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Candidato
Eleonora Aleotti
n° matricola 969047
Relatore
Professoressa Paola Maria Minucci
A/A 2012/2013
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Alla Grecia, terra di mare, musica e tartarughe.
A MPA che non ha paura delle paludi abitate dal vuoto del nulla, che le affronta e le
ricolma di sogni armata di pensieri limpidi e splendenti, di fantasia affilata e di scarpe
colorate.
INDICE
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3.2 Fortuna della musica Rebetika in Italia: Evì Evàn, Mesogea, Cafè Aman
.....................................................................................................................p.68
3.2.1 Evì Evàn ………………………………………………………...p.69
3.2.2 Mesogea ………………………………………………………...p.70
3.2.3 Cafè Aman ………………………………………………………p.70
3.3 Vinicio Capossela: Rebetiko gymnastas………………………………p.71
3.3.1 Vinicio Capossela e Misirlou……………………………………p.75
3.4 Il futuro del Rebetiko in Italia…………………………………………p.76
- Nota conclusiva………………………………………………..p.77
- Ringraziamenti………………………………………………..p.80
- Bibliografia consultata………………………………………..p.81
- Sitografia………………………………………………………p.82
- Filmografia……………………………………………………p.83
- Bibliografia esistente………………………………………….p.83
3
NOTA SUI CRITERI DI TRASCRIZIONE
In mancanza di regole ufficiali sulla trascrizione in italiano dei caratteri dell’alfabeto
greco, ho scelto in linea di massima di dare conto, dove possibile, di alcune
caratteristiche di questo alfabeto per familiarizzare il lettore italiano ad avere, in
maniera pur minima e trasversale, una confidenza con alcune caratteristiche della
lingua di riferimento dalla quale provengono i termini che trova trascritti. Non ho
voluto rinunciare alla ‘k’ della parola Rebetiko anche se ricorre molto spesso nel
testo (piuttosto che italianizzarla e “normalizzarla” in Rebetico ad esempio, una
trascrizione possibile e adottata da alcuni); così come non ho voluto rinunciare alla
scrittura estesa del dittongo ‘ou’ (pronuncia [u]) ad esempio nella parola bouzouki.
Mentre ho rinunciato a rendere, sempre nella parola Rebetiko, la nasalizzazione della
‘b’ che altri invece rendono con la trascrizione “Rembetiko”.
Nel corso di questa tesi sono riscontrabili alcune incongruenze nella traslitterazione
dovute alla citazione di testi e autori che hanno fatto scelte di trascrizione differenti
dalle mie.
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INTRODUZIONE
Questa tesi nasce da molti incontri: prima di tutto quello con la Grecia, che è stato
ricco e vitale per me sul lato personale e per la mia vita di studiosa; poi quello fra
musica e letteratura, i miei due ambiti di studio privilegiati che mi consentono di fare
ricerca in campi poco esplorati perché richiedono più competenze specifiche.
E soprattutto questa tesi nasce dall’incontro con molte persone: hanno speso tempo a
parlare con me, mi hanno suggerito idee, indirizzato, aiutato a mettere a fuoco le
questioni più interessanti e importanti, fatto sorgere dubbi, spinto ad approfondire il
discorso in certe direzioni piuttosto che in altre. È il risultato di molte conversazioni,
è la riorganizzazione e la trascrizione di molta oralità e di molti scritti fulminei,
piccoli messaggi mandati nei momenti liberi, nello stile più tipico della
comunicazione contemporanea; è un racconto in movimento.
1
«L’inferno non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti
i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a
molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed
esige attenzione e apprendimento continuo: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo
all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio» (I.Calvino, Le città invisibili [1972],
Einaudi, Torino 1991, p.170) cit. in A. Gnisci (a c. di) Letteratura comparata, Mondadori, Milano
2002, p. XIII.
2
A. Gnisci (a c. di) Letteratura comparata, Mondadori, Milano 2002, p. XVII.
5
Occuparsi di Grecia in questo momento storico particolare diventa, quasi
inevitabilmente, almeno in parte, un fatto politico: il mio interesse specifico per
questo ambito di studi nasce da motivi personali, ma questa tesi ha preso forma in
rapporto con il nascente e crescente interesse di tutta l’Italia per molte questioni
greche culturali, linguistiche, umane, politiche.
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noi, al contrario che in altri paesi, sembrava non prendere piede. E il Rebetiko ha
comunque dovuto essere filtrato attraverso una voce e una sonorità italiane prima di
iniziare lentamente a catturare l’attenzione generale.
Per quello che mi riguarda più strettamente, in questa tesi affronto un tema musicale,
ma scrivo una tesi di letteratura e, anche nella trattazione di questioni tecniche
musicali, non mi sento in grado in nessun modo di poter ignorare il legame con la
parola: la parola messa in musica è necessariamente letteraria. È necessario
affrontare un discorso specifico sul ritmo oltre che sul senso. Dunque mi interrogo su
come l’elemento tecnico musicale accompagni, guidi, arricchisca, spogli o magari
contrasti il senso delle parole a cui è abbinato. Persino nel caso in cui il brano o la
questione musicale da considerare siano strumentali e la parola sia assente, mi
confronto con la scelta del musicista; cioè una persona che nel quotidiano si esprime
con le parole, come tutti gli esseri umani, e invece artisticamente sceglie
un’espressione altra rispetto alla concretezza. La musica supera l’ambito strettamente
razionale, rimanendo all’interno di un’espressione di senso compiuto e comprensibile
per molti; direi per tutti. Anche in assenza del linguaggio considerato il più
caratteristico dell’espressione umana, la parola, nell’usufruire degli strumenti e dei
mezzi tecnici del mondo musicale, per scendere nello specifico, comunque si
indagano e si rendono espliciti pensieri profondamente umani.
L’ottica comparatistica mi consente di parlare di Rebetiko, quindi di affrontare un
linguaggio straniero (greco) e diverso (espressivo, musicale, politico), spaziando con
lo sguardo il più possibile lungo i confini dell’orizzonte nuovo che mi si apre
davanti, senza però perdere mai la bussola del mio personale e specifico punto di
vista.
Questa ricerca, con tutti i suoi limiti, si propone di collocare al suo posto un altro
piccolo tassello del mosaico di studi letterari e musicali specifici sul Rebetiko che
comincia a crearsi in Italia. Si propone di affrontare un tema attuale e di mettere in
rapporto mondi vicini e differenti e diverse competenze tecniche.
7
1. REBETIKO
4
Ogni termine greco introdotto comparirà in corsivo alla prima attestazione nel testo e in seguito sarà
riportato in tondo. Le traduzioni dal greco, inglese, francese e tedesco, se non è indicata un’edizione
di riferimento, sono a cura dell’autrice della tesi.
8
questo punto culmine del conflitto in corso all’epoca fra Turchia e Grecia portò
all’incendio e alla distruzione della città di Smirne (ad esclusione delle zone turche),
alla dispersione della fiorente comunità greca che vi risiedeva, allo sterminio di circa
25.000 greci, soprattutto civili, e all’esodo disperato di 200.000 persone. Questo
evento terribile e impressionante ha portato in seguito alla scelta di rimandare i greci
che risiedevano in terre turche in Grecia, e viceversa i turchi di Grecia in Turchia:
con la paradossale condizione di usare come metro di distinzione fra greci e turchi
l’appartenenza religiosa, senza considerare gli eventuali cambiamenti sopraggiunti
nel tempo. Si andarono così a sradicare e trasferire forzatamente interi gruppi
familiari la cui origine nel paese in cui venivano rimandati era ormai remota;
famiglie che non risiedevano nella loro “patria” da intere generazioni e avevano
perso con essa anche il rapporto linguistico.
In questo modo si arrivò all’incontro forzato fra i contadini stanziali delle campagne
greche, con le loro tradizioni popolari, e i nuovi poveri sbandati e spaesati, appena
arrivati in esilio e decaduti dalla loro condizione precedente (spesso di benessere
economico e sociale). Ci fu in questa occasione l’incontro fra i quartieri nuovi e
ripuliti da poco di un’Atene che rifioriva proprio in quegli anni e i profughi smarriti,
che portavano con sé un disagio e una disperazione che si alleviava solo riunendosi
insieme per fumare hashish: in mancanza di altre possibilità costruivano baracche in
cui vivere; sorsero vere e proprie bidonville, mentre la memoria dell’orrore della
Catastrofe veniva rivissuta. Veniva stemperata e addolcita nel canto struggente,
arricchito di influenze musicali provenienti dal Medio Oriente.
Tutto questo humus culturale andava a scontrarsi con l’ordine costituito che aveva
visto fin dall’inizio una minaccia nei rebètes (ρεµπέτες,
singolare
ρεµπέτης:
cantautori, cantanti e suonatori di Rebetiko, ma, prima ancora, la parola faceva
riferimento a un tipo di persona scontrosa e che vive ai limiti della legalità). E
soprattutto si conciliava molto male con il nascente regime fascista di Metaxas
(1936-1941), che portava avanti un ideale di purezza greca che entrava in diretta
collisione con il modo di vivere e di fare musica dei rebetes: questo scatenò una vera
e propria messa al bando. La musica rebetika fu dichiarata fuori legge, furono chiusi
i locali in cui si incontravano i rebetes, arrestati e incarcerati i musicisti, proibita la
musica al di fuori dei locali controllati dalla polizia; persino gli strumenti musicali
9
tipici del Rebetiko furono messi fuori legge. Anche da questa persecuzione nasce la
predilezione dei rebetes per il baglamàs, uno strumento così piccolo da poter essere
intagliato con facilità in un pezzo di legno di riciclo o addirittura, pare, in una grossa
zucchina; i musicisti lo tenevano nascosto sotto un lembo della giacca.
Il genere rebetiko, nonostante non avesse programmi e non propagandasse idee
specifiche, non riusciva a non essere un fatto politico.
L’apice della canzone rebetika, con i suoi tratti caratteristici specifici e originali, è
durato solo trent’anni, quindi si tratta di un fenomeno musicale e sociale chiaramente
circoscritto nel tempo (e anche nello spazio): parliamo del trentennio 1922-1952.
Petropoulos6, che è stato uno dei più grandi teorici del Rebetiko e soprattutto un
primo grande appassionato, determinato a vedere riconosciuto il valore del Rebetiko,
era un rebetis nei modi lui stesso anche se non era musicista; ha scontato con anni di
prigione la sua esigenza di non tacere sul Rebetiko, di non aspettare tempi sicuri per
scrivere del fenomeno che riteneva fosse fondamentale non ignorare nel periodo
storico in cui ha vissuto (Canzoni rebetike, edito nel 1968, è stata la prima ricerca
sistematica che ha cercato di sdoganare il genere musicale rebetiko dal pregiudizio
che lo colpiva; dello stesso anno è anche Piccole canzoni rebetike; prima dei suoi
5
Faccio riferimento ad un episodio effettivamente accaduto al cantautore italiano Vinicio Capossela
che, volendo ascoltare della musica suonata dal vivo durante una vacanza in Grecia, ha domandato
informazioni ad un passante e si è sentito rispondere che nei locali si suona il Rebetiko, il blues greco;
è stato questo il suo primo incontro con questo genere musicale. Lo ha raccontato nella trasmissione
Moby Dick andata in onda su Radio Rai 2 il 19/12/2012.
6
v. par. 1.2.3.
10
libri solo M. Chazidakis e F. Anoghiatakis si erano interessati nei loro studi di
musica rebetika)7.
Nel fare un raffronto fra Rebetiko e canzone demotica8, quindi canzone greca
folkloristica tipica del mondo campagnolo, Petropoulos scrive: «Le canzoni rebetiche
sono il metro di una triste realtà, espressa durante la festa con laconicità. […] La
prima parola o il primo verso di molte canzoni rebetiche di solito esprime grande
amarezza»9. Nel corso della sua trattazione, Petropoulos specifica con chiarezza il
fatto che il Rebetiko è una musica cittadina – nasce originariamente nelle città turche
con minoranze greche come Smirne, Bursa, Aydin, Salonicco (greca dal 1912) e
giunge in Grecia nei nuovi sobborghi cittadini con i profughi provenienti da Smirne
nel 1922 – e che si tratta di un fenomeno che riguarda gli operai, ma anche tutti quei
lavoratori parassitari che non vengono mal visti o biasimati. Trova spazio nelle feste
nei locali, in luoghi stretti dove si beve e non si mangia, al contrario di quanto
avveniva nelle feste popolari rurali che erano grandi eventi per la comunità: «Nella
canzone demotica ci si ubriaca tutti insieme, ma il motivo per cui i rebetes bevono e
si divertono sta nella loro amarezza. Cercano l’oblio. Un tedio mortale avvolge le
città»10. Si tratta di città che iniziavano ad acquistare una loro importanza di centri
urbani, conquistando all’inizio del 1900 nuova rilevanza rispetto alla realtà rurale
storicamente dominante Grecia. Gli eroi delle canzoni fanno parte degli strati sociali
bassi, sono quasi volontariamente ai margini e si oppongono a tutta la società senza
ostilità specifiche: c’è una certa attenzione al tema del salario o dell’espediente che
consente di guadagnarsi la giornata, mentre non c’è nessun interesse per i ritmi e i
7
Per tutte le traduzioni e le informazioni su Ilias Petropoulos e le sue pubblicazioni mi rifaccio alla
bella tesi di laurea triennale discussa nel 2012 presso l’Università La Sapienza di Roma da Michele
Cortese, che ha tradotto alcune parti di Canzoni rebetike: sue sono dunque le traduzioni riportate (da
questo derivano anche i diversi criteri di traslitterazione che si possono riscontrare). Il titolo della tesi
è Ρεµπέτικα Τραγούδια: Λαογραφική έρευνα του Ηλία Πετρόπουλου. Canzoni Rebetiche: Ricerca
folklorica di Ilìas Petròpulos. Per le citazioni riportate in italiano uso la numerazione di riferimento
delle pagine della tesi.
