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Ministero dell’Università e della Ricerca

Alta formazione Artistica, Musicale e Coreutica


Conservatorio di Musica “Francesco Antonio Bonporti” – Trento

Diploma Accademico di Io livello in discipline musicali


Indirizzo: Saxofono

TESI DI LAUREA

ESTRO E STRAVAGANZA
LA RICERCA DELLA PERLA SCARAMAZZA
ATTRAVERSO IL SOFFIO

Relatore: Prof. Marco Albonetti Laureanda: Rimvydė Bernadeta Muzikevičiūtė

Correlatore: Prof. Roberto Gianotti

Anno Accademico: 2016 / 2017

1
2
A mia madre Jūrate,
Cristian Battaglioli, Filippo Corbolini e Sabino Gabriele Monterisi

3
4
“Plutarco disse che Amore è padre della musica.
La nobiltà del suo genitore è nota,
essendo la più potente passione dell’anima,
vince ogni cosa, riporta trofei del Mondo tutto, e
finalmente dell’istesso Dio trionfa.”

Angelo Bernardi
(Ragionamenti musicali, p.73, Bologna, 1681)

5
6
Indice
Premessa .................................................................................................................................... 9
PARTE GENERALE ............................................................................................................ 11
1. Problematiche generali di esecuzione sul saxofono alla luce di una nuova consapevolezza
storica ....................................................................................................................................... 13

1.1 Recitar suonando: l’arte oratoria nella musica strumentale barocca ..................... 14

1.2. Le sfumature del set-up nell’esecuzione di musica barocca ................................. 17

2. L’intricata selva delle fioriture............................................................................................. 21

2.1 Il vibrato ................................................................................................................. 25

2.2 Il mordente ............................................................................................................. 29

2.3 Il trillo .................................................................................................................... 32

2.4 Il gruppetto ............................................................................................................. 36

2.5 L’appoggiatura ....................................................................................................... 38

3. Incisioni saxofonistiche di musica barocca.......................................................................... 41


PARTE MONOGRAFICA ................................................................................................... 45
4. La vita vagabonda e l’apoteosi di uno scugnizzo ................................................................ 47

5. Sonate brillanti del diavolo stesso........................................................................................ 50

6. La ricerca dell’origine dei Tre Pezzi di Domenico Scarlatti – Gabriel Pierné nei labirinti
oscuri Parigini .......................................................................................................................... 52

6.1 Analisi formale e peculiarità della Sonata in Sol maggiore K. 427 ....................... 56

6.2 Analisi formale e peculiarità della Sonata in Mi maggiore K. 474 ..................... 62

6.3 Analisi formale e peculiarità della Sonata in fa minore K. 519 ............................. 68

Conclusione.............................................................................................................................. 77

Bibliografia .............................................................................................................................. 79

Ringraziamenti ......................................................................................................................... 81

Appendici ................................................................................................................................. 83

7
8
Premessa

Era maggio del 2017 quando per la prima volta eseguii i Tre Pezzi (K. 427, K. 474, K. 519)1 di
Domenico Scarlatti-Gabriel Pierné con il Dolomiti Saxophone Quartet. Quella fu l’occasione
in cui decisi di indagare la nascita di quest’opera e approfondirne lo stile.

Molte volte i colleghi di studio mi hanno chiesto perché io sia affezionata alla musica barocca
italiana e perché, allora, non abbia scelto di suonare il flauto barocco o qualsiasi altro strumento
del periodo. Perché, dunque, suonando uno strumento a fiato moderno che dispone di un
repertorio tradizionale e contemporaneo davvero vasto dovrei perdermi nei percorsi di una terra
così poco conosciuta a noi saxofonisti, rischiando sempre di eseguire le opere fuori stile con
un’idea dell’estetica barocca sbagliata? Tutte queste domande mi hanno spinta ancora di più a
innamorarmi e affrontare questo repertorio, scoprendo affascinanti sfumature stilistiche.
Sicuramente si tratta di un’esperienza molto proficua e arricchente per la mia crescita
personale.

L’accezione più comune del termine barocco è quella francese, ovvero stravagante, bizzarro.
Probabilmente non tutti sanno che questa parola deriva dalla lingua portoghese e indica una
perla irregolare, l’italiana scaramazza. I francesi, si sa, sono fortemente influenzati in ogni
ambito da modelli d’importazione, e integrarono successivamente questo termine nel loro
vocabolario. Quindi cosa potrebbe essere più bizzarro e stimolante che suonare la musica
barocca con uno strumento a fiato cosi stravagante come il saxofono, vista la sua natura
particolare di tromba travestita da clarinetto con la meccanica di un flauto? È un legno o è un
ottone?

In riferimento al titolo, infatti, la ricerca dell’estetica barocca attraverso il soffio non vuol dire
solamente eseguire i brani in maniera consapevole ma proprio entrare nella mentalità del
periodo e nutrire l’anima e il pensiero. Ciò mi è stato confermato anche dall’etimologia di
alcune parole. Per esempio la parola soffio (in latino tardo pneuma, in greco antico πνεῦμα)
non significa solo espirazione di fiato dalla bocca socchiusa ma anche spirito, anima, soffio
vitale o ispirazione secondo la dottrina stoica. Il termine può essere associato anche alla lingua

1
K. Catalogo Ralph Kirpatrick

9
ebraica con la parola ruah (‫ )רוח‬che vuol dire, appunto, spirito o respiro. Nella teologia
Cristiana, invece, pneuma viene usato per indicare lo Spirito Santo.

Lo scopo di questo lavoro quindi è di invitare i lettori ad arricchire il proprio pensiero e ad


avvicinarsi ai piccoli dettagli dello stile barocco italiano concentrandosi particolarmente
sull’opera per quartetto di saxofoni di Domenico Scarlatti-Gabriel Pierné.

10
PARTE GENERALE

11
12
1. Problematiche generali di esecuzione sul saxofono alla luce di una nuova
consapevolezza storica

In epoca barocca lo stile retorico e la teoria degli affetti erano i due aspetti musicali più
importanti che, originati nella musica vocale, sono stati importati in quella strumentale. Queste
peculiarità si rivelano essere terreno fertile per tanti dubbi circa i requisiti di un’esecuzione
stilisticamente appropriata. Suonando bisognerebbe parlare o rimanere nel mondo del
cantabile in cui i saxofonisti si trovano a proprio agio come pesci nel mare? Come riuscire a
ottenere la leggerezza dello staccato e il suono brillante? Che tipo di vibrato usare? È opportuno
essere fedeli alle tonalità originali dei pezzi o è meglio trascriverli in base alle nostre capacità
e alle convenienze tecniche? Attraverso i capitoli seguenti che contengono vari esempi
dell’epoca troveremo alcune risposte che potrebbero essere d’aiuto suonando uno strumento a
fiato moderno, come il saxofono, e calmare le esplosioni dei fuochi d’artificio interiori causate
da tutte queste incertezze.

Non è un segreto che nel repertorio tradizionale, specialmente quello francese,2 siamo abituati
a dare una spinta d’aria tale da connettere le frasi il più possibile, utilizzare il vibrato alla
Marcel Mule3, dare importanza ai levare con crescendo, rubato o accelerando coinvolgendoci
nella drammaturgia ed espressività dei suoni e quindi immergendosi in un processo simile al
dipingere un quadro con le tinte lussureggianti del guazzo; invece quando qualcuno ci dà in
mano una tavolozza di acquerelli rimaniamo spesso sconvolti. Come si può riuscire in questo
caso a dipingere un quadro ugualmente affascinante con tecniche e una gamma di colori diversi
quando ormai toni più pesanti e opachi fanno parte di noi?

2
Ad es. Concertino da camera di J. Ibert, Prelude Cadence et Finale di A. Desenclos, Scaramouche di D.
Milhaud ecc.
3
Marcel Mule (1901-2001) - fondatore della scuola classica saxofonistica francese, figura fondamentale nello
sviluppo dello strumento

13
1.1 Recitar suonando: l’arte oratoria nella musica strumentale barocca

Fin da quando inizi a suonare uno strumento a fiato, senti un consiglio del tuo insegnante che
ti accompagnerà per tutta la crescita: “Canta con lo strumento”. Ma quanto è veramente
applicabile questo suggerimento alla musica barocca? La pratica generale di imitare la voce è
molto comune fra gli strumentisti ed è presente sino almeno dal primo rinascimento. Nel primo
trattato italiano per flauto, Opera intitolata Fontegara, importante soprattutto per la prassi
esecutiva degli abbellimenti, è affermato che il flauto deve imitare la voce umana,4 nonostante
sia molto importante notare che c’è tanta differenza fra percepire il linguaggio musicale come
parlato o cantato. Dato che il saxofono è stato inventato nel 1840, quindi in un’estetica
romantica dove regnava lo stile cantabile, naturalmente le frasi legate con un pizzico di vibrato
francese5 venivano predilette e sono diventate un’abitudine con la quale difficilmente puoi
combattere. In ogni caso i nostri così tanto amati fraseggi romanticizzati sono chiaramente da
evitare nella musica barocca.

Da un punto di vista, non è dal tutto sbagliato pensare al suono cantabile6 e sostenuto perché
sicuramente questo ci aiuta a ottenere un suono ricco, plasmabile e avere un controllo migliore,
però da un altro, lo stile retorico7 viene richiesto proprio dall’estetica dell’epoca. Il paragone

4
Il flauto debbe imitare la uoce humana cioe che essa ale uolte cresse & mancha <…>, Silvestro Ganassi dal
Fontego (1492-1550), Opera intitolata Fontegara, 1535, cap. 24
5
Non potrebbe essere diversamente perché proprio in Francia si è sviluppata la prima letteratura e la prima
forma di diffusione dello strumento.
6
Come affermato anche nella prefazione di Regole per suonare con buon gusto su Violino, Flauto Traversiere,
Violoncello e Clavicembalo particolarmente nel Basso Continuo, Londra, 1748, p. 12 di Francesco Saverio
Geminiani: Non posso comunque esimermi dall’osservare che l’eccellenza di questo strumento [flauto] consiste
nel Cantabile, movimento in cui si ha il tempo di realizzare la necessaria economia del fiato, e non nei
movimenti veloci in cui siano presenti arpeggi o salti.
7
Come indicato nel libro Muzikos atlikimas (p.161) del musicologo e direttore d’orchestra Donatas Katkus
secondo i retorici per un discorso perfetto essenziale è l'organizzazione di esso (dispositio) e dovrebbe contenere
le parti seguenti:
1. Exordium- introduzione, il suo scopo è quello di accattivarsi i favori del pubblico.
2. Narratio- esposizione dei fatti che vengono affrontati.
3. Prepositio- parte principale dove vengono esposti tema e argomenti.
4. Confirmatio- dimostrazione delle prove a sostegno della tesi.
5. Confutatio- confutazione degli argomenti avversari sottolineando la debolezza di essi.
6. Peroratio- epilogo, la conclusione del discorso, muovendo al massimo gli affetti dell'uditorio e sviluppando
pathos. Questo modello poi viene integrato anche nel libro di Johann Mattheson intitolato Der vollkommene
Capellmeister paragonando gli elementi principali del linguaggio musicale a quelli dell’arte oratoria.

14
tra un musicista e un oratore lo troviamo presente già nel trattato della metà del XVI secolo del
teorico Italiano Nicola Vincentino:

Et la esperienza dell’oratore l'insegna che si vede il modo che tiene nell'orazione: che ora dice
forte et ora piano, et più tardo et più presto, e con questo muove assai gli odi tori; et questo modo
di muovere la misura fa effetto assai nell’animo, et per tal ragione si canterà la musica alla mente
per imitar gli accenti et effetti delle parti dell'orazione. Et che effetto faria l’oratore che recitasse
una bella orazione senza l'ordine dei suoi accenti et pronunzie et moti veloci et tardi et con il dir
piano et forte; quello non muoveria gli oditori. Il simile dè essere nella musica: perché se l’oratore
muove gli oditori con gli ordini sopradetti, quanto maggiormente la musica recitata con i
medesimi ordini accompagnati dall'armonia ben unita farà molto più effetto.8

Dopo altri due secoli di storia la conferma di questa idea si trova anche negli scritti del
famoso flautista tedesco Johann Joachim Quantz:

L’esecuzione musicale può paragonarsi alla dizione di un Oratore. L’oratore, ed il Musico hanno
ambedue lo stesso dissegno tanto rispetto alla composizione delle loro produzioni, quanto
rispetto alla esecuzione medesima. Desiderano di rendersi padroni de’ cuori, bramano di
eccitare, o tranquillizzare i movimenti dell’animo, e di fare passare l’ascoltante da una passione
all’altra. Riesce loro cosa molto utile quando uno ha qualche idea delle cognizioni dell’altro.9

La ragione c’insegna, quando si parla, e si domanda qualche cosa ad una persona, di usare
espressioni facili, e non ricercate. La musica dunque è una lingua artificiale, con cui si fanno
comprendere i suoi pensieri musicali all ascoltante. Se si volesse esprimere con un modo inteso,
e strambo, e che l’uditore comprendere non potesse, e che non gli somministrasse nissun
sentimento, a che giovarebbero tutti i sudori che si fossero fatti per lungo pezzo, acciòche si
guadagnasse la taccia di sapiente?10

Queste fonti sono veri e propri esempi che il recitar suonando, ovvero lo stile retorico,
per un musicista barocco fosse quasi la seconda pelle; il linguaggio musicale era
fondato su questi pensieri per esaltare gli affetti e svegliare l’animo.

8
Nicola Vincentino (1511-1572), L'antica musica ridotta alla moderna prattica, Roma, 1555, cap. XXX, p. 94
9
Johann Joachim Quantz (1697-1773), Trattato sul flauto traverso a cura di Sergio Balestracci, 2010, cap. XI,
p. 139
10
Ivi. cap. XI, p. 141

15
Silvestro Ganassi sottolinea nel suo libro quanto sia essenziale la presenza
dell’imitazione del parlato nella musica:

<…> per imitare la natura de le parolle come e dechiarato nel capitulo secondo quale te insegna
el modo di proccedere con il fiato cosi la imitatione che quando tu farai, in una uoce medesima
con lartificio. Varii li efi fetti effetti dico suaui & uiuacisi come fa la uoce humana: ma e
dibisogno anchora cose disopra e stato ditto che tale imitatione debbe essere acompagnata dala
pronteza & galanteria perche la prontezza deriua dal fiato per tanto se la imitatione sera suaue
ouer placabile o uiuace el simile sara la prontezza & galanteria dificile sarebe dimostrare gli uarii
effetti della prontezza como fa la imitatione se non con il parlare.11

Voi hauete a sapere come tutti li instrumentisti musicali sono rispetto & comparatione ala uoce
humana mancho degni per tanto noi si afforzeremo da quella imparare & imitarla: onde tu
potresti dire come sara possibile conciosia cosa ache essa proferisce ogni parlare dil che non
credo che ditto flauto mai sia simile ad essa humana uoce & io te rispondo che cosi come il degno
& perfetto dipintor imita ogni cosa create ala natura con la uariation di colori cosi con tale
instrument di fiato & corde potrai imitare el proferire che fa la humana uoce <…> lo instrumento
imitera il proferir della humana uoce con la propprtion del fiato & offuscation della lingua con
lo agiuto de deti & di questo ne o fatto esperientia & audito da altri sonatori farsi intendere con
il suo sonar le parole <…>.12

Questi consigli sono molto utili per l’interpretazione del fraseggio e per la scelta del tipo di
articolazioni. Per imitare il linguaggio parlato col saxofono il più delle volte conviene pensare
non al legato o staccato ma al detaché perché alleggerisce l’esecuzione ed è considerato come
una via di mezzo fra le articolazioni opposte.

