a25 ff., where Aristotle, just after apparently support-
ing what we have called the IT (Pol. iii, 4.1277a20-25), introduces a view which
might put the validity of the starting assumption at risk :
At the same time, the capacity to ruler and be ruled is praised, and the virtue of a
citizen of reputation is held to be the capacity to rule and be ruled finely (Pol. iii,
4.1277 a25).
It might be wondered whether Aristotle is inclined to leave the conflict un-
resolved. Although in his conclusive remarks (Pol. iii, 4.1277 b30 ff.) he vigor-
ously confirms that phronesis is the only virtue proper to rulers, the CT does
not seem to be rejected. Had Aristotle meant to rule it out, he would probably
have tried to offer evidence against it, as he usually does in his dialectical inves-
tigations when he deals with theses in need of emendation. In contrast, at Pol.
iii, 4.1277 b32-33 he makes room for the possibility of several interpretations of
the relationship between the good man and good citizen :
Whether the virtue of the good man and the excellent citizen is the same or dif-
ferent, then, and in what sense (pos) it is the same and in what sense (pos) different, is
evident from these things .
I take the claim above to show that, although there is an unquestionable sense
in which it is impossible for good citizens to be good rulers, there is another
in which the impossibility fades away. This could imply that Aristotle is seri-
ously ready to accept as a real matter of fact, and not only as a mere hypoth-
esis, the idea that good citizens cannot be at the same time good men, but he
also needs to specify the extent to which accepting it is reasonable. On the
one hand, it is impossible to consider the excellence of the good citizen qua
citizen to be the same as the excellence of the good man qua man, and this
is the respect in which a good citizen cannot be at the same time a good man ;
on the other hand, different excellences do not mutually exclude each other,
even though they cannot be performed at the same time and in the same po-
litical context.
Further aid to the CT is offered by Pol. iii, 4.1277 a2-5, where Aristotle, after
stating that the virtue of the good man cannot be found in every citizen, speci-
can a good citizen be a good ruler? 145
fies ei me pantas anagkaion agathous einai tous en tei spoudaia polei politas. In line
with his own reading of the whole argument, Kraut renders the Greek ei me
and the subsequent words as follows : if it is necessary that not all the citizens
in the excellent city are good men . 48 However, this is not the only admissible
all the citizens of an excellent city are necessarily good men . 50 The adverb
unless seems to pave the way for the idea that a city can actually be made
of exclusively good men. Although such a condition is highly unlikely to take
place in existing constitutions, that possibility is perfectly reasonable within
the framework of the ideal polis. 51 Understood in this sense, the adverb un-
In Pol. ii, 2.1261 a33 it is asserted that the well-being of every city depends on
each of its members rendering to the others an amount equivalent to what
each receives from them. As they cannot all rule simultaneously, they must
each have office for a temporary period. In a similar fashion, as Aristotle
explains in Book iii (16.1287 a11-13), the sovereignty of one man over all of
the other members of a state is not natural wherever a state is composed of
equals. That is why these people believe that justice for equals means their be-
ing ruled as well as their ruling, and involves rotation of office.
Resort to government in relays is reasonable both in those imperfect com-
munities in which it is difficult to establish whether some members are superi-
plete Works of Aristotle : The Revised Oxford Translation, (2 vols.), Princeton University Press,
Princeton 1984 ; E. Barker, Aristotle. Politics, cit. ; P.L. Phillips Simpson, The Politics of Ar-
istotle. Translated with Introduction, Analysis and Notes, University of North Carolina Press,
Chapel Hill 1997.
51 See W.L. Newman, Aristotle : Politics, Vol. iii, cit., pp. 156-157, footnote 37. As he explains,
the passage at issue implies that the citizens will not be alike if they all possess the virtue
of a citizen, but [that] they will, if they possess in addition the virtue of a good man .
52 On the issue of government in relays and the rotation of magistracies on which it rests
see G. Cambiano, Aristotele e La Rotazione del Potere, in M. Migliori (ed.), Il Dibattito Etico e
Politico in Grecia tra il v e il iv Secolo, La Citt del Sole, Napoli 2000, pp. 529-544.
146 elena irrera
or to the others 53 and in those cities in which no individual is effectively better
qualified than the others. Also, if the good citizens of the ideal city were not
necessarily good men, we would not be able to understand how a ruler, once
having quit his role, can benefit from the rule of the people who have replaced
him ; 54 their substitutes should in fact possess the same qualities as those of
happens in the ideal polis. On the basis of the identity between the excellence
of the good man and that of the good ruler established by Aristotle, we might
suppose not only that a good ruler will necessarily be a good man, but also that
any good man would be a potentially good ruler, had he the chance to attain
a ruling position and develop some specific knowledge of politics, of its aims,
methods and constitutions.
While being ruled, truly wise people do not lose their phronesis and com-
plete ethical virtue, 55 nor is their having only a doxa alethes about what is good
citizen, i.e. a role which does not require the troublesome task of deliberating
well on important political issues. As I read the argument, Aristotles interest
is not so much on the distinction between good citizen and good man, but on
that between good citizen and good ruler. The distinction he draws is part of
an attempt to show that only in one case, that is, in the ideal city, is each and
every citizen expected to become a ruler.
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53 See Pol. vii, 14.1332 b27-29. 54 See Pol. iii, 6.1279 a3-8.
55 See P.L. Phillips Simpson, Philosophical Commentary on The Politics of Aristotle, cit., p.
145 : It does not follow from this [i.e. the fact that the excellence of the ruler differs from
that of the ruled] that the good man is only a good man when ruling, as if, absurdly, he were
to lose prudence when he left office. Rather what follows is that the virtue by which he is a
good man will only be the same as the virtue by which he is a good citizen when he is actu-
ally ruling. When he is ruled his virtue as a good citizen will be different, and his virtue of
prudence will not be exercised (at least not in ruling the city) .
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Geschichtlichen Stellung Untersucht, Regensburg, Nationale Verl.-Anst.
Abstract : This paper aims to explore both the nature and the purposes of the Aristotelian
distinction between the good man and the good citizen outlined in Book iii of the Politics.
Unlike the excellence of the good citizen, affected by the quality of his city, the excellence
of the good ruler, which Aristotle identifies with that of the good man, rests on an absolute
standard : the possession of practical wisdom. I shall argue that Aristotles argument, rather
than stressing the impossibility of a city being entirely constituted of morally excellent men,
is ultimately designed to show that, in the case of the ideal city, all the citizens of the ideal
polis are at the same time potentially virtuous rulers. The defence of this thesis involves criti-
cal engagement with those scholars who deny the possibility of the two excellences coexisting
in one and the same individual.
Keywords : Ancient political philosophy, Aristotles Politics, common good, ethics, the good
citizen.
forum
DI A LCTICA, ESPR ITU OBJETI VO Y LENGUAJE :
PR ESENCI A DE HEGEL
EN LA HER MENUTICA GA DA MER I A NA
Fr ancisco Fer nndez Labastida*
1 En la presentacin del tercer volumen de sus Gesammelte Werke, Gadamer afirmar que
Hegel, Husserl y Heidegger son sus tres grandes maestros modernos, en los que se entrev
una vuelta a los griegos (cfr. H.-G. Gadamer, Vorwort, en Gesammelte Werke, vol. 3, J.C.B.
Mohr, Tbingen 1987, p. v).
2 Cfr. H.-G. Gadamer, Das Erbe Hegels, en Gesammelte Werke, vol. 4, J.C.B. Mohr, Tbin-
gen 1987, pp. 467-468.
3 Cfr. J. Grondin, Hans Georg Gadamer : eine Biographie, J.C.B. Mohr, Tbingen 1999, pp.
164 y 217. Quien est interesado en conocer con mayor detalle la vida y la gnesis del pensa-
miento de Hans-Georg Gadamer puede consultar esa excelente biografa intelectual (trad.
castellana : Hans-Georg Gadamer : una biografa, Herder, Barcelona 2000).
(November), pp. 25-37. Ahora se puede encontrar fcilmente en Gesammelte Werke, vol. 4,
pp. 384-394.
5 Cfr. H.-G. Gadamer, Philosophische Lehrjahre : Eine Rckschau, Vittorio Klostermann,
7 Idem, Wahrheit und Methode : Grundzge einer philosophischen Hermeneutik, J.C.B. Mohr
8 Haremos las referencias a esta obra siguiendo la traduccin espaola : Verdad y mto-
do, Sgueme, Salamanca 2005 (dcimoprimera edicin castellana a partir de la cuarta edi-
cin alemana).
9 El nombre completo de la asociacin es Internationalen Vereinigung zur Frderung
der Hegel-Studien. Cfr. J. Grondin, Hans Georg Gadamer : eine Biographie, cit., p. 339.
dad de la filosofa griega a la ciencia especulativa. Por mucho que est determinado
por el punto de partida de la filosofa moderna, segn el cual lo absoluto es vida,
actividad, espritu, no es, sin embargo, en la subjetividad de la autoconciencia donde
ve Hegel el fundamento de todo saber, sino en la racionalidad de todo lo real, y, por
ende, en un concepto del espritu como lo verdaderamente real. Ello sita netamente
a Hegel dentro de la tradicin de la filosofa griega del nous, que comienza con Par-
mnides . 18
este concepto de espritu, que trasciende la subjetividad del yo, encuentra su ver-
mente concluye : Toda filosofa es, por tanto, dialctica . 25 En este marco hay
tencia que podramos glosar diciendo que, para poder alcanzar su realizacin,
la dialctica hegeliana debe redescubrirse a s misma en la hermenutica.
Ten years after Gadamers death in 2012 and more than fifty years after the
publication of Truth and Method (1960) there is little doubt that the book has
turned into a classic of the philosophical literature. This is all the more be-
coming since Truth and Method developed an impressive theory of the classi-
cal, certainly unaware that it could one day be applied to itself. In what fol-
lows, I would thus like to reflect on the ground-breaking intuitions that make
Gadamers book a classic worth reading and rereading, well aware that every
epoch has to sort that out for itself.
The first thing that strikes one about the book is that it requires a fair
amount of patience, which is in this case the patior of the pathei mathos (suffer-
ing makes wise). It is a thick and rather scholarly book that shuns away from
a suspense novel, that one begins to grasp the intent that launched Gadamers
enquiry into the humanities, the experience of art, history and language. It is
indeed one of the main lessons of the book that wisdom requires patience,
application, temporal distance and the work of history. It is in books such as
these that our meaningful experience of the world is put into work (mise en
oeuvre) and elevated to consciousness. Those books of philosophy and litera-
ture are called classics.
One of the secrets of the books success lies in this patient conception of
education, which Truth and Method puts into practice and with which it be-
gins. 28 The books starts off with a powerful defense of humanism in a climate
gains from education or Bildung, literature, classical philology, history and art
history, and he even alludes to the fields of jurisprudence and theology as
models of an understanding rooted in practical concerns. One could argue, or
bemoan, that this scope is limited, that it doesnt take into account the social
28 See my recent piece on Gadamers Theory and Experience of Education : Learning that the
Other May Be Right, in P. Fairfield (dir), Education, Dialogue and Hermeneutics, Continuum
Press, London/New York 2011, pp. 5-20.
158 forum
sciences, ideology critique, and the like. But arent these also human sciences
in the best sense of the word ? Dont they also belong to the vast realm of phi-
losophy, literature and history ? Doesnt everything ? Why is it that the human-
iora fail to acknowledge the evidence that they were nurtured in the cradle
of humanism ? It is, Gadamer rightly and profoundly diagnoses, because our
scientific day and age has afflicted them with a nagging bad conscience when
it confronted them with the question : what concrete mathematical and objec-
tive results can those chattering sciences really deliver ? Hence the rush toward
the use and overuse of ever refined objectifying methods in the humanities,
where statistics play an important role, for instance, since they sound scientif-
ic. But are the humanities only scientific to the extent that they provide stats,
conduct field work and surveys yielding mathematical knowledge ? Here Ga-
damer simply says : come on ! Is this why we read books, learn languages and
given that there is indeed a lot of mindless blabber in them (as if, lest we for-
get, science itself were immune against that), but it is on the whole unjusti-
fied. By their mimicry of their exact sciences, they misunderstand themselves
and their singular contribution to knowledge. Gadamers analysis is here most
subtle : by claiming to escape their own historical nature and espousing the
conquering ethos of exact science, the humanities that have gone method-
ological actually fall prey to the scientism of our time, thus confirming Gad-
amers judgment about the indebtedness of all knowledge to history.
The idea that it is something else that we learn from history, from tradition
and the classics viewed as models, was for Gadamer the basic conviction of
humanism. Isnt it odd, Gadamer asks, with an ounce of mischief, that the
humaniora have forgotten all about humanism ? It is their tragic self-misunder-
standing and Gadamers book masterfully succeeds in reminding all the prac-
titioners of the humanities what it is they are doing. The aim of the humani-
ties is not to produce methodically assured results, comparable to the ones
we can garner in the exact sciences, it is to bring about Bildung, i.e. the forma-
tion of the individual. Limited as we are, we are beings in need of education,
learning and forming. This occurs through the encounter with the tradition
and the learning of languages, most specifically with the founding languages
of our culture and thinking. This encounter broadens our limited horizon. By
reading the classics, be they ancient, modern or contemporary, just as Truth
and Method is a classic, i.e. a major reference for our self-understanding, one
acquires more horizon, more perspective on things, and in so doing, we
come to realize how little we know. The cultivated individual for Gadamer
is not the pedant who can proudly display a vast array of cultural tidbits, it is
the one who, thanks to the encounter with tradition, is aware of his own lim-
its and thus remains open to other, more encompassing perspectives. By this,
says Gadamer, with the help of Hegel and all of humanism, we elevate our-
forum 159
selves a little above our particularity. Through this effort we reach a universal-
ity that is not that of the law of nature, but the scope we gain by overcoming
our particularity : we learn to put things in perspective, starting with our own
very limited one. Out of this we come to develop better judgment and a more
distanced sense of things. This is what we hope to achieve in the humanities.
