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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “L’ORIENTALE”

ANNALI
VOLUME
69

NAPOLI 2009
UNI VER S IT À DEGLI ST UDI DI NAP OLI “ L’OR IENT ALE”

ANNALI
Rivista del Dipartimento di Studi Asiatici
e del Dipartimento di Studi e Ricerche su Africa e Paesi Arabi

Piazza S. Domenico Maggiore, 12 – Palazzo Corigliano


80134 NAPOLI
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Direttore: Gianfrancesco Lusini


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Consiglio Direttivo: Silvana De Maio, Gianfrancesco Lusini,
Natalia L. Tornesello, Roberto Tottoli

Segretario di redazione: Patrizia Zotti

Prezzo del presente volume: UE € 90,00; altri Paesi € 110,00

Abbonamento annuale: UE € 90,00; altri Paesi € 110,00

Per ordini e abbonamenti:


DIPARTIMENTO ASIA, AFRICA E MEDITERRANEO
Redazione Annali
Palazzo Corigliano, Piazza S. Domenico Maggiore 12 – 80134 Napoli (Italy)
e-mail: annas@unior.it

ISSN 0393-3180

© Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”


Autorizzazione del Tribunale di Napoli B. 434/63 del 16-1-1964
INDICE

Articoli PAG.

FRANCESCA BELLINO, Studi sull’epica araba: ricerca sul campo e riflessione filologica 1

ture (Casamance, Sénégal) ……………………………………………………


ANDRÉ JULLIARD, Divination par les cauris. Pratiques d’écriture, pratiques de lec-
21
ANNE REGOURD, Divination par lâcher de coquillages (wad‘) à Ṣan ā , Yémen …… 37
FRANCO CREVATIN, Note egittologiche ……………………………………………… 59

tributo della tradizione etiopica ………………………………………………


GIANFRANCESCO LUSINI, Naufragio e conservazione di testi cristiani antichi: il con-
69
ATTOUMAN MAHAMAN BACHIR, A propos de la particule kúmá en Hawsa ………… 85
SERGIO BALDI, Life in Danger? LGBT Movement in Nigeria ……………………… 105

in Helsinki and Rome) …………………………………………………………


NOEMI BORRELLI, Three Unpublished Texts from Drēhem (from Private Collections
117

Fictive and Literal Use ………………………………………………………


RAFFAELE ESPOSITO, Kinship Terms as Forms of Address in Biblical Hebrew:
127

Aramaic ………………………………………………………………………
GIULIA FRANCESCA GRASSI, The Emergence of the Genitive Analytical Construction in 141

JEYAPRIYA RAJARAJAN, Rare Images in the Iconographic Profile of Nāyaka Art …… 157
R.K.K. RAJARAJAN, Animal Motifs in the Iconography of Later Mediaeval Tamilnadu 167

Role of Buddhism and Hinduism in its Transmission ………………………


MATTEO COMPARETI, The Indian Iconography of the Sogdian Divinities and the
175

their Japanese Counterparts ……………………………………………………


PATRIZIA ZOTTI, Some Considerations about the Italian Aspectual Periphrasis and
211

Recensioni
Jérôme Lentin, Antoine Lonnet éd., Mélanges David Cohen. Études sur le langage,

ses amis (Francesca Bellino) …………………………………………………


les langues, les dialectes, les littératures offertes par ses élèves, ses collègues,
231
der Substanzen, Utensilien und Techniken (Francesca Bellino) ………………
Hanne Schönig, Schminken, Düfte und Räucherwerk der Jemenitinnen: Lexikon
232
Petra G. Schmidl, Volkstümliche Astronomie im islamischen Mittelalter. Zur Bestim-
mung der Gebetszeiten und der Qibla bei al-Aṣbaḥī, Ibn Raḥīq und al-Fārisī.

sungen (Francesca Bellino) ……………………………………………………


Band I: Texte und Übersetzungen. Band II: Erläuterungen und Zusammenfas-
233

ca des Dioskurides. Mit Beiträgen von Rainer Degen (Francesca Bellino) ……


Manfred Ullmann, Untersuchungen zur arabischen Überlieferung der Materia Medi-
234

wood and the Arab World (Aldo Nicosia) ……………………………………


Lina Khatib, Filming the Modern Middle East; Politics in the Cinemas of Holly- 236

Barbara Jändl, Altsüdarabische Inschriften auf Metall (Gianfrancesco Lusini) …… 238

lezza dell’Etiopia cristiana (Gianfrancesco Lusini) ……………………………


Giuseppe Barbieri, Gianfranco Fiaccadori a c., Nigra sum sed formosa. Sacro e bel-
240

l’Ouest et en swahili (Gian Claudio Batic) ……………………………………


Sergio Baldi, Dictionnaire des emprunts arabes dans les langues de l’Afrique de
242

(Gian Claudio Batic) ……………………………………………………………


Nina Pawlak ed., Codes and Rituals of Emotions in Asian and African Cultures
244
Sylvain Lévi, La dottrina del sacrificio nei Brāhmaṇa. Con tre saggi di Roberto

(Khrisna Del Toso) ……………………………………………………………


Calasso, Charles Malamoud e Louis Renou, traduzione di Silvia D’Intino
245

Libri ricevuti …………………………………………………………………… 253


FRANCESCA BELLINO

Studi sull’epica araba:


ricerca sul campo e riflessione filologica

Introduzione

Le pubblicazioni apparse negli ultimi anni dedicate all’epica araba confer-


mano una sempre maggiore attenzione per questo genere da parte degli studio-
si.1 Si evidenziano in particolare alcune miscellanee che esaminano problemati-
che storiche relative al ciclo del sultano mamelucco Baybars, la Sīrat al-Malik
al-Ẓāhir Baybars, tra cui ricordiamo il volume Lectures du Roman de Baybars
(Garcin 2003) e i due fascicoli della rivista Arabica dal titolo Sīrat al-Malik al-
Ẓāhir Baybars/ṣ: de l’oral à l’écrit/from performance to script (Zakhariya 2004).
Di diversa impostazione è Studies on Arabic Epics (Canova 2003a), che si
configura come un vero e proprio state of the art per quanto riguarda gli studi
degli ultimi venti anni. Il suo curatore Giovanni Canova ha invitato, infatti, i
più importanti esperti di epica araba e di materiali narrativi, in una certa misu-
ra, affini a contribuire ad una discussione che, quale si delinea oggi, spazia
dalla ricerca sul campo ad indagini di tipo filologico-linguistiche sui testi scrit-
ti.2 Per la qualità e la varietà di contributi che presenta Studies on Arabic Epics
obbliga a fare alcune considerazioni. Da un lato, per quanto riguarda la ricerca
sul campo, appare evidente che, se rimane indiscussa l’importanza che avreb-
bero ulteriori indagini in tale direzione, negli ultimi trent’anni la raccolta di
dati dalla viva voce degli informatori – incontrati nel loro ambiente di vita – è
stata compiuta da un numero troppo ristretto di studiosi, tra cui ricordiamo
Canova (1983; 2005), Reynolds (1995) e Slyomovics (1987) per l’Egitto; Ca-
————
1
Il presente contributo è stato realizzato nell’ambito del progetto di ricerca “La letteratura epica
araba”, diretto dal prof. Giovanni Canova, presso il Dipartimento di Studi e Ricerche su Africa
e Paesi Arabi, Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”. Desidero ringraziare Alessandro
Mengozzi per i suoi commenti e suggerimenti.
2
Nel presentare i diversi contributi lo stesso Canova (2003b: vii) sottolinea che: «the research
has thus taken a variety of directions: from studies of the historical-literary tradition to research
on primitive form of texts; from linguistic and lexical analysis to that on narrative themes and
motifs; from the place of epics in popular literature, to their place in literature tout court».