11
Silvestro Ganassi dal Fontego, Opera intitolata Fontegara, 1535, cap. 24
12
Op. cit. cap. I

16
1.2. Le sfumature del set-up nell’esecuzione di musica barocca

Quello del set-up è stato sempre un mondo molto vasto sul quale si potrebbe discutere a lungo.
Per fare un po’ di luce sull’argomento con grande interesse ho contattato alcuni artisti
importanti13 che hanno contribuito al campo della musica barocca con numerose registrazioni14.
Scegliere il materiale (come beccuccio, ance e fascetta) più adatto all’esecutore è un aspetto
molto delicato e allo stesso tempo personale. Ogni piccolo dettaglio può cambiare l’esecuzione
radicalmente, quindi è essenziale pensare al suono che uno vorrebbe come forma d’espressione
definitiva. A tal proposito, è importante a sottolineare che ci sono due correnti principali, che
possono essere prese a modello nella scelta del set-up.

I rappresentanti della prima corrente sono quelli che non esprimono preferenza per
equipaggiamento particolare. Secondo questo tipo di artisti, l’importante è avere il concetto del
suono nella mente e nell’orecchio, invece di preoccuparsi inutilmente delle ricerche di un set-
up specifico perché il beccuccio, a loro dire, quasi non ha influenza sulla performance. Questo
richiama anche l’affermazione di Johann Mattheson in cui viene detto che nella natura della
musica le regole vengono determinate e applicate grazie all’orecchio e non viceversa15.

Arno Bornkamp, professore del Conservatorium van Amsterdam, Paesi Bassi, uno dei più
famosi saxofonisti al giorno d’oggi, afferma che per ottenere il risultato migliore bisogna essere
consapevoli della prassi esecutiva barocca per poi essere in grado di applicare le regole di base
suonando16. Questo pensiero viene sostenuto anche dal suo collega Niels Bijls,17 che ha suonato
con lui nel “Aurelia Saxophone Quartet”. Un altro saxofonista proveniente dai Paesi Bassi,
Henk van Twillert, professore del Superior School of Music and Performing Arts a Porto,
Portogallo, sostiene parimenti che per fare le scelte più corrette uno dovrebbe analizzare

13
Come Arno Bornkamp, Michail Ibrahim, Ties Mellema, Henk van Twillert, ecc.
14
Vedi il capitolo 3, p. 41
15
Johann Mattheson (1681-1764), Critica Musica,1722, I, p. 302
16
“For me the set-up is not really something, that I want to adapt. I want to be able to express myself on my
instrument like in any other music. Just I do my best to use some knowledge about authentic baroque-playing,
so my playing of Baroque might sound different than other music because of that aspect.”
17
“I have experimented with a lot of older saxophones but after 20 years of research, I have realized that my
standard set-up works best after all. The sound you want to create is between your ears, not in your instrument.”

17
articolazioni, fraseggio, dinamica e utilizzo del vibrato a seconda delle informazioni comuni
del periodo. Ugualmente importante è avvicinarsi all’estetica e alla mentalità barocca.18 I
membri del “Signum Saxophone Quartet”, gruppo noto anche per il progetto di Bach Beyond,
confermano che “è fondamentale concentrarsi piuttosto sulla musica che sulla ricerca del set-
up, poiché una volta trovato il beccuccio buono si può suonare tutto”. Un artista Statunitense,
Michael Ibrahim, professore di saxofono alla West Virginia University dice che concentrarsi
troppo sulla ricerca del set-up per i periodi musicali contrastanti sostanzialmente non è
essenziale. La scelta del materiale varia da persona a persona in base all’idea di suono che ha
e alle caratteristiche fisiche. Quindi, piuttosto, gli esecutori dovrebbero scegliere i materiali
che aiutino a bilanciare il suono e permettano di essere flessibili in qualsiasi genere musicale.19

Alla seconda corrente, invece, appartengono i musicisti che prediligono i set-up con i beccucci
più chiusi, ovvero che hanno l’apertura dell’imboccatura meno grande. In questo caso
dovrebbero essere usate delle ance più dure (p. es. D’Addario, numero 3.5). “Questo tipo di
bocchini ci dà più proiezione e permette di controllare meglio la direzione dell’aria, soprattutto
in ambienti grandi. In più alleggerisce l’articolazione e aiuta ad avere il suono abbastanza
intimo e rotondo”, afferma il saxofonista Massimiliano Girardi. Un altro artista che concorda
con questo pensiero è Ties Mellema. Lui dice che generalmente per questo genere di musica
vanno meglio i bocchini con l’apertura non troppo grande (al massimo si potrebbe utilizzare il
modello S80 D) per poter padroneggiare l’articolazione, specialmente lo staccato.20 Il
professore consiglia di evitare di suonare nello stile cantabile per non incorrere in
misinterpretazioni stilistiche dei brani. Anche se la maggioranza dei rappresentanti di questa
corrente non è molto rigida e non ha niente contro le altre scelte, ci sono anche quelli che usano
solamente i bocchini con apertura piccola. Un buon esempio è il professore del Koninklijk
Conservatorium Den Haag, Paessi Bassi, Raaf Hekema, un esecutore di musica barocca.
Secondo lui il saxofono ha caratteristiche che sono contro la natura della musica barocca perché

18
“The articulation, phrasing, dynamic changes, the use, or not of vibrato need to be analysed, based on the
common baroque information and then choices can be done. Furthermore, you have to get concentrated on the
style and put the mind-set in that direction for quite a time.”
19
“The issue of a set-up is a very personal one that can vary from a player to player depending on the musical
concept they have, their idea of a good sound, and their own physiology. Broadly speaking, it is better to look
for a set-up that is balanced and one that heightens musical ideas.”
20
“Smaller setups work better for baroque in general. Lighter reeds, smaller tips. Any mouthpiece that is not too
big and allow easy articulation works great. I suggest not to choose mouthpiece models that are more open than
D, especially for the soprano saxophone.”

18
lo strumento è nato nel periodo romantico, quando l’espressione attraverso frasi legate e
sostenute era più importante dello stile retorico. Il suo consiglio è di usare bocchini più chiusi,
prodotti all’inizio del XX secolo, e applicare una pressione molto leggera sull’ancia21. Essendo
d’accordo con i professionisti di questa corrente ritengo che per il saxofono soprano e il
baritono vadano molto meglio beccucci più chiusi.22

Un altro argomento importante è la scelta dell’ancia. Qualche anno fa non ci si chiedeva se


fosse meglio utilizzare un’ancia di plastica o di canna. La tecnologia, ancora non era così
avanzata per poter produrre quel miracoloso pezzettino di plastica che al giorno d’oggi sta
facendo una rivoluzione nel mondo dei legni. Le ance sintetiche hanno il vantaggio di non
mutare così tanto in base alle diverse condizioni di tempo, umidità e altitudine, durano a lungo
e non hanno bisogno di essere bagnate, quindi permettono a noi saxofonisti di essere pronti in
qualsiasi momento, anche dopo tante battuta di pausa. Chiaramente, hanno un diverso tipo di
armonici nel suono e potrebbero causare qualche piccolo problema nel registro acuto,
soprattutto al saxofono soprano. A mio avviso, dopo aver fatto diverse esperienze e aver
ascoltato solisti come Arno Bornkamp, consiglio vivamente di provare le ance sintetiche23 per
contralto e tenore. Siccome le ance del modello Légère Classic24 sono più resistenti rispetto al
modello Légère Signature, consiglierei di utilizzarle suonando il baritono. Al soprano, invece,
funzionano meglio le ance di plastica per clarinetto25 perché sono un po’ più larghe rispetto a
quelle originali per il saxofono soprano.26

Nel repertorio solistico barocco il saxofono soprano, chiaramente, viene prediletto da quasi
tutti gli artisti per le caratteristiche del suono più acuto, brillante e leggero. Le opere scritte nel

21
“I do think that the intrinsic concept of the saxophone is somewhat against the nature of baroque music, since
the saxophone was built in the romantic era when personal expression (legato, sostenuto sound world) was
dominant, whereas in baroque times a more rhetoric style was desired. Generally, mouthpieces of the early 20th
century that typically have a small tip opening and a large chamber, can be used to bridge the gap between the
different styles. The player needs to adapt their playing accordingly, by blowing gently and applying light
pressure on the reed.”
22
In particolare il modello Concept (apertura 1,06 mm) per il saxofono soprano e il S80 C* (apertura 2,00 mm)
per il saxofono baritono
23
ad es. Légère Signature, n. 3.25
24
ad es. n. 3.5
25
ad es. Légère Signature European Cut, n. 3.5
26
Consiglio dato dai Maestri Federico Mondelci e Marco Albonetti.

19
periodo per cornetto, flauto dolce, violino o oboe si adattano molto più facilmente perché hanno
il registro simile e l’idea del colore del suono e fraseggio potrebbe essere ricercata attraverso
le particolarità tecniche degli strumenti originali. Si può aggiungere anche il fatto che suonando
il soprano sia più facile contrastare la sonorità, per esempio, dell’organo che è molto più
imponente. Il baritono, invece, è preferibile per i pezzi trascritti da originali per fagotto e cello
per il suono ricco di armonici bassi e per la facilità di affondare le note nel registro grave
imitando i suddetti strumenti. Il contralto e il tenore hanno un suono più vellutato, pieno, ricco
di espressività nelle sue tinte più scure; ma il rischio concreto di appesantire l’esecuzione li
rende meno desiderabili per un uso solistico. Discorso diverso, invece, per l’utilizzo in un
quartetto di saxofoni o in un gruppo più vasto, in cui hanno una funzione armonicamente molto
importante e il potere di cambiare il colore dell’ensemble e l’impasto sonoro.

Infine, non si può dire quale set-up sia il migliore perché anche nella musica barocca il mondo
sonoro è pieno di sfumature. La scelta dipende sempre dal pensiero di ognuno in base al suono
che cerca come mezzo espressivo e da quanto sia profonda la conoscenza del periodo e delle
peculiarità stilistiche nei vari organici. Provando e cercando il materiale più adatto si scoprono
delle cose molto gustose nei cambiamenti del suono, anche se queste talvolta risultano
innaturali per il nostro strumento, ma che ci regalano la possibilità di esplorare e “rischiare”
andando oltre ed avvicinandoci alla “naturalità” degli strumenti originali.

20
2. L’intricata selva delle fioriture

Non è un segreto che diminuzioni e fioriture nella musica barocca, di solito, venissero
improvvisate e non scritte. Le melodie nello spartito erano abbastanza semplici e la capacità di
fiorire con buon gusto era considerata come un tipo di arte che indicava bravura e raffinatezza
dell’esecutore.

Nella terminologia musicale, gli abbellimenti o le cosiddette fioriture sono elementi melodici
(molto più raramente, armonici) con funzioni non strutturali ma decorative.27

Al giorno d’oggi abbiamo un’infinità di tabelle che indicano come dovrebbero essere eseguiti
gli ornamenti dei diversi compositori dell’epoca come C. Monteverdi, G. Frescobaldi, J. Peri,
A. Scarlatti o J. S. Bach. Questi schemi, da un lato, ci aiutano a capire le differenze fra i segni
e ci suggeriscono come potrebbero essere eseguite le fioriture, dall’altro, spesso, costringono
il pensiero musicale in una serie di aride normative tali da incatenarlo in un’applicazione
nozionistica assimilabile allo studio di un manuale per la patente di guida. Comunque, anche
se alcune fioriture sono risolte hanno il fascino di non poter essere imbrigliate in un quadretto
noioso per poi essere imparate solamente dalle fonti scritte.28 Certo, seguendo i modelli la vita
dell’esecutore diventa più facile e non richiede ulteriori sforzi e creatività per una performance
artisticamente corretta.

La scrittura del periodo barocco al lettore dell’epoca attuale è sempre ambigua; non troviamo,
difatti, indicazioni dettagliate riguardo dinamiche, articolazioni o spiegazioni delle irregolarità
ritmiche alla specificazione estrema delle quali in partitura, ormai, noi saxofonisti siamo così
abituati da aver perso ogni tipo di ragionamento personale. Ciò è dovuto senz’altro alla
pedanteria grafica della musica contemporanea e all’immensa voglia dei compositori di cercare
quanti effetti possa produrre un saxofono. Come conseguenza di tutto questo è ancor più
richiesta conoscenza e responsabilità per le scelte fatte. Le tabelle di abbellimenti dovrebbero
soltanto dare un’idea generale perché l’arte di fiorire s’impara praticandola e lasciandosi
prendere dal sentimento manifestato nella musica e non dalle regole. Qualsiasi ornamento

27
Vocabolario Treccani
28
Jacopo Peri, Euridice, Prefazione “… e vaghezze, e laggiadrie, che non si possono scrivere, e scrivendole non
s’imparano dagli scritti.”

21
perde il suo senso e gusto se non ha precisione richiesta dall’espressione e dal contesto. Queste
peculiarità, giustamente, non le possiamo trovare scritte su un pezzo di carta.

<…> qu’un agrément soit aussi bien rendu qu’il le puisse, il y manquera toujours ce certain je
ne sais quoi qui en fait tout le mérite; s’il n’est guidé per le sentiment; tropo u trop peu, trop tot
ou trop tard, plus ou moins lomgtemps dans des suspensions, dans des sons ou enflés ou
diminués, dans des battemens de trils, dits cadences, enfin cette juste précision que demande
l’expression, la situation, manquant une fois tout agrément devient insipide…ce ne sera que par
des examples & jamais par des règles, qu’il [i.e. maître] pourra faire sentir a l’homme de Goût
l’usage qu’il doit faire de ses heureuses facultés dans l’exécution <…>.29

L’arte dell’ornamentazione è una signorina molto elegante e capricciosa, può avere tantissimi
modi di presentarsi e difficilmente può essere spiegata attraverso trattati ed esempi scritti. Il
compositore austriaco Johann Beer all’inizio del XVIII secolo afferma30 che la musica è legata
alla libertà e non può avere prescrizioni: per questo motivo, anche gli ornamenti non
dovrebbero essere definiti precisamente. Egli in questo caso usa il termine quantitas intrinseca
indicando che l’abbellimento appartiene alla natura in sé e non può essere indicato con alcun
tipo di simbolo. Tra l’altro il paese che dava più importanza al ruolo dell’esecutore come
compositore dell’ornamentazione e in cui le fioriture venivano eseguite con più libertà era
sempre l’Italia.

