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La metafora da Leopardi ai contemporanei XX

a cura di Antonella Del Gatto


I
Studi Medievali e Moderni
arte letteratura storia
In questo numero

La metafora nel pensiero e nell’opera di Leopardi


Atti del convegno di Chieti, 1-2 dicembre 2014
Premessa di Antonella Del Gatto; MARCO MANOTTA Similitudini proprie e raccorciate:
annotazioni sul paradigma comparativo leopardiano; ANDREA BONAZZI, LISA GAMBET-
TA, MARIA CHIARA JANNER, NUNZIO LA FAUCI Metafora in Leopardi: variazione lingui-
stica sul tema; PAOLA CORI L’attenuazione in Leopardi: lingua, diritto e storia delle
idee; PATRIZIA LANDI Il male, il nulla e un giardino. Descrizione e pensiero nello Zibal-
done; COSETTA VERONESE The metaphors used to describe the Zibaldone; ANDREA MA-
LAGAMBA Il corpo dice la mente: sui movimenti corporei come metafore dei moti inte-

Studi Medievali e Moderni


riori nella scrittura di Giacomo Leopardi; MARGHERITA CENTENARI Ospitare gli antichi.
Per una ricognizione sulle metafore del tradurre negli scritti giovanili di Giacomo Le-
opardi (1815-1817); LAURA MELOSI Declinazioni metaforiche (e non) della nautica in
Leopardi; FLORIANA DI RUZZA Metafore sondate alla lettera. Qualche considerazione
sulle Operette morali; ANDREA LOMBARDINILO Leopardi e il Machiavello della vita so-
ciale: una lezione (metaforica) per i moderni

Metafora e comunicazione nella letteratura moderna


e contemporanea
Atti del Congresso annuale dell’American Association for Italian Studies
(Zurigo, Romanisches Seminar, 25 maggio 2014)
EMILIANO PICCHIORRI La metafora nella poesia barocca: soluzioni linguistiche e stilisti-
che; ANNALISA CIPOLLONE «Vano è pugnar contro la rossa croce». La metafora nel
Pascoli ‘medievale’; PATRIZIA PIREDDA La funzione filosofica della metafora nei Sei
personaggi in cerca d’autore; ANDREA GIALLORETO «Retore delle tenebre e del fuoco»:
spazi metaforici e immagini allegoriche in Amore di Giorgio Manganelli; DOMINIQUE
BUDOR “Metafora viva” e “Metafora morta”: il caso paradigmatico de La Sicilia come
metafora; LAURA NIEDDU La funzione delle metafore in Salvatore Niffoi; ANDREA BO-
NAZZI E NUNZIO LA FAUCI Mangiar tropo
Anno XX, I/2016

978-88-99306-22-9 2016
I Iniziative EDITORIALI
Studi Medievali e Moderni
Anno XX – n. 1/2016

LA METAFORA DA LEOPARDI AI CONTEMPORANEI

a cura di Antonella Del Gatto

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Studi Medievali e Moderni
Atti di convegni internazionali
Anno XX – n. 1/2016
“International Peer-Rewiewed Journal. ANVUR: A Letteratura Italiana”

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Studi Medievali e Moderni XX – 1/2016

INDICE

5 Premessa di Antonella Del Gatto

La metafora nel pensiero e nell’opera di Leopardi


Atti del convegno di Chieti, 1-2 dicembre 2014

11 MARCO MANOTTA
Similitudini proprie e raccorciate: annotazioni sul paradigma
comparativo leopardiano
23 ANDREA BONAZZI, LISA GAMBETTA, MARIA CHIARA JANNER,
NUNZIO LA FAUCI
Metafora in Leopardi: variazione linguistica sul tema
43 PAOLA CORI
L’attenuazione in Leopardi: lingua, diritto e storia delle idee
63 PATRIZIA LANDI
Il male, il nulla e un giardino. Descrizione e pensiero nello Zibaldone
85 COSETTA VERONESE
The metaphors used to describe the Zibaldone
111 ANDREA MALAGAMBA
Il corpo dice la mente: sui movimenti corporei come metafore
dei moti interiori nella scrittura di Giacomo Leopardi
129 MARGHERITA CENTENARI
Ospitare gli antichi. Per una ricognizione sulle metafore del tradurre
negli scritti giovanili di Giacomo Leopardi (1815-1817)

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INDICE

149 LAURA MELOSI


Declinazioni metaforiche (e non) della nautica in Leopardi
155 FLORIANA DI RUZZA
Metafore sondate alla lettera. Qualche considerazione sulle Operette
morali
165 ANDREA LOMBARDINILO
Leopardi e il Machiavello della vita sociale: una lezione (metaforica)
per i moderni

Metafora e comunicazione nella letteratura moderna


e contemporanea
Atti del Congresso annuale dell’American Association
for Italian Studies (Zurigo, Romanisches Seminar, 25 maggio 2014)

