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IL CLARINETTO
di Fabio Bonora
classe VH
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Il clarinetto – Fabio Bonora VH
Indice
1. Clarinetto p. 3
1.1. Lo strumento p. 3
1.2. Origini ed evoluzione p. 4
1.3. L’impiego del clarinetto p. 5
2. Filosofia – Schopenhauer p. 6
2.1. La musica come immagine diretta del mondo p. 6
5. Bibliografia p. 23
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Il clarinetto – Fabio Bonora VH
1. Il clarinetto
Durante il mio corso di studio al liceo scientifico A. Roiti ho coltivato e approfondito la mia
passione per la musica ed in particolar modo per il clarinetto. Nonostante le difficoltà incontrate per
conciliare impegni scolastici e impegni musicali, ho sempre cercato di non trascurare nessuna delle
due attività e ciò mi ha permesso di ottenere un buon andamento scolastico e nel frattempo
partecipare a concorsi musicali, ottenere la licenza di solfeggio al conservatorio, partecipare a
masterclasses e suonare sia con la maggior parte delle formazioni bandistiche della provincia sia in
piccoli gruppi. Con il proseguire degli anni di studio mi sono felicemente accorto che molte
discipline scolastiche potevano integrarsi e completare le mie conoscenze musicali, motivando
scelte culturali legate alla storia del mio strumento e chiarendo i principi fisici che ne permettono il
funzionamento. Proprio per questo ho deciso di realizzare un breve percorso multidisciplinare sul
clarinetto a conclusione dei miei studi superiori.
1.1 Lo strumento
Il clarinetto è definito come uno strumento musicale a fiato ad ancia semplice semibattente
appartenente alla famiglia dei legni. Esso è uno strumento traspositore, cioè le note suonate non
corrispondono a quelle reali (riferendoci per comodità a quelle di un pianoforte) ma sono per
l’appunto trasportate secondo la tonalità dello strumento. Esistono infatti clarinetti in diverse
tonalità o come vengono chiamati in gergo “tagli” poiché una diversa intonazione comporta diverse
lunghezze e proporzioni dello strumento. La maggior parte delle volte si intende comunque con
“clarinetto” lo strumento in sib denominato soprano. Comuni sono anche il “basso” in Sib ma ad
un’ottava inferiore rispetto al soprano (caratteristico per la forma a “pipa”) e il ”piccolo” in Mib
(generalmente nei complessi bandistici e nei cori di clarinetti).
Il materiale di cui è composto lo strumento è generalmente il legno Grenadilla o anche chiamato
Ebano, esistono però anche modelli da studio in resine plastiche che sacrificano il timbro per
maggiore economicità, leggerezza e resistenza alle variazioni termiche.
Lo strumento si presenta come un tubo che termina ad un’estremità con una svasatura, l’interno è
cavo con diametro costante (al contrario di altri strumenti a fiato come sax e oboe che sono conici
all’interno). Si vedrà in seguito quanto quest’ultima caratteristica sia importante (vedi 4.4).
Si può suddividere in quattro parti collegate tra loro da elementi in sughero:
• Bocchino: realizzato in Ebanite, un materiale composto da una miscela di gomma
vulcanizzata e zolfo, molto dura e facile da lavorare, interviene nel processo principale di
formazione del suono. Ad esso è collegato mediante un’opportuna fascetta l’ancia, una
linguetta di canna di bambù estremamente sottile. Il tutto viene parzialmente inserito nella
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Il clarinetto – Fabio Bonora VH
bocca del musicista che mediante l’insufflazione mette in vibrazione l’ancia e produce il
suono.
• Barilotto: è il primo vero e proprio elemento del clarinetto, si presenta come un cilindro
cavo lungo circa 6,5 cm indispensabile per l’intonazione fine dello strumento, raggiunta
tirandolo leggermente fuori dall’incastro successivo e dunque modificando la lunghezza
complessiva dello strumento. Da notare l’impossibilità di alzare l’intonazione se non
attraverso un barilotto dalla lunghezza inferiore.
