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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SALERNO

Facoltà di Lettere e Filosofia


Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione

GIOVANNI SOLLIMA:
TRADIZIONE MUSICALE COLTA E STRATEGIE DI
COMUNICAZIONE DI MASSA

Tesi in
STORIA DELLA MUSICA MODERNA E CONTEMPORANEA

Relatore Candidato
Dott. Chiara Renino
Massimiliano Locanto Mat. 035/100394

Correlatore
Dott.
Alfonso Amendola

Anno Accademico 2007/2008


GIOVANNI SOLLIMA:
TRADIZIONE MUSICALE COLTA E
STRATEGIE DI COMUNICAZIONE DI MASSA

Premessa ....................................................................................................5

PARTE PRIMA - MUSICA E SOCIETÀ DI MASSA

1.1 - Introduzione...................................................................... 12

1.2 - I linguaggi della musica pop ............................................. 18

1.3 - I generi del pop .................................................................. 21

1.4 - Il vincolo commerciale dell’arte ...................................226

1.5 - Musica pop e consumo ..................................................... 33

1.6 - La musica pop come esperienza narrativa. .................... 35

1.7 - I sei luoghi del racconto musicale.................................. 41

• 1.7.1 - La canzone .....................................................................41


• 1.7.2 - La musica messa in scena ..............................................45
• 1.7.3 - La musica scritta ...........................................................49
• 1.7.4 - La musica parlata .........................................................53
• 1.7.5 - La musica immaginata e interagita ................................60

2
PARTE SECONDA - GIOVANNI SOLLIMA: VITA E

OPERE

2.1 - Biografia............................................................................. 74

• 2.1.1 - Palermo, anni Sessanta ........................................................74

• 2.1.2 - Eliodoro Sollima ..................................................................81

• 2.1.3 - Da violoncellista a compositore-interprete...............................91

• 2.1.4 - Da musicista a comunicatore ................................................98

2.2 - Opere ............................................................................... 103

• 2.2.1 - Violoncelles, vibrez! ...........................................................103

• 2.2.2 - Spasimo .............................................................................114

• 2.2.3 - Aquilarco ...........................................................................129

• 2.2.4 - I Canti ..............................................................................138

• 2.2.5 - Viaggio in Italia ................................................................143

• 2.2.6 - J. Beuys Song ......................................................................162

• 2.2.7 - Tempeste e ritratti ...............................................................177

• 2.2.8 - Ellis Island ........................................................................196

• 2.2.4 - Songs from the Divine Comedy ..........................................220

3
Bibliografia.............................................................................2234

Catalogo delle opere ............................................................... 254

Discografia ............................................................................... 260

Sitografia................................................................................... 261

Filmografia............................................................................... 262

4
PREMESSA

Nel film Fauteuils d’orchestre1 di Danièle Thompson, un pianista,


all’apice del successo, sta eseguendo il più celebre dei concerti di
Beethoven, l’Imperatore. È un’interpretazione ispirata: nell’adagio
canta il tema e il pubblico è ipnotizzato, nel finale brillante mette in
luce tutte le sue doti di grande virtuoso. Eppure, quasi sul finire
dell’esecuzione, si interrompe bruscamente e si spoglia di giacca,
panciotto e papillon bianco del suo impeccabile frac, e riprende a
suonare soltanto con una maglietta. Gli ascoltatori in sala restano
allibiti, ma non lo spettatore del film: già in precedenza il
personaggio del pianista, Jean-François Lefort, nel corso della
pellicola, ha manifestato i segni di quella crisi che esploderà
nell’episodio descritto. Non è un rifiuto verso la musica in sé, né
verso il suonare o l’esibirsi, quanto nei confronti del mondo che c’è
intorno alla tradizione musicale colta: la platea paludata, i rituali
vecchi di secoli, il tono di autoreferenziale elitarietà che aleggia
intorno alla musica generalmente definita “classica”. “I concerti
sono una grande muraglia fra la musica e le persone” dirà il pianista

1
Il titolo italiano è Un po’ per caso, un po’ per desiderio, Francia, 2006.

5
ad un’attonita intervistatrice cinese, o ancora “ho voglia di suonare
per cinquemila, diecimila persone che non sanno niente di musica,
ma non voglio più questi rituali, queste mascherate!”.
Lefort può considerarsi un personaggio che emblematicamente
rappresenta il musicista di tradizione colta, ma che sente sulla
propria pelle di essere uno degli ultimi sopravvissuti a riti del
passato. Egli si rende conto di rivolgersi ad un pubblico quasi del
tutto estinto, e per tale ragione si pone il problema fondamentale
della divulgazione. Non pensa affatto di cambiare l’oggetto in sé della
sua arte, ma ha la piena volontà di rivoluzionare tutto ciò che
riguarda la comunicazione di essa. Del resto, assiomi infondati,
secondo i quali il grande pubblico rifiuta la cultura, sono presto
confutati da incoraggianti dati dell’attualità: come si spiegherebbe,
infatti, il “sorpasso” del numero di spettatori - e degli incassi - del
teatro su quelli del calcio2?
Leggevo un articolo sul Venerdì de La Repubblica3 che trattava di
questo argomento, proprio il giorno dopo aver incontrato Giovanni
Sollima a Ravello - all’indomani di un suo concerto a Villa Rufolo, in
cui divideva il palco con tanti musicisti, provenienti da differenti

2
Dati Siae del 2006 relativi al numero di spettatori e di incassi per il teatro
(rispettivamente 22.506.695 e 358.387 milioni di euro) e per il calcio (20.447.398 e
271.033 milioni di euro).
3
Emilio Marrese, E quest’estate mettiamo in piazza il meglio di noi, da «Il Venerdì» de «La
Repubblica», p. 20, 22 Luglio 2007, n° 1010.

6
tradizioni artistiche – per spiegargli l’oggetto del mio lavoro di tesi4.
Quest’articolo – che tra l’altro citava anche quel concerto a cui
avevo assistito - ha rappresentato per me una chiave di lettura e un
filo conduttore che avrei seguito per la stesura di questa tesi: capire
se e come la cultura – in genere – e in particolare la tradizione
musicale colta possa essere divulgata ad un pubblico ampio e
diversificato.

Ma questa benedetta cultura come deve agghindarsi per farsi


un giro in piazza? Come riesce a darsi un appeal per rendersi
appetibile anziché indigesta alle folle? Ecco i principali
ingredienti della formula giusta, secondo chi l’ha applicata con
successo:
Coerenza: contrariamente a quanto si possa immaginare, non
occorre «prostituirsi» o volgarizzare troppo per venire incontro
alle esigenze del pubblico. Gli spettatori non amano essere
trattati da stupidi.[…]
Chiarezza: Naturalmente la coerenza non deve escludere un
linguaggio chiaro e diretto […]
Carisma: Il personaggio che si esibisce deve avere un pizzico di
magnetismo. […]
Scenografia: il contesto incide, eccome. […]

4
In questa intervista, Sollima mi ha raccontato di come da ragazzo, in uno dei suoi
primi concerti, già stufo dell’ufficialità e pedanteria dell’ambiente musicale colto, si
fosse tolto la giacca e strappato la camicia, continuando a suonare con una maglietta
di Jimi Hendrix, quasi come il personaggio di Lefort.

7
Contaminazione: Bisogna mischiare i generi e le espressioni
artistiche. […]
Unicità: […] C’è l’esigenza del nuovo e del diverso, […] il
pubblico deve sentire che quello che accade può avvenire solo
qui e in questo momento.[…]5

Se l’articolo di Marrese riguarda la cultura in genere, è ancor più


vero che l’attualità sta dando ampio risalto alla necessità di divulgare
in particolare la musica di tradizione colta; esempi evidenti sono i
concerti o e le rare apparizioni televisive di Uto Ughi, in cui prima
di ogni brano ne spiega le caratteristiche fondamentali per facilitarne
l’ascolto anche da parte di un pubblico non specializzato, o la
recentissima intervista televisiva a Maurizio Pollini a Che tempo che fa
- la nota trasmissione di Fabio Fazio - in cui il pianista, oltre a
pubblicizzare il suo ultimo disco, ha cercato di comunicare al
pubblico differenti caratteristiche dell’opera mozartiana. Anche
grandi musicisti, non certo di questa generazione, hanno dunque
considerato una necessità avvicinarsi al grande pubblico proprio
perché esso ha manifestato una sempre maggior diffidenza nei
confronti dell’ambiente che circonda la musica di tradizione colta, e
di conseguenza anche della musica stessa.
Oggi, quindi, nel tentativo di mediazione tra arte e mercato, sono
nati nuovi fenomeni, intercettando i bisogni di un pubblico che non
vuol più rinunciare a ciò che viene percepito come “musica
5
Ibidem, pp. 22 - 25.

8
classica”, a patto di venire a contatto con un ambiente che non
comunichi elitarietà, difficoltà, astrusità. Per citare soltanto degli
esempi palesi di tale volontà del mercato, si possono ricordare
Giovanni Allevi – di cui si parlerà più avanti – o Anna Netrebko,
cantante d’opera che riempie i teatri di tutto il mondo, dotata di
un’immagine da modella che, in un video musicale, canta Dvorak in
costume da bagno6.
È pur vero che canali e modi di comunicazione, rispetto al prodotto
da comunicare, non siano elementi tra loro indipendenti, tutt’altro:
vi è una continua osmosi tra essi, anzi, di fatto, costituiscono parti
integranti di un fenomeno complessivo. Per una simile ragione, con
questo lavoro, si è andati ad indagare nelle forme di produzione di
Giovanni Sollima, un musicista contemporaneo che – seppur
proveniente dalla tradizione colta – sfrutta i media e “vive” la
comunicazione come fattore fondante del suo essere artista. Ciò per
dimostrare se – e come – l’uso di strategie di comunicazione di
massa possa convivere con strutture musicali profondamente
ancorate alla tradizione colta, senza farne perdere definitivamente le
caratteristiche.
Tale scelta è stata anche supportata dalla possibilità di avere a
disposizione una grande quantità di materiale sul compositore – in
genere di difficile reperimento - grazie alla mia esperienza lavorativa

6
Cfr. Charles McGrath, Traviata formato pop star, da «D» de «La Repubblica», XIII/ 22
Marzo 2008, n°590, p.90.

9
precedente. Al termine dei miei studi pianistici presso il
Conservatorio, infatti, ho seguito un master in Tecniche di Produzione e
promozione nel settore musicale nella città di Milano, a seguito del quale
ho potuto effettuare un periodo di stage presso la Casa Musicale
Sonzogno. Nella nota casa editrice musicale milanese, sono venuta a
conoscenza di molta parte del catalogo dei compositori
contemporanei da loro editi, per scrivere brevi recensioni delle loro
opere a scopo promozionale.
Tornata ai miei studi universitari, quindi, già a conoscenza del
catalogo di Sollima, ho potuto attingere – senza alcuna riserva,
grazie alla disponibilità di Piero e Nandi Ostali7 – a tutto il
materiale, edito e non, fatto di partiture, incisioni, filmati, e di tutta
la rassegna stampa che riguardava il violoncellista-compositore.
Proprio perché si tratta di un autore contemporaneo della nuova
generazione, la bibliografia in merito è quasi del tutto inesistente,
fatta appunto eccezione per la rassegna stampa e per un non troppo
nutrito numero di programmi di sala – delle esecuzioni di brani di
Sollima – conservati negli archivi di Casa Sonzogno.
Questo, dunque, è uno dei primi lavori di raccolta e di analisi del
materiale su e di Giovanni Sollima; per questa ragione, mi auguro
che in futuro possa servire ad altri come punto di partenza per
ulteriori ricerche.

7
Sono i direttori e proprietari di Casa Musicale Sonzogno.

10
PARTE PRIMA
MUSICA E SOCIETÀ DI
MASSA

11
MUSICA E SOCIETÀ DI MASSA

1) INTRODUZIONE

È possibile ricucire il divario fra grande pubblico e musica colta? È


plausibile affermare che tale rottura, sicuramente dovuta anche a
fattori storici, sia legata soltanto alla struttura intrinseca della musica
stessa, oppure è ragionevole credere che questa diffidenza
generalizzata del pubblico derivi anche da fattori legati al contesto,
al mezzo e ai linguaggi con la quale viene diffusa?
Non si può negare che viviamo in un villaggio globale, né si può
fingere che non esistano le forme mediali entro cui siamo immersi
in ogni istante della nostra esistenza. A tale proposito, come la
musica pop, che per sua necessità deve confrontarsi con i media,
adattando specifici linguaggi ai diversi canali - oltre che ai diversi
pubblici -, anche la musica di tradizione colta dovrebbe fare proprie
simili strategie comunicative; anzi, non si comprende perché tale
prassi dovrebbe costituire un attentato all’arte. Del resto, come

12
Abruzzese suggerisce8 - per un ambito differente da quello musicale,
in particolare quello televisivo – bisogna considerare le fratture che
costantemente il nostro tempo ci pone innanzi, guardando
all’interno delle voragini create, senza volerne negare, ma, al
contrario, prendendone atto.
Spesso ci si chiede se la diffidenza del grande pubblico nei confronti
della musica colta derivi proprio dal modo in cui essa viene
proposta: con un’ingiustificata aura di elitarietà, quasi a legittimare,
da parte di chi la fa e di chi l’ascolta, uno status di superiorità
intellettuale, e a sottolineare un divario incolmabile fra sé e la massa.
Bisogna anche evidenziare, oltre tutto, che molto spesso, la
distinzione tra classica e pop è fatta lapidariamente proprio a seconda
delle forme di comunicazione e dei linguaggi utilizzati, senza
minimamente prendere in considerazione la musica: sono i canali, il
mezzo, le forme espressive, i contesti e non i contenuti e le strutture
a determinare - soprattutto nei confronti del grande pubblico -
differenti classificazioni. Con questo non si vuole di certo affermare
che non esistano distinzioni tra musica di tradizione e non,
tutt’altro: si vuole soltanto sottolineare che spesso non si prendono
in considerazione gli elementi fondanti di tali differenze ma, al
contrario, tali distinzioni vengono fatte superficialmente.
La modalità tipica della tradizione classico-romantica di concepire la
composizione è basata sull’idea che la mente creatrice di un autore
8
Alberto Abruzzese, Lo splendore della TV, Costa&Nolan, 1995, passim.

13
si sedimenti in un testo scritto, sia esso più o meno controllato,
aperto, soggetto a delle chance. È un’attività intorno alla quale si
configura l’esperienza musicale nel suo complesso, basata su tre
momenti separati: ideazione, testo e esecuzione. Ciò rende possibile
la trasmissione dell’opera, delegata al testo, che può essere sempre
recuperato e ri-costituito da un interprete, a patto che egli conosca il
codice dei segni, ossia la notazione.
Nella musica pop e rock – senza prendere in considerazione le
trascrizioni, descrittive come può esserlo un ritratto, ma non
prescrittive9 – non c’è un autore che compone, ma è presente
un’attività congiunta di intelligenze creative - siano essi strumentisti,
cantanti, poeti, tecnici del suono – che contribuiscono, tutte, a
costituire non un testo, non una partitura, ma direttamente un
brano, una performance. Questa può a sua volta essere registrata,
quindi fissata su un supporto tecnologico.
La performance è un atto vissuto che riassume in un unico momento
le due fasi cruciali che, nella tradizione basata sulla scrittura, sono
scisse dal testo: la produzione e l’esecuzione. In tali condizioni il
testo viene a svolgere una funzione essenziale per la trasmissione.
Comporre ed eseguire coincidono nella performance, ciò che consente
di scindere in due tali momenti è la partitura stessa, intesa come
livello neutro, alla cui sinistra ci sono i compositori e alla cui destra

9
La distinzione è stata introdotta per la rima volta da Charles Seeger, Prescriptive and
Descriptive Music-Writing in «The Musical Quarterly», XLIV/2, 1958, pp. 184 – 195

14
gli esecutori, momento neutro caratterizzato anche dai “punti di
indeterminazione”, spazi vuoti - così come li definisce Roman
Ingarden10 - che lasciano aperta la scena all’esecutore.
Hermann Danuser, in Musikalische Interpretation11, introduce una
distinzione tra i concetti di esecuzione, interpretazione e performance:
quest’ultima è la modalità normale di tutte quelle culture musicali
che non sono basate sul testo, inoltre ha tanti aspetti non ancora
codificati – quello spaziale, fisico e corporeo – che non
rappresentano dimensioni sovrastrutturali, ma sono parti integranti
e essenziali dell’opera stessa dell’artista.
I concetti di esecuzione e di interpretazione sono, invece,
intimamente legati a quello di testo.
Quando l’attività del comporre è distinta da quella dell’eseguire,
sono possibili sia esecuzione che interpretazione. Per esecuzione
Danuser intende la realizzazione del testo nella maniera più fedele
possibile. Interpretare, invece, non significa soltanto mettere in atto
10
Roman Ingarden, L’opera musicale e il problema della sua identità, Flaccovio, Palermo,
1989, traduzione italiana di A. Fiorenza. Cfr. anche Il problema dell’identità dell’opera
musicale, in L’esperienza musicale. Teoria e storia della ricezione, a cura di G. Borio e M.
Garda, EDT, Torino, 1989, pp. 51 – 68. In ambito letterario Wolfgang Iser ha
ridefinito la nozione di punti di indeterminazione di Ingarden e ha chiamato blanks
“quei vuoti, quelle lacune che il lettore deve riempire per ricostruire il significato del
testo”. Cfr., ad esempio, M. Garda, Teoria della ricezione e musicologia, in
L’esperienza musicale, cit., pp 1-34.
11
Hermann Danuser, Musikalische Interpretation, in Neues Handbuch der Musikwissenschaft,
11, Laaber, 1992.

15
tutte le indicazioni prescrittive date dalla notazione, ma giungere ad
un livello ermeneutico superiore, che possa ricondurre allo spirito
del compositore, attraverso un’opera di immaginazione, di
ricongiungimento ideale, oppure immaginare una sfera ideale nuova,
non insita nel solo testo.
Anche le performance sono ripetibili, ma non è più importante la
memorizzazione di un testo, quanto quella della tecnica, la quale
rappresenta una sorta di grammatica generativa in senso
chomskiano: in qualsiasi performance c’è una componente fissa – ad
esempio, negli standard jazz, i real books indicano la struttura
armonica di un tema – e una da ricreare di volta in volta, in base alle
regole della grammatica. In seguito subentra la tecnologia: il disco
fissa un momento, mette una sola performance sul microsolco o su
supporto ottico; sicuramente non si tratta di un testo, perché
quest’ultimo è una struttura ideale che necessita di una ricreazione,
mentre il disco è una performance, o meglio è la sua istantanea. Ma,
come detto sopra, elemento essenziale della performance è la
corporeità, cosa che non può essere presente su un microsolco - o
su altri supporti - che quindi può considerarsi come una sola
performance ricodificata, un passaggio drastico, da un codice all’altro,
legato al mezzo tecnico.
Per tentare, quindi, di rispondere, almeno parzialmente, agli
interrogativi posti sopra, è utile analizzare in dettaglio prima quali
siano, nello specifico, i diversi contesti e linguaggi di quella che

16
viene generalmente definita musica pop, per poi comprendere se sia
possibile generalizzare un simile discorso alla musica
tradizionalmente definita colta, o classica. A tale scopo, in questo
lavoro, si ricercheranno i linguaggi tipici della musica pop nella
produzione artistica di un musicista legato alla tradizione colta:
Giovanni Sollima. Ciò per dimostrare se e come i linguaggi tipici del
pop possano convivere con strutture musicali profondamente
ancorate alla tradizione colta, senza perderne definitivamente le
caratteristiche.

17
2) I LINGUAGGI DELLA MUSICA POP

Gianni Sibilla12 sostiene che esistano differenti linguaggi della


musica pop - non uno soltanto, generico e universale - poiché essa è
un fenomeno intertestuale e intermediale che si esprime
modificando il proprio codice a seconda dei contesti sociali e
mediali entro cui appare. È evidente, infatti, che la musica pop, nel
corso della sua storia, abbia sviluppato una serie di riti, miti e modi
di comunicare caratterizzati da tre momenti fondanti: la creazione
del prodotto, il consumo di esso e la sua diffusione. A questo
proposito, caratteristica fondamentale della musica pop è proprio tale
adattamento a diversi luoghi della comunicazione: essa modifica il
proprio linguaggio a seconda dei contesti; ogni canale entro cui si
diffonde è tutt’altro che neutro, anzi, implica codici comunicativi
differenti, frutto della mediazione tra contenuti e forme specifiche
del medium.
Altro aspetto importante della musica pop è sicuramente quello
“narrativo”: è indubbio che essa si sia sviluppata e affermata come
grande racconto sociale: “i personaggi sono i musicisti, sorta di
moderni bardi che autoreferenzialmente cantano e mettono in scena

12
Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, Bompiani, Milano, 2003, p.11.

18
se stessi e le proprie gesta. Essi raccontano una visione del mondo a
un pubblico disposto all’ascolto e all’identificazione13”.
Tale dimensione narrativa ha acquistato sempre più importanza nel
corso del tempo, in particolare negli ultimi due decenni, quando è
stata sfruttata strategicamente dalle case discografiche, che
attraverso il marketing, gestiscono gli artisti alla stregua di merci da
mettere sul mercato. Da ciò deriva, evidentemente, che la musica
pop sia un’espressione artistica il cui successo presso il pubblico
deriva in larga misura da fenomeni che esulano dalle proprietà
estetiche delle opere, e che riguardano, piuttosto, le strategie e i
progetti di comunicazione.
Affinché un artista diventi noto al grande pubblico, è fondamentale
costruirne una storia individuale che crei riconoscibilità e, allo stesso
tempo, empatia e immedesimazione. Del resto, è sicuramente
un’esigenza dei media generalisti di grande diffusione narrare la
storia personale di un artista: è molto più facile che parlare della
musica in sé - che necessiterebbe, sia da parte di chi scrive che di chi
legge, di una conoscenza specifica della terminologia musicale - e
suscita maggiore interesse. Se la storia del personaggio è ben
costruita e articolata, se le caratteristiche del protagonista riescono a
creare commozione, curiosità, sorpresa da parte del pubblico, è più
probabile che i media ne parlino, e quindi che il musicista cresca in
popolarità e, conseguentemente, in vendite. Ed è quello che
13
Ibidem, p. 12.

19
puntualmente si verifica: “della musica in quanto tale si parla
pochissimo. Le parole diffuse dai media raccontano soprattutto ciò
che le sta attorno: i pettegolezzi sui cantanti, il suo ruolo in questo o
quell’altro fenomeno di costume. Parole che si sprecano soprattutto
su quotidiani e rotocalchi…”14.
Questo aspetto narrativo, inoltre, può sicuramente essere di volta in
volta applicato alle singole opere dell’artista, con scopi
promozionali: parlare di com’è nato un lavoro, descrivere aneddoti
stravaganti o, ancora, approfittare di un evento di attualità dal forte
riscontro mediatico ad esso collegato, può fare la differenza fra il
successo e l’insuccesso. Tali racconti costituiscono singole parti del
percorso complessivo di un musicista e tutte contribuiscono, come
pezzi di un puzzle, a creare, nell’immaginario collettivo, varie
sfaccettature nel macro-racconto del musicista-personaggio. Si vedrà in
seguito come l’oggetto del nostro studio – il musicista Giovanni
Sollima – farà spesso proprie, in maniera più o meno volontaria, tali
strategie comunicative.

14
Ibidem, p. 18

20
3) I GENERI DEL POP

Con il termine “musica pop” si indica un macrogenere musicale che


include tutti i sottogeneri specifici della canzone popolare
sviluppatasi a partire dall’avvento del rock’n’roll e contraddistinti dalla
diffusione intermediale su supporti fonografici e attraverso i mezzi
di comunicazione. Essa si definisce a partire dal periodo storico
produttivo, dalla forma testuale – che ha nella canzone la sua unità
comunicativa di base – e dagli attori sociali che ne costruiscono
l’identità.
Tuttavia è utile, soprattutto dal punto di vista delle strategie
comunicative, considerare all’interno della musica pop i generi
particolari in cui si differenzia. Definiti come “la particolare scelta e
combinazione di codici che concorrono a definire un testo”15, i
generi sono una vera e propria bussola per il sistema dei media in
generale; rappresentano una realtà concreta, determinata soprattutto
dall’uso che ne fa chi produce i testi, chi li distribuisce e chi ne
fruisce. Poiché sono individuabili mediante caratteristiche definite e
ben riconoscibili, sia nei contenuti che nelle forme, favoriscono
fedeltà e attaccamento da parte del pubblico e, di fatto,

15
Gianfranco Bettetini, Teoria della comunicazione, Franco Angeli, Milano, 1994, p. 28.

21
costituiscono un ponte tra il mondo della produzione e quello del
consumo, un luogo comune in cui artista e pubblico vengono ad
incontrarsi.
Nel caso di Giovanni Sollima, il genere viene comunque affermato,
ma mediante la sua stessa negazione: le regole sono puntualmente
violate, le aspettative non vengono soddisfatte, creando – in luogo
della fidelizzazione, del riconoscimento e della “rassicurazione” del
pubblico – un effetto di straniamento, ugualmente efficace dal
punto di vista comunicativo, poiché desta interesse e curiosità. Il
rifiuto delle norme diventa esso stesso un genere definito, che ben si
presta a un trattamento di tipo narrativo, contribuendo, in maniera
essenziale, alla costruzione del personaggio. Al riguardo basta
ricordare alcune descrizioni del compositore da parte della stampa
generalista: “Sollima, Palermitano, violoncellista. Detta così è già
catalogato: musica classica. Errore. Da Sinopoli a Abbado, da Elisa
a Battiato, da Carolyn Carlson a Bob Wilson, non c’è luogo artistico
che Sollima non abbia esplorato”16 e ancora, “è agli antipodi rispetto
al cliché del compositore di musica seria, magari in frac”17.
La rottura di ogni codice e confine di genere, quindi, nel musicista-
personaggio Sollima, è evidente: è un compositore che proviene
dalla tradizione colta, ha fatto studi accademici ed è un grande

16
Maurizio Iorio, Con il violoncello per le contraddizioni della mia vita, «Il Tempo», 24
Marzo 2005.
17
Marco Rigamonti, Giovanni Sollima: violoncello rock, «Trax», Giugno 2005.

22
virtuoso del violoncello; insieme a Bach adora Hendrix, scrive
partiture per La Scala di Milano e suona con Patty Smith, collabora
con Philip Glass e Bob Wilson ed è il protagonista di videoclip di
successo.
Tale effetto-straniamento non è sicuramente nuovo; innumerevoli
sono i casi di “ibridazione” tra classica e pop, basti pensare - in
particolare di recente - a Giovanni Allevi, Paul McCartney, Roger
Waters, Elvis Costello, Sting, fino al recentissimo Music for the spheres
di Mike Oldfield18, il quale suona insieme all’orchestra Euskadi e alla
Sociedad Coral, per non parlare dei precursori: Concert for Group &
Orchestra dei Deep Purple e - più nostrano e ruspante - Concerto Grosso
dei New Trolls, celebre colonna sonora del film-culto del ’71, La
vittima Designata di Maurizio Lucidi.
Bettetini e Fumagalli19 definiscono quattro livelli di articolazione del
genere: linguistico-semiotico, storico, psicologico, sociologico-
industriale. Il primo livello, nell’ambito della musica pop,
corrisponde alla combinazione di norme tecnico-formali – utilizzate
per la scelta dei suoni –, semiotiche – riguardanti il piano verbale – e
comportamentali, corrispondenti alla prossemica della performance.

18
Cfr. Giuseppe Videtti, Oldfield scopre la grande orchestra, «La Repubblica», 18 Marzo
2008.
19
Cfr. Gianfranco Bettetini, Armando Fumagalli, Quel che resta dei media. Idee per
un’etica della comunicazione, Franco Angeli, Milano, 1998, p. 56.

23
L’effetto di genere della musica di Sollima è derivato, dunque, dalla
combinazione assolutamente contraddittoria di questi tre elementi,
creando quell’effetto di straniamento di cui si parlava sopra: su una
struttura musicale riconducibile in molti casi alla tradizione colta, i
cui testi verbali - quando presenti – sono generalmente trattati alla
stregua di una canzone pop20, il compositore utilizza, nel corso della
performance, una prossemica degna di una star del rock.
Il secondo livello va a individuare quelle caratteristiche, soprattutto
strutturali, che riconducono l’artista a una determinata tradizione
storico-produttiva, e il piano su cui viene costruito tale effetto è
quello metalinguistico, ossia mediante la codificazione di un lessico
usato per parlare delle opere e degli artisti, riconducendoli a stili o a
personaggi del passato (ad esempio: “Il nuovo Philip Glass”, “Un
violoncello rock”). Generalmente “la coscienza autoriale della
musica pop rifiuta una classificazione in generi”21 e gli artisti vivono
nel mito dell’autenticità, accogliendo malvolentieri paragoni con
sottogeneri più precisi, rivendicando l’originalità della propria opera.
A tale riguardo anche Sollima nega ogni tipo di classificazione:

20
Cfr. Viaggio in Italia, p. 143 - 161. In particolare si veda il trattamento del testo del
madrigale di Michelangelo Bella e Crudele, pp. 146 - 147.
21
Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, cit., p. 37.

24
“Non mi do etichette, ho paura di entrare in un universo
claustrofobico e di sentirmi vincolato”22.
I livelli sociologico-industriale e psicologico, definiti da Bettetini e
Fumagalli, sono strettamente connessi al ruolo della discografia, che
opera delle codificazioni, raggruppando per generi i vari prodotti,
per posizionarli più facilmente sul mercato. “Il ruolo dell’industria
musicale è quello dell’intermediario. L’opera di mediazione si svolge
tra le istanze artistiche dei musicisti, produttive dell’industria,
interpretative della critica e quelle di consumo del pubblico.
Insomma, l’industria sarebbe il luogo dove vengono rielaborati i
codici di genere linguistico-semiotici, storico-interpretativi e
sociologici, secondo un fine che è tipicamente di marketing: la
creazione di un prodotto facilmente riconoscibile e, quindi,
vendibile”23. Ne consegue che l’industria discografica lavora per
ottenere effetti di genere sulle categorie di precomprensione da
parte dell’ascoltatore e, in questo modo, diventano labili i rapporti di
causa e effetto: ci si domanda se sia la cultura a generare l’industria
culturale, o viceversa.

22
Giovanni Sollima in Rossella Simone, Violoncello Rock, Giovanni Sollima: jazz scirocco e
profumo di limoni, «D, La Repubblica delle donne», 30 Giugno 1998.
23
Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, cit., p. 39.

25
4) IL VINCOLO COMMERCIALE DELL’ARTE

Una delle peculiarità della musica pop è l’accentuazione della


dicotomia alla base di ogni industria culturale: il rapporto tra arte e
mercificazione.
Già nell’opera di Adorno la musica ha rappresentato, sin dall’inizio
della sua produzione, un punto di osservazione privilegiato dei
fenomeni sociali prodotti dall’avvento dei mass media. Quando nel
1938 redasse il suo primo saggio sull’argomento - Il carattere di feticcio
in musica e la regressione dell’ascolto - la musica viene ad assumere il
valore di un paradigma dei destini di una società dominata dai
monopoli capitalistici.
Accanto alla conclusione di Adorno, Benjamin, partendo da
posizioni analoghe, giungeva a conclusioni opposte: nel suo saggio
pubblicato nel 1936, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità
tecnica, l’argomento riguardava le arti figurative e le ripercussioni
estetiche e sociali della loro riproduzione mediante fotografia.
Eppure il complesso delle osservazioni di Benjamin coinvolgeva
comunque, in forma indiretta, la discussione sulla musica, tanto che
il saggio di Adorno sul feticismo in musica nacque appunto come
risposta a Benjamin.

26
Al centro della teoria di Benjamin è posto il concetto di aura, nel
quale si compendiano quei caratteri di sacralità, di irripetibilità che
costituivano gli attributi dell’opera d’arte nella concezione estetica
ottocentesca, come manifestazione e, insieme, garanzia della sua
autenticità. La contemplazione dell’oggetto artistico assumeva,
infatti, il carattere di un evento straordinario, di un atto mistico
riservato a pochi iniziati e lontano dall’esperienza quotidiana, quindi
“irripetibile” . La diffusione di massa dell’arte procedeva in un senso
esattamente opposto alla sacralità dell’aura: la possibilità di
riprodurre un’opera d’arte in un numero illimitato di copie, toglieva
significato al concetto di autenticità e annullava quei caratteri di
lontananza e di ritualità che, nell’immaginario collettivo,
contraddistinguevano la contemplazione estetica. La moltiplicazione
tecnica dell’oggetto artistico assumeva dunque, secondo Benjamin,
un significato democratico e anti-individualistico. Liberata dell’alone
auratico, l’opera d’arte poteva finalmente essere compresa
criticamente nella sua realtà vera: “L’opera d’arte riprodotta diventa
la riproduzione di un’opera d’arte predisposta alla riproduzione.
Nell’istante in cui il criterio dell’autenticità nella produzione dell’arte
viene meno, si trasforma anche l’intera funzione dell’arte; in luogo
della sua fondazione nel rituale, si instaura la fondazione su di
un’altra prassi: vale a dire il suo fondarsi sulla politica”24.

24
Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi,
Torino, 1966.

