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ANNALI
VOLUME
69
NAPOLI 2009
UNI VER S IT À DEGLI ST UDI DI NAP OLI “ L’OR IENT ALE”
ANNALI
Rivista del Dipartimento di Studi Asiatici
e del Dipartimento di Studi e Ricerche su Africa e Paesi Arabi
ISSN 0393-3180
Articoli PAG.
FRANCESCA BELLINO, Studi sull’epica araba: ricerca sul campo e riflessione filologica 1
Aramaic ………………………………………………………………………
GIULIA FRANCESCA GRASSI, The Emergence of the Genitive Analytical Construction in 141
JEYAPRIYA RAJARAJAN, Rare Images in the Iconographic Profile of Nāyaka Art …… 157
R.K.K. RAJARAJAN, Animal Motifs in the Iconography of Later Mediaeval Tamilnadu 167
Recensioni
Jérôme Lentin, Antoine Lonnet éd., Mélanges David Cohen. Études sur le langage,
Introduzione
nova (1985; 1993) per lo Yemen, e Canova (1997; 2003c) per l’Arabia meri-
dionale. Stante l’odierna situazione ricerche di questo tipo sembrano possibili,
ma forse ancora per poco, considerato che i margini di registrazione di nuove
fonti, a serio rischio di estinzione, sono verosimilmente anche molto limitati.
Dall’altro lato, appare sempre più necessaria una riflessione sui testi per un lo-
ro recupero storico con criteri che rispondano agli attuali orientamenti della fi-
lologia e della critica testuale. È, infatti, ormai appurato che senza le informa-
zioni, le categorie e i paradigmi desunti dall’analisi delle fonti scritte, ed in
particolare di quelle manoscritte, non si può comprendere né delineare appieno
lo sviluppo di un genere che ha avuto una circolazione ugualmente significati-
va tanto in forma orale quanto in forma scritta (con evidenti complicità e inter-
ferenze3 tra le due modalità). In tale prospettiva, e particolarmente in sede di
lavoro con materiali manoscritti, i contributi presenti in Studies on Arabic
Epics fanno ben sperare per il futuro di questa disciplina.
Il presente articolo intende prendere in esame quattro monografie, appar-
se quasi in contemporanea a Studies on Arabic Epics, i cui singoli risultati of-
frono prospettive di ricerca di grande interesse per la comprensione di questo
genere, con riflessioni che vanno ad integrare il quadro teorico delineato nel
volume curato da Canova. I quattro studi in questione – rispettivamente Me-
tamorphosen des Epos. Sīrat al-Muǧāhidīn (Sīrat al-amīra āt al-Himma) zwi-
schen Mündlichkeit und Schriftlichkeit di Claudia Ott (2003), Alexander Magnus
Arabicus. Zeven eeuwen Arabische Alexandertraditie: van Pseudo-Callisthenes
tot ūrī di Faustina Doufikar-Aerts (2003a), La geste du Zīr Sālim d’après un
manuscrit syrien di Margherite Gavillet Matar (2005) e Geschichte und Imagi-
naire. Entstehung, Überlieferung und Bedeutung der Sīrat Baibars in ihrem
sozio-politischen Kontext di Thomas Herzog (2006) – sono ciascuno frutto di
una ricerca di dottorato durata all’incirca un decennio e si concentrano ognuno
su un diverso ciclo epico.
