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Università degli Studi di Pavia

Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali

Corso di Laurea Magistrale in Musicologia

Il madrigale ‘francescano’ nella seconda metà del Cinquecento:


il Libro Secondo de Madrigali a cinque voci (Venezia, 1588)
di Orazio Colombano.

Candidato: Relatore:
Gabriella Maria Pasqualina Cioffi Prof. Antonio Delfino

Correlatore:
Dott. Stefano Campagnolo

A.A. 2015-2016
Indice

Prefazione I

PARTE PRIMA
Il madrigale nei contesti religiosi alla fine del XVI secolo

1.1 I francescani e la cultura 7

1.2 I luoghi e i personaggi del madrigale ‘francescano’ 18

PARTE SECONDA
Orazio Colombano e il Libro Secondo de Madrigali a cinque voci

2.1 Orazio Colombano: profilo biografico 46

2.2 Il contesto di sperimentazione ferrarese 57

2.3 Il mondo arcadico pastorale cornice


de il Libro Secondo de Madrigali a cinque voci 71

PARTE TERZA
Edizione critica de il Libro Secondo de Madrigali a cinque voci

3.1 Criteri editoriali 102

3.1.1 I testi poetici


3.1.2 Il testo musicale
3.1.3 Testimoni musicali ed edizioni letterarie di riferimento

3.2 Apparato critico 110


3.3 Trascrizione interpretativa dei testi poetici 112

3.4 Trascrizione moderna dei testi poetici 122

3.5 Trascrizioni musicali 129

Bibliografia 220
Prefazione

Il presente contributo si prefigge l’obiettivo di inquadrare dal punto di vista storico-geografico lo


sviluppo di un determinato repertorio: il madrigale ‘francescano’. Si tratta di un settore alquanto
interessante che tuttavia fino ad oggi è rimasto ancora inesplorato. Generalmente, infatti, gli studiosi
del repertorio profano tardo rinascimentale focalizzano la loro attenzione sulla produzione che
circolava all’interno delle corti, centri ove transitavano musicisti provenienti da tutta Europa, tuttavia,
come vedremo più avanti, questa rappresenta soltanto una visione limitata e parziale. Grazie ad un
lungo e complesso lavoro di indagine bibliografica e documentaria, è stato possibile individuare i
nomi di alcuni membri dell’ordine francescano, la cui produzione non includeva, come ci si aspettava,
solo opere sacre, ma annoverava anche edizioni di musica profana e in particolar modo madrigali.
La ricerca ha comportato diverse fasi: delineare gli sviluppi di questo repertorio ed individuare le aree
di maggiore diffusione sono state due operazioni alquanto complesse. Durante la prima fase di
ricerche, uno degli strumenti che si è rivelato molto prezioso ai fini dell’indagine è stato il
supplemento dell’anno I della rivista Note d’archivio per la storia musicale, nuova serie, pubblicato
nel 1983, a cura di Giorgio Piombini. All’interno è presente un indice dei nomi che è il risultato di
una ‹‹fusione degli indici onomastici originali presenti in ogni annata››,1 di questi nomi sono stati
selezionati circa un centinaio, ovvero coloro per i quali era indicata l’appartenenza all’ordine
francescano. In seguito, attraverso la consultazione del RISM online, si è cercato di circoscrivere i
risultati. Infatti ci si è resi conto che circa il 95 % dei nomi che erano emersi dalla rivista Note
d’archivio erano legati ad una produzione sacra e non profana. In seguito fu fatta un’ulteriore
selezione: alcuni nomi furono scartati e furono presi in considerazione soltanto gli autori che
includevano nella loro produzione anche raccolte di madrigali.
Per delineare un quadro ancora più chiaro è stata infine consultata la nuova edizione della Bibliografia
della musica vocale profana dal 1500 al 1700,2 grazie alla quale è stato possibile approfondire il
discorso inerente gli editori, i dedicatari ed i testi poetici. Tuttavia riguardo quest’ultimo aspetto, data
l’incompletezza dei dati forniti dal Nuovo Vogel, essi sono stati opportunamente integrati con gli

1
OSCAR MISCHIATI, Premessa, ‹‹Note d’archivio per la storia musicale: nuova serie››, a cura di Giorgio Piombini, I (1983,
Supplemento), p. 8.
2
EMIL VOGEL-ALFRED EINSTEIN-FRANCOIS LESURE-CLAUDIO SARTORI, Bibliografia della musica vocale profana dal
1500 al 1700, Pomezia, Straderini-Minkoff, 1977.
elementi emersi dalla consultazione del database del RePIM (Repertorio della Poesia Italiana in
Musica, 1500-1700 a cura di Angelo Pompilio).
Una volta circoscritto l’ambito inerente i nomi, i luoghi e il repertorio, l’intenzione era quella di
ricostruire una rete ossia una sorta di tessuto connettivo che legava queste figure, cercando di
comprendere che tipo di collegamenti esistessero non solo tra i membri dell’ordine, ma anche fra
questi e i contesti esterni al mondo del convento ed in particolar modo l’ambiente delle corti
rinascimentali. ‹‹Nei conventi la musica non compariva unicamente sotto la specie del sacro, e questo
è un fatto tanto più prezioso in quanto consente di saggiare un mondo – quello della vita musicale
extra-liturgica – non facilmente focalizzabile altrimenti››.3
Infatti attraverso lo studio delle lettere dedicatorie della produzione di alcuni membri dell’ordine ed
in modo particolare di Orazio Colombano, compositore francescano originario di Bagnacavallo, a cui
è dedicata la seconda parte di questa dissertazione, è stato possibile far luce sulle relazioni che i frati
avevano non solo con i membri della gerarchia ecclesiastica (cardinali, vescovi) ma anche con
personaggi della nobiltà; ne è un esempio il Libro Secondo de Madrigali a cinque voci (Venezia,
1588), unica opera profana ascrivibile al magister di Bagnacavallo, dedicata al duca Alfonso II d’Este.
L’edizione è un mirabile exemplum della profonda conoscenza che il frate aveva sia della lirica
classica che di quella amorosa; il rapporto testo-musica rivela la grande padronanza con cui il
compositore riesce a gestire le trame ed i personaggi nei primi quattordici madrigali che si
configurano come una sorta di excursus che prende avvio dal mondo del mito (Al tuo preggiato nome
invitto Alfonso e Il giovane pastore), per inoltrarsi nell’introspezione psicologica dei protagonisti
degli intrecci amorosi.
Ulteriori aspetti interessanti emergono sul piano musicale: il legame con il contesto ferrarese è
corroborato non solo dall’impiego di melodie che rientravano nel bacino ferrarese ma anche da stilemi
compositivi che rievocano le opere di compositori attivi nel centro estense.
Infine la terza ed ultima parte di questo contributo si incentra sull’edizione critica dei madrigali e si
articola in una sezione introduttiva in cui sono illustrati i criteri di edizione adottati per i testi poetici
e per i testi musicali; l’apparato critico e le trascrizioni (trascrizione interpretativa e moderna dei testi
poetici e trascrizione musicale).
Questa dissertazione è il risultato di un lungo e complesso lavoro di ricerca documentaria e di analisi.
Fondamentale è stato l’apporto del relatore, il Prof. Antonio Delfino, che mi ha fornito un valido aiuto
durante la discussione sugli aspetti più disparati del repertorio madrigalistico della fine del

3
PAOLO FABBRI, Vita musicale nel Cinquecento ravennate: qualche integrazione, ‹‹Rivista Italiana di Musicologia››, XIII
1978, pp. 30-58: 54.

II
Cinquecento e nell’organizzazione delle diverse fasi della ricerca; un ringraziamento particolare va
al Dott. Stefano Campagnolo, direttore della Biblioteca Statale di Cremona, che si è dimostrato
sempre pronto ad offrire spunti innovativi e costruttivi per quanto concerne il lavoro di analisi e di
edizione.
Per quanto attiene alla parte testuale, un ringraziamento speciale va alla Dott.ssa Raffaella Barbierato
(responsabile del document delivery e del prestito interbibliotecario della Biblioteca Statale di
Cremona), che ha dimostrato grande vicinanza nei momenti più ostici ed è stata un punto di
riferimento per la ricerca bibliografica sia retrospettiva che corrente, e al Prof. Claudio Vela che ha
assolto un ruolo essenziale fornendomi valide indicazioni per l’esegesi dei testi e per l’impostazione
della trascrizione interpretativa e moderna.
Inoltre la mia gratitudine va alla Prof.ssa Valeria Leoni (docente di archivistica presso il Dipartimento
di Musicologia e Beni Culturali), che, durante le fasi della ricerca sui documenti d’archivio, ha
mostrato non solo grande interessamento ma ha anche collaborato attivamente mettendomi in contatto
con la Dott.ssa Elisabetta Canobbio, archivista presso l’Archivio Storico della Diocesi di Como –
Centro Studi “Nicolò Rusca”, attraverso il cui impegno è stato possibile correggere le inesattezze
cronologiche di alcune fonti bibliografiche inerenti la visita apostolica del vescovo di Vercelli
Giovanni Francesco Bonomi alla diocesi di Como.4
Il reperimento delle fonti è stato reso senz’altro più agevole grazie alla notevole disponibilità dei sig.ri
Valeria Carlotti (Ufficio bibliografico-Biblioteca del Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali),
Marina Gentilini (Biblioteca Statale di Cremona) e Giuseppe Sorce (Biblioteca del Dipartimento di
Musicologia e Beni Culturali) che sono stati pazienti e collaborativi sin dalle prime fasi del lavoro di
ricerca bibliografica.
Infine il ringraziamento più grande va ai miei genitori che mi hanno sostenuta, incoraggiandomi e
spingendomi verso traguardi sempre più lontani, consapevoli del fatto che la dedizione, l’impegno e
il sacrificio conducono sempre, anche se sulla lunga distanza, a dei risultati.

4
La maggior parte delle fonti bibliografiche concorda nel datare la visita apostolica all’anno 1579; tuttavia un’indagine
più approfondita ha messo in luce che la visita apostolica del Bonomi alla diocesi di Como si è svolta nel 1578, mentre
all’anno successivo risale la redazione degli atti “ufficiali” (ASDCo, Curia vescovile, Visite pastorali, b. 2, c. 1r) – verbali
visitali e decretali.
III
Il madrigale
nei contesti religiosi alla fine del XVI secolo

1.1 I francescani e la cultura

A partire dall’XI secolo i profondi cambiamenti messi in atto da papa Gregorio VII nella cosiddetta
“riforma gregoriana”, indotti da un contesto socio-culturale che era in costante evoluzione e che
investì anche lo stesso ruolo della Chiesa, contribuirono al formarsi e al diffondersi dell’azione degli
ordini mendicanti, tra i quali emerse l’ordine francescano sulla scia dell’attività svolta da Francesco
d’Assisi. Il suo carisma, improntato all’ideale di povertà assoluta e di vita condotta a supporto degli
indifesi e dei bisognosi, fu all’origine delle neonate comunità francescane che riuscirono ad
attualizzare il messaggio evangelico e a rimodularlo in funzione della società che andava
trasformandosi. La predicazione richiedeva continui spostamenti dei frati da un convento all’altro
permettendo loro di venire a contatto con i più diversi tessuti sociali e allo stesso tempo di diffondere
i loro insegnamenti in maniera capillare nelle realtà sia urbane che rurali, apportando un sostanziale
contributo anche dal punto di vista culturale. Le principali finalità dell’ordine consistevano non solo
nella comprensione del significato del testo biblico, ma anche nell’attenzione agli aspetti culturali
della loro azione, con una particolare dedizione allo studio anche in ambito scientifico: i frati non si
dedicavano più soltanto alla vita contemplativa e alle attività manuali all’interno del monastero, ma
si aprirono anche al mondo esterno applicandosi nell’‹‹assistenza e istruzione cristiana di poveri
marginali, alla cura degli infermi, all’educazione dei ceti dirigenti e agli studi di erudizione – che
individuavano specifici livelli e ambiti sociali d’intervento››.5
L’ordine fu ufficialmente riconosciuto nel 1209, anno in cui San Francesco d’Assisi si presentò
insieme ai suoi primi seguaci al cospetto di Papa Innocenzo III, che espresse il suo più vivo

5
ANTONELLA BARZAZI, Una cultura per gli ordini religiosi: l’erudizione, «Quaderni storici», CXIX/2 (2005), pp. 485–
517: 485.
7
apprezzamento nei confronti dell’operato della confraternita. Il nome “frati minori” fu scelto proprio
dal fondatore dell’ordine che sosteneva: ‹‹voglio che questa fraternità sia chiamata Ordine dei frati
minori››.6
Ci vorranno quattordici anni affinché la Regola dei frati francescani sia fissata in forma scritta grazie
alla bolla Solet annuere di papa Onorio III, emanata il 29 Novembre 1223.7
L’assetto dell’ordine rimase sostanzialmente inalterato fino al 1517, anno in cui si verificò la
divisione tra gli osservanti e i conventuali, regolata da papa Leone X con la bolla Ite et vos in vineam
meam. In questo documento ‹‹fu sancita la fondazione del nuovo ordine››, l’Ordo Fratrum Minorum
(regularis observantiae), e ‹‹il primo giugno fu eletto il nuovo ministro generale››.8 La reale
motivazione che si celava dietro questa frattura era da ascrivere alla morte del Ministro Generale
dell’ordine francescano San Bonaventura, avvenuta nel 1274. Le posizioni dei frati mutarono
radicalmente in quanto i Conventuali (detti anche “frati della comunità”) vivevano all’interno di
grandi conventi situati solitamente al centro delle città e non si dedicavano solo all’attività della
predicazione ma, accanto alle più importanti università, aveva aperto studi provinciali o generali al
cui interno le lezioni erano tenute dai membri dell’ordine, aggiungendo in tal modo ‹‹alla
predicazione semplicemente penitenziale quella dottrinale››.9 Inoltre erano considerati latae vitae
fratres, avevano cioè una vita molto agiata, godevano di innumerevoli privilegi e avevano anche delle
proprietà: ‹‹osservavano la regola con grandi mitigazioni intorno l’articolo povertà››.10 Mentre
dall’altra parte gli Observantes avevano una concezione identitaria molto diversa, seguivano la
regola ad litteram – è per questo motivo che furono chiamati Osservanti – e tendevano ad isolarsi
dalla società vivendo come eremiti e conducendo una vita di totale povertà.

6
TOMMASO DA CELANO, La vita di San Francesco d’ Assisi, s.l., Le Vie della Cristianità, 2016, cap. XV § 38.
7
La Regola bollata (cioè approvata da Onorio III con la bolla Solet annuere del 29 Novembre 1223) è la versione
definitiva del testo della Regola, ‹‹divisa in 12 capitoli, dal dettato più giuridico ma che nella sostanza conserva le scelte
evangeliche fondamentali dell’Assisiate››. Cit. FORTUNATO IOZZELLI, Un’esperienza di vita evangelica in fraternità in
L’arte di Francesco: capolavori d’arte italiana e terre d’Asia dal XII al XV secolo, a cura di Angelo Tartuferi e
Francesco D’Arelli, Firenze, Giunti, 2015, pp. 47-56: 50.
8
HANS GEORG BECK-KARL AUGUST FINK-JOSEF GLAZIK-ERWIN ISERLOH, Tra Medioevo e Rinascimento. Avignone-
Conciliarismo-Tentativi Di Riforma XIV-XVI Secolo (ed. orig. Die mittelalterliche Kirche. Vom kirchlichen
Hochmittelalter bis zum Vorabend der Reformation) a cura di Giorgio Mion e Riccardo Civili, Milano, Jaca Book, 2002
(Storia della Chiesa), p. 101.
9
GIOVANNI ODOARDI, voce “Conventualesimo”, Dizionario degli Istituti di Perfezione, Roma, Edizioni Paoline, 1973,
vol. 2, coll. 1711-1726: 1714.
10
FRANCESCO MOISÈ, Santa Croce di Firenze: Illustrazione Storico-Artistica, Firenze, Tipografia Galileiana, 1845, p.
340. Questa situazione perdurò sino alle soglie dell’Ottocento, infatti il cardinale Borromeo ‹‹trovò che nell’Ordine de’
Conventuali si era in molti luoghi de i più celebri, introdotta la proprietà, e quasi annichilata la povertà religiosa, nervo e
sostentacolo di tutte le Religioni. Di maniera che alcuni di quelli Religiosi, arrogandosi un certo dominio, o principalità
tra gli altri, vivevano appartatamente in certe loro case particolari, fabricate con varie commodità, e delizie. Perciò egli
(il cardinale Borromeo) […] operò con la sua prudenza, & autorità, che levò molti di questi abusi, & altre inosservanze
[…]››. GIOVANNI PIETRO GIUSSANO, Vita di San Carlo Borromeo, prete cardinale del titolo di Santa Prassede arcivescovo
di Milano, Brescia, Francesco Tebaldino, 1610, p. 90.
8
Successivamente si verificò ‹‹un’ulteriore scissione, all’interno del movimento osservante, che ben
presto dovette assistere a tendenze rigoriste: da un lato, si staccarono prima, a partire dal 1518, i
Riformati, e poco dopo i cosiddetti “Francescani eremiti”, meglio noti come Cappuccini, che furono
riconosciuti da Papa Clemente VII con la bolla Religionis zelus del 3 luglio 1528››.11
La divisione stabilita nella bolla papale del 1517 sarà confermata anche da papa Leone XIII con la
bolla Felicitate quadam del 4 ottobre 1897. Quindi il nuovo assetto dei francescani prevedrà ben
quattro ordini: gli ordini dei Minori (frati osservanti, frati conventuali e frati cappuccini) ed infine
l’ordine dei regolari.
Anche se lo scopo dell’ordine minoritico, nell’ottica del suo fondatore, era quello di assistere i
bisognosi e vivere in uno stato di povertà assoluta, tuttavia, dopo la morte di San Francesco avvenuta
il 3 ottobre 1226, la situazione subì qualche cambiamento. Grazie alle attività svolte da alcuni
membri, tra cui il dotto frate laico Elia Buonbarone da Assisi,12 l’ordine dei minori mostrò una
notevole propensione per la scienza e l’arte.13
Inoltre l’ordine subì anche un’altra importante trasformazione: a partire dalla seconda metà del
Duecento, cominciò a diventare un ordine ‘dotto’. Lo sviluppo in questa direzione fu favorito anche
dalle donazioni sia pubbliche sia private che permisero la costruzione di conventi, chiese e centri di
studio generali e provinciali, strutture entro cui attendere alla migliore preparazione umanistica e
scientifica.14
Già a partire dal XIII secolo, molti conventi erano situati nei pressi di prestigiose università tra le
quali primeggiavano Bologna, Padova, Firenze, Parigi, Cambridge, Oxford. Oltre a questi Studi
universitari in cui era possibile conseguire diversi titoli di studio (dal baccellierato al magistero), vi
erano altre tre differenti tipologie, e cioè gli Studi generali, provinciali e conventuali in cui si tenevano
lezioni di letteratura, filosofia e teologia.15
Già a partire dalla metà del Duecento, l’attività didattica incluse anche le discipline scientifiche, in
modo particolare lo studio delle leggi che regolavano la natura e lo studio delle scienze astronomiche.
Si iniziò a riflettere sui problemi che riguardavano la materia, i corpi celesti e l’intero universo.16

11
ORESTE BAZZICHI, Il paradosso francescano tra povertà e società di mercato. Dai Monti di Pietà alle nuove frontiere
etico-sociali del credito, Cantalupa, Effatà Editrice, 2011, p. 105.
12
La documentazione relativa a questa figura risulta essere alquanto scarsa. Nacque probabilmente ad Assisi intorno agli
anni 1170-80. Si distinse particolarmente nelle missioni di apostolato, favorendo così una progressiva espansione
dell’Ordine in Germania, in Inghilterra e in Marocco dove fu inviato con sei confratelli e furono tutti martirizzati. Cfr.
SILVANA VECCHIO, voce “Elia d’Assisi”, Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 42 (1993), pp. 450-458: 451.
13
Cfr. LORENZO DI FONZO, I Francescani, in Ordini e congregazioni religiose, a cura di Mario Escobar, Torino, Società
editrice internazionale, 1951, pp. 160-344: 169.
14
Ivi, p. 171, cfr.
15
Cfr. L. DI FONZO, I Francescani, p. 211.
16
AGOSTINO BAGLIANI PARAVICINI, Introduzione, in I francescani e le scienze, atti del XXXIX Convegno Internazionale
(Assisi, 6-8 Ottobre 2011), Spoleto, Fondazione Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 2012 (Atti dei Convegni
della Società Internazionale di studi francescani e del Centro interuniversitario di studi francescani, n.s. 22), pp. 5-18: 7.
9
Il prestigio degli Studia francescani crebbe a tal punto che si creò una vera e propria rete di
collegamenti con le istituzioni universitarie: ne erano testimonianza i francescani che insegnavano
regolarmente presso alcune delle più importanti università in Europa. Fu il caso ad esempio di
Alessandro di Hales, entrato nell’ordine francescano nel 1235, che fu prima maestro nella Facoltà
delle arti di Parigi ed in seguito docente di teologia.17 ‹‹Il patriarca dei teologi inaugurava i due metodi
scolastici col primo Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo18 e la prima Summa theologica19››.20
In questo periodo dunque l’attività scientifica e culturale ebbe un grande impulso, il numero dei frati
che si dedicavano attivamente a tali discipline aumentava progressivamente. ‹‹In tutte le famiglie si
organizzano Studi e programmi scolastici per la formazione dei lettori e dei maestri, ai quali tuttavia
non viene mai fatto obbligo specifico, diversamente da altri istituti religiosi, di seguire determinati
maestri››.21
Da tutto ciò si evince che il ruolo giocato da questi ordini religiosi fu dal punto di vista culturale
tutt’altro che secondario.
I membri dell’ordine mostrarono un crescente interesse in diversi ambiti dello scibile, apportando un
contributo sostanziale alle teorie scientifiche del passato: approfondirono lo studio della scienza
medica, della chimica, della teoria della perspectiva ovvero la scienza della luce, affrontando un
discorso in ambito fisico-matematico e fisiologico.22 Fu un mirabile esempio Ruggero Bacone
(Ilchester nel Dorsetshire, 1214) che, definito Doctor mirabilis proprio per la vastità del suo bagaglio
culturale, credeva che il punto di partenza dell’indagine scientifica fosse l’osservazione, senza la
quale non era possibile comprendere i fenomeni fisici.
La scienza in effetti ricopriva un ruolo molto importante: secondo Bonaventura da Bagnoregio,
definito il Doctor seraphicus dei francescani, l’arte doveva necessariamente dipendere dalla scienza,
‹‹che dà le regole alle quali deve attenersi l’artefice››.23
Nel contempo vi furono anche frati che mostrarono un vivo interesse per la cultura classica, come
Bernardino da Siena (Massa Marittima, 1380 – L’Aquila, 1444), che nella sua opera De christiana
religione sosteneva:

17
Cfr. FRANCESCO PELSTER, voce “Alessandro di Hales”, Enciclopedia Italiana, Appendice 2 (1938), p. 328.
18
Si tratta di un manuale di teologia risalente alla metà del XII secolo, che circolò all’interno delle facoltà universitarie
fino alla metà del XVI secolo.
19
Una delle opere più importanti di Tommaso d’Aquino, a cui l’autore dedicò nove anni (1265-74) della propria vita.
Questo trattato, basato sui principi della scolastica, fu un punto di riferimento per la concezione filosofica e teologica fino
alle soglie dell’età moderna. L’opera è concepita come una serie di articoli in cui sono affrontate diverse questioni
impostate come domande.
20
Cit. L. DI FONZO, I Francescani, p. 211.
21
Ivi, p. 267, cit.
22
Cfr. http://www.assisiofm.it/la-cultura-scientifica-dei-francescani-71174-1.html, data ultima consultazione: 27
Novembre 2016.
23
FRANCESCO CORVINO, Bonaventura da Bagnoregio, francescano e pensatore, Roma, Edizioni Dedalo, 2006, p. 306.
10
Leggendo queste cose sono rimasto meravigliato: non me le avrei mai aspettate. Sono stato
conquistato dalle efficaci argomentazioni e dall’autorità dei Santi, ma sono rimasto soprattutto
stupefatto dalle parole e dalle argomentazioni del filosofo Aristotele. O immensa misericordia di
Dio! Quanto grande è la moltitudine delle tue dolcezze: per glorificarci e non perderci ci porgi
l’aiuto di coloro che credono e di coloro che non credono.24

La sua conoscenza enciclopedica spaziava dalle opere di Aristotele e Platone fino ad arrivare ai grandi
della letteratura classica latina Cicerone e Virgilio, ed includeva al contempo anche i più importanti
autori della letteratura volgare (Dante, Petrarca e Boccaccio). Egli credeva che per la formazione dei
giovani, lo studio dei classici potesse apportare un contributo significativo, specialmente le letture di
Cicerone: ‹‹Bernardino aveva in grande considerazione gli studi di eloquenza che occupano il primo
posto negli ideali pedagogici del tempo›› e ‹‹proibiva solo le letture di poeti lascivi››.25 Quando fu
nominato vicario generale dell’Ordine dei frati minori, apportò diversi cambiamenti al sistema
d’istruzione dei giovani, mediante l’istituzione di cattedre di studio e ‹‹riformò i programmi
d’insegnamento perché secondo lui lo studio era una cosa onesta che indirizzava i secolari e religiosi
alle virtù morali››.

Tutti gli peccati e mali che sono mai fatti nel mondo tutti sono proceduti dall’ignoranza. […]
Questa è la bestia dell’Apocalipsi: la bestia che uscirà dall’abisso […] Adonqua, tutto il male
volere, tutto il male sapere, il male operare viene dall’ignoranza. È cagione l’ignoranza di tutti li
mali principii, di tutti li mali mezzi, di tutti li mali fini e termini.26

In effetti quella di Bernardino fu una figura singolare: dimostrò di essere molto abile nel tracciare una
linea di confine tra le letture consentite – anche testi pagani – che potessero apportare un contributo
significativo e le opere considerate lascive e quindi dannose per l’integrità morale dell’uomo.
Manifestò una grande apertura nei confronti della realtà storica a differenza ad esempio di Giovanni
Dominici che riteneva che la lettura di poeti e scrittori pagani potesse rappresentare ‹‹un rischio di
oscurantismo religioso e di disgregazione morale››.27

24
ALFONSO PORZI, Umanesimo e Francescanesimo nel Quattrocento, Roma, Tipografia olimpica, 1975, p. 125.
25
Ivi, p. 126, cit..
26
A. PORZI, Umanesimo e Francescanesimo nel Quattrocento, p. 145.
27
PAOLO VITI, Gli inizi di nuove esperienze e professioni intellettuali, in Le filosofie del Rinascimento, a cura di Cesare
Vasoli, Milano, Bruno Mondadori, 2002, pp. 38-69: 55. Proprio nella sua opera Lucula Noctis, il domenicano Dominici,
‹‹espone una serie di attacchi contro gli studi classici, che Coluccio Salutati aveva dovuto personalmente fronteggiare
[…]››. CLAUDIO MÉSONIAT, Poetica Theologia. La ‹‹Lucula Noctis›› di Giovanni Dominici e le dispute letterarie tra ’300
e '400, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1984, p. 7.
11
Molto vicino agli ambienti degli umanisti, era legato da profonda amicizia con Maffeo Vegio28 e
aveva una ‹‹grande ammirazione per Vespasiano da Bisticci, che gli dedicò una delle sue biografie››.29
Nell’approccio dei francescani alla cultura, l’operato di Bernardino da Siena rappresentò, come
abbiamo visto, un aspetto determinante in quanto fu un uomo moderno ed aperto a ciò che
l’Umanesimo aveva da offrire.
Nel corso del XVI secolo anche la circolazione libraria all’interno dei conventi subì dei cambiamenti:
infatti le biblioteche, luoghi di conservazione per eccellenza anche grazie alle donazioni ricevute da
parte di alcuni membri della nobiltà, divennero un vero e proprio caleidoscopio del sapere. Accanto
alle enciclopedie di carattere scientifico, vi erano compendi di grammatica e dissertazioni teologiche
fino ad arrivare alle opere di autori dell’età classica: un patrimonio librario, dunque, molto
eterogeneo. Un esempio è il convento dell’Osservanza di Bologna dove un nucleo consistente era
caratterizzato da una tipologia testuale biblico-patristica. Vi si annoverano ‹‹edizioni della Bibbia,
accompagnate dai grandi padri latini, Ambrogio, Agostino (soprattutto), Gerolamo e Gregorio Magno
con Cassiano e Cassiodoro; ma anche, fatto non comune, da un buon gruppo di padri greci: Ireneo di
Lione e Origene, Basilio il Grande e Cirillo di Alessandria, e i più recenti e medievali Dionigi pseudo-
Aeropagita e Giovanni Damasceno››.30 A questo si aggiunge il gruppo di classici tra cui Cicerone,
Orazio, Virgilio e Aristotele.31

28
Addirittura l’umanista dedicò a Bernardino uno scritto dal titolo:
EPITAFFIO
Scritto da Maffeo Vegio da essere posto sopra il sepolcro
di s. Bernardino

Hic Bernardinus Aquilans conditus urbe est,


Suspirantque Senae pignoris ossa sui.
Francisci ille crucem, paupertatemque secutos
Nunc melius coeli regna opulenta tenet.
Errantis populi monitor qui maximus olim,
Doctrinis potuit quemque movere suis.
Nunc quoque signorum mira virtute suorum
Segnius haud nostris consulit ille bonis.
Et qui languentes animas curare solebat,
Nunc etiam medica corpora curat ope.
Cit. AMADIO MARIA DA VENEZIA - CONSTANTINO DA ROMA, Vita di S. Bernardino da Siena - Parte Prima, Roma,
Salviucci, 1826, p. 372.
29
RAOUL MANSELLI, voce “Bernardino da Siena, santo”, Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 9 (1967), pp. 215-226:
219.
30
ZITA ZANARDI, Bibliotheca Franciscana. Gli Incunaboli e le cinquecentine dei frati minori dell’Emilia Romagna
conservate presso il Convento dell'Osservanza di Bologna, Firenze, L. S. Olschki, 1999, p. XVII.
31
Ivi, pp. 1, 2, cit.
12
Un altro esempio della vastità del patrimonio librario è la biblioteca del convento di San Michele in
Isola (Venezia), che conserva libri riguardanti non solo l’ambito religioso (Bibbie in latino, messali,
testi agiografici), ma anche volumi che
spaziano dalla medicina, alla
matematica e ad altre discipline
scientifiche fino ad arrivare alla
filosofia con l’enciclopedia Margarita
philosophica. In quest’opera, utilizzata
come libro di testo nelle università
tedesche, ‹‹l’autore, Gregor Reisch,
vuole fornire una conoscenza
approfondita nelle discipline del trivio
e del quadrivio››.32 Al suo interno vi è
una vera e propria organizzazione del
sapere: infatti ‹‹l’esposizione sotto
forma di dialogo si svolge con un
ordine didattico; i libri seguono un
curriculum educativo che dai
rudimenti della lingua sale
progressivamente alle vette della
speculazione filosofica e metafisica:
[…] Nello schema delle discipline che
precede l’esposizione, tutto lo scibile viene fatto derivare dalla Philosophia, e le distinzioni all’interno
dello scibile corrispondono con le partizioni della Philosophia››.33 La biblioteca di San Michele
custodisce anche esemplari con ricchi apparati iconografici, ‹‹come ad esempio il Supplementum
Chronicarum del monaco agostiniano Giacomo Filippo Foresti››.34 L’autore ‹‹cerca di ricostruire la
storia generale di tutti i tempi fondendo le narrazioni degli storici e dei cronisti del passato››;
l’edizione ‹‹ha una tavola incisa in legno che raffigura i sei giorni della creazione entro incorniciatura
architettonica, la stessa che racchiude la pagina iniziale del testo››.35

32
FEDERICA BENEDETTI, La Biblioteca francescana di San Michele in Isola e le “Sue Biblioteche”, Milano, Edizioni
Biblioteca Francescana, 2013, p. 60.
33
ALFREDO SERRAI, Le classificazioni. Idee e materiali per una teoria e per una storia, Firenze, L. S. Olschki, 1977, pp.
55-56.
34
F. BENEDETTI, La Biblioteca francescana di San Michele in Isola e le “Sue Biblioteche”, p. 59.
35
Ibidem, cit.
13
Il patrimonio librario delle biblioteche
francescane con il passare dei decenni,
come si è già detto, diveniva sempre più
ricco ed eterogeneo.36 Alla fine del
Cinquecento, nonostante vi fosse la
tendenza ad osservare quelli che erano i
dettami della Controriforma,37 nel
panorama conventuale continuarono a
circolare anche testi che non rientravano
nell’ambito liturgico-devozionale.38 Da un
attento esame dei cataloghi delle
biblioteche dei conventi di Santa Maria
delle Grazie (Conegliano) e di San
Francesco (Ceneda) si può notare come la
letteratura occupasse un posto tutt’altro che
secondario. Oltre a Cicerone, la cui
importanza dal punto di vista pedagogico
era stata già sostenuta da Bernardino da
Siena, si attesta una massiccia presenza dei
principali autori di opere storiografiche tra
cui Sallustio, Livio, Valerio Massimo e anche Tucidide con le Storie del Peloponneso. Nel contempo
la biblioteca conserva anche testi che propongono una rivisitazione del mito come le Metamorfosi di
Ovidio, ed opere che rappresentano l’apoteosi del genere satirico: le Satire di Giovenale.
Anche il patrimonio librario in lingua volgare risulta alquanto ricco. Oltre ai capolavori della
letteratura come la Divina Commedia e la Gerusalemme liberata, troviamo anche opere come

36
Per garantire un’efficace fruizione, fu necessaria un’organizzazione in settori disciplinari. Questo processo era già
iniziato alla fine del XIII secolo quando, grazie al celebre trattato De proprietatibus rerum, Bartolomeo Anglico approntò
un sistema in cui erano integrate sia le discipline teoriche che le attività pratiche. De proprietatibus rerum è
un’enciclopedia del XIII secolo che raccoglie nozioni di diversi ambiti della conoscenza: teologia, astrologia e scienze
naturali. ‹‹In istis libellulis … de meo pauca vel quasi nulla apposui, sed omnia quae dicentur de libris authenticis
sanctorum et Philosophorum, excipiens sub brevi hoc compendio, pariter compilavi, sicut per singulos titulos poterit
legentium industria experiri››. Cit. BARTOLOMEO ANGLICO. De proprietatibus rerum, Kӧln, Koelhoff, 1481, fol IV.
37
Nel mirino della censura finirono anche le edizioni musicali, in particolar modo quelle che contenevano testi poetici di
argomento amoroso: ‹‹etiam censentur libri musicae, in quibus obscenae, & amatoriae cantiones continetur››. MARIA
LUISA CERRON PUGA, Censure incrociate fra Italia e Spagna: il caso Petrarca (1559-1747), ‹‹Critica del testo››, VI (2003),
pp. 221-256: 226 n. 18.
38
Nonostante vi fosse l’azione di personaggi come Francesco Berni che già nel 1526, nella sua opera Dialogo contro i
poeti, aveva anticipato un’acerrima critica nei confronti della letteratura d’argomento amoroso. CECILIA LUZZI, Censura
e rinnovamento cattolico nell’età della Controriforma: i travestimenti spirituali del Petrarca e il madrigale, in Atti del
Congresso internazionale di musica sacra, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2013, pp. 321-339: 322.
14
L’amorosa Fiammetta e le Novelle scelte di Giovanni Boccaccio e addirittura il Decamerone, anche
se quest’ultimo era registrato all’interno della classe dei libri proibiti.39
Tutto ciò ci conduce a due conclusioni: da un lato che i membri dell’ordine, avendo accesso ad un
patrimonio librario estremamente variegato, erano aggiornati sulle scoperte in ambito scientifico e
possedevano una conoscenza approfondita della letteratura classica e volgare; dall’altro dimostra
come questi conventi non fossero chiusi al mondo esterno ma anzi fossero perfettamente inseriti nel
fervido contesto dell’umanesimo.
Quest’apertura era facilitata anche dal fatto che essi spesso erano situati in luoghi che facevano parte
di un’ampia rete di scambi commerciali con altre città italiane ed estere, come avvenne, ad es., nel
caso di Camerino.40 La biblioteca del convento marchigiano presenta ‹‹un nucleo piuttosto folto
formato da testi storici e da classici latini e greci, ed inoltre largo spazio è dato alla letteratura
umanistica, con opere di Francesco Petrarca, Poggio Bracciolini, Francesco Filelfo e Marcantonio
Sabellico; una tale caratterizzazione potrebbe essere ascrivibile a due fattori: da un lato la presenza
dello studium›› attivo, secondo alcuni studiosi, sin dal XIII secolo ‹‹con insegnamenti di diritto civile,
diritto canonico, medicina e materie letterarie››; dall’altro lato la circolazione libraria potrebbe essere
stata favorita non solo dall’inserimento di Camerino in un’ampia rete commerciale, ma anche dai
numerosi spostamenti dei frati, ‹‹favorendo l’ingresso nella biblioteca di numerose edizioni
provenienti dalle località più disparate››.41
Fra gli ordini minoritici, coloro che apportarono il contributo più significativo dal punto di vista
culturale furono i conventuali. La motivazione principale è da ricercarsi innanzitutto nella
distribuzione sul territorio: ‹‹i Frati Conventuali […] hanno numerosi Conventi sparsi per ogni parte
della Christianità››;42 di conseguenza anche gli studia e le biblioteche annesse aumentarono in
maniera esponenziale, dando origine ad una rete sempre più solida e ramificata.
Per comprendere la loro denominazione bisogna considerare il significato del termine “conventuale”,
che ha subito un’evoluzione nel corso del tempo. Esso deriva da conventus che identificava il luogo
in cui si tenevano le assemblee a cui prendevano parte anche i cittadini, che di conseguenza erano
definiti “conventuali”. Se in origine il termine conventus era legato ad un contesto profano, nel
medioevo acquistò una connotazione sacra; infatti diventarono i luoghi in cui si riunivano i religiosi
mendicanti e i conventuales erano coloro che prendevano parte a tali adunanze. A partire dalla

39
F. BENEDETTI, La Biblioteca francescana, pp. 297, 298.
40
Cfr. ROSA MARISA BORRACCINI-SILVIA CALISTI ALESSANDRINI, I libri dei frati. Le Biblioteche dei Minori Conventuali
alla fine del secolo XVI dal codice Vaticano latino 11280, in Presenze francescane nel camerinese (secoli XIII-XVII), a
cura di Francesca Bartolacci e Roberto Lambertini, Ripatransone, Maroni, 2008, pp. 273-300: 288.
41
Ibidem, cit.
42
G. P. GIUSSANO, Vita di San Carlo Borromeo, p. 90. Nelle Marche alla fine del sedicesimo secolo si contavano ben
cento conventi contro i cinquanta dei Cappuccini e i quaranta degli Osservanti. Cfr. R. M. BORRACCINI-S. CALISTI
ALESSANDRINI, I libri dei frati, p. 276.
15
seconda metà del Quattrocento ‹‹il sostantivo conventus indicava a seconda del contesto: l’adunanza,
assemblea oppure l’edificio abitato dai Frati mendicanti. Il sostantivo aggettivato conventualis
designava un luogo annesso al convento, una persona abitante nel convento, l’Ordine dei Frati Minori
Conventuali››.43
Il conventualesimo potremmo quindi interpretarlo come ‹‹un sistema di vita sviluppatosi nei conventi,
per opera dei religiosi conventuali che li abitavano, di solito al centro delle città››.44
L’ufficializzazione del termine avvenne nel 1250 con la bolla papale Cum tamquam veri45 in cui
Innocenzo IV dichiara ‹‹ecclesiae vestrae omnes, ubi conventus existunt, conventuales vocentur››,
stabilendo quindi i diritti delle chiese collegiate tra cui conferire i sacramenti e custodire
l’Eucarestia.46
Lo stile di vita condotto dai membri dell’ordine subì alcuni cambiamenti nel corso del tempo. I
Conventuali, al contrario del modello austero seguito dai cosiddetti Eremitani e fondato su un ideale
contemplativo, privilegiarono uno stile di vita basato sulle attività di apostolato. Si distinsero nella
promozione ‹‹degli studi teologici universitari e relativi gradi accademici››.47 L’importanza attribuita
alla divulgazione può essere valutata dalle molte innovazioni che furono introdotte in materia
d’istruzione a partire dal Duecento sino alle soglie dell’età moderna. Sin da subito cercarono un
contatto con le istituzioni universitarie e nel 1220 fu promulgata una norma in base alla quale ‹‹ogni
convento avesse al suo interno una scuola affidata ad un lettore “ad publice legendum”››; già agli

43
PIO IANNELLI - FELICE AUTIERI, La Riforma nella chiesa post-tridentina ed un’esperienza innovativa dei frati minori
conventuali: i conventuali riformati, Montella, Biblioteca San Francesco, 2002, pp. 49, 50.
44
G. ODOARDI, voce “Conventualesimo”, Dizionario degli Istituti di Perfezione, vol. 2, col. 1711.
45
‹‹Cum tamquam veri et fideles Christi Ministri elegeritis vobis in domo Domini mansiones, dignum esse credimus ut
habitacula vestra inter alias honorabiles Congregationes fidelium statuamus. Hinc est igitur quod vestris supplicationibus
inclinati, praesentium auctoritate decernimus, ut Ecclesiae vestrae omnes, ubi conventus existunt, Conventuales vocentur:
concedentes vobis nihilominus licentiam, ut in ipsis Ecclesiis, ad opus Fratrum et Familiae vestrae habere libere
coemeteria valeatis. Nulli ergo omnino hominum liceat hauc paginam Nostrae concessionis et constitutionis infringere,
vel ei ausu temerario contraire. Si quis autem hoc attentare praesumpserit, indignationem Omnipotentis Dei, hac beatorum
Petri et Pauli Apostolorum eius se noverit incursurum. Datum Lugduni nonis Aprilis, Pontificatus Nostri anno septimo››.
ALOYSII TOMASSETTI, Bullarum Diplomatum et Privilegiorum Sanctorum Romanorum Pontificum, Augustae
Taurinorum, Seb. Franco, H. Fory et H. Dalmazzo editoribus, 1858, p. 542.
46
Cfr. P. IANNELLI- F. AUTIERI, I conventuali riformati, p. 49. ‹‹[…] Papa Innoncenzo IV diede loro una bolla colla quale,
togliendo ogni controversia, dichiara le chiese dei Frati chiese Conventuali, e per tanto dà loro il diritto del cimitero e
quel che alla dichiarazione va annesso sui diritti di cosiffatte chiese. Era insomma un doppio indulto, della sepoltura libera
pei secolari e del diritto delle chiese dichiarate collegiate. […] La Bolla di Papa Innocenzo era data nel 1250 in Lione, 24
anni appena dopo la morte del santo Fondatore, onde i Monasteri (i Conventi dei frati) fossero distinti dagli eremitori. La
parola non era nuova, né adoperata solamente per le chiese dei Frati Minori; la vediamo nel linguaggio delle Bolle dei
Pontefici che vennero di poi ad Innocenzo IV, adoperata eziando per le case degli altri Ordini Mendicanti, e come
distintivo delle religioni madri, che discendono immediatamente dai santi fondatori, dalle filiali nate di poi per pretesti o
ragioni di osservanza regolare. Le case dei Monaci avevano nella stessa parola monaco il nome della casa, monasterium:
le case dei mendicanti non avevano nome proprio, così fu ad essi appiccicato l’agnome di conventus; onde Conventuali
le chiese. Ed è bene notare come il lodato Pontefice, non motu proprio, ma a preghiera dei frati minori fornisse loro quella
Bolla, e dichiarando le chiese Conventuali, non imponesse da sé quel nome, ma perché lo vedea accettato dal diritto
canonico e dagli scrittori di quel tempo››. Cit. LUIGI PALOMES, Dei frati minori e delle loro denominazioni: Illustrazioni
e documenti al capo 19, vol. 2 della storia di S. Francesco d’Assisi, Palermo, A. Palomes, 1897, pp. 3-7.
47
G. ODOARDI, voce “Conventualesimo”, Dizionario degli Istituti di Perfezione, vol. 2, col. 1714.
16
inizi del XIV secolo ‹‹circa centotrenta scuole di teologia erano attive nei conventi italiani dei frati
predicatori››, garantendo una formazione completa mediante un percorso articolato in un triennio
dedicato allo studio delle arti liberali, un biennio impostato sull’apprendimento dello studium
naturalium ovvero la filosofia della natura e un quadriennio impostato sugli studi teologici.48
Un’organizzazione di questo tipo riflette l’importanza che i conventuali attribuirono alla formazione
attraverso l’istituzione degli Studia che erano lo specchio delle concezioni epistemologiche del
tempo.49