An analogous type of knowledge takes place in the art experience, Gadamer
compellingly shows. After his tremendous defense of humanism, Gadamers
reflection on the art experience constitutes another high point of Truth and
Method, which one can only recommend to anyone wanting to know what the
enigmatic art experience is all about. It is the achievement of a true art lover
but who isnt too preoccupied with aesthetic theory. Gadamers first insight
is indeed that the art experience is mostly not an artistic affair, but primarily
an encounter with reality and truth. He strongly deconstructs the notion that
art is only about art, that works of art should be the object of a specific aes-
thetic feeling and criticism. Yes, there is artistic mastery and genius in works
of art, but it disappears behind what the artwork has to say. Ars latet arte sua,
art disappears in the art that enchants. With his provocative genius, Gadamer
reinvests the notion of Spiel (play, game) to sort out what happens in the con-
frontation with a work of art : it is not we who are engaging in a mere playful
exercise, it is the artwork itself which takes us into its play, eliciting an answer
which we can call an interpretation, which is as much an understanding of
the world as of ourselves. This understanding arises out of the dialogue with
the artwork, where the initiative stems from the work itself. It works on us,
as it were, bringing us up in its reality, which is actually our reality, but which
is transformed (verwandelt) and revealed by the work of art. As in humanist
knowledge, our reaction, or execution of the art piece in the performing arts,
which function here as a model for Gadamer, is part and parcel of what hap-
pens in the work of art.
One cannot engage an artwork without being touched and in the best case
scenario be transformed (verwandelt also) by it. Every artwork tells me, Ga-
damer says, after Rilke and Mozart : you must change your life ! Art brings
right to say that the spirit only unfolds historically in its quest for itself, and it
remains the purpose of the rightly named Geisteswissenschaften to study this
journey, but how, asks Dilthey, can this historical knowledge be called a rig-
orous science ? In spite of his romantic inspirations, Diltheys question has a
positivist ring to it since the idea of rigorous knowledge is urged upon him
by the exact sciences. Dilthey would probably disagree, since his intent was to
safeguard the uniqueness of the humanities, but his search for a methodologi-
cal basis for the humanities, Gadamer argues, perhaps a bit harshly, would
nevertheless betray the seduction of the scientific model. Here one can say
that Gadamer is Dilthey without the methodological glasses.
What Gadamer challenges is the silent assumption that history would con-
stitute an impediment of sorts for the human sciences. The question of the
19th and 20th century was always : how can we reach knowledge in spite of our
history and the relative nature of our knowledge ? Are there methods to do so ?
to know our historical determination and break out of it, as it were. The emer-
gence of historical consciousness unquestionably marks a new phenomenon,
but it doesnt interrupt or radically alter our belongingness to history since we
remain finite and thus historical beings. Why is it that one desperately seeks to
overpower or circumvent historicity, as if this were a fight we could win ? This
pursuit is itself a reflection of its age and its idea that true knowledge cannot
depend on historical presuppositions since this would lead to relativism. Ga-
damer thoroughly calls into question this identification of the historical na-
ture of our knowledge with relativism. In this regard, Gadamers classic gains
relevance for the debates surrounding postmodernism and relativism which
have sprung up after his opus appeared in 1960.
For Gadamer it is not true that everything becomes relative if one raises his-
toricity to a hermeneutical principle. He finds the best confirmation of this in
forum 161
the evidence of classics in philosophy, literature, and all fields of knowledge.
What are classics ? They are works that stand out, literally that have class
and provide orientation in our disciplines and our lives. No discipline, no edu-
cation is without them, be it only by the selection of books and disciplines one
deems worthy of study. But how do classical references come about ? They
certainly do not fall from the sky. They are themselves the fruits of history. It
is the working of history, the Wirkungsgeschichte, the distance of time which
slowly establishes works as classics, i.e. as milestones in the field of historical
knowledge. But the canon of the classics does not remain rigid throughout
the ages. On the contrary, every present has to redefine it, but it can only do
so out of its own appreciation of history, i.e. of what its references, guideposts
and classics are. Insight, Gadamer says in a splendid metaphor, happens as a
fusion of horizons between the past and the present, between the knower
and what one knows. The present and past are always at play in knowledge,
but in such a manner that they become almost undistinguishable. To know
this is to develop what Gadamer calls a hermeneutical consciousness : when
we become aware of the working of history and of the present in our knowl-
edge and Being, we can also become attuned to the misunderstandings that
are possible. We thus become aware of our finitude. It is this acknowledgment
of our finitude which leads, Gadamer hopes, to more openness.
The dialogue with tradition that we are finds its expression in language,
which forms the focus of the third and final part of Truth and Method. Gadam-
ers views on language are incredibly subtle, so much so that they have been
perhaps less understood than his ideas on the work of history in the second
part (but they too have been widely misunderstood 29). In the same manner
alism claims that reality is not knowable as it is in itself, because our linguis-
tic schemes are stamped upon it. Pragmatism and postmodernism draw this
hasty conclusion. Realism, for its part, argues that there is a reality beyond
language which we can understand. Most have seen Gadamer, erroneously
claimed he was a realist, 31 but mostly did so by arguing that language did in-
deed provide a reliable view of reality. 32 Those are interesting and to a large
extent ongoing debates, which have been sparked by the classic that is Truth
and Method. But according to Gadamer, they share a common premise inher-
ited from nominalism : namely that language amounts to a view of things
that it can be put into language. Language is open to everything which can be
understood. Language, in sum, is not a limitation, it is the light of our under-
standing. This generous view entails the universal possibility of translation :
every foreign meaning can, to a certain degree, be translated into our lan-
30 See the very critical book of the famous classics scholar H. Krmer, Kritik der Herme-
neutik. Interpretationsphilosophie und Realismus, C. H. Beck, Munich 2007.
31 See B. Wachterhauser, Gadamerss Realism : The Belongingness of Word and Reality, in
implies, refreshingly also, that cultures can understand one another and open
themselves to what is foreign thanks to language. In this age of globalization
and intercultural dialogue this is one of the precious insights of the class act
that is Truth and Method.
Phaselus ille, quem videtis, hospite, ait fuisse navium celerrimus., cum veniret a
mari novissimo hunc ad usque limpidum lacum ; 35 con la recita di questi versi
inizi quella memorabile giornata di fine agosto 1986, in cui ebbi il privilegio
di fare laccompagnatore turistico di Hans-Georg Gadamer per visitare le
belle isole del Lago Maggiore. 36 Era la giornata di riposo del xx corso della
33 This insight can also be found in the early work of Paul Ricur, most notably in the
second volume of his Philosophy of the Will (P. Ricoeur, Finitude et culpabilit, nouvelle
dition, Aubier, Paris 1988, p. 77) published in 1960, the same as Truth and Method : il nest
35 Quella barchetta che vedete, amici, dice desser stata pi veloce delle navi quando
36 De nobis ipsis silemus : questo motto, tratto dalla prefazione allInstauratio magna di
Bacone, e gi usato da Kant nella seconda edizione della Critica della ragion pura, venne ap-
posto da Gadamer nel frontespizio di quella che un po la sua autobiografia culturale : Ma-
estri e compagni nel cammino del pensiero. Uno sguardo retrospettivo (Queriniana, Brescia 1980 ;
Ci nondimeno Gadamer non stato avaro di interviste, apparse su riviste e quotidiani eu-
ropei, e lo stesso Rckschau non privo di riferimenti autobiografici. Per questo ho ritenuto
non indelicato fare memoria, in queste pagine, del lungo colloquio avuto con Gadamer
nellagosto del 1986 ; e ci sebbene, a motivo del carattere informale e non ufficiale della
conversazione, non abbia mai chiesto a Gadamer lautorizzazione alla pubblicazione degli
appunti presi la sera stessa dellincontro. Nondimeno ritengo che sia ugualmente opportu-
no farlo ora, seguendo un preciso criterio : quello di corroborare ogni affermazione emersa
nel colloquio con testi tratti dalle opere di Gadamer e in particolare da Verit e metodo ; e ci
con la finalit di offrire una pi approfondita, e talvolta inedita, interpretazione delle fonti
e della finalit veritativa dell ermeneutica gadameriana.
37 Il testo del tema svolto da Gadamer : Lermeneutica nel dibattito filosofico contemporaneo,
per Gadamer il riferimento alla rivalutazione che Verit e metodo aveva fatto
della tradizione culturale di appartenenza come orizzonte di comprensione
della verit ; e che implicava quel conversare con i grandi 40 che aveva costi-
38 sintomatico il fatto che il riconoscimento del carattere classico del pensiero di Ga-
damer venga offerto indirettamente dal suo maggiore e severo critico, Hans Albert, il quale
scrive : la valorizzazione della tradizione classica, operata da Gadamer, assimilata a una
molteplicit di voci di defunti che continuano a parlare ai viventi e per questo fatta di
testi che ci parlano ancora, perch ancora ci pongono domande, in analogia alla tradizione
religiosa che deliberatamente preserva i suoi testi, nei quali si annuncia un appello di verit
e di salvezza (H. Albert, Per un razionalismo critico, trad. it. a cura di E. Picardi, Il Mulino,
Bologna 1973, pp. 173.179).
39 Cfr. H.-G. Gadamer, Studi platonici, i e ii, a cura di G. Moretto, Marietti, Casale Mon-
ferrato 1983.
40Questa espressione risale alla lettera che Nicol Machiavelli scrisse a Francesco Vet-
tori, allora ambasciatore fiorentino presso il papa, il 10 dicembre del 1523, e in cui racconta
la sua giornata : dopo essersi ingaglioffato in osteria , a bere ed a giocare a tric trac, scrive
Machiavelli, la sera si ritira, mette panni reali e curiali , ed entra nelle antique corti delli
scrive parlare con loro... e quelli per loro humanit mi rispondono ; Machiavelli cita
quindi Dante, il grande umanista cristiano il quale insegna che non fa scienza sanza lo ri-
tenere lo havere inteso e per questo, continua Machiavelli, ho notato quello di che per
tesi principale della Scienza Nuova di Giambattista Vico, lautore che occupava
un posto centrale in Verit e metodo, e secondo cui la nuova scienza, ovvero
la conoscenza dellhumanum, nasceva dalla sintesi di filologia e filosofia, e
per questo considerata da Gadamer la vera anticipatrice dei principi teoreti-
ci e metodologici su cui andava fondata lermeneutica filosofica. 42 Forse il
(Einaudi, Torino 1991), Gadamer sostiene che il futuro dellEuropa dipende dalla sua capa-
cit di riconoscere ed accettare la sua eredit umanistica, che non consiste nel razionalismo,
ma nel mondo classico, nel mondo latino e germanico, nel Rinascimento, nella rivoluzione
scientifica, ma soprattutto nella cultura dellincontro con laltro, che sola rende possibile la
tolleranza e il dialogo ; ne La molteplicit dEuropa. Eredit e futuro, Gadamer scrive, analo-
e degli altri come gli altri di noi stessi per prender parte uno allaltro (in Lidentit culturale
europea tra germanesimo e latinit, a cura di A. Krali, Jaca Book, Milano 1988, p. 32) ; per que-
sto Gadamer assegna alla filosofia un importante compito per lEuropa, perch il futuro
dipende dalle origini (La filosofia nella crisi del moderno, Herrenhaus, Milano 2000, p.43) ; cfr.
anche Idem, Le radici umanistiche della cultura, in A. Sobrero, Lantropologia dopo lantropolo-
gia, Roma, Meltemi 1999 ; vedi infine H.-G. Gadamer, Appello per lEuropa, pubblicato da
Methodik der Geisteswissenschaften, 44 e che avevo scoperto per caso lanno pri-
dono ogni parzialit e unilateralit nella ricerca del vero . 48 Avevo compreso
infatti che lermeneutica di Gadamer, come quella di Betti, era finalizzata so-
prattutto, non solo per motivi teoretici, ma autenticamente etici, educativi e
45 Sul dibattito intercorso tra Gadamer e Betti, cfr. T. Griffero, Interpretare. La teoria di
Emilio Betti e il suo contesto, Rosenberg & Sellier, Torino 1988, cap. 6.
46 La dialettica dellesperienza non ha il suo compimento in un sapere, ma in quellaper-
tura allesperienza che prodotta dallesperienza stessa (H.-G. Gadamer, Verit e metodo,
cit., p. 411).
47 Ogni discorrere umano finito nel senso che in esso c sempre una infinit di senso
neutica come metodica generale delle scienze dello spirito, a cura di G. Mura, Citt Nuova, Roma
19902, p. 40.
