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RiMe

Rivista dell’Istituto
di Storia dell’Europa Mediterranea
ISBN 9788897317289 ISSN 2035-794X
numero 17/1, dicembre 2016

Migrazioni regionali in Argentina: studi,


archivi e musei nel caso del Piemonte

Paola Corti - Carlotta Colombatto

DOI: 10.7410/1211

Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea


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RiMe, n. 17/1, dicembre 2016, pp.??
ISBN 9788897317289 ISSN 2035-794X
DOI 10.7410/1205

Special Issue

Migraciones peninsulares
contemporáneas españolas e italianas
hacia las regiones del Plata.
Problemas y perspectivas de anàlisis para
profundizar en su estudio

(1st Online International Workshop


20 de abril de 2016)

Coordinadores
Luciano Gallinari y Marcela Lucci
RiMe, n. 17/1, dicembre 2016, 223 p.
ISBN 9788897317289 ISSN 2035-794X
DOI 10.7410/1205

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Special Issue

Migraciones peninsulares contemporáneas españolas e italianas


hacia las regiones del Plata. Problemas y perspectivas de anàlisis
para profundizar en su estudio
(1st Online International Workshop, 20 de abril de 2016)

Coordinadores

Luciano Gallinari y Marcela Lucci

Indice

Ruy Farías 5-33


La presencia gallega en la Argentina: temas, desafíos teórico-metodológicos
y fuentes disponibles

Marcela Lucci 35-61


Nuevos documentos para la historia sociocultural española. Perspectivas
renovadoras para el estudio del asociacionismo catalán en Argentina
durante la primera mitad del siglo XX

Óscar Álvarez Gila 63-85


De una emigración regional a una colectividad nacional. Imagen y procesos
en la construcción identitaria de la diáspora vasca en el Río de la Plata

Nadia De Cristoforis 87-105


El Centro Gallego de Buenos Aires frente a la comunidad inmigrada, la
política española y el Estado argentino: crisis y oportunidades de expansión
del modelo mutualista
RiMe, n. 17/1, dicembre 2016, 223 p.
ISBN 9788897317289 ISSN 2035-794X
DOI 10.7410/1205

Luciano Gallinari 107-135


Un emigrante de lujo entre Argentina e Italia: Ferdinando Maria Perrone a
través de L’Amico del Popolo

Paola Corti - Carlotta Colombatto 137-151


Migrazioni regionali in Argentina: studi, archivi e musei nel caso del
Piemonte

Francesca Mazzuzi 153-189


Migrazioni regionali: riflessioni e proposte di ricerca da uno studio
sull'associazionismo sardo in Argentina.

María Soledad Balsas 191-213


Medios de comunicación, migraciones y ciudadanía. Italianos e ítalo-
argentinos residentes en Buenos Aires en el escena televisiva
(trans)nacional

Luciano Gallinari - Marcela Lucci 215-223


Una “lluvia de ideas” multidisciplinare a cavallo dell’Atlantico: il I
International Online Workshop Migraciones peninsulares
contemporáneas hacia las regiones del Plata
RiMe, n. 17/1, dicembre 2016, pp. 137-151
ISBN 9788897317289 ISSN 2035-794X
DOI 10.7410/1211

Migrazioni regionali in Argentina: studi, archivi


e musei nel caso del Piemonte

Paola Corti - Carlotta Colombatto


(Università di Torino
Museo regionale dell’ emigrazione piemontese)

Riassunto Abstract
Nello scritto si presentano i risultati degli This paper presents the results of the
studi sull’emigrazione piemontese e il loro studies about Piedmontese emigration and
peso nel dibattito della storiografia their weight on Argentinian historiography
Argentina; inoltre si illustra come, grazie debat; besides, it reports how – thanks to
alle ricerche promosse da enti pubblici e public and private financed researches –
privati, nella Regione si siano sviluppati many centers, archives and a Museum of
centri, archivi, e uno dei musei regionali regional migration have had the chance to
dell’emigrazione. Sul territorio esiste develop in Piedmont. In conclusion, on the
quindi un materiale di rilievo per lo studio territory we have really relevant materials
di questa importante area di arrivo. for the study of this important field.

Parole chiave Keywords


Migrazioni regionali, Piemonte, archivi, Regional migrations, Piedmont, archives,
musei. museums.

