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RINASCIMENTO

ISSN 2039-6680

RINASCIMENTO MERIDIONALE
MERIDIONALE
Rivista annuale dell’Istituto Nazionale
di Studi sul Rinascimento Meridionale

direttore
MARCO SANTORO

VII
2016

VII · 2016

PAOLOLOFFREDO
€ 45,00 INIZIATIVE EDITORIALI
RINASCIMENTO
MERIDIONALE

Rivista annuale dell’Istituto Nazionale


di Studi sul Rinascimento Meridionale

Direttore: Marco Santoro


Consiglio direttivo
Marco Santoro, Presidente dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento Meridionale
Renata D’Agostino, Università di Napoli “Federico II”
Cettina Lenza, Seconda Università di Napoli
Milena Montanile, Università di Salerno
Carmela Reale, Università della Calabria
Paola Zito, Seconda Università di Napoli

Consiglio scientifico estero:


Francesco Furlan, Centre Nationale de la Recherche Scientifique - Francia
Paul F. Grendler, University of Toronto - Canada
Albert N. Mancini, The Ohio State University - USA
Maria de las Nieves Muñiz Muñiz, Universidad de Barcelona - Spagna
Elissa Weaver, University of Chicago - USA
Diego Zancani, Oxford University - Gran Bretagna

Consiglio scientifico italiano:


Giancarlo Abbamonte, Università di Napoli “Federico II”
Concetta Bianca, Università di Firenze
Marcello Ciccuto, Università di Pisa
Domenico Defilippis, Università di Foggia
Roberto Delle Donne, Università di Napoli “Federico II”
Anna Giannetti, Seconda Università di Napoli
Antonio Iurilli, Università di Palermo
Giovanni Muto, Università di Napoli “Federico II”

Segreteria di redazione:
Renata d’Agostino
segreteria@rinascimentomeridionale.it
tel./fax 081206623

«Rinascimento meridionale» is a Perr-Reviewed Journal.


RINASCIMENTO
MERIDIONALE
Rivista annuale dell’Istituto Nazionale
di Studi sul Rinascimento Meridionale
Direttore: Marco Santoro

VII · 2016

PAOLOLOFFREDO
INIZIATIVE EDITORIALI
Autorizzazione Tribunale di Napoli n. 70 del 27/7/2010

«Rinascimento meridionale» is a Peer-Reviewed Journal

Volume VII  Anno 2016

ISSN 2038 - 6680 (edizione a stampa)


eISSN 2039 - 2230 (edizione digitale) disponibile su Torrossa.it

Periodicità annuale

Gli Articoli pubblicati in questo Periodico sono protetti dalla Legge sul Diritto d’Autore.
Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla traduzione, alla citazione, alla riproduzione in qual-
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© 2016 by Paolo Loffredo Iniziative editoriali srl


Tutti i diritti sono riservati
Prima edizione italiana luglio 2016
Stampato in Italia da Grafica Elettronica, Napoli

ISBN 978 - 88 - 99306 - 38 - 0 (a stampa)


eISBN 978 - 88 - 99306 - 38 - 0 (eBook) disponibile su Torrossa.it

1. Umanesimo  2. Aragonesi  3. Viceregno  I. Titolo  II. Collana  III. Serie

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fredo Iniziative editoriali Srl - BIC /SWIFT BPPIITRR (per bonifico da estero).
Sommario

CONTRIBUTI

Concetta Bianca, Il ritorno in curia di Biondo Flavio ed il “De expeditione in


Turcos” dedicato ad Alfonso d’Aragona 7
Maria Teresa Como, Nuove acquisizioni sulla Cappella Pontano. Il contesto
originario e l’architettura 35
Cettina Lenza, Nuove acquisizioni sulla Cappella Pontano. Restauri e rilievi
tra Settecento e Ottocento 49
Luana Rizzo, La letteratura esoterica nel Rinascimento meridionale: gli Inni
orfici 65
Manuel De Carli, Appunti sulla medicina nelle lezioni manoscritte Super pri-
mo de anima di Marcantonio Zimara 79
Éva Vígh, Simbologia animale in Giulio Cesare Capaccio, iconologista-favolista 93
Daniela Castelli, Note da un manoscritto di Antonio Persio. Tra stato e chie-
sa: il Trattato dei Portamenti della signoria di Venezia (1607) 115
Milena Montanile, Il modello ‘accademia’ nella cultura del Seicento in Irpinia 141
Donato Verardi, Occulte naturel et astrologie chez Della Porta: l’attraction ma-
gnétique 151
Chiara Pepe, La magia naturale in Giovan Battista Della Porta e Pompeo Sar-
nelli: laicità e liceità di un sapere nel modus cogitandi di un mago-scienzia-
to e di un vescovo controriformista 159
Bibliografia (a cura di Alfonso Ricca) 165
Vita dell’Istituto (a cura di Renata D’Agostino) 177

SEGNALAZIONI

Il carteggio della Signoria fiorentina all’epoca del cancellierato di Carlo Marsuppi-


ni (1444-1453), inventario e regesti a cura di Raffaella Maria Zaccaria,
Roma, Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Dire-
zione generale archivi, 2015 (Alfonso Ricca) 201
Leonardo Quaquarelli, Il Quattrocento dei copisti. Bologna, Bologna, I li-
bri di Emil, 2014 (Alfonso Ricca) 203
6 Sommario

Giovanni Pico della Mirandola e la dignità dell’uomo. Storia e fortuna di un di-


scorso mai pronunciato, Mirandola-Ferrara, 24-26 febbraio 2014 «Schifa-
noia», a cura dell’Istituto di Studi Rinascimentali di Ferrara, Pisa-Ro-
ma, Fabrizio Serra Editore, 2015 (Laura Antonella Piras) 204
Medieval and Renaissance astrology, Special Issue ed. by Donato Verardi, «Phi-
losophical readings», VII (2015), 1 (Guido Laurenti) 207
La cultura letteraria del Rinascimento in Capitanata, a cura di Domenico De-
filippis, Bari, Editrice Adriatica D.A., 2013 (Alfonso Ricca) 209
«Aristotele fatto volgare». Tradizione aristotelica e cultura volgare nel Rinascimen-
to, a cura di David A. Lines ed Eugenio Refini, Pisa, ETS, 2014 (Dona-
to Verardi) 210
Lodovico Castelvetro, Parere sopra una comedia di Aristophano et sopra cia-
scuna di Plauto, edizione critica a cura di Massimo Scalabrini, Bologna,
Commissione per i testi di lingua, 2015 (Alfonso Ricca) 212
Diana Berruezo Sánchez, Il Novellino de Masuccio Salernitano y su influen-
cia en la literatura española de la Edad de Oro, Vigo, Editorial Academia
del Hispanismo, 2015 (Leonardo Terrusi) 214
Dizionario degli editori, tipografi, librai itineranti tra Quattrocento e Seicento, coor-
dinato da Marco Santoro, a cura di Rosa Marisa Borraccini, Giuseppe
Lipari, Carmela Reale, Marco Santoro, Giancarlo Volpato. Pisa-Roma,
Fabrizio Serra Editore, 2013, “Biblioteca di Paratesto” (Maria Consi-
glia Napoli) 220

«Rinascimento meridionale»
referaggio 2014/2015

Nel corso del biennio 2014-2015 la rivista «Rinascimento meridionale» si è avvalsa


della collaborazione di 5 referee esterni agli organi direttivi della rivista stessa:
Andrea Battistini (Università di Bologna), Francesco Guardiani (Toronto
University), Pietro Sisto (Università di Bari), Maurizio Torrini (Università di
Napoli “Federico II”) e Paola Trivero (Università di Torino). Tutti gli articoli
pubblicati nel corso del biennio 2014-2015 sono stati sottoposti al giudizio di due
referee, almeno uno dei quali esterno agli organi direttivi della rivista. Premesso
che la rivista prevede le seguenti rubriche: Contributi, Rassegne, Bibliografia (ogni
due anni), Vita dell’Istituto (ogni due anni) e Segnalazioni, nel corso del biennio
2014-2015 sono pervenuti alla Direzione ai fini della pubblicazione 52 proposte di
contributi: quelli considerati dalla Direzione e dal Consiglio direttivo da non pub-
blicare sono stati 18; quelli sottoposti al giudizio dei referee 34, di questi, in virtù
del parere favorevole dei referee, sono stati pubblicati 26. Nel cogliere l’occasione
per ribadire i ringraziamenti ai nostri referee per la preziosa collaborazione, si fa
presente che per il biennio 2016-2017 sono stati contattati 5 referee nuovi, che
hanno di buon grado accettato l’incarico.
Segnalazioni

Il carteggio della Signoria fiorentina all’epoca del cancellierato di Carlo Marsuppi-


ni (1444-1453), inventario e regesti a cura di Raffaella Maria Zaccaria, Ro-
ma, Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Direzione
generale archivi, 2015, XVII, 1066 p.