27
Partendo da premesse vicine a quelle di Benjamin, Adorno ne
capovolgeva le conclusioni e tendeva a vedere nei modi d’ascolto
propagati dai mezzi di comunicazione di massa, non una forma di
emancipazione, ma appunto una componente feticistica. Secondo
Adorno il concetto di “feticcio”, benché simile all’aura
benjaminiana, era connaturato alla produzione consumistica,
ingenerata dall’industria culturale di massa. Nel momento stesso in
cui il prodotto musicale si trasforma in merce, subentra, a
nascondere il suo carattere mercificato, un valore estetico fittizio, di
facciata, il quale non si definisce all’interno di un reale rapporto di
ricezione della musica, ma viene imposto dal di fuori e viene
feticisticamente propagandato come “qualità” dell’oggetto stesso.
Di qui una “regressione dell’ascolto”, che si rivela soprattutto nella
incapacità di penetrare nella struttura autentica dell’opera d’arte; a
questa si sostituisce una sorta di patente di artisticità rilasciata dal
mercato, il quale diviene così il vero depositario dei criteri di
giudizio estetico. E di qui, infine, un tipo di fruizione musicale
distratta, che tende a separare i singoli dettagli espressivi dall’insieme
strutturale della composizione. A questo punto Adorno non poteva
che proclamare l’incompatibilità, nella società di massa, fra
autenticità e comunicazione, e trovare, nel rifiuto di quest’ultima,
l’estrema via di salvezza della musica di fronte ai processi inesorabili
della mercificazione. Delle due teorie fu quella di Adorno a
esercitare maggiore influsso sulle avanguardie del dopoguerra,

28
spesso usata a giustificazione ideologica di un’attitudine a vedere
nella ricerca del nuovo un fine in sé e nell’impopolarità una garanzia
di validità estetica. Soltanto più tardi si è assistito a un recupero
delle posizioni benjaminiane, allorché l’impasse in cui era venuta a
trovarsi l’avanguardia, ha spinto numerosi musicisti ad affrontare in
concreto la problematica dei mass media e della formazione di una
coscienza musicale collettiva attorno ai nuovi linguaggi elaborati
dalla sperimentazione.
Tra i compositori che sono tornati a dialogare con il pubblico e che
hanno ricucito il divario fra creatore e fruitore, c’è Giovanni
Sollima: “Paghiamo certe scelte fatte negli anni Cinquanta e
Sessanta, quando i musicisti decisero che potevano fare a meno del
pubblico. Oggi, per fortuna, la situazione sta migliorando…”25,
“credo di fare parte di una fascia di musicisti che ha fatto
dell’ibridazione la propria cifra. M’interessa molto la comunicazione,
senza scendere, beninteso, a compromessi di mercato”26.
Eppure, la musica pop è anche un mercato sul quale evidentemente
si è sviluppata un’industria, quindi, per forza di cose, è soggetta a
condizionamenti derivati dal contesto economico.

25
Giovani Sollima in Alice Bertolini, Intervista a Sollima, «Suonare News», Ottobre
1999.
26
Giovani Sollima in Maria Lombardo, L’inferno che musica! Dante così moderno, La
Sicilia, 30 Dicembre 1999.

29
Sibilla richiama l’attenzione sul potere detenuto, nella società
attuale, dalle grandi multinazionali. Egli si riferisce alle cosiddette
“cinque grandi sorelle”, che possiedono praticamente il totale delle
quote di mercato, lasciando alle etichette indipendenti - spesso a
queste vincolate da accordi di mercato - praticamente solo briciole.
Nell’organizzazione aziendale delle case discografiche sono
stabilmente definite alcune figure e strutture, la cui influenza è
rilevante sulla creazione dei prodotti musicali. Fondamentale è il
reparto artistico – in cui si scelgono protagonisti e i brani musicali –
e il dipartimento marketing e promozione, che gestisce la
comunicazione d’immagine del musicista su un piano intermediale e
multimediale. Le case discografiche lavorano su diversi canali
promozionali: stampa, radio, televisione, new media. Da questo
sistema promozionale dipendono tecniche di collocazione del
prodotto in fasce precise del mercato, attraverso la definizione di
una sua identità e il successivo posizionamento in canali di
comunicazione e distribuzione.
Il mercato musicale è intimamente legato allo sviluppo tecnologico:
la nascita del disco è un evento fondamentale per la musica pop,
perché ha innescato il processo di manipolazione della musica
stessa, di distribuzione sui media e di allontanamento dalla sua
espressione più pura, l’esecuzione dal vivo.
Più in generale, l’invenzione del disco è stato l’evento che ha avuto
le più vaste ripercussioni nella vita musicale del secolo scorso. Il

30
primo ingresso sul mercato dei mezzi tecnici di riproduzione sonora
interessò, quindi, principalmente il jazz, la canzonetta, la musica da
ballo e gli altri generi di musica leggera, che seppero immediatamente
utilizzare le nuove tecniche e l’industria come formidabili veicoli di
diffusione, a differenza della musica colta, che ne usufruì solo
marginalmente.
Anche in seguito, del resto, la musica leggera rimase assai più duttile
nel recepire gli elementi di novità - sia sul piano funzionale che su
quello estetico - insiti nel fenomeno della riproducibilità tecnica. La
ragione è il maggior interesse dell’industria culturale per i prodotti
più facilmente commerciabili e, in qualche misura, si deve anche a
pregiudizi del compositore di tradizione colta verso l’industria
culturale. Anche quando non nutriva disprezzo verso i nuovi mezzi,
tendeva comunque a relegarne l’impiego a una funzione ausiliaria, di
semplice conservazione o di surrogato dell’esecuzione dal vivo,
rimanendo indifferente dinanzi alle nuove possibilità di intervento
sul suono e di allargamento della base del pubblico. Al contrario,
nella musica pop, si riconobbe gradualmente al prodotto discografico
una sua autonomia rispetto all’esecuzione diretta, anzi, la perfezione
esecutiva raggiunta con la riproduzione tecnica diventò di gran
lunga superiore a quella ottenibile in un’esecuzione dal vivo. Si è
dunque verificato qualcosa di simile all’ipotesi benjaminiana: la
copia appare più perfetta dell’originale verso cui si impone come
modello.

31
Ma le conseguenze più rilevanti di questo capovolgimento si hanno
sul piano della composizione: la realizzazione sonora acquista,
infatti, un’oggettività ben superiore a quella della partitura. Da ciò
deriva, come detto in precedenza, la nascita di brani musicali che
esistono soltanto nella loro oggettivazione sonora su disco o su
nastro, con un conseguente distacco fra suono e scrittura sino a
relegare quest’ultima alla funzione di puro schema descrittivo.

32
5) MUSICA POP E CONSUMO

Le forme di fruizione della musica leggera, pop e rock vengono


generalmente associate al gruppo sociale dei “giovani”.
Il disco, negli anni Cinquanta, diviene “insieme con alcuni tipi di
abbigliamento […] il prodotto simbolo dell’emergere di una cultura
generazionale distinta da quella adulta”27. Questa corrispondenza
biunivoca tra giovani e musica pop, ha dato vita a una sorta di
rinforzo reciproco tra i sistemi di costruzione dell’identità giovanile
e la nascita di un fenomeno culturale ibrido, che, sulle sonorità del
rock, ha veicolato una metanarrazione della gioventù, basata sulla
ribellione al mondo adulto28; per contro, tale mondo adulto -
percepito antipodicamente come altro da sé da parte della cultura
giovanile - è stato associato alla musica colta, derivandone da ciò
una totale estraneità da essa.
In tempi recenti si è cercato, quindi, per ricucire quella frattura nata
con le Avanguardie, di riconquistare un rapporto con il pubblico e,
in particolare, con quello giovanile.
27
Peppino Ortoleva, Mass media. Nascita e industrializzazione, Editori Riuniti, Roma,
1995, p. 147
28
Cfr. Maria Teresa Torti, Giovani e popular music nella ricerca sociale italiana, «Rassegna
Italiana di sociologia», XLI, n°2, 2000.

33
Giovanni Sollima è, appunto, uno di questi musicisti, sicuramente
per il suo stile fatto di commistione di idiomi diversi - dalla classica
al jazz, dal minimalismo alla world music, dal rock al barocco - ma
anche per la sua trascinante prossemica durante le performance e,
soprattutto, perché, da un punto di vista narrativo, il suo
personaggio comunica e, quindi, racconta e fa raccontare ai media,
caratteristiche che creano riconoscibilità nell’universo giovanile: la
ribellione, la rottura degli schemi, il rifiuto del formalismo. Tale
modo di porsi, dunque, anche da un punto di vista dell’immagine –
si vedano le magliette con il volto Hendrix che indossa ai concerti,
insieme ai jeans e alle scarpe da ginnastica – da fatto puramente
formale diventa un punto di forza fondante e sostanziale per
rompere muri di diffidenza nei confronti della tradizione musicale
colta. La stampa generalista, infatti, quando parla di Sollima, non
manca mai di porre in rilievo proprio questo aspetto; su tutti, basta
ricordare al riguardo il titolo eloquente di un noto quotidiano:
“Sollima: Classica? Ai giovani piaccio perché sono rock29”

29
Vincenzo Celletti, Sollima: Classica? «Ai giovani piaccio perché sono rock», «Avvenire», 11
Novembre 2006.

34
6)LA MUSICA POP COME ESPERIENZA NARRATIVA

La musica pop crea i suoi significati a partire da un testo30 a monte,


dal consumo che se ne fa di essa, e dal canale di comunicazione in
cui si diffonde, quindi, come detto in precedenza,31 è un fenomeno
complesso, costituito da una parte testuale, da una sociale e da
quella mediale. Ne consegue che i prodotti della musica pop non
sono fruibili in modo neutro: sono i modi e i luoghi in cui essa si
manifesta che “mettono in scena dei linguaggi diversi e generano
esperienze di fruizione diverse32”. Mai come per la musica, quindi, la
tesi di McLuhan pare verificarsi pienamente: sono i media e i
contesti a determinarne contenuti e linguaggi33. Per analizzarli,
tenendo presente tale complessità, significa utilizzare una chiave di

30
Si parla qui e oltre di “testo”, inteso nell’accezione usata da Gianni Sibilla ne I
linguaggi della musica pop: non si intende semplicemente “testo” come presente su un
supporto, ma quale prodotto e manifestazione di un’attività artistica o di pensiero
non riconducibile ad un solo linguaggio, ma ad una somma di essi. Ad esempio, il
“testo” della canzone pop è costituito da tre macro-elementi: la musica, le parole e
l’interpretazione.
31
Cfr. p. 18.
32
Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, cit., p. 98
33
Cfr. Ibidem.

35
lettura socio-semiotica e mediale; ciò significa considerare la musica
stessa come un’esperienza narrativa. Se si prende in considerazione
la canzone come unità comunicativa di base del pop, ci si rende
conto che si tratta di un racconto attraverso il quale la musica
propone un’esperienza comunicativa, organizzata in forme
narrative. Attraverso questo racconto, la musica elabora dei valori
culturali, interpreta quelli sociali, propone delle forme di identità a
chi la fruisce. È la stessa musica, quindi, a costruire il suo fruitore,
attraverso linguaggi intertestuali – ossia fatti di continui rimandi ad
altri testi – e intermediali, cioè che appaiono su media differenti.
Per analizzare la musica pop, dunque, è indispensabile tenere
presente la natura molteplice dei suoi linguaggi: bisogna, allora,
prendere in considerazione contemporaneamente testi, forme del
racconto, contesti e mezzi di diffusione, poiché il racconto prende
vita nell’atto stesso della narrazione, la performance.
La narrazione avviene attraverso la selezione di materiale
proveniente dall’esperienza individuale e sociale di chi narra, dalla
riorganizzazione di tale materiale in schemi comprensibili, e dalla
comunicazione a chi è disposto a ascoltare; ciò, generalmente, nel
pop si esplicita attraverso i testi delle canzoni, e mediante una
particolare scelta stilistico-musicale.

36
Nelle opere di Giovanni Sollima, come si vedrà in dettaglio più
avanti, solo in rari casi è presente un testo verbale34, nondimeno,
l’aspetto narrativo è sempre presente nei suoi lavori, grazie a “testi
esterni” al fenomeno musicale propriamente detto, che diventano,
però, parte integrante dell’opera: si tratta, di solito, di recensioni,
interviste, sinossi, che forniscono dettagli sulle fonti d’ispirazione
del compositore, sulla storia che c’è dietro ogni brano, e sulle
occasioni – spesso di risonanza mediatica – per le quali tali lavori
nascono. È a partire da simili racconti che l’artista si rappresenta
come personaggio ed esplicita la propria visione del mondo. Più
riesce in questo intento, maggiore sarà la sua popolarità, poiché la
propria storia personale – potendo essere notiziabile all’infuori del
fenomeno musicale – sarà meglio veicolata dai media generalisti, in
particolare se sarà capace di intercettare pulsioni e bisogni di
identificazione del target di riferimento.
Il testo verbale di una canzone, la trasposizione di un brano in una
recensione, l’intervista, la trasformazione in un testo audiovisivo (il
videoclip) – contribuiscono a creare il macro-racconto del musicista, in
realtà protagonista assoluto di tutte le sue opere.
La figura del musicista come personaggio va letta a livello
micronarrativo – se si considerano gli elementi contenuti all’interno di
ogni singola opera – e macronarrativo, che riguarda tutti quegli

34
Si vedano, a titolo d’esempio, le analisi dei brani Viaggio in Italia, Ellis Island, Songs
from the Divine Comedy, rispettivamente a pp. 143 - 161; 196 - 219; 220 - 233.

37
elementi rintracciabili nell’insieme di testi riconducibili alla sua
produzione. Da ciò deriva la mitizzazione dell’artista, che diventa
portatore e simbolo di valori socialmente condivisi, in particolare
dalla comunità di ascoltatori. In definitiva il musicista è “un
mediatore intertestuale: grazie al suo talento narrativo, raccoglie,
seleziona, e riarticola dei messaggi provenienti da diverse fonti e li
esprime attraverso diversi media”35.
Il racconto della musica pop, quindi, si esplica in luoghi differenti,
attraverso la presenza diretta, o meno, della musica stessa: il
concerto, la performance, la trasmissione radiofonica, televisiva o
attraverso internet, costituiscono momenti in cui essa si manifesta
direttamente; le recensioni dei brani e le immagini dell’artista – sulla
carta stampata, su internet o in televisione – sono i luoghi in cui
viene soltanto evocata.
Dagli anni Ottanta in poi, la musica pop ha iniziato a moltiplicare i
propri racconti in funzione promozionale, adottando strategie di
marketing sempre più sofisticate. Da qualche tempo tali strategie
sono state applicate anche alla classica, o meglio, a quella divisione
marketing delle case discografiche indicata con il nome di cross-over:
un nuovo genere che travalica norme e aspettative - in passato
cristallizzate - ora volontariamente violate.
È opportuno, in questa sede, citare a titolo di esempio e di paragone
un caso emblematico di questi mesi: Giovanni Allevi, pianista e
35
Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, cit., p.118.

38
compositore, acclamato come una star del pop, che piace al pubblico
giovanile e indossa scarpe Converse e jeans, il tutto unito a un’aria
stralunata e a una folta chioma riccia e corvina. Il motivo del suo
enorme successo va visto alla luce di quanto detto finora e, in
particolare, proprio riguardo alla dimensione narrativa del
personaggio-Allevi, si può individuare la differenza di successo tra
questi e Sollima - musicista sì molto amato, ma non ancora noto a
tutto il pubblico, anche quello meno interessato alla musica.
Sicuramente si potrebbe obiettare che la differenza sostanziale
risieda nella diversa struttura della loro produzione musicale, in
particolare perché i brani di Allevi - brevi, semplici, orecchiabili -
possono paragonarsi a tipiche canzoni pop, prive del testo. A mio
parere, però, la reale linea di demarcazione non va rintracciata nella
musica, quanto nel diverso uso della dimensione narrativa. Il macro-
racconto di Allevi è costruito volontariamente e a priori: è breve,
incisivo e riconoscibile; non c’è bisogno di unire i pezzi della sua
produzione artistica, poiché è lui stesso che, in ogni concerto, in
ogni intervista, reitera esplicitamente la narrazione del personaggio
che rappresenta. Al contrario, se si volesse individuare un
macroracconto del personaggio-artista Sollima, bisognerebbe
inferirlo a posteriori, analizzando la sua produzione artistica negli
anni, la sua biografia, il suo repertorio, le differenti fasi compositive
e i diversi temi della sua poetica, succedutisi in un complesso

39
divenire36. Tale macroracconto, quindi, non esplicitato
volontariamente, né costruito, non è portatore di un messaggio
breve e riconoscibile; per tali ragioni il personaggio-Sollima non
suscita né immediata empatia, né immedesimazione.
Al contrario, la storia di Allevi – fatta di aneddoti, di tic e di
stranezze – è nota ancora prima della sua stessa musica, che diventa
quasi un accessorio, un fattore d’interesse secondario. Come
afferma Sibilla:
Nella sempiterna battaglia tra arte e commercio, tipica
dell’industria culturale, in questo periodo prevale, almeno
quantitativamente, la produzione di testi dichiaratamente
orientati alla commercializzazione. I prodotti di consumo
diventano onnipresenti sui media; anche quelli più sbilanciati
verso la dimensione artistica pura si devono adeguare per avere
visibilità. La musica pop diventa un fenomeno propriamente
intermediale, quando si adegua alle leggi dello star system e
quando il musicista diventa un personaggio che ha bisogno di
raccontare non soltanto attraverso la musica […] ma anche
attraverso i media37.

Fondamentale, quindi, è progettare, come fa Allevi, il contesto


comunicativo che sta attorno alla musica, ossia i modi e i luoghi in
cui essa si fa presente a un pubblico disposto a ascoltarla. È proprio
in questo processo comunicativo che ha luogo il racconto musicale.
36
Tale, del resto, è il lavoro svolto nella seconda parte di questa tesi.
37
Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, cit., p.118.

40
7) I LUOGHI DEL RACCONTO MUSICALE

Gianni Sibilla individua38 differenti luoghi narrativi della musica pop,


ognuno dei quali dà vita a specifici testi musicali e linguaggi,
rielabora i testi originari del racconto musicale in una forma di
narrazione originale, e contribuisce a creare il macro-racconto del
musicista-personaggio.

7.1- La canzone

L’unità narrativa e comunicativa della musica pop è senz’altro


costituita dalla canzone; essa è “la punta dell’iceberg della
comunicazione […] è ciò di cui è fatto essenzialmente il pop, ciò che
si dà da ascoltare”39. È un oggetto intermediale poiché prende vita in
forma diverse e su media diversi: dal supporto fonografico
registrato alle versioni pensate per i mass-media. Il suo successo
esplode negli anni Cinquanta, con l’avvento del rock ’n’roll:

38
Cfr. Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, cit., p. 118.
39
Ibidem, p. 129, corsivo dell’autore.

41
La nuova musica, per essere un richiamo così irresistibile e
potente, non poteva fare a meno di compendiare
caratteristiche afroamericane, country e pop, di evocare la
possessione estatica dei canti da chiesa, così come lo
sfrenato edonismo che improvvisamente travolse i giovani
americani, ma quello che è impressionante è proprio la
potenza di novità, di cambiamento radicale ottenuto, sul
piano musicale, con un lievissimo spostamento stilistico.
Lievissimo eppure sconvolgente. Proprio come nella
reazioni chimiche, quanti più elementi rintracciamo, quello
che conta è la sintesi finale, in un periodo in cui la storia
sembra voler compiere un deciso passo in avanti40.

Tali commistioni, che dunque decretarono allora il grande successo


della canzone pop, oggi rappresentano il tratto caratteristico della
scrittura di Sollima e il motivo fondamentale dei vasti consensi
suscitati dalla sua musica, da parte di un pubblico
sorprendentemente eterogeneo.
Il successo della canzone si deve, inoltre, alla sua incisività e brevità,
e alla sua struttura – spesso riconducibile a un numero limitato di
schemi formali standardizzati – costituita, in genere, dall’alternanza
di strofe e ritornelli. Tale brevità impone, da un punto di vista
verbale, la “densità”: le parole devono racchiudere il maggior
numero di significati possibili in una frase. Poi sono ritmo, melodia

40
Gino Castaldo, La terra promessa. Quarant'anni di cultura rock, Feltrinelli, 1994, p. 48.

42
e armonia a imporre alla canzone i tempi del discorso e quelli della
fruizione.
La canzone presenta una struttura micro-testuale che le consente di
essere trasmessa al proprio ascoltatore sempre in macro-testi fatti di
aggregati multipli e, per queste sue caratteristiche strutturali, può
essere riprodotta in diversi canali di diffusione: singolo radiofonico,
rielaborazione per immagini in un videoclip, performance televisive.
Proprio a causa della sua struttura, costituita dall’alternanza di pattern
ripetuti, è spesso oggetto di differenti trattamenti: può essere citata
solo in parte – ad esempio si può usare il solo ritornello – per scopi
diversi e, soprattutto, in svariati contesti: nel cinema, nella
pubblicità, in trasmissioni televisive.
Questa caratteristica della musica leggera, ovvero la modularità delle
strutture, è spesso fatta propria da Sollima in molti suoi lavori. Egli
stesso dichiara, infatti, di creare volutamente strutture modulari, in
particolare in quelle sue opere che considera dei work-in-progress, per
poter sostituire, eliminare o aggiungere di volta in volta materiale,
senza alterare i brani nella loro organizzazione fondamentale.
Molte delle composizioni di Sollima, inoltre, sono costituite da brani
brevi, incisivi e ripetitivi - non certo delle canzoni pop, perché prive
di testo - che hanno, però, ugualmente riscosso un grande successo
di pubblico.

43
Come per una canzone pop, inoltre, di un brano in particolare41 è
stato girato un video musicale - di cui lo stesso Sollima è
protagonista - che ha stabilito il record mondiale di contatti su
YouTube, per quanto riguarda un videoclip al di fuori dell’ambito pop-
rock.
Ogni brano di un musicista contribuisce, così, a crerare il proprio
macro-racconto e rappresenta uno dei mattoni di una storia più
complessa e articolata, espressa tramite altri lavori, canzoni, dischi,
performance, immagini, blog e così via.

41
Si tratta di Terra Aria, tratto da J. Beuys Song. Il video musicale s’intitola DayDream,
ed è girato dal giovane regista emergente Lasse Gjertsen. Cfr. pp. 66 -69; 173 – 176.

44
7.2 - La musica messa in scena

L’aura della musica, venuta meno con il disco - un supporto creato


per essere prodotto in milioni di copie identiche - viene recuperata,
nell’estetica dell’ascolto pop, nella performance dal vivo. È
nell’esecuzione di fronte a un pubblico che risiede l’aura della
musica nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, poiché è il momento in
cui essa si riappropria di quei caratteri perduti di unicità, originalità,
autenticità. Eppure la musica pop, più che performing art, va intesa
come recording art: si basa su un processo di creazione e poi
fissazione di un’idea su un supporto. Questo processo avviene nello
studio di registrazione, dove i brani vengono pensati, sviluppati,
eseguiti e poi registrati, per essere successivamente riprodotti. Come
suggerisce Fabbri, pensando a Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band
dei Beatles, “la lezione di quel modello si può dare per acquisita in
tutti i generi della popular music: in studio di registrazione si crea,
non si riproduce”42.
Solo successivamente la musica, da recording art, diventa performing art,
ossia quando la vita del brano non si esaurisce nella riproduzione ad

42
Franco Fabbri, Il suono in cui viviamo. Inventare produrre e diffondere musica, Feltrinelli,
Milano, 1996, p. 92.

45
libitum della sua versione originaria, ma quando viene eseguita in
diversi luoghi e in diversi modi.
Nel corso del tempo la performance della musica pop si è codificata in
una serie di forme, della quale, la più rappresentativa,
nell’immaginario collettivo, è senza dubbio il concerto dal vivo: il
musicista produce la propria musica “in diretta”, in presenza del
pubblico. Il carattere auratico della musica, in questo caso, viene
preservato43, poiché la performance dal vivo rappresenta un evento
sociale fortemente ritualizzato, che esula dalla routine quotidiana.
Le performance mediali, invece, sono tutte quelle esecuzioni fatte con i
media, per i media e sui media. Nascono, generalmente, per scopi
promozionali, e la musica diventa un contenuto da veicolare
ovunque, in modo tale da raggiungere più ascoltatori possibili.
Dagli anni Ottanta in poi, secondo i rigidi standard di marketing delle
case discografiche, il percorso produttivo vede prima l’incisione del
disco, poi la pubblicazione, e in seguito la sua promozione mediante
performance, nelle forme di concerti, tour, apparizioni sui media,
interviste. Si tratta di una routine che, tuttavia, non si verifica sempre:
capita che vengano organizzati tour e performance prima della
pubblicazione del disco, e spesso i brani vengono incisi proprio
durante tali esibizioni dal vivo, appunto i cosiddetti “dischi live”.
Giovanni Sollima, nella sua produzione musicale, fa più volte
esperienza di tali processi produttivi. Se, in molti casi, i lavori di
43
Cfr. Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, cit., pp. 158 – 161.

46
Sollima si pongono come “opere”, intese come composizioni
tipiche della tradizione classica, - si considerino ad esempio Tempeste
e Ritratti, Violoncelles, vibrez! - si vedrà più avanti come, ad esempio
per Aquilarco44, non si possa parlare più di “opera”, ma, piuttosto, di
“oggetto-disco”: nasce in studio di registrazione, grazie al progetto
dell’autore, coadiuvato da un’attività congiunta di intelligenze
creative che, insieme, concorrono alla realizzazione non di una
partitura, ma direttamente di un brano.
Nella musica pop, e in tutte quelle culture musicali che non sono
basate sul testo ma sulla performance, essenziali sono l’aspetto
spaziale, fisico e prossemico. “Il corpo viene usato come uno
strumento di comunicazione, manipolato e gestito come un testo45”,
la performance pop è “un rito in cui non la musica, non la canzone ma
il performer è al centro dell’attenzione […] La performance non è l’ascolto
dell’interpretazione di un repertorio di canzoni […] è la visione di
una messa in scena drammatizzata della musica e di un attore che la
interpreta, il musicista.46”
Allevi, in tutti i suoi concerti dal vivo, parla direttamente al
pubblico e reitera gli aneddoti del suo percorso artistico, con tutti i
cliché del caso.

44
Cfr. Aquilarco, pp. 129 – 137.
45
Cfr. Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, cit., p. 164.
46
Ibidem, corsivo dell’autore.

47
Giovanni Sollima, invece, durante le sue performance, “racconta” la
sua storia, ma non certo con le parole: attraverso il linguaggio del
corpo, la prossemica, la sua presenza scenica egli comunica che è un
virtuoso del violoncello, ma che, allo stesso tempo non è un
accademico e che rifiuta le forme del concerto tipiche della
tradizione colta. Sul palco lo si vede danzare insieme al suo
strumento e nella sua musica si possono ascoltare commistioni di
stili, che rimandano ora al rock, ora alla world music o, ancora, al
minimalismo americano.

48
7.3 - La musica scritta

La critica musicale è il luogo in cui la musica subisce la


trasformazione più drastica: non è mai presente, ma è evocata da un
linguaggio completamente diverso, quello verbale. Alcuni celebri
personaggi della musica pop hanno addirittura contestato
l’opportunità di una simile prassi: “scrivere di musica è come
danzare di architettura”47, pare avesse risposto Elvis Costello ad un
giornalista.
Eppure, parlare di musica può considerarsi una forma di
mediazione culturale tra chi la produce e chi deve fruirne: una guida
alla scelta e all’ascolto.
È tuttavia evidente la differenza che, di fatto, esiste tra la critica del
pop rispetto a quella della musica di tradizione colta: ancora
sopravvive una netta linea di demarcazione tra le due, quasi a
sottolineare l’incompatibilità tra i rispettivi generi e pubblici.
In merito alla musica pop, le forme di mediazione culturale della
critica e dell’informazione si sono sviluppate rispecchiando e, allo
stesso tempo, contribuendo ad aumentare il crescente status di

47
Questo aforisma è generalmente attribuito a Elvis Costello, anche se in una recente
intervista ne ha smentito la paternità.

49
fenomeno sociale della musica stessa. Soprattutto sulla stampa
generalista, si parla ovunque dei personaggi della musica pop, se non
in quanto musicisti, sicuramente come “divi”, con i connessi
pettegolezzi, curiosità e quant’altro serva ad alimentare il macro-
racconto del musicista.
Per quanto riguarda la musica di tradizione colta, - a parte le riviste
di settore - minimi spazi, in particolare sulle più importanti testate,
sono riservati al critico musicale specializzato in “classica”, che
assume di diritto una legittimazione di “esperto” che erudisce il
pubblico, utilizzando una dialettica ricercata e sublime. Nelle forme
più disparate, auliche e poetiche si tenta, con ogni sorta di
locuzione, di descrivere sinesteticamente la musica, si inventano
neologismi ad ogni pie’ sospinto, ma alle volte – a parte la forma
verbale utilizzata – sorgono dubbi sulla reale competenza musicale
di chi scrive.
Se Gorge Steiner48 troppo drasticamente, in Linguaggio e silenzio,
immagina una “repubblica utopica” dove è bandito ogni discorso su
musica, arti e letteratura, è pur vero che molti - incluso Elvis
Costello – esprimono reticenze, più o meno manifeste sui critici in
generale. Su tutti, mi diverte ricordare Nanni Moretti nel celebre
Caro Diario, il quale, in una scena del film, esce da un cinema
nauseato per la troppa violenza di una pellicola49, osannata, invece,

48
Gorge Steiner, Linguaggio e silenzio, Garzanti, Milano, 1967.
49
Si tratta di Henry, pioggia di sangue, film del 1986, diretto da John McNaughton.

50
da un critico. Nella scena successiva Moretti, in una sorta di non-
violento autodafé contemporaneo, costringe lo stesso critico a fare
pubblica ammenda per le espressioni usate e, come una condanna
corporale, gli infligge le parole delle sue peggiori recensioni:

… quel film coreano era un melodramma in costume, vestiti


e soprattutto cappelli deliranti, e Superfemminista,
fiammeggiante e demoniaco, girato come se fosse un trip
alla Spielberg entrato nei ritmi e negli spazi futuristi. E poi
c’è il pasto nudo di Cronenberg, puro pus underground ad
alto costo…

Alla fine il regista conclude “Ecco, penso, ma chi scrive queste cose
non è che la sera, magari prima di addormentarsi, ha un momento
di rimorso?50”.
È possibile pensare lo stesso, soprattutto se si è alle prese con una
recensione sulla musica colta, poiché troppo spesso le parole usate
dai critici appaiono autoreferenziali e autocelebrative, utili soltanto a
un discutibile esercizio stilistico e responsabili, troppe volte, di
creare quella diffidenza del pubblico nei confronti della musica di
tradizione colta, di cui si è parlato in precedenza.
Giovanni Sollima deve molto alla stampa generalista, poiché, come
detto più volte, pone in rilievo le caratteristiche tipiche del
compositore: la sua apertura a differenti generi, la sua volontà di

50
Tratto dal film Caro Diario di Nanni Moretti, Italia, 1993.

51
rottura con la tradizione, tutti aspetti che ben si prestano a un
trattamento di tipo narrativo.
Non mancano, comunque, nella rassegna stampa di Sollima,
recensioni tipiche della critica specializzata in musica di tradizione,
su tutte si ricordino la parole scritte per Violoncelles, vibrez!: “Una
melodia madida di mille echi magici […] un tema fantastico dalla
maliosità quasi intimidatoria”…51
Eppure c’è bisogno ancora della critica, ma come scrive Piero
Ottone:

Vorrei che l’alta cultura italiana, quando non si esprime in


riviste specializzate, non desse per scontato che il lettore già
sappia tutto. Vorrei, in altre parole, che gli specialisti […]
fossero capaci, e sentissero il piacere, di divulgare. Uscire dalla
torre d’avorio per mescolarsi con la gente. […] Altrimenti si
scrive solo per pochi eletti. Gli altri si arrangino: col rischio
che rinuncino a leggere. 52

51
Angelo Foletto, Il volo magico della melodia, «Suonare News», IV/6, 1998.
52
Piero Ottone, Parmenide, chi era costui? Per favore, spiegatelo, nella rubrica Vizi e virtù,
«Il Venerdì» de «La Repubblica», n°1046 del 4 Aprile 2008, corsivo mio.

52
7.4 - La musica parlata

La radio è il canale di trasmissione della musica più consolidato: è


stato il primo mezzo a diffonderla su larga scala, contribuendo a
definirne le forme di produzione e di consumo.
Anche con l’avvento della televisione, la radio ha comunque
mantenuto la sua egemonia sulla comunicazione della musica, fino
all’avvento delle televisioni musicali degli anni Ottanta prima, e di
Internet poi.
Nel rapporto tra radio e musica, tuttavia, non bisogna dimenticare il
ruolo fondamentale rivestito da un altro attore: l’industria
discografica. Essa ha da subito colto le grandi potenzialità
promozionali di questo mezzo, ben superiori a quelle della stampa:
la radio è in grado di far ascoltare direttamente la musica,
contestualizzandola in un flusso sonoro fatto di contaminazioni
linguistiche.
Da tale potere promozionale, ne consegue la rilevanza strategica
dell’assegnazione degli spazi: in molti sostengono che il successo di
un brano sia direttamente influenzato dai passaggi in radio e non si

53
può negare che sia la stessa radio, con tali scelte, a creare il proprio
pubblico, più che assecondarlo53.
In radio, dunque, la musica assume significati diversi a partire dalla
contestualizzazione in un universo sonoro composito, e i suoi
linguaggi si definiscono attraverso i processi mediante i quali la
musica stessa si inserisce in un macro-testo più ampio - fatto di
suoni e linguaggio verbale - a cui è affidato il ruolo narrativo,
ricoperto, in genere, dallo speaker, o dal DJ.
Come si è visto in precedenza, il macro-racconto di Sollima non è
collegabile ad un genere in particolare, al contrario: travalicando i
generi, crea quell’effetto di straniamento che dà impulso
all’elemento narrativo e rende il personaggio appetibile a più
pubblici e a più media. Per quanto riguarda il medium radiofonico,
invece, la caratteristica tipica di Sollima della “non-etichettabilità” ha
costituito, almeno per ora, uno svantaggio per il compositore,
poiché ha escluso passaggi radiofonici dei suoi lavori sia nelle radio
tipicamente pop, che in quelle classiche, salvo rare eccezioni.
Tali eccezioni, comunque, confermano la regola, poiché quelli
eseguiti in radio, sono stati i brani più facilmente inquadrabili in un
genere preciso: si veda su tutti Tempeste e Ritratti54 – assimilabile in
pieno alla tradizione colta – commissionato ed eseguito dalla
Filarmonica della Scala, trasmesso in diretta in occasione della prima

53
Cfr. Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, cit., pp. 227 – 239.
54
Cfr. pp. 177 – 195.

54
assoluta su Radio Rai Tre e seguito da un’intervista all’autore in
merito alla sua nuova opera55.
All’opposto si colloca, invece, una recente “ospitata” radiofonica di
Sollima su Radio DeeJay. Pur trattandosi entrambe di interviste,
vanno a mettere in luce aspetti opposti: la prima verte quasi
esclusivamente sulle caratteristiche strutturali e stilistiche del brano,
- commissionato e eseguito in prima assoluta alla Scala - la seconda
presenta Sollima come personaggio, affrontando l’argomento
musicale solo sporadicamente e, in particolare, come un attributo
del personaggio stesso.
La trasmissione su Radio DeeJay va a indagare, attraverso la
conversazione con il compositore, il carattere della persona, sui suoi
gusti e modi di essere, senza parlare della musica, che viene ascoltata
nelle brevi interruzioni del flusso del parlato:

DJ: Questa puntata è ad altissimo rischio, perché abbiamo


un ospite di una levatura che non ci appartiene […]
Veramente oggi abbiamo messo su il puntatone! Visto che
abbiamo passato Jimi Hendrix, avremo il “Jimi Hendrix of
the cello”. Quindi ragazzi, oggi vi riportiamo a casa
extralusso, rientro a casa a cinque stelle stasera. Rifatevi un
po’ il trucco, datevi una sistemata, perché è veramente un
musicista pazzesco, si chiama Giovanni Sollima, […] il
livello si alza improvvisamente, per cui preparatevi, […]

55
Cfr. pp. 178 – 181.

55
parleremo di musica e del fatto che appunto, molto spesso certa musica,
che è quella poi dei concerti, delle grandi sale, non è vero che sia per
forza una prerogativa di un certo tipo di persone, ma che può venir
molto vicina e che può delle volte suonare anche nelle casse di Radio
DeeJay56. Noi almeno stasera ci proviamo. […]. Giovanni
Sollima è uno dei più grandi violoncellisti, è compositore,
poi anche atleta, perché il modo in cui suona al violoncello,
riguarda proprio tutto il corpo, è un corpo a corpo tra lui e
lo strumento. […] Tra l’altro, giusto per tirarcela, perché sai
com’è, noi non è che ne abbiam’ spesso la possibilità,
vogliam’ dire che il tuo violoncello è veramente un signor
violoncello, antico…
Sollima: sì, sì, ha trecento e qualcosa, di anni…
DJ: trecento e passa di anni e lui lo sbatacchia!
Sollima: è come il fondo del vino rosso… quando lo suono
mi dà questa sensazione, mi lascia questo sapore…
DJ: e si sente! si vede che ti piace. Senti parliamo di musica
e d’amore, visto che in qualche modo poi tu hai questo
corpo a corpo con il tuo strumento. Noi abbiamo questa
indagine sull’amore […] Hanno stilato una classifica dei
pezzi più suonati ehmm… ecco, per intenderci […] Mi
chiedo, uno come te che fa il musicista, che suona, che è
compositore, che dischi compra, quali sono i dischi che gli
hanno in qualche modo, nella confusione del tuo disordine,
…?
Sollima: Guarda, c’è di tutto, c’è veramente di tutto.
Pensavo… con l’amore … non lo so, mi capita di fare
56
Corsivo mio.