Cfr. Petròpulos I., Ρεµπέτικα τραγούδια, Atene 1972.
Cfr. Petròpulos I., Τα µικρά ρεµπέτικα, Atene 1968.
8
«[…] è infatti comunemente accettata la definizione secondo cui la canzone demotica (chanson
folklorique) sia il canto popolare della campagna in epoca feudale, mentre la canzone popolare
(chanson populaire) è un genere musicale più recente proprio della popolazione cittadina.
Specialmente per quanto riguarda la Grecia sono demotiche tutte le canzoni create dal popolo greco
fino al 1821, mentre sono popolari le canzoni più recenti delle città (come Μπάρµπα Γιάννης
κανατάς - Barba Ghiannis kanatàs), le candades e le canzoni rebetiche)». In M. Cortese, Ρεµπέτικα
Τραγούδια: Λαογραφική έρευνα του Ηλία Πετρόπουλου. Canzoni Rebetiche: Ricerca folklorica di Ilìas
Petròpulos cit., p.35. Cfr. Petròpulos I., Ρεµπέτικα τραγούδια cit.
9
Ibid., p. 35.
10
Ibid., p. 26.
11
fenomeni naturali tipici della vita contadina; piuttosto si parla di mestieri umili
esercitati con dignità nei bassifondi urbani, e non si disprezza la tendenza alla
pigrizia e all’ozio.
Tipici della musica greca, ma anche di quella orientale, sono i dromi (δρόµοι,
singolare δρόµος che significa “strada”): si tratta di percorsi musicali tracciati legati
appunto ai diversi modi della tradizione araba; nei dromi viene lasciato spazio
all’improvvisazione12. I dromi, e ancora di più i modi della musica greca antica,
avevano nomi precisi e veniva attribuito loro un carattere specifico, particolare: si
riteneva che avessero un effetto psicagogico, cioè che al carattere musicale
corrispondesse un umore o un’attitudine umana, anche comportamentale, che
l’ascolto della musica stimolava. Nel periodo di dominio dell’impero turco ottomano
si verificò una circolazione e una condivisione di tradizioni culturali provenienti da
tutta l’area del Medio Oriente (arabi, persiani, greci, armeni, slavi ed ebrei si
incontrano): la percezione chiara di una corrispondenza tra determinati percorsi
musicali e stati d’animo definiti sta alla base del modo in cui viene recepita la musica
nel mondo greco prima, e in quello bizantino e ottomano poi.
11
Faccio qui riferimento ampiamente ai contenuti della comunicazione ascoltata presso l’Università
La Sapienza di Roma il 19/04/2012 nell’ambito della lezione sul Rebetiko tenuta da Gaia Zaccagni.
12
In greco τρόπος, “modo”, è una progressione di intervalli, toni, semitoni o frazioni ancora minori
del tono che crea un profilo e un ambiente armonico preciso e riconoscibile, ripetibile, su cui si
possono eseguire delle variazioni; su questa progressione sonora il musicista compone il pezzo da
suonare o cantare.
12
Costantinopoli, capitale ottomana, è il principale centro di incontro e di mescolanza
degli elementi culturali diversi che si uniscono in un crogiolo; questo rende non più
del tutto riconoscibile l’origine di certi fenomeni; la fusione avviene fra elementi di
cultura in generale (letteratura, poesia, arti figurative) e ovviamente coinvolge anche
il discorso musicale specifico. La città fu divisa in quartieri separati per etnie, ma
anche per corporazioni di mestieri: e questo spiega la tradizionale importanza e la
ricorrenza di alcune professioni particolari citate nelle canzoni rebetike.
Intanto il caffè, bevanda in precedenza sconosciuta (il caffè era stato importato a
metà del 1500 a Costantinopoli), aveva stimolato in Asia Minore la nascita e la
diffusione dei Cafè-aman: si tratta di luoghi dove ci si riuniva a bere il caffè e, da un
certo momento storico in poi, anche ad ascoltare e fare musica. Questa usanza fu poi
importata in Grecia, dove presto nacquero locali in cui si serviva caffè e in cui ci si
riuniva per suonare e ascoltare musica (µουσικό καφενείο, musikò kafenìo cioè caffè
musicale). Con la differenza, rispetto a Smirne e Costantinopoli, che, mentre in
Turchia l’ascolto della musica era una consuetudine che coinvolgeva le famiglie al
completo, in Grecia la frequentazione abituale dei caffè musicali era limitata ai soli
uomini.
13
che andava considerato il Bach greco13. Secondo Chazidakis, nei momenti di
perfezione il Rebetiko riproduce quell’antica fusione tra parola, musica e movimento
che era alla base della tragedia antica, poi confluita nella cultura bizantina.
Questo accostamento audace fra una musica dei bassifondi e la massima espressione
della tradizione classica creò un certo scandalo fra gli uditori in sala: Chazidakis
argomentò il suo punto di vista notando che in questa musica il compositore è allo
stesso tempo anche poeta ed esecutore, notò i tre ritmi caratteristici su cui si basa la
composizione, cioè lo Zeimbekiko in 9/8, il Chasapiko, 4/4 e infine il Servikò che è
un ritmo molto veloce originario dei Balcani, poco diffuso, ma riconducibile al
panorama bizantino. Affermò inoltre che solo un genere tipicamente greco può
raggiungere l’equilibrio e la mancanza di eccessi anche nell’espressione dei
sentimenti estremi che si trova in questo tipo di canzoni; Chazidakis rivendica come
greca la compostezza del Rebetiko, da lui definito “puro” (καθαρό), oltre che
misurato e non eccessivo. Fu il primo importante passo verso l’abbattimento del
pregiudizio che si era creato attorno alla musica rebetika.
13
G. Holst-Warhaft, Road to rembetika, Denise Harvey Publisher, 2006 (prima edizione Atene 1975),
p. 22.
14
I. Petropoulos, dal documentario di Legaki K., Ένας κόσµος υπόγειος, ERT, AE, EKK, Portolanos
Films 2005.
15
Si tratta dell’esperienza diretta riferita dallo stesso Petropoulos, che ricorda suo padre chiudere le
finestre prima di mettere sul grammofono certi dischi. In M. Cortese, Ρεµπέτικα Τραγούδια:
Λαογραφική έρευνα του Ηλία Πετρόπουλου. Canzoni Rebetiche: Ricerca folklorica di Ilìas Petròpulos
cit., p.2.
14
disprezzato il mondo e la società cui appartiene il Rebetiko, hanno cercato di
fermarne in ogni modo la diffusione, lo hanno percepito come pericoloso e si sono
affrettati a liquidarlo etichettandolo come non greco, ponendogli un veto nell’ambito
della cultura ufficiale: la verità insegnata nelle scuole fino alla caduta del regime dei
colonnelli nel 1974 impone il silenzio su questa zona d’ombra della storia e della
cultura greca.
15
e per le sue modalità espressive; in seguito si trasferì a Parigi e continuò a scrivere
sulla Grecia da lì.
Questo ci porta a considerare più nello specifico il problema della “grecità” ufficiale,
filo rosso che attraversa i due regimi che oppressero la Grecia nel 1900: il concetto di
“grecità” accompagnato, per alcuni, dalla Megali Idea (Μεγάλη Ιδέα), l’idea della
grande Grecia conquistatrice che prevedeva un’epurazione, in parte applicata, di
costumi tipici, parole e strumenti originari turchi o mediorientale che in altri periodi
hanno invece fatto parte a pieno titolo del patrimonio culturale greco. Il recupero di
alcune tradizioni e l’opposizione a questa esclusione sistematica di ogni elemento
turco, considerato come nemico, è una presa di posizione precisa del critico
Petropoulos, che però la riconosce in qualche modo come una posizione estranea al
Rebetiko di per sé. Infatti, a detta dello stesso studioso, il Rebetiko conserva molti
elementi della cultura greca ufficiale (tutta la parte di corrispondenze dei canti
rebetici con le canzoni demotiche in generale, cleftiche e acritiche in particolare)16. A
differenza della cultura ufficiale la musica rebetika non rifiuta però il legame con il
proprio passato di contaminazioni col Medio Oriente, configurandosi come
un’espressione genuina e non selettiva di passioni popolari nella pienezza delle loro
espressioni17.
16
Sulle canzoni cleftiche e acritiche vedi paragrafo 1.2.5.
17
«(…) Insisto: i Greci non capiranno mai l’enorme significato delle canzoni rebetiche se, prima, non
si avvicineranno con amore al mondo dei diseredati, dei poveri e della malavita e ai loro problemi, e
se non accetteranno subito l’influenza esercitata su di loro dalla Grande Cultura Ottomana», I.
Petròpoulos, Τα µικρά ρεµπέτκα , cit., p. 20 in M. Cortese, Ρεµπέτικα Τραγούδια: Λαογραφική έρευνα
του Ηλία Πετρόπουλου. Canzoni Rebetiche: Ricerca folklorica di Ilìas Petròpulos cit., p.2.
18
Vedi su questo E.V. Alliegro L’arpa perduta. Dinamiche dell’identità e dell’appartenenza in una
tradizione di musicanti girovaghi. Affronto questo discorso in modo più diffuso nel capitolo 2.1.
16
Per quello che riguarda il significato della parola Rebetiko, in molti si sono
domandati quale sia la sua provenienza: l’ipotesi che vuole che l’origine del termine
sia legata alla parola turca rebet che ha il significato di “ribelle, fuori legge” non è
del tutto convincente secondo gli studiosi stessi: sembra quasi un’etimologia di
comodo inventata a posteriori. L’altra ipotesi accreditata è che derivi dal verbo
remvomai che ha il significato di “girovagare, sognare, andare in giro
pavoneggiandosi”, con riferimento anche all’atteggiamento fisico dei rebetes; d’altra
parte questo significato rinvia a figure della letteratura e della società greca arcaica
assimilabili ai cantastorie e ai menestrelli, il che sembra dare un valore aggiunto a
questa idea. La prima testimonianza dell’uso di parole legate all’ambito semantico
della parola Rebetiko è del 1925. In precedenza questi personaggi caso mai erano
denominati koutsavakides: anche questo è un termine di etimologia incerta, forse
legato a koutsòs, zoppo, con riferimento all’andatura tenuta dai rebetes che girano
per le strade con la giacca buttata su una spalla, ciondolando pronti eventualmente
alla rissa.
I canti cleftici (κλέφτης, kleftes significa brigante), che fanno parte della tradizione
folkloristica greca, sono canti legati alla vita dei fuori legge, che però sono poi
diventati eroi della rivoluzione greca del 1821: portavano avanti la resistenza e infine
17
sono stati i fautori della liberazione dai Turchi. Non distanti dai canti cleftici, sia
nelle forme che nelle tematiche, sono i canti acritici (ακρίτας, akritas erano le
sentinelle che guardavano il confine dell’impero bizatino dai nemici), che erano canti
più antichi. Entrambi questi tipi di canto raccontano una realtà guerresca, di
battaglia, nella quale trovano spazio il banchetto e le canzoni ritmate coi tamburi
(τραγούδια της τάβλας, tragùdia tis tàvlas sono le canzoni della tavola); questo tipo
di immagini sonore rimanda immediatamente al contesto antico dei banchetti
dell’Iliade, che non devono essersi svolti in un contesto (anche musicale?) troppo
differente.
Spesso nella storia i greci hanno avvertito l’esilio come l’unica, tragica, scelta
possibile: nel percorso critico che si sta delineando mi sembra importante
sottolineare la presenza massiccia di questo tema nelle canzoni dei rebetes che, oltre
alla segregazione, lamentano con dolore questa distanza dalla terra d’origine che
viene loro imposta. D’altro canto, è vero anche che, in antitesi, spesso per il rebetis è
più importante come si sente rispetto a dove si trova.
Ancora, l’importanza del legame del Rebetiko con la danza: in Grecia esistono ritmi
di danza tipici di certe zone specifiche che hanno caratteri particolari; nel Rebetiko,
che prevede la danza davanti al palco dove si suona, e dove in certi casi i musicisti
stessi si lasciavano andare a momenti di danza in alcuni passaggi delle canzoni,
possiamo ritrovarne diversi tipi. Sirtòs e Kalamatianòs sono ritmi di danza dalle
sonorità piuttosto allegre, mentre lo Zeimbekiko, che viene dalla Turchia, era
originariamente una danza abbinata alla guerra e al lutto; particolari sono lo
Chassapiko, che fa riferimento direttamente alla professione del macellaio, e il Bàlos
e la Matinàda (due parole derivanti dal veneziano) che sono balli a due con parole
composte in versi rimati. La rima è un contributo squisitamente italiano che entra a
far parte del patrimonio del Rebetiko: infatti, storicamente, i versi greci usano metri
particolari, ma non rimati.