1. Premessa. - 2. Il caso piemontese: gli studi italiani e la discussione nella storiografia argentina. - 3. I
Centri di studio, gli Archivi e il “Museo regionale dell’emigrazione piemontese di Frossasco” - 4.
Bibliografia. - 5. Curriculum vitae.

1. Premessa

Questo scritto si propone di sollecitare la riflessione metodologica sul tema


delle migrazioni regionali italiane a partire dal caso piemontese, finora uno dei
più studiati grazie alle ricerche che già alla fine degli anni Settanta (e
soprattutto nel corso degli anni Ottanta del secolo scorso) sono state condotte a
livello individuale o, ancora più spesso, sono state promosse da enti e
istituzioni sia pubblici che privati.
È noto quanto le analisi regionali e locali abbiano avuto a loro tempo un ruolo
centrale nel rinnovamento della ricerca sull’emigrazione italiana, anche se è
Paola Corti - Carlotta Colombatto

solo da un decennio che si è arrivati a una ricostruzione storica adeguata


dell’esodo dalle diverse regioni italiane 1. Lo spostamento dell’ottica dal quadro
nazionale e dai dibattiti allora più accesi nel panorama storiografico del paese 2,
ha permesso infatti di individuare fonti e piste di indagine nuove per la ricerca
sui movimenti migratori. E proprio su questo aspetto si può affermare che il
caso del Piemonte si è rivelato pionieristico perché le indagini di taglio storico-
antropologico condotte su alcune aree locali o sub-regionali hanno consentito di
mettere in discussione alcune letture basate esclusivamente sul modello della
grande emigrazione nazionale (Corti, 1995, pp. 7-18). gli aspetti messi in luce
dalle ricerche sul Piemonte non solo hanno contribuito ad ampliare la
riflessione teorica sull’emigrazione nel nostro paese ma hanno offerto lo spunto
ad analoghe riflessioni negli studi dei più grandi paesi dell’immigrazione
italiana, per esempio nella storiografia francese, statunitense e argentina (Milza,
1993, pp. 413 e ss.; Devoto, 1994, pp. 33 e ss; Gabaccia, 2003, pp. 108 e ss.).
L’Argentina, in particolare, non solo è il paese oggetto di questa
pubblicazione, ma è anche quello in cui arrivarono gran parte dei piemontesi:
circa il 59% dei 2 milioni che emigrarono tra il 1876 e il 1927, durante la grande
emigrazione di massa (Corsini - Reginato, 1999, pp. 31-48). Nella stessa
Argentina si sono formate del resto tra le prime e le più attive associazioni di
mutuo soccorso fondate da emigrati piemontesi 3; e ancora oggi esistono, nello
stesso paese, istituzioni associative con legami assai duraturi con il Piemonte 4 e
con risvolti che aiutano a capire anche lo sviluppo dell’istituzione museale
regionale che affronteremo nella seconda parte di questo scritto. Nelle pagine
che seguono metteremo infatti in luce in primo luogo i risultati degli studi
sull’emigrazione piemontese e il loro peso nel dibattito della storiografia
Argentina; in secondo luogo illustreremo come, grazie alla promozione delle
pionieristiche ricerche da parte di fondazioni, enti pubblici e privati, sul
territorio regionale si siano sviluppati centri di studio, archivi, e anche il Museo
Regionale dell’Emigrazione dei Piemontesi nel Mondo di Frossasco. Grazie a questo
attivismo, dunque, e anche per i contributi forniti dai numerosi immigrati di
origine piemontese ormai residenti in Argentina, sul territorio della regione
esiste un materiale euristico particolarmente interessante per lo studio di questa
importante area di arrivo.

1 ‘Modelli di emigrazione regionale dall'Italia centro-settentrionale’ (2006); ‘Modelli di


emigrazione regionale dall'Italia’ (2007).
2 Per questi dibattiti si rimanda, tra le altre, alle seguenti rassegne e riflessioni metodologiche:

Corti, 1995, pp. 5-18; Sanfilippo, 2002, 2015.