Per inciso, si ricorda che nella tradizione letteraria araba è denominato sīra
(pl. siyar), lett. «modo di agire o vivere», «corso della vita», quindi «biogra-
fia», un ciclo che sviluppa in chiave eroica le vicende riguardanti un illustre ca-
valiere arabo di epoca pre-islamica, una tribù o anche una figura storica di parti-
colare rilievo (Heath 1997). I cicli studiati da F. Doufikar-Aerts, M. Gavillet
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3
Mutuo qui delle espressioni di Segre (1979: 53-64, in parte riprese in 1998: 47, da cui cito) se-
condo il quale «un testo è infatti una struttura linguistica che realizza un sistema. Quando un
copista si allontana dalla lettera del testo, non è solo per distrazione o errore, ma, più spesso,
per realizzare, volontariamente o inconsciamente, il proprio sistema. La trascrizione viene così
a produrre un diasistema, o sistema di compromesso, con mescolanze di forme, e soprattutto
interferenze». Secondo Segre lo studioso deve quindi, ogni volta, richiamarsi al «movimento
storico in cui ogni opera è inserita», poiché «il nostro sforzo di comprensione (di interpreta-
zione) consiste nel cercare la verità del testo sotto le stratificazioni; in altre parole nel ripercor-
rere all’indietro la storia del testo, muovendo per quanto possibile verso la sua origine» (Segre
1998: 52). Interessanti riflessioni su scrittura e oralità, diasistemi e archetipi e sulle modalità di
edizioni di testi della letteratura aramaica e siriaca si possono trovare in Mengozzi (2009: 59-79).
Studi sull’epica araba 3
Matar, C. Ott, T. Herzog sono molto diversi tra loro. Alcuni si distinguono per
essere lunghe narrazioni in prosa, con parti in prosa rimata e ritmata e solo
brevi interpolazioni in versi, laddove altri, come ad es. la Sīrat Banī Hilāl (Re-
ynolds 2006b), consiste quasi interamente di poesia. Essi si distinguono anche
dal punto di vista del contenuto e del periodo storico in cui sono ambientati,
anche se tutti hanno in comune il fatto di essere ‘biografie’ di personaggi eroi-
ci. Si va dal periodo pre-islamico, come ad es. per la Sīrat ʻAntar il cui prota-
gonista è il famoso poeta ed eroe ʻAntar b. Šaddād (Kruk 2006), al periodo me-
dievale, come ad es. per la Sīrat al-Malik al-Ẓāhir Baybars o la Sīrat al-
Muǧāhidīn, o ancora a cicli che hanno come argomento principale la storia per-
siana, come ad es. la Sīrat Fīrūz-šāh, o la Sīrat al-Iskandar che ha protagonista
Alessandro Magno, infine a cicli come la Sīrat Sayf Ibn ī Yazan, che ha eroe
protagonista il re yemenita Sayf Ibn Ḏī Yazan vissuto nel VI sec. (Heath 2006).
Il doppio volume di Gavillet Matar (2005) è dedicato ad uno dei più anti-
chi cicli dell’epica araba che narra le vicende dell’eroe beduino Zīr Sālim e la
guerra di Basūs tra le tribù dei Bakr e dei Taġlib. Questo studio presenta
l’edizione e la traduzione di quattro quaderni conservati presso la Staatsbiblio-
thek di Berlino (Ms Berlin, Staatsbibliothek, nr. 9189, We. 822-826) – acqui-
stati dal console prussiano Johann Gottfried Wetzstein nel corso del suo sog-
giorno a Damasco (1849-61)4 – che contengono, come vedremo, una particolare
versione della Sīrat Zīr Sālim. Nella prima parte del primo volume è ricostrui-
ta l’intera tradizione manoscritta della sīra (Gavillet Matar 2005: I, 21-139),
mentre nella seconda parte è presentata l’edizione del solo manoscritto di Ber-
lino (ibid.: I, 139-317). Nel delineare le vicissitudini della tradizione mano-
scritta relativa a questo ciclo, Gavillet Matar presenta dapprima le fonti più an-
tiche dell’opera, ricostruendo poi la formazione di diverse tradizioni e
recensioni (ibid.: cap. 1). Oggetto di particolare attenzione sono i manoscritti
che l’Autrice definisce della «tradition des conteurs» (ibid.: cap. 2): si tratta di
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4
Per quanto riguarda i manoscritti di argomento epico, J.G. Wetzstein, nel corso del suo sog-
giorno a Damasco, acquistò un gran numero di opere che sono ora preservate nella Staatsbi-
bliothek di Berlino (Huhn 1989; 2006). Nel caso dei manoscritti di argomento epico, attraver-
so lo studio delle note di possesso e di altre informazioni presenti sui manoscritti, si è evinto
che buona parte di essi appartenevano a narratori professionali operanti in Siria ed anche in Iraq.
