Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Meridionali e Resistenza
Il contributo del Sud alla lotta di
Liberazione in Piemonte
1943-1945
indice
Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 5
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 7
Due storie esemplari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 9
Tante storie, una storia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 13
Profili di alcuni comandanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 21
I caduti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 30
Luoghi di memoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 34
Nella resistenza in città . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 37
I deportati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 41
Memorie partigiane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 43
Nella letteratura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 46
Il dopoguerra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 48
Appendice. Elenco dei partigiani meridionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 51
4
5
Presentazione
Questo pubblicazione è stata realizzata con il contributo di tutti gli Istituti della Resistenza
del Piemonte ed ha come obiettivo di promuovere una ricerca sull’apporto di quei giovani e
meno giovani del Sud Italia che fecero parte con ruoli e responsabilità diverse del movimento di
Liberazione nella nostra regione. Le celebrazioni per il 150 anniversario dell’Unità d’Italia,
che in Piemonte hanno avuto un’eco particolarmente intensa ed estesa, hanno ridato spinta ad
una riflessione sul complesso rapporto nord sud che ha caratterizzato la storia del nostro paese.
L’insieme di questi approfondimenti ha certamente accresciuto la conoscenza delle vicende del
percorso unitario e la consapevolezza dei problemi, che l’hanno caratterizzato. La mostra
“Fare gli Italiani” ospitata alle OGR di Torino ha rappresentato bene questo percorso, le scelte
compiute, le difficoltà superate e le questioni ancora aperte. La discussione che ha accompagnato
le molte iniziative locali e nazionali ha segnato dei punti significativi di approfondimento, di
conoscenza, in qualche caso anche di polemico confronto, sempre accettabile quando aiuta a
vedere strade e approcci nuovi; meno quando, e qualche caso c’è stato, l’ interpretazione nello
sforzo di affermare sconvolgenti novità, si rivela tanto clamorosa sul piano mediatico quanto
debole sul piano della ricerca.
Va tuttavia segnalato che il passaggio per molti versi epocale del 1943-1945 rispetto alla
tematica unitaria è risultato sfocato, condizionato negli esiti da alcune scelte limitative sia
nelle risorse sia nella progettazione per un’esplicita volontà politica di contenere quegli aspetti
del discorso unitario che avrebbero potuto proiettarsi in avanti verso tempi a noi più vicini.
La nostra regione si è sottratta a questo condizionamento promuovendo a conclusione delle
manifestazioni per l’unità d’Italia il convegno tenutosi a Torino, nella sede del Consiglio
regionale, il 24-25 novembre 2011, Un secondo Risorgimento? La Resistenza nella
ridefinizione dell’identità regionale , di cui recentemente sono usciti gli atti con il titolo
Resistenza e autobiografia della nazione. In linea con queste iniziative e facendo
tesoro delle discussioni sviluppate in quelle sedi si è pensato di provare a riprendere il discorso
sull’apporto del meridione d’Italia a quello che precocemente, e soprattutto le componenti
moderate, avevano definito come il secondo Risorgimento. Non che nel tempo siano mancati
riferimenti, studi, approfondimenti su questo o quell’aspetto della presenza di meridionali
nelle attività della resistenza, né sono mancati i riferimenti a personaggi di primo rilievo sia
per l’attività politica, sia per l’attività militare. Ma uno studio di insieme che faccia percepire
la dimensione del fenomeno e la sua articolazione dentro le formazioni partigiane e dentro la
società piemontese del tempo non è ancora disponibile. Di qui l’idea di questa pubblicazione
che vuole segnalare da un lato alcuni termini della questione, fornire qualche dato e indicazione
di percorso, ricordare qualche personaggio, stimolare qualche curiosità, il tutto nella speranza
di poter dare avvio ad un processo virtuoso che porti a imboccare la strada della ricerca.
Coinvolgendo le risorse degli Istituti piemontesi che sono disponibili, avendo già elaborato alcuni
6
Roberto Placido
Vicepresidente del Consiglio regionale del Piemonte
7
Introduzione
Migliaia di giovani provenienti dalle regioni del sud d’Italia hanno partecipato alle
vicende della resistenza piemontese con ruoli diversi: da quelli di primo rilievo nel
comando e nella guida del movimento ai più oscuri e semplici militanti. Quella
scelta ha comportato costi elevati, sacrifici per tutti e per molti anche il prezzo
della vita. Le loro storie sono poco conosciute. Per tante ragioni: le difficoltà
del dopoguerra, il ritorno nelle famiglie che avevano lasciato anni prima e di cui
non sapevano nulla, la fatica quotidiana per sopravvivere in un’Italia impoverita
dalla guerra, la ricerca di un lavoro. Inoltre il clima politico di quegli anni,
condizionato dal più generale clima della guerra fredda, rese presto difficili le
cose per chi aveva compiuto la scelta di portare le armi per la libertà del proprio
paese. Non si può dire che siano mancati i tentativi di ricordare ed elaborare
quell’esperienza: memorie di singoli, alcune di notevole qualità, ed anche risultati
di ricerca interessanti su aspetti specifici. È tuttavia mancata una visione di
insieme per cui sia lo sguardo da nord, sia quello da sud non sono riusciti a
farne cogliere la rilevanza e collocarla nella sua giusta dimensione né nella storia
della resistenza italiana, né nella storia del nostro paese. Ancora recentemente le
discussioni alimentate dal 150° anniversario dell’unità d’Italia non hanno dato
risalto a quelle che è forse una delle esperienze più significative del rapporto
nord sud dall’unità in poi. L’esperienza certo di una minoranza, ma per qualità
e anche per quantità un passaggio di primo rilievo all’interno del percorso di
rifondazione che l’Italia conosce negli anni della guerra e del dopoguerra.
Sulle ragioni di questa scarsa attenzione ci sarebbe molto da riflettere e da
fare. Questo iniziale contributo che la Regione Piemonte e gli Istituti storici
della Resistenza piemontesi offrono alla riflessione pubblica e all’attenzione di
persone, enti locali ed enti culturali interessati, soprattutto nelle nostre province
meridionali, ha come obiettivo primario quello di non lasciare cadere nell’oblio
pagine importanti di una memoria collettiva, e di dimostrare che pure a distanza
di molti anni da quegli eventi è possibile trovare il modo per avvicinarli e farli
entrare a pieno titolo nella nostra comune storia.
Nelle pagine che seguono vengono presentati alcuni spunti, suggeriti alcuni
percorsi senza pretesa di completezza, per ritornare su quelle vicende e per
segnalare insieme il significato e l’importanza di completare un lavoro di
conoscenza come un atto dovuto nei confronti di migliaia di italiani del nostro
sud e dell’intero paese.