18
Un’ultima caratteristica importante è una sorta di stato d’animo, da associare
all’effetto del consumo di sostanze come l’hashish19 e l’alcool ma non solo: a volte
basta un momento passato a giocare con i kombolòi per indurre questa condizione
fisica e mentale. Si tratta della calma, quasi uno stato di trance estatica che a tratti
conserva elementi ripresi da antiche cerimonie20, una calma descritta talvolta dai
rebetes e raccontata nei testi delle loro canzoni; oppure viene invocata come stato da
ritrovare se lo hanno perduto per via dell’amore non corrisposto, o delle difficoltà
quotidiane.
Per quello che riguarda le cantanti, nel primo periodo del Rebetiko prevalse lo stile
smirneico, che associava l’idea della voce femminile alla pulizia e chiarezza di voci
di timbro acuto, quasi simili a quelle di cantanti classiche; queste riproducevano i
modi sinuosi provenienti dal Medio Oriente, però erano confinate negli anni 1920 e
’30 ai caffè-amman. Una restrizione di genere che si creò in Grecia nella prima fase
del Rebetiko, ma che ai tempi della seconda guerra mondiale già non sussisteva
più21. Col passare del tempo si affermò invece il gusto per una voce femminile più
sporca, rauca, quasi mascolina, e anche gli stessi comportamenti e atteggiamenti
19
Vale la pena ricordare che il consumo di hashish nell’impero ottomano non era considerato illegale,
quindi per molti rebetes non era immediato rinunciare a un’abitudine della quale non avvertivano la
pericolosità; il consumo di hashish trovava spazio anche in alcune cerimonie.
20
Vedi su questo il gran numero di canzoni rebetiche che contengono nel testo riferimenti diretti ai
dervishi e alle loro attività.
21
G. Holst, Road to rembetika cit., p.54
19
delle donne iniziarono sempre più spesso a cambiare. Prendo come esempio di
questa seconda tipologia femminile Sotiria Bellou, associabile al periodo del
Rebetiko Pireotiko (tipico del Pireo, il porto di Atene): era una donna piuttosto
spregiudicata, fumava il sigaro, era mascolina nei modi, la sua voce era scura e
graffiante, fece molti soldi e ne spese moltissimi per sostenere suoi colleghi
musicisti; le sue caratteristiche vocali sono lontane da quelle delle cantanti di stile
smirneico, ma non diminuiscono la bellezza e l’intensità espressiva delle sue
interpretazioni vocali. D’altra parte sono interpretazioni che per noi occidentali non
sono di ascolto semplicissimo in ogni caso: avvertiamo la distanza culturale rispetto
al modo di fare musica di Sotiria Bellou che non si avvicina al modo orientale ma è
comunque molto distante da noi.
Gail Holst si è occupata in studi specifici delle figure femminili del Rebetiko: le ho
rivolto una domanda a proposito chiedendole se, vista la presenza di voci che
cantano in stile smirneico, c’è stato secondo lei spazio anche per una femminilità più
dolce e morbida nel Rebetiko. Riporto qui la traduzione della sua risposta22:
20
Le voci dolci delle cantanti di stile smirneico erano certamente molto differenti
dalle voci del Pireo. Venivano da città dove esisteva una scena musicale
professionale e cantavano una grande varietà di canzoni, che però senza dubbio
non includeva solo canzoni di vita quotidiana bassa. Non penso che nel mondo
greco del Rebetiko ci fosse spazio per la dolcezza o per il civettare, almeno non
fino a molto tardi nella sua storia.
Anche Vinicio Capossela, nelle sue ricerche in Grecia, è rimasto colpito dal
particolare rapporto dei rebetes con le donne: «“Non esistono donne brutte, esistono
solo uomini che non bevono”»23, dice Dimitris in una taverna guardando alcune
donne danzare, e rimandando così l’immagine di una brutta ma tipica idea di
rapporto fra uomo e donna impossibile, se non filtrato dall’alcol o da altre sostanze.
Ma più avanti Capossela raccoglie anche le parole ben poco conformiste di chi
racconta come la donna zingara non sia considerata una sporca ladra, ma invece una
donna bella, libera e affascinante; e riporta anche le parole di Papos che dice: «“Non
conosco nessuna canzone rebetika che sottovaluti la donna”»24.
23
V. Capossela, Tefteri: Il libro dei conti in sospeso, Il Saggiatore, Lavis (Tn) 2013, p. 20.
24
Ibid., p. 125.
25
M. Cortese, Ρεµπέτικα Τραγούδια: Λαογραφική έρευνα του Ηλία Πετρόπουλου. Canzoni Rebetiche:
Ricerca folklorica di Ilìas Petròpulos cit., p. 24.
21
La seconda fase va dal 1932 al 1940 e «gli uti hanno ceduto il posto ai buzuki e ai
baglamàs, e le cantanti smirniote dei caffè – amman lo hanno ceduto ai profondi
cantanti dei tekés, che erano contemporaneamente compositori, parolieri e virtuosi
del buzuki allo stesso tempo. Fu allora che il rebetico ha rivelato, con semplicità
classica, il vero mondo degli emarginati»26. Quindi, in questo periodo centrale
emergono i veri e propri cantautori, che sono la figura effettivamente più
rappresentativa del Rebetiko e che avranno una continuità nel tempo: «Questo tipo di
amore cantano i miei fratelli, gli ultimi rebetes»27 è la conclusione dell’appassionato
Discorso funebre che Petropoulos pone a chiusura dell’introduzione del libro
Canzoni rebetiche. Petropoulos, come molti altri musicisti e critici dopo di lui fino a
oggi, riteneva che lo stile rebetiko in quegli anni si fosse già esaurito in quanto vena
autonoma: è vero che i grandi classici del Rebetiko sono di quegli anni e continuano
ad essere riproposti, rimangono ineguagliati; ma l’ombra di appassionato
pessimismo gettata sulla storia dei rebetes dalle parole di Petropoulos, in parte è una
cifra stilistica del Rebetiko stesso, contraddetta dall’esistenza di nuovi rebetes che
sentono oggi l’esigenza di suonare e anche di scrivere inediti brani musicali in stile
rebetiko.
La figura di spicco del periodo d’oro del Rebetiko è senza dubbio Màrkos
Vamvakàris, affiancato da altri nomi importanti28, ma da alcuni considerato
addirittura il più grande e indiscusso protagonista di tutto il genere Rebetiko.
La terza fase (1940-1952) è quella in cui Vassìlis Tsitsànis ha composto le sue
musiche migliori, che venivano cantate da Markos mentre Tsitsanis suonava il
bouzouki in modo dolcissimo e sublime; era un periodo di fame, armi, paura, forni
crematori troppo presenti nel quotidiano e troppo spaventosi per poterli cantare.
Tsitsanis sceglieva che tipo di voce dovesse dar corpo alle sue musiche, «cantanti
sconosciuti dotati di voci che ricordavano pescatori, muratori, fruttivendoli»29 e ha
cambiato la composizione dei gruppi strumentali. Ha composto musiche raffinate,
ispirate, sobrie. Parlando d’amore e celando il dolore, non facendo emergere nella
26
Ibid., p. 24.
27
Ibid., p. 53.
28
E al suo fianco Tundas, Baghianderas, Batis, Anestis Deliàs (scomparso giovanissimo), Stratos
Paghiumtzìs (o Tembelis, il Pigro), Morfetas, Chatzichristos, Peristeris, Papaioannou.
29
M. Cortese, Ρεµπέτικα Τραγούδια: Λαογραφική έρευνα του Ηλία Πετρόπουλου. Canzoni Rebetiche:
Ricerca folklorica di Ilìas Petròpulos cit., p. 24.
22
musica il vissuto difficilissimo di quel periodo, ha reso il Rebetiko un genere
popolare. Per quello che riguarda gli strumenti è importante notare che in questo
terzo periodo viene aggiunta una corda al bouzouki. Questa innovazione, compiuta a
opera di Manolis Chiotis, non viene apprezzata dagli amanti del Rebetiko
tradizionale e classico del primo e secondo periodo, ed è nettamente rifiutata, anche
se spesso in toni un po’ ironici, dagli “estremisti del Rebetiko”30 di oggi.
23
Spesso le canzoni, soprattutto quelle del primo periodo del Rebetiko, sono precedute
da una lunga introduzione strumentale eseguita con il violino, oppure con il sanduri
o con la voce: si tratta di improvvisazioni, anche queste reminiscenze di provenienza
mediorientale (erano chiamate ταχίµια, al singolare ταχίµι, tachimia). Servivano a
introdurre “l’umore” musicale, ma erano anche il momento in cui il musicista, spesso
stordito dall’hashish, poteva far vagare la mente fino a recuperare uno stato di
maggior controllo di sé e della sua fantasia musicale, attraverso i passaggi eseguiti
sul suo strumento. Le introduzioni erano suonate con passione ed erano anche
momenti di dimostrazione di padronanza tecnica, anche se non risultavano mai
essere un mero sfoggio virtuosistico31.
31
Cfr. G.Holst, Road to rembetika, cit., p.54: in questo passaggio ho tradotto, adattato e citato quasi
letteralmente il testo della Holst.
24
La scoperta del Rebetiko avvenne dopo la fine della guerra civile, che si era conclusa
nel 1949: dai bassifondi malfamati passò ad essere suonato nei night club frequentati
dai ricchi; e questo chiaramente cambiò in modo radicale il carattere del Rebetiko. Il
bouzouki venne sostituito con il bouzouki elettrico, o comunque venne amplificato,
la musica adesso si rivolgeva ad un pubblico alto borghese; il Rebetiko divenne un
genere alla moda, che faceva tendenza. Venne commercializzato, con
un’orchestrazione eccessivamente ampia che non era più riconducibile alle umili
origini di questo modo di fare musica; le parole si svuotarono di senso diventando
fatue, soprattutto nella produzione pensata per i long-play dopo il 1955. Onassis e i
Kennedy ascoltarono Ghiorgos Zambetas suonare il Rebetiko; i locali dove si
suonava questo genere musicale ora erano i più esclusivi e costosi di tutta la Grecia.
Dagli anni ‘60 anche nuovi compositori promettenti iniziarono a inserire suonatori di
bouzouki virtuosi nei loro arrangiamenti e nelle loro composizioni – fra questi Mikis
Theodorakis e Manos Chazidakis.
Negli anni ’70 cominciarono ad uscire LP, antologie e registrazioni, ma anche scritti
dedicati a singoli artisti. In questi anni uscì il primo testo in inglese32 pensato per far
conoscere questo fenomeno musicale e sociale al di fuori della Grecia, e fu scritta la
prima tesi di laurea in inglese sull’argomento33. In questa riscoperta del Rebetiko ha
giocato un ruolo importante l’elemento di protesta, di rivolta, di ribellione nei
confronti del regime che con un colpo di stato aveva preso il potere in Grecia nel
1967. La musica rebetika, come abbiamo visto, non aveva un programma politico,
ma richiamava alla mente precedenti momenti di oppressione ed evocava un’idea di
resistenza; i testi si prestavano naturalmente ad alimentare sentimenti sovversivi.
Oggi il Rebetiko in Grecia è amato ed eseguito in versioni vicine allo stile originale, i
dischi dell’epoca sono in commercio; ed è eseguito anche in versioni che non hanno
nessuna pretesa di avvicinarsi a quello stile, ma che a loro modo esprimono
l’attualità, la potenza e la vitalità di questo genere.
32
Si tratta appunto di G. Holst, Road to Rembetika, cit.: seconda edizione 1977, terza 1983, quarta e
per ora ultima 2006.
33
S. Gauntlett, Rebetika, Carmina Graeciae Recentoris, tesi di Dottorato, University of Oxford 1978.
25
1.3 Storia della ricezione e fortuna del Rebetiko fuori dalla Grecia
“Nessuno nasce greco. È una questione sociale, non genetica”. Citazione anonima in apertura
di pagina sul sito della società rebetika italiana
Particolarmente importante per la storia del Rebetiko (e nello specifico di Misirlou,
la canzone il cui percorso musicale e geografico ho scelto di seguire in questa
trattazione), è l’emigrazione greca, e quindi anche della musica greca, come il
Rebetiko, negli Stati Uniti: il flusso migratorio è diventato piuttosto costante a partire
dalla fine del 1800 ed è proseguito, con un numero di persone crescente, soprattutto
in corrispondenza col periodo della Catastrofe in Asia Minore, fino alla metà degli
anni ’20 del 1900 (quando sono state introdotte negli USA alcune leggi restrittive
sull’immigrazione). In America, le compagnie iniziarono presto a incidere dischi con
la musica di questi immigrati: la prima incisione è del 1896, mentre la prima
etichetta musicale greco-americana è del 1919; per la fortuna del Rebetiko, ma anche
per la stretta possibilità di sopravvivenza di questo genere, gli Stati Uniti hanno
avuto un ruolo particolarissimo e centrale. La storia del Rebetiko, per un certo
periodo, prosegue più al di fuori della Grecia che all’interno dei confini della patria
ufficiale di questa musica: visto che la situazione politica ha visto il succedersi di due
regimi che rifiutavano i contenuti e i modi del Rebetiko, l’emigrazione è stata una
scelta spesso obbligata, in ogni caso una svolta definitiva per molti musicisti greci.