AION, 69/1-4 (2009), 1-19


2 F. Bellino

nova (1985; 1993) per lo Yemen, e Canova (1997; 2003c) per l’Arabia meri-
dionale. Stante l’odierna situazione ricerche di questo tipo sembrano possibili,
ma forse ancora per poco, considerato che i margini di registrazione di nuove
fonti, a serio rischio di estinzione, sono verosimilmente anche molto limitati.
Dall’altro lato, appare sempre più necessaria una riflessione sui testi per un lo-
ro recupero storico con criteri che rispondano agli attuali orientamenti della fi-
lologia e della critica testuale. È, infatti, ormai appurato che senza le informa-
zioni, le categorie e i paradigmi desunti dall’analisi delle fonti scritte, ed in
particolare di quelle manoscritte, non si può comprendere né delineare appieno
lo sviluppo di un genere che ha avuto una circolazione ugualmente significati-
va tanto in forma orale quanto in forma scritta (con evidenti complicità e inter-
ferenze3 tra le due modalità). In tale prospettiva, e particolarmente in sede di
lavoro con materiali manoscritti, i contributi presenti in Studies on Arabic
Epics fanno ben sperare per il futuro di questa disciplina.
Il presente articolo intende prendere in esame quattro monografie, appar-
se quasi in contemporanea a Studies on Arabic Epics, i cui singoli risultati of-
frono prospettive di ricerca di grande interesse per la comprensione di questo
genere, con riflessioni che vanno ad integrare il quadro teorico delineato nel
volume curato da Canova. I quattro studi in questione – rispettivamente Me-
tamorphosen des Epos. Sīrat al-Muǧāhidīn (Sīrat al-amīra āt al-Himma) zwi-
schen Mündlichkeit und Schriftlichkeit di Claudia Ott (2003), Alexander Magnus
Arabicus. Zeven eeuwen Arabische Alexandertraditie: van Pseudo-Callisthenes
tot ūrī di Faustina Doufikar-Aerts (2003a), La geste du Zīr Sālim d’après un
manuscrit syrien di Margherite Gavillet Matar (2005) e Geschichte und Imagi-
naire. Entstehung, Überlieferung und Bedeutung der Sīrat Baibars in ihrem
sozio-politischen Kontext di Thomas Herzog (2006) – sono ciascuno frutto di
una ricerca di dottorato durata all’incirca un decennio e si concentrano ognuno
su un diverso ciclo epico.
Per inciso, si ricorda che nella tradizione letteraria araba è denominato sīra
(pl. siyar), lett. «modo di agire o vivere», «corso della vita», quindi «biogra-
fia», un ciclo che sviluppa in chiave eroica le vicende riguardanti un illustre ca-
valiere arabo di epoca pre-islamica, una tribù o anche una figura storica di parti-
colare rilievo (Heath 1997). I cicli studiati da F. Doufikar-Aerts, M. Gavillet
————
3
Mutuo qui delle espressioni di Segre (1979: 53-64, in parte riprese in 1998: 47, da cui cito) se-
condo il quale «un testo è infatti una struttura linguistica che realizza un sistema. Quando un
copista si allontana dalla lettera del testo, non è solo per distrazione o errore, ma, più spesso,
per realizzare, volontariamente o inconsciamente, il proprio sistema. La trascrizione viene così
a produrre un diasistema, o sistema di compromesso, con mescolanze di forme, e soprattutto
interferenze». Secondo Segre lo studioso deve quindi, ogni volta, richiamarsi al «movimento
storico in cui ogni opera è inserita», poiché «il nostro sforzo di comprensione (di interpreta-
zione) consiste nel cercare la verità del testo sotto le stratificazioni; in altre parole nel ripercor-
rere all’indietro la storia del testo, muovendo per quanto possibile verso la sua origine» (Segre
1998: 52). Interessanti riflessioni su scrittura e oralità, diasistemi e archetipi e sulle modalità di
edizioni di testi della letteratura aramaica e siriaca si possono trovare in Mengozzi (2009: 59-79).
Studi sull’epica araba 3

Matar, C. Ott, T. Herzog sono molto diversi tra loro. Alcuni si distinguono per
essere lunghe narrazioni in prosa, con parti in prosa rimata e ritmata e solo
brevi interpolazioni in versi, laddove altri, come ad es. la Sīrat Banī Hilāl (Re-
ynolds 2006b), consiste quasi interamente di poesia. Essi si distinguono anche
dal punto di vista del contenuto e del periodo storico in cui sono ambientati,
anche se tutti hanno in comune il fatto di essere ‘biografie’ di personaggi eroi-
ci. Si va dal periodo pre-islamico, come ad es. per la Sīrat ʻAntar il cui prota-
gonista è il famoso poeta ed eroe ʻAntar b. Šaddād (Kruk 2006), al periodo me-
dievale, come ad es. per la Sīrat al-Malik al-Ẓāhir Baybars o la Sīrat al-
Muǧāhidīn, o ancora a cicli che hanno come argomento principale la storia per-
siana, come ad es. la Sīrat Fīrūz-šāh, o la Sīrat al-Iskandar che ha protagonista
Alessandro Magno, infine a cicli come la Sīrat Sayf Ibn ī Yazan, che ha eroe
protagonista il re yemenita Sayf Ibn Ḏī Yazan vissuto nel VI sec. (Heath 2006).

Breve profilo dei più recenti studi sull’epica araba: F. Doufikar-Aerts, M.


Gavillet Matar, C. Ott, T. Herzog

Il doppio volume di Gavillet Matar (2005) è dedicato ad uno dei più anti-
chi cicli dell’epica araba che narra le vicende dell’eroe beduino Zīr Sālim e la
guerra di Basūs tra le tribù dei Bakr e dei Taġlib. Questo studio presenta
l’edizione e la traduzione di quattro quaderni conservati presso la Staatsbiblio-
thek di Berlino (Ms Berlin, Staatsbibliothek, nr. 9189, We. 822-826) – acqui-
stati dal console prussiano Johann Gottfried Wetzstein nel corso del suo sog-
giorno a Damasco (1849-61)4 – che contengono, come vedremo, una particolare
versione della Sīrat Zīr Sālim. Nella prima parte del primo volume è ricostrui-
ta l’intera tradizione manoscritta della sīra (Gavillet Matar 2005: I, 21-139),
mentre nella seconda parte è presentata l’edizione del solo manoscritto di Ber-
lino (ibid.: I, 139-317). Nel delineare le vicissitudini della tradizione mano-
scritta relativa a questo ciclo, Gavillet Matar presenta dapprima le fonti più an-
tiche dell’opera, ricostruendo poi la formazione di diverse tradizioni e
recensioni (ibid.: cap. 1). Oggetto di particolare attenzione sono i manoscritti
che l’Autrice definisce della «tradition des conteurs» (ibid.: cap. 2): si tratta di
————
4
Per quanto riguarda i manoscritti di argomento epico, J.G. Wetzstein, nel corso del suo sog-
giorno a Damasco, acquistò un gran numero di opere che sono ora preservate nella Staatsbi-
bliothek di Berlino (Huhn 1989; 2006). Nel caso dei manoscritti di argomento epico, attraver-
so lo studio delle note di possesso e di altre informazioni presenti sui manoscritti, si è evinto
che buona parte di essi appartenevano a narratori professionali operanti in Siria ed anche in Iraq.
È importante sottolineare che solo una parte dei manoscritti del fondo Wetzstein che la Gavil-
let Matar definisce appartenenti alla «tradition des conteurs» è di argomento epico, poiché vi
sono un altrettanto significativo numero di manoscritti, con analoghe caratteristiche di lingua e
stile, che contengono narrazioni della cosiddetta letteratura ‘popolare’ del periodo post-
classico, ovvero maġāzī leggendarie, leggende islamiche, qiṣaṣ e ḥikāyāt di vari generi. Dei
manoscritti conservati a Berlino quelli appartenenti al ciclo della Sīrat Banū Hilāl sono stati
studiati da Ayoub (1978; 1984) e Ayoub, Roth (1984).
4 F. Bellino