È importante sottolineare che solo una parte dei manoscritti del fondo Wetzstein che la Gavil-
let Matar definisce appartenenti alla «tradition des conteurs» è di argomento epico, poiché vi
sono un altrettanto significativo numero di manoscritti, con analoghe caratteristiche di lingua e
stile, che contengono narrazioni della cosiddetta letteratura ‘popolare’ del periodo post-
classico, ovvero maġāzī leggendarie, leggende islamiche, qiṣaṣ e ḥikāyāt di vari generi. Dei
manoscritti conservati a Berlino quelli appartenenti al ciclo della Sīrat Banū Hilāl sono stati
studiati da Ayoub (1978; 1984) e Ayoub, Roth (1984).
4 F. Bellino
testi usati dai «contastorie» (ḥakawātī) nel corso delle loro performance di cui
quelli acquistati da Wetzstein rappresentano senza dubbio pregevoli testimoni.
Data l’importanza di questa tipologia, Gavillet Matar si sofferma sulle partico-
larità ortografiche e linguistiche dei testi editi, approfondendo la questione del
rapporto tra prosa e poesia nella versione studiata (ibid.: cap. 3). Nel secondo
volume l’Autrice presenta la traduzione integrale del manoscritto (ibid.: II, 29-
428), con annesso glossario e indice dei nomi dei personaggi, animali, popoli,
tribù, luoghi reali o immaginari citati nell’opera.
La ricerca dottorale di Doufikar-Aerts (2003a) è interamente dedicata alla
figura di Alessandro Magno e alla narrazione delle sue avventure ai confini
del mondo. Personaggio in qualche modo lontano dalla tradizione epica tout-
court, questa figura ha comunque goduto di straordinaria fortuna nella lettera-
tura araba, ma non solo. Alla luce di una vasta diffusione di storie riguardanti
Alessandro, l’Autrice ha delineato nel primo capitolo l’evoluzione dell’intera
tradizione, esaminando da una parte il rapporto tra le versioni della storia di
Alessandro in siriaco, persiano e arabo, e ricostruendo dall’altra la storia della
trasmissione dell’opera nel solo ambito arabo, con lo scopo di mettere per la
prima volta insieme i tasselli di quanto ci è pervenuto. Nella prima parte di
Alexander Magnus Arabicus sono presi in esame i quattro ‘rami’ della tradi-
zione araba, distinti secondo le loro fonti e motivi predominanti: il primo è
quello definito della ‘tradizione araba di Pseudo-Callistene’, basato sulla re-
censione siriaca del Romanzo di Alessandro (ibid.: 9-81); il secondo della ‘tra-
dizione di Alessandro come protagonista nella letteratura sapienziale’ (ibid.: 82-
117); il terzo della ‘tradizione di Ḏū al-Qarnayn’ (ibid.: 118-173);5 il quarto
della ‘tradizione della Sīrat al-Iskandar’ (ibid.: 174-206; più brevemente an-
che in Doufikar-Aerts 2003b). Ciascun ramo rappresenterebbe in sostanza un
diverso sviluppo letterario delle vicende riguardanti Alessandro e in tale ottica
viene studiato. Nella seconda parte del volume, collocando con una certa ori-
ginalità la Sīrat al-Iskandar nella tradizione della sīra (ibid.: 207) Doufikar-
Aerts ne analizza contenuto, struttura e stile con lo scopo di mostrare le pecu-
liarità che caratterizzano questa sīra rispetto ad altri cicli. Particolarmente pro-
ficuo è in tal senso il confronto con la Sīrat Sayf ibn ī Yazan. Nella parte fi-
nale del volume (ibid.: 207-251), Doufikar-Aerts mette a confronto i contenuti
narrativi dei manoscritti di Istanbul (Ms Istanbul, Aya Sofia, nr. 3003-3004)
con quelli di una ikāyat Iskandar Zulkarnain in malese (ibid.: 256-320), per
mostrare le affinità tra questi diversi tipi di «racconto» o «storia» (in ar. sīra,
qiṣṣa, ḥikāya). Come vedremo più avanti, la questione è decisamente impor-
tante per lo studio dello sviluppo di forme narrative in prosa della letteratura
————
5
Con tale espressione l’Autrice designa «a series of motifs occurring frequently in Arabic ac-
counts on Alexander which portray the hero as a pious monotheist and a missionary king».