Finalmente trova la sua conclusione un grandioso e determinante lavoro


di inventariazione analitica e di registrazione puntuale e attenta delle let-
tere del cancelliere della Repubblica fiorentina Carlo Marsuppini. Il pro-
getto, voluto dai professori Roberto Cardini e Mariangela Regoliosi dell’U-
niversità degli Studi di Firenze, anche nel loro rispettivo ruolo di Presiden-
te e Direttore del Centro Studi sul Classicismo con sede a Prato, è stato
realizzato grazie all’impegno costante e vigile profuso da Raffaella Maria
Zaccaria, che ha presieduto e coordinato un vasto gruppo di ricercatori e
si è ella stessa spesa in prima persona affinché il lavoro venisse portato a
termine. Grazie poi alla volontà della Direzione generale per gli Archivi
del Ministero dei beni culturali e del turismo, il volume si è inserito nella
sede a esso più consona per la sua pubblicazione, ovvero la prestigiosa e
seria collana delle Pubblicazioni degli Archivi di Stato e in particolare la
serie «Strumenti».
Certamente quello che viene oggi edito è e sarà in seguito un impor-
tante e preponderante strumento di lavoro. Vengono infatti regestate le
1604 lettere prodotte dalla Cancelleria delle lettere fiorentina guidata da
Carlo Marsuppini nel periodo 1444-1453 e conservate nell’Archivio di Sta-
to di Firenze. Di queste lettere era presente solo un inventario sommario
e frammentario fino al momento in cui si decise di organizzarlo compiu-
tamente e di redigerlo. Ciò non ha impedito che queste lettere fossero nel
corso del tempo in parte conosciute e alcune di esse persino citate e tra-
scritte in studi specifici, mancava però un inventario integrale. Il lavoro
coordinato da Raffaella Maria Zaccaria, oltre a fornirci tale inventario,
consente, attraverso regesti molto vasti, una conoscenza quasi totale dei
testi. Sono stati riportati anche naturalmente gli elementi identificativi
delle singole lettere: data cronica e data topica. I testi, inoltre, sono corre-
dati da un apparato di informazioni che permette di mettere in risalto le
tematiche affrontate e di identificare e avere notizie sui numerosissimi
personaggi citati. In relazione a questi ultimi il “Repertorio bio-bibliogra-
fico” risulta utilissimo. Infatti per ogni personaggio sono forniti dati essen-
ziali nel Repertorio quali la data di nascita e di morte, le cariche e i ruoli
202 Segnalazioni

coperti al momento della citazione nella lettera, e, se necessario, altri ele-


menti connessi a successive vicende biografiche. Un ulteriore essenziale e
imprescindibile strumento di lavoro presente nel volume è rappresentato
dalla “Cronotassi delle istituzioni e delle lettere” che velocizza la ricerca in
una così vasta mole di documenti. Non mancano nel volume i consueti,
ma indispensabili, indici per nomi di persona e di luogo e un’ampia e ac-
curata bibliografia. Tutti questi ausili sono frutto di una grande ricerca
bibliografica ma, soprattutto, di un lavoro portato avanti direttamente sul-
le fonti sia edite sia inedite, conservate queste ultime in diversi fondi ar-
chivistici dell’Archivio di Stato di Firenze, nonché in numerosi altri Archi-
vi di Stato italiani.
Il volume rappresenta il progetto di inventariazione più organico e
complesso sinora mai condotto sulla corrispondenza diplomatica della
Repubblica fiorentina. Il lavoro comunque ben si colloca in una tradizio-
ne di studi su figure dei grandi cancellieri fiorentini, iniziata già dal prin-
cipio del Novecento con il celebre volume di Demetrio Marzi, e, poi, pro-
seguita sino a periodi recenti con contributi importanti dovuti a molti
studiosi tra cui archivisti dell’Istituto fiorentino. Nell’ambito di tali studi
finora certamente le due figure a cui era stata dedicata più attenzione
erano quelle del cancelliere Coluccio Salutati e Leonardo Bruni. Con que-
sto volume anche il cancelliere Marsuppini trova il suo giusto risalto. Mar-
suppini fu senza ombra di dubbio un raffinato umanista, in questo senso
degno erede del suo celebre predecessore Leonardo Bruni, ma giocò un
ruolo nella politica fiorentina di minore incisività. Questo perché rimase
in carica dieci anni, invece dei quaranta del Bruni, ma anche perché con
lui assistiamo a un lento svuotamento della cancelleria a favore di un raf-
forzamento della segreteria di Cosimo il Vecchio, che si poneva sempre di
più come il vero dominus della vita pubblica cittadina. Il ruolo del Marsup-
pini si concretizzò, perciò, in una complessa opera di raccordo e di media-
zione tra le istituzioni repubblicane e i capi dell’oligarchia. Va poi aggiun-
to che l’umanista Marsuppini scelse di continuare a tenere anche da can-
celliere il suo insegnamento allo Studio, impegno che evidentemente rite-
neva prioritario. Ciò non toglie che l’abbondante messe di lettere redatte
rappresentino una fonte imprescindibile per chi voglia conoscere quel
decennio a cavallo del Quattrocento molto intenso per la storia di Firenze
e di tutta l’Italia. Attraverso queste lettere, la politica fiorentina così com-
plessa e intricata in quegli anni potrà essere letta con una nuova ricchezza
di sfumature e particolari. Va sottolineato che questo carteggio costituisce
spesso l’unica fonte di prima mano per lo studio delle vicende di quel
periodo visto che negli Archivi di Stato delle altre città per una serie di
Segnalazioni 203

eventi la documentazione dell’epoca è andata in buona parte distrutta.


Attraverso il carteggio del Marsuppini non solo è possibile studiare la po-
litica estera di Firenze, ma anche le striscianti trasformazioni delle struttu-
re dello Stato fiorentino. Le lettere redatte dalla cancelleria guidata dal
Marsuppini sono, infatti, illuminanti sia sui rapporti tra le varie magistra-
ture, sia sull’ordinaria amministrazione, in uno stato ancora formalmente
repubblicano, dominato, tuttavia, in realtà, dalla figura di Cosimo il Vec-
chio de’ Medici.
Questo volume ricercato ed esplicativo conferma, dunque, la straordi-
naria importanza del Carteggio della Repubblica fiorentina, conservato
quasi nella sua interezza dalla metà del XIV secolo fino all’instaurarsi del
Principato mediceo nel 1532, quale fonte determinante e indispensabile
non soltanto per la storia di Firenze e della Toscana, ma anche dell’Italia
e, persino, dell’Europa intera.

Alfonso Ricca

Leonardo Quaquarelli, Il Quattrocento dei copisti. Bologna, Bologna, I li-


bri di Emil, 2014, 255 p.

Per iniziare bisogna domandarsi se crediamo ancora che il compito della


specializzazione, dell’applicazione erudita alla ricerca e al riordino leggi-
bile dei dati documentali sia quello di contribuire con la specificità di un
punto di vista e con un discreto tasso di oggettività all’interpretazione del
profilo complessivo di un’epoca, all’interno del quale poi la stessa specia-
lizzazione troverà nuova linfa in una dialettica sempre produttiva. Se così
è, il fine di una ricognizione sulle fonti manoscritte e di un avvio di una
catalogazione di quella schiera di cultori della scrittura che si definiscono
copisti richiede, tuttavia, alcune considerazioni preliminari. Il ritaglio cro-
nologico del Quattrocento abbisogna di una giustificazione così come la
localizzazione scelta, Bologna, intesa come luogo dichiarato dell’azione di
scrittura: che poi gli agenti di tale azione siano oggettivamente bolognesi
sarà vero solo per una percentuale relativamente maggioritaria. La ragio-
ne della pratica amanuense sarà spesso un soggiorno provvisorio del copi-
sta non bolognese o addirittura non italiano per via della frequenza allo
Studio universitario, dell’appartenenza a un ordine religioso organizzato
sulla mobilità o di un incarico ricevuto da un committente locale che ospi-
ta il copista in casa sua.
Il taglio del progetto di lavoro implica una definizione di copista che
204 Segnalazioni

non coincide con quella del Petrucci. Affermare che l’oggetto della nostra
attenzione catalografica è «colui che scrive di propria mano uno o più li-
bri manoscritti contenenti testi altrui» equivarrebbe a escludere i trascrit-
tori di testi propri o occasionali estensori di brani e citazioni e perdere di
vista un vasto campo di figure che non possono sottostare a distinzioni fra
profilo professionale laico o ecclesiastico, fra scrittura in latino e in volga-
re, fra oggetti librai nati in loco, ma destinati a sedi esterne e libri confe-
zionati fuori su committenza felsinea, operatori nativi ma non sempre at-
tivi in città e operatori forestieri, ma a lungo presenti nel milieu cittadino.
La scelta non selettiva e la decisione cumulativa dei diversi profili dei co-
pisti sembrerebbero irrinunciabili data anche la scansione cronologica
prescelta.
Nel XIV e nel XV secolo si apre a Bologna una situazione nuova assai
complessa di crisi e di riassetto generale dell’orientamento culturale. In
questa fase di transizione nascono le figure del «copista per sé» e del pro-
fessionista impegnato sul fronte nuovo del volgare. Sorgono inoltre due
nuove evenienze: da un lato la necessità di cogliere la nuova collocazione
socio-culturale solo parzialmente universitaria dei copisti professionisti
del basso medioevo, facendola emergere da un intreccio di spinte alla
scrittura (e alla lettura); dall’altro l’opportunità di valutare il progressivo
ruolo intermediario culturale e testuale che colloca il copista al punto di
fuga di una nuova prospettiva sul concetto di tradizione dei testi.
Nel catalogo vi è una messa di osservazioni e di prospettive di indagi-
ne che possono aprirsi: intanto sulla modalità e frequenza della trascri-
zione «per sé» praticata da docenti universitari e professionisti vari, come
ad esempio i notai, peraltro ben rappresentati anche nel settore dei com-
mittenti, con annessi interrogativi su quanto pesasse nella formazione
delle loro biblioteche questa pratica rispetto a eventuali committenze
affidate a terzi. Di largo interesse anche la forma di ospitalità offerta dal
committente al copista assoldato: una specie di scriba a domicilio, che
chiama in causa fattori di analisi in via di osservazione sempre più attenta
da parte di codicologi e paleografi, quali i tempi e le tariffe relative. Al-
trettanto notevole l’affacciarsi decisivo della duplice professione di copi-
sta e di miniatore che conferma l’appartenenza del libro a una civiltà
dell’immagine. Infine andranno prese nella dovuta considerazione docu-
mentale le scelte testuali dei committenti e dei copisti per sé. Uno degli
elementi di conoscenza più significativi che si evidenzia è la conferma di
Bologna come crocevia culturale europeo. Il mercato si allarga nel Quat-
trocento ma cambia la sua natura. Il libro va ad assumere sempre più il
carattere di un prodotto che ha un suo mercato, quindi un prezzo, e, ol-
Segnalazioni 205