48
PAOLO ROSSO, ‹‹Fratres omnes bene vadant ad scolas››. La scuola conventuale di San Giovanni Battista di Saluzzo fra
Tre e Quattrocento, in Atti del convegno San Giovanni di Saluzzo. Settecento annni di storia, a cura di R. Comba, Cuneo,
Società per gli Studi Storici, Archeologici ed Artistici della provincia di Cuneo, 2009 (Marchionatus Saluciarum
Monumenta. Studi, X), pp. 97-131: 97, 99.
49
ROBERTO LAMBERTINI, Il sistema formativo degli studia degli Ordini mendicanti, in Die Ordnung der Kommunikation
und die Kommunikation der Ordnungen - Band, herausgegeben von Cristina Andenna, Klaus Herbers, Gert Melville,
Stuggart, Steiner, 2012, pp. 135-146: 140.
17
1.2 I luoghi e i personaggi del madrigale ‘francescano’

L’attività musicale ha sempre assunto un ruolo importante nella vita dei frati francescani sin dalla
nascita dell’ordine. Nella Compilatio Assisiensis, che insieme all’opera di Tommaso da Celano,50
costituisce una delle più importanti testimonianze manoscritte agiografiche inerenti il ‘poverello
d’Assisi’ si legge infatti:

All’epoca in cui il beato Francesco stava presso Rieti, alloggiando per alcuni giorni nella camera
di Teobaldo Saraceno per motivo del suo male d’occhi, disse una volta ad uno dei suoi compagni,
che nel mondo aveva imparato a suonare la cetra: “Fratello, i figli di questo secolo non sono
sensibili alle cose divine. Usano gli strumenti musicali, come cetre, arpe a dieci corde e altri, per
la vanità e il peccato, contro il volere di Dio, mentre nei tempi antichi i santi uomini li utilizzavano
per la lode di Dio e il sollievo dello spirito. Io vorrei che tu procurassi di nascosto una cetra da
qualche galantuomo, e mi facessi con essa una melodia adatta. Ne approfitteremo per
accompagnare le parole e le lodi del Signore. Il mio corpo è afflitto da una grande infermità e
sofferenza; così per mezzo della cetra, bramerei alleviare il dolore fisico, trasformandolo in letizia
e consolazione dello spirito” […].51

Da sempre i francescani avevano avvertito l’importanza della musica: non solo per quanto riguarda
il repertorio sacro – si veda il caso della lauda, considerata un mezzo fondamentale per la diffusione
del messaggio cristiano e della spiritualità francescana – ma anche nel repertorio profano essi si
mostrarono avvezzi all’attività sperimentale e all’esplorazione di nuove frontiere.
Tutto ciò però non interessò i tre ordini trasversalmente, i Cappuccini infatti, ‹‹fin dalla loro nascita,
a motivo del loro stile di vita eremitico, non ammisero la pratica del canto; ancora nel Cerimoniale
del 1882 è scritto: «Congregatio nostra formalis cantus non habet» ››.52 Coloro che invece si distinsero
furono i Frati Minori Conventuali, che, ‹‹abitando di preferenza nei grandi centri cittadini, furono in
grado di istituire nelle loro chiese grandi cappelle musicali (Padova, Assisi, Bologna, Venezia, Roma),

50
Tommaso da Celano può essere considerato il ‘biografo ufficiale” di San Francesco d’Assisi. ‹‹Iniziatore di tutta la
storiografia ufficiale francescana, uomo di grande cultura, poeta e oratore, entrato nelle file del francescanesimo intorno
al 1215, conobbe personalmente il Poverello […] Fu presente alla cerimonia della canonizzazione del santo nel 1228››.
Cit. PIETRO ZOVATTO, Storia della spiritualità italiana, Roma, Città Nuova Editrice, 2002, p. 51.
Al religioso si ascrive una trilogia composta nell’arco di circa venticinque anni ed organizzata in tre tomi: la Vita Prima
S. Francisci (1228/1229), la Vita Secunda S. Francisci (1246/1247), e dal Tractatus de miraculis S. Francisci (1247-
1257). Per un approfondimento: CHIARA FRUGONI, Tommaso da Celano biografo di San Francesco, ‹‹Storica››, XII
(2006), pp. 183-200.
51
La fonte è la Compilatio Assisiensis nella versione tradotta da Virgilio Gamboso con note di Feliciano Olgiati,
disponibile in http://www.paxetbonum.net/biographies/legend_perugia_ita.html.
52
PIERPAOLO FABBRI, Canto, musica e liturgia nella tradizione francescana, tesi di Baccalaureato, Pontificia Università
Lateranense Istituto teologico marchigiano-Ancona, A.A.2012-2013, p. 33.
18
che, nella maggior parte dei casi, erano dirette dai religiosi stessi››.53 Questa tendenza si manifestò
specialmente nel sedicesimo secolo quando cominciarono a sorgere alcuni centri di attività musicale
dell’ordine, che divennero il simbolo di una vera ‹‹palestra musicale ed una scuola, ove le tradizioni
si formarono e si stabilirono››.54 La figura che può essere considerata il capostipite di un’intera
generazione di madrigalisti francescani, attivi nelle aree della Lombardia, del Veneto e della Romagna
è Costanzo Porta. Egli, come vedremo, agì su due fronti: da un lato infatti dimostrò di essere un
grande didatta, non solo perché si preoccupava di fornire ai propri allievi un bagaglio di conoscenze,
ma perché li indirizzava anche nel loro percorso professionale. Dall’altro lato fu un compositore
molto prolifico e, anche se la sua produzione consta principalmente di opere sacre (tra esse ricordiamo
dodici prime edizioni e tre ristampe tra mottetti, introiti, litanie, messe, inni e salmi che apparvero
nella seconda metà del Cinquecento),55 il conventuale apportò un contributo significativo anche
nell’ambito della musica profana ed in particolar modo al genere madrigalistico. Al frate si ascrivono
ben cinque raccolte di madrigali edite tra il 1555 e il 1586: le prime quattro da Antonio Gardano,
mentre l’ultima apparve sotto il nome di Angelo Gardano.56 Alcuni madrigali furono intavolati da
Vincenzo Galilei (sia nell’edizione del Fronimo del 1568, sia in quella del 1584) e anche da Antonio
Terzi (nel suo Libro primo del 1593).57 La fama di Porta in qualità di compositore di musica profana
è attestata anche dalle numerose composizioni che appaiono all’interno di più di una trentina di
antologie, che ebbero diverse ristampe fino agli anni ’20 del Seicento.
Se osserviamo le dedicatorie delle raccolte di madrigali, possiamo notare che la maggior parte di esse
sono rivolte a personaggi della nobiltà, quindi figure esterne al mondo del convento. L’edizione del
Primo Libro de’ Madrigali a cinque voci rientra nel cosiddetto “periodo osimano”: fu proprio ad
Osimo che Porta ottenne il primo incarico di rilievo ovvero quello di maestro di cappella presso la
Cattedrale ove rimase per ben tredici anni58 e dove poté godere dell’appoggio della famiglia Della
Rovere, la casata ducale di Urbino.59

53
Ibidem, p. 42.
54
DOMENICO SPARACIO, Musicisti Minori Conventuali, ‹‹Miscellanea Francescana››, XXV (1925), pp. 13-29: 21, 22.
55
Cfr. OSCAR MISCHIATI, voce “Porta, Costanzo”, Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti,
parte II, le biografie, VI, Torino, U.T.E.T., 1968, pp. 88-89.
56
Primo libro de’ Madrigali a quatro voci, Venezia, Antonio Gardano, 1555; Primo Libro de’ Madrigali a cinque voci,
Venezia, Antonio Gardano, 1559; Secondo Libro de’ Madrigali a cinque voci, Venezia, Antonio Gardano, 1569; Terzo
Libro de’ Madrigali a cinque voci, Venezia, figli di Antonio Gardano, 1573; Quarto Libro de Madrigali a cinque voci,
Venezia, Angelo Gardano, 1586.
57
Cfr. TIZIANA MORSANUTO, La tradizione della musica madrigalistica di Costanzo Porta con l’edizione critica dei testi
poetici e del Primo libro di madrigali a cinque voci (1519), tesi di Dottorato in Musicologia, Università di Pavia-Cremona,
1995, p. 1.
58
LILIAN P. PRUETT, voce “Porta, Costanzo”, New Grove Dictionary of Music and Musicians, vol. 20 (2001), pp. 177-
180: 178.
59
Ibidem, cfr.
19
La famiglia dei Della Rovere tenne sempre in grande considerazione la musica: in un certo senso
Guidubaldo II si adoperò affinché il fervore culturale che Urbino aveva vissuto sotto il dominio di
Guidubaldo I da Montefeltro e il figlio adottivo Francesco Maria I della Rovere potesse proseguire
anche sotto la sua reggenza.60 A tal fine si circondò di musicisti e compositori di grande valore. Oltre
al già menzionato Costanzo Porta, vi furono anche Paolo Animuccia (maestro di cappella del duca
dal 1556 al 1569) e alcuni musicisti oltremontani tra cui Dominique Phinot (musico del duca d’Urbino
ante 1554-1556) e Jachet Bontemps (organista e costruttore d’organi dal 1555ca. al 1572).61 Tutto
questo non era comunque dovuto solo a ragioni di puro e semplice mecenatismo, ma Guidubaldo
mirava anche ad una sorta di autopromozione e quindi cercava di ‹‹confrontarsi convenientemente
con gli ambienti culturali della corte estense che poteva vantare fra i suoi musici nomi di spicco come
Josquin e Luzzaschi››.62 Alla corte di Guidubaldo II i musici ‘riservati’ si occupavano di diversi
settori: dalla musica liturgica all’intrattenimento, tramite l’organizzazione di intermedi e di
commedie63 fino ad arrivare all’insegnamento.64 Costanzo Porta, congiuntamente all’incarico di
maestro di cappella, fu l’istitutore musicale della figlia di Guidubaldo, Virginia, che molto
probabilmente fu istruita nell’arte del contrappunto, del canto e apprese nozioni di teoria musicale. A
lei Porta dedicò Il primo libro di madrigali a cinque voci (1559) in cui ‹‹i testi poetici musicati da
Porta cantano le lodi non solo dell’allieva, ma anche quelle del duca Guidubaldo II e probabilmente
della duchessa Vittoria, testimoniando la precisa volontà del compositore di farsi strumento di
propaganda nel mondo della gloria del casato roveresco e, di riflesso, anche della sua››.65
La capacità didattica di Porta era molto apprezzata dal duca d’Urbino e ce ne rende testimonianza la
lettera che fu inviata nell’ottobre 1573 da Porta allo stesso Guidubaldo II:

Ill.mo et ecc.mo s.or et Padron mio Colen.mo


Scrissi a’ di passati allo Illustr. S.or Conte Pietro in che termine si ritrovava Terentio circa alle
cose del contrapunto et del comporre. Perciò non replicherò di nuovo all’ecc.a V. Ill.ma quanto
m’occorse dirgli allhora poi ch’io credo che ella ne sia beniss.o raggagliata. Solamente le dirò
che, s’egli attenderà allo studio, come a lui stesso ho sempre detto et assai fatto istanza, potrà col
lume acquistato intorno a ciò caminar di bene in meglio et comparir in breve tempo fra
valent’huomini di quest’arte. L’ecc.a V. Ill.ma mi comandi, che humilmente la prego, sì come di
continuo ho pregato et vi prego con tutto il cuore la Divina Buontà, che la preservi et le doni

60
T. MORSANUTO, La tradizione della musica madrigalistica di Costanzo Porta, p. 25.
61
FRANCO PIPERNO, Guidubaldo II della Rovere. La musica e il mondo: lo studio della committenza musicale e il caso
del ducato di Urbino, «Il Saggiatore Musicale», IV (1997), 249–270: 257; FRANCO PIPERNO, L’immagine del duca. musica
e spettacolo alla corte di Guidubaldo II duca d'Urbino, Firenze, L. S. Olschki, 2001, p. 115.
62
T. MORSANUTO, La tradizione della musica madrigalistica di Costanzo Porta, p. 26.
63
È l’‹‹immagine di una corte intenta a rispettare appuntamenti a cadenza annuale con finalità di intrattenimento
(commedie con intermedi e moresche a carnevale e a primavera, feste da ballo con spettacoli occasionali d’estate) e a
utilizzare il teatro, unitamente alla musica, come ineludibile complemento a cerimoniale esatto da occasioni di rilevante
pregnanza dinastica o diplomatica››. FRANCO PIPERNO, Musiche in commedia e intermedi alla corte di Guidubaldo II
Della Rovere duca di Urbino, ‹‹Recercare››, 10 (1998), 151-171: 152.
64
F. PIPERNO, L’immagine del duca, p. 119.
65
T. MORSANUTO, La tradizione della musica madrigalistica di Costanzo Porta, p. 29.
20
contentezza sempre. | Di ravenna li III d’Ottob.o del 1573 | Di V. ecc.a Ill.ma Divotiss.o et
perpetuo S.tor | f. Cost.o Porta66

I rapporti che il maestro cremonese ebbe con la corte dei Della Rovere sono attestati non solo dalle
dedicatorie della sua produzione a stampa,67 ma anche da altre due fonti documentarie.
La prima è una lettera che il poeta Bernardo Tasso68 inviò il 9 Novembre 1556 a Vincenzo Laureo,
medico del cardinale Tornone:

A questo fine vi mando questi duo Sonetti che mi sono venuti fatti in laude dell’Eccellentiss. Sig.
Duca, per soddisfare a un Maestro di Cappella [Costanzo Porta]69 c’ha tolto S. Eccell.
novamente.70

La seconda testimonianza è una lettera del I gennaio 1567 che Porta inviò al cardinale Giulio Della
Rovere e in cui affermò di essere stato in passato al servizio di Guidubaldo (fratello del cardinale):
Dappoi che mi partii dal servizio del illustrissimo signor duca fratello di sua signoria illustrissima
e reverendissima non solamente ho desiderato ritornar a servizio di questa casa illustrissima, ma
longo tempo ne ho pregato Nostro Signore Dio.71

L’importanza di tali documenti risiede nella maniera in cui essi definiscono i termini del legame tra
Porta e la corte pesarese. Avremo modo di osservare che i Della Rovere ricopriranno un ruolo molto
importante nella vita professionale di Costanzo Porta, che ottenne il primo incarico di rilievo il 9
gennaio 1565 quando fu nominato maestro di cappella presso la Basilica di Sant’Antonio a Padova.
Tale cappedlla aveva vissuto fino a quel momento in una condizione di decadenza: le ingenti somme
spese per la manutenzione avevano messo a rischio la situazione finanziaria dell’istituzione e per tale

66
I-Fas: Archivio Urbinate, Cl. I, Div. G, Filza 176, c. 346r, la lettera è cit. in T. MORSANUTO, La tradizione della musica
madrigalistica di Costanzo Porta, p. 54.
67
Oltre alla raccolta di madrigali dedicata alla figlia del duca, vi è anche il Liber primus motectorum quatuor vocum che
è dedicato a Guidubaldo II.
68
«La eccellenza dell’ingegno, e la disposizione per gli studj, che egli sino alla fanciullezza diede a conoscere,
obbligarono il Padre a non gli mancar d’attenzione, né d’alcuno di que’ mezzi, che servir potessero al suo avanzamento.
[…] si diede a coltivare la Poesia e l’Eloquenza Italiana, spintovì sì dal proprio genio, come dall’esempio del Bembo […].
Così componendo egli elettissimi versi con uno stile pieno di certa dolcezza, e fecondità sua propria, cominciò a rendersi
famoso per tutta Italia, e ad acquistarsi la stima non pur de’ Letterati, ma de’ gran Signori ancora de’ Principi. […]
s’acconciò per Segretario col Conte Guido Rangone Generale della Chiesa […]». BERNARDO TASSO-LODOVICO DOLCE-
PIERANTONIO SERASSI-TORQUATO TASSO, L’Amadigi di M. Bernardo Tasso colla vita dell'Autore e varie dell'Opera,
Bergamo, Pietro Lancellotti, 1755, pp. II-VII.
69
F. PIPERNO, L’immagine del duca, pp. 74, 75.
70
Cit. BERNARDO TASSO, Delle Lettere di M. Bernardo Tasso, Padova, Giuseppe Comino, 1733, p. 231.
71
Lettera riportata da Piperno, cfr. F. PIPERNO, L’immagine del Duca, p. 75. Il cardinale Giulio Della Rovere (1553-1578),
fratello del duca d’Urbino Guidubaldo II, fu anch’egli ‹‹promotore e coordinatore di un’ampia circolazione di cantanti e
musicisti fra Roma, le Marche e la Romagna››. A lui furono dedicate molte edizioni di musica sia sacra che profana, e fu
‹‹protettore di artisti illustri come Costanzo Porta o Cesare Schieti nonché di uno stuolo di figure minori che a lui
chiedevano aiuti, raccomandazioni, benefici››. FRANCO PIPERNO, I Privati Diletti Musicali Di Giulio Della Rovere
Cardinal d’Urbino, in Musikwissenschaft im deutsch-italienischen Dialog: Friedrich Lippmann zum 75. Geburtstag
(Kassel: Bärenreiter, 2010), pp. 53–73: 53. Nel 1575 Giulio Della Rovere, vescovo di Ravenna, incaricò Costanzo Porta
di comporre messe che fossero “brevi e che fossero concepite in una maniera tale da rendere il testo facilmente
comprensibile.” Cfr. CRAIG MONSON, Renewal, Reform, and Reaction in Catholic Music, in European Music, 1520-1640,
edited by James Haar, Woodbridge, The Boydell Press, 2006, pp. 401-421: 408, 409.
21
ragione la cappella musicale era stata temporaneamente soppressa.72 L’intenzione dei deputati non
era solo quella di ricostruire la cappella, ma anche quella di trovare una figura che fosse in grado di
garantire una sorta di stabilità, visto che i ‹‹quattro anni che seguirono la rifondazione furono
caratterizzati da un clima di totale›› precarietà.73 Costanzo Porta sembrava essere il più adatto per
quest’incarico, considerati anche i suoi brillanti trascorsi a Osimo. La sua esperienza al Santo fu
tuttavia contraddistinta anche da tensioni e ostacoli che ebbero origine sin dalla nomina a maestro di
cappella. Nonostante i deputati dell’Arca del Santo avessero comunicato l’esito dell’elezione
celermente, Porta chiese una serie di ulteriori proroghe. Passeranno diversi mesi prima che il frate
prenda effettivamente servizio. La situazione andò avanti in questo modo fino al 14 marzo 1565, il
comportamento del frate cominciò ad essere considerato negativamente, di conseguenza fu presa la
decisione di ritenere non valida la sua elezione; per far sì che tale provvedimento non fosse attuato,
il fratello di Costanzo Porta, Bernardino, firmò a Padova la ‹‹condotta›› del conventuale che avrebbe
avuto decorrenza da Pentecoste.74 Esattamente un mese dopo, Porta si presentò dinanzi al ‹‹notaio
della Ven. Arca, dicendosi pronto a incominciare la condotta nel cantare e nell’insegnare, come gli
era stato stabilito nel capitolario››.75
In realtà tutto il periodo della permanenza al Santo sarà contraddistinto dalla volontà del frate di
allacciare rapporti con altre istituzioni; probabilmente il suo intento era quello di riuscire a trovare un
ambiente che potesse permettergli di esprimere appieno le sue doti, e cambiare radicalmente la propria
condizione.
Il contesto patavino non era in linea con le aspettative di Porta, nonostante il conventuale avesse
dedicato ai canonici gli Introiti per tutte le festività dell’anno, con la speranza di riuscire ad ottenere
il ‹‹magistero della vicina cattedrale››,76 essi espressero solo un semplice ringraziamento.77
L’8 Maggio dello stesso anno, il generale dell’Ordine padre Antonio de’ Sapienti di Aosta richiese la
presenza di Porta ‹‹per far musica in Fiorenza questa Pentecoste dovendosi ivi fare il capitolo generale
di questo ordine››.78 Questa era un’occasione che il maestro non poteva farsi sfuggire, visto che al
capitolo sarebbero stati presenti anche membri della famiglia Medici tra cui Cosimo de’ Medici e il
figlio Francesco, ai quali fu dedicata la Missa Ducalis a tredici voci.79

72
Cfr. FRANCESCO PASSADORE, Costanzo Porta maestro di cappella a Padova, ‹‹Il Santo››, XLIV (2004), pp. 39-49: 40.
73
SERGIO DURANTE - PIERLUIGI PETROBELLI, Storia della musica al Santo di Padova, Vicenza, Neri Pozza, 1990, p. 44.
74
Ivi, p. 45.
75
Cit. ANTONIO. GARBELOTTO, Il Padre Costanzo Porta da Cremona OFM, Miscellanea francescana, LV (1955), pp. 88-
266: 110.
76
Ivi, p. 112.
77
Cfr. GINO ZANOTTI, Costanzo Porta: note biografiche, ‹‹Il Santo››, XLIV (2004), pp. 13-20: 15.
78
Atti e Lettere dei Presidenti ed ai Presidenti, 63, fasc. III [manca la paginazione]. Cfr. A. GARBELOTTO, Il Padre
Costanzo Porta da Cremona OFM, p. 140.
79
‹‹The music, a Mass setting unique to this source, expands from a thirteen-voice texture by the addition of an extra
voice in the Agnus Dei produced by the generation of a canon at the unison by the cantus firmus. The text of this cantus-
22
La situazione, tuttavia, non subì alcun cambiamento, infatti saranno i rapporti che aveva allacciato
con i Della Rovere a Osimo che, come abbiamo già detto, costituiranno un importante opportunità
per la carriera di Porta. Il biennio al Santo di Padova si concluse nel 1567 in quanto il cardinale Giulio
Della Rovere, con l’obiettivo di uno sviluppo della cappella musicale della cattedrale di Ravenna,
decise di affidare a Porta la direzione del Seminario e della Cattedrale.80
La situazione nell’ambiente ravennate si rivelò totalmente diversa al punto che si verificò un
incremento della produzione del compositore. In questi anni furono pubblicati due raccolte profane,
il Secondo libro di madrigali a cinque voci (1569)81 e il Terzo libro di madrigali a cinque voci
(1573),82 mentre un libro di mottetti a sei voci (1571) fu dedicato ancora una volta ad un membro
della famiglia dei Della Rovere: il cardinale Giulio Della Rovere.
Egli nutriva profonda stima nei confronti di Porta, come si può evincere da un estratto della lettera
che il cardinale inviò il 19 Febbraio 1569 al Suffraganeo:
[…] provediate che Mastro Costanzo habbia tutte le comodità, che convengono per insegnare ai
putti, et che possa valersene in Chiesa per servitio della musica, secondo che li parerà più a
proposito, et acciò il tutto passi con decoro, scrivo al Rettore, che nel dare tempo ai Maestri et nel
resto facci quanto gli ordinate voi […].83

firmus does not follow the liturgy as do the other voices but rather, throughout the work, intones a plea for Divine
protection for Cosimo I and his son and heir Francesco “Protege Cosmum ducem principemque Franciscum››. Cit. IAIN
FENLON, Music, piety and politics under Cosimo I: the case of Costanzo Porta, in Firenze e la Toscana dei Medici
nell’Europa del ‘500, vol. 2, Firenze, Olschki, pp. 457-466: 458.
80
Il Seminario fu istituito nel 1567 ed ebbe sin da subito un’organizzazione efficiente. La cooperazione tra le due
istituzioni funzionava alla perfezione: la Cappella infatti poteva disporre dei cosiddetti putti cantori preparati e ben istruiti
anche nell’arte musicale. Il secondo provvedimento del cardinale riguardò il rinnovamento dello stile musicale. A tal fine
era necessario un maestro di cappella che fosse all’altezza di tale incarico: per tale ragione fu selezionato Costanzo Porta
come maestro di musica sia del Seminario che della Cappella. Cfr. RENATO CASADIO, La Cappella Musicale della
Cattedrale di Ravenna, ‹‹Note d’archivio per la storia della musica››, XVI (1939), pp. 136-185: 141, 142.
81
L’edizione del II Libro di Madrigali a cinque voci fu il frutto della volontà di don Floriano Limiti di creare una raccolta
di madrigali di Costanzo Porta per omaggiare don Teseo Aldrovandi, abate di S. Giovanni Evangelista in Ravenna. Di
seguito si riporta la descrizione di Aldrovandi: ‹‹Uomo celebratissimo per la sua erudizione […]. Si vestì Don Teseo del
nostro Abito in età presso a ventiquattro anni in Bologna al 19 di Marzo, giorno festivo di S. Giuseppe, del 1541; indi a
non molto fu inviato alla Canonica di Nicosia, che è fuor di Pisa, dove poscia fece la solenne sua Professione […] fu indi
a non molto promosso al Governo, e alle Prelature della nostra Congregazione; poiché fu Abate assai benemerito di
Ravenna, e di altri luoghi ancora››. GIOVANNI GRISOSTOMO TROMBELLI, Memorie Istoriche Concernenti Le Due
Canoniche di S. Maria Di Reno, e di S. Salvatore Insieme Unite, Bologna, Girolamo Corciolani, 1752, pp. 256, 257.
82
‹‹In questo libro […] raccoglie madrigali in cui sono ancora vivi echi di vita ravennate come l’assegnazione di nuove
cariche per Giulio Della Rovere (Fuggan le nevi n. 1), […] e la testimonianza di contatti con altri poeti molto vicini alle
corti roveresche e quindi al cardinal Giulio a Ravenna ma anche a Fossombrone, a Guidubaldo II, Lucrezia d’Este e
Vittoria Farnese a Pesaro, Urbino, Casteldurante e Ferrara […]››. Cfr. T. MORSANUTO, La tradizione della musica
madrigalistica di Costanzo Porta, p. 51.
Il dedicatario dell’edizione è il S. Ercole Cattabene, canonico di S. Pietro in Roma, aveva ottenuto tale incarico sotto il
pontificato di Gregorio XIII, mantenne sempre contatti con l’ambiente ravvenate, in modo particolare in molte lettere si
attesta che teneva regolarmente informato il cardinale Della Rovere su questioni inerenti sia lo stato della cattedrale di
Ravenna che il seminario. In una lettera datata 24 Febbraio 1576, il cardinale Della Rovere scrive al Suffraganeo ‹‹Venne
messer Hercole et mi diede conto della fabbrica et dell’organo che mi fu gratissimo ecc.››. Ed ancora in un’epistola del
13 Febbraio 1569 è messo in evidenza il ruolo di intermediario che Cattibene svolgeva tra il seminario ravvenate e il
cardinale Della Rovere, facendo a volte anche le veci del cardinale: ‹‹[…] M. ro Costanzo è sdegnato et vorrebbe partire
ma oltre quello che messer Hercole li risponde d’ordine mio, li scrivo io ancora quatto versi, dicendoli che non si pensi
che in modo alcuno non voglio darli licenza. […]››. Le due lettere sono riportate da Casadio, cfr. R. CASADIO, La Cappella
Musicale della Cattedrale di Ravenna, pp. 175, 227.
83
Lettera riportata da Casadio, cfr. R. CASADIO, La Cappella Musicale della Cattedrale di Ravenna, p. 176.
23
In effetti la fiducia del cardinale era ben posta: il frate con le sue capacità organizzative e le sue doti
didattiche riuscì ad innalzare il livello della cappella, che divenne una delle prime istituzioni di questo
tipo in Italia. Purtroppo le continue resistenze del rettore del seminario non tardarono a manifestarsi.
Costui mostrò più volte il suo disappunto su diversi aspetti della condotta di Porta: giudicò
inappropriato il numero di ragazzi che aveva incluso nel coro e criticò anche l’organizzazione
dell’insegnamento musicale che a parer suo intralciava gli altri magisteri.
Nonostante questi dissidi, il cardinale Della Rovere continuò a sostenere la condotta del frate; godere
dell’appoggio di una figura ai vertici della gerarchia ecclesiastica rappresentò un enorme vantaggio
per Porta. Il mecenatismo musicale dei due fratelli Guidubaldo e Giulio influiva sia sulla carriera
artistica che sul conferimento di incarichi di prestigio ai musicisti che erano sotto la loro protezione.
Era un’efficace e importante risorsa per gli artisti che gravitavano a corte dal momento che apriva
loro innumerevoli possibilità. I Della Rovere gestivano tre dei maggiori centri di produzione ed
esecuzione della musica polifonica. Oltre alla corte di Guidubaldo II, vi erano infatti la Cattedrale e
il Seminario di Ravenna, la Cappella del SS. Sacramento nella Cattedrale di Urbino ed infine la
cappella musicale della Santa Casa di Loreto.84
Considerati gli ottimi risultati che Porta aveva ottenuto a Ravenna, il cardinale, ‹‹protettore e
amministratore della basilica lauretana››,85 lo volle nella cappella musicale di Loreto per ‹‹rialzarvi
le sorti musicali››.86 La cappella a differenza di quella ravennate aveva già una tradizione consolidata.
Il maestro Joannes Pyonnier era direttore del coro dal 1541, maestro di cappella dal 1564 e mantenne
tali incarichi fino alla morte avvenuta il 17 Novembre 1573.87 Il cardinale ancora una volta ripose la
sua fiducia in Costanzo Porta ritenuto degno successore di Pyonnier.
La permanenza del conventuale in qualità maestro di cappella a Loreto durò ben cinque anni (1574-
1579) e coincise nel 1575 con l’indizione del Giubileo da parte di papa Gregorio XIII, 88 per tale
circostanza gli fu affidato l’incarico di comporre alcune messe, nel 1578 vi fu la pubblicazione del
Missarum liber primus opera in cui ‹‹brevità melodica e chiarezza del testo sono sintesi geniali, sì
che le messe furono in ogni tempo eseguite con vero godimento d’intelligenti e di uditori››.89

84
Cfr. VALERIO MORUCCI, Cardinals’ Patronage and the Era of Tridentine Reforms: Giulio Feltro Della Rovere as
Protector of Sacred Music, in ‹‹The Journal of Musicology››, 29 (2012), pp. 262-291: 265.
85
G. ZANOTTI, Costanzo Porta: note biografiche, p. 15.
86
A. GARBELOTTO, Il Padre Costanzo Porta da Cremona OFM, p. 121.
87
Cfr. L. P. PRUETT, voce “Porta, Costanzo”, New Grove Dictionary of Music and Musicians, p. 179.
88
Probabilmente il cardinale Della Rovere scelse Porta perché costui godeva della sua piena fiducia, ‹‹avendolo il
cardinale ‘collaudato’ nel ruolo di maestro di cappella del duomo di Ravenna […]››, e nel contempo era un ‹‹religioso
(minore conventuale: e Giulio Della Rovere era divenuto protettore dei conventuali nel dicembre 1572), dunque votato al
celibato e poteva vantare un cospicuo catalogo di polifonia sacra pubblicata a stampa››, cit. in FRANCO PIPERNO, Loreto,
1573: come, perchè e fra quali candidati scegliere il nuovo maestro di cappella, in Finchè non splende in ciel notturna
face, a cura di Cesare Fertonani, Emilio Sala, Claudio Toscani, LED Edizioni Universitarie di Lettere Economia Diritto,
2009 (Cantar Sottile), pp. 343-352: 322.
89
Cfr. A. GARBELOTTO, Il Padre Costanzo Porta da Cremona OFM, p. 125.
24
La produzione di questo periodo rientra nell’ambito sacro,90 dovremo attendere il suo ritorno a
Ravenna per la pubblicazione dell’ultimo libro di madrigali Il quarto libro di madrigali a cinque voci
(1586) ad opera dell’allievo ravennate don Marsilio Cristofori da Fossombrone.

DI CONSTANTIO PORTA | IL QUARTO LIBRO | De Madrigali à Cinque Voci, | Novamente da


Marsilio Cristoffori raccolti, | & dati in luce. | Al Molto Illustre e & Reuerendiss. Monsig. Biagio
Cangi | Dignissimo Coppiere di Nostro Signore. | [marca tipografica] | In Venetia Appresso Angelo
Gardano | M. D. LXXXVI.

Il dedicatario dell’edizione è un tale Monsignor Biagio Cangi, figura pressoché sconosciuta se si


esclude il Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, in cui Gaetano Moroni alla voce
“Fossombrone” sostiene che ‹‹Biagio Cangi [fu] fatto arcivescovo di Efeso ne 1587, da Sisto V di cui
era cameriere d’onore››,91 e il VII tomo della Biblioteca Universale Sacro-Profana, Antico-Moderna
dove il padre Vincenzo Coronelli ci fornisce alcune informazioni dettagliate inerenti Cangi e le sue
origini:
Cangi famiglia riguardevole, ora estinta della Città di Fossombrone, di cui si tiene per tradizione,
che fosse il magnifico, e grande Palazzo, esistente fino a questi giorni nella parte di detta Città,
chiamata il Borgo vicino alla porta, che conduce a Cagli, e Urbino. Di questa Casa v’è stato
l’ultimo Germoglio nel 1586 il quale fu Cameriere Segreto di Sisto V che l’avrebbe promosso a
cariche superiori, se avesse avuta sufficiente capacità.92

I collegamenti tra Cangi (dedicatario dell’edizione), Porta (autore dei madrigali) e don Marsilio
Cristofori sono stati spiegati da Tiziana Morsanuto nel modo seguente.
Cristofori era stato allievo di Porta nel periodo ravvenate;93 nella dedicatoria dell’edizione si dice
infatti: ‹‹vengo hora col nome di V. Sig. molto illustre et Reverendis. à publicar questi Madrigali, da
me à questo effetto raccolti […], composti dal Molto Reverendo Padre Maestro Costanzo Porta
Minorita Conventuale, mio Maestro […]››. Porta, inoltre, era stato anche al servizio della famiglia
Cangi e nella dedicatoria emerge anche tale aspetto: ‹‹[…] sono stato affettionatissimo servitore del
Sig. Ludovico suo fratello et di tutta casa sua […]››.
Morsanuto trae quindi le seguenti conclusioni:

Possiamo ipotizzare che quel servizio presso la famiglia Cangi sia stato precedente alla venuta di
Cristofori a Ravenna avvenuta intorno al 1579 e che la sua chiamata presso la cappella ravennate
possa esser stata suggerita o dallo stesso Giulio Della Rovere prima della morte e/o dagli stessi

90
Porta fu autore di quindici messe, delle quali solo dodici furono pubblicate nel 1578. Inoltre a questo periodo risalgono
anche Litaniae Deipirae Virginis Mariae quae in Alma Domo Lauretana decantari solent cum musica 8 vocum (1575) e
il Liber quinquaginta duorum Motectorum 4-8 vocum (1580). Cfr. O. MISCHIATI, voce “Porta, Costanzo”, Dizionario
Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti, p. 89.
91
GAETANO MORONI ROMANO, voce "Fossombrone", Dizionario di Erudizione Storico-Ecclesiastica da S. Pietro sino ai
nostri giorni, vol. 25 (Venezia, Tipografia Emiliana, 1844), p. 25.
92
VINCENZO CORONELLI, voce "Cangi", Bibilioteca Universale, Sacro-Profana, Antico-Moderna o sia Gran Dizzionario,
diviso in tomi quarantacinque, tomo VII (Venezia, s.n., 1706), p. 1031.
93
Cfr. R. CASADIO, La Cappella Musicale della Cattedrale di Ravenna, p. 145.
25
Cangi i quali dovevano essere in contatto anche con Porta dal momento che il compositore musica
in onore di Biagio il primo dei madrigali del Quarto Libro.94

Questa sembrerebbe essere l’ipotesi più plausibile: essere discepolo di un compositore del calibro di
Costanzo Porta costituiva un importante punto di partenza per una promettente carriera. Inoltre Porta
dimostrò sempre una grande ‹‹capacità di guidare nelle scelte lavorative gli allievi, arrivando a creare,
più o meno volontariamente, un circuito di compositori e maestri di cappella che comprendeva molte
cappelle musicali del nord-est (una specie di linea Marche-Romagna-Veneto-Lombardia, che aveva
la sua principale giustificazione nella localizzazione dei maggiori centri francescani)››.95 In particolar
modo le città dell’Italia settentrionale furono dei veri e propri centri propulsori dell’attività dei
francescani, soprattutto grazie all’operosità mostrata da Porta, che ‹‹ebbe molti scholari che per
mezzo delle stampe diedero saggio del loro profitto fatto sotto un sì ragguardevole maestro››.96
Durante il biennio al Santo di Padova, il primo nome che emerge tra i suoi allievi è quello di Ludovico
Balbi (Venezia, 1545 - ante 15 Dicembre 1604), uno tra i prediletti del maestro cremonese che lo
segnalò spesso per la copertura di posti di rilievo. In una lettera del 5 Novembre 1573 del cardinale
Giulio Feltrio Della Rovere ai conventuali di Santa Maria Gloriosa dei Frari, si enfatizza la serietà e
l’onestà di Balbi definito come uomo ‹‹degno di essere accettato nel numero de’ Padri del
convento››.97
Attraverso tale documento fu appoggiata la nomina di Balbi, che divenne membro dei minori
conventuali nel monastero di Santa Maria Gloriosa dei Frari nel 1573; ma ‹‹non essendo certo usuale
che un cardinale intervenisse personalmente per raccomandare un novello frate, la lettera potrebbe
interpretarsi come la prima, indiretta testimonianza del ruolo svolto dal suo maestro››.98
Altra prova tangibile dell’intervento di Porta è la lettera del 1579 dalla quale si evince con esattezza
la data di nascita di Balbi:
Ill. mo et Rev. mo Mons. or S. or et Padron mio oss. Mo. | Tanto è il desiderio mio, che V. S. Ill.ma
sia ben servita di M.ro di Cappella, siccome ella mi disse per servitio della Chiesa sua Haverne
buona volontà che scrissi poco poi in Venetia a un Padre dell’ordine nostro che si chiama per suo
nome frate Lodovico Balbi, di natione veneto huomo d’anni in circa trentaquattro sacerdote di
buoni costumi et che è in molta stima apresso tutti i musici di quella citta; […]
Di Loreto li VII di Novemb. A. 1579. | Di V. S. Ill.ma et Rev.ma |
humiliss. o S.or | Fra Constantio Porta. 99

94
Cfr. T. MORSANUTO, La tradizione della musica madrigalistica di Costanzo Porta, p. 75.
95
MARIA LUISA BALDASSARI, Costanzo Porta: la Scuola, ‹‹Il Santo››, XLIV (2004), pp. 85-91: 86.
96
GIOVANNI BATTISTA MARTINI, Esemplare o sia saggio fondamentale pratico di contrappunto fugato, parte II, Bologna,
Dalla Volpe, 1776, p. 265.
97
GIOVANNA BORELLI, I concerti ecclesiastici di Ludovico Balbi, tesi di diploma, Università di Parma-Cremona (Scuola
di Paleografia e Filologia Musicale), 1963, pp. 4-5.
98
Cit. ALBERTO DA ROS-STEFANO LORENZETTI, Balbi e Il suo tempo, Lucca, Libreria Musicale Italiana, 2011, p. 29.
99
Cfr. A. GARBELLOTO, Il Padre Costanzo Porta da Cremona OFM, p. 129.
26
Nel documento epistolare Costanzo Porta cercava di favorire la nomina di Ludovico Balbi a maestro
di cappella presso il duomo di Milano, anche se quest’ultimo, nella lettera del 31 ottobre 1579,100 si
mostrò poco incline a lasciare Venezia, città in cui ricopriva il ruolo di maestro di cappella presso la
Chiesa dei Frari. Anche se Balbi nel 1580 concorse per il ruolo di maestro di cappella presso la
cattedrale di Padova, che nonostante il sostegno di Porta non ottenne, si trasferirà nella stessa
istituzione solamente nel 1585, mantenendo tale incarico per un quinquennio.101
In generale la figura di Costanzo Porta giocò sempre un ruolo chiave nella vita professionale di
Ludovico Balbi. In Historiarum Seraphicae Religionis, scritto da Pietro Ridolfi, vescovo di Senigallia
si dice:
F. Constatius Porta Cremonensis Musicus hoc temporeggiare insignis Magister Capellae
Lauretanae modulationes quasdam laude dignas composuit anno 1578. Reliquia post se insignis
discipulos, Inter caeteros floret sub hoc tempore Paduae Lodovicus Balbus Venetus eius
aemulator, qui suis modulationibus ubique acceptus est.102

Attraverso queste parole, e in modo particolare con l’appellativo «eius emulator», è come se venisse
legittimata pubblicamente l’opera di Balbi in quanto discepolo di Porta.103
La sua produzione consiste prevalentemente in edizioni di musica sacra, mentre il repertorio profano
include due libri di madrigali a quattro voci e il Musicale Essercitio.
Il primo libro di madrigali, edito da Angelo Gardano nel 1570, raccoglie venticinque madrigali a
quattro voci e la dedica a Vito da Dorimbergo recita:104
AL CLARISSIMO ET ILLUSTRE SIGNOR | IL SIGNOR VITO DE DORIMBERGO,
BENEMERITO | Cavalliero Aureato, & Archiducale Consigliero, e di S. C. M. Oratore dignissimo: |
Appresso alla Illustrissima S. di Venetia. Signor mio Gratiosissimo.

Perche li veri, e fedeli servitori si sogliono dalli effetti conoscere, io Signore Illustrirrimo, essendovi tale (come
veramente vi sono) e portandovi quell’amore, e riverenza, che ad’uno tanto illustre signore si conviene,
indegno molto mi riputerei della gratia sua, quando con qualche forte di effetto tale non mi dimostrasse, quale
io sono tenuto. Laonde havendo prodotto la fatica de miei studi alquanti Madrigali, dicevole cosa all’officio
mio ho riputato il volere a lei prima, che ad’ogni altro, quali elli siano porgerli, e dedicarli, non come cosa di
lei degna, ma come picciolo segno del desiderio, che io porto di sempre fedelmente servirla, & di sempre
honorarla, il quale e tale, che avanza di gran lunga, & avanzerà in ogni tempo ogni mia forza. Si degnerà
adunque V. S. Illustr di accettare, & di agradire queste sue tante virtù si adorna, e rende cara ad ognuno. | Di
Venetia il di Primo di Maggio 1570. | Di V. S. Illustre | Devotissimo servitore | Ludovico Balbi.