testi usati dai «contastorie» (ḥakawātī) nel corso delle loro performance di cui
quelli acquistati da Wetzstein rappresentano senza dubbio pregevoli testimoni.
Data l’importanza di questa tipologia, Gavillet Matar si sofferma sulle partico-
larità ortografiche e linguistiche dei testi editi, approfondendo la questione del
rapporto tra prosa e poesia nella versione studiata (ibid.: cap. 3). Nel secondo
volume l’Autrice presenta la traduzione integrale del manoscritto (ibid.: II, 29-
428), con annesso glossario e indice dei nomi dei personaggi, animali, popoli,
tribù, luoghi reali o immaginari citati nell’opera.
La ricerca dottorale di Doufikar-Aerts (2003a) è interamente dedicata alla
figura di Alessandro Magno e alla narrazione delle sue avventure ai confini
del mondo. Personaggio in qualche modo lontano dalla tradizione epica tout-
court, questa figura ha comunque goduto di straordinaria fortuna nella lettera-
tura araba, ma non solo. Alla luce di una vasta diffusione di storie riguardanti
Alessandro, l’Autrice ha delineato nel primo capitolo l’evoluzione dell’intera
tradizione, esaminando da una parte il rapporto tra le versioni della storia di
Alessandro in siriaco, persiano e arabo, e ricostruendo dall’altra la storia della
trasmissione dell’opera nel solo ambito arabo, con lo scopo di mettere per la
prima volta insieme i tasselli di quanto ci è pervenuto. Nella prima parte di
Alexander Magnus Arabicus sono presi in esame i quattro ‘rami’ della tradi-
zione araba, distinti secondo le loro fonti e motivi predominanti: il primo è
quello definito della ‘tradizione araba di Pseudo-Callistene’, basato sulla re-
censione siriaca del Romanzo di Alessandro (ibid.: 9-81); il secondo della ‘tra-
dizione di Alessandro come protagonista nella letteratura sapienziale’ (ibid.: 82-
117); il terzo della ‘tradizione di Ḏū al-Qarnayn’ (ibid.: 118-173);5 il quarto
della ‘tradizione della Sīrat al-Iskandar’ (ibid.: 174-206; più brevemente an-
che in Doufikar-Aerts 2003b). Ciascun ramo rappresenterebbe in sostanza un
diverso sviluppo letterario delle vicende riguardanti Alessandro e in tale ottica
viene studiato. Nella seconda parte del volume, collocando con una certa ori-
ginalità la Sīrat al-Iskandar nella tradizione della sīra (ibid.: 207) Doufikar-
Aerts ne analizza contenuto, struttura e stile con lo scopo di mostrare le pecu-
liarità che caratterizzano questa sīra rispetto ad altri cicli. Particolarmente pro-
ficuo è in tal senso il confronto con la Sīrat Sayf ibn ī Yazan. Nella parte fi-
nale del volume (ibid.: 207-251), Doufikar-Aerts mette a confronto i contenuti
narrativi dei manoscritti di Istanbul (Ms Istanbul, Aya Sofia, nr. 3003-3004)
con quelli di una ikāyat Iskandar Zulkarnain in malese (ibid.: 256-320), per
mostrare le affinità tra questi diversi tipi di «racconto» o «storia» (in ar. sīra,
qiṣṣa, ḥikāya). Come vedremo più avanti, la questione è decisamente impor-
tante per lo studio dello sviluppo di forme narrative in prosa della letteratura

————
5
Con tale espressione l’Autrice designa «a series of motifs occurring frequently in Arabic ac-
counts on Alexander which portray the hero as a pious monotheist and a missionary king».
Studi sull’epica araba 5

arabo-islamica nel periodo post-classico, con particolare attenzione per narra-


zioni lunghe che tendono ad uno sviluppo ‘romanzesco’.6
Ott (2003a) ha dedicato la propria ricerca di dottorato ad uno dei cicli più
tardi, la Sīrat al-Muǧāhidīn (conosciuta anche come Sīrat āt al-Himma wa-l-
Baṭṭāl o Sīrat al-amīra āt al-Himma), composta intorno all’XI sec. Dopo
un’introduzione sull’«epica popolare» (in ar. sīra šaʻbiyya), Claudia Ott discu-
te contenuti e storia della Sīrat al-Muǧāhidīn, la vita dell’eroina Ḏāt al-Himma e
di al-Baṭṭāl sullo sfondo delle guerre contro i Bizantini e le gesta dei «combat-
tenti» (muǧāhidūn) alla frontiera di Bisanzio nel periodo islamico (ibid.: cap. 1).
L’Autrice ricostruisce la tradizione manoscritta relativa a tale ciclo a partire
dai testimoni che si sono conservati (ibid.: cap. 2), delineando genesi e svilup-
po della tradizione (ibid.: cap. 3), sullo sfondo di questioni che riguardano an-
che il rapporto tra oralità e scrittura (ibid.: cap. 4). L’importanza di tale tema-
tica è testimoniata dal capitolo che presenta la performance di uno degli ultimi
contastorie che narravano questa sīra, Sī Milūd bin ʻAbd an-Nabī Laʻaṣīṣ
(1936-2000), noto come Si Mloud, raccolta dall’Autrice insieme a Remke
Kruk vicino alla moschea Kutubiyya a Marrakech in Marocco (Kruk, Ott
1999).
Accanto ai tre volumi presentati va, infine, menzionato l’imponente lavo-
ro dottorale di Herzog (2006) dedicato alla Sīrat Baybars, ciclo che si concen-
tra sulla figura del sultano mamelucco Baybars rileggendo in chiave eroico-
leggendaria le vicende della sua vita. Il volume è suddiviso in cinque parti (ibid.:
A-E), che vertono rispettivamente intorno alla genesi e alle parentele della Sī-
rat Baybars con altri cicli epici (ibid.: A, 31-52), ad una rilettura di questa sīra
in chiave simbolica (ibid.: B, 53-166), alla questione dell’‘immaginario’ quale
riflesso nelle fonti, nei protagonisti, nei luoghi, nella società descritta nella sīra
(ibid.: C, 167-392), all’origine, allo sviluppo e alla funzione svolta dalla Sīrat
Baybars nel contesto socio-politico in cui è venuta alla luce ossia l’epoca ma-
melucca (ibid.: D, 393-424). Un’ultima parte, intitolata ‘materiali’ (ibid.: E,
477-905), è infine dedicata all’analisi testuale della tradizione manoscritta del-
la Sīrat Baybars. Herzog presenta una corposa (anche in termini quantitativi)
‘sinossi’, con relative tabelle di concordanze, di tutti gli episodi presenti nei
manoscritti studiati. L’originalità e l’unicità di questo lavoro, di grande respiro
anche dal punto di vista letterario, consiste nell’aver riservato larga parte della
discussione metodologica a questioni ampiamente dibattute dalla storiografia
più recente (ed in particolare dalla corrente del cosiddetto new historicism),
quali la ‘storia della mentalità’ nel periodo mamelucco nel corso del quale è
stata scritta l’opera, il rapporto tra storia e ‘immaginario’ nei contenuti narra-
tivi della sīra, infine la sīra come ‘discorso’ (nel senso inteso da Michel Fou-
cault) e forma di ‘memoria collettiva’. Tutto ciò chiaramente contribuisce con
nuove prospettive a vedere nell’epica un genere nel quale sono andati stratifi-
————
6
Sull’argomento vedi anche Reynolds (2006).
6 F. Bellino

candosi nel corso del tempo materiali narrativi (ma anche storici, ideologici)
di diverso tipo. Va detto in ogni caso che, a differenza degli altri cicli, è pro-
prio l’esistenza storica del personaggio Baybars e delle vicende che fanno da
sfondo alla sua biografia, già narrate nelle più importanti opere di storiografia
mamelucca, a permettere ad Herzog di poter effettuare più facili raffronti tra le
due dimensioni della ‘storia’ e dell’‘immaginario’.