205 EMILIANO PICCHIORRI


La metafora nella poesia barocca: soluzioni linguistiche e stilistiche

219 ANNALISA CIPOLLONE


«Vano è pugnar contro la rossa croce».
La metafora nel Pascoli ‘medievale’
237 PATRIZIA PIREDDA
La funzione filosofica della metafora nei Sei personaggi in cerca
d’autore
255 ANDREA GIALLORETO
«Retore delle tenebre e del fuoco»: spazi metaforici e immagini
allegoriche in Amore di Giorgio Manganelli
271 DOMINIQUE BUDOR
“Metafora viva” e “Metafora morta”: il caso paradigmatico de La
Sicilia come metafora
281 LAURA NIEDDU
La funzione delle metafore in Salvatore Niffoi
293 ANDREA BONAZZI E NUNZIO LA FAUCI
Mangiar tropo

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EMILIANO PICCHIORRI

LA METAFORA NELLA POESIA BAROCCA:


SOLUZIONI LINGUISTICHE E STILISTICHE

Gli studi recenti hanno messo in dubbio il primato tradizionalmente


attribuito alla metafora come figura dominante della poesia barocca, va-
lorizzando il peso di altre risorse retoriche – in particolare quello delle
figure di suono – e osservando come nella trattatistica dell’epoca, a par-
tire dal Cannocchiale aristotelico di Tesauro, l’ambito generalmente asse-
gnato alla metafora comprendesse anche i territori che oggi sono ascritti
alla metonimia e alla sineddoche, e in molti casi lambisse la sfera della si-
militudine1.
Tuttavia, la metafora era considerata figura peculiare della poesia ba-
rocca già tra i contemporanei, come ben testimonia l’opera di Tommaso
Stigliani, uno dei principali avversari di Marino e dei marinisti, che scris-
se un’ampia serie di componimenti con il preciso intento di parodiare lo
stile barocco. Come ha illustrato Ottavio Besomi2, l’operazione caricatu-
rale di Stigliani, pur coinvolgendo svariate figure retoriche, si esercita so-
prattutto sulla metafora, riconoscendole in tal modo una posizione di pre-
minenza e una funzione caratterizzante nella poesia del Seicento; Stiglia-
ni stesso, del resto, si riferisce a questa maniera poetica col sintagma, che
attribuisce a Marino, di “stil metaforuto”. In questi componimenti paro-
distici viene accentuato, in primo luogo, il gusto per la metafora insolita
e peregrina, attraverso l’esagerazione della distanza tra metaforizzato e

1
Cfr. P. FRARE, Contro la metafora. Antitesi e metafora nella prassi e nella teoria let-
teraria del Seicento, in «Studi secenteschi», a. XXXIII, 1992, pp. 3-20 e L. SERIANNI, Per
una figura retorica barocca: la dissimilitudine conclusiva, in AA. VV., Linguistica applicata
con stile. In traccia di Bice Mortara Garavelli, a cura di F. Geymonat, Alessandria, Dell’Or-
so, 2013, pp. 163-72.
2
O. BESOMI, Tommaso Stigliani: tra parodia e critica, in ID., Esplorazioni secentesche,
Padova, Antenore, 1975, pp. 55-151.
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metaforizzante; ma da profondo conoscitore dello stile barocco, Stigliani


adotta, accanto alle metafore ardite, tutte le declinazioni di questa figura
più comuni nella produzione contemporanea, dalla metafora continuata
alla catena di metafore, e riproduce nei suoi componimenti quella com-
binazione di diversi procedimenti retorici che è un tratto caratterizzante
del marinismo.
In questo intervento si cercherà di evidenziare alcuni elementi lingui-
stici ricorrenti nella formazione delle metafore dei poeti barocchi, con-
centrando l’attenzione sul rapporto con il lessico poetico tradizionale e,
in secondo luogo, sulla fortuna della cosiddetta “metafora del genitivo”3.
È stato osservato che la poesia barocca, pur nella sua forte istanza di
rinnovamento, si pone dal punto di vista linguistico in un rapporto di
continuità e di dialogo con la tradizione petrarchista4. Questo vale anche
per quel che riguarda il tessuto figurale: molte delle metafore barocche
nascono infatti da una volontà di rinnovamento di un’immagine classica
o comunque assumono come punto di partenza una metafora ben radi-
cata nella tradizione. Luca Serianni5 ha mostrato, ad esempio, come in
Paolo Zazzaroni lo stereotipo della descriptio mulieris sia arricchito da
un’inedita connotazione realistica nell’uso di un figurante classico come
il latte: se tradizionalmente il latte è evocato per celebrare il candore del-
la cute, in Zazzaroni si trova un concreto riferimento al liquido secreto
dalle ghiandole mammarie:

Ma se ’l Destin qui le tue glorie abbatte


dir puoi, dolce naufragio, urna gradita,
poiché t’accoglie un Ocean di Latte6.