3 Cfr. tra gli altri, Ostuni, 1992, pp. 303-310.

4 Per il caso delle associazioni femminili cfr. Tirabassi, 2010.

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Migrazioni regionali in Argentina

2. Il caso piemontese: gli studi italiani e la discussione nella storiografia argentina

Ma quali sono stati i risultati più significativi di queste ricerche? L’uso di una
pluralità di fonti, l’analisi microstorica e le caratteristiche migratorie delle zone
del Piemonte sulle quali si sono concentrate ricerche di ampie dimensioni, come
le aree alpine, prealpine e proto-industriali, hanno consentito di mettere a fuoco
la caratteristica di lunga durata di una mobilità territoriale che aveva antiche
radici, reti sociali e ampi itinerari spaziali. Dallo stesso osservatorio è emerso
inoltre come anche le aree di più radicata vocazione proto-industriale e non solo
le aree depresse montane, o rurali, fossero sede di varie forme di mobilità sia in
entrata che in uscita. È apparso così evidente quello che secondo le letture allora
prevalenti appariva come un paradosso, ossia la consolidata compresenza di
processi di emigrazione e immigrazione su uno stesso territorio. E così
l’esistenza di una pluralità di soggetti sociali coinvolti da sempre nella mobilità
(e cioè non solo contadini poveri ma anche proprietari, artigiani, mercanti ed
esuli religiosi), ha modificato le letture esclusivamente miserabiliste
dell’emigrazione. Anche il determinismo di una partenza considerata solo
obbligata dalla pura necessità, e diretta verso destinazioni casuali, è stato inoltre
messo in discussione dalla presenza di catene migratorie sia professionali, sia
familiari e territoriali, basate su estese e consolidate reti internazionali
(Castronovo, 1986).
Quest’ultimo, in particolare, appare oggi un elemento di maggior rilievo sul
piano interpretativo, perché proprio queste reti e le ricche corrispondenze
epistolari tra i rami familiari restati in Italia e quelli all’estero non solo sono
diventati la chiave di volta per una lettura relazionale e non territoriale dei
movimenti, ma hanno mostrato, ante litteram, la presenza di quei legami
transnazionali, messi in luce alcuni anni dopo dai migration studies
internazionali e considerati, in modo riduttivo, come un prodotto del mondo
globalizzato (Albera - Audenino - Corti, 2005). E infine, ma non ultimo per
importanza, da questi nuovi punti di osservazione è emerso il ruolo svolto nei
processi migratori dalle donne, soggetti allora già più studiati grazie alla
parallela affermazione della gender history, ma che sono apparsi in modo più
palese in queste aree migratorie per l’importanza dei soggetti femminili
nell’economia e nella società locali. Questo è accaduto in particolare in quelle
comunità alpine dalle quali gli uomini si assentavano per la tradizionale
emigrazione temporanea e nelle quali esistevano catene migratorie professionali
alimentate dalle stesse donne sia sul territorio regionale che all’estero 5.

5Per il ruolo femminile nelle aree alpine cfr. Valsangiacomo - Lorenzetti, a cura di, 2010; sul
caso piemontese cfr. i saggi di Corti, Audenino - Lonni in Corti, a cura di, 1990, n. 12; Audenino

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Paola Corti - Carlotta Colombatto

Questi caratteri dell’esodo in Piemonte sono serviti a mettere in discussione


quelle interpretazioni, prevalenti nella storiografia novecentesca sull’esodo
nazionale, che correlavano i movimenti migratori al solo momento della grande
emigrazione transoceanica, alle caratteristiche dello sviluppo capitalistico
italiano, alle modalità dell’unificazione del paese e alla politica dello stato
postunitario. La lunga durata temporale delle migrazioni interne e
internazionali, messa in risalto dagli studi su zone di antica vocazione
manifatturiera come il Chierese, il Pinerolese e il Biellese 6, hanno mostrato che
in Piemonte le migrazioni non sono nate solo dopo l’Unità e per gli effetti
dell’industrializzazione avviata dalla classe dirigente liberale e per le modalità
di sviluppo del capitalismo italiano. L’emigrazione nella regione, oltre ad avere
radici nell’ancien régime, ha investito soprattutto le aree della piccola proprietà
montana tanto nel più depresso Piemonte sud-occidentale, quanto nelle zone
manifatturiere, dalle quali si emigrava ma nelle quali arrivavano anche i
lavoratori attratti dagli opifici locali e provenienti sia da altre aree della regione
che dal Veneto. I flussi migratori in Piemonte, inoltre, come in altre aree
montane (Albera – Corti, a cura di, 2000), non coinvolgevano solo lavoratori
agricoli, come si è detto, ma anche artigiani, mercanti, maestri, professionisti,
che seguivano traiettorie interne e internazionali per esportare attività richieste
ovunque in quanto caratteristiche esclusive di certe località (Audenino, 1990;
Corti, 1990).
Non solo, ma nelle valli valdesi i profughi religiosi furono una dolorosa e
tragica costante fino all’editto albertino del 1848. Dopo quella data, del resto,
l’esodo da queste valli continuò, in modo volontario, lungo le rotte
dell’emigrazione economica dalla regione (Reginato - Vangelista, 2009, pp. 161-
182; Vangelista, 2009, pp. 103-111; Vangelista, 2010). E così gli esuli
risorgimentali, che erano stati accolti nella capitale sabauda nel periodo più
liberale (De Fort, 2010, pp. 227-250), emigrarono non solo nel Mediterraneo, ma
in Uruguay e in Argentina, non diversamente da quanto registrato in altri stati
preunitari della penisola 7.
Tutte queste forme di mobilità, presenti già in passato, assunsero una
dimensione di massa alla fine dell’Ottocento quando, con l’apertura delle rotte
transoceaniche, il Piemonte fu tra le prime regioni ad alimentare la grande

