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MISIRLOU: UN ITINERARIO MUSICALE

Facoltà di Filosofia, Lettere, Scienze Umanistiche e Studi Orientali

Corso di laurea in Comparatistica (Letteratura, Musica e Spettacolo)

Cattedra di Lingua e letteratura neogreca

Candidato
Eleonora Aleotti

n° matricola 969047

Relatore
Professoressa Paola Maria Minucci

A/A 2012/2013

  1  
Alla Grecia, terra di mare, musica e tartarughe.

A MPA che non ha paura delle paludi abitate dal vuoto del nulla, che le affronta e le
ricolma di sogni armata di pensieri limpidi e splendenti, di fantasia affilata e di scarpe
colorate.

INDICE

- Nota sui criteri di trascrizione……………………………...…p.4


- Introduzione……………………………………………………p.5
- 1. Rebetiko……………………………………………………...p.8
1.1 Il Rebetiko: un genere musicale greco………………………………….p.8
1.2 Storia e itinerario del Rebetiko e dei rebetes………………………….p.10
1.2.1 Il Rebetiko tra folklore greco e origini orientali………………...p.12
1.2.2 Il Rebetiko e il contesto culturale ufficiale……………………...p.13
1.2.3 Ilias Petropoulos………………………………………………...p.15
1.2.4 Rebetiko: significato e origini del termine……………………...p.16
1.2.5 Alcuni temi del Rebetiko………………………………………..p.17
1.2.6 Il Rebetiko e le donne…………………………………………...p.19
1.2.7 Evoluzione storica del Rebetiko………………………………...p.21
1.2.8 Il Rebetiko: aspetti musicali…………………………………….p.23
1.2.9 Gli sviluppi delle fasi finali del Rebetiko……………………….p.24
1.3 Storia della ricezione e fortuna del Rebetiko fuori dalla Grecia………p.26
1.3.1 Il Rebetiko in Inghilterra………………………………………...p.26
1.3.2 Il Rebetiko in Australia………………………………………….p.28
1.3.3 Il Rebetiko negli Stati Uniti……………………………………..p.30
1.3.4 Il Rebetiko in Germania e in Francia……………………………p.31
- 2. Una canzone rebetika: Misirlou…………………………...p.32
2.1 Problemi metodologici di ricerca……………………………………..p.32
2.1.1 Ricerche musicologiche sul Rebetiko: un ambito di studi carente
…………………………………………………………………………….p.34
2.1.2 Ricerche su Misirlou…………………………………………….p.35
2.1.3 Rebetiko, un genere greco: problematiche di identità nazionale..p.36
2.2 Storia di Misirlou ……………………………………………………..p.36
2.3 Il testo: analisi, traduzioni, versioni…………………………………...p.39
2.3.1 I testi…………………………………………………………….p.43
2.4 Versioni musicali…………..………………………………………….p.58
2.5 Misirlou: dalla musica ai mass media…………………………………p.59
2.5.1 Il cinema………………………………………………………...p.59
2.5.2 Gli eventi pubblici (Olimpiadi)…………………………………p.60
2.5.3 La pubblicità…………………………………………………….p.60
- 3. Il Rebetiko in Italia………………………………………...p.62
3.1 Fortuna del Rebetiko in Italia: testi critici…………………………….p.62
3.1.1 Approccio ai testi di critica musicale……………………………p.63
3.1.2 Testi critici, musicologici e letterari sul Rebetiko in lingua italiana
.....................................................................................................................p.64

  2  
3.2 Fortuna della musica Rebetika in Italia: Evì Evàn, Mesogea, Cafè Aman
.....................................................................................................................p.68
3.2.1 Evì Evàn ………………………………………………………...p.69
3.2.2 Mesogea ………………………………………………………...p.70
3.2.3 Cafè Aman ………………………………………………………p.70
3.3 Vinicio Capossela: Rebetiko gymnastas………………………………p.71
3.3.1 Vinicio Capossela e Misirlou……………………………………p.75
3.4 Il futuro del Rebetiko in Italia…………………………………………p.76
- Nota conclusiva………………………………………………..p.77
- Ringraziamenti………………………………………………..p.80
- Bibliografia consultata………………………………………..p.81
- Sitografia………………………………………………………p.82
- Filmografia……………………………………………………p.83
- Bibliografia esistente………………………………………….p.83
 
 

 
 

 
 
 

 
 
 

 
 
 

 
 
 
 

 
 

  3  
NOTA SUI CRITERI DI TRASCRIZIONE
In mancanza di regole ufficiali sulla trascrizione in italiano dei caratteri dell’alfabeto
greco, ho scelto in linea di massima di dare conto, dove possibile, di alcune
caratteristiche di questo alfabeto per familiarizzare il lettore italiano ad avere, in
maniera pur minima e trasversale, una confidenza con alcune caratteristiche della
lingua di riferimento dalla quale provengono i termini che trova trascritti. Non ho
voluto rinunciare alla ‘k’ della parola Rebetiko anche se ricorre molto spesso nel
testo (piuttosto che italianizzarla e “normalizzarla” in Rebetico ad esempio, una
trascrizione possibile e adottata da alcuni); così come non ho voluto rinunciare alla
scrittura estesa del dittongo ‘ou’ (pronuncia [u]) ad esempio nella parola bouzouki.
Mentre ho rinunciato a rendere, sempre nella parola Rebetiko, la nasalizzazione della
‘b’ che altri invece rendono con la trascrizione “Rembetiko”.

Nel corso di questa tesi sono riscontrabili alcune incongruenze nella traslitterazione
dovute alla citazione di testi e autori che hanno fatto scelte di trascrizione differenti
dalle mie.
 
 
 
 

 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 

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INTRODUZIONE

Questa tesi nasce da molti incontri: prima di tutto quello con la Grecia, che è stato
ricco e vitale per me sul lato personale e per la mia vita di studiosa; poi quello fra
musica e letteratura, i miei due ambiti di studio privilegiati che mi consentono di fare
ricerca in campi poco esplorati perché richiedono più competenze specifiche.

E soprattutto questa tesi nasce dall’incontro con molte persone: hanno speso tempo a
parlare con me, mi hanno suggerito idee, indirizzato, aiutato a mettere a fuoco le
questioni più interessanti e importanti, fatto sorgere dubbi, spinto ad approfondire il
discorso in certe direzioni piuttosto che in altre. È il risultato di molte conversazioni,
è la riorganizzazione e la trascrizione di molta oralità e di molti scritti fulminei,
piccoli messaggi mandati nei momenti liberi, nello stile più tipico della
comunicazione contemporanea; è un racconto in movimento.

L’impostazione che ho voluto dare a questa ricerca è un’impostazione


comparatistica: Armando Gnisci, fondatore della cattedra di comparatistica
dell’Università romana La Sapienza, definisce questa materia come un non-inferno
(dalla definizione di I. Calvino1) e sostiene che consiste in una poetica più che in una
teoria letteraria. Sottolinea che «la letteratura comparata mette il mondo delle
letterature alla pari con l’accadere del presente dell’umanità che si schiera – noi ci
schieriamo, e voi? – dalla parte delle differenze, della resistenza e della ribellione –
un diritto riconosciuto anche dall’ONU – contro la così detta globalizzazione
neocapitalistica che sembra volersi affermare come la forma definitiva della nuova
colonizzazione e dell’oppressione, disegnando definitivamente un solo mondo […]
ma dispari e fratto»2.

                                                                                                               
1
«L’inferno non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti
i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a
molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed
esige attenzione e apprendimento continuo: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo
all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio» (I.Calvino, Le città invisibili [1972],
Einaudi, Torino 1991, p.170) cit. in A. Gnisci (a c. di) Letteratura comparata, Mondadori, Milano
2002, p. XIII.
2
A. Gnisci (a c. di) Letteratura comparata, Mondadori, Milano 2002, p. XVII.

  5  
Occuparsi di Grecia in questo momento storico particolare diventa, quasi
inevitabilmente, almeno in parte, un fatto politico: il mio interesse specifico per
questo ambito di studi nasce da motivi personali, ma questa tesi ha preso forma in
rapporto con il nascente e crescente interesse di tutta l’Italia per molte questioni
greche culturali, linguistiche, umane, politiche.

La Grecia, dicono alcune testimonianze raccolte dal cantautore italiano Vinicio


Capossela, è l’anticamera d’Europa in questo momento: è il paese pilota sul quale
fare esperimenti, dove si verifica cosa può succedere e come mettere in atto il
dominio delle banche. Sono questioni economiche, ma anche sociali e più in generale
umane: perché la gente reagisce cercando rapporti più diretti e più veri. Si cerca di
commerciare direttamente con i contadini, per restringere la filiera del mercato e
ridurre i costi e i possibili imbrogli; si esce la sera per andare nei locali dove si suona
musica greca. In una taverna dove si spende poco e si ascolta buona musica, le
persone che si incontrano hanno voglia di riconoscersi e di non perdersi nei gorghi di
un’identità sociale occidentalizzata, appiattita, commercializzata e poco definita.
Questa è l’importanza del genere musicale rebetiko in Grecia oggi: la stessa
importanza che ha avuto in altri momenti del passato, perché è un elemento di
immediato riconoscimento.

Al centro della trattazione di questa tesi è un solo brano appartenente al genere


musicale Rebetiko.
E ancora, oggi come in passato, il Rebetiko assume (suo malgrado, visto che non ha
contenuti politici dichiarati) una valenza politica: rappresenta principalmente la
resistenza greca. La resistenza ai regimi, la resistenza all’epurazione coatta di
elementi culturali ibridi in nome di una teorica grecità incontaminata, la resistenza
alle imposizioni, la resistenza al dolore di una vita di esuli, difficile e povera.
Il Rebetiko è attualissimo, e Vinicio Capossela ha saputo coglierne l’importanza per
l’Italia (che segue per molti aspetti le orme della Grecia, in linea con una tendenza
storicamente molto antica3) in questo momento specifico, acquistando in prima
persona la funzione di spacca ghiaccio; si apre finalmente un filone di ricerca che da
                                                                                                               
3
Anche se la percezione riferita da molti greci oggi è che, dopo i fasti dell’antichità, il loro paese
abbia finito per essere sempre in ritardo rispetto all’Europa, a cui ha dato il nome e di cui ha posto le
basi culturali.

  6  
noi, al contrario che in altri paesi, sembrava non prendere piede. E il Rebetiko ha
comunque dovuto essere filtrato attraverso una voce e una sonorità italiane prima di
iniziare lentamente a catturare l’attenzione generale.

Per quello che mi riguarda più strettamente, in questa tesi affronto un tema musicale,
ma scrivo una tesi di letteratura e, anche nella trattazione di questioni tecniche
musicali, non mi sento in grado in nessun modo di poter ignorare il legame con la
parola: la parola messa in musica è necessariamente letteraria. È necessario
affrontare un discorso specifico sul ritmo oltre che sul senso. Dunque mi interrogo su
come l’elemento tecnico musicale accompagni, guidi, arricchisca, spogli o magari
contrasti il senso delle parole a cui è abbinato. Persino nel caso in cui il brano o la
questione musicale da considerare siano strumentali e la parola sia assente, mi
confronto con la scelta del musicista; cioè una persona che nel quotidiano si esprime
con le parole, come tutti gli esseri umani, e invece artisticamente sceglie
un’espressione altra rispetto alla concretezza. La musica supera l’ambito strettamente
razionale, rimanendo all’interno di un’espressione di senso compiuto e comprensibile
per molti; direi per tutti. Anche in assenza del linguaggio considerato il più
caratteristico dell’espressione umana, la parola, nell’usufruire degli strumenti e dei
mezzi tecnici del mondo musicale, per scendere nello specifico, comunque si
indagano e si rendono espliciti pensieri profondamente umani.
L’ottica comparatistica mi consente di parlare di Rebetiko, quindi di affrontare un
linguaggio straniero (greco) e diverso (espressivo, musicale, politico), spaziando con
lo sguardo il più possibile lungo i confini dell’orizzonte nuovo che mi si apre
davanti, senza però perdere mai la bussola del mio personale e specifico punto di
vista.

Questa ricerca, con tutti i suoi limiti, si propone di collocare al suo posto un altro
piccolo tassello del mosaico di studi letterari e musicali specifici sul Rebetiko che
comincia a crearsi in Italia. Si propone di affrontare un tema attuale e di mettere in
rapporto mondi vicini e differenti e diverse competenze tecniche.
 

 
 

  7  
1. REBETIKO

1.1 Il Rebetiko: un genere musicale greco


Il Rebetiko4 (ρεµπέτικο, chiamato anche Rebetika che è la forma plurale del
sostantivo neutro, traslitterato anche nelle forme Rebetico e Rembetiko) è un genere
musicale greco: in italiano viene generalmente chiamato “Rebetiko” oppure si parla
di “musica rebetika”. Oggi questo grande contenitore musicale specifico si identifica
fortemente con la Grecia, è uno dei generi musicali locali più conosciuti e apprezzati
anche all’estero ed è senza dubbio patrimonio considerato tipico dell’identità
musicale locale del mondo ellenico.

Ma questa localizzazione e identificazione culturale precisa non è un dato di fatto da


considerare scontato: infatti, la nascita del Rebetiko è legata ai sobborghi, ai caffè
fumosi e malfamati del porto, alle prigioni; è un genere musicale che esprime e
suscita reazioni appassionate, è ibrido e meticcio perché raccoglie i racconti
passeggeri ed esprime le malinconie e lo spaesamento di chi arriva in porti
sconosciuti, di chi è costretto a fermarsi oppure ad andare via. È una musica
scomoda. Si tratta di una musica (suono e canto) che esprime in primo luogo un
modo di intendere la vita: il rifiuto di certe regole, la scelta di non adeguarsi ai limiti
imposti dall’esterno; l’amore per i propri luoghi e per le proprie donne, l’orgoglio di
essere come si è. Questo fa sì che a livello musicale il Rebetiko non sia selettivo ed
elitario, ma piuttosto raccolga in sé volentieri influenze che provengono da vari paesi
e culture; è una musica che spesso si sporca le mani con il dolore, canta la vita
quotidiana ma anche la passione, raccogliendo, come in una rete da pesca, tutto ciò
che le compone e le suscita.

Il momento scatenante, che ha dato avvio al processo di fusione nella musica


rebetika di tradizioni di diversa provenienza, si può identificare con precisione con
l’anno 1922, anno della “Grande Catastrofe”, come viene chiamata ancora oggi dai
greci: la cacciata da parte di Atatürk e del suo esercito turco dei greci di Smirne;

                                                                                                               
4
Ogni termine greco introdotto comparirà in corsivo alla prima attestazione nel testo e in seguito sarà
riportato in tondo. Le traduzioni dal greco, inglese, francese e tedesco, se non è indicata un’edizione
di riferimento, sono a cura dell’autrice della tesi.

  8  
questo punto culmine del conflitto in corso all’epoca fra Turchia e Grecia portò
all’incendio e alla distruzione della città di Smirne (ad esclusione delle zone turche),
alla dispersione della fiorente comunità greca che vi risiedeva, allo sterminio di circa
25.000 greci, soprattutto civili, e all’esodo disperato di 200.000 persone. Questo
evento terribile e impressionante ha portato in seguito alla scelta di rimandare i greci
che risiedevano in terre turche in Grecia, e viceversa i turchi di Grecia in Turchia:
con la paradossale condizione di usare come metro di distinzione fra greci e turchi
l’appartenenza religiosa, senza considerare gli eventuali cambiamenti sopraggiunti
nel tempo. Si andarono così a sradicare e trasferire forzatamente interi gruppi
familiari la cui origine nel paese in cui venivano rimandati era ormai remota;
famiglie che non risiedevano nella loro “patria” da intere generazioni e avevano
perso con essa anche il rapporto linguistico.

In questo modo si arrivò all’incontro forzato fra i contadini stanziali delle campagne
greche, con le loro tradizioni popolari, e i nuovi poveri sbandati e spaesati, appena
arrivati in esilio e decaduti dalla loro condizione precedente (spesso di benessere
economico e sociale). Ci fu in questa occasione l’incontro fra i quartieri nuovi e
ripuliti da poco di un’Atene che rifioriva proprio in quegli anni e i profughi smarriti,
che portavano con sé un disagio e una disperazione che si alleviava solo riunendosi
insieme per fumare hashish: in mancanza di altre possibilità costruivano baracche in
cui vivere; sorsero vere e proprie bidonville, mentre la memoria dell’orrore della
Catastrofe veniva rivissuta. Veniva stemperata e addolcita nel canto struggente,
arricchito di influenze musicali provenienti dal Medio Oriente.

Tutto questo humus culturale andava a scontrarsi con l’ordine costituito che aveva
visto fin dall’inizio una minaccia nei rebètes (ρεµπέτες,   singolare   ρεµπέτης:
cantautori, cantanti e suonatori di Rebetiko, ma, prima ancora, la parola faceva
riferimento a un tipo di persona scontrosa e che vive ai limiti della legalità). E
soprattutto si conciliava molto male con il nascente regime fascista di Metaxas
(1936-1941), che portava avanti un ideale di purezza greca che entrava in diretta
collisione con il modo di vivere e di fare musica dei rebetes: questo scatenò una vera
e propria messa al bando. La musica rebetika fu dichiarata fuori legge, furono chiusi
i locali in cui si incontravano i rebetes, arrestati e incarcerati i musicisti, proibita la
musica al di fuori dei locali controllati dalla polizia; persino gli strumenti musicali

  9  
tipici del Rebetiko furono messi fuori legge. Anche da questa persecuzione nasce la
predilezione dei rebetes per il baglamàs, uno strumento così piccolo da poter essere
intagliato con facilità in un pezzo di legno di riciclo o addirittura, pare, in una grossa
zucchina; i musicisti lo tenevano nascosto sotto un lembo della giacca.
Il genere rebetiko, nonostante non avesse programmi e non propagandasse idee
specifiche, non riusciva a non essere un fatto politico.

1.2 Storia e itinerario del Rebetiko e dei rebetes


La definizione più generica del termine Rebetiko è quella che si può trovare su un
sito come wikipedia, ed è la stessa che si può ricevere domandando a un passante ad
Atene che tipo di musica dal vivo possiamo ascoltare in un locale cittadino5. Ma è
anche la definizione usata in apertura del documentario sulla musica rebetika della
BBC: il Rebetiko è il blues greco. Chiaramente si tratta di una definizione generica e
riduttiva, ma individua almeno due caratteristiche importanti di questo genere: è un
grande contenitore, nel quale trovano spazio brani musicali piuttosto distanti fra loro
nello stile e nei contenuti; ed è una musica che ha una vena di fondo fortemente
nostalgica e malinconica.

L’apice della canzone rebetika, con i suoi tratti caratteristici specifici e originali, è
durato solo trent’anni, quindi si tratta di un fenomeno musicale e sociale chiaramente
circoscritto nel tempo (e anche nello spazio): parliamo del trentennio 1922-1952.
Petropoulos6, che è stato uno dei più grandi teorici del Rebetiko e soprattutto un
primo grande appassionato, determinato a vedere riconosciuto il valore del Rebetiko,
era un rebetis nei modi lui stesso anche se non era musicista; ha scontato con anni di
prigione la sua esigenza di non tacere sul Rebetiko, di non aspettare tempi sicuri per
scrivere del fenomeno che riteneva fosse fondamentale non ignorare nel periodo
storico in cui ha vissuto (Canzoni rebetike, edito nel 1968, è stata la prima ricerca
sistematica che ha cercato di sdoganare il genere musicale rebetiko dal pregiudizio
che lo colpiva; dello stesso anno è anche Piccole canzoni rebetike; prima dei suoi

                                                                                                               
5
Faccio riferimento ad un episodio effettivamente accaduto al cantautore italiano Vinicio Capossela
che, volendo ascoltare della musica suonata dal vivo durante una vacanza in Grecia, ha domandato
informazioni ad un passante e si è sentito rispondere che nei locali si suona il Rebetiko, il blues greco;
è stato questo il suo primo incontro con questo genere musicale. Lo ha raccontato nella trasmissione
Moby Dick andata in onda su Radio Rai 2 il 19/12/2012.  
6
v. par. 1.2.3.

  10  
libri solo M. Chazidakis e F. Anoghiatakis si erano interessati nei loro studi di
musica rebetika)7.
Nel fare un raffronto fra Rebetiko e canzone demotica8, quindi canzone greca
folkloristica tipica del mondo campagnolo, Petropoulos scrive: «Le canzoni rebetiche
sono il metro di una triste realtà, espressa durante la festa con laconicità. […] La
prima parola o il primo verso di molte canzoni rebetiche di solito esprime grande
amarezza»9. Nel corso della sua trattazione, Petropoulos specifica con chiarezza il
fatto che il Rebetiko è una musica cittadina – nasce originariamente nelle città turche
con minoranze greche come Smirne, Bursa, Aydin, Salonicco (greca dal 1912) e
giunge in Grecia nei nuovi sobborghi cittadini con i profughi provenienti da Smirne
nel 1922 – e che si tratta di un fenomeno che riguarda gli operai, ma anche tutti quei
lavoratori parassitari che non vengono mal visti o biasimati. Trova spazio nelle feste
nei locali, in luoghi stretti dove si beve e non si mangia, al contrario di quanto
avveniva nelle feste popolari rurali che erano grandi eventi per la comunità: «Nella
canzone demotica ci si ubriaca tutti insieme, ma il motivo per cui i rebetes bevono e
si divertono sta nella loro amarezza. Cercano l’oblio. Un tedio mortale avvolge le
città»10. Si tratta di città che iniziavano ad acquistare una loro importanza di centri
urbani, conquistando all’inizio del 1900 nuova rilevanza rispetto alla realtà rurale
storicamente dominante Grecia. Gli eroi delle canzoni fanno parte degli strati sociali
bassi, sono quasi volontariamente ai margini e si oppongono a tutta la società senza
ostilità specifiche: c’è una certa attenzione al tema del salario o dell’espediente che
consente di guadagnarsi la giornata, mentre non c’è nessun interesse per i ritmi e i
                                                                                                               
7
Per tutte le traduzioni e le informazioni su Ilias Petropoulos e le sue pubblicazioni mi rifaccio alla
bella tesi di laurea triennale discussa nel 2012 presso l’Università La Sapienza di Roma da Michele
Cortese, che ha tradotto alcune parti di Canzoni rebetike: sue sono dunque le traduzioni riportate (da
questo derivano anche i diversi criteri di traslitterazione che si possono riscontrare). Il titolo della tesi
è Ρεµπέτικα Τραγούδια: Λαογραφική έρευνα του Ηλία Πετρόπουλου. Canzoni Rebetiche: Ricerca
folklorica di Ilìas Petròpulos. Per le citazioni riportate in italiano uso la numerazione di riferimento
delle pagine della tesi.
Cfr. Petròpulos I., Ρεµπέτικα τραγούδια, Atene 1972.
Cfr. Petròpulos I., Τα µικρά ρεµπέτικα, Atene 1968.  
8
«[…] è infatti comunemente accettata la definizione secondo cui la canzone demotica (chanson
folklorique) sia il canto popolare della campagna in epoca feudale, mentre la canzone popolare
(chanson populaire) è un genere musicale più recente proprio della popolazione cittadina.
Specialmente per quanto riguarda la Grecia sono demotiche tutte le canzoni create dal popolo greco
fino al 1821, mentre sono popolari le canzoni più recenti delle città (come Μπάρµπα Γιάννης
κανατάς - Barba Ghiannis kanatàs), le candades e le canzoni rebetiche)». In M. Cortese, Ρεµπέτικα
Τραγούδια: Λαογραφική έρευνα του Ηλία Πετρόπουλου. Canzoni Rebetiche: Ricerca folklorica di Ilìas
Petròpulos cit., p.35. Cfr. Petròpulos I., Ρεµπέτικα τραγούδια cit.
9
Ibid., p. 35.
10
Ibid., p. 26.