Passo quindi a considerare la storia della ricezione di questo genere musicale al di
fuori del suo bacino geografico originario, fuori dalla Grecia.
26
libro in inglese ad essere pubblicato in quell’anno34, ma è stato quello che ha avuto
un seguito di pubblico e di tradizione di studi successivi importante. Infatti, la
frequentazione diretta da parte della Holst di alcuni musicisti e la conoscenza e la
passione per la Grecia hanno fatto sì che si creasse in ambito anglofono un asse
teorico di studi piuttosto solido e fiorente: la Holst riprese inizialmente le posizioni
teoriche di Petropoulos (erano gli unici scritti che poteva consultare all’epoca); dalla
sua attività nascerà in seguito il filone inglese legato alla “Society of Rebetology”.
La società, con sede a Londra, organizza annualmente in Grecia (di solito nell’isola
di Idra) alcune giornate di incontro internazionale per lo studio del Rebetiko.
27
Il mondo e il modo di vivere dei rebetes sono estremi: se imitati o inseguiti
goffamente da persone lontane da quel contesto, in tempi di benessere e nei giorni di
vacanza, si crea un effetto parodistico ridicolo, giustamente denunciato da questo
gruppo di studiosi e appassionati che si muove oscillando tra la serietà accademica e
le dichiarazioni comiche e anche un po’ grottesche.
28
conoscenza del Rebetiko e a chiarirsi meglio le idee attraverso l’ascolto delle
incisioni che era riuscita a procurarsi.
E poi accadde che negli anni del regime anche le musiche di Theodorakis, che aveva
osato associare la voce di un rebetis e il suono del bouzouki alle poesie del grande
Ghiannis Ritsos, vennero bandite; nel 1968 era uscito il libro di Petropoulos, subito
censurato, che aveva cominciato di conseguenza a circolare in modo clandestino fra i
collezionisti. La musica dei rebetes che parlava di hashish, che era bandita da anni,
che era anti-autoritaria, la voce di emarginati improvvisamente cominciava a
sembrare ai giovani greci trasgressiva nei confronti del regime rigido; parlava loro di
resistenza, li coinvolgeva e li riguardava. La musica rebetika parlava ai giovani degli
anni ’70 un linguaggio che riconoscevano: ma a questo punto era diventato ormai
difficile trovare in Grecia i personaggi descritti da Petropoulos nei suoi libri.
L’attenzione si era risvegliata in ritardo: alcuni grandi musicisti di Rebetiko
morirono a poca distanza l’uno dall’altro proprio in quegli anni (Papaioannou,
Vamvakaris). Comunque furono incoraggiate esecuzioni fedeli al vecchio stile di
Rebetiko e in Grecia tornarono reperibili nuove edizioni dei dischi con le voci degli
anni ’20 e ’30.
29
dolce”38 ha introdotto in modo diretto la Holst in questo mondo. E lei ha preso
ispirazione per finire di scrivere il suo libro, ha curato il documentario della BBC e
non ha mai smesso di interessarsi di Rebetiko, di ricercarne i diversi aspetti e di
promuoverlo per farlo conoscere il più possibile nel mondo.
38
G. Holst, Road to Rembetika, cit., p. 25.
39
Il titolo dell’album è gustoso: il verbo è al singolare, quindi è il narghilè stesso ad essere attivo nel
fumare. Inoltre letteralmente ο Λούλας (o Loulas) è solo una parte e non tutto il narghilè: si tratta del
piccolo braciere, posizionato sopra una fiammella o sopra pezzi di carbone ardenti, dove viene
posizionato il tabacco aromatico e anche, eventualmente, l’hashish.
30
Dopo la seconda guerra mondiale e nei primi anni ’50 furono molti i musicisti greci
e cantanti di Rebetiko a viaggiare facendo tour negli Stati Uniti, talvolta rimanendoci
oltre il periodo del tour, molto a lungo: fra loro Ioannis Papaioannou, Manolis
Chiotis, Vassilis Tsitsanis, Rosa Eskenazi.
40
E. Dietrich, Das Rebetiko: Eine Studie zur stadtischen Musik Griechenlands, Hamburg Wagner,
Berlino 1987.
41
E. Cohen, Rébètiko, un chant grec, Editions Christian Pirot, 2008.
31
2. UNA CANZONE REBETIKA: MISIRLOU
Premetto che è sempre difficile, quando si fanno ricerche sul Rebetiko, avere
certezza delle fonti e della loro autorevolezza: essendo stato un genere musicale
popolare (anzi, sub-popolare visto che riguardava uno specifico gruppo sociale
urbano emarginato), oltretutto osteggiato e bandito dalla cultura ufficiale, per un
lungo periodo le informazioni disponibili al riguardo sono state solo quelle reperibili
di prima mano parlando con gli stessi musicisti; parole eventualmente trascritte,
registrate, riferite successivamente da qualcuno. I musicisti non risultavano sempre
fonti affidabili sui dettagli e non erano sempre del tutto sinceri, specialmente quando
erano in cerca di un possibile ingaggio lavorativo (vedi il fatto che ufficialmente la
paternità di Misirlou, la cui musica è di probabile origine popolare, anche oggi è
attribuita a due musicisti diversi). Per i rebetes poter dire la verità era un valore
importante, ma a volte i musicisti non erano attendibili perché il consumo di droghe
e più in generale il loro stile di vita finiva per intaccare i loro ricordi o la loro
capacità di raccontarli; e anche la voglia di aderire alla realtà dei fatti, spesso
sgradevoli e dolorosi, talvolta veniva meno. Oppure erano altri a considerarli non
affidabili né raccomandabili, a prescindere dal loro comportamento effettivo:
Posti sotto inediti riflettori che esaltavano il decoro della Patria strettamente
connessi alla creazione degli stati-nazione; percepiti a partire da esigenze di
controllo sociale e di ordine pubblico legate a una propaggine sociale emergente;
colti nel quadro di primitive istanze produttiviste tendenti ad esaltare il lavoro
quale creatore di beni materiali […] i musicanti assunsero nella seconda metà
dell’Ottocento i connotati di vera e propria mina vagante capace di relativizzare e
problematizzare i presupposti culturali su cui la modernità veniva ad edificare le
proprie fondamenta. […] il fenomeno dei musicanti di strada si pose come
scandalo della modernità, come segno di una diversità culturale destinata a
popolare gli spazi della patologia sociale e a confluire in quel calderone
42
V. Capossela, Tefteri: Il libro dei conti in sospeso, Il Saggiatore, Lavis (Tn) 2013, p. 58.
32
traboccante di figure devianti appositamente predisposto dagli apparati di controllo
e legittimato dai saperi e dai poteri coevi. […] «una miscela di lecito e di illecito,
di buono e di pessimo, di compassionevole e di orribile (…). Come pericolo,
minaccia, cominciamento forsanco di azione criminosa, la legge ha l’obbligo di
sorvegliarli, di seguirli, di contenerli (…)» […] Figura poliedrica e indisponente,
ma pure meravigliosa e straordinaria, figura dell’insolito e del sensazionale, il
musicante, in quanto oggetto poliedrico di difficile decodifica, risultò
inevitabilmente ambiguo e ambivalente, capace di attrarre ma pure di respingere.
[…] Abitatore di terre di confine, di spazio di frontiera, fu proprio il musicante a
dare la possibilità a tutta una società di conoscere “l’altro” e di riconoscere se
stesso, di abbozzare un tentativo di discorso sulla normalità, la diversità, l’alterità.
È intorno ad esso e ad altre figure ritenute devianti che venne tratteggiato un
linguaggio della marginalità, fatto di segni, di simboli, di messaggi con i quali i
protagonisti, i “marginali”, le istituzioni, avviarono un rapporto di reciproco
riconoscimento, in un continuum indefinito tra lecito e illecito, legale e illegale,
normale e anormale, morale e immorale.43
Ho voluto riportare questa lunga citazione, includendo anche parte del verbale degli
atti parlamentari della Camera dei Deputati di Roma citato: si riferisce a una
specifica comunità di musicanti di strada originaria della Basilicata. Trovo che Enzo
Alliegro abbia colto con precisione nel suo libro e descritto con chiarezza i
sentimenti che accompagnano la situazione sociale vissuta dai musicanti (simile a
quella dei rebetes) nel contesto civile che li circondava, contesto con il quale la
convivenza era evidentemente difficoltosa: il verbale della Camera dei Deputati ci
lascia intendere che in fondo anche in Italia, se la storia fosse andata in modo poco
diverso da come è andata, avremmo assistito al fenomeno della messa al bando di
uno specifico gruppo sociale, in un certo periodo storico, a causa del proprio modo di
fare musica. Si è andati vicini a bandire, a dichiarare illegale un genere musicale con
i suoi strumenti e i suoi contenuti, nonostante non fossero stati compiuti atti criminali
da parte dei musicisti; proprio come è accaduto in Grecia con i rebetes.
33
musica in modo “artigianale” e non commerciale, quindi al di fuori dei circuiti più
chiaramente e generalmente riconosciuti, vivono abbastanza spesso l’esperienza
sconcertante di essere oggetto di una forma più o meno esplicita e intensa di
avversione. Diventano oggetto di attacchi sul piano personale, di emarginazione
sociale e culturale su base pregiudiziale; la genesi antica di questo pregiudizio mi
sembra venga spiegata con chiarezza da Alliegro.
Soprattutto nel web, mezzo imprescindibile per questa ricerca, insistendo nelle
ricerche si riesce a reperire una buona quantità di informazioni. Navigando fra siti in
diverse lingue creati in diversi paesi e con impostazioni diverse, si trovano fonti di
informazioni molto diverse fra loro: blog specializzati interamente dedicati a
Misirlou44, siti sul Rebetiko che rimandano a cataloghi musicali specifici dove quindi
44
Misirlou è la canzone rebetika che ho scelto di trattare (per le caratteristiche musicali particolari e
per la sua storia piuttosto straordinaria) come oggetto specifico di questa ricerca. Vedi riguardo a
Misirlou in particolare il par. 2.2.
34
le citazioni di date e fonti sono accurate e verificabili. E moltissimi sono i siti, i blog
e le piattaforme online dove trovano spazio scambi di opinioni fra semplici
appassionati di musica rebetika o in generale di musica mediterranea; spesso, ma non
sempre, si riscontra in questo tipo di siti più superficialità nella trattazione dei temi.
L’unico punto su cui tutte le fonti sembrano concordi è nel considerare vero il fatto
che più si amplia la ricerca nell’ambito del Rebetiko, o anche di un singolo brano
musicale come Misirlou, più si scopre un campo da approfondire nel quale è
difficilissimo avere notizie certe.
35
sempre sono in grado di giudicare l’accuratezza delle trascrizioni e delle eventuali
traduzioni in inglese o in greco proposte dai curatori dei blog. Tuttavia mi sembra
importante dare conto dell’esistenza di queste versioni del testo e della musica
distanti nel tempo, nello spazio, a livello sonoro per gli arrangiamenti musicali e nel
senso del testo. E anche riportare tutte le versioni del testo di Misirlou che ho
reperito, nonostante il rischio che contengano imprecisioni per impossibilità di
verifica da parte mia, mi è sembrata una testimonianza importante all’interno di
questa tesi.
Il termine Misirlou (greco: Μισιρλού, turco: Mısırlı, “egiziano”, arabo: �م�ص�ر, Miṣr,
“Egitto”) in turco significa “donna egiziana”, o più specificamente “donna egiziana
di religione musulmana”; in contrapposizione con il nome dato agli egiziani cristiani,
chiamati in greco Αιγυπτιοι (Aigyptioi).
La prima registrazione conosciuta di Misirlou è quella del complesso di rebetes
guidata da Michàlis Patrinòs (ρεµπετική όρχηστρα του Μιχαλιού Πατρινού, rebetiki
36
orchestra tou Michaliou Patrinou); questo brano è stato inciso per la prima volta in
Grecia nel 1927 – ma secondo alcuni la prima versione è stata invece incisa sempre
da Patrinos a New York.
Mentre l’autore della musica, vista la sua probabile origine popolare, rimane
tutt’oggi sconosciuto, è invece abbastanza certo che l’autore del testo della canzone
sia lo stesso Patrinos: probabilmente nella prima edizione Patrinos, che era un greco
ottomano di Izmir-Smirne, usò la variante della pronuncia locale di Smirne appunto,
per cui inizialmente il nome della ragazza del titolo suonava come Mousourlou
(Musurlù). In questa prima registrazione possiamo ascoltare una versione del brano
interpretata come uno Zeimbekiko, quindi eseguita ad un tempo più lento e in una
tonalità differente rispetto alla versioni “orientaleggianti” successive che siamo
abituati ad identificare oggi con Misirlou (in linea di massima interpretata piuttosto
come uno tsiftetèli). Da un certo momento in poi, con l’aumentare della popolarità e
delle esecuzioni di Misirlou, prevale l’uso di adattare la tonalità alle esigenze dei
cantanti e agli strumenti a disposizione. Sul tipo di ritmo originario del brano
musicale non c’è accordo fra i critici; ma l’ipotesi proposta di questo iter che va da
una prima versione, quella di Patrinos, che si può definire “zeimbekiko politikòs”,
alle versioni più veloci in 4/4 tipiche del ritmo di danza tsifteteli, è quella che sembra
la più probabile.