• Parte centrale: è a sua volta composta di due parti separabili. Su di essa sono presenti
ventiquattro fori di dimensioni differenti. Sette fori, di cui sei circondati da anelli, sono
chiusi dalle dita, gli altri vengono chiusi dai cuscinetti azionati dalle diciassette o diciotto
chiavi (a seconda del modello ) o dagli anelli. È in questa parte che le vibrazioni prodotte dal
bocchino vengono modellate per ottenere i suoni desiderati mediante le diverse
combinazioni di fori chiusi e aperti.
• Campana: è l’elemento svasato terminale che dà maggiore risonanza e proiezione al suono.
(nel clarinetto basso è ricurva e in metallo).
L’estensione del clarinetto è la più ampia fra gli strumenti musicali a fiato e raggiunge solitamente
dalle tre ottave e mezzo fino alle quattro ottave piene eccezionalmente nei migliori esecutori. Il
timbro è molto variabile ed espressivo. Infatti, per la stessa costruzione, il clarinetto tende ad avere
tre differenti registri: quello grave caldo e pastoso (“Chalumeau”), quello intermedio brillante e
quello acuto potente e squillante. Inoltre agendo sul modo di soffiare nello strumento è possibile
ottenere effetti come il vibrato (tipico per esempio degli archi, rende il suono più “umano” ed
espressivo), il frullato (tipo della musica contemporanea), il glissato e il growl (tipici della musica
popolare e jazz; il primo consiste in un passaggio graduale da una nota all’altra, il secondo
conferisce un carattere “graffiato” e “arrabbiato” al suono) che aggiungono ancora maggiori
sfumature al timbro.
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Il clarinetto – Fabio Bonora VH
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Il clarinetto – Fabio Bonora VH
Queste ultime rappresentano per il clarinettista una tappa fondamentale nel percorso di studio, in
particolare il Concertino di Weber ed il Concerto n. 2 di Weber d’obbligo all’esame di diploma
secondo il programma ministeriale. Copiosa è la produzione di musica da camera che vede il
clarinetto in molteplici formazioni: clarinetto e pianoforte, trio composto da clarinetto, pianoforte e
un altro strumento, quartetto di clarinetti e quintetto di fiati. Il clarinetto è molto usato nelle bande
musicali in cui riveste un ruolo paragonabile per importanza a quello dei violini in orchestra. Nel
genere jazz è utilizzato nelle Big Bands e come strumento solista e deve la sua fama principalmente
a musicisti come Benny Goodman, Artie Shaw, Woody Herman, Eric Dolphy e naturalmente il
grande Henghel Gualdi in Italia. Nella musica popolare si distingue per la tecnica brillante, in
particolare nel genere del ballo liscio. Un compositore capostipite di questo genere da ballo è stato
Secondo Casadei, che ha assegnato al clarinetto in Do le parti virtuosistiche principali del liscio
romagnolo. È inoltre utilizzato nella musica Klezmer nella quale si richiede uno stile di esecuzione
molto distintivo.
2. Filosofia – Schopenhauer
Si è visto dunque che il clarinetto, pur sviluppandosi in un contesto musicale ampio, ha un forte
legame con il periodo romantico ed in particolar modo con Carl Maria von Weber. Per comprendere
alcune delle ideologie di questo periodo si può analizzare il pensiero del filosofo tedesco
Schopenhauer. Il campo di interesse del filosofo è quello della realtà e dell’uomo; riprende da Kant
i concetti di fenomeno e noumeno. Il fenomeno è il mondo come appare a noi e dunque illusione e
parvenza mentre il noumeno è la cosa in sè, la realtà come veramente è. La radice noumenica del
nostro io è la volontà: noi siamo volontà di vivere, un impulso irrazionale che ci spinge a vivere e
ad agire. La volontà di vivere causa la sofferenza cosmica di tutti gli esseri viventi, in particolar
modo nell’uomo. La risposta al dolore del mondo consiste nella liberazione della stessa volontà di
vivere che si compie in tre momenti essenziali: l’arte, la morale e l’ascesi. In particolar modo fra le
arti spicca la musica che si pone come immediata rivelazione della volontà a se stessa.