8
9
serma Baggio di Milano. Qui lo sorprende l’8 settembre e a fatica riesce a sottrarsi
alla cattura da parte dei tedeschi che occupano la città.
“Abbiamo scavalcato il muro di cinta e ci siamo dispersi per la zona. Alcuni amici di Galla-
rate mi avevano accompagnato a Domodossola per farmi passare in Svizzera, ma ero titubante
se varcare o meno il confine. Sono rimasto un paio di giorni a Domodossola, pensando a mia
madre, sola a casa con diversi fratelli. Mio padre era sceso in Puglia a prendere le due figlie più
giovani, ed era rmasto bloccato dalla guerra, al di là del fronte, con noi dall’altra parte, mia
mamma con quattro figli. Allora sono tornato a casa a Torino ...”
Michele rientra in fabbrica finchè i bandi della Repubblica sociale non lo chia-
mano a prendere servizio nel nuovo esercito fascista. Trascorso qualche tempo
inattivo in caserma, decide di disertare e in febbraio 1944, attraverso un contatto
della sua fabbrica sale in montagna tra le formazioni della Val Sangone, una valle
a ovest di Torino. La banda di cui fa parte ai Morelli cresce rapidamente e avrà
come comandante il marchese Felice Cordero di Pamparato (il Campana), un
ufficiale monarchico e antifascista, che guiderà la brigata fino alla sua morte per
impiccagione a Giaveno il 17 agosto 1944. Il comando della formazione passerà
al comando del professore universitario e medico Guido Usseglio (il Prufe) e
come tutte le formazioni della Val Sangone avrà una intensa attività militare per
contrastare tedeschi e fascisti, che non potevano accettare che una valle così vi-
12
cina a Torino fosse controllata dai partigiani. Michele si distinguerà per coraggio
e capacità così da assumere il comando di una delle cinque squadre della brigata.
Il violento rastrellamento della fine di novembre 1944 costringerà le formazioni
a scendere in pianura, a suddividersi e a mimetizzarsi. Michele rientra per un
periodo in città nascosto in varie case. Ristabiliti i contatti si decide di spostare il
grosso della formazione nel Monferrato, nel territorio di Chieri, dove la Brigata
si riorganizza, cresce di numero e per l’attività del comandante Usseglio si costi-
tuisce in Divisione legata a Giustizia e libertà. La nuova formazione che prende
il nome di Campana in onore del suo primo comandante, parteciperà alla libe-
razione di Torino, occupando in centro città la sede del fascio, il Palazzo che da
allora sarà per tutti Palazzo Campana e che diventerà la sede dell’Università nota
per le vicende del movimento studentesco torinese nel ’68 .
Michele riprenderà il suo mestiere in fabbrica finché verrà chiamato, in seguito
ad una vicenda che aveva coinvolto un suo partigiano, dal questore di Torino,
Giorgio Agosti, a svolgere attività presso il gabinetto della questura. Riprenderà
gli studi e infine si dedicherà ad attività commerciali, mantenendo sempre i col-
legamenti con i compagni di quella che era stata per lui una scelta di vita.
La vicenda di Nunzio e di Michele non sono che due esempi dei percorsi che
migliaia di altri ragazzi si trovarono ad affrontare. Percorsi intrecciati, ma diffe-
renziati rispetto ai quali si possono indicare alcuni esiti immediati e più frequenti:
la cattura e la deportazione come IMI nei campi di raccolta in Germania; l’occul-
tamento presso famiglie piemontesi, soprattutto nelle campagne, dove una parte
di loro trova rifugio e sostituisce le braccia che la guerra ha portato via; l’entrata
nelle formazioni partigiane o la presentazione ai comandi tedeschi e fascisti. Va
subito detto che questi possibili esiti possono evolvere nel tempo in situazioni
assai diverse e mutevoli in relazione allo stato di precarietà e incertezza che ca-
ratterizza la condizione degli sbandati.
Ma il dato che si vuole sottolineare è che questa complessità di percorsi com-
porta per tutti i giovani, ed in modo ancora più pesante per i giovani meridionali
sbandati, un elemento di rischio più elevato rispetto ai compagni di origine cen-
tro settentrionale perché nel contesto in cui si muovono hanno meno strumenti
e risorse, a cominciare dalle relazioni personali e famigliari, per ridurre il rischio
che ogni scelta comporta.
Nelle pagine seguenti cercheremo di offrire alcuni dati per avvicinare il fenome-
no complessivo e poi fornire alcuni esempi di questi destini incrociati.
Iniziamo col definire un po’ meglio i contorni di un’esperienza collettiva e le
condizioni del contesto in cui essa avviene.
Il caso piemontese
La presenza numerosa di meridionali nelle fila delle formazioni partigiane pie-
montesi va messa in relazione alle vicende che caratterizzarono la crisi delle
forze armate italiane come conseguenza del fallimento della guerra parallela a
fianco della Germania di Hitler e soprattutto come esito della gestione disastrosa
dell’armistizio all’8 settembre. Sostanzialmente abbandonate al loro destino dal
re e dal governo le forze armate italiane entrarono rapidamente in crisi e, salvo
rari casi, non furono in grado di opporsi al piano di neutralizzazione prima e di
cattura poi che i tedeschi perseguirono con decisione sia in Italia sia sul fronte
dei Balcani. Un numero rilevantissimo di militari, circa 650 mila, fu disarmato e
avviato ai campi di raccolta in Germania. Classificati come IMI, cioè non come
prigionieri militari, ma come internati militari, figura giuridicamente non defini-
ta, in larga parte si rifiutarono di riprendere la guerra a fianco dei tedeschi e con
la Repubblica Sociale, ultima versione repubblicana dello stato fascista. Va però
ricordato che un numero forse altrettanto rilevante di militari si sottrasse alla
14
cattura e in buona parte si nascose, in parte ritornò a casa, in parte riprese le armi
per continuare la guerra ma ora contro tedeschi e fascisti.