La versione della canzone realizzata da Patrinos arrivò già negli anni 1930 in
America: infatti in quegli anni la casa discografica “Ortophonic records” di Titos
Dimitriades, anche lui greco ottomano nato a Istanbul, si occupò della diffusione
37
americana di questo brano che probabilmente gli era già noto da prima; una seconda
incisione fu realizzata a New York ancora da Michalis Patrinos nel 1931 (quella che
secondo altre fonti è la prima incisione; ma ritengo più attendibile la successione che
ipotizza quest’ultima versione come seconda).
Presto il brano iniziò ad essere eseguito come uno standard “esotico” dalle band che
suonavano musica swing leggera nei locali americani, un tocco orientale inserito dai
musicisti a colorire i loro programmi: questo avvenne soprattutto in seguito alla
stesura della versione inglese del testo curata da Bob Russell, Fred Wise e Milton
Leeds (la prima versione in disco in cui compare il testo inglese è del 1941,
contemporanea alla versione di Roubanis).
Nel 1943 Miriam Kressyn scrisse una versione yiddish del testo di Misirlou, mentre
nel 1944 il musicista libanese Clovis el-Hajj ne eseguì una versione in arabo
intitolata “Amal”, che per ora risulta essere l’unica versione esistente in lingua araba.
Una svolta importante nella fortuna già ampia e crescente di questo brano si ebbe nel
1962 con la versione strumentale per chitarra elettrica realizzata da Dick Dale:
sfidato durante un concerto da un fan (o almeno così racconta l’aneddoto), raccolse
la sfida propostagli di realizzare un intero brano suonato su una sola corda della
chitarra; questa provocazione stimolò in Dale il ricordo dei suoi zii, musicisti
38
libanesi-americani che suonavano l’oud, e della loro tecnica nel suonare Misirlou su
una corda sola, e questo lo portò a realizzare la sua versione. La versione di Dick
Dale è molto accelerata nel ritmo, per ottenere un tempo che si avvicinasse al rock
and roll e nello specifico al surf rock; e, per la prima volta nella storia, venne usato il
tremolo picking sulla chitarra elettrica – una tecnica, fino ad allora utilizzata
esclusivamente dai chitarristi classici: consiste nel pizzicare velocemente e
ripetutamente una corda con il pollice della mano che produce la ritmica sulla
chitarra (generalmente la destra), e ottiene l’effetto definito “tremolo”. Fu questa
versione surf rock che portò Misirlou a raggiungere un più vasto pubblico negli Stati
Uniti.
Nel 1963 una versione ispirata a quella di Dale fu realizzata dai Beach Boys per
l’album Surfin’ USA, che si configurò come la consacrazione di Misirlou a brano
fondamento della cultura pop americana: in seguito a questa furono numerose le
incisioni del brano da parte di band rock e surf. E da allora si sono susseguite
versioni di artisti diversissimi e lontani fra loro, passando da Agent Orange per
arrivare a Connie Francis (1965, con una grande orchestra, cantata con il testo
inglese e un inserto in greco).
Una versione italiana è stata realizzata in forma di singolo nel 1967 con il titolo
Missirlù: era cantata da Gino (Cudsi) e Dorine.
Del 1971 è la versione turca cantata da Zeki Müren e intitolata “Yaralı Gönül”, con
il testo di Suat Sayın, cantante e poeta turco.
Nel 1972 la cantante serba Staniša Stošić ha inciso un brano sulla musica di Misirlou
con un testo che si distacca dalla tradizione, chiamato Lela Vranjanka, che oggi è la
versione del brano più conosciuta in Serbia.
Nel 2006 il suonatore di dobro russo Eugene Nemov ha inciso a Mosca una nuova
versione strumentale di Misirlou.
39
un’egiziana di religione islamica: sono affascinanti la spontaneità e naturalezza con
cui quest’uomo canta il fascino di una donna misteriosa ed evidentemente proibita,
considerando anche che quelli, come abbiamo visto, erano tempi difficilissimi per
l’integrazione fra culture diverse. E c’è da tenere presente che, come già spiegato, il
criterio di divisione fra greci e turchi dopo la Catastrofe era stato proprio quello
dell’appartenenza religiosa. Questa naturalezza di espressione sentimentale è il filo
rosso che tesse la musica e le parole insieme e consente che queste raggiungano le
orecchie di un ascoltatore di oggi, lontano nel tempo e nello spazio, con
immediatezza. D’altra parte la donna musulmana rappresentava, in un momento in
cui in Grecia si affermava prepotentemente la moda occidentale, un fascino più
antico, arcaico e misterioso, di cui si era persa almeno in parte la capacità di leggere
le cifre.
«Nel rebetiko si canta anche la vita zingara. Le zingare sono belle. Non sono
sporche. La vita zingara è affascinante, zingaro è una virtù. Poter viaggiare, non
avere radici, non essere legato a un posto. Il rebetis è legato alla bellezza, non al
45
posto. Alle cose belle. La zingara è bella, non è la sporca ladrona».
Sono ancora parole raccolte da Capossela in una taverna, mentre si ascoltava suonare
la musica di Papaioannou.
45
V. Capossela, Tefteri: Il libro dei conti in sospeso, cit., p. 23
40
Misirlou anche a livello musicale vive un destino tipico delle canzoni rebetike:
partendo dall’Asia Minore, da cui prende sonorità chiaramente identificabili nella
loro provenienza anche per noi occidentali, il brano passa attraverso una fase
musicale più tipicamente greca; viene stemperato l’orientalismo, si affermano ritmi
più lenti (sono quelli dei rebetes che ballano con movenze lente di ubriachi quando si
incontrano nei caffè, che non vogliono essere affrettati dai ritmi esterni), e gli
intervalli vengono fissati in sonorità modali. Sono sonorità che per noi che siamo
abituati all’armonia classica non sono scontate all’ascolto, ma che sono già diverse
dagli oscillanti microtoni tipici dell’intonazione orientale, che al nostro orecchio
suonano indefiniti quando non ci sembrano addirittura stonati.
Poi Misirlou emigra, più o meno forzatamente insieme ai musicisti che la suonano, in
America: nell’incontro con il gusto americano, nell’esigenza commerciale che si fa
più pressante, Misirlou si evolve e cambia le sue caratteristiche. Dopo essere stato
canto appassionato ed esclusivo, espressione delle emozioni di un preciso gruppo
sociale chiuso ed emarginato, l’unico contesto che si permetteva di cantare
esplicitamente la passione per una donna diversa e pericolosa, Misirlou diventa
invece una musica cantabile: va a fare da sottofondo alle serate nei locali frequentati
da giovani americani. Diventa un piccolo inserto tipico dal gusto esotico, un
divertissement che tante band inserivano in repertorio sapendo di incontrare il gusto
del pubblico; uno standard utilizzabile da molti e suscettibile al gusto e alla
sensibilità di chi sceglieva di realizzarlo. La canzone venne proposta in versioni che
si avvicinavano alla sensibilità originale che Misirlou si porta come bagaglio
originario, oppure diventa semplice canzonetta; talvolta ridotta al minimo della sua
scarna struttura musicale, adattabile ai diversi organici e alle diverse esigenze, si
presta anche ad essere semplice gioco e gusto per la varietà sonora.
Misirlou, come altri canti rebetici, perde in parte nel suo viaggio le sue caratteristiche
originali: la forza sovversiva e quasi urticante del Rebetiko delle origini si stempera
man mano, fino a diventare musica mansueta che risponde a esigenze commerciali,
esterne. Eppure quella carica iniziale, nel caso di Misirlou, si può essere affievolita
ma non è mai scomparsa del tutto: un regista provocatorio e anticonformista come
Quentin Tarantino ha avvertito chiaramente il fascino e l’energia dell’antico canto
folkloristico e poi Rebetiko, rimasti a serpeggiare sotterranei nelle versioni
41
americane edulcorate della canzone; e nell’utilizzare la versione di Misirlou di Dick
Dale per la colonna sonora del suo film Pulp Fiction ha dato al brano nuova luce,
interpretandone con precisione il senso.
Nuove versioni della canzone la rimettono in gioco in tutto il mondo e le danno
senso nuovo anche oggi, in modi sempre diversi: si tratta di una musica che non si fa
del tutto ammansire e ammaestrare, che continua a prendere strade nuove; Misirlou
continua il suo cammino.
42
2.3.1 I testi
Studiando le diverse traduzioni e versioni che sono state fatte nel corso del tempo di
Misirlou si può immaginare che certe versioni ne abbiano influenzate altre: ad
esempio la versione italiana risente sicuramente delle due versioni francesi e di
quella inglese; infatti riprende, senza approfondirle altrettanto, certe immagini legate
al paesaggio del deserto presenti nei testi francesi e inglese. Ma è impossibile
ricostruire esattamente i passaggi e gli scambi avvenuti tra le varie versioni della
canzone, così come è impossibile ricostruire esattamente i passaggi tra le diverse
versioni musicali, come una ha influenzato l’altra; Misirlou rimane oggi un canto in
cui ognuno può riconoscersi e identificarsi, una musica da fare propria nei contenuti,
musicalmente e stilisticamente.
Τα δυο σου χείλη στάζουνε µέλι, αχ. le tue labbra stillano miele, ah
Αχ, Μισιρλού, µαγική, ξωτική οµορφιά. Ah, Misirlou, magica, esotica bellezza.
Τρέλα θα µου 'ρθει, δεν υποφέρω πια. Mi farai impazzire, non resisto più
Αχ, θα σε κλέψω µέσ' απ' την Αραπιά. Ah, ti rapirò dall’Arabia
Μαυροµάτα Μισιρλού µου τρελή, mia pazza Misirlou dagli occhi neri,
Η ζωή µου αλλάζει µ' ένα φιλί. la mia vita cambia con un bacio.
Αχ, για χαµπίµπι ενα φιλάκι, άχ Ah, habibi, ah un bacio
Απ' το γλυκό σου το στοµατάκι, αχ. dalla tua bocca dolce, ah.
Traslitterazione
Misirloú mou, i glikià sou i matià
Flòga mou ‘chei anàpsei mes stin kardià.
Ach, ya chabìbi, ach ya le-lèli, ach,
Ta dio sou cheìli stàzoune mèli, ach.
Ach, Misirloù, magikì, ksotikì omorfià.
Trela tha mou ‘rthei den ipofèro pia.
43
Ach, tha se klèpso mes’ap’tin Arapià.
Mavromàta Misirloù mou trelì,
I zoì mou allàzei m’ena filì.
Ach, ya chabìbi ena filàki, ach
Ap’to glykò sou to stomatàki, ah.
Μουσουρλού µου η γλυκιά σου η µατιά Mousurlou mia, il tuo sguardo dolce
µ’ άναψε µικράκι µου φωτιά mi ha acceso, piccina mia, un fuoco
άιντε, για χαµπίµπι, άιντε γιαλελέλι, ωχ dai habibi, dai ghialeleli oh,
άιντε, να σε κλέψω µέσα από την dai ti rapirò dalla terra berbera
Μπαρµπαριά
44
άντε αν δε σε πάρω πω, πω, θα dai, se non ti prendo oh, oh impazzirò
τρελαθώ Oh, Mousourlou
Ωχ, Μουσουρλού
Ohhhh Misirlu
de la Oriente la flor eres tú.
Tu mirar es destello de inspiración
que deja de usado mi corazón.
Cuánto dolor
sí es que ingrata tú niegas mi amor.
Quiero nunca vengarme de tu traición
aunque viva en el mundo sin corazón.
45
Me amurcates propio con una flor
y me forsates a bivir con dolor.
Ah Misirlou
Ntiya li hendi hamarti li kalbi
Ntiya li houbi ntiiya nachatini
Ah Misirlou
Ntiya li hendi hamarti li kalbi
Ntiya li houbi ntiiya nachatini
Ah Misirlou
46
Turco (versione di Zeki Müren, 1971)
Yaralı bir gönülden başka
Ne bıraktın bende hatıra
Günah değil mi yazık değil mi bana
Gel yeter artık sar beni kollarına
Ah bu acı bu keder ne zaman biter
Ah bu acı bu keder ne zaman biter
Bırak bu nazı bırak bu inadı
Senin de gönlün daha dünden razı
Gidiyorum bahar gelmeden
Usanmam seni özlemekten
Hazinelerden daha değerlisin
Inan sevgilim benim gözümde sen
Ah bu acı bu keder ne zaman biter
Bırak bu nazı bırak bu inadı
Senin de gönlün daha dünden razı
Yaralı bir gönülden başka
Ne bıraktın bende hatıra
Günah değil mi yazık değil mi bana
Gel yeter artık sar beni kollarına
Ah bu acı bu keder ne zaman biter
Bırak bu nazı bırak bu inadı
Senin de gönlün daha dünden razı
47
Πότε τελειώνει αυτός ο πόνος, αχ αυτή Quando finisce questo dolore, ah
η πίκρα, questa amarezza
πότε τελειώνει αυτός ο πόνος, αχ αυτή quando finisce questo dolore, ah
η πίκρα quest’amarezza
άσε αυτό το νάζι, άσε το γινάτι lascia questo capriccio, lascia questo
κι έτοιµη είναι από χτες η δικιά σου dispetto
καρδιά. e il tuo stesso cuore che sia pronto da
ieri.