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Il clarinetto – Fabio Bonora VH
non può arrivare all’idea, perché è continuamente asservita alla volontà; solo il genio può conoscere
intuitivamente l’idea, elevandosi al di sopra dell’umanità, sottraendosi alla catena causale, e
raggiungendo l’appagamento totale nella contemplazione estetica. Tutte le arti, più o meno, secondo
una certa gerarchia rappresentano un’oggettivazione della volontà dai suoi gradi più bassi fino ai
più alti. L’architettura, afferma Schopenhauer nel Mondo come volontà e rappresentazione,
rappresenta «il grado più basso in cui questa volontà è visibile, ov’essa si mostra come oscuro,
incosciente, meccanico impulso della massa». Attraverso la scultura, la pittura, la poesia e infine la
tragedia si giunge ai gradi più alti in cui si oggettiva la volontà. Ma un’arte è rimasta esclusa da
questa gerarchia in cui tutte le arti tendono ad un medesimo fine, ed è appunto la musica, la quale
«è staccata da tutte le altre» per una posizione di privilegio assoluto. La musica non si limita a
rappresentare «le idee o i gradi di obbiettivazione della volontà, ma immediatamente la volontà
stessa». Se tutte le arti oggettivano la volontà in modo mediato «la musica è dell’intera volontà
oggettivazione e immagine, tanto diretta com’è il mondo; o anzi come sono le idee; il cui fenomeno
moltiplicato costituisce il mondo dei singoli oggetti. La musica non è quindi affatto, come le altre
arti, l’immagine delle idee, bensì immagine della volontà stessa, della quale sono oggettività anche
le idee. Perciò l’effetto della musica è tanto più potente e insinuante di quello delle altre arti: poiché
queste ci danno appena il riflesso, mentre quella esprime l’essenza». Nella concezione di
Schopenhauer c’è dunque un salto qualitativo, non più soltanto quantitativo, che separa la musica
dalle altre arti. La musica sta fuori dalla gerarchia, sopra la piramide, e si pone come linguaggio
assoluto, come limite insuperabile, raggiungibile solo dal genio artistico. Come si potrà allora
parlare della musica, se data la sua posizione privilegiata rispetto le altre arti, sarà a maggior
ragione al di là dei concetti che non giungono che al mondo fenomenico, da cui la musica è
totalmente indipendente? Se ne potrà parlare per metafore, in quanto esiste un parallelismo tra la
musica e le idee – entrambe oggettivazione della volontà - «delle quali è fenomeno molteplice e
imperfetto il mondo visibile». La musica è un po’ come un duplicato del mondo fenomenico; si può
«considerare il mondo fenomenico (o la natura) e la musica come due diverse espressioni della cosa
stessa». Date queste premesse si deve logicamente che, «posto si potesse dare una spiegazione della
musica, in tutto esatta, compiuta e addentrantesi nei particolari, ossia riprodurre estesamente in
concetti ciò ch’ella esprime, questa sarebbe senz’altro una sufficiente riproduzione e spiegazione
del mondo in concetti; oppure le equivarrebbe in tutto, e sarebbe così la vera filosofia».
Entro questo ambito speculativo in cui si è affermato l’identità, anzi la superiorità della musica
rispetto la filosofia, e quindi la sua assoluta universalità ( la musica sta all’universalità dei concetti
come i concetti stanno alle singole cose), nasce il problema fondamentale dell’estetica musicale di
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Il clarinetto – Fabio Bonora VH
Schopenhauer, cioè il rapporto tra la musica e il mondo, e in definitiva il rapporto tra la musica e i
sentimenti. In altre parole cosa può significare l’affermazione che la musica è espressiva?
Si è già detto che si può parlare della musica solo per analogia, in quanto la musica è di per sé un
linguaggio assoluto, intraducibile, ineffabile; e così infatti procede Schopenhauer nel corso della
trattazione. Molte delle ingegnose analogie proposte da Schopenhauer possono far sorridere, e non
bisogna cercare in esse un significato musicale, perché spesso da questo punto di vista
rappresentano degli errori grossolani: evidentemente prevalevano le ragioni speculative della
costruzione filosofica sulle ragioni musicali, anche se il filosofo non era del tutto digiuno delle
nozioni più elementari di musica. Così Schopenhauer può affermare ad esempio che nell’armonia il
basso rappresenta «i gradi infimi dell’oggettivantesi volontà», e quindi «la natura inorganica, la
massa del pianeta». Le altre voci superiori dell’armonia che si trovano necessariamente legate al
basso rappresentano «un fatto analogo a quello per cui tutti i corpi e organismi della natura devono
essere considerati come svoltisi gradatamente dalla massa del pianeta; questa è il loro sostegno
come la loro sorgente, e la medesima relazione hanno i suoni acuti col basso fondamentale».