168 forum
infine politici, a far s che la cultura umanistica, relegata a museo dal dominan-
te modello scientifico del sapere, potesse nuovamente divenire un tempio per
sostenere la vita delluomo in questo passaggio di civilt.
Laver introdotto il discorso su Betti fu loccasione, per Gadamer, di andare
con la memoria a quelli che erano stati i suoi maestri e compagni nel cam-
mino del pensiero , 49 con notazioni anche biografiche sui vari autori da
che Gadamer volesse offrire alla teologia, non solo evangelica, il contributo
prezioso della propria lezione ermeneutica, e che potrebbe essere sintetizzato
da questa espressione di Verit e metodo : il teologo deve tener sempre fermo
meneutica poteva offrire alla teologia, per Gadamer, consisteva nel riproporre
lascolto della Verit della Parola della Rivelazione, da incontrare e sperimen-
tare sotto la guida dello Spirito e non solo come prodotto di metodi scientifici
o esegetici raffinati.
A questo punto mi sentii incoraggiato a porre la domanda che finora avevo
cercato di mascherare : quale il rapporto tra ermeneutica e verit ? Gadamer
mi sorprese ancora una volta con una dichiarazione inattesa : Io sono un pla-
49 Cfr. H.-G. Gadamer, Maestri e compagni nel cammino del pensiero. Uno sguardo retrospet-
tivo, Queriniana, Brescia 1980. 50 H.-G. Gadamer, Verit e metodo, cit., p. 384.
forum 169
inquietum est cor nostrum donec requiescat in te (Conf., I,1). Gadamer, forse per-
gine della parola divina . 53 nel mysterium Trinitatis che Gadamer istituisce
il fondamento del mistero del linguaggio nella sua relazione con lessere : Il
mistero della Trinit trova nel miracolo del linguaggio il proprio specchio in
quanto la parola, che vera perch dice come le cose sono, non e non vuol
essere nulla di per s : nihil de suo habens, sed totum de illa scientia de qua nascitur.
sciuto il suo debito nei confronti di Agostino, anche per quanto riguarda la
relazione anch essa ermeneutica tra il pensiero filosofico e la fede : Io
ho imparato molto dai libri di Agostino sulla Trinit. Questi libri contengono
una vera sovrabbondanza di metafore, che vogliono rendere comprensibile il
grande mistero della dottrina cristiana della fede, la Trinit. Agostino si orien-
ta sul concetto di Logos e di processo in Dio. Egli in fondo sempre ispirato
in senso neoplatonico e in questo modo raggiunge il superamento della gnosi.
Se le cose stanno cos, allora si ha qui un limite della conoscenza e c bisogno
della fede....qui non si pu dimostrare nulla . 55
51 Lessere che pu venir compreso linguaggio (H.-G. Gadamer, Verit e metodo, cit.,
56 Cfr. G. Mura, Ermeneutica e verit. Storia e problemi della filosofia dellinterpretazione, Cit-
t Nuova, Roma 1990, 19972.
THE VA LUE OF M A NUA L WOR K
Mar ia Pia Chir inos Matthew B. Cr awfor d
Marco DAvenia
La tesi centrale del libro di Matthew Crawford che il lavoro manuale una
componente necessaria per comprendere ci che bene per luomo e per
realizzarlo. Se questo rimasto in ombra fino alla tarda modernit si deve a
unerrata distinzione tra pensare e fare, interpretata persino come separazio-
ne radicale e supportata nel tempo sia a livello di teoria che di prassi (sociale,
economica etc.). Al nocciolo di questo fraintendimento c una concezione
1 Shop Class as Soulcraft. An Inquiry into the Value of Work, The Penguin Press, New York
2009, pp. 246 ; edizione italiana : Il lavoro manuale come medicina dellanima. Perch tornare a
riparare le cose da s pu renderci felici, Mondadori, Milano 2010 ; ed. spagnola : Con las manos o
con la mente : sobre el valor de los trabajos manuales e intelectuales, Urano, Barcelona 2010)
2 Oltre ai titoli riportati nella nota precedente, si segnalano tra gli altri quelli delledizio-
ne francese : loge du carburateur : Essai sur le sens et la valeur du travail (La Dcouverte, Paris
2011) e tedesca : Ich schraube, also bin ich : Vom Glck, etwas mit den eigenen Hnden zu schaffen
rare con le mani, la realt rimarr astratta e distante, e la passione del sapere
non avr modo di svilupparsi . 6
continua interazione con gli altri individui con i quali collabora nel proprio
lavoro, instaurando relazioni di subordinazione, apprendistato o insegnamen-
to, colleganza, etc.
Allopposto di questa visione sono ovviamente le concezioni tayloristiche
del lavoro, nelle quali una ragione tecnicistica (che si autorappresenta come in
s sufficiente) elabora e applica modelli teorici per raggiungere efficacemente
gli obiettivi di comune utilit in vista della produzione. Di conseguenza, nel
lavoro manuale luomo si riduce a strumento allinterno di un sistema econo-
mico orientato al prodotto da realizzare. 7
5Questo punto era gi stato rilevato tra gli altri, da Hans Jonas e da diversi esponenti
della fenomenologia. Recenti studi di neurofisiologia confortano questa tesi, mostrando
come proprio attraverso il tatto si acquisiscono o si completano essenzialmente esperienze
fondamentali, come ad esempio quella della causalit.
6 Shop Class as Soulcraft, p. 13 (Il lavoro manuale, p. 11) : ho modificato in parte la traduzio-
ne.
7 Beninteso, anche lui potr essere beneficiario del benessere al quale si orienta il siste-
ma, tuttavia il suo lavoro rimarr confinato a una dimensione estrinseca alla sua vita ; la
quale si esplicherebbe in maniera umana solamente al di fuori del lavoro stesso, nellm-
bito di un tempo libero che pura liberazione dal lavoro.
forum 173
come inevitabilmente legato ai bisogni animali delluomo, lo aveva affidato alla
condizione inferiore dello schiavo, mentre la vera perfezione sarebbe stata libe-
ra dal bisogno e identificata con la vita contemplativa. Accorciando la distanza
tra pensare e fare, facile comprendere che quello di Aristotele un pregiu-
dizio che si smonta criticamente con i suoi stessi strumenti. Pertanto, luomo
si realizza anche nel compimento di un lavoro manuale ; la stessa vita intellet-
tuale essa pure una forma di lavoro. 8 Ancora di pi, il lavoro manuale una
Vorrei soffermarmi in breve sul tipo particolare di lavoro manuale che Craw-
ford considera nel suo saggio, cio quello del meccanico, per dar ragione del
titolo originario del saggio e indicare quella che (a mio parere) ne costituisce
la suggestione pi originale. Il meccanico (primariamente) non crea bens ri-
crea : si inserisce nella dimensione della conservazione fedele. Le sue mani non
alienante (cfr. Jean Gimpel, I costruttori delle cattedrali, Jaca Book, Milano 1983). Un altro
esempio eloquente (che deve essere accuratamente distinto da diverse ambiguit) quello
della visione condivisa della realizzazione di oggetti funzionali ed esteticamente perfetti
che anima ogni componente di quella particolare azienda che la Apple di Steve Jobs e che
da senso ai compiti anche pi prosaici, come si evince in molti passi della recente biografia
di Walter Isaacson, Steve Jobs, Mondadori 2011 (in questottica interessante il paragone
con la Microsoft di Bill Gates. Ma si potrebbe parlare anche di altre attivit con un brand
qualificante. Allinterno di questa concezione, il lavoro viene innalzato a un livello superio-
re, che definirei con il termine di professione (termine che pu sembrare forte se applica-
to per esempio al lavoro di un operaio, di una casalinga o di uno spazzino) Ma tutto questo
richiederebbe una dettagliata argomentazione che non si pu dare in uno spazio cos breve ;
ripara continuamente se stesso e le sue relazioni con gli altri. 11 Chi realizza
un lavoro manuale (e chi realizza ogni lavoro per quello che lo definisce tale)
si prende cura di esso, di s, degli altri. Serve, con volont attiva e appassio-
nata. In questo senso preciso, il lavoro medicina per lanima e fonte di ri-
creazione ; compimento creativo che si completa necessariamente nel riposo
che gli si accompagna. Insomma, una felicit che consegue a riparare le cose
e a riparare se stessi e gli altri.
Ci si pu quindi domandare che mondo sia quello ove la natura e gli uomi-
ni in relazione esistono in questa modalit radicalmente contingente. Ma qui
siamo gi ampiamente e consapevolmente oltre Il lavoro manuale.
No es casual el inters por un tema tan poco filosfico como el trabajo manual
en este comienzo del s. xxi con ttulos como el de Matthew Crawford. Tam-
poco lo es la conmemoracin en 2011 del centenario de la obra de Frederick
Taylor, The Principles of Scientific Management y sus tesis sobre el trabajo en
cadena. En efecto, desde hace 100 aos, el trabajador manual o blue-collar em-
pez a ser sinnimo de rutina, de ausencia de conocimiento, y su trabajo fue
disminuyendo en valor humano o social. La filosofa no vio en estas tesis espe-
cial dificultad. Botn de muestra, una obra de especial sabor aristotlico : The
11 A dover esser riparato certe volte deve essere lo stesso lavoro. unillusione pensare
che il lavoro, specialmente quello dipendente, corrisponda sempre ai talenti e alle aspirazio-
ni di chi deve svolgerlo. Spesso necessit familiari o condizioni indipendenti dalla propria
volont oppure conseguenti a scelte sbagliate richiedono di modificare, almeno in parte, la
visione che d senso alla propria opera. Allo stesso tempo per si deve operare per cambiare
questa situazione.
12 Universidad de Piura, Facultad de Humanidades, Av. Ramn Mugica 131, Urb. San
Eduardo, Piura (Per) ; e-mail : mariapia.chirinos@udep.pe
forum 175
Sin embargo, la obra de Crawford nos ayuda a superar estas posiciones. En
primer lugar y frente a las de Taylor, Arendt y Friedan, se propone descubrir
la riqueza intrnseca del trabajo manual, tanto cognitiva como social, sin
olvidar su atractivo psicolgico ms amplio. 13 Riqueza que revela una rela-
dad, libertad, corporeidad, etc. Por eso, en estas lneas afrontar tres frecuen-
tes prejuicios sobre este trabajo : su irracionalidad, su monotona y su escasa
cotoma cartesiana entre sensible y racional, con su ego abstracto. Por eso,
para desafiar la irracionalidad, la batalla hay que plantearla mucho antes : en la
adems de ser el fundante de los dems sentidos, el tacto es el que mejor re-
fleja la realidad corpreo-espiritual humana. El tacto no se encuentra unido
a un rgano determinado sino que se halla en todo el cuerpo, a travs de la
sensibilidad de la piel ; a diferencia del resto de sentidos, su objeto se encuen-
ms inteligentes.
Del tacto a la razn parece haber un paso, pero puede ser un paso en falso
si la razn encubre el ego desencarnado del dualismo cartesiano. Fernando
Inciarte, nos brinda algunas tesis para desmantelarlo partiendo de un dato de
experiencia : las acciones como la nutricin que tanto las plantas y animales
el movimiento local, propio de animales y del hombre : ste utiliza sus pies,
mientras que aqullos despliegan una mayor diversidad corporal (las patas de
vifica todos los rganos humanos y permite que distintas funciones corpreas
participen de esta racionalidad.
Qu aade la racionalidad al comer, al moverse, al conocer sensible ? Obvia-
terica pas a ser considerada como si fuera la totalidad del saber [sin tener]
y, por eso, conoce tambin en el error y en el hacer repetitivo hasta dar con
el blanco. Mientras la teora se refiere a la verdad o a la falsedad del juicio, la
razn prctica busca esa verdad en el mismo hacer, sin reglas, 16 y la repeticin
nas repetidas por placer (el trato con los vecinos, or la misma msica, comer
momento en que esa repeticin comienza a ser creativa. Por eso, no es una
simple repeticin : es una circularidad que crea hbitos. Pero qu hbitos ?
dos cosas muy distintas, pero yo creo que no es as , afirma Crawford. 17 Todo
Esta afirmacin contradice las tesis clsicas que recluyen al trabajador ma-
nual en el mbito de la oikia, identificndolo con el esclavo o la mujer. Segn
stas, ni el trabajo de la oikia es racional porque no es terico (no es ocio, sino
nec-ocio), ni es fuente de virtudes porque el mbito de stas es la polis donde se
vive la vida buena. Nos encontramos con un humanismo aristocrtico todava
presente en nuestra cultura post-marxista y neo-capitalista.
La propuesta de Crawford es precisamente superar esta dicotoma entre tra-
bajo manual y virtud, y abrir lo prctico-moral al mbito de lo prctico-poiti-
co. Con ello, la polis abandona su carcter de coto cerrado para las virtudes
y stas adquieren una funcin adverbial : acompaan la actividad laboral y
mantienen, sin confundirse con el trabajo, sus notas de hbitos operativos que
perfeccionan al sujeto en cuanto hombre o mujer. Un pescador, un carpintero,
un maestro pueden adquirir virtudes (o vicios) mientras trabajan y llegar a ser
buenos (o moralmente malos). Cae el elitismo que asociaba la plena humani-
zacin a la racionalidad abstracta en la ciudad y se establece un nuevo puente
entre, por un lado, la vida moral y poltica y, por otro, la actividad laboral y la
vida en la oikia que empieza a entenderse tambin como vida buena, es decir,
vida humana y libre.