Vito da Dorimbergo, nato a Gorizia nel 1529, ricoprì il ruolo di ambasciatore imperiale al servizio
degli Asburgo. Nel 1551, per essersi distinto in alcune missioni in Germania e ‹‹lungo il confine

100
Cfr. A. DA ROS-S. LORENZETTI, Balbi e il suo tempo, p. 30.
101
Cfr. S. DURANTE-P. PETROBELLI, Storia della musica al Santo di Padova, p. 58.
102
Cfr. A. DA ROS-S. LORENZETTI, Balbi e il suo tempo p. 29.
103
Ivi, p. 30.
104
Il nome originario è Dornberg; la famiglia di Dorimbergo aveva infatti origini franconi-stiriane e alla fine del XIII
secolo ‹‹era entrata al servizio dei conti di Gorizia, ottenendo la signoria del castello situato a metà della valle del Vipacco,
che da essa prese il nome (ora Donberk, già Montespino)››. SILVANO CAVAZZA, voce “Dornberg (Dorimbergo), Vito”, in
Dizionario Biografico degli Italiani, 41 (1992), pp. 496-500: 496.
27
croato››, ottenne la nomina di consigliere cesareo da parte dell’imperatore Ferdinando d’Asburgo.105
Alla morte dell’imperatore fu coinvolto nella ‹‹divisione dei domini austriaci›› tra i figli Massimiliano
II d’Asburgo, Ferdinando II d’Austria e Carlo II d’Austria. In tale occasione vi furono problemi
inerenti anche la giurisdizione di Gorizia, che l’arciduca Carlo II continuava a rivendicare come
propria opponendosi alle ingerenze del patriarca di Aquileia,106 e per risolvere tale questione,
Dorimbergo fu inviato a Roma per sostenere la causa dell’arciduca.107
Nonostante l’azione di Dorimbergo non avesse apportato sensibili cambiamenti alla situazione, egli
ebbe ‹‹l’occasione di farsi conoscere in campo diplomatico›› ed infatti alla fine del 1566
Massimiliano II lo nominò ‹‹ambasciatore imperiale a Venezia, chiamandolo a succedere al goriziano
Francesco Della Torre, morto pochi mesi prima››.108
In generale non dimostrò particolari capacità in ambito diplomatico. Silvano Cavazza definisce il suo
ruolo come di ‹‹pura rappresentanza›› anche in occasione del consiglio convocato a Genova nel 1575
per porre fine ai tumulti che erano scoppiati nella città ligure.109

105
Ibidem, cfr.
106
‹‹Pur facendo parte dell’impero, Gorizia dipendeva dalla diocesi di Aquileia, che rientrava nel territorio della
Repubblica di Venezia››, solo nel 1571, quando con la bolla papale Iniucta nobis vi fu la soppressione della diocesi
aquileiana, ‹‹furono erette le due nuove diocesi, quella di Udine, in territorio veneto, quella di Gorizia in territorio
imperiale››. GABRIELE DE ROSA, Tempo religioso e tempo storico, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1987, p. 259.
107
Il contesto romano diede l’opportunità al diplomatico di allacciare rapporti con figure di spicco della nobiltà tra cui il
conte Prospero d’Arco, di seguito si riporta una lettera inviata al conte il 23 Agosto 1589: ‹‹Al conte Prospero D’Arco |
Vito da Dorimbergo | Ho pregato il Sig. Giovan Battista Berneri Segreterio Cesareo in Roma, trovandosi hora in
Mantova, che mi facci fare una Carrozza; Et perche ho pensato che a V. Sig. tornerà maggior commodo il dar a lui costi,
che in Venetia li cinquanta scudi, de’ quali fu da me accommodata qui: gli hò scritto che da lei gli seranno per conto mio
sborsati li detti cinquanta scudi, si come la prego a fare, che lo riceverò a singolar favore. Col che pregandola, che
conoscendo in che la possi servire, mi commandi; le bacio la mano | Di Goritia li 23. d'Agosto 1589››. Cit. PAOLO
EMILIO MARCOBRUNI, Raccolta di lettere di diversi Principi, & altri Signori, Che contengono negotij et complimenti in
molte gravi & importantissime occorrenze, Venezia, Pietro Dusinelli, 1595, p. 300.
108
S. CAVAZZA, voce “Dornberg (Dorimbergo), Vito”, in Dizionario Biografico degli Italiani, p. 496. In un documento si
attesta la presenza di Dorimbergo al consiglio convocato a Finale Ligure per discutere l’indipendenza della città dal
dominio spagnolo: ‹‹Ma essendo su’l fine dell’anno passato stato eletto dall’Imperadore Ambasciadore al Pontefice Vito
da Dorimbergo, il quale molt’anni era pria Orator Cesareo appresso il Senato Vinitiano dimorato: conoscendo
l’Imperadore per diverse isperienze la prudenza dell’huomo ne gl’importantissimi negocij di Stato, comandogli che
andasse al Finale a trattare le cose ivi occorrenti; e costituillo ivi Commisario con soprema potestà, e capo in tutte le
materie, he si dovessero disputare e risolvere in quel Marchesato; sino a tanto, che sua Maestà un altro Commissario
idoneo a cotal maneggio ritrovasse. Maneggiò costui con sopremo imperio sino a tanto tutte le cose di quel Marchesato;
che il negocio per molti anni, e con molta astutia allungato, sortì ultimamente un convenevol fine. Furono dunque tra i
dui quasi primarij Prencipi di Christianità le cose del Finale per Gasparre Berthio Cancelliere di Goritia con publica
stipulatione quinci e quindi a i diciotto di Settembre dopò molte difficoltà stabilite: tra Vito da Dorimbergo, Presidente
sopra la camera fiscale del contado di Goritia, Consigliero dell’Imperadore e dell’Arciduca Carlo, e Capitano di Trieste;
eletto, e mandato dall’Imperadore, come principale, e con piena auttorità, a questo negocio […]››. NATALE CONTI, Delle
Historie de’ suoi tempi di Natale Conti. Parte Seconda. Di latino in Volgare nuovamente tradotta da M. Giovan Carlo
Saraceni, Venezia, Damiano Zanaro, 1589, p. 417.
109
Fu avvisato di questi tumulti il Re Filippo, & al Papa ne andarono Ambasciatori, e dell’una, & dell’altra fattione, &
parimente all’Imperatore, come a quello, a chi di ragion s’aspettava, essendo Genova città Imperiale. Mandò il Pontefice
Giovanni Morone Cardinale, & l’Imperatore Pietro Fauno, & Vito Dorimbergo suoi Consiglieri, perche cercassero di
quietare le cose; & per questo vi mandò anco il Re di Francia Mario Birago accompagnato da Galeazzo Fregoso nobile
Genovese; Ma poco profitto par che facessero da principio questi Signori, essendo le parti ambidue ostinate, i nobili
vecchi per esser ricchissimi, & Signori de castelli, onde havevano grosse bande in lor favor de soldati, & i Nobili novi
per haver in mano la città ben fortificata, & esser favoriti dal popolo, & da tutti i sudditi. Cit. GIOVANNI NICOLÒ DOGLIONI,
28
Se Dorimbergo dimostrò di non essere un gran diplomatico, tuttavia fu un personaggio molto attivo
nei circuiti musicali di Venezia dove svolse un ruolo di mediatore tra i musicisti e la corte asburgica.
La sua esperienza era ampiamente riconosciuta: nel 1569 gli fu chiesto dall’arciduca Ferdinando di
fornirgli alcune informazioni su un tale Vincenzo Napolitano descritto come “magister capellae” a
San Giovanni dei Furlani in Venezia.110 Anche quando fu comandante del Castello di S. Giusto a
Trieste negli anni tra il 1570 e il 1594 procurava musicisti alla corte di Carlo II d’Austria.
La ragione per cui Balbi decise di dedicare il primo libro di madrigali al diplomatico può essere
dovuta al fatto che all’epoca il compositore, all’inizio della sua carriera, cercava di inserirsi
nell’ambiente della Serenissima, operazione tutt’altro che semplice: nell’ambiente musicale
veneziano avevano operato personaggi del calibro di Willaert e Zarlino, inoltre Venezia rappresentava
in assoluto uno dei centri musicali più importanti e S. Marco era uno dei posti più ambiti. Avere
dunque l’appoggio di un personaggio influente come Dorimbergo, che si adoperava attivamente per
garantire una buona immagine della corte asburgica, ovvero il ritratto di una delle corti più
all’avanguardia in Europa dal punto di vista culturale, significava per il frate veneziano avere la
possibilità di dare una svolta alla sua carriera di musicista, soprattutto in una città come Venezia in
cui la competizione tra musicisti era molto serrata.111
Il secondo libro di madrigali pubblicato sei anni dopo (1576) attesta ancora una volta la volontà del
frate di inserirsi nei circuiti della città lagunare. Il profilo biografico del ‹‹molto magnifico signor
Georgio Luche, englese››, dedicatario dell’edizione, non è ancora totalmente chiaro e su di lui non si
possono che formulare ipotesi. Molto interessante è il parallelismo tra il gentiluomo (Luche) e la
figura del nocchiero-protettore: ‹‹A guisa de Provido Nochiero […] più felice stella e scorta elleger
non poteva, ch’al bramato porto questa mia seconda fatica delli Madrigali à quattro voci condur
potesse››. Probabilmente Balbi, intendendo il nocchiero come colui che guida gli uomini verso una
meta, vedeva in questo personaggio colui che avrebbe potuto ‘traghettarlo’ nella realtà della
Serenissima, volontà che peraltro aveva già manifestato all’epoca della pubblicazione del primo libro
di madrigali.112 Fino a questo punto siamo comunque sempre nel campo delle ipotesi, anche se in

Compendio Historico Universale Di tutte le cose notabili successe nel Mondo, dal principio della sua creatione sin’hora:
[…] Ma di nuovo hora dall’Auttore la quarta volta riveduto, corretto, & ampliato con nuova aggiunta sino all’anno 1618,
Venezia, Nicolò Misserini, pp. 632, 633. Cfr. S. CAVAZZA, voce “Dornberg (Dorimbergo), Vito”, Dizionario Biografico
degli Italiani, p. 496.
110
Molto probabilmente qui si fa riferimento all’arciduca Ferdinando II, figlio dell’imperatore Ferdinando I d’Asburgo,
in quanto quest’ultimo era morto nel 1564. Cfr. HANS LENNEBERG, The dissemination of music: studies in the history of
music publishing, Lausanne: Gordon and Breach, 1994, p. 52: ‹‹La sua permanenza a Venezia durò oltre vent’anni e
soprattutto negli anni iniziali del suo mandato l’ambasciatore rappresentò per Vienna la fonte più attendibile su quanto
avveniva nell’oriente mediterraneo e sulle operazioni per mare dei Turchi››, attraverso i numerosi dispacci che inviava.
Cit. S. CAVAZZA, voce “Dornberg (Dorimbergo), Vito”, Dizionario Biografico degli Italiani, p. 497.
111
Cfr. FILIPPO DE VIVO, I luoghi della cultura a Venezia nel primo Cinquecento, in Atlante della Letteratura Italiana, a
cura di S. Luzzatto e G. Pedulità, Torino, Einaudi, 2010, pp. 708–718: 712.
112
Cfr. A. DA ROS-S. LORENZETTI, Balbi e il suo tempo, p. 31.
29
quel periodo Balbi doveva ricoprire il ruolo di maestro di cappella nella chiesa di S. Maria Gloriosa
de’ Frari, a giudicare dalla dicitura ‹‹maestro di cappella d’i fra minori della cha grande›› che compare
nel frontespizio della stampa.113
Si può quindi credere che Balbi, avendo già un incarico a Venezia e desiderando migliorare il suo
status, aspirava ad ottenere un incarico presso la più prestigiosa cappella musicale di San Marco 114 e
in tal senso la figura di George Locke poteva essere una risorsa molto preziosa. Nonostante tutti i suoi
sforzi, Balbi non potrà vantare nel suo curriculum di essere stato il successore di Zarlino alla direzione
della cappella di San Marco, ma diventerà maestro di cappella della Basilica del Santo di Padova nel
1585. A questo periodo appartiene il Musicale Essercitio, pubblicato da Angelo Gardano nel 1589.
L’opera, la più alta prova della maestria compositiva di Ludovico Balbi, consiste in una raccolta di
ventisette madrigali a cinque voci in cui l’autore adotta sistematicamente tre diversi procedimenti di
‘parodia’.
- riutilizzo di un’intera voce di Canto tratta da un determinato madrigale d’autore scelto come
modello;
- parafrasi ovvero elaborazione di un soggetto preesistente;
- introduzione di elementi ‹‹originali (quelli non desunti dal modello)››.115
Il compositore quindi riesce a combinare il modello scelto – si va da compositori fiamminghi come
Philippe Verdelot, Adrian Willaert, Jacques Arcadelt al bresciano Luca Marenzio – con elementi
nuovi che identificano il proprio stile: ‹‹Balbi cerca di dimostrare la sua abilità nell’inserire sotto il
Canto idee musicali che siano nuove e nello stesso tempo desunte, per imitazione, dal Canto stesso,
in un difficile compromesso fra vecchio e nuovo, fra adeguamento – cioè riconoscibilità – e
variazione››.116 Quest’opera può essere letta come il frutto di un’attività di sperimentazione messa in
atto dal frate con lo scopo di creare un qualcosa di nuovo sfruttando il ‹‹processo della creazione
come riscrittura dell’esistente›› in qualità di strumento di costruzione della cultura in cui anomalia e
analogia si intersecano inestricabilmente››.117

113
Questa informazione risulta attendibile anche grazie ad una lettera del provinciale di Padova recante la data 30
dicembre 1577 in cui Balbi viene definito ‹‹già maestro di cappella dei Frari››. Ibidem, cit.
114
Durante il quindicesimo e sedicesimo secolo, la cappella ducale della basilica di San Marco fu uno dei centri più
importanti per la composizione e l’esecuzione di musica sacra a Venezia, fino al 1807 San Marco rimase la cappella
privata del Doge. Cfr. JONATHAN GLIXON, A Musicians’ Union in Sixteenth-Century Venice, ‹‹Journal of the American
Musicological Society››, XXXVI (1983), pp. 392–421: 392, 392 n.
115
Cfr. ROBERTO SPANÒ, Il Musicale Essercitio di Ludovico Balbi. Un singolare accostamento di scritture diverse nella
polifonia profana della fine del secolo XVI, in ‹‹Rassegna veneta di studi musicali››, IX-X (1993-1994), pp. 107–129: 113,
115.
116
Ivi, p. 114, cit.
117
A. DA ROS-S. LORENZETTI, Balbi e il suo tempo, p. 40.
30
L’edizione è dedicata ai membri della famiglia Khisl, qui identificati con la forma italianizzata di
Chiseli, i cui membri furono al servizio degli Asburgo d’Austria ricoprendo ruoli importanti sia
politicamente sia dal punto di vista militare:118
AL MOLTO ILLUSTRE CAVALLIERE | IL SIGNOR GIOVANNI CHISEL | da Coltemprun, &
Gonoviz. & c. | Hereditario Maestro di Caccia nel Ducato del Cragno, & della Marca | Schiavona, &
Scudiero supremo dell’Illustriss. Contado di Goritia | Consigliero di Sua Maestà Cesarea, Presidente
della Camera | Aulica del Sereniss. Arciduca Carlo D’Austria, | & Capitano di Pistogna.| ET ALLI
MOLTO ILLUSTRI SIG. SUOI FIGLIOLI, | Gli Signori Giorgio, Guido, Gioan Giacomo, & Carlo
Chiseli | Da Coltemprun, & Gonoviz, & c. Hereditarij Maestri | di Caccia nel Ducato del Cragno, &
della Marca Schiavona, & scudieri supremi dello Illustris- | simo Contado di Goritia miei Si- | gnori
Colendissimi.

Ecco al fine un felice successo conforme al desiderio mio M. Ill. Sig. Era il desiderio mio, che mi
rappresentasse opportuna, & degna occasione, onde facesse chiaro a VV. SS. MM. Illustri, & al mondo tutto
l’osservanza, & servitù mia grande verso di queste, & pur hoggi favorito dal cielo improvisa materia mi
somministra l’essecutione del mio pensiero, & e che havendo io per esercitio, & particolar mio studio ridotte
insieme queste mie fatiche, hò eletto dedicarle à VV. SS. MM. Illustri sicuro, che si come dianzi hanno dato
gran saggio d’amarmi, per havermi conosciuto fedel servitor della M. Illus. sua Casa; cosi mi favoriranno in
contentarsi, ch’io illustri queste mie Compositioni con la lor grandezza, & mi prometta la lor protettione, come
quelle, che molto esercitate nella Musica hanno di quella finissimo gusto, & in favorire li suoi servitori sono
solite mostrarsi sempre gratiose & pronte; con che facendo fine le prego da nostro Signore ogni contento. Di
venetia il dì 4 Marzo 1589 | Servitore obligatissimo

È difficile conoscere quale fosse il legame tra Balbi e i membri di questa famiglia. In proposito due
sono le ipotesi che avanza Roberto Spanò. Balbi probabilmente conosceva la famiglia Khisl e cercava
di ingraziarsi il loro favore sia in vista dell’‹‹ottenimento di qualche riconoscimento›› sia anche in
funzione di una ‹‹commissione futura››; oppure la dedica può essere spiegata come il tentativo di
ottenere, con l’intercessione dei Khisl, una posizione più remunerativa dopo aver chiesto una dispensa
dal ruolo di maestro di cappella presso la Basilica del Santo.119
Non sappiamo se la volontà espressa da Balbi trovò accoglimento, l’unico dato certo è che, dopo
essere stato dispensato dall’incarico padovano gli anni successivi saranno anch’essi contraddistinti
da tensioni e contrasti di varia natura; ciò determinerà sia l’interruzione dell’incarico presso la
Cattedrale di Feltre, un anno dopo la nomina a maestro di cappella (1594), sia l’interruzione dello
stesso incarico presso il duomo di Treviso (1597). Tuttavia, nonostante le difficoltà dell’ultimo
periodo di attività, fu insignito del titolo di Magister dai padri capitolari dell’Ordine con il decreto
del 10 giugno 1596: riconoscimento dunque che prova le indubbie qualità didattiche del frate.120
Balbi non fu l’unico a distinguersi in tale ambito, anche altri francescani, appartenenti alla scuola di
Costanzo Porta, si dimostrarono particolarmente inclini all’attività dell’insegnamento. Tra questi
emerge il nome di Tommaso Graziani (Bagnacavallo, 1553. – Bagnacavallo, 1634). Egli stesso, nelle

118
Cfr. R. SPANÒ, Il Musicale Essercitio di Ludovico Balbi, p. 110.
119
Ivi, p. 111, cit.
120
A. GARBELOTTO, Il Padre Costanzo Porta da Cremona OFM, p. 175.
31
sue prefazioni, affermò di essere stato discepolo di Porta, verso il quale ‹‹nutrì sempre grande
venerazione››121 e ciò è dimostrato anche dalle dediche di alcune edizioni di musica sacra tra cui
l’edizione delle Messe a 12 voci (Gardano, 1587), il Liber primus Missarum 5 voci (Amadino,
1599)122 e dal Trattato di contrappunto ò sia Istruzione di Contra.to date dal P. Costanzo Porta al P.
Tomaso Gratiano da Bagnacavallo,123 esemplare conservato presso il Museo Internazionale della
Musica e Biblioteca di Bologna.
Lo studio sotto la guida del maestro cremonese può essere inquadrato nel cosiddetto ‘periodo
ravvennate’ (1567-1574), denominazione con cui Garbelotto identifica la seconda fase dell’attività
didattica di Costanzo Porta. 124
Il magister nutriva una profonda e sincera ammirazione per il
compositore di Bagnacavallo tanto che nel giugno 1589 questi fu nominato maestro di cappella presso
la Cattedrale di Ravenna succedendo al Porta che aveva lodato in più occasioni le sue doti didattiche.
Fu grazie ad una sua ulteriore segnalazione che Graziani riuscì ad ottenere nel 1598 l’incarico di
maestro di cappella presso la Cattedrale di Concordia nei pressi di Modena.
La produzione di Graziani è incentrata prettamente sulla musica sacra; in ambito profano è infatti
disponibile un solo libro di madrigali a cinque voci (1588), di cui l’unico esemplare è conservato
presso il Museo Internazionale della Musica e Biblioteca di Bologna.125
L’edizione è dedicata al ‹‹Sig. Giovanni Battista Confaloniero››, personaggio illustre della Milano di
fine Cinquecento. Nella sua dimora, sede di ‹‹honorati trattenimenti››, egli assurgeva al ruolo di
mecenate circondandosi ‹‹di virtuosi, & in particulare delli piu eccellenti Musici di questa Città››.

ALL’ILLUSTR SIG. GIO’ BATTISTA | CONFALONIERO | Sig mio Osservandissimo.


Ne più certo, ne più chiaro segno (Illustre Sig.mio) può dimostrare un’animo nobile, & generoso, ne che
maggiormente alletti l’huomo ad amare; quanto l’amore della virtù, congionto con benigni, & affabili costumi:
lequali due qualità, si come non spesso si uniscono in un soggetto, così hanno mantenuta in me una longa sete
di ritrovare chi ne fosse vero posseditore. Piacque al fine la divina bontà favorire il giusto desiderio mio,
facendomi gli anni passati capitar in Milano, dove conosciutola e più volte con lei ragionando, posso veramente
senza nota d’adulatione affermare V. Sig. Illustre esser tra quelli, a quali si rare doti sono concesse; per le quali
di modo io li rimasi affettionato, che stimai da indi in poi per certo obligo di natura esser tenuto ad amarla, &

121
Cit. G. ZANOTTI, Costanzo Porta: note biografiche, p. 18.
122
Cfr. R. CASADIO, La Cappella Musicale della Cattedrale di Ravenna nel sec. XVI, p. 157.
123
Sulla terza carta compare il nome del possessore del manoscritto, Innocenzo da Ravenna: ‹‹Est liberi domini Innocentii
de Ravenna››. Secondo l’ipotesi di Oscar Mischiati, ‹‹il Trattato di contrappunto di Costanzo Porta [era] in realtà un
quaderno di appunti di Innocenzo da Ravenna delle lezioni di contrappunto avute da Tommaso Graziani››.Cit. OSCAR
MISCHIATI, Un’antologia manoscritta in partitura del secolo XVI. Il ms. Bourdeney della Bibliotheque Nationale di
Parigi, ‹‹Rivista Italiana di Musicologia››, X (1975), pp. 265-328: 271. Paolo Fabbri addirittura avanzò l’ipotesi di una
possibile datazione del manoscritto nel periodo 1594-1596: in questi anni Graziani era maestro di cappella della Cattedrale
di Ravenna ed inoltre la presenza di Innocenzo nella città romagnola è attestata secondo i registri di pagamento tra il 1592
e il 1596. Cfr. P. FABBRI, Vita musicale nel cinquecento ravennate, p. 44. Il trattato affianca ad un’impostazione teorica
in cui sono illustrati i principi del contrappunto della scuola di Costanzo Porta, diversi esempi musicali particolarmente
utili per i compositori di musica sacra ‹‹settings of Miserere, Benedictus psalm intonations, tuning for the violin and
viola››. JESSIE ANN OWENS, Composers at work: the Craft of Musical Composition 1450-1600, Oxford, Oxford University
Press, 1997, p. 14.
124
A. GARBELOTTO, Il Padre Costanzo Porta da Cremona OFM, p. 117.
125
E. VOGEL, Bibliografia della musica vocale profana dal 1500 al 1700, II vol., p. 807.
32
osservarla. Quindi hebbe origine un caldo desiderio di mostrare qualche indicio della mia pura divotione.
Perilche essaminate le forze mie, & quelle deboli ritrovando, passai alla sua gentilissima natura, & conosciutola
vaga di tutti quei honorati trattenimenti, che à compiuto Cavagliere si convengono, che pur si vede la casa sua
esser un vero ricetto de virtuosi, & in particulare delli piu eccellenti Musici di questa Città: pensai, che forsi
non gli sarebbero stati discari i rozi parti del mio sterile ingegno. Questi adunque essendo quasi messaggieri
de l’animo mio, venuti alla luce; denno ragionevolmente portar il nome di V. S. Illustre, nella fronte. Resta
hora, che io la preghi ad aggradirli, non riguardando alla piccolezza del dono, ma alla grandezza de l’animo
mio, il quale come infinito, può supplire in vece della mia picciol fortuna. Et qui faccio fine, & a V. S. Illustre
prego da N. Sig. compiuta felicità. Di Milano il dì 27 Febraro 1588. | Di V. Sig. Illustre | Devotiss. Ser. |
Thomaso Gratiani da Bagnacavallo.

La dedicatoria sfortunatamente non è prodiga di informazioni ed è stato necessario ricorrere alla


consultazione di diverse fonti documentarie per formulare alcune ipotesi.
La prima riguarda un personaggio di spicco nel panorama ecclesiale romano dell’epoca. Giovanni
Battista Confalonieri nacque a Roma nel 1561 in una famiglia nobile di origini milanesi. Fu istruito
presso il Collegio Romano126 ove ricevette una formazione umanistica includente materie come il
latino, il greco e l’ebraico. Dopo aver terminato il cursus studiorum, ricoprì il ruolo di segretario per
importanti prelati come il cardinale Alfonso Gesualdo (vescovo di Ostia e Velletri), per mezzo del
quale riuscì ad ottenere il canonicato di Velletri, e fu anche segretario del patriarca di Gerusalemme
Fabio Biondi da Montalto che seguì nei suoi spostamenti in Portogallo e in Spagna. 127
La motivazione della dedica di Graziani potrebbe essere dovuta all’intenzione del francescano di
promuovere la sua attività al di fuori dei confini dell’ambiente ravennate accostando figure di spicco
della chiesa, in modo particolare cardinali dell’ambiente romano come Confalonieri.
Una seconda congettura riguarderebbe il carmelitano Giovanni Battista Confalonieri, definito
nell’Index Bio-Bibliographicus Notorum Hominum come predicatore, priore, scrittore attivo
nell’ambiente milanese.128

126
‹‹L’idea di fondare il Collegio Romano è certamente una delle più elevate e feconde iniziative sorte dalla mente di S.
Ignazio››. Cit. La finalità del Collegio era la cristiana educazione della gioventù. ‹‹Più che all’istruzione letteraria e
scientifica, il Santo mirava alla formazione relgiosa e morale degli alunni. L’insegnamento delle lettere per lui non era
che un mezzo, uno strumento molto adatto, e in quell’epoca necessario, per attirare i bambini e i giovani e addolcire i loro
cuori alla pietà, nella pratica della grande importanza che dava all’insegnamento del catechismo, le cui lezioni egli stesso,
già Generale della Compgania, si dilettava d’impartire››. Cit. RICARDO GARCÍA VILLOSLADA, Storia del Collegio Romano
dal suo inizio (1551) alla soppressione della Compagnia del Gesù (1773), Roma, Aedes Universitatis Gregorianae, 1954
(Analecta Gregoriana), pp.10, 12.
127
Cfr. ANNA FOA, voce “Confalonieri, Giovanni Battista”, Dizionario Biografico degli Italiani, 27 (1982), pp. 778-782:
779.
128
Ordinem Sanctae Mariae de Monte Carmelo in Congregatione, quae Mantuana dicitur, ut Deo, sibique liberius vacare
posset, amplexus est Johannes Baptista Confalonerius patria Mediolanensis. Vir fuit non doctrina solum, sed moribus, &
vitae integritate plurimum illustris; ideoque suorum existimationem adeptus non semel Coenobii Genuensis Prior est
constitutus. Concionatoris officium summo zelo plures per annos exercuit, tùm Deffinitor creatus talem se praebuit, ut
primum Porcurator Generalis in Romana Curia Anno MDXXXIII. mox post biennium Vicarius item Generalis
Congregationis suae renunciari meruerit. Eum etiam adversùs haereticam pravitatem Apostolicam Commissarium
laudatissimum ob peculiarem in eis insectandis fervorem testatur ex Felina loco mox citando Vaghi. Annum, quo migravit
è vita, nullus Suorum indicavit. Post se reliquit posteritati legendum: Quaresimale MS. in 4 justae molis. Servatur in
Bibliotheca Coenobii Sancti Joannis ad Concham Mediolani. Carmina duo in ejus commendationem cecinit Felina. De
ipso scribit Vaghi in Comment. Ordinis sui. Cit. FILIPPO ARGELATI, Philippi Argelati Bibliotheca scriptotum
33
In questa descrizione si profila la figura di un frate che aveva assolto la funzione di ‘commissario
apostolico’ con il compito di vigilare contro la minaccia dell’eresia. Ci si chiede a questo punto quale
possa essere la motivazione che si cela dietro la scelta di Graziani di dedicare il suo unico libro di
madrigali ad un tale personaggio: quest’ultima ipotesi, rispetto alla precedente, sembra meno
plausibile. Essendo il dedicatario definito ‹‹Cavagliere››, doveva trattarsi di una figura appartenente
ad una ‹‹categoria distinta da altre di nobiltà ereditaria››.129 In tal senso il Giovanni Battista
Confalonieri di Roma sembrerebbe essere una risposta più attendibile tenendo conto della nobiltà dei
suoi natali; inoltre è probabile che la casa definita da Graziani ‹‹ricetto de’ più eccellenti musici di
Milano, & in particulare delli piu eccellenti Musici di questa Città›› fosse una proprietà di famiglia e
non sua, visto che il tale Confalonieri fu un personaggio attivo a Roma e non nella città meneghina.
Purtroppo non sono emerse ulteriori fonti documentarie che avrebbero permesso di delineare un
quadro più chiaro relativamente a tale figura.
Un certo margine d’incertezza riguarda anche il secondo nucleo di madrigalisti che è stato
individuato durante l’indagine condotta sulla ‹‹scuola›› di Costanzo Porta.130 Questo nucleo include
solamente due compositori, Valerio Bona e Giovanni Ghizzolo, che sono stati isolati dal gruppo
precedente in ragione della discordanza che le fonti bibliografiche attestano circa il loro effettivo
rapporto didattico con Costanzo Porta; tuttavia non sono state reperite evidenze documentarie che
neghino tale aspetto.
Il primo di essi, Valerio Bona (Brescia, 1560 ca. – Verona, 1620), fu autore molto attivo nel Nord
Italia e la sua fama è attestata anche dalle cronache dell’epoca e da alcune fonti bibliografiche
retrospettive, le uniche e preziose testimonianze per la ricostruzione delle tappe salienti della sua
carriera professionale:
Bona Valerio Bresciano, Conventuale, servì alcun tempo per Maestro di Cappella nelle Cattedrali
di Vercelli, e di Mondovì. Si dilettò di Poesia, e di Musica.131 Esercitò per varii tempi l’officio di
[…] primo Cantore nel Tempio di Sant’ Antonio di Padova.132 Fu anche Maestro di Cappella nella
nostra Chiesa di Verona. Nel 1596 era Maestro di cappella a S. Francesco in Milano.133

‹‹La sua presenza a Padova, fatta risalire al 1590 come cantore nella basilica di S. Antonio e come
allievo di Costanzo Porta››, è affermazione di Sigismondo Da Venezia134 certamente desunta dalle

mediolanensium, seu acta, et elogia virorum omnigena eruditione illustrium, qui in metropoli Insubriae, oppidisque
circumjacentibus orti sunt […], ristampa anastatica, Franborough, Hants, Gregg press, 1966, pp. 455-456.
129
Cit. EMILIO PASQUINI, voce “cavaliere” in Enciclopedia Dantesca, 1970, vol. I (1970), pp. 896, 897.
130
M. L. BALDASSARI, Costanzo Porta: la Scuola, p. 85.
131
Cit. GIAMMARIA MAZZUCCHELLI, Gli scrittori d’Italia cioè notizie storiche e critiche intorno alle vite e agli scritti dei
letterati italiani, Brescia, Giambatista Bossini, 1762, p. 1528.
132
ANDREA TESSIER, Del p. V. B. o Buona e delle sue opere, ‹‹Miscellanea francescana››, V (1890), pp. 52-54: 52, 53.
133
D. SPARACIO, Musicisti Minori Conventuali, p. 22.
134
SIGISMONDO DA VENEZIA, Biografia serafica degli uomini illustri che fiorirono nel francescano istituto per santità,
dottrina e dignità fino a’nostri giorni, Venezia, G. B. Merlo, 1846, pp. 510-511.
34
Litaniae et aliae laudes B. Mariae Virginis, nec non divorum Francisci, ac Antonii patavini. Quatuor
vocibus concinendae (Milano, F. ed eredi S. Tini, 1590), ‹‹dedicato al praetor di Domodossola››,
stampa che conferma il ‹‹suo rapporto con la [Basilica del Santo di Padova]››.135
In linea con le tendenze e gli orientamenti osservati sinora, anche l’opus di Valerio Bona consta
principalmente di composizioni sacre.136 Per quanto attiene l’ambito della produzione madrigalistica
si hanno notizie di due raccolte: una di madrigali morali, Pietosi affetti e lagrime del penitente,
Madrigali a cinque voci,137 edizione andata perduta che è attribuita a Bona da Giammaria
Mazzucchelli,138 e l’altra i Madrigali et canzoni a cinque voci. Libro Primo, raccolta pubblicata a
Venezia dall’editore Angelo Gardano nel 1601.139
MADRIGALI | ET CANZONI | A CINQUE VOCI | DI VALERIO BONA | LIBRO PRIMO |
Novamente posto in luce | IN VENETIA | APPRESSO ANGELO GARDANO | 1601 140

135
LICIA MARI, Valerio Bona ‘Prefetto della musica’ nel convento di San Fermo Maggiore a Verona (ca. 1614-post 1619),
in Barocco Padano e musici francescani. L’apporto dei maestri conventuali, a cura di Alberto Colzani-Andrea Luppi-
Maurizio Padoan, Padova, Centro Studi Antoniani, 2014, pp. 297-324: 297.
136
La testimonianza più completa e attendibile è quella del bresciano Leonardo Cozzando che non si limita solo ad
enucleare dettagliatamente le opere del frate, ma ne tesse le lodi sia in qualità di compositore che di cantore: ‹‹[…] meritò
assai non solo vivente con l’eccellenza della sua voce, e del suo canto; ma già passato all’etere dell’immortalità con le
dotte sue compositioni. […] acquistossi meriti non punto volgari di fama honorata con la buonta dei suoi costumi, e con
la multiciplita dell’opre, ch’egli pubblicò, e fece communi al Mondo, Habbiamo, godiamo deul suo ingegno. Canzoni a
sei, stampate in Veneta per Alessandro Vincenti alla Pigna. Pietosi affetti del medesimo, stampati, come sopra. Messe à
16. à quattro Cori, stampate come sopra Motetti à due stampati in Venetia presso Bartolomeo Magni nella stamparia del
Gardano. Messe, Motetti à otto, stampati, come sopra. Lamentationi à 4. stampate in Venetia, come sopra››. LEONARDO
COZZANDO, Della Libraria Bresciana nuovamente aperta da Leonardo Cozzando. Parte Prima, Brescia, Giovanni Maria
Rizzardi, 1685, pp. 313-314.
137
JOSEF-HORST LEDERER, voce “Bona, Valerio” in Die Musik in Geschichte und Gegenwart: Allgemeine Enzyklopadie
der Musik, Personenteil III, Kassel, Bärenreiter, 2000, p. 311.
138
G. MAZZUCCHELLI, Gli scrittori d’Italia cioè notizie storiche e critiche intorno alle vite e agli scritti dei letterati
italiani, vol.II-parte II, Brescia, Giambatista Bossini, 1760.
139
E. VOGEL, Bibliografia della musica vocale profana dal 1500 al 1700, p. 237.
140
Alcuni madrigali della raccolta appaiono anche all’interno di un manoscritto conservato presso la Bodleian Library-
Wright Collection (segnatura: Ms. Mus. F. 1-6): Mirava alla mia Ninfa il viso, Son pungenti e mordaci, anzi morsi e baci,
Non sai, Damon, che quando Lidia baci ed infine Dimmi ti prego, amore, onde avviene che mentre Lidia mia. Nel
manoscritto è indicato anche il nome del copista, ovvero Thomas Hamond. Costui era un proprietario terriero del Sussex
morto nel 1662 e grandissimo appassionato di musica. Dedicò infatti gran parte della sua vita alla trascrizione di musica
della seconda metà del Cinquecento. Circa la datazione di questi manoscritti le opinioni sono discordanti. La data che
viene comunemente accolta è quella del 1631, ma c’è un elemento che non può essere tralasciato e che modificherebbe
questa datazione. Infatti una nota che compare nel MS Mus.f.1 (al fol. 2) riporta che ‹‹most of these latten & Etalian
songs, were taken out of Mr. Kirbies blacke books››; inoltre ricaviamo altre informazioni da un’altra nota che compare in
MS Mus.f.4 (fol.2), grazie alla quale sappiamo che ‹‹Italian songs to 5 and 6 voyces collected out of Master Geo. Kirbies
balcke books which were sould after ye decease of the said Geo. to the right worthy Sir Jo. Holland in the year 1634››.
Quindi Hamond aveva ricopiato i madrigali dai ‹‹blacke books›› che facevano parte della collezione di Mr. Kirbye e
quindi, essendo quest’ultimo morto nel 1634, i manoscritti di Hamond potrebbero non essere del 1631. Per la sezione
inerente la figura di Thomas Hamond cfr. MARGARET CRUM, A Seventeenth-Century Collection of Music Belonging to
Thomas Hamond, a Suffolk landowner, «Bodleian Library Record», VI (1957-1961), pp. 373-386. I ‹‹blacke books›› di
Mr. Kirbies contengono mottetti e altri pezzi di compositori italiani tra cui: Orazio Vecchi, Valerio Bona, Giovanni Ferretti
ed altri. Cfr. JOHN BERGSAGEL, Danish Musicians in England 1611-1614: Newly-Discovered Instrumental Music, ‹‹Dansk
Aarbog for Musikforskning››, VII (1973-1976), pp. 9-20: 14. Il notevole interesse rivolto a questo repertorio costituisce
un’importante testimonianza della ricezione della musica italiana della seconda metà del Cinquecento in ambito inglese
e in particolar modo dei madrigali di Bona.
35
In questo periodo Bona ricopriva il ruolo di maestro di musica nel comune di San Salvatore
Monferrato, ‹‹un piccolo borgo posto a maestro da Alessandria […], sopra uno tra i più alti ed ubertosi
colli del Monferrato, lungo la strada che tende a Casale Monferrato››.141
Questo centro, che era uno dei più importanti del basso Monferrato, rappresentò per Bona una tappa
importante. In qualità di maestro di musica il frate fu ‹‹alla testa di un corpo musicale che aveva
presumibilmente contribuito all’esecuzione dei componimenti raccolti››142 in volumi prima che questi
venissero dati alle stampe. Questo primo libro di madrigali è dedicato ai fratelli Gaspardoni ovvero
Giovanni e Guido Gaspardoni, due nobili originari di Casale Monferrato, di seguito si riporta la lettera
dedicatoria:
Se le penne de’ Scrittori rappresentassero cosi al vivo i corpi, come fan gli animi, io co’l far un
ritratto di loro, dinanzi à questa opera mia, adempirei l’un’ e l’altro, et insieme la renderei talmente
riguardevole, che senza alcun dubbio da ogn’uomo ammirata, et rispettata sarebbe; perché, chi
l’uno e l’altro di loro conosce, sapendo con quanta Musical filosofia facciano corrisponder le
bellezze de l’animo à quelle del corpo, et accordandole insieme ne facciano un soavissimo
concento, che à guisa de l’armonia de’ cieli, più si prova con l’intelletto, che con l’udito, direbbe
senz’altro, ch’a loro convenientissimi fossero questi miei Musici componimenti, et che sotto la
norma di duo così concordi Instrumenti, non potessero ricomandarsi, se non vaghi, et Musicali
concetti: ma poi che in questo perde la penna co’l penello, et l’inchiostro con i colori, potess’io
almeno così bene ritraher l’animo loro, che dalle molte linee delle virtù scorgessero gli huomini,
il perfetto della Nobiltà, della quale essendo figliuoli, oprano quant’ella comanda, et comendano
quant’ella vuole; poi che il mostrarli tali accrescerebbe à loro la comune gratia, et à me il credito.
Tuttavia conoscendo di non poter far tanto, et vedendo come da loro stessi siano per manifestarsi
in breve con molta lode al Mondo; il primo con gli ornati costumi, et con l’integrità della vita,
con la quale rapresenta l’idea del vero Gentilhuomo; l’altro con la vivacità de l’Ingegno, et co’l
valor dell’Animo, co’l quale essendo gia intrato in gradi, et ufficij di Dignità, si spera che debba
accrescere à maggior riputatione sua, et à servigio del Prencipe, lascierò che questi miei
componimenti, à loro dedicati, facciano fede al Mondo di quanto io gli honoro, et osservo, et
pregandoli à tenermi vivo nella lor gratia, le bacio con ogni affetto le mani. Di San
Salvatore il Primo di Gennaro 160. | Delle SS. VV. molto illustri | Affetionatissimo Servitore |
Valerio Bona

I due nobili casalesi avevano avuto modo di ascoltare le composizioni del frate e, secondo la dedica
dell’opera Il quarto libro delle canzonette a tre voci,143 avevano espresso notevoli apprezzamenti.
È probabile quindi che siano due le possibili ragioni per la scelta di dedicare l’edizione a queste due
figure: da un lato la volontà di Bona di favorire una maggiore circolazione delle proprie opere
all’interno della comunità locale e soprattutto la possibilità di mettersi in luce per garantirsi una
nomina presso un’importante istituzione ecclesiastica; dall’altro l’intenzione di mantenere saldi i

141
AMATO AMATI, Dizionario corografico illustrato dell’Italia, vol. VII, Milano, Vallardi, post 1879, p. 1436.
142
STEFANO BALDI, La musica nella cattedrale di Vercelli tra controriforma ed età moderna: un profilo e nuovi documenti,
in Barocco Padano, vol. IV, atti del Convegno Internazionale sulla musica italiana nei secoli XVII-XVIII (Brescia, 14-16
Luglio 2003) a cura di Alberto Colzani-Andrea Luppi-Maurizio Padoan, Como, Antiquae Musicae Italicae Studiosi, 2006,
pp. 371-406: 384.
143
‹‹Il quarto libro | delle canzonette | a tre voci, | di Valerio Bona | Maestro della Musica in S. Salvatore | di Monferato,
dedicato ai fratelli Gaspardoni ‹‹poiche sopra questo amenissimo Colle di S. Salvatore molte volte si sono compiaciute
sentirle, & gradirle››. Ibidem, cit.
36
collegamenti con l’ambiente vercellese: in tal senso Giovanni Battista Gaspardoni, essendo segretario
della mensa apostolica di Vercelli, rappresentava un contatto prezioso.
In ambiente monferrino Bona ebbe un ruolo propulsivo sia dal punto di vista compositivo che
didattico. I suoi allievi ottennero numerosi riconoscimenti, si veda ad esempio Pietro Antonio, che fu
nominato organista presso la cappella ducale del duomo di Torino e nel 1603 fu ammesso nella
cappella ducale da parte di Carlo Emanuele I, e anche Germano Aliardo, comunemente identificato
con il nome Aliaudo, che nel 1616 prestò servizio come maestro di cappella in Asti presso la cattedrale
di Santa Maria e successivamente nel 1639 presso la collegiata di San Secondo.144 È proprio a lui che
Bona dedica la sua unica opera speculativa Regole del Contraponto, et Compositione brevemente
raccolte da diversi Auttori, edita a Casale da Bernardo Grasso nel 1595. Nel trattato si forniscono le
principali nozioni compositive relative al canto figurato ecclesiastico;145 esso ha la struttura di un
compendio e trova il suo fondamento nelle principali opere teoriche del XVI secolo: dalle Scintille di
Musica di Giovanni Maria Lanfranco (Brescia, 1533) a Le istituzioni harmoniche di G. Zarlino
(Venezia, 1558), a L’arte del Contraponto di Giovanni Maria Artusi (I parte, Venezia 1586; II parte,
1589) ed infine il Ragionamento di musica di Pietro Pontio (Parma, 1588).
Alla luce di tutto questo emergono due aspetti interessanti: il frate dimostra un’approfondita
assimilazione della principale trattatistica, una selezione atta ad individuare gli elementi che potessero
costituire il supporto alla propria attività didattica che sembra seguire le orme tracciate dal Porta; ‹‹un
passo della prefazione di Bona alle Regole di Contraponto […], dedicate a [Germano Aliaudo],146

144
S. BALDI, La musica nella cattedrale di Vercelli tra controriforma ed età moderna, p. 383.
145
‹‹Seine Regole bestehen aus einer Vorrede an den Leser, einer weiteren an den Schüler, einer Definition des einfachen
und diminuierten Kontrapunkts, zwei Einteilungen der Konsonanzen, einem Abschnitt über die Dissonanzen, Regeln über
den Gebrauch der Konsonanzen beim Kontrapunkt, Regeln über den Gebrauch der Dissonanzen beim Kontrapunkt und
bei der Komposition, Regeln des einfachen Kontrapunkts, über den Gebrauch und die Fortschreitung der Konsonanzen
beim Kontrapunkt, zunächst vom Einklang, vom Ton und seiner Entstehung (Ganz- und Halbtӧne im Hexachord), von
der groβen Sext, den Fortschreitungen der kleinen Terz, der Quint, den sechs Fortschreitungen der reinen Quint, der Sext,
der groβen Sext, den Fortschreitungen der groβen Sext, der kelinen Sext, den sieben Fortschreitungen der kleinen Sext,
den zwei Vorzeichen, dem Wesen der Vorzeichen, der Anwendung der Vorzeichen, der Oktav, den fünf Fortschreitungen
der Oktav, der Sekund und ihren Fortschreitungen, der Quart, den drei Fortschreitungen der Quart, der Sept und ihren
Fortschreitungen, den drei Arten des Kontrapunkts (diminuierter, gebundener und fugierter), einer Lehre von den acht
Kirchentonarten, über die Kadenz, die Fermate, das Ritornell, (Wiederholungszeichen), die Presa (das Einsatzzeichen der
Stimmen beim Kanon). Es folgt eine Notationslehre, weiter folgen Abschnitte über die Fuga, die Bedeutung des Legato,
die Bedeutung der Synkope und Kompositionsregeln››. ERNST APFEL, Geschichte der Kompositionslehre: von den
Anfangen bis gegen 1700, Wilhelmshaven: Heinrichshofen, 1981, pp. 353-354.
146
MESSER GERMANO MIO CARISSIMO, | QUESTO è l’officio del vero amico. Honorare, riverire, et gradire l’altro
suo amico. Et io che mi reputo d’essergli quel vero amico, che gli son et fui sempre, andai del continuo ardendo di
desiderio, di mostrarmegli per tale, con qualche atto virtuoso. Così, havendo brevemente raccolto le Regole del comporre,
et poste quà in questo libretto, hò voluto anco che se ne vadino tapinando, accompagnate con il vostro nome, GERMANO
mio aponto per l’affettione, et amicitia nostra; et molto più à voi, che ad ogn’altro si convengono; La protettione c’havette
sempre tenuta di me, et dell’opere mie, mentre era fatto, in farmi far questa poca fatica, per facilità, et utilità di Pietro
Antonio, vostro figliuolo, non lo ricerca? L’intelligenza vostra di questa virtù non lo vuole? Sì certo, sì certo; Et se non
fosse per non so chè direi assolutamente che l’ho fatto perche sete d’un Core tanto generoso, è fedele, (da pochi però
conosciuto) che meritate ogni bene. Accettate dunque l’animo mio grande, con questo picciol dono, et fate studiar il vostro
figliuolo, che sarà honor suo, et utile insieme. Ben vostro, è contesto mio. Dal Convento di S. Francesco di Vercelli il
primo di Febraro. M. D. X C V. Vostro Carissimo amico F. Valerio Bona.
37
pare addirittura una dimostrazione di affetto, svelando nel contempo la profonda ragione della stesura
del trattato: servire come sussidio per l’educazione musicale del figlio, Pietro Antonio Aliaudo, al
tempo giovinetto››.147
Se da un lato Valerio Bona dunque mostrò una certa inclinazione per l’attività didattica e sentì la
necessità di condividere le regole del suo insegnamento e di diffonderle in un’opera che fosse anche
di immediata comprensione e facile lettura, dall’altro lato Giovanni Ghizzolo (Brescia, dopo il 1580
– Novara, ?1625)148, altro nome illustre che compare tra gli allievi della “scuola” di Costanzo Porta,
fu compositore assai fecondo ed attivissimo per produzione,149 ‹‹si affermò per la pubblicazione di
varie raccolte di musica sacra e profana che gli valsero consensi nell’ambiente del Capitolo [di
Novara] e una certa notorietà›› anche all’esterno.150
Il primo documento in nostro possesso151 attestante la presenza di Ghizzolo a Novara, risale al 1606
ove si fa riferimento ad un certo ‹‹musico da Bressa››.152 Anche altri documenti, conservati presso
l’Archivio Storico Diocesano di Novara (Capitolo di Santa Maria) e datati 1607, confermano la sua
presenza a Novara in qualità di cantore, per la precisione tenore, presso il Duomo di Novara, incarico
che egli mantenne per ben quattro anni.153 La sua attività proseguì oltre i confini piemontesi
ricoprendo posizioni di un certo rilievo. Nell’agosto del 1618 ottenne la nomina di maestro di cappella
nel Duomo di Ravenna per il cardinale Aldobrandini,154 il quale si impegnò attivamente per la
promozione della musica sacra in osservanza dello spirito controriformistico,155 e Ghizzolo molto