  11  
fenomeni naturali tipici della vita contadina; piuttosto si parla di mestieri umili
esercitati con dignità nei bassifondi urbani, e non si disprezza la tendenza alla
pigrizia e all’ozio.

1.2.1 Il Rebetiko tra folklore greco e origini orientali


Due elementi fondamentali da distinguere all’interno del discorso sul genere rebetiko
sono dunque, come si è visto, il raffronto con la musica folkloristica nei suoi temi e
contenuti da un lato, e il raffronto con la musica orientale dall’altro. La musica greca
orientale, quella dell’impero ottomano che nel 1453 aveva conquistato Bisanzio,
chiamata poi Costantinopoli, deriva dalla fusione culturale fra la Grecia e l’oriente,
in un interscambio di prestiti e con un allargamento di orizzonti (quindi le origini di
queste contaminazioni musicali risalgono a tempi più remoti; si può risalire fino alla
Grecia antica). Possiamo effettivamente verificare come la musica araba, già in
tempi antichi, avesse adottato il sistema modale, cardine della musica greca antica11.

Tipici della musica greca, ma anche di quella orientale, sono i dromi (δρόµοι,
singolare δρόµος che significa “strada”): si tratta di percorsi musicali tracciati legati
appunto ai diversi modi della tradizione araba; nei dromi viene lasciato spazio
all’improvvisazione12. I dromi, e ancora di più i modi della musica greca antica,
avevano nomi precisi e veniva attribuito loro un carattere specifico, particolare: si
riteneva che avessero un effetto psicagogico, cioè che al carattere musicale
corrispondesse un umore o un’attitudine umana, anche comportamentale, che
l’ascolto della musica stimolava. Nel periodo di dominio dell’impero turco ottomano
si verificò una circolazione e una condivisione di tradizioni culturali provenienti da
tutta l’area del Medio Oriente (arabi, persiani, greci, armeni, slavi ed ebrei si
incontrano): la percezione chiara di una corrispondenza tra determinati percorsi
musicali e stati d’animo definiti sta alla base del modo in cui viene recepita la musica
nel mondo greco prima, e in quello bizantino e ottomano poi.

                                                                                                               
11
Faccio qui riferimento ampiamente ai contenuti della comunicazione ascoltata presso l’Università
La Sapienza di Roma il 19/04/2012 nell’ambito della lezione sul Rebetiko tenuta da Gaia Zaccagni.
12
In greco τρόπος, “modo”, è una progressione di intervalli, toni, semitoni o frazioni ancora minori
del tono che crea un profilo e un ambiente armonico preciso e riconoscibile, ripetibile, su cui si
possono eseguire delle variazioni; su questa progressione sonora il musicista compone il pezzo da
suonare o cantare.

  12  
Costantinopoli, capitale ottomana, è il principale centro di incontro e di mescolanza
degli elementi culturali diversi che si uniscono in un crogiolo; questo rende non più
del tutto riconoscibile l’origine di certi fenomeni; la fusione avviene fra elementi di
cultura in generale (letteratura, poesia, arti figurative) e ovviamente coinvolge anche
il discorso musicale specifico. La città fu divisa in quartieri separati per etnie, ma
anche per corporazioni di mestieri: e questo spiega la tradizionale importanza e la
ricorrenza di alcune professioni particolari citate nelle canzoni rebetike.

Intanto il caffè, bevanda in precedenza sconosciuta (il caffè era stato importato a
metà del 1500 a Costantinopoli), aveva stimolato in Asia Minore la nascita e la
diffusione dei Cafè-aman: si tratta di luoghi dove ci si riuniva a bere il caffè e, da un
certo momento storico in poi, anche ad ascoltare e fare musica. Questa usanza fu poi
importata in Grecia, dove presto nacquero locali in cui si serviva caffè e in cui ci si
riuniva per suonare e ascoltare musica (µουσικό καφενείο, musikò kafenìo cioè caffè
musicale). Con la differenza, rispetto a Smirne e Costantinopoli, che, mentre in
Turchia l’ascolto della musica era una consuetudine che coinvolgeva le famiglie al
completo, in Grecia la frequentazione abituale dei caffè musicali era limitata ai soli
uomini.

1.2.2 Il Rebetiko e il contesto culturale ufficiale


I primi a parlare in un contesto ufficiale di musica rebetika sono stati il musicologo
Fìvos Anoghianakis in un articolo del 28 gennaio 1947 sul quotidiano Rizospastis e il
compositore Manos Chazidakis, nella sua conferenza del 1949. Avendo dedicato una
parte dei loro studi alla musica rebetika sono stati i primi, insieme a Ilias
Petropoulos, ad averne colto l’importanza, almeno in parte, già a quei tempi. La
conferenza di Chazidakis, tenuta nel teatro delle Arti di Atene, un ambito altamente
ufficiale, ebbe all’epoca un effetto davvero dirompente: infatti il musicista
(contemporaneo di Theodorakis ma più classico e “occidentale” musicalmente
rispetto al suo collega e amico) affermò, facendo delle importanti precisazioni e
distinzioni, che il Rebetiko era il prolungamento del canto bizantino; arrivò
addirittura ad additare al suo pubblico attonito il rebetis Vassilis Tsitsanis come colui

  13  
che andava considerato il Bach greco13. Secondo Chazidakis, nei momenti di
perfezione il Rebetiko riproduce quell’antica fusione tra parola, musica e movimento
che era alla base della tragedia antica, poi confluita nella cultura bizantina.

Questo accostamento audace fra una musica dei bassifondi e la massima espressione
della tradizione classica creò un certo scandalo fra gli uditori in sala: Chazidakis
argomentò il suo punto di vista notando che in questa musica il compositore è allo
stesso tempo anche poeta ed esecutore, notò i tre ritmi caratteristici su cui si basa la
composizione, cioè lo Zeimbekiko in 9/8, il Chasapiko, 4/4 e infine il Servikò che è
un ritmo molto veloce originario dei Balcani, poco diffuso, ma riconducibile al
panorama bizantino. Affermò inoltre che solo un genere tipicamente greco può
raggiungere l’equilibrio e la mancanza di eccessi anche nell’espressione dei
sentimenti estremi che si trova in questo tipo di canzoni; Chazidakis rivendica come
greca la compostezza del Rebetiko, da lui definito “puro” (καθαρό), oltre che
misurato e non eccessivo. Fu il primo importante passo verso l’abbattimento del
pregiudizio che si era creato attorno alla musica rebetika.

A Petropoulos invece va il merito di aver studiato per primo sistematicamente e di


aver catalogato questo genere musicale delle strade e delle taverne degli anni ’20,
questa musica dei quartieri popolari e delle baraccopoli sorte ad Atene e Salonicco
subito dopo la Grande Catastrofe. Essendo un genere musicale che si occupava di
«persone e cose che gli altri ignoravano, disprezzavano o temevano»14 fu, come già
detto, fortemente contrastato e rapidamente dichiarato fuori legge. A suonare la
musica rebetika erano i rebetes o manghes (in greco µάγκες; le parole sono
considerate sinonimi o quasi; secondo alcuni manghes è un termine più generico), e a
far loro da pubblico c’erano soprattutto gli strati più poveri della popolazione greca:
era un genere disdicevole, moralmente condannato a priori, da ascoltare di nascosto a
finestre chiuse15. La cultura alta e il potere istituzionale hanno ostracizzato e

                                                                                                               
13
G. Holst-Warhaft, Road to rembetika, Denise Harvey Publisher, 2006 (prima edizione Atene 1975),
p. 22.
14
I. Petropoulos, dal documentario di Legaki K., Ένας κόσµος υπόγειος, ERT, AE, EKK, Portolanos
Films 2005.
15
Si tratta dell’esperienza diretta riferita dallo stesso Petropoulos, che ricorda suo padre chiudere le
finestre prima di mettere sul grammofono certi dischi. In M. Cortese, Ρεµπέτικα Τραγούδια:
Λαογραφική έρευνα του Ηλία Πετρόπουλου. Canzoni Rebetiche: Ricerca folklorica di Ilìas Petròpulos
cit., p.2.

  14  
disprezzato il mondo e la società cui appartiene il Rebetiko, hanno cercato di
fermarne in ogni modo la diffusione, lo hanno percepito come pericoloso e si sono
affrettati a liquidarlo etichettandolo come non greco, ponendogli un veto nell’ambito
della cultura ufficiale: la verità insegnata nelle scuole fino alla caduta del regime dei
colonnelli nel 1974 impone il silenzio su questa zona d’ombra della storia e della
cultura greca.

1.2.3 Ilias Petropoulos


Il primo studioso ad amare e riconoscere apertamente il Rebetiko abbastanza da
insistere per dargli statuto ufficiale nei suoi studi è, come già affermato, Ilias
Petropoulos che se ne occupò in diverse pubblicazioni: Canzoni Rebetike è del 1968,
Piccole Canzoni Rebetike (anch’esso del 1968), Kaliardà (Καλιαρντά, Atene 1971; si
tratta di un vocabolario sul gergo degli omosessuali), Corpo (1972). Il suo è un punto
di vista particolare perché tutte le sue opere, assimilabili in questo al Rebetiko, sono
invise al potere: infatti gli sono costate ripetuti arresti da parte della polizia di cui il
primo, proprio a causa di Canzoni Rebetike, lo ha portato a cinque mesi di prigione;
ma Petropoulos da quest’esperienza difficile e dolorosamente ingiusta ha tratto
nuovo materiale per le sue ricerche. L’epoca in cui scrive Petropoulos è un periodo
storico di repressione politica e sociale, di stato di polizia, simile nei modi brutali al
precedente regime fascista di Metaxas col quale si può dire che il regime dei
Colonnelli mantenga una continuità: un momento in cui gli stessi greci si
accontentano di ignorare una parte della realtà che li circonda, una parte avvertita
come disdicevole, sporca, fonte di diffidenza, sconosciuta perché sottoposta a rigida
censura, repressa.

I ripetuti assalti culturali di Petropoulos, i suoi tentativi appassionati di resistenza e di


reazione, che si avvalgono di contenuti espliciti e di toni estremamente accesi, vanno
frontalmente contro la propaganda del regime dei Colonnelli che era incentrata sul
concetto di civiltà ellenica pura; concetto che si fonda con difficoltà sull’asse
eterogeneo che unisce i valori della cultura della Grecia antica a quelli dell’Impero
Bizantino cristiano, e che si basa fortemente sulla negazione di ogni legame con
culture altre (soprattutto viene rifuggita con orrore l’ipotesi di qualche
contaminazione con ambiti turchi e slavi). Negli ambienti accademici e in quelli
ufficiali (polizieschi) Petropoulos fu considerato un indemoniato per i suoi contenuti

  15  
e per le sue modalità espressive; in seguito si trasferì a Parigi e continuò a scrivere
sulla Grecia da lì.

Questo ci porta a considerare più nello specifico il problema della “grecità” ufficiale,
filo rosso che attraversa i due regimi che oppressero la Grecia nel 1900: il concetto di
“grecità” accompagnato, per alcuni, dalla Megali Idea (Μεγάλη Ιδέα), l’idea della
grande Grecia conquistatrice che prevedeva un’epurazione, in parte applicata, di
costumi tipici, parole e strumenti originari turchi o mediorientale che in altri periodi
hanno invece fatto parte a pieno titolo del patrimonio culturale greco. Il recupero di
alcune tradizioni e l’opposizione a questa esclusione sistematica di ogni elemento
turco, considerato come nemico, è una presa di posizione precisa del critico
Petropoulos, che però la riconosce in qualche modo come una posizione estranea al
Rebetiko di per sé. Infatti, a detta dello stesso studioso, il Rebetiko conserva molti
elementi della cultura greca ufficiale (tutta la parte di corrispondenze dei canti
rebetici con le canzoni demotiche in generale, cleftiche e acritiche in particolare)16. A
differenza della cultura ufficiale la musica rebetika non rifiuta però il legame con il
proprio passato di contaminazioni col Medio Oriente, configurandosi come
un’espressione genuina e non selettiva di passioni popolari nella pienezza delle loro
espressioni17.

Riassumendo, quello che ci si profila davanti è il problema del pregiudizio della


cultura ufficiale nei confronti del popolo delle strade dei nuovi centri urbani,
nell’impossibilità di nobilitarlo all’interno della vecchia tradizione bucolica e rurale:
è difficile a livello ideale e morale digerire l’idea che l’Arte possa essere anche
espressione della strada.18

1.2.4 Rebetiko: significato origini del termine

                                                                                                               
16
Sulle canzoni cleftiche e acritiche vedi paragrafo 1.2.5.
17
«(…) Insisto: i Greci non capiranno mai l’enorme significato delle canzoni rebetiche se, prima, non
si avvicineranno con amore al mondo dei diseredati, dei poveri e della malavita e ai loro problemi, e
se non accetteranno subito l’influenza esercitata su di loro dalla Grande Cultura Ottomana», I.
Petròpoulos, Τα µικρά ρεµπέτκα , cit., p. 20 in M. Cortese, Ρεµπέτικα Τραγούδια: Λαογραφική έρευνα
του Ηλία Πετρόπουλου. Canzoni Rebetiche: Ricerca folklorica di Ilìas Petròpulos cit., p.2.
18
Vedi su questo E.V. Alliegro L’arpa perduta. Dinamiche dell’identità e dell’appartenenza in una
tradizione di musicanti girovaghi. Affronto questo discorso in modo più diffuso nel capitolo 2.1.

  16  
Per quello che riguarda il significato della parola Rebetiko, in molti si sono
domandati quale sia la sua provenienza: l’ipotesi che vuole che l’origine del termine
sia legata alla parola turca rebet che ha il significato di “ribelle, fuori legge” non è
del tutto convincente secondo gli studiosi stessi: sembra quasi un’etimologia di
comodo inventata a posteriori. L’altra ipotesi accreditata è che derivi dal verbo
remvomai che ha il significato di “girovagare, sognare, andare in giro
pavoneggiandosi”, con riferimento anche all’atteggiamento fisico dei rebetes; d’altra
parte questo significato rinvia a figure della letteratura e della società greca arcaica
assimilabili ai cantastorie e ai menestrelli, il che sembra dare un valore aggiunto a
questa idea. La prima testimonianza dell’uso di parole legate all’ambito semantico
della parola Rebetiko è del 1925. In precedenza questi personaggi caso mai erano
denominati koutsavakides: anche questo è un termine di etimologia incerta, forse
legato a koutsòs, zoppo, con riferimento all’andatura tenuta dai rebetes che girano
per le strade con la giacca buttata su una spalla, ciondolando pronti eventualmente
alla rissa.

1.2.5 Alcuni temi del Rebetiko


Non c’è spazio in questa sede per proporre un catalogo dei temi presenti nei testi
della musica rebetika e per affrontare un discorso sulle forme linguistiche particolari
di questo genere. L’aspetto linguistico è un elemento importante che andrebbe
approfondito: i rebetes svilupparono un vero e proprio linguaggio specifico, quasi
uno slang, soprattutto nell’ambito della terminologia legata al mondo dell’hashish,
ma non solo. Per una trattazione in italiano su questo rimando alla già citata tesi di
Michele Cortese in cui si affrontano questi argomenti linguistici legati ai problemi di
traduzione che ha riscontrato nel rendere in italiano il testo di Petropoulos.
Mi interessa però sottolineare il legame anche tematico del Rebetiko con le canzoni
cleftiche e acritiche (citate più sopra senza ulteriori spiegazioni): il tema dell’esilio e
il particolare rapporto d’amore che canta il rebetis, il rapporto con la danza e infine
un breve accenno alla condizione fisica che i rebetes cercano di raggiungere, con o
senza l’ausilio dell’hashish, spesso cantata nelle loro canzoni.

I canti cleftici (κλέφτης, kleftes significa brigante), che fanno parte della tradizione
folkloristica greca, sono canti legati alla vita dei fuori legge, che però sono poi
diventati eroi della rivoluzione greca del 1821: portavano avanti la resistenza e infine

  17  
sono stati i fautori della liberazione dai Turchi. Non distanti dai canti cleftici, sia
nelle forme che nelle tematiche, sono i canti acritici (ακρίτας, akritas erano le
sentinelle che guardavano il confine dell’impero bizatino dai nemici), che erano canti
più antichi. Entrambi questi tipi di canto raccontano una realtà guerresca, di
battaglia, nella quale trovano spazio il banchetto e le canzoni ritmate coi tamburi
(τραγούδια της τάβλας, tragùdia tis tàvlas sono le canzoni della tavola); questo tipo
di immagini sonore rimanda immediatamente al contesto antico dei banchetti
dell’Iliade, che non devono essersi svolti in un contesto (anche musicale?) troppo
differente.

Spesso nella storia i greci hanno avvertito l’esilio come l’unica, tragica, scelta
possibile: nel percorso critico che si sta delineando mi sembra importante
sottolineare la presenza massiccia di questo tema nelle canzoni dei rebetes che, oltre
alla segregazione, lamentano con dolore questa distanza dalla terra d’origine che
viene loro imposta. D’altro canto, è vero anche che, in antitesi, spesso per il rebetis è
più importante come si sente rispetto a dove si trova.

Ancora, l’importanza del legame del Rebetiko con la danza: in Grecia esistono ritmi
di danza tipici di certe zone specifiche che hanno caratteri particolari; nel Rebetiko,
che prevede la danza davanti al palco dove si suona, e dove in certi casi i musicisti
stessi si lasciavano andare a momenti di danza in alcuni passaggi delle canzoni,
possiamo ritrovarne diversi tipi. Sirtòs e Kalamatianòs sono ritmi di danza dalle
sonorità piuttosto allegre, mentre lo Zeimbekiko, che viene dalla Turchia, era
originariamente una danza abbinata alla guerra e al lutto; particolari sono lo
Chassapiko, che fa riferimento direttamente alla professione del macellaio, e il Bàlos
e la Matinàda (due parole derivanti dal veneziano) che sono balli a due con parole
composte in versi rimati. La rima è un contributo squisitamente italiano che entra a
far parte del patrimonio del Rebetiko: infatti, storicamente, i versi greci usano metri
particolari, ma non rimati.

  18  
Un’ultima caratteristica importante è una sorta di stato d’animo, da associare
all’effetto del consumo di sostanze come l’hashish19 e l’alcool ma non solo: a volte
basta un momento passato a giocare con i kombolòi per indurre questa condizione
fisica e mentale. Si tratta della calma, quasi uno stato di trance estatica che a tratti
conserva elementi ripresi da antiche cerimonie20, una calma descritta talvolta dai
rebetes e raccontata nei testi delle loro canzoni; oppure viene invocata come stato da
ritrovare se lo hanno perduto per via dell’amore non corrisposto, o delle difficoltà
quotidiane.

1.2.6 Il Rebetiko e le donne


Per quello che riguarda il rapporto con le donne, per certi versi queste non erano ben
viste e ben accette nelle taverne e nei tekèdes (τεκέδες), cioè le fumerie d’oppio dove
si cantavano le canzoni rebetike: le uniche donne che avevano davvero libero accesso
erano le prostitute. Ma l’amore del rebetis per la sua donna invece è un amore
esclusivo, geloso e passionale, che può portare a gesti avventati, al limite anche
delittuosi; non di rado il rebetis associa la donna amata alla propria madre, con un
senso di appartenenza fra uomo e donna sanguigno e inevitabile. In realtà esistevano
anche le donne manghes: le chiamavano manghìsses (µαγκίσσες) ed erano
considerate amiche, compagne, donne rispettate se non temute; vagabonde, zingare,
operaie e anche prostitute con la loro etica e dignità.

Per quello che riguarda le cantanti, nel primo periodo del Rebetiko prevalse lo stile
smirneico, che associava l’idea della voce femminile alla pulizia e chiarezza di voci
di timbro acuto, quasi simili a quelle di cantanti classiche; queste riproducevano i
modi sinuosi provenienti dal Medio Oriente, però erano confinate negli anni 1920 e
’30 ai caffè-amman. Una restrizione di genere che si creò in Grecia nella prima fase
del Rebetiko, ma che ai tempi della seconda guerra mondiale già non sussisteva
più21. Col passare del tempo si affermò invece il gusto per una voce femminile più
sporca, rauca, quasi mascolina, e anche gli stessi comportamenti e atteggiamenti

                                                                                                               
19
Vale la pena ricordare che il consumo di hashish nell’impero ottomano non era considerato illegale,
quindi per molti rebetes non era immediato rinunciare a un’abitudine della quale non avvertivano la
pericolosità; il consumo di hashish trovava spazio anche in alcune cerimonie.
20
Vedi su questo il gran numero di canzoni rebetiche che contengono nel testo riferimenti diretti ai
dervishi e alle loro attività.
21
G. Holst, Road to rembetika cit., p.54

  19  
delle donne iniziarono sempre più spesso a cambiare. Prendo come esempio di
questa seconda tipologia femminile Sotiria Bellou, associabile al periodo del
Rebetiko Pireotiko (tipico del Pireo, il porto di Atene): era una donna piuttosto
spregiudicata, fumava il sigaro, era mascolina nei modi, la sua voce era scura e
graffiante, fece molti soldi e ne spese moltissimi per sostenere suoi colleghi
musicisti; le sue caratteristiche vocali sono lontane da quelle delle cantanti di stile
smirneico, ma non diminuiscono la bellezza e l’intensità espressiva delle sue
interpretazioni vocali. D’altra parte sono interpretazioni che per noi occidentali non
sono di ascolto semplicissimo in ogni caso: avvertiamo la distanza culturale rispetto
al modo di fare musica di Sotiria Bellou che non si avvicina al modo orientale ma è
comunque molto distante da noi.