Todo trabajo puede ser descrito como una actividad humana coherente que
requiere de ejercicios tcnicos y de la posesin de una sensibilidad y habili-
el fin al que sta se dirige, porque su objetivo se abre a contrarios, s que nece-
sita de un poder racional prctico y moral que, sin confundirse, le conduzca a
adquirir bienes genuinamente buenos.
El trabajo manual as entendido fomenta actitudes ltimamente olvidadas :
reconoce los logros de otros que comparten el mismo oficio ; admite errores
hace difcil la excusa o la elaboracin de una falsa teora para justificar o en-
cubrir el fallo cometido al trabajar. Por esto, Crawford afirma que el trabajo
manual puede ser un buen camino para empezar a dudar del relativismo cul-
tural imperante, que slo admite un mundo subjetivo. 20 Es ms, el trabajo
una actividad propia de espritus, como bien lo sabe quien a ella se dedica. Tal
y como afirma MacIntyre, es, al igual que el trabajo manual, un craft.
Desafiando la negacin de la dimensin social Queda ahora pendiente pro-
fundizar en la relevancia social de los trabajos manuales y Crawford lo hace
atacando un punto muy conocido del marxismo, a saber, la alienacin del
trabajador que pierde su identidad cuando el fruto de su trabajo es vendido
por el capitalista. Pero su argumentacin es ciertamente original : si soy un
fabricador de sillas, qu voy a hacer con 100 de ellas ? Cmo puedo pretender
slo por esa relacin con el bien comn sino tambin por la que surge entre
quienes comparten el oficio. 22 Todo trabajador sabe que su quehacer se per-
19 Cfr. ibidem, pp. 203-205 (pp. 214-215). 20 Cfr. ibidem, p. 218 (p. 206).
21 Cfr. ibidem, pp. 186 (pp. 196-197). 22 Cfr. ibidem, pp. 207-208 (pp. 218-219).
forum 179
oficio despliega una cierta solidaridad manifestada en el tiempo. Con la comu-
nidad anterior : hay un aprecio por las tradiciones recibidas ; y con la comuni-
and the posited self-sufficiency of individual will, offered by Kant. In his re-
cent book on Hegel, Robert Pippin writes, You have not executed an inten-
tion successfully unless others attribute to you the deed and intention you
attribute to yourself . 24
24 R. Pippin, Hegels Practical Philosophy : Rational Agency as Ethical Life, Cambridge Uni-
like a confrontation. The point of having a posted labor rate, and hours billed
in tenths on the service ticket, is to create the impression of calculation, and
appeal to the authority of an institution with established rules. But this is a
thin and fragile pretense observed by me and my customer (it is hard to pose
as an institution when you run a one-man operation), and in fact the bill I
present is never a straightforward account of hours worked. It always involves
a prior dialectic in which I try to put myself in the shoes of the other and
imagine what he might find reasonable.
This lack of straightforward determinateness in valuing the work is due to
the fact the work is subject to chance and mishap, as well as many diagnostic
obscurities. Like medicine, it is what Aristotle calls a stochastic art. Especial-
ly when working on older bikes, in trying to solve one problem, I may create
another. How should I bill for work done to solve a problem of my own mak-
ing ? Should I attribute this new problem to chance, or to a culpable lack of
foresight on my part ? This question has to be answered when I write the ser-
vice ticket, and in doing so I find that I compose little justificatory narratives.
When a customer comes to pick up his bike, I usually go over the work with
him in detail, and I often find myself delaying the presentation of the dollar
amount, because I fear that my valuation isnt justified. But all my fretting
about the bill has to get condensed into a definite assertion on my own behalf.
Whatever conversation may ensue, in the end the work achieves a valuation
that is determinate : a certain amount of money changes hands. As he loads
his bike onto the back of a pickup truck, I want to feel that the customer feels
he has gotten a square deal ; I want to come away feeling justified in the claim
tures and refer ourselves to others for justification, such obliviousness in the
25 Charles Taylor has emphasized this latter issue of distinctions of worth (taking up
Harry Frankfurts distinction of first and second-order desires) as being the crux of dis-
tinctly human agency (Philosophical Papers, vol. 1 : Human Agency and Language).
26 But note that, even in a free market, my customer and I do not come to the exchange
on a footing of equality ; I have superior information. This asymmetry tempts me to be dis-
honest. Only to the extent I resist this temptation can I take the customers payment of the
full bill as validation of the claim I have made for myself. Even if I am completely honest,
however, this satisfaction is of a lower order than, or at any rate different from, that which I
would receive from another mechanic who recognizes the work as being well done.
27
The salaries of corporate CEOs might seem preposterous to an un-acculturated visi-
tor from another planet who looks only at the daily activities of said CEOs and assesses
their demands. Having had a chance to read the newspaper and watch CNBC, however, the
visitor would learn that the pay structure is girded about with a justificatory framework
that renders it right and proper in the minds of its participants. Such justifications are ut-
tered in the most responsible-sounding language of public reason (though with a curious
Austrian accent) - the language of the neoliberal consensus that posits the existence of a
mysterious quality called executive talent, which the labor market is able to discern and
price appropriately.
182 forum
larger society may infect a mans own experience in such a way as to make it
illegible to himself.
Every regime has such blind spots and exaggerated valuations with regard
to the range of human possibilities. They have a political character to them,
shaping souls and forming the young in the image of the regime. Imagine
a high-achieving university student who understands that he is supposed to
want to be an investment banker, but is left cold by the picture of his future
that comes into view when he imagines such a life. He would really rather be
building houses, having gotten a taste of that life while working in construc-
tion one summer. But he finds it difficult to articulate what he finds valuable
about this activity and to justify it as a choice of livelihood in the terms pre-
vailing in the public discourse, or the expectations of his social milieu. So he
brackets as best he can these unsanctioned intimations of what a good life for
himself would look like, and with the help of a little medication they whither,
like a limb that has been tied off to prevent an infection from spreading.
On the Hegelian position explicated by Pippin, there would seem to be little
room for dissent from the mainstream. To be an agent in the full-fledged sense
is to be well-adjusted to social norms, because these provide the only possible
justificatory framework for ones deeds. Absent the public framework, one is at
sea without a compass or keel, listing badly toward fantasy. The fate especially
to be avoided is that of Don Quixote, who takes himself to be a knight engaged
in acts of chivalry but inhabits a social world in which such roles and deeds
are not possible. That is, they are not recognized ; not intelligible to others.
One can take due notice of the conformist tendencies of this line of thought,
even while affirming Hegels central insight into the social character of genu-
ine agency (and corollary worry about solipsism).
The question I would like to pose is this : to whom does one look for a check
on ones own subjective take ? To the public, or to the competent within some
28 Some readers may recognize here an echo of the famous quarrel between Alexandre
Kojeve and Leo Strauss. One point at issue in that quarrel was the question, how does the
philosopher know he is not insane ? He spends his time huddling with a few choice inter-
locutors, and it certainly feels to them like they are making progress in understanding ; see-
ing through the illusions that everyone else suffers, etc. But how do they know it isnt some
crazy little sect that they have formed ? Kojeve says, essentially, that the philosopher has to
make his thought actual in the world so that it achieves a kind of facticity, an intersubjec-
tive certainty. The problem, Strauss says, is that this is what tempts the intellectual to ally
with the tyrant, so he can put his theory into effect and see it realized in history ; see it vali-
dated. Strauss suggests that this is why intellectuals get involved with politics more gener-
ally -- its usually an attempt to rationalize everything. He showed the tyrannical tendencies
forum 183
For Hegel, the who with reference to whom one justifies ones actions
are those who are similarly habituated within a Sittlichkeit, a form of ethical
life that is historically constituted. In such a life world, deeds have a revelatory
power. They speak for themselves, and this is because they are addressed to,
or potentially taken up by, others who inhabit the same culture, within which
deeds have somewhat fixed meanings. Sacrificing a lamb is intelligible (as a
sacrifice rather than, say, as performance art) only if a whole set of cultural
enabling conditions are in place.
But this means that in times of cultural flux and aporia, when it is not clear
what our rules are, there is a basic difficulty for individual agency under-
stood socially, la Hegel (and I think this Hegelian understanding is basically
correct). One is thrown back into oneself, with little reference beyond the
movements of ones own will and solitary judgment.
Under such conditions, material practices that are oriented toward basic
utility take on special significance. Their meaning does not depend on fragile
cultural conditions and shifting articulations ; if we are dealing with concrete
stuff together, our actions are likely to achieve the mutual intelligibility that
is required for genuine agency. As Matthew Feeney put it to me in conversa-
tion, the nature that is providing for and vexing me is the same nature that is
providing for and vexing everyone.
Note that this is true of nature only in a trivial sense if the everyone is
not further specified in that case we are limited to such banalities as what
goes up must come down. Nature provides a meaningful ground for mutual
intelligibility only within a community of practice. Within such a community,
competence rests on an apprehension of real features of the world, as refract-
ed through some set of technological practices. These features may be easy
to grasp, as when a master plumber shows his apprentice that he has to vent
a drain pipe in a certain way so that sewage gases dont seep up through the
toilet and make a house stink. Or it may be something requiring discernment,
as when a better motorcyclist than I explains, from a riders point of view, why
it would be good to decrease the damping in the front suspension of his mo-
torcycle. There is a progressive character to these apprehensions something
about the world is coming into clearer view, and your own judgments are
becoming truer. Or rather, you are becoming more discerning, seeing things
about which you had no judgments previously. Getting outside your head in
of Kojeves position. But he didnt answer Kojeves point about the craziness problem, not
really. Here is my contribution : material practices, unlike disengaged theorizing, offer an
external check on craziness. With such a check in place, the intersubjective field of the phi-
losophers thought doesnt have to be on the largest scale the scale of politics -- in order to
ease the worry about sectarianism. Of course, mechanics are not generally philosophers.
But the problem of self-enclosure, or rather enclosure in little narcissistic echo chambers
of opinion, is a problem for all of us, not just theoreticians.
184 forum
this way, you have the experience of joining a world that is independent of
your self, usually with the help of another person who is further along.
The epistemology of a skilled practice is, I think, intimately bound up with
the visceral concern for excellence that comes with being initiated into the
skill, and a corollary contempt for the shoddy. Affect is joined to judgment,
and our perception becomes evaluative : the functional ends served by the
practice illuminate our activity, casting deep shadows wherever our perfor-
mance fails to live up to them. Usually these functional ends are graspable by
anyone ; they are public in that sense. But they may also be under-determin-
ing of the practice that realizes them, leaving room for a kind of freedom and
individuality in the practitioner.
A carpenter faces the accusation of his level. Such standards have a universal
validity. Yet the discriminations made by practitioners of an art respond also
to subtleties that may not be visible to the bystander. Only a fellow journey-
man is entitled to say nicely done. In doing the job nicely, the tradesman
puts his own stamp on it. His individuality is thus expressed in an activity that,
in answering to a shared world, connects him to others : the customers he
serves and other practitioners of his art, who are competent to recognize the
peculiar excellence of his work.
Such a sociable individuality contrasts both with the self-enclosure that is
implicit in the idea of autonomy, and with the evaporation of the individual
who lives under an imperative of publicity, internalizing the judgment of all
and sundry.
recensioni
Jean Grondin, Introduzione alla filosofia della religione, Queriniana, Brescia
2011, pp. 166 (tit. orig. La philosophie de la religion, puf, Paris 2009).
Il canadese Jean Grondin, noto in ambito internazionale per i suoi studi sullerme-
neutica e in particolare su Gadamer, ci offre unottima panoramica delle tematiche e
degli svolgimenti storici del pensiero filosofico sulla religione. Si tratta di una sintesi
divulgativa, apprezzabile per la chiarezza dellesposizione e per il tono ponderato ed
equilibrato dei giudizi, la cui lettura risulter indubbiamente utile a chi si appresta a
studiare come disciplina accademica la filosofia della religione.
Fin dai primordi della civilt greca, la religione ha interpellato il logos, il pensiero
razionale e discorsivo che si progressivamente configurato come filosofia, attivando
una riflessione critica sul significato della credenza nei miti e del culto degli di. Il
problema della religione non mai scomparso dallorizzonte filosofico, a cominciare
dalla questione stessa se sia corretto includere in un genere onnicomprensivo una
variet sterminata di forme religiose. Nellepoca moderna la filosofia e la scienza,
o forse sarebbe meglio dire il razionalismo e lo scientismo, hanno assunto un
atteggiamento prevalentemente ostile verso la religione, fino a generare movimenti
ideologici che hanno combattuto e combattono la religione come un fattore di di-
sumanizzazione alienante, da estirpare con le buone o con le cattive maniere per
spianare la strada alla felicit e al progresso.
Il paradosso stimolante per il filosofo contemporaneo, nel contesto di un sorpren-
dente e vivace revival del sacro che ha messo in crisi i teorici della secolarizzazione,
sta nel fatto che quando la filosofia o la scienza ritengono di poter decretare la fine
della religione, in realt per sostituirsi ad essa. Nota, infatti, acutamente Grondin
che la critica della religione fa parte della stessa esperienza religiosa : come la critica
pi religioso della critica della religione. Ci vero anche delle critiche radicali della
religione : in esse la religione condannata solo perch si ha una concezione pi rigo-
rosa della salvezza che luomo pu sperare. Da tutto questo si pu trarre una lezione
importante per una filosofia della religione : si pu criticare la religione solo se si ha
qualcosa daltro da proporre, in certo qual modo una religione migliore (p. 39).