tre il valore d’uso, un valore di scambio e la possibilità di essere rimesso


in vendita o in circolazione come prestito o cambio e, in fine, trasmesso
verticalmente in eredità a figli e nipoti. Al sistema culturale e all’ideale
dell’‘Universitas studiorum’ il Quattrocento umanista sostituisce quello
della ‘Communitas studiorum’: l’intelligenza d’avanguardia, per lo più
esperta oltre di scrittura anche nelle forme di confezione del manoscrit-
to, indirizza verso l’antico le fondamenta di una cultura nuova e reagisce
abbastanza repentinamente al sistema grafico dominante della gotica
universitaria, imponendo una funzionalità più ariosa, elegante e leggibi-
le della pagina scritta.
Dotto ed elegante, raffinato e articolato, questo volume propone la
disamina attenta e accurata dei copisti attivi nel Quattrocento a Bologna,
testimoniando dell’ampia varietà di tipi di professionisti della scrittura e
del porsi di Bologna come il centro propulsore colto dell’Umanesimo ita-
liano ed europeo.

Alfonso Ricca

Giovanni Pico della Mirandola e la dignità dell’uomo. Storia e fortuna di un di-


scorso mai pronunciato, Mirandola-Ferrara, 24-26 febbraio 2014 «Schifa­
noia», a cura dell’Istituto di Studi Rinascimentali di Ferrara, Pisa-Roma,
Fabrizio Serra Editore, 2015, 188 p.

La “XVI Settimana di Alti Studi Rinascimentali”, organizzata dall’Istituto


di Studi Rinascimentali di Ferrara, con la collaborazione del Centro In-
ternazionale di Cultura Giovanni Pico della Mirandola, si è incentrata
sulla figura di Pico della Mirandola e sul suo famoso discorso, paradossal-
mente mai pronunciato, la Oratio de hominis dignitate. L’iniziativa ha rac-
colto noti e stimati studiosi e giovani ricercatori in tre giornate di studio
particolarmente ricche di interventi e partecipazione. Gli atti del conve-
gno si aprono con il saggio di Marco Bertozzi, che ha affrontato, con
specifico riguardo al tema della dignità dell’uomo, il problema della rice-
zione dell’Oratio, facendo particolare riferimento alla fortuna che il testo
ebbe nel Novecento, soprattutto «durante gli anni terribili del nazi-fasci-
smo». Franco Bacchelli, Raphael Ebgi, Stefano Caroti, Giulio Bausi e Gia-
como Mariani, dal canto loro, si sono preoccupati di sottolineare l’impor-
tanza delle fonti quale strumento ermeneutico privilegiato per la com-
prensione dell’opera. Altri hanno ragionato sull’originalità della propo-
sta intellettuale di Pico: Alessandro Scafi ha descritto la visione pichiana
206 Segnalazioni

del paradiso e ha analizzato il rapporto del filosofo con la teologia medie-


vale; Simone Fellina si è occupato del rapporto tra bonae litterae e philo-
sophia nell’Epistolario e nell’Oratio, mentre Amos Edelheit ha illustrato
come Pico miri a estendere il ruolo della filosofia a qualsiasi indagine
della verità, senza escludere dal suo orizzonte speculativo i metodi della
filosofia scolastica. Il confronto tra il pensiero del filosofo della Mirando-
la e quello di altri autori ha avuto un ruolo decisivo per la definizione del
complesso quadro di interpretazioni del messaggio pichiano, dal Rinasci-
mento fino all’età contemporanea. Anna Lesiuk-Cummings si è servita
dell’accostamento con autori rinascimentali di chiara ispirazione pichia-
na, come Charles De Bovelles e Juan Luis Vives, per problematizzare la
nozione di Umanesimo quale «alba della modernità». Tommaso De Ro-
bertis ha mostrato i punti di contatto esistenti tra la concezione antropo-
logica di Pico e quella di Machiavelli. Gino Laurenti ha rintracciato persi-
stenze pichiane nell’opera del teologo Cornelio Musso, mentre Alice Mo-
relli ha riflettuto sulla straordinaria affinità concettuale fra il pensiero di
Pico e quello del filosofo contemporaneo Jean Paul Sartre. La vicenda
dell’eredità filosofica di Pico presso i posteri, però, non è caratterizzata
solo da consensi e adesioni.
Come ben hanno dimostrato Vittoria Perrone Compagni e Donato Ve-
rardi, durante il Rinascimento le tesi pichiane sono state oggetto di criti-
che più o meno velate. Pietro Pomponazzi, ad esempio, ha messo in di-
scussione alcuni temi centrali della filosofia pichiana: l’immortalità dell’a-
nima, la magia e la libertà (Perrone Compagni) mentre Giovan Battista
Della Porta, a differenza del Mirandolano, ha difeso la possibilità per l’uo-
mo di predire il futuro attraverso una tecnica razionale (Verardi). Profon-
de sono, infine, le differenze tra l’immagine del camaleonte in Pico e ne-
gli autori sostenitori della miseria hominis, come Montaigne. Il simbolo
della volontarietà del mutamento umano diventa, per questi filosofi, rap-
presentazione del suo esatto contrario: la trasformazione non appare tan-
to il frutto di una libera scelta, quanto una costrizione data dal contesto in
cui l’uomo si trova ad agire (Nicoletta Gini). La varietà delle proposte e
delle tematiche affrontate, unita alla ricchezza di contenuti, rendono la
lettura di questi saggi un’importante occasione di riflessione sul ruolo
svolto da Pico nel cambiamento di prospettiva intellettuale e culturale
prodotto dall’Umanesimo, del quale l’Oratio si fa «manifesto» (Garin), di-
mostrando la portata innovatrice della sua riflessione epistemologica, che
appare, oggi più che mai, attuale.

Laura Antonella Piras


Segnalazioni 207

Medieval and Renaissance astrology, Special Issue ed. by Donato Verardi,


«Philosophical readings», VII (2015), 1, 193 p.

All’interno di Medieval and Renaissance Astrology, monografia a cura di Do-


nato Verardi, sono raccolti nove saggi tesi non soltanto a indagare aspetti
cruciali connessi alla trasformazione dell’astrologia in una prospettiva di
longue durée, ma anche a focalizzare l’attenzione su personaggi, libri e
idee in grado di illuminare secondo angolature del tutto nuove i presup-
posti concettuali di una disciplina che per un verso ha instaurato fin
dall’antichità un rapporto di mutuo scambio con matematica e scienza,
oltre che con filosofia, teologia e arti, per l’altro ha subito accuse violente
in merito alla sua infondatezza scientifica e pericolosità religiosa che si
sono tradotte in una forma di damnatio memoriae capace sì di marginaliz-
zarla sotto il profilo culturale, almeno dal Settecento in poi, ma non di
cancellarne del tutto la presenza e la capacità di esercitare ancora una
certa influenza.
Ad aprire il volume con il contributo Annotazioni sul carattere “possibile”
del sapere astrologico tra Medioevo e Rinascimento è Verardi che sottolinea, in
primo luogo, come solo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento gli
studi di astrologia siano stati impostati secondo una metodologia scientifi-
ca, anche per impulso delle sollecitazioni e dei modelli di ricerca messi a
punto dall’Orientalistica e dalla Filologia classica con la pubblicazione di
molti testi in lingua latina, greca, araba ed ebraica. L’autore si sofferma
poi su aspetti e problemi della storia dell’astrologia, basando la sua rico-
struzione su fondamentali indicazioni fornite da studiosi di primo piano
del secolo scorso, sebbene sia ancora vasto e quasi del tutto inesplorato il
campo della ricerca interna alla storia della stessa disciplina. Nel saggio La
storia astrologica universale. L’oroscopo delle religioni tra Medioevo e Rinascimen-
to, Graziella Federici Vescovini indaga la teoria delle grandi congiunzioni
e «il tentativo di costruire una mediazione tra storia sacra e storia profana,
tra una teologia della storia e una filosofia naturale della storia» (p. 13).
Tali presupposti si riconnettono a una concezione teocentrica della storia
astrologica che evidenzia la presenza di sei religioni o sette che l’autrice
indaga alla luce del pensiero di Albumasar. È invece H. Darrel Rutkin a
tracciare una mappa della teoria della conoscenza nel Duecento, in cui
sapere matematico e astrologico risultano centrali, attraverso le categorie
di «astronomia iudiciaria et operativa» e «opera et verba sapientium» de-
sunte da Ruggero Bacone. Con lo studio L’attraction magnétique entre in-
fluence astrale et astrologie au Moyen Âge (XIIIe-XVe siècle), Nicolas Weill-Parot
sviluppa una dossografia sui concetti di influenza astrale e forza magneti-
208 Segnalazioni