56
ascolti … ehmm ascolti… di avere sotto qualcosa di molto
impegnativo tipo Human Behaviour di Bjork… ma poi io ho
un problema, perché ho il mio i-pod con un omino pazzo
dentro che mi cambia le sequenze, allora poi io gli ho detto
vabbè, c****, la scrivo io la musica!
DJ: Allora magari ci fai sentire qualcosa… qualcosa che
potrebbe essere adatta… comunque qualcosa che secondo
te potrebbe funzionare in un match sessuale…
Sollima: ahmm, sì, non so, è una cosa che può avere una
sua come dire… linea in crescendo, o aerodinamica, non lo
so, ma poi cambia ogni volta
DJ: vediamo!
[Sollima improvvisa al violoncello un breve pezzo]
DJ: Abbiamo fatto l’amore con Giovanni Sollima su Radio
DeeJay! Gente, qui i brividi! Noi ve l’avevamo detto […]
Brividi lungo la schiena, mi ribolle il sangue sentendolo!
[…] Che sballo, che sballo! Che stile! […].
Noi ringraziamo e salutiamo Giovanni Sollima per essersi così
prontamente interfacciato con dei microcefali come noi […] Non siamo
il pubblico pettinato e composto magari a cui sei abituato…
Sollima: No, no, no, ma il mio pubblico non è pettinato e
composto… magari entra così, poi esce…
DJ: però il fatto che tu ti sia trovato bane qui non getta una
bella luce su di te, io te lo dico… [ride]57

57
Il brano è tratto dalla trascrizione della trasmissione radiofonica andata in onda
Lunedì 12 Febbraio 2007 su Radio DeeJay, alle ore 16:59. Corsivo mio.

57
Come si può evincere da questa citazione, fondamentale è
l’elemento narrativo, al contrario poco presente nell’intervista di
Radio Rai58.
Il racconto del personaggio si sviluppa soprattutto grazie agli
elementi impliciti della conversazione: ad esempio, lo stile del
parlato di Sollima - molto simile a quello della speaker della radio -
colloquiale, ricco di espressioni prese dal mondo giovanile,
comunica l’appartenenza del compositore allo stesso mondo dei
conduttori e, quindi, degli ascoltatori. Invece, dopo aver suonato il
violoncello, - e quindi aver ribadito la provenienza da un mondo
musicale accademico, estraneo alle aspettative del target di
riferimento - Sollima ha creato proprio quell’effetto-straniamento di
cui si è parlato più volte. Dopo lo straniamento, Sollima ha saputo
“ricucire lo strappo” e ha creato un meccanismo di rassicurazione
verso il pubblico, poiché - tra le righe - ha comunicato, che pur
provenendo dalla tradizione colta, non deve far paura: anche lui,
infatti, usa espressioni molto informali, ascolta Hendrix e Bjork,
non si scandalizza per discussioni futili, anzi, vi partecipa
attivamente; il suo pubblico non è quello tipico delle sale da
concerto - ossia pomposo e paludato - e se pure lo fosse, la sua

58
Si veda in Tempeste e Ritratti, pp. 178 – 181.

58
musica fa l’effetto di una “cura”, rendendolo più disinvolto e
“scapigliato”59.
Queste due interviste, agli antipodi per forme e contenuti, sono
entrambe di approfondimento e hanno la caratteristica di essere un
evento speciale, non seriale: costituiscono, infatti, da parte del
fruitore, una scelta precisa. A tal riguardo, seppur utili da un punto
di vista promozionale, non sfruttano al meglio le potenzialità del
mezzo radiofonico, in particolare la reiterazione, generalmente
applicata ad un brano musicale. Questo trattamento - che avviene
grazie alla rotation60 all’interno di una playlist - invece, è parte
integrante di quell’ascolto non-intenzionale, che contribuisce ad un
tipo di diffusione più massiccia nei confronti di un pubblico molto
più eterogeneo.

59
Si veda quando dice: “no, ma il mio pubblico non è pettinato e composto… magari entra così,
poi esce…”.
60
Cfr. Enrico Menduni, I linguaggi della radio e della televisione, Laterza, Roma – Bari,
2002, pp. 80 – 82.

59
7.5 - La musica immaginata e interagita

L’affermarsi di numerose forme visive nalla musica pop ha


determinato, per i suoi protagonisti, maccanismi di diffusione e di
narrativizzazione molto diversi da quelli preesistenti nella musica
popolare d’inizio Novecento. Il video ha, infatti, creato star musicali
che non hanno più soltanto una voce, ma anche un’immagine.
Con il pop si afferma, così, un meccanismo di integrazione iconica
del messaggio sonoro, che ha cambiato ogni regola: la commistione
di suoni e immagini è ormai parte integrante della musica pop, che
nasce non solo per essere ascoltata, ma anche per essere vista.
Sibilla61 sostiene che tale caratteristica non è propria di nessun altro
genere musicale contemporaneo.
Come la radio, anche i media iconici sono stati sfruttati
dall’industria discografica, che li ha prontamente utilizzati a scopi
promozionali. La motivazione artistica di un abbinamento musica-
immagine, è passata, così, in secondo piano rispetto a quella dovuta
a necessità industriali, le quali, di fatto, hanno modificato le sorti e le
motivazioni di questo abbinamento62.

61
Cfr. Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, cit., p. 256.
62
Cfr. Gino Castaldo, La terra promessa. Quarant'anni di cultura rock, cit., p. 276 -277.

60
Le varie forme dell’immagine, legate alla musica pop, hanno quindi
una grande importanza promozionale, poiché aiutano a veicolare un
messaggio con un fine dichiaratamente orientato al consumo. Ma
l’immagine è soprattutto un fattore comunicativo: l’associazione di
essa con la musica rappresenta un incontro di due linguaggi diversi,
che si fondono per creare nuove forme testuali, né solo musicali, né
audiovisive.
Diversi settori della musica pop basano la maggior parte delle
proprie strategie comunicative proprio sulla diffusione di messaggi
visivi; da ciò, evidentemente, deriva una significativa rilevanza delle
immagini nella costruzione dell’identità narrativa di un musicista.
L’immagine, oltre ad essere uno strumento per l’identificazione
dell’artista, costituisce anche un canale di rappresentazione dei
significati culturali legati alla musica.
Tali immagini, nella prassi, si esplicitano in varie forme, la prima
delle quali è sicuramente la fotografia.
Le foto della musica pop sono, di solito, dedicate ai musicisti; esse
sono fatte per l’utilizzo in altri contesti: pubblicità, poster e
copertine. Le foto hanno storicamente narrativizzato i protagonisti
del pop ritraendoli nel mezzo di azioni significative della loro attività
e, attraverso la scelta del look e di una gestualità particolare, si riesce
a collocare il personaggio all’interno di un ben preciso spazio
narrativo.

61
Prima e meglio di ogni spiegazione, questa fotografia comunica
perfettamente il macro-racconto di Sollima: è un violoncellista -
quindi proviene dalla tradizione colta - ma usa una mimica facciale
tipica di un musicista rock-pop.
Ecco che puntualmente il personaggio-Sollima induce a
quell’effetto-straniamento di cui si è parlato più volte: se
guardassimo soltanto l’espressione del viso del soggetto in foto,

62
difficilmente saremmo indotti a considerarlo come un violoncellista,
cosa che, al contrario viene confermata dalla parte restante
dell’immagine.
In definitiva nel pop - e vale anche per Sollima - la fotografia “è il
tentativo di rappresentare l’autenticità e l’unicità di un artista, e di
comunicare tutto ciò tramite un’immagine pregnante che sia una
metonimia per l’intera identità dell’artista e per la sua autenticità63”.
Per quanto riguarda le immagini in movimento, la presenza della
musica sullo schermo cinematografico ha avuto una notevole
importanza, sia dal punto di vista storico, che linguistico. Al
riguardo, il cinema è stato fondamentale per lo sviluppo del
marketing della musica, grazie alla centralità di quest’ultima nei film
muti e alla popolarità del musical negli anni Trenta e Quaranta. Nel
cinema, inoltre, si sono sperimentati linguaggi nuovi derivati
dall’interazione sinestetica tra musica e immagini che hanno
contribuito in maniera determinante alla nascita di formati
audiovisivi originali come il videoclip.
La presenza della musica in un testo cinematografico è una
tradizione ben consolidata che, come detto, risale alle colonne
sonore del cinema muto. Tali erano, di solito, improvvisazioni al
pianoforte, che avvenivano dal vivo durante le proiezioni
cinematografiche, e rivestivano un ruolo fondamentale, poiché la

63
Keith Negus, Producing Pop: Culture and Conflict in the Popular Music Industry, Edward
Arnold, London, 1992, p. 72.

63
loro funzione era quella di completare con la musica l’azione
narrativa messa in scena dalle sole immagini.
Oggi, del resto, la funzione della colonna sonora è simile a quella di
un tempo, anche se la musica - dall’avvento del sonoro - ha perso il
suo ruolo centrale.
Tuttavia è importante fare una distinzione tra score e colonne sonore
“non-originali”, ossia tra i brani nati per una pellicola in particolare
e quelli riproposti in un film, ma già scritti in precedenza. Senza
dubbio è più interessante indagare come nascano e si sviluppino,
nelle intenzioni di un compositore, le frasi musicali che
accompagneranno le immagini, e come i loro rispettivi linguaggi si
vadano ad influenzare vicendevolmente. Morricone, nel raccontare
la sua carriera scrive:

La musica di un film è influenzata dal film stesso, dai


personaggi, dalla vicenda narrata, ma è soprattutto
influenzata dal rapporto fra il musicista e il regista. Ogni
regista ha una sua cultura speciale, ha una sua esperienza del
mondo e dell’arte e anche una sua esperienza musicale. E la
musica deve saper interpretare tutto questo: il regista dà la
struttura culturale di fondo allo spettacolo; la musica non
può né smentirla, né esserne indifferente, se vuol essere
buona musica filmica64.

64
Ennio Morricone, Un compositore dietro la macchina da presa, in Enciclopedia della musica
vol. 1. Il Novecento, a cura di Jean – Jacques Nattiez, Einaudi, Torino, 2001 p. 665.

64
Dunque è nel dialogare sinestetico di note, immagini, idee che
prende forma, parallelamente al film, la musica che lo accompagna.
Morricone, ancora, sostiene:

la creatività della musica cinematografica deve essere,


paradossalmente, priva di un orientamento stilistico proprio
e univoco; un musicista che voglia fare buona musica per
film non deve specializzarsi solo in musica classica o
sinfonica, vecchia o nuova, non deve essere solo un
musicista pop, un jazzista o un rocchettaro: deve
specializzarsi in tutto e deve saper anche maneggiare bene le
contaminazioni fra generi musicali diversi65.

Queste parole paiono rappresentare in pieno le caratteristiche


musicali e stilistiche di Giovanni Sollima, la cui musica è stata più
volte utilizzata in diversi film. Eppure, almeno per ora, il
violoncellista ha scritto una sola colonna sonora originale, quella per
lo sceneggiato televisivo, Il bell’Antonio di Maurizio Zaccaro66,
poiché tutti gli altri brani, che hanno fatto da commento musicale a
più film, erano già stati scritti in precedenza.

65
Ibidem.
66
È ancora in fase di produzione il film di Wim Wenders, The Palermo Shooting, di cui
Sollima è l’autore della colonna sonora e fa parte del cast degli attori.

65
Sollima racconta, nell’affrontare la stesura della colonna sonora del
film di Zaccaro, di aver lavorato prima sulla sceneggiatura e poi sui
“premontati”, e di aver preso “molti spunti dalle conversazioni col
regista67” quasi a confermare la tesi di Morricone, vista sopra.
Se le colonne sonore non-originali non possono di certo mettere in
luce l’influenza delle immagini sugli sviluppi musicali, comunque
svolgono una funzione importante: fanno sì che le opere di un
compositore – specie se “di nicchia” – vengano conosciute da un
pubblico più vasto ed eterogeneo. Al riguardo, si vedrà più avanti,
come i film di Marco Tullio Giordana, La meglio gioventù e I cento
passi, siano paradigmatici anche per la costruzione del macro-
racconto del personaggio-Sollima68.
Questo racconto, basato innanzitutto sulla dicotomia tradizione
colta-linguaggi pop, trova un “narratore” emblematico nel videoclip
DayDream, girato dal giovane regista emergente Lasse Gjertsen.
Il videoclip, in generale, è un audiovisivo costruito a partire da un
brano pop già esistente e nasce dall’incrocio delle esigenze
promozionali dell’industria con l’iconografia musicale. Al riguardo,
in molti si chiedono se il videoclip sia spettacolo o, piuttosto,

67
Giovanni Sollima in Gigi Razete, La mia musica ha seguito il ritmo di Dante, «La
Repubblica», 23 Marzo 2005.
68
Cfr. pp. 100 – 101; 136 – 137.

66
fenomeno meramente pubblicitario69. Non si può negare, infatti,
che il videoclip nasca per lanciare gli artisti come in una sorta di radio
per immagini e molti dei suoi elementi ricordano, in tutto e per
tutto, messaggi pubblicitari. In primo luogo, nelle loro fasi iniziali e
conclusive, vengono indicati titolo del brano, cantante e etichetta
discografica. Spesso poi, nel videoclip, strategicamente si mostra un
certo stile di vita, un tipo di persone caratterizzato da un’identità
specifica, in modo da favorire un meccanismo di riconoscimento e
immedesimazione, atto a creare la doppia implicazione che,
comprando il disco, associato a quel mondo, si acquisisce tale
identità. Ma la strategia pubblicitaria che maggiormente caratterizza
questa forma audiovisiva consiste nel far apparire il protagonista del
brano come un divo; “se il videoclip riesce a far desiderare di essere
il più possibile in sintonia con la star, da questo celebrata, chi è in
preda a tale desiderio cercherà di acquistare tutto ciò che sente
legato a tale star70”.
Eppure il videoclip è anche una forma di spettacolo, una canzone
visualizzata caratterizzata a tre elementi: testo verbale, musica e
performance71. I suoi linguaggi, spesso, sono presi a prestito da molti
69
Cfr. Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, cit., p. 272 - 285 e cfr. e Luca Marconi,
Muzak, jingle, videoclips, in Enciclopedia della musica vol. 1. Il Novecento, a cura di Jean –
Jacques Nattiez, Einaudi, Torino, 2001, p. 689.
70
Luca Marconi, Muzak, jingle, videoclips, cit., p. 692.
71
Cfr. Andrew Goodwin, Dancing in the Distraction Factory: Music, Television and Popular
Culture, Routledge, London, 1993, pp. 60 – 71.

67
generi di spettacolo audiovisivo già esistenti, cercando comunque di
apparire come una nuova forma di spettacolo. Attraverso il tipo di
immagini scelte e mediante il montaggio di esse, si cerca di fare in
modo che lo spettatore viva emozioni intense e insolite. A questo
riguardo, molte analogie sono state individuate tra le caratteristiche
del videoclip e quelle del sogno72: entrambi condividono una certa
discontinuità strutturale, fanno leva su ricordi e sono caratterizzati
dall’onnipresenza dello spettatore. Proprio a tale riguardo, il video
in cui Sollima è protagonista fa esplicito riferimento al sogno, a
partire dal titolo: DayDream – sogno ad occhi aperti73. Sulle note di Terra
Aria – brano per tre violoncelli - il compositore comincia a suonare
tutte e tre le parti su un solo violoncello: le sue braccia si sdoppiano,
attribuendo al protagonista assoluto doti soprannaturali.
“Nell’atmosfera onirica evocata dal videoclip, si fa in modo che la
star appaia come un personaggio che tale atmosfera valorizza (può
essere, ad esempio, […], dotato di sapere e potere […])74. Tali
artifici, usati in genere nei video delle star del pop, hanno fatto sì che
DayDream, diramato su YouTube, stabilisse il record mondiale di
contatti, per quanto riguarda un video musicale al di fuori
dell’ambito strettamente pop-rock.

72
Luca Marconi, Muzak, jingle, videoclips, cit., p. 693.
73
http://www.youtube.com/watch?v=ldPf3yqq3-8&feature=related.
74
Luca Marconi, Muzak, jingle, videoclips, cit., p. 693.

68
In tal senso, fondamentale per la diffusione di questo video - e
quindi del brano di Sollima - è stato un nuovo medium, che ormai
ha acquisito una valenza essenziale per la musica: Internet. Grazie a
quello che si chiama marketing virale, infatti, si è potuta verificare
quest’enorme “propagazione” del video – e quindi del brano – di
Sollima, non certo pubblicizzato massicciamente né in radio, né,
tanto meno in televisione, ma “pubblicizzato” dal buzz75 virtuale.
La diffusione della musica in rete ha cambiato totalmente alcuni
paradigmi fondamentali e consolidati della comunicazione musicale
e della sua fruizione. Per prima cosa, un nuovo supporto, questa
volta immateriale, è entrato in scena, ed ha scardinato le tradizionali
distinzioni tra hardware e software imposte dall’industria discografica.
“Il computer si è infatti progressivamente affermato come un
particolare hardware musicale, una sorta di lettore universale in grado
di produrre indistintamente i diversi supporti, materiali (Cd, Dvd) e
immateriali (i file digitali)76”. Il computer, allora, sfruttando il
processo di digitalizzazione, crea ruoli e rapporti assolutamente
nuovi tra gli attori principali dello scenario musicale: artisti, case
discografiche e audience. Ai primi viene data la possibilità di non
dover passare per i mediatori culturali e diffondere direttamente al
pubblico la propria opera; le seconde devono reinventare il loro
ruolo di intermediari tra artisti e pubblico e a quest’ultimo si apre la

75
Passaparola, brusio.
76
Cfr. Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, cit., p. 292.

69
possibilità di usufruire di nuove forme di fruizione immateriale.
Come sostiene Sibilla, questo fenomeno di smaterializzazione della
musica ha fatto sì che si invertisse il processo di

concretizzazione cominciato con l’avvento del fonografo; la


musica torna alla sua natura originaria, quella di bene
immateriale. Questo bene immateriale è rappresentato dalla
trasformazione della musica in “file” trasmissibili e fruibili a
piacimento a prescindere dalla loro concretizzazione su un
supporto 77”.

Internet si è dimostrato, allora, un medium capace di inglobare in sé


tutti gli attori implicati nel processo di produzione, promozione e
fruizione musicale, creando una rivoluzione soprattutto nell’ambito
del consumo. Privati del supporto, i prodotti musicali - soprattutto
dallo sviluppo dei sistemi peer-to-peer in poi - hanno del tutto
marginalizzato il ruolo delle case discografiche, mettendone in
discussione la loro stessa esistenza e creando notevoli problemi per
quel che riguarda il diritto d’autore.
Tali cambiamenti stanno avendo e, in particolare, avranno
fortissime ripercussioni nel modo di produrre la musica, ma anche
di ascoltarla.
Le possibilità di interazione fornite dai nuovi media, rendono
indispensabili ripensamenti su più fronti; addirittura si profilano

77
Ibidem, pag 293.

70
ribaltamenti dei ruoli: la creatività passa dall’artista al pubblico. “È
l’ora della musica fai da te”78, titolava di recente un noto quotidiano
nazionale, in merito all’iniziativa dei Radiohead, di mettere su I-
Tunes un brano del loro ultimo album, Nude, diviso in singole tracce
per ogni strumento, in modo da remixare la canzone a piacimento
degli utenti, creando, in definitiva, brani del tutto nuovi da mettere,
a loro volta, in rete. Similmente i R.E.M., per quanto riguarda il
videoclip, hanno reso disponibile on-line il materiale girato per il video
del loro ultimo album, affidandone il montaggio al loro stesso
pubblico.
Lo spettatore, così, acquisisce un ruolo creativo e, per contro,
l’artista diventa fruitore, poiché ha bisogno di ascoltare e di
interagire con il pubblico.
Anche Giovanni Sollima sfrutta costantemente le potenzialità della
rete, anzitutto - come testimonia lui stesso in più interviste – per
reperire materiale da utilizzare come fonte di ispirazione o
documentazione per le sue opere, su tutti si veda il caso di Ellis
Island79. Questo lavoro di Sollima - l’unico riconducibile al
melodramma – è nato da un’accurata ricerca del compositore, in
particolare nel sito web di Ellis Island, in cui ha reperito “materiale,

78
Ernesto Assante, È l’ora della musica “fai da te”, «La Repubblica», 8 Aprile 2008.
79
Cfr. p. 196 – 219.

71
testimonianze, immagini, video, parole, prima ancora della
scrittura80”.
Inoltre, il linguaggio di Internet, in alcuni casi, influenza
direttamente la struttura delle composizioni di Sollima: spesso è
evidente - specie nelle opere a carattere di work-in-progress – una
costruzione di tipo ipertestuale. Come egli stesso racconta,
volontariamente crea strutture modulari - collegate da una sorta di
link - per permettere l’aggiunta o la sostituzione di materiale, senza
alterare l’opera nella sua organizzazione fondamentale81.

80
Giovanni Sollima in Intorno a Ellis Island: una conversazione con Giovanni Sollima, a cura
di Dario Olivieri, curatore del libretto dell’opera, Edizioni del Teatro Massimo di
Palermo, Ottobre 2002.
81
Si vedano I Canti, pp. 138 – 142 e Songs from the Divine Comedy, pp. 220 – 232.

72
PARTE SECONDA
GIOVANNI SOLLIMA:
BIOGRAFIA E LAVORI
FONDAMENTALI

73
BIOGRAFIA

1) PALERMO, ANNI SESSANTA

Il fatto di abitare a Palermo è uno dei motivi che mi ha spinto a fare il


compositore. Palermo è un luogo che esprime suoni ed è per me una fonte
inesauribile di idee: vivendo qui non ho mai l’impressione di lavorare dentro una
sfera creativa privata, credo anzi che la città sia essa stessa un’unica, gigantesca
sfera creativa82.

Giovanni Sollima nasce a Palermo nell’autunno del 1962. Sono gli


anni della post-ricostruzione, della speculazione edilizia e della
connivenza tra potere politico e criminalità organizzata. Gli anni
degli interventi straordinari per il Mezzogiorno, della prima guerra
di mafia, dei grandi cambiamenti della società e della crescita
demografica esponenziale: da trecentocinquantamila abitanti
Palermo passa in sette anni a seicentosessantacinquemila. Dalla
campagna cala nelle città una massa appartenente a tutti i ceti, alla
ricerca di un’attività, un’occupazione, un impiego. L'avanzata del

82
G. Sollima. Da Sei domande all’autore a cura di Dario Olivieri.

74
cemento armato tonifica l'industria dell'edilizia, l'unica in grado di
assicurare un salario, un utile, un facile arricchimento83.
Dopo le elezioni comunali di Palermo del ’63 escono vincitori, tra
gli altri, Salvo Lima e Vito Ciancimino – rispettivamente sindaco ed
assessore ai lavori pubblici -, due dei maggiori referenti nel rapporto
tra DC e mafia84 e protagonisti del sacco urbanistico di Palermo85,
sul quale si costituisce l’intreccio tra edilizia, politica e criminalità
organizzata86.
Obiettivo della politica nazionale, in quegli stessi anni, è attuare nel
Mezzogiorno – e quindi in Sicilia – il passaggio definitivo al modello
proprio di una società urbana, fondata preminentemente sulla
produzione industriale. Tale modello, però, non si realizza nella
prassi, poiché rimane il netto divario economico fra Settentrione e
Meridione, che si concretizza nella costante emigrazione verso il
nord d’Italia e verso i paesi forti dell’Europa continentale.
I Sessanta sono anche gli anni del boom delle automobili – la
cittadina italiana negli anni ’60 con più auto per abitante, dopo
Milano, è Cinisi -, se altrove emblemi di progresso e di miracolo
economico, simboli a Palermo di morti ammazzati, di sangue e di

83
Cfr. M. Pantaleone, 1969.
84
Cfr. O. Barrese, I complici. Gli anni dell’antimafia, Feltrinelli, Milano, 1973.
85
Cfr. Curzio Maltese, I padroni delle città, Feltrinelli, Milano, 2007, pp. 21-26.
86
Cfr. Salvatore Lupo, Che cos’è la mafia. Sciascia e Andreotti, l’antimafia e la politica,
Donzelli, Roma, 2007, p. 5.

75
vendette: saranno proprio le “Giuliette al tritolo”, fatte saltare in
aria dall’inizio del ’63, ad inaugurare la cosiddetta “prima guerra di
mafia”.
È un periodo particolare, denso di avvenimenti e di contraddizioni
poiché, accanto alle speculazioni, alle mani sulla città, alla definitiva
sconfitta del movimento di massa contadino, nasce l’antimafia, se
pur come lotta di minoranze e di gruppi di sinistra. La Chiesa e la
DC, infatti, sono impegnate entrambe a negare l’esistenza stessa
della mafia, e soltanto voci marginali rompono il silenzio, tra le
quali, la più autorevole, è quella de L’Ora di Palermo - quotidiano
indipendente di sinistra, dove scrivono personaggi del calibro di
Danilo Dolci e Michele Pantaleone - in cui, accanto alla cronaca
rosa e a raffinati articoli di letteratura, musica e arte, trovano spazio
coraggiosi servizi investigativi sulla criminalità organizzata e sulla
corruzione.
Il 30 giugno del 1963, però, quando salta in aria a Ciaculli un’altra
"Giulietta al tritolo”, che uccide sette uomini dello Stato87, si
mettono in piedi i primi processi e viene convocata la Commissione
Parlamentare Antimafia. L’autobomba di Ciaculli, rappresenta, per
la prima volta, un “punto di non-ritorno”: se fino ad allora la mafia
viene negata, considerata come un comportamento88, non

87
Cfr. John Dickie, Cosa Nostra. Storia della mafia siciliana, Laterza, Roma – Bari, 2004,
pp. 321-324.
88
Cfr. Salvatore Lupo, Che cos’è la mafia., cit.

76
un’organizzazione criminale, in seguito “l’Italia comincia a ricordare,
e anche – lentamente, dolorosamente, confusamente – a
imparare.”89
Anche da un punto di vista culturale la Sicilia sarà emblema di
contrasti: nel decennio tra la metà degli anni Cinquanta e Sessanta è
stata definita come “laboratorio” 90 di fermenti diversi, molti dei
quali riflesso della società nazionale. Nel 1958 viene, infatti,
pubblicato postumo Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, romanzo
che rappresenta l’ideale chiusura di un ciclo della letteratura siciliana,
iniziato circa un cinquantennio prima, intriso di pessimismo e della
convinzione nell’immutabilità della storia siciliana. Specchio
letterario dell’apertura al nuovo, e quindi del cambiamento, è,
invece, l’opera di Sciascia, in cui, tra eredità del passato e mutamenti
del presente, si fa meno univoco il destino della Sicilia.
Da un punto di vista più strettamente musicale, in quegli stessi anni,
viene fondato, presso l’Università di Palermo, l’Istituto di Storia della
Musica, legato all’attività didattica e al nome di Luigi Rognoni, con lo
scopo di portare un forte impulso alla vita musicale e culturale
siciliana. Frutto importante di tale iniziativa è la creazione del
Gruppo Universitario per la Nuova Musica nel ’59, con la presidenza di
Nino Tidone e la direzione artistica di Daniele Paris. Esito
spontaneo della nascita del Gruppo sarà la realizzazione, nell’estate

89
John Dickie , Cosa Nostra. Storia della mafia siciliana, cit., p. 324.
90
G. Giarrizzo, Sicilia Oggi, in Storia d’Italia, Einaudi,1990.

77
del ’60, di una manifestazione legata alla neoavanguardia, la
Settimana Internazionale della Nuova Musica, che conta sull’appoggio
degli enti locali, del Teatro Massimo e della SIMC, la Società
Internazionale di Musica Contemporanea. Palermo - praticamente
esclusa in precedenza dall’aggiornamento culturale e musicale - si
trova così a fruire di un evento innovatore di portata europea, che si
propone di fare il punto della situazione internazionale nel campo
della sperimentazione musicale. Si promuovono gli incontri tra il
pubblico e gli autori della Nuova Musica, si fanno conoscere il
pensiero e le pagine di Bussotti, Clementi, Donatoni, Nono, Macchi
e Sciarrino. A tali incontri, come momento teorico legato alle
Settimane, si aggiunge la pubblicazione della rivista Collage, grazie a
musicologi del calibro di Paolo Emilio Carapezza. Le
programmazioni delle successive Settimane di Nuova Musica si fanno
sempre più radicali, tanto da rendere l’iniziativa qualcosa di unico
per l’Italia, anche per l’impegno che continua a manifestarsi nel
coinvolgere il pubblico, da parte degli stessi autori, attraverso
concerti, conferenze e dibattiti. La complessa realtà della Nuova
Musica si esprime appieno proprio a Palermo: qui se ne coglie la
diffusione tra i giovani musicisti italiani e si trovano risposte
concrete alle premesse teoretiche poste al Congresso sulla musica
sperimentale ed elettronica tenutosi a Venezia nel ’61. Nel corso della
quarta edizione delle Settimane, inoltre, prende vita un movimento -
il Gruppo ’63 - nel quale confluiscono le forze più vive della nuova

78
avanguardia letteraria e poetica, con critici, scrittori, poeti, studiosi
di estetica quali Alberto Arbasino, Nanni Balestrini, Umberto Eco,
Angelo Guglielmi, Elio Pagliarani, Edoardo Sanguineti, Adriano
Spatola. Essi entrano in polemica con la letteratura borghese degli
anni Quaranta e Cinquanta, si volgono alla produzione di forme
espressive di rottura e mettono in discussione il neorealismo,
percorrendo la via della sperimentazione dei linguaggi estetici. Dalla
nascita del Gruppo ’63 in poi, le Settimane di Nuova Musica si
trasformano, da festival puramente musicale, in una mostra
panoramica della neoavanguardia artistica e letteraria, poetica e
figurativa, come se gli stessi intellettuali impegnati considerassero
scontata la convergenza della musica con tutte le altre arti, rendendo
Palermo, ancora una volta, luogo d’incontro privilegiato dell’arte e
della cultura. Questa, dunque, è una città ricca di sapori differenti,
oggi come in passato. René Bazin scriveva nel 1894:

Ha proprio l'aria di una capitale, di vecchia città sovrana,


questa Palermo bianca, circondata da aranci. […]. I
monumenti sono ovunque: appartengono a tutte le età,
raccontano ciascuno il paesaggio, e l'umore sontuoso,
poetico o guerriero, e l'anima così diversa delle razze che si
sono succedute nell'isola. Poiché ha molto spesso cambiato
padrone, la Sicilia non ne ha amato nessuno, forse ha
sempre avuto in fondo al cuore un sogno deluso di libertà.
Essi, al contrario, l'hanno abbellita e ornata a piacere:

79
Saraceni, Normanni, Spagnoli. […]. Ivi è tutta la poesia del
nord e quella del mezzogiorno che si incontrano e si
mescolano. […]

Tali commistioni e assolute diversità trovano profonda eco nelle


pagine musicali di Sollima: proprio Palermo fa da sfondo ai suoi
lavori, è citata, implicitamente o esplicitamente, nelle sue opere.
Sollima ha sempre lo sguardo rivolto alla Sicilia, allo scirocco,
all’Africa ed al sapore speziato e misto di questa terra. Philip Glass,
al primo ascolto del brano di Sollima Spasimo91, notando la presenza
di elementi differenti - da ebraici a nordafricani, da siciliani ad arabi
- ha affermato: “credo che Palermo sia un osservatorio particolare.
È piena di vuoti di memoria, per cui ogni elemento perde le sue
radici e può coesistere con altri di natura completamente diversa”.
Palermo è un crocevia di culture e Sollima radica profondamente il
suo pensiero artistico in questa città, che descrive come un luogo
sospeso tra Occidente, Oriente, Cristianesimo, Islam, invasioni, mafia, tragedie,
nascite, rinascite92.