L’accostamento tra seno e latte conosceva un precedente in Ariosto


(nella celebrazione della bellezza di Olimpia, Orlando Furioso XI 68), ma

3
Cfr. C. BROOKE-ROSE, A Grammar of Metaphor, London, Secker & Warburg, 1958;
M. PAGNINI, Struttura letteraria e metodo critico, Messina-Firenze, D’Anna, 1967, pp.
85-90.
4
R. MASSANO, Sulla tecnica e sul linguaggio dei lirici marinisti, in AA. VV., La critica
stilistica e il barocco letterario. Atti del secondo congresso internazionale di studi italia-
ni, Firenze, Le Monnier, 1958, pp. 283-301. Cfr. anche W. T. ELWERT, La poesia lirica
italiana del Seicento: studio sullo stile barocco, Firenze, Olschki, 1967.
5
L. SERIANNI, Intorno a Paolo Zazzaroni poeta barocco, in AA. VV., Studi in onore di
Pier Vincenzo Mengaldo per i suoi settant’anni a cura degli allievi padovani, Firenze, Si-
smel, 2007, pp. 625-36, alle pp. 628-29.
6
P. ZAZZARONI, Il giardino poetico, Verona, Merlo, 1642, sezione I Mirti, 38, vv. 12-14.
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LA METAFORA NELLA POESIA BAROCCA

in quel caso il parallelo si limitava al colore bianco, senza riferimenti alla


concretezza fisica del liquido7. In modo analogo, il riferimento classico al
seno femminile assume in Marino una nuova connotazione realistica di-
ventando «celebrazione anatomica della mammella»8, attraverso metafo-
re come quella del «dolce sentier tra mamma e mamma» o quella dei «due
vivi scogli», che conoscerà notevole fortuna tra gli epigoni9.
Nella poesia barocca il rinnovamento di un’immagine tradizionale è
ottenuto molto spesso attraverso un’estensione del campo semantico di
voci appartenenti al lessico fondamentale della lingua poetica italiana. Ad
esempio, Marcello Giovannetti dedica un sonetto alla cortigiana frustata
nel quale parole tradizionali come giglio e rosa estendono a tal punto il
proprio significato da indicare, rispettivamente, la frusta che colpisce la
donna e l’escoriazione prodotta sul suo corpo:

E mentre in lei, da man nocente, e ria


tempesta di percosse aspra piovea,
quanti gigli su gli omeri abbattea
quella tempesta, tante rose apria10.

La rosa, in virtù delle sue qualità cromatiche, diviene metafora dell’e-


scoriazione anche in un sonetto di Giovan Leone Sempronio dedicato a
una Bella donna, che dando una guanciata ad un suo figlio, fu da lui nelle
mammelle graffiata. L’immagine inedita del seno che sanguina dà la pos-
sibilità al poeta di accostare le classiche metafore associate al seno (neve,

7
Come osserva lo stesso Serianni, un significativo precorrimento si ha invece in Tan-
sillo, mentre due riscontri successivi sono nei fratelli Lorenzo e Pietro Casaburi Urries.
Si possono aggiungere, inoltre, due passi di Paolo Abriani: «Miro in un Mar di latte elet-
tri fini, / onde d’oro, zaffiri, perle, e rubini», Effetti di vagheggiata bellezza, vv. 6-7; «Quel-
le in un latteo Mar, mercè d’Amore, / trovano in Occidente onde più care», Per la bella
dama che si pose nel seno il precedente sonetto, vv. 7-8, in P. ABRIANI, Poesie, Venezia,
Zatta, 1664, pp. 15 e 17.
8
Sul tema si veda C. MARAZZINI, Il linguaggio poetico barocco, in ID., Il secondo Cin-
quecento e il Seicento, Bologna, il Mulino, 1993, pp. 134-40, a p. 138.
9
La metafora degli scogli si ritrova, ad esempio, in Claudio Achillini, Donna scapiglia-
ta e bionda («vivi scogli de le due mammelle», cfr. MARAZZINI, op. cit., p. 138) e in due com-
ponimenti di Paolo Abriani, Amante abbandonato, vv. 11-12: «rompesti al fine / fra duo
scogli di latte incauto errante» (Poesie cit., p. 46); Amante d’Elena, vv. 13-14: «Fa che alla
stanca mia Nave agitata, / fra’ scogli del tuo sen, dia Morte il porto» (Ibidem, pp. 10-11).
10
M. GIOVANNETTI, Poesie, Roma, Corbelletti, 1626, Bella Cortegiana frustata, vv.
5-8, p. 7.
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alabastro, latte) a elementi che in genere identificano altre parti del corpo
femminile, come la rosa e il rubino:

Rosseggiaron così d’alquante stille


le nevi di quel petto alabastrino;
su ’l latte fiammeggiò più d’un rubino
più d’una Rosa entro il bel sen fiorille11.

In altri casi, più che un arricchimento di nuovi significati la metafora


barocca costituisce un palese rovesciamento di un’immagine classica, che
muove anche in questo caso da una puntuale ripresa degli stilemi tradi-
zionali, i quali funzionano quasi da segnale esplicito dell’infrazione del
canone. Ciò avviene in particolare in quei componimenti in cui si celebra
la donna brutta o malata, oppure la schiava, la sarta, la lavandaia, ecc. Ad
esempio, in un sonetto di Paolo Abriani la consumata metafora per cui
l’occhio è un sole si rovescia nella celebrazione della donna cieca, il cui
occhio è un tramontato Sol che ancora fa ardere l’anima del poeta:

prova in virtù d’Amor l’anima mia


da un tramontato Sol perpetuo ardore12.