Allo stesso modo i tentativi di spiegare la religione in termini funzionalisti (cio co-
me mera risposta a determinati bisogni umani, da quello di spiegare i grandi feno-
meni naturali, o di giustificare la legge morale o lordine politico, a quello di calmare
le angosce esistenziali, ecc.) non sfuggono ad una visione essenzialista : dire della
religione che essa questo o quello, significa esprimersi sulla sua essenza, su ci che
essa nel suo nucleo profondo che si pretende di decifrare una volta per tutte. Nessu-
no quindi sfugge a un approccio essenzialista, a una riflessione su ci che costituisce
specificamente la religione, quale che ne sia lincommensurabile variet (p. 41). La
filosofia della religione mira innanzitutto, afferma Grondin, a rispondere alla do-
manda pi elementare : Di che cosa si parla, quando si tratta di religione ? Che cos
I due poli tra cui oscilla il religioso, sostiene lo studioso canadese, sono il culto e la
credenza. Nelle religioni antiche, profondamente segnate dal carattere etnico o civi-
le, prevaleva la dimensione cultuale, con i grandi riti di passaggio che scandivano la
vita sociale ; nelle religioni moderne prevale il credere, la fede. Ma chiaro che i due
poli sono sempre compresenti, per cui Grondin ritiene che si possa indicare il carat-
tere di culto credente come elemento essenziale della religione.
Merita di essere evidenziata unosservazione preliminare dello studioso canadese :
che cosa come una filosofia che appartiene alla religione stessa, una via della saggezza,
se si vuole, tale che la filosofia, nella sua ricerca specifica di saggezza ( il senso del
termine philo-sopha) non pu non disdegnare e dalla quale essa ha delle cose da im-
parare : e se per caso ci fosse pi saggezza nella religione che nella filosofia stessa ?
(p. 9).
Questo richiamo di Grondin risulta quanto mai opportuno in unepoca che tende
ad estromettere dalla religione la dimensione veritativa. Per alcuni pensatori post-
moderni la religione sarebbe principalmente questione di sentimenti, di inclinazio-
ni, di gusti, ecc. Anche di credenze, ovvio, ma senza un fondamento razionale.
Pertanto, come asseriva Rorty qualche anno fa, alla religione non si dovrebbe con-
cedere alcun ruolo epistemico (cfr. R. Rorty - G. Vattimo, Il futuro della religione.
Solidariet, carit, ironia, a cura di S. Zabala, Garzanti, Milano 2005) : solo la scienza
ne una costruzione culturale che si aggiunge a una realt che solo la scienza fisica
sarebbe in grado di conoscere, quello del nominalismo (p. 14). Per Occam esisto-
no solo gli individui, mentre le essenze sono puri nomi creati dalla mente umana,
da recidere con il famoso rasoio. Abbastanza ironicamente, in un primo tempo il
suo motivo fu teologico : egli riteneva che lonnipotenza di Dio, della quale il tardo
Medioevo aveva una viva coscienza, appariva incompatibile con un ordine eterno di
essenze che lavrebbe in qualche modo limitata. Se Dio onnipotente, pu in ogni
momento sconvolgere lordine delle essenze, fare in modo che luomo possa volare
o che le piante di limone producano mele (p. 16). Lironia risiede nel fatto che la ne-
la religione stessa e la sua giusta comprensione. una verit lapalissiana dire che le
recensioni 189
realt della religione lesistenza della divinit, per esempio devono far problema
in un quadro nominalistico : Dio esiste come esistono una mela o una formica ? Cer-
tamente no. Dio, quindi, per una certa modernit non esiste, o esiste solo a titolo di
superstizione inventata dal cervello umano (p. 17).
Nel nominalismo tardomedievale era assente la critica radicale della religione che
contraddistingue la cosiddetta modernit. Tuttavia in embrione o in radice, come
ben mostra Grondin, lantiessenzialismo nominalista di Occam e Buridano pose la
premessa da cui partita una linea di pensiero che con irresistibile coerenza ha con-
dotto allagnosticismo empirista e illuminista (cfr. p. 119) e poi allateismo nichilista.
Descartes, Spinoza, Hume costituiscono le prime tappe del processo di separazione
tra religione e filosofia, ma la svolta decisiva, secondo lo studioso canadese, si realizza
con il pensiero di Kant, al di l delle sue intenzioni. Da un lato la negazione di una
conoscenza metafisica del sopra-sensibile ha indebolito la religione di fronte alla
scienza : Kant apre cos, che lo volesse o meno, let positivistica durante la quale
tutto ci che rientra nella metafisica o nella religione screditato come superstizio-
ne, nel nome della scienza (p. 131). Dallaltro, la sua svalutazione del culto e la ridu-
zione della religione a una sorta di complemento della morale inaugura la possibilit
di unetica senza religione : se la ragione umana la sola responsabile dellagire
accusati di ateismo dai loro contemporanei : accusa che quasi tutti hanno sdegnosa-
mente respinto, magari rivendicando per s una religiosit pi genuina di quella tra-
dizionale, proprio perch contenuta nei limiti della ragione.
Gli eredi immediati del pensiero illuminista-idealista hanno rifiutato questa reli-
gione razionale, smascherandola come mero residuo illusorio. Feuerbach, Marx e
Nietzsche, senza dimenticare Freud e la sua denuncia della religione come forma di
nevrosi collettiva, sono i grandi maestri del sospetto, il cui impatto sulla filosofia della
religione rimane enorme. Il loro motivo duplice : a) la critica della religione come
ci imparentava ancora al creatore divino, essa per i suoi eredi sar ci che ci inciter a
fare a meno di lui) ; b) essa altrettanto fortemente ispirata dal positivismo circostante,
elaborato da Comte con la sua distinzione degli stadi religioso, metafisico e positivo
dellumanit : secondo lui, solo la scienza pu pronunciarsi in maniera autorizzata sul
reale, ma anche sulla religione stessa, la quale pu essere trattata come una forma di
patologia. E allora la morte prossima della religione pu essere proclamata come una
certezza filosofica. La sua sopravvivenza non pu essere spiegata se non in termini
sociologici o psicologici. Pi recentemente alcuni specialisti delle scienze cognitive
hanno anche voluto vedere nel sentimento religioso leffetto di un gene particolare o
di unillusione prodotta chimicamente dal nostro cervello (p. 142).
Secondo Grondin, prima Levinas, con il suo peculiare recupero delle radici religio-
se delletica, e poi Heidegger, con lappello ad un nuova intelligenza dellessere, han-
no contribuito in modo determinante a una riabilitazione delle tematiche religiose
nel dibattito filosofico. Grondin minimizza al riguardo linflusso della fenomenologia
190 recensioni
husserliana : se la religione pu essere considerata un fenomeno, i suoi oggetti e le sue
espressioni sono sospette e relativamente poco trattate dai grandi fenomenologi della
prima generazione (p. 143). Forse questaffermazione andrebbe un po sfumata, con
un riferimento al pensiero di Max Scheler e di Edith Stein, e alla vasta ricerca storica
di alcuni fenomenologi della religione (van der Leeuw, Eliade, Widengren e altri).
Agli occhi di Grondin, Heidegger ha diagnosticato acutamente la deriva nichilista
del pensiero calcolante che nasce dal nominalismo dimentico dellessere. La gran-
dezza di Heidegger sta nellaver riconosciuto questa aporia del nichilismo, scaturito
dal nominalismo. [] Solo una diversa intelligenza dellessere pu ancora salvarci, ed
da essa che dipenderebbe la questione del sacro, del senso o del divino. Ma Heideg-
ger non pretende di elaborare lui stesso questa concezione. Avventista a modo suo,
egli spera soltanto di disporre il pensiero al suo possibile avvento (p. 148). Grondin
obietta giustamente che nella storia delloblio dellessere non si pu includere la me-
tafisica platonica. Lasciando da parte la discussione sulla matrice teologico-religio-
sa del pensiero heideggeriano, mi permetto di aggiungere che anche la concezione
dellatto intensivo di essere elaborata da san Tommaso dAquino si sottrae manifesta-
mente allaccusa heideggeriana che attribuisce in blocco alla metafisica occidentale
lincapacit di pensare la differenza ontologica fra ente ed essere. LIpsum Esse sub-
sistens dellAquinate non ha nulla a che vedere con lente sommo a cui perverrebbe,
secondo Heidegger, la concezione occidentale dellessere.
In conclusione, Grondin afferma che non si d religione, rigorosamente compre-
sa, senza filosofia . Laffermazione non deve far pensare a un assorbimento o a una
subordinazione della religione da parte della filosofia. Per il filosofo canadese filosofia
e religione devono mantenersi in un rapporto di reciproca e feconda complementa-
riet, distinguendo e rispettando lindole peculiare di ciascuna delle due istanze. La
religione stimola la ricerca filosofica e la preserva dal rischio di cadere in un raziona-
lismo riduttivo, perch ci sono pi cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni
la tua filosofia, come scrive Shakespeare nellAmleto. La filosofia trattiene la religione
dalle suggestioni irrazionali della superstizione, come pure dalla funesta intolleranza
dei fondamentalismi. una tesi che riflette bene linsegnamento del Beato Giovan-
ni Paolo II sullaiuto scambievole che sono chiamate a prestarsi la fede e la ragione :
esercitando luna per laltra una funzione sia di vaglio critico e purificatore, sia di
Marco Porta
K
ant, dopo aver avuto bisogno di una lunga vita umana per ripulire il suo mantel-
ra di Kant La religione nei limiti della semplice ragione, pubblicata nel 1793, nella quale
giocava un ruolo fondamentale il problema del male radicale nella natura umana .
Evidentemente quel tema, nuovo per lo stesso Kant, doveva apparire allautore del
recensioni 191
Faust fin troppo simile alla dottrina cristiana del peccato originale, e dunque un vero
e proprio tradimento dello spirito dei Lumi.
In realt, nel suo sforzo di pensare la radice del male morale, Kant intendeva sot-
trarsi proprio a quellopposizione tra cristianesimo e humanitas a cui solo una razio-
nalit negligente potrebbe rassegnarsi, sforzandosi di cogliere al di l di ogni ingenuo
ottimismo il fondo tragico dellesistenza. quanto sostiene Karl Jaspers nel breve
saggio Il male radicale in Kant, scritto nel 1935 e recentemente tradotto in italiano da
Roberto Celada Ballanti, al quale si deve anche una limpida introduzione al testo.
Scrive Jaspers : In realt, Kant n si poneva nella prospettiva cristiana, dal momento
che pensava a partire da una posizione indipendente da ogni fede rivelata, n stava
senzaltro dalla parte di quello spirito umanistico, poich gett lo sguardo in un abis-
so che la forma di pensiero propria, quanto meno, dellumanesimo estetico solita
trascurare, o che il poeta evoca tra le possibilit umane con grandiosit estetica ma,
alla fine, non meno velandolo, in quanto inaccessibile a ogni rappresentazione
(pp. 4344).
Lesposizione del pensiero di Kant si articola in tre parti, in corrispondenza dei tre
interrogativi principali : 1. che cos il male radicale ? 2. Com possibile una liberazio-
ne da questo male ? 3. Che cosa significa il male radicale per la religione filosofica ?
1. La trattazione prende avvio dalla questione circa lessenza del male radicale.
Com noto, secondo Kant, vi nellessere umano non solo una predisposizione (An-
lage) al bene, ossia alladempimento della legge morale, ma anche una propensione
(Hang) al male, che lo spinge ad agire cercando di soddisfare i propri desideri egoisti-
ci. Si tratta di una tendenza , dunque di una condizione che, come Kant stesso dice,
intrecciata con la natura umana , ma non risiede nelle inclinazioni, negli impulsi,
nei bisogni di felicit in quanto tali, perch, se cos fosse, verrebbe a mancare il prin-
cipio della responsabilit, dellimputabilit dellagire. Il fondamento del male morale
appartiene piuttosto alla volont, senza tuttavia identificarsi con essa, altrimenti luo-
mo si trasformerebbe in un essere diabolico. Secondo Jaspers ci significa che il male
morale cos come il bene non per nulla un elemento dellesserci che si lasci
esaminare (p. 50) : non una forza o un oggetto che si possa raggiungere con un
qualsiasi sapere oggettivante (p. 54). Il male una possibilit della mia volont : esso
esiste perch esiste la libert. Solo un atto della volont pu essere il male.
Ma come si conciliano questi due aspetti apparentemente opposti ? Il male un at-
stesso una tendenza naturale o innata , che precede ogni uso della libert dato
al male come una distorsione dello stesso fondamento soggettivo delluso della
to che la tendenza che ne scaturisce corrompe alla radice il fondamento di ogni agire
morale, si pu comprendere come essa preceda ogni azione malvagia e possa quindi
essere detta naturale o innata .
192 recensioni
Questa la soluzione di Kant, ma a ben vedere essa non fa che rendere ancora pi
acuto il problema dellorigine ultima del male oltre che quello del suo superamento.