Gail Holst si è occupata in studi specifici delle figure femminili del Rebetiko: le ho
rivolto una domanda a proposito chiedendole se, vista la presenza di voci che
cantano in stile smirneico, c’è stato secondo lei spazio anche per una femminilità più
dolce e morbida nel Rebetiko. Riporto qui la traduzione della sua risposta22:

Questo è un argomento vasto, ho scritto un articolo nel quale lo tratto brevemente


su Anthropology and Musicology – una rivista pubblicata dall’Università di
Bologna. A Smirne e Costantinopoli alle cantanti donne era permesso esibirsi nei
caffè, erano parte integrante del mondo dello spettacolo. Ma le cose in Grecia
erano differenti, e le donne che si esibivano in pubblico erano rare. Le cantanti
rifugiate, come ad esempio Rita Abadzi, Rosa Eskenazi o Marika Papagika,
abituate ad esibirsi in pubblico, non soffrivano di una cattiva reputazione, anche se
spesso cantavano delle loro vite così com’erano dando spazio a un gusto per aspetti
bassi della vita. Sotiria Bellou, Marika Ninou, Stella Haskil e altre che si
guadagnarono spazio sulla scena negli anni 1950 erano anche loro cantanti
professioniste, il cui lavoro era ammirato dai loro colleghi musicisti; ma è solo
negli anni ’60 che si è sentito cantare una donna greca della classe media in un
nightclub.
                                                                                                               
22
«This is a big topic and I have written an article about it briefly in Anthropology and Musicology -
a journal published by the University of Bologna. In Smyrna and Constantinople, women singers were
permitted to perform in cafes and were very much part of the performing world. Things were different
in Greece, and women who performed in public were rare. Refugee singers, accustomed to performing
in public, like Rita Abadzi, Rosa Eskenazi or Marika Papagika, were not disreputable figures,
although they often sang about their lives as if they were, catering to a taste for low-life. Sotiria
Bellou, Marika Ninou, Stella Haskil and others who came to prominence in the 1950’s, were also
professional singers whose work was admired by their fellow-musicians, but it was not until the 60’s
that a middle class Greek woman would have sung in a nightclub.
The sweet voices of the Smyrna-style singers were certainly very different from the Piraeus voices.
They came from cities were there was a more professional musical scene and they sang a wide variety
of songs including but by no means exclusively songs of low life. In the Greek rembetika world, I
don’t think there was a place for the sweet or coquettish, at least not until very late in the scene».
Da uno scambio privato di e-mail.

  20  
Le voci dolci delle cantanti di stile smirneico erano certamente molto differenti
dalle voci del Pireo. Venivano da città dove esisteva una scena musicale
professionale e cantavano una grande varietà di canzoni, che però senza dubbio
non includeva solo canzoni di vita quotidiana bassa. Non penso che nel mondo
greco del Rebetiko ci fosse spazio per la dolcezza o per il civettare, almeno non
fino a molto tardi nella sua storia.

Anche Vinicio Capossela, nelle sue ricerche in Grecia, è rimasto colpito dal
particolare rapporto dei rebetes con le donne: «“Non esistono donne brutte, esistono
solo uomini che non bevono”»23, dice Dimitris in una taverna guardando alcune
donne danzare, e rimandando così l’immagine di una brutta ma tipica idea di
rapporto fra uomo e donna impossibile, se non filtrato dall’alcol o da altre sostanze.
Ma più avanti Capossela raccoglie anche le parole ben poco conformiste di chi
racconta come la donna zingara non sia considerata una sporca ladra, ma invece una
donna bella, libera e affascinante; e riporta anche le parole di Papos che dice: «“Non
conosco nessuna canzone rebetika che sottovaluti la donna”»24.

1.2.7 Evoluzione storica e fasi del Rebetiko


Il percorso compiuto dal Rebetiko si complica andando avanti nel tempo ed è
interessante seguirne l’itinerario anche quando il genere musicale, con le sue
caratteristiche peculiari, si va sfilacciando e perdendo: infatti la musica rebetika
sembra essere meticcia per costituzione, va a cercare continuamente nuove
commistioni e contaminazioni per poter proseguire la sua strada.
Petropoulos per primo, nella sua analisi di questo genere musicale (in Canzoni
rebetike, 1968), ha distinto tre fasi facilmente individuabili della musica rebetika: la
prima fase va dal 1922 al 1932 e può essere definita “fase smirneica”. Circolavano
dischi, sotto il nome o lo pseudonimo del compositore, incisi da note cantanti
dell’epoca «con sanduri, violini, uti e molte esclamazioni. Queste canzoni erano
spesso caratterizzate da uno stile arabo o orientale (quest’ultimo successivamente
ripreso da Chiotis in alcuni brani da lui composti) e la loro origine smirneica era
particolarmente accentuata»25. In questa fase nessun compositore prevalse davvero in
modo netto sugli altri.

                                                                                                               
23
V. Capossela, Tefteri: Il libro dei conti in sospeso, Il Saggiatore, Lavis (Tn) 2013, p. 20.
24
Ibid., p. 125.
25
M. Cortese, Ρεµπέτικα Τραγούδια: Λαογραφική έρευνα του Ηλία Πετρόπουλου. Canzoni Rebetiche:
Ricerca folklorica di Ilìas Petròpulos cit., p. 24.

  21  
La seconda fase va dal 1932 al 1940 e «gli uti hanno ceduto il posto ai buzuki e ai
baglamàs, e le cantanti smirniote dei caffè – amman lo hanno ceduto ai profondi
cantanti dei tekés, che erano contemporaneamente compositori, parolieri e virtuosi
del buzuki allo stesso tempo. Fu allora che il rebetico ha rivelato, con semplicità
classica, il vero mondo degli emarginati»26. Quindi, in questo periodo centrale
emergono i veri e propri cantautori, che sono la figura effettivamente più
rappresentativa del Rebetiko e che avranno una continuità nel tempo: «Questo tipo di
amore cantano i miei fratelli, gli ultimi rebetes»27 è la conclusione dell’appassionato
Discorso funebre che Petropoulos pone a chiusura dell’introduzione del libro
Canzoni rebetiche. Petropoulos, come molti altri musicisti e critici dopo di lui fino a
oggi, riteneva che lo stile rebetiko in quegli anni si fosse già esaurito in quanto vena
autonoma: è vero che i grandi classici del Rebetiko sono di quegli anni e continuano
ad essere riproposti, rimangono ineguagliati; ma l’ombra di appassionato
pessimismo gettata sulla storia dei rebetes dalle parole di Petropoulos, in parte è una
cifra stilistica del Rebetiko stesso, contraddetta dall’esistenza di nuovi rebetes che
sentono oggi l’esigenza di suonare e anche di scrivere inediti brani musicali in stile
rebetiko.

La figura di spicco del periodo d’oro del Rebetiko è senza dubbio Màrkos
Vamvakàris, affiancato da altri nomi importanti28, ma da alcuni considerato
addirittura il più grande e indiscusso protagonista di tutto il genere Rebetiko.
La terza fase (1940-1952) è quella in cui Vassìlis Tsitsànis ha composto le sue
musiche migliori, che venivano cantate da Markos mentre Tsitsanis suonava il
bouzouki in modo dolcissimo e sublime; era un periodo di fame, armi, paura, forni
crematori troppo presenti nel quotidiano e troppo spaventosi per poterli cantare.
Tsitsanis sceglieva che tipo di voce dovesse dar corpo alle sue musiche, «cantanti
sconosciuti dotati di voci che ricordavano pescatori, muratori, fruttivendoli»29 e ha
cambiato la composizione dei gruppi strumentali. Ha composto musiche raffinate,
ispirate, sobrie. Parlando d’amore e celando il dolore, non facendo emergere nella

                                                                                                               
26
Ibid., p. 24.
27
Ibid., p. 53.
28
E al suo fianco Tundas, Baghianderas, Batis, Anestis Deliàs (scomparso giovanissimo), Stratos
Paghiumtzìs (o Tembelis, il Pigro), Morfetas, Chatzichristos, Peristeris, Papaioannou.
29
M. Cortese, Ρεµπέτικα Τραγούδια: Λαογραφική έρευνα του Ηλία Πετρόπουλου. Canzoni Rebetiche:
Ricerca folklorica di Ilìas Petròpulos cit., p. 24.  

  22  
musica il vissuto difficilissimo di quel periodo, ha reso il Rebetiko un genere
popolare. Per quello che riguarda gli strumenti è importante notare che in questo
terzo periodo viene aggiunta una corda al bouzouki. Questa innovazione, compiuta a
opera di Manolis Chiotis, non viene apprezzata dagli amanti del Rebetiko
tradizionale e classico del primo e secondo periodo, ed è nettamente rifiutata, anche
se spesso in toni un po’ ironici, dagli “estremisti del Rebetiko”30 di oggi.

1.2.8 Il Rebetiko: aspetti musicali


Parlando di aspetti strettamente musicali, si è già detto come il Rebetiko sia basato
sui “dromi” (i nomi dei singoli dromi sono, tranne pochi casi, ricalcati sui nomi dei
modi turchi, conosciuti come makam). Tuttavia la maggior parte delle canzoni
rebetike, soprattutto a partire dalla seconda fase, quella “classica”, sono
accompagnate da strumenti come la chitarra, la fisarmonica e altri che basano la loro
accordatura sul sistema armonico occidentale; quindi gli arrangiamenti dei pezzi non
corrispondono né ai canoni mediorientali tradizionali del periodo ottomano
(monofonia non armonizzata), né ai canoni convenzionali europei. Gli strumenti che
venivano man mano inseriti nella tipica orchestra rebetika sono strumenti equalizzati
o temperati, quindi non consentono la fluttuazione tonale tipica della musica
orientale dei makam; gli strumenti della musica rebetika non prevedono l’esecuzione
di quegli intervalli inferiori al mezzo tono che sono così caratteristici dell’oriente – e
così difficili da riconoscere, da comprendere e tanto più da realizzare per un
musicista occidentale.

In questo processo di inserimento della tonalità occidentale all’interno della musica


rebetika è stato fondamentale il contributo di Markos Vamvakaris, nato a Siros, nella
zona più occidentalizzata della Grecia dell’epoca. Sostiene Petropoulos che per certi
aspetti Vamvakaris ci teneva a distinguersi e a mantenere una distanza sia personale
che stilistica, in ambito musicale, dai rebetes attivi pochi anni prima di lui: ha avuto
una vita difficile e tragica che ha fatto sì che spesso assumesse posizioni molto nette.
Fra i musicisti della sua generazione si è confrontato soprattutto con Ghiannis
Papaioannou, che musicalmente gli si contrapponeva cercando una continuità più che
una rottura con la generazione precedente.
                                                                                                               
30
Vedi paragrafo 1.3.1.

  23  
Spesso le canzoni, soprattutto quelle del primo periodo del Rebetiko, sono precedute
da una lunga introduzione strumentale eseguita con il violino, oppure con il sanduri
o con la voce: si tratta di improvvisazioni, anche queste reminiscenze di provenienza
mediorientale (erano chiamate ταχίµια, al singolare ταχίµι, tachimia). Servivano a
introdurre “l’umore” musicale, ma erano anche il momento in cui il musicista, spesso
stordito dall’hashish, poteva far vagare la mente fino a recuperare uno stato di
maggior controllo di sé e della sua fantasia musicale, attraverso i passaggi eseguiti
sul suo strumento. Le introduzioni erano suonate con passione ed erano anche
momenti di dimostrazione di padronanza tecnica, anche se non risultavano mai
essere un mero sfoggio virtuosistico31.

1.2.9 Gli sviluppi e le fasi finali del Rebetiko


Nel periodo tra il 1941 e il 1944, in concomitanza con la fase di attività bellica della
Grecia, cessarono tutte le incisioni di dischi musicali, che ripresero solo nel 1946.
Accanto a Tsitsanis si affermò Manolis Chiotis che era un innovatore e, oltre a
diffondere la modifica del bouzouki, con l’introduzione del moderno tetracordo
(1956), importò e fuse nella musica greca popolare anche ritmi diversi e lontani: ad
esempio la combinò con il mambo sudamericano, contribuendo massicciamente alla
svolta in senso più leggero del Rebetiko (in questo tipo di contaminazioni ebbe un
ruolo importante la diffusione di generi musicali molto distanti, consentita dalla
radio). Chiotis si spinse così avanti in questo senso da ottenere dei risultati che non
possono più essere definiti come musica rebetika. Una svolta analoga la determinò in
ambito vocale Stelios Kazantzidis che si impose all’attenzione con la sua voce ben
diversa dal precedente stile pireotiko; aveva una tecnica e una potenza vocale diverse
e poco adatte al Rebetiko dello stile precedente. In ogni caso, Chiotis favorì il
declino del Rebetiko per quello che era stato fino ad allora; ma allo stesso tempo ne
favorì la riscoperta: infatti fu molto attivo nell’incisione di nuove versioni delle
canzoni rebetike classiche, favorendone la conoscenza e una diffusione molto più
ampia rispetto agli anni passati.

                                                                                                               
31
Cfr. G.Holst, Road to rembetika, cit., p.54: in questo passaggio ho tradotto, adattato e citato quasi
letteralmente il testo della Holst.

  24  
La scoperta del Rebetiko avvenne dopo la fine della guerra civile, che si era conclusa
nel 1949: dai bassifondi malfamati passò ad essere suonato nei night club frequentati
dai ricchi; e questo chiaramente cambiò in modo radicale il carattere del Rebetiko. Il
bouzouki venne sostituito con il bouzouki elettrico, o comunque venne amplificato,
la musica adesso si rivolgeva ad un pubblico alto borghese; il Rebetiko divenne un
genere alla moda, che faceva tendenza. Venne commercializzato, con
un’orchestrazione eccessivamente ampia che non era più riconducibile alle umili
origini di questo modo di fare musica; le parole si svuotarono di senso diventando
fatue, soprattutto nella produzione pensata per i long-play dopo il 1955. Onassis e i
Kennedy ascoltarono Ghiorgos Zambetas suonare il Rebetiko; i locali dove si
suonava questo genere musicale ora erano i più esclusivi e costosi di tutta la Grecia.

Dagli anni ‘60 anche nuovi compositori promettenti iniziarono a inserire suonatori di
bouzouki virtuosi nei loro arrangiamenti e nelle loro composizioni – fra questi Mikis
Theodorakis e Manos Chazidakis.

Negli anni ’70 cominciarono ad uscire LP, antologie e registrazioni, ma anche scritti
dedicati a singoli artisti. In questi anni uscì il primo testo in inglese32 pensato per far
conoscere questo fenomeno musicale e sociale al di fuori della Grecia, e fu scritta la
prima tesi di laurea in inglese sull’argomento33. In questa riscoperta del Rebetiko ha
giocato un ruolo importante l’elemento di protesta, di rivolta, di ribellione nei
confronti del regime che con un colpo di stato aveva preso il potere in Grecia nel
1967. La musica rebetika, come abbiamo visto, non aveva un programma politico,
ma richiamava alla mente precedenti momenti di oppressione ed evocava un’idea di
resistenza; i testi si prestavano naturalmente ad alimentare sentimenti sovversivi.

Oggi il Rebetiko in Grecia è amato ed eseguito in versioni vicine allo stile originale, i
dischi dell’epoca sono in commercio; ed è eseguito anche in versioni che non hanno
nessuna pretesa di avvicinarsi a quello stile, ma che a loro modo esprimono
l’attualità, la potenza e la vitalità di questo genere.

                                                                                                               
32
Si tratta appunto di G. Holst, Road to Rembetika, cit.: seconda edizione 1977, terza 1983, quarta e
per ora ultima 2006.
33
S. Gauntlett, Rebetika, Carmina Graeciae Recentoris, tesi di Dottorato, University of Oxford 1978.

  25  
1.3 Storia della ricezione e fortuna del Rebetiko fuori dalla Grecia
“Nessuno nasce greco. È una questione sociale, non genetica”. Citazione anonima in apertura
di pagina sul sito della società rebetika italiana
Particolarmente importante per la storia del Rebetiko (e nello specifico di Misirlou,
la canzone il cui percorso musicale e geografico ho scelto di seguire in questa
trattazione), è l’emigrazione greca, e quindi anche della musica greca, come il
Rebetiko, negli Stati Uniti: il flusso migratorio è diventato piuttosto costante a partire
dalla fine del 1800 ed è proseguito, con un numero di persone crescente, soprattutto
in corrispondenza col periodo della Catastrofe in Asia Minore, fino alla metà degli
anni ’20 del 1900 (quando sono state introdotte negli USA alcune leggi restrittive
sull’immigrazione). In America, le compagnie iniziarono presto a incidere dischi con
la musica di questi immigrati: la prima incisione è del 1896, mentre la prima
etichetta musicale greco-americana è del 1919; per la fortuna del Rebetiko, ma anche
per la stretta possibilità di sopravvivenza di questo genere, gli Stati Uniti hanno
avuto un ruolo particolarissimo e centrale. La storia del Rebetiko, per un certo
periodo, prosegue più al di fuori della Grecia che all’interno dei confini della patria
ufficiale di questa musica: visto che la situazione politica ha visto il succedersi di due
regimi che rifiutavano i contenuti e i modi del Rebetiko, l’emigrazione è stata una
scelta spesso obbligata, in ogni caso una svolta definitiva per molti musicisti greci.
Passo quindi a considerare la storia della ricezione di questo genere musicale al di
fuori del suo bacino geografico originario, fuori dalla Grecia.

1.3.1 Il Rebetiko in Inghilterra


Il Rebetiko ha colpito presto l’attenzione internazionale: il primo contributo straniero
allo studio teorico del Rebetiko è, come già detto, quello dell’australiana Gail Lillian
Holst-Warhaft che nel 1975 ha scritto un primo libro in inglese chiamato Road to
Rembetika: Music of the Greek Sub-culture; Gail Holst è una musicista, oltre che
poetessa e saggista (oggi insegna presso il dipartimento di Letterature Comparate
dell’Università di Cornell, Ithaka, NY), e si è cimentata nella pratica del Rebetiko in
Grecia e in Australia, imparando a suonare il bouzouki e il baglamas, in aggiunta alla
sua opera di diffusione e promozione del Rebetiko. In realtà il suo non è stato l’unico

  26  
libro in inglese ad essere pubblicato in quell’anno34, ma è stato quello che ha avuto
un seguito di pubblico e di tradizione di studi successivi importante. Infatti, la
frequentazione diretta da parte della Holst di alcuni musicisti e la conoscenza e la
passione per la Grecia hanno fatto sì che si creasse in ambito anglofono un asse
teorico di studi piuttosto solido e fiorente: la Holst riprese inizialmente le posizioni
teoriche di Petropoulos (erano gli unici scritti che poteva consultare all’epoca); dalla
sua attività nascerà in seguito il filone inglese legato alla “Society of Rebetology”.
La società, con sede a Londra, organizza annualmente in Grecia (di solito nell’isola
di Idra) alcune giornate di incontro internazionale per lo studio del Rebetiko.

La società inglese porta avanti un doppio approccio al Rebetiko: un approccio serio


di studio e ricerche accademiche, che fa sì che sul sito sia reperibile una bibliografia
disordinata ma ricca di libri di interesse per chi si occupa di Rebetiko, frutto del
lavoro nel tempo di molti studiosi35; ma propone contemporaneamente anche un
approccio ironico e giocoso. Infatti, lo stesso sito rimanda con un collegamento
diretto alla pagina curata da un certo Antoine Carolus, che si definisce il fondatore
del Radical Movement for Rebetiko Dechiotification and Bouzouki
Detetrachordization (Movimento radicale per la dechiotificazione del Rebetiko e per
la detetracordizzazione del Bouzouki): alla voce “chi siamo”, Carolus descrive il
movimento come una potente e pericolosa lobby di fondamentalisti del Rebetiko;
ma, aggiunge scherzosamente, “non siamo in molti”36. Al di là della dimensione
burlesca che propone, questo sito collegato alla pagina ufficiale dell’istituto ci parla a
mio parere del desiderio di tenere viva un’attitudine, quella che ha portato alla
fioritura del Rebetiko, che evidentemente al di fuori del suo contesto originario
facilmente non risulta più immediatamente comprensibile: approcciarsi al Rebetiko
comporta oggi affrontare questioni musicali e ricerche tecniche e folkloristiche
complesse; i discorsi sul Rebetiko rischiano di diventare difficili, quasi dei
monologhi astratti per chi li ascolta. Si tratta di un effetto lontanissimo
dall’immediatezza appassionata che si vive e si sperimenta nell’ascoltare la musica
rebetika.
                                                                                                               
34
Butterworth, C., Schneider, S. Rebetika: Songs of the old Greek underworld, (Rebetika: Canzoni
dell’antico mondo sotterraneo greco), edizioni Komboloi, Atene 1975.
35
La bibliografia citata è riportata come Bibliografia esistente, dopo la Bibliografia consultata, al
termine di questa tesi.
36
http://www.rebetiko.org/

  27  
Il mondo e il modo di vivere dei rebetes sono estremi: se imitati o inseguiti
goffamente da persone lontane da quel contesto, in tempi di benessere e nei giorni di
vacanza, si crea un effetto parodistico ridicolo, giustamente denunciato da questo
gruppo di studiosi e appassionati che si muove oscillando tra la serietà accademica e
le dichiarazioni comiche e anche un po’ grottesche.