ca, procedendo ad opportuni confronti con i molti commenti alla Fisica di


Aristotele. Attraverso il contributo Un tournant dans la critique de l’astrologie?
La “Summa de astris” de Gérard de Feltre, Maria Sorokina si sofferma a inda-
gare la prima opera interamente dedicata alla critica dell’astrologia in Oc-
cidente dal tempo dei Padri della Chiesa. La Summa de astris è estrema-
mente significativa sia perché riporta numerosi argomenti tradizionali di
critica all’astrologia, sia perché trascrive i nuovi ragionamenti elaborati
nel corso del Duecento sulle contraddizioni della scienza astrologica.
Sempre sul versante delle indagini volte ad accertare la validità dell’astro-
logia, si pone il saggio di Ornella Pompeo Faracovi, Giovanni Pico della
Mirandola e la riforma dell’astrologia. Nel richiamare la posizione fortemente
critica nei confronti dell’astrologia elaborata da Pico nelle Disputationes,
l’autrice ne mostra per un verso la fortuna incontrata lungo il corso dei
secoli successivi, per l’altro la derivazione – a credere al giudizio di Bellan-
ti e Pontano – dal pensiero di Savonarola. Tra arte, filosofia e astrologia si
sviluppa il saggio “Lumen requirunt lumine”. Marsilio Ficino, Nicola Cusano e
l’iconografia dei Magi nel Rinascimento mediante il quale Cesare Catà studia
le peculiarità dell’iconologia dei Magi all’interno della cultura rinasci-
mentale, sottolineandone i legami ora con le teorie neoplatoniche di Mar-
silio Ficino ora con la devotio moderna di cui anche Nicola Cusano è inter-
prete. A indagare l’incontro del pensiero ebraico con la sapienza orienta-
le (mesopotamica, persiana e greca), e i successivi sviluppi nel corso del
Quattro-Cinquecento tra Bisanzio e l’Italia, è il saggio Personaggi e temi
dell’astrologia ebraica nel Rinascimento italiano di Fabrizio Lelli. Chiude la
monografia Marco Bertozzi con il saggio Picatrix a Schifanoia. Un’interpreta-
zione magico-astrologica del Salone dei Mesi. In un costante e serrato confronto
tra filosofia, astrologia e arte, l’autore rileva alcuni aspetti di Picatrix, trat-
tato di carattere magico e astrologico, che rappresentano le fonti degli
affreschi di palazzo Schifanoia.
Il volume tuttavia non si arresta qui, ma comprende ancora una sezio-
ne con recensioni a libri su magia, filosofia e astrologia tra Medioevo e
Rinascimento a firma di Nicolas Weill-Parot, Valeria Sorge, Maria Soroki-
na, Adrian Pirtea, Raphael Ebgi, Fabio Seller. Benché non sia possibile
segnalare con la dovuta attenzione le singole recensioni, va però rilevato
come molte di esse non siano un ragguaglio dei principali argomenti trat-
tati nei testi, ma assumano le forme di una approfondita discussione criti-
ca delle ricerche in esame tanto da aggiungere spesso ulteriori e persona-
li apporti agli studi stessi.

Guido Laurenti
Segnalazioni 209

La cultura letteraria del Rinascimento in Capitanata, a cura di Domenico De-


filippis, Bari, Editrice Adriatica D.A., 2013, 143 p.

Tra gli elementi caratteristici delle descrizioni delle località citate nell’Ita-
lia illustrata di Biondo Flavio se ne rinviene uno che ha una particolare ri-
levanza informativa, perché gli intellettuali e i letterati operanti nella Peni-
sola vengono connessi alle loro città di origine e non solo ai luoghi dove
svolsero le loro attività, non sempre coincidenti, infatti, con le loro patrie
natie. Biondo fornisce così una mappatura dei letterati, nati in Italia e non,
accanto a giuristi, medici, filosofi, artisti, condottieri, principi e religiosi.
Sembra perciò singolare che, nell’illustrare i numerosi centri della Dau-
nia, Biondo Flavio non accenni a coloro che avrebbero reso celebre un
territorio assai importante per la storia del Mezzogiorno, in quanto teatro
di eventi che vantavano una vastissima eco ben oltre i confini del Regno di
Napoli. Probabilmente l’umanista forlivese non dispose di informazioni
complete e aggiornate né per la Daunia, né per le estreme regioni meri-
dionali, perché proprio alla Daunia egli interruppe la sua opera, lasciando-
la incompiuta. Questa spiegazione, tuttavia, pur motivata dalla mancata
collaborazione degli umanisti napoletani, che non inviarono il materiale
loro richiesto per l’opera, non è né la sola, né la più attendibile. Dopo ol-
tre un secolo, questa lacuna non appariva colmata, tuttavia persisteva. Le-
andro Alberti nel 1525 ebbe modo, infatti, di soggiornare in Capitanata.
Elaborò di lì a poco un’accurata descrizione delle regioni italiane e, secon-
do lo schema del Biondo Flavio, registrò le personalità dei luoghi e in
particolar modo, essendo lui un domenicano, quelle dei religiosi. Tuttavia,
se ci imbattiamo nei nomi dei prelati, che occupavano in quegli anni le
sedi vescovili della Daunia, non ne troviamo altri oltre quelli dei prestigio-
si rappresentanti dell’autorità ecclesiastica. Pietro Ranzano sul finire del
’400 aveva composto in latino un lavoro di sintesi dedicato ai saperi dell’e-
poca, in cui si ricorre alla descrizione dell’Italia adottata poi dall’Alberti.
Neanche Ranzano, che occupò fino alla morte la sede episcopale di Luce-
ra, menziona personaggi nati in quella terra degni di nota e di memoria,
piuttosto si lamentava di una popolazione incolta e incline alla perfidia e
all’inganno. Il giudizio decisamente negativo sulla civiltà letteraria di Capi-
tanata – esteso all’intera Puglia con eccezione del Salento – è stato rivisita-
to e ribaltato dall’erudizione sette-ottocentesca. Ciononostante, un’antolo-
gia che raccoglie gli autori più rappresentativi del Rinascimento pugliese,
apparsa nel 1994, non include alcun letterato nativo della Daunia, il che
dimostra come si sia ancora in una fase iniziale di studi in tale direzione.
In un sondaggio esplorativo condotto nei passati decenni sui letterati
210 Segnalazioni

pugliesi vissuti fra Quattro e Cinquecento lo studioso Denis E. Rhodes foca-


lizza l’attenzione su alcune figure note come Alessandro Minunziano, ma
anche su sconosciuti come Agostino Columbre, a dispetto del severo giudi-
zio del Ranzano. Un rinnovato impulso alla conoscenza della storia cultu-
rale della Daunia è stato dato dall’iniziativa promossa dall’Archeoclub di
San Severo, che ha organizzato convegni annuali di “Preistoria, Protostoria
e Storia della Daunia”. È proprio in occasione di questi incontri che è stata
avviata un’indagine sulla Capitanata fra Umanesimo e Rinascimento.
Fino a che punto si può parlare di una identità pugliese nel quadro del
rinascimento meridionale e in che misura essa è circoscrivibile? La Puglia
è terra di confine, ponte fra Occidente e Oriente, ben nota fin dall’anti-
chità per insediamenti di popoli che segnarono il carattere della regione,
primi fra tutti i Greci. È questa l’immagine che il più celebre umanista
pugliese, Galateo, ci restituisce della regione, inserendola nel complesso
quadro della Magna Grecia. A Biondo e a Petrarca la Puglia appare, inve-
ce, come l’estremo lembo dell’Italia, la periferia di un mondo che ormai
gravitava intorno a ben altri nuclei propulsori di cultura e di dinamismo
socio-economico e politico. Tuttavia la Puglia non è unicamente una re-
gione cerniera tra Oriente e Occidente, poiché metteva in contatto le
estreme province del Mezzogiorno con i ricchi centri commerciali del
Nord-Est come Venezia, Padova e Ferrara. L’asse Puglia-Veneto non era il
solo privilegiato per la rapidità degli spostamenti e il conseguimento degli
studi dei pugliesi nella Serenissima, poiché anche Napoli, capoluogo del
Regno, rappresentava un’attrazione fortissima per gli umanisti del Sud
dell’epoca per la presenza della corte e dell’accademia. E Napoli certo
fungeva da trampolino per la vicina Roma, dove nuovamente gli intellet-
tuali si spostavano per studiare e lavorare.
Istruttivo e interessante, affascinante ed esaustivo, questo volume pre-
senta un excursus ricco e variegato nella storia del rinascimento pugliese
attraverso le pagine delle opere dei suoi principali esponenti, menzionan-
do anche i luoghi magici e incantati della loro nascita e delle loro attività.

Alfonso Ricca

«Aristotele fatto volgare». Tradizione aristotelica e cultura volgare nel Rinascimen-


to, a cura di David A. Lines ed Eugenio Refini, Pisa, ETS, 2014, 345 p.