Proseguendo in queste analogie, il basso fondamentale ad esempio si dovrebbe muovere solo per
intervalli molto piccoli perché, data l’analogia con la materia bruta e inorganica, non possiederebbe
agilità né rapidità; per cui la melodia sarebbe unicamente affidata alla voce più alta. La
modulazione da un tono ad un altro «somiglia alla morte, in quanto ella è la fine dell’individuo». Il
modo maggiore e quello minore rappresentano l’uno appagamento, l’altro inappagamento; le varie
melodie corrispondono all’inesauribile ricchezza della varietà degli individui, e la logica musicale
che regge da capo a fondo lo svolgimento di una melodia è come la storia della volontà stessa «che
si manifesta nel reale con la serie degli atti suoi; ma dice di più, narra della volontà la storia più
segreta, ne dipinge ogni emozione, ogni tendenza, ogni moto, tutto ciò che la ragione comprende
sotto l’ampio e negativo concetto di sentimento, né può meglio accogliere nelle proprie astrazioni».
È forse inutile qui ricordare ancora le altre numerose analogie tra la musica e il mondo, in quanto
non presentano di per sé, da un punto di vista musicale nessun interesse; ma servono piuttosto a
svelare quale rapporto abbia instaurato in tal modo Schopenhauer tra la musica e i sentimenti. Anzi
tutto appare chiaro che il dominio della musica è quello del sentimento, in quanto essa rappresenta
la vita più intima, più segreta, più vera della volontà; sentimento è quindi contrapposto a concetto.
Infatti «il compositore disvela l’intima essenza del mondo in un linguaggio che la ragione di lui non
intende» cioè con il linguaggio più universale dei sentimenti che solo il genio conosce. La musica
può cogliere, esprimere, tutte le manifestazioni della volontà, tutte le sue aspirazioni, appagamenti,
eccitazioni ecc. In questo senso può esprimere anche tutti i sentimenti dell’uomo, o meglio più che
esprimere può rappresentare un analogo di essi, perché la musica non è fenomeno, ma l’idea stessa.
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Il clarinetto – Fabio Bonora VH
Alla luce di questi concetti Schopenhauer conduce le sue acutissime analisi sul rapporto tra
musica e parola. La musica prediletta da Schopenhauer come da tutti i romantici è la musica
strumentale: essa sola è pura, scevra da qualsiasi mescolanza e da concetti che turbino la sua
limpidezza e l’avvicinino ad altre forme di espressione che non le sono proprie. La musica non deve
prestarsi ad essere piegata al significato delle parole, non deve in altri termini diventare descrittiva;
«se si vuol troppo adattare la musica alle parole, e modellarla sui fatti, essa si sforza a parlare un
linguaggio che non è il suo». Con questa presa di posizione Schopenhauer rovescia tutta la
tradizione ormai secolare che aveva più volte affermato fin dal tempo della nascita del melodramma
il predominio della parola sulla musica e quindi la subordinazione di quest’ultima. Pur tenendo
fermo il principio dell’universalità della musica e il suo carattere astratto e formale rispetto ad ogni
sentimento determinato ed espresso in concetti, Schopenhauer non nega la possibilità dell’unione
tra la musica e la poesia, che si può anche fondare da un punto di vista metafisico. Infatti è possibile
un rapporto tra una composizione musicale e un sentimento o un’altra qualsiasi rappresentazione
per il fatto «che l’una e l’altra sono espressioni differentissime della stessa intima essenza del
modo». Ma la musica deve mantenere intatta la sua dignità e la sua funzione, perciò deve
condannarsi ogni proposito imitativo. Se la musica deve esprimere «l’in sé del modo», un rapporto
eventuale con la parola deve configurarsi analogamente al rapporto «che un qualsivoglia esempio
può avere col concetto generale». Su di un piano pratico tutto questo significa che non ci può essere
un rapporto fisso e predeterminato tra l’espressione musicale e quella poetica, perché la parola
rappresenta « con la determinatezza della realtà quel che la musica esprime nell’universalità della
forma pura». Ad una determinata espressione musicale possono ugualmente bene sottostare testi
poetici dei versi: è sufficiente che i sentimenti espressi dal testo si adattino nella forma alla musica
che accompagneranno. Non bisogna dimenticare che la musica non esprime questo o quel
determinato sentimento, ma il sentimento in astratto.