Questioni di filologia: tradizioni manoscritte, archetipi narrativi e processi di


‘sīra-fication’

Nonostante, come si è visto, il contenuto narrativo dei cicli presi in esame


sia molto diverso, gli studi di Ott, Doufikar-Aerts, Gavillet-Matar ed Herzog
toccano una serie di questioni che mi pare sia utile discutere per una riflessio-
ne più generale nell’ambito dello studio della letteratura araba del periodo
post-classico.7
Preliminarmente tutti e quattro gli studi hanno collocato la sīra presa in
esame nel genere dell’epica araba evidenziando peculiarità e differenze di cia-
scuna. In linea con Heath (1997) da tutti è stata usata la definizione di «epica
popolare» (in ar. sīra šaʻbiyya).8 Tale impostazione è a sua volta affine a quel-
la di Reynolds (2006a) che nel volume Arabic Literature in the Post-Classical
Period (Allen, Richards 2006) colloca l’epica nel quadro della «prosa popola-
re» (o anche «letteratura popolare», in ar. adab ʻāmmī, per differenziarla dalla
prosa d’adab classica). Come vedremo nelle prossime pagine, la questione, al
di là delle definizioni, ha una certa significatività sul piano della comprensione
dei fenomeni letterari e, nello specifico, della diffusione e trasmissione delle
opere letterarie nel periodo post-classico.
La seconda questione tocca argomenti di natura più strettamente filologi-
ca. I quattro studiosi Ott, Doufikar-Aerts, Gavillet-Matar ed Herzog si sono in-
fatti proposti di delineare per ciascun ciclo studiato lo sviluppo storico della
sīra. Questa operazione, tutt’altro che agevole e di per sé problematica, ha
————
7
Tralascio questioni relative alla definizione di ‘post-classico’, riferendomi qui alla produzione
letteraria in lingua araba (spesso ‘media’) nel periodo tra il XII e il XVIII sec. in diverse aree
del mondo arabo. Un profilo (pur problematico e non sempre condivisibile) dell’insieme dei
vari generi, opere e autori relativi a tale periodo è stato delineato nel volume sulla letteratura
del periodo post-classico della serie The Cambridge History of Arabic Literature curato da Al-
len e Richards (2006). L’opera dedica particolare attenzione ai diversi cicli epici, nonché ad
alcune questioni riguardanti le narrazioni in prosa qui trattate. Si vedano soprattutto i contribu-
ti di Reynolds (2006a; 2006b), Kruk (2006), Heath (2006).
8
Non approfondisco la complessa questione del termine che in arabo definisce l’epica (su cui
vedi Heath 1997; Reynolds 2006a). Può in ogni caso essere significativo notare che Ott
(2003a: 6-11) dedichi un capitolo introduttivo all’argomento, arrivando a definire le caratteri-
stiche secondo le quali l’epica sarebbe un genere letterario ‘indipendente’ (nel senso moderno
degli studi letterari) all’interno della stessa letteratura araba. Sulle definizioni riguardanti l’epica
tanto nella stessa tradizione araba quanto in quella occidentale, si veda Canova (1977; 2003b).
Studi sull’epica araba 7

portato tutti a confrontarsi più o meno apertamente con una serie di questioni
metodologiche che riguardano la ricostruzione del testo «muovendo per quan-
to possibile verso la sua origine» (Segre 1998: 47). Si tratta di una prospettiva
di ricerca che ha implicato lo studio storico della tradizione testuale della sīra,
l’analisi delle particolarità dei singoli testimoni preservati e delle varianti tra
versioni (di lingua, stile, forma), ma altresì una riflessione sull’uso dei testi da
parte di copisti e/o narratori – con eventuali o evidenti loro interferenze nel te-
sto – e sui diversi ambienti (urbano, rurale, colto, popolare) in cui essi sono
circolati. Tutto ciò non ha, d’altra parte, impedito di considerare l’individualità
e l’importanza dei singoli testimoni.9 Al contrario, per alcune tradizioni, spe-
cialmente quelle più popolari e poetiche, ogni versione risulta in certa misura
‘originale’ e ‘unica’ come vedremo.
Distinguendo quindi tra storia dell’opera in quanto tale e storia della tra-
smissione e diffusione dell’opera, Ott, Doufikar-Aerts, Gavillet-Matar ed Her-
zog hanno toccato argomenti centrali per l’epica in una prospettiva attenta tan-
to a problematiche strettamente filologico-letterarie, quanto a quelle di tipo
storico-sociologico, senza per questo trascurare aspetti del rapporto tra oralità
e testualità o dell’oralità tout court. A tutte queste questioni, che peraltro risul-
tano di grande importanza anche per altri generi della letteratura araba post-
classica, le risposte date sono state diverse, per la specificità del materiale nar-
rativo di ciascuna sīra e per le diverse impostazioni metodologiche adottate da
ciascuno studioso.
In linea generale, la ricerca di una tradizione completa è il primo compito
che si deve porre chi deve affrontare l’edizione di un testo. Il classico eserci-
zio di recensione e collazione per restituire un testo il più possibile vicino
all’archetipo testuale o narrativo, oltre che essere fondamentale al fine di un
corretto recupero del testo, è indispensabile anche in vista di una ricostruzione
storica della diffusione dell’opera. Per quanto riguarda i diversi cicli epici qui
presi in esame è interessante notare che nel solo caso di Gavillet Matar questo
esercizio ha portato all’edizione di un manoscritto (2005: I), un testimone tra
l’altro rappresentativo di una peculiare tradizione narrativa quale quella dei
narratori siriani. Tuttavia, pur senza edizione, questo stesso lavoro di collazio-
ne e recensione è stato fatto in fase di studio preliminare anche da Ott (2003a),
Doufikar-Aerts (2003a) e Herzog (2006). Per es. ben due capitoli sono dedica-
ti da Doufikar-Aerts all’argomento e, proprio grazie a tale lavoro di collazione,
la studiosa arriva a delineare lo «Stemma Pseudo-Callistene Alexandertraditie»
(Doufikar-Aerts.: 81) e lo «Stemma Arabische Alexandertraditie» (ibid.: 173).
Il confronto con trasmissioni estremamente ‘fluide’, dove nel corso del
tempo sono intervenuti e hanno interagito diversi fattori, non riduce l’impor-

————
9
Anche se nessuno studioso ne fa riferimento diretto mi pare opportuno richiamare qui la lezio-
ne di Pasquali (1988), insieme ad alcune osservazioni riprese da Mengozzi (2009) riguardanti
l’edizione dei testi in tradizioni letterarie molto simili a quelle qui delineate, per l’epica araba.
8 F. Bellino