Innato nella natura umana e tuttavia liberamente assunto, anteriore ad ogni atto libero
e tuttavia non anteriore alla libert : nel gorgo di queste antitesi apparentemente sen-
za vie duscita che sprofonda la filosofia quando si confronta con lenigma del male
radicale, il fondo demonico della libert umana , come lo definir Paul Ricoeur. La
presenza del male pu essere rilevata a livello fenomenico, la sua essenza pu essere
indagata e descritta dal pensiero : ma il perch del fatto che possiamo fare il male, ossia
il perch di questa nostra libert rimane per noi ultimamente impenetrabile (uner-
il saggio di Jaspers. Una completa liberazione dal male appare impossibile alluomo,
perch ci potrebbe accadere solo grazie a buoni princpi, il che risulta impossibile
per comprendere come sia possibile che un uomo naturalmente cattivo si faccia
modo ammessa per evitare che il fondamento stesso dellagire morale risulti privo
di senso.
Siamo giunti cos ad una conclusione doppiamente paradossale : linspiegabilit
del male, da un lato, e la sua inestirpabilit, dallaltro, mettono allo scoperto limpo-
tenza della ragione in ogni ambito dellesistenza, nel sapere cos come nellagire. In
particolare, qui la stessa libert dellesserci umano ad apparire limitata : non solo e
non tanto perch chiamata a conformarsi allimperativo morale (in questo consiste
infatti la sua dignit pi alta), quanto perch si scopre ferita , ossia incapace di ade-
Herder e Schiller), il tema del male radicale sinnesta nel nucleo pi profondo del suo
pensiero, che consiste, in ultima analisi, nella scoperta dei limiti (Grenzen) della ra-
gione. Jaspers al pari di altri pensatori del Novecento ha dunque il merito di porre
la questione del male al centro della filosofia trascendentale e di valorizzarla come
uno dei suoi pi essenziali enigmi (p. 64).
Per il filosofo dellesistenza, proprio lurto nel limite nel quale lesserci umano
scopre di non essere libero in forza di se stesso, ma di essere donato a se stesso nella
sua libert che consente a tale esserci di aprirsi a qualcosa che lo trascende, ossia
allorigine della sua libert, al ci da cui questa libert proviene. Si tratta di quella
3. Lesperienza del conflitto e della colpa dunque il punto in cui la libert finita
delluomo si illumina nella sua profondit autenticamente religiosa . Il male radi-
cale scrive Jaspers, affrontando il terzo interrogativo della sua indagine diviene il
punto in cui la religione di Kant si accende in tutta la sua autentica profondit (p.
68). infatti nello spazio aperto dallUmgreifende, in questo spazio del pensare vuoto
di ogni contenuto determinato, che sorge la religione kantiana : una religione essenzial-
mente filosofica , perch ricondotta entro i limiti della ragione , o meglio come
giustamente rileva il curatore ai limiti di una ragione attenta al richiamo della Tra-
scendenza (cfr. pp. 3435).
Certo, nella prospettiva jaspersiana, lincondizionato della ragione non pu essere
confuso con il Dio delle religioni storicopositive, che a suo avviso, annullando ogni
distanza tra lesserci umano e la Trascendenza, finiscono inevitabilmente col distrug-
gere ogni ulteriorit e ogni rinvio. Ed nota lintransigenza con la quale il filosofo di
Oldenburg ha distinto la fede filosofica (philosophische Glaube) dalla fede nella rive-
lazione (Offenbarungsglaube), come pure il suo impegno nel favorire il dialogo tra la
pu che avere a che fare, volta per volta, con delle determinazioni ; ma nessuna di es-
se pu essere fissata quale immutabile oggettivazione della Trascendenza (la qual cosa,
poi, sarebbe una contraddizione in termini). Le diverse tradizioni storiche (i miti, le
religioni, la stessa rivelazione cristiana) altro non sono che simboli (o cifre ) di una
rivelazione gi inscritta nella coscienza del singolo e che si configura come una libe-
ra decisione esistenziale. Nel momento in cui tale rivelazione pretendesse di valere
come lacquisizione in qualche modo definitiva di una verit universale, finirebbe col
tradire le proprie possibilit.
Ma possiamo chiederci proprio vero che ladesione a una parola assoluta non
pu che essere intesa come lassoluta e definitiva adeguazione della verit ? proprio
vero che la fede in una rivelazione annulla ogni spazio di ulteriorit ? La rivelazione
fronte a ci che nascosto (p. 74). Anche il credente chiamato ad ascoltare questo
silenzio, ad infrangere tutti i simboli , come diceva Meister Eckhart, se vuole attin-
Antonio Livi, Filosofia del senso comune. Logica della scienza e della fede, Leonar-
do da Vinci, Roma 2010, nuova edizione interamente elaborata, pp. 210.
Questa nuova edizione della Filosofia del senso comune (la prima risale al 1990) pre-
senta in maniera sistematica e approfondita la tesi di Antonio Livi sul ruolo fon-
damentale del senso comune nel sapere filosofico. Siamo davanti a unopera della
maturit in cui lautore, dopo anni di dibattiti, di docenza, di scambi di opinione, ma
anche di critiche, riesce ad esporre con chiarezza logica ed espositiva la tematica del
senso comune, nucleo forte del sapere e anello di congiunzione tra la conoscenza
ordinaria e la filosofia scientifica.
Esporre il contenuto e la forma logica del senso comune significa esplicitare la co-
noscenza metafisica esistenziale di base della persona tramite una riflessione critica
e unargomentazione dimostrativa, compito proprio della filosofia intesa non come
sapere spontaneo ma come una scienza rigorosa e superiore alle scienze partico-
lari. La filosofia si colloca in questo modo, per esprimerci in termini classici, tra lin-
tellectus e la ratio, in quanto cerca di sviscerare i contenuti dellintellectus tramite la
metodologia razionale caratteristica della filosofia. Il livello epistemologico di questo
trattato, secondo la terminologia di Livi, la logica aletica, cio una logica gnose-
ologica previa alla logica formale, capace di collegare il senso comune con la metafi-
sica. La logica aletica offre a questultima il nucleo teoretico fondamentale con cui si
pu procedere ad esaminare le diverse posizioni epistemologiche nonch a segnalare
la struttura essenziale della conoscenza umana nel suo valore di verit.
Il primo capitolo considera i diversi significati del termine senso comune nella storia
della filosofia. Talvolta esso venne utilizzato con unaccezione sociologica negativa
e cos fu ridotto ad una conoscenza pre-scientifica vaga e popolare. Nel campo del-
la filosofia della mente, ad esempio, Patricia Churchland parla di Folkpsychology per
riferirsi alla visione psicologica comune, di scarso valore e previa al sapere neuro-
scientifico. Questultimo verrebbe a sostituire e ad eliminare la psicologia popolare
(eliminativismo), cos come la credenza fenomenica del tramonto del sole venne
scavalcata dalla fisica. In altre versioni negative ancor pi radicali il senso comune
interpretato come uno strumento al servizio di posizioni ideologiche.
Ci sono versioni anche positive ma minimaliste del senso comune, qualora lo si ve-
da come semplice buon senso di valore pratico, senza rilevanza teoretica, o come
una sorta di intuizione o inclinazione estetica o morale comune a tutti gli uomi-
ni. Pi vicine alla posizione di Livi sono le idee dei filosofi del senso comune, quali
Pascal, Buffier, Vico, Reid, Jacobi, Hamilton, Balmes, Searle e altri, i quali hanno in-
terpretato il senso comune come unintuizione valida della realt esistenziale e come
una piattaforma fondante delle verit metafisiche, morali e religiose.
La tesi di Livi che il senso comune un insieme organico di evidenze primarie ap-
partenenti allesperienza originaria e metafisica di ogni persona umana, sempre presente
almeno in modo implicito, a titolo di presupposto fortissimo, anzi non eliminabile, di
ogni altra forma di sapere derivato, mediato oppure immediato ma pi particolare.
Ritengo che lenciclica del beato Giovanni Paolo II Fides et ratio nel suo n. 4 (parte
finale) contenga un cenno esplicito al senso comune, denominato in questo docu-
recensioni 195
mento filosofia implicita. Mi pare importante che per Livi il senso comune non sia
una lista di assiomi primari, bens ununit organica (non un sistema), nel senso
che ogni conoscenza dellesperienza ontologica primaria (sul mondo, su me stesso,
sui rapporti sociali, ecc.) sempre in collegamento con altre conoscenze dello stesso
tipo e costituisce in definitiva unesperienza vitale unitaria e flessibile, al punto che ogni
tentativo di separazione di una verit del senso comune rispetto alle altre (ad esem-
pio, separare lio dal mondo, la morale dalla realt esistenziale, la persona dalla vita,
ecc.) porta al suo snaturamento e genera uninfinit di pseudo-problemi metafisici.
Le conoscenze intellettive di base, ben pi ampie dei primi principi aristotelici,
costituiscono il fondamento ontologico veritativo di ogni sapere, in maniera direi
parallela alla funzione che Aristotele assegnava al principio di non contraddizione,
ma allargata ad altre conoscenze primarie, soprattutto di carattere esistenziale, quali
lesistenza del mondo, degli altri, del proprio soggetto, della causalit, della moralit,
perfino di Dio. Proprio queste conoscenze esistenziali forniscono la base di esperien-
za per linduzione dei primi principi universali sia nellordine teoretico che pratico.
Le conoscenze del senso comune sono indicative, secondo Livi, in quanto segna-
lano una realt indubitabile (un est : esiste la causalit, esiste la libert, esiste la comu-
nicazione con gli altri), ma non ne chiariscono lessenza, intesa in senso ampio : ad
Antonio Malo, Io e gli altri. Dallidentit alla relazione, Edusc, Roma 2010,
pp. 376.
Nella sua ultima opera (Parcours de la reconnaissance. Trois tudes, Stock, Paris 2004)
Paul Ricur ha voluto affrontare il tema del riconoscimento (dellidentit umana)
ripercorrendo la storia di questidea, per offrirne una teoria generale che, rileva il
grande pensatore francese, era finora mancata.
Nel presente saggio Antonio Malo, Ordinario di Antropologia filosofica nella Pon-
tificia Universit della Santa Croce, simbatte nel problema parallelo dellidentit
umana, facendo convergere, in qualche modo, gli apporti delle diverse epoche stori-
che allo stesso interrogativo di fondo. Egli scrive : possibile distinguere nella storia
concepisce come coscienza soggettiva. Dal cogito cartesiano allo Spirito Assoluto he-
geliano, passando attraverso il soggetto trascendentale kantiano, ci troviamo sempre
in presenza di una stessa identit (p. 22). Infine, nella post-modernit, da Nietzsche a
Foucault, la soggettivit moderna viene sradicata e lidentit non c pi.
In effetti, dopo Nietzsche, alla soggettivit, ridotta ad una molteplicit di masche-
re, subentra un desiderio perverso e polimorfo. Se lidentit pu essere considerata
la cifra della modernit, la differenza pu essere ugualmente ritenuta il simbolo della
postmodernit dalla differenza ontologica heideggereana fino a quella trascenden-
tale di Derrida, passando attraverso quella etica di Lvinas. [] Di fronte allio As-
soluto e alla sua volont di potenza i postmoderni propongono : la finitezza dellesi-
duo della specie, la persona non perde mai la sua identit ontologica, ma pu non
raggiungere lidentit etica che non ancora pienamente presente, giacch dipende
dal suo agire e, soprattutto, dalla sua vocazione o destino (p. 75). proprio qui, in
questa distinzione tra identit data e identit assunta, che lideologia del genere si fa
strada e crede nella possibilit di una rivoluzione che porter alla riconsiderazione
dellinsieme dei rapporti umani. Da una prospettiva radicalmente marxista, i movi-
menti che diffondono questa ideologia si sentono coinvolti nella lotta di classe tra i
due sessi, che sarebbero da sovvertire e da sostituire con le variazioni polimorfe del
gender. Ma, osserva il nostro autore, lautoproduzione dellindividuo e della societ
conduce cos, prima alla guerra di riconoscimento, e poi alla dittatura (p. 54).
Nelle filosofie moderne e post-moderne, e nelle diverse ideologie che vi si ispirano,
libert e corporeit sono contrapposte, certamente a causa del loro diverso dinami-
smo, ma in tal modo si dimentica che si appartengono a vicenda, visto che concor-
rono al costituirsi della stessa realt della persona. Infatti, la corporeit, sebbene sia
200 recensioni
condizione necessaria della libert, si trova in un certo senso a sua disposizione. Per
cui, si pu affermare che ci che condizione di possibilit della libert nel contem-
po lambito in cui si manifesta ed attualizza il suo potere. Libert e corporeit sono
elementi necessari dellidentit, anche se hanno un ruolo differente nel suo sviluppo
(p. 59).
In questo contesto, il bisogno, il piacere della sua soddisfazione e laiuto esterno
che questa soddisfazione eventualmente richiede vengono valutati positivamente.
