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ISSN 2039-6680
RINASCIMENTO MERIDIONALE
MERIDIONALE
Rivista annuale dell’Istituto Nazionale
di Studi sul Rinascimento Meridionale
direttore
MARCO SANTORO
VII
2016
VII · 2016
PAOLOLOFFREDO
€ 45,00 INIZIATIVE EDITORIALI
RINASCIMENTO
MERIDIONALE
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Renata d’Agostino
segreteria@rinascimentomeridionale.it
tel./fax 081206623
VII · 2016
PAOLOLOFFREDO
INIZIATIVE EDITORIALI
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CONTRIBUTI
SEGNALAZIONI
«Rinascimento meridionale»
referaggio 2014/2015
Alfonso Ricca
non coincide con quella del Petrucci. Affermare che l’oggetto della nostra
attenzione catalografica è «colui che scrive di propria mano uno o più li-
bri manoscritti contenenti testi altrui» equivarrebbe a escludere i trascrit-
tori di testi propri o occasionali estensori di brani e citazioni e perdere di
vista un vasto campo di figure che non possono sottostare a distinzioni fra
profilo professionale laico o ecclesiastico, fra scrittura in latino e in volga-
re, fra oggetti librai nati in loco, ma destinati a sedi esterne e libri confe-
zionati fuori su committenza felsinea, operatori nativi ma non sempre at-
tivi in città e operatori forestieri, ma a lungo presenti nel milieu cittadino.
La scelta non selettiva e la decisione cumulativa dei diversi profili dei co-
pisti sembrerebbero irrinunciabili data anche la scansione cronologica
prescelta.
Nel XIV e nel XV secolo si apre a Bologna una situazione nuova assai
complessa di crisi e di riassetto generale dell’orientamento culturale. In
questa fase di transizione nascono le figure del «copista per sé» e del pro-
fessionista impegnato sul fronte nuovo del volgare. Sorgono inoltre due
nuove evenienze: da un lato la necessità di cogliere la nuova collocazione
socio-culturale solo parzialmente universitaria dei copisti professionisti
del basso medioevo, facendola emergere da un intreccio di spinte alla
scrittura (e alla lettura); dall’altro l’opportunità di valutare il progressivo
ruolo intermediario culturale e testuale che colloca il copista al punto di
fuga di una nuova prospettiva sul concetto di tradizione dei testi.
Nel catalogo vi è una messa di osservazioni e di prospettive di indagi-
ne che possono aprirsi: intanto sulla modalità e frequenza della trascri-
zione «per sé» praticata da docenti universitari e professionisti vari, come
ad esempio i notai, peraltro ben rappresentati anche nel settore dei com-
mittenti, con annessi interrogativi su quanto pesasse nella formazione
delle loro biblioteche questa pratica rispetto a eventuali committenze
affidate a terzi. Di largo interesse anche la forma di ospitalità offerta dal
committente al copista assoldato: una specie di scriba a domicilio, che
chiama in causa fattori di analisi in via di osservazione sempre più attenta
da parte di codicologi e paleografi, quali i tempi e le tariffe relative. Al-
trettanto notevole l’affacciarsi decisivo della duplice professione di copi-
sta e di miniatore che conferma l’appartenenza del libro a una civiltà
dell’immagine. Infine andranno prese nella dovuta considerazione docu-
mentale le scelte testuali dei committenti e dei copisti per sé. Uno degli
elementi di conoscenza più significativi che si evidenzia è la conferma di
Bologna come crocevia culturale europeo. Il mercato si allarga nel Quat-
trocento ma cambia la sua natura. Il libro va ad assumere sempre più il
carattere di un prodotto che ha un suo mercato, quindi un prezzo, e, ol-
Segnalazioni 205
Alfonso Ricca
Guido Laurenti
Segnalazioni 209
Tra gli elementi caratteristici delle descrizioni delle località citate nell’Ita-
lia illustrata di Biondo Flavio se ne rinviene uno che ha una particolare ri-
levanza informativa, perché gli intellettuali e i letterati operanti nella Peni-
sola vengono connessi alle loro città di origine e non solo ai luoghi dove
svolsero le loro attività, non sempre coincidenti, infatti, con le loro patrie
natie. Biondo fornisce così una mappatura dei letterati, nati in Italia e non,
accanto a giuristi, medici, filosofi, artisti, condottieri, principi e religiosi.