48
κι έτοιµη είναι από χτες η δικιά σου καρδιά.
49
Misirlou (traduzione in inglese e in italiano del testo Yiddish)
Far off in the desert, Lontano nel deserto,
Bronzed by the hot sun abbronzato dal sole caldo,
I once knew a girl. una volta ho conosciuto una ragazza.
Her name is Miserlou; Il suo nome è Miserlou;
Everyone there knows her well. Tutti lì la conoscono bene.
I will never forget that beautiful Non dimenticherò mai quella
princess. principessa bellissima.
50
My heart is ailing, Il mio cuore è sofferente,
I see you in my dreams, ti vedo nei miei sogni,
Dance for me, oh lovely one, danza per me, donna adorabile,
Spin round and round! Gira veloce e gira ancora!
Desert princess, I can't forget you, Principessa del deserto, non posso
Come heal my longing, dimenticarti
Only you can heal me. vieni a curare la mia nostalgia,
My eastern bloom, Miserlou. solo tu puoi guarirmi.
Mio fiore orientale, Miserlou.
51
Misirlou (francese cantato da D. Moreno, 1951)
L’ombre peu à peu s’étend sur le L’ombra a poco a poco si distende
sable, sulla sabbia,
Et les caravanes prient à genoux. E le carovane pregano in ginocchio.
Une première étoile au ciel Una prima stella nel cielo insondabile,
insondable, evoca in me all’improvviso il tuo
Evoque en moi soudain ton amour si amore così dolce.
doux. Ah, Misirlou! Regina delle regine,
Ah, Misirlou! Reine des reines, signora del mio cuore
maîtresse de mon cœur,
C’est toi que j’aime, c’est toi mon seul Sei tu quella che amo, sei tu la mia
bonheur. Ah, Misirlou! sola felicità. Ah, Misirlou!
Le désert s’endore sous la lune calme, Il deserto si copre d’oro sotto la luna
La piste d'argent conduit au bonheur. calma,
Bientôt apparaitront les altières il sentiero d’argento conduce alla
palmes, felicità.
Où vont faire leur nid nos deux Presto appariranno le palme antiche,
tendres cœurs. dove faranno il nido i nostri due cuori
innamorati.
Ah, Misirlou! Reine des reines, Ah, Misirlou! Regina delle regine,
maitresse de mon cœur, signora del mio cuore
C’est toi que j’aime, c’est toi mon seul Sei tu quella che amo, sei tu la mia
bonheur. Ah, Misirlou! sola felicità. Ah, Misirlou!
52
Misirlou testo francese (cantato da D.Moreno, traduzione dell’originale greco)
53
Misirlou (testo inglese di Russell, Wise and Leeds, 1941)
Desert shadows creep across purple Le ombre del deserto strisciano sulle
sands sabbie viola
Natives kneel in prayer by their i nativi si inginocchiano a pregare
caravans vicino ai loro carri
There, silhouetted under an eastern lì, delineata sotto una stella orientale
star vedo il mio fiore di Shalimar da lungo
I see my long lost blossom of Shalimar tempo perduto
You, Misirlou, are the moon and the Tu, Misirlou, sei la luna e il sole, tu
sun, fairest one bellezza
Old temple bells are calling across the Antiche campane dal tempio chiamano
sand attraverso la sabbia
We’ll find our Kismet, answering troveremo la nostra sorte rispondendo
love’s command al comando dell’amore
You, Misirlou, are a dream of delight Tu, Misirlou, sei un sogno di delizia
in the night nella notte
54
Pusto, pusto, pusto mi je sve,
Nema, nema moje Jelene.
Dodji, Dodji Lelo Jelena,
Ti si moju mladost odnela.
55
Ποιος ξέρει που είναι Chi sa chi è
Πιο όµορφη από όλες η Γιέλενα µου la più bella fra tutte la mia Ghielena
Θα έδινα τα πάντα να µάθω la farò pagare per sempre
Ποιος έκλεψε την Λέλα µου. a chi ha rapito la mia Lela.
Σηµειώσεις Note
1* Βράνιανκα = από το Βράνιε (πόλη 1* Vranianka = di Vranje (città nel
στην νότια Σερβία) sud della Serbia)
2* Σόφκα = ηρωίδα της νουβέλας 2*Sofka=eroina del romanzo Necista
"Necista Krv (Μη καθαρό αίµα)" του Krv (“Sangue impuro”) di Borislav
Borislav Stankovic Stankovic
3*Κόστανα =ηρωίδα της νουβέλας 3*Kostana=eroina del romanzo
"Kostana" επίσης του Borislav Kostana dello stesso Borislav
Stankovic Stankovic
56
Missirlù (versione in italiano cantata da Gino e Dorine 1967)
57
2.4 Versioni musicali
Il makam da cui deriva il dromo su cui è costruita Misirlou è il makam Zirgiouleli
Chitzaz, di provenienza dall’Asia Minore.
Questa è la forma ridotta del dromo Chitzaz:
La forma estesa del dromo presenta altri comportamenti, cioè serie di dromi: fra
questi il Zirgiouleli Chitzaz.
Il dromo, come già spiegato, aveva un’intonazione oscillante, variabile, non precisa
da un punto di vista armonico: quindi le prime versioni di questa canzone erano
molto diverse fra loro anche nella progressione musicale. Tuttavia, nonostante le
lievi oscillazioni di intonazione, la progressione (come si può vedere nell’immagine
che riproduce la progressione del dromo Chitzaz) è fissa: dà il carattere e il colore,
trasmette l’umore tipico creato dal makam; quindi la sonorità di Misirlou rimane,
nonostante le variazioni, la stessa, riconoscibilissima nelle diverse versioni del brano.
È impossibile in questa sede fare un’analisi comparata di più versioni musicali che
richiederebbe una trattazione molto ampia: mi limito a notare che la versione in
assoluto più nota è una versione in cui la voce, e quindi il testo, scompare; si tratta
della versione strumentale di Dick Dale del 1962.
La chitarra elettrica consente giochi sonori impossibili da realizzare con gli strumenti
acustici, come la pennata iniziale ottenuta facendo scorrere il dito sulla corda, cifra
identificativa che rende inconfondibile questa versione di Misirlou: per i chitarristi
era un virtuosismo suonare su una corda sola; la tecnica del tremolo picking, come
spiegato, è una novità mai sperimentata prima sulla chitarra elettrica quando Dale
decide di introdurla. La voce compare solo con alcune esclamazioni, che sembrano
incitare e incalzare il suono della chitarra: anche questa scelta è un’invenzione
introdotta in questa versione particolare, ed è estremamente efficace per tradurre il
senso di passione e di urgenza di questo brano, in questo caso in cui vengono a
mancare le parole.
58
Nell’ambito della musica surf rock la passione non è più quella amorosa e tormentata
dei rebetes, ma viene tradotta in euforia ritmica. Nonostante lo spostamento di senso,
trovo che l’eccitazione e la fantasia languida scatenata dalla visione della donna
diversa siano rese da questi suoni che incitano, fanno venire voglia di saltare e
ballare; scompare il senso di malinconia e di passione sofferta, ma forse quello si
riaffaccia quando la canzone finisce e rimane un improvviso silenzio: un silenzio
simile a quello improvviso che si crea quando, dopo ore di concerto, senza preavviso
il rebetis si alza, chiude il bouzouki nella custodia, e senza sentire ragioni interrompe
il concerto fino alla prossima serata.
59
nota in tutto il mondo, conosciuta da persone di diversi gradi sociali e amata
indifferentemente, riconoscibilissima; è una canzone che è diventata un simbolo e
non rischia più di essere dimenticata. Sicuramente l’approdo al grande schermo ha
fatto la differenza, costituendosi come momento rampa di lancio verso un successo
duraturo e continuo per la canzone rebetika di cui abbiamo seguito il viaggio dalle
origini, e soprattutto verso lo spazio mondiale senza più restrizioni né rivendicazioni;
Misirlou non ha più bisogno di definire la propria identità o di guadagnarsi altro
spazio e difendere la propria dignità. Oggi è una musica che in ogni caso ha il suo
statuto certo, svincolato da ogni condizionamento.
2.5.3 La pubblicità
Proprio quest’anno Misirlou è stata usata, per la prima volta per quello che ho potuto
riscontrare, come jingle per una pubblicità: si tratta della pubblicità della birra greca
Fix che, dopo essere stata per anni fuori commercio, è stata rimessa in vendita e
rilanciata. L’idea è quella di suggerire al possibile acquirente un gusto tipico greco,
ma allo stesso tempo universale; capace, come la canzone, di conquistare i palati
mondiali46. La birra greca Fix ha una storia tutta particolare visto che è la prima birra
nata nel neonato stato greco grazie ad un bavarese, nel 1864; e fino al 1962, per via
di un provvedimento del re greco Ottone, la fabbrica ha mantenuto il monopolio
nazionale della birra. Dal 1962 ad oggi sono entrate in circolazione molte birre
46
Vorrei ringraziare qui Maurizio De Rosa, traduttore letterario che vive da molti anni ad Atene ed è
un esperto e curioso insaziabile della Grecia in tutti i suoi aspetti, per avermi fatto conoscere per
primo la storia della birra Fix, e per avermi fatto notare questa pubblicità e riflettere sul suo
significato. Per altro è stato proprio in una conversazione con Maurizio De Rosa, a cui va tutta la mia
stima e la mia gratitudine, che abbiamo iniziato a scoprire insieme le particolarità di Misirlou, e si è
così delineato definitivamente l’argomento specifico di questa tesi.
60
straniere, oltre a nuovi marchi di birre locali, e la Fix ha vissuto fasi di fortuna
alterne.
Più volte è stato tentato un nuovo lancio di questo marchio, ma con scarso successo:
risale al 2009 l’ultimo passaggio di proprietà, che ha visto il marchio Fix essere
acquistato da un gruppo di imprenditori, e al 2010 risale la rimessa in commercio. La
scelta di usare Misirlou per la pubblicità di questa birra rientra all’interno di
un’oculata e azzeccata campagna pubblicitaria che ha finalmente riportato in auge
questa birra storica.
61
3. Il REBETIKO IN ITALIA
62
Πετρόπουλου - Canzoni Rebetiche: Ricerca folklorica di Ilìas Petròpoulos che
nell’affrontare la traduzione di parti del testo Canzoni rebetike ha descritto con
chiarezza il contesto in cui si muove l’autore Petropoulos e reso accessibile e fruibile
in italiano un discorso finora piuttosto ignorato anche dalla ricerca accademica.
47
Riferisco la testimonianza privata e preziosa di Cinzia Merletti che mi ha regalato un’immagine
divertente e bella raccontandomi come per lei riuscire a cantare i quarti di tono è un esercizio
utilissimo per allenare l’orecchio a percepire suoni piccoli, ma «non immagini che sforzo e che
concentrazione per noi comuni mortali (cioè con orecchio tonale) eseguire i quarti di tono…ti
63
difficoltà di emissione che questi intervalli comportano rispetto alla tonalità
occidentale è descritta con più chiarezza da chi la conosce direttamente. Ogni
musicista italiano non può rinunciare con immediatezza all’armonia classica: sapere
come fare a modulare il proprio orecchio passando dall’impianto tonale, con cui
siamo in confidenza e nel quale agevolmente si esprime e si muove ogni strumentista
e cantante occidentale, al sistema modale che prevede un altro modo di ragionare,
calcolare i passaggi, sentire nelle orecchie e nelle dita i suoni per poterli rendere
fluidi e musicali è fondamentale a mio avviso per poterne parlare.
In questo senso, questa ricerca mi ha confermata nell’idea che mi ero già fatta: ho
trovato in linea generale strumenti più completi e utili (ma soprattutto più accessibili
e comprensibili) quei libri che, trattando il Rebetiko da un punto di vista strettamente
musicale oppure in modo più generale e ampio, esprimono anche l’esperienza diretta
di musicista dell’autore.
64
può sostenere solo chi è in malafede a suo dire49); e nonostante successivamente sia
diventato divertimento per borghesi e classi ricche. Questo imborghesimento del
Rebetiko, avvenuto negli anni ’50, ha decretato, a conferma per l’autore dell’origine
popolare del genere musicale, la degenerazione e lo spegnimento definitivo di questo
genere.