In base a tutte queste affermazioni possiamo capire che nei diversi contesti e situazioni non si
può applicare un tipo di ornamentazione definita da una tabella e limitarsi fino al punto di farla
diventare un concetto rigido perché questo non è naturale e implica una performance
stilisticamente meno artistica e talvolta anche sbagliata.

Mentre tante diminuzioni erano ancora improvvisate, dalla fine del XVI secolo si sono
cristallizzati e sviluppati vari tipi di abbellimenti che vennero, quindi, catalogati ricevendo i
nomi che conosciamo oggi. Nei prossimi capitoli analizzeremo le fioriture che si incontrano
più spesso suonando il saxofono.

29
Jean Rameau, Code de musique pratique, Parigi, 1760, p. 13
30
Johann Beer, Musikalische Discurse, Nürnberg, 1719, p. 136

22
Uno dei trattati italiani significativi sull’improvvisazione è il Saggio per ben suonare il flauto
traverso di Antonio Lorenzoni e fu pubblicato nel 1770. Egli non era un musicista
professionista ma aveva abbastanza conoscenza della prassi esecutiva italiana e di altri paesi.
Il suo saggio contiene regole ed esempi su come improvvisare le cadenze (vedi esempio x) e
introduce il concetto di trillo, appoggiatura e gruppetto. Egli dice che questi ornamenti
dovrebbero essere utilizzati a seconda degli affetti del pezzo:

Si dee procurare di adornare, ed arricchire la melodia con delle appoggiature, gruppetti, mordenti
e trilli per quanto il pezzo lo comporta. I trilli eccitano alla vivacità, le appoggiature alla
mollezza, questo è un fatto provato dalla esperienza. Bisogna dunque osservare di non
aggiungere con frequenza de’ trilli ad un pezzo mesto delle appoggiature ad un pezzo allegro.31

Nelle pagine successive32 troviamo Le grandi variazioni arbitrarie, ovvero diminuzioni e sei
regole di base, che costituivano un riassunto delle idee del compositore e flautista Joachim
Quantz.33

Le grandi variazioni arbitrarie altro non essendo che una diversa combinazione delli suoni
dell’accordo nell’armonia del pezzo supposto, coll’aggiunta di alcune note di gusto; e ricercando
perciò esse facoltà d’invenzione, e prontezza d’esecuzione: cosi per fare delle grandi variazioni
arbitrarie sa d’uopo esserne provisto non solo della cognizione delle regole dell’armonia, ma
eziandio possedere invenzione, e facilità d’esecuzione sul momento. <…>

1. Non dovrà fare alcun adornamento arbitrario, prima d’essere in caso di sonare la
composizione come è scritta.
2. Non farà variazioni se non quando suona una parte principale nudamente accompagnata
come un Solo di Concerto ecc.
3. Non farà variazioni se non quando ch’esse sieno per rendere migliore la melodia, in caso
diverso farà meglio sonare quello ch’è scritto.
4. Non farà variazioni, che dopo aver fatto sentire la semplice melodia. Senza questo chi ascolta
non potrà nemmeno giudicare le sieno variazioni.
5. Nel variare si regolerà sempre al numero delle parti dalle quali è composto il pezzo. In un
trio non bisogna fare tante variazioni, dimodoché sia impedito al secondo di poter anch’esso

31
Antonio Lorenzoni, Saggio per ben sonare il flauto traverso: con alcune notizie generali ed utili per
qualunque strumento, ed altre concernenti la storia della musica, Vicenza, 1779, p. 81
32
Ibid. p. 83- 84
33
Vedi Johann Joachim Quantz (1697-1773), Trattato sul flauto traverso a cura di Sergio Balestracci, 2010,
Capitolo XIII, Delle variazioni, o mutamenti volontari sopra semplici intervalli.

23
variare.
6. Se le parti hanno la stessa melodia l’una contro l’altra, andando o in sesta o in terze, o in
ottava; in tal caso non farà alcuna variazione, quando non fosse convenuto per lo avanti colle
altre parti. Per altro un musico farà molto meglio a non far sentire tutto in una volta la sua abilità
nel variare, per poter sempre alettare gli uditori con qualche cosa di nuovo.34

Riguardando queste regole e trovando più segni di ornamentazione nello spartito della musica
strumentale indicati a partire dal XVIII secolo, quando venne adottata la notazione per gli
abbellimenti dai francesi, si può trarre la conclusione che gli strumentisti dovessero avere molta
meno libertà di fiorire rispetto ai cantanti. Il suggerimento che diminuzioni improvvisate
dovrebbero essere limitate all’esecuzione quando la melodia viene ripetuta implica che gli
strumentisti non potessero aggiungere diminuzioni così estensivamente come indicato nei
trattati di musica vocale. 35 In questo caso comunque non si parla di omettere appoggiatura,
trillo o mordente richiesto dalla melodia.

Il teorico Francesco Galeazzi afferma che l’esecutore eccellente, sapendo le regole armoniche,
non aggiunge troppe note e non prende il rischio di farlo se non è certo che la linea di basso
possa sostenerle. Lo scopo di fiorire è quello di farlo con buon gusto e animare la melodia
invece di soffocarla36, anche se soprattutto in Italia le fioriture spesso venivano aggiunte sulle
melodie già sviluppate e quindi tendenzialmente esagerate.

34
op.cit. p. 83–84
35
Joan E. Smiles, Journal of the American Musicological Society, Directions for Improvised Ornamention in
Italian Method Books of the Late Eighteenth Century, Vol. 31, No. 3, 1978, p. 504
36
Francesco Galeazzi (1758-1819), Elementi teorico–pratici di musica, con un saggio sopra l’arte di suonare il
violino analizzata, I, Roma, 1791, p. 199

24
2.1 Il vibrato

Il vibrato, in qualsiasi genere musicale, è un ottimo strumento per colorare la frase. Nel
repertorio tradizionale francese i saxofonisti tendenzialmente ne utilizzano uno abbastanza
stretto; nel repertorio americano, invece, può essere utilizzato in maniera più intensa, con
un’oscillazione più ampia. Molto spesso succede che gli esecutori concepiscano il suono
barocco come più chiaro e squillante rispetto a quello tradizionale e tendono a non vibrare le
note. Secondo alcune fonti storiche37, il vibrato non dovrebbe essere eliminato dall’esecuzione
e in certi casi veniva anche indicato nello spartito. In medio stat virtus: come in ogni cosa, per
ottenere il risultato più stilisticamente appropriato basta farne semplicemente un utilizzo
moderato. In questo capitolo vedremo alcuni esempi di come potrebbe essere interpretato il
vibrato nella musica barocca.

Per un esecutore moderno il termine di vibrato non è altro che la combinazione fra una leggera
oscillazione nelle frequenze del tono e nell’ampiezza del suono (volume) che viene percepito
dal nostro orecchio come tremolo soffice. Quindi, il vibrato, ovvero tremolo, nella musica
barocca può diventare irritante se molto veloce e stretto; al contrario, se troppo lento, rischia
di appesantire l’esecuzione, applicato nei contesti errati. Per farne un uso più corretto è
importante fare attenzione soprattutto all’armonia, anche suonando uno strumento melodico,
e, ad esempio, con gli accordi a intervalli ravvicinati usare un vibrato più stretto che largo,
evitando in tal modo vari fraintendimenti armonici. Essendo anche il tremolo legato alla teoria
degli affetti, in alcuni casi può assumere un significato specifico; in tal caso il vibrato veloce
potrebbe suggerire buon umore e gioia mentre uno più lento indicare tristezza, dolore o
dispiacere. Inoltre, può essere interpretato come un ornamento a sé stante sulle note scelte,
oppure utilizzato se non c’è indicato nessun altro tipo di ornamentazione. Suonando uno
strumento a fiato moderno è molto utile tornare alle origini dell’argomento e vedere come esso
veniva applicato soprattutto agli strumenti ad arco. In questo caso il vantaggio è sempre quello
di poter vedere fisicamente l’arcata e il movimento del braccio o delle dita e dopo poter
applicare lo stesso concetto alla spinta dell’aria.

37
Ad es. trattati di Silvestro Ganassi dal Fontego, Regola Rubertina; Jean Rousseau, Traité de la viole;
Francesco Saverio Geminiani, Trattato sul Buon Gusto nell’Arte Musicale ecc.

25
Il trattato in cui il vibrato ad arco fu indicato per la prima volta è di Silvestro Ganassi dal
Fontego38, uno dei primi trattatisti italiani a dare alle stampe metodi per l'apprendimento di
strumenti musicali. Nel libro si parla del “tremore prodotto con l’archetto e le dita attorno il
manico per raggiungere espressione appropriata per la musica dolorosa e triste” e qua diventa
chiaro che cosi viene indicato il vibrato in combinazione tra mano destra e sinistra. Il teorico
tedesco della prima metà del XVI secolo, Martin Agricola, dà una descrizione piuttosto poetica
di questo mezzo d’espressione dicendo che “il tremore libero (zittern frey) addolcisce la
melodia”39. Il musicista svizzero Jean Rousseau40, invece, teorizzò un vibrato ben pronunciato
e lo indicò come un tipo di ornamento da applicare su certe note per renderle più brillanti.
Comunque, egli suggerì l’uso anche del vibrato normale “in tutti i contesti dove la lunghezza
della nota ci permette di farlo” dicendo, quindi, che dovrebbe estendersi su tutta la nota.

Francesco Geminiani, per breve tempo allievo di contrappunto di Alessandro Scarlatti41,


afferma che ci sono due tipi di vibrato legati agli affetti. Il primo veniva eseguito attraverso il
crescendo ed era il risultato di un suono molto marcato. L’esecuzione del secondo tipo era più
corta, debole e delicata e quindi doveva suscitare paura e sofferenza. Oltre queste due tipologie,
ve n’era una terza, affine a quella indicata da Jean Rousseau; questa veniva eseguita
esclusivamente su note brevi e non era legata agli affetti. Il suo fine era, dunque, semplicemente
di abbellire il suono.

Se [il tremolo] viene tenuto a lungo, aumentando per gradi la sonorità, portando l’arco vicino al
ponticello e terminando con forza, può esprimere maestosità, dignità ecc. Ma farlo più breve, più
piano e delicato, può denotare afflizione, timore ecc. Quando lo si realizza sulle note brevi,
contribuisce soltanto a rendere il suono più piacevole, e per questa ragione se ne dovrebbe fare
l’uso più frequente possibile.42

38
Silvestro Ganassi dal Fontego, Regola Rubertina, pt. I, Venezia, 1542
39
Martin Agricola (1486- 1556), Musica instrumentalis deudsch, Wittenberg, l’ultima edizione del 1645, p. 42-
43
40
Jean Rousseau (1712- 1778), Traité de la viole, Parigi, 1687, p.60
41
Charles Burney (1726- 1814), A General History of Music, vol. II, p. 914, 1935
42
Francesco Saverio Geminiani, Trattato sul Buon Gusto nell’Arte Musicale, Londra, 1749, p. 58

26
Anche il flautista francese Charles De Lusse distingue pure due tipologie di tremolo: il primo
come continuo, energico e terminante con forza che può esprimere gravità e paura, mentre il
secondo come più breve e dolce, può descrivere sentimenti di mancamento e tristezza.

Lorsque le Tremblement est continué en enflant graduellement le son & finissant avec force, il
exprime la gravité, la frayeur; le faisant plus court, plus doux, il exprime l’affliction, la langueur;
& lorsqu’il se fait sur des notes breves, il contribue à rendre la mélodie plus agréable & plus
tendre. 43

Il vibrato viene segnato come una linea ondulata e si trova abbastanza spesso nelle opere di
compositori dell’epoca come Cesti, G. B. Martini, Veracini (es. 1).

Es. 1

Per quanto riguarda il flauto traversiere, Geminiani conferma che tutte le particolarità che
concernono l’ornamentazione possono essere prese dal violino. Eccezione viene fatta
esclusivamente per il tremolo: esso deve essere effettuato solo sulle note lunghe.44

Compositore e violinista italiano, cittadino della Repubblica di Venezia, Giuseppe Tartini, al


contrario di Geminiani, propone un utilizzo molto più oculato del tremolo. La sua velocità
dovrebbe essere calibrata in base all’affetto richiesto dalla musica. Secondo lui è meglio usarlo
in contesti particolari, ad esempio quando si scontra con le note finali in cadenza o sui valori
lunghi di una sincope. A suo avviso è, dunque, un mezzo puramente ornamentale e non utilizza
alcun tipo di simbolo per indicarlo in partitura.45

D’altronde agli strumentisti a fiato sarebbe utile pensare anche alla prassi della messa di voce,

43
Charles de Lusse (1720-1774), L’art de la flûte traversière, 1760, p. 9
44
Francesco Saverio Geminiani, Regole per suonare con buon gusto su Violino, Flauto Traversiere, Violoncello
e Clavicembalo particolarmente nel Basso Continuo, Prefazione, Londra, 1748, p. 12
45
Frederick Neumann, Ornamentation in Baroque and Post-Baroque Music, with Special Emphasis on J.S.
Bach, Princeton University Press, 1978, p. 517

27
o come chiamata da Geminiani aumentazione e diminuzione del suono che produce gran
bellezza e varietà46, che veniva applicata alle note lunghe e aveva, quindi, la caratteristica di
crescendo-diminuendo nel suono, cioè la nota veniva leggermente “gonfiata”. Questa, nel
subconscio di un saxofonista, è una pratica assolutamente vietata fin dall’inizio del percorso di
studi per vari motivi, il primo dei quali è il fatto che possa causare instabilità d’intonazione.

Se vi sarà una Tenuta di una Tonda, o di una Bianca, che in buon Italiano chiamassi messa di
voce, conviene intuonare subito con delicatezza, e quasi solamente respirare, dopo ciò si principia
a soffiare, ma a bell’aggio, e a fare crescere la forza del tuono sino alla metà della nota; fatto ciò
si ritorna ad indebolirla sino alla fine della nota, e si fa un allettamento col dito al più vicino
buco, che sia aperto. Ma perche il tuono non diventi più alto, o più basso, quando se gli dà forza,
oppure che si leva la forza.47

Dato che la voce in questo caso non era mai ferma, l’effetto percepito era quello del tremolo
perciò pensando a questo leggero ma significativo cambiamento nel suono si potrebbe
concepire un concetto di vibrato applicabile in un’esecuzione di qualsiasi trascrizione barocca
per uno strumento a fiato moderno.