Studi sull’epica araba 5
candosi nel corso del tempo materiali narrativi (ma anche storici, ideologici)
di diverso tipo. Va detto in ogni caso che, a differenza degli altri cicli, è pro-
prio l’esistenza storica del personaggio Baybars e delle vicende che fanno da
sfondo alla sua biografia, già narrate nelle più importanti opere di storiografia
mamelucca, a permettere ad Herzog di poter effettuare più facili raffronti tra le
due dimensioni della ‘storia’ e dell’‘immaginario’.
portato tutti a confrontarsi più o meno apertamente con una serie di questioni
metodologiche che riguardano la ricostruzione del testo «muovendo per quan-
to possibile verso la sua origine» (Segre 1998: 47). Si tratta di una prospettiva
di ricerca che ha implicato lo studio storico della tradizione testuale della sīra,
l’analisi delle particolarità dei singoli testimoni preservati e delle varianti tra
versioni (di lingua, stile, forma), ma altresì una riflessione sull’uso dei testi da
parte di copisti e/o narratori – con eventuali o evidenti loro interferenze nel te-
sto – e sui diversi ambienti (urbano, rurale, colto, popolare) in cui essi sono
circolati. Tutto ciò non ha, d’altra parte, impedito di considerare l’individualità
e l’importanza dei singoli testimoni.9 Al contrario, per alcune tradizioni, spe-
cialmente quelle più popolari e poetiche, ogni versione risulta in certa misura
‘originale’ e ‘unica’ come vedremo.
Distinguendo quindi tra storia dell’opera in quanto tale e storia della tra-
smissione e diffusione dell’opera, Ott, Doufikar-Aerts, Gavillet-Matar ed Her-
zog hanno toccato argomenti centrali per l’epica in una prospettiva attenta tan-
to a problematiche strettamente filologico-letterarie, quanto a quelle di tipo
storico-sociologico, senza per questo trascurare aspetti del rapporto tra oralità
e testualità o dell’oralità tout court. A tutte queste questioni, che peraltro risul-
tano di grande importanza anche per altri generi della letteratura araba post-
classica, le risposte date sono state diverse, per la specificità del materiale nar-
rativo di ciascuna sīra e per le diverse impostazioni metodologiche adottate da
ciascuno studioso.
In linea generale, la ricerca di una tradizione completa è il primo compito
che si deve porre chi deve affrontare l’edizione di un testo. Il classico eserci-
zio di recensione e collazione per restituire un testo il più possibile vicino
all’archetipo testuale o narrativo, oltre che essere fondamentale al fine di un
corretto recupero del testo, è indispensabile anche in vista di una ricostruzione
storica della diffusione dell’opera. Per quanto riguarda i diversi cicli epici qui
presi in esame è interessante notare che nel solo caso di Gavillet Matar questo
esercizio ha portato all’edizione di un manoscritto (2005: I), un testimone tra
l’altro rappresentativo di una peculiare tradizione narrativa quale quella dei
narratori siriani. Tuttavia, pur senza edizione, questo stesso lavoro di collazio-
ne e recensione è stato fatto in fase di studio preliminare anche da Ott (2003a),
Doufikar-Aerts (2003a) e Herzog (2006). Per es. ben due capitoli sono dedica-
ti da Doufikar-Aerts all’argomento e, proprio grazie a tale lavoro di collazione,
la studiosa arriva a delineare lo «Stemma Pseudo-Callistene Alexandertraditie»
(Doufikar-Aerts.: 81) e lo «Stemma Arabische Alexandertraditie» (ibid.: 173).
Il confronto con trasmissioni estremamente ‘fluide’, dove nel corso del
tempo sono intervenuti e hanno interagito diversi fattori, non riduce l’impor-
————
9
Anche se nessuno studioso ne fa riferimento diretto mi pare opportuno richiamare qui la lezio-
ne di Pasquali (1988), insieme ad alcune osservazioni riprese da Mengozzi (2009) riguardanti
l’edizione dei testi in tradizioni letterarie molto simili a quelle qui delineate, per l’epica araba.