1.3.2 Il Rebetiko in Australia


L’altro paese, sempre anglofono, raggiunto immediatamente dal Rebetiko è stato
l’Australia: si tratta del paese di origine di Gail Holst. Questa studiosa si è
appassionata alla Grecia negli anni della dittatura dei Colonnelli, in anni cioè in cui
non era possibile esprimersi liberamente in Grecia (la Holst ci è giunta per la prima
volta nel 1966 e all’epoca aveva forse ascoltato qualche canzone greca, ma non
conosceva minimamente la lingua). Non potendo restare è quindi tornata in
Australia; però, presa dalla curiosità e dalla nostalgia per la Grecia, è andata avanti
con i suoi studi di lingua e cultura greca da lì. Essendosi appassionata al Rebetiko
dopo averlo ascoltato e visto danzare ad Atene, subito ha trovato il modo di
incontrare diversi rebetes e ha letto i pochi testi che si trovavano sull’argomento; in
seguito ha ascoltato molta musica e ha studiato il bouzouki e il baglamas, è andata
avanti con tenacia nel suo viaggio di scoperta e approfondimento di questo genere
musicale che prosegue ancora oggi. Riferisce nel suo bel libro37 che nel 1966 era
difficile parlare con i greci di Rebetiko: le persone che incontrava e con cui più
facilmente aveva occasione di dialogo appartenevano alla classe borghese istruita, e
le riferivano di non essere interessati alla musica rebetika che era una musica fuori
moda; vecchio stile, troppo orientaleggiante. Preferivano Theodorakis e Chazidakis.
Per ascoltare il Rebetiko, le dicevano, doveva andare “στα µπουζούκια” (sta
bouzoukia, letteralmente “ai bouzouki”): ma questa non era un’esperienza
soddisfacente; alla Holst sembrava una caricatura di Rebetiko, e si andava
convincendo che fosse impossibile ascoltare il vero Rebetiko nei club ateniesi.
Quindi la sua ricerca all’inizio è stata difficoltosa: la vera svolta l’ha avuta non in
Grecia ma proprio in Australia dove, per non perdere il rapporto anche in tempi
difficili con quel paese che l’aveva così coinvolta, ha iniziato ad approfondire la sua
                                                                                                               
37
G. Holst, Road to Rembetika, cit., p. 18.

  28  
conoscenza del Rebetiko e a chiarirsi meglio le idee attraverso l’ascolto delle
incisioni che era riuscita a procurarsi.

E poi accadde che negli anni del regime anche le musiche di Theodorakis, che aveva
osato associare la voce di un rebetis e il suono del bouzouki alle poesie del grande
Ghiannis Ritsos, vennero bandite; nel 1968 era uscito il libro di Petropoulos, subito
censurato, che aveva cominciato di conseguenza a circolare in modo clandestino fra i
collezionisti. La musica dei rebetes che parlava di hashish, che era bandita da anni,
che era anti-autoritaria, la voce di emarginati improvvisamente cominciava a
sembrare ai giovani greci trasgressiva nei confronti del regime rigido; parlava loro di
resistenza, li coinvolgeva e li riguardava. La musica rebetika parlava ai giovani degli
anni ’70 un linguaggio che riconoscevano: ma a questo punto era diventato ormai
difficile trovare in Grecia i personaggi descritti da Petropoulos nei suoi libri.
L’attenzione si era risvegliata in ritardo: alcuni grandi musicisti di Rebetiko
morirono a poca distanza l’uno dall’altro proprio in quegli anni (Papaioannou,
Vamvakaris). Comunque furono incoraggiate esecuzioni fedeli al vecchio stile di
Rebetiko e in Grecia tornarono reperibili nuove edizioni dei dischi con le voci degli
anni ’20 e ’30.

In Australia Gail Holst ebbe accesso ad alcuni dischi in pessimo stato; ma


soprattutto, finalmente, riuscì a scovare Ghiorgos Samardzis: un vecchio rebetis che
aveva suonato ad Atene con Markos in gioventù, ma che da quando era emigrato
vent’anni prima non aveva più fatto musica rebetika, nonostante suonasse
regolarmente nei caffè greci di diverse città australiane. Tuttavia ricordava ancora
moltissime canzoni del periodo precedente la guerra: da bambino Samardzis aveva
percorso venti chilometri a piedi nudi dal suo paese sull’isola di Mitilene per
raggiungere la capitale e poter ascoltare Markos che suonava il bouzouki; c’era
andato nonostante il divieto di suo padre e l’aveva pagata al ritorno, ma in qualche
modo sapeva già allora di voler diventare un suonatore di bouzouki. Poi per diversi
anni è stato molto malato, costretto a letto, e i genitori hanno ceduto, consentendogli
di tenere un bouzouki: a Sidney, in casa della Holst, molti anni dopo di nuovo da
solo col suo bouzouki, battendo il tempo con il piede e cantando con voce “grezza e

  29  
dolce”38 ha introdotto in modo diretto la Holst in questo mondo. E lei ha preso
ispirazione per finire di scrivere il suo libro, ha curato il documentario della BBC e
non ha mai smesso di interessarsi di Rebetiko, di ricercarne i diversi aspetti e di
promuoverlo per farlo conoscere il più possibile nel mondo.

1.3.3 Il Rebetiko negli Stati Uniti


La ricezione più importante del Rebetiko, fin dall’inizio della sua storia, è stata però
senza dubbio quella negli Stati Uniti. L’industria musicale americana ha avuto un
ruolo particolarmente importante soprattutto a partire dalla metà degli anni trenta del
1900 per il Rebetiko: infatti negli USA venivano incisi dischi di canzoni che non
potevano essere registrati in Grecia, perché le parole non passavano il controllo
rigido della censura; e di nuovo la stessa situazione si venne a creare con il
successivo regime della giunta dei Colonnelli negli anni 1967-1974.

Un esempio notevole di questa situazione ce lo offre l’LP “Otan kapnizei O Loulas”


(“Όταν καπνίζει ο Λούλας”, “Quando il narghilè fuma”39), uscito nel 1973: in Grecia
in quegli anni era impossibile pubblicare canzoni che contenessero riferimenti così
espliciti all’hashish e al modo in cui veniva consumato. Le leggi ufficiali della
censura istituite da Metaxas furono revocate ufficialmente solo nel 1981, sette anni
dopo la caduta del regime dei Colonnelli: ma questo, per quello che ha riguardato la
diffusione del Rebetiko, non ebbe, come già accennato, conseguenze tali da
bloccarlo. Le incisioni greco-americane preferirono dare spazio alle sonorità
mediorientali e diedero nuovo impulso allo stile smirneico, facendolo rifiorire e
portandolo a nuove produzioni che videro rinascere questo stile che fu portato avanti
con nuovi frutti fino agli anni ’50 inoltrati: anche molte canzoni precedentemente
registrate con l’accompagnamento di bouzouki, baglamas e chitarra (l’arrangiamento
tipico dello stile pireotiko) furono invece incise nuovamente, arricchite della
strumentazione più tipica anatolica.

                                                                                                               
38
G. Holst, Road to Rembetika, cit., p. 25.
39
Il titolo dell’album è gustoso: il verbo è al singolare, quindi è il narghilè stesso ad essere attivo nel
fumare. Inoltre letteralmente ο Λούλας (o Loulas) è solo una parte e non tutto il narghilè: si tratta del
piccolo braciere, posizionato sopra una fiammella o sopra pezzi di carbone ardenti, dove viene
posizionato il tabacco aromatico e anche, eventualmente, l’hashish.

  30  
Dopo la seconda guerra mondiale e nei primi anni ’50 furono molti i musicisti greci
e cantanti di Rebetiko a viaggiare facendo tour negli Stati Uniti, talvolta rimanendoci
oltre il periodo del tour, molto a lungo: fra loro Ioannis Papaioannou, Manolis
Chiotis, Vassilis Tsitsanis, Rosa Eskenazi.

1.3.4 Il Rebetiko in Germania e in Francia


Un altro paese dove l’emigrazione greca è stata importante e dove negli anni ’70 fra i
giovani universitari era abitudine diffusa ascoltare musica rebetika eseguita nei caffè
greci è la Germania: tuttavia non ci sono, per quello che ho potuto riscontrare, studi
sistematici in proposito; riporto queste informazioni come testimonianza diretta di
amici tedeschi e italiani che sono stati studenti e hanno frequentato attorno alla metà
degli anni ’70 le università di Berlino, Monaco e Heidelberg. Una segnalazione da
fare è il testo edito nel 1987 (una tesi di laurea poi pubblicata) di E. Dietrich: Das
Rebetiko: Eine Studie zur stadtischen Musik Griechenlands (Il Rebetiko: uno studio
sulla musica urbana greca)40.

In Francia è stato di recente pubblicato un libro chiamato Rébètiko, un chant grec


(Rebetiko, un canto greco41) da parte di Eleni Cohen, una musicista francese di
origine greca: l’autrice cura anche un blog (http://rebetikobiblio.blogspot.it/) per la
conoscenza e la diffusione del Rebetiko e in generale della musica greca in Francia.
Ma questo è solo l’ultimo dei contributi francesi sul Rebetiko, iniziati con il
documentario curato per la BBC da Philippe de Montignie, regista e co-
sceneggiatore insieme alla Holst: non si tratta di un genere musicale largamente
diffuso, ma esistono gruppi musicali che lo suonano, diversi documentari, e la
conoscenza di questo genere ha cominciato a diffondersi in netto anticipo ad esempio
rispetto all’Italia.
 
 
 
 

                                                                                                               
40
E. Dietrich, Das Rebetiko: Eine Studie zur stadtischen Musik Griechenlands, Hamburg Wagner,
Berlino 1987.
41
E. Cohen, Rébètiko, un chant grec, Editions Christian Pirot, 2008.

  31  
2. UNA CANZONE REBETIKA: MISIRLOU

2.1 Problemi metodologici di ricerca


«In nome del nazionalismo classicista, si cercò di uccidere la parte orientale» V. Capossela42

Premetto che è sempre difficile, quando si fanno ricerche sul Rebetiko, avere
certezza delle fonti e della loro autorevolezza: essendo stato un genere musicale
popolare (anzi, sub-popolare visto che riguardava uno specifico gruppo sociale
urbano emarginato), oltretutto osteggiato e bandito dalla cultura ufficiale, per un
lungo periodo le informazioni disponibili al riguardo sono state solo quelle reperibili
di prima mano parlando con gli stessi musicisti; parole eventualmente trascritte,
registrate, riferite successivamente da qualcuno. I musicisti non risultavano sempre
fonti affidabili sui dettagli e non erano sempre del tutto sinceri, specialmente quando
erano in cerca di un possibile ingaggio lavorativo (vedi il fatto che ufficialmente la
paternità di Misirlou, la cui musica è di probabile origine popolare, anche oggi è
attribuita a due musicisti diversi). Per i rebetes poter dire la verità era un valore
importante, ma a volte i musicisti non erano attendibili perché il consumo di droghe
e più in generale il loro stile di vita finiva per intaccare i loro ricordi o la loro
capacità di raccontarli; e anche la voglia di aderire alla realtà dei fatti, spesso
sgradevoli e dolorosi, talvolta veniva meno. Oppure erano altri a considerarli non
affidabili né raccomandabili, a prescindere dal loro comportamento effettivo:

Posti sotto inediti riflettori che esaltavano il decoro della Patria strettamente
connessi alla creazione degli stati-nazione; percepiti a partire da esigenze di
controllo sociale e di ordine pubblico legate a una propaggine sociale emergente;
colti nel quadro di primitive istanze produttiviste tendenti ad esaltare il lavoro
quale creatore di beni materiali […] i musicanti assunsero nella seconda metà
dell’Ottocento i connotati di vera e propria mina vagante capace di relativizzare e
problematizzare i presupposti culturali su cui la modernità veniva ad edificare le
proprie fondamenta. […] il fenomeno dei musicanti di strada si pose come
scandalo della modernità, come segno di una diversità culturale destinata a
popolare gli spazi della patologia sociale e a confluire in quel calderone
                                                                                                               
42
V. Capossela, Tefteri: Il libro dei conti in sospeso, Il Saggiatore, Lavis (Tn) 2013, p. 58.

  32  
traboccante di figure devianti appositamente predisposto dagli apparati di controllo
e legittimato dai saperi e dai poteri coevi. […] «una miscela di lecito e di illecito,
di buono e di pessimo, di compassionevole e di orribile (…). Come pericolo,
minaccia, cominciamento forsanco di azione criminosa, la legge ha l’obbligo di
sorvegliarli, di seguirli, di contenerli (…)» […] Figura poliedrica e indisponente,
ma pure meravigliosa e straordinaria, figura dell’insolito e del sensazionale, il
musicante, in quanto oggetto poliedrico di difficile decodifica, risultò
inevitabilmente ambiguo e ambivalente, capace di attrarre ma pure di respingere.
[…] Abitatore di terre di confine, di spazio di frontiera, fu proprio il musicante a
dare la possibilità a tutta una società di conoscere “l’altro” e di riconoscere se
stesso, di abbozzare un tentativo di discorso sulla normalità, la diversità, l’alterità.
È intorno ad esso e ad altre figure ritenute devianti che venne tratteggiato un
linguaggio della marginalità, fatto di segni, di simboli, di messaggi con i quali i
protagonisti, i “marginali”, le istituzioni, avviarono un rapporto di reciproco
riconoscimento, in un continuum indefinito tra lecito e illecito, legale e illegale,
normale e anormale, morale e immorale.43

Ho voluto riportare questa lunga citazione, includendo anche parte del verbale degli
atti parlamentari della Camera dei Deputati di Roma citato: si riferisce a una
specifica comunità di musicanti di strada originaria della Basilicata. Trovo che Enzo
Alliegro abbia colto con precisione nel suo libro e descritto con chiarezza i
sentimenti che accompagnano la situazione sociale vissuta dai musicanti (simile a
quella dei rebetes) nel contesto civile che li circondava, contesto con il quale la
convivenza era evidentemente difficoltosa: il verbale della Camera dei Deputati ci
lascia intendere che in fondo anche in Italia, se la storia fosse andata in modo poco
diverso da come è andata, avremmo assistito al fenomeno della messa al bando di
uno specifico gruppo sociale, in un certo periodo storico, a causa del proprio modo di
fare musica. Si è andati vicini a bandire, a dichiarare illegale un genere musicale con
i suoi strumenti e i suoi contenuti, nonostante non fossero stati compiuti atti criminali
da parte dei musicisti; proprio come è accaduto in Grecia con i rebetes.

Tutto questo è difficile da comprendere: soprattutto se viene considerato da un’ottica


estranea a quella degli artisti, nello specifico dei musicisti che anche oggi, facendo
                                                                                                               
43
E.V. Alliegro, L’arpa perduta. Dinamiche dell’identità e dell’appartenenza in una tradizione di
musicanti girovaghi, Argo, 2007, p.10.

  33  
musica in modo “artigianale” e non commerciale, quindi al di fuori dei circuiti più
chiaramente e generalmente riconosciuti, vivono abbastanza spesso l’esperienza
sconcertante di essere oggetto di una forma più o meno esplicita e intensa di
avversione. Diventano oggetto di attacchi sul piano personale, di emarginazione
sociale e culturale su base pregiudiziale; la genesi antica di questo pregiudizio mi
sembra venga spiegata con chiarezza da Alliegro.

Questo brano ci fa cogliere e comprendere meglio anche quali possono essere le


difficoltà che si incontrano nel cercare di ricostruire la storia e nel ricucire i fili e le
tracce seminate in giro per il mondo da un gruppo sociale che faceva molta paura a
chi non ne faceva parte, una paura che andava oltre le motivazioni razionali, anche se
ai rebetes veniva riconosciuto il loro fascino che suscitava interesse e curiosità.

2.1.1 Ricerche musicologiche sul Rebetiko: un ambito di studi carente


Ancora oggi le ricerche sistematiche sul Rebetiko sono limitate, soprattutto per
quello che riguarda gli aspetti strettamente musicali dei singoli pezzi: si trovano
trattazioni di impostazione folkloristica, etnomusicologica, antropologica; ma, per
quello che riguarda le canzoni, si trovano quasi esclusivamente cataloghi di testi –
eventualmente con le loro traduzioni nel caso in cui si tratti di compilazioni non
greche. Un vero e proprio studio musicologico che si possa dire completo su questo
genere continua a mancare. Essendomi trovata a ricercare in questo ambito ancora
poco battuto in prima persona ho riscontrato alcuni problemi ricorrenti: innanzitutto
la contraddittorietà delle affermazioni in circolazione; poi la provenienza spesso non
chiara delle informazioni reperibili; e la tendenza ad una certa reticenza nel
considerare chiuse definitivamente le questioni critiche affrontate.

Soprattutto nel web, mezzo imprescindibile per questa ricerca, insistendo nelle
ricerche si riesce a reperire una buona quantità di informazioni. Navigando fra siti in
diverse lingue creati in diversi paesi e con impostazioni diverse, si trovano fonti di
informazioni molto diverse fra loro: blog specializzati interamente dedicati a
Misirlou44, siti sul Rebetiko che rimandano a cataloghi musicali specifici dove quindi
                                                                                                               
44
Misirlou è la canzone rebetika che ho scelto di trattare (per le caratteristiche musicali particolari e
per la sua storia piuttosto straordinaria) come oggetto specifico di questa ricerca. Vedi riguardo a
Misirlou in particolare il par. 2.2.

  34  
le citazioni di date e fonti sono accurate e verificabili. E moltissimi sono i siti, i blog
e le piattaforme online dove trovano spazio scambi di opinioni fra semplici
appassionati di musica rebetika o in generale di musica mediterranea; spesso, ma non
sempre, si riscontra in questo tipo di siti più superficialità nella trattazione dei temi.
L’unico punto su cui tutte le fonti sembrano concordi è nel considerare vero il fatto
che più si amplia la ricerca nell’ambito del Rebetiko, o anche di un singolo brano
musicale come Misirlou, più si scopre un campo da approfondire nel quale è
difficilissimo avere notizie certe.

Un esempio concreto di questa situazione è un portale accessibile a tutti come


youtube: qui si trova un buon numero di versioni di Misirlou caricate su internet da
utenti di tutto il mondo; e, nello spazio dedicato ai commenti di ogni video musicale
per questa canzone, si discute quotidianamente ancora oggi, con contributi
diversissimi, su quale sia l’origine di questo brano. Gli utenti sono quasi sempre in
disaccordo fra loro. Alcune di queste conversazioni mi sono risultate utilissime
perché fra gli appassionati qualcuno si è preso la briga di inserire link di
collegamento a cataloghi musicali online di paesi orientali che, oltre al numero di
catalogazione, includono le foto dei dischi in vinile: sono fonti di informazioni che
non sarei stata in grado di reperire e consultare da sola; ho trovato qui conferma certa
delle date di pubblicazione di alcune delle versioni che mi interessano di Misirlou.

2.1.2 Ricerche su Misirlou


Per quello che riguarda la canzone Misirlou: la sua fama, la sua diffusione, la
quantità di versioni diverse che sono state realizzate di questo testo, e soprattutto il
suo successo e l’apprezzamento che ha riscontrato sono tali e talmente universali da
aver fatto nascere spontaneamente alcuni siti che hanno cercato di raccogliere il
materiale reperibile riguardante questa canzone rebetika e di organizzarlo. Sono
principalmente queste le fonti da cui attingo informazioni su Misirlou (in particolare
confronto due blog che ho valutato essere affidabili:
http://4misirlou.blogspot.it/2010_05_01_archive.html e
http://www.musicheaven.gr/html/modules.php?name=News&file=article&sid=3271,
entrambi redatti principalmente in greco con alcuni inserti in inglese). La scelta delle
fonti per me è in parte obbligata: non ho possibilità di accedere direttamente a tutte le
diverse versioni del testo di Misirlou, scritte in lingue e alfabeti differenti, non

  35  
sempre sono in grado di giudicare l’accuratezza delle trascrizioni e delle eventuali
traduzioni in inglese o in greco proposte dai curatori dei blog. Tuttavia mi sembra
importante dare conto dell’esistenza di queste versioni del testo e della musica
distanti nel tempo, nello spazio, a livello sonoro per gli arrangiamenti musicali e nel
senso del testo. E anche riportare tutte le versioni del testo di Misirlou che ho
reperito, nonostante il rischio che contengano imprecisioni per impossibilità di
verifica da parte mia, mi è sembrata una testimonianza importante all’interno di
questa tesi.

Mi sono preoccupata invece di verificare l’esistenza effettiva delle diverse versioni


della canzone, e dove mi è stato possibile ho verificato la corrispondenza del testo
scritto con quello cantato.
Per le questioni musicali specifiche del genere rebetiko e delle diverse versioni di
Misirlou, le ho indagate rifacendomi alle mie conoscenze musicali, a pochi libri
sull’argomento e all’aiuto di diversi musicisti; in particolare ho consultato musicisti
greci o italiani studiosi di musica greca e orientale che potessero rivedere insieme a
me singoli passaggi e questioni, che mi aiutassero a sciogliere certi dubbi quando ho
trovato informazioni contrastanti nel corso delle mie ricerche.

2.2 Storia di Misirlou


Misirlou (o Mousourlou) è il titolo di una canzone folkloristica greca: si tratta di un
brano tradizionale antico la cui melodia fu apprezzata molto in tutta l’area circostante
la Grecia; era un motivo così amato da essere rivendicato da diversi autori
provenienti da paesi differenti, dal Marocco all’Iraq, che ne reclamavano la paternità
e l’appartenenza alla tradizione musicale del proprio paese d’origine. E questo
continua ad accadere anche oggi.

Il termine Misirlou (greco: Μισιρλού, turco: Mısırlı, “egiziano”, arabo: ‫�م�ص�ر‬‎, Miṣr,
“Egitto”) in turco significa “donna egiziana”, o più specificamente “donna egiziana
di religione musulmana”; in contrapposizione con il nome dato agli egiziani cristiani,
chiamati in greco Αιγυπτιοι (Aigyptioi).
La prima registrazione conosciuta di Misirlou è quella del complesso di rebetes
guidata da Michàlis Patrinòs (ρεµπετική όρχηστρα του Μιχαλιού Πατρινού, rebetiki

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orchestra tou Michaliou Patrinou); questo brano è stato inciso per la prima volta in
Grecia nel 1927 – ma secondo alcuni la prima versione è stata invece incisa sempre
da Patrinos a New York.
Mentre l’autore della musica, vista la sua probabile origine popolare, rimane
tutt’oggi sconosciuto, è invece abbastanza certo che l’autore del testo della canzone
sia lo stesso Patrinos: probabilmente nella prima edizione Patrinos, che era un greco
ottomano di Izmir-Smirne, usò la variante della pronuncia locale di Smirne appunto,
per cui inizialmente il nome della ragazza del titolo suonava come Mousourlou
(Musurlù). In questa prima registrazione possiamo ascoltare una versione del brano
interpretata come uno Zeimbekiko, quindi eseguita ad un tempo più lento e in una
tonalità differente rispetto alla versioni “orientaleggianti” successive che siamo
abituati ad identificare oggi con Misirlou (in linea di massima interpretata piuttosto
come uno tsiftetèli). Da un certo momento in poi, con l’aumentare della popolarità e
delle esecuzioni di Misirlou, prevale l’uso di adattare la tonalità alle esigenze dei
cantanti e agli strumenti a disposizione. Sul tipo di ritmo originario del brano
musicale non c’è accordo fra i critici; ma l’ipotesi proposta di questo iter che va da
una prima versione, quella di Patrinos, che si può definire “zeimbekiko politikòs”,
alle versioni più veloci in 4/4 tipiche del ritmo di danza tsifteteli, è quella che sembra
la più probabile.