Il caso piemontese presenta dei tratti che in qualche modo ricalcano le situazio-
ni che tutti i militari vivono nelle giornate dell’8 settembre. Le truppe dislocate
nelle caserme in territorio piemontese, in parte come presidio del territorio, in
parte raccolte nei centri di addestramento, sono numerose anche se difficili da
quantificare. A queste truppe però si aggiunge la massa rilevante delle 7 divisioni
che fanno parte della 4^ Armata e che vengono sorprese dall’armistizio mentre
si stanno trasferendo dalla Francia in Italia: una parte consistente viene catturata
dai tedeschi sia in territorio francese, sia in territorio italiano (circa 50 mila), un
numero minore (circa 20 mila) riesce a sottrarsi alla cattura. Tra questi molti me-
ridionali, che in parte seguono alcuni dei loro ufficiali nelle prime precarie forme
di difesa e di resistenza, in parte si disperdono nelle campagne piemontesi. Di
questi una parte significativa entrerà nelle formazioni partigiane, una parte infine
risponderà per scelta o per necessità ai bandi della Repubblica Sociale Italiana, il
nuovo stato fascista che prende vita, per volontà di Hitler e sotto la guida politica
di un Mussolini poco motivato, verso la fine di settembre.
Va infine segnalato un ulteriore elemento, ossia la presenza nel movimento di
resistenza di una quota importante di immigrati meridionali e di figli di immigrati
meridionali arrivati durante il fascismo nelle province piemontesi con le famiglie
in cerca di lavoro, attirate soprattutto dalla domanda di manodopera delle indu-
strie, in particolare della grande industria dell’area torinese.
Quanti sono?
Una prima domanda riguarda dunque l’entità del fenomeno che possiamo valu-
tare grazie al database costruito con la collaborazione di tutti gli Istituti di storia
della resistenza del Piemonte. Il database dedicato a Partigianato piemontese e società
civile raccoglie una grande quantità di informazioni tra cui quelle relative alla na-
scita o alla residenza(2).
Questi due indicatori, nascita e residenza, individuano i partigiani meridionali
che risiedono al sud, che stanno svolgendo il servizio militare in territorio pie-
montese e che, sbandati all’8 settembre non hanno potuto tornare a casa. Le
province di nascita e residenza considerate sono quelle liberate dagli Alleati e che
poco dopo l’armistizio saranno separate dal resto d’Italia occupato dai tedeschi
dalla linea del fronte, la cosiddetta linea Gustav. Il territorio in esame corrispon-
de quindi a sei regioni: Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia a cui va
aggiunta la Sardegna, anch’essa liberata nello stesso periodo.
Un secondo insieme di meridionali si ottiene considerando l’indicatore della
provincia di nascita nelle sei regioni meridionali indicate e quello della residen-
15
Matera 22 5 1 1 11 4 44
Potenza 74 12 2 48 31 167
Basilicata totale 96 17 2 1 1 59 35 211
Avellino 89 12 1 1 31 29 163
Benevento 45 9 2 17 18 91
Caserta 64 7 1 1 31 19 123
Napoli 206 36 4 2 5 95 107 455
Salerno 103 21 2 3 62 38 229
Campania totale 507 85 8 5 9 236 211 1061
Cagliari 75 8 1 1 31 36 152
Nuoro 33 9 1 13 17 73
Oristano 15 1 1 6 7 30
Sassari 82 10 1 1 30 38 162
Sardegna totale 204 27 3 3 1 80 98 417
percorso di formazione alla politica, ma non sempre e non allo stesso modo un
percorso di formazione partitica. Mentre certamente si riscontra mediamente in
tutti i partigiani un marcato spirito di appartenenza del singolo alla formazione
in cui ha militato.
FORMAZIONI
Dato
mancante Autonomi Matteotti Garibaldi GL Rinnov. CMRP TOTALE
Sicilia 371 231 88 376 173 67 3 1309
Calabria 189 112 27 158 72 33 1 592
Basilicata 39 27 6 30 10 4 1 117
Puglia 189 105 38 201 82 12 4 631
Campania 159 124 29 182 96 19 4 613 (+1) CLN
Sardegna 76 43 11 79 20 10 239
TOTALE 1023 642 199 1026 453 135 23 3501 (+1) CLN
Firenze, dove viene trasferito. Nel 1930 torna a Caltanisetta dove inizia l’attività
forense come penalista. Negli anni seguenti con alcuni compagni costruisce una
prima rete di cellule di partito anche in provincia, mentre mantiene i rapporti con
alcuni intellettuali di vario orientamento. Alcuni arresti colpiscono l’organizza-
zione. Nel 1940 viene richiamato nel Battaglione Cavalleggeri di Palermo e inizia
un’attività di proselitismo verso gli ufficiali per contrastare le scelte belliche del
fascismo. Viene denunciato nel 1941, ma le prove raccolte non sono sufficienti
a condannarlo per attività antifascista. Nel 1942 viene trasferito a Roma per un
corso di formazione e qui prende contatto con Mario Alicata, collegato con il
centro del Partito comunista. Viene di nuovo trasferito a Pinerolo e qui riesce a
coordinare un numero significativo di giovani ufficiali, e a prendere contatto an-
che con ufficiali superiori, come il generale Raffaele Cadorna, allora in servizio a
Pinerolo. Colajanni promuove una struttura clandestina, l’Alleanza militare Italia
libera (AMIL), che critica la condotta della guerra e sostiene la necessità di uscire
dal conflitto. Nel 1943 viene trasferito a Cavour, sede di addestramento alla guida
delle autoblindo della Scuola di Cavalleria. Qui stabilisce rapporti con l’antifasci-
smo piemontese, oltre che con militanti del partito comunista, con componenti
torinesi del Partito d’Azione e con il mondo militare contattando anche ufficiali
moderati ormai preoccupati per l’andamento disastroso della guerra.
Questi contatti si riveleranno preziosi nel definire rapidamente le scelte sue e
dei militari che gli sono vicini di fronte allo sfascio dell’ 8 settembre. La sera del
10 settembre la decisione di resistere ai tedeschi con le armi è presa. A Barge si
costituisce un primo nucleo di resistenti, verso cui affluiscono militari sbandati e
i giovani indirizzati dalla rete degli antifascisti attiva a Torino. Colajanni assume
come nome di battaglia quello di un medico socialista, Nicola Barbato, fonda-
tore dei Fasci siciliani e perseguitato per le sue battaglie in difesa dei diritti dei
lavoratori. La prima banda partigiana avrà il nome di Carlo Pisacane, il martire
risorgimentale che sentiva più vicino alle sue idee di emancipazione sociale . Da
questo nucleo iniziale figlieranno diverse altre bande fino a costituire la I Divi-
sione Garibaldi Piemonte e poi il raggruppamento Divisioni Garibaldi Cuneese.
Barbato diventerà il comandante partigiano più prestigioso di quest’area e le for-
mazioni partigiane al suo comando si estenderanno verso il Monferrato. Verrà
nominato comandante della VII Zona, vice comandante del Comitato Militare
Regionale Piemontese e a lui verrà affidato il compito di guidare l’attacco da est
delle formazioni partigiane per la liberazione di Torino.