8 F. Bellino
tanza dell’analisi dei testimoni preservati e del confronto tra tutte le varie ver-
sioni esistenti. Questo lavoro risulta al contrario indispensabile nel momento
in cui lo studioso si propone di comprendere le modalità di produzione e tra-
smissione dei testi in diverse aree geografiche o ambienti culturali e determi-
nare così la formazione di diverse recensioni o versioni della sīra. Ciò detto,
tutte le tradizioni manoscritte della Sīrat Zīr Sālim, Sīrat al-Iskandar, Sīrat āt
al-Himma wa al-Baṭṭāl e Sīrat Baybars risultano essere state ‘perturbate’ nel
corso dei secoli e per opera degli stessi copisti/narratori da tante e tali conta-
minazioni che è chiaramente impossibile risalire ad un ‘originale’ (qualora ne
sia mai esistito uno). Quasi tutte le recensioni sono ‘aperte’ (Pasquali 1988) ed
è pressoché impossibile ricostruire esattamente il percorso che va
dall’archetipo ai singoli testimoni conservati. Per questa ragione è indispensa-
bile affiancare al lavoro sul materiale conservato e che ci è pervenuto anche lo
studio delle fonti secondarie. Esso risulta indispensabile per stabilire eventuali
archetipi narrativi che possono aver portato alla formulazione (di parti o del
nucleo stesso) della sīra.
Lo studio delle fonti secondarie e il loro rapporto con l’origine della tra-
dizione è senz’altro importante, pur trattandosi di un piano congetturale sul
quale è bene muoversi con le dovute cautele, anche per la mancanza di docu-
mentazione relativa alle fasi più antiche. Infatti, per alcuni cicli, quali ad es.
quello di Zīr Sālim, non c’è menzione della loro esistenza nei repertori biblio-
grafici arabi più antichi (ad es. Fihrist di Ibn al-Nadīm); di altri le più antiche
testimonianze a nostra disposizione sono rappresentate da fonti secondarie,
perfino coeve ai manoscritti che si sono preservati, come ad es. il ciclo del sul-
tano mamelucco Baybars. In altri casi ancora, come per Alessandro Magno, i
testi su cui si sono conservati materiali poi confluiti nella sīra sono assai di-
versi tra loro, per genere, datazione, provenienza.
Tra tutti il caso della Sīrat Zīr Sālim è ancora degno di nota e in tale ottica
è comprensibile che Gavillet Matar dedichi una parte di tutto rilievo alla di-
scussione di quelle che definisce le cosiddette ‘fonti antiche’. Secondo
l’Autrice, le gesta dell’eroe Zīr Sālim traggono, infatti, ispirazione dalle narra-
zioni delle guerre di Basūs e dei conflitti tribali di epoca pre-islamica tra Bakr
e Taġlib. Riallacciandosi a tesi già sostenute da Oliverius (1965; 1971), queste
narrazioni rappresenterebbero l’apice di uno sviluppo letterario che vede nei
testi più tardi del genere degli Ayyām al-ʻArab – quali ad es. lo Šarḥ al-
amāsa di al-Tibrīzī e il Kitāb al-Kāmil di Ibn al-Aṯīr – una tendenza a svi-
luppare narrazioni più concise già presenti negli stessi Ayyām al-ʻArab. Se-
condo, Gavillet Matar altri due testi avrebbero giocato un importante ruolo di
‘intermediari’ nello sviluppo tra i racconti degli autori arabi e i lunghi cicli a-
nonimi romanzati della sīra: da una parte la amharat al-ʻArab e le narrazioni
(conservate in manoscritti) che descrivono le guerre tra Yemeniti e Arabi del
Nord, dall’altra il Kitāb Bakr wa-Taġlib, opera che tratta dettagliatamente la
guerra di Basūs. Per l’appunto a partire dall’intreccio tra tutte queste narrazio-
Studi sull’epica araba 9
————
10
Si tratta di manoscritti di piccole dimensioni o di un formato comunque ‘maneggiabile’, che
non superano mai i sessanta-cento fogli a volume. Si tratta di testi facili da tenere in mano o
davanti a sé nel corso di una performance.