91
Cfr pp. 114 – 128.
92
Testo di un’intervista a G. Sollima in Enrico Girardo, MW – di Giovanni Sollima,
musica nuova dalla Sicilia, (programma di sala).

80
2) ELIODORO SOLLIMA

Giovanni Sollima nasce in una famiglia di musicisti. Suo padre,


Eliodoro Sollima (Marsala 1926, Palermo 2000) era compositore,
pianista, insegnante di composizione presso il conservatorio
Vincenzo Bellini, critico musicale del quotidiano L’Ora di Palermo e
presidente del Gruppo Universitario Nuova Musica.
Il fatto di essere nato tra le note ha significato per Sollima il non
ricordarsi di quando si è imparato a leggere la musica. Avere un rapporto quasi
animalesco con gli oggetti che producono suoni. Affrontarli con la stessa libertà
con cui si impara a parlare93. Il compositore racconta che la musica è
sempre stata il suo cammino, il suo mestiere, fin da quando ha
iniziato a respirare: da piccolissimo stavo per ore su un seggiolone ad ascoltare
le prove che mio padre faceva con un violoncellista che è diventato il mio maestro.
[…]Io ero sedotto dal registro medio-grave del violoncello, bambino che non
andava neppure a scuola e che si nutriva delle sonate di Brahms o Beethoven.
Volevo fare musica ed insistetti con una forza incredibile94. Giovanni si
appropria delle note, quindi, così come impara a parlare, assorbe

93
Testo di un’intervista a G. Sollima in Rossella Simone, Violoncello Rock, da D – «La
Repubblica delle Donne», 10 Giugno 1998.
94
Testo di un’intervista a G. Sollima in Sergio Albertini, Un Siciliano a New York, «Il
Giornale della musica», Novembre 1998.

81
profondamente tutto ciò che respira durante la sua prima infanzia e,
sicuramente, per la sua formazione musicale, di grande rilievo è la
figura del padre Eliodoro. Questi scrive così di sé in un autoritratto:

Se in una sola parola dovessi trovare una formula che,


seppur riduttivamente, dovesse definirmi come
compositore, molto lapidariamente scriverei: non allineato.
Consapevole anche di quanto questo non allineamento
abbia comportato in termini di ostracismo. Ho pagato,
ribaltandola in un appartato isolamento creativo, la mia non
accettazione dell’impatto che le neoavanguardie ebbero, in
special modo nella mia città, con le Settimane di Nuova
Musica intorno agli anni Sessanta. Tutto il contrario, invece:
quest’ondata di provocazione e di svecchiamento fu per me
benvenuta, perché l’impatto non potè che essere positivo.
Ma non fu certo la rivoluzione – ed il tempo ne ha dato
conferma -, bensì un episodio che doveva servire ad una
evoluzione. Non è certo un caso se molte delle mie
composizioni, seguite a quegli anni burrascosi, sono titolate
“Evoluzioni”, numerate in ordine progressivo. Non la
violenza e la rottura, non il gesto gratuito – come molte
performances di allora – ma una presa di coscienza che
consentisse uno sviluppo. Sono degli anni Sessanta le mie
“Variazioni concertanti” dove esprimo una mia visione
molto aperta del Novecento; non abbandono la serialità, che
è presente, seppure filtrata dal mio approccio compositivo,
c’è piuttosto – ed è qualcosa a cui non ho mai rinunciato,

82
neppure negli anni successivi – un impegno strumentale.
[…] Ho cercato, a partire dalla mia “Sonata per violoncello
e pianoforte” del 1948, di disegnare una poetica capace di
non escludere alcuna eredità linguistica, tradizionale o
innovativa che fosse, soprattutto al servizio di una
prioritaria e raffinatissima ricerca timbrica. La volontà di
indagare gli orizzonti schiusi dalla Nuova Musica si è
ampliata nella tecnica compositiva delle “Evoluzioni” già
citate prima che, come ho scritto nel mio “Come nasce la
musica” riflette esperienza di acquisizioni più recenti con un
inevitabile svolgimento semiografico. Nelle “Evoluzioni n.
6”, ad esempio, del 1972, che per certi versi considero fra le
mie composizioni tecnicamente e linguisticamente più
avanzate, l’impiego della tecnica dodecafonica si estrinseca
in una struttura a incastro, sostenuta da un crescendo
ritmico e timbrico. È un intento estetico evolutivo che si era
già evidenziato nei miei “Tre movimenti” (per pianoforte,
violino e violoncello) del 1968, in cui, come ha scritto Pina
Sciacca su “Cronache musicali”, “immette fortemente nella
complessa linearità contemporanea, incorniciata tuttavia dai
soliti tratti di un’ineludibile classicità”. […]Dalle mie opere
credo emergano altre due mie facce creative, quella
emotivamente sofferta verso la crudeltà del vivere, a cui
potrei collegare “Trenodia” per violoncello e orchestra
(1989) dedicata ai giovani cinesi che protestarono in Piazza
Tien-an-Men contro il regime di Pechino o “Attesa” per
piano, due corni, percussioni ed archi (1998) scaturita dalla
notte passata a sperare che venisse concessa la grazia al

83
condannato a morte Joseph O’Dell; dall’altra il piacere
dell’ammiccamento, della citazione tematica, dell’ironia. In
quest’altro aspetto includerei certamente il “Divertissement
de vieillesse” per flauto, violoncello, pianoforte e orchestra
(1992) che a partire da un pretesto rossiniano dà lieve sfogo
alla tecnica compositiva della variazione e della
sovrapposizione contrappuntistica. Qui trovo davvero il
gusto ed il piacere del divertimento in musica, e non è un
caso se il ciclo dei miei “A la maniere de…” dal 1980 non si
è mai interrotto attraverso un affettuoso omaggio ora a
Bach e a Ravel, ora a Sostakovic e a Gershwin. Ma tra tanto
comporre, quel che forse mi sta più a cuore sono le pagine
che ho dedicato al flauto dolce, uno strumento che il nostro
secolo sembra aver dimenticato, […]; mi ha affascinato il
suo timbro, mi ha conquistato a tal punto che ho voluto
mettere alla prova la sua tradizione antica con una scrittura
nuova. […] Concluderei qui, con una riflessione: nuovo?
Vecchio? Credo che debba esserci un solo termine per la
musica: valido. Io ci ho provato95.

Proprio da Eliodoro, in forma di continuità, Giovanni prende parte


della sua poetica: non una cesura netta, ma un’evoluzione – alla luce
del mutamento dei tempi, degli influssi esterni e delle nuove
correnti – della strada tracciata dal padre, se non necessariamente
95
Sergio Albertini, Eliodoro Sollima. L’autobiografia mai pubblicata, «Il Mediterraneo»,
Palermo, 2000.

84
per lo stile compositivo, senz’altro per una visione della musica
ugualmente ampia e non allineata.
Prendendo in esame alcuni scritti di e su Eliodoro Sollima, e
considerando alcuni suoi brani, si possono evidenziare similitudini
tra la poetica del padre e del figlio. Spesso si può evincere, anche in
Eliodoro, un forte radicamento culturale nella sua terra d’origine –
la Sicilia, appunto - ed allo stesso tempo una forte commistione con
influssi circostanti sempre vari e con forme originali e
stilisticamente riconoscibili. Si pensi, ad esempio, a quanto scrive
Lanza Tomasi a proposito di Eliodoro Sollima, definendolo “un
musicista siciliano più mitteleuropeo di quanto ricordassi”, oppure a
Danilo Dolci, che parla di Eliodoro come “un uomo che ha un
intimo che canta, che vuol cantare, in una terra i cui canti si
spengono, un canto che non evade, acutamente consapevole, cioè
col senso del tragico e del comico, coerente ma aperto alla ricerca di
una vita nuova”.
Del resto, anche per quanto riguarda l’impatto con la realtà musicale
circostante, entrambi affrontano con il medesimo approccio le
neoavanguardie – il padre – e ciò che restava di esse – il figlio - :
Giovanni reagirà al serialismo e alla dodecafonia allo stesso modo in
cui, una generazione prima, Eliodoro affrontava le neoavanguardie,
durante gli incontri delle Settimane di Nuova Musica a Palermo, ossia
con apertura, per un forte desiderio di conoscenza, ma non certo
con un’accettazione acritica: la rottura del linguaggio musicale “classico”,

85
tonale, è diventata alla lunga una forma di accademismo claustrofobico96, dirà
più tardi Giovanni in un’intervista. Nonostante ciò, tuttavia,
elementi portanti della cosiddetta Nuova Musica sono pienamente
assimilati da Eliodoro e poi da Giovanni, primo fra tutti il legame
simbiotico tra compositore ed esecutore. Tale rapporto va
considerato senz’altro come uno dei dati più originali della Nuova
Musica, e uno dei suoi strumenti più importanti di affermazione
presso il pubblico.
Già negli anni Cinquanta, con la musica seriale, si era introdotto
nelle composizioni il concetto di improvvisazione attraverso quello
di alea, mediante il quale, in qualche misura, si delegava all’interprete
una componente creativa nell’istante della performance. Si trattava, in
ogni caso, di un’alea controllata dall’alto, come da un burattinaio-
compositore, il quale lasciava che l’interprete del suo testo
adoperasse determinate soluzioni nell’hic et nunc, sulla base di un
numero di scelte che prospettava all’esecutore. Dagli anni Sessanta
in poi, con la Nuova Musica, dal concetto di alea – inteso come un
margine minimo di scelta dato all’esecutore – si giunge all’interprete
che si riappropria della funzione di compositore. Se questo avviene
in parte, nei casi in cui l’autore asseconda e sfrutta le disponibilità
dell’esecutore, il quale finisce per diventare il vero strumento da
eccitare mediante opportuni congegni e codici comunicativi – caso

96
Giovanni Sollima, da Sollima incontra Baricco per una City in musica, «Time Out –
Roma», Novembre 2002.

86
emblematico è quello di Berio con la Berberian, in cui gli elementi
linguistici delle sue pagine sono basati sulle caratteristiche vocali
della cantante, per cui l’opera si identifica con le caratteristiche
dell’esecutrice – ciò si realizza appieno nelle esperienze di Nuova
Consonanza, in quelle di Giacinto Scelsi – secondo il quale
l’esecuzione deve coincidere con il vecchio concetto di
improvvisazione – nella musica di Vinko Globokar, nelle azioni
Fluxus, e nel rock progressive degli anni ‘60 -‘70.
Al riguardo, sia nelle composizioni di Eliodoro che in quelle di
Giovanni, vi è sempre un impegno strumentale, poiché, né il padre
prima, né il figlio poi, rinunciano alla loro figura di compositori –
interpreti: pur scontrandosi con le resistenze e le dure critiche di chi
li circonda, il loro essere anche strumentisti ha costituito di fatto un
punto di forza della loro carriera più che di debolezza. Lo stesso
Giovanni97 racconta di aver iniziato lo studio del violoncello a dieci
anni e già da allora stufo di corde vuote e di note tenute, ho scritto un
piccolissimo pezzo e l’ho presentato ad un ristretto pubblico. Un vecchio prete,
presente all’esecuzione, molto duramente mi disse: “Non puoi scrivere e suonare
al tempo stesso: bisogna scegliere[…]”. Anche dopo, per qualche anno, sono
stato considerato valente violoncellista ma compositore a tempo perso […].
Dunque le prime esperienze di Sollima sono da strumentista,
studiando al Conservatorio di Palermo con Giovanni Perriera,
primo violoncello dell’Orchestra Sinfonica Siciliana e del Teatro Massimo,
97
Dario Olivieri, Sei domende all’autore, 1994, (programma di sala).

87
nonché violoncellista del Trio di Palermo, con Eliodoro Sollima al
pianoforte, appunto, e Salvatore Cicero al violino.
Il debutto di Giovanni, da solista, è con un Concerto per Violoncello di
Vivaldi proprio con Salvatore Cicero ed i Cameristi Siciliani. Solo a
quattordici anni entra a far parte dell’European Community Chamber
Orchestra, fondata e diretta da Claudio Abbado, e registra da solista
un concerto di Porpora per l’etichetta Helios. Nel frattempo
compone, ma in gran segreto, materiale piuttosto improbabile, una
mescolanza di Stravinskij e Deep Purple, di Haendel e Pink Floyd.
Ben presto, però, Sollima inizia a proporsi nella veste di
compositore – esecutore: da quel momento la composizione si è sempre più
imposta nella mia vita, […] rompendo la barriera tra chi scrive musica e chi la
suona.
Diplomatosi a soli diciassette anni con il massimo dei voti prima in
violoncello - appunto con Perriera - e poi in composizione con il
padre, Giovanni segue i corsi di perfezionamento con Antonio
Janigro, a Salisburgo, e con Milko Kelemen - compositore
iugoslavo, formatosi prima a Parigi con Messiaen, Milhaud e Aubin
e poi durante i corsi estivi di perfezionamento a Darmstadt, dove ha
lavorato con Stockhausen - presso la Musikhochschule di Stoccarda.
Questa città è una dei centri della dodecafonia in quegli anni, ma già
Giovanni manifesta segni di “insofferenza” a quel tipo di mondo,
sentendo molto più affine alla sua poetica il sound del Mediterraneo
ed il minimalismo americano. La sua formazione, infatti,

88
parallelamente agli istituti accademici, avviene grazie ad una
continua ricerca personale e attraverso un apprendistato da
spettatore: segue Bob Wilson un po’ dappertutto, cerca qualsiasi
cosa nei negozi di dischi della sua città, sfoglia cataloghi musicali
sconosciuti. E proprio in quelle “peregrinazioni” culturali senza
esplicita meta, Giovanni scopre Steve Reich, allora poco conosciuto
a Palermo. Sollima racconta che in Italia c’erano delle tendenze espressive
escluse dai canali ufficiali della musica contemporanea, tutta sotto controllo,
contraddistinta dall’ermetismo: un grande alibi per non comunicare veramente98.
Già allora, quindi, mentre studia serialismo e dodecafonia a
Stoccarda, considera entrambi i linguaggi ormai datati e si spinge
verso la contaminazione ed il minimalismo: il minimalismo mi ha
mostrato che è possibile fare cose come il contrappunto con meno materiale. A
Stoccarda la filosofia era esattamente l’opposto99. Eppure ci vorrà del
tempo affinché si disegni con chiarezza il suo stile, la sua
declinazione assolutamente personale - potremmo dire mediterranea -
del minimalismo americano. In realtà è stato proprio suo padre ad
indicargli la strada: a Stoccarda scrissi un’ampia partitura per orchestra con
molti contrappunti per i fiati e per gli ottoni; ma sotto c’era questa strana linea
melodica del basso, non un “a solo”, ma soltanto una figurazione ripetuta. Mio
padre disse che era interessante e divertente. A Stoccarda erano più interessati al
98
G. Sollima in Un po’ di rock per il suo violoncello, Francesca Pini, «Sette» del «Corriere

della Sera», Francesca Pini, 5 Novembre 1998.


99
Ken Smith, The Palermo beach story, «Time out-NY », Ottobre 1997.

89
contrappunto, ma in queste due battute del basso mio padre ha fondato il mio
stile.

90
3) DA VIOLONCELLISTA A COMPOSITORE - INTERPRETE

Il catalogo delle opere di Giovanni Sollima s’inaugura già dalla fine


degli anni settanta; il primo brano è un inedito Concerto Grosso per
orchestra d’archi, datato 1976. Molte delle sue composizioni
giovanili, scritte tra la fine dei Settanta e gli inizi degli Ottanta, già
mostrano la spiccata propensione di Sollima a scrivere per
violoncello solo o per orchestra d’archi o, ancora, per ensemble,
non rinunciando mai alla contaminazione: si veda ad esempio Musica
per sonar a più stromenti dialogando fra antica et moderna del 1979, per
pianoforte, clavicembalo, tre flauti, flauto dolce soprano, tre corni
francesi, percussioni, due violini, un violoncello.
Ma la vera svolta come compositore, la sua ufficializzazione,
avviene nel 1993: Sollima si mette in luce scrivendo l’Agnus Dei del
Requiem per le vittime della mafia, una messa composta da diversi
autori, su testo di Vincenzo Consolo, presentata nella Cattedrale di
Palermo ad un anno esatto dalla strage di Capaci e dedicata ai
giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. È un’opera che
suscita, in quel momento, grande seguito, soprattutto dal punto di
vista mediatico, sia per la carica di suggestione e di commozione che
porta con sé, sia per le polemiche che nascono all’indomani di tale
successo: il gruppo degli autori del Requiem, Lorenzo Ferrero, Carlo

91
Galante, Paolo Arcà, Matteo D’Amico, Marco Betta, Marco Tutino
e lo stesso Sollima, rappresentanti di una corrente allora definita
neoromantica, sono accusati - dai compositori contemporanei legati
alla tradizione seriale ed alla neoavanguardia - di opportunismo,
nello sfruttare la tragicità di questi eventi a scopo di visibilità.
Tali critiche rimandano sicuramente ad una delle più importanti
questioni dibattute nell’ambito della neoavanguardia: la legittimità, o
meno, di una simile strategia commerciale; ossia se questa possa
considerarsi opportuna e corretta, se il concetto di arte possa
esserne intaccato e, ancora, se sia plausibile considerare l’arte come
assoluta, oppure se sia intimamente connessa alla propria
commercializzazione. Proprio questa polemica, dunque, - nata a
torto o a ragione - decreta ancor di più il successo del Requiem, che
rende il trentenne Sollima promessa del panorama musicale italiano,
poi mantenuta con la commissione nel 1995 - da parte
dell’Assessorato al Centro Storico della città di Palermo - di un
brano per la riapertura della chiesa palermitana di Santa Maria dello
Spasimo, complesso monumentale dallo stile gotico – iberico, per
secoli teatro di diverse identità e poi nel dopoguerra discarica a cielo
aperto. Quest’opera – intitolata appunto Spasimo – ed il Requiem per le
vittime della mafia sono due pagine legate, in maniera opposta, alla
storia recente di Palermo. L’Agnus Dei rappresenta il segno del vivo
dolore e dello sdegno di tutta la città nei giorni tragici degli attentati,
mentre Spasimo è il simbolo della restituzione della città ai suoi

92
abitanti, una colonna sonora che può illustrare il rinascimento
culturale di Palermo, il tentativo della città di guardare avanti,
recuperando le proprie radici. Al restauro della Chiesa dello Spasimo,
fanno seguito l’apertura del Teatro Garibaldi, dei Magazzini della Zisa,
del Teatro Massimo e di tante altre realtà, che per Sollima
rappresentano un moto d’orgoglio dei palermitani: credo che la gente
abbia imparato a pensare, a essere meno sospettosa. Stiamo imparando a
riconoscere la nostra città.
Spasimo ben presto perde i connotati di “colonna sonora”, di musica
ancilla di un avvenimento, divenendo musica assoluta e l’evento,
seppur importante, diventa pretesto nel momento in cui il brano,
per scopi commerciali, diventa oggetto fruibile; segue un successo
fuori dal comune per Sollima: il suo editore, Piero Ostali di Casa
Sonzogno, decide di pubblicare il disco omonimo da portare in giro
per il mondo. Grazie a Spasimo, il compositore realizza il suo primo
progetto discografico e inaugura una stagione di concerti a cui segue
la sua consacrazione negli Stati Uniti. Il 18 Ottobre 1997 -
nell’ambito dell’evento New Music from Italy - viene presentato
Spasimo a New York nella prestigiosa Merkin Concert Hall, grazie
all’Istituto Italiano di Cultura a cui segue una lunga tournée per gli Stati
Uniti e Canada: dopo New York, seguono Filadelfia, Washington,
Boston e Montreal. Il successo è totale, osannato sia dal pubblico
che dalla critica, Sollima viene appellato da Robert Hilfety sul The

93
Village Voice come “The most exciting Sicilian musician since
Bellini”.
Il Ministero degli Esteri italiano gli concede una borsa di studio per
un perfezionamento di sei mesi a New York. Nel 1998 svolge
un’attività intensissima, molti progetti si realizzano: registra il disco
Aquilarco100 in America con la supervisione artistica di Philip Glass,
per la sua casa discografica, la Point Music, con la voce recitante di
Bob Wilson. Il disco viene pubblicato l’11 Agosto in America e
presentato in concerto in prima assoluta al Festival di Taormina Arte
alla sezione Musica e Danza, diretta da Gioacchino Lanza Tomasi.
Sollima, quindi, è il primo italiano ammesso alla “corte” della Point
Music, nel cui catalogo trovano spazio musicisti riuniti sotto l’egida
della trasversalità: da Gavin Bryars con i suoi incredibili affreschi
post minimal, a Graham Haynes sulle orme dei griots africani, fino a
Jon Gibson con il suo sassofono che non conosce confini di stile e
di tempo. E quello del viaggio è proprio il tema centrale di Aquilarco,
poiché per Sollima il melting pot newyorkese è davvero fecondo: un
lavoro in bilico tra due culture, tra due terre. Questa permanenza negli
States ha significato per Sollima l’incontro con molti artisti - da
David Lang a Michael Gordon - e con forme d’arte differenti, dalla
danza contemporanea al cinema indipendente, una sorta di terra che sta
in mezzo, il cui porto d’approdo è comunque una grande anticamera comune a

100
Cfr. pp. 129 – 137.

94
tutti. A New York ho ritrovato in me il senso di libertà, dal punto di vista
espressivo, senza alcun senso di colpa nel sentirmi libero101.
Registrato assieme a musicisti palermitani ed americani - tra i quali
la tastierista della band di Bang On A Can e con il percussionista
dello Steve Reich Ensemble - tra New York, Palermo e Milano, nella
Suite del Grand Hotel et de Milan - in cui Caruso incise con
Leoncavallo, che lo accompagnava al pianoforte, il primo disco della
storia della musica - Aquilarco è la realizzazione del progetto, e del
sogno, di Sollima di collaborare con Bob Wilson, regista teatrale di
calibro internazionale, nonché coreografo, scultore, pittore e
designer. Conosco Wilson dal 1987. Siamo sempre stati in contatto
scrivendoci, ma non coltivando i canoni di un rapporto “ufficiale”, quanto
piuttosto poetico, artistico. Mi piaceva l’idea del suono della voce di un uomo che
ha sempre fatto teatro d’immagine, come lui. […] in dieci anni ci saremmo detti
sì e no venti parole. Ma lui è così, un visivo, un visionario, in tutti i sensi. Il suo
è un teatro d’immagini in cui il testo è ridotto ad una esilissima linea
essenziale[…]102.
Già verificatasi ai suoi esordi con il Requiem per le vittime della mafia, la
tendenza di Sollima ad associare un brano musicale ad un fatto di
risonanza mediatica – come avviene comunemente nella musica pop
– è evidente anche nel ‘98, quando compone un pezzo per
ensemble intitolato John Africa, eseguito insieme al gruppo Sentieri
101
«Il giornale della Musica », Novembre 1998.
102
Ibidem.

95
Selvaggi, per la causa di Amnesty International a favore di un nuovo
processo al giornalista nero Abu Jamal. Ciò dimostra come al centro
della poetica di Sollima vi sia anche l’impegno civile; egli non perde
mai di vista il rapporto con il villaggio globale né con la sua città: per me
[…] che vivo a Palermo la forma d’arte è intrinseca al luogo. Palermo è
stupenda, ma anche molto drammatica per i fatti accaduti negli ultimi anni,
quindi essere un musicista o un artista e vivere lì significa fare una scelta: morire
o reagire103. Le vicende dell’attualità, dunque, non lo lasciano
indifferente, fatto questo, ancora una volta, ereditato, seppure in
parte, dal padre: si vedano, ad esempio, i già citati brani Trenodia ed
Attesa, composti da Eliodoro l’uno per i giovani cinesi di piazza
Tien-an-Men, l’altro durante i giorni che precedono la condanna a
morte di Joseph O’ Dell.
Da un punto di vista più strettamente musicale, il 1998 non vede
soltanto la realizzazione di un progetto importante quale Aquilarco,
infatti Sollima consolida il suo successo con l’incisione, assieme a
Mario Brunello, del suo brano più celebre: Violoncelles, Vibrez!104.
Questa pagina, dedicata allo stesso Brunello - compagno di studi del
compositore al Mozarteum di Salisburgo - e ispirata dalle parole del
loro comune insegnante Antonio Janigro, diventerà il brano
classico, di un autore italiano vivente, più eseguito al mondo. Con
l’incisione di Violoncelles, Vibrez!, Sollima ottiene riconoscimenti

103
Eleonora Bagarotti, Sul violoncello i respiri dell’anima, «Libertà», 5 Ottobre 2006.
104
Cfr. pp. 103 – 113.

96
entusiastici da parte di tutta la stampa italiana ed estera, mettendo
d’accordo pubblico e critica, come raramente era avvenuto in
precedenza, in particolare riguardo alla musica classica
contemporanea. In seguito, il brano verrà eseguito in concerto da
violoncellisti di fama mondiale - da Yo-Yo Ma a Mischa Maisky, da
Julius Berger a David Geringas - e da orchestre prestigiose: I Solisti
di Mosca diretti da Yuri Bashmet, la Kremerata Baltica di Gidon
Kremer, che inciderà il brano nel 2001 per la Warner nel disco
Tracing Astor.
Sempre nel ‘98, a seguito di una commissione del Festival di Ravenna,
nell’ambito della rassegna Genius Voci – Progetto Etiopia, Sollima
presenta in prima assoluta I Canti105, un lavoro progettato da molti
anni, frutto di ricerche sulle antiche voci della Sicilia, rielaborate in
chiave strumentale. Quest’opera rappresenta l’attrattiva che il
compositore ha per il parlato espressivo, interesse che trova
profondo radicamento in Sicilia; egli sicuramente subisce l’influenza
della tradizione culturale della sua terra: dall’etnomusicologo
Alberto Favara, che raccoglie una notevole quantità di canti
popolari, ad Ottavio Tiby che nel ’57 li pubblica nel Corpus di
Musiche Popolari Siciliane, dal Folkstudio, che registra su nastro
magnetico i relitti della tradizione orale, all’Archivio Musicale Regionale,
che oggi li conserva.

105
Cfr. pp. 138 – 142.

97
4) DA MUSICISTA A COMUNICATORE

A seguito del grande successo internazionale, arrivano per Sollima le


grandi committenze dai più prestigiosi istituti musicali di tradizione
e, in parallelo, si consolida la tendenza del musicista a creare
progetti fuori dagli schemi della tradizione musicale colta o, ancora
a collaborare con personaggi legati alla musica pop, al teatro, alla
danza ed al cinema. È opportuno sottolineare che tali opposte
tendenze, come vedremo in seguito, avranno un riscontro tangibile
nell’ottica strutturale stessa delle sue composizioni.
Le opere commissionate da teatri ed istituti di tradizione - seppur
ricche di moduli compositivi derivati da commistioni ed ibridazioni
- sono forme chiuse, caratterizzate da una partitura, prive - in genere -
di momenti improvvisativi, il cui esempio più rappresentativo è
sicuramente il brano per orchestra Tempeste e Ritratti106,
commissionato dalla Filarmonica della Scala diretta da Riccardo Muti
per la chiusura della stagione 2001 o, ancora, Viaggio in Italia107,
scritto per l’ottantesimo anniversario di attività dell’azienda del
gioielliere Gianmaria Buccellati, eseguito in prima assoluta alla
Carnegie Hall di New York.
106
Cfr. pp. 177 – 195.
107
Cfr. pp. 143 – 161.

98
Sul versante opposto si collocano, invece, le opere che lo stesso
Sollima definisce come work in progress, di solito brani che scrive per
sé stesso, sui quali egli esercita un maggior “potere”, soprattutto
perché ne è l’esecutore – interprete: può sempre rivedere, ritoccare,
cambiare i suoi lavori, sia nella partitura, quanto soprattutto nella
prassi esecutiva, addirittura durante la performance, come momento
improvvisativo. Esempi sono il già citato I Canti ed il brano Songs
from the Divine Comedy108, ispirato alla Commedia dantesca,
commissionato da Franco Battiato per il suo festival di musica
contemporanea, il Violino e la Selce: entrambi rappresentano per
Sollima una piacevole precarietà109, un cantiere aperto, un progetto che realizzo
per me e che considero un laboratorio infinito110. Tale “precarietà” è ancora
più manifesta negli spettacoli basati sulla performance, nei quali –
come nella musica pop – conta l’hic et nunc: al riguardo, memorabili
sono le performance con Patty Smith alla Queen Elizabeth Hall di
Londra, oppure quelle per i reading teatrali di Alessandro Baricco, il
City Reading Project al Teatro Valle di Roma e l’Iliade all’Auditorium
della Musica.
Aperto sempre di più ad ogni esperienza musicale, scrive e collabora
anche con Larry Coryell, Vinicio Capossela, Eduardo Bennato ed
Elisa, cantante alla quale affida il ruolo di protagonista della sua

108
Cfr. pp. 220 – 232.
109
Maria Lombardo, Lo strumento sul corpo, fino a farmi male, «La Sicilia», 22 Marzo 2005.
110
Ugo Bacci, Sollima, il poliglotta della musica, «L’Eco di Bergamo», 29 Marzo 2005.

99
prima opera musicale, Ellis Island111. E’ l’unico lavoro di Sollima che
può ricondursi al melodramma – ma che in realtà non è né
propriamente un’opera, né un musical – e da esso si evincono con
forza due elementi preponderanti della produzione del compositore:
la sua abilità, involontaria o meno, nel gestire il rapporto con i media
per attrarre l’attenzione (la scelta di Elisa come protagonista
potrebbe apparire non casuale dal punto di vista mediatico: pochi
mesi prima dell’allestimento di Ellis Island, la cantante è al culmine
della popolarità, grazie alla sua vittoria del Festival di Sanremo) e
l’interesse per temi delicati dell’attualità, in questo caso
l’emigrazione.
Quelle di Sollima sono pagine di musica “impegnata”, le note
evocano argomenti cari all’autore, come in J. Beuys Song – balletto
commissionato dalla Biennale di Venezia per la più nota coreografa
vivente, Carolyn Carlson – in cui si affronta il tema del disastro
ecologico. È un lavoro paradigmatico, poiché in esso confluiscono
più elementi caratterizzanti la poetica di Sollima: l’impegno civile, la
performance, la sperimentazione, che si realizza nella commistione con
le altre forme d’arte, commistione che si verifica spesso,
allorquando brani scritti in precedenza – e definiti dallo stesso
Sollima musica pura – sono in seguito utilizzati per la danza, per
installazioni – si veda ad esempio quella di Peter Greenaway ad
Amsterdam in occasione del quarto centenario rembrandtiano – ,

111
Cfr. pp. 196 – 219.

100
per lavori teatrali – Imagining Prometheus di Bob Wilson -, e per il
cinema. Da ricordare, su tutte, le colonne sonore dei film di Peter
Greenaway, Nightwatch, e di Marco Tullio Giordana, La Meglio
Gioventù ed I Cento Passi. Quest’ultimo film lega ancora di più ed
indissolubilmente l’arte di Sollima alla sua terra ed all’impegno
civile, poiché il lavoro di Giordana è sicuramente un simbolo forte,
nell’immaginario collettivo, di commovente e partecipata reazione
alla mafia, così come specchio dei contrasti, delle contraddizioni e
delle profonde ferite della Sicilia.
Sempre più evidente, dunque, la padronanza nella gestione dei media
e, al contrario, sempre meno percepibile la cesura tra il fenomeno
musicale propriamente detto e quello comunicativo, nella fase della
maturità di Sollima, si individua un percorso che giunge a una forma
d’arte non definibile, né etichettabile, in cui non si distingue più il
confine tra mezzo e messaggio, ma questi diventano una sola cosa,
o, meglio il messaggio privo del mezzo, non ha motivo di esistere.
Partendo dal retaggio della tradizione colta, Sollima fa proprie le
modalità di produzione - e quindi fruizione - tipiche del nostro
tempo: se per i grandi Enti Lirici – si veda La Scala di Milano –
scrive ancora una partitura per orchestra, è anche capace di fare il
DJ al Teatro Valle di Roma, o il musicista pop, che recita in un video
musicale, come in Daydream112 del giovane regista Lasse Gjertsen –

112
Cfr. pp. 66 -69; 173 – 176.

101
video poi diramato su YouTube che realizza il record assoluto di
contatti per un musicista di tradizione colta – o, ancora, l’attore
nell’ultimo film di Peter Greenaway, The Palermo Shooting, senza porsi
vincoli di legittimità ma, al contrario, semplicemente assecondando
e utilizzando il potere dei media per farne un punto di forza sia per
la diffusione che per la produzione delle sue opere.

102
OPERE

V IOLONCELLES , VIBREZ ! (1993)

Prima versione: 1993


Organico: due violoncelli solisti e orchestra d'archi

Edizione: Sonzogno, n° 6275.

Seconda versione: 1999


Organico: otto violoncelli, oppure due violoncelli solisti e orchestra
di violoncelli

Edizione: Sonzogno, n° 6292, parti staccate 6292P.