147
S. BALDI, La musica nella cattedrale di Vercelli tra controriforma ed età moderna, p. 382.
148
Ricaviamo informazioni circa le origini di Ghizzolo dalla dicitura Brixiensis o da Brescia che compare in molti
frontespizi delle opere a stampa tra cui l’edizione della salmodia vespertina a otto voci del 1609: Integra omnium
Solemnitatum Psalmodia Vespertina, octonis vocibus concinenda, a Joanne Ghizzolo Brixiensi edita. Per quanto riguarda
la data di nascita, ci si basa sulla seguente deduzione: dal momento che il nome del conventuale appare preceduto dal
titolo frà solo a partire dal 1606 in poi, possibile che abbia professato i voti intorno al 1605 e di conseguenza si può
collocare la sua data di nascita attorno al 1580, perché ‹‹non era consuetudine dei francescani ordinare frati i professandi
prima del venticinquesimo anno d’età››. Cit. UGO BERTO, Contributo alla biografia e alle opere di Giovanni Ghizzolo da
Brescia (1580 C. - A. 1624), ‹‹Rassegna veneta di studi musicali››, II-III (1986-1987), pp. 81-103: 83.
149
LUCIANO BERTAZZO, I Francescani Conventuali e la musica. Note sparse di storia, in Impegno ecclesiale dei Frati
Minori Conventuali nella cultura di ieri e oggi a cura di Francesco Costa, Roma, Miscellanea Francescana, 1998, pp.
671-713: 689.
150
UGO BERTO, Contributo alla biografia e alle opere di Giovanni Ghizzolo da Brescia (1580 C. - A. 1624), ‹‹Rassegna
veneta di studi musicali››, II-III (1986-1987), pp. 81-103: 84.
151
‹‹[…] per una seggia et uno bacile comprati d’ordine del Molto reverendo Capitolo per il musico da Bressa […] Adì
22 ottobre 1606››. Cit. documento n. 2 riportato nell’appendice documentaria in U. BERTO, Contributo alla biografia e
alle opere di Giovanni Ghizzolo da Brescia (1580 C. - A. 1624), p. 102.
152
Ivi, p.84.
153
RAFFAELLA BARBIERATO, La musica profana di Giovanni Ghizzolo da Brescia: dedicatari nel clero e nella nobiltà
novarese tra ’500 e '600, ‹‹Novarien. Associazione di storia della Chiesa novarese››, quaderno XX (1990), pp.125-140:
125.
154
‹‹Giovanni Ghizzolo, dell’ordine di s. Francesco, fu valente maestro di cappella presso il cardinale Aldbrandino,
arcivescovo di Ravenna […]››. Cit. FRANCESCO GAMBARA, Ragionamenti di cose patrie ad uso della gioventù, Brescia,
Tipografia Venturini, 1840, pp. 53-54.
155
MARIA LUISA BALDASSARI, Giovanni Ghizzolo fra Correggio e Ravenna, in La cappella musicale nell’Italia della
Controriforma: Atti del Convegno Internazionale di studi nel IV centenario di fondazione della Cappella Musicale di S.
38
probabilmente, come dimostra la testimonianza di Ottavio Rossi, fu all’altezza delle aspettative del
cardinale:156
Frate di San Francesco; di gran giuditio nella Musica; serve il Cardinale Aldobrandino essendo
suo Mastro di Capella nell’Arcivescovato di Ravenna. La sua Musica è tutta spirito, & ne gli
affetti sacri è riputato per singolare. Et con questa sua Virtù è un nobile ornamento di questa
Patria.157

Nel contempo, al contrario di altri musici francescani, la sua produzione include anche un numero
cospicuo di opere profane che rivelano,158 specialmente negli anni novaresi, solidi rapporti con alcuni
membri di famiglie aristocratiche locali, come si evince dalla dedicatoria della sua unica raccolta
madrigalistica di stampo tradizionale (per solo organico vocale) risalente al 1608:
AL MOLTO ILLUSTRE | SIGNOR MIO COLENDISSIMO | IL SIGNOR FILIPPO ZAFFIRI. |
Fu appresso gli antichi usato costume d’offrire i primi frutti delle loro novelle piante à quel Idolo, che piu à
ciascheduno d’eglino era in maggior veneratione, & parenagli, che col favor suo potessero essere conservate
illese d’ogni impettuosa contrarietà de Cieli, e renderle fertili, & abondanti; Cosi anch’io fra me pensando à
chi dovessi offerire questi miei Madrigali, primo frutto del debole ingegno mio, accio coperti dallo scudo d’un
Illustre nome, & virtuoso splendore, da fiere tempeste de Momi, & Arillarchi fossero sicuri. Frà molti Signori
che con belle & virtuose doti dell’animo illustrino quella Città di Novara, non hò saputo scieglier, chi piu nel
mio interno sia ricetto di V. Sig. laquale, oltre la cognitione delle buone lettere, la perfetione del giuditio, la
candidezza del animo ha con tanta diligenza nodrito quel seme, che Apollo instillò, & sparse nel terreno
fruttuoso del ingegno suo, che cosi in questa scienza della Musica, come in molte altre non è chi l’uguagli ò
pareggi. Ecco dunque à V. Sig. consacro, e dono questo mio primo parto, con tal affetto col quale spero Lei fia
per accettarlo; che’ cosi anco potrò assicurarmi haverlo collocato sopra l’altezza dell’autorità Sua, da qui spero
riceverà quella riputatione, che la bassezza del ingegno mio non ha potuto dargli, & dove al giuditio di V. Sig.
sortì apparer opra di rozzo metallo, almeno scorgerà l’oro infocato della mia devotione, & il desiderio
ardentissimo, ch’io tengo di servirla. N. Sig. le doni buona salute, & continua esaltatione, Di Venetia il dì 15
Novembre 1608. | Da V. S. M. ILLUSTRE | Devotissimo Servitore | Giovanni Ghizzolo.

L’edizione è dedicata al Sig. Filippo Zaffiri, personaggio novarese che, secondo l’ipotesi di Ugo
Berto, Ghizzolo potrebbe aver conosciuto quando venne a contatto con la chiesa di San Gaudenzio di

Biagio di Cento (Cento, 13-15 ottobre 1989), a cura di Oscar Mischiati e Paolo Russo, ‹‹Quaderni della Rivista Italiana
di Musicologia››, XXVII (1993), pp. 221-227: 221.
156
‹‹Tra le composizioni scritte dal Ghizzolo in tale contesto, occorre sicuramente annoverare “il Quarto Libro delli
Concerti a Due, Tre, & Quattro Voci, con le Letanie della Beata Vergine. Di Giovanni Ghizzolo Maestro di Cappella
dell’Illustrissimo, & Reverendissimo Signor Cardinale Aldobrendini nella sua metropoli di Ravenna. Opera Decima
Sesta. Novamente in questa Quarta Impressione ristampata, & corretta. – In Venetia, Appresso Alessandro Vincenti. 1640.
– in 4°. Canto, Tenore, Alto, Basso, e Basso per l’Organo. In tutto opuscoli cinque. (Senza dedicatoria).” e “i Salmi,
Messa, et Falsi Bordoni Concertati a Quattro Voci, con il Basso per l’Organo. In tutto opuscoli cinque”. Cfr.
rispettivamente Catalogo della Biblioteca del Liceo Musicale di Bologna: RISM A/I: G-1798 II, p. 426 e Catalogo della
Biblioteca del Liceo Musicale di Bologna: RISM B/I: 1624-05=G-1794 II, pp. 232-233››. Cit. NAUSICAA SPIRITO, La
Musica Barocca nei palazzi della giustizia amministrativa, Roma, Gangemi Editore, 2016, p. 90.
157
OTTAVIO ROSSI, Elogi historici di bresciani illustri, Brescia, Bartolomeo Fontana, 1620, p. 500.
158
La produzione di Ghizzolo è descritta in maniera approfondita da Leonardo Cozzando: ‹‹Stampo moltissime opere,
nelle quali tutte chiaramenti scorge, che la sua Musica è tutta elementata di spirito. E negli affetti sagri vien riputato per
singolare. Io hò veduto nel suo ingegno: Canzonette libro primo, secondo e terzo, stampate in Venetia per Alessandro
Vincenti Pigna. Mottetti secondo. Mottetti Libro quarto, ristampato con Litanie in Venetia per il sudetto. Vespri con Messa
a quattro; dall’istesso in Venetia stampati. Messe a cinque, parte à Capella, e parte da Concerto. Compieta & Antifone,
stampate in Venetia per Bartolomeo Magni nella Stamperia del Gardano. Salmi intieri à cinque voci con il basso per
l’Organo, stampati in Venetia per Giacomo Vincenti 1618. Opera decima quarta. E fiorì nel medesimo tempo con gli altri
suoi Confratelli del medesimo Ordine di S. Francesco, Antonio Mortaro, e Valerio Bona, 1619››. Cit. LEONARDO
COZZANDO, Libraria Bresciana: prima, e seconda parte, Brescia, Giovanni Maria Rizzardi, 1694, pp. 107-108.
39
Novara, nome che compare spesso nei documenti gaudenziani dell’Archivio Capitolare della predetta
istituzione (si fa riferimento ai documenti della Tesoreria degli anni 1608-1610 e del 1611-1612).159
L’altra ipotesi, anch’essa abbastanza verosimile e formulata da Raffaella Barbierato, è che molto
probabilmente ‹‹questo personaggio fosse parente di quell’omonimo Filippo Zaffiri (1529-1563/64),
uomo di lettere, patrizio novarese, medico, fondatore dell’ “Accademia degli affidati” di Pavia160 (cui
fecero parte anche Leon Battista Alberti e S. Carlo Borromeo) e accademico, con il nome di Hippofilo,
nell’Accademia dei Pastori di Novara, fondata da quel Giovanni Agostino Caccia, nobile e poeta
novarese, autore fra l’altro dei Capitoli Spirituali, una parte dei quali (II – del Patir e Morir di Christo)
è dedicata proprio a Filippo Zaffiri››.161
Nonostante che anche in questo caso sia difficile stabilire con certezza l’identità del dedicatario,
queste attestazioni risultano comunque fondamentali perché gettano luce su uno scenario ancora da
indagare e approfondire: due realtà così distinte come quella della nobiltà e del clero che al tempo
stesso in talune circostanze, come si rileva dall’esame delle dedicatorie della produzione profana,
sono in un rapporto di stretta correlazione.
Anche l’edizione del 1609 Madrigali et arie per sonare et cantare nel chitarone, liuto, o
clavicembalo, a una, et due voci […] Libro primo, di cui si propone di seguito la trascrizione
diplomatica della dedicatoria, rivela degli aspetti interessanti in tal senso.
ALL’ILLUSTRE ET MOLTO REVERENDO SIGNORE | ET PADRONE MIO COLENDISSIMO |
IL SIGNORE MICHEL ANGELO MARCHESI | Archidiacono, & Canonico della Cattedrale di
Novara

Questi pochi Madrigali, & Arie Sonate, Cantate nel ridotto Musicale della Casa di V. Sig. Illustre, dovendosi
stampare, non convenia dedocarle ad altro, che à Lei: non solamente perche sotto la protettione sua ricevettero
splendore, & credena maggiore. Onde con l’Angelico nome suo in fronte, hò stimato non di honorare Lei, che
non se gli da honore, che non lo superi co’ suoi meriti; ma piu tosto me stesso, & i componimenti miei. Gradisca
dunque volentieri questa picciol fatica, & si contenti per l'avvenire di non essermi avaro della gratia sua, si
come questi anni adietro non me ne è stato scarso. | Di Novara il dì Primo Maggio 1609 | Di V. Sig. Illustre &
M. Reverenda | Humile Servitore| Giovannni Ghizzolo. | In Ioannem Ghizzolum Musicum celeberrimum. 162

159
Cfr. U. BERTO, Contributo alla biografia e alle opere di Giovanni Ghizzolo da Brescia (1580 C. - A. 1624), p. 84.
160
‹‹Di Filippo Zaffiri novarese, e di Filippo Binaschi pavese, che furono tra’ primi fondatori dell’accademia degli Affidati
in Pavia, e di ambendue i quali si ha il Canzoniere alle stampe, si possono vedere le notizie […] riguardo al secondo
presso il conte Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 2, par. 2), ove però dee correggersi l’anno della morte, che certo non potè
essere il 1576, poiché egli ha un sonetto, come avverte lo stesso co. Mazzucchelli, nella morte di Giuliano Goselini, che
avvenne, come or vedremo, nel 1587››. GIROLAMO TIRABOSCHI, Storia della letteratura italiana, tomo VII-parte III,
Milano, Società tipografica de’ classici italiani, 1824, pp. 1712-1713.
161
Cit. R. BARBIERATO, La musica profana di Giovanni Ghizzolo da Brescia, p. 126. Questo però non è l’unico nome che
compare nell’edizione: nella carta 7 recto dell’edizione compare il madrigale Io disleale ah cruda che è dedicato al Sig.
Agostino Cattaneo Canonico della Cattedrale di Novara, che svolgeva l’incarico di tesoriere del capitolo. Questa
informazione la ricaviamo dalla documentazione conservata presso l’Archivio storico Diocesano di Novara – Capitolo di
S. Maria. Cfr. U. BERTO, Contributo alla biografia e alle opere di Giovanni Ghizzolo da Brescia (1580 C. - A. 1624), p.
84.
162
JUDITH COHEN, Madrigali et arie per sonare et cantare, Middleton, A-R Editions, 2005, p. 2.
40
Il dedicatario dell’edizione, Michelangelo Marchesi (Milano, 1570-Novara, 14 aprile 1615)163
arcidiacono e canonico della Cattedrale di Novara, è descritto dettagliatamente da Innocenzo Chiesa
nella sua opera Vite del venerabile Carlo Bascapè barnabita, vescovo di Novara, dove si inquadra la
figura di Marchesi in quanto nipote del vescovo di Novara Carlo Bascapè e si parla anche degli
ambienti che il canonico era solito frequentare:
Ora quest’uomo, tanto per sangue a sé congiunto, e tanto da lui per meriti e per propria elezione
amato e onorato, egli [Carlo Bascapè] licenziò di casa, non per altro se non perché, essendo fuori
in villa diporto, cantò in concerto di musica, in compagnia di alcuni gntiluomini secolari, fra i
quali trovaronsi parimente presenti alcune nobili donne. […] Ed avendolo poi in grazia di alcuni
amorevoli ripigliato, di nuovo pure per simil causa ebbe per bene dargli commiato, cioè per aver
in una simigliante conversazione suonato una viola da gamba, che l’uno e l’altro sapeva egli ben
fare.164

È però da chiarire che con l’accezione ‹‹gentiluomini secolari›› non si può alludere alla figura di
Ghizzolo, essendo egli membro dell’ordine dei frati minori ovvero il primo degli ordini francescani,
mentre con la voce secolari si allude al terzo ordine dei francescani, composto prevalentemente da
laici. D’altro canto sembra abbastanza verosimile l’ipotesi formulata dalla Barbierato circa la
correlazione tra gli eventi narrati da Innocenzo Chiesa che risalgono al 1608 e l’edizione di Ghizzolo
dell’anno 1609. Nella dedica inoltre si fa menzione di alcune musiche eseguite nel ‹‹ridotto musicale
della Casa di V. Sig. Illustre››, per chiarire questo aspetto è utile richiamare un passaggio da una
lettera risalente al 16 agosto 1608 inviata dal vescovo Bascapè al vicario Dolce e che Chiesa mette in
correlazione con il comportamento scorretto di Marchesi:
Intendo cosa, la quale da un canto è da ridere, se bene dall’altro molto dispiacevole; l’Archidiacono è uscito
di casa conforme all’ordine mio; ma solo a mangiare; occupando tuttavia le stanze; et vivendo di quello del
Vescovato: che vuol dire essere uscito solo per vivere più conforme alla libertà del senso: et a burlare in
certo modo… ma mi meraviglio bene di lui che presuma tanto; tuttavia non ostanti le cose passate di fresco.
Una volta vedrò se sono io il Vescovo, et chi ha da disporre in quella casa.
Troncatela affatto; et chi vuole qualche cosa del vescovato picciola, o grande l’ha da dimandare a me. Il
Sig. Vicario mi scrisse che egli dormiva in quelle stanze per questi caldi; la passai. Hora vi dico, che voglio
si sbratti ogni cosa compitamente: a tal necessità mi conduce il mal modo di procedere.165

Il ‹‹ridotto musicale›› citato nella dedica potrebbe quindi essere la casa concessa dal Vescovado a
Marchesi, al cui interno si tenevano trattenimenti all’insegna della musica e della poesia i numerosi
artisti facevano sfoggio della propria arte, costituendo parte attiva di queste riunioni o conversazioni
a cui forse partecipò anche lo stesso Ghizzolo.166
Anche gli anni trascorsi a Correggio furono contraddistinti da rapporti costanti con gli ambienti della
corte. Nel 1613 ricevette la nomina di maestro di cappella dall’allora conte e poi principe Siro

163
Cfr. R. BARBIERATO, La musica profana di Giovanni Ghizzolo da Brescia, p. 133.
164
Cit. INNOCENZO CHIESA, Vita del venerabile Carlo Bascapè barnabita, vescovo di Novara, II vol., Milano, Boniardi-
Pogliani, 1858, p. 220.
165
La lettera è riportata in R. BARBIERATO, La musica profana di Giovanni Ghizzolo da Brescia, p. 136.
166
Ivi, p.137, cfr..
41
(Giovanni Siro da Correggio).167 È verosimile credere che gran parte della produzione profana di
questo periodo fosse stata pensata per i trattenimenti da camera del principe:168 ‹‹Questi sono quei
Madrigali che fra molti ho scielto di gusto a Vostra Eccell. Mentre che di quelli, che si sogliono
cantare in camera sua, ella hà mostrato di gradirgli più d’ogni altri››.169
È difficile stabilire con certezza se la collaborazione del francescano sia proseguita anche
successivamente. Nel 1615 un’ondata di rinnovamento investì l’ambiente correggese: in occasione
delle festività organizzate per la celebrazione dell’incoronazione di Siro a principe di Correggio170 si
dice che fossero allestite ben quattro rappresentazioni pubbliche, alcune delle quali animate da
momenti musicali in cui potrebbero essere state eseguite opere di Ghizzolo.171
Se in tali circostanze il compositore bresciano riuscì ad intessere rapporti stretti con l’ambiente
correggese, il contesto patavino si dimostrò molto meno ricettivo.
Il 6 di ottobre, a surrogare il P. [Alvise] Balbi, la Presidenza nominava il P. Giovanni Ghizzolo da
Brescia, il quale avendo lasciato passare parecchi mesi senza presentarsi ad assumere l’ufficio,
nel gennaio 1622 provocava una deliberazione per la quale se entro breve termine non si fosse
trovato in posto, la Presidenza dichiarava di procedere alla elezione di un nuovo maestro. […].
Ma dalla Basilica del Santo, ove non si era recato che nell’agosto 1622, dopo aver tentato
nell’aprile successivo d’ottenere un lungo permesso di assenza onde aderire ai desideri del P.
Generale che lo richiedeva de’ suoi servizi, al 23 di agosto 1623erasi già allontanato. Fu breve
adunque e non molto attiva, a quanto sembra, l’opera del P. Ghizzolo nella Cappella Antoniana.172

Il suo operato al Santo apportò un notevole contributo, soprattutto nella direzione del rinnovamento
del repertorio musicale che si tradusse sia nell’acquisto di una serie di raccolte di musica di diversi
autori, tra i quali Giulio Belli, Lodovico Viadana, Antonio Mortaro, Costanzo Porta, Alessandro
Grandi ed altri,173 sia nell’incremento degli organici vocali e strumentali.174

167
Cfr. CLAUDIA POLO, voce “Ghizzolo, Giovanni”, Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 54 (2000), pp. 86-87.
168
‹‹Between 1612 and 1615 he stayed in Correggio, where he served as maestro di cappella of Prince Siro da Correggio.
Ghizzolo dedicated his Secondo libro di madrigali a cinque et sei voci (1614) to Prince Siro, referring to the pleasure the
prince had derived from them upon hearing them in his camera››. Cit. J. COHEN, Madrigali et arie per sonare et cantare,
p. IX.
169
Estratto della dedicatoria dell’edizione del Secondo Libro de Madrigali a cinque et sei voci […] co’l Basso Continuo
per il clavicembalo o altro, Venezia, Ricciardo Amadino, 1614
170
‹‹Nel 13 febbrajo 1615 l’imperatore Mattia firmò il decreto con cui accordò a Siro l’investitura dello Stato col privilegio
di primogenitura contro lo sborso di centoventimila talleri imperiali››. Cit. QUIRINO BIGI, Di Camillo e Siro Da Correggio
e della loro zecca, vol. XXXV, Modena, Tipografia di Carlo Vincenzi, 1870, p. 24. Riguardo l’incoronazione del Da
Correggio le fonti sono discordanti, il Ghidini sostiene infatti che l’investitura sia avvenuta il 14 febbraio e non il 13 come
sostenuto dal Bigi. Cfr. ANTONIO GHIDINI, voce “Correggio, Giovanni Siro da”, Dizionario Biografico degli Italiani, vol.
XXIX (1983), pp. 448-450: 449.
171
Cfr. U. BERTO, Contributo alla biografia e alle opere di Giovanni Ghizzolo da Brescia (1580 C. - A. 1624), p. 92.
172
GIOVANNI TEBALDINI, L’archivio musicale della Cappella Antoniana in Padova, Padova, Tipografia e libreria
Antoniana, 1895, pp. 32-33.
173
U. BERTO, Contributo alla biografia e alle opere di Giovanni Ghizzolo da Brescia (1580 c. - a. 1624), p. 98.
174
FRED KISER, Giovanni Ghizzolo: performance issues relating to the 1619 Messa, Salmi, Lettanie Della B. V., Falsi
Bordoni et Gloria Patri Concertati, op. 15, in Barocco Padano e musici francescani. L’apporto dei maestri conventuali,
atti del XVI Convegno internazionale sul barocco padano (1-3 luglio 2013) a cura di Alberto Colzani-Andrea Luppi-
Maurizio Padoan, Padova, Centro Studi Antoniani, 2014, pp. 165-178: 166.
42
La sua personale attenzione per la prassi esecutiva è attestato già nel frontespizio di un’opera del
1619, Messa Salmi Lettanie B. V. Falsibordoni et Gloria Patri, quando era maestro di cappella a
Ravenna, dove si dice che «Il Secondo Choro può esser sonato solo con stromenti, & con | miglior
effetto». Questa edizione acquisisce valore proprio perché include (c.1 recto) una sezione intitolata
Avvertimenti dell’authore alli cantori et organisti.175 L’obiettivo di Ghizzolo è quello di fornire
rispettivamente ai cantanti e agli organisti indicazioni relative alle dinamiche del piano e del forte e
dare suggerimenti in merito all’uso dei registri. Naturalmente queste istruzioni acquisiscono una
determinata logica se inquadrate nel giusto contesto per cui sono state pensate: le indicazioni “Forte”
così come quella “Ripieni” sono utilizzate quando entrambi i cori cantano procedendo in uno stile
omoritmico; al contrario la dinamica del piano contraddistingue le sezioni in cui è il solo coro
principale a cantare.
Ghizzolo può essere inquadrato come lo specchio di una realtà multiforme, la realtà di questi frati
conventuali che per ragioni dovute a luoghi comuni sono immaginati come figure estranee al contesto
sociale e culturale, rinchiuse nelle rigide gabbie del dogma e della dottrina, ma che invece animano
uno scenario in continuo movimento.
Costituiscono una presenza costante, quasi un fil rouge che congiunge realtà geograficamente distanti
apportando ‹‹un contributo reale all’evoluzione del gusto e dello stile››,176 come avviene, ad esempio,
grazie alla dinamicità di alcune figure come Ludovico Balbi che ha ricoperto il ruolo di maestro di
cappella in numerose istituzioni ecclesiastiche. La loro opera, infine, ha rappresentato un punto di
riferimento importante fino alle soglie del XVII secolo: ‹‹the author’s [Giovanni Ghizzolo]
forthcoming performance edition will place these opportunities into the hands of modern performers
as they renew interest in the music of the early seventeeth century››.177

175
AVVERTIMENTI DELL’AUTHORE | ALLI CANTORI, ET ORGANISTI. | Per voler in parte soddisfare al giuditioso
gusto, che le persone di questa nostra età ricercano nelle compositioni, non mi è parso fuor di proposito voler concertare
in tal maniera questa mia Opera, che insieme havendo del vago conservi anco il grave, […] in oltre che dove sarà copia
di voci si possi cantare à nove, dove penuria à cinque; e dove copia d’Instrumenti in parte servi per Sinfonia; e acciò in
questa varietà li Cantori, quanto li Organisti habbino facilità, mi è parso brevemente qui accennare alcuni avvertimenti:
Primo è, che quest’Opera si puol cantare a cinque voci servendosi in ciò li Cantori solo del Primo Choro, si che come di
sopra dicevo, la sudetta Opera potra servire anco dove sarà penuria di cantori. […]
Quarto è che li Organisti, per haver più facilità nel mettere, ò levare li registri, secondo il bisogno, potranno riguardare
all’infrascritti segni, e primieramente dove troveranno questa parola FORTE tutta distesa, sarà inditio, che entri il Secondo
Choro, & si facci ripieno: ma quando troveranno la sola lettera F. sarà segno, che entri il Secondo Choro, ma senza ripieno,
e quando si troverà la parola PIANO, sarà segno che cessi il Secondo Choro, e canti solo il Primo. […].
176
MAURIZIO PADOAN, Introduzione, in Barocco Padano e musici francescani. L’apporto dei maestri conventuali, atti
del XVI Convegno internazionale sul barocco padano (1-3 luglio 2013) a cura di Alberto Colzani-Andrea Luppi-Maurizio
Padoan, Padova, Centro Studi Antoniani, 2014, pp. VII-XV: XV.
177
F. KISER, Giovanni Ghizzolo, p.178.
43
Orazio Colombano e
il Secondo Libro de Madrigali a cinque voci

2.1 Orazio Colombano: profilo biografico

La ricostruzione del contesto biografico degli autori antichi si dimostra molto spesso un’operazione
complessa. Infatti, data la scarsità di notizie nelle cronache dell’epoca, si ricorre solitamente sia alle
informazioni che si ricavano dai frontespizi della produzione a stampa, sia alla consultazione della
documentazione conservata presso gli archivi. In tal modo è stato possibile ricostruire la carriera di
Orazio Colombano, conventuale dell’ordine dei frati minori.
La sua provenienza è attestata in gran parte dalla sua produzione a stampa, in cui è definito sempre
con la dicitura Veronensis. Per quanto riguarda la data di nascita possiamo solo formulare ipotesi
perché la documentazione d’archivio non ci aiuta in tal senso. Nella sua prima opera a stampa, ovvero
la raccolta di salmi del 1579, nella dedica si trova la seguente espressione ‹‹cui laborum meorum
primitia sacrarem››, essa è densa di significato perché nel ‘500 la pubblicazione della prima opera a
stampa di un musicista avveniva intorno ai venticinque anni d’età. Ecco che quindi si può collocare
la data di nascita del conventuale nel 1554 ca.178
L’indagine condotta sulla sua produzione ha rivelato che essa, come quella di Tommaso Graziani, è
quasi esclusivamente sacra.
Risalgono agli anni ’70-’80 del Cinquecento tre raccolte di salmi. La prima, edita nel 1579, non solo
ci attesta nel frontespizio le origini veronesi dell’autore e l’incarico di maestro di cappella che costui
ricopriva presso la Cattedrale di Vercelli, ma nella dedica si riportano anche informazioni circa la sua
formazione che avvenne sotto la guida di Costanzo Porta. Di seguito si riporta la trascrizione in forma
semi-diplomatica del frontespizio e della dedica:

178
Cfr. TOMMASO MAGGIOLO, Orazio Colombano, Li Dilettevoli Magnificat (1583), Padova, Centro Studi Antoniani,
2014 (Corpus Musicum Franciscanum, I), p. V.
46
HORATII COLUMBANI VERONENSIS | IN CATHEDRALI ECCLESIA VERCELLENSI |
MUSICAE MODERATORIS | Harmonia super Vespertinos omnium solemnitatum Psalmos sex
vocibus decantanda | Nunc primum lucem edita. | Venetijs apud Angelum Gardanum | 1579.

REVERENDISSIMO D. D. IOANNI ANTONIO VULPIO | NOVOCOMEN. EPISCOPO DIGNISSIMO |


Patrono suo Colendissimo. | Horatius Columbanus Veronensis. S. P. D | Veteribus in more positum fuit,
Reverendissime Antistes; ut, eum cum praeclara aliqua scripsissent, ea aut summis principibus, aut
praestantioribus quibusdam viris dicarent: quo vel ab illis maorem auctoritatem consequerentur, vel beneficiis
acceptis satisfacerent, vel etiam suam in illos observantiam testarentur. Sic Peripateticorum Principem
Aristotelem magno Alexandro. Virgilium Augusto, & Plinium Vespasiano suos foetus obtulisse, memoriae
traditum est. Horum ego vestigijs innixus, cum sacros hos Psalmos, vespertinis horis decantandos, emissurus
essem in lucem: te unum, quem ego mirifice semper sum veneratus ob praeclara animi tui ornamenta, pietatem,
fidem, religionem, morum santitatem, & omnem denique virtutem, mihi ratio proposuit, cui laborum meorum
primitiam sacrarem. Hoc igitur opus sub feliciss. auspiciis tuis in vulgus profero, tibiq: uni dedico Mecenas
meritissime; tum: ut perpetuam observantiara, gratitudinem, ac properissionem in te meam contestetur; tum
etiami, ut fidet, tutelaeque tuae commendatum, tutius in publicum prodeat. In quo si quid laude dignum
occurrerit: primum Deo opt: max: deinde multum Reuerendo, & nunquam satis laudato patri, Constantio Portae
Cremonensi, Musicae artis peritissimo, & ea facultate hac nostra tempestate nemini secundo, praeceptori meo,
acceptum ferri uelim […] Vercelli, 4 Idus Aprilis. 1579.179

L’edizione è dedicata al vescovo di Como Giovanni Antonio Vulpio, figura che giocò un ruolo
importante in un periodo molto difficile per la Chiesa ovvero quello della Controriforma. In tale
contesto storico il concilio di Trento rappresentava un momento essenziale per il rafforzamento
dell’unità ecclesiale, per la salvaguardia dei suoi poteri e dell’integrità della Chiesa. Papa Pio IV fu
l’ultimo dei tre pontefici che portò avanti l’azione del concilio che ebbe inizio nel 1545 e si concluse
nel 1563 a causa della morte del pontefice. L’azione di Pio IV consisteva in ‹‹un processo di
accentramento intorno al papa, analogo a quello che si realizzava nel moderno stato assoluto››:180 tra
i vari provvedimenti vi furono ‹‹l’incremento delle nunziature e l’istituzione delle visite apostoliche
compiute nelle diocesi da ecclesiastici inviati dal papa››.181 Vulpio fu scelto da papa Pio IV come
legato pontificio e fu inviato in Svizzera per la presentazione di quelli che erano i punti salienti
dell’azione intrapresa dal pontefice.

Mandò il Papa ancora agli Svizzeri, che tenevano la loro dieta a Baden, vicino a Zurich
[…], Gian Antonio Vulpi Vescovo di Como. Questo Nunzio ebbe sì un buon incontro, che
presentando il breve del Papa, vien detto, che un Borgomastro di Zurich lo prese e lo baciò.

179
JEFFREY KURTZMAN-ANNE SCHNOEBELEN, A Catalogue of Mass, Office and Holy Week music printed in Italy: 1516-
1770, JSCM Instrumenta, II (2014),
http://sscm-jscm-org/instrumenta/vol-2/catalogue/Colombani%201579%20C3421.pdf, ultimo accesso 9 agosto 2016.
‹‹Non sapendo dove abbia potuto aver luogo e tenendo conto dell’attività del Porta, si deve supporre che l’apprendistato
si sia svolto mentre quest’ultimo era maestro di cappella a Ravenna o a Loreto››. OSCAR MISCHIATI, voce “Colombano,
Orazio”, Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 27 (1982), pp. 129-131:130.
180
Cit. MASSIMO MARCOCCHI, Il Concilio di Trento: istanze di riforma e aspetti dottrinali, Milano, Vita e Pensiero, 1997,
p.18.
181
Ibidem, cit..
47
Quest’azione, si aggiunge, piacque tanto al Papa, che lo raccontò egli medesimo agli
Ambasciatori, che risedevano in Roma. Essendo stata messa in deliberazione in quella dieta
la proposizione del Concilio non fu da tutti egualmente ricevuta. I curatori dei cinque
cantoni eretici si valsero di varie scuse, per non arrendersi ai desideri del Papa. Dissero gli
uni, che non avendo avuta alcuna istruzione in tal proposito, niente volevano deliberare di
loro capo; alcuni altri dissero, che non sapevano, se i Principi vi dessero il loro consenso.
Finalmente parlando gli ultimi con più chiarezza, dissero, che facendo professione di
un’altra religione, non potevano accettare cosa che venisse da Roma; ma gli altri otto
Cantoni, sette dei quali sono Cattolici, ed uno misto, promisero di mandare i loro deputati
al Concilio, e di ubbidire ai suoi decreti.182

Da questa fonte si evince che doveva essere un personaggio dotato di grande abilità diplomatica.
Colombano nella dedica lo definisce come una figura ricca dei valori dei mores maiorum ovvero la
pietas, la fides e la religio.
Dopo la fine del Concilio di Trento, la Chiesa per molti anni cercò di garantire l’applicazione dei
decreti tridentini e soprattutto si adoperò per favorire un maggiore accentramento del potere papale
attraverso l’istituzione delle nunziature ovvero ambascerie apostoliche. Tra coloro che caldeggiarono
quest’ultimo provvedimento vi fu il vescovo di Vercelli Giovanni Francesco Bonomi, che nel 1578
visitò appunto la diocesi di Como.183 Possiamo ipotizzare che in tale occasione, per omaggiare
l’operato del vescovo comense, Colombano, maestro di cappella della Cattedrale di Vercelli, gli abbia
dedicato i Salmi del 1579.
All’anno 1584 risale l’edizione della seconda raccolta di Salmi, quando il frate ricopriva l’incarico
di maestro di cappella presso la chiesa di San Francesco in Milano.184

ARMONIA | SUPER DAVIDICOS | VESPERARUM PSALMOS | MAIORUM SOLEMNITATUM


| R.P.F. HORATII COLUMBANI | DE VERONA ORD. | MIN. CON. | Et in almo caenobio S.
Francisci Mediolani Musicae moderatoris. | QUINIS VOCIBUS | Cum duobus Canticis Beatae, &
immaculatae Virg. Mariae | BRIXIAE, Apud Vincentium Sabbium | 1584 | Ad instantiam Francisci,
& haeredum Simonis de Tinis, Bibliopolarum in Urbe Mediolani.

182
Cit. CLAUDE FLEURY, Storia Ecclesiastica di Monsignor Claudio Fleury … tradotta dal francese dal signor conte
Gasparo Gozzi, riveduta e corretta sul testo originale in questa prima edizione sanese, Tomo I - vol. LII, Siena, Vincenzo
Pazzini Carli e figli, 1785, pp. 280, 281.
183
‹‹Delegato da papa Gregorio decimoterzo alla visita della diocesi, e la eseguì in tre mesi o poco oltre, ricercando le
chiese, parrocchie e luoghi pii, ascoltando i richiami e le informazioni di ognuno, ammonendo, pregando, riprendendo,
minacciando, quando tutti, quando i particolari, e in pubblico e in privato, giudicando le controversie sommariamente, le
lunghe e complicate riportando al tribunale del vescovo, amministrando sacramenti, dispensando abbondevolmente grazie
e favori spirituali››. Cit. MAURIZIO MONTI, Storia di Como, vol. II, Como, Pietro Ostinelli, 1831, p. 262. All’interno di
questa fonte bibliografica, Monti commette un errore nella datazione, infatti la visita di Bonomi non risale al 1569, bensì
all’anno 1578, mentre all’anno successivo risale la redazione degli atti “ufficiali” – verbali visitali e decreti. Dal volume
della visita (ASDCo, Curia vescovile, Visite pastorali, b. 2, c. 1r) risulta che nell’ispezione il prelato era accompagnato
da due cancellieri, da un cappellano e da due servitori, senza però che le generalità di questi personaggi siano specificate;
uno dei cancellieri era probabilmente Giovanni Antonio Caresana, canonico della chiesa maggiore di Vercelli, che l’anno
successivo sottoscrisse verbali e decreti (Ivi, c. 542v).
184
Questa informazione la ricaviamo dal frontespizio della seconda raccolta di salmi, anche se la presenza di Colombano
a Milano è attestata già nel 1583 come dimostra la dedica dell’edizione de Li dilettevoli Magnificat, che termina con la
dicitura ‹‹Di Milano à l’ultimo d’Ottobre, 1583››.
48
Sul verso del frontespizio è possibile leggere la dedica a Padre Clemente Bontadosi da Montefalco,
ministro generale dell’ordine dei frati minori conventuali.185
Clemente Bontadosi, da Montefalco, minor conventuale. Fu teologo insigne, e
ragguardevole predicatore, uomo di carattere corrispondente al suo nome. Fu provinciale
dell’Umbria. Venne eletto in Bologna l’anno 1584 a maestro generale del suo ordine.
Governò due anni, e fu fatto vescovo di Nicastro. Fino allora tutta la religione francescana
aveva un solo cardinal protettore. Questo padre generale umiliò fervorose suppliche a
Gregorio XIII affinché i conventuali avessero un proprio cardinale protettore. Il cardinale
de’ Medici fu assegnato ai padri osservanti, ai conventuali il cardinale Filippo Guastavillani
Bolognese, ai padri cappuccini il cardinale santa Severina. Amministrò la sua chiesa per
anni 8 finché morì, cioè nel 1594.186

Fu egli prima Maestro in Sacra Teologia nel Convento di Montefalco sua Patria, indi
famoso Predicatore in più Città, finchè nei Comizj tenuti in Bologna per la elezione del
Ministro Generale cadde meritatamente la scelta sulla di lui Persona, durante il quale ufficio
dal Pontefice Sisto V venne promosso al Vescovato di Nicastro, quale resse e governò per
molti anni con somma lode, ed in esso morì con la sicurezza in tutti di altri onori, che gli
erano destinati.187

Questa dedica differisce da tutte le altre, essendo espressa in forma paratestuale. Mentre nelle altre
edizioni le dediche occupano un’intera carta, sono molto verbose e descrivono la figura del
dedicatario facendone una sorta di apologia, in questo caso Colombano si è limitato ad anteporre al
testo musicale la seguente dicitura:
REVERENDISS. PATRI MAGISTRO CLEMENTI BONTADOSIO, | à Monte Falchio, totius Ord.
Min. Con. Generali. | Frater Horatius Colombanus de Verona. Cum sex vocibus.

All’anno 1583 risale anche la raccolta di Magnificat edita da Giacomo Vincenti e Ricciardo Amadino
a Venezia.

LI DILETTEVOLI | MAGNIFICAT | COMPOSTI SOPRA LI OTTO TONI | A NOVE VOCI:


Acommodati per cantar: & sonar in concerto: con uno a quatordeci | voci: a tre Chori. | DEL R.P.F.
ORATIO COLOMBANO | Da Verona Min. Con. | Novamente composti & dati in luce. | IN VENETIA
| Appresso Giacomo Vincenci & Ricciardo Amadino compagni: | 1583

185
‹‹Lione X nella Bolla di Concordia Omnipotens Deus dispone, che in perpetuo il Superior Generale de’ Conventuali
s’intitoli col nome di Maestro – abbiamo disposto, dic’egli, che il Maestro ora, e per l’avvenire eletto al Governo de’
Frati Conventuali di San Francesco, secondo la detta nostra ordinazione MAESTRO GENERALE DE’ CONVENTUALI
in perpetuo si debba chiamare [r.]. Secondariamente il Ministro Generale secondo la Regola di San Francesco dee essere
un solo in tutto l’Ordine de’ Minori, a cui tutti i Frati Minori per precetto della medesima Regola son tenuti ubbidire. E
questa è l’altra dichiarazione di Lione X nella Bolla di Unione Ite & vos […]››. Cit. GIOVANNI ANTONIO BIANCHI, Lettere
Di Ragguaglio d’un buon amico a Filalete Adiaforo sopra la controversia di qual'ordine de'minori sia Il B. Andrea
Caccioli da Spello, tomo II, Lucca, Sebastiano Domenico Cappuri, 1727, p. 158.
186
Cit. S. DA VENEZIA, Biografia Serafica degli uomini illustri, p. 500.
187
Cit. STEFANO MONTICELLI, Compendio istorico della Vita, Virtù, e Miracoli di S. Fortunato confessore paroco e
protettore di Montefalco, Foligno, Tipografia Tomassini, 1829, p. 364.