10 F. Bellino
gure coinvolte in tali fasi (poeta, narratore, copista). Essa tocca il quanto mai
complesso rapporto tra oralità e scrittura, ampiamente dibattuto in sede teorica
per altre tradizioni letterarie, forse ancora da definire nel caso specifico della
letteratura araba.13
Sono essenzialmente tre gli argomenti affrontati che qui discuteremo: il
primo interessa la ‘forma’ (poesia e/o prosa) in cui si trova conservata la sīra e
il fatto se essa rifletta (e in che misura) una eventuale fase di produzione e/o
trasmissione orale; il secondo riguarda l’analisi delle modalità di trasmissione
e ricezione del testo definite a partire da informazioni meta-testuali presenti
nel testo e studiate alla luce di alcune teorie letterarie attente alla questione
dell’oralità; il terzo riguarda la tipologia di lingua in cui sono stati redatti i te-
sti e quali informazioni essa possa veicolare rispetto all’ambito di produzione
e circolazione del materiale preservato.
Come detto, Ott, Doufikar-Aerts, Gavillet Matar e Herzog hanno lavorato
su un corpus di attestazioni (mano)scritte essenzialmente in prosa. Le caratte-
ristiche che presenta questa tipologia di testi sono assai diverse di quelle di te-
sti redatti interamente in versi, trasmessi e/o elaborati dalla viva voce di poeti
o cantori (in ar. šāʻir) in contesti, spesso non urbani, anche molto diversi da
quelli in cui invece circolavano i manoscritti qui discussi. I manoscritti in pro-
sa sviluppano la narrazione in un continuum di lunghe sezioni, delimitate da
formule che suddividono (in linea di massima) la storia in unità più brevi. La
narrazione in prosa presenta parti in «prosa rimata e ritmata» (in ar. saǧʻ) con
brevi inserimenti in versi, di lunghezza e metro variabile da una versione
all’altra e da una poesia all’altra, posti all’interno della storia in ‘situazioni
narrative’ ben definite (ad es. duello, presentazione dell’eroe sul campo di bat-
taglia, lancio di sfida all’avversario, lode o insulto). Nelle sue linee generali, la
definizione del concetto di formula e, più in generale, di una «poetica della sī-
ra» è stata oggetto di una monografia di Madeyska (2001)14 la quale ha mo-
strato, seguendo un’impostazione del tutto conforme a quella dei formalisti
russi, che la presenza di un repertorio15 di formule, modi di dire, espressioni e
cliché non implicherebbe necessariamente una formazione e/o formulazione
————
13
Anche in questo caso, la questione non riguarda esclusivamente l’epica, ma molti altri generi
letterari del cosiddetto periodo post-classico (si pensi tra tutti alle Mille e una notte o ad alcune
leggende islamiche). L’argomento è stato al centro di riflessioni in diversi ambiti di ricerca,
ma il caso rappresentato dalla tradizione araba è in qualche modo esemplare e unico. Vedasi in
proposito il volume monografico L’Oralità nella Scrittura. Modalità di rappresentazione della
parola orale nel testo scritto curato da Biason (2006), e in particolare il contributo di Ghersetti
(2006: 71-92).
14
Il corpus sul quale Madeyska (2001: 89-132, capitolo ‘Theme and Formula’) ha basato il suo
studio è costituito dalle edizioni a stampa di tutte le più importanti sīra.
15
Il repertorio di formule, cliché, ed espressioni delineato nello studio di Madeyska è: 1) comune
a tutti i diversi cicli epici; 2) presente in situazioni narrative ben ‘standardizzate’; 3) il mede-
simo per le parti in versi e quelle in prosa.
Studi sull’epica araba 13
orale del testo, ma è invece un tratto caratteristico della poetica dei testi scritti.