***

Violoncelles, vibrez!, è un brano ispirato da una fotografia scattata a


Salisburgo nell’81: Mario Brunello e Giovanni Sollima – allora
compagni di studio presso il Mozarteum - suonano insieme e il loro

103
comune maestro, il violoncellista e direttore d’orchestra Antonio
Janigro, con grande intensità del gesto, li esorta a “vibrare”.
Scontato è il riferimento alla prassi esecutiva violoncellistica del
“vibrato”, ma, dai racconti di Sollima e Brunello, si comprende che
tale esortazione, per Janigro, assumeva un’accezione molto più
ampia: in realtà, il grande maestro voleva spingere i suoi allievi a far
vibrare intensamente soprattutto la vita113.
Violoncelles, vibrez! ha una seconda versione per otto violoncelli, ed è
stata scritta proprio per un concerto - Otto violoncelli per Antonio
Janigro - dedicato al grande musicista e didatta milanese, nel decimo
anniversario della morte. Rappresenta chiaramente un omaggio al
maestro dai suoi alunni, oggi tutti grandi violoncellisti, uniti, a loro
volta, dalle note di un altro compagno di studi. Il brano è stato
eseguito in prima assoluta nella Sala Verdi del Conservatorio di Milano
da Julius Berger, Mario Brunello, Thomas Demenga, Enrico Dindo,
Michael Flaksman, Antonio Meneses, Giovanni Sollima e Gustavo
Neiva Tavares.
Il brano rappresenta, forse più di ogni altro, la doppia anima di
Sollima: quella di compositore e quella di interprete e, a tal
proposito, l’autore racconta che con questo pezzo è iniziato un periodo
nuovo, in cui sono riuscito a trovare un equilibrio tra questi mestieri; se mai in

113
Tratto da un’intervista televisiva a Giovanni Sollima e Mario Brunello.

104
passato c’è stata una qualche dissociazione, con Violoncelles, vibrez! ho
inaugurato un nuovo rapporto a tre tra me, la composizione e il violoncello114.
Altra fonte d’ispirazione, derivata dall’amore di Sollima per le arti
visive - dalle quali spesso trae una serie di stimoli collaterali - è una
videoscultura, vista per la prima volta al Centre Pompidou di Parigi, in
cui il violoncello gioca un ruolo fondamentale: si tratta di TV-cello di
Naim June Park, lavoro dei primi anni Settanta, in cui il videoartista
newyorkese, secondo Sollima, stabilisce un contatto con il violoncello,
immerso in una sorta di liquido amniotico. Mi interessava molto riproporre
questo tipo d’immagine: due violoncelli – le cui figure sono molto nitide -
immersi in un liquido, rappresentato in questo caso dalle armonie, dagli archi
che hanno un ruolo più evanescente, una sorta di tappeto, di fondale115.
Le parole di Sollima hanno un chiaro riferimento in partitura:
proprio con un tappeto d’archi inizia il prologo, in cui,
ripetitivamente risuona una semplice polimetria di due contro tre,

114
Nicola Campogrande, L’anima latina del minimalismo, I Concerti dell’Unione
Musicale di Torino, 19 Dicembre 1998, (programma di sala)
115
Ibidem.

105
prima eseguita dai primi violini e dai violoncelli116

e poi ripresa dai secondi e dalle viole:

116
Tutti i seguenti esempi musicali sono riportati per gentile concessione di Casa
Musicale Sonzogno di Piero Ostali, partitura n° 6275.

106
Segue, alla ventiquattresima battuta, l’entrata dei due solisti, in pausa
nelle battute introduttive e, a questo punto, la scansione metrica
degli archi cambia, secondo uno schema ritmico ossessivo di 3 + 3
+ 2, tipico del thaqìl thànì, una delle figurazioni ritmiche
caratteristiche della musica araba117,

117
Cfr. New Grove Dictionary of music, 2000, ad vocem Arab Music.

107
scansione ritmica che continua per altre trenta misure, come
sottofondo al canto lirico dei due violoncelli solisti.
È interessante notare come tali polimetrie e ripetizioni ossessive
sicuramente rimandano alla minimal music, ma sono trasfigurate dallo
stile di Sollima, in cui tali echi convivono con evidenti richiami a
ritmi arabeggianti e, soprattutto, con una prassi compositiva che
nasce preventivamente sullo strumento.

108
Tale caratteristica è evidente se si leggono le parti dei solisti: sono le
specificità timbriche e tecniche del violoncello a determinare
l’aspetto melodico. Mettere in luce al meglio le possibilità dello
strumento è senza dubbio il nucleo generatore del brano. Sollima
stesso, infatti, afferma che il brano ha un suo filo narrativo al di là del suo
impianto strutturale: potrebbe essere la storia del vibrato118.

118
Da un’intervista televisiva a Giovanni Sollima su Violoncelles, vibrez!.

109
A tale scopo è molto più plausibile che il compositore abbia creato
queste semplici frasi liriche direttamente sul violoncello, piuttosto
che sulla carta. Dalla partitura, inoltre, è anche evidente che, di fatto,
non vi sia un tema nel senso strutturale, ma piuttosto un’idea
melodica, un nucleo di base caratterizzato da spunti intervallari, che
viene portato aventi in dialogo dai due strumenti, senza che uno dei
due esponga un tema e l’altro l’accompagni. Tali evidenze trovano
riscontro anche nella parole di Sollima che, a questo proposito
definisce Violoncelles, vibrez! più che un duetto, una forma di simbiosi tra due
strumenti, strutturata in modo tale che non ci sia un tema. Anche a volerla
cercare non c’è una melodia, che nasce dall’interazione, dall’unione di due
strumenti - due voci e due personalità anche diverse - che dialogano in un
intreccio continuo; è un pezzo che, mancando di una delle due parti, non
potrebbe esistere119.
Quello citato, il Più lento, è dunque il momento centrale del brano, in
cui i due solisti dialogano con progressioni ascendenti in cui risalta

119
Ibidem.

110
tutta la lirica cantabilità del violoncello, mentre gli archi eseguono
un tappeto di terzine, sempre sulla stessa nota.
In seguito la musica perviene al punto culminante, attraverso una
stessa, semplice figurazione - di chiara matrice minimalista - che si
ripete ossessivamente con un andamento sempre più accelerato: da
moduli di 4 + 2 si passa a sestine e poi, ancora a gruppi di otto note,

punto culminante il cui esito è un ampio glissando in fortissimo


eseguito dai solisti, mentre gli archi riprendono la semplice
polimetria iniziale, questa volta di tre contro quattro (anziché di due
contro tre):

111
Gli archi poi, rimasti da soli, dissolvono gradatamente ogni tensione
e il pezzo, più che concludersi, si sospende, sfumando, con
un’indicazione dinamica in quattro p.
Proprio per questa repentina sospensione, nella prassi esecutiva il
brano - è ormai consuetudine - viene sempre bissato, poiché, come
racconta Mario Brunello,120 “è talmente intenso il coinvolgimento
degli esecutori e degli ascoltatori, fino al finale tronco, che non si
può non aver voglia di ascoltarlo una seconda volta”.

***

Violoncelles, vibrez! è un brano che contiene in sé elementi fortemente


radicati nella tradizione colta – basti pensare all’organico, o ancor di
più alla scrittura del brano, tutta improntata all’esaltazione del
violoncello nella sua prassi esecutiva tradizionale, a cominciare
proprio dalle note lunghe del Più lento, in cui gli esecutori possono

120
Mario Brunello, in un’intervista televisiva.

112
usare costantemente la tecnica del “vibrato”, - ma, allo stesso
tempo, si coglie nella ballata una nuova scrittura per violoncello,
basata sulla fusione di elementi tipici del minimalismo, ma
trasfigurati da un’anima lirica e melodica, dal forte sapore e
mediterraneo.
Dalla lettura della partitura e, in particolare, dall’ascolto della
performance, si comprende appieno l’ispirazione di Sollima, e più che
al compagno di studi, il brano appare dedicato al violoncello, alle
sue possibilità timbriche, tecniche e espressive.
Sicuramente importante è il momento narrativo dell’opera, con tutte
le implicazioni emotive che porta con sé: i ricordi degli anni
formativi, dei compagni di studio, della figura di un maestro
carismatico, eppure questa pagina – a differenza di altre che, se
private dell’elemento narrativo non hanno quasi motivo di esistere –
brilla comunque di luce propria. Ciò è sicuramente testimoniato dal
fatto che la composizione è entrata nel repertorio dei più grandi
violoncellisti contemporanei – da Yo-Yo Ma a Mischa Maisky –
poiché sfrutta al meglio le potenzialità dello strumento, suscita
consensi entusiastici della critica e colpisce il pubblico fin dal primo
ascolto. Proprio per tali ragioni Violoncelles, vibrez! è, ad oggi, il brano
classico, di un autore italiano vivente, più eseguito al mondo.

113
S PASIMO (1995)

Prima versione (1995):


Titolo: Spasimo

Organico: violoncello solista, trio d’archi, tastiere e percussioni con


base registrata.

Tempi:
De Harmonia
Peste
Raffaello: il naufragio
Porta dei Greci
De Harmonia, Via dolorosa

Edizione: Sonzogno n° 6186, parti staccate 6186 P.

Seconda versione (2003):


Titolo: Spasimo fragments

Organico: sax in Mi bemolle e pianoforte.

Trascrizione e arrangiamento di Mario Marzi e Paolo Giannini

114
Edizione: Sonzogno, n° 3154.

Terza versione (2006):


Titolo: Spasimo Suite

Organico: flauto solista, violino, violoncello, contrabbasso e


percussioni.

Trascrizione e arrangiamento di Emilio Galante

Edizione: Sonzogno, n° 6294, parti staccate 6294 P.

***

Spasimo è il nome di una chiesa di Palermo, meraviglioso complesso


monumentale, riaperto - e finalmente riconquistato dalla
popolazione - nell’estate del 1995, ma è anche il nome dell’opera
che Sollima compone, su commissione del Teatro Massimo e
dell’Assessorato al Centro Storico della città, per celebrarne la fine dei
lavori di restauro.
Quando mi fu proposto da Marco Betta un concerto per la riapertura dello
Spasimo, pensai a un recital normale di violoncello. Un pomeriggio di Maggio
andai per Porta dei Greci allo Spasimo. Entrai nell’Ospedale, c’erano operai, e

115
di lì alla chiesa, e l’impatto fu fortissimo. Potevo essere dovunque, a Damasco, a
Gerusalemme, in Francia: uno stile tardo-gotico in una chiesa del Cinquecento,
con impronte islamiche […] L’emozione fu così forte che mi resi conto che il
concerto non poteva essere un normale recital. Entrai in crisi perché il materiale
storico era enorme, ma c’erano molte lacune nella storia che potevo colmare solo
col mio istinto121. […]
La storia della chiesa di Santa Maria dello Spasimo inizia nel 1506,
anno in cui un giureconsulto donava ai Padri di Monte Oliveto
terreni e rustici per costruirvi una chiesa. Il nome deriva dalla
devozione per la Madonna sofferente dinanzi al Cristo in croce, che
viene rappresentata nell’opera commissionata a Raffaello Sanzio nel
1516. La chiesa si presentava alla fine del Cinquecento come un
impianto unico a Palermo, costituita da una concezione spaziale
tipica dell’architettura gotico-settentrionale. Successivamente fu
spazio di rappresentazioni teatrali a fine ‘500, lazzaretto in occasione
della peste del 1624, poi deposito di cereali fino al 1881, quando
divenne l’Ospedale Principe Umberto, di cui sopravvisse il reparto
geriatrico fino al 1986.
Punto di partenza per l’interpretazione di Spasimo potrebbe essere
l’osservazione dello stesso Sollima, il quale afferma che si tratta di
un brano scritto come sotto dettatura, semplicemente ascoltando e
raccogliendo gli echi dei suoni del passato che quelle antiche pietre

121
In Sara Patera, Giovanni Sollima: “Lo Spasimo è come un campo magnetico nel cuore
profondo di Palermo”, «Giornale di Sicilia», 25 Luglio 1995.

116
hanno saputo conservare attraverso i secoli. Tale affermazione,
probabilmente, sta a indicare che le suggestioni suscitate dalla chiesa
avessero “dettato” a Sollima un’improvvisazione nata ex tempore.
Questo carattere estemporaneo della composizione si potrebbe
ravvisare nella componente formale del brano, la quale procede in
maniera molto rapsodica.
Cinque quadri fatti di storia e leggenda compongono il brano intriso
del riverbero di suoni e voci che circondano questo luogo carico di
magia. Riverbero che risuona tormentato nel tema che apre il primo
movimento, De armonia, un adagio cantato dal solo violoncello, in cui
si ascolta una melodia rapsodica che si sviluppa su intervalli tipici
della scala maggiore orientale, caratterizzata dal 2°, 5° e 7° grado
abbassati di un semitono122:

122
Tutti i seguenti esempi musicali sono riportati per gentile concessione di Casa
Musicale Sonzogno di Piero Ostali, partitura n° 6294. L’inciso è in chiave di violino
poiché è preso dalla trascrizione di Emilio Galante per flauto e ensemble, inciso per
altro identico, a parte il cambiamento d’ottava, a quello del violoncello nella versione
del ’95.

117
Tale disegno melodico conferisce un carattere dolente all’inciso che,
grazie al particolare timbro del violoncello, appare molto vicino alla
vocalità umana. Il carattere lamentevole di un disegno basato su una
scala il cui 2° grado è abbassato, è molto evidente ad un orecchio
occidentale, poiché era particolarmente usato nella musica
operistica napoletana del Seicento, nei momenti in cui si doveva
esprimere dolore, tristezza, appunto lamento. Il 2° grado abbassato
era, infatti, usato nella costruzione dell’accordo di “Sesta
napoletana”, sul 4° grado al basso.
A tal proposito è interessante evidenziare che lo stesso Sollima dice,
con questo brano, di voler restituire alla musica ciò che essa fornì agli
antichi architetti123, riferendosi proprio alle scale musicali, all’armonia
delle forme e al metro. Egli dunque, per la propria ispirazione, cerca
di creare una similitudine tra le regole architettoniche e quelle
musicali.
Carico di drammaticità è il secondo movimento, ispirato dalla
lettura de La Peste di Camus. Come racconta l’autore, con Peste
vuole evocare il ricordo della terribile malattia che si abbatté su
Palermo nel XVII secolo, quando lo Spasimo si trasformò in
lazzaretto. Parte con un a solo di percussioni poi interrotte dal
violoncello solo che esegue una figurazione in 4/4, nelle cui prime

123
Giovanni Sollima, Spasimo, Programma di sala della prima esecuzione assoluta,
1995.

118
due misure vi è un ribattuto di semicrome senza accenti, dopo di
che si evidenzia un gioco polimetrico:

su una battuta di 16 semicrome, vi è una scansione ritmica in 5, per


cui si crea una sfasatura, che, se calcolata, andrebbe a ricomporsi
soltanto dopo 80 battute. Interessante è evidenziare come questo
non avvenga – infatti il battere viene a ricomporsi già nella battuta
successiva – e ciò è un chiaro segno della prassi compositiva di
Sollima: sebbene tutto ciò potrebbe apparire il risultato di calcolo
fatto a tavolino, tale figurazione è senza dubbio il risultato di
un’improvvisazione. Ciò, del resto, è più volte testimoniato da
Sollima in molteplici interviste, in cui riferisce di comporre sempre
al violoncello e mai prima sulla carta col camice bianco. Proprio perché
frutto di improvvisazione, quindi, il passo viene riportato in
notazione non prescrittivamente, ma descrittivamente, ossia la
partitura è una sorta di descrizione di ciò che è eventualmente

119
avvenuto nella performance, basata a sua volta su tecniche molto
interiorizzate, che riconducono comunque a un’astrattezza del
procedimento compositivo.
Subito dopo il violoncello esegue un modulo ripetuto, con piccole
variazioni, per più di quaranta battute, in cui il metro è alternato in
scansioni di tre e due:

dove è evidente il riferimento al minimalismo americano. A


differenza della minimal music, però, – molto vicina al serialismo,
proprio perché caratterizzata dalla progettazione preliminare e su
ampia scala del decorso temporale della composizione – il brano, e
molta della musica di Sollima, sono resi più vitali proprio
dall’improvvisazione, prassi compositiva, come appena detto, tipica
dall’autore.
Entra poi tutto l’ensemble, in un ritmo sempre più incalzante e
ossessivo, culminando con una corona su un accordo di undicesima
non risolto, che fa da sottofondo alle parole, declamate in italiano e

120
in algerino, che descrivono “quell’eccellente putredine che è la
peste”.
Eppure Sollima racconta di volersi riferire con Peste, non solo al
terribile virus del passato, le cui sofferenze consumano i corpi e
lacerano lo spirito, ma soprattutto agli orrori del presente: la violenza
del cemento, che copre e cancella gli stili, lentamente ammassati nel tempo, quella
delle guerre sante e dei morti di mafia.
È ancora la storia a scorrere nel terzo movimento, Raffaello: il
naufragio. È il canto, leggero e senza posa, della speranza, della
rinascita, del destino che ha voluto miracolosamente salvare il
quadro - intitolato Santa Maria dello Spasimo - di Raffaello Sanzio
(oggi conservato nel Museo del Prado) da un naufragio, mentre
veniva trasportato a Palermo per essere esposto nell’omonima
Chiesa. Per questo brano Sollima utilizza un tamburello basco,
capovolto e riempito di palline di piombo che, amplificato, cerca di
simulare il rumore del mare, mentre violoncello e tastiere si
concedono la melodia, contrapponendo e sovrapponendo ritmi
binari e ternari. È un brano lirico, in cui convivono alla perfezione
le due anime di Sollima: viene sfruttata al meglio la cantabilità del
violoncello dal compositore nello scrivere, e dall’esecutore nella
struggente performance.
Ritmi arabi, mutuati dallo stile orientaleggiante, sono costitutivi del
quarto movimento, Porta dei Greci: altra contaminazione, altra
commistione di lingue ed emozioni, in cui l’animo gioioso e

121
danzante convive con una profonda amarezza. Qui è ripreso il tema
di una danza orientale dietro una struttura ancora una volta minimal,
con andamento a tratti danzante e con una certa concitazione, poi
ripresa del canto iniziale, ma con un’evoluzione inaspettata: un
clima vertiginoso conduce in un vortice di suoni che s’interrompe
nel suono sordo di un tamburo sempre più lontano. Porta dei Greci
rappresenta il desiderio di Sollima di creare un ponte musicale tra Porta
dei Greci a Palermo e Porta Giudaica a Gerusalemme124.
Nell’ultimo movimento, De Harmonia, Via dolorosa, ritorna il tema
iniziale ora arricchito di nuovi dolori, come sostiene il compositore,
se vi è una via dolorosa da percorrere, dovrà essere dei Palermitani la forza per
affrontarla, e la rinascita di un monumento insieme della città che lo accoglie
saranno l’immagine di un nuovo possibile risveglio della città.
Con De Harmonia si apre e poi si chiude il cerchio con un
violoncello dolente, questa volta senza più illusioni, accompagnato
nel suo lamento dal complesso, nel quale spiccano le dolenti note
del violino che, sommesse e lontane, riecheggiano e si fanno sempre
più serrate in una frenetica danza araba che mantiene un’indiscussa
vena di malinconia nonostante la sua sfrenatezza. È una via
dolorosa quella percorsa da colui che, amando questo luogo-leggenda a
Palermo, vuole assolutamente ricomporne i pezzi sparpagliati125.

124
Ibidem.
125
Ibidem.

122
Recuperata quindi come luogo di inquietanti e intatte magie
architettoniche, la Chiesa dello Spasimo è stata riportata alla
comunità con l’accompagnamento delle voci e dei suoni scritti da
Sollima e rappresenta il trauma della rinascita, un trauma che
avvolge l’ascoltatore fin dalle prime battute del brano. Per esso
Sollima scrive una musica senza confini, articolata in cinque
movimenti simmetrici attorno a un terzo, perno centrale, in cui
emerge il tema del viaggio, della perdita e della dimenticanza. Le
voci e i suoni sono inevitabilmente mediterranei, privi di nazionalità
e di stili definiti; sono note sospese tra Oriente e Occidente, con
citazioni recitate in arabo che suonano intrise delle inflessioni
parlanti del violoncello solo.
Sollima trova equilibrio tra musica tradizionale - attenta a sfruttare
la mediterraneità nelle scelte melodiche e armoniche - e soluzioni
che si possono ricondurre al linguaggio musicale contemporaneo, in
una commistione originale. Utilizza una scrittura in cui la tradizione
convive con moduli dal ritmo ossessivo, echi di minimalismo e
momenti melodici.
Commistioni, dunque, per i cinque movimenti del brano, così come
è commistione tutto ciò che riguarda la Sicilia, terra dai tanti volti e
dalle mille contraddizioni. In queste pagine c’è la sicilianità dalle
forti tinte, che affonda le radici nel Mediterraneo delle grandi
passioni e ha ancora il Medio Oriente nell’anima, c’è tutta la storia
dolce e prepotente di Palermo e tutto l’amore di Sollima che nutre

123
per lei: sento di crescere con le scoperte che vado facendo su Palermo. Mi piace
questa città perché è come se camminassi nella foresta australiana. Mi provoca
un senso d’imprevedibilità, di stupore, di voglia di scoprirla. In questo Spasimo
riaperto, vedo come un campo magnetico nel cuore di Palermo. E’ una riscoperta
importante, perché significa che si torna al cuore della città, e potrà funzionare
come forza trainante in un cammino finalmente verso il centro126.

***

Spasimo e il Requiem per le vittime della mafia sono due opere che legano
indissolubilmente la storia recente di Palermo a Giovanni Sollima.
La prima è una messa composta nel 1993 da diversi autori -
Lorenzo Ferrero, Carlo Galante, Paolo Arcà, Matteo D’Amico,
Marco Betta, Marco Tutino - dedicata ai giudici Giovanni Falcone e
Paolo Borsellino ed eseguita in prima assoluta nella Cattedrale di
Palermo ad un anno dalla strage di Capaci, la seconda è la musica
per l’inaugurazione di una chiesa restituita, dopo un lungo restauro,
ai palermitani. Entrambe rappresentano due pagine opposte e
emblematiche della storia di questa città, l’una segno di dolore e
sgomento, di rabbia e di commemorazione, l’altra della reazione
all’ingiustizia, della volontà dei palermitani onesti di riappropriarsi in

126
In Sara Patera, Giovanni Sollima: “Lo Spasimo è come un campo magnetico nel cuore
profondo di Palermo”, «Giornale di Sicilia», 25 Luglio 1995

124
modo tangibile della propria città. Sono opere dal grande seguito
mediatico, soprattutto per la forte carica di suggestione e di
commozione che suscitano.
Questi due lavori, infatti, danno voce a quelli che John Dickie
chiama minoranza virtuosa, i Falcone e i Borsellino, gli uomini della
scorta ma anche i palermitani, gli italiani senza nome disperati ai
funerali dei loro concittadini, e i rappresentanti della cultura, che
con le armi del sapere e dell’arte danno il loro contributo. Le due
pagine, opposte nei toni, sono i due rovesci della stessa medaglia,
poiché la gente onesta, se alla strage di Capaci soccombe alla
disperazione, ben presto comincia a reagire, per trasformare il
dolore in motore del cambiamento. “Malgrado il loro stupefatto
smarrimento, quindi, molti palermitani trovarono la forza di
protestare […] per alcuni straordinari mesi la minoranza virtuosa
s’impadronì di Palermo e convinse gran parte della popolazione
dell’urgenza della causa della lotta contro la mafia127”. Spasimo
rappresenta questa forza, la sua riapertura può considerarsi il segno
di quella che viene indicata come “primavera di Palermo”; è
simbolo di palingenesi, è la colonna sonora del rinascimento
culturale della città.
Nonostante il profondo valore simbolico di Spasimo, poiché opera
legata a un particolare evento - quindi musica di commento, se non

127
John Dickie, Cosa Nostra. Storia della mafia siciliana, cit., p. 434, corsivo mio.

125
proprio descrittiva - in seguito trova dignità autonoma rispetto
all’occasione che l’ha ispirata, diventando pretesto nel momento in
cui il brano diventa oggetto fruibile. Ben presto, infatti, Sollima
incide il disco Spasimo e porta il suo brano in giro per il mondo: da
New York a Filadelfia, da Washington, a Montreal. Il successo è
totale, Sollima viene osannato sia dal pubblico che dalla critica.
Testimonianza del fatto che Spasimo si emancipi dall’evento che lo
ha generato, sono anche le successive versioni del brano, l’una per
sax e pianoforte, dal titolo Spasimo fragments, e l’altra, Spasimo suite,
per flauto solista, violino, violoncello, contrabbasso e percussioni,
entrambe edite da Sonzogno. La prima è la trascrizione e
l’arrangiamento di parti di Spasimo, nella versione del ’95, dei
movimenti De Armonia, Peste e Porta dei Greci, a opera di Mario
Marzi, sassofonista di fama internazionale, e del pianista Paolo
Zannini. Entrambi i musicisti, legati da lunga collaborazione, hanno
inciso Spasimo Fragments nel disco L’Arte del Funambolo, per l’etichetta
Stradivarius nel 2003, in cui è presente anche un brano di Emilio
Galante, a sua volta autore della terza versione di Spasimo, Spasimo
Suite, del 2006. Tale trascrizione, mancante anch’essa del terzo
movimento, Raffaello: il naufragio, sostituisce al violoncello solista il
flauto, e, come la versione per sassofono, assume tutte le
caratteristiche di un brano prettamente virtuosistico, proprio perché
privata del tempo di mezzo, più lirico e cantabile. Inoltre la
collaborazione di Sollima con Emilio Galante risale a molti anni

126
prima, basti pensare alla rassegna Suoni e Visioni del 1999, in cui
insieme hanno partecipato al progetto di scrivere le colonne sonore
rispettivamente dei cortometraggi Day of the Fight di Stanley Kubrick
e Primo Carnera di Fabrizio Varesco, rassegna che vedeva anche la
partecipazione del compositore Carlo Galante, fratello di Emilio, il
quale aveva già lavorato con Sollima in occasione della già citata
Messa da Requiem per le Vittime della mafia, e al quale Sollima aveva
commissionato il brano per “violoncello parlante” Cinque sketches per
Orlando il Paladino128 in cui l’esecutore recita la parte del puparo,
muove marionette, racconta sketches e canticchia melodie.
Importante è il significato di tali collaborazioni, proprio perché
evidenziano gli stretti rapporti di Sollima con musicisti e
compositori che afferiscono alla sfera colta.

***

Per Sollima è importante, in ogni sua opera, raccontare una storia.


Forse si tratta di un’esigenza personale, probabilmente per trarne
ispirazione nel momento compositivo. Vero è che la dimensione
narrativa129 è uno degli elementi fondanti del linguaggio della musica
pop; raccontare una storia, sottesa a un brano musicale, lo rende più
fruibile, in particolare dal grande pubblico, e più facilmente

128
Edito da Sonzogno, n° di catalogo 3034. E’ inciso per l’etichetta Scatola Sonora.
129
Cfr. Gianni Sibilla, I Linguaggi della musica pop, cit, passim.

127
“comunicabile” da parte dei media. E la storia di Spasimo affascina
poiché è avvolta nel mistero dei miti siciliani. Eppure non è la sola
da raccontare; un’altra è quella della profonda ispirazione del
compositore, avvertita nel momento in cui egli entra per la prima
volta allo Spasimo, che sapientemente rievoca in un’intervista “come
un moderno bardo, che autoreferenzialmente canta e mette in scena
se stesso e le proprie gesta130”: poggiare l’arco sulle corde del violoncello e
provare per la prima volta, di notte, l’acustica dello Spasimo, luogo che da
troppo tempo non “suona” più: un fremito. Il forte impatto e la sorpresa per ciò
che questo spazio esprime mi “costringono” a comporre di getto, febbrilmente,
giorno e notte, come sotto dettatura, mi perdo nella ricerca di una musica “mai
sentita”, scritta, eseguita e infine svanita secoli fa tra quelle “liriche pietre
cadute”. Ascolto suoni e voci che circondano il luogo, voci antiche e moderne,
senza tempo. Una musica “contaminata” dalle sovrapposizioni architettoniche,
linguistiche e sonore provenienti dall’antica e multietnica Palermo si esprime sul
pentagramma. Musica dai forti contrasti, in bilico tra il canto islamico e la
cruda iperespressività del rock; leggenda, mistero, desiderio di tradurre in note il
gesto, l’immagine stessa della sofferenza da spasmo, quasi in forma di danza131.

130
Ibidem, p. 12.
131
Giovanni Sollima, Spasimo, Programma di sala della prima esecuzione assoluta, cit.

128
A QUILARCO (1998)

Organico: Violoncello solo, flauto, violino, viola, violoncello,


chitarra, basso elettrico, tastiera, percussioni, CD con voce recitante.

Testi: Christopher Knowles

Voce registrata: Robert Wilson

Brani:
1. Aquilarco I
2. Aquilarco II
3. Aquilarco III
4. Aquilarco IV
5. Aquilarco V
6. Aquilarco VI
7. Aquilarco VII
8. Aquilarco VIII
9. Aquilarco IX
10. Loof and Let Dime
11. Di Di
12. Give You Up

129
Edizione: Sonzogno
CD Point Music/Universal (1998)

***

Aquilarco nasce a New York nel 1998, durante i sei mesi di


perfezionamento che Sollima trascorre in questa città e dopo il suo
incontro artistico con Philip Glass. La vicenda è raccontata dalla
stampa che, in questo caso, sfrutta al meglio l’elemento narrativo:

La sua storia è il sogno di ogni musicista: un giorno sa che


Philip Glass è a Palermo, la moglie [di Sollima] Patrizia lo
incita a lasciare al grande compositore una sua cassetta. Lui
è timido, infine riesce ad incontrarlo. Glass ascolta la musica
e dice:”Ti cercavo e ti ho trovato”. Non è una frase a
effetto. Infatti lo chiama a New York e gli propone un
contratto per tre cd132.

A New York la commistione di lingue e generi, culture e suoni è la


regola. È un luogo in cui le espressioni linguistiche si contagiano,
essa dà al musicista la possibilità di leggere e di interpretare,
attraverso la musica, gli stimoli che offre e, a tal proposito lo stesso

132
Lina Sotis, E Palermo scopre la sua irresistibile «movida», «Sette » del «Corriere della
Sera», 30 Marzo 2000.

130
Sollima racconta: è quasi un metodo di lavoro consolidato quello di partire da
elementi indipendenti, spesso non ha nulla a che fare con lo specifico musicale, da
un abbozzo emotivo si trasforma poi in qualcosa di diverso, così nel caso di
Aquilarco133.
Il progetto Aquilarco nasce inizialmente dal desiderio di Sollima di
collaborare con Bob Wilson, figura importante per la formazione
del compositore. Del grande regista teatrale Sollima ama la sua totale
libertà, e, al tempo stesso, dipendenza dal mondo: sulla scena osservi i nostri
deliri e i nostri sogni riportati in modo assolutamente glaciale. Il nucleo emotivo
di Wilson si trova in cose inaspettate134. Il teatro di Wilson, infatti,

ha scomposto i contenuti delle storie e li ha ricomposti in


una nuova sintesi dell’immaginario che rifiuta il
procedimento per sequenze lineari di causa-effetto,
scandendo il nostro tempo interiore e rileggendo la storia
secondo percorsi elicoidali135.

133
Giovanni Sollima in Francesca Guerrini, Musica Contaminata, «America Oggi», 16
Maggio 1999.
134
Tratto da un programma di sala: Teatro Politeama Garibaldi, Palermo, 22
Gennaio 1999.
135
Alfonso Amendola, Frammenti d’immagine. Scene, schermi, video per una sociologia della
sperimentazione, Liguori, Napoli 2006.

131
La volontà di Sollima era elaborare la voce del grande regista
teatrale, e trattarla come puro strumento sonoro, per ricercare linee
melodiche all’interno delle parole pronunciate, prescindendo dal
significato o dalla recitazione. Questa ricerca sulla voce rappresenta
la cellula generatrice del lavoro, a cui poi si affiancano altri temi
fondamentali, che ricorrono frequentemente nelle opere di Sollima,
primo su tutti quello del viaggio. Il compositore racconta che con
Aquilarco ha voluto evocare un viaggio compiuto volando, viaggio in cui mille
vortici si intrecciano, da quelli di una trottola, a quelli dei testi di Christopher
Knowles, rotatori e matematici, fatti di parole sconnesse, che gravitano oltre il
significato. Sollima, nel comporre il brano, dice di ispirarsi a idee e
oggetti aerodinamici, all’aria, agli uccelli e alle macchine volanti di
Leonardo, al mare, al matematico vittoriano Charles H. Hinton -
che sviluppò una stravagante teoria sulla quarta dimensione - alla
voce di Bob Wilson e ad un frammento della sua terra, l’isola di
Sicilia, un antico porto per navigatori inquieti136. Per questa ragione
Sollima immagina uno strumento nuovo, che ha in sé parte del
violoncello e parte del volo: l’aquilarco, un aquilone che fa vibrare un
archetto, una sorta di violoncello con un’appendice aerea, che è diventato il
pretesto poetico e metaforico, per raccontare in musica una serie di viaggi
immaginari137.

136
Giovanni Sollima in Alessandra Griffini, Aquilarco, Orchestra Sinfonica e Coro sinfonico
di Milano Giuseppe Verdi, 26 Ottobre 2003, (programma di sala).
137
Ibidem.

132
Per realizzare questi viaggi il compositore usa scale tipiche di
differenti culture, che diventano punti di riferimento, sequenze per
viaggiare proprio nel cuore di queste culture, poiché, come afferma
in molte interviste lo stesso Sollima, è nelle scale musicali che si può
trovare l’essenza stessa di una civiltà.

***

Improvvisazione al violoncello, performance e testo descrittivo sono


gli elementi predominanti e caratterizzanti il brano, o meglio, il
disco, nato direttamente in studio di registrazione. Il retaggio della
musica colta in questo lavoro si può rintracciare in particolare
nell’uso del violoncello e nella forma dell’opera, poiché si tratta di
una suite in cui si alternano brani lenti e veloci. Tale contrasto
ritmico era tipico della suite barocca e delle sonate da chiesa e da
camera, forme musicali caratterizzate dalla successione di danze
stilizzate, fuse dall’unità tonale e strutturale.
Aquilarco è un affresco in dodici parti che si snoda tra percussioni
mediorientali, sulle quali il canto del violoncello emerge tra
virtuosismo e lirismo, tra struggenti legato e violenze percussive. Il
minimalismo, spesso presente, è posto in secondo piano, sotto la
voce del violoncello stesso, che rimane il protagonista assoluto della
suite, è un cantore solitario che dialoga con un ensemble formato da
viole e violini, che convivono con chitarra elettrica, tastiere,

133
sintetizzatore, mbira africana, e con una seconda voce che interviene:
quella di Bob Wilson, che “canta” tre poesie nonsense di Chris
Knowles.
Ciò che si ascolta in Aquilarco è un gioco di rotazioni, di immagini
che si ripropongono attraverso prismi differenti. La ripetizione
sistematica, che deve molto al minimalismo di Reich e Glass, alla
modularità lirica di Nyman, è filtrata da una vitalità tutta
mediterranea, sonora e ritmica che arriva dalla tradizione popolare.
Sollima mescola tarantelle siciliane al rock metallico, jazz frenetico
all’elettronica. Fili arabi e africani sono intrecciati in una tessitura
dinamica, che porta l’impronta del soggiorno di due anni a New
York. C’è un evidente rivolgersi ai molti suoni del mondo – siano
essi una trottola o un distorsore – con la capacità di riassumerli in
musica. Suoni ma anche e soprattutto voci - in particolare negli
ultimi tre brani della suite - che Sollima tratta alla maniera di linee
melodiche, estraendo, dalla traccia del parlato, melodie cantate dal
violoncello.
Il compositore si lascia ispirare da Bob Wilson che recita poesie del
ragazzo autistico Chris Knowles, il cui testo è articolato su una sorta
di nonsense organizzato, in cui le parole sono scritte, poi girate, fino a
perdere il significato originario, incedendo in una sorta di
movimento rotatorio, centrifugo, come se si perdessero in un
vortice.