Schopenhauer condanna la musica che scende a patti con la parola e parimenti condanna
l’abitudine di molti ascoltatori che di fronte alla musica pura strumentale, ad una sinfonia di
Beethoven ad esempio, cercano con la fantasia di rivestire i sentimenti – che in essa sono espressi
soltanto in astratto e senza alcuna specificazione - «di carne e di ossa ed a vedervi ogni sorta di
scene della vita e della natura». Questo procedimento non solo non agevolala comprensione della
musica ma è ingannevole, «perciò è meglio comprenderla puramente e nella sua immediatezza».
Il rapporto tradizionale stabilito nel ‘600 e nel ‘700 tra musica e parole è completamente
rovesciato: non sarà la musica a sottolineare il valore delle parole, ma la parola dovrà docilmente
piegarsi all’universalità della musica. Così sarebbe forse più conveniente che si creasse un testo
poetico per una composizione musicale già esistente anche se in pratica il più delle volte si crea
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Il clarinetto – Fabio Bonora VH
della musica per un testo preesistente. Ma anche così la situazione non cambia: anzi tutto il testo
può agire come stimolo per l’aspirazione del musicista e la musica ci dà rispetto ai sentimenti
espressi con le parole «le ultime più profonde, più intime rivelazioni, e ci fa conoscere la più intima
anima dei procedimenti e degli avvenimenti di cui la scena offre soltanto il corpo e la veste». Però
la musica non si assimila mai alla materia, al contenuto, per esempio al dramma in cui opera. Si
manterrà sempre un poco estranea, al di sopra, al di là dell’azione scenica, mostrando una
«completa indifferenza» verso di essa.
La concezione della musica di Schopenhauer per la sua ricchezza, profondità e consapevolezza
filosofica, rappresenta senza dubbio uno dei punti di arrivo del pensiero romantico; non solo, ma,
come si è detto, appare già nettamente orientata verso un’estetica formalistica. Il principio
dell’autonomia del linguaggio musicale sviluppato in senso anti romantico da Hanslick pochi
decenni più tardi è già implicitamente contenuto nell’affermazione che la musica non è in diretto
rapporto con i sentimenti, e che non può e non deve suscitare nell’ascoltatore sentimenti
determinati.
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Il clarinetto – Fabio Bonora VH
mantenendo qualche analogia con quelli originali, vivono una realtà autonoma. Caratteristica di
questo periodo è anche l’uso della tecnica dei collages (incollaggi) in Picasso e dei papiers collès
(carte incollate) in Braque. Si utilizzano soprattutto carte di varie qualità e colori, stoffa, paglia,
gesso e legno.
Fra i soggetti più ricorrenti spiccano gli strumenti musicali ed in particolare il clarinetto al
quale sono dedicate numerose opere. Gli strumenti musicali delle opere di Picasso, Braque e Gris,
sono tutti oggetti che facevano parte dell’arredamento o della decorazione di tanti caratteristici studi
d’avanguardia, erano facilmente riconoscibili e rappresentavano al meglio il tema della quotidianità.
Il clarinetto, 1911. Olio su tela, 61x50 cm. Il clarinettista, 1911. Olio su tela, 106x69 cm.
Národni Galerie, Prague Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid. Formerly
Private Collection, France
Entrambi i dipinti appartengono al periodo del Cubismo analitico. Osservando le opere ci appare
subito evidente come l’artista miri più al contenuto che all’apparenza, rinunciando a qualsiasi tipo
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Il clarinetto – Fabio Bonora VH
Violino e clarinetto, 1913. Olio su tela, Mandolino e clarinetto, 1914. Legno di pino
55x33 cm. The State Hermitage Museum, St con colore e tratti di matita, 60x36x23 cm.
Petersburg. Musée Picasso, Paris.