Nonostante il fatto che il vibrato sia uno dei parametri più controversi nell’ambito della prassi
esecutiva barocca, in base a queste testimonianze si può osservare che non dovrebbe essere
assolutamente escluso dall’esecuzione di opere in generale e quindi anche in quelle trascritte
per saxofono. Chiaro che lo stesso ci sale il dubbio su quanto spesso e in che occasioni usarlo.
L’importante è tener conto che “il vibrato su ogni nota è come mettere il ketchup su tutta la
musica”48 quindi bisognerebbe avere un’idea assai chiara e, volendo prendere una decisione
consapevole, fare un’analisi delle relazioni armoniche e individuare quale affetto ci viene
indicato attraverso tonalità, metro e tempo. Il tremolo è uno strumento molto efficace che come
ornamento a sé stante può richiamare tanto l’attenzione, oppure può essere utilizzato
semplicemente come un colore del suono. In ogni caso non dovrebbe essere né troppo sostenuto
o evidente né assente dall’esecuzione.

46
Francesco Saverio Geminiani, Trattato sul Buon Gusto nell’Arte Musicale, Londra, 1749, p. 55
47
Johann Joachim Quantz, Trattato sul flauto traverso a cura di Sergio Balestracci, 2010, cap. XIV, p. 189
48
Affermazione di Heinrich Shiff nell’ articolo di Alban Gerhardì, The Strad, febbraio 2011

28
2.2 Il mordente

Fino alla seconda metà del XVII secolo gli Italiani non avevano il segno per indicare il
mordente e quindi come abbellimento era abbastanza ambiguo: può essere visto come derivato
dal trillo mordente, che a detta di Tosi assomigliava più a un piccolo trillo che a un mordente;
tremulus descendens, ovvero il trillo eseguito da nota principale con la nota ausiliare inferiore;
pralltriller (mezzotrillo in Italia), che ha l’enfasi sulla nota principale invece che quella
ausiliare, o gruppetto in levare che si possono trovare nelle composizioni di Tartini. Quindi
può essere eseguito non solo in battere ma volendo può essere preceduto da un Vorschlag. La
situazione di tutte queste incertezze viene chiarita un po’ nel XVII secolo quando il simbolo di
mordente superiore e inferiore viene codificato dai francesi ed è quello che vediamo fin oggi
(es. 2).

Es. 2

Ci sono due tipi di mordente: semplice e doppio. Il semplice è costituito da tre note. La prima
è la nota reale che giunge per grado congiunto discendente (mordente inferiore) o ascendente
(mordente superiore) alla nota successiva e torna alla nota reale. Quest’ultimo tipo è stato usato
molto raramente nella musica barocca ed è diventato di moda in un’estetica più tarda. Quello
che veniva usato più spesso era il mordente inferiore, a volte composto anche con altre fioriture,
oppure quello doppio, che consiste in due mordenti consecutivi, inferiori, superiori o di tipo
diverso e risultano come una quartina o cinquina. In ogni caso il mordente, soprattutto quello
doppio o multiplo, più alternazioni ha con la nota ausiliare, più facilmente è confondibile con
il trillo descendens, ovvero trillo inverso.

29
Geminiani nelle tabelle degli ornamenti del 1749 e 1751 dà un esempio del mordente multiplo
che però senza dubbio era il vecchio tremulus descendens (es. 3a).49 Nell’esempio 3b vediamo
il mordente con anticipazione di un Vorschlag.50

Es. 3 a b

L’importante è notare che la differenza principale tra trillo e mordente è quella che il mordente
può sottolineare più la frizzantezza ritmica, se eseguito in battere, che un insaporimento
armonico e inizia dalla nota reale invece che della nota ausiliare superiore. Quando, invece ha
funzione di elemento connettivo all’interno di una melodia può essere eseguito in anticipazione
o con un piccolo ritardo.

Tartini, invece, nel suo trattato introduce due tipi di ornamentazione come mordente: uno
simile alla forma melodica del gruppetto e l’altro era il mordente regolare.
La prima tipologia conteneva tre note precedenti la nota principale e poteva essere discendente
(es. 4a), forma prediletta dal compositore perché più naturale, oppure ascendente (es. 4b).
Queste tre note, secondo il violinista, assolutamente da evitare nelle melodie lente e tristi,
dovrebbero essere eseguite piano e velocemente per rendere la nota principale, forte, più
gioiosa e animata. Inoltre, questo implica di eseguirle in levare: ciò è molto importante perché
egli si avvicina all’uso del mordente come lo abbiamo oggi.51

<…L’espressione migliore consiste nella maggior velocità dell’esecuzione delle tre note
aggiunte; e consiste in tal modo, che quando non siano fatte velocissimamente, il Mordente, non
è più Mordente ma un modo Cantabile, espresso nelle tre note sud.te, e in somma, se ha da esser
Mordente, non si devono capire le tre note aggiunte, ma solamente sentirne l’effetto, ch’è di

49
Francesco Saverio Geminiani, The Art of Playing on the Violin, Op.9, London, 1751, facs., Esempio XVIII, p.
26
50
Francesco Saverio Geminiani, Trattato sul Buon Gusto nell’Arte Musicale, Londra, 1749, p. 56
51
Giuseppe Tartini, Regole per arrivare a saper ben suonar il Violino, col vero fondamento di saper
sicuramente tutto quello, che si fa; buono ancora a tutti quelli, ch’esercitano la Musica siano Cantanti, o
Suonatori, trascrizione digitale a cura di Marco Giustini, Firenze, 2012, p. 13

30
render la nota vivace, ardita, e piena di spirito <…> la forza della Voce, o del Suono non cada
sopra le tre note aggiunte, ma sopra la nota scritta della Cantilena, cosicché le tre note aggiunte
siano nel Piano, e la nota scritta nel Forte della Voce, o del Suono…>

a.

b.

Es. 4

Sul finir del XVIII secolo, il teorico Vincenzo Manfredini, stranamente, afferma che il
mordente può essere eseguito solamente con il mezzo tono mentre il trillo, sia col mezzo tono
che col tono. Per indicare i mordenti egli usava il segno moderno.

Nelle sonate di Domenico Scarlatti, invece, il tremulo probabilmente era riferito al mordente
multiplo e il segno di trillo indicava più spesso il mordente che il trillo stesso. In alcuni casi lo
troviamo proprio risolto in notazione (es. 5a)52 e anche preceduto da un Vorschlag (es. 5b).
Questo tipo di mordente composto è considerato come tipicamente Italiano e si incontra più
volte rispetto al mordente semplice. Se il tempo del brano lo permette, la nota principale può
essere abbellita anche con un piccolo trillo (es. 5c) sottolineando ancor più il disegno ritmico.

Es. 5 a. b. c.

Infine, vediamo che in Italia il mordente non aveva un utilizzo fisso, quello che oggi eseguiamo
come mordente superiore semplice, ed era piuttosto un nome riferito anche ad altri tipi di
ornamentazione, soprattutto quelle composte con altri abbellimenti che potessero ottenere
come risultato finale la messa a fuoco delle “spigolosità” ritmiche.

52
Segmento dalla sonata K. 105 di Domenico Scarlatti, batt. 130- 131

31
2.3 Il trillo

Il trillo è un altro abbellimento abbastanza complicato nella sua ambiguità dovuta soprattutto
ai segni grafici utilizzati per indicarlo. Molto spesso, specialmente nelle sonate di Domenico
Scarlatti,53 il segno di mordente è stato usato per indicare entrambi gli abbellimenti. Esso viene
eseguito alternando la nota principale con la nota ausiliare distante almeno mezzo tono o un
tono, mentre, per esempio, l’ampiezza del vibrato non è mai stata più di un semitono. Il trillo
può essere visto come una fioritura melodica, oppure come armonicamente tensiva.
Quest’ultima nella seconda metà del periodo barocco ha guadagnato rilevanza tale che qualsiasi
tipo di cadenza è difficilmente immaginabile senza questo tipo di trillo, ovvero trillo cadenzale
(es. 6a, 6b), che ha lo scopo di rinforzare l’armonia e a volte non veniva segnato in quanto
prassi abituale. A volte il trillo cadenzale poteva essere preceduto dal trillo doppio italiano,
che semplicemente era un trillo eseguito dalla nota principale in levare con le alterazioni ad
libitum.

A. Scarlatti, Quartetto F-dur, I, II mov.


a. b.

Es. 6

Esaminando la letteratura generalmente si possono trovare tre tipologie principali di trillo:54


1. Trillo semplice, composto da due note che può essere eseguito dalla nota principale o dalla
nota ausiliare superiore e quindi senza risoluzione finale.
2. Trillo semplice, che viene succeduto da una risoluzione, quindi in questo caso consistente in
tre note, coinvolgendo la nota inferiore alla principale alla fine del trillo.
3. Trillo composto, che è preceduto da un gruppetto o da un mordente coinvolgendo anche in
questo caso come terza nota, quella inferiore, pero all’inizio del trillo.

53
Vedi il capitolo 6.2
54
Frederick Neumann, Ornamentation in Baroque and Post-Baroque Music, with Special Emphasis on J.S.
Bach, Princeton University Press, 1978, p. 241

32
L’importante è fare attenzione che tutti i tre tipi abbiano come nota finale la nota principale e
non quella ausiliare superiore perché altrimenti questo trillo potrebbe assumere la forma di un
mordente.

I segni usati per indicare il trillo sono t, tr, +, // 55, 56


e molto spesso esso veniva eseguito
dalla nota ausiliare superiore in battere avendo, quindi, effetto di appoggiatura.
Particolarmente interessante è notare che fra i saxofonisti attuali c’è una forte tendenza a
pensare che il trillo nell’epoca barocca venisse eseguito solamente dalla nota ausiliare di sopra
limitando il pensiero, quindi, alla sola esistenza del trillo con appoggiatura. Se consideriamo il
trillo come ornamento armonico con il compito di arricchire il brano con le note dissonanti da
un lato è giusto pensare che questo tipo di esecuzione sia corretta perché la nota ausiliare di
solito era quella dissonante; nonostante questa teoria, non bisognerebbe dimenticare che a volte
la nota principale poteva essere ugualmente dissonante e quindi sarebbe assai strano escludere
l’esistenza di questa tipologia di trillo. Un buon modello potrebbe essere la famosa lettera di
Tartini alla Signora Maddalena Lombardini57 in cui egli consiglia di fare l’abbellimento in
accelerando graduale e nell’esempio dato (es. 7) vediamo che questo trillo è proprio quello che
inizia della nota principale.

Giuseppe Tartini

Es. 7

In più, egli, come Geminiani, in questa lettera si riferisce a un utilizzo consapevole


dell’abbellimento in base a quello che viene richiesto dalla musica.

55
Questo segno arrivato dall’Inghilterra a volte veniva usato anche per il mordente multiplo spesso nei trattati
didattici e molto raramente in pratica
56
A. Geoffroy- Dechaume, I “segreti” della musica antica, Ricerche sull’interpretazione nei secoli XVI, XVII,
XVIII, Milano, 1978, p. 101
57
Lettera Del Defonto Signor Giuseppe Tartini Alla Signora Maddalena Lombardini, Inserviente Ad Una
Importante Lezione Per i Suonatori Di Violino, 1760, marzo, p. 15

33
Io da lei lo (il trillo) voglio tardo, mediocre, e presto, cioè battuto adagio, mediocremente, e
prestamente; e in pratica si ha vero bisogno di questi trilli differenti, non essendo vero, che lo
stesso trillo, che serve per un grave, debba esser lo stesso trillo che serve per un allegro.

Un altro suggerimento che potrebbe indicare l’esecuzione del trillo dalla nota principale si
trova in una delle sonate (K 119) di Domenico Scarlatti:58 dopo tutta la scaletta discendente è
molto più logico perché non interrompe la linea (es. 8)

Es. 8

Nel trattato di Geminiani59 i primi due tipi si rispecchiano nei tre suddetti. Egli specifica che il
trillo semplice (es. 9) è più adatto ai movimenti veloci e può essere applicato su qualsiasi nota
finché passa alla nota successiva subitamente. Il trillo composto (es. 10) se lungo e veloce
esprime vivacità, ma se eseguito corto col suono più morbido può esprimere passioni tenere.

Es. 9 Es. 10

Il terzo tipo, invece, un po’ particolare, era chiamato trattenimento sopra la nota e poteva
essere eseguito in due modi diversi. Uno con la nota tenuta al inizio del trillo (es. 11a) e l’altro
con la nota tenuta alla fine del trillo (es. 11b).

58
Frederick Neumann, Ornamentation in Baroque and Post-Baroque Music, with Special Emphasis on J. S.
Bach, Princeton University Press, 1978, p. 353
59
Francesco Saverio Geminiani, The Art of Playing on the Violin, Op.9, London, 1751, facs., Esempio XVIII, p.
26

34
a. b.

Es. 11

In questo caso lui sottolinea che queste ultime due variazioni sono importanti soprattutto per
rendere la melodia più chiara, non facendo confusione su quali siano le note principali. 60 Dagli
esempi si vede che comunque l’uso del trillo con senso di appoggiatura è abbastanza comune.

Tornando al trattato di Tartini, troviamo altri esempi di trillo che hanno come nota di partenza
quella ausiliare di sopra (es. 12a, b).

a.

b.

Es. 12

Dopo aver visto questi esempi si può concludere il capitolo affermando che non bisognerebbe
fidarsi ciecamente della regola che il trillo nell’epoca barocca venisse sempre eseguito dalla
nota ausiliare superiore. Per esempio nei casi in cui fra le voci si formano quinte o ottave
parallele l’esecuzione semplicemente non è possibile. Bisognerebbe stare attenti anche alla
direzione in cui va la melodia e quale tipo di trillo risulti più appropriato, nonostante il fatto
che più spesso veniva utilizzato il trillo con la caratteristica dell’appoggiatura.

60
Francesco Saverio Geminiani, Trattato sul Buon Gusto nell’Arte Musicale, Londra, 1749, p. 53

35
2.4 Il gruppetto

Questo abbellimento, chiamato anche gruppo, groppo o circolo mezzo nella prassi esecutiva
barocca italiana è presente già dal XVII secolo ed è composto da tre note. È meno ambiguo
rispetto al trillo soprattutto perché viene indicato utilizzando il suo caratteristico segno grafico
francese, giunto in Italia nella seconda metà del XVIII secolo, che ingenera molta meno
confusione: .

Ci sono tre tipi principali di gruppetto. Il primo precede la nota reale, con effetto di
appoggiatura. Esso inizia dalla nota ausiliare superiore e sorpassando quella principale scende
giù alla nota ausiliare inferiore tornando alla reale (es. 13). Questa tipologia non ha avuto grossi
cambiamenti attraverso il tempo o sviluppi e veniva preferita particolarmente da tastieristi.

Es. 13

Il secondo tipo (in Italia circolo mezzo), che è associato più all’ornamentazione libera,
“iniziando con la nota reale ritornava a tale nota o andava alla terza superiore o inferiore”(es.
14 ). 61

Es. 14
La terza tipologia di gruppetto di solito veniva segnata fra due note procedenti per grado
congiunto e aveva funzione connettiva (es. 15).