Ancora in Abriani, un tumido colle pien di niveo candor non è, come in


Petrarca e nei petrarchisti, il seno ma la gobba della donna di cui è inna-
morato il poeta:

Dell’amata mia Lisa il dorso preme,


pien di niveo candor, tumido colle13.

Lo stesso topos della neve bianca, in genere riferito alla cute della don-
na, è rovesciato nella celebrazione della donna anziana sia in Bernardo
Morando sia in Ciro di Pers:

Dannoso cambio – o Bella: ahi quelle brine


havrai tosto nel crin, c’hor hai nel seno,
e le crespe nel sen, c’hor hai nel crine14.

11
G. L. SEMPRONIO, La selva poetica, Bologna, Ferroni, 1633, vv. 5-8, p. 97.
12
ABRIANI, op. cit., Innamorato di bella cieca, vv. 13-14, p. 24.
13
Ibidem, Amante di bella gobba, vv. 1-2, p. 27.
14
B. MORANDO, Fantasie, Piacenza, Bazachi, 1662, Bellezza fugace, vv. 9-11, p. 8.
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LA METAFORA NELLA POESIA BAROCCA

La guancia impallidisce, e fan passaggio


le bianche nevi tue dal seno al crine15.

Il dialogo con la tradizione si attua anche nella rivisitazione di classi-


che coppie antifrastiche, come ad esempio, in un altro sonetto di Moran-
do, neve / foco: la metafora trae nuova linfa vitale dal riferimento all’arma
da fuoco, perché la bellissima cacciatrice armata di Archibugio «godea [...]
vibrar con man di neve armi di foco»16.
Alcuni degli esempi osservati mostrano come l’occasione per rinnova-
re le metafore della tradizione venga spesso ai poeti barocchi dall’apertu-
ra a situazioni e oggetti del tutto nuovi. Com’è noto, nei marinisti l’am-
pliamento del repertorio tematico si traduce sul piano linguistico in due
atteggiamenti distinti, spesso compresenti in uno stesso poeta17: da un la-
to, si introducono nel tessuto poetico tradizionale voci attinte a settori
terminologici nuovi, per cui, ad esempio, nell’Adone di Marino compaio-
no tecnicismi dell’anatomia (muscoli obliqui, ventricolo), della geometria
(diametro, epiciclo), della musica (croma, intervallo), della scherma (cro-
vetta, ronzone)18; dall’altro si assiste a una spiccata tendenza all’evitamen-
to del realismo attraverso perifrasi nobilitanti. Questa seconda strada è
quella di maggior interesse per quel che riguarda la produzione di meta-
fore. Infatti, la perifrasi funzionale a evitare il realismo diviene il luogo
privilegiato per la formazione di nuove metafore: gli occhiali diventano
sferici cristalli in Bernardo Morando e nevi addensate in Giuseppe Artale,
la rana è la figlia del fango e de l’estiva pioggia in Antonio Galeani, il me-
lograno è il piropo de’ campi in Girolamo Fontanella19.
Uno strumento utile a misurare la ricchezza di metafore contenute nel-
le perifrasi presenti nella poesia barocca è un singolare repertorio dell’e-

15
CIRO DI PERS, Poesie, Venezia, Miloco, 1677, Lidia invecchiata vuol parer giovine,
vv. 3-4, p. 25.
16
MORANDO, op. cit., v. 4, p. 29.
17
Come osserva Coletti, «la lingua della poesia barocca procede ora censurando le
novità in ingegnose perifrasi, ora liberalizzando i nomi nuovi che vengono a fornire l’i-
taliano letterario di ulteriori risorse»: V. COLETTI, La lingua barocca, in ID., Storia dell’i-
taliano letterario, Torino, Einaudi, 1993, pp. 183-88, a p. 187.
18
Si vedano C. COLOMBO, Cultura e tradizione nell’Adone di G.B. Marino, Padova,
Antenore, 1967 e I. BALDELLI, Elementi lontani dalla tradizione nel lessico dell’«Adone»,
in ID., Conti, glosse, riscritture, Napoli, Morano, 1988, pp. 225-35.
19
Per questi e altri esempi di perifrasi nobilitanti nei poeti barocchi cfr. SERIANNI,
Intorno a Paolo Zazzaroni, op. cit., pp. 633-35.
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EMILIANO PICCHIORRI