Conclusa con successo l’insurrezione di Torino e sciolte le formazioni par-
tigiane a Colajanni verrà affidato l’incarico di vice questore del capoluogo
piemontese; sarà poi sottosegretario alla Guerra nel governo Parri e poi nel
primo governo De Gasperi, anche se trovava difficoltà ad adattarsi, lui uomo
23
Franco Nicoletta nasce a Crotone nel 1919. Di formazione analoga a quella del
fratello Giulio viene nominato sottufficiale della Guardia di finanza e inviato in
Croazia dove conosce la resistenza jugoslava, le tecniche della guerra partigiana
ma anche le violenze della repressione antipartigiana. All’8 settembre è in licenza
a Trieste e decide di raggiungere il fratello Giulio con cui parteciperà alla lotta di
resistenza in Val Sangone. La sua conoscenza della resistenza jugoslava si rivelerà
A destra Giulio Nicoletta, con Serafino comandante delle formazioni della val Pellice. Archivio Fotografico Istoreto
25
preziosa per definire le forme della tattica partigiana sia pure in un contesto assai
diverso. Sarà nominato comandante della Brigata “Lillo Moncada”, intitolata a
un partigiano siciliano caduto a Cumiana il 1 aprile 1944. Parteciperà alla libera-
zione di Torino.
Su Giulio e Franco Nicoletta vedi Gianni Oliva, La resistenza alle porte di Torino,
F. Angeli, Milano 1986; vedi anche Claudio Dellavalle (a cura di ), 8 settembre
1943. Storia e memoria, Istituto storico della Resistenza in Piemonte, Franco
Angeli, Milano 1989.
Petralia porta bandiera alla sfilata dei partigiani a Torino il 6 maggio 1945. Archivio Fotografico Istoreto
26
gli uomini alla cattura da parte dei tedeschi il capitano Scimè li manda in
licenza provvedendo a nascondere un buon numero di militari meridiona-
li, quasi tutti siciliani, nelle cascine della campagna cuneese, attorno a S.
Albano. Il paese diventerà il punto di riferimento degli sbandati, protetti
dal silenzio degli abitanti, per tutto l’inverno finché in primavera il gruppo
decide di passare ad una fase più operativa. I contatti già avviati con Piero
Cosa che sta operando in Val Pesio per organizzare la resistenza si traduco-
no nella costituzione prima della Banda Cosa “ Val Pesio” e poi dal giugno
1944 della Brigata “Val Ellero” di cui il capitano Scimè ( il capitano Gigi)
assume il comando. La formazione è fin dall’aprile sottoposta ad attacchi e
nell’autunno inverno 1944 sostiene a lungo i rastrellamenti 1944 condotti
da tedeschi e fascisti in valle Ellero. Nel gennaio 1945 viene costituita la V
Divisione Autonoma Alpi “Mondovì” il cui comando è affidato al capitano
Scimè. La divisione parteciperà agli attacchi ai presidi repubblicani in zona
e nell’aprile 1945 alla loro neutralizzazione e infine alla liberazione di Mon-
dovì il 29 aprile 1945.
Il capitano Scimè avrà diversi riconoscimenti per la sua attività nell’esercito; per
la sua attività di comandante parti-
giano otterrà la medaglia d’argento al
valor militare.
Nella sua “autobiografia partigiana” Luigi Briganti, ragazzo del Sud pone con
forza l’accento sui concetti di Patria e di Unità, unendo ai valori tradizio-
nali della religione, l’aspirazione alla libertà, alla giustizia e alla democrazia
come risultato irrinunciabile della sua esperienza nella resistenza. Quasi ad
esprimere in essi un punto di solido ancoraggio, di Resistenza, a quelle spinte
separatiste che egli, siciliano, aveva probabilmente conosciuto nell’immediato
dopoguerra e che, nel pieno degli anni ’90, tornavano a manifestarsi seppure
da latitudini e con obiettivi diversi.
(Scheda a cura di Daniele Borioli)
Luigi Briganti, Fucilatemi al petto!, Catania, Greco 1997 e Id., Fortunello va a mo-
rire combattendo per la libertà, Lentini, Comune di Lentini 1985.
30
I caduti
Il database Partigianato piemontese e società civile riporta i nomi di 402 caduti par-
tigiani di origine meridionale. Un numero percentualmente superiore rispetto
all’insieme dei caduti delle formazioni piemontesi. Le ragioni di questa differen-
za possono essere diverse. Una delle ipotesi che si può avanzare è che, dal mo-
mento che buona parte dei partigiani meridionali proviene dalle fila dell’esercito,
le competenze militari portino un numero elevato di partigiani ad assumere ruoli
di responsabilità, sia formale sia informale, e che queste responsabilità li espon-
gano a situazioni con un livello elevato di rischio.
Un’ipotesi che ha ottenuto già alcune conferme da alcune ricerche degli Istituti
di Alessandria e di Varallo e che meriterebbe una verifica complessiva sull’insie-
me del partigianato piemontese.
Si propongono di seguito alcune biografie di caduti.
I fratelli di Dio
Alfredo di Dio nasce a Palermo il 4 luglio 1920. Il padre di Alfredo e Antonio era
un brigadiere di pubblica sicurezza che da Palermo verrà trasferito a Cremona
dove lo seguirà la famiglia. I due fratelli studiano a Cremona. Alfredo segue i corsi
dell’Accademia Militare di Modena e nel 1941 ottiene il grado di Sottotenente e
viene assegnato al 1 Reggimento Carristi di Vercelli come istruttore. Nel maggio
1943 è promosso tenente. L’8 settembre, di fronte all’inerzia dei comandi superio-
ri, decide con alcuni ufficiali e soldati alla guida di alcuni carri armati di lasciare la
caserma di Vercelli e si dirige verso Novara, dove spera di trovare supporto, ma
il tentativo fallisce. Si sposta a Cavaglio d’Agogna dove è raggiunto dal fratello
Antonio con alcuni militari. In Valstrona costituiscono la prima banda partigiana.