L’individuazione dell’aristotelismo in volgare quale campo di indagi-


ne autonomo è assai recente. Dagli anni ’80 del secolo scorso si sono
Segnalazioni 211

avute riflessioni su autori ed aspetti specifici dei volgarizzamenti ari-


stotelici. Tuttavia, come evidenzia David A. Lines nell’Introduzione al
volume, gli antichi auspici di Leonardo Olschki e Wiktor Wasik sono
rimasti inascoltati fino a tempi relativamente recenti. Una svolta deci-
siva alle ricerche si è avuta, infatti, soprattutto grazie agli studi di Luca
Bianchi, i quali hanno dato nuova linfa al dibattito, stimolando lavori
individuali e collettivi di grande pregio. Tra questi ultimi va annovera-
to anche il presente libro, che scaturisce da un convegno internaziona-
le tenutosi alla Scuola Normale Superiore di Pisa in data 27-28 settem-
bre 2012.
Il volume si apre con un importante saggio di Sonia Gentili sull’edizio-
ne dell’Etica in volgare attribuita a Taddeo Aldredotti, la più antica versio-
ne italiana a noi nota di filosofia morale aristotelica, e prosegue con lo
studio a firma di Annalisa Andreoni dei luoghi aristotelici nelle lezioni
accademiche di Benedetto Varchi. Come nota l’A., le digressioni filosofi-
che di Varchi si configurano a volte come veri e propri trattatelli di filoso-
fia aristotelica in volgare.
Seguono i dottissimi saggi di Simone Bionda, Alessio Cotugno e Anna
Siekiera, rispettivamente dedicati a Bernardo Segni, Alessandro Piccolo-
mini e alla formazione della prosa scientifica in volgare.
Sul latino e il volgare in Francesco Piccolomini si sofferma David A.
Lines, il quale prende in esame l’Institutione del principe e il Compendio
della scienza civile. Eugenio Refini presenta, invece, risultati del database
dell’aristotelismo volgare in Italia del progetto “Vernacular Aristotelia-
nism in Renaissance Italy”. Come il presente lavoro contribuisce a met-
tere in evidenza, l’aristotelismo in volgare non è affatto un fenomeno
di modeste dimensioni. Le ricerche più recenti permettono di indivi-
duare 200 opere in volgare italiano su Aristotele, disseminata tra 250
edizioni a stampa e 300 manoscritti per il periodo compreso tra il 1400
e il 1650.
Chiudono il volume tre saggi sull’aristotelismo in volgare francese e
spagnolo. Aristotle, Epieikeia, and the Novella in France è il titolo del contri-
buto di Ullrich Langer, mentre il saggio di Violaine Giacomotto-Charra è
dedicato a La Physique di Scipion Dupleix. Juan Miguel Valero Moreno
firma un contributo intitolato Formas del Aristotelismo Ético-Político en la
Castilla del siglo XV. Paula Olmos, autore del saggio conclusivo, si soffer-
ma, invece, su due versioni vernacolari della Politica di Aristotele nel XVI
secolo in Spagna.

Donato Verardi
212 Segnalazioni

Lodovico Castelvetro, Parere sopra una comedia di Aristophano et sopra


ciascuna di Plauto, edizione critica a cura di Massimo Scalabrini, Bologna,
Commissione per i testi di lingua, 2015, XXXIX, 72 p.

Alla fine di settembre del 1567 Lodovico Castelvetro assieme al fratello


Giovanni Maria è costretto a lasciare Lione dilaniata dalla guerra fra catto-
lici e protestanti. Tra i libri del filologo modenese andati persi durante la
fuga La vita di Lodovico Castelvetro da Modena di Ludovico Muratori annove-
ra una «Grammatica Volgare trattata molto diffusamente», un «Commen-
to o Discorso sopra la maggior parte dei Dialoghi di Platone», un «giudi-
zio sopra le Comedie di Plauto e di Terenzio» e uno «sopra le Novelle di
Boccaccio»: «tutte cose in lingua italiana» – commenta Muratori – «delle
quali resta solo qualche frammento scritto di sua mano in mio potere».
Una parte di quei materiali confluisce nello Zibaldone estense della Bibliote-
ca Estense Universitaria e di qui nell’edizione allestita da Angelati in col-
laborazione con lo stesso Muratori in Opere varie critiche. Vi sono incluse le
chiose alle commedie di Terenzio. Nello Zibaldone o, per meglio dire, nel-
le parti del codice giunte sino a noi non vi è traccia del «giudizio sopra le
Comedie di Plauto». Lo Zibaldone estense non contiene le «stesure fatte di-
rettamente sul codice» ma piuttosto belle «copie» di lavori già elaborati.
Sulla base di questa osservazione è lecito ipotizzare che su di esso Castel-
vetro abbia ricopiato o «qualche frammento» sopravvissuto alla turbolen-
za lionese o una riscrittura delle chiose terenziane andate perdute in quel-
la occasione.
Pur non comparendo nello Zibaldone il «giudizio sopra le Comedie di
Plauto e di Terenzio» è sopravvissuto in tre manoscritti: uno di Chicago,
gli altri due della Biblioteca Apostolica Vaticana. Il manoscritto di Chicago
contiene lavori copiati dal nipote di Lodovico, Giacomo, nel 1578. Vi com-
pare un Parer di Lodovico Castelvetro sopra una comedia di Aristophano et sopra
ciascuna di Plauto. Esso evoca la nozione di «persona comica» in parallelo
con la Poetica d’Aristotele vulgarizzata e sposta. Anche l’idea che sia la trage-
dia sia la commedia possano avere un finale lieto o triste è ripresa dalla
Poetica. Il parallelo tra i temi del Parere e quelli della Poetica è testimoniata
inoltre da una serie di corrispondenze tecniche attinenti a vari aspetti del
«modo rappresentativo» cui appartengono le commedie. Così la censura
del Plauto per la durata dell’azione rimanda ovviamente alla dottrina
dell’unità del tempo della favola più volte esposta nel commento ad Ari-
stotele. La riprovazione di Castelvetro cade anche sul prologo che non
deve essere fatto dalla persona comica che non può infrangere la finzione
scenica rivolgendosi ai venditori che non sono proprio delle persone co-
Segnalazioni 213

miche appunto. Il prologo deve inoltre avere poteri divinatori, orientan-


dosi al futuro. La censura del critico colpisce anche il coro che non do-
vrebbe partecipare ai dialoghi e all’azione come prescrive anche la Poetica.
L’operazione critica del Parere è sostenuta da una forte consapevolezza
metodologica e si può comprendere appieno solo se iscritta nei termini
teorici della Poetica.
Gli scritti perduti nei tumulti di Lione, tra cui i giudizi sopra Plauto,
Terenzio e le novelle di Boccaccio, erano lavori o completati da poco o
ancora in corso d’opera nel momento della fuga: lavori dei quali sopravvi-
ve o una riscrittura o «qualche frammento». Il Parere contiene indicatori
temporali al futuro o al passato prossimo che ne suggeriscono la prossimi-
tà cronologica con l’elaborazione della Poetica. È ipotizzabile che il Parere
sia stato elaborato nei dintorni della fuga da Lione e dunque negli anni in
cui veniva stesa la Poetica. Nel Parere l’analisi che vi si dispiega ha per ogget-
to la singola commedia: l’abbraccia e la considera nella sua interezza, ne
domina la favola nel suo insieme e nei suoi dettagli. Il Parere misura il gra-
do di verosimiglianza dell’azione comica conformemente al più importan-
te metro critico elaborato nella Poetica. Particolarmente riprovevoli risulta-
no i casi non infrequenti di incongruenza, cioè i difetti nella tenuta logica
o nella efficacia del congegno narrativo. Il Parere rivela un operare critico
austero non distante da quello delle adunanze dell’Accademia modenese,
nel corso delle quali si giudicavano le cose lette «senza pompa di parole»
e «senza prologo». Il modenese – secondo lo stesso Muratori – è un genio
censorio e critico più orientato a riprovare che a lodare. La scrittura poe-
tica e letteraria deve essere secondo lui abitata da un’«intima razionalità»,
la stessa che caratterizza l’uso comune della ragione. Per cui la lingua po-
etica e quella del popolo devono essere accomunate da uno stesso «mo-
dello grammaticale implicito». Il lavoro critico, infatti, è di accertare nel
testo una congruenza complessiva di strumenti linguistici, narrativi e in-
ventivi che devono amalgamarsi in un testo unitario giudicato positivo
solo quando ogni elemento è compiuto in sé e integrato con il proprio
contesto comunicativo.
Il Parere contiene una vera e propria stroncatura di Plauto che non
deve sorprendere, considerando che il commediografo latino era del tut-
to indifferente alla costruzione di trame verosimili. Più sfumato è il verdet-
to sul Pluto di Aristofane, del quale si mettono in evidenza i numerosi di-
fetti riguardanti l’unità di azione, la consequenzialità, la convenienza e la
necessità, senza però giungere a un giudizio del tutto negativo. Afferma a
tal proposito il critico modenese che «non ogni cosa mi soddisfa».
Istruttivo e raffinato, colto e accattivante, questo Parere esprime la visio-
214 Segnalazioni

ne rinascimentale delle commedie classiche di Plauto e Aristofane lette in


accordo con la Poetica di Aristotele, che viene considerata e commentata
come parametro di interpretazione critica nello stesso lasso temporale.

Alfonso Ricca

Diana Berruezo Sánchez, Il Novellino de Masuccio Salernitano y su influen-


cia en la literatura española de la Edad de Oro, Vigo, Editorial Academia del
Hispanismo, 2015, 246 p.