poca, Il Giardino degli epiteti, traslati ed aggiunti poetici italiani di Gio-


vanni Battista Spada (Bologna, erede Benacci, 1648). L’opera raccoglie in
ordine alfabetico svariate centinaia di sostantivi usati in poesia dalle Ori-
gini al Seicento – ma con una notevole preponderanza di autori contem-
poranei 20 – con il fine di documentare, in primo luogo, per ognuna delle
forme, un’ampia serie di aggettivi che sono stati accostati al sostantivo,
ma fornendo in molti casi esempi delle perifrasi che sono state usate dai
poeti per sostituire quel sostantivo. Se leggiamo, a titolo d’esempio, alcu-
ne voci che indicano oggetti o animali estranei al dominio della lingua
poetica tradizionale, possiamo ben osservare il pullulare di perifrasi che
ricorrono a metafore: alla voce archibuso si trovano acciaio tonante (Fran-
cesco Bracciolini), folgore humano (Scipione della Cella), fulmine terreno
(Marino), ecc.; alla voce cocodrillo, angue del Nilo (Fulvio Testi), del Nil
mostro inhumano (Vincenzo Imperiali), serpe infido del Nilo (Scipione
della Cella), ecc.; alla voce delfino, augel dell’onde (Antonio Bruni), de-
striero del mar (Francesco Balducci); alla voce pettine, aratro d’avorio (Pa-
olo Richiedei), avorio dentato (Antonio Bruni), dente eburneo (Marino);
alla voce scaldaletto, foco prigionier che scalda le piume (Carlo della Len-
gueglia). In tutti i casi, come si vede, le metafore tendono a ricondurre
oggetti prosaici o di recente invenzione agli elementi naturali (il fuoco, il
fulmine) e ai materiali che li costituiscono (l’acciaio, l’avorio), oppure ac-
costano gli animali inconsueti a quelli più noti (augello, destriero, serpe),
mantenendo sempre una netta preferenza per il lessico della tradizione
(angue, augello, destriero, eburneo). La lettura del repertorio dello Spada
mostra come le perifrasi non riguardino esclusivamente nozioni quotidia-
ne ma siano largamente adottate anche per sostituire voci che apparten-
gono a pieno titolo alla lingua poetica tradizionale, in una continua ricer-
ca della sorpresa o della variazione sul tema: il sole è biondo auriga e con-
dottiero del giorno in Marino, pastor de le sfere e uccisor de l’ombre in Im-
periali; il mare è molle argento e liquido ciel in Marino, strada spumante
in Antonio Fedeli e vetro ondoso in Testi; la bocca della donna è chiostro
di perle in Imperiali, erario d’amore in Antonio Bruni, uscio rosato in Sci-
pione Errico, rosa animata in Fontanella; il crine è prigione d’oro, scherzo
del vento e selva d’Amore in Antonio Bruni.

20
Serianni ha osservato che nel repertorio di Spada «l’energica potatura degli antichi
è evidente». Cfr. L. SERIANNI, La lingua del Seicento: espansione del modello unitario, re-
sistenze ed esperimenti centrifughi, in Storia della letteratura italiana, diretta da Enrico
Malato, Roma, Salerno editrice, 1997, vol. V, pp. 561-95, a p. 587.
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LA METAFORA NELLA POESIA BAROCCA

Se gran parte delle immagini barocche costituisce un ampliamento o


un rovesciamento di quelle classiche, non mancano metafore basate sull’u-
so di un lessico estraneo alla tradizione, come quello scientifico. Anche
in questo caso si assiste a una forte convergenza retorica e stilistica tra au-
tori diversi, soprattutto quando l’origine della metafora risale a Marino o
è particolarmente sfruttata dal poeta napoletano. Notevole fortuna, ad
esempio, ha l’immagine botanica dell’innesto21, che, pur conoscendo al-
cuni precedenti (ad esempio in Lorenzo de’ Medici, Niccolò da Correg-
gio, Tasso), trova larghissimo uso in Marino sia in senso concreto, a indi-
care l’unione fisica degli amanti, sia in senso astratto, a indicare la fusione
tra due entità non materiali:

Il pregio ispano e la virtù francese,


con innesto d’amor s’uniro in lui22.

in segno che de l’alme il caro innesto


scior non si può, sciolgansi pur le vite23.

Lassa, perché mi vieta avaro fato,


fato avaro e crudele ad ambo noi,
del mio divino spirto beato
poter parte innestar ne’ membri tuoi24

Esser vorrai tu forse


innesto mostruoso
de l’Abisso o del Ciel? nutrir nel core
angelico furore? esser nel mondo
angeletta infernal, furia celeste?25

La frequenza di questa metafora in Marino ne assicura il successo pres-


so gli epigoni, che si esercitano in numerose variazioni sul tema. Spesso
l’immagine si trova in contesti metaforici che riguardano ancora l’àmbito
botanico, come in un sonetto di Pier Francesco Paoli in cui la donna che

21
Sulla presenza del lessico botanico in Marino si veda M. GUGLIELMINETTI, Il codice
botanico dell’Adone, in «Sigma», a. 2/3, 1980, pp. 97-107.
22
G. B. MARINO, La Galeria, a cura di M. Pieri, Padova, Liviana, I.1, 54, vv. 5-6.
23
G. B. MARINO, Adone, a cura di E. Russo, Milano, Rizzoli, 2013, XII, 76, vv. 1-4.
24
Ibidem, XVII, 48, vv. 1-4.
25
G. B. MARINO, La sampogna, a cura di V. De Maldé, Parma, Guanda, 1993, Idillio
11, vv. 210-14.
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EMILIANO PICCHIORRI

concede un bacio solo per dispetto è una giardiniera che innesta la morte
sopra un bacio vitale, e il terreno dell’innesto è rappresentato dal cuore
del poeta:

Giardiniera d’amore empia è ben questa,


che del mio cor nel povero terreno
sovra un bacio vital la morte innesta26.