L’interesse principale di Sangiglio è quello di dare un primo quadro informativo al
lettore su un genere musicale unico nella storia, ma il suo punto di vista è centrato
sulla ricostruzione degli spostamenti delle popolazioni microasiatiche, dei turchi e
dei greci; quindi l’attenzione è puntata sull’appartenenza etnica di queste musiche. È
una lettura molto interessante per comprendere meglio le origini del Rebetiko, ma a
livello di analisi letterario-musicale è limitata.
Gaia Zaccagni inserisce nel suo libro un capitolo in cui parla anche di Rebetiko
nell’ambito di un discorso sul rapporto fra musica e poesia nella Grecia moderna, in
relazione con la concezione tutta particolare di questo legame esistente fra musica e
poesia che era stato già oggetto di teorizzazione nella Grecia antica: individua in
questo elemento una continuità e una specificità greche, che argomenta attraverso
esempi concreti. Nel capitolo Riferimenti letterari delle consuetudini musicali greche
tra fine XVIII e inizi XX secolo50 approfondisce il parallelo fra musica folklorica e
musica rebetika e sottolinea soprattutto il legame con la poesia, traduce parti di
racconti e dà conto di informazioni e passi interessanti per comprendere la specificità
di rapporto fra testo e musica nel periodo storico in cui si sviluppa il Rebetiko. Si
tratta di un approccio letterario, visto che questo è il punto di vista privilegiato di
interesse dell’autrice, che però comprende il punto di vista musicale (Gaia Zaccagni
è musicista lei stessa) cogliendo, anche in una trattazione parziale, aspetti importanti.
Lo stesso discorso vale, in modo ancora più approfondito, per l’intervento Poesia in
musica o musica per poesia: un indissolubile connubio nell’animo greco; Il caso
49
«[…] il “suono” orientale della musica greca micrasiatica “importata” in Grecia continentale non ha
e non può avere di turco che quel poco che i Turchi hanno aggiunto di proprio alla secolare tradizione
orientale della regione che hanno trovato occupandola. Pertanto, la ricchezza di tale “suono” orientale
venuto ad aggiungersi, anzi a compenetrare la natura greca e costituire una originale creazione,
potrebbe, fino ad un certo punto, considerarsi acquisito, e grecizzato, quanto l’elemento turco è
riuscito sua sponte ad inventare musicalmente e tecnicamente». In C. Sangiglio, La canzone rebètika.
Origini e storia, cit., p. 11.
50
G. Zaccagni, Luoghi, parole e ritmi della Grecia moderna, Nuova Cultura, Roma 2007.
65
emblematico di Επιτάφιος51 nel quale, fin dal titolo, viene esplicitata la direzione in
cui il testo va a svilupparsi; rispetto allo scritto precedente, questo intervento è messo
a fuoco in modo ancora più accurato e affronta nello specifico il caso, giustamente
descritto come emblematico, di “Epitafios”, testo del poeta Ghiannis Ritsos musicato
da Mikis Theodorakis. Questi due brevi testi di Gaia Zaccagni indicano una linea di
studi e di ricerca, che si occupa nello specifico della rappresentazione della musica in
letteratura e della resa musicale della letteratura stessa, che potrebbe essere ampliato
e approfondito dalla stessa autrice.
Cinzia Merletti è una studiosa e appassionata di musica orientale, lei stessa musicista
e instancabile ricercatrice di versioni diverse di brani di origini folkloristiche; ha un
approccio molto comunicativo, essendo abituata a tenere conferenze ed avendo
l’abitudine all’insegnamento della musica anche ai bambini. Il suo è un approccio
che rende il suo testo accessibile e chiaro, senza perdere la profondità della ricerca.
Le pubblicazioni della Merletti, come il testo di Siciliano, sono dichiaratamente
strumenti tecnici musicali; però mentre il testo di Siciliano potrebbe essere un
manuale tecnico per specialisti, a Cinzia Merletti interessa molto di più l’aspetto
della diffusione: si rivolge ad un pubblico più ampio, non specializzato.
All’interno del suo libro Suggestioni mediterranee ampio spazio è dedicato
all’incontro con diversi musicisti e quindi alle interviste che l’autrice ha fatto loro:
interessante per questa ricerca è l’incontro con Vassilis Polizois (membro della
Commissione Internazionale dell’UNESCO per lo studio delle danze, delle musiche,
dei canti e degli strumenti tradizionali, autore di diversi saggi e fondatore e
presidente della “Accademia ellenica per le culture e le arti nel Mediterraneo”), e la
questione affrontata con lui della musica greca moderna, delle sue forme e la sua
diffusione. Polizois ricorda come, tra l’inizio del 1900 e la seconda guerra mondiale,
ci sia stata una sorta di invasione di musica europea e in generale straniera in Grecia.
Infatti, racconta, a partire circa dal 1900 la Grecia iniziò a identificare un certo
proprio passato con la dominazione turca, e questa eredità venne rifiutata,
abbandonando con essa oltre ai costumi, a certi usi e comportamenti, anche la musica
tradizionale, in una generica opposizione e negazione di questo lungo periodo di
51
In R. Lavagnini (a cura di), Poeti greci del Novecento – Atti delle Giornate di Studio in onore di
Vincenzo Rotolo, Palermo, 9-10 Novembre 2005, Edizioni Lussografica, Caltanissetta 2012.
66
sottomissione. Questo portò a cambiamenti radicali nell’arco di pochi anni: quando
giunse la Catastrofe e i profughi dall’Asia Minore, per il contesto sociale dell’epoca,
che vedeva l’imitazione dell’Occidente come un valore positivo e di innalzamento
culturale, non fu possibile accettare il controsenso del recupero di un patrimonio
musicale legato al periodo della dominazione, per di più da parte dei nuovi disperati
di Grecia; anche i matrimoni con i greci di Smirne venivano scoraggiati, questi
venivano considerati dei poveri costretti a vivere in «promiscuità coi delinquenti»52.
Secondo Polizois dunque il Rebetiko di questi anni è la vera musica popolare greca,
così come il bouzouki è il vero strumento popolare greco, nonostante provenga
dall’Asia Minore. Polizois sottolinea, ed è in linea in questo con la traccia percorsa
dall’autrice nel corso di tutto il suo libro (pur con delle giuste distinzioni), soprattutto
la continuità dei ritmi, delle sonorità e degli strumenti con la tradizione del bacino
Mediorientale.
67
(della teoria musicale in questo caso) del paese d’arrivo. Per i musicisti italiani e
occidentali in genere che si interessano di musica greca e orientale è molto chiaro il
fatto che se si vuole fare musica orientale bisogna accantonare il proprio sistema
musicale di riferimento: operazione assai difficile, perché noi occidentali siamo
imbevuti di armonia classica e tonale; è quella che domina i nostri ascolti di tutta la
vita. Dunque si configura come una sfida che rende la ricerca ancor più interessante.
Il libro di Siciliano è frutto di una ricerca e una pratica musicale che vanno avanti da
molti anni, nonché della pratica di insegnamento della musica orientale a musicisti
italiani o comunque residenti in Italia. Questo libro è il tentativo di esplicitare in
modo comprensibile quello che l’orecchio mette insieme intuitivamente e trasferisce
alle dita nel suonare, ma che, a livello di discussione verbale, alimenta ore e ore di
disquisizioni e dibattiti fra musicisti. È un testo che si propone anche come un
possibile manuale tecnico specialistico per strumentisti: spiega in modo chiaro,
fornendo esempi musicali trascritti e da ascoltare, il concetto di dromo; ne fa capire
la problematicità che ci consente di studiarlo solo a posteriori, sulla base dell’analisi
di molte esecuzioni talvolta contraddittorie fra loro (piccole variazioni melodiche e
oscillazioni tonali non sempre riconducibili a un sistema univoco, che non sempre
possono essere fissate nella scrittura musicale occidentale). Siciliano riesce a
spiegare il tipo di elasticità mentale richiesta al musicista occidentale per provare a
cimentarsi con questo tipo di musica.
Auspicando, come sembra si stia verificando, una crescente diffusione della musica
greca, del Rebetiko di stile pireotiko nello specifico, questo libro si propone come un
utilissimo viatico per il musicista italiano che voglia affrontare l’esecuzione di brani
appartenenti a questo genere musicale. Carmelo Siciliano, oltre ad aver scritto questo
libro, cura diversi siti che si occupano di conoscenza e diffusione della musica greca
in Italia, tiene corsi di bouzouki in Sicilia e a Forlì, tiene workshop e ha un gruppo, i
“Cafè aman”, costituito da musicisti greci e italiani con cui suona musica greca,
rebetika e dell’Asia Minore.
3.2 Fortuna della musica rebetika in Italia: Evì Evàn, Mesogea, Cafè
Aman
In Italia il Rebetiko fa fatica ad affermarsi: a detta di alcuni musicisti greci, come
Dimitris Kotsiouros, fondatore degli Evì Evàn, in parte questo avviene per
68
responsabilità degli stessi greci che avallano la diffusione di un’immagine stereotipa;
questa viene proposta e portata avanti a livello istituzionale, e i greci generalmente
rinunciano a rivendicare una maggiore conoscenza all’estero di quella che è la loro
identità più ricca e autentica.
I gruppi che fanno musica rebetika e greca in generale in Italia sono pochi, e tutti
nascono dall’incontro fra musicisti greci e musicisti italiani: dei tre gruppi di cui ho
avuto l’occasione di fare una conoscenza più approfondita solo gli Evì Evàn sono
specializzati in modo particolare in musica rebetika, gli altri due gruppi nutrono forte
interesse anche per la musica tradizionale greca di origine Mediorientale.
I concerti degli Evì Evàn a cui ho assistito radunano buona parte della comunità
italo-greca di Roma: sono eventi danzanti e molto coinvolgenti, soprattutto quando la
band è al completo; scatenano la nostalgia per la Grecia e la colmano allo stesso
tempo. Gli Evì Evàn affrontano diversi momenti e stili del Rebetiko proponendo le
loro versioni di brani delle diverse fasi, interpretati in modo più o meno filologico, e
in ogni caso nutriti di passione e conoscenza approfondita di questo genere. Il
cantante, Ghiorgos Strimpakos, si adatta a interpretare con la sua voce graffiante i
diversi stili.
In alcune occasioni, quando si trovano a suonare in formazione ridotta, suonano
seduti attorno a un tavolo con una bottiglia al centro, e non rinunciano a utilizzare
come strumenti a percussione ritmica i cucchiai, la saliera, il komboloi, e tutto quello
che serve per ricreare il più possibile lo spirito vicino a quello di una tipica taverna
greca. Dimitris è sempre pronto a raccontare con voce pacata a chi lo vuole ascoltare
la vita aspra dei rebetes: è arrabbiato con la sua terra d’origine per il razzismo
atavico che ha dimostrato nei confronti di questi musicisti e ama le ribellioni e la
libertà che essi esprimevano, è sempre pronto a mettere in comune le sue
69
conoscenze; Ghiorgos racconta le origini delle canzoni; gli altri, almeno per il
momento, si limitano a suonare e a fare i cori tutti insieme quando richiesti.
La peculiarità degli Evì Evàn è che scrivono anche pezzi inediti in stile Rebetiko:
sono un gruppo molto affiatato, dei veri nuovi rebetes.
3.2.2 Mesogea
Il gruppo Mesogea nasce invece per iniziativa della cantante ateniese Filiò Sotiraki:
si tratta di un gruppo che ha affrontato e affronta musica greca ma anche turca,
albanese, mediterranea delle isole. La cantante mette insieme e avvicina fra loro
musicisti che hanno un gusto spiccato per la musica tradizionale e ricerca suoni,
strumenti e modalità di suonare e cantare vicini alla tradizione di diversi paesi.
Essendo di lontane origini mediorientali lei stessa, Filiò è ovviamente molto aperta a
riconoscere le influenze turche e orientali in genere nella musica greca, e a indagarne
le origini e i legami con altre culture delle stesse aree, mantenendo sempre il suo stile
vocale chiaramente riconoscibile: canta con voce pulita e non rinuncia a
improvvisazioni e melismi che prendono molto dalla tradizione turca di Smirne e
Istanbul. È curiosa degli strumenti della tradizione (ama il sandouri e lavora
faticosamente da anni per procurarsene uno). Si circonda di ottimi musicisti53, senza
fare distinzioni di provenienze – molti sono italiani per il semplice fatto che la
Sotiraki vive a Roma da molti anni – con i quali approfondire un percorso musicale
che contiene in sé molti itinerari possibili.
70
intransigenza filologica, di solito legata a una grandissima passione, a una vasta e
approfondita conoscenza e al rigore con cui studiano la propria materia: con lui mi
sono trovata a discutere dell’appartenenza di Misirlou al genere Rebetiko. Prima di
definire un brano come appartenente al Rebetiko, con Siciliano bisogna studiarlo con
cura e la canzone deve superare tutti i test che attengono al genere musicale in
questione: innanzi tutto reputa fondamentali gli strumenti e la giusta impostazione,
l’approccio al modo di suonarli.