e altre, 1999; per recenti rassegne sul caso italiano: Tirabassi, 2011, pp. 153-170; Corti, 2013, pp.
63-80.
6 Cfr., tra gli altri, tra i primi casi esaminati: Corti - Lonni, 1986, pp. 65-68; e quelli sulle altre

aree, contenuti nel volume collettaneo Migrazioni attraverso le Alpi occidentali. Relazioni tra
Piemonte, Provenza e Delfinato dal Medioevo ai nostri giorni.
7 Cfr. Bistarelli, 2011; cfr. inoltre il numero monografico dedicato a ‘Risorgimento ed

emigrazione’, Archivio storico dell’emigrazione italiana, 9 (2013).

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Migrazioni regionali in Argentina

emigrazione 8. Quei movimenti tradizionali, che prima avevano una direzione


prevalentemente interna ed europea, ora si orientarono verso i paesi del nuovo
mondo. In altri termini, i flussi di massa tardo-ottocenteschi ampliarono solo le
traiettorie geografiche delle vecchie forme di mobilità e, in continuità con i
precedenti, mantennero le forme organizzative interpersonali sperimentate da
lunga data. Quella che è stata definita, a partire dal caso del Biellese, la “cultura
della mobilità” (Ramella, 1986, cit. pp. 311-361), ossia la consuetudine
plurigenerazionale alla migrazione nelle famiglie o nelle organizzazioni di
mestiere, fu all’origine alla base della formazione delle catene migratorie basate
sui legami personali, familiari, professionali e territoriali (Corti, 2015, pp. 39-51).
Queste catene – assieme ad altre caratteristiche del caso piemontese di
immigrazione (già oggetto di una ricca mostra promossa a suo tempo proprio
dal Centro Estudios Migratorios Latinoamericanos (Cemla, 1990) – sono diventate
oggetto di analisi, discussione e comparazione nella stessa storiografia
argentina. E ci riferiamo in particolare agli studi di Devoto, sia alle sue già citate
riflessioni teoriche del 1991, elaborate nel corso delle lezioni all’Istituto di Studi
storici di Napoli (Devoto, 1994), sia alle analisi mirate sulle cadenas migratorias,
pubblicate poi in vari saggi tanto in Argentina che in Italia e confluite poi nei
suoi volumi di sintesi sull’immigrazione nel grande paese sudamericano 9.
Ma, sia altre analisi più mirate sulle stesse catene, sia riflessioni critiche o
rassegne, sia ricerche comparative riferite al Piemonte, sia studi riguardanti i
comportamenti quotidiani e collettivi di singole catene migratorie piemontesi,
sono stati accolti più sporadicamente in opere collettanee sull’immigrazione in
Argentina (Míguez, 1988, pp. 81-106), e in modo più continuativo dalla rivista
Estudios Migratorios Latinoamericanos nel corso della sua più che trentennale
pubblicazione 10. E così altri temi, come l’associazionismo, assai presente negli
studi di Devoto e nella storiografia argentina in genere, ha avuto spesso come
riferimento l’esperienza dei piemontesi che, come si è detto, furono tra i pionieri
nelle associazioni italiane di differenti quartieri di Buenos Aires e di altre città,
comprese le organizzazioni imprenditoriali 11.
Le precoci reti sociali sovranazionali degli emigranti sono state infine
individuate grazie alla pubblicazione, nel 1988, del carteggio dei Sola, una
famiglia di imprenditori biellesi emigrati a Buenos Aires. Pubblicato in lingua
inglese dallo storico Franco Ramella e da Samuel Baily, il più noto studioso
statunitense dell’emigrazione italiana in Argentina (Baily - Ramella, 1988),