In Paolo Abriani l’immagine si trova, come in Marino, sia per indicare


il rapporto fisico tra gli amanti («hor ti prepara / lieto sposo a goder l’in-
nesto vago»)27, sia per referenti immateriali («stringer quel seno, ove il tuo
spirto innesti»)28, ma è usata anche per l’ennesimo tentativo di rinnova-
mento di figuranti classici come la rosa e il giglio, che in questo caso indi-
cano il colorito dell’amata in via di guarigione dalla febbre:

Del volto tuo nel serenato Cielo


brillano ancor le stelle, e in te s’innesta
la Rosa al Giglio homai sul proprio stelo29.

Gennaro Grosso adotta l’immagine dell’innesto anche al di fuori del


contesto amoroso. Scrivendo un sonetto per la morte prematura del figlio
Bernardo, Grosso usa la metafora per indicare che il fanciullo, in Paradi-
so, resterà unito a Cristo per l’eternità, descrivendolo come una pianta
innestata perpetuamente nel legno della croce:

Pianta gentil, che con perpetuo innesto


al tronco della croce unito sorge
e gli angeletti a ritrovar va presto30

Oltre che nell’impiego di concetti e lessico di àmbito scientifico, i po-


eti barocchi mostrano una più netta frattura con il repertorio metaforico
tradizionale nell’uso della cosiddetta “metafora del genitivo”31, che con-

26
P. F. PAOLI, Il bacio dato per dispetto, vv. 12-14, in Lirici marinisti, a cura di B. Cro-
ce, Bari, Laterza, 1910, p. 64.
27
ABRIANI, op. cit., Anagramma, vv. 12-13, p. 77.
28
Ibidem, Amante d’Elena tradito, v. 15, p. 49.
29
Ibidem, A Lilla risanata dalla febre, vv. 9-11, p. 40.
30
G. GROSSO, in Marino e i marinisti. Opere scelte, a cura di G. Getto, Torino, Utet,
1949, VI, vv. 9-11.
31
Sulla metafora del genitivo cfr. BROOKE-ROSE, op. cit. e, per l’uso nella lirica baroc-
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siste nell’unione di due sostantivi attraverso la preposizione di, come se


uno fosse la specificazione dell’altro; è un tipo di metafora che si avvicina
molto all’analogia e che, non a caso, ha conosciuto grande fortuna nella
poesia del Novecento. L’originalità di questa figura sta proprio nella for-
zatura dei valori che in genere sono espressi attraverso la preposizione di,
che viene ad assumere un valore spesso indeterminato, di puro collega-
mento tra i due sostantivi.
Una tipologia di metafora del genitivo molto comune tra i poeti baroc-
chi è quella per cui si stabilisce una relazione di identità tra i due sostan-
tivi, secondo un procedimento già molto comune nei secoli precedenti:
ad esempio, in un celebre verso dantesco, il lago del cor stabilisce l’iden-
tità tra il cuore e il lago32. Tra i poeti barocchi, Scipione Errico parla ad
esempio di vetri di ruscel, instaurando un rapporto di analogia tra i due
sostantivi (il ruscello è come uno specchio):

dove Pomona il pampinoso crine


tra vetri di ruscel specchia e vagheggia33

Così, in un verso di Paoli sopra citato l’espressione terreno del cor sta-
biliva l’analogia tra cuore e terreno: la preposizione di conserva ancora
un debole valore di specificazione, ma assume per lo più funzione di col-
legamento tra i due sostantivi. Questa tipologia di metafora produce ac-
costamenti interessanti nei poeti barocchi soprattutto quando vengono
messi in relazione un sostantivo concreto e uno astratto: ad esempio, un
sonetto di Paolo Abriani descrive l’effetto che la voce di un cantante ha
sugli ascoltatori con la metafora carcer di stupor, dove lo stupore è come
un carcere perché trattiene, imprigiona gli spettatori. L’immagine fa par-
te di una metafora continuata, tutta fondata sul tema delle catene:

Di tua voce canora i rari accenti,


sono, Antonio, de’ cori auree catene
che annodate, o disciolte, in guise amene
in carcer di stupor chiudon le genti34.