Questo approccio accurato del fondatore del gruppo fa sì che l’attività dei Cafè-
Aman sia estremamente interessante perché ci consente di ascoltare suoni vicini a
quelli della tradizione originale e ci consente di vedere e ascoltare strumenti che di
norma molto difficilmente si trovano in Italia: Siciliano si reca regolarmente in
Grecia dove studia con grandi maestri. Ha approfondito la sua specializzazione al
punto da poter scrivere, come abbiamo visto, un manuale dettagliato, preciso e
comprensibile per noi italiani su un tema difficile come quello dei dromi; tema che
era stato lasciato scoperto dalla musicologia italiana per la difficoltà di affrontarlo e
non solo per il tradizionale disinteresse dovuto allo storico eurocentrismo musicale.
Carmelo Siciliano dà da anni lezioni di bouzouki e baglamas e scrive, aggiornandoli
continuamente, diversi siti e blog di grandissimo interesse per chi si occupa di
musica e cultura greca, contribuendo attivamente e continuamente all’allargamento
della conoscenza italiana di questa musica: i concerti del suo gruppo si svolgono
molto spesso nell’ambito di conferenze, o in ogni caso sono momenti conoscitivi e di
diffusione di queste musiche lontane.
71
Vinicio Capossela ha presentato in Italia nel 2013 il suo disco Rebetiko gymnastas:
questo fa parte di una grossa operazione culturale affrontata da Capossela che si era
“esercitato”, come un ginnasta appunto, in alcuni dischi precedenti introducendo
sonorità riprese dal genere rebetiko; sonorità che sono poi confluite in modo più
completo e dichiarato in questo disco.
Oltre al disco, Capossela ha condotto un ciclo di trasmissioni radiofoniche
sull’emittente nazionale Radio 2 (novembre 2012); ha scritto un libro, finito di
stampare nel maggio 2013 per le edizioni Il Saggiatore, dal titolo Tefteri; e infine ha
realizzato un documentario, non ancora reso pubblico, insieme al regista Andrea
Segre. Il documentario raccoglie le immagini girate in due settimane ad Atene,
Salonicco e Creta per raccontare le impressioni di questo viaggio nella Grecia della
crisi.
Il primo incontro di Capossela con la Grecia e con la musica dei rebetes è stato nel
1998, e da allora il musicista ha messo insieme tutte le impressioni a cui ora sta
dando forma e che sta rendendo pubbliche.
Il cantante ci tiene a sottolineare che la Grecia non è solo quella della crisi di cui si
sente parlare oggi, e dalle testimonianze che ha raccolto emergono alcuni aspetti
interessanti: la crisi non è esattamente come ce la raccontano, in parte è provocata o
avallata da interessi economici estranei alla Grecia; inoltre la tolleranza mostrata
dalla Grecia nei confronti di altri paesi che le sono stati debitori (come spiega Udo
72
Gümpel, giornalista tedesco) al momento non sembra venir ripagata con la stessa
moneta.
E infine il fare musica in un certo modo, le serate passate in taverna ad ascoltare
suoni che ridanno linfa alle proprie radici originarie, questa musica che si oppone ai
circuiti commerciali richiamando altri momenti di crisi e parlando di povertà e
soprattutto di resistenza è uno dei possibili antidoti alla crisi, secondo Capossela. I
suoi interlocutori sottolineano come la Grecia non sia che il primo paese, il pilota
d’Europa in questa fase storica, sul quale certi meccanismi commerciali di potere
delle banche vengono testati.
73
sembrano un progetto e uno stile abbracciati con grande passione, ma allo stesso
tempo con qualche timore o remora.
74
considerato tempio canonico della musica a Roma; ma colpisce la reazione rabbiosa
espressa direttamente al cantante da alcuni.
Capossela sottolinea ancora, nel presentare il disco, che “gymnastika” si lega alla
parola greca gymnos che significa “nudo”: dunque questo tipo di musica mette a
nudo, richiede una sincerità e un’aderenza a sé stessi molto forte, indipendentemente
da quali siano state o quali siano le nostre azioni. Una musica che porta in primo
piano il cuore, che comunica direttamente attraverso le emozioni, che va respirata e
vissuta con dolore: si tratta di musica da prendere in modo eucaristico, di «un
lamento che si canta in coro ma si balla da soli, musica ricamata e stanca per quegli
uomini che stanno appesi alla vita, sporti su un tavolo prendendo aria,
boccheggiando, e niente li distoglie; sospirano come iguana sulla riva con gli occhi
semichiusi e un pettine in tasca, si fanno passare l’aria tra i denti, soffiano alle
ragazze, sembrano chiamare qualcuno e non lo fanno. Restano: niente altro che
questo, restano; e fumano, come le banchine del porto di sera. Si passano l’uno con
l’altro i loro confetti di cassis, nei labirinti del porto fumano: il tabacco gli brucia il
tempo e li consuma; così mandano in cenere i loro cuori piano piano, σιγά σιγά»54.
54
Dalla trasmissione a cura di Vinicio Capossela, Rebetika ginnastica, Radio Rai 2, 12 novembre
2012.
75
Il brano Misirlou Capossela ha scelto di non cantarlo in prima persona: una scelta
particolare per un cantante che in questo brano non si cimenta, ma si tira indietro e
dà spazio a un’altra voce. Dunque il canto di Misirlou è affidato, in una versione
abbastanza tradizionale (anche se certi accenti, come l’attacco ritmico iniziale del
brano, richiamano alla mente la famosissima versione di Dick Dale) alla voce di
Kaiti Ntali che canta mentre Capossela, come è scritto nel libretto in corrispondenza
di questa canzone, fa ginnastica respiratoria.
76
NOTA CONCLUSIVA
55 Vedi solo nel corso dell’anno 2013 la ristampa del libro di Sangiglio e la pubblicazione del libro di
Carmelo Siciliano sul Rebetiko (capitolo 3.1); il libro Tefteri di Capossela è edito anch’esso
quest’anno. Inoltre è del 2013 la traduzione in italiano, ultimata ma non ancora edita, del testo di Gail
Holst Road to Rembetika; e segnalo il libro di Giuseppe Ciulla Un’estate in Grecia, edito da
Chiarelettere nel giugno 2013, un bellissimo contributo alla conoscenza della situazione greca attuale.
Infine, sono a conoscenza dei progetti avviati per future pubblicazioni da parte di Gaia Zaccagni e di
Maurizio De Rosa che saranno contributi importanti riguardanti il Rebetiko nel primo caso, e la
Grecia attuale nel secondo.
77
alle espressioni profonde delle persone; un rebetis era pronto a morire per il suo ballo
perché era una delle espressioni imprescindibili della sua vita. Questa visione del
mondo, in cui ciò che è essenziale e necessario alla vita non è ciò che ha un’utilità
pratica e un fine concreto, è una visione che centra un punto vitale in questo
momento storico: in una fase di fortissima incertezza e crisi economica e materiale,
questo tipo di musica allontana in parte la paura di perdere sé stessi. Aiuta a ritrovare
le radici; a perdersi nell’alcol, nel fumo, nella malinconia e nei ricordi, ma sapendo
che non si è soli: non penso (al contrario di Capossela per quello che ho potuto capire
del suo pensiero) che questa possa essere in alcun modo una soluzione, ma so che è
una condivisione profonda che può aiutare alcuni a superare il momento della crisi. Il
gruppo di rebetes assomiglia un po’ a una società di mutuo soccorso: aspra, estrema,
povera, ridotta ai minimi termini; ma nelle emergenze si attiva per provare a salvare i
suoi membri.
La forza del Rebetiko è anche la sua debolezza: questo crea un senso di struggimento
che non mi sembra innovativo nella storia della musica e dell’espressione umana in
genere; ma nel Rebetiko ci sono una vitalità e un desiderio di resistere alle condizioni
difficili che si possono venire a creare che non sfuggono a chi lo ascolta. Sono
caratteristiche che lo fanno continuare a viaggiare nel tempo e nello spazio.
Dunque nello scrivere questa tesi di laurea mi inserisco con un piccolo contributo in
un filone di ricerca che ha un raggio di azione più ampio e che è vivo in questo
momento in Italia: mi piace e mi sembra importante aver avuto i suggerimenti giusti,
la fortuna e l’intuito necessari per ascoltare e leggere i segnali, per inserirmi nella
scia dell’analisi di questioni che avverto come importanti e attuali; e che non sono
tali solo per me.
D’altra parte la chiusura di questa ricerca è anche una separazione: fin da bambina ho
subito in modo forte il fascino dei cantautori italiani e stranieri e delle loro musiche,
amando profondamente il loro mondo di espressione immediata, vera, profonda e
semplice, accessibile. Giunta in fondo all’itinerario compiuto fino a oggi da Misirlou,
una canzone di successo mondiale, una donna affascinante e misteriosa amata
appassionatamente dai rebetes – i cantautori greci ribelli – rimane intatta la mia stima
per il coraggio di esprimersi liberamente, di cercare spazi diversi di resistenza alle
asprezze del mondo di questi personaggi poco convenzionali; ma mi rimane anche
l’idea che non ci sia molto spazio per la speranza di una realtà diversa da quella che
si vive. Trovo un fondo di chiaro pessimismo in questa resistenza a tutti i costi contro
78
un mondo che è ostile ai rebetes, ai cantautori e in generale a chi voglia essere libero
da certi schemi mentali; non c’è nessuna proposta alternativa possibile, non c’è
spazio per l’idea che possa esistere una libertà che non si paga con la povertà
degradante, il dolore che fa impazzire, la violenza, la morte casuale e prematura. Ci
sono solo squarci di visioni diverse e belle, come lo sguardo affascinante e
l’ancheggiare conturbante di Misirlou che evoca deserti trapunti di stelle e fiori
notturni.
Finita questa ricerca affascinante mi accingo, finalmente, ad andare oltre questo
orizzonte rigido, bloccato da secoli: mi piace pensare che possa esistere una donna
come Misirlou fisicamente in giro per il mondo, libera di affascinare; mi piace l’idea
che non sia amata solo finché rimane una possibilità pericolosa tenuta a distanza e
cantata in una canzone. E mi piace pensare che questi uomini possano essere come
sono senza dover tenere il coltello sotto il lembo della giacca, che possano suonare le
proprie musiche senza che vengano loro sequestrati e spaccati gli strumenti, senza
dover vivere in modo così estremo; non penso che sia impossibile. I rebetes hanno
dimostrato che si può essere sé stessi e resistere anche in condizioni terribili: a noi, a
chi si fa affascinare da questi mondi notturni ricchi di tesori dei sobborghi, tesori
nascosti e non monetizzabili, rimane la ricerca di un nuovo filo di resistenza che non
consumi il corpo e la mente.
È bello pensare che, in questo senso, l’itinerario del Rebetiko e di Misirlou è solo al
suo principio.
79
RINGRAZIAMENTI
Questa laurea triennale è frutto di un percorso nel tempo che per vari motivi è stato
estremamente più lungo del previsto. Una tesi che chiude nove anni di vita e di
università include necessariamente un bel numero di ringraziamenti!
- Grazie alla mia relatrice, la Prof.ssa Paola Maria Minucci, che porta avanti il suo lavoro
con grandissima passione, che non rinuncia a creare occasioni di scoperta del mondo
neogreco per i suoi studenti e che ha pensato a un argomento di tesi su misura per me.
Grazie alla Prof.ssa Franca Sinopoli, che in questi lunghi anni non ha mai tardato a
rispondere alle mie domande, di qualunque genere esse fossero.
Grazie al Prof. Stefano Asperti, perché incontrarlo per i corridoi della facoltà è sempre
importante.
- Grazie a Gaia Zaccagni per la competenza, la gentilezza, la disponibilità e il calore.
Grazie a Maurizio De Rosa che mi ha aiutato a far uscire la tesi dal bozzolo e per le tante
chiacchiere fondamentali, meglio se in una taverna davanti a cibo e vino.
Grazie a Gail Holst, impagabilmente disponibile e gentile.
Grazie in ordine di tempo a: Dimitris Kotsiouros, Emilio De Santis, Filiò Sotiraki, Cinzia
Merletti, Mirco Mungari, Carmelo Siciliano per aver condiviso con me la loro musica e le
loro esperienze e conoscenze preziose, importantissime per questa ricerca.
Grazie a Fabrizio Di Baldo per l’immagine di copertina.
Grazie al Prof. Michalis Pieris, a Marianna Pafite e Stamatia Laoumtzi che hanno apprezzato
l’idea della mia tesi e mi fanno sentire che Cipro è anche casa mia.
- Grazie a Stefano, che nelle serate precedenti gli ultimi esami passava a salutarmi dalla
finestra e andava via; e per tanto altro. Grazie a Martina, Sara e Paola, per il loro calore che
non mi viene mai a mancare! Grazie a Nicoletta e Giulia, i membri del mio splendido trio di
studi dei primi anni. Grazie a Jacopo, il mio compagno di laurea e di musica. Grazie alla mia
mamma e al mio papà che sono lo zoccolo duro del mio fan club e mi sostengono il più
possibile nella mia lunga strada alla ricerca di me. Grazie al mio gruppo del martedì che mi
apre gli occhi e i sentimenti su mondi nuovi, pur rimanendo settimana dopo settimana seduti
insieme sulla stessa panca di legno!
Grazie a tutti i rebetes e ai musicisti che colorano il mondo di musica e che mi aiutano a
trovare il modo di fondere insieme il mio corpo e la mia mente.
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