8 Per il caso della Val di Susa cfr. Jannon, 1993.


9 A partire dal numero monografico ‘Las cadenas migratorias italianas a la Argentina’, Estudios
Migratorios Latinoamericanos, 8 (1988) a : Devoto, 2003; Devoto, 2006.
10 Tra gli altri si vedano Devoto, 1993; Maluendres, 1994; Corti, 1997.

11 Tra i primi contributi si vedano: Prislei, 1987; Barbero - Felder, 1987.

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Paola Corti - Carlotta Colombatto

questo carteggio è diventato, nella letteratura internazionale sull’emigrazione


italiana, l’esempio di come i legami transnazionali si rivelassero già nei primi
anni del Novecento nella rete di rapporti epistolari, di informazioni e
pettegolezzi che legavano al territorio di origine i soggetti di una stessa famiglia
dispersi in differenti stati del mondo (Baily, 2005, pp.43-70; Ceva, 2005, pp. 505-
530).

3. I Centri di studio, gli Archivi e il “Museo regionale dell’emigrazione piemontese di


Frossasco”

La proiezione internazionale del caso piemontese ha trovato avvio, nel 1989,


grazie al convegno promosso dalla Fondazione Sella per presentare e discutere i
risultati della grande ricerca varata già all’inizio degli anni Ottanta su tutto il
territorio sub-regionale e in tutti i paesi esteri di arrivo dei biellesi (Castronovo,
a cura di, 1986-2000). E proprio a partire dal ricco materiale documentario
raccolto dai ricercatori (fotografico, autobiografico, letterario e visivo), l’archivio
conservato presso la Fondazione Sella è diventato uno dei primi punti di
riferimento per la ricerca sull’emigrazione nella regione, assieme ad altri non
meno importanti centri di documentazione presenti nello stesso Biellese e in
diverse aree regionali.
Tra questi, uno dei più importanti è sicuramente nel Cuneese, un’altra delle
zone caratterizzate dalla presenza di una radicata mobilità e di una forte
incidenza dell’emigrazione di massa tardo ottocentesca. Si tratta della
Fondazione Revelli, nata nel 2006 per conservare le interviste raccolte e in parte
pubblicate da Nuto Revelli nei notissimi volumi editi da Einaudi nel 1977 e nel
1985. Nello stesso Cuneese, del resto, non solo esistono centri di studio sulla
cultura del territorio, che al loro interno conservano raccolte di materiali
sull’emigrazione in Argentina 12 ma già nel 1992, presso la sede della Provincia
di Cuneo, è stato costituito (e fondato proprio da una studiosa argentina), un
Archivio storico dell’emigrazione (Cerutti, 1992, p. 150). Oltre che nei più grandi
bacini dell’emigrazione regionale, anche in altre sedi con una minore incidenza
del fenomeno migratorio, diverse associazioni hanno dato inoltre vita a
pubblicazioni mirate sull’immigrazione locale in Argentina 13. La stessa Regione
Piemonte, del resto, nella seconda metà degli anni Novanta ha varato un’ampia
ricerca storico-bibliografica, che già allora comprendeva quasi tremila titoli, tra

12 Tra gli altri, l’associazione culturale L’Arvangia, promossa da Donato Bosca nelle Langhe, ha
promosso varie pubblicazioni con raccolte di interviste a piemontesi in Argentina. Cfr. tra le
altre: Bosca, Donato (2002).
13 Cfr, tra le più recenti, Libert, 2005.