Preceduto da una serie di saggi preparatori e maturato sul campo di una


ricerca di dottorato, il libro di Diana Berruezo Sánchez esibisce le creden-
ziali di opera vincitrice del VI Premio Internaciónal «Academia del Hispa-
nismo» de Investigación Científica y Crítica sobre Literatura Española,
2015: riconoscimento che si rivela, al termine della lettura, pienamente
giustificato. Suo obiettivo dichiarato è quello di «presentar a un escritor
no tan menor, Masuccio Salernitano, y darlo a conocer dentro de los estu-
dios hispánicos como fuente de textos castellanos» (p. 18); in altri termini
di fornire un quadro finalmente completo della ricezione del Novellino
masucciano nella letteratura spagnola tra XVI e XVII secolo, un fenome-
no sinora largamente sottovalutato o affidato sinora ai disiecta membra di
esplorazioni occasionali e mai integrate in una valutazione organica.
Per valorizzare la conoscenza di questo novelliere spesso misconosciu-
to, in Spagna come talora anche in Italia, rispetto ai protagonisti concla-
mati del genere (Boccaccio, ovviamente, ma anche Bandello o Giraldi
Cinzio), il primo capitolo propone una sistematica ricognizione dello sta-
to attuale delle conoscenze su Tommaso Guardati e sulla sua unica opera,
il Novellino. Attraverso l’escussione critica della bibliografia precedente, il
capitolo si configura, anzi, come la più aggiornata disamina dello status
quaestionis relativo all’opera e al suo autore, apportando precisazioni e
vere e proprie scoperte su aspetti sinora sfuggiti o trascurati dagli stessi
specialisti. Fondamentale, per tutto lo studio, è l’ottica della ricezione
dell’opera, nei paesi stranieri e segnatamente in Spagna, ma anche in Ita-
lia, che la studiosa riscontra nei giudizi e citazioni attestati all’interno del-
lo stesso entourage dell’autore, in Pontano, Caracciolo e Galeota, o tra pre-
coci lettori toscani come Leonardo da Vinci e Luigi Pulci. Proprio le pagi-
ne dedicate a quest’ultimo rappresentano un valido esempio dell’acribia
e del rigore filologico con cui la studiosa ripercorre queste vicende. Come
lei ricorda, Pulci citava il Novellino, accostandolo a Boccaccio («un bino-
Segnalazioni 215

mio que hará fortuna en la valoración posterior de la obra», p. 31), nel


prologo della sua Novella del Picchio senese, dedicata, come la raccolta di
Masuccio, ad Ippolita d’Aragona. Ora, la Novella sarà pubblicata per la
prima volta da Anton Francesco Doni in un opuscolo nel 1547, che qui si
rivela riutilizzato nelle Lettere (1547) e nella Seconda Libraria (1551) dello
stesso Doni, il quale però elimina in entrambi i casi proprio il prologo e
dunque la lode a Masuccio, un particolare sfuggito a tutti coloro che se
n’erano occupati. Il nome del Salernitano compare semmai in un altro
luogo della stessa Libraria, quale autore delle Cinquanta novelle e di un im-
probabile Comento sopra la prima Giornata del Boccaccio, ma anche in questo
caso la studiosa segnala che tali riferimenti non sono attestati in tutte le
edizioni dell’opera, come sinora ritenuto.
A complemento di ciò, si potrà ricordare come la dichiarazione pulcia-
na nel Prologo della Novella costituisca la prima attestazione del compiuto
passaggio di novelle extravaganti in un vero e proprio progetto macrote-
stuale da parte di Masuccio, e proprio per questo si tende a datarla a un
periodo (di poco) successivo alla pubblicazione della princeps del Novellino
(1476). Ma Stefano Carrai (Le Muse dei Pulci. Studi su Luca e Luigi Pulci,
Napoli, Guida, 1985, pp. 54-67) ne opina una datazione precedente
(1471), in tal modo supponendo che Pulci si stesse riferendo a una forma
manoscritta della raccolta masucciana, di cui oggi si sono perse le tracce,
come avverrà del resto della stessa princeps. Si segnalerà che segni della
loro prima circolazione sono nel carteggio di Federico Gonzaga, cui l’am-
basciatore Zaccaria Saggi smistava nel 1481 «quel libro di Masuzzo havutto
dal magnifico Pietro da Gallerate», che, a quell’altezza cronologica, non
può che corrispondere a un codice ms. dell’intera raccolta o, più proba-
bilmente, a un esemplare della princeps; ancora, un «Masucczo a penna» è
censito nell’inventario dei libri del sagrestano napoletano Francesco de
Perruciis nel 1497, al quale potrebbe essere giunto, a titolo di mera ipote-
si, in seguito alla diaspora della biblioteca di Ippolita e Alfonso d’Aragona
(per dettagli e bibliografia, mi permetto di rinviare al mio Stratigrafie lin-
guistiche nel Novellino di Masuccio Salernitano, «La parola del testo», XIII
[2010], 1, pp. 65-107: 65 nt 1, e 71 nt 25).
Oltre a segnalazioni e suggestioni di questo tipo, il libro offre materiali
e stimoli di tipo storico-interpretativo, altrettanto utili per tutti gli studiosi
del genere novella. Prezioso, ad esempio, è il quadro dei «motivos litera-
rios y algunas imágines u objetos particulares» attestati nelle singole novel-
le del Novellino (pp. 59-79), che mira ad offrire basi concrete su cui fonda-
re la ricerca delle influenze masucciane su autori spagnoli, cioè coinci-
denza tematiche, più ardue da rintracciare ma anche più significative, si
216 Segnalazioni

noterà, rispetto alle mere sovrapposizioni sintagmatiche, ricavabili facil-


mente con la ricerca automatica, ma più esposte ai rischi di casualità; ma
esso troverebbe grande utilità anche per analisi di tipo narratologico o
tematico. In ogni caso, ricerca di questo tenore latita anche per l’Italia,
dove, come ricorda la studiosa, manca ancora uno studio sistematico del
lascito di Masuccio sui novellieri successivi; sebbene siano accertate tracce
in Brevio, Bandello o Straparola o sugli autori delle versioni versificate di
novelle dal ’500 al ’700. Anche riguardo a questi aspetti, il libro apporta
contributi preziosi, come ad esempio l’identificazione della novella ma-
succiana oggetto di una delle versificazioni ‘spicciolate’ Cinquecentesche,
a suo tempo segnalate da Petrocchi, di cui la studiosa rintraccia ora il tito-
lo completo (Meraviglioso caso nella città di Napoli interuenuto, di una rea fe-
mina qual dal proprio figliol con inganno si fece carnalmente conoscere) ricono-
scendovi dunque la scabrosa nov. XXIII (che poi, attraverso la riscrittura
del Brevio, influenzerà scrittori spagnoli come Juan Pérez de Montalbán).
Una sezione è dedicata al primo travagliato passaggio di Masuccio in
tipografia. La studiosa valorizza giustamente la testimonianza di France-
sco Del Tuppo, curatore e co-tipografo della perduta editio princeps napole-
tana del 1476, che nella dedica riferiva come l’apografo del Novellino da
lui portato in tipografia gli fosse giunto «per mezo» del «Parmisano Johan
Marcho», cioè Giovan Marco Cinico, scriptor regius nonché custode della
biblioteca aragonese, dopo che l’«originale» era stato sequestrato dall’«au-
ditore» e poi bruciato da «colloro che dentro senteano nova de lloro ca-
sa», cioè, è parso generalmente di interpretare, dalle autorità ecclesiasti-
che, oltraggiate dall’empietà e dal livore anticlericale dell’opera: il Cinico,
dunque, vi sarebbe indicato come copista dell’antigrafo, ed eventuale re-
sponsabile degli interventi di revisione testuale apportati al testo. Ma la
studiosa ricorda tuttavia come tale vulgata sia stata rimessa in discussione
da Tobia R. Toscano (A proposito dell’autografo del Novellino di Masuccio Sa-
lernitano. Postilla interpretativa alla prefazione di Francesco Del Tuppo, «Critica
letteraria», XXXVI [2008], pp. 547-56), che identifica i «colloro che den-
tro senteano nova de lloro casa» non con generici ecclesiastici, ma con
personaggi pubblici che potevano sentirsi offesi dall’«impietoso gossip»
dell’opera. D’altra parte, egli valuta diversamente il ruolo del Cinico, che
si sarebbe limitato a custodire il ms. masucciano di dedica a Ippolita, e
dello stesso Del Tuppo, che sarebbe il vero indiziato dell’antigrafo e della
revisione linguistica del testo originale: un’ipotesi che, rimarca la Berrue-
zo, smentirebbe tutta una linea interpretativa, originatasi a partire dal pri-
mo editore moderno, Luigi Settembrini. Si segnalerà a questo riguardo il
tentativo, effettuato da chi scrive (in Stratigrafie linguistiche, cit.), di utilizza-
Segnalazioni 217

re l’esame dei tratti linguistici dei due più antichi incunabuli del Novellino
per tentare di chiarire l’identità del responsabile della revisione linguisti-
ca che vi emerge: gli indizi raccolti non corroborerebbero l’ipotesi che
tale figura possa coincidere con Del Tuppo, per il disaccordo tra i tratti
fonomorfologici della revisione (che mira a eliminarvi le forme percepite
come troppo locali), e le peculiarità delle scritture deltuppiane; qualche
indizio invece dirige verso Cinico, come la presenza di perfetti in -oe, intro-
dotti nella revisione come acronica marca toscaneggiante, che coincidono
con un tipico tic attestato in opere di cui il Cinico fu autore, come Il libro
de Moamyn.
Si giunge dunque al centro dell’inchiesta condotta nel libro: la fortuna
del Novellino all’estero e, segnatamente, in Spagna. In Italia la raccolta
masucciana, raggiunto il ragguardevole traguardo di dodici edizioni in
poco meno di settanta anni, sembra poi eclissarsi, dopo l’inserimento
nell’Index librorum prohibitorum del 1557-59, ad eccezione unicamente della
tarda edizione della ‘Gatta’ (1565 o 1600) e dell’inserimento di novelle
masucciane nel florilegio novellistico allestito da Francesco Sansovino nel
1561. Proprio negli anni del tramonto italiano (in parte solo apparente,
come si è visto), essa conosce invece all’estero un’insospettata vitalità. Se
per l’Inghilterra si dispone di una traduzione (di una novella da parte di
Henry Parker, nel 1545), in Francia, dove pure un catalogo secentesco
segnalava una traduzione, dall’esistenza molto dubbia, di Jean Quinerit,
sicure tracce masucciane si ritrovano ne Les Comptes du Monde Adventureux,
nelle Cent Nouvelles Nouvelles di La Sale e nell’omonima raccolta di Philip-
pe de Vigneulles, e ancora, per limitarsi agli esempi più significativi, in un
episodio del Pantagruel rabelaisiano, influenzato dalla nov. XLI, nonché
nell’Heptameron di Margherita di Navarra, sulla conoscenza masucciana
della quale si suppone che abbia avuto un ruolo la biblioteca di Boffilo del
Giudice, destinatario dell’ultima novella di Masuccio, che fu esule per 40
anni in Francia e in contatto con l’ambiente di Navarra.
Alla presenza di Masuccio in Spagna è dedicato il quarto capitolo, che
occupa la metà di tutto il libro e ne costituisce l’onfalo tematico. Da una
parte, la studiosa distingue la sua ricezione diretta del testo, che pur in
assenza di una traduzione (realizzata invece per il Decameron e, parzial-
mente, per le novelle di Bandello e di Giraldi Cinzio), trova inoppugnabi-
li testimonianze materiali nella presenza di incunabuli del Novellino in an-
tiche biblioteche spagnole o nella triplice citazione dell’Index spagnolo,
che ne prova la diffusione; dall’altra, se ne individuano potenziali mezzi di
diffusione nella presenza in Spagna delle compagnie italiane di Comme-
dia dell’arte, che avevano precocemente adottato e adattato le novelle ma-
218 Segnalazioni