Conosce Filippo Maria Beltrami il “Capitano” e poco tempo dopo fondono le due
bande nella Brigata Patrioti Valstrona il 23 dicembre 1943. Alfredo di Dio assume
accanto a Beltrami il comando tecnico militare della banda affrontando le prime
azioni. Per trovare finanziamenti dal Comitato di Liberazione Nazionale Alfredo
si sposta a Milano ma viene scoperto, arrestato con alcuni suoi uomini e trasfe-
rito alle carceri di Novara. Il 13 febbraio ’44 a Megolo cade il fratello Antonio a
fianco del “Capitano” e di altri partigiani. Scarcerato in marzo tenta di dare vita ad
una nuova formazione partigiana tra Casale Corte Cerro e la Valle del Massone,
denominata Gruppo Patrioti Ossola; la formazione cresce fino a contare duecen-
totrentacinque uomini. A causa di rastrellamenti la formazione passa nella Valle
del Toce e dal primo luglio assume il nome Brigata Val Toce che parteciperà alle
operazioni che portano alla nascita della Repubblica della Valle d’Ossola. Durante
31
I fratelli Biscotti
Vincenzo Biscotti (Mitra 1) nasce a Peschici (FG) il 27 gennaio 1921. La fa-
miglia emigra nel Biellese a Pralungo. Nel 1937 Vincenzo era stato recluso nel
32
Luoghi di memoria
Con i due partigiani meridionali caddero: Maria Luisa Alessi ( Maria Luisa), di
Saluzzo, staffetta partigiana delle formazioni Garibaldi della valle Varaita e della
val Po, era stata arrestata dai fascisti a Saluzzo nel settembre 1944.
Ettore Garelli (Gomma), di Fossano, membro del servizio X (Informazioni)
delle formazioni Autonome “Rinnovamento”; cancelliere presso la Pretura di
Fossano, era stato arrestato il 25 novembre in Pretura.
Pietro Fantone (Piglia), di Paesana, panettiere, partigiano della 4 Brigata Garibal-
di Cuneo, era stato catturato dai fascisti a Paesana il 24 settembre 1944.
Provincia di Asti
I caduti di origine meridionale in provincia di Asti sono 21 in totale; alcuni di loro
sono entrati nell’immaginario collettivo resistenziale locale. Tra questi si ricordano:
Pasquale Preziuso, nato a Rionero in Vulture (Potenza), nel 1922. Settimo di nove
figli (sette maschi e due femmine), il padre Vincenzo era mastro muratore. La
famiglia non era politicamente impegnata. Partigiano della II Divisione autono-
ma Langhe, caduto in combattimento
a Valdivilla frazione di S.Stefano Bel-
bo (Cn) il 24 febbraio 1945 con Gio-
vanni Balbo ( Pinin), il padre di Piero
Balbo (Poli). Poli era il comandante
della II Divisione Autonoma Langhe,
ispiratore della figura del comandante
Nord tratteggiata da Beppe Fenoglio
nel Partigiano Johnny e ripresa nel film
di Guido Chiesa tratto dal romanzo.
Vincenzo Gamiddo, nato a Regalbu-
to (Enna) nel 1924, garibaldino, fuci-
lato per rappresaglia il 23 novembre
1944 alle porte di Asti insieme ad al-
tri tre partigiani.
Raffaele Mescisca, nato ad Apice
(Benevento) nel 1924, garibaldino,
fucilato a Canelli il 27 marzo 1945.
Mario Careddu, nato a Luras (Sassari)
nel 1921, garibaldino, fucilato a San
Marzano Oliveto il 29 agosto 1944.
Nino Deidda, nato a Calangianus
(Sassari) nel 1921, garibaldino, cadu-
to in combattimento a Canelli il 10
Ricordo in memoria di Pasquale Preziuso settembre 1944.
37
Tra i giovani di origine meridionale che ebbero un ruolo significativo nelle vicende
resistenziali in terra di Piemonte ci sono numerose figure di notevole, a volte di no-
tevolissimo rilievo, attive non solo nelle formazioni partigiane che operavano nelle
vallate o sulle colline, ma nelle città, in particolare a Torino. Qui si sviluppò una
guerra durissima, senza quartiere, spesso nascosta e per questo poco conosciuta.
Nelle fabbriche e nei quartieri si scontravano le forze di polizia, le bande improv-
visate e feroci del fascismo più estremo e i militanti di organizzazioni antifasciste,
politiche e parasindacali, militari e di massa come i Gruppi di azione patriottica
(GAP) e le Squadre di azione patriottica (SAP). Un capitolo importante in cui sono
presenti figure di militanti di origine meridionale: è il caso emblematico di Dante di
Nanni, militante dei GAP torinesi che ferito cade in combattimento nel quartiere
di Borgo S. Paolo nel maggio 1944. Per la giovane età, l’origine, l’orientamento
politico, la provenienza sociale, la determinazione nella lotta fino all’estremo sacri-
ficio Dante di Nanni diventa una figura simbolo, e per certi versi mitica, della lotta
al fascismo e al nazismo degli strati popolari e operai.
inviato alla scuola “Leonardo da Vinci” di Varese. Al termine del corso, il 27 ago-
sto 1943, viene assegnato al I Nucleo di Addestramento Caccia di Udine dove
rimane in servizio sino all’armistizio dell’8 settembre 1943. Tornato in città in
seguito allo sbandamento delle Forze armate, si dà dopo poco tempo alla mac-
chia recandosi in una delle prime bande partigiane del Cuneese in cui rimane fino
al 10 dicembre 1943 quando fa ritorno a Torino. Attraverso l’amico Francesco
Valentino, nel gennaio 1944 entra nei Gruppi di azione patriottica (GAP) assu-
mendo il nome di battaglia di Luigi Banfi. In un attacco effettuato il 15 febbraio
1944 contro un obiettivo fascista in corso Francia, Di Nanni rimane seriamente
ferito ad una gamba e impossibilitato ad agire per molte settimane. Dopo diversi
colpi condotti con successo, il 16 maggio in un’azione condotta per danneggiare
una cabina dell’Eiar, l’ente radiofonico fascista, viene ferito gravemente. Rifu-
giatosi nell’alloggio base di via S. Bernardino in Borgo S.Paolo viene attaccato
dai militi della GNR. Dopo alcune ore di coraggiosa resistenza contro i militari
che assediano la casa è sopraffatto e ucciso il 18 maggio. Sarà proclamato Eroe
nazionale e decorato di medaglia d’oro al valore militare alla memoria. (A cura
di Nicola Adduci).
Con Dante di Nanni sono molti i combattenti, molti anche i caduti, di origine
meridionale, che vivono l’esperienza della resistenza in città. Arrivano alla mili-
tanza nelle file della resistenza attraverso percorsi complessi.
Significativo il percorso compiuto da Michele Vicari, nato a Palermo da fami-
glia di pescatori. Fa il servizio militare in Marina e trova lavoro nelle ferrovie.