tanza dell’analisi dei testimoni preservati e del confronto tra tutte le varie ver-
sioni esistenti. Questo lavoro risulta al contrario indispensabile nel momento
in cui lo studioso si propone di comprendere le modalità di produzione e tra-
smissione dei testi in diverse aree geografiche o ambienti culturali e determi-
nare così la formazione di diverse recensioni o versioni della sīra. Ciò detto,
tutte le tradizioni manoscritte della Sīrat Zīr Sālim, Sīrat al-Iskandar, Sīrat āt
al-Himma wa al-Baṭṭāl e Sīrat Baybars risultano essere state ‘perturbate’ nel
corso dei secoli e per opera degli stessi copisti/narratori da tante e tali conta-
minazioni che è chiaramente impossibile risalire ad un ‘originale’ (qualora ne
sia mai esistito uno). Quasi tutte le recensioni sono ‘aperte’ (Pasquali 1988) ed
è pressoché impossibile ricostruire esattamente il percorso che va
dall’archetipo ai singoli testimoni conservati. Per questa ragione è indispensa-
bile affiancare al lavoro sul materiale conservato e che ci è pervenuto anche lo
studio delle fonti secondarie. Esso risulta indispensabile per stabilire eventuali
archetipi narrativi che possono aver portato alla formulazione (di parti o del
nucleo stesso) della sīra.
Lo studio delle fonti secondarie e il loro rapporto con l’origine della tra-
dizione è senz’altro importante, pur trattandosi di un piano congetturale sul
quale è bene muoversi con le dovute cautele, anche per la mancanza di docu-
mentazione relativa alle fasi più antiche. Infatti, per alcuni cicli, quali ad es.
quello di Zīr Sālim, non c’è menzione della loro esistenza nei repertori biblio-
grafici arabi più antichi (ad es. Fihrist di Ibn al-Nadīm); di altri le più antiche
testimonianze a nostra disposizione sono rappresentate da fonti secondarie,
perfino coeve ai manoscritti che si sono preservati, come ad es. il ciclo del sul-
tano mamelucco Baybars. In altri casi ancora, come per Alessandro Magno, i
testi su cui si sono conservati materiali poi confluiti nella sīra sono assai di-
versi tra loro, per genere, datazione, provenienza.
Tra tutti il caso della Sīrat Zīr Sālim è ancora degno di nota e in tale ottica
è comprensibile che Gavillet Matar dedichi una parte di tutto rilievo alla di-
scussione di quelle che definisce le cosiddette ‘fonti antiche’. Secondo
l’Autrice, le gesta dell’eroe Zīr Sālim traggono, infatti, ispirazione dalle narra-
zioni delle guerre di Basūs e dei conflitti tribali di epoca pre-islamica tra Bakr
e Taġlib. Riallacciandosi a tesi già sostenute da Oliverius (1965; 1971), queste
narrazioni rappresenterebbero l’apice di uno sviluppo letterario che vede nei
testi più tardi del genere degli Ayyām al-ʻArab – quali ad es. lo Šarḥ al-
amāsa di al-Tibrīzī e il Kitāb al-Kāmil di Ibn al-Aṯīr – una tendenza a svi-
luppare narrazioni più concise già presenti negli stessi Ayyām al-ʻArab. Se-
condo, Gavillet Matar altri due testi avrebbero giocato un importante ruolo di
‘intermediari’ nello sviluppo tra i racconti degli autori arabi e i lunghi cicli a-
nonimi romanzati della sīra: da una parte la amharat al-ʻArab e le narrazioni
(conservate in manoscritti) che descrivono le guerre tra Yemeniti e Arabi del
Nord, dall’altra il Kitāb Bakr wa-Taġlib, opera che tratta dettagliatamente la
guerra di Basūs. Per l’appunto a partire dall’intreccio tra tutte queste narrazio-
Studi sull’epica araba 9

ni si sarebbero in seguito sviluppate forme narrative più lunghe, nelle quali il


personaggio di Zīr Sālim sarebbe arrivato a rivestire il ruolo di primo piano
che ha nella Sīrat Zīr Sālim.
Da questo lavoro sulle fonti appare evidente una ulteriore questione, vale
a dire che la ricostruzione della storia dell’opera si basa soprattutto sui suoi
contenuti narrativi: le cosiddette fonti antiche rappresentano dei veri e propri
‘archetipi’ che hanno ispirato la successiva composizione della sīra quale oggi
la si conosce. Il confronto con le fonti secondarie non diminuisce pertanto
l’importanza delle singole operazioni di recensione, collazione ed esame dei
vari testimoni manoscritti tramandati portatori dell’opera. Anzi sono proprio
tali operazioni che permettono allo studioso di valutare attentamente lo svi-
luppo storico dell’intera tradizione manoscritta (e poi anche a stampa, chiara-
mente), stabilire poi i rapporti tra testimoni conservati e le vicendevoli in-
fluenze tra tradizione scritta, orale e di memoria, nonché la formazione nel
corso dei secoli di diverse recensioni dell’opera o di peculiari tradizioni o sin-
gole versioni.
Entrando nel merito della questione, secondo Gavillet Matar, essendo le
diverse recensioni (‘yemenita’, ‘poetica egiziana’, ‘siriana’) della Sīrat Zīr Sā-
lim indipendenti le une dalle altre, esse sarebbero state frutto di differenzia-
zioni oltre che sul piano della diffusione geografica (ad es. Yemen, Egitto, Si-
ria, Iraq), anche su quello di una diversa modalità di trasmissione di contenuti
e di una diversa formulazione degli stessi. Per tale ragione, stabilite le recen-
sioni, Gavillet Matar delinea al loro interno delle tradizioni, vale a dire «ver-
sioni manoscritte della sīra che presentano una forte convergenza nella loro
formulazione» (Gavillet Matar 2005: I, 24). Varianti di stile, lingua, formula-
zione, nonché diverso rapporto tra parti in prosa e parti in versi, sarebbero ar-
rivate a caratterizzare ciascuna versione. Significativo è il caso della recensio-
ne siriana all’interno della quale Gavillet Matar indentifica una tradizione
‘poetica’, una ‘mista’ e una ‘dei narratori’, quest’ultima oggetto principale
della tesi. I «manoscritti dei narratori » (in ar. maḫṭūṭāt ḥakawātiyya) veniva-
no generalmente letti da «narratori» (ḥakawātī) semi-professionali nel corso
delle loro performance/letture in luoghi pubblici (spesso caffè o anche piazze,
mercati) per intrattenere il pubblico. Questi manoscritti si presentano oggi nel
formato di ‘libretti’,10 nei quali la sīra è suddivisa in «parti» (ǧuzʻ) funzionali
ad una lettura/recitazione del testo continuativa. Tali manoscritti si caratteriz-
zano anche dal punto di vista linguistico: la loro lingua è il «medio arabo»,
una tipologia linguistica studiata tra gli altri da Lentin (2002; 2006), nella qua-

————
10
Si tratta di manoscritti di piccole dimensioni o di un formato comunque ‘maneggiabile’, che
non superano mai i sessanta-cento fogli a volume. Si tratta di testi facili da tenere in mano o
davanti a sé nel corso di una performance.
10 F. Bellino