49
Probabilmente, all’epoca della composizione, Colombano ‹‹aveva già assunto la direzione della
cappella musicale della chiesa di S. Francesco››,188 in Milano. Alla fine della dedica, infatti, è posta
l’indicazione ‹‹Di Milano à l’ultimo d’Ottobre MDLXXXIII››.
La prima composizione della raccolta è un madrigale a nove voci che è un’apologia della figura di
Cesare Negrollo, dedicatario dell’edizione; ‹‹seguono gli otto Magnificat (uno per ogni tono
salmodico) a nove voci divise in due cori formati rispettivamente da quattro e cinque voci ciascuno
e, a chiusura, un ulteriore Magnificat sul sesto tono a quattordici voci divisi in tre cori, aggiungendo
all’organico un altro a cinque voci››.189
Per quanto concerne la figura del dedicatario, la documentazione è purtroppo alquanto scarsa. La
lettera dedicatoria dell’edizione ci fornisce alcune informazioni circa lo status sociale di Negrollo.
Nella prima parte Colombano, dopo aver ribadito l’importanza della musica anche in connessione
con una visione cosmologica dell’universo, dichiara quali sono gli strumenti che ha utilizzato per la
composizione dei Magnificat ovvero ‹‹i toni assegnati all’armonia diatonica››
LA Musica (Magnanimo Signore) hà fra le scienze, antichissimo possesso, di tanta eminente
prerogativa, che à lei, come divina (oltre à molte, e molte altre meraviglie) è stato sempre, & è
tuttavia attribuito, ch’ella intervenga nel continuo stupendo moto de Cieli, [sic] e nell’unione, e nel
mantenimento dell’universo. […] Hora (Signor mio) essendomi io assai essercitato, ma tuttavia con
poco acquisto, in questa divina scienza; hor ho posto, come ho saputo, il meglio in concenti musicali
à nove voci, sopra i toni assegnati all’armonia Diatonica; […]

Nella seconda parte della dedica l’attenzione è posta sul ruolo di mecenate assunto da Negrollo, che
offre protezione e appoggio agli artisti che lavorano al suo cospetto, a lui il frate rivolge la richiesta
di poter essere assunto in pianta stabile nel suo entourage musicale:
Degni ella dunque al presente d’accettare, e d’aggradire intanto questa affetuosa, e fiducial
dimostration dell’animo mio; che se ben risulta, a serve tutta in mio honore, e prò; nondimeno
non sdegni, che io anchor con questa occasion, le porga preghi, come humilmete faccio, che mi
voglia degnar della pregiatissima sua protettione, gratia; offerendole, in luogo della mia bassezza,
l’alta affetion, con la quale io l’ammiro, e le desidero augumento infinito di quei molti, e grandi
beni, che per voler divino; V. S. magnanimamente dispensando, gode pur tuttavia. E sperando
dalla sua singolar benignità, il bramato favore; le faccio hora augurio di tutte le contentezze da
N.S. Iddio | Di Milano à l’ultimo d’Ottobre MDLXXXIII

Un quadro decisamente più chiaro si va delineando in alcune fonti biografiche in cui il Negrollo è
definito come ‹‹uno de’ più ricchi mercanti di Milano››.190 Addirittura si ritiene che costui sia stato
un personaggio fondamentale della rete commerciale tra Milano e Lione. Richard Gascon, nel suo
studio inerente i commerci di Lione, indica i nomi di alcuni commercianti attivi all’epoca e tra quelli

188
Cit. O. MISCHIATI, voce “Colombano, Orazio”, Dizionario Biografico degli Italiani, p. 131.
189
Cit. T. MAGGIOLO, Orazio Colombano, Li Dilettevoli Magnificat (1583), p. VII.
190
Cit. CESARE CANTÙ, Scorsa di un lombardo negli archivj di Venezia, Milano; Verona, Crivelli e Comp, 1856, p. 107.
50
di origine milanese nomina un certo Cesar Negrol, ‹‹residente a Parigi, che aveva il titolo di armurier
du roi e, nel 1570, era titolare di un’agenzia a Lione››.191
I mercati francesi non erano però il suo solo interesse dal punto di vista commerciale; nel 1579 fu
costituita una compagnia nella quale Giovanni Battista Litta, che forniva il nome alla società, Cesare
Negrollo e Giovanni Battista Rovellasca ricoprivano il ruolo di amministratori. In questa caso ‹‹gli
affari trattati dalla compagnia spaziavano da Madrid a Lisbona, investendo parte del capitale nella
stipulazione di contratti con il re di Portogallo per l’importazione del pepe dalle Indie Orientali››.192
La dedica dei Magnificat acquista quindi un significato particolare: fino a questo momento
Colombano aveva dedicato la sua produzione sacra a personaggi che rientravano comunque
nell’ambito ecclesiastico e che ricoprivano, come nel caso di Clemente Bontadosi, un ruolo di rilievo
in qualità di ministro generale dell’ordine; nel caso che stiamo esaminando Cesare Negrollo,
personaggio del tutto estraneo alla realtà clericale, fu un grande amante dell’arte, fu anche un grande
collezionista di quadri e profondo conoscitore della letteratura classica; lo dimostrerebbe il possesso
di un esemplare dell’opera Delle vite e sententiae de’ filosofi illustri. Di nuovo dal greco ridutto nella
lingua italiana per i rossettini da Prat’Alboino, testo in cui è espressa la concezione filosofica di
diversi autori dell’antichità fino al II secolo e che ebbe una grande diffusione durante la fine del
Cinquecento.193 È possibile dunque che il mercante abbia posseduto una discreta biblioteca, sia stato
un grande sostenitore degli artisti e che probabilmente abbia fatto donazioni anche agli ordini religiosi
dal momento che a queste date i conventi continuavano a svolgere la funzione di depositari della
cultura, non solo in termini di patrimonio librario, ma gli stessi chierici si dedicavano attivamente alla
pratica delle arti, soprattutto la pittura e la musica.
Agli anni ’80 del Cinquecento risalgono altre due opere sacre ovvero una raccolta di mottetti (1580)194
e una raccolta di salmi per la compieta (1585).195 La prima è dedicata al confratello Camillo
Tacheti,196 mentre la seconda è dedicata al ‹‹Reverendo Patri Magistro Aemilio Bertotio [Bertozzi]

191
Cit. in HERMANN KELLENBENZ, I Borromeo e le casate mercantili milanesi, in San Carlo e il suo tempo: atti del
Convegno Internazionale nel IV centenario della morte, (Milano, 21-26 maggio 1984), Roma, Edizioni di storia e
letteratura, 1986, pp. 805–836: 830.
192
Cit. BENEDETTA CRIVELLI, Le Compagnie mercantili dei Litta in Spagna nella seconda metà del XVI Secolo. Forme
di finanziamento e relazioni tra i soci, ‹‹Studi storici Luigi Simeoni››, LXIII (2013), pp. 63–74: 67.
193
Cfr. http://www.preliber.com/libri-antichi/delle-vite-e-sententie-de-filosofi-illustri-di-nuouo-dal-greco-ridutto-nella-
lingua-italiana-per-i (esemplare presente sul mercato antiquario in data 13 agosto 2016): ‹‹Magnifica legatura coeva
lionese in vitello bruno con filetto di riquadro e medaglione in stile orientale impressi oro ai piatti; su quello anteriore si
legge il nome di Cesare Negrolo entro cartiglio››.
194
F. HORATII | COLUMBANI | VERONEN. | QUINQUE CANTIONES QUINIS | VOCIBUS CONCINENDAE, | UNA’
CUM | TE DEUM LAUDAMUS. | BRIXIAE, APUD VINCENTIUM SABBIUM. 1580
195
COMPLETORIUM | ET CANTIONES, | vulgo nuncupatae: | FALSI BORDONI | SEX ORDINIBUS DISTINCTAE |
QUINIS VOCIBUS | Super octo tonos decantandae. | R. P. F. HORATII COLUMBANI | Veronensis Ord. Min. Conv. | in
Ecclesia S. Francisci Brixiae Musice Moderatoris. | BRIXIAE, Apud Thomam Bozzolam. 1585.
196
La precisazione sul dedicatario è specificata nell’edizione delle Quinque cantiones del 1580 ‹‹carme latino in cinque
sezioni (di Bernardo Butiri) in onore del concittadino e confratello padre Camillo Tacheti›› che segue la dedica; cfr. O.
MISCHIATI, Dizionario Biografico degli Italiani, p. 130.
51
Brixiensi, artium et sacrae theolog. Doctori eximio ordinis minorum conventualium patrono suo
colendissimo››. Purtroppo in quest’ultimo caso la ricerca non ha permesso di individuare tale figura;
tuttavia la dedica della raccolta dei mottetti fornisce informazioni interessanti: è l’unico caso nella
produzione di Colombano in cui viene rivelato l’autore dei testi. Si tratta di carmi apologetici
composti da Bernardo Butiri197 in onore di Camillo Tacheti, frate e dottore in teologia di origini
veronesi appartenente all’ordine dei conventuali (con il ruolo di concionatore):
MULTUM R. P. SACRAEQ. THEOLOGIAE DOCTORI | AC S. IOANNIS DE BRIXIA |
CONCIONATORI, | F. CAMILLO TACHETO VERON. | ORD. MINORUM CONV. | ETSI tanta
est nominis virtutumq; tuarum claritas, ut nullius neq; praeconio, neq; predicatione indigeat: ego
tamen miro quodam testificandae mee in te obsevantie desiderio incensus continere me non potui,
quin eximias animi tui dotes quoquo possem laudis genere, celebrare studerem. Qua propter cum
pulcherrima quaedam Reverendi Bernardini Butyri carmina in tuam laudem, & commendationem
composita ad meas manus pervenerint, ea musicis numeris, & concentibus mandavi, & typis
excusa in lucem edenda curavi, ut una, & Butyri, tui studiosissimi carmen, & nomen tuum ubiq;
celebretur. Te igitus rogo, ut hoc, qualecunq; est, mei in te amoris atq; observantiae monimentum,
libenter accipere, digneris, tibiq; persuadeas velim, me ita honoris, & observantiae monimentum,
libenter accipere, digneris; tibiq; persuadeas velim, me ita honoris, & amplitudinis tuae cupidum,
studiosumq; esse, ut in te colendo concedam nemini. Vale, & me (ut facis) arma. Frater Horatius
Colombanus Veronensis, eiudem Ord.

Questa edizione, pubblicata dallo stampatore Vincenzo Sabbio,198 come quella del 1583, rimanda al
contesto bresciano che nel sedicesimo secolo vantava una nutrita schiera ‹‹di musicisti, di artisti del
canto e del suono, di maestri insigni della liuteria e dell’arte organaria›› e nel contempo istituti
musicali come la Cappella del Duomo che teneva viva e alimentata la fiamma dell’educazione
musicale, come nel passato le cappelle musicali delle chiese minori di Asola, Verolanuova, Salò,
Chiari, e di alcune delle chiese urbane come S. Giovanni e S. Nazzaro, che avevano contribuito
notevolmente alla diffusione del buon gusto musicale.199 Nel 1585 Colombano assunse la direzione
della cappella musicale della chiesa di San Francesco di Brescia, come si può desumere dal
frontespizio della raccolta dei salmi per la Compieta, di cui si riporta un estratto della dedica
dell’edizione.

VEXILLUM CONFRATERNITATIS CONCEPTIONIS BEATAE MARIAE V. | REVERENDO


PATRI MAGISTRO | AEMILIO BERTOTIO BRIXIENSI, | ARTIUM ET SACRAE THEOLOG.

197
Riguardo questa figura non sono emersi ulteriori dati biografici.
198
Nel 1554 nacque una ‹‹nuova impresa editoriale che rispondeva al nome di Ludovico Nicolini da Sabbio, trasferitosi
a Brescia da Venezia assieme al fratello Giovanni Maria e al figlio Vincenzo. Si trattava non della creazione di una
filiale dell’importante azienda dei Nicolini da Sabbio, ma di una sua divisione, dopo che il fratello maggiore Giovanni
Antonio era morto e dopo che l’altro fratello, Stefano, si era trasferito per lavoro a Roma. Di conseguenza si assisté a
una vigorosa ripresa dell’editoria bresciana, che fu nuovamente in grado di conferire numerosi e qualificati prodotti
editoriali al mercato librario degli Stati italiani e di quelli europei rimasti nell’orbita della Chiesa cattolica fino agli anni
trenta del Seicento››. Cit. ENNIO SANDAL, Uomini, lettere e torchi a Brescia nel primo Cinquecento, ‹‹Aevum››, LXVII
(2003), pp. 557-591: 559.
199
Cfr. PAOLO GUERRINI, Per la storia della musica a Brescia. Frammenti e documenti inediti, ‹‹Note d’archivio per la
storia della musica››, XI (1934), pp. 1-28: 1-2.
52
DOCTORI EXIMIO | ORDINIS MINORUM CONVENTUALIUM | PATRONO SUO
COLENDISSIMO. | F. Horatius Colombanus Veronensis | eisdem Ordinis S.P.D. |

Cum hisce elapsis diebus animi gratia quoddam Completorium quinis vocibus decantandum, & nonullas alias
Sacras Cantiones simul composuissem, quas quidem minime in lucem edere volebam, nisi a quibusdam
fuissem rogatus amicis, ob id opportunum esse censui sub alicuius nomine etiam evulgari debere, ut id, quod
per obscurum esse videretur clarissimo tuo nomine illustraretur, ac decoraretur. […] Nullum enim esse fateor
inter nostrae Religionis limites Patrem, qui magis quam tu artis Musices peritos amaverit, tantisq; ornarit, &
cumularit honoribus. […] erga te observantie significationem declararem, mihi visum est has sacras cantiones
rudi mea minerva compositas non posse digniori patri, maioriq musices studiosorum cultori, quam tibi dicare.
Accipe igitur hillari fronte exiguum munus […]

Colombano ha dedicato l’opera ad un tale Emilio Bertozzi definito ‹‹ordinis minorum conventualium
patrono suo colendissimo››, probabilmente un superiore che il conventuale aveva deciso di omaggiare
con la raccolta di salmi per compieta. Il dedicatario viene definito come esperto di musica e l’autore
indirizza queste Sacrae Cantiones affermando, secondo la retorica del tempo, che non potessero
essere composte se non per un cultore della materia della sua competenza.
Dal momento che l’edizione è datata 1585, anno in cui, come si è detto, Colombano era maestro di
cappella nella chiesa di San Francesco a Brescia, probabilmente tale dedica era funzionale ad ottenere
una proroga dell’incarico, scopo che purtroppo non fu raggiunto; la permanenza nella città lombarda
non durò molto, tanto che nello stesso anno il percorso professionale di Colombano proseguì con
l’incarico di maestro di cappella presso la prestigiosa istituzione della chiesa di Santa Maria Gloriosa
dei Frari; la chiesa conventuale aveva raggiunto il suo apice in ambito musicale a partire dal XVI
secolo quando venne dotata stabilmente di un notevole organico vocale e strumentale e di un maestro
di cappella. Dopo San Marco essa rappresentava l’istituzione più prestigiosa a Venezia e aveva visto
avvicendarsi illustri personaggi per la direzione della cappella musicale tra cui anche lo stesso
Ludovico Balbi. A questo periodo appartiene l’ultima raccolta di salmi, edita appunto nel 1587, e
dedicata al ‹‹Reverendo Padre F. Lauro Baduario›› appartenente all’ordine dei Crociferi di Venezia.

Il veneziano Lauro Baduarius (1545-1593) a Venezia era qualcuno. Aveva conseguito il


baccalaureato in teologia e pubblicato una dissertazione: De operibus septem dierum
Moysis theoremata Publico disputanda congressu in comitiis generalibus fratrum
Crucigerorum. A Fratre Lauro Baduario Crucigero Sacrae Theologiae | Baccalaureo. \
Bononiae, ] Apud Ioannem Rossium, MDLXXIIII. Curiae Episc. & Inquisit. Concessu (0.
A.) In foglio, di 20 cart. non num., nell’ultima delle quali si legge: ‹‹Disputbuntur Bononis
in Ecclesia S. Mariae | de Morello Crucigerorum, Mense Maij, Die & hora››. Prefazione
dedicatoria del Baduario a Coll’Antonio Caracciolo, marchese di Vico, data ‹‹Bologna, il
1° maggio 1574››. [Badoer, Lauro].200

200
Cit. MICHELE COLAGIOVANNI, L’ordine dei Crociferi a Santa Maria in Trivio in Roma, ‹‹Il Sangue della Redenzione:
rivista semestrale dei missionari del preziosissimo sangue››, VII/2 (2009), pp. 59–84: 61.
53
Nella dedica Colombano elogia le doti di comunicatore di Lauro Baduario definendolo ‹‹Concionatori
celeberrimo Priori S. Mariae Crucigerorum Venetiarum››; molto probabilmente era rimasto colpito
dai principi espressi all’interno della sua dissertazione.201
Colombano mantenne l’incarico di maestro di cappella presso la chiesa dei Frari fino al 1591 e nel
maggio dello stesso anno ricoprì la medesima posizione presso la cattedrale di Urbino.
La tappa più importante nel percorso professionale del frate fu la seconda esperienza veneziana, come
lui stesso ammise in una lettera risalente al 6 gennaio 1592: ‹‹È gran tempo che io desidero che mi si
rappresenti occasione di servir per Maestro di Capella quel sì honorato loco […]››.202 È un momento
difficile per la cappella dal punto di vista organizzativo. Infatti, dopo il periodo di ‹‹massima
stabilità›› (1569-1585) in cui Bonifacio Pasquali era stato maestro di cappella, ‹‹gli ultimi anni furono
caratterizzati da un numero elevato di avvicendamenti alla guida dell’istituzione musicale: tre diversi
maestri e tre sostituti ressero la cappella per periodi variabili da alcuni mesi a sette anni››.203 La ricerca
di un maestro di cappella valido comportava diversi requisiti come dimostra il seguente documento:

Persona atta et sufficiente à questo carico di maestro di capella che sia di buoni et laudevoli costumi, et
vitta esemplar o sia religioso o secular si come è sta sempre osservato dovendo quello che sarà elletto
servir personalmente facendo quello gli sarà imposto et che si conviene per il bisogno del coro. 204

Il 26 maggio 1592 Orazio Colombano fu nominato maestro di cappella della Basilica del Santo.
L’accettazione dell’incarico da parte del conventuale avvenne nel mese di giungo dello stesso anno,
come testimonia la documentazione conservata presso l’Archivio storico della Veneranda Arca di
S’Antonio.205 Colombano deve aver dimostrato notevoli capacità dal momento che già l’anno
successivo i presidenti dell’Arca prendevano in esame una sua richiesta di aumento a 120 ducati. 206

201
L’anno successivo alla pubblicazione della raccolta di salmi fu alquanto turbolento per l’ordine dei Crociferi, fu
presentata da un membro dell’ordine, Ottaviano Semitecolo, un’accusa nei confronti di Baduario, nella lettera indirizzata
al ministro generale dei Crociferi il comportamento inopportuno del frate è così stigmatizzato: ‹‹[…] non ha in se punto
di Religione o timor di Dio, poiché quasi mai dice Messa, rarissime volte va in Coro, et molte feste Domeniche,
et di Apostoli non solo non celebra, ma ne pur vede messa privata, con grandissimo scandalo di tutto il
monasterio. Porta poco rispetto al nome di Dio che spessissime volte per lieve cagione rinega similmente la
gloriosa Madre, dicendo al Corpo e Sangue, al cospetto, et altre parole sandalosissime, con dolore et spavento
di chi lo sente […] Non fa punto stima de’ Superiori anzi straparla di loro con parole ingiuriose, havendo
ingiuriato più volte publicamente et la Paternità Vostra Reverendissima, et il Padre Provinciale et gli altri
Prelati della Religione. Havendosi anche lassato uscir di bocca in diverse occasioni, simili parole: “Io non
obedirò ne General ne il Papa”››. Cfr. M. COLAGIOVANNI, L’ordine dei Crociferi a Santa Maria in Trivio in Roma, pp.
60, 62; il documento è conservato presso l’Archivio Segreto Vaticano: ASV, Miscellanea Arm. II, n. 101, ff 341-343.
202
Cit. AdA (Archivio antico della veneranda Arca di S. Antonio) 65 fasc. VIII, n. 193 cit. in S. DURANTE –P. PETROBELLI,
Storia della musica al Santo di Padova, p. 61.
203
Ivi, pp. 57, 58.
204
Cit. PIERLUIGI PETROBELLI, Appunti per Francesco Dal Sole: miscellanea, ‹‹Acta Musicologica›› XXXVII/3,4 (1965),
pp. 189-197: 195.
205
Ivi, p. 196.
206
‹‹Se la generosità delle V. S. Molto R. et Mag.ce non accomagnasse il bisogno, et la necessita mia, io certo alle loro
presenze di appresentarmi non ardirei, ma poi che la prima ad esplicar l’altra mi da animo, ardisco di appresentarmi con
54
La sua permanenza a Padova fu contraddistinta dalla pubblicazione di una raccolta di Salmi di
Compieta con Antifone207 della Madonna dedicati ai RR. Padri et Magn. ci Presidenti dell’Arca per
mostrare loro la sua gratitudine in seguito al conferimento del prestigioso incarico.208
L’organico che era impiegato presso la Basilica del Santo aveva avuto un notevole incremento: ‹‹oltre
ai fanciulli cantori (i “fratini” dell’attiguo convento) che costituivano la voce di soprano, egli poteva
disporre di almeno una dozzina di cantori adulti (un soprano falsettista, tre contralti, sei tenori, tre
bassi), e di alcuni strumentisti (due violini, un cornetto, un trombone e due organi)››.209
A causa delle sue condizioni di salute Colombano nel 1595 cessò l’attività presso il Santo e nello
stesso anno, un altro frate, Placido da Rimini, assunse l’incarico di maestro di cappella.

Ritrovandosi il predetto M.o Collombano M.o di cappella indisposto fià molto tempo ne potendo
ademplir il suo obligo et nella cappella et nel insegnar alli fratini et essendo compreso che il p.
fra Placido da Rimeno vicario serve come in luogo di m.o di cappella et havendo gran bisogno li
fratini di esser instruiti Pero dovendo continuar il padre viccario predetto a far detto offitio di V.
M.o di cappella et anco a dar principio de insegnar a ditti fratini Andara parte che per recognitione

questa supplica al loro conspetto. Devonsi molto bene arecordare le V. S. Molto R. et Mag.ce che quando io da Urbino
scrissi a questa cossi celebre congregatione profesandomi al servigio di questa tanto honoratta chiesa, le scrisse che del
stipendio io non ne parlavo, sperando che mi trattassero ugualmente al mio antecessore. Ma alle loro volonta parve di
darmi quel salario, che gia vinti anni si dava al Mastro di Capella, quando ogni cosa molto minor pretio valea di quel
d’hora, et con pocchi denari alle necessita si proevedea. Io che di servir a questa Ill. chiesa et alle V. S. Molto R. et Mag.
Bramavo, venni al loro servigio, sperando che co’l mezzo delle fatiche mie fossero esse fatiche dalla generosità loro et
conosciute et riconosciute à tempo debbito, le quali fatiche son quelle istesse che il mio antecessor facea: et hora sono
cossi stretti et calamitosi gli tempi che le cose vagliono molto più assai di quanto all’hora valeano, come apertamente
sanno et conoscono le V. S. Molto R. et Mag.ce. Pertanto, con ogni humilta devutta supplico le V. S. Molto R. et Mag. Ce
che mosse dalla necessita che me stringe et dalla loro naturale et propria generosità, considerando alla stranezza de tempi
mi vogliano assignare quel stipendio che havea il mio antecessore, che era di cento e vinti ducati, et io per dieci ò più anni
prometto alle V. S. Molto R. et Mag. Ce di servire con vivo affetto di core, senza altro accrescimento adimandare se tanto
vivrò come spero, et tal gratia concedendomi, faranno forse fuggir da me quel malinconico humore che quasi infermo mi
tiene […]››. Cit. AdA 65, fasc. VIII, n. 208 cit. in S. DURANTE –P. PETROBELLI, Storia della musica al Santo di Padova,
p. 62.
207
AD COMPLETORIUM | PSALMI DUPLICES | PRIMI OCTONIS NONISQUE VOCIBUS | Secundi concinendi, |
Cum Antiphonis solitis B. Virginis Mariae, | Auctore | F. HORATIO COLUMBANO VERONENSE | Min. Con. & in
Celeberrimo Divi Antonij Patavini templo, | Musices moderatore. | VENETIIS, Apud Riciardum Amadinum. | 1593.
208
Cfr. G. TEBALDINI, L’Archivio Musicale della Cappella Antoniana in Padova, p. 16. Di seguito si riporta la dedica
dell’edizione: ADMODUM REVER. Dis PATRIBUS | ET MAGNIFICIS DOMINIS | D. PRAESIDENTIBUS |
Venerabilis Arce Divi Antonij Patavini. | Frater Horatius Columbanus Veronensis. S.P.D. |Ea semper fuit animi mei summa
erga vos observantia: Viguit in me perpetuo beneficij accepti memoria, & virtutis magnitudo ex generis omnium vestrum
profecta apud me plurimum valuit, ut nonnullas multis meis vigilijs elucubrationes factas sub nomine vestro in lucem
prodire consulto decreverim: Siquidem rem gratam me vobis facturum, & eas tutissimo patrocinio suffultas, atque
munitas, invidos detrahentium morsus facile propulsare posse existimavi. Quod si vestrae Amplitudini munus exiguum
fortasse videatur, quaeso non muneris parvitatem, sed animi gratio magnitudinem spectetis, ut potè qui cum vobis
plurimum se debere sentiat plura quoque quotidie in vos referre cogitat: Ego namq; vos esse intelligo qui paucis ante
mensibus magno cum desiderio, & consensu (cum Urbinatis Cathedralis Ecclesie Musices praefectus essem) ad hoc tam
diligenter à vobis rectum, conservatum, & ornatum Sancti Antonij augustissmum templum me Musice moderatorem
accersiri, & invitari iussistis, quo nihil unquam gratius mihi accidere potuit, ut cum omnem operam meam quam diu
optaveram Divo Antonio navarem, cui servire summam gloriam censeo, tum ut Dominationibus vestris, quarum
magnitudo, & auctoritas in hac Urbe magnam est, id quod sum, & possum hilariori fronte consecrarem: Itaque
qualiacumque fuerint hec, quae mea sunt, grato animo accipere, fovere & protegere vos etiam atque etiam rogo; sunt
etenim Amoris & observantie qua vobiscum teneor firmissima argumenta. Valete. | Datum Patavij Primo Ianuarij die.
1593.
209
Cit. O. MISCHIATI, voce “Colombano, Orazio”, Dizionario Biografico degli Italiani, p. 131.
55
di sue fatiche, et a lui siano assignati ducati 25 di augumento si che il suo sallario in tutto sia de
ducati cinquanta li quali ducati 25 debbono esser tolti della portion del M. o de Cappella al quale
si paghera tanto manco, et habbi a principiar il presente mese di marzo.210

Non si conoscono le cause della malattia di Colombano, ma probabilmente questa indisposizione fu


la causa del decesso. In una lettera ai deputati della Basilica del Santo, risalente all’11 aprile 1593,
oltre ad esprimere la richiesta per un aumento di stipendio, egli parlava già di un «malinconico
humore che quasi infermo mi tiene».211

210
ANTONIO GARBELOTTO, La cappella musicale di S. Antonio in Padova, ‹‹Il Santo››, VI (1966), pp. 67-126: 104.
211
Cfr. O. MISCHIATI, voce “Colombano, Orazio”, Dizionario biografico degli Italiani, p. 131.

56
2.2 Il contesto di sperimentazione ferrarese

L’indagine condotta sulla produzione del frate, come abbiamo visto nel precedente paragrafo, ha
permesso la ricostruzione della biografia del compositore, rivelando il substrato culturale in cui
l’autore visse ed operò.
Il Libro Secondo de Madrigali a cinque voci, edito a Venezia da Ricciardo Amadino nel 1588, 212unica
opera profana nella produzione di Colombano, è dedicato ad Alfonso II d’Este, duca di Ferrara.
Alla fine del Cinquecento la roccaforte estense rappresentò un centro propulsivo per lo sviluppo della
musica e in modo particolare per il madrigale. Gli Este, come anche i Gonzaga, legati alla famiglia
ferrarese tramite il matrimonio di Isabella d’Este e il marchese di Mantova Francesco II Gonzaga,213
avevano manifestato un vivo interesse per la musica già all’inizio del XV secolo. Ferrara così
cominciò ad imporsi dal punto vista musicale sulla scena europea, giocando un ruolo essenziale per
l’ascesa della polifonia in Italia. Questa evoluzione fu la conseguenza di una profonda trasformazione
della città. Nel Trecento infatti manteneva ancora l’aspetto di una roccaforte feudale al contrario ad
esempio di Firenze che era già perfettamente inserita nei traffici commerciali europei proprio grazie
all’azione di mercanti e banchieri. In tali condizioni Ferrara non aveva quindi alcun elemento che
potesse dar vita ad un contesto ricreativo in cui la prassi polifonica potesse fiorire, la svolta decisiva
si ebbe proprio grazie alla famiglia degli Estensi, la città fu soggetta ad un’ondata di rinnovamento
non solo nella musica ma in tutti gli ambiti della cultura.
Sotto la reggenza di Niccolò III d’Este (1393-1429), la città aveva cominciato a respirare un’aria
‘internazionale’ proprio grazie ai numerosi viaggi affrontati dal duca, tra le cui tappe vi furono la
Terrasanta e nel 1414 la Francia. Queste esperienze apportarono un contributo molto significativo e
costituirono un ponte di collegamento con altre culture e tradizioni.
All’epoca la corte francese era uno dei centri musicali più importanti in Europa. Carlo VI seguì le
orme del suo predecessore che aveva stabilito a corte una souveraine chapelle, che già alla fine del
Medioevo rappresentava una delle più importanti istituzioni ‹‹pour pourvoir aux besoins musicaux
de sa cour [del re] […] Sa fonction première était de célébrer l’office divin dans le cadre de la chapelle

212
Altre fonti attribuiscono a Colombano anche altre due edizioni di musica profana: Il Primo Libro de’ madrigali a
cinque voci (segnalato dal FetisB) edizione del 1587; La fausta selva … madrigali, libro primo, 3vv. (segnalato da
EitnerQ). Il RISM online, che al momento è la fonte più aggiornata, segnala come unica opera profana il Libro secondo
de’madrigali a cinque voci.
213
Il matrimonio fu celebrato l’11 febbraio del 1490, e il 15 dello stesso mese Isabella fece il suo ingresso a palazzo.
57
privée du roi››.214 In Francia le prime attestazioni risalgono al regno di Carlo V (1364-1380): i
musicisti della souveraine chapelle cantavano nello stile di discanto tutte le domeniche e in occasione
delle festività; la cappella seguiva il re nei suoi spostamenti anche quando le circostanze lo portavano
ad un allontanamento dai suoi luoghi di residenza per un lungo periodo.215
La musica era dunque un elemento essenziale nella vita di corte a tal punto che, per la nobiltà francese,
l’apprendimento della prassi esecutiva e la comprensione estetica della musica rappresentavano
attività non prive di significato ma anzi erano indice di crescita personale; questo processo interessò
anche la nobiltà italiana che cercò di emulare i modi e le maniere francesi, un inventario del 1436
della biblioteca estense, ai tempi di Niccolò III d’Este, segnala infatti un volume dal titolo Libro uno
chiamado Politica, in francexe[…].216 Durante la reggenza di Niccolò III ebbe inizio un processo di
acculturazione che proseguì sino agli ultimi decenni del Quattrocento con l’assimilazione delle
tradizioni musicali internazionali sotto la mirabile guida di Ercole I d’Este; fu proprio grazie a lui e
al mecenatismo dei successori che Ferrara raggiunse l’apice nell’ambito artistico-musicale.217
Tuttavia a differenza di Ercole I, che si occupava principalmente di incrementare il repertorio sacro
della sua cappella, i suoi successori Alfonso I, Ercole II e Alfonso II diedero maggiore importanza
alla produzione profana.218 Specialmente con il ducato di Alfonso II d’Este la città visse un clima di
profondo rinnovamento delle arti.
La musica in modo particolare costituì un tratto distintivo della vita della corte ferrarese al punto da
assolvere un ruolo importante sia dal punto di vista culturale che politico. Le corti italiane infatti,
specialmente alla metà del secolo, ostentavano una raffinata immagine di sé tramite la promozione di
attività musicali sia pubbliche che private.219
Alfonso II d’Este fu uno dei più grandi mecenati della seconda metà del Cinquecento: la sua corte
infatti era un vero e proprio cenacolo di numerosi poeti, artisti e letterati tra i quali Giovanni Battista

214
BERTRAND DEPREYOT, La musique à la cour du roi de France (1461-1515), in Position des Theses, diplômé de master,
Paris, École nationale des chartes, 2009, pp. 69-78: 71.
215
Ibidem, cfr.. ‹‹Cestuy Roy célébrait les festes des saints, en services mélodieux de chant dont il avoit souveraince
chapelle, laquelle il tenoit richement et honnestement de toutes choses et à chantres, musiciens souverains et honorables
personnes››. Cit. CHRISTINE DE PIZAN, Le livre des faits et bonnes moeurs du sage roi Charles V publié pour la Société
de l'histoire de France […] par S. Solente, vol. I, Paris, Champion, 1936, p. 86. ‹‹La musique de cette chapelle,
complètement réorganisée en même temps que celle de la chambre, lorsque Charles V fut couronné roi de France, se
composait, suivant une ordonance de mai 1364 […]››. Cit. ERNEST THOINAN, Les origines de la chapelle-musique des
souverains de France, Paris, A. Claudin, 1864, p. 56.
216
Cfr. LEWIS LOCKWOOD, Music in Renaissance Ferrara: 1400-1505 the creation of a musical centre in the fifteenth
century, Oxford, Clarendon Press, 1984, pp. 11, 15.
217
Ivi, p. 4.
218
Cfr. LEEMAN L. PERKINS, Music in the Age of Renaissance, New York, W. W. Norton & Company, 1999, p. 681.
219
Cfr. GIUSEPPE GERBINO, Music, in The Cambridge Companion to the Italian Renaissance, edited by Michael Wyatt,
Cambridge, Cambridge University Press, 2014, pp. 224-238: 224.
58
Guarini e Giovan Battista Pigna,220 autore dell’ Historia de principi di Este, opera storiografica in cui
si narrano in maniera dettagliata gli eventi e le imprese che hanno visto come protagonisti i membri
della famiglia ferrarese congiuntamente alle ‹‹cose principali dalla rivolutione del Romano Imp. In
fino al 1476››.221 Anche dal punto di vista musicale l’ambiente pullulava di figure del calibro di
Luzzasco Luzzaschi che impartì lezione di canto alle sorelle del duca, Leonora e Lucrezia.222 In realtà
già sotto la reggenza di Alfonso I223 (nonno paterno del duca Alfonso II), seguendo la tradizione di
Jacopo Sannazzaro e dei pittori veneziani in particolar modo di Giorgione, l’ambiente della corte
ferrarese sviluppò una particolare predilezione per il mondo pastorale – una visione arcadica ereditata
dalle descrizioni di Virgilio e Ovidio, dove i protagonisti sono pastori, ninfe e satiri in un connubio
di relazioni amorose che gravitano attorno alle divinità rurali ovvero Apollo, Bacco, Cerere e altri.224
Dunque Ferrara potrebbe essere definita come uno dei centri più all’avanguardia dal punto di vista
musicale, che raggiunse il suo apice sotto la guida dei duchi Ercole II e Alfonso II. Una preziosa fonte
storica Banchetti, compositioni di vivande et apparecchio generale, di Christoforo di Messisbugo,
pubblicata a stampa a Ferrara nel 1549, ritrae nel dettaglio non solo i grandi banchetti che si tenevano
a corte, ma anche il repertorio che accompagnava i conviti ed inoltre descrive minuziosamente gli
strumenti con cui gli esecutori animavano gli intrattenimenti musicali.225 Il potere dell’arte musicale
si manifestava anche all’interno del contesto privato, ‹‹ciò rimanda ad una prassi comune nella corte

220
Giovan Battista Nicolucci (detto il Pigna) nacque a Ferrara nel 1529, fu un illustre letterato della fine del Cinquecento.
Fu al servizio degli Estensi in qualità di precettore di Alfonso II d’Este e divenne in seguito segretario ducale e storico
ufficiale della famiglia ferrarese.
221
Cfr. SALVATORE RITROVATO, voce “Nicolucci, Giovan Battista”, Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 78 (2013),
pp. 522-526: 523.
222
Cfr. ROMOLO QUAZZA, voce “Alfonso II d’Este, duca di Ferrara”, Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 2 (1960),
pp. 337-341: 338, 339.
223
‹‹[...] il Prencipe stesso averebbe il verno innanzi cena suonato di Viuola, ma un cotal Cameriere, un Cappellano
privato de' suoi, e passato quel tempo non solo avanti, ma anco dopo la cena, cantato dui o tre mottetti, Canzone Francese,
ed altri, come spesse volte l'istate alia Villa ed al Boschetto mentre si connive i musici averebbono cantato quattro o sei
Canzone molto leggiadre […]››. Cit. BALDASSARE CASTIGLIONE, Il libro del Cortegiano, Venezia, 1528, cit. in TIM
SHEPHARD, Alfonso I d’Este: music and identity in Ferrara, PhD thesis, UK Campuses - Faculty of Arts - School of
Humanities - University of Nottingham, 2010, p.53.
224
Ivi, p. 53, cfr.
225
Cfr. NIELS MARTIN JENSEN, Music at Ferrara under Ercole II and Alfonso II, in La corte di Ferrara e il suo
mecenatismo (1441-1598): atti del Convegno Internazionale, (Copenaghen, maggio 1987) a cura di Marianne Pade- Lene
Waage Petersen-Daniela Quarta, Modena, Panini, 1990, pp. 329–336: 330. Cristoforo di Messisbugo, famoso cerimoniere,
gentiluomo al servizio di Ippolito d’Este, ‹‹organizzò celebri banchetti, tra cui i due del 1529, uno per l’ambasciatore di
Francia dove suonò tra gli altri l’allievo di Willaert Alfonso della Viola, l’altro per Ercole duca di Chartres, con
intrattenimenti musicali al liuto, alla cetra, all’arpa, al flauto e danze di gagliarde. Il “convito musicale” era talmente
famoso, come evento di grande raffinatezza e divertimento, che diede nome ad una raccolta di madrigali in stile
rappresentativo del modenese Orazio Vecchi, il Convito Musicale, appunto, del 1597››. Cit. MARIAROSA POLLASTRI,
Musica e cucina, in D’ARTEGNAM. Dalla cucina della sopravvivenza all'arte del gusto tra Bologna, Ferrara e Modena,
a cura di Tiberio Artioli, Bologna, Pendragon, 2011, pp. 131-132: 131. Di seguito si riporta un estratto della lettura in cui
Messisbugo descrive la cena ferrarese che si tenne il 24 gennaio del 1529: ‹‹[…] E A questa prima Vivanda si fece una
Musica di M. Alphonso dalla viola nella quale Canto Madona Dalida da quattro altri Voci accompagnata, M. Alphonso
Santo, con cinque compagni, & li erano cinque Viuole da arco, Uno Clavicembalo da due Registri, un Lauto, & uno Flauto
grosso, & un mezano. […]››. Cit. CRISTOFORO MESSISBUGO, Banchetti compositioni di vivande, et apparecchio generale,
Ferrara, Giovanni De Buglhat-Antonio Hucher Compagni, 1549, p. 5.
59
di Ferrara (e forse anche in quella di Mantova), legata al virtuosismo prezioso e raffinato, ‘reservato’,
del cosiddetto “concerto delle dame” formato dalle celebri cantatrici che si avvicendavano al servizio
degli Estensi››;226 circa la formazione di questo ensemble una fonte preziosa è il documento del
cantore Girolamo Merenda:
Venendo a Ferrara la Serenissima Madama Margerita Gonzaga, moglie del nostro Serenissimo
Duca Alfonso II, duca di Ferrara, aveva questa signora al suo servizio una dama nominata Laura
Peperara, mantovana, giovane da maritare; ed aveva ancora un’altra dama che cantava, la quale
si chiamava la signora Livia da Arco, pure da maritare. Il Signor Duca gli aveva poi dato alla detta
Madama la signora Anna Guarina, la quale suonava e cantava di lauto, e la signora Laura di arpa.
E la signora cominciò ancora lei a sonare di viola e li suoi maestri era il signor Fiorino, maestro
di cappella del Serenissimo ed il signor Luzasco organista del Serenissimo e così sua Altezza
cominciò a farli esercitare ogni dì insieme a cantare, a tal che questi dì in Italia, né forse fuora
d’Italia, è concerto di donne meglio di questo. Ed ogni giorno il tempo d’estate, il dopo desinare
cominciarono a cantare alle dicinone ore e seguitano alla ventuna; l’organista con lo apicordo, il
signor Fiorino con il lauto grosso, la signora Livia con la viola, la signora Guarina con un lauto e
la signora Laura con l’arpa; e, sempre presente il Serenissimo e la Serenissima, cantano poi a
libro, dove entra un basso a due altre voci, Cantori del Serenissimo. Il tempo della invernata
cominciano a un’ora di notte e seguitano sino passate le tre ore, e quando vengono principi li
conduce dalla banda della Serenissima ad ascoltare questo concerto.227

Le tre nobildonne che incantarono la corte estense erano dunque la cantante e arpista Laura Peverara,
la violinista Livia d’Arco e la cantante Anna Guarini; la loro abilità musicale fu omaggiata da poeti
del calibro di Giovanni Battista Guarini e anche all’interno di alcune edizioni a stampa si riscontra
un’eco dello stile sublime e raffinato delle cantanti: ‹‹un musicista contemporaneo scrivendo al duca
definisce quella sua miracolosa musica retirata, nel frontespizio dell’edizione a stampa delle
Canzonette a quattro voci di Simone Verovio, stampatore e incisore, pubblicata a Roma nel 1591››.228
Queste esecuzioni, che rientravano all’interno della cosiddetta “musica secreta”, erano la
manifestazione di uno stile ornato che sul volgere del secolo caratterizzò in maniera sempre più
preponderante il genere del madrigale.229 Proprio grazie alle parole del marchese Giustiniani
possiamo desumere un quadro molto chiaro dei mutamenti che intercorsero sul finire del
Cinquecento:

[…] Giachet Wert in Mantova, il Luzzasco in Ferrara. Quali erano sopraintendenti di tutte le
musiche di quei Duchi, che se ne dilettavano sommamente, massime in fare che molte dame et
signore principali apparassero di sonare e cantare per eccellenza; […] et era gran competenza fra
quelle dame di Mantova e di Ferrara, che facevano a gara non solo quanto al metallo et alla
disposizione delle voci, ma nell’ornamento di esquisiti passaggi […] e di più col moderare e

226
PAOLO FABBRI, Monteverdi, Torino, EDT, 1985, p. 91.
227
ELIO DURANTE -ANNA MARTELLOTTI, Un decennio di spese musicali alla corte di Ferrara (1587-1597), Fasano,
Schena, 1982, p. 7.
228
SONIA CAVICCHIOLI, ‘Musica reservata’. Indagine sui concerti dipinti nell’Italia settentrionale del Cinquecento, in La
musica al tempo di Caravaggio, atti del Convegno Internazionale di Studi (Milano, Biblioteca Ambrosiana, 29 settembre
2010) a cura di Stefania Macioce ed Enrico De Pascale, Milano, Gangemi Editore, 2010, pp. 133-147: 146.
229
TIM CARTER, The concept of the Baroque, in European Music, 1520-1640, Woodbridge, The Boydell Press, 2006, pp.
38–57: 42.
60
crescere la voce forte o piano, assottigliandola o ingrossandola, che secondo che veniva a’ tagli,
ora con strascinarla, ora smezzarla, con l’accompagnamento d’un soave interrotto sospiro, ora
tirando passaggi lunghi, seguiti bene, spiccati, ora gruppi, ora a salti, ora con trilli lunghi, ora con
brevi, et or con passaggi soavi e cantati piano, dalli quali tal volta all’improvviso si sentiva echi
rispondere, e principalmente con azione del viso, e dei sguardi e de’ gesti che accompagnavano
appropriatamente la musica e li concetti […].230

Luzzasco Luzzaschi era subentrato nella direzione della “musica secreta” già prima del 1570;
organista di corte e direttore dei musici di corte, Luzzaschi era definito:

Ornamento grande à dato alla Patria nostra, […] Musico del serenissimo Alfonso II Duca V del
quale era capo de’ Concerti, che si facevano nella Corte, ora con le Damme, & ora con Musici;
concerti i più rari, e singolari, che mai si udissero […]231

Se in passato si esibivano abitualmente nobildonne che si dedicavano alla musica a livello amatoriale,
il gruppo di cantanti che costituiva il noto ensemble della fine del Cinquecento era composto da
cantanti professioniste selezionate non solo perché vantavano grande esperienza, ma anche per le
notevoli doti canore; questo cambiamento fu dovuto alla decisione di Alfonso II di costituire un
gruppo stabile di cantanti che iniziò ad esibirsi regolarmente a partire dal carnevale del 1581.232
Congiuntamente alla predilezione per questo tipo di esecuzioni si diffondeva anche un determinato
tipo di repertorio come il madrigale concertato che vedeva la contrapposizione di due gruppi di voci:
le tre dame contro le due voci maschili di tenore e basso, quindi un gruppo di tre voci femminili
contro due voci maschili, dando in tal modo origine ad un vero e proprio contrasto. La complessità
di una tale struttura compositiva richiedeva naturalmente degli esecutori professionisti, che fossero
in grado di rendere in maniera ineccepibile gli aspetti peculiari di questa tipologia di madrigale: un
trattamento più libero della dissonanza; sviluppo della pratica della diminuzione con gli abbellimenti
che diventano parte integrante del contrappunto imitativo; ed infine, come si è già detto, lo sviluppo
di una struttura concertata. Un noto esempio è il madrigale tratto dalla raccolta Il lauro secco di
Luzzaschi,233 Se il lauro è sempre verde. Sebbene questa composizione non mostri ancora alcun segno
dello stile riccamente melismatico che contraddistingueva il repertorio coevo, tuttavia rifletteva il
tratto distintivo delle esecuzioni del concerto delle dame ovvero la struttura a blocchi contrapposti

230
Il discorso di Giustiniani è riportato da Paola Besutti, cfr. PAOLA BESUTTI, Pasco gli occhi e le orecchie": la rilevanza
dell’'actio' nella produzione e nella ricezione musicale tra Cinque e Seicento, in Il volto e gli affetti: fisiognomica ed
espressione nelle arti del Rinascimento , atti del Convegno di Studi (Torino, 28-29 novembre 2001), a cura di Alessandro
Pontremoli, Firenze, L. S. Olschki, 2003, pp. 281-300: 281.
231
ELIO DURANTE-ANNA MARTELLOTTI, Le due «Scelte» napoletane di Luzzasco Luzzaschi, I vol., Firenze, SPES, 1998,
p. 9.
232
NIELS MARTIN JENSEN, Music at Ferrara under Ercole II and Alfonso II, in La corte di Ferrara e il suo mecenatismo
(1441-1598): atti del Convegno Internazionale (Copenaghen, maggio 1987), a cura di Marianne Pade, Lene Waage
Petersen e Daniela Quarta, Modena, Panini, 1990, pp. 329-336: 333.
233
Edita nel 1582, si tratta di una raccolta antologica di madrigali a cinque voci di diversi autori tra cui: Luzzasco
Luzzaschi, Luca Marenzio, Costanzo Porta, Jacques de Wert, Marcantonio Ingegneri e altre.
61
che vedeva il contrasto tra un ristretto gruppo di voci e l’organico completo in modo tale da
raggiungere un effetto di notevole drammaticità, che era pienamente in linea con i gusti dell’ambiente
ferrarese dell’epoca.234 Si ha una duplice occorrenza di questo fenomeno in corrispondenza del
penultimo verso sia della prima che della seconda parte del testo; per dare maggiore enfasi al dolore
del poeta, causato dall’indifferenza della donna amata, la scrittura assume un’impronta che potrebbe
essere definita, secondo le parole di Newcomb, “sinfonica”:
Instead of incorporating into his published madrigals the new element of simultaneos, written-out
diminution, Luzzaschi developed the textural possibilities of “symphonic structure”, suggested
by a highly skilled group that sang madrigals to a separate audience. In doing so, he set out in a
direction that would eventually lead both to the discontinuous textures of the Ferrarese madrigal
of 1594-1596 and to the dramatic use of texture in the concerted madrigal of the type adopted by
Monteverdi in Books V and VI.235

Il madrigale, dedicato a Laura Peverara, è impostato sull’alternanza tra episodi a carattere


contrappuntistico-imitativo ed episodi omoritmici; nel complesso le voci, per quanto possano
accennare un maggiore movimento, risultano essere ancora generalmente legate ad una struttura
tendenzialmente statica; dodici sono gli anni che separano quest’opera da Quante volte volgete,
componimento contenuto ne Il quarto libro de’ madrigali a cinque voci (Ferrara 1594), e numerose
sono le differenze che emergono dal loro confronto: innanzitutto le singole voci in questo madrigale
seguono il libero fluire della polifonia imitativa, da notare infatti l’abbondanza di semiminime che
non fanno che arricchire notevolmente il tessuto contrappuntistico. Luzzaschi riesce a sviluppare il
materiale musicale in un modo molto denso, riproponendo il motivo della voce più acuta al basso,
alterando in tal modo radicalmente la struttura musicale da un punto di vista armonico; inoltre il
compositore mostra una certa predilezione per la ripetizione anche di piccole sezioni, presentando
ogni volta il materiale tematico in forma trasposta. Tutta la composizione è permeata di cadenze
costantemente evitate, così da impedire l’estremo sezionamento del discorso musicale, e di un tessuto
imitativo discontinuo.236 Tendenzialmente l’estrema molteplicità delle progressioni armoniche è
contraddistinta da una linea contrappuntistico-imitativa in cui la parte del basso, osservando il moto
per gradi congiunti delle voci superiori, provoca un indebolimento dei nessi cadenzali V-I ‹‹producing
nontonal harmonic movements that frequently sound wayward to modern ears››;237 questa sensazione
della mancanza di direzionalità è potenziata a volte da un marcato andamento cromatico che
caratterizza anche un ristretto gruppo di composizioni di Luzzaschi, che costituiscono un nucleo a

234
ANTHONY NEWCOMB, The madrigal at Ferrara 1595-1597, Princeton, Princeton University Press, 1980, vol. 1, pp.
61, 79.
235
Ivi, p. 79, cit..
236
Cfr. A. NEWCOMB, The madrigal at Ferrara, p. 113.
237
GARY TOMLINSON, Monteverdi and the End of the Renaissance, Berkeley and Los Angeles, University of California
Press, 1990, p. 105.
62
parte rispetto al resto della sua opera: 238 è il caso di Quivi sospiri che fa parte del Secondo Libro de
Madrigali a cinque voci (1576). Il tessuto è ricco di note alterate che contraddistinguono in particolar
modo le sezioni in progressione,239 quindi il cromatismo diviene un elemento della scrittura melodica
che caratterizza l’intero tessuto polifonico facendo risultare le composizioni riccamente ‘colorate’
all’ascolto e anticipando quello che sarà il tratto distintivo della musica di Gesualdo da Venosa.240
La combinazione di tutti questi elementi portò alla codificazione dello stile musicale ferrarese, che si
riflesse anche in un notevole numero di pubblicazioni a stampa che apparvero negli anni ’80 del ‘500
anche al di fuori di tale contesto;241 esse rappresentavano appunto il tentativo, da parte di compositori
attivi in altre corti, di emulare le caratteristiche che connotavano la musica secreta della corte estense.
Ne fu un mirabile esempio Giaches Wert, che, a partire dal 1550, cominciò a intessere legami sia con
l’establishment musicale di Mantova che con quello di Ferrara. Era un musicista dotato di notevole
talento a tal punto che impressionò Cipriano de Rore, maestro di cappella degli Este, che riconobbe
fin da subito il valore del giovane compositore. Di conseguenza, grazie alla raccomandazione di
Cipriano, Wert accettò l’incarico di maestro a Novellara.242 L’Ottavo Libro de Madrigali a cinque
voci, dedicato appunto ai duchi di Ferrara,243 dimostra proprio il profondo legame che esisteva tra il
compositore e il contesto ferrarese.