succiane; o nelle traversie della Biblioteca regia napoletana, dispersa dopo


la caduta degli Aragonesi di Napoli, ma in parte confluita nel Regno di
Valencia, quando Fernando, duca di Calabria ed erede della dinastia, vi si
insedia come viceré; ma forse soprattutto nella mediazione dell’antologia
sansoviniana. Come che sia, indubitabili «huellas masucciane» emergono
in numerosi autori spagnoli tra ’500 e ’600, come segnalato da sparse an-
notazioni della critica specialistica, che qui sono esaminate sistematica-
mente, discusse e sottoposte a diretta verifica, integrandole nel quadro
d’assieme che qui si ricostruisce, e guadagnando dunque un’attendibilità
nuova. Si parte dunque dalla valutazione delle agnizioni di lettura masuc-
ciane nelle raccolte di racconti: El patrañuelo di Joan Timoneda (1567), la
prima, secondo Menéndez Pelayo, a imitare la raccolta masucciana; le No-
velas en verso di Cristóbal de Tamariz (1580), in cui compaiono allusioni a
quattro novelle di Masuccio; El fabulario di Sebastián Mey (1613), che at-
tinge dall’Antologia sansoviniana, traducendo fedelmente l’ultima novel-
la della raccolta masucciana, già attualizzata dal canonico Francisco de
Tárrega nel 1599; i Sucesos y prodigios de amor di Juan Pérez de Montalbán
(1624), in cui si colgono più sottili riferimenti strutturali a Masuccio,
nell’impostazione moralizzante e nella divisione pentapartita delle varie
parti costitutive di ogni novella; Las Novelas amorosas y ejemplares (1637) e i
Desengaños amorosos (1647) di Maria de Zayas, la quale tuttavia «parece
haber invertido el propósito» (p. 145) di alcune novelle misogine masuc-
ciane, piegate all’elogio della discrezione muliebre (e alla speculare de-
nuncia dei cattivi comportamenti maschili); infine, le Novelas di Alonso de
Castillo Solórzano (1625-1649), che si nutrono in realtà di varie influenze
italiane, di cui è difficile valutare esattamente presenze e portata. Ancor
più significativa, del resto, si rivela la presenza di temi masucciani nel ge-
nere della Novela dell’Edad de oro, sin dal celeberrimo Lazarillo de Tormes, il
cui V tratado s’ispira alla IV nov. masucciana (e più in generale alle sue
diffuse tematiche anticlericali); El Cortesano di Luis Milán (1561), autore
vissuto alla corte valenciana del viceré Fernando, che presenta motivi del-
la nov. XXI; la novela morisca intitolata Historia del Abencerraje y la hermosa
Jarifa (più o meno coeva alla precedente), che esibisce vari parallelismi
con la nov. XLIX; e persino il Guzmán de Alfarache di Mateo Alemán, che si
rivela anzi una delle opere col maggior numero di tracce masucciane,
tanto in quattro novelas intercaladas (Ozmín y Daraja, ispirata alla nov.
XXXIX del Novellino, Dorido y Clorinia, alla XXII, Don Àlvaro de Luna, alla
XLI, Bonifacio y Dorotea, alla XXXII, già alla base della novela di Tamariz)
quanto nell’episodio de El robo de los bolsos; ma l’influenza dello scrittore
italiano si riverserebbe anche su elementi strutturali, come il racconto in
Segnalazioni 219

prima persona, la ricerca di un’illusione di verità e di esemplarità morali-


stica o ancora gli elementi satirici. Proprio l’analisi nelle novelas intercala-
das consente di apprezzare il metodo attuato da Diana Berruezo Sánchez:
attenta non solo a rintracciare ogni elemento concretamente probante,
ma anche ad evidenziare il cambio di paradigma cui gli elementi del testo
di partenza sono sottoposti in quello di arrivo, nel passaggio tra novella
italiana e romanzo moderno. La stessa istanza esemplare e moralistica,
dettata dalla raccolta masucciana (in particolare dalle sezioni di commen-
to che chiudono ogni singola novella, sotto la didascalia Masuccio), viene
ad esempio singolarmente reinvestita di senso, poiché «la voz del narra-
dor en Masuccio era autorial […] en el caso del Guzmán, teniendo al pica-
ro como actor-personaje- y moralizador-narrador, la crítica […] es mucho
más sutil y ambigua» (p. 167). Esempio di finezza interpretativa è anche la
spiegazione del mutamento nel finale della terza novela dell’happy ending
del prototesto, che nel Guzmàn si piega a un esito amaro, che in realtà,
secondo la studiosa, attualizza ed estrapola la vera morale che lo stesso
testo masucciano sottende, introiettandola direttamente nel tessuto narra-
tivo. Quello masucciano è insomma un «un potencial argumentativo que
se expande» (p. 180), confermato dall’analisi dell’influenza che la nov.
XVI esercita sull’episodio del ‘furto delle borse’.
L’ultima parte del capitolo compie un’esplorazione del peculio masuc-
ciano nel teatro aureo spagnolo, eleggendo come specimen di un’influenza
presumibilmente molto più larga Lope de Vega, che potrebbe aver cono-
sciuto Masuccio attraverso l’antologia di Sansovino o anche durante il suo
esilio a Valencia, che, come si è visto, rappresenta l’epicentro della sua
diffusione in Spagna. Si conferma dunque l’influenza delle novv. XLV e
XII masucciane su La francesilla, della XXIX su El galán Castrucho e in El
llegar en ocasión, della XXVI, forse attraverso Bandello IV, 25, su La viuda
valenciana, della XXXIII (la novella di Mariotto e Ganozza, che esitano attra-
verso Da Porto e Bandello in Romeo e Giulietta) su Castelvines y Monteses,
della XXXIX su Virtud, pobreza y mujer, e della XLVII sul solo dubitativa-
mente lopesco El alcalde de Zalamea, e su El mejor alcalde, el rey. Tematica-
mente simili ad alcune di queste ultime commedie sono anche Los bandos
de Verona di F. Rojas Zorrilla, e El alcalde de Zalamea di Calderón de la Barca,
che manipola le fonti in modo da ottenere un nuovo quadro unitario, in-
ducendo la studiosa a concludere che Masuccio offre un «esqueleto argu-
mental» (p. 209), che viene poi adattato dai singoli scrittori secondo pecu-
liari intenzionalità, in un processo di imitazione che è in realtà ri-creazio-
ne della fonte.
In sintesi, si tratta di uno studio che per certi versi evoca il più rigoroso
220 Segnalazioni

impianto della Stoffgeschichte comparatistica, nella sua volontà di ricostrui-


re in chiave europea, sulla base di solidi dati ed evidenze oggettive, la cir-
colazione di fonti, modelli e motivi letterari; tuttavia aggiornandosi a sug-
gestioni e metodologie affinate sulle più recenti prospettive intertestuali.
Un libro prezioso, insomma, e necessario, per l’iberista e il comparatista,
ovviamente, ma anche per l’italianista, agli occhi del quale ha il merito di
valorizzare la parabola misconosciuta del novelliere Masuccio, cui spetta il
merito di aver rilanciato su basi diverse da quelle decameroniane la pro-
gettualità e la strutturazione macrotestuale del genere novella (trovando
forse proprio in questo uno degli elementi fondamentali del suo lascito
successivo); ma anche di offrire un significativo specimen della dimensione
integralmente europea assunta dalla nostra letteratura.

Leonardo Terrusi

Dizionario degli editori, tipografi, librai itineranti tra Quattrocento e Seicento, coor-
dinato da Marco Santoro, a cura di Rosa Marisa Borraccini, Giuseppe Lipa-
ri, Carmela Reale, Marco Santoro, Giancarlo Volpato. Pisa-Roma, Fabrizio
Serra Editore, 2013, “Biblioteca di Paratesto”, voll. I-III, XXXII + 1244 + 32
p. (XXXII-376 + 8 vol. I; 377-840 + 16 vol. II; 841-1244 + 8 vol. III).