Es. 15

61
A. Geoffroy- Dechaume, I “segreti” della musica antica, Ricerche sull’interpretazione nei secoli XVI, XVII,
XVIII, Milano, 1978, p. 118

36
La formula del gruppetto rovesciato che inizia dalla nota ausiliare inferiore, invece, nella prassi
esecutiva barocca si trova più raramente. Generalmente il gruppetto veniva eseguito in battere
e l’unico caso in cui potremmo trovarci in dubbio è il mordente di Tartini. Nelle sue
composizioni questo abbellimento era considerato come gruppetto in levare62 e quindi era
indicato maggiormente con note piccole, piuttosto che con il relativo simbolo. Secondo lui se
questo mordente viene eseguito con la prima nota sostenuta diventa modo naturale (es. 16).

Vi è un altro modo espresso in Note, come il Mordente, quando le sudette Note si eseguiscono
con tutta la velocità diventano Mordente, quando si sostenta la prima delle trè, diventa modo
naturale. 63

Es. 16

In caso di trillo composto in cadenza 64 l’importante è notare che nonostante possa sembrare
simile al gruppetto preceduto da un piccolo trillo, ovvero groppo (es. 17)65 non va eseguito
come un gruppetto indicato attraverso le diminuzioni. Quest’ultimo dovrebbe essere
considerato più lento e articolato con più chiarezza rispetto al trillo composto.66

Es.17

62
Vedi il capitolo 2.2
63
Giuseppe Tartini, Regole per arrivare a saper ben suonar il Violino, col vero fondamento di saper
sicuramente tutto quello, che si fa; buono ancora a tutti quelli, ch’esercitano la Musica siano Cantanti, o
Suonatori, trascrizione digitale a cura di Marco Giustini, Firenze, 2012, p. 20
64
Vedi il capitolo 2.3, p. 29
65
In Francia chiamato anche double cadence
66
Frederick Neumann, Ornamentation in Baroque and Post-Baroque Music, with Special Emphasis on J. S.
Bach, Princeton University Press, 1978, p. 471

37
2.5 L’appoggiatura

Il termine “appoggiatura”, di solito, è associato ad una nota ausiliare superiore o inferiore, di


un tono o mezzo, spesso dissonante, che viene eseguita in battere e legata alla nota principale
e ha lo scopo di esprimere amore, afflizione e piacere.67 La sua lunghezza può variare in base
al valore della nota ornata (es.18) e all’affetto richiesto: se eseguita corta avrà meno
importanza, sarà più brillante e meno dissonante; se, invece, eseguita più lunga sarà più
espressiva e degna di nota. Oltre all’appoggiatura lunga e breve c’è anche quella di passaggio
che di solito accorcia il valore della nota precedente.

Es. 18

Nella musica barocca tarda veniva più usata l’appoggiatura lunga con lo scopo di intensificare
progressioni armoniche. Secondo Quantz se il valore della nota principale può essere diviso in
due allora come regola generale l’appoggiatura durava la metà di essa (es. 19) e se, invece, era
divisibile in tre, due terzi.68

Es. 19

Anche secondo Geminiani, allievo di Corelli, un’appoggiatura dovrebbe essere preferibilmente


lunga, pur se non è da escludersi l’utilizzo di quella corta:

<… [appoggiatura superiore] dovrebbe sempre essere piuttosto lunga, di una durata superiore
alla metà del valore della nota cui appartiene, e vi si dovrebbe osservare un graduale aumento
della sonorità, rinforzando leggermente l’arcata verso la fine. Se fosse resa corta, molte delle

67
Francesco Saverio Geminiani, Trattato sul Buon Gusto nell’Arte Musicale, Londra, 1749, p. 54
68
Johann Joachim Quantz, Trattato sul flauto traverso a cura di Sergio Balestracci, 2010, cap. VIII, p. 110

38
qualità sopracitate andrebbero perdute; comunque sia essa sortirà sempre un gradito effetto, e
può essere aggiunta a qualsiasi nota.69

Mentre lui consiglia l’esecuzione in crescendo (es. 20) in altre fonti è suggerito di iniziare
l’appoggiatura più forte e poi diminuirla finché la risoluzione diventa più piano possibile70
perché altrimenti si rischia di fare l’esatto contrario rispetto ad un’esecuzione appropriata (es.
21).

Es. 20 Es. 21

Di solito nella trattatistica, questo abbellimento è considerato come appoggiatura lunga e in


battere quando indicato con una croma, quando, invece, con semicroma o biscroma come
appoggiatura corta anticipata, quindi in levare.

La medesima idea riguardo a lunghezza ed esecuzione di questo ornamento è stata connotata


anche da Giuseppe Tartini. Soltanto che egli suggerisce di non usare troppo spesso
l’appoggiatura lunga ossia sostentata, perché essa appartiene più a pezzi lenti e malinconici
quindi se usata nei brani vivaci appesantisce molto l’esecuzione. In più egli considera che sia
appropriata solo in presenza di note con durata differente, cioè quando una nota successiva
deve essere più lunga rispetto a quella ornata (es. 22 ) mentre l’appoggiatura breve ossia di
passaggio va meglio nei tempi di allegro o andante cantabile e soprattutto nei passaggi di
crome o semiminime discendenti in distanza di terze, come affermato anche da Quantz (es.
23).71

Es. 22

69
Francesco Saverio Geminiani, Trattato sul Buon Gusto nell’Arte Musicale, Londra, 1749, p. 54
70
A. Geoffroy- Dechaume, I “segreti” della musica antica, Ricerche sull’interpretazione nei secoli XVI, XVII,
XVIII, Milano, 1978, p. 87
71
Frederick Neumann, Ornamentation in Baroque and Post-Baroque Music, with Special Emphasis on J.S.
Bach, Princeton University Press, 1978, p. 175- 176

39
Es. 23

Per quanto concerne l’appoggiatura breve egli sottolinea che deve essere sempre fatta in
anticipazione e che più lunga è la nota principale più corto deve essere l’abbellimento.

40
3. Incisioni saxofonistiche di musica barocca

Copertina Titolo ed interpreti Casa discografica e Data di


numero pubblicazione

Straight From the Dorchester, 1994


Street
1003

San Francisco
Saxophone Quartet

Domenico Challenge Classics 1 Gennaio,


Scarlatti, Sonatas 1998
for Saxophone CC 72024
Quartet

Aurelia Saxophone
Quartet

Tails of the City EMI Records 1999

CDC 7 54132 2

San Francisco
Saxophone Quartet

Scarlatti Classico Records, 2003

CLASSCD 489

Copenhagen
Saxophone Quartet

41
Die Kunst der Channel Classics 5 Novembre,
Fuge 2004
CCS SA 20204

New Century
Saxophone Quartet

J. S. BACH: For Omninova Luglio, 2005


saxophone

Michael Ibrahim,
Dan Bartholomew
Chamber Players
Ensemble

Fugue In C Dog Challenge Classics, 10 Ottobre,


2005
CC 72148

Aurelia Saxophone
Quartet

Italian Baroque Classico Records, 9 Gennaio,


2007
CLASSCD687

Copenhagen
Saxophone Quartet

42
Masquerade Scl (Sony BMG), 19 Settembre,
2008
88697352112

Alliage Quintett

J. S. Bach Rascher Quartett 2011


Die Kunst der
Fuge

Rascher Saxophone
Quartett, Carsten
Klomp (organo)

Bach: Cello Suites Brilliant Classics, 27 Settembre,


- Arranged for 2013
Baritone LC 09421
Saxophone 17. 08. 2016
(second
edition)

Henk van Twillert

Bach: Partitas arr. 2 Ottobre,


Challenge, 2648
for Saxophone 2015

Raaf Hekkema

43
Musica Ficta 1 Ottobre,
Ars Production,
2016
ARS 38 207

Milano Saxophone
Quartet

Bachiana Berlin Classics 24 Marzo


2017

Asya Fateyeva,
Ruben Gazarian,
and Württemberg
Chamber Orchestra
Heilbronn


JOHANN Challenge 12 Gennaio,
SEBASTIAN Classics, 2018
BACH
Suites BWV 1007 – CC 72769
1012
Arranged for
saxophone

Raaf Hekkema

44
PARTE MONOGRAFICA

45
46
4. La vita vagabonda e l’apoteosi di uno scugnizzo

Le parole possono descrivere tante cose. Ma davvero possono esprimere quel letame e odore
misto fra pesce e frutta del mercato nella città di Napoli, dove nel 1685 è nato e cresciuto il
celebre clavicembalista, il sesto dei dieci figli di Alessandro Scarlatti e Antonia Anzalone; la
felicità del suo primo incarico di organista e compositore della cappella reale quando aveva
soltanto 15 anni; quella musica brillante suonata nei saloni veneziani durante il carnevale e i
concerti di Vivaldi nella chiesa della Pietà i quali, comunque, non hanno influenzato poi tanto
lo stile di Domenico Scarlatti ma si rispecchiano in alcune delle sue sonate; la prova di abilità
clavicembalistiche con Händel al palazzo del Cardinale Ottoboni72, e altre esperienze a Roma
nella corte della talentuosa regina Cristina di Svezia in compagna di uomini intelligenti e colti,
lavorando come maestro della cappella reale e della cappella Giulia? Probabilmente no.

Il protagonista di questo capitolo, coetaneo di Johann Sebastian Bach e Georg Friedrich


Händel, fu un personaggio abbastanza timido, introverso e riservato. Queste caratteristiche si
rispecchiano anche nelle sue composizioni perché piuttosto che uno stile ricco di personalità
abbiamo brani nei quali si riflettono gli stili dell’epoca e di suo padre. Da giovane
probabilmente non ha mai avuto una formazione musicale in conservatorio e ha imparato le
basi da Alessandro, che ha dedicato rigorosa attenzione all’educazione musicale del figlio, o
da qualche altro membro della famiglia e da ciò che sentiva nell’ambiente intorno a lui. Più
avanti, mentre abitava a Venezia, ha ricevuto consigli dal maestro del coro della Pietà,
Francesco Gasparini, collega di suo padre, che è stato anche insegnante di Johann Joachim
Quantz, Benedetto Marcello73 e Faustina Bordoni74.

Dal 1699 al 1714, mentre lavorava nel teatro privato della sua seconda protettrice a Roma, la
regina Maria Casimira di Polonia75, ha ancor di più conosciuto la cultura romana e i membri

72
È stato un cardinale che non molto fedele al celibato ecclesiastico come possono confermare tutti quei dipinti
delle sue amanti travestite da sante nella stanza da letto.
73
Benedetto Marcello (1686- 1739) è stato un compositore veneziano, poeta e scrittore italiano.
74
Faustina Bordoni (1697- 1781) è stata un mezzo-soprano veneziana, considerata uno dei grandi fenomeni
vocali del XVIII secolo, allieva di Michelangelo Gasparini protetta da Alessandro Marcello e Benedetto
Marcello.
75
Moglie di Jan Sobieski, Granduchessa della confederazione polacco- lituana, vissuta nel mito della sua
predecessora Cristina ma poco adatta a prenderne il posto.

47
dell’Accademia dell’Arcadia. Sebbene lui e Händel frequentassero lo stesso giro di persone e
fossero stati spesso invitati a suonare in quei saloni, non fecero mai parte dell’Accademia,
contrariamente a quanto accaduto a suo padre, a Corelli76 e Pasquini77. E chi sa che segreti
circolavano in quei giardini arcadici settecenteschi sopra le rumorose vie e vicoli di Trastevere
mentre si incontravano i più nobili letterati, musicisti e altri uomini di cultura.

Non essendo tante le possibilità lavorative, soprattutto per i professionisti della musica
strumentale, all’epoca subordinata all’estetica di quella vocale, oltre l’insegnamento e gli
impieghi nelle corti o nelle cappelle, tanti musicisti italiani emigravano per cercare le
condizioni culturali più adatte alle loro capacità concertistiche. Infatti, la maggior parte della
musica strumentale settecentesca di compositori come Vivaldi, Corelli e altri è stata pubblicata
all’estero. E tutto questo non sembrerebbe un concetto tanto lontano dal mercato delle arti che
abbiamo anche oggi.

Il nostro eroe non faceva certo eccezione. Dopo l’incarico romano, Domenico, considerato
come un maestro straordinario e capace di coltivare lo stile “a cappella” praticato molto in
Vaticano e così tanto amato dal re Giovanni V, nel 1719 fu chiamato a lavorare a Lisbona. Lì
il clavicembalista si sentiva quasi come a casa. L’unica differenza dalla quale è stato affascinato
era il porto al quale arrivavano le navi non solo dai paesi Mediterranei ma anche dall’America
e dall’Oriente trasportando vari tesori e particolari esotici. Il clavicembalista in questa città si
occupava soprattutto dell’educazione musicale della principessa Maria Madalena Bárbara di
Braganza e del suo zio don Antonio, oltre agli impegni come maestro di cappella fino al 1727.
Successivamente, per breve tempo tornò a Roma.

La vita privata giovanile del musicista rimane tutta un mistero dato che non ci sono rimaste
lettere o qualsiasi altra fonte che ci potrebbe dire qualcosa sui suoi sentimenti, personalità e
coinvolgimenti, magari anche sul perché abbia preso gli ordini minori e si vestisse sempre di
nero, a meno che la voce giornalistica sparsa a Lisbona non fosse una bugia. Questo potrebbe
spiegare anche il suo matrimonio, probabilmente convenzionale, nel 1728, quando ormai aveva

76
Arcangelo Corelli (1653- 1713) è stato un compositore e violinista italiano, importante per il suo contributo
allo sviluppo della forma della sonata strumentale e del concerto grosso.
77
Bernardo Pasquini (1637- 1710) è stato un compositore, clavicembalista attivo a Roma.

48
42 anni con la sedicenne Maria Catalina Gentili che gli dona cinque figli. Dopo la sua morte
nel 1742 sposò in seconde nozze la spagnola Anastasia Maxarti Ximenes.

Nel 1729 dopo il matrimonio della sua dotatissima allieva diciottenne con Ferdinando di
Borbone, erede al trono di Spagna, di due anni più giovane, gli fu chiesto di seguirla e si trasferì
dapprima a Siviglia, poi, in seguito, nel 1733, a Madrid, sempre come maestro della
principessa. Il loro rapporto gli ha portato ispirazione per le sue composizioni soprattutto per
offrirle i materiali di studio e sviluppo che fino ad oggi sono presenti nelle sale concertistiche,
mentre lei molto probabilmente lo associava con la sua identità musicale. Domenico rimase in
Spagna per il resto della sua vita, durata altri 25 anni. Lì maturò una stretta amicizia con Carlo
Broschi, il celeberrimo cantante napoletano castrato noto ai più col nome d’arte di Farinelli.
Morì a Madrid il 23 luglio del 1757, all’età di 71 anni.

49
5. Sonate brillanti del diavolo stesso78

Il nome del virtuoso della tastiera napoletano, mitizzato nella sua epoca come uno dei più
grandi strumentisti d'Europa, caro amico di Georg Friedrich Händel, Domenico Scarlatti, è
citato molto più spesso in relazione al suo patrimonio delle eccezionali sonate per tastiera
piuttosto che alla sua musica vocale, profana e sacra che purtroppo in gran parte è andata
perduta. La maggior parte delle 55579 Sonate per clavicembalo oggi note, fu scritte da
Scarlatti presubilmente in massima parte80 la principessa Maria Barbara. Purtroppo, non è
rimasta nessun tipo di conferma quando queste sonate siano state composte.