Negli anni Trenta si trasferisce prima a Voghera e poi a Torino, dove lavora alle
Officine materiale rotabile. Sposa nel 1937 Giuseppina Saviotti conosciuta a Vo-
ghera, dove era cresciuta in una famiglia antifascista di orientamento cattolico-
popolare. Michele dopo l’8 settembre svolge un’attività clandestina antifascista
in fabbrica partecipando alle agitazioni operaie e alla costituzione delle SAP, le
Squadre di azione patriottica che si vengono organizzando dopo gli scioperi del
marzo 1944. La sua attività attira l’attenzione della polizia fascista, per cui deve
39
lasciare la fabbrica per spostarsi fuori città nelle formazioni partigiane prima del
Canavese, nella 17 Brigata Garibaldi e poi della valle di Susa, dove entra a far
parte della 42 Brigata “Walter Fontan”. In occasione dello sciopero pre insur-
rezionale del 18 aprile 1945 rientra in città, ma la sua presenza è segnalata alla
polizia fascista che nella notte del 19 aprile lo sorprende nell’abitazione di via
Susa, lo trascina fuori e lo uccide all’angolo con via G. Casalis, dove una lapide
lo ricorda. Michele Vicari fu il terzo militante antifascista, con Antonio Banfo e
Salvatore Melis, trucidato dai fascisti quella notte per “compensare” il successo
dello sciopero. Per un anno intero i compagni di fabbrica si tasseranno per so-
stenere la moglie rimasta sola con due figlie piccole.
Fonti: F. Ferro (Fabbri), I nostri sappisti nella liberazione di Torino, Edizioni SAN,
Torino s.d., ma 1947, p. 84. Vedi N. Adduci, L. Boccalatte, G. Minute, Che il
silenzio non sia silenzio. Memoria civica dei caduti della resistenza a Torino, Città di
Torino. Istituto Piemontese per la storia della resistenza e della società con-
temporanea “G.Agosti”,Torino 2003.
Testimonianza di Dada Vicari, figlia di Michele e Giuseppina Saviotti.
Un momento dei funerali di Michele Vicari. Torino, 21 aprile 1945. Archivio Fotografico Istoreto
40
Vedi G. Alasia e altri, Un giorno del ’43, Gruppo Editoriale Piemonte, Torino
1983, p. 99 ss.
41
I Deportati
“E quando abbiamo tentato di scappare facendo una galleria sottoterra siamo stati spiati e
massacrarono la prima squadra che era fuori e poi ci hanno sbattuto fuori. Ci hanno proprio
invitato a uscire fuori i colpevoli di coloro che avevamo fatto la galleria, sennò avrebbero am-
mazzato tutto il blocco che eravamo in duecentoquaranta. E a capo c’è stato un geometra bolo-
gnese e ha detto: «Io sarò il primo a uscire perchè sono stato io il progettista. Gli altri, uscite i
primi undici». E l’abbiamo fatto a sorteggio: io sono stato il nono. E poi da lì ci hanno sbattuti
in una cella sottoterra, morti di fame. E c’era un generale, poveretto... Un generale che circolava
nel... un generale di aviazione che ci portava delle briciole da una feritoia che ci dava solo un po’
di luce e poi l’otto gennaio in mattinata ci hanno fatto tuttti nudi bagno, doccia, acqua calda e
acqua fredda e ci portarono alla stazione di Bolzano. Alla stazione di Bolzano ancora altri
ufficiali che erano partigiani travestiti, dopo quand’era tutto pronto per salire i vagoni... questi
fanno l’ultimo controllo e siccome quelli che ci portavano erano sottoufficiali, marescialli, invece
erano partigiani di quella zona lì. I bolzanini parlavano bene il tedesco e quando sono scesi
invece, hanno lasciato un martelllo e uno scalpello per scappare durante la notte. I primi che
sono usciti fuori dal vagone e non sapevamo che c’erano i cani poliziotti con una guardia nella
42
garitta: li hanno massacrati tutti. Era uno spettacolo vedere sulla neve del Brennero tutto quel
sangue. A Mauthausen abbiamo visto la peggio. Sono degli spettacoli impossibili a raccontare!
Si vedono, si sentono, ma non si crede... Quando uno vedeva lo stesso clima, la neve, i ghiaccioli
delle baracche... Nudi! Le corse nudi sulla neve, le ginnastiche fuori... Ci massacravano in
quella maniera e poi dopo da lì, quando ci deportavano negli altri campi di lavoro... Io con altri
a Gusen lì ai lavori forzati, ci portarono in una zona che facevano delle gallerie di decine di
chilometri, dove installavano impianti, industrie per fare aerei e lì noi avevamo... dovevamo fare
delle gallerie e subito dietro impiantavano questi binari, queste strutture per fare delle sagome
degli aerei che poi uscivano i vagoni coperti di rami di alberi, di pini eccetera. Nel giro di otto
giorni si rinnovavano i prigionieri, perchè non c’era più nessuno di quelli vecchi. Infatti, io nel
giro di quindici giorni non ho visto più nessuno dei miei compagni.
Tutti morti.
Memorie partigiane
Era la sera del 10. Non c’era tempo da perdere. Era scoccata l’ora della nostra guerra. Era
venuta l’ora della quale tante volte avevo parlato anche alla mia giovane compagna; l’ora di
quell’impegno di quei doveri ai quali l’avevo preparata, ancora prima del matrimonio, facendo-
la partecipe del mio mondo ideale e dei segreti della mia doppia vita; stava per diventare madre,
dovevamo separarci; mi accompagnò per un tratto lungo il paese deserto; la sua fermezza diede
una nota fiera al nostro lungo abbraccio di addio. Mi avviai veloce verso gli alloggiamenti e la
sua cara figura scomparve nell’oscura notte.
Subito adunai lo squadrone, scelsi gli uomini più decisi per la prima partenza. Diedi ordine
agli ufficiali e sottufficiali più fidati, ai nuovi comandanti che già cominciavano a guadagnarsi
i galloni partigiani mostrando fermezza ed iniziativa (il mio furiere, l’eroe medaglia d’oro
Sforzini, pagò presto col martirio la sua fedeltà).
Così partimmo verso Barge col primo gruppo dei più decisi su un camion; i moschetti e i fucili
mitragliatori si stagliavano sul cielo notturno; una quindicina di uomini verso l’ignoto, verso
quella chiostra alpina che a me, delle terre ballerine, ai molti meridionali ch’ erano tra noi, era
sempre apparsa come un mondo favoloso; verso le sorgenti del Po, verso il Monviso, nelle cui
valli-da quella parva favilla- tanta fiamma doveva presto accendersi di libertà.