Sembra perciò singolare che, nell’illustrare i numerosi centri della Dau-
nia, Biondo Flavio non accenni a coloro che avrebbero reso celebre un
territorio assai importante per la storia del Mezzogiorno, in quanto teatro
di eventi che vantavano una vastissima eco ben oltre i confini del Regno di
Napoli. Probabilmente l’umanista forlivese non dispose di informazioni
complete e aggiornate né per la Daunia, né per le estreme regioni meri-
dionali, perché proprio alla Daunia egli interruppe la sua opera, lasciando-
la incompiuta. Questa spiegazione, tuttavia, pur motivata dalla mancata
collaborazione degli umanisti napoletani, che non inviarono il materiale
loro richiesto per l’opera, non è né la sola, né la più attendibile. Dopo ol-
tre un secolo, questa lacuna non appariva colmata, tuttavia persisteva. Le-
andro Alberti nel 1525 ebbe modo, infatti, di soggiornare in Capitanata.
Elaborò di lì a poco un’accurata descrizione delle regioni italiane e, secon-
do lo schema del Biondo Flavio, registrò le personalità dei luoghi e in
particolar modo, essendo lui un domenicano, quelle dei religiosi. Tuttavia,
se ci imbattiamo nei nomi dei prelati, che occupavano in quegli anni le
sedi vescovili della Daunia, non ne troviamo altri oltre quelli dei prestigio-
si rappresentanti dell’autorità ecclesiastica. Pietro Ranzano sul finire del
’400 aveva composto in latino un lavoro di sintesi dedicato ai saperi dell’e-
poca, in cui si ricorre alla descrizione dell’Italia adottata poi dall’Alberti.
Neanche Ranzano, che occupò fino alla morte la sede episcopale di Luce-
ra, menziona personaggi nati in quella terra degni di nota e di memoria,
piuttosto si lamentava di una popolazione incolta e incline alla perfidia e
all’inganno. Il giudizio decisamente negativo sulla civiltà letteraria di Capi-
tanata – esteso all’intera Puglia con eccezione del Salento – è stato rivisita-
to e ribaltato dall’erudizione sette-ottocentesca. Ciononostante, un’antolo-
gia che raccoglie gli autori più rappresentativi del Rinascimento pugliese,
apparsa nel 1994, non include alcun letterato nativo della Daunia, il che
dimostra come si sia ancora in una fase iniziale di studi in tale direzione.
In un sondaggio esplorativo condotto nei passati decenni sui letterati
210 Segnalazioni
Alfonso Ricca
Donato Verardi
212 Segnalazioni
Alfonso Ricca
re l’esame dei tratti linguistici dei due più antichi incunabuli del Novellino
per tentare di chiarire l’identità del responsabile della revisione linguisti-
ca che vi emerge: gli indizi raccolti non corroborerebbero l’ipotesi che
tale figura possa coincidere con Del Tuppo, per il disaccordo tra i tratti
fonomorfologici della revisione (che mira a eliminarvi le forme percepite
come troppo locali), e le peculiarità delle scritture deltuppiane; qualche
indizio invece dirige verso Cinico, come la presenza di perfetti in -oe, intro-
dotti nella revisione come acronica marca toscaneggiante, che coincidono
con un tipico tic attestato in opere di cui il Cinico fu autore, come Il libro
de Moamyn.