Con qualche eccezione, ma avendo il giro armonico sempre simile, sono tutte in un unico
movimento, diviso in due parti simmetriche con ritornello. Questa forma ancora molto
somigliante alla suite è comune nella musica strumentale e vocale del XVII e XVIII secolo.
Anche se essa è semplice, all'interno c’è tanta varietà ed espressività musicale con momenti
altamente virtuosistici e respiro dello stile contrappuntistico napoletano intrecciato fra libertà
fantasiosa e pensiero razionale compositivo.

Alcune sonate hanno carattere vivace con melodie di estrema difficoltà, altre sono tranquilli
brani di carattere pastorale, alcune sono riempite di citazioni dall’opera seria e comica, dal
folclore iberico e richiami dalla musica francese, alcune hanno una maniera di sviluppare la
melodia tipica della scuola italiana, alcune hanno particolare vitalità ritmica, altre sono molto
melodiche, cantabili e piene di sensibilità, alcune rispecchiano la struttura narrativa arricchita
con risoluzioni armoniche insospettate ma create consapevolmente. Queste generalizzazioni,

78
Come riportato nel libro Domenico Scarlatti di Ralph Kirpatrick, 1984, Torino, p. 41 una delle testimonianze
su Scarlatti esecutore è tratta da Charles Burney, musicista e storiografo inglese suo contemporaneo. Questo
episodio famoso fu raccontatogli dal compositore e organista anglo-irlandese Thomas Roseingrave che nel 1739
si fece anche editore delle sonate di Domenico in Inghilterra: “Dopo che un'allieva di Gasparini ebbe eseguito
una cantata del maestro, presente al cembalo per accompagnarla, fu la volta d'un giovane d'aspetto severo,
vestito di nero e con una parrucca nera, che se ne era rimasto in un angolo della stanza, silenzioso ed attento
mentre Roseingrave suonava; pregato di sedere al clavicembalo, bastò che cominciasse a suonare perché Rosy
avesse la sensazione che dieci centinaia di diavoli sedessero allo strumento; mai prima di allora aveva ascoltato
passaggi così efficacemente realizzati”. Successivamente rimase cosi sconvolto e vergognato che per un mese
restò senza suonare.
79
Sonate incluse nel catalogo redatto da Ralph Kirkpatrick
80
Le prime trenta Sonate, furono pubblicate nel 1738 con dedica al re Giovanni V del Portogallo, padre di
Maria Barbara.

50
chiaramente, non possono esprimere tutte le finezze e l’originalità della scrittura scarlattiana la
quale per più di cinquecento volte è viva fino a oggi attraverso diverse sfumature, risoluzioni
e passioni nello stesso disegno formale.

Esaminando il facsimile81 delle tre sonate82 per clavicembalo di Domenico Scarlatti, il


manoscritto della trascrizione, presubilmente di Gabriel Pierné per quartetto di saxofoni e la
versione a cura di Jean-Yves Fourmeau stampata dalla casa editrice parigina Gérard Billaudot,
si può trovare abbondante quantità di differenze per quel che riguarda tempo, metro, tonalità
di trasporto, cambiamenti armonici e soprattutto gli abbellimenti. Nei prossimi capitoli
analizzeremo la forma evidenziando le dissomiglianze.

81
Tutti i manoscritti originali di Domenico Scarlatti sono andati perduti negli archivi portoghesi e spagnoli e
quindi restano solo copie d'epoca delle sonate. Come possibile leggere nella rivista Amadeus, Anno XVII,
Numero 1, aprile 2007, p.12 nella biblioteca Marciana di Venezia si trovano i quindici volumi (rilegati in
marocchino rosso con le armi di Spagna e Portogallo impresse in oro) con 496 sonate che sono state acquistate
nel 1835; altri volumi con 463 sonate in parte coincidenti con la serie veneziana, invece, si trovano nel
Conservatorio Arrigo Boito di Parma dal 1899.
82
K. 427, K. 474, K. 519 (K. = Catalogo Ralph Kirkpatrik)

51
6. La ricerca dell’origine dei Tre Pezzi di Domenico Scarlatti – Gabriel
Pierné nei labirinti oscuri Parigini

L’indagine per trovare lo spartito originale delle Tre Sonate (K. 427, K. 474, K. 519) è stata
veramente commovente ma purtroppo non ha avuto la fine desiderata. Le parti ricevute dal Mo
Federico Mondelci che abbiamo sempre utilizzate con il Dolomiti Saxophone Quartet nei
concerti e nelle varie masterclass non avevano nessuna sigla di qualche biblioteca o un altro
tipo di numero o firma. Anche la scrittura, effettivamente, non assomigliava a quella
dell’alunno del Conservatorio di Parigi, compositore, organista e direttore d'orchestra francese
Gabriel Pierné83 (es. 24) che è noto anche per la sua Introduction et variations sur une ronde
populaire per quartetto di saxofoni che ormai fa parte del nostro repertorio tradizionale.

Es. 24

83
Gabriel Pierné (1863–1937) fu allievo brillante di César Franck per organo e Jules Massenet per
composizione, molto amico di Claude Debussy. Nel 1882 vinse il Prix de Rome.

52
Questo, dentro il terreno del mio cuore, oltre un gran dubbio e inquietudine, ha seminato un
paio di domande paragonando il manoscritto misterioso con la versione stampata dalla casa
editrice francese Gérard Billaudot fondata a Parigi nel 1896.

Il manoscritto olografo di Pierné sembra essere irrintracciabile: nessun archivio o fondo


bibliotecario pubblico Francese o Italiano parrebbe averlo in catalogo. Allo stesso modo, lo
spartito nell’esempio 24, di provenienza incerta, sembrerebbe essere una copia clandestina da
un originale ignoto, magari proveniente da una collezione privata. L’assenza di numeri sui fogli
ci fa sospettare che questa trascrizione non si trovi in alcuna biblioteca perché le segnature
servono non solo per catalogare e tenere tutto in ordine ma anche per tutelare i documenti da
eventuali furti e tentativi di rivendita. Anche la prova di trovare la fonte originale nella più
grande biblioteca francese, la Bibliothéque nationale de France, BnF, non ha avuto successo.
Nonostante la speranza, anche dopo aver scandagliato l’intero fondo nazionale degli archivi
censiti, la ricerca non ha dato frutto. L’unica cosa che, a questo punto, mi è stata suggerita, è
stata di contattare il musicista Jean-Yves Fourmeau, professore del CRR de Cergy-Pontoise,
saxofonista di fama internazionale e curatore dell’edizione dei tre pezzi per Billaudot.

“J'ai refait quelques recherches complémentaires et ne trouve toujours aucune trace d'un
manuscrit de cette oeuvre. Peut-être se trouve-t-il dans une collection privée.
Peut-être Jean-Yves Fourmeau, qui a édité l'oeuvre pour Billaudot, serait-il le plus apte à
répondre à vos questions.” 84

In effetti, essendo responsabile della trascrizione, poteva verosimilmente essere la persona


giusta per la risoluzione del caso. Ma, contattato, non ha fatto altro che confermare la presenza
di una fitta nebbia fantasmagorica intorno a queste partiture consigliando di contattare il prof.
Jean-Marie Londeix, alunno mitico di Marcel Mule, che al momento possiede la più grande
biblioteca al mondo per quanto riguarda il repertorio saxofonistico.

“J’ai toujours entendu de mon professeur Daniel DEFFAYET, successeur de Marcel MULE au
CNSM de Paris, que les 3 pièces de SCARLATTI avaient été transcrite pour quatuor de
Saxophones par Gabriel PIERNE. Je n’ai jamais vu le manuscrit que vous possédez.
Personnellement je joue ces trois pièces sur une copie venant d’une copie manuscrite qui n’est
pas le manuscrit d’origine je pense, donc difficile de connaître la source. Personnellement je joue

84
François-Pierre Goy, Département de la Musique, Bibliothèque nationale de France, Question #13111448,
2 gennaio 2018; (Risposta alla e–mail privata del 4 febbraio 2018)

53
ces trois pièces sur une copie venant d’une copie manuscrite qui n’est pas le manuscrit d’origine
je pense, donc difficile de connaître la source. Vous devriez peut-etre vous adressez à Jean-Marie
LONDEIX qui a la plus grande bibliothèque au monde du répertoire du saxophone.”85

Successivamente, ho mandato la richiesta d’aiuto al famoso maestro e anche se non ho ricevuto


la risposta sognata almeno si è confermato il fatto che essendo così tanto diverso il manoscritto
e spartito di Billaudot, la terza sonata (K. 519) molto probabilmente non è stata arrangiata da
Pierné. A questo punto non ci resta che sperare che il manoscritto originale faccia parte di
qualche collezione privata dato che la proposta del maestro di fare la ricerca negli archivi della
BnF non fa altro che rimandare all’inizio della ricerca come se fosse la ruota di un criceto.

“Je ne peux pas vous dire grand chose des Sonates de Scarlatti arrangées pour quatuor de
saxophones. Je sais seulement que Gabriel Pierné en a arrangé deux (j’ignore lesquelles). Le
Quatuor Mule en mettait fréquemment trois au programme de ses concerts (Il les a enregistrées
pour Decca, en 1956). Le Quatuor Mule jouait sur le manuscrit de Pierné que sont devenues ces
partitions manuscrites? Je l’ignore. Peut-être sont-elles tout bonnement à la Bibliothèque
Nationale de Paris… ou dans une bibliothèque privée?”86

Magari è un caso identico a quelli famosi dell’Ave Maria di Caccini che in verità è una
composizione di Vladimir Vavilov, dell’Adagio in sol minore di Albinoni che invece è del
musicologo milanese Remo Giazotto o della Chanson balladée di Guillaume de Machaut che
è di Antonino Riccardo Luciani, perché soprattutto negli anni ’50- ’70 era abbastanza tipico
dare nomi di autori più famosi ad arrangiamenti e varie composizioni alle quali si desiderava
dare maggior risonanza. Quest’ultima sonata dei Tre Pezzi potrebbe, dunque, essere una
trascrizione di Marcel Mule aggiunta alle altre due sonate già esistenti?

Resta un mistero la storia della composizione, un suo eventuale committente, la sua datazione.
Nessun documento d’archivio sembra citarla e, allo stesso modo, non sembra comparire negli
elenchi delle opere di Pierné fatti salvi i riferimenti seguenti alla pubblicazione da parte di
Billaudot. Le uniche fonti storiche che ho potuto riscontrare in modo da attestarne la paternità
e l’esistenza all’inizio del XX secolo, riguardano qualche esecuzione del Quatuor de

85
Risposta alla e–mail privata del 4 febbraio 2018
86
Risposta alla e–mail privata del 10 marzo 2018

54
Saxophones de Paris, come quella che documenta il primo dei tre pezzi (Presto Giocoso, K.
427) in un concerto tenuto nella Capitale il 29 febbraio 1936.87

Segmento dalla rivista L'Ouest-Éclair

Il mistero del manoscritto, con grande dispiacere, rimane irrisolto però analizzare le differenze
fra la copia non segnata e l’edizione della casa editrice Gérard Billaudot, che vedremo nei
capitoli successivi, è necessario per un’esecuzione stilisticamente più appropriata riguardo alle
finezze compositive e alla valutazione critica delle scelte per l’interpretazione del brano.

87
La rivista regionale quotidiana (1899–1944), L'Ouest-Éclair, 25 febbraio 1936, p. 6

55
6.1 Analisi formale e peculiarità della Sonata in Sol maggiore K. 427

La compagna della sonata K.42688, la K. 42789 o numero 10, come indicato nel facsimile,
essendo una delle prime sonate ha una forma molto chiara:

A B

Funzione armonica T Ponte D D Ponte T


Tonalità Sol magg. Re magg. : : Re magg. Sol magg. :
Temi a90 b91 b192, b293

Questa sonata è molto nota soprattutto per l’indicazione particolare del tempo e questa
affermazione la possiamo trovare anche nel libro del musicologo e critico Giorgio Pestelli:

Un vero capolavoro è anche la Sonata, assai nota, L286; è sempre rischioso parlare di primati,
ma è questa forse una delle prime pagine della storia della musica che porti la didascalia Presto,
quanto sia possibile (sic). La dizione è significativa perché proprio la velocità senza gradazione,
fine e non veicolo, alla maniera dei futuristi, diviene la protagonista della Sonata; non pero in
modo tale da non consentire che il soprano della mano destra, mentre la sinistra continua il suo
rottadicollo, non trovi il tempo di sdoppiarsi talvolta in due voci colloquianti.94

Nella versione per quartetto, infatti, queste due voci summenzionate della mano destra nella
prima metà della sonata sono distribuite, il più delle volte, fra il saxofono soprano e il tenore.

88
Certa parte delle Sonate va a coppie basandosi sulla stessa tonalità, alternando il modo maggiore e minore per
creare organismi più ampi e contrastanti.
89
L. 286, (L. = Catalogo Antonio Longo)
90
Batt. 1-8
91
Anche se non è il tema vero e proprio a sé stante come si potrebbe distinguere nelle sonate di W. A. Mozart
quindi sarebbe più corretto considerare come un materiale tematico derivato dal primo tema. Questa è una delle
caratteristiche tipiche della forma sonata scarlattiana e vale per tutte le sonate seguenti nella ricerca.

Il tema b: Batt. 8- 17 con una piccola coda fino alla batt. 22 con lo stesso materiale tematico-ritmico.
92
Batt. 22-25 sviluppo della cellula presente già nel tema b (battute 10-11).
93
Batt. 25- 34 con un doppio pedale di Sol e Re dalla batt. 29 e una coda seguente dalla batt. 34 fino alla fine.
94
Giorgio Pestelli, Le sonate di Domenico Scarlatti: proposta di ordinamento cronologico, Torino, 1967, p. 249

56
Nella seconda metà, invece, Gabriel Pierné lascia intervenire anche il saxofono contralto e il
baritono in piccoli dialoghi con il saxofono tenore. Il puro gioco fra gli strumenti scorre
velocemente e poi viene interrotto da eccessivamente vivaci accordi ribattuti creando una
gioiosa e scintillante pagina virtuosistica.

Considerando l’importanza della scelta di tempo nell’esecuzione di musica barocca e


seguendo i consigli di celebri compositori e musicisti come C. P. E Bach che propone, ad
esempio, di pensare bene ai passaggi e alle note più veloci del brano per evitare che l’Allegro
acceleri troppo e al contrario che l’Andante rallenti e diventi pesante95, o al suggerimento di
Quantz per qui qualsiasi velocità sia scelta per un Allegro non dovrebbe mai perdere il
controllo in quanto il suo carattere principale è la leggerezza96 vien da chiedersi quale sia allora
il tempo giusto per non perdere la qualità dell’interpretazione suonando con un quartetto di
saxofoni. Magari per la medesima ragione anche nello spartito moderno a cura di Jean-Yves
Fourmeau il tempo indicato (presto giocoso) non è quello che si trova sul manoscritto di Pierné
e corrispondentemente nel facsimile di Scarlatti (Presto, quanto sia possibile) (es. 25).