ca, BESOMI, op. cit., p. 70 e G. CONTE, La metafora barocca: saggio sulle poetiche del Sei-
cento, Milano, Mursia, 1972.
32
F. MUZZIOLI, Le strategie del testo: introduzione all’analisi retorica della letteratura,
Roma, Meltemi, 2004, p. 55.
33
S. ERRICO, La via lattea, vv. 11-12, in Lirici marinisti, op. cit., p. 140.
34
ABRIANI, op. cit., Al signor Antonio Cavagna, vv. 1-4, p. 179.
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Esiste però anche un secondo tipo di metafora del genitivo, che può
essere spiegata ricorrendo al modello proporzionale dell’analogia, in cui
A sta a B come C sta a D: in questa metafora gli elementi esplicitati non
sono C e A, come negli esempi osservati sopra, ma C e B, secondo lo sche-
ma “C di B”35. Ad esempio, in Giacomo Lubrano gli amanti delusi sono
chiamati talpe di Ragion36. La metafora può essere sciolta secondo questo
schema: gli amanti (A) stanno alla ragione (B) come le talpe (C) stanno
alla vista (D). Qui la preposizione di arriva ad assumere una sorta di va-
lore limitativo, perché potrebbe valere ‘in quanto a’, ‘riguardo a’, ma an-
che in questo caso svolge più che altro una funzione di collegamento tra
i due campi semantici che compongono la metafora. Questo valore va di-
stinto da quello del semplice complemento di specificazione, che pure è
molto frequente nella costruzione di metafore tra i poeti barocchi e che
si può esemplificare con un un idillio di Marcello Macedonio nel quale il
meccanismo è sfruttato in modo intensivo: l’aria è sospir di natura, fiato
del mondo, linguaggio d’aprile e l’acqua è sangue dei terreni, nettare de le
selci, ritratto del cielo e così via37.
La metafora del genitivo con valore limitativo era già presente in Ma-
rino, che ad esempio chiamava la primavera fenice de’ fiori38, ma è Giaco-
mo Lubrano il poeta che adotta il procedimento più di frequente e con i
risultati più originali, associandolo spesso a un’altra figura molto diffusa
nella lirica barocca, quella dell’antonomasia39. Ad esempio, il missionario
spagnolo Francesco Saverio è chiamato Argo di lingue:

A gli occhi stupefatti un sol risponde,


molti, se credi a quel che ascolti e pensi,
che un cenacol di Apostoli nasconde,
Argo di lingue, e Briareo di sensi40.

35
MUZZIOLI, op. cit., pp. 55-56.
36
G. LUBRANO, Scintille poetiche, a cura di M. Pieri, Ravenna, Longo, 1982, Sonetti,
XXXIV, v. 5.
37
M. MACEDONIO, Disfida dell’Acque, e dell’Aure, in Le nove Muse, Napoli, Pietro
Macedonio, 1614, pp. 127-29.
38
MARINO, La Sampogna cit., Idillio 4, 138.
39
Sull’antonomasia nella poesia barocca cfr. B. MIGLIORINI, Dal nome proprio al no-
me comune, Firenze, Olschki, 1927, p. 139 e ID., Storia della lingua italiana, Milano,
Bompiani, 200210, p. 403.
40
LUBRANO, Scintille poetiche, Sonetti cit., LXXXIX, vv. 5-8.
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Saverio sta alle lingue come Argo agli occhi, è cioè un Argo per quan-
to riguarda le lingue; la metafora si presenta in coppia con Briareo di sen-
si, formata nello stesso modo, questa volta con la figura di Briareo, gigan-
te dalle cento braccia. Così, in un altro sonetto di Lubrano, Napoli è elo-
giata come Sparta di Fede. Ancora una volta il procedimento compare
associato a un’antonomasia e può essere sciolto secondo lo schema “C di
B”: Napoli (A) sta alla fede (B) come Sparta (C) sta all’austerità (D). Inol-
tre, come nel caso precedente, la metafora si presenta in coppia con un’al-
tra dello stesso tipo (Teatro di Pietà) e le due espressioni occupano l’inte-
ra misura del verso:

Partenope a’ miei detti


alza la fronte e godi
se non ti appello imperiosa sede
di superbi diletti,
ma con empiree lodi
Teatro di Pietà, Sparta di Fede41.

Tra le metafore del genitivo con valore limitativo conosce larga diffu-
sione quella nella quale il secondo dei due sostantivi è amore. Il tipo “x
d’amore” compare spesso in Marino, ad esempio nel celebre madrigale
basato sul parallelo tra il poeta e il baco da seta, intitolato Bombice d’a-
more: come il baco fabbrica da sé il bozzolo, così il poeta costruisce da
solo la propria prigione soffrendo per amore. Altrove, Marino chiama la
gelosia tarlo e lima d’Amor e la donna nova turca d’Amor42 (perché minac-
cia l’uomo con la sua bellezza come l’invasore turco minaccia l’Occiden-
te) e adotta questo tipo di metafora anche al di fuori del tema amoroso,
quando definisce San Francesco fenice d’amor:

O fenice d’amor, ch’al sol eterno


dirizzando i lumi, e dibattendo l’ali,
susciti nell’essequie i tuoi natali
sol per virtù del vivo foco interno43.