Il Dizionario si pone in un’ottica di ricerca di storia dell’editoria che in


questi ultimi anni va profondamente mutando. Fino agli anni Sessanta-Set­
tanta del Novecento le indagini in questo campo erano orientate, in parti-
colare, al primo periodo della storia del libro e rispondevano ad interessi
di carattere più che altro antiquario, incentrati sulla scoperta di edizioni
rare e su curiosità che spesso sconfinavano nel puro collezionismo o ave-
vano connotati prevalentemente bibliologico-eruditi. L’ingresso degli sto-
rici, determinò lo spostamento dell’attenzione verso il Settecento. Negli
anni Ottanta, quando in Italia era in atto un profondo processo di rinno-
vamento della ricerca che vedeva una rivisitazione degli studi sull’Illumi-
nismo, sotto la spinta dei lavori dei francesi Robert Darnton, Daniel Ro-
che, Roger Chartier, la storia del libro e dell’editoria trovò una sua dignità
storica fino a quel momento raramente riconosciuta. Da quel momento la
ricerca in Italia, grazie agli studi di Balsamo, Quondam, Petrucci, Santoro,
si indirizzò, prevalentemente, attorno al libro come mezzo di diffusione
delle idee e come strumento della politica culturale dei governi.
Restava ancora fuori l’altro aspetto del mondo dell’editoria che riguar-
dava il libro non solo, per dirla con Aretino, «mercanzia d’onore», ma an-
Segnalazioni 221

che «mercanzia d’utile». Il libro come merce e dunque soggetto alle regole
dell’economia e del commercio, controllate da uomini provenienti da pro-
fessioni altre rispetto quelle dell’intellettuale. Un tipo di indagine, questa,
molto più complessa sia per la molteplicità delle questioni che ne derivava-
no, sia per le difficoltà, più o meno rilevanti in quasi tutte le realtà italiane,
legate al reperimento delle fonti. Si trattava di mettere in luce quel vasto
reticolo economico, commerciale, gestionale, ma anche geoantropologi-
co, relativo al settore della produzione e della distribuzione, di tracciare
cioè le vicende delle variegate figure che giravano intorno al mondo del
libro che di volta in volta si incontravano o si scontravano, riflettendo
ognuno di questi aspetti, a volte anche in contrasto tra loro: tutti elementi
che fanno di questo tipo di ricerca un campo affascinante, per lo studioso
e per lo stesso lettore, ma anche difficile da ridurre in studi settoriali.
In quest’ottica opere, come il Dizionario, sono più che mai importanti
sia per gli storici del libro che per tutti i cultori dell’arte tipografica che,
da ora in poi, avranno a disposizione un utile strumento per individuare e
conoscere i tanti personaggi che, in vario modo, facevano parte del multi-
forme mondo dell’editoria in età moderna.
Il Dizionario è il risultato di una ricerca, estesa ed articolata, resa possi-
bile grazie ad un finanziamento PRIN, che ha coinvolto un ampio numero
di esperti. Il taglio dell’opera vuole sottolineare, in particolare, l’entità del
fenomeno dell’“itineranza” nella realtà tipografica italiana dall’avvento
della stampa a tutto il Seicento. Sono stati presi in considerazione sia sin-
gole personalità, sia famiglie di tipografi, editori o librai, sia società tipo-
grafico-editoriali (Marco Santoro, Introduzione, pp. XIV-XV); in tutto più
di 750 voci.
Si pone a questo punto il problema della definizione del termine “iti-
neranza”, anche perché un arco temporale così ampio, che va dalla nasci-
ta della stampa allo sviluppo e alla creazione di vere e proprie realtà tipo-
grafiche, tendenti a costituirsi come prime entità industriali, pone scenari
diversi, sia per le modalità che per le motivazioni degli spostamenti. Con-
scio delle «sue complesse e variegate connotazioni» (p. XXIII), Santoro ci
offre una definizione molto estesa: «sono stati reputati itineranti gli artieri
attivi in almeno due luoghi» (p. XXIV) e per le famiglie e le società tipo-
grafiche: «famiglie di artieri i cui componenti, trasferitisi dal luogo origi-
nario, siano risultati attivi in località diverse, sebbene singolarmente ab-
biano operato in un solo luogo» (p. XXIX).
Sappiamo che la caratteristica peculiare dei cosiddetti prototipografi
era appunto quella della itineranza, grazie alla quale l’arte della stampa si
era diffusa in tutta Europa con una rapidità incredibile. È parimenti noto
222 Segnalazioni

quanto fossero importanti, per gli eredi delle case tipografiche, i viaggi in
altre città al di fuori della propria azienda. Gli spostamenti, non di rado,
vedevano i giovani delle famiglie di stampatori fare le prime esperienze
nel mondo del libro instaurando rapporti di collaborazione che si poteva-
no tradurre in edizioni stampate in società con aziende presenti in realtà
diverse e distanti dalla casa madre. Altrettanto nota è l’abitudine, di singo-
li personaggi o di famiglie, di aprire o di avviare attività librarie o editoria-
li andando a coprire degli spazi dove ancora non si erano sviluppati centri
tipografici, rafforzando, così, la propria posizione e traendo vantaggi dalla
mancanza di concorrenza che permetteva di garantire commesse favore-
voli, instaurare ulteriori legami, espandere la propria sfera di attività.
La ricerca, condotta su fonti prevalentemente bibliografiche accurata-
mente verificate ed integrate, ove necessario, con ricerche archivistiche,
per chiarire o arricchire informazioni sulla biografia dei vari personaggi
(p. XXVII), contribuisce a spostare l’attenzione su temi ed aspetti ancora
poco esplorati ed apre la strada all’approfondimento di studi in grado di
colmare vuoti storiografici ancora esistenti e di rispondere a tante questio-
ni e curiosità che la consultazione dello stesso Dizionario suggerisce. È pos-
sibile infatti delineare una geografia dei siti tipografici ben più articolata
di quanto si possa pensare, definire meglio il rapporto dei singoli operato-
ri del libro con il territorio e individuare le direttrici dei flussi migratori.
Oltre ai ben conosciuti centri di sviluppo del libro e dell’editoria si deli-
nea una irradiazione delle attività tipografiche, librarie o editoriali, in re-
altà urbane limitrofe rispetto al centro principale, creando nuove attività,
a volte anche sporadiche, che, se considerate nel loro insieme, non posso-
no essere ignorate dalla ricerca.
Erano le stesse personalità che si erano affermate nella capitale (qui mi
riferisco in particolare al Regno di Napoli), che si spostavano nei centri
urbani limitrofi perché ingaggiati per la stampa di qualche edizione o
anche per iniziare una nuova esperienza. In provincia, più che a Napoli,
infatti, avevano la possibilità di essere gli unici stampatori dell’intera zona
per ogni genere di pubblicazione, dagli atti amministrativi ai testi religiosi,
dalle opere letterarie alle allegazioni forensi, fino alla letteratura politica.
Tra gli anni sessanta e novanta del Cinquecento, ad esempio, erano
presenti a Vico Equense sei operatori del libro provenienti da Napoli. Tra
questi vi erano stampatori come Giovanni Giacomo Carlino e Antonio
Pace. Costoro, nella cittadina della costiera sorrentina, presumibilmente,
prelevarono la bottega e le attrezzature del Salviani (voce p. 233) e lavora-
rono sia singolarmente sia, come accadeva anche a Napoli, in società tra
loro. Giovanni Giacomo Carlino era anche a Tricarico e a Gesualdo, men-
Segnalazioni 223

tre troviamo Antonio Pace a Nola e a Bari. Nel secolo successivo Ottavio
Beltrano, cosentino, che aveva creato nella capitale del Regno una avviata
attività tipografica, era anche a Sorrento nel 1637 e a Cosenza nel 1619,
mentre, alla fine del secolo, Antonio Bulifon e Giacomo Raillard stampa-
rono a Pozzuoli, considerata una piazza ove era più facile passare attraver-
so le maglie della censura libraria arcivescovile.
Allontanandosi da Napoli si affievolisce la presenza degli stampatori ed
editori della capitale. Le vie di comunicazione o ancora i rapporti commer-
ciali portarono, in Calabria o in Puglia, ma anche in Abruzzo e in Basilica-
ta, uomini provenienti da esperienze completamente diverse. La Calabria
era collegata principalmente alla realtà siciliana. Se Enrico Bacco e Ottavio
Beltrano iniziarono la loro attività a Cosenza per poi trasferirsi a Napoli,
Francesco Rodella, Giovan Battista Russo, Basilio Lombardo e Matteo La
Rocca, giunsero nella cittadina calabrese provenendo dalla Sicilia. Quanto
alla Puglia, ancora una volta i dati che si desumono dal Dizionario confer-
mano la specificità delle zone dell’area pugliese-adriatica, particolarmente
vivace per i contatti culturali ed economico-commerciali, attraverso l’adria-
tico, con la Repubblica di Venezia. Qui, infatti, troviamo ben sette centri
nei quali furono avviate attività tipografiche. Una buona parte di queste
sono da collegarsi alla presenza in terra pugliese di Lorenzo Valeri. Costui,
di provenienza romana, affiancandosi al tipografo Micheli di origine bor-
gognona, costituì la propria fortuna sulla parcellizzazione della sua impre-
sa su tutto il territorio (Bari, Barletta, Brindisi, Foggia, Taranto) creando
un sistema che durò per quasi un secolo (voce pp. 1032-1037).
Spunti tutti estremamente interessanti che fanno luce su caratteristiche
della storia del libro in Italia meridionale ancor poco studiate, dal momen-
to che, generalmente, la storia dell’editoria nel Mezzogiorno è stata iden-
tificata con le vicende editoriali dei grandi tipografi nella capitale del Re-
gno. Non vi è dubbio che le edizioni della maggior parte di questi stampa-
tori itineranti non potevano e non volevano essere testi destinati a suscita-
re l’interesse della repubblica letteraria italiana e tanto meno europea,
tuttavia bisognerà cercare di capire, da una parte, come queste microim-
prese, spesso a carattere precario e discontinuo, si relazionavano con il
mondo editoriale napoletano e, se e quanto, abbiano potuto contribuire a
creare, nel secolo successivo, i presupposti per la formazione di quella rete
di letterati che caratterizzò la provincia forse solo casualmente negli stessi
centri in cui si era stabilita una qualche parvenza di attività tipografica.

Maria Consiglia Napoli

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