Anzitutto, Malo, contrariamente a ci che a volte viene sostenuto, ci dice che in
Aristotele non c (...) nessuna traccia di una visione negativa del dare compimento
alle inclinazioni del piacere ad esso [al bisogno naturale] collegato, perch ci che
positivo o negativo non il piacere, ma latto con cui si soddisfa il bisogno, in quanto
razionale o irrazionale (p. 85). Poi, assumendo volentieri questa prospettiva, affer-
ma : Nel rapporto di dipendenza asimmetrica, invece, le necessit e la loro soddisfa-
zione non sono il mezzo per costruire rapporti di dominio, ma un servizio in cui il
servire laltro compatibile con il lasciarsi servire, giacch ambedue bisognoso e
tutore non cercano dimporsi ma di comunicare le loro vite con i loro limiti e i loro
talenti (p. 92).
Si capisce quindi che quando lidentit assoluta o, al contrario, quando dissolta
(e sostituita con le sole differenze) la relazione svanisce : si nega o si vive come un pe-
anzi, un po come il Ricoeur di Soi-mme comme un autre, cerca di mettere in luce il fat-
to che la relazionalit (con altri) fa essa stessa parte dellidentit e che non costituisce
affatto per questa una minaccia, anzi una necessit e unopportunit. Laltro, lungi
recensioni 201
dallimpoverirci o dal sottometterci, ci rende maggiormente noi stessi. Tale alterit
perfettiva si trova, soprattutto, nel terzo (il figlio, il bisognoso, lo straniero, il credente
di unaltra religione, ecc.) che rompe il rapporto simmetrico fra gli io gi costituiti
(Io-tu dei diritti e doveri), dando luogo al noi (alla famiglia, alla comunit civile, reli-
giosa, ecc.). Quando il terzo viene incluso (riconosciuto-amato), lo si aiuta a diventa-
re tu in grado di poter realizzare, a sua volta, il rapporto asimmetrico originario nel
riconoscimento dellaltro ; quando il terzo viene escluso, non solo gli si impedisce di
raggiungere lidentit del tu, ma anche si rende impossibile la stessa costituzione del
noi, ed in questo modo la crescita della propria identit (p. 138).
Cos viene fondata loriginalit antropologica della famiglia e dellamicizia, come
luogo della fioritura di quella relazionalit insita nella persona (cfr. p. 142). Esse, cio,
arricchiscono le persone con il dono di unaltra persona, talvolta, o con la crescita
spirituale delle stesse. La famiglia una realt fondamentale e fondante sia per la
personalit delluomo sia per la sua socialit. Essa si fonda sulla complementarit tra
uomo e donna, la cui differenza sessuale (in senso biologico) riconosciuta come un
assoluto anche dal pi recente femminismo della differenza (diverso dal femmini-
smo di genere).
Parallelamente alla distinzione tra individualit e individualizzazione, sopra rife-
rita, Malo propone quella tra sessualit e condizione sessuata. La distinzione fra
sessualit e condizione sessuata sembrerebbe, ad un primo sguardo, simile a quella
fatta dalla cosiddetta identit di genere fra sesso e genere, in quanto il genere co-
me la condizione sessuata costituisce la forma personale della sessualit. Infatti, il
termine genere (in inglese gender) designa il sesso non nella sua stretta connotazione
biologica, che linglese indica con sex, ma in quanto riguarda la sessualit personale.
C per una differenza molto importante fra genere e condizione sessuata. Secon-
do i fautori dellideologia di genere, il genere sarebbe solo il sesso dappartenenza,
costruito socialmente da aspettative, aspirazioni e norme di condotta appropriata,
mentre il sesso sarebbe solo la connotazione di attributi biologici. La condizione ses-
suata come abbiamo visto non diversa dalla sessualit, ma la include come ele-
mento basilare ; daltro canto, la sessualit non si riduce a pura biologia, giacch si
tratta di una tendenza personale, modellata dalla relazione e aperta alla relazione.
vero, infine, che nella condizione sessuata, occupano un posto di rilievo la cultura e le
pratiche sociali, ma non fino al punto di poter inventare nuovi generi o di considerare
la mascolinit e la femminilit due costruzioni storico-sociali (pp. 164-165).
La fiducia e la confidenza che rendono possibile la realizzazione della famiglia, che
unisce e trascende le differenze, hanno pure luogo, anche se diversamente, nellami-
cizia. Nellamicizia che aiuta alla costituzione della propria identit, ognuno cono-
sce-ama laltro come fine, non come mezzo, n in base alle sue qualit o capacit, il
che significa che conosce-ama laltro come indipendente dai suoi bisogni, sentimenti
o utilit. Nellamicizia perfettiva, la base non sono le attivit realizzate insieme e
neanche il piacere o lutilit che si condividono, ma lamico in quanto tale ; solo cos
non c il pericolo che il rapporto scivoli verso una mutua dipendenza strumentale
(p. 319).
Lamicizia, realt tipicamente umana e che ci contraddistingue come persone, ap-
pare cos distinta dal puro istinto gregario ma anche da una semplice complicit cir-
202 recensioni
costanziale ovvero dalla mutua dipendenza strumentale (ivi), perch dipende dallo
svelamento dellaltro come altro a cui segue lidea del servizio disinteressato.
Lautore pienamente consapevole del fatto che lamicizia tra gli uomini non
sempre cos, essa non presenta infallibilmente le splendide caratteristiche sopra se-
gnalate. Ma gli basta che si tratti di una possibilit reale, sicch essa appare come
una delle pi alte manifestazioni della nostra essenza, la cui realizzazione per non
affatto scontata e richiede il coinvolgimento delle persone interessate e lo sforzo
concreto per scartare tendenze viziose.
Inoltre, al di l dellamicizia umana, affiora lamicizia pi sicura con Dio. Siamo
cos arrivati al punto pi alto della nostra ricerca : lasimmetria originaria, che si trova
alla base di tutti i nostri rapporti, si fonda sulla donazione di un Essere trascendente.
Una donazione infinita che sostenta lasimmetria dei rapporti umani, i quali, a loro
volta, si trovano alla base della simmetria della giustizia nellordine dei rapporti in-
terpersonali e nello scambio dei beni. Nella donazione amorosa umana si scopre,
quindi, la partecipazione che la persona ha dellInfinito (pp. 340-341).
In questo libro, gli argomenti delineati, anche se gi presenti nei precedenti lavori
dellautore, sintegrano in una vigorosa sintesi, in modo da offrire unautentica pro-
posta originale. In definitiva, si sostiene che lidentit delle persone tale che essa
matura e in qualche modo si costituisce nella doppia direzione, interiore ed esteriore,
dellunit e dellunione, cio nel senso dellintegrazione delle diverse sue dimensioni
somatico-psichico-spirituale da una parte e, dallaltra parte, in quella dellarmonizza-
zione possibile e sempre auspicabile del rapporto con i suoi simili e con Dio. Si pu
cos concludere sinteticamente con la seguente tesi : la persona, mediante la relazio-
ne di donazione, diventa comunione di s con tutte le persone umane e con Dio (p.
359).
Lo sforzo di Antonio Malo per gettare un ponte tra identit e relazione ricorda
quello che si dice di Robert Spaemann, il quale avrebbe scelto per il suo libro il titolo
Personen (Persone) pensando, a quanto sembra, al volume di P.F. Strawson, intitolato
Individuals (Individui), perch lidea di persona, contrariamente a quella di individuo,
fin dalla sua origine nella teologia della Santissima Trinit e in cristologia, include e
significa anzitutto relazionalit.
Indubbiamente, in questo libro lautore offre intuizioni molto interessanti, che ri-
guardano alcune delle questioni pi dibattute ai nostri giorni. Si tratta, cio, di un
contributo importante allodierno sforzo delluomo per la comprensione di s stesso.
Anche se, come si gi detto, sarebbero stati auspicabili uno stile pi scorrevole e una
maggiore chiarezza in certi passi dellesposizione.
Paulin Sabuy Sabangu
schede bibliografiche
Agostino dIppona, De immortalita- siero filosofico sulla dottrina dellanima,
te animae - Limmortalit dellanima, evidenzia i termini principali utilizzati
testo latino-italiano, introduzione, da Agostino : anima, animus, subiectum,
sospeso nellultima parte dei Soliloquia, (psych, cio il soffio vitale di cui hanno
in cui lautore rifletteva sulla problemati- trattato vari filosofi greci), sia alla forma
ca relativa alla natura immortale dellani- del corpo umano organico con richiami
ma umana individuale, personale, per-
ad Aristotele. Con animus, invece, lIp-
ch sede inseparabile di una disciplina, ponense designa le facolt dellintellet-
la dialettica, coincidente con la verit e to e della volont della persona umana.
perci con limmortalit (p. 41).
Balido, accogliendo la posizione di Nel-
Ledizione critica latina del De immor- lo Cipriani (p. 66), pu constatare come
talitate animae, tenuta presente dal cura- Agostino in questopera giunge alla con-
tore, quella tratta dalledizione Mau- clusione che sia tutta lanima ad essere
rina (PL 32, 1021-1034, ed. Migne) citata immortale e non solo lanimus. Da qui,
secondo la Nuova Biblioteca Agostinia-
viene richiamata lattenzione sulla po-
na (iii/1, Citt Nuova Editrice, Roma
sizione agostiniana che, nel recuperare
1970) ma senza apparati critici. Sono note il carattere dellappetitus dellanima, nei
le difficolt che si incontrano nella lettu- confronti del corpo, d avvio ad nuovo
ra del De immortalitate animae ; ci viene
modello antropologico distante sia da
confermato dallesiguit delle traduzioni quello platonico-aristotelico sia da quel-
italiane offerte dalla ricerca specializza- lo neoplatonico (p. 67).
ta. Prima di quella prodotta da Giuseppe I diversi spunti al riguardo consentono
Balido, infatti, cerano state la traduzione di rileggere, alla luce dellinsegnamento
di D. Gentili nel 1970, pubblicata nelledi- di Agostino, lo stesso De anima di Aristo-
zione critica precedentemente citata, tele come uneffettiva rigorizzazione an-
e quella di G. Catapano, pubblicata da tropologica della visione platonica ; tali
quasi sinonimo di anima a cui vengono t strutturale rispetto al corpo fisico che
collegati il soggetto (subiectum) che condizione fondamentale per la sua im-
riceve la dottrina, la dialettica, o la mortalit.
ragione, larte, lessenza. Questi Il contributo importante di questa ul-
termini sono utilizzati da Agostino per tima edizione del De immortalitate animae
dimostrare con serrate argomentazioni (rispetto alle due precedenti edizioni,
limmortalit dellanima. Nel corso di pur lodevoli per diversi aspetti), ritenia-
tali argomentazioni viene evidenziato lo mo consista nella rigorizzazione scien-
stridente contrasto fra realt mutevoli, tifica delle argomentazioni agostiniane,
oggetto delle scienze naturali, umane e scandagliate con gli strumenti della lo-
sociali, e realt immutabili come quella gica antica e della logica simbolica con-
dei rapporti fra numeri (p. 72) relativi al- temporanea. Con la guida di M. Malate-
la scienza matematica o geometrica. Da sta, Balido riuscito ad illuminare molti
ci nasce il problema di capire e chiarire passi dello scritto agostiniano, rimasti in
la connessione, la relazione, tra le facol- precedenza oscuri e motivo di ingiusti-
t sensibili e quelle intellettive, quindi tra ficate interpretazioni, anche da parte di
ci che mutevole e ci che universa- autorevoli studiosi (p. 204). In tale pro-
le, immutabile, immortale. spettiva, il curatore fornisce in Appen-
Agostino prende le distanze da Plato- dice (pp. 169-205) gli elementi di logica
ne, non solo sulla dottrina della cono- formale utili per comprendere lanalisi
scenza come reminiscenza, che implica condotta sul testo.
la preesistenza dellanima e la ciclicit Niccol Turi
delle reincarnazioni, ma anche sulla di-
mostrazione dellimmortalit dellanima ngel Guerra Sierra, Hombres de
basata sulla legge dei contrari, sostenen- ciencia, hombres de fe, Rialp, Madrid
do convinto lopposizione fra sensibile
2011, pp. 236.
e intelligibile e laffinit dellanima con
Dio, poich proprio questa condizio- ngel Guerra,
especialista en Biolo-
ne a rendere possibile alla mens lacqui- ga marina y autor tambin de publica-
sizione delle conoscenze che le consen- ciones sobre ciencia, fe y sociedad dedica
tono di contemplare gli intelligibili (p.
este ensayo de alta divulgacin a algunos
37). Lanima della singola persona pu temas cientficos con resonancias filos-
avere la scienza matematica degli uni- fico-religiosas : el Big Bang, el origen de
versali, immortali, ma pur mutando, la vida y del hombre, las diversas teoras
schede bibliografiche 207
evolutivas, la manipulacin gentica y el patible con su trabajo, sino que potencia
problema ecolgico, entre otros. Aun- los anhelos de verdad insitos en la mis-
que estas cuestiones han sido abundante- ma actividad cientfica. El autor describe
mente tratadas, tanto en el mbito divul- tambin siempre de modo biogrfico
gativo como en el de la especializacin, la incidencia del cristianismo en la cultu-
la obra tiene una nota de originalidad. ra occidental, particularmente en el naci-
En efecto, el autor presenta las temticas miento de la ciencia moderna.
no de modo abstracto sino al hilo de la En sus reflexiones, Guerra muestra
experiencia de los cientficos que prota- ser buen conocedor de la vida y obra de
gonizaron avances importantes en los sus biografiados, as como del contexto
campos correspondientes. cultural correspondiente. Puntualmen-
Esta perspectiva est en consonancia te, sin embargo, al ofrecer juicios globa-
con el giro operado en la epistemologa les de perodos histricos extensos, o de
de las ltimas dcadas, en la que se ha corrientes de pensamiento, afirmaciones
pasado de una concepcin de la ciencia sustancialmente vlidas requeriran, qui-
centrada en los aspectos metodolgicos z, una mayor riqueza de matices.
y en los resultados de la actividad cien- Hombres de ciencia, hombres de fe, es un
tfica a una visin de la misma como ac- libro que con la presentacin de la rea-
tividad humana y, por tanto, en ntima lidad histrica puede ayudar a deshacer
relacin con todas las dimensiones de la prejuicios transmitidos por una histo-
persona. Guerra consigue as hacer ms riografa de corte ideolgico, en la que
comprensibles y amenas las cuestiones los hechos se han interpretado a priori a
tratadas, en las que privilegia la relacin partir de la conviccin de la supuesta in-
de la ciencia con la fe y la finalidad de ser- compatibilidad entre cristianismo y pro-
vicio al bien del hombre, propia de la ac- greso.
tividad cientfica. Mara ngeles Vitoria
La eleccin de los cientficos parece
acertada. Entre ellos figuran pioneros en Jos Mara Montiu de Nuix, Ma-
las diferentes ramas de la ciencia (Stensen, nuel Garca Morente. Vida y pensa-
Boscovich, Spallanzani, Pasteur, Mendel, miento, Edicep, Valencia 2010, pp.