Con queste due opere si entra già nel periodo del Cubismo sintetico. Le figure non sono più
frastagliate ma ricomposte in nuove forme fuse tra di loro. Nella prima opera hanno un ruolo
importante i colori, infatti il violino è colorato in parte da strisce di colore marrone (il modo con cui
è steso il colore ricorda le venature del legno) e in parte da una tinta bianca uniforme. Il clarinetto
invece è trasparente e sfoca l’immagine sovrastata del violino come una bottiglia di vetro. La
seconda opera è realizzata con la tecnica del collage mediante la sovrapposizione di elementi lignei
parzialmente dipinti.
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Il clarinetto – Fabio Bonora VH
I tre musici, 1921. Olio su tela, 201x223 cm. New Museum of Modern Art.
Picasso riprende I temi del cubismo sintetico con un gusto del colore cartellonistico. Raffigura due
personaggi tipici della commedia dell’arte (Pulcinella e Arlecchino) che insieme ad un monaco
improvvisano un terzetto musicale, mentre un grosso cane se ne sta accucciato sotto il tavolo.
Abbandonata la monocromia e la frammentazione dei primi anni, l’autore distende i colori su piani
ampi e piatti da fare quasi pensare a delle sagome ritagliate nel cartoncino colorato. Il senso di
profondità è recuperato simbolicamente nelle pareti laterali e nel pavimento della stanza, ma anche
in questo caso si tratta di un’illusione in quanto la parete di sinistra appare più lunga suggerendo il
senso di uno spazio sghembo.
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Il clarinetto – Fabio Bonora VH
Clarinetto e bottiglia di Rum, 1911. Olio su Il clarinetto, 1912 Olio con sabbia su tela,
tela, 81x60 cm. Tate Gallery, Londra. 91x62 cm. Collezione Peggy Guggenheim,
Venezia.
Queste due opere si collocano a cavallo tra il periodo del Cubismo analitico e quello del cubismo
sintetico. In “Clarinetto e bottiglia di Rum” lettere e linee, triangoli e rettangoli sono sparsi sulla
tela in un ordine apparentemente casuale che la fa sembrare un'opera astratta. In verità, il dipinto è
stato attentamente ponderato e rappresenta un caminetto sulla cui mensola sono appoggiati un
clarinetto e una bottiglia di rum. Una pagina di uno spartito musicale è appesa al muro. Piuttosto
che creare l'illusione di uno spazio reale su una tela piatta con l'uso della prospettiva, delle luci e
delle ombre, Braque ha preferito mostrare tridimensionalità e profondità rappresentando insieme
tutti i lati degli oggetti. Le caratteristiche principali di “Il clarinetto” sono il formato ovale e la
comparsa di lettere all'interno dell'immagine, nonché l'uso di finte venature di legno con effetto di
trompe l'oeil. In alcune zone Braque incorpora sabbia nel colore, un'innovazione tipica di questo
periodo di transizione; ciò gli permette un’ulteriore differenziazione delle superfici ottenute
variando la pennellata e una più sottile articolazione cromatica. Nonostante questa attenzione ai
materiali, l'immagine resta leggera, evanescente. Braque aveva iniziato ad introdurre nel quadro
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Il clarinetto – Fabio Bonora VH
anche lettere dell’alfabeto o parole, seguendo un’idea che gli era venuta osservando le iscrizioni dei
dipinti medievali, ma anche le scritte sulle vetrine dei caffè che si mescolavano all’immagine di
quanto accadeva all’interno. In queste due opere l’uso della parola VALSE, che appare divisa in
modo innaturale, richiama precisamente l’intestazione di uno spartito musicale, come parte di
quest’insieme di oggetti musicali.
Natura morta con clarinetto, 1927. Olio su tela, 53x74 cm. Washington, The Phillips Collection.
In “Natura morta con clarinetto” avviene un recupero del colore assimilabile a “I tre musici” di
Picasso. Il clarinetto è come spezzato dalla fruttiera acquisendone il colore giallo intenso. La
fruttiera, da parte sua, è vista contemporaneamente di profilo e dall’alto. In questo dipinto sono
contenuti entrambi i momenti della ricerca cubista: la meticolosa scomposizione degli oggetti
secondo i piani (periodo analitico) e la delicata separazione tra forme e colori (periodo sintetico).