238
Cfr. L. PERKINS, Music in the Age of Renaissance, p. 687.
239
Cfr. ANTHONY NEWCOMB, Luzzaschi’s Setting of Dante: ‘Quivi Sospiri, Pianti, Ed Alti Guai', ‹‹Early Music History››,
XXVIII (2009), pp. 97-138: 109.
240
‹‹As is well known, Carlo Gesualdo’s fame rests on the chromatic madrigals composed after his stay in Ferrara. Pheraps
he picked up hints about chromaticism from some of Luzzasco Luzzaschi’s music or from his performacnces on
Vicentino’s archicembalo››. Cit. MARIA RIKA MANIATES, Mannerism in Italian Music and Culture, 1530-1630,
Manchester, Manchester University Press, 1979, pp. 345-346.
241
Il settimo libro di madrigali a cinque voci di Wert (aprile 1581), il primo libro di madrigali a sei voci di Marenzio
(aprile 1581), il quinto libro di madrigali a cinque voci di Monteverdi (pubblicato nel 1605); la musica di queste raccolte
a stampa rivela un nuovo uso della dissonanza, uno stile melismatico che caratterizza tutte le voci, e textures che mutano
costantemente; la summa di tutte queste componenti era il risultato dello stile musicale ferrarese del concerto delle dame.
Cfr. ISABELLE EMERSON, Five centuries of women singers, London, Greenwood Publishing Group, 2005, p. 5.
242
Cfr. DONALD C. SANDER, Music at the Gonzaga Court in Mantua, Lanham, Lexington Books, 2012, p. 63. In una
lettera del 17 Gennaio 1565 Rore rassicura il conte Alfonso Gonzaga di aver fatto il possibile per convincere Wert a
ritornare a Novellara, tenendo conto della grande opportunità che gli era stata offerta: ‹‹Ricevuto ch’io hebbi la sua alli
13 del presente drizzata al Ricciuolo Segretario di Monsignor Eccellentissimo di Ferrara, et conosciuto l’animo di Vostra
Signoria subito parlay a Jacomo il qual doveva partirine il dì seguente per andare a stare a Venetia. Et tanto gli ho predicato
nella testa essortandogli, et dimostrandigli il partito profertogli da quella che si è contentato di tornare amorevolmente
servirla, tenendosi quanto nella sua si contiene del che non dubito punto, anzi tengo per certo che se gli servira Vostra
Signoria con quella amorevolezza che si deve, quella gli usera per generosita sua, maggior cortesia di quello che si parla
oltre la sua promissione […]››; ed ancora in una lettera di Leandro Bracciolo, risalente al 28 Gennaio 1556, è messa in
evidenza la grande maestria del compositore fiammingo: ‹‹L’haver inteso che Messer Jacomo sia ritornato al servizio di
Vostra Signoria m’ a così allegrato […] perchè mi piace che appresso di Vostra Signoria stia persone virtuose. Come
perchè amo Messer Jacomo di tutto cuore, et per le virtù sue, et per la bontà che si vede in lui, ma caro Signore fate che
sia honorato e respettato da servitori, acciò che per non essere allevato nelle corti, ei non habbi per loro occasione da
partirsi più dal suo servizio. Et fatelo comporre poi che non ha da server Vostra Signoria in altra cosa, acciò possiamo
cantare, alla venuta della signora sposa a Novellara. […]››. Cit. IAIN FENLON, Giaches de Wert: Letters and Documents,
Parigi, Klincksieck, 1999, p. 36.
243
‹‹Avrei commesso notabilissimo errore se dovend’io dar in luce questi miei componimenti di Musica fatti per la
maggior parte in Ferrara ad altro personaggio indirizzati gli havessi che à V. A. Percioche à cui più degnamente dedicare
gli potev’io? Prencipe tanto grande, tanto amico delle vertù, tanto fautore de vertuosi, & delle cose mie protettore tanto
63
Oltre a Luzzaschi anche Wert apportò cambiamenti al linguaggio del madrigale e anche all’interno
delle sue opere emergono tracce dello stile virtuosistico del concerto delle dame. La composizione
Vezzosi Augelli, presente nell’Ottavo Libro, è caratterizzata da una sonorità che risulta inusuale
rispetto alle composizioni di quel periodo, ma che è pensata proprio per le voci delle dame di
Ferrara;244 la natura virtuosistica della scrittura vocale rivela in maniera evidente che si trattava di un
repertorio concepito proprio per un determinato tipo di esecutori di cui doveva mettere in risalto le
peculiarità. Il testo è ambientato nel giardino di Armida animato da due unici suoni: il canto degli
uccelli e il mormorio del vento. Il compositore cerca di rendere musicalmente le immagini descritte
all’interno di ogni singolo verso, sfruttando una texture musicale di volta in volta diversa,
Dall’omofonia delle voci maschili in corrispondenza del verso ‹‹Quando taccion gl’augelli››, a cui
segue l’imitazione delle voci superiori sulle parole ‹‹Alto risponde››; fino ad arrivare allo stile
melismatico sviluppato attraverso rapide diminuzioni in concomitanza della parola ‹‹Musica››, a
sancire in maniera brillante la conclusione del componimento; dunque è come se il madrigale di Wert
fosse un capolavoro della pittura, in cui ogni colore, in tal caso ogni suono, riesce a trovare la giusta
posizione nella realizzazione di un incastro perfetto.245
A questo clima di fervore e rinnovamento, che interessò dunque la Ferrara del sedicesimo secolo,
appartiene anche l’opera di Orazio Colombano: il Libro Secondo de Madrigali a cinque voci. A queste
date Colombano era maestro di cappella nella Chiesa di S. Maria Gloriosa de Frari, che in passato era
conosciuta anche con la denominazione di “Ca’ Grande”,246 con questa edizione il frate manifesta
apertamente la volontà d’ingraziarsi il favore di Alfonso II per garantirsi la possibilità di entrare
nell’entourage musicale del duca,247 ‹‹Ma pero ella come nata Prencipe, e di prosapia non meno

benigno. Et essi in qual parte del mondo potrebbon esser meglio cantati che nella Corte di V. A.? dove io non mi so ben
risolvere qual sia maggiore ò la maestria di chi canta o’l giudicio di chi l’ascolta. Percioche lasciando stare di tanti altri
eccellenti & Musici, & Cantori che sono nella sua numerosissima e perfettissima Capella: à cui non sono hoggimai note
le meraviglie & d’arte, & di natura, la voce, la gratia, la dispositione, la memoria, & l’altra tante & si rare qualità delle
tre nobilissime giovani Dame della Serenissima Signora Duchessa di Ferrara? Il qual rispetto per se solo bastar dovrebbe
à indurre tutti i compositori del mondo, che le loro opere indirizzassero à V. A. perché da si divine voci, & da si nobil
concerto ricevessero il vero, & naturale spirito della Musica. Ma io non m’aveggio che con l’amplificar le cagioni che à
ciò mi muovono si vien attenuando la dignità dell’opera mia, come quella che di perfettione all’eccellenza di tanti oggetti
non corrisponde. Et però supplico V.A. che non mirando à quel che ella vale, ma piuttosto alla devotissima intentione di
chi la dà, si degni di gradirla benignamente, accioche il mondo sappia, che senza buona gratia di lei non porta in fronte il
Serenissimo nome di V. A. Alla quale humilmente inchinandomi bacio la mano, & prego Dio per la continua essaltatione,
& prosperità sua››.
244
Cfr. L. PERKINS, Music in the Age of Renaissance, pp. 690, 692.
245
Cfr. M. RIKA MANIATES, Mannerism in Italian Music and Culture, 1530-1630, p.339. Wert’s focus is on the central
event of the poem, the interplay between birds and breeze, and he arranges the text to create characters and dialogue, and
to provide a musical enactment of the musical performance in the text. JESSIE ANN OWENS, Marenzio and Wert read
Tasso: a study in contrasting aesthetics, ‹‹Early Music››, XXVII (1999), pp. 555-574: 562.
246
Cfr. MARIA BARBARA BERTINI, I custodi della memoria: l’edilizia archivistica Italiana statale del XX secolo,
Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2014, p. 322.
247
Ercole Bottrigari ci fornisce una descrizione molto accurata ‹‹della cura e della spesa che Alfonso II metteva negli
organismi musicali di corte: egli li controllava direttamente e su di essi confidava non solo per godere personalmente
degli spettacoli realizzati, ma anche per meravigliare gli ospiti e suscitare in loro degna considerazione: : Ha l'Altezza sua
64
illustrissima, […], non isdegnerà un servidor di più, al numero innumerabile di tanti che hà in tutte le
parti del mondo››. Anche ‹‹la qualità compositiva e le peculiarità di scrittura sono da porre in
relazione diretta con la destinazione alla corte estense››; 248 il secondo madrigale della raccolta Il
giovane pastore | Di tre celesti Dive sembra essere un chiaro rimando al “concerto delle dame” in
quanto è concepito per tre voci di soprano, un contralto ed un tenore. 249
Il duca Alfonso II non è l’unico personaggio omaggiato, le stanze di canzone (gli ultimi otto madrigali
della raccolta) rivolgono lo sguardo ad un’altra figura.
Illuminanti in tal senso sono stati alcuni versi tra cui ‹‹E il gentil Duce lor Pallavicino›› (ultimo verso
della V stanza), ‹‹Ad Orazio Signor del bello stato›› (penultimo verso della VI stanza) ed ancora ‹‹di
voi Signor Orazio, Orazio canto›› (secondo verso della VII stanza): in queste sedi l’autore effettua un
gioco di parole attraverso l’identità del proprio nome e quello del dedicatario della canzone. Vista la

due gran camere honorate, dette le camere de' Musici; percioche in quelle si riducono ad ogni lor volontade i Musici
servitori ordinariamente stipendiati di sua Altezza; i quali sono molti, & Italiani, & Oltramontani, così di buona voce, &
di belle, & graziose maniere nel arcante, come di somma eccellentia nel sonare, questi Cornetti, quegli Tromboni,
dolzaine, piffarotti; questi altri Viuole, Ribechini, quegli altri Lauti, Citare, Arpe, & Clavacembali; i quali strumenti sono
con grandissimo ordine in quelle distinti, & appresso molti altri diversi strumenti tali usati, & non usati. […] In queste
camere adunque delle quali non voglio, che aspettiate però ch'io vada hora ogni particolarità descrivendo, si possono essi
Musici, ò tutti, ò parte ad ogni loro piacere, & volontà ridurre, & essercitarsi, come fanno, & sonando, & cantando;
percioche vi sono oltre le compositioni Musicali scritte à penna molti, & molti libri di Musica stampati, & di tutt'i
valent'huomini in questa professione ordinatissimamente tenuti ne' luogh i à tal effetto deputati. Et gli strumenti tutti sono
sempre ad ordine, & accordati da poter esser presi, & sonati ad ogni improviso. Et sono cosi tenuti da Mastri valenti, che
li sanno & accordare, & fabricare eccellentissimamente: & sono da sua Altezza Serenissima perciò del continouo
trattenuti, & provisionati. Qual' hora adunque il Signor Duca Sereniss. Commanda al Fiorino suo Maestro di capella, &
capo di tutte le Musiche dell'Altezza sua, così publiche come private, domestiche, & secrete, che si faccia il Concerto
grande, che così vien nominato, quel famoso Concerto da voi allegato; il quale non vien dalla Altezza sua quasi mai
domandato se non per occasione di trattenimento di Cardinali, Duchi, Principi, & d'altri personaggi grandi, de qual sia, si
com'è quasi del continouo splendidissima, & lietissima albergatrice, & io posso veramente affermare, che non sia altro
Principe in Italia, che usi, & volontieri più di lui questo atto di cortesia, & di liberalità, & magnificentia. Il Fiorino subito
conferisse il commandamento havuto dal Signor Duca, col Luzzasco primieramente, se egli non era presente à tal
commandamento, come quasi sempre avviene per l'assidua, & quasi comune dirò servitù continoua loro; & poscia con
tutti gli altri Musici cantori, & sonatori predetti, & oltra ciò fa sapere à ciascun Ferrarese, che sappia cantare, & sonare in
modo, ch'egli sia dal Fiorino, & da l Luzzasco giudicato sufficiente à poter intravenire à tal concerto, che debba trovarsi
alle camare della Musica, & ivi con molta amorevolezza intima à tutti il dover ritornare ad esse camare il giorno seguente,
ò l'altro secondo ch'è, per far lungo indugio il Principe forestiero in essa Città, per cominciar la prova d'esso Concerto,
nel quale entrano tutte quelle sorti di strumenti, che havete narrato essere state poste hoggi nel Concerto da voi udito, &
forse alcune altre anchora, delle quali non importa couelle, ch'io mi vada hora rammentando, per non volere divisare io i
partimenti de' Chori di quello. Fattane adunque, non solamente una & due: ma molte prove; nelle quali standosi con
somma obedientia, & attentione non si ha mira ad altro, che al buono accordo insieme, & alla unione maggiore, che sia
possibile, & perciò senza rispetto alcuno ma però con gratiosa modestia ogn'uno viene qualhora occorra avvertito, &
ammendato dal Maestro di capella: & per tal effetto anco tal'hora con benignissima, & serenissima fronte, & fratevole
maestà si trasferisce in persona il Signor Duca, & ascoltandoli dà sovente loro col suo perfettissimo giudicio quegli
avvertimenti efficaci, & sani ricordi: che sono necessarij, con inanimarli, & insieme à portarsi bene, & à farsi honore.
Onde al tempo costituito da sua Altezza, vengono essi poscia concordemente à far ta l Concerto nel luogo ordinato con
sommo diletto, & piacer infinito del Principe forestiero divenutone ascoltatore, & tutti gli altri personaggi circonstanti,
per molta maravigliosa seguitane sua Armonia; la qual'è veramente tanta, & tale, che la relatione fattane della fama è di
gran lunga minore del proprio effetto››. Cit. ANNA VALENTINI, Iconografia musicale a Ferrara tra XVI e XVII secolo,
tesi di Dottorato di ricerca in storia e critica dei beni artistici, musicali e dello spettacolo, Università di Padova, 2012, pp.
12-13.
248
Cit. O. MISCHIATI, voce “Colombano, Orazio”, Dizionario Biografico degli Italiani, p. 131.
249
Ibidem, cfr.
65
mancanza di elementi paratestuali all’interno nell’edizione del 1588, le ipotesi che possiamo
formulare si basano sugli indizi che si ricavano dalla lettura del testo poetico della canzone. Questa
sembra alludere ad un tale Orazio Pallavicino, molto probabilmente contemporaneo di Alfonso II. A
differenza dei madrigali qui non si fa più riferimento ad un locus amoenus dominato da amori
bucolico-pastorali, la canzone è ambientata nella dimensione spazio-temporale del presente,
corroborando in tal modo l’ipotesi che Orazio Pallavicino debba essere ritenuto un contemporaneo di
Alfonso II.
A quale membro della famiglia nobile Colombano potesse alludere nella sua opera è un’ipotesi
tutt’altro che semplice da confermare dal momento che Orazio era un nome molto diffuso nel casato
pallaviciniano.250 Dopo un attento esame delle varie possibilità che si presentavano, la più probabile
sembrava essere quella di un tale Orazio Pallavicino appartenente al ramo dei marchesi di Scipione,251
che nel 1547 ‹‹insieme ad altri nobili famiglie piacentine, come i Landi, i Castiglioni, e i
Confalonieri››252 aveva partecipato alla congiura che portò all’assassinio di Pier Luigi Farnese.253 La
conseguenza di quest’evento fu che nel 1556, quando i Farnese riuscirono a riconquistare Piacenza,

250
I Pallavicino furono ‹‹una famiglia di vasti domini e di numerose propaggini che ebbe origine dal medesimo ceppo
degli Estensi, dei Malaspina, dei marchesi di Massa››. Cit VITO ANTONIO VITALE, voce “Pallavicini”, Enciclopedia
Italiana, vol. 26 (1935), pp. 123-124: 123. Colui che diede il nome alla famiglia fu Oberto I soprannominato Pelavicino,
i cui domini andavano dal Po alla Liguria. La famiglia si articolò in diversi rami: Niccolò, nipote di Oberto, fu il capostipite
dei Pallavicino di Genova; da Guglielmo, fratello di Niccolò, discese il ramo lombardo e dai successori di questo si ebbero
altre diramazioni che diedero origine a molti marchesati tra cui quello di Tabiano, Varano, Polesine, Bargone, Busseto,
Cortemaggiore e Zibello che costituivano lo Stato Pallavicino: entità territoriale che mantenne la sua autonomia fino al 2
settembre 1587 quando in una lettera che il duca di Parma e Piacenza, Alessandro Farnese, indirizzò al figlio Ranuzio fu
ordinata l’immediata annessione dell’intera regione (cfr. MARCO BOSCARELLI, Contributi alla storia degli stati
Pallavicino di Busseto e di Cortemaggiore, secc. XV-XVII, Parma, Biblioteca della Cassa di risparmio di Parma, 1992, p.
60). ‹‹Nel 1587, attraverso una forzata interpretazione delle clausole testamentarie, tutti i beni dei Pallavicino vennero
posti sotto sequestro e incamerati dal ducato›› e, nonostante gli strenui tentativi di opporsi alle forze militari dei Farnese,
Alessandro Pallavicino fu sconfitto e fatto prigioniero (cfr. LUCIA LOPRESTI, Granducato di Parma e Piacenza, Colognola
ai Colli, Demetra, 1999, p. 44). La liberazione di Alessandro Pallavicino avvenne solamente quando ordinò ‹‹per iscritto
a’ suoi Ufiziali e Castellani di Busseto, Cortemaggiore e Monticelli, che rilasciassero quelle Rocche agli Agenti della
Ducal Camera, i quali delle medesime, e degli altri beni Pallaviciniani presero possesso ne’ dì 27 e 28 dello stesso
Settembre per Rogito di Ottavio Manlio Notajo Parmigiano, e Cancellier della Camera Ducale di Parma›› (cfr.
CRISTOFORO POGGIALI, Memorie storiche di Piacenza, Piacenza, Filippo G. Giacopazzi, 1761, vol. 10, p.
238).L’annessione dello Stato Pallavicino rappresentò ‹‹un consolidamento reale del potere politico›› dei Farnese,
cessando ‹‹di esistere come entità politica, anche se continuava a sopravvivere significativamente come entità
amministrativa, sensibilmente autonoma›› (cfr. MARCO BOSCARELLI, Contributi alla storia degli stati Pallavicino, p. 67).
251
‹‹Dal 1569 i Pallavicino di Scipione furono confeudatari di Scipione e di Grotta insieme con i marchesi della Torre di
Verona, […] Alla linea di Scipione appartennero i fratelli Alessandro e Camillo, i quali ebbero un ruolo non secondario
nella congiura che, il 10 settembre 1547, condusse all’assassinio del duca Pier Luigi Farnese nella cittadella di Piacenza››
GIORGIO FLORI, Le antiche famiglie di Piacenza e i loro stemmi, a cura di Giorgio Flori, Piacenza, TEP, 1979, p. 325.
252
PAOLA ANSELMI, Il ruolo della "Piazza” di Como tra la fine del Cinquecento e la metà del Seicento: aspetti politici,
militari e sociali, ‹‹Archivio Storico Lombardo››, VI 2000, pp. 263-317: 272.
253
‹‹Nel fatal giorno 10 Settembre 1547, trovandosi Pierluigi nella vecchia cittadella di Piacenza, furono presi i posti,
rattenute le poche guardie tedesche, ed alcune uccise dai congiurati. Il conte Anguissola entrò risoluto nella stanza ov’era
il duca, a cui tante pugnalate si calarono sinchè diè segno di vita. Aperta la finestra che più riguarda verso la piazza egli,
l’Anguissola, ed il Landi mostrarono il cadavere al popolo gridando libertà e Impero, e quindi lo piombarono giù nella
fossa. Questa tragedia compiuta, furono introdotti in città i soldati imperiali che stavano in aspetto nelle vicinanze, e il
giorno di poi D. Ferrante Gonzaga venne a prenderne possesso per Cesare››. (LORENZO MOLOSSI, Vocabolario
topografico dei ducati di Parma, Piacenza e Guastalla, Parma, dalla tipografia ducale, 1832-1834, pp. 317-318).
66
il marchese, per evitare una possibile vendetta contro la sua famiglia, preferì allontanarsi dalla città e
‹‹passare al servizio della Spagna››;254 combatté nella guerra di Fiandra e per il valore e il coraggio
dimostrati fu nominato cavaliere di Santiago.255
La permanenza alla corte di Filippo II rappresentò per il Pallavicino una svolta: negli Annali sacri
della città di Como, Primo Luigi Tatti parla della nomina che Orazio Pallavicino ricevette nel 1579
in qualità di Governatore della città di Como.
Trovavasi in questo tempo nella Corte di Madrid il Marchese Orazio Pallavicino di patria
Piacentino […]. Le rare doti d’Orazio, e i meriti del Zio [il conte Anguissola] gli avevano
guadagnata la grazia del Re, che intesa la morte del Conte, sostituì il Marchese al governo della
Cità [di Como], e gli diede per moglie Lavinia Biglia Milanese, che allora era damigella della
Reina.256

Questo incarico è la testimonianza dell’enorme fiducia che il re nutriva nei confronti del marchese.
Como, non solo era ‹‹una delle principali piazze all’interno della struttura difensiva dello stato di
Milano››, che all’epoca era amministrato dal connestabile di Castiglia, Juan Fernandez de Velasco,
ma, ‹‹posta al confine settentrionale dello stato, tradizionalmente considerato meno a rischio rispetto
a quello occidentale, da cui erano di regola partite le offensive francesi, essa svolgeva un preciso
ruolo nella difesa dello stato, vigilando sulle Leghe Grigie, presidiando una zona di transito strategica
per la monarchia spagnola come la Valtellina, e fungendo da antemurale in caso di aggressione
nemica››.257 Questo incarico comportava dunque importanti responsabilità sul piano politico-militare,
rappresentando un ‹‹fondamentale strumento di governo per le autorità spagnole››.258
Orazio Pallavicino si dimostrò all’altezza del compito, mantenendo tale incarico per ben trentacinque
anni, fino al 1613, anno della sua morte.259
È ragionevole pensare che Alfonso II abbia voluto allacciare rapporti con il marchese per ragioni di
natura politico-militare. La città infatti data la sua posizione geografica era un ‹‹osservatorio

254
P. ANSELMI, Il ruolo della “Piazza” di Como, p. 272.
255
Ibidem.
256
PRIMO LUIGI TATTI, Annali Sacri della città di Como raccolti dal P. D. Primo Luigi Tatti Cher. Reg. della
Congregazione di Somasca. Deca Terza, Milano, Carlo Giuseppe Gallo, 1793 (parte prima), p. 693.
257
PAOLA ANSELMI, Uno sguardo al di là dei confini: il carteggio di Orazio Pallavicini governatore di Como (1592-
1600), in Alle frontiere della Lombardia: politica, guerra e religione nell’età moderna, a cura di Claudio Donati, Milano:
Franco Angeli, 2006, pp. 71-85: 71-72.
258
Ibidem.
259
‹‹Avanti il giorno 25. Di Settembre dell’anno 1613 cessò di vivere Orazio Pallavicino Marchese di Scipione
Governatore della nostra città, il quale tenne questa carica per ben 35. Anni. Nel suo governo, e in tutta la sua condotta
egli mostrò un animo giusto, umano, benefico, e generoso. Ciò si ricava da una testimoniale assai onorifica, che sino
dall’anno 1600. L’Officio di Provvisione gli spedì, nella quale si commendano in lui la pietà, l’umanità, e la destrezza nel
comporle controversie, e sedar le discordie, la beneficenza nel sollevare la città, e tutta la provincia nelle penarie di grano,
ed in altri bisogni, la vigilanza nel preservarla dalla peste, che afflisse i Milanesi, e nel tener purgate le strade dai
malviventi, la prudenza nel distribuir gli alloggiamenti de soldati, e finalmente la magnificenza nel ricevere in propria
casa, e trattare i Governatori dello Stato, ed i Legati del Principe››. GIUSEPPE ROVELLI, Storia di Como, Como, stampe di
Carl’Antonio Ostinelli, 1803, (parte III, tomo II) p. 148.
67
privilegiato per gettare uno sguardo al di là dei confini e per ottenere rapidamente informazioni sulle
mosse politiche dei potentati limitrofi››.260
L’opera di Colombano dunque può essere inquadrata non solo come il tentativo da parte dell’autore
di essere ingaggiato dalla corte estense e quindi entrare a far parte dell’entourage musicale di Alfonso
II; ma anche come la possibilità di allacciare stretti rapporti con figure a diretto contatto con il
contesto ferrarese per motivazioni di carattere diplomatico e strategico-militare. In questo senso il
‹‹Signor del bello Stato››, ovvero Orazio Pallavicino governatore di Como, rappresentava un alleato
importante per la salvaguardia dei domini del ducato di Ferrara in modo particolare dalla minaccia
elvetica. Il Pallavicino proprio per il ruolo che rivestiva aveva la possibilità di ‹‹reperire informazioni
e tenere sotto controllo le zone di confine dello stato››, sfruttando un ‹‹canale sotterraneo, costituito
da un’ampia rete di spie e informatori, che talvolta annoverava anche personaggi di rilievo nei territori
dei Cantoni Svizzeri e dei Grigioni››.261

260
P. ANSELMI, Uno sguardo al di là dei confini, p. 73.
261
Ibidem, cit.
68
69
70
2.3 Il mondo arcadico-pastorale cornice del Libro
Secondo de Madrigali a cinque voci

La silloge di Colombano raccoglie ventidue composizioni ripartite, nella Tavola delli Madrigali, in
due gruppi: il primo è identificato con la dicitura “Madrigali”, mentre il secondo appare sotto il nome
di “Canzoni”.262 La ragione di questa distinzione è di natura puramente formale: i testi poetici dei
madrigali, come si vedrà in seguito, adottano tipologie metriche molto eterogenee (si va dall’ottava
rima alla terzina di endecasillabi); al contrario le stanze di canzone, fatta eccezione per l’ultima, la
stanza di commiato,263 seguono sempre lo stesso schema.264

Schema metrico delle prime sette Schema metrico dell’ultima


stanze stanza265

A A
B Fronte B Sirma
B B
A C
C
a (diesi)
C
C Sirma
D
D

La differenza tra i “madrigali” e le “canzoni” non emerge solo sul piano formale, ma anche e
soprattutto, sul piano contenutistico. La raccolta di Colombano si configura come un’opera
caratterizzata da una struttura simmetrica. La prima parte include due testi Al tuo preggiato nome

262
Colombano le definisce “canzoni” anche se in realtà si tratta di un unico testo poetico costituito da otto stanze, ovvero
sette strofe, e la strofa di commiato. La motivazione del plurale è da ascriversi principalmente al fatto che alle otto strofe
corrispondono otto rivestimenti musicali diversi.
263
Le canzoni generalmente sono costituite da una serie di stanze, il cui numero oscilla tra cinque e sette, e si chiudono
con un commiato ‹‹in cui l’autore si rivolge alla canzone, accomiatandosi da lei e, spesso, invidiandola alla persona cui è
destinata. Il commiato o congedo (o tornata o ritornello) è uguale metricamente all’ultima stanza o alla sirma o a una
parte di essa››. MARIO PAZZAGLIA, Manuale di metrica italiana, Milano, Sansoni, 1994, p. 98.
264
Come nelle forme usate sinora per i madrigali, resta l’alternanza tra endecasillabi e settenari, ma dal punto di vista
strutturale ogni testo può essere diviso in due sezioni, la fronte e la sirma, intervallate da un verso definito “diesi” che
rima con l’ultimo verso della fronte.
265
La struttura metrica della stanza di commiato può essere assimilata alla sirma: questa tipologia di strofa infatti è per
consuetudine più breve rispetto alle altre e, sia per la specie dei versi che per la disposizione delle rime, arrivò ad assumete
una struttura sempre più identica a quella della sirma o ad una parte delle due volte.
71
invitto Alfonso e Il giovane pastore che appartengono al genere encomiastico; la sezione centrale
comprende dodici madrigali che si configurano come un excursus delle varie connotazioni della lirica
amorosa (si va dalle sofferenze che causa l’amore non corrisposto all’amore inteso in senso fisico);
l’ultima parte consta di un’unica canzone articolata in otto stanze che celebra il marchese Orazio
Pallavicino.
Il madrigale con cui si apre la raccolta, Al tuo preggiato nome invitto Alfonso, il cui testo è riportato
integralmente come un’epigrafe nella parte superiore della prima carta con funzione di vero paratesto,
è una celebrazione della grandezza del duca, definito per l’appunto ‹‹invitto Alfonso››, evidente
allusione ai successi ottenuti in campo militare.266 Questo testo, come anche il successivo Il giovane
pastore, appartiene al genere della lirica encomiastica,267 che non era ‹‹semplice poesia d’occasione››
ma lo strumento per ‹‹celebrare i valori più alti della civiltà di corte››: ne è un esempio il verso ‹‹si
ergan statue e colossi ai fatti eroi›› in cui l’autore estende i suoi elogi all’intera casata degli Estensi.
Anche il secondo madrigale appartiene alla poesia encomiastica, ma ha una struttura più articolata
rispetto al primo: vi è infatti una sorta di storia nella storia. Nella prima parte si riscontra chiaramente
il riferimento al mito del giudizio di Paride, pastore a cui fu affidato l’incarico da parte di Zeus di
scegliere quale fosse la dea dotata di maggiore grazia e beltà tra Era, Atena ed Afrodite, «le tre celesti
dive». Nella seconda parte l’io narrante, molto probabilmente lo stesso Colombano, assiste
all’incoronazione di Alfonso II da parte delle tre divinità; secondo l’ipotesi di Oscar Mischiati, esse
potrebbero essere perfettamente associate alle dame che si esibivano nei concerti da camera per il
duca:268 l’autore di questi testi non solo dimostra di avere grande padronanza della cultura classica,269

266
Tra le azioni militari che videro protagonista Alfonso II possiamo ricordare la campagna che egli condusse contro le
truppe di Ottavio Farnese: ‹‹Risvegliossi di nuovo la guerra sul principio dell’anno fra il duca di Ferrara Ercole II ed
Ottavio Farnese duca di Parma. Donno Alfonso d’Este, primogenito del primo, si fece più volte vedere alle porte di Parma,
ripigliò San Polo e Canossa, costrinse alla resa la fortezza di Guardasone, e tolse ai Corregieschi Rossena e Rossenelli››
(LUDOVICO ANTONIO MURATORI, Annali d’Italia ed altre opere varie, Milano, Tipografia de’ fratelli Ubicini, 1838, vol.
IV, p. 422). Ed ancora: ‹‹volendo il Duca di Savoia inviare nel 1567 un gagliardo soccorso al Re di Francia per la guerra
de gli Ugonotti, scelse per suo Generale esso Donno Alfonso, il quale menando seco il Conte Alessandro Rangone, i Conti
Baldassare, e Paolo Emilio Boschetti, ed Enea Pio de’ Signori di Sassuolo, con alcune Compagnie di scelta cavalleria, adì
3. Di Gennajo mille settecento cavalli, che valorosamente servirono il Re nella battaglia di S. Dionigi›› (LUDOVICO
ANTONIO MURATORI, Delle Antichità estensi ed italiane, Modena, Stamperia ducale, 1717, p. 402). ‹‹Per un ulteriore
approfondimento delle imprese militari condotte dal duca Alfonso II che non furono poche né di picciola importanza,
[esse] si trovano descritte più particolarmente che altrove nelle Annotazioni d’Incerto alla Gerusalemme Liberata
impressa in Parma nella Stamperia di Erasmo Viotti 1581. in 4. Cant. XVII pag. 197››. Cit. PIERANTONIO SERASSI, La
vita di Torquato Tasso, Roma, Stamperia Pagliarini, 1785, p. 185.
267
Nel XVI secolo il madrigale fu uno dei generi poetici più diffusi poiché, trattandosi di una composizione ‹‹libera dagli
schemi e dalle convenzioni accademiche››, si riteneva fosse più duttile nell’espressione di una grande varietà di temi, da
quello amoroso a quello politico fino ad arrivare al genere encomiastico. Cfr. LOREDANA CHINES - GIORGIO FORNI -
GIUSEPPE LEDDA - ELISABETTA MENETTI, Dalle origini al Cinquecento, Milano, Bruno Mondadori, 2007, p. 394.
268
Una tale interpretazione troverebbe convincente e puntuale riscontro nel tipico organico di tre voci femminili e due
maschili che caratterizza quel particolare repertorio. O. MISCHIATI, voce “Colombano, Orazio”, Dizionario Biografico
degli Italiani, p. 130.
269
Il testo poetico è intriso di riferimenti alla lirica classica: oltre a richiamare il mito di Paride, l’azione è ambientata
sull’Elicona, monte situato nella regione della Beozia e luogo molto importante nella mitologia greca dal momento che
72
ma riesce anche a creare in questo componimento un parallelismo tra il mondo del mito e il mondo
reale.
Il testo è strutturato in ordine ad una evidente similitudine: mentre nel mito greco Paride è chiamato
a scegliere una tra le dee che aveva dinanzi a sé, e quindi è il mortale che compie la sua scelta, qui
sono le divinità che decidono chi tra i mortali deve essere ricoperto di ogni gloria e onore, meriti che
saranno riconosciuti alla figura del duca.
Le immagini descritte nei testi poetici sono delineate in maniera molto nitida anche attraverso l’uso
di differenti procedimenti compositivi. Colombano tende ad osservare una medesima struttura la cui
bipartizione può svilupparsi in uno dei modi seguenti: la composizione inizia con un’esposizione
imitativa delle voci che è chiusa da una cadenza alla finalis; la seconda sezione comincia in omoritmia
e prosegue poi con una variatio degli episodi presentati nella sezione iniziale; oppure le voci entrano
con una disposizione accordale per poi nella seconda parte proseguire per imitazione.
Il primo madrigale della raccolta, Al tuo preggiato nome invitto Alfonso, ha una struttura bipartita. La
prima sezione (bb. 1-36) si basa sulla continua ripresa di due soggetti: il soggetto a, dopo un iniziale
intervallo di quarta ascendente, termina con una discesa per grado congiunto sul V grado del modo
di Fa (esempio 1); il soggetto b, vero e proprio elemento strutturale dal punto di vista tematico, ha un
profilo melodico contraddistinto da due terze centrali (esempio 2).

Es. 1. ORAZIO COLOMBANO, Al tuo preggiato nome invitto Alfonso (Canto, bb. 4-6)

Es. 2. ORAZIO COLOMBANO, Al tuo preggiato nome invitto Alfonso, Quinto, bb. 2-4

Mentre a compare sporadicamente e perlopiù in forma variata (si veda ad esempio b. 9 della voce di
Quinto), b contraddistingue in maniera preponderante tutta la prima parte. Entrambi i soggetti hanno
origine dalla struttura intervallare archetipica270 identificabile come c (esempio 3b) associata alle
parole ‹‹invitto Alfonso››. L’importanza del soggetto c non risiede solo nell’impiego di valori lunghi,
con lo scopo precipuo di garantire una piena comprensibilità del testo in corrispondenza delle parole

vi risiedevano le Muse, ritenute le divinità protettrici delle arti. Cfr. CLARA KRAUS, voce “Elicona”, in Enciclopedia
Dantesca, vol. 2 (1970), p. 655.
270
Il soggetto a non è altro che la variante metrica per diminuzione della successione in semibrevi di c (Fa4-Mi4-Re4-
Do4), senza l’ornamentazione data dalle note Re4 e Si3.
73
‹‹invitto Alfonso››; è plausibile ipotizzare che tale soggetto possa costituire una chiara allusione alla
melodia de L’homme armé,271 come si può notare nell’esempio seguente:

Es. 3. a. L’homme armé, incipit, MS VI E 40272

Es. 3. b. ORAZIO COLOMBANO, Al tuo preggiato nome invitto Alfonso, Basso, bb. 12-16

In entrambi i casi si riscontra la medesima sequenza intervallare ovvero una quarta ascendente a cui
segue una successione di tre note che si muovono per grado congiunto rispettivamente a distanza di
un semitono e due toni, con l’unica differenza che la melodia de L’homme armé è in tempo ternario
ed ha una marcata scansione ritmica mentre Colombano riprende il motivo e lo impiega a guisa di
cantus firmus.
Questa non è l’unica citazione, il rivestimento musicale del secondo emistichio dell’ultimo verso ‹‹e
ai divin preggi tuoi›› rievoca il motivo conclusivo della prima (A) e dell’ultima sezione (A) della
melodia de L’homme armé. 273

271
Il successo di questa melodia profana si deve al cospicuo repertorio di messe polifoniche (circa 32 messe databili tra
la seconda metà del Quattrocento e la prima metà del Seicento) in cui si attesta l’impiego de L’homme armé come cantus
prius factus. Cfr. MARIA CARACI, Fortuna del tenor ‹‹L’homme armé›› nel primo Rinascimento, ‹‹Nuova Rivista Musicale
Italiana››, IX (1975), pp. 171-204: 171. Come ha evidenziato Lewis Lockwood, uno dei centri musicali in cui si consolidò
una forte tradizione attorno alla melodia de L’Homme armé, fu proprio Ferrara. ‹‹The Faugues Mass on L’Homme armé
is copied into a manuscript produced for the Ferrarese court that can be dated about 1481, contemporaneous with a newly
discovered fragmentary source for the Busnois Mass on L’Homme armé that was written at Ferrara by the same workshop.
These works form part of the repertory of the chapel of Duke Ercole I d’Este, a chapel whose leading figure was the
Flemish Johannes Martini and for which the collecting of Masses was an important diplomatic and musical activity. This
is the background to a letter of 1484 in which Ercole asks for the new L’Homme armé Mass by Philippon [i.e. Basiron],
which is sent to him with remarkable speed from Florence››. Cit. LEWIS LOCKWOOD, Aspects of the “L’Homme armé”
tradition, ‹‹Royal Musical Association››, C (1973-1974), pp. 97-122: 111.
272
La trascrizione è un estratto della melodia de L’homme armé nella sua notazione originaria. ‹‹The complete tune and
its text are transmitted in Naples, Biblioteca Nazionale, MS VI E 40 fol. 62v, discovered in 1925 by Dragan Plamenac››.
Cit. ALEJANDRO ENRIQUE PLANCHART, The Origins and Early History of L’Homme armé, ‹‹The Journal of Musicology››,
XX (2003), pp. 305-357: 306-307.
273
La melodia de L’homme armé è divisibile in ‹‹tre sezioni A-B-A (ciascuna delle quali si compone di tre sottosezioni),
di cui la terza non è altro che la ripresa della prima››. Cit. M. CARACI, Fortuna del tenor ‹‹L’homme armé››, p. 173.
74
Es. 4. a. L’homme armé, estratto sezione A, MS VI E 40

Es. 4. b. ORAZIO COLOMBANO, Al tuo preggiato nome invitto Alfonso, Canto, bb. 49-54

Il frammento motivico che nella melodia originaria è costituito da una pausa di minima a cui segue
una discesa diatonica per grado congiunto dal Do4 e Fa3, marcata dalla ripetizione iniziale di Do4, è
replicato nella versione di Colombano che introduce delle varianti che investono sia il piano ritmico
che quello melodico.
Innanzitutto è da notare l’assenza dell’andamento sincopato che contraddistingue la melodia
primigenia ed inoltre in alcune occorrenze di questo motivo, come si può notare nell’esempio 4b
(bb.52-54) la discesa per grado congiunto è un tetracordo e non copre dunque un intervallo di quinta,
bensì un intervallo di quarta.
La prima sezione del madrigale di Colombano sembra quindi prendere forma dal soggetto c, da cui
deriva il motivo di a che non è altro che la variante metrica per diminuzione della successione in
semibrevi di c (Fa4-Mi4-Re4-Do4), con l’ornamentazione data dalle note Re4 e Si3; ed il motivo b che
può essere inquadrato come una sorta di controsoggetto la cui conclusione coincide con la ripresa di
a: ecco che l’intera composizione si articola attraverso un fluire ininterrotto degli elementi tematici a
e b. In particolar modo la prima sezione del madrigale presenta un fitto intreccio imitativo ‘in stretto’
che conferisce alla composizione una notevole forza propulsiva, risultando in tal modo una struttura
alquanto complessa in cui non appena una voce termina l’esposizione, l’altra immediatamente fa il
suo ingresso con l’altro soggetto. Nell’esempio seguente (esempio 5) l’episodio a compare all’inizio
nella voce di Tenore e in forma variata (l’intervallo iniziale è una seconda ascendente) nella voce di
Alto e in corrispondenza del tempo in levare della terza misura fa il suo ingresso il soggetto b sulle
parole ‹‹ai tuoi celesti onori››.