Lematre), autores que unieron a su com- 428.
petencia profesional un alto sentido de
servicio a los dems (Albareda, Ortiz de Frutto di una tesi dottorale, questope-
Landzuri, Lejeune, R.S. Yalow) y perso- ra presenta unanalisi della svolta intel-
najes que, sin ser cientficos en el sentido lettuale del filosofo spagnolo Manuel
moderno del trmino, estn en el itinera- Garca Morente (1886-1942). Non man-
rio que condujo a la puesta en marcha de cano un ritratto dellambiente culturale
la empresa cientfica (San Alberto Mag- massonico e laicista della Spagna allini-
no, Santa Hildegarda de Bingen, etc.). zio del ventesimo secolo, la traiettoria
Por lo que se refiere a la relacin en- del pensiero agnostico di Garca Moren-
tre ciencia y religin, el libro va ms all te e le ripercussioni della sua inaspettata
de mostrar la compatibilidad entre es- conversione al cristianesimo durante la
tos dos rdenes del saber. A lo largo de guerra civile spagnola.
la historia, muchos cientficos han dado Composta da undici capitoli, lopera
testimonio de que la fe no slo es com- ne dedica i primi cinque a spiegare per-
208 schede bibliografiche
ch Garca Morente considerato uno ste da Bergson, Husserl, Scheler e Or-
dei principali filosofi spagnoli. Prima di tega y Gasset. La prematura morte del
diventare Decano della Facolt di Lette- filosofo, per, imped la conclusione di
re e Filosofia dellUniversit Central questobiettivo.
di Madrid (1931-1936), culmine della sua Montiu de Nuix descrive tre momen-
carriera, ottiene la laurea in Filosofia ti nel progetto di Garca Morente di co-
allUniversit della Sorbona e torna a struire una filosofia compatibile con la
Madrid. In seguito si reca nelle Universit sua fede. Il primo caratterizzato dal suo
tedesche di Mnich, Berlino e Marburgo avvicinamento al realismo di Tommaso
per ampliare i suoi studi. Influenzato da dAquino, seguito da una valutazione
pensatori come Kant, Bergson, Scheler, della filosofia moderna come soggettiva
Husserl, Heidegger e Ortega y Gasset, e lontana dalla realt, per arrivare ad un
Garca Morente finisce per elaborare un nuovo orientamento di pensiero metafi-
pensiero filosofico proprio, il cui apice sico, caratterizzato dalla metafisica pu-
la metafisica della vita, una concezione ra e dalletica dei valori (cfr. pp. 312-
fenomenologica e vitalista del concetto 358). Garca Morente, da cattolico, resta
di vivere (cfr. pp. 146-179). convinto dellautonomia della ragione
La conversione e il conseguente av- rispetto alla fede per la formazione di
vicinamento alla dottrina cattolica non una vera filosofia, ma dopo la sua con-
cambieranno la base della metafisica di versione afferma lapertura della ragio-
Garca Morente, come sostiene Mon- ne allipotesi di Dio, prima assente nel
tiu di Nuix nei capitoli sei, sette e otto. suo pensiero. In questo senso, Montiu de
In effetti, il lettore aiutato a scorgere Nuix non si stanca di mettere in rilievo la
sorprendenti segni di continuit insie- continuit dellapertura alla totalit del
me a indizi di discontinuit nellinsieme Garca Morente agnostico con il ricono-
del pensiero del filosofo spagnolo. Ci si scimento della possibilit di Dio nel Gar-
spiegherebbe perch la preoccupazione ca Morente convertito (cfr. pp. 314 e ss.).
scientifica di Garca Morente lo porta a Il saggio si conclude con lesposizione
cercare con costanza il reale statuto della critica delle obiezioni rivolte dai filosofi
natura umana e del mondo, con rispet- spagnoli Jos Luis Abelln e Julin Maras
to assoluto verso la ragione, anche se il a Garca Morente dopo la sua conversio-
risultato raggiunto non corrisponde alle ne. Lautore spiega perch, secondo lui,
aspettative del filosofo al momento di co- la filosofia di Garca Morente non sem-
minciare le sue indagini (cfr. pp. 175-179). plicemente frutto della confusa situazio-
Questonest di metodo non scomparir ne politica spagnola dellepoca, come
lungo tutto il suo percorso speculativo. sostiene Abelln, o un orteghismo che
La contrapposizione di Garca Mo- cerca di essere cattolico, come ritiene
rente agnostico a Tommaso dAquino, Maras. Montiu de Nuix, invece, afferma
tuttavia, rimane evidente. Il filosofo con- che i testi di Garca Morente mostrano
vertito, daltra parte, accetta la sfida di chiaramente la sua adesione al tomismo
superare lostacolo. Come si spiega nei e il corrispondente tentativo di prosegui-
capitoli nono e decimo, il filosofo ormai re la ricerca filosofica seguendone le or-
cattolico si avvia a sviluppare un pensie- me (cfr. p. 380 e il capitolo x).
ro in armonia con il cristianesimo, che Ci sembra che, a prima vista, il presente
coesiste con alcune delle idee propo- libro possa essere poco gradito da un non
schede bibliografiche 209
credente, soprattutto perch si sofferma mentali, voci di dizionari e biografie)
sugli aspetti mistici della conversione di stata aggiornata.
Morente. Nonostante ci, superato que- Il libro corrisponde pienamente al-
sto possibile pregiudizio, il lettore potr lobiettivo di fornire una guida intro-
seguire il cammino intellettuale svolto duttiva per gli studenti dei primi anni
dal filosofo spagnolo, pur senza sottoscri- universitari (soprattutto delle Facolt di
verne le conclusioni. Senzaltro ci trovia- Teologia) nello studio della filosofia me-
mo davanti ad unopera che apporta un dioevale. Non si limita per ad un per-
utile contributo alla comprensione della corso puramente descrittivo, ma cerca di
generazione orteghiana e della discussio- offrire un vero itinerario filosofico, giac-
ne da essa generata. ch, come osserva lautore, la storia del-
Josep-Ignasi Saranyana, Breve hi- che, in questo caso, si trova alla base dei
trattati di teologia dogmatica (p. 17).
storia de la filosofa medieval, Eunsa,
Con la ricca esperienza di chi ha inse- Michel Serres, Tempo di crisi, tra-
gnato filosofia medioevale per quasi ven- duzione di Gaspare Polizzi, Bollati
ticinque anni, lautore offre al pubblico Boringhieri, Torino 2010, pp. 92.
la seconda edizione del presente manua-
le introduttivo, nella quale ha inserito Un libro scomodo e inquietante. In
diversi miglioramenti nel contenuto e poche pagine Michel Serres, docente di
nel stile. Il periodo storico studiato va Storia della Scienza nellUniversit di
dallagostinismo dellalto medioevo alla Stanford (Stati Uniti), obbliga il lettore
filosofia scolastica del sedicesimo secolo, a confrontarsi con gli interrogativi che
con una particolare attenzione al rappor- cerchiamo di evitare : come stanno cam-
to tra cristianesimo, islamismo e giudai- biando la terra e noi stessi ? Ci stiamo ac-
aver precisato lungo gli anni la sua inter- La sua analisi prende spunto dallat-
pretazione di Duns Scoto e di aver mes- tuale crisi finanziaria e mette in luce che
so meglio a fuoco il ruolo del pensiero essa ha radici molto profonde ed stata
di Guglielmo di Ockham. Tra le novit preparata da mutamenti storici dei quali
della seconda edizione, vanno segnalati non facile calcolare la portata. Con stile
il completo rifacimento del nono ed ul- da requisitoria, Serres esamina le trasfor-
timo capitolo, intitolato Dallumanesi- mazioni avvenute nel secolo corso in sei
mo rinascimentale al barocco filosofico, ambiti : agricoltura, trasporti, salute, de-
(suddivisa nelle quattro categorie di ma- mo infiniti, nella ragione, nella ricerca,
nuali, testi filosofici medioevali e rinasci- nel desiderio e nella volont, nella storia
210 schede bibliografiche
e nella potenza, persino nel consumo, e gea : ha fine unera immensa della no-
finitezza degli umani contro la finitezza Lautore confida che questa situazione
del mondo (p. 36).
possa essere affrontata nel modo giusto
La situazione attuale ha, per, messo grazie al lavoro degli studiosi delle scien-
in evidenza che nel corso della storia an- ze della vita e della terra, ma propone lo-
zich diventare sempre pi indipendenti ro due giuramenti che ne guidino lope-
siamo maggiormente vincolati : Dipen-
rato. In effetti, c da constatare che gli
diamo alla fine dalle cose che dipendo- scienziati non sono affatto immuni dal
no da noi. [] Dipendiamo, infatti, da desiderio di successo e dallasservimento
un mondo della produzione del quale al potere politico ed economico. Sicch,
siamo in parte responsabili. [] Dipen- mi pare molto opportuno che Serres ri-
diamo esattamente da ci che dipende valuti il ruolo della filosofia e guardi con
da noi, il denaro, il mercato, il lavoro, il fiducia alla libert con cui tutti possono
commercio (p. 40). In fin dei conti, una
(almeno in teoria) accedere al sapere, sic-
volta acquisiti, o quasi, la padronanza e il ch ciascuno in grado di dare la sua
possesso della natura finiscono per il fat- opinione, di partecipare alle decisioni, di
to che la natura ci possiede e praticamen- condividere la competenza, in breve, di
te ci padroneggia (p. 41).
restare attento al proprio destino e attivo
Il soggetto umano, che si riteneva re in quello della collettivit (p. 83). Insom-
incontrastato del mondo, deve fare i con- ma, anzich rimanere nella passivit
ti con la propria vulnerabilit e le pro- necessario un ruolo attivo di cittadinan-
prie paure, che tante volte sono emerse za del mondo.
in questi ultimi tempi dinanzi allappari- Viste le esigue dimensioni, con qual-
re di vere o presunte epidemie. Ha avu- che inevitabile semplificazione, questo
to inizio, secondo Serres, una nuova era piccolo libro sembra un sassolino gettato
chiamata antropocene, nella quale gli in uno stagno, che potrebbe per inne-
esseri umani sono diventati oggetto del scare una serie positiva di reazioni con-
mondo che a sua volta viene oggettivato centriche. Me lo auguro sinceramente.
dagli uomini, in un doppio legame in-
Madrid 2011.
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Matteo Galletti, Silvia Vida (a cura di), Indagine sulla natura umana. Itinerari di
filosofia contemporanea, Carocci, Roma 2011.
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dei Farnesi, 82, I 00186 Roma ; e-mail : actaphil@pusc.it). The Editorial Secretary will then submit
them to the referees. Within two months, the author will be informed, in writing, as to whether
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a) for books :
S. L. Brock, Action and Conduct, T&T Clark, Edinburgh 1998, pp. 95-102.
b) for contributions in a collective work of several authors :
A. Llano, The Different Meanings of Being According to Aristotle and Aquinas, Acta
When a work is cited more than once in an article, it should be written as, S. L. Brock, o.c.,
p. 171 ; or, if the tittle is to be repeated, S. L. Brock, Action and Conduct, cit., p. 171. It is better
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reviewer should be written at the end. For example,
John F. Wippel, The Metaphysical Thought of Thomas Aquinas. From Finite Being
to Uncreated Being, Monographs of the Society for Medieval and Renaissance
Philosophy no. 1, The Catholic University of America Press, Washington, D. C.
2000, pp. xxvii + 630.
(text of review)
(name of reviewer)
c o mp os to in car atter e dan t e mon ot y p e d a l l a
fabrizio serr a editor e , p i s a r oma .
stamp ato e rileg a t o n e l l a
t ipog r afia di ag n an o, ag na n o p i s a n o ( p i s a ) .
*
Febbraio 2012
(cz 2 fg 3)