Es. 25

95
Robert Donington, Baroque Music: Style and Performance: A Handbook, London, 1982, p. 28
96
Johann Joachim Quantz, Trattato sul flauto traverso a cura di Sergio Balestracci, 2010, cap. XII, p. 154

57
Inoltre, nell’angolo della prima pagina troviamo un’ostacolante indicazione metronomica:

. Nonostante prima del 1816 non fosse prassi indicare in tal modo le velocità, stando a
quanto indicato da Quantz questa velocità potrebbe risultare come Poco Allegro, Allegro
moderato, quindi non avrebbe niente a che fare con il tempo originale indicato dal famoso
clavicembalista. Volendolo portare a un tempo più rapido, bisogna considerare che nonostante
le dita possano correre velocemente sul saxofono, si può incorrere nel rischio concreto che,
essendo un organismo composto da quattro individui, si possa facilmente rovinare l’esecuzione
in caso nel risultato finale mancasse la chiarezza soprattutto fra gli scambi di fraseggi e piccole
cellule compositive di una battuta con semicrome (es. 26). Dopo aver sperimentato diversi
tempi, il nostro Dolomiti Saxophone Quartet consiglierebbe come scelta migliore MM= 132-
140 perché permette ad eseguire il brano con tutti i dettagli mantenendolo scorrevole e agile
senza accelerazioni impreviste.

Es. 26

Dato che la scelta della tonalità, in età barocca, era legata alla teoria degli affetti, è molto
interessante scoprire cosa succede a riguardo nella trascrizione. Mentre la sonata originale è in
Sol maggiore che ha il significato di gioia97, brillantezza, momenti lusinghieri98, passioni
pacifiche, amicizia vera e anche sentimenti d’amore99, la versione per il quartetto è in Sol
bemolle maggiore che ha il significato, invece di vittoria contro le difficoltà100, quindi ha una

97
Secondo M. A. Charpentier (1643- 1704)
98
Secondo J. Mattheson
99
Secondo Ch. Fr. D. Schubart (1739- 1791)
100
Ibid.

58
sfumatura di carattere più eroico e grandioso e questo già potrebbe cambiare la fiamma pilota
dell’interpretazione; appesantire l’articolazione implicando dinamiche più forti e spinte così
perdendo la leggerezza e il significato della tonalità originale.101

Oltre questi, ci sono anche altri cambiamenti riguardo composizione e disposizione delle voci.
A partire già dalla prima battuta troviamo un accordo pieno di Sol bemolle maggiore, con una
terza al sax contralto, mentre nella versione originale è indicata soltanto una quinta. Come
risultato in questo caso abbiamo una percezione subitanea del modo della tonalità (es. 27).

Es. 27

L’ultima battuta della prima (es. 28a) e anche della seconda parte è un altro esempio di
composizione libera mantenendo simile solo la parte del sax baritono (es. 28b) dopo la quale
segue una piccola imitazione dell’elemento abbellito che non è indicata dal compositore
napoletano (es. 29).

101
Tutto ciò dando per scontato un’esecuzione con diapason a 442 Hz.

59
Es. 28 a

Es. 29

60
Concludendo, come vedremo paragonando le altre due sonate, questa versione per quartetto è
la più corrispondente al facsimile e ha meno parti di composizione libera sia armonicamente
sia riguardo gli abbellimenti.

61
6.2 Analisi formale e peculiarità della Sonata in Mi maggiore K. 474

Uno degli andanti più belli fra tutte le sue sonate, considerate anche come studio fondamentale
non solo per i clavicembalisti ma anche per la formazione pianistica, L’Andante e cantabile K.
474102 è basato sulla trasfigurazione d’un canto popolare spagnolo accompagnato dagli accordi
di una chitarra.103

A B

Funzione armonica T Ponte 104 Cambio Relativo Ponte105 T


di modo : : minore :
Tonalità Mi magg. si min. do min. Mi magg.
Temi a106 b107 b1108

Il pericolo nel mondo saxofonistico eseguendo questo brano è quello di scegliere un tempo
troppo lento e fare rallentandi non scritti ogni quattro battute, romanticizzando l’esecuzione.
Chiaramente, allo stesso modo, è da stigmatizzare l’eccesso opposto: è sempre necessario
mantenere la flessibilità del tempo e dare la giusta importanza alle cadenze. Secondo
Couperin109 proprio attraverso esse si può dare l’anima a un brano perché costituiscono una
parte costruttiva essenziale nella musica dell’epoca barocca. Inoltre bisognerebbe considerare

102
Oppure L. 203 o No. 21 in facsimile
103
Notizia tratta dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 9 novembre 2001

104
Batt. 8-13, ponte modulante andando verso Si magg.

105
Batt. 36- 42, ponte modulante attraverso una progressione in mi min.
106
Batt. 1-8
107
Batt. 8- 22 con un pedale di T (batt. 22-23, 25-26) e una cadenza perfetta (batt. 27-28)

108
Batt. 29- 51 attraverso una progressione in mi min. dalla batt. 36 con una piccola coda dalla batt. 51 a 54 su
un pedale di T di Mi magg.
109
François Couperin (1668- 1733), L’Art de toucher le clavecin, Parigi, 1717, Prefazione

62
sempre vantaggi o svantaggi dell’acustica offerta dal luogo dell’esecuzione. Un buon musicista
non dovrebbe mai scegliere un tempo troppo lento se l’acustica è secca e viceversa. In ogni
caso bisognerebbe tenere conto del fatto che scegliendo un tempo un po’ più veloce tanti
problemi riguardanti articolazione e dinamica potrebbero risolversi in modo molto naturale. I
movimenti lenti hanno sempre bisogno di avere una direzione più chiara e un tempo abbastanza
scorrevole non perdendo la tensione della linea melodica.

La tonalità originale di questa perla scaramazza scarlattiana, Mi bemolle maggiore110, ha un


significato riconducibile alla sfera del patetico, della serietà111, oppure dell’amore, dialogo triste
con Dio o anche, data la presenza di tre bemolli in chiave, può essere intesa come un simbolo
della Santa Trinità,112 mentre la trascrizione per quartetto avrebbe la descrizione di una che può
soltanto sorridere ma non ridere e fare una smorfia piangente ma non gridare.113 Quindi diventa
ovvio che le due tonalità, anche se vicine, non hanno significato comune e in questo caso
particolare neanche simile.

La caratteristica principale di questa sonata in relazione a ciò che stiamo indagando


probabilmente è data da alcuni abbellimenti che non sono allineati nella trascrizione parigina.
Ad esempio nella prima battuta l’elemento principale ritmico del primo tema (a)114, nel
facsimile è segnato come un mordente (es. 30). In questo caso il simbolo ha funzione di trillo
dalla nota principale, assai tipico dello stile di Domenico come già menzionato anche nel
capitolo 2.3. L’andamento delle parti suggerisce questa soluzione in quanto si andrebbe a
creare una quinta, turbata successivamente dalla figura ornamentale. Se il trillo dovesse
principiare dalla nota ausiliare si formerebbe un intervallo di quarta, dissonante, non
adeguatamente preparato ed è giustamente indicato nelle parti del sax soprano (es. 31a) e tenore
(es. 31b) nel manoscritto. Inoltre, questa figura è stata usata per costruire le cadenze seguenti
nel pezzo.

110
Nel facsimile la composizione è scritta in modo lidio trasportato un tono sotto anche se già dall’inizio
abbiamo la percezione precisa di tonalità di Mi magg.
111
Secondo J. Mattheson
112
Secondo Ch. Fr. D. Schubart
113
Ibid.
114
Successivamente viene ripreso nelle batt. 12, 32 e 41 nella versione pianistica

63
Es. 30 Es. 31 a b

Evidentemente Jean-Yves Fourmeau non è giunto alle mie stesse conclusioni: nella parte da
lui editata, infatti, troviamo, nel sax tenore, proprio un’appoggiatura breve superiore
precedente il trillo (es. 32). A questo punto verrebbe da chiedersi come, essendo un’imitazione
della voce superiore, possa essere considerata giusta un’esecuzione del genere?

Es. 32

Altro suggerimento completamente fuori contesto è indicato nella battuta 13. Questo bellissimo
ritardo ornato 4-3, indicato nuovamente con segno di mordente dal maestro del clavicembalo
(es.33) e con un segno di tr seguito da sull’ultima semiminima nella parte del sax soprano,
viene precisata nella versione della casa editrice Billaudot con anche un segno di appoggiatura
breve (es. 35). Questo forma una quinta, ovvero una consonanza, per poi risolvere sulla
dissonanza prodotta dall’intervallo di quarta: l’esatto opposto della funzione propria
dell’appoggiatura.

64
Es. 33 Es. 34 Es. 35

L’esecuzione più vicina alla realtà barocca dovrebbe soltanto contenere un segno di mordente
semplice nella parte del sax soprano sulla prima croma puntata e sull’ultima semiminima
oppure, allo stesso modo di quanto indicato in precedenza, un mordente doppio che ci lascia in
sospensione con la cadenza evitata sulla dominante e invece di risolverla ci porta in si minore.

Anche nella battuta 36 sopra la croma puntata del sax soprano nella scrittura moderna dovrebbe
essere indicato il simbolo del trillo ed eseguito dalla nota principale perché deve formarsi una
dissonanza come nella battuta 40 (es. 36).

Es. 36

Le seguenti imprecisioni si trovano nella battuta 6 dov’è andato perduto un mordente nella
parte del sax contralto (es. 37).

65
Es. 37

Nella battuta 27 della versione saxofonistica c’è un mordente inserito nella parte del sax
contralto non contenuto nella versione clavicembalistica. Tuttavia, otto battute dopo, nella
cadenza successiva, Domenico lo segna di nuovo quindi non sarebbe dal tutto sbagliato
eseguire il trillo in entrambi i casi (es. 38). Soprattutto perché richiama l’elemento principale
del primo tema.

Es. 38

Gli esempi con i trilli cadenzali dalla nota ausiliare superiore corrispondenti al facsimile si
possono trovare nelle battute 19 e 38 della trascrizione per quartetto di saxofoni sia stampata
che manoscritta (es. 39).

66
Es. 39

Riguardando le scelte compositive vediamo che la parte nella seconda metà della sonata da
battuta 42 a 47 in mi minore, che è comunque una ripetizione delle battute seguenti (47-50),
è tagliata fuori dall’edizione saxofonistica evitando ritornelli sia della parte A che B.

Questa sonata è un perfetto esempio convincente del fatto che sia meglio non fidarsi della
scrittura moderna novecentesca circa gli abbellimenti dell’epoca barocca e bisognerebbe
piuttosto ragionare personalmente paragonando il facsimile con le versioni saxofonistiche di
musica antica che abbiamo in mano prima di eseguirle, soprattutto dalle edizioni francesi.

67
6.3 Analisi formale e peculiarità della Sonata in fa minore K. 519

L’affascinante, vivace ed energico Scherzo K. 519115, attraverso il tipico procedimento barocco


della progressione dà uno slancio elettrizzante a tutto il brano realizzato in puro stile
toccatistico116. All’inizio potrebbe sembrare anche uno spaventoso e irrefrenabile veicolo verso
un abisso di indifesa melanconia, estrema instabilità117, poca chiarezza, lamento118, oscura
tristezza e perfino desiderio che la mano di morte119 si stenda più in fretta portandoci nella
tomba per il riposo eterno, se crediamo nella descrizione della tonalità di fa minore120. Inoltre,
anche la tonalità di trasporto, mi minore, ha il significato di terrificante121 e fantasmica,
riempita di emozioni angoscianti dell’anima122 e quindi, quasi uguale alla summenzionata. Per
fortuna nessuna delle versioni di questa sonata ci lascia travolti dalla disperazione e dall’alito
gelido della decadenza che ci accarezza la spalla seducendoci verso una follia schizofrenica.
Alla fine il brano si manifesta in Fa maggiore123 come simbolo di emozioni più nobili e
trionfanti contro qualsiasi dubbio, paragonata anche a una persona che ha successo in ogni cosa
che fa.124

Qui sotto si trova un’analisi formale della terza e ultima sonata nella trascrizione per quartetto
di sax. Come vedremo più avanti, purtroppo, questa pagina scarlattiana nella trasformazione
saxofonistica è stata scritta davvero con tanti “scherzi” che la rendono, talvolta, irriconoscibile

115
Oppure L. 475
116
Come riportato nel libro Domenico Scarlatti di Ralph Kirpatrick, 1984, Torino, p. 145 molto spesso
Domenico usava il termine toccata come sinonimo di sonata. L’unica eccezione nel senso formale è la Toccata
del manoscritto 58 di Coimbra.
117
Secondo J. Mattheson
118
Secondo Ch. Fr. D. Schubart
119
Secondo M. A. Charpentier
120
Nel facsimile la composizione è scritta in modo dorico trasportato una terza minore sopra.
121
Secondo M. A. Charpentier
122
Secondo Ch. Fr. D. Schubart

123
La versione sassofonistica equivalentemente in Mi maggiore. Per il significato vedi il capitolo 6.2.
124
Secondo J. Mattheson

68
rispetto alla versione originale. Per questa ragione ritengo che sia più giusto appellarla come
un vero e proprio arrangiamento piuttosto che trascrizione.

A B

Funzione armonica T Ponte125 D D Ponte126 Cambio di


modo
Tonalità f min. Do magg. : : Do magg. F magg. :
Temi a127 b128 a129 b130

Partendo dalla prima battuta nel primo accordo della trascrizione nella parte del sax contralto
troviamo una terza della tonica di mi min., la tonalità in cui è stata trasportata la sonata, mentre
il celebre clavicembalista inizia la pagina soltanto con un’ottava e già qui si apre un
interrogativo sul perché bisogni riempire l’accordo per forza e non sia stata messa piuttosto la
quinta dell’accordo secondo le norme dell’arrangiamento (es. 40).

Es. 40

125
Batt. 17- 49 attraverso una progressione in re min. su un pedale di dominante, mi min. su un pedale di
dominante e do min. su un pedale di tonica.
126
Batt. 103- 133 attraverso una progressione in Sol magg., do min. tornando a “casa”, quindi fa min.
127
Batt. 1- 17
128
Batt. 49- 73 con una coda seguente in Do magg. (batt. 73- 93)
129
Batt. 94- 103
130
Batt. 125- 149 con una coda seguente in Fa magg. (batt. 149- 93)

69
Subito dopo, nella seconda battuta della versione di Billaudot vediamo un’appoggiatura breve
anche se né Gabriel Pierné131 né Domemico Scarlatti l’hanno segnata nello spartito e ci
troviamo nello stesso identico caso già discusso nel capitolo precedente riguardante lo scopo
dell’appoggiatura. In ogni caso la legatura fra prime due note, invece, indicata da Pierné in
questa figurazione si ritrova in tutta la sonata132 e potrebbe essere considerata come una vera
appoggiatura (es. 41).