le si evidenziano un certo numero di tratti morfo-sintattici dell’arabo classico


‘mescolati’ ad altri del dialetto.11
Tenendo dunque conto dell’origine, dello stile, della lingua e, in alcuni
casi, anche delle ‘tendenze politiche’ espresse in ciascuna recensione o versio-
ne della sīra, nonché della formulazione e della trama delle diverse versioni,
Gavillet Matar arriva a rappresentare lo sviluppo dell’intera tradizione in uno
schema (non stemma) che delinea i rapporti tra singoli testimoni e lo sviluppo
della sīra sul piano della diacronia e su quello, più difficilmente schematizza-
bile, dei diversi ambienti in cui la sīra è circolata.
L’ultimo tassello di questo lavoro di recensione e collazione è la scelta
della versione da editare. Nel caso di Gavillet Matar tale scelta non si è orien-
tata né verso il bon manuscrit (o codex optimus) né tanto meno su quello più
antico o più vicino all’archetipo, ma piuttosto sul testimone conservato che
rappresenta la tradizione narrativa (in questo caso sì) migliore da mettere a di-
sposizione degli studiosi, ultima in termini cronologici di un lungo e comples-
so percorso letterari. Va detto che l’edizione di Gavillet Matar è di particolare
importanza perché, insieme a quella che è stata intrapresa da Bohas e Zakhari-
ya (2000-2006: I-VI) per la Sīrat al-Malik al-Ẓāhir Baybars,12 rappresenta uno
dei primi tentativi di edizione di testi di argomento epico.
Passando ad altri cicli, il materiale presentato da Doufikar-Aerts su Ales-
sandro costituisce un esempio altrettanto significativo per una riflessione sulla
storia del testo e delle sue vicende. Esso si dimostra, inoltre, più sostanzioso e
ricco di quanto precedenti studi prevedevano. Nel caso specifico l’esercizio di
ricostruzione dell’opera e della sua diffusione ha portato a muoversi su un
piano multi-lingue e multi-areale. La tesi di Doufikar-Aerts parte, di fatto, dal-
la rivalutazione di un’ipotesi piuttosto accreditata presso gli studiosi occiden-
tali secondo la quale la versione siriaca del Romanzo di Alessandro, che risali-
rebbe presumibilmente al VII secolo d.C., dipenda da una perduta traduzione
persiana (pahlavi) dell’originale greco. Secondo tale tesi, il testo arabo derive-
rebbe a sua volta dal persiano, la cui traduzione è considerata di straordinaria
importanza poiché proprio da essa si riteneva avessero origine i successivi ri-
facimenti in copto, indiano, malese ed etiopico. Fino a che Gorge Cary, nel
suo famoso The Medieval Alexander (1956), non sostenne di aver trovato a I-
stanbul il manoscritto arabo che rappresentava il missing link, si pensava fos-
sero persi gli originali sia del testo persiano che di quello arabo. Tuttavia,
un’attenta lettura del manoscritto di Istanbul ha permesso a Doufikar-Aerts di
————
11
Uno studio importante sulle particolarità morfo-sintattiche della lingua di alcune versioni ma-
noscritte della Sīrat Banū Hilāl conservate nella stessa biblioteca di Berlino si trova in Roth
(1980; 1981; 1982; 1989); Ayoub (1978; 1984); Ayoub, Roth (1984).
12
Nel 2000 è stato intrapreso il progetto di pubblicare interamente una versione siriana, oggi
preservata presso l’Institut Français d’Etudes Arabes di Damasco, dal titolo Sīrat al-Malik al-
Ẓāhir Baybars (nella recensione di Damasco). Tale versione ha caratteristiche di lingua e stile
analoghe alla versione edita da Gavillet-Matar.
Studi sull’epica araba 11

provare, a nostro avviso convincentemente, che il manoscritto in questione


non rappresenta né il lost intermediary che sembrava perso, né l’archetipo di
plurime traduzioni. Piuttosto esso si configura come una vera e propria sīra,
collocata «in the end of a long and varied tradition of written literature in Ara-
bic» (Doufikar-Aerts 2003b: 506), equiparabile per formulazione di contenuti,
stile e lingua ad altri cicli epici e rientrando anche nella tipologia del romanzo
(volksroman; Doufikar-Aerts 2003: 29, 175, 214, 238).
Questa ipotesi apre le porte a nuove prospettive di ricerca che riguardano
le modalità di trasmissione dei testi nel mondo arabo, ma anche i contatti che
esso ha avuto con le tradizioni letterarie circostanti. Nel porre l’accento
sull’ultima fase (forse non in ordine cronologico) di trasmissione dei materiali
narrativi, definita felicemente nei termini di un processo di ‘sīra-fication’,
Doufikar-Aerts sostiene che a fungere da intermediario non sia stato un testo,
bensì una fase o un processo di trasmissione di testi capace di originare una
vera e propria nuova tradizione narrativa con caratteristiche del tutto peculiari.
In altre parole, il missing link sarebbe rappresentato da un diverso modo di
narrare le vicende relative ad Alessandro Magno, che, nel caso del manoscritto
studiato dall’Autrice, sono arrivate ad assumere carattere eroico, con formula-
zione di contenuti, di stile e lingua nuove e diverse rispetto alle tradizioni pre-
cedenti e in altre lingue.
Prima di affrontare la problematica dell’oralità mi pare opportuno segna-
lare un diverso approccio metodologico offerto dallo studio di Thomas Herzog.
Pur partendo da presupposti differenti da quelli di Gavillet Matar, Ott e Doufi-
kar-Aerts, e muovendo su un terreno di natura prettamente storiografica, anche
Herzog ha dovuto affrontare questioni relative allo sviluppo della tradizione
manoscritta della Sīrat Baybars. Metà del volume, vale a dire il corposo capi-
tolo ‘Materialen’ (Herzog 2006: 425-905), è riservato all’argomento. In esso
Herzog illustra le specificità dei diversi ‘rami’ della tradizione manoscritta
della Sīrat Baybars (in part. egiziano e siriano), proponendo una ricostruzione
della diffusione dell’opera in epoca post-classica. Insieme a ciò, di tutti i te-
stimoni reperiti e inventariati Herzog presentata i contenuti più importanti,
suddividendo così la Sīrat Baybars in un totale di circa 1.800 capitoli. In tal
modo viene delineata una sorta di sinossi dell’opera che si presenta nella for-
ma di una tabella con i titoli dei diversi capitoli delle varie versioni posti su
colonne parallele, anziché nella forma di testo-base con eventuali varianti in
apparato. Tale tabella permette di poter effettuare confronti tra versioni e de-
terminare eventuali «concordanze» (nelle parole di Herzog) tra testimoni.

Questioni di oralità e scrittura: modalità di produzione e ricezione dei testi

Accanto agli argomenti sopra esposti, emerge una seconda macro-


problematica di ricerca comune dagli studi qui recensiti che concerne le moda-
lità di produzione, ricezione e trasmissione del testo e che interessa le varie fi-
12 F. Bellino

gure coinvolte in tali fasi (poeta, narratore, copista). Essa tocca il quanto mai
complesso rapporto tra oralità e scrittura, ampiamente dibattuto in sede teorica
per altre tradizioni letterarie, forse ancora da definire nel caso specifico della
letteratura araba.13
Sono essenzialmente tre gli argomenti affrontati che qui discuteremo: il
primo interessa la ‘forma’ (poesia e/o prosa) in cui si trova conservata la sīra e
il fatto se essa rifletta (e in che misura) una eventuale fase di produzione e/o
trasmissione orale; il secondo riguarda l’analisi delle modalità di trasmissione
e ricezione del testo definite a partire da informazioni meta-testuali presenti
nel testo e studiate alla luce di alcune teorie letterarie attente alla questione
dell’oralità; il terzo riguarda la tipologia di lingua in cui sono stati redatti i te-
sti e quali informazioni essa possa veicolare rispetto all’ambito di produzione
e circolazione del materiale preservato.
Come detto, Ott, Doufikar-Aerts, Gavillet Matar e Herzog hanno lavorato
su un corpus di attestazioni (mano)scritte essenzialmente in prosa. Le caratte-
ristiche che presenta questa tipologia di testi sono assai diverse di quelle di te-
sti redatti interamente in versi, trasmessi e/o elaborati dalla viva voce di poeti
o cantori (in ar. šāʻir) in contesti, spesso non urbani, anche molto diversi da
quelli in cui invece circolavano i manoscritti qui discussi. I manoscritti in pro-
sa sviluppano la narrazione in un continuum di lunghe sezioni, delimitate da
formule che suddividono (in linea di massima) la storia in unità più brevi. La
narrazione in prosa presenta parti in «prosa rimata e ritmata» (in ar. saǧʻ) con
brevi inserimenti in versi, di lunghezza e metro variabile da una versione
all’altra e da una poesia all’altra, posti all’interno della storia in ‘situazioni
narrative’ ben definite (ad es. duello, presentazione dell’eroe sul campo di bat-
taglia, lancio di sfida all’avversario, lode o insulto). Nelle sue linee generali, la
definizione del concetto di formula e, più in generale, di una «poetica della sī-
ra» è stata oggetto di una monografia di Madeyska (2001)14 la quale ha mo-
strato, seguendo un’impostazione del tutto conforme a quella dei formalisti
russi, che la presenza di un repertorio15 di formule, modi di dire, espressioni e
cliché non implicherebbe necessariamente una formazione e/o formulazione