È bene comunque ricordare che le ricerche e le registrazioni effettuate sul
campo hanno stabilito che nel caso in cui sia esistita la tradizione poetica della
sīra (vedi ad es. Sīrat Banī Hilāl) essa è caratterizzata dall’essere stata elabo-
rata e trasmessa in forma orale da veri e propri poeti/cantori i quali nel corso
delle loro performance non si servivano di testi scritti, né in alcuna fase della
composizione facevano ricorso ad essi. In questo tipo di tradizione l’uso di
formule ha scopo essenzialmente ‘mnemonico’ se interpretato alla luce della
teoria sull’oralità di Parry (1971) e Lord (1960).
Anche in vista delle lacune documentarie o di interferenze tra modalità di
trasmissione come si è visto nel caso della Sīrat Zīr Sālim, non è escluso che
in passato, in aree o periodi di cui non ci è pervenuta documentazione, ci sia
stata una qualche forma di tradizione ‘mista’ con sovrapposizioni tra oralità e
scrittura (per quanto riguarda la composizione e la trasmissione), una tradizio-
ne che a sua volta può aver costituito da ‘intermediario’ esattamente come si è
supposto essere stato per il cosiddetto processo di sīra-fication per il Romanzo
di Alessandro Magno. Nel caso della Sīrat Zīr Sālim il rapporto e le interfe-
renze tra queste tipologie di tradizioni sarebbero arrivate a determinare addirit-
tura recensioni diverse delle quali, a differenza della Sīrat al-Iskandar, ci sono
pervenute attestazioni scritte.
Una certa attenzione per la questione dell’oralità tout court è stata argo-
mento di due articoli di Ott (2000; 2003b) e Gavillet-Matar (2003), questi ultimi
presentati nel volume Studies on Arabic Epics (Canova 2003a). L’esigenza di
studiare il ruolo svolto dai narratori che nelle loro performance orali si avvale-
vano dell’uso di testi scritti, in una situazione ‘mista’ (Zumthor 1983), ha
spinto entrambe le studiose a confrontarsi con alcuni modelli teorici in grado
di poter descrivere al meglio tale situazione. Lontane dall’essere performance
prodotte e realizzate da culture ad ‘oralità primaria’ (Ong 1982; Foley 1995),
le versioni studiate da Ott (2003b) e da Gavillet Matar (2003) rappresentano
invece un prodotto di una cultura sostanzialmente urbana nella quale la tra-
smissione della parola anche attraverso canali orali ha comunque giocato un
ruolo di rilievo.
L’impianto teorico su cui Ott ha condotto la propria analisi poggia in par-
ticolare sugli studi di semiotica del testo di Raible (1980; 1991), sugli studi di
Pfister (1977) rivolti alle dimensioni drammatiche e teatrali dei testi (con un
approfondimento della questione anche relativamente all’epica) e, infine, su
un confronto con il modello di Koch e Österreicher (1990) che contrappone
oralità e scrittura sulla base dei criteri del medium e dell’elaborazione concet-
tuale. In tale prospettiva oralità e scrittura non si oppongono in modo discreto
ma esibiscono piuttosto un continuum di situazioni comunicative che chiara-
mente risultano essere del tutto funzionali ad un corpus come quello dell’epica
14 F. Bellino
araba. Nei testi studiati, Ott individua pertanto una ‘situazione’16 in cui collo-
care il testo scritto della sīra nell’ambito di un ‘sistema comunicativo’17 che è
essenzialmente orale e performativo. Tale situazione in nessun modo può ri-
sultare separata dal sistema, poiché, secondo Ott, anche nella loro più pura
forma scritta i manoscritti riproducono la trasposizione di una performance o-
rale del «narratore» (rāwī). Essa si rifletterebbe anche nella forma linguistica
in cui il testo si trova conservato. In questa prospettiva viene rivalutata la figu-
ra del narratore, il contesto della performance, la sua iterazione con l’audience
e in ultima analisi anche il ruolo dei lettori del manoscritto. Viene rivalutata
altresì la tipologia di lingua ‘media’ in cui la sīra è stata trasmessa: essa costi-
tuisce il medium tra produttore e fruitore del testo.