Es. 41

Controllando i giri armonici nelle battute 37, 41133 e 106134 si notano varianti che rispetto alla
versione originale suonano più consonanti e diminuiscono l’importanza delle progressioni
(es. 42° e 42b).135

131
Per ottenere risultati più chiari in questa analisi è stata utilizzata la partitura che ho ricavato dalle parti
singole manoscritte della trascrizione di Gabriel Pierné cambiando il metro da 6/8 a 3/8 come nel facsimile.
132
Ad es. batt. 2, 3, 4, 5, 10, 11 ecc.
133
Nella parte di sax tenore.
134
Nelle parti di sax tenore e contralto.
135
In questo caso gli esempi a destra tratti da versione di Pierné sono stati corretti in base al facsimile.

70
Es. 42a

Es. 42b

Il fatto che la versione di Pierné sia un vero arrangiamento lo si può desumere da alcuni
momenti con battute inesistenti nella versione scarlattiana o mutazioni all’interno di diverse
frasi.

71
Segmento dalla batt. 86 fino a 98 (versione Fourmeau)

Segmento dalla batt. 86 fino a 98 (versione Pierné)

72
Segmento dalla batt. 78 fino a 93 (facsimile)
Es. 43

Paragonando queste tre versioni (es. 42) vediamo che le battute 89- 90 e 93- 94 nella versione
di Domenico non esistono e sono identificabili, quindi, come composizione libera. Inoltre, nella
trascrizione di Billaudot nella parte di sax tenore, riscontriamo nuovamente in diversi punti
l’appoggiatura breve, talvolta in luogo del mordente136, talvolta in un contesto assolutamente
originale. Il medesimo caso con le stesse problematiche lo troviamo alla fine del pezzo (es. 43).

136
Batt. 91, 95, 97

73
Segmento dalla batt. 170 fino a 186 (versione Fourmeau)

Segmento dalla batt. 171 fino a 188 (versione Pierné)

74
Segmento dalla batt. 162 fino a 171 (facsimile)
Es. 44

In questo caso le battute 178-183 nella versione della casa editrice Billaudot e 179-184, 188
nella versione di Pierné sono quelle composte in eccesso. Altra differenza notabile è che nella
versione saxofonistica tutta questa parte non rimane nella stessa ottava della versione
clavicembalistica ma viene trasportata un’ottava sotto proprio in questo segmento.
Altre imprecisioni meno rilevanti con mutazioni armoniche soprattutto nelle voci interne si
trovano nelle battute 107-122 e 126-131 nella versione di Fourmeau e corrispondentemente
una battuta spostata in avanti nella versione di Pierné.

Mentre il metro di 3/8 della versione parigina è identico a quello segnato nel facsimile, nelle
pagine del manoscritto stranamente troviamo indicato il metro di 6/8. Questo raggruppamento,
però, non ci deve turbare. Il ternario scarlattiano, difatti, è così rapido da dover esser
necessariamente pensato in uno. Nel contesto romantico in cui Pierné ha operato, però,
l’estetica era talmente mutata da rischiare di appesantire l’esecuzione con la tendenza di dare
una vera e propria martellata sul battere di ogni misura. Il cambiamento di metro, invece,
garantiva il raggruppamento in due battute, dimezzando la quantità di accenti forti e rendendo
l’esecuzione più fluida. Un’altra differenza un po’ buffa la vediamo attraverso la realizzazione
ritmica di alcune battute (es. 44)137. Un ritmo del genere consistente in un mordente seguito da

137
Nella versione di Billaudot ugualmente batt. 53, 57, 69, 134, 142, 154

75
una specie di gruppetto nel periodo barocco non lo troveremmo mai indicato in questo modo.
In più che senso avrebbe cambiare un disegno ritmico 12 misure dopo138 se nel facsimile rimane
uguale?

Es. 45

Dopo diverse discussioni e prove, il nostro consiglio come quartetto sarebbe di non esitare a
inserire un trillo sulle note lunghe, anche se non è segnato.139 Bisognerebbe scegliere soltanto
a quale strumento, sax contralto o soprano, farlo eseguire. Ciò dovrebbe esser considerato
soprattutto sapendo che era assai improbabile che il clavicembalo, per ovvi limiti di
decadimento acustico dovuti alle caratteristiche fisiche dello strumento, lasciasse una nota così
lunga senza alcun tipo di abbellimento e, inoltre, è uno strumento espressivo perfetto per
sottolineare la tensione avendo nella parte di sax baritono una settima diminuita alla quale
successivamente nella parte B si aggiunge anche il sax tenore (es. 44).

Es. 46

138
Nella versione di Billaudot ugualmente batt. 146
139
Nella versione di Billaudot batt. 50, 54, 62, 66, 135, 139, 147, 151

76
Conclusione

La ricerca nell’oceano di questo periodo storico con tante particolarità stilistiche ed estetiche
che devono essere affrontate molto coscientemente, ragionando sulle scelte di tutti quei
dettagli che per noi risultano spesso innaturali rispetto all’approccio tecnico-strumentale, mi
ha portata ancor di più al bisogno di esigere un certo tipo di cura per i piccoli particolari e di
sguardo molto più critico rispetto allo stile.

Su quanto un esecutore possa avere funzione di compositore attraverso un’improvvisazione


libera e sulla scelta di quali abbellimenti siano più pertinenti bisogna stare molto attenti alle
influenze novecentesche che ormai costituiscono una grande parte della percezione,
interpretazione e notazione del linguaggio della musica strumentale antica. Fidarsi
ciecamente di trascrizioni saxofonistiche senza ricercare le fonti originali è abbastanza
pericoloso, soprattutto se pubblicate da case editrici francesi, perché già dall’inizio possono
imporci delle idee sbagliate come ad esempio nel caso particolare del Miserere Mei di Allegri
che è diventato famoso, così come noi lo conosciamo, per puro caso a causa di una
trascrizione errata che ne ha trasportato un frammento alla quarta superiore contribuendo alla
creazione di un clamoroso falso storico.140 Come direbbe Terenzio141: faciunt intelligendo ut
nihil intelligant.

Per quanto un esecutore possa essere un ottimo strumentista dotato di una velocità delle dita
allucinante, intonazione perfetta, respirazione circolare e capace di produrre tutti gli effetti
voluti dalla musica contemporanea, non sono queste le qualità che descrivono un musicista
consapevole e pronto ad accogliere sfumature e mentalità diverse dal proprio mestiere e
abitudini musicali sviluppate nel periodo degli studi. Prima di essere scettici riguardo a
formazioni particolari e poco udite nella quotidianità concertistica bisognerebbe fare una
ricerca dell’estetica più profonda.

Alcune composizioni di musica barocca sono scritte talmente bene che in nessun modo
possono essere rovinate, anche se eseguite con gli strumenti moderni. Questo funziona

140
Enrico Correggia, Tesi Miserere Mei, Come Allegri l’ha scritto, come noi lo conosciamo, p. 50, 2016
141
Publio Terenzio Afro (190-185 a.C. 159 a.C.) è stato un commediografo romano, attivo a Roma dal 166 a.C.
al 160 a.C.

77
benissimo con J. S. Bach, G. F. Händel o con gli Scarlatti. Le composizioni di Domenico
magari non sono perfettamente compiute dal punto di vista formale, in quanto si trovano a
cavallo fra la vecchia forma della suite e forma sonata “futuristica” di Mozart o Beethoven e
le melodie non hanno quel fascino che le fa restare facilmente in testa come se fossero
acrilico sulla tela ma di sicuro hanno quel tocco di virtuosismo trasparente che riflette la
brillantezza dello stile scarlattiano in maniera diversa per più di cinquecento volte,
regalandoci quel sentimento che si prova camminando in un sentiero autunnale tra mucchi di
foglie friabili, sorrisi sereni e un’eclettica frizzantezza.

78
Bibliografia

Sull’estetica barocca e l’ornamentazione

- Martin Agricola, Musica instrumentalis deudsch, Wittenberg, 1529


- Angelo Bernardi, Ragionamenti musicali, Bologna, 1681
- Johann Beer, Musikalische Discurse, Nürnberg, 1719
- Charles Burney, A General History of Music, vol. II, 1935
- François Couperin, L’Art de toucher le clavecin, Parigi, 1717, Prefazione
- Silvestro Ganassi dal Fontego, Opera intitolata Fontegara, 1535
- Silvestro Ganassi dal Fontego, Regola Rubertina, pt. I, Venezia, 1542
- Francesco Saverio Geminiani, Regole per suonare con buon gusto su Violino, Flauto
Traversiere, Violoncello e Clavicembalo particolarmente nel Basso Continuo, Londra, 1748
- Francesco Saverio Geminiani, Trattato sul Buon Gusto nell’Arte Musicale, Londra, 1749
- Francesco Saverio Geminiani, The Art of Playing on the Violin, Op.9, Londra, 1751, facsimile
- A. Geoffroy- Dechaume, I “segreti” della musica antica, Ricerche sull’interpretazione nei
secoli XVI, XVII, XVIII, Milano, 1978
- Robert Donington, Baroque Music: Style and Performance: A Handbook, London, 1982,
- Donatas Katkus, Muzikos atlikimas, Vilnius, 2013
- Antonio Lorenzoni, Saggio per ben sonare il flauto traverso: con alcune notizie generali ed
utili per qualunque strumento, ed altre concernenti la storia della musica, Vicenza, 1779
- Charles de Lusse, L’art de la flûte traversière, 1760
- Johann Mattheson, Critica Musica, 1722
- Frederick Neumann, Ornamentation in Baroque and Post-Baroque Music, with Special
Emphasis on J.S. Bach, Princeton University Press, 1978
- Jacopo Peri, Euridice, 1600, Prefazione
- Jean Rameau, Code de musique pratique, Parigi, 1760
- Jean Rousseau (1712- 1778), Traité de la viole, Parigi, 1687
- Joan E. Smiles, Directions for Improvised Ornamention in Italian Method Books of the Late
Eighteenth Century, in Journal of the American Musicological Society, Vol. 31, No. 3, 1978
- Giuseppe Tartini, Regole per arrivare a saper ben suonar il Violino, col vero fondamento di
saper sicuramente tutto quello, che si fa; buono ancora a tutti quelli, ch’esercitano la Musica
siano Cantanti, o Suonatori, Padova, 1754;

79
Trascrizione digitale in Italiano a cura di Marco Giustini, Firenze, 2012
- Lettera Del Defonto Signor Giuseppe Tartini Alla Signora Maddalena Lombardini,
Inserviente Ad Una Importante Lezione Per i Suonatori Di Violino, marzo 1760
- Nicola Vincentino, L'antica musica ridotta alla moderna prattica, Roma, 1555
- Johann Joachim Quantz, Versuch einer Anweisung die Flöte traversiere zu spielen, Berlino,
1752; Edizione italiana: Trattato sul flauto traverso a cura di Sergio Balestracci, 2010

Su vita e stile compositivo di Domenico Scarlatti

- Amadeus, Anno XVII, Numero 1, aprile 2007


- Massimo Bogianckino, L’arte clavicembalistica di Domenico Scarlatti, Roma, 1956
- Ralph Kirkpatrick, Domenico Scarlatti, 1984, Torino, Edizione italiana: Eri Edizioni Rai
- Roberto Pagano, Scarlatti. Allesando e Domenico: Due vite in una, Milano, 1985
- Giorgio Pestelli, Le sonate di Domenico Scarlatti: proposta di ordinamento cronologico,
Torino, Giappichelli, 1967
- Joel Sheveloff, The Keybord Music of Domenico Scarlatti. A Re- evaluation of the Present
State of Knowledge in the Light of the Sources, 3voll., dissertazione, Brandeis University, 1970
- P. Williams, Thr Harpsicord acciacatura theory and practise in harmony 1650-1750, in
Musical Quarterly, No. 54, 1968

80
Ringraziamenti

Colgo l’occasione per ringraziare chi in questi tre anni e mezzo mi ha aiutata e sostenuta. Per
primo ringrazio il M° Marco Albonetti, che non è stato solo un insegnante di saxofono con
l’aiuto del quale sono riuscita a conoscere meglio lo strumento e il repertorio ma è stato
anche una persona sempre pronta ad aiutarmi a conoscere meglio la cultura Italiana, le
composizioni musicali di qualsiasi genere e anche quelle culinarie; ad aprire gli occhi e il cuore
per quelle cose che sono importanti per la felicità interiore.

Ringrazio mia madre, che ha sempre creduto in me, ed è stata sempre vicina, anche se da
lontano, in ogni situazione talvolta anche dolorosa in cui ho trovato la forza per andare avanti
in questo percorso.

Un ringraziamento speciale lo riservo al M° Roberto Gianotti, docente di Analisi dei repertori,


che mi ha fatto amare la forma sonata, apprezzare la musica antica ancor di più e per avermi
dato consigli così precisi per la scrittura di questo lavoro.

Grazie al M° Giancarlo Guarino per avermi trasmesso la sua conoscenza riguardo la musica da
camera, che al giorno d’oggi è fondamentale per comprendere tutto ciò che può donare la
musica.

Ringrazio la prof.ssa Federica Fortunato che mi ha ispirata a inalare la storia della musica come
se fosse quel profumo primaverile che pervade l’aria nel momento in cui sbocciano gli alberi
di magnolia, glicine e ciliegio selvatico riempendo l’anima di positività.

Vorrei ricordare anche altri maestri che mi hanno seguito in questi anni incoraggiando sempre
a cercare la mia strada, fra quali: Paola Antoniacomi, Stefano Tomasi, Armando Ghidoni e
Alberto Santi.

Aiuto prezioso è stato quello di Enrico Correggia specialmente riguardo alla rifinitura dei miei
testi, alla decifrazione dell’italiano seicentesco e per tutte le discussioni sull’interpretazione e
l’immenso mondo della musica antica.

81
Alla mia piccola grande famiglia, Sabino Monterisi, Cristian Battaglioli, Filippo Corbolini,
Davide Salata e Marco Rinaudo che dall’inizio mi sono stati accanto come dei fratelli, che non
ho mai avuto, nei momenti caratterizzati da sorrisi solari e fiumi di lacrime dal cuore seguiti
da vari peccati di gola, ogni volta più buoni e a tutte le nostre avventure concertistiche in
Lituania e Italia con i calzini colorati che hanno il potere di illuminare le giornate più buie.
Sarete sempre i cinque moschettieri del mio cuore ovunque voi siate.

Infine, grazie a Jaime Mora al quale talvolta non serve neanche più la parola per poter
comprendere ciò che sto per dire e per avermi convinta che in questa classe sarei stata
davvero felice e alle mie bellissime amiche Ayala Rolya, Vered Kreiman, Linda Scalet,
Caroline Halleck e Arianna Pati che mi hanno fatto sempre sorridere e sentirmi a casa.

82
Appendici

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86
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