————
13
Anche in questo caso, la questione non riguarda esclusivamente l’epica, ma molti altri generi
letterari del cosiddetto periodo post-classico (si pensi tra tutti alle Mille e una notte o ad alcune
leggende islamiche). L’argomento è stato al centro di riflessioni in diversi ambiti di ricerca,
ma il caso rappresentato dalla tradizione araba è in qualche modo esemplare e unico. Vedasi in
proposito il volume monografico L’Oralità nella Scrittura. Modalità di rappresentazione della
parola orale nel testo scritto curato da Biason (2006), e in particolare il contributo di Ghersetti
(2006: 71-92).
14
Il corpus sul quale Madeyska (2001: 89-132, capitolo ‘Theme and Formula’) ha basato il suo
studio è costituito dalle edizioni a stampa di tutte le più importanti sīra.
15
Il repertorio di formule, cliché, ed espressioni delineato nello studio di Madeyska è: 1) comune
a tutti i diversi cicli epici; 2) presente in situazioni narrative ben ‘standardizzate’; 3) il mede-
simo per le parti in versi e quelle in prosa.
Studi sull’epica araba 13

orale del testo, ma è invece un tratto caratteristico della poetica dei testi scritti.
È bene comunque ricordare che le ricerche e le registrazioni effettuate sul
campo hanno stabilito che nel caso in cui sia esistita la tradizione poetica della
sīra (vedi ad es. Sīrat Banī Hilāl) essa è caratterizzata dall’essere stata elabo-
rata e trasmessa in forma orale da veri e propri poeti/cantori i quali nel corso
delle loro performance non si servivano di testi scritti, né in alcuna fase della
composizione facevano ricorso ad essi. In questo tipo di tradizione l’uso di
formule ha scopo essenzialmente ‘mnemonico’ se interpretato alla luce della
teoria sull’oralità di Parry (1971) e Lord (1960).
Anche in vista delle lacune documentarie o di interferenze tra modalità di
trasmissione come si è visto nel caso della Sīrat Zīr Sālim, non è escluso che
in passato, in aree o periodi di cui non ci è pervenuta documentazione, ci sia
stata una qualche forma di tradizione ‘mista’ con sovrapposizioni tra oralità e
scrittura (per quanto riguarda la composizione e la trasmissione), una tradizio-
ne che a sua volta può aver costituito da ‘intermediario’ esattamente come si è
supposto essere stato per il cosiddetto processo di sīra-fication per il Romanzo
di Alessandro Magno. Nel caso della Sīrat Zīr Sālim il rapporto e le interfe-
renze tra queste tipologie di tradizioni sarebbero arrivate a determinare addirit-
tura recensioni diverse delle quali, a differenza della Sīrat al-Iskandar, ci sono
pervenute attestazioni scritte.
Una certa attenzione per la questione dell’oralità tout court è stata argo-
mento di due articoli di Ott (2000; 2003b) e Gavillet-Matar (2003), questi ultimi
presentati nel volume Studies on Arabic Epics (Canova 2003a). L’esigenza di
studiare il ruolo svolto dai narratori che nelle loro performance orali si avvale-
vano dell’uso di testi scritti, in una situazione ‘mista’ (Zumthor 1983), ha
spinto entrambe le studiose a confrontarsi con alcuni modelli teorici in grado
di poter descrivere al meglio tale situazione. Lontane dall’essere performance
prodotte e realizzate da culture ad ‘oralità primaria’ (Ong 1982; Foley 1995),
le versioni studiate da Ott (2003b) e da Gavillet Matar (2003) rappresentano
invece un prodotto di una cultura sostanzialmente urbana nella quale la tra-
smissione della parola anche attraverso canali orali ha comunque giocato un
ruolo di rilievo.
L’impianto teorico su cui Ott ha condotto la propria analisi poggia in par-
ticolare sugli studi di semiotica del testo di Raible (1980; 1991), sugli studi di
Pfister (1977) rivolti alle dimensioni drammatiche e teatrali dei testi (con un
approfondimento della questione anche relativamente all’epica) e, infine, su
un confronto con il modello di Koch e Österreicher (1990) che contrappone
oralità e scrittura sulla base dei criteri del medium e dell’elaborazione concet-
tuale. In tale prospettiva oralità e scrittura non si oppongono in modo discreto
ma esibiscono piuttosto un continuum di situazioni comunicative che chiara-
mente risultano essere del tutto funzionali ad un corpus come quello dell’epica
14 F. Bellino

araba. Nei testi studiati, Ott individua pertanto una ‘situazione’16 in cui collo-
care il testo scritto della sīra nell’ambito di un ‘sistema comunicativo’17 che è
essenzialmente orale e performativo. Tale situazione in nessun modo può ri-
sultare separata dal sistema, poiché, secondo Ott, anche nella loro più pura
forma scritta i manoscritti riproducono la trasposizione di una performance o-
rale del «narratore» (rāwī). Essa si rifletterebbe anche nella forma linguistica
in cui il testo si trova conservato. In questa prospettiva viene rivalutata la figu-
ra del narratore, il contesto della performance, la sua iterazione con l’audience
e in ultima analisi anche il ruolo dei lettori del manoscritto. Viene rivalutata
altresì la tipologia di lingua ‘media’ in cui la sīra è stata trasmessa: essa costi-
tuisce il medium tra produttore e fruitore del testo.
La ricerca di Gavillet Matar (2003; 2005) non si discosta molto da quella
di Ott, ma ha guardato piuttosto ai lavori di narratologia della scuola struttura-
lista francese di Genette (1972; 1983) come modello di riferimento. Anche
Gavillet Matar ha delineato una situazione narrativa, ma unitamente ad alcune
funzioni dell’’extra-narrativo’, per determinare il rapporto tra 1) testo – con
distinzione tra «storia» (in ar. sīra), «racconto» o «discorso» (kalām) e «testo»
vero e proprio (naṣṣ) – 2) «narratore» (rāwī) – che a sua volta può svolgere il
ruolo di «autore» e/o «contastorie» (ḥakawātī) – e 3) «uditore» (mustamiʻ).
Per meglio inquadrare la questione nell’ambito dell’epica araba, Gavillet Matar
ha circoscritto la sua indagine ai soli «manoscritti dei contastorie» (maḫṭūṭāt
ḥakawātiyya) della tradizione siriana, ossia a quei manoscritti di cui si servi-
vano i narratori professionali per le loro performance.18
Da un punto di vista più strettamente linguistico la presenza di tracce di
oralità nella scrittura è una questione abbastanza rilevante, sebbene difficile da
provare. In conformità con una sensibilità che si sta diffondendo tra gli studiosi
di letteratura araba anche per gli aspetti diacronici della lingua, Gavillet Matar
(2005: 72-92) dedica un apposito capitolo alle particolarità ortografiche e lin-
guistiche. Per quanto riguarda i tratti linguistici rilevati nei manoscritti dei nar-
ratori siriani, le osservazioni di Gavillet Matar sono del tutto in linea con altri
precedenti lavori effettuati da Ayoub (1978; 1984), Ayoub, Roth (1984) e
Roth (1980; 1981; 1982) sulla lingua dei manoscritti della Sīrat Banī Hilāl
provenienti dello stesso fondo Wetzstein della Staatsbibliothek di Berlino e
concordano anche con i tratti di lingua ‘media’ rilevati da Lentin (2002; 2003)
per le versioni siriane della Sīrat Baybars.