75
Es. 5. ORAZIO COLOMBANO, Al tuo preggiato nome invitto Alfonso, bb. 1-5

L’impiego di tale tecnica, denominata ‘del contrapposto’,274 appare in maniera ancora più evidente
nel secondo madrigale Il giovane pastore. 275 Il motivo d’apertura è introdotto dalle tre voci di Canto,
Quinto e Alto che procedono per imitazione; in seguito gli elementi che caratterizzano il soggetto
sono ripresi attraverso la tecnica della variatio, ovvero con un ritorno del materiale tematico senza
una ripresa integrale dell’episodio.

274
La tecnica del contrapposto implica la sovrapposizione di due o più versi di un testo poetico che risultano dunque
‹‹purposefully juxtaposed in the musical setting to underscore a dramatic contrast››. Essa può verificarsi ad esempio nel
caso in cui due voci simultaneamente intonino due versi differenti per poi giungere ad una risoluzione in cui ‹‹all five
voices repeat the lines entirely and in correct poetic order […]››; questo fenomeno trova puntuale riscontro sul piano
musicale, ne è un esempio il madrigale monteverdiano Poi che del mio dolore: ‹‹his contrapposto is reinforced musically
by a repetition of the opening canto melody, which is then sung twice more, in the bass (mm. 7-10), and tenor (mm. 11-
15)››. Cit. GLENN E. WATKINS - THOMASIN LA MAY, “Imitatio” and “Emulatio”: Changing Concepts of Originality in
the Madrigals of Gesualdo and Monteverdi in the 1590s in Claudio Monteverdi: Festschrift Reinhold Hammerstein zum
70. Geburstag, herausgegeben von Ludwig Finscher, Laaber, Laaber-Verlag, 1986, pp. 453-487: 473, 475. Questa tecnica
implica dunque una frammentazione del discorso poetico-musicale, nonostante una o più voci non abbiano ancora
terminato l’esposizione del verso o anche dell’episodio, le altre parti dell’impianto polifonico intonano un’altra porzione
testuale associata al motivo corrispondente.
275
La tessitura contrappuntistica non è sempre uguale: si va dal contrappunto imitativo in cui le voci procedono secondo
un andamento tipico della fuga con un’imitazione più o meno rigorosa (bb. 1-5), a sezioni in cui le parti procedono in
maniera omoritmica (bb. 19-21; bb. 22-24; bb. 29-30).

76
Es. 6. ORAZIO COLOMBANO, Il giovane pastore, bb. 1-6

Il madrigale ha una cesura netta a b. 29 (cadenza alla finalis Fa), questa conclusione è enfatizzata non
solo dalla presenza della cadenza, ma anche dal cambiamento della texture: l’andamento omoritmico
delle tre voci femminili con cui si apre la seconda parte ha la funzione di garantire una piena
comprensibilità del verso ‹‹Ma io tre dive or veggio››, che racchiude l’elemento chiave del
componimento ovvero le tre dive, chiaro rimando al concerto delle dame.
Se i madrigali introduttivi, come abbiamo avuto modo di vedere, hanno una funzione prettamente
encomiastica, le composizioni seguenti rivelano uno scenario del tutto diverso. Sono ambientate in
una sorta di locus amoenus distante geograficamente ma anche storicamente dall’epoca di
Colombano; i personaggi sono generalmente pastori protagonisti di alcuni tra i più noti poemi
bucolico-pastorali, primi fra tutti quelli di Iacopo Sannazaro e Giambattista Guarini.
È il caso del madrigale Amor di propria man, parafrasi composta dal musicista e poeta Orazio Vecchi
(Primo libro dei madrigali a sei voci, 1583) sul testo Tirsi morir volea, capolavoro guariniano che è
apparso anche in altre edizioni a stampa tra cui il Primo Libro de Madrigali a cinque voci (1580) di
Luca Marenzio, e il Settimo Libro de Madrigali a cinque voci (1581) di Giaches Wert.276 A differenza
degli altri compositori, Orazio Vecchi non utilizzò i versi di Guarini, anche se la situazione
rappresentata nel componimento è la medesima vicenda di Tirsi e Galatea nel raggiungimento
dell’estasi d’amore.277 Mettendo a confronto i diversi rivestimenti musicali, è stato possibile
riscontrare due nuclei distinti. I madrigali di Marenzio e Wert rispettano la segmentazione del testo

276
Cfr. PAUL SCHLEUSE, Singing Games in Early Modern Italy: The Music Book of Orazio Vecchi, Bloomington and
Indianapolis, Indiana University Press, 2015, p. 65.
277
Ivi, p. 66.
77
poetico tramite due diversi procedimenti. Il primo, sfruttando le peculiarità del modo frigio, realizza
un’articolazione tripartita a livello macroformale: nel madrigale si individuano tre sezioni, la prima
che ruota attorno alla sonorità di Mi; la seconda si conclude con una cadenza parziale a La; ed infine
nella terza parte, il pensiero della fugacità della morte conduce all’affermazione di Do come cadenza
preponderante e solo quando nel testo la voce narrante racconta il compimento della morte degli
amanti e il loro ritorno alla vita – ‹‹tornaro in vita›› – la voce di tenore ‹‹emerges to take control of
the structural background, ushering it downward through the diatessaron from e’ to b’ and bringing
modal closure to the madrigal››.278
Anche l’organizzazione complessiva della composizione di Wert (esempio 7), costruita secondo il
modello del dialogo a sette voci in due semicori, rispecchia la segmentazione del testo poetico
guariniano: gli interventi del narratore e di Tirsi sono affidati ad un gruppo di quattro voci (di cui due
maschili, Tenore e Basso e altre due, Alto e Quinto appartenenti al registro femminile); mentre le
parole pronunciate dalla ninfa sono affidate alle voci di Sesto, Settimo e Canto con una tessitura
particolarmente acuta.

Es. 7. GIACHES WERT, Tirsi morir volea, VII libro, 1581, bb. 8-11(da CMM, 24/7)

SETH J. COLUZZI, Structure and interpretation in Luca Marenzio’ s settings of ‘Il Pastor Fido’, PhD, North Carolina
278

University, 2007, p. 449.


78
Come si può vedere nell’esempio, l’organizzazione complessiva, di tipo dialogico-antifonale, ha una
scrittura omoritmica ed è basata sull’interazione tra due blocchi contrapposti (narratore e/o Tirsi da
un lato e la ninfa dall’altro) che interessa le prime due stanze del testo guariniano e i primi due versi
della terza strofa, finché tutte le voci si riuniscono quando nel testo si giunge all’ossimoro morte-vita:

“Mori, cor mio, ch’io moro.”


Così morir noi fortunati Amanti,
Di morte sì soave e sì gradita
Che per anco morir, tornare in vita.

Es. 8. GIACHES WERT, Tirsi morir volea, VII libro, 1581, bb. 37-39 (da CMM 24/7)

Se i tratti distintivi dei madrigali di Marenzio e Wert sono ‹‹l’omoritmia, la spezzatura in semicori, il
loro dialogo e la reiterazione di medesime porzioni di testo››,279 la composizione di Colombano, fatta

279
TOMMASO MAGGIOLO, Orazio Colombano, "Magnificat quarti toni" super ‹‹Tirsi morir volea›› di Luca Marenzio: un
esempio di Magnificat-parodia italiano, ‹‹Philomusica online››, XV 2016, pp. 759–779: 768.
79
eccezione per l’andamento omoritmico di alcune sezioni, intona in maniera diversa il testo guariniano,
presentando in tal senso molte analogie con l’opera di Orazio Vecchi.
Innanzitutto la versione messa in musica dal frate accoglie interamente la parafrasi di Vecchi,
escludendo solamente il verso ‹‹per dar fine a lor pianti››.280

Versione di Orazio Vecchi Versione di Colombano


Amor di propria man congiunti avea Amor di propria man congiunti avea
In loco chiuso duo fedeli Amanti, in luogo chiuso doi fedeli amanti:
Per dar fine a lor pianti. l'uno era Tirsi e l’altro Galatea.
L’uno era Tirsi e l’altro Galatea, E perché ognun di lor avea desire
E perch’ ognun di lor avea desire di provar il morire,
Di provare il morire, fu il primo Tirsi a dire,
Fu’l primo Tirsi a dire, la sua Ninfa gentil stringendo forte,
La sua Ninfa gentil stringendo forte: “Vita mia cara, io son vicino a morte”.
“Vita mia cara, io son vicino a morte!”281

L’articolazione formale di entrambe le composizioni è svincolata dalla segmentazione del testo


poetico, anzi potremmo dire che le voci, nonostante la staticità dell’impianto omoritmico, ‹‹si
presentano a turno in varie combinazioni d’entrata›› e ‹‹proseguono con una tecnica più o meno
liberamente imitativa››.282
La struttura del madrigale di Colombano si basa sulla reiterazione insistita del motivo d’apertura:

La cellula ritmica iniziale, costituita dalla semiminima puntata e dalla croma, conferisce al tema una
‹‹fisionomia ritmica peculiare e chiaramente riconoscibile, puntualmente ripresa››.283 Essa richiama
la ciclicità del testo in cui il desiderio che coglie gli amanti li porta da un lato a sperare che questa
passione possa essere placata al più presto («Sia colpo eguale poi ch’egual’è ‘l foco», v. 6), dall’altro
nell’ultimo verso Tirsi e Galatea vivono nella speranza che questo «lieto gioco» possa rinnovarsi

280
Alla fine del secolo dunque al musicista si presentavano diverse possibilità: per quanto riguarda i testi poetici, da un
lato poteva attingere autonomamente ad una fonte letteraria, oppure poteva prendere spunto dall’intonazione dello stesso
testo da parte di altri compositori e quindi considerare tale opera come una sorta di modello di riferimento. Cfr. STEFANO
CAMPAGNOLO, Boccaccio in musica nel Cinquecento: letture e interpretazioni dei madrigalisti, in Boccaccio veneto, atti
del Convegno Internazionale (Venezia, 20-22 giugno 2013), a cura di Luciano Formisano e Roberta Morosini, Ariccia,
Aracne editrice, 2015, pp. 51–76: 52.
281
Cfr. MARIAROSA POLLASTRI, I madrigali a sei voci di Orazio Vecchi, tesi di diploma, Università di Pavia-Cremona
(Scuola di Paleografia e Filologia Musicale), 1981, trascrizione n. 10.
282
MARINA TOFFETTI, Intertestualità e paratestualità nel repertorio della canzone strumentale milanese, ‹‹Philomusica
online››, XIV (2015), pp. 482-508: 487.
283
Ivi, p. 489.
80
mille volte ancora. Tutto ruota attorno al connubio amore-morte.284 Il madrigale non ha
un’impostazione dialogica, tutte le voci procedono simultaneamente adottando tendenzialmente una
scrittura omoritmica, tuttavia in corrispondenza delle misure 22-27 si verifica un fenomeno alquanto
interessante ovvero la ‹‹declamazione simultanea di porzioni del medesimo testo››285 che è affidata a
due differenti gruppi di voci. Infatti il terzo verso ‹‹L’uno era Tirsi e l’altro Galatea›› è sottoposto ad
un processo di frammentazione: l’esecuzione del primo emistichio è affidata al tricinium composto
dalle voci di Alto, Tenore e Basso; seguito dal bicinium (Canto e Quinto) che esegue il secondo
emistichio. In tal modo il nome maschile Tirsi è pronunciato dalle voci appartenenti al registro più
basso, mentre Galatea è affidato all’esecuzione delle parti del registro più alto.

Es. 9. ORAZIO COLOMBANO, Amor di propria man congiunti avea, bb. 22-27

Anche nella versione di Vecchi, che è interamente contraddistinta da una condotta omoritmica, in
corrispondenza del verso ‹‹L’uno era Tirsi e l’altro Galatea››, si adotta il medesimo procedimento
attraverso la divisione dell’organico in due gruppi: da un lato le voci di Canto, Sextus e Tenore
intonano il primo emistichio ‹‹L’uno era Tirsi››, mentre dall’altra parte l’Alto, il Basso e ancora una
volta il Tenore declamano il secondo emistichio ‹‹l’altro era Galatea›› (esempio 10).

284
Questa dicotomia appare frequentemente nella poesia del Cinquecento, ma, nel madrigale di Colombano, è come se
questo tema acquisisse una nuova luce: i due amanti in preda all’estasi amorosa muoiono, una volta placato il loro
desiderio essi ritornano alla vita, ed è quindi un flusso ininterrotto che si perpetua costantemente. Il topos della forza
autodistruttiva dell’amore in grado di annientare e di soggiogare l’essere umano è rivisitato in questo testo nell’ottica di
una forza propulsiva.
285
DAVIDE CHECCHI-MICHELE EPIFANI, Filologia e interpretazione. Un esercizio interdisciplinare su una chace e due
cacce trecentesche, ‹‹Philomusica online››, XIV (2015), pp. 25-124: 59.
81
Es. 10. ORAZIO VECCHI, Amor di propria man congiunti avea, I libro, 1583, bb. 19-23

In entrambi i madrigali si riscontra un’unica occorrenza di questo fenomeno, l’intenzione è


chiaramente quella di far emergere questo verso in maniera netta rispetto agli altri, essendo questa
l’unica sede in cui il poeta presenta i personaggi dell’idillio amoroso che di lì a poco saranno i
protagonisti di un vero e proprio dramma fondato sulla concezione dell’amore come forza
purificatrice e catartica, che riporta alla vita attraverso la liberazione dell’anima dalle costrizioni
terrene. In tal senso il testo Amor di propria man può essere interpretato come una sorta di preludio
alla scena, anche in virtù del fatto che nella versione originaria di Orazio Vecchi non appare in maniera
isolata, bensì fa parte di un ciclo di tre madrigali costituito appunto da Amor di propria man, La Ninfa
allor e Così con lieto gioco. Questa struttura è osservata anche da Giovanni Battista Mosto che ne Il
Secondo Libro de’ Madrigali a cinque voci, raccolta pubblicata nel 1584 a Venezia dagli editori
Vincenti e Amadino, ‹‹ha rispettato la tripartizione ideata probabilmente da Vecchi, realizzando una
versione a cinque voci››;286 al contrario Colombano, a differenza di Mosto, riprende la parafrasi
poetica composta da Vecchi, ma musicalmente crea due madrigali a cinque voci: Amor di propria
man e La Ninfa allor, riunendo nel secondo madrigale gli ultimi due testi del terzetto composto da
Vecchi (La Ninfa allor e Così con lieto gioco).
La cornice pastorale fa da sfondo ai tre madrigali; tendenzialmente gli autori dei testi poetici della
fine del Cinquecento mostrano una certa predilezione per tali ambientazioni:287 ‹‹le piccole scene
[bucoliche] e mitologiche risentono, pur non direttamente, del Guarini che inneggia a una Natura

286
M. POLLASTRI, I madrigali a sei voci di Orazio Vecchi, p. 39.
287
NINO PIRROTTA, Scelte poetiche di Monteverdi, ‹‹Nuova Rivista Musicale Italiana››, II/1 (1968), pp. 10-42: 26.
82
animata e felice e alla spontanea sensualità e del Tasso che descrive ambienti naturali determinati da
stati d’animo››.288
Tirsi e Galatea sono i protagonisti rispettivamente del primo e dell’undicesimo idillio teocritei,289 in
cui hanno luogo le vicende amorose che vedono coinvolti come interpreti principali i pastori.290
In molti casi questa tematica è sviluppata attraverso il genere del madrigale proposta-risposta che, a
partire dagli anni ’40 del Cinquecento fino alle soglie del Seicento, fu uno dei prediletti dai
compositori. Vi sono due esempi anche all’interno della raccolta di Colombano: Filli cara et amata
e Dunque Aminta mio caro. L’autore di questi componimenti poetici è noto:291 nell’antologia Rime
piacevoli di Cesare Caporali et d’altri autori, edita a Ferrara da Vittorio Baldini nel 1586, i due testi
appaiono sotto il nome del poeta Alberto Parma. Colombano riprende i testi originari integralmente,
ma apporta un’unica modifica ovvero cambia i nomi degli amanti, Clori al posto di Filli e Damone in
luogo di Aminta.
È difficile comprendere la ragione che si cela dietro questa variante, anche se, generalmente non era
costume inusuale che gli stessi musicisti rimaneggiassero i testi poetici per i motivi più disparati. In
primo luogo gli interventi sul testo erano solitamente dovuti a ragioni metrico-ritmiche, anche se non

288
M. POLLASTRI, I madrigali a sei voci di Orazio Vecchi, p. 36. Il genere bucolico ebbe un grande successo fin
dall’antichità con le Bucoliche di Virgilio per arrivare all’Arcadia di Jacopo Sannazaro, anche se con connotazioni di volta
in volta diverse ovvero ‹‹il “saevus amor” (Ec. VIII, 47), il “crudelis amor” (Ec. X, 29), l’ “insanus amor” (Ec. X, 44) che
ha agitato la poesia virgiliana non ha più voce››, cfr. ANGELA CARACCIOLO, La riscrittura della favola pastorale da
Sannazaro a Lope de Vega, in Scrittura e riscrittura: traduzioni, refundiciones, parodie e plagi, atti del Convegno AISPI
(Roma, Università degli Studi La Sapienza, 12-13 novembre 1993), Roma, Bulzoni, 1995, pp. 199–212: 200. È chiara
dunque l’intenzione di esprimere una varietà di temi dall’amore, interpretato sia con connotazione positiva sia anche come
dolore e sofferenza per la lontananza dell’oggetto del desiderio, fino ad arrivare allo strazio causato dalla perdita della
persona amata. Questa cornice si presta bene anche alla poesia encomiastica e panegirica, come abbiamo potuto vedere
nei primi due testi; in tal modo ‹‹il genere pastorale annulla ogni pretesa d’effettiva unità tematica››, cfr. GIOVANNI
FERRONI, Dulce Lusus: lirica pastorale e libri di poesia nel Cinquecento, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2012, p. 5.
289
Teocrito fu uno dei primi autori che predilesse questo genere, ne sono testimonianza gli Idilli, un corpus di 30 carmi
trasmessi dai codici medievali (sull’autenticità di alcuni si sta ancora discutendo).
290
Tirsi è anche uno dei protagonisti dell’Aminta, il romanzo pastorale di Torquato Tasso. Scritto in endecasillabi e
settenari, l’Aminta è una storia di sofferenze amorose. Tasso combina i modi epici e lirici in una tragedia in cinque atti.
Aminta è il personaggio chiave della storia attraverso cui Tasso riesce a mettere in luce tutti gli stati d’animo di un amante
non corrisposto e che sente di essere incompleto senza l’amore della sua Silvia. Cfr. KRISTIN PHILLIPS-COURT, The Perfect
Genre. Drama and Painting in Renaissance Italy, Farnham, Ashgate, 2011, p. 144, 147. Tirsi allo stesso tempo gioca un
ruolo essenziale nella storia infatti rappresenta l’amico fidato al quale Aminta racconta tutte le fasi dell’innamoramento
secondo una climax ascendente che si conclude con la disperazione del pastore. Interessante la replica di Tirsi il quale
prospetta un’ulteriore visione: le delusion non sono associate ad una vision escatologica della vita, ma sono interpretate
come l’inizio di un percorso di rinnovamento per il raggiungimento di una completezza dell’essere.
291
Le dichiarazioni di autorialità all’interno dei libri di madrigali sono naturalmente la via più sicura per l’attribuzione
dei testi poetici. Per un approfondimento cfr. ANTONIO VASSALLI-ANGELO POMPILIO, Indice delle rime di Battista Guarini
poste in musica, in Guarini: la musica e i musicisti, Lucca, LIM, pp. 185-225. Una metà di questo repertorio intona versi
di Guarini, la restante parte è un gruppo molto più eterogeneo ed è ascrivibile a svariati autori tra i quali spiccano Tasso,
Banchieri, Marino, Rinuccini. JENNIFER L. KING, The ‘proposta e risposta madrigal’, dialogue, cultural discourse, and
the issue of ‘imitatio’, PhD Diss., Indiana University, 2007, pp. 36-37. Per i madrigali di Colombano è stato sempre
possibile risalire ad un’attribuzione; tuttavia fanno eccezione tre componimenti che risultano tuttora adespoti: I miei veloci
dardi, S’asconde a noi la sera e Con ruggiadose e molli luci.
83
è il caso di Colombano dal momento che i nomi Clori e Filli, così come i nomi Damone e Aminta,
sono composti dallo stesso numero di sillabe.
La motivazione deve quindi essere ricercata altrove. Gli originari Filli e Aminta non sono generiche
figure appartenenti al mondo bucolico, ma sono personaggi tratti dalla favola pastorale di Aminta;
Alberto Parma, che aveva una profonda conoscenza dell’opera del Tasso, riprese questi personaggi e
decise di creare ex novo un dialogo.292 Colombano a sua volta sostituisce la coppia originaria di
amanti con l’altra coppia formata da Clori e Damone. A questo punto è difficile riconoscere la fonte
da cui il conventuale può aver attinto dal momento che, sia nell’opera di Tasso, l’Aminta, sia anche
in altri capolavori come il Pastor Fido di Guarini, i due personaggi non compaiono nella veste di
amanti. D’altro canto questa vicenda ebbe una tale diffusione che ancora nel Seicento molte
composizioni furono elaborate su questa trama;293 anche il decimo madrigale della raccolta di
Colombano, Con ruggiadose e molli, si riferisce al medesimo plot: la storia d’amore tormentata tra
Aminta e Filli che si conclude con un epilogo tragico, la morte di Aminta e l’enorme strazio provato
da Filli.
Il madrigale ha una struttura tripartita, ciascuna delle tre sezioni si conclude con una cesura cadenzale
molto marcata, a differenza dell’articolazione interna che è scandita da nessi cadenzali più deboli,
tendenzialmente cadenze sospese. Questa distribuzione delle cadenze è indice di un’accurata
segnalazione dei punti cardine del testo poetico nell’ottica di far sì che l’organizzazione del discorso
musicale rispecchi la segmentazione testuale.
I tre gradi che occupano un ruolo di rilievo nel brano sono il Sol, finalis del I modo trasposto (modo
d’impianto del madrigale), il Re ed infine il La.
La finalis è evocata la prima volta in corrispondenza dell’enjambement che si verifica tra il primo e
il secondo verso (b.12) attraverso la cadenza evitata a Sol; la transizione tra i primi due versi è
evidenziata anche attraverso la figurazione del tetracordo diatonico discendente, con l’intento di
amplificare l’affetto lamentoso del testo ‹‹pregne di duol››:

292
Ivi, p. 47.
293
Il caso più celebre è quello della serenata di Alessandro Stradella La Forza delle Stelle. La trama fu stabilita dalla
regina Cristina di Svezia e il testo fu scritto dal poeta Sebastiano Baldini. Il testo si apre con il dialogo tra i due amanti
che ‹‹si scambiano dolci effusioni e tenerezze amorevoli su di un balcone in una serena notte estiva costellata di stelle››.
Cit. ISABELLA CHIAPPARA, Erotomachia. Accademie ed Allegorie d’amore in musica e pittura. Alessandro Stradella-“La
Forza delle Stelle ovvero il Damone”-Serenata a sette voci, 2 concertini e concerto grosso,
http://www.saladelcembalo.org/histories/stradella-laforzadellestelle.html. ‹‹The author of the original text [La forza delle
stelle] was Sebastiano Baldini, a well-known and highly respected poet of verses for musica that were set by almost by
almost every composer operating in Rome at the time (and by many elsewhere). Baldini complained bitterly about
Stradella’s changes – but to no avail. Similar treatment was given by Stradella to another Baldini text, this time that of
the serenata Lo schiavo liberato, a reworking for music of an episode from Tasso’s epic poem Gerusalemme liberata.
Here Stradella made nine cuts of line as well as adding numerous lines of his own. Because of these known literary
proclivities, the otherwise fairly inexplicable second version of both text and music for the serenatas La forza delle stelle
(text again originally by Baldini) […]››. Cit. CAROLYN GIANTURCO, The When and How of Arioso in Stradella’s Cantatas,
in Aspects of the secular cantata in late Baroque Italy, edited by Michael Talbot, Farnham, Ashgate, 2009, pp. 1-26: 4.
84
Es. 11. ORAZIO COLOMBANO, Con ruggiadose e molli, bb. 12-18

Anche la sezione seguente, incentrata sul dolore provato da Filli per il destino infausto che da lì a
poco si compirà: ‹‹”Ahi, sorte dira!”››, è quasi interamente scandita dalla successione di semibreves
e minimae che procedono per grado congiunto osservando la sequenza del tetracordo diatonico
discendente che diviene dunque il carattere peculiare che contraddistingue anche questa parte del
madrigale.

Es. 12. ORAZIO COLOMBANO, Con ruggiadose e molli, bb. 43-49

Nella terza ed ultima sezione si compie il tragico epilogo, la morte di Aminta, l’intensificazione del
pathos drammatico è resa musicalmente attraverso due espedienti: il cromatismo della voce di Quinto
(bb. 59-62), tramite l’introduzione del La bemolle e del Fa diesis; e la cadenza sospesa a Sol (b.63).

85
Es. 13. ORAZIO COLOMBANO, Con ruggiadose e molli, bb. 59-62

Anche in S’asconde a noi la sera, il cui testo ruota attorno al confronto tra due corpi celesti, ovvero
il sole, che di giorno illumina ‹‹l’Emisfero intorno››, e l’ottava sfera, che risplende nella notte e di cui
è possibile godere dei suoi ‹‹rai chiari et ardenti››;294 Colombano presta grande attenzione alla valenza
semantica del testo e fa in modo che questa dicotomia emerga sul piano melodico-contrappuntistico
attraverso la contrapposizione di due elementi: se da un lato l’introduzione del Do# (b.26, voce di
Canto) sottolinea il contrasto con l’atmosfera serena e rassicurante iniziale, proiettando la
composizione in un nuovo scenario; dall’altro lato la cadenza realizzata alla finalis Fa (S’asconde a
noi la sera, b. 24) rappresenta una cesura con la sezione seguente in cui viene esaltata la luce che
nella notte emana l’Ottava sfera.295
La tripartizione del madrigale rievoca la partizione sintattica del testo poetico. La prima sezione si
conclude con una cadenza perfetta sulla finalis del V modo (b. 24); la conclusione della seconda
sezione è segnalata da una cesura cadenzale più debole rispetto a quella precedente, si tratta infatti di
una cadenza d’interconnessione perché in corrispondenza della nota di risoluzione (Do, repercussio

294
Verso la fine del Cinquecento l’interesse per i fenomeni celesti scaturisce dalla nuova fase di osservazioni degli astri.
Si ‹‹apriranno nuovi fronti nella sfida alla cosmologia aristotelica mettendo in questione l’immutabilità della regione
celeste e la solidità delle sfere che, secondo la tradizione, erano responsabili dei moti delle stelle e dei pianeti. In Italia,
come nel resto d’Europa, questi fenomeni stimoleranno un vivace dibattito al quale parteciperanno astronomi, filosofi
naturali e teologi››. Anche la letteratura fu influenzata dal progredire di queste nuove conoscenze scientifiche con la
conseguenza che frequenti divennero i riferimenti non solo alle ‹‹tematiche cosmologiche››, ma anche a quelle di
‹‹carattere naturalistico››. DARIO TESSICINI, Astronomia e cosmologia, in Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti
. Il contributo italiano alla storia del pensiero - ottava appendice, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2013, pp.
70-80: 73.
295
Il testo di questo madrigale si inserisce in un’interessante rete di connessioni intertestuali: nel II canto del Paradiso,
Dante nomina l’Ottava sfera che rappresenta il cielo delle stelle fisse, la cui descrizione è affidata a Beatrice che esalta la
varietà di stelle di cui si compone questo corpo celeste e che differiscono sia per luminosità che per grandezza: ‹‹La spera
ottava vi dimostra molti | lumi, li quali e nel quale e nel quanto | notar si posson di diversi volti››.Cit. DANTE ALIGHIERI,
La Divina Commedia: Paradiso, commento a cura di Ettore Zolesi, Roma, Armando Editore, 2003, p. 59.
86
del V modo) la voce di Basso dà avvio ad un nuovo episodio contraddistinto da una declamazione
armonica a valori lunghi; in tal modo, attraverso l’incompletezza cadenzale, è resa più agevole
l’introduzione della sezione conclusiva.
Appare dunque chiaro l’intento del compositore: i madrigali sono interamente costruiti secondo
un’attenta suddivisione morfologico-semantica del testo realizzata sia attraverso un’accurata
distribuzione delle cadenze ed anche tramite l’introduzione di cromatismi in determinati snodi
testuali. Il piano cadenzale possiede una duplice valenza non solo mette in risalto l’articolazione
sintattica del testo, ma anche la componente semantica risulta amplificata soprattutto attraverso
l’impiego della cadenza come ‹‹figura retorico-musicale atta a rappresentare soprattutto concetti di
mancanza, dipartita, imperfezione o dolore››.296
Ne è un valido esempio la cadenza sospesa del madrigale Folminava d’Amor questa rubella in
corrispondenza del verso ‹‹Come l’accenderete o sospir miei?››. Lo smarrimento causato dalla
caducità del sentimento amoroso è reso in musica tramite l’impiego della cadenza frigia (bb. 51-53,
finalis Mi; bb. 59-60, finalis La) ed attraverso la conclusione della voce di Canto su Sol#, quasi a
voler sancire la presenza di una tensione musicale irrisolta causata dalla mancata risoluzione.

Es. 14. a. ORAZIO COLOMBANO, Folminava d’Amor questa rubella, bb. 51-53 (cadenza frigia a Mi)

296
PAOLO CECCHI, Cadenze e modalità nel Quinto Libro di madrigali a cinque voci di Carlo Gesualdo, ‹‹Rivista Italiana
di Musicologia››, XXIII (1988), pp. 93-131: 118.
87
Es. 14. b. ORAZIO COLOMBANO, Folminava d’Amor questa rubella, bb. 59-60 (cadenza frigia a La)

L’autore del testo è Giuliano Gosellini.297 La sua fama è attestata essenzialmente dalle cinque edizioni
delle Rime, l’ultima delle quali fu pubblicata postuma a Venezia dall’editore Francesco Franceschi
nel 1588. Sia questa edizione che la precedente (Venezia, Pietro Deuchino, 1581) includono il
madrigale Folminava d’Amor questa rubella intonato da Colombano. Questo testo ebbe una grande
notorietà alla fine del Cinquecento, il suo successo non è solo attestato dalle molteplici fonti letterarie,
ma anche dalla sua frequente intonazione in molte raccolte madrigalistiche, tra cui spiccano il Terzo
Libro di Madrigali a cinque voci di Benedetto Pallavicino (1585) e le Canzonette a tre voci (1591) di
Pietro Bozi.
Singolare è il trattamento offerto da quest’ultimo: Bozi trasforma questo madrigale in canzonetta
strofica, con alcuni rimaneggiamenti, che mantengono intatta la fisionomia complessiva della
poesia:298

Versione di Gosellini Versione di Bozi


Folminava d’Amor questa rubella, Fulminava d’Amor questa rubella
Udite, udite amanti; Udite, udite, Amanti,
Giove, mosso a pietà de i nostri pianti. Giove mosso a pietà de vostri pianti.
Ma folgorando anch’ella Ma folgorando aspre saette anch’ella

297
Fu una figura che, secondo Luisella Giachino, ‹‹seppe coniugare un’eccezionale carriera di burocrate di alto livello,
segretario in re, addetto ai più delicati maneggi della Cancelleria segreta dell’amministrazione spagnola di Milano, […]
con la pratica assidua delle lettere che ne fece un intellettuale fecondo e stimolo dei contemporanei, soprattutto come
poeta d’amore››. Cit. LUISELLA GIACHINO, La lode e la morte: Giuliano Goselini poeta funebre della Milano del secondo
Cinquecento, ‹‹Allegoria››, XXVI (2009/2010), pp. 102–130: 102. Nei primi anni ’70 Gosellini iniziò un progressivo
allontanamento dalla scena politica e cominciò a dedicarsi in maniera sempre più attiva alla poesia. Cfr. MASSIMO CARLO
GIANNINI, voce “Gosellini, Giuliano”, Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 58 (2002), pp. 110-114.
298
Cit. MASSIMO PRIVITERA, Orazio Vecchi musico-poeta, in Villanella, napolitana, canzonetta. Relazioni tra Gasparo
Fiorino, compositori calabresi e scuole italiane del Cinquecento, Vibo Valentia, Istituto di bibliografia musicale
calabrese, 1999, pp. 305–348: 315-316.
88
Co’suoi begli occhi, il vinse; Con suoi begli occhi il vinse
E lui fe cieco, et arso, E’l suo gran foco accese, e l’altro estinse.
E’l suo fier colpo scarso Così rimase Giove, e cieco & arso.
Beltà, ch’un foco accese, e l’altro estinse. Hor se sforza gli Dei,
Or se sforza gli Dei; Come l’accenderete o sospir miei. 299
Come l’accenderete o sospir miei?

Dal confronto emergono notevoli differenze sul piano metrico: è il caso ad es. del quarto verso che
nella versione originaria è un settenario ‹‹Ma folgorando anch’ella››, mentre nel testo di Bozi è un
endecasillabo ‹‹Ma folgorando aspre saette anch’ella››.
Per quanto concerne il madrigale di Colombano, non è stato facile comprendere quale possa essere
stata la fonte da cui ha attinto il compositore. Nelle versioni di Pallavicino e di Colombano le lezioni
divergenti rispetto al testo di Gosellini interessano tendenzialmente i medesimi versi. È il caso del v.
3 «mosso a pietà de i vostri pianti» attestato in Pallavicino vs «mosso a pietà de nostri pianti» attestato
in Colombano e in Gosellini. Anche varianti di tipo formale interessano entrambi i madrigali: «belli»
vs «begli», «hor» vs «or»; tuttavia dal confronto dei rivestimenti musicali non emerge alcun nesso
intertestuale in termini di citazioni esplicite tra i due compositori. L’analisi dell’ultimo verso
corrobora l’ipotesi di una filiazione diretta da Gosellini: entrambi i componimenti si concludono con
una domanda, a differenza della versione messa in musica da Pallavicino. La composizione di Bozi
naturalmente non può essere stata la fonte di Colombano per due ovvi motivi: innanzitutto l’edizione
di Bozi, datata 1591, è posteriore a quella dei madrigali del conventuale, ed inoltre, come si è già
detto, si tratta di un componimento strofico in forma di canzonetta e che è di conseguenza molto
distante dalla versione messa in musica dal frate.300
In generale la musica di Colombano si conforma a quella tendenza che investì il madrigale della
seconda metà del Cinquecento e che Hammerstein ha ben sintetizzato con queste parole:

di essere fondamentalmente condizionata dal testo e dal suo contenuto, il testo letterario è ancora
sempre egemone tanto sul versante formale che su quello contenutistico, la musica lo segue
fedelmente riaggregandosi autonomamente e rompendo il semplice allineamento dei versi, ma
senza abbandonare la tendenza additiva […].301

299
La trascrizione del testo è riportata da Massimo Privitera, Ibidem, cfr.
300
Si può affermare che alla fine del sedicesimo secolo il madrigale fu materia d’ispirazione sotto molteplici aspetti: la
canzonetta ad esempio derivò tutto il suo patrimonio di immagini e temi dal madrigale e fu stilisticamente a tal punto
vicino ad esso che molte canzonette altro non erano se non testi parafrasati di madrigali preesistenti. Cfr. RUTH I. DEFORD,
The Influence of the Madrigal on Canzonetta Texts of the Late Sixteenth Century, ‹‹Acta Musicologica››, 59 (1987), pp.
127–151: 127.
301
REINHOLD HAMMERSTEIN, Questioni formali nei madrigali di Monteverdi, in Il madrigale tra Cinque e Seicento, a
cura di Paolo Fabbri, pp. 335-358: 340.
89
La medesima tendenza si riscontra anche nei quattro madrigali seguenti, che rimandano all’
Arcadia302 di Iacopo Sannazaro, per la precisione alla II egloga, dalla quale Colombano trae quattro
gruppi di versi che musica in quattro madrigali distinti:

- Itene a l’ombra degli ameni faggi vv. 1-9 terzine di endecasillabi

- Fillida mia, più che i ligustri bianca vv. 101-108 ottava rima

- Tirrena mia, il cui color eguaglia vv. 109-116 ottava rima

- Pastor, che sete intorno al cantar nostro vv. 117-124 ottava rima

Anche qui si distinguono due nomi femminili, Fillida e Tirrena, che sono rispettivamente le ninfe
amate da Montano e Uranio: notevole è la ricchezza di dettagli con cui le fanciulle sono descritte,
peculiarità che permettono al lettore di ricreare quasi una sorta di proiezione visiva della donna.

Fillida mia, più che ligustri bianca,


Più vermiglia che il prato a mezzo Aprile,
Più fugace che cerva,
Et a me più proterva
Ch’a Pan non fu colei che vinta e stanca
Divenne canna tremula e sottile;
Per guiderdon delle gravose some,
Deh! Spargi al vento le dorate chiome.

302
L’Arcadia fu uno dei modelli di riferimento più importanti per il patrimonio letterario e musicale del sedicesimo e del
diciassettesimo secolo. La popolarità del romanzo pastorale è attestata dalla grande circolazione che ebbe anche al di fuori
del contesto italiano, come testimoniano le numerose edizioni tradotte in diverse lingue europee. L’influenza dell’Arcadia
sulla letteratura francese, spagnola ed inglese, come anche nelle arti figurative, fu molto profonda: il capolavoro di
Sannazaro divenne ad esempio un modello per Philip Sidney e per i pittori come Nicolas Poussin. MATTEO SORANZO,
voce “Arcadia”, Encyclopedia of Italian Literary Studies, vol. I, Routledge, Taylor & Francis Group, 2007, pp. 1676-
1677. Il capolavoro di Sannazaro, composto tra il 1480 e il 1485 e la cui prima edizione risale al 1504, consistente in un
prologo, un epilogo e dodici prose che si alternano con un uguale numero di componimenti poetici, si configura come
unna sorta di duplice viaggio. Da un lato, attraverso Sincero, il protagonista del romanzo, l’autora tenta una fuga dalla
realtà e cerca di rifugiarsi nella natura, unico conforto ai tormenti e ai dolori del mondo e riparo dale delusion amorose;
dall’altro lato il suo itinerario si svolge attraverso il dominio linguistico, ovvero la capacità dell’autore di riuscire a creare
‹‹uno stile ibrido, ma sorvegliatissimo, in cui la varietà lessicale e sintattica (dialettismi napoletani e toscanismi, tentazioni
popolareggianti) non generò oscillazioni ma un sostanziale monolinguismo, che sopravvisse anche alla revisione››. Cit.
IACOPO SANNAZARO, Arcadia, edizione commentata a cura di Francesco Erspamer, Milano, Mursia, 1990, p. 19. Cfr.
PETER BONDANELLA-ANDREA CICCARELLI, The Cambridge Companion to the Italian Novel, Cambridge, Cambridge
University Press, 2003, p. 24; IACOPO SANNAZARO, Arcadia, introduzione e commento di Carlo Vecce, Roma, Carocci,
2013, p. 14. L’influenza esercitata sulla cultura del suo tempo (e oltre) dall’opera di Sannazaro si protrarrà anche per i
due secoli successivi; ne è una significativa testimonianza la fondazione dell’Accademia dell’Arcadia a Roma nel 1690.
Il successo del romanzo pastorale è attestato dalle sessanta edizioni a stampa che apparvero nel corso del Cinquecento,
ma è nella sfera della musica che si produsse la più ampia risonanza di quest’opera a giudicare dalle innumerevoli raccolte
di madrigali, villanelle e antologie che includono intonazioni di versi dell’Arcadia a partire dalla seconda metà del
Cinquecento fino al Seicento inoltrato. ‹‹Nel secolo XVI si eseguirono circa sessanta edizioni dell’Arcadia, e dopo la
stampa Cominiana fu pure nitidamente impressa molte volte, ed anche modernamente in Italia, e oltre monti››. Cit.
BARTOLOMEO GAMBA, Serie de’ testi di lingua usati a stampa nel vocabolario degli accademici della Crusca con aggiunte
di altre edizioni da accreditati scrittori molto pregiate, e di osservazioni critico-bibliografiche, Bassano, Tipografia
Remondiniana, 1805, p. 142.
90
L’intero componimento è impostato su parallelismi con il mondo agreste: Fillida ha la pelle più bianca
de «ligustri»303 e le bocca più «vermiglia che il prato a mezzo Aprile».304
Questi madrigali sono contraddistinti da un notevole grado di omogeneità che interessa l’intera
struttura melodica: ‹‹più l’andamento è simile, più la tessitura risulta omogenea, cioè procede tramite
un flusso unitario e direzionato››.305 In particolar modo l’analisi della struttura di Itene all’ombra
degli ameni faggi musicata da Colombano ha fatto emergere aspetti alquanto interessanti. Innanzitutto
la posizione dei nessi cadenzali, che si trovano alla fine di ogni verso, dimostra che si tratta di un
rivestimento musicale che rispetta la versificazione. ‹‹L’attenzione verso l’uso di cesure nella
tessitura suggerisce […] un modo di comporre che cerca nella struttura del testo le suggestioni per
l’articolazione macroformale››.306 Anche la disposizione dei melismi non è frutto di una pura
casualità: la melodia è tendenzialmente sillabica, ma per conferire particolare enfasi a determinate
parole tutte le voci adottano un andamento melismatico simultaneo. Si veda il verso ‹‹Mentre il mio
canto e il mormorar de l’onde››, le voci, che procedono in una sorta di pseudo-omoritmia, in
corrispondenza delle parole «canto» ed «onde» si dileguano in un libero fluire della melodia,
attraverso rapide sequenze melismatiche ascendenti e discendenti, rappresentando in tal modo il
contenuto del testo poetico in modo pittorico e descrittivo attraverso la notazione stessa.
Tale scrittura, come si può vedere nei seguenti esempi, produce una maggiore varietà di valori che si
oppone alla regolare e ordinata successione di durate che aveva contraddistinto fino a quel momento
il madrigale e schiude una nuova concezione ritmica contribuendo a creare una sorta di più vivace
dinamismo.307

303
Pianta della famiglia delle Oleacee che presenta dei fiori di colore bianco.
304
Anche il madrigale seguente Tirrena mia il cui color eguaglia si apre all’insegna di connotazioni fisiche che si basano
su parallelismi con il mondo bucolico. Un quadro descrittivo di questa tipologia, che ruota attorno alla correlazione con
gli elementi della natura, trova un riscontro anche nella lirica classica, come ad es. nel XIII libro delle Metamorfosi, dove
Ovidio descrive la ninfa Galatea con queste parole: ‹‹Candidior folio nivei, Galatea, ligustri, floridior pratis››; ed ancora
nel I libro, in cui con il richiamo al mito di Pan e della ninfa Siringa si rimanda al mondo bucolico: la ninfa, col capo cinto
d’aculei di pino, riesce a sfuggire all’inseguimento di Pan e, grazie all’invocazione d’aiuto alle ninfe, è trasformata in
quel ciuffo di canne palustri che Pan si trova fra le mani invece della naiade che credeva di ghermire. Cfr. SERAFINO
BALDUZZI, Ovidio. Le Metamorfosi, Milano, Cerebro Editore, 2011, p.19.‹‹Redeuntem colle Lycaeo Pan videt hanc
pinuque caput praecinctus acuta talia verba refert restabat verba referre, et precibus spretis fugisse per avia nympham,
donec harendosi placidum Ladonis ad amnem venerit; hic illam, cursum inpedientibus undis, ut se mutarent, liquidas
orasse sonores, Ponaque, cum prensam sibi iam Syringa putaret, corpore pro nymphae calamos tenuisse palustres, dumque
ibi suspirat, motos in harudine ventos effecisse sonum tenuem similemque querenti, arte nova vocisque deum dulcedine
captum ‘Hoc mihi conloquium tecum’ dixisse ‘manebit!’ atque ita disparibus calamis compagine cerae inter se iunctis
nomen tenuisse puellae››. Cit. VITTORIO SERMONTI Le metamorfosi di Ovidio, Milano, Rizzoli, 2014, p 34.
305
CARLO FIORE, Appunti per un’analisi stilistica della polifonia rinascimentale, ‹‹Rivista Internazionale di Musica Sacra
- Nuova Serie››, XXV (2004), pp. 139-178: 160.
306
CARLO FIORE, Frammenti di giudizio di valore musicale nel Rinascimento, in Early music-context and ideas, vol. I,
International Conference in Musicology (Krakow, 18-21 Settembre 2003), a cura di Karol Berger-Lubomir Chalupka-
Albert Dunning, Krakow, Institute of Musicology-Jagiellonian University, 2003, pp. 9-20: 16.
307
ANTHONY M. CUMMINGS, The Maecenas and the Madrigalist: patrons, patronage, and the origins of the italian
madrigal, Philadelphia, American Philosophical Society, 2004, p. 181.