Accenno ad un problema che in linea generale è considerato risolto, ma che per


alcuni studiosi “puristi” è ancora aperto: secondo alcuni studiosi di musica
tradizionale della Grecia e del Medio Oriente, Misirlou è un brano che appartiene
alla tradizione, dunque non si può definire pienamente Rebetiko. In realtà, come
abbiamo visto, all’interno della musica rebetika sono confluiti molti stimoli diversi, e
in certi casi anche melodie appartenenti alla tradizione popolare. Quando l’origine
della musica era tradizionale, a fare la differenza era il testo originale,
l’orchestrazione e il modo di cantare tipici dello stile rebetiko; per questo motivo
l’appartenenza di Misirlou al genere Rebetiko non è davvero messa in discussione se
non da pochissimi.

La versione della canzone realizzata da Patrinos arrivò già negli anni 1930 in
America: infatti in quegli anni la casa discografica “Ortophonic records” di Titos
Dimitriades, anche lui greco ottomano nato a Istanbul, si occupò della diffusione

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americana di questo brano che probabilmente gli era già noto da prima; una seconda
incisione fu realizzata a New York ancora da Michalis Patrinos nel 1931 (quella che
secondo altre fonti è la prima incisione; ma ritengo più attendibile la successione che
ipotizza quest’ultima versione come seconda).

Nel 1941 Nick Roubanis, jazzista greco-americano, insegnante di musica e


appassionato di musica bizantina, realizzò un arrangiamento jazz strumentale di
Misirlou e affermò di esserne il compositore, reclamando per altro i diritti sulla
musica che affermava essere sua originale. Non essendo mai stato smentito
ufficialmente, in Grecia la canzone viene considerata in alcuni casi di paternità di
Patrinos e in altri di Roubanis; mentre, nel resto del mondo, attualmente i diritti della
canzone sono considerati legalmente di Roubanis, anche se è ormai noto il fatto che
non sia stato lui a inventare la musica di questo brano fortunatissimo. D’altra parte, a
Roubanis viene generalmente attribuito il merito di aver fissato definitivamente
l’intonazione degli intervalli interni e della tonalità d’impianto del pezzo: va a lui il
merito di aver intuito e sottolineato nella sua versione del brano musicale
l’importanza di quel colore orientale tipico, un’eco anatolica che gli amanti di
Misirlou conoscono bene.

Presto il brano iniziò ad essere eseguito come uno standard “esotico” dalle band che
suonavano musica swing leggera nei locali americani, un tocco orientale inserito dai
musicisti a colorire i loro programmi: questo avvenne soprattutto in seguito alla
stesura della versione inglese del testo curata da Bob Russell, Fred Wise e Milton
Leeds (la prima versione in disco in cui compare il testo inglese è del 1941,
contemporanea alla versione di Roubanis).
Nel 1943 Miriam Kressyn scrisse una versione yiddish del testo di Misirlou, mentre
nel 1944 il musicista libanese Clovis el-Hajj ne eseguì una versione in arabo
intitolata “Amal”, che per ora risulta essere l’unica versione esistente in lingua araba.

Una svolta importante nella fortuna già ampia e crescente di questo brano si ebbe nel
1962 con la versione strumentale per chitarra elettrica realizzata da Dick Dale:
sfidato durante un concerto da un fan (o almeno così racconta l’aneddoto), raccolse
la sfida propostagli di realizzare un intero brano suonato su una sola corda della
chitarra; questa provocazione stimolò in Dale il ricordo dei suoi zii, musicisti

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libanesi-americani che suonavano l’oud, e della loro tecnica nel suonare Misirlou su
una corda sola, e questo lo portò a realizzare la sua versione. La versione di Dick
Dale è molto accelerata nel ritmo, per ottenere un tempo che si avvicinasse al rock
and roll e nello specifico al surf rock; e, per la prima volta nella storia, venne usato il
tremolo picking sulla chitarra elettrica – una tecnica, fino ad allora utilizzata
esclusivamente dai chitarristi classici: consiste nel pizzicare velocemente e
ripetutamente una corda con il pollice della mano che produce la ritmica sulla
chitarra (generalmente la destra), e ottiene l’effetto definito “tremolo”. Fu questa
versione surf rock che portò Misirlou a raggiungere un più vasto pubblico negli Stati
Uniti.

Nel 1963 una versione ispirata a quella di Dale fu realizzata dai Beach Boys per
l’album Surfin’ USA, che si configurò come la consacrazione di Misirlou a brano
fondamento della cultura pop americana: in seguito a questa furono numerose le
incisioni del brano da parte di band rock e surf. E da allora si sono susseguite
versioni di artisti diversissimi e lontani fra loro, passando da Agent Orange per
arrivare a Connie Francis (1965, con una grande orchestra, cantata con il testo
inglese e un inserto in greco).
Una versione italiana è stata realizzata in forma di singolo nel 1967 con il titolo
Missirlù: era cantata da Gino (Cudsi) e Dorine.
Del 1971 è la versione turca cantata da Zeki Müren e intitolata “Yaralı Gönül”, con
il testo di Suat Sayın, cantante e poeta turco.
Nel 1972 la cantante serba Staniša Stošić ha inciso un brano sulla musica di Misirlou
con un testo che si distacca dalla tradizione, chiamato Lela Vranjanka, che oggi è la
versione del brano più conosciuta in Serbia.
Nel 2006 il suonatore di dobro russo Eugene Nemov ha inciso a Mosca una nuova
versione strumentale di Misirlou.

2.3 Il testo: analisi, traduzioni, versioni


Il testo di Misirlou è suggestivo, e forse non è un caso che proprio questo brano
musicale greco nel tempo abbia raggiunto un tale successo internazionale da essere
considerato una delle espressioni culturali greche più note nel mondo. Con le sue
parole il poeta canta l’amore per una ragazza egiziana, e nello specifico per

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un’egiziana di religione islamica: sono affascinanti la spontaneità e naturalezza con
cui quest’uomo canta il fascino di una donna misteriosa ed evidentemente proibita,
considerando anche che quelli, come abbiamo visto, erano tempi difficilissimi per
l’integrazione fra culture diverse. E c’è da tenere presente che, come già spiegato, il
criterio di divisione fra greci e turchi dopo la Catastrofe era stato proprio quello
dell’appartenenza religiosa. Questa naturalezza di espressione sentimentale è il filo
rosso che tesse la musica e le parole insieme e consente che queste raggiungano le
orecchie di un ascoltatore di oggi, lontano nel tempo e nello spazio, con
immediatezza. D’altra parte la donna musulmana rappresentava, in un momento in
cui in Grecia si affermava prepotentemente la moda occidentale, un fascino più
antico, arcaico e misterioso, di cui si era persa almeno in parte la capacità di leggere
le cifre.

«Nel rebetiko si canta anche la vita zingara. Le zingare sono belle. Non sono
sporche. La vita zingara è affascinante, zingaro è una virtù. Poter viaggiare, non
avere radici, non essere legato a un posto. Il rebetis è legato alla bellezza, non al
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posto. Alle cose belle. La zingara è bella, non è la sporca ladrona».

Sono ancora parole raccolte da Capossela in una taverna, mentre si ascoltava suonare
la musica di Papaioannou.

La trama musicale di Misirlou, sinuosa e accattivante, sembra imitare i movimenti


della donna musulmana come appaiono agli occhi stupiti dell’uomo greco, che la
guarda anche con un po’ di timore; e sembra prefigurare la storia di lento cammino
verso il successo raggiunto ovunque della canzone stessa.
Le donne che cantano Misirlou di solito sembrano rifarsi al modo smirneico di
cantare; le versioni maschili, invece, talvolta sembrano imitare anch’esse le forme
che cercano di descrivere, mentre in altri casi sottolineano vocalmente la distanza
con uno stile molto diverso da quello mediorientale. Sono molte le voci graffianti di
stile pireotiko che cantano Misirlou.

                                                                                                               
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V. Capossela, Tefteri: Il libro dei conti in sospeso, cit., p. 23
 

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Misirlou anche a livello musicale vive un destino tipico delle canzoni rebetike:
partendo dall’Asia Minore, da cui prende sonorità chiaramente identificabili nella
loro provenienza anche per noi occidentali, il brano passa attraverso una fase
musicale più tipicamente greca; viene stemperato l’orientalismo, si affermano ritmi
più lenti (sono quelli dei rebetes che ballano con movenze lente di ubriachi quando si
incontrano nei caffè, che non vogliono essere affrettati dai ritmi esterni), e gli
intervalli vengono fissati in sonorità modali. Sono sonorità che per noi che siamo
abituati all’armonia classica non sono scontate all’ascolto, ma che sono già diverse
dagli oscillanti microtoni tipici dell’intonazione orientale, che al nostro orecchio
suonano indefiniti quando non ci sembrano addirittura stonati.

Poi Misirlou emigra, più o meno forzatamente insieme ai musicisti che la suonano, in
America: nell’incontro con il gusto americano, nell’esigenza commerciale che si fa
più pressante, Misirlou si evolve e cambia le sue caratteristiche. Dopo essere stato
canto appassionato ed esclusivo, espressione delle emozioni di un preciso gruppo
sociale chiuso ed emarginato, l’unico contesto che si permetteva di cantare
esplicitamente la passione per una donna diversa e pericolosa, Misirlou diventa
invece una musica cantabile: va a fare da sottofondo alle serate nei locali frequentati
da giovani americani. Diventa un piccolo inserto tipico dal gusto esotico, un
divertissement che tante band inserivano in repertorio sapendo di incontrare il gusto
del pubblico; uno standard utilizzabile da molti e suscettibile al gusto e alla
sensibilità di chi sceglieva di realizzarlo. La canzone venne proposta in versioni che
si avvicinavano alla sensibilità originale che Misirlou si porta come bagaglio
originario, oppure diventa semplice canzonetta; talvolta ridotta al minimo della sua
scarna struttura musicale, adattabile ai diversi organici e alle diverse esigenze, si
presta anche ad essere semplice gioco e gusto per la varietà sonora.

Misirlou, come altri canti rebetici, perde in parte nel suo viaggio le sue caratteristiche
originali: la forza sovversiva e quasi urticante del Rebetiko delle origini si stempera
man mano, fino a diventare musica mansueta che risponde a esigenze commerciali,
esterne. Eppure quella carica iniziale, nel caso di Misirlou, si può essere affievolita
ma non è mai scomparsa del tutto: un regista provocatorio e anticonformista come
Quentin Tarantino ha avvertito chiaramente il fascino e l’energia dell’antico canto
folkloristico e poi Rebetiko, rimasti a serpeggiare sotterranei nelle versioni

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americane edulcorate della canzone; e nell’utilizzare la versione di Misirlou di Dick
Dale per la colonna sonora del suo film Pulp Fiction ha dato al brano nuova luce,
interpretandone con precisione il senso.
Nuove versioni della canzone la rimettono in gioco in tutto il mondo e le danno
senso nuovo anche oggi, in modi sempre diversi: si tratta di una musica che non si fa
del tutto ammansire e ammaestrare, che continua a prendere strade nuove; Misirlou
continua il suo cammino.

  42  
2.3.1 I testi
Studiando le diverse traduzioni e versioni che sono state fatte nel corso del tempo di
Misirlou si può immaginare che certe versioni ne abbiano influenzate altre: ad
esempio la versione italiana risente sicuramente delle due versioni francesi e di
quella inglese; infatti riprende, senza approfondirle altrettanto, certe immagini legate
al paesaggio del deserto presenti nei testi francesi e inglese. Ma è impossibile
ricostruire esattamente i passaggi e gli scambi avvenuti tra le varie versioni della
canzone, così come è impossibile ricostruire esattamente i passaggi tra le diverse
versioni musicali, come una ha influenzato l’altra; Misirlou rimane oggi un canto in
cui ognuno può riconoscersi e identificarsi, una musica da fare propria nei contenuti,
musicalmente e stilisticamente.

Misirlou originale greco (1927)


Μισιρλού µου, η γλυκιά σου η µατιά Mia Misirlou, il tuo dolce sguardo
Φλόγα µου 'χει ανάψει µες στην καρδιά mi ha acceso una fiamma dentro al
Αχ, για χαµπίµπι, αχ, για λε-λέλι, αχ, cuore

Τα δυο σου χείλη στάζουνε µέλι, αχ. le tue labbra stillano miele, ah
Αχ, Μισιρλού, µαγική, ξωτική οµορφιά. Ah, Misirlou, magica, esotica bellezza.
Τρέλα θα µου 'ρθει, δεν υποφέρω πια. Mi farai impazzire, non resisto più
Αχ, θα σε κλέψω µέσ' απ' την Αραπιά. Ah, ti rapirò dall’Arabia
Μαυροµάτα Μισιρλού µου τρελή, mia pazza Misirlou dagli occhi neri,
Η ζωή µου αλλάζει µ' ένα φιλί. la mia vita cambia con un bacio.
Αχ, για χαµπίµπι ενα φιλάκι, άχ Ah, habibi, ah un bacio
Απ' το γλυκό σου το στοµατάκι, αχ. dalla tua bocca dolce, ah.

Traslitterazione
Misirloú mou, i glikià sou i matià
Flòga mou ‘chei anàpsei mes stin kardià.
Ach, ya chabìbi, ach ya le-lèli, ach,
Ta dio sou cheìli stàzoune mèli, ach.
Ach, Misirloù, magikì, ksotikì omorfià.
Trela tha mou ‘rthei den ipofèro pia.

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Ach, tha se klèpso mes’ap’tin Arapià.
Mavromàta Misirloù mou trelì,
I zoì mou allàzei m’ena filì.
Ach, ya chabìbi ena filàki, ach
Ap’to glykò sou to stomatàki, ah.

Μουσουρλού (nella versione con pronuncia orientale di Smirne)

Μουσουρλού µου η γλυκιά σου η µατιά Mousurlou mia, il tuo sguardo dolce
µ’ άναψε µικράκι µου φωτιά mi ha acceso, piccina mia, un fuoco
άιντε, για χαµπίµπι, άιντε γιαλελέλι, ωχ dai habibi, dai ghialeleli oh,
άιντε, να σε κλέψω µέσα από την dai ti rapirò dalla terra berbera
Μπαρµπαριά

Ωχ, Μουσουρλού Oh Mousourlou


Τρέλα θα µου 'ρθει, δεν υποφέρω πια mi farai impazzire, non resisto più
άιντε αν δεν δε σε πάρω, πω, πω, θα dai, se non ti prendo oh, oh impazzirò
τρελαθώ Mia Mousourlou il tuo dolce sguardo
Μουσουρλού µου η γλυκιά σου η µατιά mi ha acceso una fiamma dentro al
φλόγα µ' άναψε, µες στην καρδιά cuore
Άιντε γιαχαµπίµπι, άιντε γιαλελέλι, ωχ

µέλι στάζει από τα χείλη, ωχ gocciola miele dalle labbra, oh

Ωχ, Μουσουρλού Oh, Mousourlou


Αν δεν σε πάρω, φως µου, θα τρελαθώ se non ti prendo, luce mia, impazzirò
άιντε, να σε κλέψω µέσα από την dai, ti rapirò dall’Arabia
Αραπιά Mousourlou mia, il tuo sguardo dolce
Μουσουρλού µου, η γλυκιά σου η µατιά mi ha acceso fiamme, fuochi sulla mia
φλόγα µ' άναψε στο στόµα µου φωτιά bocca
άιντε γιαχαµπίµπι, άιντε γιαλελέλι, ωχ

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άντε αν δε σε πάρω πω, πω, θα dai, se non ti prendo oh, oh impazzirò
τρελαθώ Oh, Mousourlou
Ωχ, Μουσουρλού

Misirlou (testo spagnolo di J. Pina)


Cuando alegre tú sonríes mujer,
dejando tu amor resplandecer,
aunque quiera olvidarte nunca podré,
tienes aficionado todo mi ser.

Ohhhh Misirlu
de la Oriente la flor eres tú.
Tu mirar es destello de inspiración
que deja de usado mi corazón.

Cuánto dolor
sí es que ingrata tú niegas mi amor.
Quiero nunca vengarme de tu traición
aunque viva en el mundo sin corazón.

Ladino (testo non collegato al testo greco)


No pretendas mas que tu me amas
Ni te sforses a vartir lagrimas.
Yo ya lo supe que era por enganyar,
Este es un fakto que no puedes niegar.

Ahh, ahh, Missirlu


Es muy amargo, ah, es muy amargo el sufrir,
Ma no por este uno deve murir.

Muchos anios te speri en vanedad


Creendo ke tu amor es verdad.

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Me amurcates propio con una flor
y me forsates a bivir con dolor.

Ahh, ah, ah, ahh, Missirlu,


Es muy amargo, ah es muy amargo el sufrir,
Ma no por este uno deve murir.

Algun dia sufrira tu korason


I konoseras lo que es la trahision
como yo yoro y tu yoraras,
Y konsuelo nunca toparas.

Misirlou (testo Berbero, utilizzato dai Los Tiburones)


Gamara douat hel remla
Sahraoua salaou hend el kebla
Nejma douat fle roua de sma
Fekratni fik ou lhoub li kayen binatna

Ah Misirlou
Ntiya li hendi hamarti li kalbi
Ntiya li houbi ntiiya nachatini

Sahara nehssa teht el gamra


Trick lmdehba rada tnechetna
Deba tben lina narla
Kelbna y ardou dima raha

Ah Misirlou
Ntiya li hendi hamarti li kalbi
Ntiya li houbi ntiiya nachatini

Ah Misirlou

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Turco (versione di Zeki Müren, 1971)
Yaralı bir gönülden başka
Ne bıraktın bende hatıra
Günah değil mi yazık değil mi bana
Gel yeter artık sar beni kollarına
Ah bu acı bu keder ne zaman biter
Ah bu acı bu keder ne zaman biter
Bırak bu nazı bırak bu inadı
Senin de gönlün daha dünden razı
Gidiyorum bahar gelmeden
Usanmam seni özlemekten
Hazinelerden daha değerlisin
Inan sevgilim benim gözümde sen
Ah bu acı bu keder ne zaman biter
Bırak bu nazı bırak bu inadı
Senin de gönlün daha dünden razı
Yaralı bir gönülden başka
Ne bıraktın bende hatıra
Günah değil mi yazık değil mi bana
Gel yeter artık sar beni kollarına
Ah bu acı bu keder ne zaman biter
Bırak bu nazı bırak bu inadı
Senin de gönlün daha dünden razı

Yarali Gönlüm (traduzione dal turco in greco e in italiano)

Πέρα από µια πληγωµένη καρδιά τι να Lontano da un cuore ferito come


θυµάµαι µ’άφησες ricordare che tu mi hai lasciato
Δεν είναι κρίµα, δεν είν’ αµαρτία non è una colpa, non è peccato
Έλα και φτάνει πια, πάρε µε στα χέρια vieni e avvicinati di più, prendimi tra
σου le tue mani

  47  
Πότε τελειώνει αυτός ο πόνος, αχ αυτή Quando finisce questo dolore, ah
η πίκρα, questa amarezza
πότε τελειώνει αυτός ο πόνος, αχ αυτή quando finisce questo dolore, ah
η πίκρα quest’amarezza
άσε αυτό το νάζι, άσε το γινάτι lascia questo capriccio, lascia questo
κι έτοιµη είναι από χτες η δικιά σου dispetto
καρδιά. e il tuo stesso cuore che sia pronto da
ieri.

Aspetto, prima che arrivi la primavera


Περιµένω, προτού να ‘ρθει η άνοιξη sentirò la tua mancanza e non ti
να σε πεθυµώ δε θα κουραστώ scoccerò
πιο ακριβή απ τους θησαυρούς είσαι sei più preziosa di tutti i tesori,
πίστεψέ µε αγάπη µου, στα µάτια µου credimi mia amata, ai miei occhi ci sei
µόνο εσύ. solo tu (ripete “Quando finisce…”).

Πότε τελειώνει αυτός ο πόνος, αχ αυτή


η πίκρα,
πότε τελειώνει αυτός ο πόνος, αχ αυτή
η πίκρα
άσε αυτό το νάζι, άσε το γινάτι
κι έτοιµη είναι από χτες η δικιά σου καρδιά.

Πέρα από µια πληγωµένη καρδιά τι να


θυµάµαι µ’ άφησες
Δεν είναι κρίµα, δεν είν' αµαρτία
Έλα και φτάνει πια, πάρε µε στα χέρια σου
πότε τελειώνει αυτός ο πόνος, αχ αυτή
η πίκρα,
πότε τελειώνει αυτός ο πόνος, αχ αυτή
η πίκρα
άσε αυτό το νάζι, άσε το γινάτι

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κι έτοιµη είναι από χτες η δικιά σου καρδιά.

Miserlou (Testo yiddish di Miriam Kressyn, 1943)


Vayt in dem midbar,
Fun heyser zin farbrent,
Hob ikh amol a meydele dort gekent.
Miserlou heyst zi,
Yeder dort veyst zi gut,
Kh'vel di printsesn mer shoyn fargesn nit.

Shtil, ovent kil,


Un ikh fil az ikh vil mayn gefil
Far ir oysgisn un zi zol visn nor,
Az nor zi lib ikh,
Mayn lebn gikh ir, yo.

Her, s'iz mir shver,


Mit a trer zog ikh dir un ikh shver.
Midber printsesn, kh'ken nit fargesn dikh
Kum heyl mayn benkshaft,
nor di kenst heyln mikh.

Miserlou mayne, meydle fun orient,


Di oygn dayne hobn mayn harts farbrent.
Mayn harts vert a kranke,
in khyulem ze ikh dikh,
Tants far mir shlanke
Drey zikh geshvind gikh.

Midber printsesn, kh'ken nit fargesn dikh


Kum heyl mayn benkshaft,
nor di kenst heyln mikh.
Mayn mizrakh blum, Miserlou

  49  
Misirlou (traduzione in inglese e in italiano del testo Yiddish)
Far off in the desert, Lontano nel deserto,
Bronzed by the hot sun abbronzato dal sole caldo,
I once knew a girl. una volta ho conosciuto una ragazza.
Her name is Miserlou; Il suo nome è Miserlou;
Everyone there knows her well. Tutti lì la conoscono bene.
I will never forget that beautiful Non dimenticherò mai quella
princess. principessa bellissima.

It’s quiet, the evening cools, C’è silenzio, la sera rinfresca,


And I want to pour out my feelings e vorrei rivelare i miei sentimenti
So that she knows I love her only. perché lei sappia che amo solo lei.
If only she would love me, Se solo lei mi amasse
I would give my life to her. le darei la mia vita.