41
Ibidem, Odi, XIV, 3, 1-6.
42
G. B. MARINO, La lira. Rime amorose, a cura di O. Besomi e A. Martini, Modena,
Panini, 1987, 79, v.1; 23, v. 6.
43
MARINO, La lira, a cura di M. Slawinski, Torino, Res, 2007, III 71, A San Francesco,
vv. 1-4.
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Il tipo “x d’amore” ha particolare successo tra i marinisti perché per-


mette di collegare agevolmente al campo semantico dell’amore i sostan-
tivi più disparati. Spesso si tratta di un animale: sul modello del bombice
d’amore mariniano, in Bernardo Morando troviamo verme d’amore, men-
tre la pulce è in Giuseppe Artale atomo d’amore44; nello stesso Artale la
donna è tigre d’Amor45, mentre in Biagio Cusano e in Sempronio si ritro-
va la fenice d’amore, ma stavolta in riferimento alla donna amata46. Fre-
quente è anche la combinazione con una figura mitologica: in Marino e
poi in Fontanella la ricamatrice è Aracne d’amor, in Morando la cacciatri-
ce è Amazone d’Amor, in Errico il poeta è Anteo d’amor, in Giuseppe Sa-
lomoni la donna è gigantessa d’Amor, mentre Cusano complica l’immagi-
ne rivolgendosi a tre donne come a un separato Gerion d’amore, essendo
Gerione un gigante con tre teste47. Ma i possibili abbinamenti sono innu-
merevoli: il già citato erario d’amore col quale Bruni indicava il bacio com-
pare anche in Morando, per il quale i baci sono «De l’Erario d’Amore
arche gemmanti»48; una danza è definita orologio d’amor da Errico49; la
donna che gioca a dadi è per Sempronio «dolce d’Amor bella guerriera»50.
Sfogliando il repertorio dello Spada si trovano altre metafore costruite
secondo questo schema: la capigliatura è un vago carcer d’amor per Otta-
vio Tronsarelli, la bocca della donna è un uscio d’amore per Scipione Er-
rico, la ferita nel costato di Cristo in croce è una finestra d’amore per Bo-
naventura Morone. Il procedimento risulta spesso banalizzato: il cielo
d’amor si trova in Macedonio, in Ciro di Pers e in Abriani51, le stelle d’a-

44
Cfr. MORANDO, op. cit., Scherza sopra un cognome, v. 6, p. 57; S. ERRICO, Sonetti e
madrigali e altre rime dalle raccolte giovanili, a cura di L. Mirone, Torino, Res, 1993, II,
6; G. ARTALE, La pulce, v. 11, in Lirici marinisti cit., p. 452.
45
G. ARTALE, Dell’enciclopedia poetica, parte 2, Napoli, Bulifon, 1679, p. 139, Tigre
d’Amor crudele, v. 1.
46
Cfr. risp. B. CUSANO, All’amante, che si è raso, v. 13, in Lirici marinisti cit., p. 158
e SEMPRONIO, op. cit., p. 67, v. 3.
47
Cfr. risp. G. B. MARINO, La lira cit., II 11, v. 3; FONTANELLA, La bella ricamatrice, v.
1, in Opere scelte di G.B. Marino e dei marinisti, a cura di G. Getto, Torino, Utet, 1962,
II p. 365; MORANDO, op. cit., Bellissima cacciatrice armata di archibugio, v. 2, p. 29; SALO-
MONI, Antea, v. 8, in Lirici marinisti cit., p. 271; CUSANO, Tre belle, v. 2, in Opere scelte
cit., p. 334.
48
MORANDO, op. cit., Il Bacio appaga, v. 6, p. 32.
49
Lirici marinisti cit., p. 145, v. 20.
50
Ibidem, p. 98, v. 6.
51
MACEDONIO, Alla damigella della sua donna, v. 10; CIRO DI PERS, Le chiome nere, v.
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more, metafora per gli occhi della donna, compaiono dapprima in Mari-
no, poi in Sempronio, Errico e Morando52.
Anche questo tipo di metafora, riprodotta in serie, perde rapidamente
la sua originalità: lo stesso Tommaso Stigliani aveva evidentemente colto
l’abuso del tipo “x d’amore” da parte dei poeti barocchi, perché lo ripro-
duce in uno dei suoi componimenti parodici, nel quale le pupille della
donna sono chiamate corvi d’amore53. Del resto, la sorte di questo parti-
colare tipo di metafora del genitivo può confermare due caratteristiche
ben note della poesia barocca: la forte convergenza retorica e stilistica tra
autori diversi e la spiccata tendenza a trasformare in maniera anche gli
istituti stilistici potenzialmente più originali.

10 (entrambi in Lirici marinisti cit., pp. 21 e 363); ABRIANI, op. cit., Amante di bella gob-
ba, v. 12, p. 28.
52
Cfr. risp. MARINO, La lira cit., Rime boscherecce, 50, v. 2; SEMPRONIO, I capelli pen-
denti sugli occhi, v. 6 in Lirici marinisti cit., p. 96; ERRICO, Sonetti e madrigali, op. cit., IV,
11; MORANDO, op. cit., Recidiva d’Amore, v. 50, p. 74.
53
BESOMI, op. cit., p. 81.
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