Si giunge dunque al centro dell’inchiesta condotta nel libro: la fortuna
del Novellino all’estero e, segnatamente, in Spagna. In Italia la raccolta
masucciana, raggiunto il ragguardevole traguardo di dodici edizioni in
poco meno di settanta anni, sembra poi eclissarsi, dopo l’inserimento
nell’Index librorum prohibitorum del 1557-59, ad eccezione unicamente della
tarda edizione della ‘Gatta’ (1565 o 1600) e dell’inserimento di novelle
masucciane nel florilegio novellistico allestito da Francesco Sansovino nel
1561. Proprio negli anni del tramonto italiano (in parte solo apparente,
come si è visto), essa conosce invece all’estero un’insospettata vitalità. Se
per l’Inghilterra si dispone di una traduzione (di una novella da parte di
Henry Parker, nel 1545), in Francia, dove pure un catalogo secentesco
segnalava una traduzione, dall’esistenza molto dubbia, di Jean Quinerit,
sicure tracce masucciane si ritrovano ne Les Comptes du Monde Adventureux,
nelle Cent Nouvelles Nouvelles di La Sale e nell’omonima raccolta di Philip-
pe de Vigneulles, e ancora, per limitarsi agli esempi più significativi, in un
episodio del Pantagruel rabelaisiano, influenzato dalla nov. XLI, nonché
nell’Heptameron di Margherita di Navarra, sulla conoscenza masucciana
della quale si suppone che abbia avuto un ruolo la biblioteca di Boffilo del
Giudice, destinatario dell’ultima novella di Masuccio, che fu esule per 40
anni in Francia e in contatto con l’ambiente di Navarra.
Alla presenza di Masuccio in Spagna è dedicato il quarto capitolo, che
occupa la metà di tutto il libro e ne costituisce l’onfalo tematico. Da una
parte, la studiosa distingue la sua ricezione diretta del testo, che pur in
assenza di una traduzione (realizzata invece per il Decameron e, parzial-
mente, per le novelle di Bandello e di Giraldi Cinzio), trova inoppugnabi-
li testimonianze materiali nella presenza di incunabuli del Novellino in an-
tiche biblioteche spagnole o nella triplice citazione dell’Index spagnolo,
che ne prova la diffusione; dall’altra, se ne individuano potenziali mezzi di
diffusione nella presenza in Spagna delle compagnie italiane di Comme-
dia dell’arte, che avevano precocemente adottato e adattato le novelle ma-
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Leonardo Terrusi
Dizionario degli editori, tipografi, librai itineranti tra Quattrocento e Seicento, coor-
dinato da Marco Santoro, a cura di Rosa Marisa Borraccini, Giuseppe Lipa-
ri, Carmela Reale, Marco Santoro, Giancarlo Volpato. Pisa-Roma, Fabrizio
Serra Editore, 2013, “Biblioteca di Paratesto”, voll. I-III, XXXII + 1244 + 32
p. (XXXII-376 + 8 vol. I; 377-840 + 16 vol. II; 841-1244 + 8 vol. III).
che «mercanzia d’utile». Il libro come merce e dunque soggetto alle regole
dell’economia e del commercio, controllate da uomini provenienti da pro-
fessioni altre rispetto quelle dell’intellettuale. Un tipo di indagine, questa,
molto più complessa sia per la molteplicità delle questioni che ne derivava-
no, sia per le difficoltà, più o meno rilevanti in quasi tutte le realtà italiane,
legate al reperimento delle fonti. Si trattava di mettere in luce quel vasto
reticolo economico, commerciale, gestionale, ma anche geoantropologi-
co, relativo al settore della produzione e della distribuzione, di tracciare
cioè le vicende delle variegate figure che giravano intorno al mondo del
libro che di volta in volta si incontravano o si scontravano, riflettendo
ognuno di questi aspetti, a volte anche in contrasto tra loro: tutti elementi
che fanno di questo tipo di ricerca un campo affascinante, per lo studioso
e per lo stesso lettore, ma anche difficile da ridurre in studi settoriali.