In quella corsa verso l’ignoto ci guidava però un faro. Dovevamo raggiugere Barge: nella casa di
Ludovico e Virginia Geymonat c’erano già ad attenderci gli uomini della Resistenza: veterani
militanti comunisti, staffette del Partito.
Io sono stato balilla, avanguardista, premilitare: credevo che il fascismo fosse lo stato, non una
fazione…A scuola non avevo insegnanti antifascisti, come hanno avuto molti miei compagni
partigiani… Quindi sono arrivato fino al 25 luglio 1943 con opinioni sulla situazione politica
molto contraddittorie e incerte.
Ero un meridionale in Piemonte in quell’estate del 1943, preoccupato di capire la società locale
più che di analizzare il senso degli avvenimenti. Allora c’era un salto notevole fra la zona in
cui sono nato [ Crotone in Calabria] e la Torino del 1943…
Ho vissuto i 45 giorni del governo Badoglio cercando di assorbire quante più notizie era pos-
sibile sia dalla stampa, sia dalla popolazione. Credo che in quei 45 giorni, contrariamente
a tutto il giudizio negativo che si dà del governo Badoglio, quel poco di libertà, che c’era nella
stampa e nelle manifestazioni di condanna del fascismo da parte della popolazione, abbia dato
elementi sufficienti per capire e per decidere all’8 settembre 1943.
E tuttavia, all’8 settembre io piansi. Era chiaro che uscivamo sconfitti e screditati di fronte a
tutti i popoli della terra. Quale immane tragedia!
...Ho assistito alla resa di Torino, senza nemmeno accorgermene! Una squallida resa, senza
dignità, da vigliacchi...
Con il mio fratello volevamo organizzare bande armate in pianura, lavorando di giorno e
attaccando la notte. Ma ci eravamo presto convinti che in quella prima fase la pianura non era
adatta. Dalla zona Villarbasse-Bruino, dove con un carro agricolo ci eravamo spostati con le
armi prese a Beinasco, proseguimmo verso Giaveno dove ci era stato detto che c’era un maggiore
degli alpini con un battaglione. Il maggiore era Milano, già comandante del “Val Chisone”;
c’era Fassino di Avigliana; c’erano due miei colleghi di reggimento arrivati con tre carri armati.
Mi tolsi la divisa da ufficiale e iniziai a fare il guerrigliero…
La mia educazione politica avvenne durante la Resistenza, fra un combattimento e l’altro.
...il pomeriggio dell’8 settembre 1943 sentimmo l’altoparlante annunciare ripetutamente: “At-
tenzione, attenzione, fra qualche minuto trasmetteremo un comunicato speciale del primo Mi-
nistro sua eccellenza il generale Badoglio”.
L’attesa fu spasmodica e tragica, ma alla fine il messaggio ci lasciò esterrefatti; nessuna indica-
zione precisa, nessuna direttiva, nessun ordine su quello che il nostro esercito avrebbe dovuto fare.
Al forte di Exilles, come in tutte le caserme e i comandi di reggimento e divisione, fu il caos;
il maggiore comandante del battaglione si dileguò e si nascose a casa sua a Bardonecchia. Sul
forte, lasciato a se stesso, regnava una grande confusione; i soli che riuscivano a tenere un po’
d’ordine erano i sotto ufficiali…
In quei momenti pieni d’ incertezza e disorientamento, mi si presentarono chiare senza il mi-
45
nimo dubbio, le parole che l’amico tenente Colajanni andava ripetendo a noi giovani ufficiali
durante le passeggiate sotto i viali alberati di Cavour: “Vedete quelle montagne? Presto saran-
no piene di veri italiani”. Quelle parole che mi parevano un po’ misteriose e fantasiose, in quel
momento erano diventate realtà …
(Modica raggiunge fortunosamente Cavour e poi Barge alla ricerca del collega-
mento con i suoi compagni d’arme.)
L’11 mattina ero a Barge, cercai di collegarmi con Colajanni ma inizialmente non fu facile
siccome il gruppo di Cavour era già entrato nella clandestinità. Colajanni era scomparso e al
suo posto era subentrato “Barbato”…
L’indomani una staffetta mi accompagnò alla base del Monte Bracco dove incontrai finalmente
Colajanni. Alla base erano intanto arrivati Conte, Pietro, Nella Marcellino, Pajetta, Giolitti
e Guaita*. Barbato mi presentò ai vari compagni ed in particolare a Pajetta. Egli in quel
momento faceva un po’ da confessore, spiegava ciò che era e sarebbe stata la vita partigiana.
Mi fu anche detto che dovevo anch’io avere un nome di battaglia: Barbato propose Petralia.
Quel giorno iniziò il mio 8 settembre.
(*Si tratta di Dante Conte, Pietro Comollo, Nella Marcellino, Gian Carlo Pajetta,
Antonio Giolitti, Giovanni Guaita, tutti collegati con il Partito comunista tori-
nese.)
46
Nella letteratura
Una ricerca che verifichi se e come la letteratura abbia incrociato il tema della
presenza di partigiani meridionali nelle opere dedicate alla resistenza non è stata
ancora compiuta in modo esaustivo. Ci limiteremo ad offrire alcuni spunti tratti
da due autori che hanno scritto di resistenza, avendo entrambi avuto esperienza
della lotta partigiana. Si tratta di Beppe Fenoglio e di Italo Calvino. Nella sua
opera più impegnativa Fenoglio descrive Johnny, che ha preso la decisione di
combattere con le armi fascisti e tedeschi e che lasciata la famiglia in Alba, si
dirige sulle colline a cercare i partigiani. Nel suo primo contatto con i ribelli a
Murazzano in Alta Langa incontra tre militari siciliani che si sono aggregati alla
banda formata da contadini locali e da operai. L’immagine che ne viene fuori è
ruvida, per certi aspetti dura e offre un esempio efficace della capacità di Feno-
glio di raccontare l’avventura partigiana in modo antiretorico reso però ricco da
un linguaggio innovativo.
Johnny scattò verso di loro con tanto slancio che insospettì l’uomo rivolto alla strada. Era in
completo grigioverde, miserabile quindi come un comune soldato del Regio Esercito in critiche
condizioni ambientali, con la miseria ed i patemi della sua vita partigiana ad imprimere una
matusalemmica vecchiaia sulla sua faccia semisepolta nel frusto passamontagna. Era una
doma preda del freddo e Johnny notò che a spallarsi il moschetto e a coprire Johnny impiegò tem-
po bastante a restarne ucciso tre volte, fosse stato un fascista. Gli diede il chi va là ed il fermo
là, con un accento così disperatamente siciliano, liberantesi dai suoi denti come dalla meccanica
stretta di una macchina per maglieria, che Johnny se ne risentì, stupì ed accorò incredibilmente.