————
16
Questo tipo di studio ha permesso di identificare nell’epica araba tutti i tratti caratteristici delle
differenti ‘dimensioni’ semiotiche di un testo letterario delineate da Raible (1977).
17
Curiosamente questa conclusione si collega a quanto prospettato anche da Segre (1979: 53-64)
riguardo ai diasistemi. Vedi in proposito il testo citato nella nota 3.
18
Diverso è il caso della tradizione poetica e della funzione svolta dal poeta epico, su cui riman-
do in particolare a Canova (1983) e Reynolds (1995).
Studi sull’epica araba 15

Questo ulteriore lavoro di studio sulla lingua è di grande importanza an-


che per la storia dell’opera e della sua diffusione, nonché, in prospettiva più
ampia, per riflessioni sul genere, sulla trasmissione e la circolazione delle ope-
re in diversi ambienti (culturali o linguistici). Di fatto, la possibilità di stabilire,
attraverso l’analisi dei dati linguistici, singole e peculiari recensioni o tradi-
zioni dell’opera permette di comprendere meglio aspetti che la sola analisi dei
contenuti non chiarisce.
Tenendo conto di quanto fin qui prospettato, i materiali manoscritti, e in
misura considerevolmente minore quelli a stampa, quale che sia la sīra studia-
ta, rifletterebbero ‘tratti’ di oralità della cultura in cui sono stati prodotti e tra-
smessi. Non solo. Essi stessi risultano essere stati prodotti guardando alla ‘di-
mensione orale’ (trasmissione per recitazione, lettura pubblica o privata) nella
quale poi circolavano, essendo stati buona parte di questi messi per iscritto o
trascritti e copiati da copisti che al tempo stesso potevano essere anche narra-
tori e compositori/autori degli stessi.
Se la scelta del quadro di riferimento metodologico di Ott, Gavillet Matar
e Doufikar-Aerts risulta in alcuni casi vincolante, ancora una volta le conclu-
sioni a cui giungono le tre studiose sono estremamente importanti se viste in
prospettiva più generale. L’analisi delle peculiarità stilistiche e linguistiche al-
la luce di dinamiche proprie della performance orale arricchisce, di fatto, la
conoscenza dei modi di composizione prima e di trasmissione poi. Chiaramen-
te per molti cicli la componente dell’oralità può essere valutata come seconda-
ria, o perfino relativa, riflessa in modo pallido e distante, essendo forse estinta
da troppo tempo una tradizione di trasmissione orale. Tuttavia, qualora si deb-
ba esaminare la tradizione di un ciclo nella sua interezza, anche questo è un
elemento che non può essere sottovalutato né trascurato per la storia della dif-
fusione dell’opera.

Conclusioni

A partire dai risultati conseguiti nei quattro studi qui presentati mi pare
che si vadano delineando una serie di questioni che, se ulteriormente appro-
fondite in futuro, non solo aiuteranno a comprendere appieno un genere lette-
rario la cui storia, ad oggi, resta da scrivere, ma permetteranno di valutare me-
glio la stessa evoluzione della prosa nel periodo post-classico.
Prima di tutto, mi pare non vada sottovalutato il fatto che la documenta-
zione che abbiamo a disposizione per poter effettuare studi sull’epica araba è
oramai essenzialmente scritta, dato che così come si è diffusa questa tradizio-
ne letteraria nel corso dei secoli ad oggi può considerarsi pressoché estinta. Le
prossime ricerche si dovranno dunque muovere quasi esclusivamente su mate-
riali scritti e dovranno essere condotte con criteri e valutazioni che tengano in
conto gli orientamenti attuali della filologia e della critica testuale.
16 F. Bellino

Molto materiale resta da valutare nel complesso delle informazioni che


sono state fino ad ora raccolte; altro probabilmente dovrebbe essere ricercato
sul campo dalla viva voce degli informatori qualora esistenti. Per alcuni cicli
la documentazione in nostro possesso relativa alle fasi più antiche è frammen-
taria, forse anche insufficiente per poter delinearne appieno e in modo verosi-
mile sia l’origine che la trasmissione nel corso dei secoli dei singoli cicli. In
ogni caso, per tutti disponiamo di molta documentazione per le fasi più recenti
(numerose sono, infatti, le versioni manoscritte tarde e le edizioni a stampa
‘popolari’ di diversa provenienza). Proprio in tale prospettiva è sempre più in-
dispensabile prospettare un lavoro di analisi preliminare dell’intera tradizione
manoscritta, con collazione e recensione di tutte le versioni preservate, insie-
me ad un successivo studio delle fonti secondarie.
Tale lavoro dovrà necessariamente essere sensibile a fattori extra-testuali
e/o linguistici: questo tipo di attenzione ovvierà, in parte, alla mancanza di
materiali preservati e aggiungerà piuttosto considerazioni importanti, per non
dire fondamentali, per la storia della trasmissione dell’opera, l’individuazione
di eventuali archetipi testuali e narrativi e per il recupero storico dei testi.
Importante sarà inoltre studiare i materiali conservati anche in base alla
provenienza incrociando i dati raccolti per tutti singoli cicli tra loro in un qua-
dro più ampio. Anche in questo caso è importante che tale lavoro non si limiti
al singolo ciclo. Come se si è visto nel caso del fondo Wetzstein della Staats-
Bibliothek di Berlino, è sempre più necessario che si confrontino i dati raccolti
su differenti cicli perché, solo se ‘collegati’, essi permetteranno di individuare
eventuali pratiche di scrittura e trasmissione dei testi comuni, nonché fenome-
ni letterari di rilievo per il genere.
Un’altra questione importante riguarda la cosiddetta oralità. La discussio-
ne in futuro dovrà necessariamente muoversi senza opporre oralità a scrittura,
o ambito colto ad ambito popolare, per poter così superare vecchi schemi e o-
rientamenti che non aiutano a comprendere situazioni fluide e interferenze ve-
rificatesi nel corso dei secoli (si vedano i ‘diasistemi’ di Segre 1998 e Men-
gozzi 2009). Ciò implicherà uno spazio sempre maggiore per riflessioni di
natura essenzialmente linguistica le cui risposte, anche in questo settore, do-
vranno inevitabilmente tenere conto dei risultati conseguiti in altre lingue (si
pensi in particolare all’ambito romanzo, ma anche ad altre letterature dell’area
arabo-islamica).
C’è infine un aspetto che mi pare importante mettere in evidenza. Il pro-
cesso di sīra-fication è, a mio avviso, il fenomeno più originale che è stato in-
dividuato negli studi qui presentati. In quanto fenomeno letterario della prosa
andrà necessariamente studiato sia nell’ambito più generale della letteratura
araba post-classica, come modalità di trasmissione dei testi, applicabile dun-
que anche ad altre forme letterarie, sia nello specifico dell’epica per la formu-
lazione di recensioni, tradizioni, versioni per altri cicli. Questo processo si è
delineato nel segno di una evidente espansione delle narrazioni verso una for-
Studi sull’epica araba 17

ma narrativa lunga e articolata, con determinate caratteristiche che la distin-


guevano nettamente dalla narratio brevis. Esso può aver rappresentato una re-
altà letteraria, ancorché estremamente fluida, largamente diffusa nel periodo
post-classico. Se così fosse stato in questo periodo, nel quale si tende troppo
spesso a delineare i processi narrativi opponendo l’ambito colto a quello popo-
lare, si delineerebbero invece realtà letterarie che, pur non avendo mai effetti-
vamente raggiunto un sviluppo compiuto e articolato (come per i romance
medievali), hanno trovato in generi quali l’epica, le maġāzī leggendarie, alcu-
ne leggende islamiche, luoghi e mezzi per sperimentarsi. In futuro sarà impor-
tante studiare le dinamiche di tali fenomeni letterari alla luce di valutazioni più
aderenti alla trasmissione e alla circolazione dei testi e alla formazione del
romanzo in epoca moderna.
Francesca Bellino
f.bellino@fastwebnet.it

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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SUMMARY

This article analyses a series of studies on Arab epics published in recent years (2002-
2008), in particular by C. Ott (2003), F. Doufikar-Aerts (2003), M. Gavillet Matar (2005), T.
Herzog (2006), and discusses the results in a broader perspective of research on Arabic literature
of the post-classical period. After presenting the specific contents of these four studies, the article
focuses on a range of research problems concerning philological questions (e.g. manuscript tradi-
tions, the origin of a tradition and a sīra, the sources, the narrative archetypes and the various
versions and variants), but also the relationship between orality and literacy and modes of trans-
mission and reception of texts in Arabic literature.

Keywords: Arabic epic, Arabic post-classical literature, siyar, philology, middle Arabic.

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