134
***

Il progetto Aquilarco si concretizza in un CD prodotto su espressa


richiesta di Philip Glass per la propria etichetta, la Point
Music/Polygram.
Alla stregua di un disco pop, quindi, Aquilarco deve molto alla
struttura produttiva che lo sorregge. Fondamentale è l’importanza
degli interpreti, poiché non costituiscono una fase successiva al
momento creativo, ma fanno essi stessi parte della fase compositiva:
spicca Sollima come autore e solista, poi i membri dell’ensemble di
Sollima, i Soni Ventorum, la tastierista della band di Bang-on-a Can,
Lisa Moore e Bob Wilson, la voce recitante negli ultimi tre brani:
Loof and Let Dime, DiDi, Give You Up.
Il disco viene quindi presentato a New York ed è accolto con un
successo entusiastico, viene definito dalla rivista Time Out come “un
lavoro di brillante e sensuale musica che emana una particolare
commistione siciliana del nuovo a dell’antico”138.
Aquilarco, presentato in seguito anche in Italia, riscuote consensi e
viene acclamato come “il piacevole respiro della storia regalato con
la gioia della contemporaneità”139.

138
Ken Smith, Don Giovanni. Cellist Giovanni Sollima gives his Sicilian music a New York
twist, «Time out – New York», 20 - 27 Maggio 1999.
139
Nicola Campogrande, Sollima, in volo alla corte di Glass, «Musica!» di «Repubblica»,
29 Ottobre 1998.

135
Proprio perché Aquilarco rappresenta il segno della contaminazione,
perché è ispirato dal contatto con le altre arti e culture, ben presto
viene scelto come musica per la danza e poi viene consacrato, anche
presso un pubblico molto più vasto, quando alcuni dei suoi brani
diventano i temi principali delle colonne sonore dei film di Marco
Tullio Giordana I cento passi e La meglio gioventù, nel quale il brano
Aria - uno struggente assolo di violoncello - sottolinea i momenti
più drammatici delle vite dei protagonisti.
Il fatto che le note di Sollima accompagnino un film come I cento
passi, non ha valore solo da un punto di vista dell’esposizione
mediatica, e quindi della notorietà del brano nei confronti di un
pubblico più vario e ampio, ma assume un significato
importantissimo nella poetica di Sollima, poiché rappresenta
emblematicamente l’impegno civile del compositore e il suo legame
indissolubile alla Sicilia. Aquilarco diventa, infatti, parte integrante di
un film diventato fenomeno culturale di grande significato; ne I cento
passi i rappresentanti della cultura si espongono in prima persona
nella lotta alla mafia, nella ricerca della giustizia, con i mezzi di cui
dispongono.
Questo film rappresenta un caso emblematico in cui la cultura lotta
proficuamente per una causa e riesce a influenzare gli eventi
dell’attualità: il film esce, infatti, nel 1999, anno in cui una

136
commissione parlamentare stava ancora indagando sulla morte di
Peppino Impastato, per conoscerne i veri mandanti e mentre è
ancora in corso il processo a Tano Badalamenti140, accusato,
appunto, di essere il mandante dell’omicidio. Con la vittoria del
Leone d’Oro alla Mostra cinematografica di Venezia per la migliore
sceneggiatura e grazie alla commozione suscitata nell’opinione
pubblica, il film smuove le coscienze e porta alla ribalta la figura e il
tragico assassinio di Peppino Impastato, vicenda trascurata e
insabbiata per circa vent’anni.
Così, nell’Aprile del 2002 arriva la condanna definitiva all’ergastolo
di Tano Badalamenti, riconosciuto finalmente il mandante
dell’omicidio di un uomo - nato in una famiglia collusa, la cui casa
distava appena cento passi da quella del boss di Cinisi – che trova il
coraggio di ribellarsi e di lottare con tutte le sue forze contro la
mafia.

140
Cfr. John Dickie, Cosa Nostra. Storia della mafia siciliana, cit., p. 367 - 377.

137
I C ANTI

Prima versione: 1998

Organico: Violoncello solista, flauto, violino, chitarra e basso


elettrico, tastiere e percussioni, con amplificazione, campionatore,
DAT o CD

Brani:
1. Nascita- Per i Canti
2. Per i canti 2,
3. Salina: Numeri e Santi,
4. Intersong I,
5. Ummelelere: Asta al mercato del pesce
6. Per I Canti 3,
7. Lamentu,
8. Intersong II,
9. Salina: Numeri e Santi 2,
10. Per i canti 4

Seconda versione: 2002

Revisione dell’opera per la messa in scena al Teatro San Carlo di


Napoli

138
Edizione: Sonzogno

***

I Canti è una performance per violoncello, strumenti e nastro


preregistrato, in cui Sollima studia i rituali sacri e profani della
Sicilia, vista come luogo in cui si sovrappongono culture. Nasce in
un periodo molto fecondo di progetti per il compositore, durante il
suo soggiorno Newyorkese.
Nascono su commissione del Ravenna Festival di Riccardo Muti, e
inaugurano nel ‘98 la manifestazione Genius Voci – Progetto Etiopia,
una rassegna dedicata alle voci del mondo.
Sollima suona il violoncello solista e l’ensemble è quella dei Soni
Ventorum, un gruppo composto da flauto, violino, chitarra e basso
elettrico, tastiere e percussioni, con amplificazione che lo
accompagna abitualmente nelle sue esecuzioni in giro per il mondo.
Una seconda versione, rinnovata con tagli e inserimenti di nuovo
materiale de I Canti, è stata elaborata da Sollima nel Maggio del
2002, in occasione della messa in scena presso il Teatro San Carlo di
Napoli.
Il tema di fondo, come per molti altri lavori dell’autore, è il suo
interesse per l’espressività del parlato, ossia dei suoni che si

139
producono parlando. Sollima stesso racconta141 che nella sua mente
c’è sempre un diagramma invisibile prodotto dalle voci che ascolta.
La sua attività compositiva è fatta anche di peregrinazione per le
strade, armato di registratore, come un fotografo con la sua
macchina, rubando frammenti e “sonogrammi”. Quindi, ancora una
volta, ricorre il tema del viaggio; Sollima racconta di essersi ispirato
a The Songlines di Bruce Chatwin, soprattutto nel seguire i percorsi
tracciati dallo scrittore, per poi inventarsi mappe e itinerari. Il libro
di Bruce Chatwin, ambientato in Australia, racconta delle indagini
svolte dallo scrittore sulla tradizione aborigena dei canti rituali,
tramandati di generazione in generazione come conoscenza
iniziatica e segreta. Il libro sviluppa la tesi secondo cui i canti
aborigeni sono, allo stesso tempo, rappresentazione di miti della
creazione e mappe del territorio. Il titolo - The Songlines - si riferisce
alle migliaia di linee immaginarie che, secondo le conclusioni di
Chatwin, attraversano l'intero continente; ogni canto tradizionale
sarebbe la rappresentazione musicale delle caratteristiche
geografico-topografiche di un tratto di una di queste vie.
Sollima racconta di lavorare su materiali che trova in archivi e
nastroteche, o che provengono direttamente dalla sua memoria:
abito in Sicilia e ho abitato a New York, le miserie, promiscuità culturali,
processioni, mercati, aste, feste, piazze, lamenti, messe, rosari, famiglie, cori,

141
Cfr. Intervista a Giovanni Sollima, Fotogrammi sonori, a cura di Sara Zurletti,
Programma di Sala del Teatro di San Carlo, Stagione concertistica 2001/2002.

140
ambulanti, imbonitori, invasati, poeti, campane, rituali metropolitani e rurali,
tutti transitano sulla via del canto142.
Sollima, al pari di Chatwin, studia le linee melodiche tracciate da un
parlato, dalla tonalità, dal ritmo, dalla voce come pura fonte sonora,
infatti afferma che rabbia, dolore, euforia, hanno precise altezze, salti di
ottava, seconde minori, velocità, dinamiche, pause, reperti che, organizzati e
riassemblati, campionati, irrompono nell’equilibrio musicale143. Per esempio
ne I Canti, si percepisce nettamente la traccia che si è depositata
nelle fibre della musica, della violenza vocale di certe manifestazioni
siciliane: le lamentazioni di massa durante le ritualità sacre, le
intonazioni dei venditori ambulanti, i canti dei salinari. La ricerca di
Sollima, come lo stesso autore racconta, dunque, parte dalla Sicilia,
per allargarsi a tutto il Mediterraneo, fino a trarre ispirazione
oltreoceano, a partire dal Bronx. Questa rielaborazione e
trasfigurazione delle voci avviene grazie a una variegata tavolozza
timbrica, in cui le sonorità del violoncello, degli archi e dei fiati, si
intrecciano a quelle della chitarra elettrica.
Sollima considera I Canti come un’opera collettiva composta quasi per
strada, “impacchettando” luoghi, persone, fatti, fotografando voci.
È un lavoro che il compositore aggiorna costantemente, quindi
l’opera assume il carattere di work-in-progress, e allo scopo, alcuni

142
Ibidem.
143
Ibidem.

141
movimenti - Intersong I e II - hanno una struttura modulare, il che
permette l’aggiunta o la sostituzione di materiale senza alterare i
brani nella loro organizzazione fondamentale.
Sollima mette insieme tante suggestioni dell’immaginario sonoro
della sua isola, riplasmandole e reinventandole entro un flusso
strumentale di forte animazione. Mischia tradizione – si veda
l’Ummelelere, un canto del battitore dell’asta del pesce in Sicilia, e il
Lamentu, canto funebre della vedova sul letto di morte del marito - e
modernità con Intersong II, in cui sono evidenti suggestioni
minimaliste alla Steve Reich.
I virtuosismi del violoncello, delle percussioni e degli insieme, pieni di
esaltato dinamismo delle sonorità e dei ritmi, si alternano a pause
liriche e sognanti, al canto flebile su una corda, a frasi arpeggiate.
Rintocchi registrati di campane precedono le arcate del violoncello,
presto divise in ossessive cellule ritmiche, intrecciate da violino,
viola, flauto e percussione; pizzicati dividono la linearità del canto in
cui irrompe il virtuosismo tzigano del violoncello.
La sua è una musica che si guarda intorno, che deruba modi, ritmi e
suoni – dal mondo popolare, dal jazz, dal rock – e li restituisce in un
insieme unitario.

142
V IAGGIO IN I TALIA (2000)

Organico: Voce maschile, violoncello solista, due violini, una viola,


un violoncello - DAT o CD

Testi: di Michelangelo Buonarroti, Francesco Borromini e Giordano


Bruno

Brani:
1. Federico II - per quartetto d'archi
2. Giotto Dante - per violoncello e CD
3. Bella e crudele - per voce maschile e quartetto d'archi
4. Campo dei miracoli - per quintetto d'archi
5. Ritratto di musico - per violoncello
6. L'ortolano - per quartetto d'archi
7. Borromini - per voce maschile e quartetto d'archi
8. L'isola Ferdinandea - per quintetto o quartetto d'archi
9. Campo de' fiori - per voce maschile, violoncello e quartetto d'archi
10. La tempesta - per violoncello
11. Zobeide - per quartetto d'archi
12. Casanova sonata - per quintetto d'archi e CD
13. Cretto - per quartetto d'archi
14. La camera bianca - per quintetto d'archi

143
Edizione: Sonzogno, n° 6258.
***

Viaggio in Italia nasce su commissione di un mecenate milanese,


Gianmaria Buccellati.
All’inizio del 2000, Casa Sonzogno - la casa editrice di Sollima -
cercava sponsor per una nuova tournée americana del compositore.
A tale scopo il gioielliere Buccellati, in cambio di un brano dedicato
agli ottant’anni di attività della sua azienda, supportò
finanziariamente il progetto. L’idea di Buccellati era quella di un
brano in cui compiere un percorso ideale attraverso la cultura
italiana.
Poiché la materia da affrontare era vastissima, Sollima decise di dare
l’idea di un possibile viaggio, volutamente lacunoso, nella storia
dell’arte italiana, analizzandone i contrasti e gli aspetti enigmatici e
ambigui. Questi, come egli stesso sostiene, hanno da sempre
accompagnato la storia dell’arte italiana, dai quesiti non risolti, dagli aspetti a
volte drammatici, a volte giocosi. Sono partito non dalla perfezione dell’opera
d’arte, ma dal concetto che tale perfezione sia frutto dell’imperfezione dell’uomo
[…]. A questo scopo Sollima crea un brano fatto di sollecitazioni in
ordine sparso, di campi lunghi sul medioevo e sul rinascimento e di
primi piani su singole opere e personaggi.

144
La partitura di Sollima, una sorta di esplorazione-memoria nella
storia dell’Italia, è sviluppata con un’alternanza di quadri per
violoncello solo e altri per voce e quartetto o per quintetto.
Viaggio in Italia è stato eseguito in prima assoluta alla Carnegie Hall di
New York e portata in tournée da Washington a Strasburgo, da
Istanbul a Venezia – in occasione della Biennale danza musica teatro - al
Palazzo Ducale di Genova e a Milano presso il prestigioso Palazzo
Clerici, dalla Filarmonica della Scala.

***

In Viaggio in Italia la dimensione narrativa assume un aspetto


fondamentale: le quattordici tappe di questo percorso immaginario
hanno ognuna qualcosa da raccontare. Sollima sceglie pezzi inusuali
della storia italiana, episodi e opere non troppo noti che raccontano
alcuni dei più grandi artisti, di cui Sollima usa alcuni testi originali.
Il primo brano della composizione, Federico II, è un omaggio
all’illuminato imperatore tedesco, che scelse Palermo come sua
residenza ufficiale. Il compositore rende in forma di danza il clima
gioioso della sua corte multietnica, attraverso l’uso, già dalle prime
battute dell’Allegro, di scale tipicamente orientaleggianti,
caratterizzate, in genere, dall’abbassamento del 2°, 5° e 7° grado di
una comune scala maggiore:

145
Nel secondo movimento, Giotto Dante, l’atmosfera si fa sacra e
spirituale, con un gregoriano scoperto da Sollima nella biblioteca
della Basilica di Assisi. La base registrata che fa da sottofondo al
violoncello solo, è stata incisa all’interno della Basilica durante il
Giubileo, nella Basilica affollata di pellegrini.
Bella e crudele, per voce maschile e quartetto d'archi, è un brano
musicale scritto su un madrigale di Michelangelo, dedicato alla bella
principessa Vittoria Colonna:

S’ egli è che 'n dura pietra alcun somigli


Talor l’ immagin d’ ogni altri a se stesso,
Squalido e smorto spesso
Il fo, com’ i’ son fatto da costei;
E par ch’ esempro pigli
Ogni or da me, ch’ i’ penso di far lei.
Ben la pietra potrei,
Per l’ aspra suo durezza,
In ch’ io l’ esempro, dir c’ a lei s’ assembra.
Del resto non saprei,
Mentre mi strugge e sprezza,
Altro sculpir che le mie afflitte membra:

146
Ma se l’ arte rimembra
Agli anni la beltà, sol per durare ella,
Farà me lieto, ond’io le’ farò bella144

Sollima, per quel che riguarda il trattamento del testo, non rispetta
le caratteristiche formali tipiche del madrigale. Questa è, infatti, una
forma generalmente caratterizzata da otto a quattordici versi, per lo
più endecasillabi, rimati secondo schemi variabili e accomunati da
una coda di due distici a rima baciata, composta per essere musicata.
L’autore, invece, suddivide e ripete più volte i versi di Buonarroti a
suo piacimento, per dare ritmo e memorabilità alla frase musicale,
così come avviene tipicamente nelle canzoni pop. Il quartetto fa da
accompagnamento ad una sorta di declamato molto ritmico145:

144
Michelangelo Buonarroti, Rime, Universale Laterza, Bari, 1967, Basata sul testo
critico di Girardi.
145
Tutti i seguenti esempi musicali sono riportati per gentile concessione di Casa
Musicale Sonzogno di Piero Ostali, partitura n° 6258.

147
Al Borromini, Sollima si rifà in due brani del lavoro, in Campo dei
miracoli, quarto movimento, e nel settimo, Borromini, appunto. Il
primo è un andantino in cui vengono messe in evidenza le possibilità
liriche degli archi che, in un dialogo ininterrotto, si dividono la
semplicissima melodia. Nel settimo brano, l’autore dà vita ad un
arioso tragico e struggente, sul testo dell’ultima pagina di diario
scritta dal grande architetto sul letto di morte, dopo essersi trafitto
con una spada. Con drammatiche parole Borromini ripercorre la sua
esistenza vissuta nell’incomprensione della sua arte, giudicata troppo
ardita dai suoi contemporanei. Sopraffatto dall’antagonismo del più
celebrato Bernini, scrive dolorosamente:

148
La spada qui incammera, a capo del letto, et appesa a queste
candele benedette, ho preso la spada, il manico di essa
appuntato nel letto, la punta sul mio fianco, e poi mi son
butato con la forza che ho facta, acciò che entrasse nel mio
corpo, caduto, giù, giù.

Il testo, in questo caso, è utilizzato sequenzialmente - a differenza


del brano di Michelangelo in cui l’incisività è conferita dalla
ripetizione ossessiva di brevi frasi - per dare più importanza,
evidentemente, al significato delle parole che alla ritmicità del suono
nel pronunciarle. Ciò avviene per rendere ben comprensibile il testo
letterario e per conferire realismo al brano. È interessante notare
che il testo di Buonarroti - tratto dal diario manoscritto del grande
architetto, scoperto nel monastero di Wiener Neustadt, cittadina
austriaca nei pressi di Vienna – è usato anche dal conterraneo di
Sollima, Salvatore Sciarrino, per il suo brano Morte di Borromini, per
voce recitante e orchestra.
Ritratto di musico è il pezzo della raccolta dedicato al grande
Leonardo da Vinci. Si tratta di un brano per violoncello solo,
ritmico e percussivo, dal carattere virtuosistico, in cui Sollima mette
in luce tutte le sue doti di grande esecutore. Il brano, come racconta
l’autore, s’ispira al superbo dipinto di Leonardo che ritrae il compositore

149
Franchino Gaffurio, maestro di cappella del Duomo di Milano, e amico del
genio italiano. 146
L’Ortolano è uno dei famosi quadri di Arcimboldi – vero alchimista
dell’arte – in cui la natura, in questo caso frutta e ortaggi, come un
mosaico compone il volto di un uomo. Il brano – forse a voler
richiamare la complessità della realizzazione del dipinto – è
altrettanto complesso, soprattutto da un punto di vista esecutivo,
per il virtuosismo delle singole parti, e, ancor più per il loro
intreccio.
L’ottavo brano, per quintetto d’archi, come racconta il compositore,
è ispirato alla storia dell’isola Ferdinandea: emersa dal mare di fronte
alla Sicilia nel Luglio del 1831, in seguito ad un’eruzione vulcanica,
divenne subito oggetto delle mire di più “Potenze”, ben presto
costrette a ritornar in patria senza ottenere nulla, poiché l’isola svanì
in un sol giorno - così com’era nata - tra i flutti del Mediterraneo.
Anche nella partitura è evidente il riferimento a quest’evento
singolare: dall’immobilità iniziale degli archi nelle prime misure,
quasi a descrivere la calma del mare,

146
Salvatore Taormina, Il viaggio Italiano di Sollima: trionfo Usa, «Il Giornale di Sicilia», 3
Novembre 2000.

150
si passa immediatamente ad un disegno in sestine di semicrome,
come a rendere l’agitarsi dei flutti,

151
figurazione che, con lievi variazioni intervallari o cambi di tonalità si
ripeterà molte volte nel dispiegarsi della composizione. Questo
disegno, di chiara derivazione minimalista – pur se nato
evidentemente sullo strumento, prima che in partitura – viene
interrotto soltanto nella parte centrale del brano, che si caratterizza
per virtuosismo, incisività ritmica e violenze percussive. Il brano
termina con un finale in diminuendo, una volta che l’isola viene
nuovamente sommersa dalle onde:

152
153
Del filosofo Giordano Bruno, mandato al rogo nel 1600
dall’Inquisizione, nel brano Campo de’ fiori, Sollima ha musicato brevi
passaggi presi da alcune delle sue opere:

Con l’ali l’immensità dello spazio147


Santà asinità148
Pregiudizio149
Cieco chi non vede il Sole150
Falso principio affinché fossimo come rinchiusi151
Non mi porranno avanti gli occhi il velo152
Ma fendo i cieli all’infinito m’ergo153
Si i dissecca il corpo e mi s’umetta il cervello; nascono i tofi
e mi cascano gli denti; s’inora la carne […] mi si contrae la
vista; s’indebolisce il fiato […] mi si fa fermo il sedere;
trepido camminar mi trema il polso; si saldano le coste mi
s’assottigliano gli articoli […] S’indurano i talloni e mi
s’ammolla il contrappeso154.

147
Tratto da De innumerabilibus, immenso et infigurabili.
148
Tratto da Sonetto in lode de l’asino.
149
Tratto da De innumerabilibus, immenso et infigurabili.
150
Tratto da Spaccio della bestia trionfante.
151
Tratto da De innumerabilibus, immenso et infigurabili.
152
Tratto da De l’infinito, universo e mondi.
153
Tratto da De l’infinito, universo e mondi.
154
Tratto da Spaccio della bestia trionfante.

154
MAJORI FORSAN CUN TIMORE SENTENTIAM IN
ME FERTIS QUAM155 EGO ACCIPIAM156
è forse maggior la vostra paura nel pronunciare la sentenza,
della mia nel riceverla

Sollima, come si può evincere dalla citazione, prende vari stralci da


differenti opere di Giordano Bruno e li assembla quasi alla stregua
di un copia-incolla. Tale uso del testo rimanda a una formula tipica
della musica pop degli anni ’90, il cut-up: una sorta di “patchwork di
frasi sconnesse senza un vero e proprio filo logico157”.
Le parti procedono in contrappunto – il quartetto d’archi e il solista,
che alterna voce e violoncello – e l’andamento, all’inizio molto
calmo, va accelerando lentamente. A battuta 41, improvvisamente,
subentra il più mosso e l’andamento si fa vorticoso, poi violento e
percussivo, in un crescendo e accelerando in fortissimo che culminano
soltanto sul finale tronco del brano:

155
“Quan” nel testo musicale.
156
Si tratta della frase che venne attribuita a Giordano Bruno poco prima che fosse
arso vivo.
157
Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, cit., p. 134.

155
156
Il decimo brano, la Tempesta è una pagina virtuosistica dallo stile
toccatistico-improvvisativo per violoncello solo, in cui il
compositore si è ispirato al celebre dipinto di Giorgione conservato
all’Accademia di Venezia.
Da un passato glorioso dell’arte italiana, Sollima giunge ai nostri
giorni, prendendo ispirazione dalla raccolta di novelle di Italo
Calvino Le città invisibili, una sorta di guida a luoghi immaginari e
fantastici, a città dai fantasiosi nomi femminili che evocano una
mappa di desideri, utopie, paure, in bilico tra sogno e incubo. Di
tutte, per questo quartetto, Sollima sceglie Zobeide, città-sogno
bianca e lunare. Il primo violino canta la melodia e gli altri strumenti

157
fungono da accompagnamento, tranne che in un breve passo, nella
parte centrale158, in cui un frammento della melodia principale, in
una sorta di breve fugato, è diviso tra le parti. Subito dopo riprende il
tema iniziale, sempre affidato al primo violino.
Da luoghi a dipinti, da madrigali a racconti, Sollima si fa
sceneggiatore e racconta di immaginare, per Casanova Sonata, una
scena gioiosa e sfrenata in cui si incontrano in un convito Casanova,
Lorenzo da Ponte, il mago Cagliostro e il compositore Domenico
Scarlatti, il quale improvvisa al cembalo una delle sue celebri sonate.
Proprio da una di queste parte la composizione, trasfigurata e
contaminata da una base registrata in cui emergono suoni
sintetizzati e batteria elettronica, in cui è evidente il riferimento a
sonorità tipiche del rock. Ritmo ossessivo e moduli ripetitivi della
prima parte cedono il passo a un brano evidentemente dedicato al
celebre libertino italiano: si tratta di una furlana, una danza popolare
di corteggiamento nata a Venezia nel XVI secolo, poi affermatasi in
Francia e nelle corti europee come ballo di moda soprattutto nel
XVII e XVIII secolo.
Il penultimo movimento, un breve quartetto, è ispirato al Cretto di
Ghibellina di Alberto Burri, un incredibile labirinto costruito sulle
rovine del paese siciliano distrutto nel 1968 dal devastante
terremoto del Belice. Sollima racconta, per questo brano, di essersi

158
Da battuta 97 fino a battuta 112.

158
ispirato al suono del vento ascoltato in questi luoghi, che immerge
l’uomo in una dimensione metafisica e onirica159.
Viaggio in Italia si conclude con la ripresa del tema iniziale di Federico
II, primo brano della raccolta, questa volta in forma di quintetto
anziché quartetto. L’ultimo movimento prende il nome da quello
dell’involucro – chiamato camera bianca – in cui recentemente è stato
avvolto il sepolcro dell’Imperatore, nel quale un gruppo di scienziati
ha scoperto, grazie a una sonda inserita nella pietra, che il sovrano
non riposa solo, ma è abbracciato a una donna misteriosa.

***

Nella mia musica c’è una curiosità patologica per elementi non necessariamente
musicali, per esempio i parlati, e la forza emotiva che hanno dentro160.
In Viaggio in Italia, Sollima si dimostra, non solo autore di musica,
ma anche cantastorie. Per il difficile compito che gli viene affidato,
ossia quello di compiere viaggio nello smisurato patrimonio artistico
italiano, sceglie una strada evocativa; non segue fili logici di tempo o
di spazio, ma mette insieme, senza apparenti legami, ciò che più lo
incuriosisce del nostro patrimonio culturale. Trova brani - dai versi

159
Salvatore Taormina, Il viaggio Italiano di Sollima: trionfo Usa, «Il Giornale di Sicilia», 3
Novembre 2000.
160
Raffaella Grassi, Sollima, la musica è anche impegno, «Il Secolo XIX», 20 Giugno 2001.

159
di Borromini al madrigale di Michelangelo - nascosti ai più, cita
episodi dimenticati dalla grande storia, immagina conviti gioiosi
degni della più originale delle sceneggiature.
Per rendere questa varietà di epoche e personaggi, Sollima crea un
complesso equilibrio di molteplicità linguistiche. Un polistilismo che
prende corpo, combinando e disordinando, arcaismi ritmici e
gregoriano, stratificazioni del patrimonio colto europeo e una
sicilianità sonora carica di echi mediterranei, tensioni percussive da
rock duro e apparenti staticità new age.

***

Viaggio in Italia, soprattutto in America, ha consacrato il successo di


Sollima, rendendolo ancor più noto oltreoceano che nel nostro
paese, sia come compositore che come grande virtuoso del
violoncello. Nel brano, inoltre, importante è la collaborazione con la
formazione che accompagna Sollima nel Viaggio, il Lark Quartet,
composto da musiciste di fama internazionale che rendono possibile
l’esecuzione di quest’opera, in cui è necessaria la padronanza
assoluta degli strumenti ad arco.

In questo lavoro è evidente, ancora una volta, il forte radicamento


nella tradizione colta delle pagine di Sollima, eppure sono presenti
notevoli riferimenti ai linguaggi tipici della musica leggera: dal già
approfondito elemento narrativo, alle caratteristiche della performance

160
di Viaggio in Italia. Il compositore, infatti, nel brano è il perno
centrale della prassi esecutiva: è sì il violoncello solista, ma è anche il
cantante che – senza impostazione vocale e con un forte accento
siciliano – dà voce ai versi di Michelangelo, di Borromini e di
Giordano Bruno, enfatizzando il tutto con una gestualità
riconducibile senza dubbio a performance tipiche del concerto rock.

I consensi entusiastici del pubblico sono stati confermati anche dalla


critica. Per Viaggio in Italia, infatti, Sollima è stato appellato da
Robert Hilferty, su The Village Voice, come “The most exciting
Sicilian musician since Bellini”.

161
J. B EUYS SONG (2001)

Organico: violoncello e base registrata

Balletto e coreografia di Carolyn Carlson

Brani:
1. Terra Aria
2. Terra Danza
3. J. Beuys Song
4. Terra Acqua
5. Animali
6. Distorted Destroy
7. Slow
8. Fast
9. Cello Tree
10. Terra Fuoco
11. Tema

Testo tratto e versificato da J. Beuys

***

162
Se voglio creare un concetto rivoluzionario di uomo, devo
parlare di tutte le forze che hanno una relazione con lui. Se
voglio dare all’uomo una nuova posizione antropologica,
devo anche dare una nuova posizione a tutto quanto lo
concerne. Devo collegarlo verso il basso con gli animali e le
piante, la natura, così come verso l’alto, con gli angeli o gli
spiriti. Devo, dunque, mettere l’uomo in questo insieme,
solo allora potrà acquistare la sua grandezza di uomo e la
forza di fare la rivoluzione. Nelle mie azioni ho sempre
esemplificato l’identità arte = uomo… (Joseph Beuys)

A queste parole dell’artista tedesco Joseph Beuys è ispirato


l’omonimo balletto, commissionato per una coreografia di Carolyn
Carlson dalla Biennale Danza Musica Teatro di Venezia, prodotto in
collaborazione con la Fondazione Lirica Siciliana.
Il tema centrale, a cui tutto il lavoro fa riferimento, è quello del
disastro ecologico, e ciò avviene attraverso uno spettacolo che
unisce in sé diverse forme d’arte, non soltanto musica e balletto, ma
anche teatro, inchiesta sociale, mimica, simbologia e tutto il loro
interscambio.
Dall’Agnus Dei per le vittime della Mafia, dedicato a Falcone e
Borsellino, a Spasimo, da John Africa - in cui si schiera contro la pena
di morte - a Ellis Island, Sollima non rinuncia all’impegno sociale
nelle sue opere, e, grazie alle parole di Beuys, riscopre la natura e
protesta, insieme alla Carlson, contro l’indifferenza umana, un

163
richiamo al miracolo della vita e della riproduzione: l’aria, gli alberi, la terra.
Per Sollima, quest’opera è un lavoro in progress, uno spazio di idee percorso
da frammenti e stratificazioni attraverso un viaggio personale, nell’universo di
Beuys, che mi riporta inconsciamente alla Sicilia, a Gibellina161… l’uomo, la
natura, le devastazioni fisiche e spirituali162.
J. Beuys Song riguarda, ancora più apertamente del passato, l’amore
della Carlson per tutto ciò che è vivo sulla Terra, e che, invece
“l’uomo, con la sua indifferenza, la sua freddezza, fa morire. Uno
spettacolo assurdo: ordine e caos, precisione di gesti ed energia che
si scatena”163.
Il balletto J. Beuys Song è andato in scena in prima assoluta a Venezia
per la Biennale Musica e Danza all’inizio di Giugno del 2001, poi
subito replicato per l’apertura della stagione estiva del Teatro Massimo
di Palermo e, ancora, portato a Parigi al Teatro Chaillot.
L’allestimento scenico prevedeva visioni scostanti, volutamente
negative: rami d’albero rinsecchiti e plastica ovunque che assumeva
mille fogge, pietre, terra, ma anche acqua putrida, cartaccia. Sulla

161
Sollima fa riferimento al centro medievale di Ghibellina, formatosi nel
Quattordicesimo secolo, e poi distrutto dal terremoto del 1968. Su queste rovine è
stata edificata un’opera in cemento, creata dall’artista Alberto Burri detta cretto di
Ghibellina.
162
Biennale, corpo a corpo di Suoni, «Il Gazzettino», 7 Giugno 2001.
163
Intervista a Carolyn Carlson in Claudia Provvedini, Danzo contro i nemici della
Natura, «Corriere della Sera», 2 Giugno 2001.

164
scena danzatori in tailleurs e ballerine in abiti color argento o rosso,
gli Urlatori Finlandesi e Giovanni Sollima, con il suo violoncello.
Pur se si tratta di un lavoro su commissione, quindi annoverabile fra
le opere chiuse, in realtà costitutiva di tutta l’opera è la performance. È
Sollima stesso a sostenere e sollecitare i ritmi del variegato
spettacolo, è egli stesso una sorta di ballerino: si trova sul palco ed
esegue la propria musica, in un “corpo a corpo”164 con i danzatori.
“Giovanni è una forza della natura. Lui recita, lotta, gioca con la
musica”, dirà di lui in un’intervista165 Carolyn Carlson.

***

In scena do libero sfogo alla mia fisicità intramata di musica e contrasti.[…].


Realtà stridenti e sonorità estreme, che giungono da antipodi, la Sicilia e la
Finlandia, diversissimi nei ritmi, nei colori, nei timbri cromatici166. Queste
parole di Sollima, - usate per descrivere la sua opera - riassumono i
caratteri fondamentali del balletto scritto per la Carlson e, del resto,
di ogni suo lavoro: la cifra stilistica predominante è quella dei
contrasti derivanti da commistioni, a volte inaspettate.
Da I Canti a Tempeste e Ritratti, da Songs from the Divine Comedy a J.
Beuys Song, ricercare le scale e gli intervalli tipici delle tradizioni

164
Biennale, corpo a corpo di Suoni, cit.
165
Claudia Provvedini, Danzo contro i nemici della Natura, cit.
166
Biennale, corpo a corpo di suoni, cit.