Oh alas, it is hard for me, Ahimé, per me è difficile,


Oh, how can I say it, tearfully I swear Oh, come posso dirlo, in lacrime ti
to you: giuro:
Desert princess, I can't forget you, Principessa del deserto non ti posso
Come heal my longing, dimenticare
Only you can heal me. vieni a curare la mia nostalgia
Solo tu puoi curarmi

My Miserlou, girl from the Orient, Mia Miserlou, ragazza dell’Oriente


The look in your eyes has scorched my lo sguardo dei tuoi occhi ha scottato il
heart. mio cuore.

  50  
My heart is ailing, Il mio cuore è sofferente,
I see you in my dreams, ti vedo nei miei sogni,
Dance for me, oh lovely one, danza per me, donna adorabile,
Spin round and round! Gira veloce e gira ancora!

Desert princess, I can't forget you, Principessa del deserto, non posso
Come heal my longing, dimenticarti
Only you can heal me. vieni a curare la mia nostalgia,
My eastern bloom, Miserlou. solo tu puoi guarirmi.
Mio fiore orientale, Miserlou.

Anoush Yar (Dolce ragazza, versione armena)


Anoush YarAyn oren vor toun zis timavoretsir Anoush khoskerov toun zis
hamozetsir Ge sirem usir serut haydnetsir Sers arnelov toun zis shad latsoutsir
A... a... a... Anoush yar Oouzetsi mornal paytz angareli eh Sers ge shadna vor
andaneli eh Grgin kez desnel artyok gareli ehSerds vantag shinadz em kezi
pouyn Gerkem sers haverj mnayoun Garod ounem yes ko anoush khoskerout Keznits
zad ourish me tchem siradz gertnoum.

  51  
Misirlou (francese cantato da D. Moreno, 1951)
L’ombre peu à peu s’étend sur le L’ombra a poco a poco si distende
sable, sulla sabbia,
Et les caravanes prient à genoux. E le carovane pregano in ginocchio.
Une première étoile au ciel Una prima stella nel cielo insondabile,
insondable, evoca in me all’improvviso il tuo
Evoque en moi soudain ton amour si amore così dolce.
doux. Ah, Misirlou! Regina delle regine,
Ah, Misirlou! Reine des reines, signora del mio cuore
maîtresse de mon cœur,
C’est toi que j’aime, c’est toi mon seul Sei tu quella che amo, sei tu la mia
bonheur. Ah, Misirlou! sola felicità. Ah, Misirlou!
Le désert s’endore sous la lune calme, Il deserto si copre d’oro sotto la luna
La piste d'argent conduit au bonheur. calma,
Bientôt apparaitront les altières il sentiero d’argento conduce alla
palmes, felicità.
Où vont faire leur nid nos deux Presto appariranno le palme antiche,
tendres cœurs. dove faranno il nido i nostri due cuori
innamorati.

Ah, Misirlou! Reine des reines, Ah, Misirlou! Regina delle regine,
maitresse de mon cœur, signora del mio cuore
C’est toi que j’aime, c’est toi mon seul Sei tu quella che amo, sei tu la mia
bonheur. Ah, Misirlou! sola felicità. Ah, Misirlou!

  52  
Misirlou testo francese (cantato da D.Moreno, traduzione dell’originale greco)

Misirlou, ton doux regard Misirlou, il tuo sguardo dolce


A allumé une flamme dans mon cœur, ha acceso una fiamma nel mio cuore
akh yakhabibi, akh ya leleli, akh, akh yakhabibi, akh ya leleli, akh,
Tes lèvres de miel, oyme! Le tue labbra di miele, ahimé!
Ah! Misirlou, beauté magique et Ah! Misirlou, bellezza magica e
enchanteresse incantatrice
Je deviens fou, je ne peux plus souffrir Impazzisco, non posso più soffrire
Ah! Je vais te voler à l'Arabie Ah! Ti ruberò all’Arabia
Ma Misirlou aux yeux noirs Mia Misirlou dagli occhi neri
Un seul de tes baisers allume une Uno solo dei tuoi baci accende una
flamme en moi fiamma in me
akh yakhabibi, un petit baiser akh yakhabibi, un piccolo bacio
de tes lèvres douces, oyme! dalle tue labbra dolci, ohimé!

Ah! Misirlou, beauté magique et Ah! Misirlou, bellezza magica e


enchanteresse incantatrice
Je deviens fou, je ne peux plus souffrir Impazzisco, non posso più soffrire
Ah! Je vais te voler à l'Arabie Ah! Ti ruberò all’Arabia

  53  
Misirlou (testo inglese di Russell, Wise and Leeds, 1941)

Desert shadows creep across purple Le ombre del deserto strisciano sulle
sands sabbie viola
Natives kneel in prayer by their i nativi si inginocchiano a pregare
caravans vicino ai loro carri
There, silhouetted under an eastern lì, delineata sotto una stella orientale
star vedo il mio fiore di Shalimar da lungo
I see my long lost blossom of Shalimar tempo perduto
You, Misirlou, are the moon and the Tu, Misirlou, sei la luna e il sole, tu
sun, fairest one bellezza

Old temple bells are calling across the Antiche campane dal tempio chiamano
sand attraverso la sabbia
We’ll find our Kismet, answering troveremo la nostra sorte rispondendo
love’s command al comando dell’amore
You, Misirlou, are a dream of delight Tu, Misirlou, sei un sogno di delizia
in the night nella notte

To an oasis, sprinkled by stars above Fino ad un’oasi, illuminata dalle stelle


heaven will guide us, Allah will bless in alto
our love ci guiderà il paradiso, Allah benedirà il
Ah, Ah, Misirlou nostro amore
Ah, ah, Misirlou

Lela Vranjanka (Versione serba di Misirlou 1972)

Volela me jedna Vranjanka,


Mladost mi je kod nje ostala.
Nit je Sofka nit je Kostana,
Vec najlepsa Lela Jelena.

  54  
Pusto, pusto, pusto mi je sve,
Nema, nema moje Jelene.
Dodji, Dodji Lelo Jelena,
Ti si moju mladost odnela.

Ko zna gdje je moja Vranjanka,


Ljepsa od svih moja Jelena,
Sve bih dao kad bi' saznao,
Ko je moju Lelu ukrao.

Pusto, pusto, pusto mi je sve,


Nema, nema moje Jelene.
Dodji, Dodji Lelo Jelena,
Ti si moju mladost odnela.

Λέλα Βράνιανκα (traduzione greca dal serbo e in italiano)


Με αγαπούσε µια Βράνιανκα(*1) Mi amava una Vranianka(*1)
Έφαγα τα νιάτα µου για αυτήν mi sono mangiato la mia gioventù per
Δεν είναι ούτε Σόφκα(*2), ούτε lei
Κόστανα(*3) non è né Sofka (*2) né Kostana (*3)
Αλλά η όµορφη Γιέλα, Γιέλενα. ma la bella Ghiela, Ghielena.

Ο κόσµος µου είναι ερηµιά Il mio mondo è un luogo desolato


Δεν υπάρχει η Γιέλενα µου non c’è la mia Ghielena
Έλα, έλα Γιέλο, Γιέλενα vieni, vieni Ghielo Ghielena
Εσύ µου πήρες τα νιάτα µου. tu mi hai preso la mia giovinezza.

  55  
Ποιος ξέρει που είναι Chi sa chi è
Πιο όµορφη από όλες η Γιέλενα µου la più bella fra tutte la mia Ghielena
Θα έδινα τα πάντα να µάθω la farò pagare per sempre
Ποιος έκλεψε την Λέλα µου. a chi ha rapito la mia Lela.

Ο κόσµος µου είναι ερηµιά Il mio mondo è un luogo desolato


Δεν υπάρχει η Γιέλενα µου non c’è la mia Ghielena
Έλα,έλα Γιέλο, Γιέλενα vieni, vieni Ghielo, Ghielena
Εσύ µου πήρες τα νιάτα µου. tu mi hai preso la mia giovinezza.

Σηµειώσεις Note
1* Βράνιανκα = από το Βράνιε (πόλη 1* Vranianka = di Vranje (città nel
στην νότια Σερβία) sud della Serbia)
2* Σόφκα = ηρωίδα της νουβέλας 2*Sofka=eroina del romanzo Necista
"Necista Krv (Μη καθαρό αίµα)" του Krv (“Sangue impuro”) di Borislav
Borislav Stankovic Stankovic
3*Κόστανα =ηρωίδα της νουβέλας 3*Kostana=eroina del romanzo
"Kostana" επίσης του Borislav Kostana dello stesso Borislav
Stankovic Stankovic

  56  
Missirlù (versione in italiano cantata da Gino e Dorine 1967)

Missirlù perché non balli più per me


Missirlù perché non vuoi tornar da me

Ti ricordi, sotto la sabbia ormai (a due voci)


Erano belli i giorni qui con te

Missirlù perché non balli più con me (Gino)


Non si può fermar il tempo più del sol (Dorine)
Missirlù perché non vuoi tornar da me (Gino)
Non si può fermar il tempo (Dorine)

C’è tanta sabbia, c’è tanta sabbia ormai (a due voci)


Sopra quei sogni vissuti insieme a te

Ah Missirlù ma perché tu non sei qui con me


Il tempo passa e porta via così
Anche quei sogni vissuti insieme a te

Quanti ricordi sotto la sabbia ormai


Erano belli i giorni qui con te

Ah Missirlù ma perché tu non sei qui con me


Il tempo passa e porta via così
Anche quei sogni vissuti insieme a te.

  57  
2.4 Versioni musicali
Il makam da cui deriva il dromo su cui è costruita Misirlou è il makam Zirgiouleli
Chitzaz, di provenienza dall’Asia Minore.
Questa è la forma ridotta del dromo Chitzaz:

La forma estesa del dromo presenta altri comportamenti, cioè serie di dromi: fra
questi il Zirgiouleli Chitzaz.

Il dromo, come già spiegato, aveva un’intonazione oscillante, variabile, non precisa
da un punto di vista armonico: quindi le prime versioni di questa canzone erano
molto diverse fra loro anche nella progressione musicale. Tuttavia, nonostante le
lievi oscillazioni di intonazione, la progressione (come si può vedere nell’immagine
che riproduce la progressione del dromo Chitzaz) è fissa: dà il carattere e il colore,
trasmette l’umore tipico creato dal makam; quindi la sonorità di Misirlou rimane,
nonostante le variazioni, la stessa, riconoscibilissima nelle diverse versioni del brano.
È impossibile in questa sede fare un’analisi comparata di più versioni musicali che
richiederebbe una trattazione molto ampia: mi limito a notare che la versione in
assoluto più nota è una versione in cui la voce, e quindi il testo, scompare; si tratta
della versione strumentale di Dick Dale del 1962.

La chitarra elettrica consente giochi sonori impossibili da realizzare con gli strumenti
acustici, come la pennata iniziale ottenuta facendo scorrere il dito sulla corda, cifra
identificativa che rende inconfondibile questa versione di Misirlou: per i chitarristi
era un virtuosismo suonare su una corda sola; la tecnica del tremolo picking, come
spiegato, è una novità mai sperimentata prima sulla chitarra elettrica quando Dale
decide di introdurla. La voce compare solo con alcune esclamazioni, che sembrano
incitare e incalzare il suono della chitarra: anche questa scelta è un’invenzione
introdotta in questa versione particolare, ed è estremamente efficace per tradurre il
senso di passione e di urgenza di questo brano, in questo caso in cui vengono a
mancare le parole.

  58  
Nell’ambito della musica surf rock la passione non è più quella amorosa e tormentata
dei rebetes, ma viene tradotta in euforia ritmica. Nonostante lo spostamento di senso,
trovo che l’eccitazione e la fantasia languida scatenata dalla visione della donna
diversa siano rese da questi suoni che incitano, fanno venire voglia di saltare e
ballare; scompare il senso di malinconia e di passione sofferta, ma forse quello si
riaffaccia quando la canzone finisce e rimane un improvviso silenzio: un silenzio
simile a quello improvviso che si crea quando, dopo ore di concerto, senza preavviso
il rebetis si alza, chiude il bouzouki nella custodia, e senza sentire ragioni interrompe
il concerto fino alla prossima serata.

2.5 Misirlou: dalla musica ai mass media


2.5.1 Il cinema
Come anticipato, Misirlou ha trovato il suo sbocco finale, è giunta in qualche modo
alla fase di compimento effettivo del suo percorso, grazie al film Pulp Fiction di
Quentin Tarantino: il film del famosissimo regista ridarà una collocazione più adatta
a questa canzone, che viene qui associata alle immagini pulp e ai personaggi “di serie
B” molto amati da Tarantino, al loro rapporto con il mondo della droga, al loro
morire in modo casuale pur avendo un’etica particolare che li contraddistingue e
talvolta, per un po’, li protegge. La canzone contrassegna l’inizio del film: c’è una
scena introduttiva in cui due personaggi, una coppia, decidono per l’ennesima volta
di fare la loro ultima rapina prima di smettere con questo tipo di vita; decidono di
farla proprio nel ristorante dove stanno facendo colazione. Appena sfoderano le
pistole parte la musica di Dick Dale e compare il titolo del film, primo dei titoli di
testa. I due personaggi torneranno solo verso la fine del film a chiudere il cerchio
delle diverse situazioni narrate che si incrociano nel film: la canzone segna dunque
l’inizio delle vicende e riprende in questo contesto contatto con le sue origini dei
bassifondi, ricrea la sua vecchia immagine originale. È un accompagnamento che si
lega perfettamente con l’inizio dirompente del film, resta martellante nell’orecchio,
rimane in memoria come musica che caratterizza il film. È riconoscibile ma è anche
associata ad un contesto storico e sociale nuovo.

Misirlou prende così definitivamente il volo, separandosi da un contesto limitato e


restrittivo, da una storia sempre osteggiata: oggi Misirlou è diventata una musica

  59  
nota in tutto il mondo, conosciuta da persone di diversi gradi sociali e amata
indifferentemente, riconoscibilissima; è una canzone che è diventata un simbolo e
non rischia più di essere dimenticata. Sicuramente l’approdo al grande schermo ha
fatto la differenza, costituendosi come momento rampa di lancio verso un successo
duraturo e continuo per la canzone rebetika di cui abbiamo seguito il viaggio dalle
origini, e soprattutto verso lo spazio mondiale senza più restrizioni né rivendicazioni;
Misirlou non ha più bisogno di definire la propria identità o di guadagnarsi altro
spazio e difendere la propria dignità. Oggi è una musica che in ogni caso ha il suo
statuto certo, svincolato da ogni condizionamento.

2.5.2 Gli eventi pubblici (Olimpiadi)


Nel 2004 i giochi olimpici si sono tenuti ad Atene: alla fine della cerimonia
dell’accensione del braciere olimpico, seguita all’ultima tappa della staffetta della
fiaccola, in chiusura della giornata iniziale dei giochi c’è stato un grande concerto
celebrativo. Fra le musiche scelte come rappresentative della Grecia c’era anche
Misirlou: è stata presentata nella versione di Dick Dale, cantata però dalla cantante
greca Anna Vissi.

2.5.3 La pubblicità
Proprio quest’anno Misirlou è stata usata, per la prima volta per quello che ho potuto
riscontrare, come jingle per una pubblicità: si tratta della pubblicità della birra greca
Fix che, dopo essere stata per anni fuori commercio, è stata rimessa in vendita e
rilanciata. L’idea è quella di suggerire al possibile acquirente un gusto tipico greco,
ma allo stesso tempo universale; capace, come la canzone, di conquistare i palati
mondiali46. La birra greca Fix ha una storia tutta particolare visto che è la prima birra
nata nel neonato stato greco grazie ad un bavarese, nel 1864; e fino al 1962, per via
di un provvedimento del re greco Ottone, la fabbrica ha mantenuto il monopolio
nazionale della birra. Dal 1962 ad oggi sono entrate in circolazione molte birre

                                                                                                               
46
Vorrei ringraziare qui Maurizio De Rosa, traduttore letterario che vive da molti anni ad Atene ed è
un esperto e curioso insaziabile della Grecia in tutti i suoi aspetti, per avermi fatto conoscere per
primo la storia della birra Fix, e per avermi fatto notare questa pubblicità e riflettere sul suo
significato. Per altro è stato proprio in una conversazione con Maurizio De Rosa, a cui va tutta la mia
stima e la mia gratitudine, che abbiamo iniziato a scoprire insieme le particolarità di Misirlou, e si è
così delineato definitivamente l’argomento specifico di questa tesi.

  60  
straniere, oltre a nuovi marchi di birre locali, e la Fix ha vissuto fasi di fortuna
alterne.
Più volte è stato tentato un nuovo lancio di questo marchio, ma con scarso successo:
risale al 2009 l’ultimo passaggio di proprietà, che ha visto il marchio Fix essere
acquistato da un gruppo di imprenditori, e al 2010 risale la rimessa in commercio. La
scelta di usare Misirlou per la pubblicità di questa birra rientra all’interno di
un’oculata e azzeccata campagna pubblicitaria che ha finalmente riportato in auge
questa birra storica.

  61  
3. Il REBETIKO IN ITALIA

3.1 Fortuna del Rebetiko in Italia: testi critici


Il genere musicale rebetiko in Italia è stato fino a pochissimo tempo fa quasi del tutto
ignorato, sia nel suo aspetto di ricerca musicale teorica e folkloristica, o
antropologica, sia nella sua fruizione musicale diretta nell’ambito di concerti.

Per quello che riguarda le pubblicazioni reperibili in italiano che si occupano di


Rebetiko, la lista è davvero esigua: nel 2006 è uscito per l’editore Libreria Editrice
Urso il libro Storia della Rebetika di Fernando Buscemi, e dello stesso anno è anche
il saggio di Crescenzio Sangiglio La canzone rebètika. Origini e storia, edito per
Asterios.
Nel 2007 per Nuova Cultura Gaia Zaccagni ha curato il volume Luoghi, parole e
ritmi dalla Grecia moderna dove un discorso sul Rebetiko compare in uno dei
capitoli, ma non come argomento centrale della trattazione; questa trattazione è stata
poi ripresa, ampliata e specificata nell’intervento Poesia in musica o musica per
poesia: un indissolubile connubio nell’animo greco; Il caso emblematico di
Επιτάφιος che è entrato a far parte del volume Poeti greci del novecento - Atti delle
Giornate di Studio in onore di Vincenzo Rotolo, Palermo, 9-10 Novembre 2005 a
cura di Renata Lavagnini uscito nel 2012 per le Edizioni Lussografica.
Sempre nel 2007 esce, per MMC Edizioni, il libro di Cinzia Merletti Suggestioni
mediterranee: Artisti, Musiche e Culture nel quale sono presentate al lettore musiche
e culture del mediterraneo attraverso ascolti selezionati e interviste, ed è inclusa una
sezione sulla musica greca in cui si parla di Rebetiko.
Poi esiste un fumetto di David Prudhomme, edito in italiano per Coconino Press nel
2010, dal titolo Rebetiko (la mala erba).
L’ultimissima pubblicazione in ordine di tempo è quella di Carmelo Siciliano per
Lulu.com dal titolo Dromi. Modi e scale del rebetiko pireotiko uscito nel febbraio
2013.
Infine per giugno di quest’anno (2013) è prevista una riedizione del testo di
Sangiglio, con allegato un cd musicale, per la casa editrice Argo.
Vorrei segnalare ancora una volta l’accurata tesi di laurea in traduzione dal neogreco
di Michele Cortese dal titolo Ρεµπέτικα τραγούδια: Λαογραφική έρευνα του Ηλία

  62  
Πετρόπουλου - Canzoni Rebetiche: Ricerca folklorica di Ilìas Petròpoulos che
nell’affrontare la traduzione di parti del testo Canzoni rebetike ha descritto con
chiarezza il contesto in cui si muove l’autore Petropoulos e reso accessibile e fruibile
in italiano un discorso finora piuttosto ignorato anche dalla ricerca accademica.

3.1.1 Approccio ai testi di critica musicale


Mi sembra opportuno fare una premessa alla breve analisi seguente di testi, di cui
alcuni sono testi tecnici di critica musicale: è difficile, se non impossibile, scrivere
una trattazione di analisi tecnica musicale (soprattutto che tratti un linguaggio
artistico lontano da quello del nostro paese di origine, che ci costringe ad affrontare
ascolti in certi casi difficili di per sé) se non si ha all’attivo una certa esperienza di
pratica musicale.
La conoscenza musicale e la capacità di trasmetterla, esplicitandola e raccontandola a
parole, passa spesso per un’esperienza diretta di quello che si racconta: è difficile
mettere in parole il senso dei suoni; i suoni parlano un linguaggio diverso da quello
verbale, un linguaggio non strettamente razionale. Ancora di più, ci mettono alla
prova quei suoni che ci colpiscono e a volte ci sgomentano, a volte ci entusiasmano
per la loro diversità.

La difficoltà di tradurre in immagine, che si possa esplicitare e su cui si possa


ragionare, un suono, che di per sé non è immagine ma suscita immagini, e l’ascolto
musicale complesso rischiano di diventare un mistero inesprimibile se non si ha
esperienza fisica diretta di un differente modo di fare musica.
La musica, anche strumentale, si produce per mezzo del corpo: dita che pizzicano
corde, corpo che percepisce le vibrazioni di una chitarra, dita che premono i tasti o i
fori di un flauto, dita che martellano i tasti di una tastiera, corde vocali che vibrano
per produrre suoni cantati e così via. Penso che avere esperienza diretta della fisicità
adatta a produrre certi suoni, ad esempio sapere come fare per emettere vocalmente i
microtoni, tipici e spontanei nella musica mediorientale ma difficilissimi da
realizzare per un cantante occidentale47, faccia una differenza nel raccontarlo; la

                                                                                                               
47
Riferisco la testimonianza privata e preziosa di Cinzia Merletti che mi ha regalato un’immagine
divertente e bella raccontandomi come per lei riuscire a cantare i quarti di tono è un esercizio
utilissimo per allenare l’orecchio a percepire suoni piccoli, ma «non immagini che sforzo e che
concentrazione per noi comuni mortali (cioè con orecchio tonale) eseguire i quarti di tono…ti

  63  
difficoltà di emissione che questi intervalli comportano rispetto alla tonalità
occidentale è descritta con più chiarezza da chi la conosce direttamente. Ogni
musicista italiano non può rinunciare con immediatezza all’armonia classica: sapere
come fare a modulare il proprio orecchio passando dall’impianto tonale, con cui
siamo in confidenza e nel quale agevolmente si esprime e si muove ogni strumentista
e cantante occidentale, al sistema modale che prevede un altro modo di ragionare,
calcolare i passaggi, sentire nelle orecchie e nelle dita i suoni per poterli rendere
fluidi e musicali è fondamentale a mio avviso per poterne parlare.