142
Migrazioni regionali in Argentina

volumi, articoli, saggi, o opuscoli di varie dimensioni. 14. Mentre più di recente è
stato il Centro Altreitalie, con sede a Torino fin dall’inizio degli anni Novanta15, a
promuovere la raccolta e la pubblicazione di un ampio materiale di interviste a
donne di origine piemontese (Tirabassi, 2010).
A tutto questo va poi aggiunto quanto è stato realizzato a livello museale
quando, a cavallo tra i due millenni, l’interesse per la museografia, e per quella
delle migrazioni in particolare, ha conosciuto un momento di forte rilevanza sia
in Italia che all’estero 16. Nel nostro Paese tale attenzione è forse da imputare non
solo al contemporaneo dibattito istituzionale relativo al ruolo e alle
caratteristiche del museo in quanto tale (Bertuglia - Bertuglia - Magnaghi, 1999;
Jallà, 2000), ma anche alla parallela riflessione concernente il possibile rapporto
tra questa istituzione e l’analisi dei fenomeni migratori (Colucci, 2007, pp. 721-
728; Corti, 2013, pp.115-131). In quel periodo, infatti, se da un lato poteva forse
dirsi concluso un percorso legislativo volto a sottolineare il ruolo del museo
quale ente in grado di svolgere un ruolo attivo nel territorio in cui era inserito,
dall’altro prendevano forma – o venivano programmate – diverse realtà di
questo tipo incentrate però sul fenomeno migratorio 17. Nell’ultimo decennio,
purtroppo, il numero di proposte fatte in tal senso si è assottigliato fino ad
esaurirsi del tutto, come è noto, anche per la crisi economica che ha colpito il
mondo occidentale.
Sta di fatto che in Piemonte vi sono oggi solo due musei dedicati al fenomeno
migratorio: il già citato Museo Regionale dell’Emigrazione dei Piemontesi nel Mondo,
con sede a Frossasco (TO), e il Museo dell’Emigrante, istituito a Roasio (VC), nel
Biellese. Colpisce il numero piuttosto esiguo di strutture museali che affrontano
tale tema, soprattutto se messo a confronto con la stima complessiva di musei
etnografici, che nella regione sono ben 282. Occorre tuttavia ricordare, per
inciso, che l’aggettivo “etnografico” “rimanda a una prospettiva disciplinare e
fa riferimento all’attenzione particolare verso mondi “altri” e locali; verso storie,
patrimoni, collezioni, radicati in specifiche comunità” (Favole - Padiglione,
2015, p. 17). Si tratta quindi di una categorizzazione in cui a buon diritto far
rientrare anche le realtà incentrate sul fenomeno migratorio.

14 Pubblicata dalla stessa istituzione regionale e corredata di un Cd, attraverso mirate parole
chiave la ricerca permette di identificare gli studi esistenti non solo secondo l’ordine alfabetico e
l’argomento, ma anche in base alle aree migratorie di partenza e alle maggiori mete di arrivo
all’estero, compresa, ovviamente, l’Argentina. Cfr. Reginato - Audenino - Corsini - Corti, 1999.
15 Dapprima presso la sede della Fondazione Agnelli, e ora presso quella della Fondazione

Einaudi
16 Viet, 2005; Dewitte, 2005; Magnani, 2006; Tirabassi, 2009; ‘L’immigration dans les musées.

Une comparation internazionale’, numero monografico di Hommes & Migrations, 1293 (2011).
17 Per un bilancio quantitativo, cfr. Lombardi - Prencipe, a cura di, 2008.

143
Paola Corti - Carlotta Colombatto

Troviamo sia interessante sottolineare in questo senso, che anche in Piemonte


i musei etnografici considerati più “tradizionali” – ovvero quelli della civiltà
contadina – fanno spesso riferimento proprio alla migrazione di una parte dei
componenti la comunità locale (Clemente, 2007, p. 762-769). Si tratta quindi di
istituzioni utili anche per lo studio del problema migratorio che è oggetto di
questa rivista. Si pensi ad esempio al Museo dello Spazzacamino di Santa Maria
Maggiore (VB), o al Museo dei Pels di Elva (CN) 18. Sono entrambi dedicati a un
particolare mestiere itinerante, che portava la controparte maschile del paese a
emigrare per lunghi periodi dell’anno. Questi musei mettono quindi in luce la
già richiamata peculiarità locale correlata alla lunga durata dell’emigrazione
maschile e alla stanzialità femminile. Ci riferiamo in particolare a quelle che a
suo tempo sono state definite le “società parziali”, ossia le realtà quasi
esclusivamente femminili delle donne che restavano in Piemonte e quelle
esclusivamente maschili degli uomini che partivano per varie destinazioni
all’estero (Albera - Audenino - Corti, 1991). A questo si deve infine aggiungere
che alcuni ecomusei presenti in determinati territori, per esempio l’Ecomuseo
della Valle dell’Elvo e Serra, nel Biellese, hanno promosso studi e ricerche
sull’emigrazione locale e sono quindi dotati di un patrimonio documentario
sull’emigrazione (in gran parte pubblicato) con una forte presenza di documenti
autobiografici riguardanti l’Argentina 19.
Rispetto, invece, alle istituzioni museali più marcatamente dedicate al
fenomeno migratorio in Piemonte 20, il Museo Regionale dell’Emigrazione dei
Piemontesi nel Mondo di Frossasco, è stato inaugurato nel 2006 grazie alla
collaborazione della Regione, della Facoltà di Economia dell’Università di
Torino, dell’Azienda Turistica Montagnedoc, del Comune di Frossasco e di altri
Enti e Fondazioni. La struttura, ospitata in un edificio messo a disposizione
dall’amministrazione comunale, può essere considerato il frutto di oltre
trent’anni di contatti e di viaggi posti in essere da un’omonima associazione
culturale che ha molteplici legami con i piemontesi nel mondo e in particolare
con l’Argentina. L’associazione, con il museo, ha inteso