Tutto aveva da essere così nordico, così protestante... la perplessità gli costò un secondo e più
vibrato avviso, mentre alcuni degli uomini caricanti si voltavano pronti a sostenere il compa-
gno. - Voi siete partigiani, - disse Johnny senza la menoma inflessione interrogativa. Dovette
dare un sunto di se stesso in quella elettrizzata atmosfera e mai forse gli era riuscito d’esser più
conciso ed esauriente.. - Voglio entrare tra i partigiani, con voi -. Gli uomini s’erano rivoltati
al carico gli uomini del nord avevano tutti un aspetto operaio o contadino, quanto ne traspariva
dal loro intabarramento, tra rurale e sciatorio, e tutti armati ma miserevolmente. - Voglio
entrare nei partigiani, con voi.
Italo Calvino nel suo Il sentiero dei nidi di ragno in più occasioni fa riferimento alla
presenza di partigiani meridionali nella formazione che opera a cavallo dell’Ap-
pennino ligure piemontese in cui lui ha operato. Sono ritratti rapidi, a volte ec-
centrici, come nel caso dei quattro calabresi che avevano sposato quattro sorelle,
e che di fatto costituivano una banda a sé, in virtù del rapporto parentale, del
47
Da Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Einaudi, Torino, ed. 1977, p. 131.
Il mio gruppo era soprannominato la “Legione straniera”, perchè c’erano, insieme a quelli pro-
venienti dalla cintura torinese e soprattutto da Nichelino, tanti giovani meridionali. Essendo di
origine meridionale, sono nato a Cerignola e i miei erano pugliesi, li capivo quando parlavano
in dialetto.
Il dopoguerra
Note
(1) Il racconto di Nunzio Di Francesco (Il costo della libertà. Memorie di un parti-
giano combattente superstite da Mauthausen e Gusen II, editore Bonanno, Catania
2007) è tra le testimonianze più interessanti sia per la complessità delle vi-
cende vissute, sia per la capacità dell’autore di rielaborare le sue esperienze.
(2) Il data base del partigianato piemontese è stato realizzato dagli Istituti pie-
montesi di storia della resistenza grazie al sostegno della Regione Piemon-
te in occasione del Cinquantesimo anniversario della Liberazione. La fonte
primaria sono state le schede predisposte dalla Commissione piemontese
per il riconoscimento dell’attività partigiana nel dopoguerra. Sulla docu-
mentazione e per una breve sintesi del lavoro svolto cfr. Claudio Della-
valle, Partigianato piemontese e società civile, in “Il Ponte”, numero monogra-
fico dedicato a Resistenza. Gli attori, le identità, i bilanci storiografici, a. 51, n.
1, gennaio 1995, pp. 18-35. Il data base è consultabile all’indirizzo: http://
intranet.istoreto.it/partigianato/default.asp. Le schede di sintesi riportate
nel testo sui partigiani meridionali, sulla distribuzione tra le formazioni
nonché gli elenchi riportati in Appendice provengono da questo data base.
Esiste un secondo data base ricavato dalla documentazione dalla Com-
missione regionale lombarda per i partigiani operanti in Val Sesia Ossola
Cusio e Verbano e Novarese, e che smobilitarono a Milano. Da questo
data base provengono gli elenchi relativi ai partigiani siciliani riportati in
Appendice, elaborati dall’Istituto storico della Resistenza e della società
contemporanea nel Novarese e nel Verbano Cusio Ossola con sede a
Novara. Sui partigiani siciliani si veda anche il lavoro di Carmela Zangara,
Per liberar L’Italia. I siciliani nella Resistenza (1943-45), Edizioni La Vedetta,
Associazione Culturale “I. Spina”, 2007; in specifico sui caduti siciliani in
Piemonte si veda anche l’indice-estratto di questo volume pubblicato sul
sito dell’Istituto Siciliano per la Storia dell’Italia Contemporanea: http://
www.italia-liberazione.it/ita/viewpubblilocale.php?id=207&rete=83.
Infine è da citare il data base relativo alle formazioni partigiane operanti
a cavallo del confine ligure piemontese e che smobilitarono per lo più
a Genova. Su questa specifica area va segnalato il lavoro svolto per ini-
ziativa dell’Istituto Calabrese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia
contemporanea da due ricercatori, Rocco Lentini e Nuccia Guerrini, I
partigiani calabresi nell’Appennino ligure-piemontese, Rubbettino, Soveria Man-
nelli, 1996. La ricostruzione delle vicende delle formazioni partigiane di
quest’area è completata con gli elenchi e brevi biografie dei partigiani
calabresi in esse attivi.
50
(3) Sulla deportazione dalle regioni meridionali vedi di Aldo Borghesi, Sardi
nella deportazione e di Giovanna D’Amico, La deportazione dei siciliani, in Il
libro dei deportati, a cura di B. Mantelli e N. Tranfaglia, ricerca promossa da
ANED Nazionale, vol. II, Deportati, deportatori, tempi, luoghi, (a cura di B.
Mantelli), Mursia, Milano, 2010, pp. 716-751 e pp. 752-777.
51
Appendice
52
Elenco dei partigiani meridionali divisi per regione di nascita e ricavati dal
database Partigianato piemontese e società civile (cognome, nome, nome di battaglia).
La Banca dati dei Partigiani Piemontesi è consultabile on line all’indirizzo:
http://intranet.istoreto.it/partigianato/default.asp
Attraverso l’interrogazione della banca dati, inserendo per esempio i nominativi,
sono rintracciabili ulteriori informazioni su ciascun partigiano: ogni scheda
personale comprende, oltre ai dati anagrafici, il nome di battaglia e la qualifica
(partigiano, patriota, benemerito), l’indicazione delle formazioni di appartenenza
con i relativi periodi, la professione, la carriera militare precedente l’8 settembre
1943, l’eventuale appartenenza alle formazioni della Rsi, i gradi partigiani, le ferite
e le decorazioni ottenute ed eventuali dati su decesso, cattura e deportazione.
53
Elenco dei partigiani siciliani nelle formazioni del Novarese, Ossola, Cu-
sio e Verbano. L’elenco è stato ricavato dalla ricerca di Mauro Begozzi sui par-
tigiani siciliani presenti nelle formazioni della Val Sesia, Cusio, Ossola e Verbano.