165
musicali di differenti culture, per poi rielaborarle in ogni sua opera,
è un tratto pertinente di Sollima. In questo lavoro, infatti, come
l’autore stesso spiega, vuole mettere insieme le voci della Finlandia e
quelle della Sicilia. Ciò è evidente in particolare nell’alternanza dei
brani di questa particolare suite167: in alcuni si ascoltano frasi musicali
che rimandano alla scale arabe e orientali, in altri è evidente la
ricerca di Sollima per la musica tradizionale finlandese.
In particolare, le “voci” della Sicilia si ascoltano chiaramente in Cello
Tree – brano per tre violoncelli, uno live e gli altri due preregistrati –
in cui cellule tematiche ripetitive sono basate su una scala che
presenta il 2° e il 6° grado abbassati di un semitono168:

167
Sulla suite, cfr. p. 133.
168
Tutti i seguenti esempi musicali sono riportati per gentile concessione di Casa
Musicale Sonzogno di Piero Ostali, partitura n° 6275.

166
Tale disegno169, dunque, conferisce un carattere tipicamente
arabeggiante all’inciso, carattere in seguito confermato anche dalla
suddivisione metrica dell'accompagnamento, - che si prolunga per
tutto il brano - affidato ai due violoncelli registrati. Questi, infatti,
eseguono uno schema ritmico ossessivo in cui si alternano battute
in 6 e 5/4, queste ultime con una scansione di 3 + 3 + 2 + 2, tipica
del samàì, figurazione ritmica tradizionale araba170:

169
Già si è discusso in precedenza sul 2° grado abbassato e sull’accordo di “sesta
napoletana”, cfr. p. 118.
170
Cfr. New Grove Dictionary of music, 2000, ad vocem Arab Music.

167
Questo accompagnamento ossessivo rappresenta al meglio la cifra
stilistica di Sollima, quasi sempre caratterizzata da elementi
riconducibili alla minimal music, trasfigurati però da una vocazione
fortemente mediterranea.
Echi della musica popolare siciliana risuonano anche nel penultimo
brano della suite, Terra fuoco, in cui la cellula melodica principale è
basata su una scala che presenta il 2° e il 7° grado abbassati di un
semitono:

168
Colori, timbri cromatici e ritmi molto differenti si possono invece
ascoltare nel brano Animali, in cui sono i suoni e, soprattutto, le voci
della Finlandia a costituirne il nodo tematico. Su un tappeto
armonico statico - costituito prevalentemente da accordi dissonanti
che non risolvono - mentre il violoncello solo esegue semplici
figurazioni,

169
si stagliano lamenti (non presenti in partitura perché lasciati
all’improvvisazione) degli “Urlatori Finlandesi” Huutajat. Queste
grida rappresentano richiami pastorali vocali e sono il retaggio della
più antica tradizione musicale finlandese; in particolare si ricordano
quelli tipici della Carelia, gli huhuilut (grida) e i kurjan-kutsunnat
(richiami)171.
Echi minimalisti, dunque, tradizione Siciliana e Finlandese
convivono insieme nelle pagine di Sollima, ma non sono le uniche
commistioni presenti in quest’opera: si possono individuare rimandi
al jazz, come in Terra Danza, in cui è evidente l’uso di scale modali,
in particolare quella dorica:

171
Cfr. Dizionario della Musica e dei Musicisti, Il Lessico vol. II, Utet, ad vocem
“Finlandia”, p. 231.

170
o ibridazioni con la tradizione pop. Si veda, in particolare, il brano
Slow, tutto giocato sull’effetto di delay172,

che fa risuonare il violoncello di Sollima come una chitarra elettrica.


Assimilabile in tutto e per tutto ad una canzone pop è il brano che dà
il titolo a tutta l’opera, appunto J. Beuys Song. Alla stregua di un

172
Il delay, - dall'inglese, “ritardo” - è un effetto usato per modificare il suono di
strumenti musicali generalmente elettrici o amplificati. La funzione generale del delay
consiste nel registrare il suono in ingresso e riprodurlo con un determinato ritardo
temporale.

171
cantautore, Sollima intona un testo dalla struttura strofica e si
accompagna con uno strumento – non un pianoforte, né una
chitarra, ma un violoncello – a cui è affidata l’armonia.

Il testo della canzone è tratto e versificato da quello di Beuys citato


all’inizio del paragrafo173:
173
Cfr. p. 163.

172
Se voglio creare un concetto rivoluzionario di uomo
Devo collegarlo verso il basso
con gli animali, le piante, la natura
Devo collegarlo verso l’alto
con gli angeli, gli spiriti

Se voglio creare un concetto rivoluzionario di uomo


L’uomo in questo insieme, solo allora
potrà acquistare grandezza,
la forza di fare le rivoluzioni.

Come si può evincere dalla citazione, Sollima versifica parte del


testo di Beuys, creando tre strofe delle quali le prime due sono
uguali. All’inizio di ognuna di esse, ripete due volte la prima frase
dello scritto di Beuys, per conferire memorabilità alla frase musicale,
così come avviene nelle canzoni pop174. Inoltre sono state scelte le
frasi più “piene” di significato, proprio per rendere quella
caratteristica fondamentale del testo della canzone pop che è la
densità: “le parole tentano di racchiudere il maggior numero di
significati possibili in una frase”175.
L’opera chiude con il brano d’inizio, il celebre Terra Aria. Tre
violoncelli - di cui due su base registrata - creano un intreccio in cui
cellule tipicamente minimaliste

174
Cfr. Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, cit., p. 142
175
Ibidem.

173
fungono da accompagnamento a frasi musicali dall’intensa
vocazione melodica.

174
***

J. Beuys Song è diventato uno dei lavori più noti di Sollima, in


particolare il primo brano della suite, Terra Aria, reso celebre prima
dal film The Tulse Luper Suitcases di Peter Greenway e dalla fiction di
Rai Uno Il bell’Antonio, dei quali è stato scelto come parte della

175
colonna sonora, e poi dal video musicale di Lasse Gjertsen,
DayDream176, nel quale Sollima è il protagonista.
DayDream, diramato su YouTube, ha stabilito il record mondiale di
contatti per quanto riguarda un video musicale al di fuori
dell’ambito pop-rock.

176
Cfr. pp. 66 – 69.

176
T EMPESTE E R ITRATTI (2001)

Brano sinfonico per orchestra da camera

Brani:
1. Tempeste
2. Prospero
3. Miranda

Edizione: Sonzogno, n°6216

***

Tempeste e Ritratti è uno dei brani di Sollima più fortemente ancorati


alla tradizione classica: è per orchestra da camera, nasce dalla
commissione della Filarmonica della Scala ed è stato eseguito in prima
assoluta in uno dei più importanti templi della musica colta – il
Teatro alla Scala, appunto - per il concerto di chiusura della stagione
2001, nel periodo in cui era ancora direttore Riccardo Muti. Eppure,
nonostante questi elementi siano saldamente legati alla tradizione,
Sollima non rinuncia a portare nel brano sinfonico i temi a lui più
cari: il viaggio, le migrazioni e la Sicilia, il Mediterraneo e l’Oriente,
la ricerca dei suoni e delle voci dei popoli.

177
Contemporaneo di Ellis Island, Tempeste e Ritratti, segue la stessa cifra
stilistica di tipo evocativo che l’autore utilizza nell’opera-oratorio -
anche perché Sollima collega il tema dei migranti e dell’approdo al
mare e alla tempesta - ma questa volta il musicista si lascia ispirare,
invece che da un luogo e da vicende reali, dalla storia fantastica della
Tempesta177 di Shakespeare. Del resto, proprio nello stesso periodo in
cui gli veniva commissionato il brano, il compositore lavorava alla
stesura di un’opera da camera sulla commedia del Grande Bardo,
non più portata a termine. Inoltre, per la scelta dell’organico, ha
tenuto conto del “contesto musicale” in cui il brano sinfonico
doveva essere eseguito in prima assoluta: tra la Gran Partita di
Mozart e la Sinfonia n° 104 di Haydn. Mi sono ispirato al colore così
particolare che in quest’ultima hanno legni e archi. Lavoro sempre molto sul
colore, riducendo archi, fiati e timpani all’essenziale, perché mi piace pensare

177
La vicenda narra di Prospero, duca di Milano il quale, spodestato dal fratello, si
rifugia con la figlia su un’isola selvaggia, dominata dal mostruoso Calibano, simbolo
della forza bruta. Ma Prospero, con l’intelligenza e, soprattutto con la magia, riesce a
liberare le forze buone della natura e trasforma l’isola in una sorta di Paradiso
Terrestre. Quando capita il duca usurpatore sull’isola, vittima di un naufragio dovuto
alla tempesta invocata dallo stesso Prospero, quest’ultimo non si vendica ma perdona
il fratello.

178
all’orchestra come a una sorta di quartetto allargato. Il colore ottenibile da un
grande organico sinfonico mi avrebbe portato fuori strada178.
Come racconta lo stesso Sollima in un’intervista radiofonica,
Tempeste e Ritratti è ispirato da una delle tante letture che il
compositore ha fatto dell’opera di Shakespeare. Poco alla volta, prima
della stesura, emergevano nella mia mente certi elementi, piuttosto che altri, e la
lettura andava scarnificandosi col tempo, lasciando intatti solo alcuni elementi:
la caratterizzazione dei personaggi - soprattutto per quanto riguarda il gioco di
congiure - e il collegamento con gli indizi sudisti, in particolare l’idea di isola,
perché vivo in un’isola e sono molto sensibile alle terre galleggianti179.[…] Io, del
resto, ho la tendenza, o il vizio, di spingere il più a Sud possibile le
informazioni che ricevo, anche da una lavoro di Shakespeare, cerco di rimuovere,
tenere a bada questa componente, che invece si ripresenta puntualmente, ogni
volta che scrivo qualcosa. È come se queste tracce mi perseguitassero. La Sicilia
per me è una sorta di osservatorio: posso decidere una mattina di guardare a
Oriente, un’altra a Occidente. La cosa che mi piace di questa terra - che è anche
un aspetto estremamente violento, crudele - è questo meccanismo di ibridazione,
di stratificazione di culture: accolte, metabolizzate e poi modificate del tutto.
Quindi c’è una sorta di sublime confusione genetica che a me piace. È un
meccanismo che oggi avviene in una città coma New York, proiettato nel futuro,

178
Giovanni Sollima, tratto dall’intervista al compositore su Radio Rai Tre, prima della
prima esecuzione assoluta di Tempeste e Ritratti, in diretta dal Teatro alla Scala, 3
Giugno 2001.
179
Ibidem.

179
mentre a Palermo tutto ciò è avvenuto nel passato, è più memoria, più macerie,
ma allo stesso tempo è un meccanismo anche moderno, che mi stimola180.
Proprio l’idea dell’isola e, contemporaneamente, i personaggi di
Shakespeare, forniscono dunque a Sollima gli spunti stilistici e
tematici che costituiranno l’idea generatrice di tutto il brano:
conciliare gli echi della musica inglese, con quelli della Sicilia.
Tale meccanismo di ibridazione, del resto, è tipico di quasi tutti i
lavori del compositore; egli è alla ricerca di scale e intervalli di ogni
popolo, per poi rielaborarli nelle sue opere: Cerco di approfondire la mia
idea di etnico attraverso la conoscenza delle musiche di altre culture. La scala è
un elemento che mi colpisce sempre molto, è un po’ una sorta di codice genetico di
popoli, di razze, di luoghi, ancor più del canto popolare, che in fondo è una sorta
di elaborazione, quindi si tratta già di una composizione a tutti gli effetti. A me
interessa invece la radice, la parte selvaggia e incontrollata; la scala è in fondo la
molecola della melodia, è tutto ciò che sta alla base. Possiedo ormai un archivio
di materiali abbastanza corposo, ma l’interesse vero è rivolto alle scale da cui i
canti spesso scaturiscono. C’è una sorta di diagramma espressivo, non solo delle
scale ma anche dei parlati, una sorta di speech music che mi suggerisce un
diagramma, una linea melodica. Ho raccolto questo materiale e ho disegnato
una mappa in cui al posto delle città ci sono frammenti di temi popolari ed è
incredibile scoprire come per centinaia di chilometri, attraversando anche zone di
conflitti etnici, gli intervalli di una scala siano gli stessi. Ho scoperto dei paralleli
curiosi, delle scale molto simili tra loro che abbracciavano territori sterminati,
180
Ibidem.

180
attraversando etnie diverse, religioni, guerre. […]Nella terra in cui vivo, la
Sicilia, tutto ciò arriva abbastanza confuso e mescolato, ci sono delle scale
estremamente ibride: è proprio qui che si può veramente trovare un condensato di
culture.
Sollima, per Tempeste e Ritratti, parla di “mediterraneizzazione” del
materiale musicale: certe atmosfere sono frutto di un gioco sul materiale
tematico, che dalla radice inglese si trasforma gradatamente. È come se le linee
melodiche un po’ spigolose si smussassero col tempo fino a diventare
mediterranee181.
L’opera è divisa in tre tempi collegati: Tempeste, Prospero e Miranda.
Sollima definisce il brano introduttivo come un pezzo ritmico, motore
della tempesta182, e effettivamente, dalla partitura è evidente tale
ritmicità, quasi descrittiva del fenomeno atmosferico183:

181
Ibidem.
182
Sono riportate solo le parti degli archi perché gli altri strumenti sono in pausa.
183
Tutti i seguenti esempi musicali sono riportati per gentile concessione di Casa
Musicale Sonzogno di Piero Ostali, partitura n° 6216.

181
182
Già dalle prime battute sono evidenti, da un punto di vista
intervallare, rimandi all’oriente e alla musica siciliana, in particolare
nella parte degli archi184 (battuta 1) - in cui Sollima utilizza la tecnica
del tapping185 - e nel tema affidato ai legni (battuta 19),

in cui si può effettivamente notare il graduale effetto di


“mediterraneizzazione” di cui parla il compositore, poiché,
attraverso l’uso di alterazioni, il tema si avvicina sempre di più a

184
Si vedano le prime misure del primo esempio musicale citato.
185
Corde pizzicate sulla tastiera con la mano sinistra.

183
sonorità arabeggianti; in particolare si veda da battuta 28 in poi, in
cui compaiono un 2° e 6° grado abbassati di un semitono:

184
Questa cellula tematica, variata nella scansione ritmica e, come visto,
negli intervalli, non è l’unica a ripetersi molte volte lungo il
dispiegarsi della composizione. Tali ripetizioni - parti integranti della
cifra stilistica di Sollima - in cui sono evidenti i rimandi alla minimal
music, compaiono più volte in questo primo movimento dell’opera,
si veda ad esempio da battuta 154, in cui tale figurazione affidata ai
violini

[…]

si ripete fino a battuta 177, quando gli stessi violini giungono in


sforzato su due note lunghe, creando un bicordo di seconda minore:

185
Il primo tempo, Tempeste, non presenta una chiusa poiché è
direttamente collegato all’adagio di Prospero, movimento lento, in
netta contrapposizione con il primo, che evoca un personaggio
immaginato dal compositore come statico, fermo, solo in un’isola186.
Mentre legni e ottoni sono in pausa e gli archi eseguono un accordo
vuoto di Do, emerge il canto solista del violoncello, strumento
protagonista della sezione centrale:

186
Giovanni Sollima, tratto dall’intervista al compositore su Radio Rai Tre, cit.,
Giugno 2001.

186
La staticità del movimento ispirato a Prospero, si interrompe
soltanto nella parte finale, quando, così come afferma Sollima, il
personaggio entra in una sorta di tempesta interiore che, paradossalmente,
dovrebbe essere anche più forte di quella ambientale187. A questo scopo,
dopo un lungo crescendo eseguito dall’orchestra, ritorna il tema
iniziale del primo movimento (battuta 162):

187
Ibidem.

187
188
Il terzo movimento, Miranda, è basato sul tema di un’Allemanda
elaborata dal virginalista Giles Farnaby, sul brano originale di
Robert Johnson, compositore inglese della prima metà del Seicento,
celebre per le sue canzoni scritte per il teatro Shakespeariano188.
L’Allemanda è tratta dal Fitzwilliam Virginal Book, una raccolta di
composizioni per virginale che include brani dello stesso Farnaby e
di John Bull, William Byrd, Orlando Gibbons, datati tra il 1562 e il
1612189.

188
Cfr. New Grove Dictionary of Music, cit., ad vocem Shakespeare.
189
Cfr. DEUMM, cit., ad vocem Fitzwilliam Virginal Book.

189
Anche in questo caso evidente è in partitura l’ibridazione di cui
parla Sollima: il materiale tematico inglese viene trasfigurato dalla
scrittura del compositore, che ne “mediterraneizza” gli intervalli. Si
veda, al riguardo, il tema dell’Allemanda, che all’inizio del
movimento, viene eseguito dall’oboe con il 2°, il 6° e il 7° grado
abbassati di un semitono rispetto all’originale:

Il tema di Farnaby viene poi ripreso nei suoi intervalli originali a


battuta 45 dai primi violini,

190
e la variazione, questa volta, non coinvolge il rapporto intervallare
tra le note della melodia, ma si esplica in una differente
armonizzazione: si può osservare in partitura che il brano si
sviluppa attraverso una serie di progressioni ascendenti che non
risolvono mai

191
192
Tale meccanismo, come afferma lo stesso Sollima, è usato per
evocare la metamorfosi del personaggio: Miranda è vittima e artefice di
un gioco, una sorta di centrifuga lenta, in cui il tema principale entra nel gioco
delle armonie. La progressione è usata proprio per evocare la metamorfosi, il
cambiamento di Miranda, che, come Prospero, entra in una sorta di tempesta
interiore190.

***

Curioso è osservare come nelle cronache, in particolare sulla stampa


nazionale, all’indomani della prima assoluta alla Scala, molti
giornalisti si siano soffermati sulla reazione del pubblico, in
particolare nel mettere in luce il divario tra aspettative e reazioni
effettive: in molti articoli, infatti, si è posto l’accento sulla questione
del rapporto - quanto meno di diffidenza - tra pubblico e musica
contemporanea, diffidenza ben presto abbandonata in seguito
all’ascolto del brano. Tra gli altri hanno scritto:

C’è musica contemporanea e musica contemporanea. Quella


comprensibile ai comuni mortali. E quella che richiede tre
teste – possibilmente di quelle fini - per essere capita. Il
pubblico normale di solito tiene duro i primi cinque minuti
– per curiosità o per educazione? – e poi inizia a volgere lo
190
Giovanni Sollima, tratto dall’intervista al compositore su Radio Rai Tre, cit.,
Giugno 2001.

193
sguardo altrove, a sfogliare il programma di sala, insomma, a
ammazzare il tempo. Ed è in genere questa l’immagine che
si ha della musica contemporanea. Ecco perché un titolo
classe 2001 poteva alimentare il canonico quesito: riuscirò a
resistere? Eccome se ha resistito il pubblico a Tempeste e
Ritratti! […]191

Giovanni Sollima – e i critici musicali fanno di tutto per


evidenziarlo – nonostante sia un compositore di formazione
“classica”, piace al pubblico, che è conquistato dal suo minimalismo
di declinazione mediterranea, in cui ritmi ossessivi di derivazione
asiatica e est-europea dell’inizio, cedono il passo a momenti
melodici e cantabili, e poi, ancora a cellule tematiche cinque-
seicentesche che vengono trasfigurate dall’orientalismo.
A tal riguardo anche il M° Riccardo Muti, in un’intervista
televisiva192, pone l’accento sulla scrittura musicale di Sollima, nella
quale convivono tradizione accademica e facilità d’ascolto:

In questi anni noi193 abbiamo commissionato molti lavori a


musicisti contemporanei e ci siamo sempre preoccupati di
rivolgerci a musicisti dai linguaggi diversi. Quindi non siamo
settari né fondamentalisti in un senso o nell’altro.

191
Piera Anna Franino, Incanta la musica nuova di Sollima, «Il Giornale», 5 Giugno 2001.
192
Si tratta della trasmissione televisiva andata in onda su Rete 4, in occasione della
Prima al Teatro alla Scala di Tempeste e Ritratti.
193
Si riferisce alla Filarmonica della Scala.

194
Sollima è oggi un musicista molto apprezzato, non solo in
Italia, ma soprattutto all’estero. È uno straordinario
violoncellista, è uno che conosce molto bene la musica, e lo
si sente appunto dalla scrittura. L’orchestra e i musicisti
l’hanno molto amato, tanto è vero che alla fine hanno
applaudito molto il compositore e anche il pubblico credo
sia stato molto trascinato da questo pezzo, proprio per
questa grande comunicativa che la musica di Sollima ha.
Pezzo di grande fattura e di grande difficoltà, poi non so se
ad alcuni questa comunicazione immediata della sua musica
possa sembrare un difetto o un pregio, certamente è un
pezzo di musica scritto molto bene che noi abbiamo amato
eseguire e che probabilmente eseguiremo anche in qualche
tournée perché è importante far conoscere musicisti italiani
di oggi.

195
E LLIS I SLAND (2002)

Opera in due atti per voci, electric midi, violoncello solo, sax tenore,
percussioni, sintetizzatore, archi e base registrata

Testi:
Libretto originale di Roberto Alajmo con poesie di William Carlos
Williams e Bengin Aksu

Personaggi:
Felicita, voce femminile pop/rock; il Funzionario, tenore; il Medico,
tenore; Alesi, tenore; John Martin, baritono.

Coro: uomini, donne, ragazzi

Edizione: Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali.

Altre versioni:
Beri – trascrizione per orchestra dell’omonima aria del secondo atto
Edizione: Casa Musicale Sonzogno
Beri – trascrizione per voce e pianoforte dell’omonima aria del
secondo atto
Edizione: Casa Musicale Sonzogno

196
Beri – trascrizione per pianoforte dell’omonima aria del secondo
atto
Edizione: Casa Musicale Sonzogno, n°3208

Mi chiamo Sapegno Felicita – trascrizione per voce femminile e


pianoforte dell’omonima aria del primo atto
Edizione: Casa Musicale Sonzogno, n°3209

They changed my name – trascrizione per orchestra sola dell’omonima


aria
Edizione: Casa Musicale Sonzogno

The waves – trascrizione per voce femminile e pianoforte


dell’omonima aria del primo atto
Edizione: Casa Musicale Sonzogno, n°3210

***

Il viaggio e le voci del mondo sono due temi con i quali Giovanni
Sollima si confronta in vario modo nelle sue composizioni: è il caso,
ad esempio, di brani quali Aquilarco, Hell, Viaggio in Italia, I Canti.
Queste partiture costituiscono le tappe di un percorso che culmina
nell’opera Ellis Island, lavoro in cui l’idea del viaggio assume la

197
dimensione epica e corale della diaspora e dell’esodo immenso di
popoli, e dove risuonano le mille diverse voci e lingue di coloro che
approdavano sulle sponde dell’America all’inizio del secolo scorso e
quelle degli immigrati clandestini che ancora oggi sbarcano sui
confini del vecchio continente.
Proprio l’idea di un lavoro sulle lingue e sulla rielaborazione delle
voci, alla ricerca di linee melodiche all’interno di esse, è il nucleo
iniziale di questo progetto, nato nel 1997, quando Sollima
soggiornava a New York e si lasciò affascinare dalla storia di Ellis
Island, l’anticamera per l’America, il transito obbligato per chi
arrivava dall’Europa in cerca di una nuova vita. Da allora Sollima
iniziò a raccogliere materiale fatto di appelli con liste di nomi, di
racconti, di aneddoti, di voci conservate in archivi audio, in
definitiva di schegge di memoria che abbracciavano un lungo arco
di tempo, dalla fine dell’Ottocento fino ai primi trent’anni del
Novecento. Da questo materiale il giornalista Roberto Alajmo, con
la supervisione dello stesso Sollima, ha tratto un libretto multilingue,
assemblando anche un testo di un’emigrata anonima inciso sulle
pareti interne della Statua della Libertà, la poesia del 1913 Sicilian
emigrant’s Song del poeta William Carlos Williams, i versi
dell’immigrata curda Bengin Aksu, la lingua sporca di Tommaso
Bordonaro194 e gli spezzoni delle voci di alcuni emigranti siciliani,

194
Roberto Alaimo, nel libretto dell’opera, cita brani tratti da La Spartenza di
Tommaso Bordonaro, a cura di Santo Lombardo, Torino, Einaudi.

198
conservate in un archivio sonoro californiano, che raccoglie
testimonianze sull’emigrazione.
Come racconta lo stesso Sollima195, il suo scopo, con questo lavoro,
è evocare quei venticinque milioni di emigranti passati per Ellis
Island, attraverso una drammaturgia fatta di “numeri chiusi”,
rinunciando però ad ogni altro rapporto con l’opera lirica
tradizionale, avvicinandosi, pur se nell’assenza totale di una trama,
all’oratorio. La composizione assume quasi i tratti di un finto reportage
musicale, è un grande affresco corale dal quale emergono, senza mai
interagire, le voci e i destini emblematici dei personaggi: Felicita,
Alesi e John Martin, ai quali si sovrappone il canto più duro del
Medico e quello del Funzionario. Essi non raccontano storie
individuali, ma danno voce a milioni di persone; apparenti
protagonisti, hanno in realtà funzione di coro: Felicita Sapegno è tutti i
Sapegno, Spegni e Sapagno passati da Ellis Island196.

***

Nell’immaginario collettivo Ellis Island rappresenta la Porta d’Oro,


l’isola ai confini della Terra Promessa. In questa sottile striscia di

195
Giovanni Sollima in Intorno a Ellis Island: una conversazione con Giovanni Sollima, a
cura di Dario Olivieri, curatore del libretto dell’opera, Edizioni del Teatro Massimo di
Palermo, Ottobre 2002, p. 35.
196
Ibidem, p. 35.

199
terra posta di fronte ai grattacieli di Manhattan, a breve distanza
dalla Statua della Libertà, veniva fondata nel 1892 una stazione della
Federal Bureau of Immigration, destinata a trasformarsi, nel giro di
pochi anni, in un luogo emblematico della storia americana del XX
secolo.
La stazione di Ellis Island è stata, di volta in volta, dogana, centro di
smistamento e casa di prima accoglienza, ospedale, asilo nido,
camera mortuaria, e tanto altro ancora. A volte descritta come soglia
dorata, porta d’accesso alla libertà, approdo delle speranze, altre
come anticipazione, più che del sogno, dell’incubo americano, ossia
quale inizio di una vita fatta di stenti, di abusi e di marginalità.
Ellis Island è stata, di là delle più disparate interpretazioni, un luogo
di burocrazia, di esami fisici e psichici spesso scioccanti, di
interrogatori, di lunghe e snervanti attese. La moltitudine di gente
che transitava per quegli edifici ha lasciato dietro di sé un immenso
patrimonio di testimonianze, immagini, lettere, e graffiti, oggi in
parte raccolti nel museo dislocato nel Main Building a Ellis Island,
che custodisce centinaia di fotografie, circa duemila testimonianze
orali e innumerevoli oggetti d’epoca. Proprio attingendo a questo
repertorio di memorie, anche attraverso la costante consultazione di
internet, Giovanni Sollima, senza vincoli di natura filologica, ha dato
vita al primo nucleo dell’opera. Non voglio raccontare le motivazioni che
hanno spinto questi uomini ad abbandonare la loro terra d’origine, quanto

200
evocare le emozioni ed il sentire degli emigranti nel recidere il cordone ombelicale
con la loro terra d’origine197.
Ellis Island è in definitiva un luogo-limbo in cui si giunge dopo un
viaggio spaventoso e irrevocabile, in cui prevale la dimensione
dell’interrogativo poliziesco e si perde il senso dell’individualità.
La città illuminata, i grattacieli, sono tutti vicinissimi e, allo stesso
tempo, infinitamente lontani. Si vive nella speranza di un sì e nel
terrore di un no, si attende, inermi ed impotenti, un segno del
destino. Appena arrivati sull’isola, infatti, gli immigrati venivano
numerati come bestiame - mediante targhette poste sulle loro vesti -
e poi indirizzati alla Sala di Registrazione, dove affrontavano
ispettori che li interrogavano, e dottori che li esaminavano, cercando
i sintomi di innumerevoli malattie. Tutti questi aspetti ricorrono
ossessivamente nel testo di Alajmo: la malattie, il terrore della
selezione, gli appelli senza fine e, soprattutto, le incessanti domande
del questionario.

***

L’opera Ellis Island prevede cinque solisti, una voce femminile rock-
pop, tre tenori ed un baritono.
La voce femminile, nel primo atto, interpreta il personaggio di
Felicita Sapegno, una giovane immigrata, un viso qualunque fra gli
197
Ibidem, p. 36.

201
altri visi, che racconta del terribile viaggio affrontato, trascorso
tragicamente:

Mi chiamo Sapegno Felicita


Anni ventisei
Un viaggio lungo dieci giorni.
Forse un mese forse due.
Mare, mare sempre mare.
Ho perso mia madre, ho perso mio padre.
Prigioniera io di loro,
prigioniera io…[…]

Confusione, umidità,
tonfi di corpi gettati in mare.
Buio, confusione umidità.
Puzza di corpi, sudore di nave.
Risse, bagagli, fame, muffa,
pane gommoso, panni stesi vomito,
bambini, pianti, odori, urla, sangue. […]198

Di questo brano esiste anche una trascrizione per canto e


pianoforte.
Alla fine del primo atto, questa volta anche in inglese, la stessa
Felicita, descrive il dolore che prova nel recidere il legame con il suo

198
Tratto dal libretto dell’opera, a cura di Dario Olivieri, cit, p. 68.

202
passato, nel rinunciare al suo nome, “come figlia di nessuno. Nuova
donna senza storia… Denied the songs, the smells, the colours, the
earth”199. Nel secondo atto, il personaggio di Felicita smarrisce i
suoi contorni storici e la sua voce si trasforma in quella di
un’Immigrata senza nome, che, con estrema nostalgia, parla della
bellezza della sua terra d’origine, un paradiso ormai perduto per
sempre. Di questo brano, intitolato Beri, vi sono differenti versioni,
una per pianoforte solo, una per orchestra e una per voce femminile
e pianoforte.
Un altro immigrato è Alesi, uno dei tenori, il quale recita per molte
volte lo stesso testo:

Non tossire.
Non starnutire.
Non fissare nel vuoto.
Non tenere gli occhi chiusi.
Non grattarsi.
Non fissare nel vuoto.
Non sorridere.
[…]
Controllare il respiro”200.

199
Negando le canzoni, gli odori, i colori, la terra.
200
Tratto dal libretto dell’opera, a cura di Dario Olivieri, cit., p. 72.

203
Il baritono interpreta John Martin, un personaggio realmente
esistito; immigrato di origine italiana - Giovanni Martino è il suo
vero nome - è stato prima garibaldino, poi immigrato, poi, ancora,
trombettiere nel settimo Cavalleggeri del generale Custer e unico
sopravvissuto alla tragica battaglia di Little Big Horn. Egli parla
delle sue avventure e poi del suo destino di uomo qualunque
coinvolto, suo malgrado, nei disegni della storia:

Ventisei Giugno 1876.


Il generale sceglie me.
Mezzogiorno nel Montana.
Little Big Horn.

Ventisei Giugno settantasei.


Tornare indietro, servono rinforzi.
Mezzogiorno nel Montana.
Little Big Horn.

Bivio della mia vita.


Battaglia persa.
Sopravvissuto.
Cavallo Pazzo.
Da seppellire soltanto corpi.
Niente medaglie o trombe.
[…]

Donne, bambini, cavalli e vacchi.

204
Troppo tardi: tutto finito.
Duecentododici corpi
Senza capelli.
Duecentododici corpi
Rossi d’orgoglio,
rossi di sangue.
[…]

Moglie irlandese, figli italiani,


soldato in pensione, bigliettaio.
Morto a settant’anni: broncopolmonite
Niente frecce, niente bombe.
Niente eroi o medaglie201.

I personaggi del Medico e del Funzionario, entrambi tenori, sono le


incarnazioni senza tempo dell’apparato burocratico di Ellis Island e
scandiscono liberamente e ossessivamente – come in una sorta di
rap, in inglese e poi in italiano – il testo delle ventinove semplici
domande in cui si articolava il questionario per l’accesso al territorio
americano:

Cognome?
Nome?
Età?
Provenienza?

201
Ibidem, p. 77.

205
Destinazione?
Religione?
Stato civile?
Parenti in america?
Quanto denaro possiede?
Come se l’è procurato?
Chi ha pagato la sua traversata?
Qualcuno può farle da garante?
Mestiere?
Ha già un contratto di lavoro in America?
Si impegna a non vivere della pubblica carità?
Anarchico?
Poligamo?
È mai stato in carcere?
Intende rovesciare il governo con la forza?
Intende uccidere il Presidente?202

Come si può evincere dai passi del libretto citati, è evidente che
Alajmo fa un uso della lingua in cui emerge quella che Hebdige203
chiama “densità referenziale”, tipica dei testi verbali delle canzoni
pop: nel breve spazio di una strofa si devono condensare più
significati possibili. In contrapposizione alla “coerenza narrativa”204

202
Ibidem, p. 67.
203
Cfr. Dick Hebdige, La lambretta e il videoclip, EDT, Torino, 1991, cap. 7.2.
204
Ibidem.

206
tradizionale, infatti, il testo del giornalista, con una scrittura scarna
ma incisiva, racchiude sinteticamente storie e emozioni.
Ai cinque solisti si affiancano due cori – uno di adulti e uno di
ragazzi dagli otto ai diciott’anni –, gli attori e l’orchestra.
Quest’ultima è composta da una sorta di concertino “elettrico” - con
due tastiere elettroniche con campionatore digitale, due chitarre
elettriche, un violoncello-midi e un cd-player - in contrapposizione ai
tutti tipici di una normale orchestra sinfonica, costituita da ottavino,
due flauti, due oboi, due clarinetti, sassofono tenore e due fagotti;
due corni, due trombe, due tromboni e bassotuba, un pianoforte,
percussioni e archi.

***

Ellis Island è un lavoro antinarrativo, evocativo e corale, è un’opera


intesa non nella connotazione tipicamente italiana di melodramma,
quanto piuttosto nel senso di opera come lo sono i lavori teatrali di
Steve Reich, di Philip Glass, di Robert Ashley, le azioni Fluxus.
Come lo stesso Sollima afferma, Ellis Island si colloca in una “zona
bianca”, neutra, riceve input dal musical, dall’album di canzoni, dall’oratorio,
dal melodramma, dalla cantata barocca…205.