18 Si tratta di due mestieri che caratterizzavano l’emigrazione da due aree alpine della regione: il
primo nella nord-occidentale Val Vigezzo e il secondo, dedicato ai raccoglitori di capelli, nella
meridionale Val Maira, area occitana della regione.
19 Cfr. i due volumi di testimonianze: Storie di emigrazione dalla Valle dell’Elvo e Serra, Occhieppo

superiore, Ecomuseo dalla Valle dell’Elvo e Serra, 2004; e Cinotto, a cura di, 2005.
20 Il già citato Museo dell’emigrante di Roasio è stato fondato nel 2001. Dal 2010 ha sede nella ex

scuola elementare nella frazione Sant’Eusebio e raccoglie una vasta documentazione cartacea e
visiva. Poiché una folta catena migratoria di questa comunità, già da fine Ottocento, si è diretta
in prevalenza in Africa (Nigeria, Ghana, Congo belga), la documentazione più ricca, unita a un
non meno consistente patrimonio di oggettistica, riguarda proprio questo continente.

144
Migrazioni regionali in Argentina

riconoscere il significato e il valore di un fenomeno storico, sociale e culturale


importante, dalle mille sfaccettature, che ha interessato milioni di persone,
epoche diverse, regioni e campanili di tutta Italia (Colombino, 2007, p. 710).

All’interno della struttura, l’attenzione alla migrazione verso il grande paese


sudamericano ha ricoperto da sempre un ruolo non secondario, non soltanto
perché essa è ricordata nell’esposizione permanente come uno dei fenomeni che
maggiormente hanno interessato il Piemonte, ma anche perché è possibile
approfondire lo studio sul caso argentino consultando il Centro di
Documentazione ospitato nel Museo. Nel fondo esistono circa tremila documenti
con libri, tesi, giornali e video dedicati anche all’esodo verso l’Argentina.
Nella seconda metà del 2015, infine, è stato designato il nuovo Comitato di
Gestione del Museo, al quale spetta la definizione della programmazione
culturale, didattica e scientifica della struttura. I componenti di questo
organismo intendono operare al fine di incrementare la fruizione del Museo, le
sue strategie di comunicazione verso l’esterno e le attività culturali da porre in
essere. A riguardo, una delle prime azioni intraprese dal gruppo è stata la
definizione di un Comitato Scientifico composto da personalità provenienti dal
mondo accademico, in questo colmando un vuoto di rapporti tra ricerca
scientifica e musei dell’emigrazione “di provincia” che già studi precedenti
avevano lamentato (Franzina, 2007). La migrazione verso l’Argentina non solo
continuerà a ricoprire un ruolo consistente nelle progettualità didattiche e
culturali del Museo, ma sarà anche trattata grazie al contributo fornito dal
nuovo Comitato Scientifico. In questo, infatti, oltre a noti esponenti della
comunità scientifica dedita allo studio delle migrazioni italiane e internazionali,
sono presenti non meno noti studiosi dell’America Latina.
In questo momento, tra le sue varie attività, la struttura di Frossasco sta
attivamente collaborando alla stesura di una tesi di laurea in Scienze
internazionali centrata sullo studio del flusso migratorio dei piemontesi a
Buenos Aires. Al riguardo, il Museo non solo fornisce e ha fornito numerose
indicazioni bibliografiche, ma sta anche operando al fine di tessere i contatti che
permettano allo studente di soggiornare in Argentina e condurre in loco la sua
ricerca. Si tratta di un’indagine sia di tipo storico, perché analizza sul piano
diacronico le influenze della cultura italiana sul contesto locale, sia di taglio
antropologico, perché mette a fuoco i legami istituzionali che, tramite i
gemellaggi, uniscono numerose cittadine argentine e piemontesi. Il museo, con i
suoi molteplici legami con associazioni argentine, costituisce inoltre un punto di
partenza importante per una ricerca che affronta da vicino vari temi, come
l’identità regionale in emigrazione, che sono molto presenti nell’interesse e nella
programmazione dell’istituzione.