La ricerca di Gavillet Matar (2003; 2005) non si discosta molto da quella
di Ott, ma ha guardato piuttosto ai lavori di narratologia della scuola struttura-
lista francese di Genette (1972; 1983) come modello di riferimento. Anche
Gavillet Matar ha delineato una situazione narrativa, ma unitamente ad alcune
funzioni dell’’extra-narrativo’, per determinare il rapporto tra 1) testo – con
distinzione tra «storia» (in ar. sīra), «racconto» o «discorso» (kalām) e «testo»
vero e proprio (naṣṣ) – 2) «narratore» (rāwī) – che a sua volta può svolgere il
ruolo di «autore» e/o «contastorie» (ḥakawātī) – e 3) «uditore» (mustamiʻ).
Per meglio inquadrare la questione nell’ambito dell’epica araba, Gavillet Matar
ha circoscritto la sua indagine ai soli «manoscritti dei contastorie» (maḫṭūṭāt
ḥakawātiyya) della tradizione siriana, ossia a quei manoscritti di cui si servi-
vano i narratori professionali per le loro performance.18
Da un punto di vista più strettamente linguistico la presenza di tracce di
oralità nella scrittura è una questione abbastanza rilevante, sebbene difficile da
provare. In conformità con una sensibilità che si sta diffondendo tra gli studiosi
di letteratura araba anche per gli aspetti diacronici della lingua, Gavillet Matar
(2005: 72-92) dedica un apposito capitolo alle particolarità ortografiche e lin-
guistiche. Per quanto riguarda i tratti linguistici rilevati nei manoscritti dei nar-
ratori siriani, le osservazioni di Gavillet Matar sono del tutto in linea con altri
precedenti lavori effettuati da Ayoub (1978; 1984), Ayoub, Roth (1984) e
Roth (1980; 1981; 1982) sulla lingua dei manoscritti della Sīrat Banī Hilāl
provenienti dello stesso fondo Wetzstein della Staatsbibliothek di Berlino e
concordano anche con i tratti di lingua ‘media’ rilevati da Lentin (2002; 2003)
per le versioni siriane della Sīrat Baybars.
————
16
Questo tipo di studio ha permesso di identificare nell’epica araba tutti i tratti caratteristici delle
differenti ‘dimensioni’ semiotiche di un testo letterario delineate da Raible (1977).
17
Curiosamente questa conclusione si collega a quanto prospettato anche da Segre (1979: 53-64)
riguardo ai diasistemi. Vedi in proposito il testo citato nella nota 3.
18
Diverso è il caso della tradizione poetica e della funzione svolta dal poeta epico, su cui riman-
do in particolare a Canova (1983) e Reynolds (1995).
Studi sull’epica araba 15
Conclusioni
A partire dai risultati conseguiti nei quattro studi qui presentati mi pare
che si vadano delineando una serie di questioni che, se ulteriormente appro-
fondite in futuro, non solo aiuteranno a comprendere appieno un genere lette-
rario la cui storia, ad oggi, resta da scrivere, ma permetteranno di valutare me-
glio la stessa evoluzione della prosa nel periodo post-classico.
Prima di tutto, mi pare non vada sottovalutato il fatto che la documenta-
zione che abbiamo a disposizione per poter effettuare studi sull’epica araba è
oramai essenzialmente scritta, dato che così come si è diffusa questa tradizio-
ne letteraria nel corso dei secoli ad oggi può considerarsi pressoché estinta. Le
prossime ricerche si dovranno dunque muovere quasi esclusivamente su mate-
riali scritti e dovranno essere condotte con criteri e valutazioni che tengano in
conto gli orientamenti attuali della filologia e della critica testuale.
16 F. Bellino
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SUMMARY
This article analyses a series of studies on Arab epics published in recent years (2002-
2008), in particular by C. Ott (2003), F. Doufikar-Aerts (2003), M. Gavillet Matar (2005), T.
Herzog (2006), and discusses the results in a broader perspective of research on Arabic literature
of the post-classical period. After presenting the specific contents of these four studies, the article
focuses on a range of research problems concerning philological questions (e.g. manuscript tradi-
tions, the origin of a tradition and a sīra, the sources, the narrative archetypes and the various
versions and variants), but also the relationship between orality and literacy and modes of trans-
mission and reception of texts in Arabic literature.
Keywords: Arabic epic, Arabic post-classical literature, siyar, philology, middle Arabic.