In quest’ottica opere, come il Dizionario, sono più che mai importanti
sia per gli storici del libro che per tutti i cultori dell’arte tipografica che,
da ora in poi, avranno a disposizione un utile strumento per individuare e
conoscere i tanti personaggi che, in vario modo, facevano parte del multi-
forme mondo dell’editoria in età moderna.
Il Dizionario è il risultato di una ricerca, estesa ed articolata, resa possi-
bile grazie ad un finanziamento PRIN, che ha coinvolto un ampio numero
di esperti. Il taglio dell’opera vuole sottolineare, in particolare, l’entità del
fenomeno dell’“itineranza” nella realtà tipografica italiana dall’avvento
della stampa a tutto il Seicento. Sono stati presi in considerazione sia sin-
gole personalità, sia famiglie di tipografi, editori o librai, sia società tipo-
grafico-editoriali (Marco Santoro, Introduzione, pp. XIV-XV); in tutto più
di 750 voci.
Si pone a questo punto il problema della definizione del termine “iti-
neranza”, anche perché un arco temporale così ampio, che va dalla nasci-
ta della stampa allo sviluppo e alla creazione di vere e proprie realtà tipo-
grafiche, tendenti a costituirsi come prime entità industriali, pone scenari
diversi, sia per le modalità che per le motivazioni degli spostamenti. Con-
scio delle «sue complesse e variegate connotazioni» (p. XXIII), Santoro ci
offre una definizione molto estesa: «sono stati reputati itineranti gli artieri
attivi in almeno due luoghi» (p. XXIV) e per le famiglie e le società tipo-
grafiche: «famiglie di artieri i cui componenti, trasferitisi dal luogo origi-
nario, siano risultati attivi in località diverse, sebbene singolarmente ab-
biano operato in un solo luogo» (p. XXIX).
Sappiamo che la caratteristica peculiare dei cosiddetti prototipografi
era appunto quella della itineranza, grazie alla quale l’arte della stampa si
era diffusa in tutta Europa con una rapidità incredibile. È parimenti noto
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quanto fossero importanti, per gli eredi delle case tipografiche, i viaggi in
altre città al di fuori della propria azienda. Gli spostamenti, non di rado,
vedevano i giovani delle famiglie di stampatori fare le prime esperienze
nel mondo del libro instaurando rapporti di collaborazione che si poteva-
no tradurre in edizioni stampate in società con aziende presenti in realtà
diverse e distanti dalla casa madre. Altrettanto nota è l’abitudine, di singo-
li personaggi o di famiglie, di aprire o di avviare attività librarie o editoria-
li andando a coprire degli spazi dove ancora non si erano sviluppati centri
tipografici, rafforzando, così, la propria posizione e traendo vantaggi dalla
mancanza di concorrenza che permetteva di garantire commesse favore-
voli, instaurare ulteriori legami, espandere la propria sfera di attività.
La ricerca, condotta su fonti prevalentemente bibliografiche accurata-
mente verificate ed integrate, ove necessario, con ricerche archivistiche,
per chiarire o arricchire informazioni sulla biografia dei vari personaggi
(p. XXVII), contribuisce a spostare l’attenzione su temi ed aspetti ancora
poco esplorati ed apre la strada all’approfondimento di studi in grado di
colmare vuoti storiografici ancora esistenti e di rispondere a tante questio-
ni e curiosità che la consultazione dello stesso Dizionario suggerisce. È pos-
sibile infatti delineare una geografia dei siti tipografici ben più articolata
di quanto si possa pensare, definire meglio il rapporto dei singoli operato-
ri del libro con il territorio e individuare le direttrici dei flussi migratori.
Oltre ai ben conosciuti centri di sviluppo del libro e dell’editoria si deli-
nea una irradiazione delle attività tipografiche, librarie o editoriali, in re-
altà urbane limitrofe rispetto al centro principale, creando nuove attività,
a volte anche sporadiche, che, se considerate nel loro insieme, non posso-
no essere ignorate dalla ricerca.