145
Paola Corti - Carlotta Colombatto

Questo, ovviamente, è solo un esempio delle progettualità scientifiche e


culturali che il Museo intende sviluppare grazie al contributo del citato
comitato scientifico. Il nuovo orientamento, infatti, è volto a fare dell’istituzione
un luogo di ricerca, oltre che un centro vivo, attivo, dinamico, in grado di
fornire alla comunità locale gli strumenti per interpretare criticamente il
fenomeno migratorio in tutte le sue varianti, come quello della immigrazione.
Un evento, questo, che non solo ha caratterizzato il Piemonte in tutta la sua
storia, tanto nell’ambito dello stato sabaudo quanto in quella del nuovo stato
unitario, ma continua a interessare tuttora la regione per il forte protagonismo
assunto anche qui dai nuovi migranti in partenza e in arrivo. Si tratta di giovani
e di altre categorie di lavoratori che ancora oggi hanno talora come sede di
origine, o di arrivo, la stessa Argentina 21.

4. Bibliografia

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21Per l’inquadramento puntuale del fenomeno si rimanda agli annuali Rapporti pubblicati dalla
Fondazione Migrantes negli ultimi dieci anni; per una sintesi storico-demografica recente si
veda Bonifazi, 2013; sulla mobilità all’estero dei giovani italiani cfr. Tirabassi - del Prà, 2014.

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Migrazioni regionali in Argentina

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Prospettive per una storia delle montagne europee XVIII-XX secc. Milano: Franco
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5. Curriculum vitae

Paola Corti, già professore ordinario di Storia contemporanea (Università di


Torino), attualmente è vicepresidente del Forum internazionale ed europeo per
le migrazioni (FIERI) e fa parte dei comitati scientifici del Museo regionale
dell'emigrazione Pietro Conti, del Museo regionale dell’emigrazione piemontese
e delle seguenti riviste: Altreitalie; Archivio storico dell'emigrazione italiana, Studi
Emigrazione. Ha fatto parte del comitato scientifico per l’istituzione del Museo
Nacional de la Inmigración di Buenos Aires. Tra i suoi ultimi volumi Migrazioni.
Annale 24. Storia d’Italia, Einaudi, 2009 (con Sanfilippo); Storia delle migrazioni
internazionali, Laterza 2010 (IV ed); Tariikh al-hijraat al-duwaliyya, Abu Dabi,
Kalima, 2011; L’Italia e le migrazioni, Laterza, 2012 (con Sanfilippo); Temi e
problemi di storia delle migrazioni italiane, Sette Città, 2013.

Carlotta Colombatto ha conseguito il Dottorato di ricerca in Scienze


Antropologiche presso l’Università degli Studi di Torino, dove ha svolto
ricerche sui musei etnografici piemontesi. Attualmente è la conservatrice del
Museo Regionale dell’Emigrazione dei Piemontesi nel Mondo, con sede a
Frossasco (TO). Colombatto si è laureata con lode in Antropologia culturale ed
Etnologia presso l’Università degli Studi di Torino. Successivamente ha
conseguito il diploma presso la Scuola di Specializzazione in Beni
Demoetnoantropologici promossa dall’Università degli Studi di Perugia. Allo
stesso tempo Carlotta Colombatto ha lavorato ad alcuni progetti di ricerca tra
cui “Musei etnografici e beni DEA in Provincia di Cuneo. Dall’identità alla
creatività”, promosso dall’ex Dipartimento di Scienze Antropologiche,
Archeologiche e Storico Territoriali dell’Università di Torino, e l’Interreg
“E.CH.I. Etnografie italo-svizzere per la valorizzazione del patrimonio
immateriale”, nel quale ha fatto parte di un’équipe di ricerca promossa dalla
Regione Piemonte.

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