In questo senso, questa ricerca mi ha confermata nell’idea che mi ero già fatta: ho
trovato in linea generale strumenti più completi e utili (ma soprattutto più accessibili
e comprensibili) quei libri che, trattando il Rebetiko da un punto di vista strettamente
musicale oppure in modo più generale e ampio, esprimono anche l’esperienza diretta
di musicista dell’autore.

3.1.2 Testi critici, musicologici e letterari sul Rebetiko in lingua italiana


Il libro di Fernando Buscemi è un buono strumento di approccio al discorso sul
Rebetiko: ne ricostruisce la storia, ne descrive i protagonisti, i luoghi, le musiche, gli
strumenti, l’evoluzione del genere; ripercorre interi passi, quasi traducendoli parola
per parola, delle opere di Petropoulos, è una fonte di informazioni accurata dal punto
di vista antropologico. Sotto l’aspetto dell’analisi tecnica musicale però, non essendo
l’autore uno specialista (Buscemi è un medico appassionato di cultura greca), il testo
risulta spesso fumoso e poco chiaro, poco accurato, rende difficile la comprensione
delle particolarità specifiche degli strumenti musicali usati nell’ambito del Rebetiko,
che pure descrive minuziosamente, e rende impossibile ricostruire certe questioni
strettamente musicali a cui accenna.

Il testo di Sangiglio propone un approccio antropologico: l’accento principale è posto


sulla questione del Rebetiko considerato come «originale canzone popolare»48 greca.
Sangiglio sottolinea come si tratti senza dubbio di un genere musicale greco e
popolare, nonostante siano confluiti al suo interno suoni orientali (non turchi, come
                                                                                                               
mostrerò come mi è stato insegnato a cantare i quarti di tono anche se sembrerò comica: ho
l’impressione di dovermi concentrare per prendere la mira su un buchetto piccolo e lontano!».
48
C. Sangiglio, La canzone rebètika. Origini e storia, Asterios, Trieste 2006, p.11

  64  
può sostenere solo chi è in malafede a suo dire49); e nonostante successivamente sia
diventato divertimento per borghesi e classi ricche. Questo imborghesimento del
Rebetiko, avvenuto negli anni ’50, ha decretato, a conferma per l’autore dell’origine
popolare del genere musicale, la degenerazione e lo spegnimento definitivo di questo
genere.
L’interesse principale di Sangiglio è quello di dare un primo quadro informativo al
lettore su un genere musicale unico nella storia, ma il suo punto di vista è centrato
sulla ricostruzione degli spostamenti delle popolazioni microasiatiche, dei turchi e
dei greci; quindi l’attenzione è puntata sull’appartenenza etnica di queste musiche. È
una lettura molto interessante per comprendere meglio le origini del Rebetiko, ma a
livello di analisi letterario-musicale è limitata.

Gaia Zaccagni inserisce nel suo libro un capitolo in cui parla anche di Rebetiko
nell’ambito di un discorso sul rapporto fra musica e poesia nella Grecia moderna, in
relazione con la concezione tutta particolare di questo legame esistente fra musica e
poesia che era stato già oggetto di teorizzazione nella Grecia antica: individua in
questo elemento una continuità e una specificità greche, che argomenta attraverso
esempi concreti. Nel capitolo Riferimenti letterari delle consuetudini musicali greche
tra fine XVIII e inizi XX secolo50 approfondisce il parallelo fra musica folklorica e
musica rebetika e sottolinea soprattutto il legame con la poesia, traduce parti di
racconti e dà conto di informazioni e passi interessanti per comprendere la specificità
di rapporto fra testo e musica nel periodo storico in cui si sviluppa il Rebetiko. Si
tratta di un approccio letterario, visto che questo è il punto di vista privilegiato di
interesse dell’autrice, che però comprende il punto di vista musicale (Gaia Zaccagni
è musicista lei stessa) cogliendo, anche in una trattazione parziale, aspetti importanti.
Lo stesso discorso vale, in modo ancora più approfondito, per l’intervento Poesia in
musica o musica per poesia: un indissolubile connubio nell’animo greco; Il caso

                                                                                                               
49
«[…] il “suono” orientale della musica greca micrasiatica “importata” in Grecia continentale non ha
e non può avere di turco che quel poco che i Turchi hanno aggiunto di proprio alla secolare tradizione
orientale della regione che hanno trovato occupandola. Pertanto, la ricchezza di tale “suono” orientale
venuto ad aggiungersi, anzi a compenetrare la natura greca e costituire una originale creazione,
potrebbe, fino ad un certo punto, considerarsi acquisito, e grecizzato, quanto l’elemento turco è
riuscito sua sponte ad inventare musicalmente e tecnicamente». In C. Sangiglio, La canzone rebètika.
Origini e storia, cit., p. 11.
50
G. Zaccagni, Luoghi, parole e ritmi della Grecia moderna, Nuova Cultura, Roma 2007.

  65  
emblematico di Επιτάφιος51 nel quale, fin dal titolo, viene esplicitata la direzione in
cui il testo va a svilupparsi; rispetto allo scritto precedente, questo intervento è messo
a fuoco in modo ancora più accurato e affronta nello specifico il caso, giustamente
descritto come emblematico, di “Epitafios”, testo del poeta Ghiannis Ritsos musicato
da Mikis Theodorakis. Questi due brevi testi di Gaia Zaccagni indicano una linea di
studi e di ricerca, che si occupa nello specifico della rappresentazione della musica in
letteratura e della resa musicale della letteratura stessa, che potrebbe essere ampliato
e approfondito dalla stessa autrice.

Cinzia Merletti è una studiosa e appassionata di musica orientale, lei stessa musicista
e instancabile ricercatrice di versioni diverse di brani di origini folkloristiche; ha un
approccio molto comunicativo, essendo abituata a tenere conferenze ed avendo
l’abitudine all’insegnamento della musica anche ai bambini. Il suo è un approccio
che rende il suo testo accessibile e chiaro, senza perdere la profondità della ricerca.
Le pubblicazioni della Merletti, come il testo di Siciliano, sono dichiaratamente
strumenti tecnici musicali; però mentre il testo di Siciliano potrebbe essere un
manuale tecnico per specialisti, a Cinzia Merletti interessa molto di più l’aspetto
della diffusione: si rivolge ad un pubblico più ampio, non specializzato.
All’interno del suo libro Suggestioni mediterranee ampio spazio è dedicato
all’incontro con diversi musicisti e quindi alle interviste che l’autrice ha fatto loro:
interessante per questa ricerca è l’incontro con Vassilis Polizois (membro della
Commissione Internazionale dell’UNESCO per lo studio delle danze, delle musiche,
dei canti e degli strumenti tradizionali, autore di diversi saggi e fondatore e
presidente della “Accademia ellenica per le culture e le arti nel Mediterraneo”), e la
questione affrontata con lui della musica greca moderna, delle sue forme e la sua
diffusione. Polizois ricorda come, tra l’inizio del 1900 e la seconda guerra mondiale,
ci sia stata una sorta di invasione di musica europea e in generale straniera in Grecia.
Infatti, racconta, a partire circa dal 1900 la Grecia iniziò a identificare un certo
proprio passato con la dominazione turca, e questa eredità venne rifiutata,
abbandonando con essa oltre ai costumi, a certi usi e comportamenti, anche la musica
tradizionale, in una generica opposizione e negazione di questo lungo periodo di

                                                                                                               
51
In R. Lavagnini (a cura di), Poeti greci del Novecento – Atti delle Giornate di Studio in onore di
Vincenzo Rotolo, Palermo, 9-10 Novembre 2005, Edizioni Lussografica, Caltanissetta 2012.

  66  
sottomissione. Questo portò a cambiamenti radicali nell’arco di pochi anni: quando
giunse la Catastrofe e i profughi dall’Asia Minore, per il contesto sociale dell’epoca,
che vedeva l’imitazione dell’Occidente come un valore positivo e di innalzamento
culturale, non fu possibile accettare il controsenso del recupero di un patrimonio
musicale legato al periodo della dominazione, per di più da parte dei nuovi disperati
di Grecia; anche i matrimoni con i greci di Smirne venivano scoraggiati, questi
venivano considerati dei poveri costretti a vivere in «promiscuità coi delinquenti»52.
Secondo Polizois dunque il Rebetiko di questi anni è la vera musica popolare greca,
così come il bouzouki è il vero strumento popolare greco, nonostante provenga
dall’Asia Minore. Polizois sottolinea, ed è in linea in questo con la traccia percorsa
dall’autrice nel corso di tutto il suo libro (pur con delle giuste distinzioni), soprattutto
la continuità dei ritmi, delle sonorità e degli strumenti con la tradizione del bacino
Mediorientale.

Il fumetto di Prudhomme è un omaggio appassionato: racconta una storia di fantasia


ma dà un piccolo quadro chiaro, esatto e (letteralmente) ben disegnato del mondo del
Rebetiko. Mi sembra interessante notare che proprio un fumettista sia stato attratto
da questo mondo, queste tematiche e questi personaggi, i rebetes, un po’ maltrattati
dalla cultura ufficiale: segno forse del fatto che il Rebetiko continua a cercare la sua
strada prima di tutto passando per sottoboschi e vie secondarie, visto che il fumetto è
un mondo culturale vastissimo e importante, spesso impegnato politicamente e
complesso, che in certi casi ha una serialità che assicura una durata importante nel
tempo delle pubblicazioni, eppure non è molto considerato dalla cultura accademica.
È raro se non impossibile trovare un fumetto nella bibliografia di un esame di una
facoltà di lettere, mentre sono considerati libri, articoli di giornale, siti, film; e forse
questa esclusione è una trascuratezza un po’ pregiudiziale del mondo accademico.

L’ultima pubblicazione in ordine di tempo è un manuale specialistico e tecnico che si


propone anche di riempire un vuoto della trattatistica musicale italiana: affronta la
complessa questione dei dromi che, come accennato precedentemente in questa tesi,
fanno riferimento ad un mondo e un modo musicale diverso da quello occidentale;
per certi versi, come tutti i mondi altri, è una diversità non traducibile nel linguaggio
                                                                                                               
52
C.Merletti Suggestioni mediterranee: Artisti, Musiche e Culture, MMC Edizioni, Roma 2007, p. 87.

  67  
(della teoria musicale in questo caso) del paese d’arrivo. Per i musicisti italiani e
occidentali in genere che si interessano di musica greca e orientale è molto chiaro il
fatto che se si vuole fare musica orientale bisogna accantonare il proprio sistema
musicale di riferimento: operazione assai difficile, perché noi occidentali siamo
imbevuti di armonia classica e tonale; è quella che domina i nostri ascolti di tutta la
vita. Dunque si configura come una sfida che rende la ricerca ancor più interessante.
Il libro di Siciliano è frutto di una ricerca e una pratica musicale che vanno avanti da
molti anni, nonché della pratica di insegnamento della musica orientale a musicisti
italiani o comunque residenti in Italia. Questo libro è il tentativo di esplicitare in
modo comprensibile quello che l’orecchio mette insieme intuitivamente e trasferisce
alle dita nel suonare, ma che, a livello di discussione verbale, alimenta ore e ore di
disquisizioni e dibattiti fra musicisti. È un testo che si propone anche come un
possibile manuale tecnico specialistico per strumentisti: spiega in modo chiaro,
fornendo esempi musicali trascritti e da ascoltare, il concetto di dromo; ne fa capire
la problematicità che ci consente di studiarlo solo a posteriori, sulla base dell’analisi
di molte esecuzioni talvolta contraddittorie fra loro (piccole variazioni melodiche e
oscillazioni tonali non sempre riconducibili a un sistema univoco, che non sempre
possono essere fissate nella scrittura musicale occidentale). Siciliano riesce a
spiegare il tipo di elasticità mentale richiesta al musicista occidentale per provare a
cimentarsi con questo tipo di musica.
Auspicando, come sembra si stia verificando, una crescente diffusione della musica
greca, del Rebetiko di stile pireotiko nello specifico, questo libro si propone come un
utilissimo viatico per il musicista italiano che voglia affrontare l’esecuzione di brani
appartenenti a questo genere musicale. Carmelo Siciliano, oltre ad aver scritto questo
libro, cura diversi siti che si occupano di conoscenza e diffusione della musica greca
in Italia, tiene corsi di bouzouki in Sicilia e a Forlì, tiene workshop e ha un gruppo, i
“Cafè aman”, costituito da musicisti greci e italiani con cui suona musica greca,
rebetika e dell’Asia Minore.

3.2 Fortuna della musica rebetika in Italia: Evì Evàn, Mesogea, Cafè
Aman
In Italia il Rebetiko fa fatica ad affermarsi: a detta di alcuni musicisti greci, come
Dimitris Kotsiouros, fondatore degli Evì Evàn, in parte questo avviene per

  68  
responsabilità degli stessi greci che avallano la diffusione di un’immagine stereotipa;
questa viene proposta e portata avanti a livello istituzionale, e i greci generalmente
rinunciano a rivendicare una maggiore conoscenza all’estero di quella che è la loro
identità più ricca e autentica.
I gruppi che fanno musica rebetika e greca in generale in Italia sono pochi, e tutti
nascono dall’incontro fra musicisti greci e musicisti italiani: dei tre gruppi di cui ho
avuto l’occasione di fare una conoscenza più approfondita solo gli Evì Evàn sono
specializzati in modo particolare in musica rebetika, gli altri due gruppi nutrono forte
interesse anche per la musica tradizionale greca di origine Mediorientale.

3.2.1 Evì Evàn


Gli Evì Evàn nascono nel 2007 e oggi hanno raggiunto una bella risonanza e un certo
successo a livello nazionale, grazie anche a collaborazioni di spicco come quella con
Vinicio Capossela per la promozione del suo disco sul Rebetiko, o la collaborazione
con Moni Ovadia che si è appassionato a sua volta di Rebetiko (tanto da chiedere in
prestito libri sull’argomento, come mi ha raccontato Dimitris Kotsiouros, che suona
il bouzouki).

I concerti degli Evì Evàn a cui ho assistito radunano buona parte della comunità
italo-greca di Roma: sono eventi danzanti e molto coinvolgenti, soprattutto quando la
band è al completo; scatenano la nostalgia per la Grecia e la colmano allo stesso
tempo. Gli Evì Evàn affrontano diversi momenti e stili del Rebetiko proponendo le
loro versioni di brani delle diverse fasi, interpretati in modo più o meno filologico, e
in ogni caso nutriti di passione e conoscenza approfondita di questo genere. Il
cantante, Ghiorgos Strimpakos, si adatta a interpretare con la sua voce graffiante i
diversi stili.
In alcune occasioni, quando si trovano a suonare in formazione ridotta, suonano
seduti attorno a un tavolo con una bottiglia al centro, e non rinunciano a utilizzare
come strumenti a percussione ritmica i cucchiai, la saliera, il komboloi, e tutto quello
che serve per ricreare il più possibile lo spirito vicino a quello di una tipica taverna
greca. Dimitris è sempre pronto a raccontare con voce pacata a chi lo vuole ascoltare
la vita aspra dei rebetes: è arrabbiato con la sua terra d’origine per il razzismo
atavico che ha dimostrato nei confronti di questi musicisti e ama le ribellioni e la
libertà che essi esprimevano, è sempre pronto a mettere in comune le sue

  69  
conoscenze; Ghiorgos racconta le origini delle canzoni; gli altri, almeno per il
momento, si limitano a suonare e a fare i cori tutti insieme quando richiesti.
La peculiarità degli Evì Evàn è che scrivono anche pezzi inediti in stile Rebetiko:
sono un gruppo molto affiatato, dei veri nuovi rebetes.

3.2.2 Mesogea
Il gruppo Mesogea nasce invece per iniziativa della cantante ateniese Filiò Sotiraki:
si tratta di un gruppo che ha affrontato e affronta musica greca ma anche turca,
albanese, mediterranea delle isole. La cantante mette insieme e avvicina fra loro
musicisti che hanno un gusto spiccato per la musica tradizionale e ricerca suoni,
strumenti e modalità di suonare e cantare vicini alla tradizione di diversi paesi.
Essendo di lontane origini mediorientali lei stessa, Filiò è ovviamente molto aperta a
riconoscere le influenze turche e orientali in genere nella musica greca, e a indagarne
le origini e i legami con altre culture delle stesse aree, mantenendo sempre il suo stile
vocale chiaramente riconoscibile: canta con voce pulita e non rinuncia a
improvvisazioni e melismi che prendono molto dalla tradizione turca di Smirne e
Istanbul. È curiosa degli strumenti della tradizione (ama il sandouri e lavora
faticosamente da anni per procurarsene uno). Si circonda di ottimi musicisti53, senza
fare distinzioni di provenienze – molti sono italiani per il semplice fatto che la
Sotiraki vive a Roma da molti anni – con i quali approfondire un percorso musicale
che contiene in sé molti itinerari possibili.

3.2.3 Cafè Aman


Il gruppo Cafè Aman nasce e cresce grazie all’entusiasmo, alla conoscenza
approfondita della Grecia e all’attività musicale di molti anni di Carmelo Siciliano:
fondatore del gruppo, che nasce nel 2004, Siciliano è un appassionato conoscitore
degli strumenti musicali greci e del mediterraneo e delle loro particolarità.
Appartiene a quei musicisti che ho definito “puristi” per la loro precisione e
                                                                                                               
53
Per citarne alcuni: Martino Cappelli al bouzouki, Dashamir Hohxa e Adriano Dragotta al
violino, Simone Pulvano e Raffaele Filaci alle percussioni, Emilio De Santis alla chitarra. Sono
debitrice ad Emilio De Santis che alla fine di un suo concerto mi ha fatto ascoltare per la prima volta
la versione di Misirlou realizzata dal gruppo Mesogea e mi ha fatto scoprire questa bella formazione;
e sono molto debitrice nei confronti di Filiò Sotiraki che è stata estremamente gentile ed entusiasta nel
condividere con me le sue conoscenze musicali e nell’inserire all’interno di un suo workshop sulla
vocalità greca e mediorientale, anche per un favore nei miei confronti, un momento di lavoro specifico
su Misirlou che mi ha consentito di confrontarmi in prima persona con le peculiarità e difficoltà vocali
di questo brano e di approfondirne le particolarità musicali.

  70  
intransigenza filologica, di solito legata a una grandissima passione, a una vasta e
approfondita conoscenza e al rigore con cui studiano la propria materia: con lui mi
sono trovata a discutere dell’appartenenza di Misirlou al genere Rebetiko. Prima di
definire un brano come appartenente al Rebetiko, con Siciliano bisogna studiarlo con
cura e la canzone deve superare tutti i test che attengono al genere musicale in
questione: innanzi tutto reputa fondamentali gli strumenti e la giusta impostazione,
l’approccio al modo di suonarli.

Anche il disco Rebetiko gymnastas di Capossela, pensato per la conoscenza e la


diffusione italiana di questo genere musicale, incontra la simpatia di Siciliano solo
sul lato dell’operazione culturale di ampliamento di conoscenza e diffusione della
musica greca; mentre per quello che riguarda il valore musicale in senso stretto e la
coerenza rispetto al genere greco originale per lui rimangono dubbi – ma non è
affatto l’unico musicista di mia conoscenza ad esprimere riserve in questo senso.

Questo approccio accurato del fondatore del gruppo fa sì che l’attività dei Cafè-
Aman sia estremamente interessante perché ci consente di ascoltare suoni vicini a
quelli della tradizione originale e ci consente di vedere e ascoltare strumenti che di
norma molto difficilmente si trovano in Italia: Siciliano si reca regolarmente in
Grecia dove studia con grandi maestri. Ha approfondito la sua specializzazione al
punto da poter scrivere, come abbiamo visto, un manuale dettagliato, preciso e
comprensibile per noi italiani su un tema difficile come quello dei dromi; tema che
era stato lasciato scoperto dalla musicologia italiana per la difficoltà di affrontarlo e
non solo per il tradizionale disinteresse dovuto allo storico eurocentrismo musicale.
Carmelo Siciliano dà da anni lezioni di bouzouki e baglamas e scrive, aggiornandoli
continuamente, diversi siti e blog di grandissimo interesse per chi si occupa di
musica e cultura greca, contribuendo attivamente e continuamente all’allargamento
della conoscenza italiana di questa musica: i concerti del suo gruppo si svolgono
molto spesso nell’ambito di conferenze, o in ogni caso sono momenti conoscitivi e di
diffusione di queste musiche lontane.

3.3 Vinicio Capossela: Rebetiko gymnastas

  71  
Vinicio Capossela ha presentato in Italia nel 2013 il suo disco Rebetiko gymnastas:
questo fa parte di una grossa operazione culturale affrontata da Capossela che si era
“esercitato”, come un ginnasta appunto, in alcuni dischi precedenti introducendo
sonorità riprese dal genere rebetiko; sonorità che sono poi confluite in modo più
completo e dichiarato in questo disco.
Oltre al disco, Capossela ha condotto un ciclo di trasmissioni radiofoniche
sull’emittente nazionale Radio 2 (novembre 2012); ha scritto un libro, finito di
stampare nel maggio 2013 per le edizioni Il Saggiatore, dal titolo Tefteri; e infine ha
realizzato un documentario, non ancora reso pubblico, insieme al regista Andrea
Segre. Il documentario raccoglie le immagini girate in due settimane ad Atene,
Salonicco e Creta per raccontare le impressioni di questo viaggio nella Grecia della
crisi.
Il primo incontro di Capossela con la Grecia e con la musica dei rebetes è stato nel
1998, e da allora il musicista ha messo insieme tutte le impressioni a cui ora sta
dando forma e che sta rendendo pubbliche.

Le trasmissioni su Radio 2 (un ciclo chiamato Rebetika ginnastica, è andato in onda


dal 12 al 23 novembre 2012, a cui va aggiunta una puntata della trasmissione Moby
Dick sempre sulla stessa emittente) sono fonti interessantissime di approfondimento:
Capossela ha anticipato la lettura di brani del suo libro Tefteri e ha intervistato molte
persone, ha raccolto testimonianze importanti per provare a comprendere il Rebetiko.
Ha parlato con il regista Kostas Ferris (autore del film Rebetiko del 1983), raccolto le
bellissime parole di Ghiannis Christofyllakis su Vamvakaris, riferite dalla voce di
Dimitris Kotsiouros degli Evì Evàn; ha parlato con Buscemi, con Proudhomme,
autore del fumetto francese, con il professor Giorgio Ieranò, grecista all’università di
Trento, per approfondire gli aspetti legati alla cultura antica; e anche con i musicisti e
con la gente comune nei locali di Atene e Salonicco, dove si fa musica rebetika oggi.
Il sottotitolo del suo libro Tefteri è «il libro dei conti in sospeso».