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Il clarinetto – Fabio Bonora VH
Il dipinto rientra nella fase di piena maturità dell’artista. Gli oggetti sono rappresentati in modo
stilizzato e il colore, steso ampio e netto, è indipendente dalle forme. Il clarinetto non ha contorni
ma soltanto i fori e la campana. Il corpo dello strumento presenta le venature del legno per
distinguerlo dal tavolo che è dello stesso colore. Zone d’ombra e di luce sono marcate con colori
contrastanti, come la chitarra e lo spartito sullo sfondo.
3.4 Il “Tenora”
Malgrado nei titoli dei dipinti di Picasso e Braque sia riportato il nome “clarinetto” per indicare lo
strumento a fiato rappresentato, gli studiosi ritengono ormai senza dubbio che si tratti invece del
Tenora. Il Tenora è uno strumento a fiato folcloristico spagnolo molto simile al clarinetto. Le
uniche differenze sono la campana più ampia e l’assenza del bocchino sostituito da un’ancia doppia.
Proprio queste peculiarità sono rimarcate in tutti i dipinti. Il motivo della discrepanza tra titolo e
illustrazione sta nel fatto che il Tenora è lo strumento più distintivo della musica catalana.
Rappresentando dunque il Tenora invece del clarinetto comunemente conosciuto, Picasso sottolinea
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Il clarinetto – Fabio Bonora VH
il suo legame con la cultura catalana. Il disguido nell’identificazione dello strumento potrebbe
essere stato un altro aspetto di ribellione nel Cubismo di Picasso, sottolineando la resistenza alla
massificazione della cultura.
Tenora Clarinetto
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Il clarinetto – Fabio Bonora VH
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Il clarinetto – Fabio Bonora VH
⎛ I ⎞
β = 10 log10 ⎜⎜ ⎟⎟
⎝ I0 ⎠
• Altezza: è espressa quantitativamente dalla sua frequenza, se il suono è puro, o dalla
frequenza dell’armonica fondamentale se è complesso. L’orecchio umano riesce a percepire
convenzionalmente le frequenze comprese da 20 Hz a 20000 Hz . Le onde al di sotto dei 20
Hz vengono chiamate infrasuoni, le onde al di sopra dei 20000 Hz ultrasuoni.
• Timbro: è la proprietà che distingue suoni identici per intensità e altezza, ma provenienti da
sorgenti diverse. Suoni per timbro diverso differiscono per la forma della funzione periodica
che descrive l’onda in funzione del tempo.
⎧ 2L
⎪⎪ λ n =
n
⎨
⎪ f = nv
⎪⎩ n 2 L
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Il clarinetto – Fabio Bonora VH
⎧ 4L
λ =
⎪⎪ n 2n − 1
⎨
⎪ f = (2n − 1)v
⎪⎩ n 4L
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Il clarinetto – Fabio Bonora VH
Canna aperta
Punto nodale
Clarinetto
Punto nodale
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Il clarinetto – Fabio Bonora VH
La particolare posizione di un punto nodale nei pressi dell’imboccatura impedisce il formarsi delle
armoniche pari. Dunque, dal punto di vista acustico, il clarinetto può senz’altro essere considerato
come una sorgente sonora di tipo asimmetrico. Nel suono del clarinetto vi è però una debole
presenza di armoniche pari: la causa di questa anomalia è da ricercarsi nella piccola zona ventrale
che si forma dall’orifizio dell’imboccatura sino al punto nodale situato nei pressi dell’imboccatura
stessa. Questa zona corregge in piccola parte l’asimmetria del tubo con effetto apprezzabile a partire
dalla seconda armonica. La questione è chiara se si considera che la lunghezza d’onda delle
componenti si accorcia con il crescere della frequenza, mentre la piccola zona ventrale rimane
inalterata, quindi il rapporto tra questi due termini migliora a vantaggio di quest’ultima.
1° armonica 3° armonica
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Il clarinetto – Fabio Bonora VH
5. Bibliografia
blogs.princeton.edu
digilander.libero.it/artedgl
fisicaondemusica.unimore.it
it.wikipedia.org
www.ipsssmontagna.it
www.undo.net
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