205
Giovanni Sollima in Intorno a Ellis Island: una conversazione con Giovanni Sollima, cit.,
p. 34.

207
È una composizione che tende a rifiutare le forme della
drammaturgia classica, non ci sono gli ingredienti dell’opera
tradizionale: manca un antefatto, non ci sono colpi di scena, non c’è
climax, nessuna consecutio: la forma di Ellis Island deriva dal
sovrapporsi di storie e voci individuali che non s’incontrano e non
dialogano mai, ma che coralmente evocano e danno voce a milioni
di persone.
Dalle pagine musicali di Sollima si evince un’estrema libertà estetica:
un uso costante della ripetizione, come criterio compositivo
fondamentale, si innesta a volte su di un’intensa vocazione
melodica.
Già dalle prime battute, infatti, sono evidenti gli echi del rigore della
minimal music, quando il pianoforte esegue un modulo ripetitivo -
con una lieve variazione negli accenti e nell’armonia (poiché
procede in progressione discendente) - sul quale si dispiega il canto -
su una sola nota - di un’immigrata206:

206
Tutti i seguenti esempi musicali sono riportati per gentile concessione di Casa
Musicale Sonzogno di Piero Ostali. Il primo esempio è tratto dalla trascrizione del brano
The waves, per canto e pianoforte, n° 3210.

208
209
Segue un duetto tra il Medico e il Funzionario i quali, in una sorta di
declamato ritmico, introducono le “diciannove semplici domande
del questionario”, testo che ricorrerà ossessivamente per tutto il
primo atto:

210
Poi, su una melodia discendente eseguita dagli archi, si ascolta una
voce campionata che declama una serie di nomi, luoghi e date di
nascita di persone passate per Ellis Island.
A questo punto la stessa voce femminile del Prologo intona la
“canzone di sortita” del personaggio principale femminile, Felicita
Sapegno e, a differenza della partitura iniziale che, come visto,
rimanda con evidenza al minimalismo americano, questa pagina è

211
assimilabile in tutto e per tutta a una canzone pop207:
l’accompagnamento è eseguito dalla chitarra elettrica,

la struttura del brano è costituita da un’alternanza tipica di strofe e


ritornello e, del resto, il canto è affidato ad una voce femminile pop
– rock.

207
È lo stesso Sollima ad affermare che tutta l’opera trae spunto da elementi
differenti, tra i quali, appunto, le canzoni pop. Cfr. p. 207, quando dice che Ellis Island
“riceve input” anche dall’album di canzoni.

212
Nell’opera si alternano voci campionate che leggono testi – reportage,
il coro che “racconta semplicemente quel che accade e dà voce al
dolore di un distacco che si vorrebbe differire fino all’ultimo
istante”208, e, ancora, si declamano liste di nomi, alcuni celebri, altri
sconosciuti, passati per il Main Building, il grande edificio di
mattoni rossi che domina ancora oggi il paesaggio di Ellis Island.
A metà del primo atto il coro, accompagnato da figurazioni
ripetitive in crome affidate al pianoforte, esegue un canone a quattro

208
Dario Olivieri, Per una guida all’ascolto di Ellis Island, in Intorno a Ellis Island: una
conversazione con Giovanni Sollima, cit. p. 21.

213
parti basato su una sola nota, in cui si frammenta il racconto di un
uomo marchiato con una “x”, che nel codice di Ellis Island
corrisponde a una diagnosi di malattia mentale. Sono evidenti,
ancora una volta, i rimandi al minimalismo americano:

214
Dal piano documentaristico si passa alternativamente al racconto
biografico, quando in un pezzo dalla vocalità mista, Felicita e Alesi
(uno dei due tenori) cantano in duetto su testi rispettivamente in
inglese e in italiano, o quando John Martin, accompagnato
dall’orchestra, intona un brano il cui stile è assimilabile ad una
romanza tipica del teatro d’opera tradizionale209:

209
L’esempio musicale è tratto dalla versione per canto e pianoforte.

215
In questa sorta di collage, costituito da canzoni pop, pezzi strumentali,
voci registrate, brani operistici, trovano spazio anche due remix in
cui si possono ascoltare le vere voci dei testimoni che sono
realmente passati per Ellis Island: quella di un certo Francisco
Sanfilippo, che nel 1930 incise una canzone d’amore poi raccolta,
frammentata e ricomposta al computer da Sollima, o, ancora, la
voce di un’anziana donna, emigrata a suo tempo in America e
perseguitata per la sua parentela con Galeazzo Ciano.
Come per altri lavori del compositore,210 anche in Ellis Island
Sollima non rinuncia a dedicare una parte solistica al suo strumento
d’elezione, il violoncello. Quest’ultimo ricorre non solo nel
momento compositivo-creativo, ma anche in quello esecutivo: alla
fine del primo atto c’è l’entrata in scena del violoncello-midi che esegue
un assolo lirico con due cadenze improvvisate.
Un altro brano che rappresenta al meglio la cifra stilistica
dell’ibridazione è la canzone che chiude il primo atto, eseguita dalla
protagonista femminile, They changed my name. Pur avendo le
caratteristiche di una canzone pop, sia per quanto riguarda la vocalità
che la struttura del brano, si può notare che, nel trattamento degli
archi – i quali fungono da accompagnamento - vi è un evidente
rimando al minimalismo di Michael Nyman211:

210
Cfr. in Tempeste e Ritratti p. 186.
211
L’esempio musicale è la versione per canto e piano.

216
L’inizio del secondo atto si ricollega simmetricamente al primo con
la ripresa del Prologo, e si assiste a una repentina transizione di tempi
e luoghi: dall’America del primo Novecento, si passa al dramma
contemporaneo dei clandestini che sbarcano sulla nostre coste. Il

217
personaggio femminile diventa quello di un’immigrata senza nome,
che in lingua curda canta le bellezza della propria terra perduta;
l’opera chiude con un episodio che richiama il Questionario del
primo atto, in cui risuonano le ossessive domande che ancora oggi
vengono poste a coloro che intendono accedere negli Stati Uniti.

***

Commissionata dal Teatro Massimo di Palermo, Ellis Island è andata in


scena in prima assoluta nell’Ottobre del 2002 e, sia per l’organico
utilizzato, sia per l’“irruzione” di una stella del pop tra i protagonisti,
ha rappresentato sicuramente un momento inusuale rispetto agli
schemi del teatro d’opera tradizionale. Giovanni Sollima ha infatti
voluto come protagonista, per quell’allestimento, - per adesso
ancora non replicato - la cantante pop Elisa, in quel periodo al
culmine della popolarità, poiché reduce dalla vittoria al Festival di
Sanremo, avvenuta l’anno appena precedente. Ciò ha causato al
compositore velate critiche di opportunismo, poiché si sosteneva
che quella scelta fosse dovuta allo scopo di un miglior lancio
mediatico del suo lavoro. Sollima, piuttosto noncurante rispetto a
questa questione, pone invece l’accento sull’importanza che l’opera

218
ha per lui da un punto di vista morale212. Egli non rinuncia nei suoi
lavori all’impegno e a temi che gli stanno a cuore: punto nodale
dell’opera è infatti, il paragonare la dolorosa esperienza dei nostri
antenati di un secolo fa, a quella degli immigrati di oggi che
sbarcano sulle nostre coste: uomini di razze, religioni, culture ed
epoche diverse che si trovano a vivere le medesime esperienze. Ellis
Island si configura come un ingranaggio emotivo che mira a scuotere
le coscienze, induce alla partecipazione commossa per creare
empatia con le moltitudini dei migranti: dalle Felicite e dai John
Martin, ai curdi e ai cingalesi di oggi. Laddove la cronaca perde la sua
efficacia, è ancora una volta la poesia a intervenire213.

212
Giovanni Sollima in Intorno a Ellis Island: una conversazione con Giovanni Sollima, cit.,
p. 36.
213
Ibidem.

219
S ONGS FROM THE D IVINE C OMEDY (2004)

Opera da camera per voci soliste, voce recitante e ensemble


elettroacustico.

Testi tratti da:


Divina Commedia di Dante Alighieri
Divine Comedy, versione inglese della Divina Commedia di Dante
Alighieri di Henry Waldworth Longfellow
La profezia di Dante di George Gordon Byron, tradotta da Lorenzo
Da Ponte.

Edizione: Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali

***

Songs from the Divine Comedy è un work in progress scritto nel 2004 su
commissione de Il violino e la Selce, il festival diretto da Franco
Battiato e rappresenta il punto d’arrivo di un viaggio nel capolavoro
dantesco che Sollima ha intrapreso quattro anni prima con Hell,
Inferno - commissionatogli nel ’99 dal Festival di Palermo sul Novecento -
alla quale si uniscono le altre due cantiche della Commedia: Purgatorio
e Paradiso.

220
Hell nasce da un progetto sulla poesia, sulla parola, sulla speech music
iniziato in precedenza con Aquilarco214 e portato avanti con I
Canti215. Questi lavori sono basati sulla ricerca delle linee melodiche
all’interno delle lingue e delle voci raccolte da Sollima.
L’idea di mettere in musica il poema dantesco affonda le sue origini
nel periodo di perfezionamento trascorso dal compositore nella
Grande Mela, come egli stesso racconta: Ho incontrato Dante a New
York216, un incontro folgorante per il compositore. Si trovava in
questa città, quando gli veniva commissionata un’opera per
l’edizione ‘99 del Festival di Palermo sul Novecento. Una sera a New York
avevo in programma di recarmi al Jackie ‘60, un locale di Manhattan dove si fa
musica di tutti i generi: è un ex mattatoio, che si sviluppa in profondità, a
differenza dei grattacieli che svettano verso l’alto. Si scende, si scende sempre
verso le viscere della terra, quasi i gironi dell’Inferno dantesco217. Un imbuto
nero in cui, man mano che si scende si è colpiti da musica di ogni
tipo: una sorta di bolgia infernale da terzo millennio, torre di Babele
dove ritmi si mescolano a voci che suonano anche come lamenti,
grida e digrignar di denti. Mi dissi: questo è un girone di fine millennio.

214
Cfr. p. 129 – 137.
215
Cfr. p. 138 – 142.
216
Maria Lombardo, Io Dante e New York, «La Sicilia», 20 Gennaio 2000.
217
Ibidem.

221
Uscito dal locale avevo trovato il titolo della mia nuova composizione: Hell,
Inferno218.
Il compositore voleva comprendere come la Commedia “suonasse”
nella lingua inglese: che tipo di lavoro è stato fatto nelle tradizioni su
ritmo, metro e velocità219.
Dopo un periodo di ricerca, Sollima trovò una traduzione inglese
pubblicata dalla Penguin negli anni Quaranta, la cui lingua oscilla tra
l’inglese letterario arcaico di Shakespeare e quello di Joyce e di Eliot,
con un ritmo secco e contratto, pur nel rispetto maniacale dell’endecasillabo
dantesco220: è la versione di Henry Waldworth Longfellow,
intellettuale che fondò a Boston, nel secondo Ottocento, il Circolo
Dante, proprio per tradurre e divulgare nell’America del tempo la
Divina Commedia.
Da Hell poi deriva il progetto di Songs from the Divine Comedy, una
suite con dei collegamenti che possono formare un unico disegno,
spesso rimaneggiato da Sollima, attraverso limature continue. È un
work in progress che sfrutta tutte le possibilità dell’endecasillabo
dantesco: ho scoperto, facendo questo lavoro sul ritmo, che si potrebbero
sostituire le terzine che ho scelto io con altre, e la musica calzerebbe ugualmente

218
Ibidem.
219
Ibidem.
220
Ibidem.

222
a perfezione221. Ciò dà la possibilità al compositore di prevedere un
canovaccio dalla struttura modulare, facilmente modificabile. Mi
piace l’idea della malleabilità della musica, la sua capacità di contenere testi
intercambiabili, mi piace questo margine di libertà222.
Songs From the Divine Comedy è composto da dodici brani di cui tre
strumentali e nove cantati. In questi ultimi ci sono varie
combinazioni: la versione italiana, quella inglese o entrambe, e tutte
sono affidate agli stessi musicisti della band, per l’esplicita scelta di
Sollima di sfruttare le possibilità espressive di voci non educate.
Proprio perché a cantare sono gli stessi musicisti, viene accentuato
l’effetto di straniamento fra parole e musica, reso già del tutto
singolare dalla scelta di alcune versioni in inglese di Dante. Oltre a
Hell, che comprende sei brani, tre sono tratti dal Purgatorio, tre dal
Paradiso e vi sono passi tratti dalla Profezia di Dante di Byron nella
traduzione di Lorenzo Da Ponte, fatta negli anni in cui il geniale
librettista mozartiano risiedeva a New York e guardava con
nostalgia alla patria. Per Sollima The Prophecy of Dante di Byron
rappresenta l’elemento politico della sua opera, poiché il poeta
inglese dedicò alcuni dei suoi canti ai palermitani, per incitarli a
staccarsi dal Regno di Napoli. Questo è il testo che legge la voce
recitante:

221
Sergio Garbato, La Divina Commedia secondo Sollima, «Il Resto del Carlino», 22
Marzo 2005.
222
Ibidem.

223
Ho presso di me la traduzione in italiano di un italiano in
America, stampata a New York, de La Profezia di Dante: la
singolare circostanza di un inglese che compone un poema con
Dante come personaggio, in Italia e sull’Italia, e di un italiano
che la traduce in America… cosa che in Italia non osano fare:
… “Supponga il lettore che Dante si indirizzi a lui nel tempo
che passò tra il compimento della Divina Commedia e la
morte di lui, e presagisca, poco innanzi quest’ultimo evento, le
vicende dell’Italia nelle età successive. Con tutto questo, io,
lontano da più di quarante anni dalla mia Patria, arrivato al
settantesimo terzo di una vita ognor travagliata e poco felice, e
fatto l’abitante d’America, dove da pochi si parla e si legge la
lingua d’Italia, non ho potuto resistere alla tentazione di
tradurre la vostra Profezia di Dante e qualunque sia questa
traduzione, di pubblicarla”.
Rapporto del regio Commissario di Volterra al Presidente del
Buon Governo di Firenze, 9 Febbraio 1822: “Illustrissimo, alcuni
esemplari della Profezia di Dante, lavoro poetico di Lord
Byron, sono venuti in questa città. L’opera non è sicuramente
scritta nello spirito del nostro Governo, né di alcuno Governo
d’Italia. Mi sembra anzi detta per aumentare le agitazioni dei
popoli abbastanza, forse, agitati. Lord Byron introduce Dante
a vaticinare l’intendenza e la democrazia per l’Italia, come i veri
beni per questo paese. La disseminazione di queste cattive

224
opere è tanto più dannosa quanto mendotti son coloro per le
cui mani van circolando”223.

Nell’opera si ascoltano, dunque, commistioni e ibridazioni, questa


volta non solo stilistico-musicali – come è d’abitudine nelle pagine
di Sollima – ma anche tra lingue, testi e autori citati, che si
avvicendano in un continuo gioco di specchi.
I versi di Dante in lingua inglese assumono un ritmo concitato: la
Commedia è totalmente musicale, è un’avventura incredibile. Soprattutto lavoro
sulle lingue. Non è un’operazione così blasfema come può sembrare. In fondo noi
recitiamo Shakespeare in italiano. Dante in inglese ha tutto un altro approccio,
è atemporale così come lo è La Commedia224. Non c’è nessuna ricerca
filologica, non potevo e non volevo fare musica che richiamasse a livello temporale
l’epoca dantesca. Ritrarre Dante e il suo mondo non credo possa essere l’obiettivo
di un musicista contemporaneo. Il mio è un viaggio emozionale. In alcuni
momenti il ritmo che nasce dalla combinazione di rime e suono è serrato, quasi
vorticoso225.

***

223
Da Songs from the Divine Comedy.
224
Maria Lombardo, L’Inferno che musica! Dante così moderno, «La Sicilia», 30 Dicembre,
1999.
225
Ibidem.

225
Hell, primo nucleo della composizione, è caratterizzato da
un’alternanza di alcuni momenti dalla esasperata furia ritmica e di
altri lenti e statici. I frammenti scelti per Hell sono presi dai Canti
III, XVIII, XXV, e XXXIV dell’Inferno, ossia sono i passi in cui il
Divino Poeta, dopo essersi addentrato nella “selva oscura” ed aver
cominciato con Virgilio la discesa nell’imbuto infernale, descrive
quel che si trova intorno a lui, suoni orridi, lamenti, grida226:

Here sighs and lamentations and loud cries


Were echoing across the starless air,
so that, as soon as I set out, I wept.

Strange utterances, horrible pronouncements,


accents of anger, words of suffering,
and voices shrill and faint, and beatine hands.

All went to make a tumult that will whirl


Forever through that turbid, timeless air,
like sand that eddies when a whirlwind swirls.

And now, across the turbid waves, there passed

226
Si tratta del testo utilizzato nel brano Hell II e posto in esergo sulla partitura dello
stesso brano, p.4. (Per gentile concessione di Casa Musicale Sonzogno). Si tratta della
traduzione di Henry Waldworth Longfellow (1807 – 1882) di parte del Canto III
dell’Inferno (Quivi sospir, pianti e alti guai…) e del Canto XVIII (Le ripe eran grommate
d’una muffa…).

226
a reboantic fracas – horrid sound,
enough to make bothof the shorelines quake.

And exhalations, rising from below,


stuck to the blanks, encrusting them with mold,
and so waged war against both eyes and nose.

And while my eyes searched that abysmal sight,


I saw one with a head so smeared with shit,
one could not see if he were lay or cleric.

L’opera inizia con un cupo assolo di violoncello in Mi minore, il cui


disegno, privato della sensibile (poiché il settimo grado non è
alterato) assume una particolare carattere lamentevole227, dalla vaga
eco orientaleggiante:

227
Tutti i seguenti esempi musicali sono riportati per gentile concessione di Casa
Musicale Sonzogno di Piero Ostali.

227
Al violoncello, protagonista di tutto il primo brano, subentrano, in
Hell II, gli altri strumenti – viola e violino, secondo violoncello,
chitarra elettrica, flauto, tastiere e percussioni – in cui viene evocato
il quadro dell’abisso infernale: si ascoltano esasperazioni sonore228

228
I seguenti esempi sono tratti da Hell II, Casa Musicale Sonzogno, pp. 8 e 9.

228
e interventi vocali che smembrano le parole229,

il tutto accompagnato a una fisicità prorompente, parte integrante


della performance.
Da suoni stridenti, dissonanze, rimbombi, iterazioni date dalla
scansione sillabata dei versi che popolano l’incubo angoscioso di

229
I seguenti esempi sono tratti da Hell II, cit., p. 11 e 12.

229
Hell, i cui canti sono letti in chiave rap, hip hop, creando un’insolita
commistione di elettronica e musica da camera, in Purgatorio e
Paradiso la musica cambia radicalmente: c’è un progressivo dilatare
del tempo e del colore; si passa a sonorità rarefatte, a volte
dolcissime, una volta che, dissolto l’impeto furioso, l’esile suono
della chitarra elettrica, cui si associano gli altri strumenti, crea
un’atmosfera pacata. Ad esempio in Thousand Jubilant Angels, il cui
testo è un frammento del XXXI Canto del Paradiso, dove in
un’atmosfera rarefatta, la chitarra elettrica e le tastiere
accompagnano Sollima che canta di “angeli festanti, ciascun distinto
di fulgore e d’arte”230:

230
Sono musicati i seguenti versi del XXXI Canto del Paradiso, sia nella versione
originale dantesca, che in quella tradotta da Henry Waldworth Longfellow: e a quel
mezzo, con le penne sparte,/vid’io più di mille angeli festanti,/ciascun distinto di fulgore e d’arte;
and at that centre, with their wings expanded,/more than a thousand jubilant Angels saw I,/each
differing in effulgence and in Kind.

230
Questa coda è stata aggiunta in seguito al nucleo originario di Hell:
si tratta della dedica del compositore al padre Eliodoro, scomparso
proprio in quel periodo.
Proprio da questo dualismo deriva un effetto di straniamento,
appunto ottenuto dal repentino passaggio da ritmi duri dal sapore
rock – attraverso atmosfere e psichedeliche e underground – a
momenti lirici e melodici, che richiamano antiche liturgie orientali.
Sollima racconta di aver costruito la partitura lavorando sulla
versione inglese del testo, cercando di individuare un diagramma di
base, suggerito dal suono delle parole: una sorta di linea melodica
primitiva, attraverso un approccio emotivo, non intellettuale e neanche filologico.
Non mi sono posto problemi di carattere storico, ma ho cercato di metabolizzare

231
qualcosa di patologico, … Sono sempre curioso e attento nei confronti dei
deragliamenti stilistici231.
La performance del lavoro è, infatti, arricchita - in un’ottica tutta
sinestetica - da un progetto visivo che funge da coreografia
fortemente antinarrativa: Sollima gestisce le immagini, che scorrono
su uno schermo, “suonandole”. Per questo lavoro ha creato un
software con cui ha campionato immagini e sequenze di fotogrammi
e li ha assegnati ai tasti del piano elettrico attraverso il quale, in
tempo reale, comanda le immagini che vengono rimandate su un
grande schermo, con le stesse dinamiche utilizzate per le note: può
dilatare le figure con il pedale e, con la percussione dei tasti in modo
più o meno forte, creare di volta in volta dissolvenze o sfumature.
Secondo il compositore, la Commedia è un’opera atemporale232,
poiché si stacca da quel tempo lontano per proiettarsi nella nostra
attualità: essa ha una forza, ha una dimensione vitale così vasta da andare ben
oltre l’epoca in cui è stata concepita233.

***

231
Gigi Razete (2005), La mia musica ha seguito il ritmo di Dante, «La Repubblica», 23
Marzo.
232
Ibidem.
233
Ibidem.

232
In Songs from the Divine Comedy è fondamentale l’elemento della
performance, sia per la struttura del brano - un work in progress che ben
si presta all’improvvisazione - che per la figura centrale del
compositore con la sua band234: Sollima è anche l’interprete solista
del lavoro e il vero e proprio regista di tutta la rappresentazione.
Lo spettacolo di Sollima - non un concerto inteso nel senso
tradizionale del termine - è fatto di musica, gesti, voci e mimica.
Luci rosse e lampeggianti per l’Inferno, vasti squarci blu e arancio per
il Purgatorio e cieli azzurri per il Paradiso, immagini, suoni e voci
sovrapposte, proiezioni di membra umane - perfino una pioggia di
nasi - si susseguono sullo schermo, il tutto per creare un’iconografia
che Sollima ha voluto del tutto fuori dagli schemi descrittivi o oleografici.
I Canti diventati Songs, hanno tutt’altro sapore e significato. Sono
pezzi strumentali virtuosistici, accompagnati da testi in inglese in
italiano, recitati da voci ora cupe e distorte, ora infantili, creando un
clima onirico, popolato a volte da incubi, a volte da atmosfere
celestiali e gioiose.

234
Si tratta della Giovanni Sollima’s band.

233
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SOLLIMA G. (2000), Hell. Aquilarco, Teatro Politeama di Palermo, 22
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253
CATALOGO DELLE OPERE

Musica per ensemble

Musica per sonar a più stromenti dialogando fra antica et moderna (1979)
Notturno (1980)
Maithuna (1981)
Orgy (1982)
Tantra (1983)
La forza che urgendo nel verde calamo guida il fiore da Dylan Thomas
(1985)
La luna (1986)
Variazioni su un plastico (1986)
4 opere di Andy Warhol (1987)
6 capricci (1987)
Flowers (1987)
Primo frammento da "Empedocle", testo di Michele Perriera (1989)
Siciliana con variazione (1989)
E gli alberi germinarono, e gli uomini e le donne... (1990)
In Si (1991)
Match Suite (1991)
Segno, in memoria delle vittime della strage di Capaci (1992)
Anno uno, in memoria delle vittime di via D'Amelio (1993)

254
Violoncelles, vibrez!, versione per 6 Violoncelli (1993)
Heimat-terra (1993)
The Songlines (1993)
Angeli nel vulcano (1994)
A gift (1994)
Spasimo (1995)
Sento il canto in curva (1995)
Il Tracciato di Marta (1995)
Voyage (1995)
John Africa (1996)
Studio per Aquilastro (1997)
Chi è (1997)
Lam (1997)
Yafù (1997)
Aquilarco, testi di Christopher Knowles (1997-98)
Lamentatio (1998)
Pasolini fragments (1998)
Lamentatio (1998)
Reperto n. 12, da un frammento di Schubert (1998)
S'ota love dance (1998)
A view from the bottom, testo di Mumia Abu Jamal (1998)
Concerto rotondo (1998)
I Canti (1998)
The meetings of the waters (1999)

255
Millennium Bug (1999)
Intersong I (1999)
Subsongs (1999)
L'interpretazione dei sogni (1999)
Leonardo's ornithoptherus (1999)
Alone (1999)
Hell (2000)
Contrafactus (2000)
Il Tracciato (2000)
Viaggio in Italia, testi di Michelangelo Buonarroti, Giordano Bruno,
Francesco Borromini (2000)
Intersong II (2001)
J. Beuys Song (2001)
Vram, testo di Alessandro Baricco (2002)
Pillole (2002)
Bêri, da Ellis Island (2002)
Terra Aria, da J. Beuys Song (2003)
Terra Danza, da J. Beuys Song (2003)
Cello Tree, da J. Beuys Song (2003)

Lavori per orchestra, soli e orchestra, coro e


orchestra

Concerto grosso (1976)

256
Il concerto per archi (1978)
II concerto per archi (1979)
Raccapriccio (1979)
Le Paradis Submergé (1981)
Due Notturni (1984)
Musivum (1987)
Le notti bianche (1988)
The Columbus Egg (1990)
In si, versione per Jazz Band (1991)
Concerto per violoncello (1992)
Africa (1992)
Agnus Dei, dal Requiem per le vittime della mafia (1993)
Violoncelles, vibrez! (1993)
Sinfonia in luoghi aperti (1994)
MW (1994)
Angeli (1994)
Adagio (1995)
Cartolina (1995)
Aria in rosso (1996)
Lam & Dan (1998)
All the W (1998)
Guitar chemistry (1999)
Alleluja (1999)
Casanova (2000)

257
Canti rocciosi, testi di Dino Buzzati, Dante Alighieri, Ernest
Hemingway e rime popolari in siciliano, italiano e ladino (2001)
Contrafactus (2001)
Tempeste e ritratti (2001)

Lavori per il teatro

Match (1990)
Cordelia & co. (1991)
3 pezzi per " Il sogno spezzato di Rita Atria" (1993)
3 pezzi per "Pippo Fava" (1994)
I Pavoni (1997)

Installazioni

Imagining Prometheus (2003)


Luminaria (2003)

Opere e balletti

Notti di Grazia, melodramma in un atto, libretto di Dario Oliveri


(1991)

258
Mittersill 10, variazioni sul caso Anton Webern, video opera, testo di
Dario Oliveri da Goethe (1996)
Cenerentola Azzurro, testo di Dario Oliveri (1994)
Casanova, coreografia di Karole Armitage (2000)
Matteo Ricci - Li Madou, melologo, testo di Filippo Mignini (2001)
J. Beuys song, coreografia di Carolyn Carlson (2001)
Elllis Island, opera in 2 atti, libretto di Roberto Alajmo (2002)

259
DISCOGRAFIA

AQUILARCO, Polygram Records, (1998)


VIOLONCELLES, VIBREZ!, Agorà, (1998)
JOHN AFRICA in La formula del fiore, Sensible Records, (1999)
SPASIMO, Agorà, (2000)
VIAGGIO IN ITALIA, Agorà, (2000)
TRACING ASTOR in Tracing Astor: Gidon Kremer Plays Astor Piazzolla,
Nonesuch, (2001)
REMINISCENCE e BETWEEN THOSE ROCKS in B for Bang, KML
(2007)
WORKS, Sony BMG (2005)
WE WERE TREES, Sony BMG, (2008)

260
SITOGRAFIA

http://www.giovannisollima.it
http://www.sonzogno.it/index.htm
http://sollima.splinder.com
http://www.jazzitalia.net/articoli/Int_GiovanniSollima.asp
http://en.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Sollima
http://www.ilportoritrovato.net/html/giovannisollima.html
http://www.primissima.it/trade/articolo.html?id-articolo=280
www.mnemes.com
www.philipglass.com
www.atelierdeparis.org
www.robertwilson.com

Da youtube:

Trailer Nightwatch:
http://www.youtube.com/watch?v=RahQdmKFSak&mode=relate
d&search=

Daydream:
http://www.youtube.com/watch?v=ldPf3yqq3-8
http://www.youtube.com/watch?v=I3NkQ00_ZbI

261
FILMOGRAFIA

STANLEY KUBRICK, Day of the Fight, (1951), [Colonna sonora


composta da Sollima nel 2000]
MARCO TULLIO GIORDANA, I cento passi, 2000, [Brani di Sollima
sono utilizzati nella colonna sonora]
MARCO TULLIO GIORDANA, La meglio gioventù, 2003, [Brani di
Sollima sono utilizzati nella colonna sonora]
PETER GREENAWAY, The Tulse Luper Suitcases, 2003, [Brani di
Sollima sono utilizzati nella colonna sonora]
FRANCO BATTIATO, Bitte Keine Reklame, 2004, [Colonna sonora
composta da Sollima]
MAURIZIO ZACCARO, Il bell'Antonio, 2005, [Colonna sonora
composta da Sollima]
LASSE GJERTSEN, Daydream - Sogno ad occhi aperti, 2007, [Video
musicale: Sollima è l’attore del video e l’autore della musica]
PETER GREENAWAY, Nightwatching, 2007, [Brani di Sollima sono
utilizzati nella colonna sonora]
WIM WENDERS, The Palermo Shooting, in produzione, [Sollima è
l’autore della colonna sonora e fa parte del cast degli attori]

262
RINGRAZIAMENTI

Dopo tanti esami, poi ricerche, riflessioni, partiture lette, brani


ascoltati, tasti pigiati (innumerevoli volte quelli del computer…
pochissime quelli del piano), sono giunta – incredula – alla fine di
questo lavoro, che porta con sé anche il termine di un periodo della
mia formazione. Sì, credo di poterlo dire, accantonando per una
volta la scaramanzia che – da napoletana e da pianista – mi
contraddistingue. Prendendo fiato, dunque, in questo momento di
lieve spaesamento - in bilico tra leggerezza e pesantezza, tra allegria
e sospetto - mi dedico ai ringraziamenti di tutte quelle persone che
mi hanno permesso di provare adesso queste sensazioni che non so
descrivere.
In primo luogo il professor Massimiliano Locanto, che mi ha spinto
ad affrontare questo lavoro e che poi mi ha seguito per tutta la
lunga stesura di questa tesi. Molte e molte volte si è trattenuto nel
suo studio parlandomi dell’approccio da seguire, degli strumenti
teorici con cui realizzare il lavoro, poi nel correggere le tante pagine
di questa tesi, tutto ciò ben oltre il suo orario di ricevimento e
sempre con grande attenzione e precisione.
Il professore Gino Frezza, che mi ha concesso di realizzare questa
tesi inusuale, su un argomento che va dalla musica alla

263
comunicazione. Mille ringraziamenti vanno al professor Alfonso
Amendola, che mi ha dato più volte suggerimenti importanti sia per
la correzione del lavoro, sia per la sua discussione, il tutto con
grandissima disponibilità e gentilezza; disponibilità che mi ha
dimostrato più volte, sempre con il sorriso sulle labbra, anche la
professoressa Nadia Riccio.
Come ho già scritto molte volte, questa tesi non si sarebbe potuta
realizzare senza la piena disponibilità di Casa Sonzogno. Ciò significa
ringraziare tutte le persone che lavorano lì, a cominciare da Piero e
Nandi Ostali, i due proprietari e direttori, che per settimane mi
hanno concesso liberamente di muovermi tra i loro archivi, di
masterizzare cd, di prendere tutte le partiture che volevo, di fare
fotocopie. Ma i miei ringraziamenti vanno anche al dottor Giorgio
Vitali, mio tutor d’azienda nel periodo dello stage, che con
disponibilità costante mi ha dato utili suggerimenti, o, ancora, al
Maestro Giacomo Zani, grande direttore d’orchestra, che mi ha
raccontato aneddoti dei più grandi artisti, protagonisti insieme a lui
della vita musicale di qualche anno fa, e anche del signor Guido
Zenini, che mi ha insegnato con pazienza i segreti della macchina
fotocopiatrice…
E poi non posso dimenticare tutte le persone che mi sono state
vicine, che mi hanno supportato non soltanto nel corso della stesura
di questa tesi, ma in tutto il lungo percorso della mia formazione.

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La professoressa Giovanna Ferrara, che per prima ha alimentato la
mia passione per la storia della musica, e ha sempre rappresentato
per me un esempio, sia come studiosa che come persona. La
professoressa Titti Marrone, che ho sempre considerato un punto di
riferimento e una presenza sicura a cui chiedere opinioni e,
soprattutto, consigli.
Un grazie particolare va al Maestro Giuliano Guidone, perché mi ha
sempre sostenuto con la sua presenza dolce, costante e spesso
indulgente, e perché ha letto pazientemente tutta la tesi, e, con lo
sguardo pronto del musicista, ha corretto gli inenarrabili errori di
battitura - più e più volte lampanti - purtroppo invisibili alla mia
vista: è solo grazie a lui se ora, sull’intestazione della tesi, a caratteri
cubitali e in grassetto non si legge più “Università degli SUDI di
Salerno”…
A mamma e papà, dopo più di duecento pagine e di lungaggini -
perfino nei ringraziamenti - non so cosa dire, se non che tutto
quello che ho fatto, che ho imparato e che sono, lo devo soltanto a
voi. Spesso fantasticavo su questo momento, convinta di trovarmi
libera da un peso e soddisfatta del traguardo, pronta a rendervi
orgogliosi con le mie parole, ma mi ritrovo solo commossa, nel
pensare di scrivere un ringraziamento che potesse rendere giustizia
ai vostri sacrifici e al vostro amore, senza trovare alcuna espressione
per farlo. Vi dico, allora, semplicemente grazie di tutto: per il vostro
affetto, per il vostro sostegno e per la vostra cura incondizionata.

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