Il cantante ci tiene a sottolineare che la Grecia non è solo quella della crisi di cui si
sente parlare oggi, e dalle testimonianze che ha raccolto emergono alcuni aspetti
interessanti: la crisi non è esattamente come ce la raccontano, in parte è provocata o
avallata da interessi economici estranei alla Grecia; inoltre la tolleranza mostrata
dalla Grecia nei confronti di altri paesi che le sono stati debitori (come spiega Udo

  72  
Gümpel, giornalista tedesco) al momento non sembra venir ripagata con la stessa
moneta.
E infine il fare musica in un certo modo, le serate passate in taverna ad ascoltare
suoni che ridanno linfa alle proprie radici originarie, questa musica che si oppone ai
circuiti commerciali richiamando altri momenti di crisi e parlando di povertà e
soprattutto di resistenza è uno dei possibili antidoti alla crisi, secondo Capossela. I
suoi interlocutori sottolineano come la Grecia non sia che il primo paese, il pilota
d’Europa in questa fase storica, sul quale certi meccanismi commerciali di potere
delle banche vengono testati.

L’operazione di Capossela corrisponde a livello musicale in modo calzante alla


definizione di “ginnastica”: i brani che presenta sono pochi inediti, qualche brano
originale greco, ma anche un brano russo e uno argentino (Misirlou, Utrennyaya
Gimnastika, Canción de las simples cosas), reinterpretati con l’aiuto dei musicisti di
Rebetiko che lo accompagnano in questo disco; in più alcune canzoni dello stesso
Capossela scritte in precedenza e riadattate a questo nuovo stile. Dunque una
ginnastica, degli esercizi di Rebetiko. Musiche di provenienze diverse abbinate e
fuse nello stile del cantautore che filtra il Rebetiko per traghettarlo in Italia:
Proudhomme nella sua intervista radiofonica dice di apprezzare questo modo scelto
da Capossela di non imitare la musica rebetika in modo pedissequo, ma di farla
entrare nel suo cuore e continuare a farla viaggiare.
D’altra parte, a chi conosce e ascolta regolarmente musica rebetika appare strana la
presentazione della scoperta di questa musica come una novità assoluta; per altro
senza che la musica riproposta oggi corrisponda effettivamente al genere rebetiko
originale. L’operazione di Capossela potrebbe essere un’operazione rispettosa e non
invadente nei confronti del Rebetiko, volta a diffonderlo e farlo conoscere, e anche
ad appropriarsene senza pretendere di poterlo ripetere in modo identico: infatti il
cantante riconosce grande importanza ai luoghi, alle immagini, alla provenienza di
questa musica (vedi l’inizio del suo documentario pubblicato sul sito di Repubblica e
i disegni contenuti nel libretto del cd). Ma questa distanza dal modello può anche
essere un modo per salvaguardare e rivendicare la propria originalità nel momento in
cui si appropria di certi strumenti e tecniche del Rebetiko: il risultato finale, nella
mia opinione personale, risulta all’ascolto un tentativo non del tutto compiuto;

  73  
sembrano un progetto e uno stile abbracciati con grande passione, ma allo stesso
tempo con qualche timore o remora.

Il libretto che accompagna il cd è interessante: ospita i testi scritti in diverse lingue,


ad esempio più di un testo italiano è riportato nella sua traduzione greca, e sono stati
usati volutamente i diversi alfabeti; il brano russo è scritto in cirillico ed è chiaro che
è una scelta estetica dato che Capossela lo canta in italiano. Sopra o accanto al titolo
di ogni brano è indicato il tempo di riferimento: quasi tutti sono ritmi di danza
(Zeimbekiko, Chassaposervikos, Chassapiko, tzifteteli, ma anche bolero e altri ritmi
non greci); a lato delle parole dei testi compaiono disegni di un piccolo Capossela
che si dedica ad esercizi di ginnastica, spesso compiuti tenendo in mano un
baglamas.

L’operazione di traghettamento del Rebetiko in Italia di Capossela non gli sta


guadagnando, per diversi motivi, solo simpatie: abbiamo già visto della perplessità di
alcuni colleghi musicisti; inoltre, questo modo nuovo e diverso di fare musica
prevede un approccio diverso col pubblico. Capossela ha abbracciato questo stile non
solo nel fare musica rebetika, ma ad esempio proponendo anche altre forme di
musica popolare: è un approccio che propone una forma di concerto che coinvolga in
prima persona la gente che ascolta; si scelgono luoghi meno elitari per i concerti,
spazi dove il contatto col pubblico è più diretto, e modi di fare musica più
appassionati e coinvolgenti, ma meno performativi. Questo talvolta si scontra – come
ha raccontato lo stesso Capossela in un articolo pubblicato sull’Unità sabato 27 aprile
2013 a proposito del concerto tenuto insieme alla Banda della Posta – con
l’aspettativa del pubblico di assistere ad un concerto regolare, di stare in poltrona a
seguire uno spettacolo di Vinicio Capossela; un’aspettativa rivendicata da alcuni con
stizza come un diritto, dovuto all’aver pagato il biglietto d’ingresso.
Capossela ha espresso delusione per l’incomprensione che ha riscontrato da parte di
una fetta di pubblico: dice di essersi sentito umiliato, anche se altri ascoltatori hanno
espresso invece pieno apprezzamento. Nello specifico si trattava del pubblico
dell’Auditorium Parco della Musica di Roma: può essere comprensibile lo
spiazzamento e la difficoltà riscontrata da parte di alcuni ascoltatori nei confronti di
una proposta musicale sicuramente poco convenzionale, soprattutto in un luogo

  74  
considerato tempio canonico della musica a Roma; ma colpisce la reazione rabbiosa
espressa direttamente al cantante da alcuni.

Questa grossa operazione culturale senza dubbio si trasforma anche in operazione


commerciale: è bello pensare che Capossela, visto il suo successo, abbia in mente di
fornire un contributo concreto allo sviluppo della musica greca e italiana in questo
momento storico così difficile per la cultura. Si tratta di una speranza che al
momento sembra confermata dalle collaborazioni che porta avanti con musicisti
greci e italiani che hanno portato alla crescita dei gruppi di Rebetiko italiani, con il
loro approdo grazie al successo di Capossela a palchi molto visibili e importanti; ed è
confermata anche dal ripetuto invito a venire in Italia per alcuni concerti rivolto a
musicisti greci di grande rilievo (come ad esempio il cretese Psarantonis), finora del
tutto ignorati dal nostro paese.

Capossela sottolinea ancora, nel presentare il disco, che “gymnastika” si lega alla
parola greca gymnos che significa “nudo”: dunque questo tipo di musica mette a
nudo, richiede una sincerità e un’aderenza a sé stessi molto forte, indipendentemente
da quali siano state o quali siano le nostre azioni. Una musica che porta in primo
piano il cuore, che comunica direttamente attraverso le emozioni, che va respirata e
vissuta con dolore: si tratta di musica da prendere in modo eucaristico, di «un
lamento che si canta in coro ma si balla da soli, musica ricamata e stanca per quegli
uomini che stanno appesi alla vita, sporti su un tavolo prendendo aria,
boccheggiando, e niente li distoglie; sospirano come iguana sulla riva con gli occhi
semichiusi e un pettine in tasca, si fanno passare l’aria tra i denti, soffiano alle
ragazze, sembrano chiamare qualcuno e non lo fanno. Restano: niente altro che
questo, restano; e fumano, come le banchine del porto di sera. Si passano l’uno con
l’altro i loro confetti di cassis, nei labirinti del porto fumano: il tabacco gli brucia il
tempo e li consuma; così mandano in cenere i loro cuori piano piano, σιγά σιγά»54.

3.3.1 Vinicio Capossela e Misirlou

                                                                                                               
54
Dalla trasmissione a cura di Vinicio Capossela, Rebetika ginnastica, Radio Rai 2, 12 novembre
2012.

  75  
Il brano Misirlou Capossela ha scelto di non cantarlo in prima persona: una scelta
particolare per un cantante che in questo brano non si cimenta, ma si tira indietro e
dà spazio a un’altra voce. Dunque il canto di Misirlou è affidato, in una versione
abbastanza tradizionale (anche se certi accenti, come l’attacco ritmico iniziale del
brano, richiamano alla mente la famosissima versione di Dick Dale) alla voce di
Kaiti Ntali che canta mentre Capossela, come è scritto nel libretto in corrispondenza
di questa canzone, fa ginnastica respiratoria.

3.4 Il futuro del Rebetiko in Italia


Il disco di Vinicio Capossela e tutta la pubblicità che ha portato hanno svegliato e
attirato l’attenzione italiana sul Rebetiko e sulla musica greca in genere: mi riferiva
Carmelo Siciliano che ha ricevuto negli ultimi tempi un numero crescente di richieste
di lezioni di bouzouki, e che anche le conferenze sono aumentate.
Anche per Dimitris Kotsiouros e per gli Evì Evàn il disco di Capossela è stato utile
per favorire la conoscenza e la diffusione del loro lavoro, anche grazie al
coinvolgimento diretto nelle presentazioni del disco e del libro (la presentazione di
Tefteri a Milano il 30 maggio 2013 e soprattutto l’apertura musicale al festival delle
letterature presso la Basilica di Massenzio a Roma l’11 giugno 2013 sono le ultime
due date importanti in ordine di tempo).
Gail Holstmi ha confermato la mia idea di un crescente interesse italiano nei
confronti del Rebetiko raccontandomi che due musicologi italiani, Marta e Massimo
Muscariello, hanno ultimato la traduzione del suo libro del 1975 Road to rembetika
di recente e sono in cerca di un editore che lo pubblichi e proponga finalmente
quest’opera in Italia.
Anche il libro di Carmelo Siciliano, un contributo interessante e prezioso per i
musicisti, è indice di questo attuale e crescente interesse. Si tratta quindi di un campo
di ricerca e di sperimentazione musicale in espansione: se questa tendenza non si
esaurirà una volta passata l’ondata di interesse innescata dal disco di Capossela,
potremmo vedere proprio in Italia nascere nuovi contributi interessanti e importanti
per il Rebetiko.
 
 
 

  76  
NOTA CONCLUSIVA

A conclusione di questa ricerca, è interessante notare che l’itinerario compiuto dal


genere musicale rebetiko, e da Misirlou in particolare, è importante per l’Italia
soprattutto in questo momento storico: ho scelto come copertina per la mia tesi
un’illustrazione realizzata da Fabrizio Di Baldo a testimoniare la curiosità suscitata
dall’immagine di Misirlou in un giovane illustratore italiano. Fabrizio mi ha
raccontato di essere entrato in contatto per caso con il Rebetiko grazie al fumetto di
Prudhomme e di essersi poi appassionato, seguendo il filo proposto da Capossela,
proprio alla ragazza egiziana che affascinava i rebetes nei sobborghi delle città
greche. Illustratori, musicologi, traduttori, semplici ascoltatori e curiosi, sempre più
numerosi e sempre più di frequente si affacciano a questo mondo fino a poco tempo
fa misconosciuto e un po’ maltrattato: e l’Italia sta proponendo un numero crescente
di pubblicazioni di tipo diverso in questo senso, che fa prevedere sviluppi
interessanti da seguire55.
L’Italia in questo momento storico forse avverte la propria vicinanza con la Grecia:
sono due nazioni accomunate da questioni politiche, economiche e sociali, per le
quali finisce per diventare particolarmente importante per gli italiani oggi recuperare
un’immagine più corrispondente alla verità greca effettiva. È un’immagine che ci
consentirebbe di riappropriarci di certe radici storiche antiche comuni e di
recuperare, a partire dalle fondamenta, un senso più profondo dell’identità di gruppo-
nazione che ci riguarda tutti; è un senso di identità politico, non personale, che ci
aiuterebbe forse a trovare risorse utili a non disgregarci davanti a una crisi che
coinvolge e minaccia di travolgere tantissimi.
Il senso della musica, una delle attività umane che non hanno una funzione
strettamente legata alla sopravvivenza e ai bisogni materiali (e questo è chiaro da
subito nella storia del Rebetiko in particolare) è quello di dare forma alle sensazioni e

                                                                                                               
55 Vedi solo nel corso dell’anno 2013 la ristampa del libro di Sangiglio e la pubblicazione del libro di

Carmelo Siciliano sul Rebetiko (capitolo 3.1); il libro Tefteri di Capossela è edito anch’esso
quest’anno. Inoltre è del 2013 la traduzione in italiano, ultimata ma non ancora edita, del testo di Gail
Holst Road to Rembetika; e segnalo il libro di Giuseppe Ciulla Un’estate in Grecia, edito da
Chiarelettere nel giugno 2013, un bellissimo contributo alla conoscenza della situazione greca attuale.
Infine, sono a conoscenza dei progetti avviati per future pubblicazioni da parte di Gaia Zaccagni e di
Maurizio De Rosa che saranno contributi importanti riguardanti il Rebetiko nel primo caso, e la
Grecia attuale nel secondo.

  77  
alle espressioni profonde delle persone; un rebetis era pronto a morire per il suo ballo
perché era una delle espressioni imprescindibili della sua vita. Questa visione del
mondo, in cui ciò che è essenziale e necessario alla vita non è ciò che ha un’utilità
pratica e un fine concreto, è una visione che centra un punto vitale in questo
momento storico: in una fase di fortissima incertezza e crisi economica e materiale,
questo tipo di musica allontana in parte la paura di perdere sé stessi. Aiuta a ritrovare
le radici; a perdersi nell’alcol, nel fumo, nella malinconia e nei ricordi, ma sapendo
che non si è soli: non penso (al contrario di Capossela per quello che ho potuto capire
del suo pensiero) che questa possa essere in alcun modo una soluzione, ma so che è
una condivisione profonda che può aiutare alcuni a superare il momento della crisi. Il
gruppo di rebetes assomiglia un po’ a una società di mutuo soccorso: aspra, estrema,
povera, ridotta ai minimi termini; ma nelle emergenze si attiva per provare a salvare i
suoi membri.
La forza del Rebetiko è anche la sua debolezza: questo crea un senso di struggimento
che non mi sembra innovativo nella storia della musica e dell’espressione umana in
genere; ma nel Rebetiko ci sono una vitalità e un desiderio di resistere alle condizioni
difficili che si possono venire a creare che non sfuggono a chi lo ascolta. Sono
caratteristiche che lo fanno continuare a viaggiare nel tempo e nello spazio.
Dunque nello scrivere questa tesi di laurea mi inserisco con un piccolo contributo in
un filone di ricerca che ha un raggio di azione più ampio e che è vivo in questo
momento in Italia: mi piace e mi sembra importante aver avuto i suggerimenti giusti,
la fortuna e l’intuito necessari per ascoltare e leggere i segnali, per inserirmi nella
scia dell’analisi di questioni che avverto come importanti e attuali; e che non sono
tali solo per me.
D’altra parte la chiusura di questa ricerca è anche una separazione: fin da bambina ho
subito in modo forte il fascino dei cantautori italiani e stranieri e delle loro musiche,
amando profondamente il loro mondo di espressione immediata, vera, profonda e
semplice, accessibile. Giunta in fondo all’itinerario compiuto fino a oggi da Misirlou,
una canzone di successo mondiale, una donna affascinante e misteriosa amata
appassionatamente dai rebetes – i cantautori greci ribelli – rimane intatta la mia stima
per il coraggio di esprimersi liberamente, di cercare spazi diversi di resistenza alle
asprezze del mondo di questi personaggi poco convenzionali; ma mi rimane anche
l’idea che non ci sia molto spazio per la speranza di una realtà diversa da quella che
si vive. Trovo un fondo di chiaro pessimismo in questa resistenza a tutti i costi contro

  78  
un mondo che è ostile ai rebetes, ai cantautori e in generale a chi voglia essere libero
da certi schemi mentali; non c’è nessuna proposta alternativa possibile, non c’è
spazio per l’idea che possa esistere una libertà che non si paga con la povertà
degradante, il dolore che fa impazzire, la violenza, la morte casuale e prematura. Ci
sono solo squarci di visioni diverse e belle, come lo sguardo affascinante e
l’ancheggiare conturbante di Misirlou che evoca deserti trapunti di stelle e fiori
notturni.
Finita questa ricerca affascinante mi accingo, finalmente, ad andare oltre questo
orizzonte rigido, bloccato da secoli: mi piace pensare che possa esistere una donna
come Misirlou fisicamente in giro per il mondo, libera di affascinare; mi piace l’idea
che non sia amata solo finché rimane una possibilità pericolosa tenuta a distanza e
cantata in una canzone. E mi piace pensare che questi uomini possano essere come
sono senza dover tenere il coltello sotto il lembo della giacca, che possano suonare le
proprie musiche senza che vengano loro sequestrati e spaccati gli strumenti, senza
dover vivere in modo così estremo; non penso che sia impossibile. I rebetes hanno
dimostrato che si può essere sé stessi e resistere anche in condizioni terribili: a noi, a
chi si fa affascinare da questi mondi notturni ricchi di tesori dei sobborghi, tesori
nascosti e non monetizzabili, rimane la ricerca di un nuovo filo di resistenza che non
consumi il corpo e la mente.
È bello pensare che, in questo senso, l’itinerario del Rebetiko e di Misirlou è solo al
suo principio.

  79  
RINGRAZIAMENTI

Questa laurea triennale è frutto di un percorso nel tempo che per vari motivi è stato
estremamente più lungo del previsto. Una tesi che chiude nove anni di vita e di
università include necessariamente un bel numero di ringraziamenti!

- Grazie alla mia relatrice, la Prof.ssa Paola Maria Minucci, che porta avanti il suo lavoro
con grandissima passione, che non rinuncia a creare occasioni di scoperta del mondo
neogreco per i suoi studenti e che ha pensato a un argomento di tesi su misura per me.
Grazie alla Prof.ssa Franca Sinopoli, che in questi lunghi anni non ha mai tardato a
rispondere alle mie domande, di qualunque genere esse fossero.
Grazie al Prof. Stefano Asperti, perché incontrarlo per i corridoi della facoltà è sempre
importante.
- Grazie a Gaia Zaccagni per la competenza, la gentilezza, la disponibilità e il calore.
Grazie a Maurizio De Rosa che mi ha aiutato a far uscire la tesi dal bozzolo e per le tante
chiacchiere fondamentali, meglio se in una taverna davanti a cibo e vino.
Grazie a Gail Holst, impagabilmente disponibile e gentile.
Grazie in ordine di tempo a: Dimitris Kotsiouros, Emilio De Santis, Filiò Sotiraki, Cinzia
Merletti, Mirco Mungari, Carmelo Siciliano per aver condiviso con me la loro musica e le
loro esperienze e conoscenze preziose, importantissime per questa ricerca.
Grazie a Fabrizio Di Baldo per l’immagine di copertina.
Grazie al Prof. Michalis Pieris, a Marianna Pafite e Stamatia Laoumtzi che hanno apprezzato
l’idea della mia tesi e mi fanno sentire che Cipro è anche casa mia.

- Grazie a Stefano, che nelle serate precedenti gli ultimi esami passava a salutarmi dalla
finestra e andava via; e per tanto altro. Grazie a Martina, Sara e Paola, per il loro calore che
non mi viene mai a mancare! Grazie a Nicoletta e Giulia, i membri del mio splendido trio di
studi dei primi anni. Grazie a Jacopo, il mio compagno di laurea e di musica. Grazie alla mia
mamma e al mio papà che sono lo zoccolo duro del mio fan club e mi sostengono il più
possibile nella mia lunga strada alla ricerca di me. Grazie al mio gruppo del martedì che mi
apre gli occhi e i sentimenti su mondi nuovi, pur rimanendo settimana dopo settimana seduti
insieme sulla stessa panca di legno!

Grazie a tutti i rebetes e ai musicisti che colorano il mondo di musica e che mi aiutano a
trovare il modo di fondere insieme il mio corpo e la mia mente.

  80  
BIBLIOGRAFIA CONSULTATA

COMPARATISTICA:
-­‐ Gnisci A. (a cura di), Letteratura Comparata, Mondadori editore, Milano
2002.

FOLKLORE E RICERCA:
-­‐ Alliegro E.V., L’arpa perduta. Dinamiche dell’identità e dell’appartenenza
in una tradizione di musicanti girovaghi, Argo, Lecce 2007.
-­‐ Sarno J., Le icone che danzano: Transe, musica e firewalking negli Astenaria
greci all’epoca del postmoderno, LIM, Lucca 2008.

REBETIKO:
-­‐ Buscemi F., Storia della Rebetika, Libreria Editrice Urso, Avola (SR) 2006.
-­‐ Sangiglio C., La canzone rebètika. Origini e storia, Asterios, Trieste 2006.
-­‐ Zaccagni G., Luoghi, parole e ritmi dalla Grecia moderna, Nuova Cultura,
Roma 2007.
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viaggiare/110650/109034

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-­‐ Rembetiko Music Of The Outsiders

BIBLIOGRAFIA ESISTENTE

Riporto qui di seguito la bibliografia reperibile sul sito dell’Institute of Rebetology


(http://www.rebetology.com/hydragathering/bibliography.html): si tratta di una
bibliografia principalmente in inglese e in greco (inoltre è citato un testo tedesco e
qualche testo francese), messa insieme, come già detto, nel corso degli anni da
diversi studiosi. Mi limito a trascriverla e renderla più fruibile, secondo i miei criteri,
dal punto di vista grafico: proporre una traduzione dei titoli in italiano, verificare i
testi, aggiornare, eliminare le ripetizioni, correggere, emendare e sistematizzare tutto
secondo criteri bibliografici comuni all’intera lista di titoli è un lavoro che richiede
una trattazione e una sede specifica più ampia rispetto allo spazio marginale che
trova in questa tesi.

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Pavlos Sidiropoulos, to monahiko blues tou prigkipa (biography): by Ntinos


Dimataris: published by Katsanos

Kaiti Grey, afti einai i zwi mou: by Giwrgos Chronas: published by Ekdoseis Odos
Panos

Kaiti Grey: by Giannis Flessas: published by Aigokairws

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Stelios Kazantzidis, i stavrwsi enos eidwlou: by Kyriakos Diakoyiannis: published
by Ekdoseis G. Ladia

Dionysis Savvopoulos: by Costas Mpliatkas: published by Ianos

Ta tragoudia mou (stihoi): Lefteris Papadopoulos: published by Kaktos

Ola ta tragoudia – Nikos Gkatsos (stihoi): edited by Agathi Dimitrouka: published by


Ekdoseis Pataki

Dimotika tragoudia tis Kyprou (4 vols), ed. Christos Taousianis

Kypriaka dimotika tragoudia, ed. Mikis Kitromilidis, published by Idryma A.G.


Leventi

Rebetiko, a novel, by Costas Ferris: published by Nea Synora – A.A. Livani, Athens,
2000.

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