Erano le stesse personalità che si erano affermate nella capitale (qui mi
riferisco in particolare al Regno di Napoli), che si spostavano nei centri
urbani limitrofi perché ingaggiati per la stampa di qualche edizione o
anche per iniziare una nuova esperienza. In provincia, più che a Napoli,
infatti, avevano la possibilità di essere gli unici stampatori dell’intera zona
per ogni genere di pubblicazione, dagli atti amministrativi ai testi religiosi,
dalle opere letterarie alle allegazioni forensi, fino alla letteratura politica.
Tra gli anni sessanta e novanta del Cinquecento, ad esempio, erano
presenti a Vico Equense sei operatori del libro provenienti da Napoli. Tra
questi vi erano stampatori come Giovanni Giacomo Carlino e Antonio
Pace. Costoro, nella cittadina della costiera sorrentina, presumibilmente,
prelevarono la bottega e le attrezzature del Salviani (voce p. 233) e lavora-
rono sia singolarmente sia, come accadeva anche a Napoli, in società tra
loro. Giovanni Giacomo Carlino era anche a Tricarico e a Gesualdo, men-
Segnalazioni 223
tre troviamo Antonio Pace a Nola e a Bari. Nel secolo successivo Ottavio
Beltrano, cosentino, che aveva creato nella capitale del Regno una avviata
attività tipografica, era anche a Sorrento nel 1637 e a Cosenza nel 1619,
mentre, alla fine del secolo, Antonio Bulifon e Giacomo Raillard stampa-
rono a Pozzuoli, considerata una piazza ove era più facile passare attraver-
so le maglie della censura libraria arcivescovile.
Allontanandosi da Napoli si affievolisce la presenza degli stampatori ed
editori della capitale. Le vie di comunicazione o ancora i rapporti commer-
ciali portarono, in Calabria o in Puglia, ma anche in Abruzzo e in Basilica-
ta, uomini provenienti da esperienze completamente diverse. La Calabria
era collegata principalmente alla realtà siciliana. Se Enrico Bacco e Ottavio
Beltrano iniziarono la loro attività a Cosenza per poi trasferirsi a Napoli,
Francesco Rodella, Giovan Battista Russo, Basilio Lombardo e Matteo La
Rocca, giunsero nella cittadina calabrese provenendo dalla Sicilia. Quanto
alla Puglia, ancora una volta i dati che si desumono dal Dizionario confer-
mano la specificità delle zone dell’area pugliese-adriatica, particolarmente
vivace per i contatti culturali ed economico-commerciali, attraverso l’adria-
tico, con la Repubblica di Venezia. Qui, infatti, troviamo ben sette centri
nei quali furono avviate attività tipografiche. Una buona parte di queste
sono da collegarsi alla presenza in terra pugliese di Lorenzo Valeri. Costui,
di provenienza romana, affiancandosi al tipografo Micheli di origine bor-
gognona, costituì la propria fortuna sulla parcellizzazione della sua impre-
sa su tutto il territorio (Bari, Barletta, Brindisi, Foggia, Taranto) creando
un sistema che durò per quasi un secolo (voce pp. 1032-1037).
Spunti tutti estremamente interessanti che fanno luce su caratteristiche
della storia del libro in Italia meridionale ancor poco studiate, dal momen-
to che, generalmente, la storia dell’editoria nel Mezzogiorno è stata iden-
tificata con le vicende editoriali dei grandi tipografi nella capitale del Re-
gno. Non vi è dubbio che le edizioni della maggior parte di questi stampa-
tori itineranti non potevano e non volevano essere testi destinati a suscita-
re l’interesse della repubblica letteraria italiana e tanto meno europea,
tuttavia bisognerà cercare di capire, da una parte, come queste microim-
prese, spesso a carattere precario e discontinuo, si relazionavano con il
mondo editoriale napoletano e, se e quanto, abbiano potuto contribuire a
creare, nel secolo successivo, i presupposti per la formazione di quella rete
di letterati che caratterizzò la provincia forse solo casualmente negli stessi
centri in cui si era stabilita una qualche parvenza di attività tipografica.