91
Es. 15. ORAZIO COLOMBANO, Itene a l’ombra degli ameni faggi, bb. 36-40

Es. 16. ORAZIO COLOMBANO, Itene a l’ombra degli ameni faggi, bb. 42-46

Dal punto di vista stilistico questi madrigali rievocano il cosiddetto stylus luxurians che interessò la
produzione risalente agli anni ‘80 del Cinquecento. A quell’epoca si configurarono tendenze di
carattere opposto. Da un lato Giovanni Bardi nel madrigale Lauro ohimè (dalla raccolta Il Lauro
secco, 1582) adottava uno stile omofonico scevro da qualsiasi complessità motivica o
contrappuntistica, privo di un’ampia varietà dei moduli ritmici, dimostrando in tal modo di essere
ancora legato a retaggi stilistici del passato; nel contempo composizioni come Hor fuggi di Wert (dalla
raccolta Il Lauro secco, 1582) aprivano la strada a nuove possibilità: estese sequenze melismatiche
in corrispondenza di snodi testuali con una significativa valenza semantica (fuggi, sgombra).308 Il
nuovo stile differiva dai precedenti per il notevole grado di saturazione di diminuzioni nella texture

308
A. NEWCOMB, The madrigal at Ferrara 1595-1597, p. 78.
92
madrigalistica. Nella raccolta de Il lauro secco uno degli esempi più noti dello stylus luxurians è il
madrigale a cinque voci di Lelio Bertani Movi il tuo plettro, Apollo (dalla raccolta Il Lauro secco,
1582), erede del genere della canzonetta-madrigale di stampo veneziano. L’ultimo verso ‹‹mio gran
foco›› è reso musicalmente attraverso una rapida sequenza di crome (Es. 17.) che non fa altro che
accrescere la climax conclusiva del testo.

Es. 17. LELIO BERTANI, Movi il tuo plettro, Apollo, dalla raccolta Il Lauro Secco, 1582, Basso bb.
32-33 (da The Madrigal at Ferrara, vol. 2, trascrizione di Anthony Newcomb)

Dall’analisi di Anthony Newcomb emerge inoltre che:


in its early uses the luxuriant style was associated with the light-headed world of the pastoral or
idyllic canzonetta-madrigal and with its harmonically oriented pseudo-polyphony. The very
words that were wont to call forth the new style were the clichés of the texts of such pieces: vento
, augelli , cantare , scherzare , foco , fulmini , saetta etc.309

In tale contesto è possibile inquadrare l’opera di Colombano, tutto difatti è concepito in funzione di
una pictura verbis dei riferimenti naturalistici presenti nei testi letterari, come le ampie escursioni
scalari a rappresentare il moto ondoso. Questo aspetto accomuna i quattro madrigali su testi di
Sannazaro ove i melismi permettono al sistema di comunicazione musicale di amplificare tramite
mezzi propri quanto è detto nei versi, aggiungendovi ulteriori risorse:310 ecco quindi che i passaggi
melismatici enfatizzano maggiormente le atmosfere bucolico-pastorali.

Es 18. ORAZIO COLOMBANO, Fillida mia, più che ligustri bianca, bb. 51-55

Ibidem.
309
310
PAOLO FABBRI, Accoppiamenti giudiziosi di Musica e Poesia: il caso del madrigale, ‹‹Il Saggiatore Musicale››, I
(2005) pp. 29-33: 32.
93
Il madrigale Fillida mia, più che ligustri bianca è interessante anche per un altro aspetto ovvero il
trattamento della dissonanza. Se nei madrigali analizzati finora le più comuni occorrenze di questo
fenomeno riguardavano le note di passaggio sulla divisione debole del tactus; al contrario in questo
madrigale la dissonanza assume un ruolo strutturale (Es. 19)

Es.19. ORAZIO COLOMBANO, Fillida mia, più che ligustri bianca, bb. 45-48

La prima dissonanza (Mi, b. 46, Tenore) è una dissonanza di passaggio, considerata gerarchicamente
secondaria; nelle misure seguenti compaiono due sonorità alquanto dissonanti (b. 47, La-Do#-Sol-
La; b. 48 La-Re-Mi-La) che hanno una valenza sul piano strutturale della composizione. L’andamento
sincopato con cui si muovono le voci di Tenore e Alto ha una duplice funzione: la preparazione della
dissonanza nell’ottica del ritardo 4-3, quindi una funzione strutturale; nel contempo si può evidenziare
la valenza espressiva della dissonanza come un modo attraverso il quale caratterizzare le parole.
In questo passaggio si evidenzia il coesistere di due realtà: la naturale dimensione contrappuntistica
marcata dal tetracordo diatonico discendente (bb. 45-47) che rievoca l’aura di lamento dell’emistichio
del settimo verso ‹‹le gravose some››; e un’organizzazione dello spazio sonoro che denota
un’attenzione dell’autore alla verticalità. In tal modo si sviluppa una reciproca interazione tra
dimensione orizzontale e dimensione verticale in un gioco variamente articolato fra diacronia e
sincronia, ne deriva un’idea di accordalità nella scrittura contrappuntistica poliritmica e un’idea di
melodicità nella scrittura accordale omoritmica.311
Se nel madrigale Fillida mia la sincope assolve un’importante funzione ovvero quella di preparazione
delle dissonanze; in altri casi l’andamento sincopato che si produce a cavallo di mensura ha delle
rilevanti conseguenze sul piano ritmico. In tale ottica nell’opera di Colombano, pur non riscontrando

311
Cit. LORIS AZZARONI, Canone infinito: lineamenti di teoria della musica, Bologna, CLUEB, p. 346
94
alcun grado di parentela motivica con l’opera di Pallavicino, è tuttavia presente uno stile di scrittura
che ha alcuni elementi in comune con il compositore cremonese:312 nell’opus di entrambi i musicisti
sono ravvisabili delle sezioni in cui tutte le voci procedono omoritmicamente e seguono un
andamento sincopato. Possiamo osservare questo fenomeno nel madrigale pallaviciniano Io già
cantando (es. 20)

Es. 20. BENEDETTO PALLAVICINO, Io già cantando, I libro, 1581, bb. 8-9 (da CMM 89/1)

Nell’esempio emerge un aspetto alquanto interessante: tramite l’andamento omoritmico-sincopato


seguito delle voci si va delineando un profilo ritmico che ‹‹follows [the rhythm] of the words rather
than that of the tactus››;313 lo stesso fenomeno si verifica in maniera più complessa anche negli ultimi
madrigali della raccolta di Colombano.

312
L’impiego di determinate strutture formali e di tecniche compositive che accomunano gli stili dei due compositori può
ascriversi al fenomeno dell’intertestualità implicita. Cfr. MARINA TOFFETTI, Intertestualità e paratestualità nel repertorio
della canzone strumentale milanese, ‹‹Philomusica online››, IX 2010, pp. 482–508: 494.
313
PETER FLANDERS, The madrigale of Benedetto Pallavicino, PhD diss., New York University, 1972, p. 90.
95
Es. 21. ORAZIO COLOMBANO, Fresche acque e chiare più tra tutte l’onde, bb. 39-41

Nel madrigale Fresche acque e chiare più tra tutte l’onde314 la sincope, che si verifica a cavallo dei
tactus, non solo dà luogo ad uno spostamento d’accento, ma, anticipando l’accento metrico, che
normalmente cadrebbe all’inizio della misura 41 e che in questo caso interessa l’ultima semiminima
di battuta 40, innesca uno spostamento dell’impulso ritmico. In questo modo alla struttura binaria
della composizione si sovrappone temporaneamente una sezione in ritmo ternario (3+3) seguita dalla
risoluzione che ristabilisce il metro originario (2), risultando in tal modo raggruppamenti ritmici del
tipo 3+3+2.

Schema voci di Canto, Tenore e Basso

3 3 2

Nello stesso tempo lo schema ritmico presente nelle voci di Alto e di Quinto è più complesso: non
sono previste infatti solo due ternarietà, ma ben quattro, di cui le ultime due interessate da un ritmo
giambico e non trocaico, a differenza delle parti di Canto, Tenore e Basso in cui la sequenza prevede
la successione di due ternarietà trocaiche.

Nell’esempio le voci sono state evidenziate tramite l’uso di colori diversi per distinguere le parti che procedono
314

omoritmicamente.
96
Schema voci di Alto e Quinto

3 3 3 3 2

Lo scopo di questi raggruppamenti ritmici, secondo James Haar, è quello non solo di produrre un
flusso ininterrotto di tensione nell’attesa di una risoluzione che è costantemente ritardata, ma anche
di creare una sorta di sospensione dell’impulso ritmico specialmente quando tutte le voci presentano
il fenomeno della sincopazione a cavallo di mensura.315
Un secondo aspetto da considerare è la funzione che questi elementi ritmici assolvono nei confronti
della metrica testuale. A tal fine si possono constatare due atteggiamenti opposti. Nelle voci di Quinto
e di Alto, il verso ‹‹quando le vostre sponde›› mostra una perfetta corrispondenza delle sillabe toniche
con i valori tetici e delle sillabe atone con i valori arsici, garantendo in tal modo una ‹‹declamazione
metricamente corretta e perfettamente intelligibile del testo poetico››;316 nel contempo nelle altre tre
voci lo stesso fenomeno, iniziando sulla seconda sillaba di «quando» e ricoprendo quest’ultima una
posizione tetica, non trova una piena rispondenza sul piano ritmico, dal momento che la parola piana
‹‹quando›› dovrebbe corrispondere ad un piede trocaico.
Vi sono dunque due fattori che agiscono simultaneamente. Il primo è rappresentato dal ritmo
liberamente declamatorio ottenuto tramite l’azione della spinta sincopata che si muove in contrasto
con il tactus;317 il secondo, come abbiamo visto, è dato dalla contrapposizione tra i due piani metrico
e musicale che si verifica nelle voci di soprano, tenore e basso.
Comprendere la motivazione che si cela dietro l’utilizzo di questo determinato procedimento è
un’operazione tutt’altro che semplice. Nella produzione madrigalistica della fine del Cinquecento
‹‹gli episodi composti su motivi sono architettati in maniera attenta a una corretta lettura ed
esposizione del discorso poetico››318 e il compositore, tramite l’utilizzo di determinati elementi
ritmico-melodici, tende generalmente ad evidenziare le sezioni testuali che hanno una particolare
rilevanza dal punto di vista semantico. Al contrario nella composizione di Colombano certamente la

315
Cfr. JAMES HAAR, The ‹‹Madrigale arioso››: a mid-century development in the Cinquecento Madrigal, in ‹‹Studi
Musicali››, XII (1983), pp. 203-219: 217, 218.
316
STEFANO LA VIA, Poesia per musica e musica per poesia, Roma, Carocci, 2006, p. 98.
317
‹‹Syncopatio vulgo dicitur, quoties Semibrevium Notularum quantitas, aequabilitati Tactuum, aliquandiu quasi
obstrepit, et contra venit. De eo dissidio nos ita hic breviter praecepimus: Ut canens, Tactuum aequabilitati, de Notularum
quantitate nihil concedat, sed fortifer in discrepando pergat, donec ipsae Notulae sese cum Tactu reconcilient››. SEBALD
HEYDEN, De arte canendi, Norimberga, Giovanni Petreio, 1540, II vol., p. 109.
318
CLAUDIO GALLICO, L’età dell'Umanesimo e del Rinascimento, Torino, E.D.T., 1991, p. 43.
97
sincope non è utilizzata al fine di mettere in rilievo il v. 5, che infatti non mostra alcuna peculiarità
né semantica né metrica; l’intento non è nemmeno quello di creare una cesura con la sezione seguente
dal momento che nel tessuto contrappuntistico non si riscontra alcun mutamento. È probabile che la
volontà del compositore fosse quella di impreziosire la sua opera, mostrandosi in completo accordo
con il clima di rinnovamento che nel tardo Cinquecento investì la musica profana, attraverso la
sperimentazione di nuovi modi di lettura ed interpretazione del verso poetico anche sul piano
metrico.319 L’effetto che si produce, soprattutto nel caso in cui tutte le voci osservino un andamento
sincopato in contrasto con il tactus, è quello di una sorta di rubato.
Altre occorrenze di questo fenomeno, anche se meno evidenti, vi sono in altri madrigali, come si può
notare negli esempi seguenti.

Es. 22. ORAZIO COLOMBANO, Con acque, dunque, e terre e valli e monti, bb. 20-22

3 3 2

Es. 23. ORAZIO COLOMBANO, Con acque, dunque, e terre e valli e monti, bb. 26-27

3 3 2

319
Nei primi decenni del XVI secolo la mensura, il ritmo e la rima erano stati largamente intesi come strumenti primari
di organizzazione del testo poetico messo in musica; tuttavia nel corso del XVI secolo questa concezione cominciò a
mutare ed il suono e il ritmo acquisirono un «valore sentimentale» nella poesia. Cfr. DEAN T. MACE, Pietro Bembo and
the Literary Origins of the Italian Madrigal, ‹‹The Musical Quarterly››, 55 (1969), pp. 65–86: 70.
98
Es. 24. ORAZIO COLOMBANO, Ben capitata e tu ben posta valle, bb. 61-62

3 3 2
Il trattamento della sincope nei madrigali di Colombano può essere considerato un’ulteriore sviluppo
di quanto accade nelle composizioni di Pallavicino. Se infatti quest’ultimo si limita ad applicare
questo procedimento alle voci che si muovono omoritmicamente (come abbiamo visto nell’esempio
relativo al madrigale Io già cantando) oppure anche laddove vuol creare un’intensificazione ritmica
al fine di ‹‹potenziare per via musicale i contenuti espressivi››,320 (v. il verbo ‹‹stringerà››, b. 28 dello
stesso madrigale), Colombano dimostra di raggiungere un elevato grado di flessibilità, liberando il
madrigale dalla regolarità ritmica imposta da Verdelot, Festa e dalle opere di Arcadelt prima maniera,
e sfruttando la sincope come strumento tecnico e espressivo.
L’opera del frate può essere dunque interpretata come una perfetta sintesi tra antico e moderno. Se da
un lato essa getta uno sguardo al passato (Colombano nella maggior parte dei madrigali adotta la
struttura ad episodi concatenati in cui si alternano sezioni in stile imitativo ad altre in stile omoritmico-
accordale). Nel contempo assimila gli stilemi che caratterizzano il repertorio della seconda metà del
Cinquecento, dallo stylus luxurians fino ad arrivare alla poliedricità dei moduli ritmico-melodici che
attraverso andamenti sincopati potenziano l’espressività delle liriche intonate.

320
PAOLO FABBRI, Il madrigale: quando la musica si accoppia alla poesia, ‹‹Nuova Secondaria››, XXXI 2014, pp. 54–57:
56.
99
Edizione critica de il
Libro Secondo de Madrigali a cinque voci

3.1 Criteri editoriali

3.1.1 I testi poetici


Dell’edizione del Libro Secondo de Madrigali a cinque voci del 1588 si conservano quattro esemplari,
di cui solo uno è completo di tutte le voci, si tratta del testimone a stampa posseduto dalla Biblioteca
della Musica di Bologna (segnatura: S.19); gli altri tre esemplari sono mutili: il primo, conservato
presso la Biblioteca Estense di Modena (segnatura Mus.F.270) presenta la sola voce di Basso, gli altri
due sono custoditi in due biblioteche estere: l’esemplare della Bibliothèque Nationale de France
(segnatura Mus.Res.Vm7.585) ha la sola parte di Tenore ed infine l’ Archivo de Música de las
Catedrales di Zaragoza (segnatura non pervenuta) ove sono conservate le parti di Alto e Tenore, che
non è stato possibile reperire a causa dein quanto l’istituzione ecclesiastica spagnola non ha dato
seguito alle ripetute richieste. La collazione è stata dunque condotta sugli altri tre esemplari rinvenuti,
scegliendo la stampa bolognese come esemplare di collazione, dal confronto sistematico delle lezioni
non sono emerse divergenze significative sul piano testuale: non sono state infatti rilevate ‹‹grosse
alterazioni, se non le più comuni relativamente a grafia ed elisioni››.321 Tuttavia in sede di edizione il
trattamento del testo ha rappresentato una questione alquanto problematica. A tal proposito un
contributo significativo è quello di Mangani il quale sostiene che, se da un lato ‹‹uno degli scopi
dell’edizione è quello di restituire anche dei testimoni della tradizione letteraria››; nel contempo non
insignificanti sono ‹‹gli ‘equivoci’ che un’edizione conservativa può indurre nel fruitore››.322 Tenendo
conto che i destinatari di un’edizione possono essere di varia tipologia, dallo studioso di musica antica

321
S. CAMPAGNOLO, Boccaccio in musica nel Cinquecento, p. 55.
322
MARCO MANGANI, Sull’edizione del testo ‘musicato’, in Problemi e metodi della filologia musicale, Lucca, LIM, 2000,
pp. 55-59: 56, 57.
102
fino all’esecutore moderno, si è optato per la seguente soluzione ovvero la riproposizione dei testi
secondo due trascrizioni distinte: una trascrizione interpretativa e una trascrizione moderna.
Nella prima i testi sono presentati così come appaiono all’interno dell’esemplare di collazione, e
minimi sono gli interventi di natura editoriale, che sono esposti in carattere corsivo:
- aggiunta dei segni d’interpunzione per mettere in evidenza i nessi sintattici all’interno del
testo;
- aggiunta dei segni di interiezione;
- apposizione di accenti all’interno della parola quando si verificano fenomeni di omografia:
pòi > puoi, vòi > vuoi;
- mantenimento dei casi di aferesi e di elisione;
- differenziazione grafica tra u e v;
- tutte le abbreviature sono state sciolte: & > et, dōque > donque, piāt > piant;
- il carattere della s in corpo allungato è stato reso graficamente con s minuscola;
- mantenimento della maiuscola sia all’inizio del verso che all’inizio dei sostantivi che la
presentano nel testo;

- mantenimento della h etimologica e paraetimologica sia all’inizio di parola (hor, honor, heroi)
che di seguito a consonante (allhor, anchor);

- correzione di errori inerenti la concordanza di aggettivi e sostantivi: queste notte algenti >
queste notti algenti;

- conservazione di grafie latineggianti (Oratio, gratioso, silentio) e di grafie antiche (preggiato,


preggi).

Ad ogni lirica fà seguito lo schema metrico e l’apparato critico che si articola in due fasce: nella prima
sono registrate le lezioni testuali che non sono state accolte a testo, ma che sono presenti negli altri
testimoni musicali; la seconda fascia registra le varianti riscontrate dopo un’accurata analisi della
tradizione testuale.323
La maggior parte dei testi musicati da Colombano è contenuta all’interno di antologie risalenti agli
anni ’80 ’90 del Cinquecento e ai primi decenni del Seicento: le Rime Piacevoli di Cesare Caporali,
del Mauro, et d’altri autori; le Rime del S. Giuliano Goselini, riformate e ristampate la quarta volta
e simili. Lo stesso dicasi per le liriche tratte dalla II egloga dell’Arcadia di Sannazaro, anch’esse sono
attestate in innumerevoli fonti letterarie antiche; tuttavia, data l’esistenza di una valente edizione

323
Per la maggior parte di madrigali, a differenza delle stanze di canzone, che allo stato attuale sono ancora ritenute
adespote, si è riusciti a risalire alle fonti letterarie ufficiali, dotate di attribuzione certa. Cfr. MARCO BIZZARINI, Marenzio:
la carriera di un musicista tra Rinascimento e Controriforma, Coccaglio, 1998, p. 240.
103
moderna, in cui il curatore, nella sezione Note al testo, rende conto sincronicamente del quadro
complessivo della tradizione, illustrando concisamente le fasi redazionali,324 ed appurato che, le
operazioni di recensio e di collatio erano state già affrontate dal Vecce nel suo lavoro, si è reputato
opportuno segnalare in apparato le lezioni divergenti che comparivano nell’edizione moderna
dell’Arcadia e non nelle fonti letterarie antiche. L’edizione di Vecce infatti si prefigge l’obiettivo di
rappresentare in modo ‘scientifico’325 l’opera sannazariana, essa privilegia il punto d’arrivo del
movimento dell’Arcadia, riproducendone il testo secondo la lezione di S1,326 che è quindi considerato
esemplare di riferimento, nel contempo rende noti anche i testimoni consultati in sede di collazione.
Se l’obiettivo della trascrizione interpretativa è quello di rendere il testo secondo ‹‹criteri conservativi
che ne facilitino lo studio nel contesto storico, linguistico e letterario di riferimento››,327 la
‘trascrizione moderna’ è pensata in funzione della fruizione musicale, si cerca quindi di fornire una
versione che sia attendibile dal punto di vista fonetico, facilitando l’esecuzione, ciò ha comportato
diverse operazioni:
- integrazione di vocali ove apparivano segni di aferesi (occhi’l vinse > occhi il vinse) e di
troncamento (ogn’ intorno > ogni intorno; pacat’il > pacato il);

- normalizzazione secondo l’uso moderno del sistema delle maiuscole e mantenimento della
maiuscola nei casi di personificazione;

- differenziazione grafica tra u e v;

- eliminazione dell’ h etimologica e paraetimologica (hor > or, honor > onor, heroi > eroi,
anchor > ancor);

- la consonante t o il gruppo consonantico tt seguito da i semiconsonantica e vocale sono resi


con la grafia z/zz (Oratio > Orazio, silentio > silenzio);

- unione secondo l’uso moderno di alcune parole con resa di preposizione articolate co’l > col,
su’l > sul;

- ammodernamento dei digrammi th, ph e ch che sono resi rispettivamente come t, f e c;

324
‹‹L’Arcadia di Iacopo Sannazaro, nel testo che leggiamo oggi, non è che il punto d’arrivo di un’opera in movimento
che attraversa, nelle differenti fasi redazionali, oltre vent’anni di storia letteraria e linguistica››. Cit. I. SANNAZARO,
Arcadia, introduzione e commento di Carlo Vecce, p. 43.
325
Cfr. PAOLO CHIESA, Elementi di critica testuale, Bologna, Pàtron, 2002, p. 210.
326
Fu pubblicata a Napoli una nuova edizione dell’Arcadia, senza data e indicazioni tipografiche: ARCADIA
DEL/SANNA/ZARO TVTTA FOR/NITA ET TRATTA / EMENDATISSI/MA DAL SVO / ORIGINA/LE ET
NO/VAMEN/TE IN / NA/POLI RESTAMPATIA. Cfr. I. SANNAZARO, Arcadia, introduzione e commento di Carlo Vecce,
p. 45
327
Cit. CARLO GESUALDO, Madrigali a cinque voci. Libro quinto-Libro sesto, edizione critica a cura di Maria Caraci Vela
(Quinto Libro) e Antonio Delfino (Sesto Libro); testi poetici a cura di Nicola Panizza; con uno scritto di Francesco Saggio,
Stamperia del Principe Gesualdo, 2013, p. IX.
104
- scioglimento delle abbreviature: & > et, dōque > donque, piāt > piant;

- integrazione di segni d’interpunzione e interiezione secondo l’uso moderno.

3.1.2 Il testo musicale

La trascrizione in notazione moderna ha posto subito innanzi la questione della disposizione delle
voci in partitura. Se infatti le parti di Canto e Basso mantengono una posizione costante nei madrigali
ovvero prima e quinta voce; viceversa per le parti di Alto e Quinto, ogni composizione fa caso a sé
ed è stata necessaria un’attenta analisi dell’ambitus e della finalis conclusiva. Per quanto concerne il
Tenore, esso è collocato tendenzialmente sopra il Basso, tranne nei casi in cui ha un registro più alto
ed è conseguentemente inquadrato nel gruppo delle voci intermedie (Alto, Tenore e Quinto).

Madrigale Chiavi antiche Disposizione delle voci


Fresche acque e chiare più tra c1-c3-c4-c4-f4 C-A-T-Q-B
tutte l’onde

Ma per più ispiegar gli ampli c1-c3-c4-c4-f4 C-A-T-Q-B


favori

Aventurose voi terre vicine c1-c3-c4-c4-f4 C-A-T-Q-B

Le vostre vie circonvicini monti c1-c3-c4-c4-f4 C-A-T-Q-B

Con acque dunque e terre e valli e c1-c3-c4-c4-f4 C-A-T-Q-B


monti

Le chiavi originali sono state sostituite dalle chiavi di violino e basso rispettivamente per le voci di
Canto e Basso; mentre per le altre parti, sono state impiegate a seconda dei casi sia la chiave di violino
che la chiave di violino ottavizzato, tenendo conto dell’estensione vocale di ciascuna parte.
La trasposizione in notazione moderna implica anche un’altra conseguenza che Raffaello Monterosso
evidenzia in maniera molto chiara nell’edizione dei Madrigali a cinque voci, libro primo di Claudio
Monteverdi:

La differenza più sensibile fra la scrittura musicale del Cinquecento e quella odierna è data
soprattutto dalla battuta, modernamente racchiusa fra stanghette comprendenti una serie

105
isometrica di unità di misura. Quest’ultima è di volta in volta variabile, mentre la battuta
rinascimentale è retta dal tactus, assai più stabile nel suo andamento regolato […].328

Quando l’editore si approccia alla trascrizione del repertorio antico, il suo compito è innanzitutto
quello di individuare quale sia l’unità di tactus più adatta, tale scelta deve essere effettuata sulla base
delle figure che ricorrono con più frequenza all’interno della composizione. Nell’opera di Colombano
vi è una cospicua presenza di minime e semiminime, da ciò derivano due conseguenze: la prima, più
ovvia, relativa alla scelta di un tactus alla minima; la seconda riguarda l’adozione di una trascrizione
a valori pari, dal momento che il dimezzamento dei valori avrebbe comportato delle figurazioni
troppo rapide, ed una ‹‹scansione del testo eccessivamente veloce››,329 causando notevoli difficoltà
nella pronuncia di alcune sillabe. L’adozione di un tactus alla minima implica anche un’altra
conseguenza: tutti i madrigali, ad eccezione dell’ultimo,330 hanno indicazione mensurale C – tempus
imperfectum, prolatio minor –331, che è resa modernamente con il tempo 2/2, ciò significa che per
ogni misura vi sono due unità di tactus e non una come avverrebbe nel caso in cui il tactus fosse stato
un tactus communis (tactus alla semibrevis).
Alcune composizioni sono contraddistinte anche da episodi proporzionali di due tipologie. La prima
è segnalata dall’indicazione numerica 3, che potrebbe generare qualche ambiguità
nell’interpretazione. Essa infatti può essere letta sia come proportio tripla e quindi tre minime
occupano il tempo di una, oppure anche come proportio sesquialtera ove tre minime occupano il
tempo di due.332 Nell’opera di Colombano si verifica la seconda circostanza per una semplice ragione.
Secondo i principi fondamentali della proportio tripla si avrebbe la seguente trascrizione:

Es. 1. ORAZIO COLOMBANO, Fresche acque e chiare più tra tutte l’onde, bb. 64-67

A prima vista si percepisce un ritmo troppo veloce che fa supporre che non possa essere questo il
risultato corretto; la proporzione sesquialtera invece dà origine ad un tempo molto più moderato come

328
RAFFAELLO MONTEROSSO, Claudio Monteverdi. Madrigali a 5 voci, Libro Primo, vol. V, tomo II, Cremona,
Athenaeum Cremonese, 1970 (Instituta et monumenta. Serie I), p. 17.
329
MARIAROSA POLLASTRI, Orazio Vecchi. Madrigali a sei voci - prima parte, ‹‹I Quaderni di Musicaaa››, XIX (2014),
pp. I-XXII, 1-33.
330
Si tratta del madrigale Però canzon mia cara vattene allegra, la voce di quinto ha indicazione mensurale , si tratta
però di un errore che è stato segnalato in apparato critico.
331
‹‹Questa mensura non presenta di fatto nessun problema, dato che qui le note sono tutte binarie e perciò hanno gli
stessi rapporti metrici della notazione moderna››. Cit. WILLI APEL, La notazione della musica polifonica dal X al XVII
secolo, edizione italiana a cura di Paolo Neonato, Firenze, Sansoni Editore, 1984, p. 106.
332
Cfr. RICHARD HUDSON, The Allemande, the Balletto and the Tanz, vol. I (The History), Cambridge, Cambridge
University Press, 1986, p. 80.
106
si può notare nell’esempio seguente, in cui si ripropone lo stesso madrigale interpretato in maniera
diversa:

Es. 2. ORAZIO COLOMBANO, Fresche acque e chiare più tra tutte l’onde, bb. 64-67

Se l’indicazione proporzionale 3 può risultare ambigua in sede di trascrizione, l’altro signum


proportionis che compare in soli due madrigali (Ben capitata e tu ben posta valle e Di dolci notti e
d’amorosi accenti), la sesquialtera diminuita , non genera alcun tipo di dubbio. L’intento di
Colombano è chiaro. È come se si verificasse una sorta di doppia proporzione: in primo luogo tutti i
valori risultano dimezzati, facendo sì che una semibrevis acquisti il valore di una minima; in secondo
luogo l’indicazione 3/2 implica il fenomeno della proporzionalità dando luogo ad una ternarietà di
semibreves che sostituisce una binarietà di minime.333
Per quanto riguarda le alterazioni, l’autore dimostra una notevole scrupolosità ed osserva il seguente
criterio. Nel caso in cui vi siano due note pari grado la cui successione è interrotta da una pausa o da
una figura di differente altezza, l’alterazione è apposta innanzi ad entrambe.
Clori cara et amata, Alto

In questo caso Colombano ripete l’alterazione per esplicitare che anche la seconda nota è diesizzata.
Nel caso in cui le note pari grado compaiano in sequenza senza alcuna interruzione, l’autore appone
l’alterazione solo innanzi alla prima figura. In tale circostanza nella presente edizione si è proceduto
in questo modo: l’alterazione posta da Colombano è stata riprodotta in partitura, mentre per le note
pari grado seguenti è stata collocata in carattere minore sopra il rigo.

La Ninfa allor con voce ebra d’Amore, Quinto

333
La Barezzani evidenzia che l’indicazione ‹‹ , usata con brevi, semibrevi e scarse minime in assenza di contrasti
ritmici, ha – quanto meno in un rapporto strettamente aritmetico – carattere di tripla››. Cit. MARIA TERESA ROSA
BAREZZANI, I segni di mensura nei madrigali di Claudio Monteverdi: alcune considerazioni, in Intorno a Monteverdi,
Lucca, LIM, 1999, pp. 125-158: 145.
107
Per concludere, tutte le alterazioni presenti nell’edizione antica sono state riprodotte in partitura.334
Gli interventi integrativi riguardano sia ‹‹la ripetizione di alterazione su nota pari grado precedente o
seguente una nota alterata nell’originale, qualora l’alterazione sia anche a essa riferibile; correzione
di tritoni armonici e melodici, e note con funzione di subsemitonium modi››,335 tutte le integrazioni
sono state segnalate in corpo minore fuori dal rigo.
Infine le ligaturae e le note annerite dal color sono state rese con parentesi quadre orizzontali (le
prime con parentesi quadre complete, mentre le seconde con parentesi quadre ridotte a metà).

3.1.3 Testimoni musicali ed edizioni letterarie di riferimento

I-Bc Bologna, Museo Internazionale e Biblioteca della Musica


(Completo)

I-MOe Modena, Biblioteca Estense di Modena


(solo B)

F-Pn Paris, Bibliothèque nationale de France, Département de la Musique


(solo T)

CAR13 IACOPO SANNAZARO, Arcadia, inroduzione e commento a cura di Carlo Vecce,


Roma, Carocci, 2013.

BAL86 Rime piacevoli di Cesare Caporali, del Mauro, et d’altri autori, Ferrara, Vittorio
Baldini, 1586

COR88 Rime piacevoli di Cesare Caporali, del Mauro, et d’altri autori, Venezia, Giacomo
Cornetti. 1588

MAM90 Rime piacevoli di Cesare Caporali, del Mauro, et d’altri autori, Ferrara, Benedetto
Mamarello, 1590

334
‹‹Sono rigorosamente mantenute anche quelle alterazioni oggi pleonastiche (per es. quelle relative ai Si e ai Mi da
interpretare come suoni naturali e quindi rese con il bequadro) a fronte di quei veri e propri suoni innalzati che
conservano il simbolo del diesis››. Cit. C. GESUALDO, Madrigali a cinque voci. Libro quinto-Libro sesto, p. XXXVI.
335
MARCO MATERASSI, Il Primo Lauro. Madrigali in onore di Laura Peperara, Treviso, Diastema, 1999, p. XVI, XVII.
108
BONF92 Rime piacevoli di Cesare Caporali, del Mauro, et d’altri autori, Venezia, Giovanni
Battista Bonfadino, 1592

GC09 Ghirlanda dell’aurora, scelta di madrigali de’ più famosi autori di questo secolo,
fatta dal signor Pietro Petracci, Venezia, Bernardo Giunti e Giovanni Battista Ciotti,
1609

DEUC81 Rime del S. Giuliano Goselini, riformate e ristampate la quarta volta, Venezia, eredi
di Pietro Deuchino, 1581

FRAN88 Rime del S. Giuliano Goselini, riformate e ristampate la quinta volta, Venezia,
Francesco Franceschi, 1588

GAR83 Madrigali a sei voci d’Horatio Vecchi nuovamente stampati. Libro Primo, Venezia,
Angelo Gardano, 1583

GAR91 Madrigali a sei voci d’Horatio Vecchi novamente ristampati. Libro Primo, Venezia,
Angelo Gardano, 1591

109
3.2 Apparato critico

Abbreviazioni

C = Canto
Q = Quinto
A = Alto
T = Tenore
B = Basso

L = Longa
Br = Breve
Sb = Semibreve
M = Minima
Sm = Semiminima
Cr = Croma
Sc = Semicroma
p = Pausa
pn = punto di aumentazione
cor = corona
c.o.p. = ligatura cum opposita proprietate

IV La Ninfa allor con voce ebra d’Amore

I-BC C

XXII Però canzon mia cara

I-BC Q

110
3.3 Trascrizione interpretativa dei testi poetici

I
Al tuo preggiato nome , Invitto Alfonso ,
Ai tuoi celesti honori ,
Crescan palme et allori ,
S’ergan statue e colossi ai fatti heroi
Degli avi Estensi e ai divin preggi tuoi 5

(Madrigale: AbbCC)

II
Il giovane pastore ,
Di tre celesti Dive
Che le fiamme d’Amor facean più vive ,
Una che di beltà l’altre vincea
Scelse , e li diede il preggio . 5
Ma io tre Dive hor veggio
A te gloria d’Estensi dar il vanto ,
E por nel capo tuo vaga corona ,
Qual più bella si tesse in Elicona.

(Madrigale: abBCddEFF)

III (Orazio Vecchi)


Prima parte
Amor di propria man congiunti havea
In luogo chiuso doi fedeli amanti :
L’uno era Tirsi e l’altro Galatea .
E perch’ ogn’un di lor’ havea desire
Di provar il morire , 5
Fù il primo Tirsi a dire ,
La sua Ninfa gentil stringendo forte ,
“ Vita mia cara , io son vicino a morte “.

(Madrigale: ABACccDD)

Testimoni musicali

v. 1 congionto I-BC I-MOE F-PN

112
v. 2 [L’uno era Tirsi] e l’altro Galatea I-Bc C,Q; L’uno era Tirsi [e l’altro Galatea] I-Bc A,T,B

Edizioni di riferimento

v. 1 congiunti havea GAR83 GAR91


v. 2 in loco chiuso duo fideli GAR83 GAR91
v. 3 per dar fine a lor pianti GAR83 GAR91; per dar fine a lor pianti (manca) I-Bc I-MOe F-Pn
v. 4 l’uno era Thirsi GAR83 GAR91

IV (Orazio Vecchi)
Seconda parte
La Ninfa all’hor , con voce ebra d’Amore ,
Stringendoselo al petto ,
Piena d’alto diletto
Disse : “ Non far , speranza del mio core ,
Non mi far consumar a poco a poco , 5
Sia’ l colpo eguale poi ch’egual è’ l foco . “
Così con lieto giuoco ,
L’un e l’altro morio con viva speme
Di gioir mille volte anchor insieme.

(Madrigale: AbbACCcDD)

V (Alberto Parma)
Proposta
Clori cara et amata ,
Dimmi per cortesia :
Questa tua bella bocca non è mia?
Ahi , non rispondi ingrata ,
E co’l silentio nieghi 5
D’ascoltar i miei prieghi ?
Piacciati almen se taci ,
Di darmi in vece di risposta baci.

(Madrigale: abBaccdD)

Testimoni musicali

v. 1 cara & amata I-BC I-MOE F-PN

113
Edizioni di riferimento

v. 1 FILLI cara, et amata, BAL86 COR88 BONF92; Filli cara, et amata GC09
v. 2 cortesia; BAL86 GC09
v. 4 non rispond’ BAL86 COR88 BONF92; Ahi, non rispondi ingrata GC92
v. 5 silentio nieghi, BAL86 COR88 BONF92; silentio neghi GC92
v. 6 preghi? COR88 BONF92 GC92
v. 8 D’usar’ in vece di risposta i baci. BAL86 COR88 BONF92 GC92

VI (Alberto Parma)
Risposta
Dunque Damon mio caro ,
Non credi esser Signore
Di questa bocca se tu sei del core ?
Eccola è tua ! Più chiaro
Segno [ben] mio ne vòi , 5
Prendilo pur che pòi ,
Così vedrai se sia
Questa bocca più tua che non è mia.

(Madrigale: abBaccdD)

Testimoni musicali

v. 1 Dunque Damō I-Bc C, A, T


v. 4 e tua I-Bc C,A,Q,T,B
v. 5 Segno bene mio I-Bc (verso ipermetro)
v. 6 pur che poi I-BC I-MOE F-PN

Edizioni di riferimento

v. 1 DUNQUE Aminta mio caro. BAL86 COR88 BONF92; Dunque, Aminta mio caro, GC09
v. 2 Non credi eβer Signore BONF92
v. 3 Di questa bocca, se tu sei del core? BAL86 COR88 BONF92; Di questa bocca, se tù sei del core?
GN09
v. 4 Eccola è tua; BAL86; Eccola è tua, piu chiaro COR88;
Eccola è tua, BONF92; Eccola è tua. più chiaro GN09
v. 5 Segno ben mio; ne vuoi? BAL86 BONF92; Segno ben mio; ne vuoi. COR88;
Segno, ben mio ne vuoi? GC09
v. 6 Prendilo pur, che puoi, BAL86 COR88 BONF92; Prendilo pur, che puoi. GC09
v. 7 Cosò vedrai, BAL86; Così vedrai, COR88 BONF92
v. 8 Questa bocca piu tua, BAL86 COR88; Questa bocca più tua, BONF92 GC09

114
VII (Giuliano Goselini)
Folminava d’Amor questa rubella ,
Udite , udite Amanti !
Giove , mosso a pietà de nostri pianti ,
Ma folgorando in quella ,
I suoi belli occhi’l vinse . 5
E lui fè cieco et arso ,
E’l suo fier colpo scarso ,
Beltà ch’un fuoco accese e l’altro estinse .
Hor se sforza gli Dei ,
Come l’accenderete , o sospir miei? 10

(Madrigale: AbBacddC)

Testimoni musicali

v. 6 cieco & arso I-BC I-MOE F-PN


v. 10 accenderette I-MOE

Edizioni di riferimento

v. 1 FOLMINAVA d’Amor questa rubella, DEUC81 FRAN88


v. 2 Udite, udite amanti; DEUC81 FRAN88
v. 3 Giove, mosso a pietà de i nostri pianti. DEUC81; Giove, mosso à pietà de i nostri pianti. FRAN88
v. 4 Mà folgorando anch’ella, FRAN88
v. 5 I suoi begli occhi, il vinse; DEUC81; Co’ suoi begli occhi, il vinse; FRAN88
v. 6 E lui fè cieco, et arso, DEUC81; E Lui fè cieco, et arso, FRAN88
v. 8 Beltà, ch’un foco accese, e l’altro estinse. DEUC81 FRAN88
v. 9 Or se sforza gli Dei; DEUC81 FRAN88
v. 10 Come l’accenderete ò sospir miei? FRAN88

VIII
I miei veloci dardi ,
Mille piaghe mortal’ in cor altero ,
Più d’una volta fero ;
Et hor saran si tardi
Contra costei che , d’un’amante fido , 5
Non ode’l piant’ e’l grido ?
Ah , non sia vero già che tal incarco
Ricevi la mia gloria !
Tenderò donque l’arco
E scoccando lo stral dirò : “ Vittoria !” 10

(Madrigale: aBbaCcDedE)

115
IX
S’asconde a noi la sera
Il Sol , ch’alluma l’Emispero intorno .
Ma l’alma Ottava sfera
Splende , la notte , a voi vie più che’l giorno,
E , ‘n queste notti algenti , 5
Di lei godete i rai chiari et ardenti.

(Madrigale: aBaBcC)

Testimoni musicali

v. 5: E’ n queste notte algenti I-Bc

X
Con ruggiadose e molli
Luci, pregne di duol di rabbia e d’ira ,
Filli di selve e colli
Honor mesta diceva : “ Ahi , sorte dira ! “ ,
Co’l ferro stretto in mano 5
Al morto Aminta invano.

(Madrigale: aBaBcc)

XI (Iacopo Sannazaro)
Itene a l’ombra degli ameni faggi ,
Pasciute pecorelle homai che’l sole
Su’l mezzo giorno indrizza i caldi rai .
Ivi udirete l’alte mie parole
Lodar gli occhi sereni e trecce bionde , 5
Le mani e le bellezze al mondo sole ,
Mentre il mio canto e’l mormorar de l’onde
S’accorderanno , e voi di passo in passo
Ite pascendo fiori , herbette e fronde.

(Madrigale: ABCBDBDED)

Testimoni musicali

v. 2 peccorelle I-BC I-MOE F-PN


v. 5 treccie I-BC I-MOE F-PN
v. 5 bellezz’ al I-BC I-MOE F-PN
v. 8 paβ’ I-BC (C,A,Q,T) F-PN

116
Edizioni di riferimento

v. 1 all’ombra CAR13
v. 2 omai CAR13
v. 3 raggi CAR13
v. 5 trecce CAR13
v. 6 bellezze CAR13
v. 7 murmurar CAR13
v. 8 S’accorderanno e voi di passo in passo, CAR13
v. 9 herbette CAR

XII (Iacopo Sannazaro)


Fillida mia , più che ligustri bianca ,
Più vermiglia che’l prato a mezzo Aprile ,
Più fugace che Cerva ,
Et a me più proterva
Ch’a Pan non fu colei che vinta e stanca 5
Divenne canna tremula e sottile ;
Per guiderdon delle gravose some ,
Deh sparge al vento le dorate chiome.

(Madrigale: ABccABDD)

Edizioni di riferimento

v. 1 Fillida mia, più che i ligustri bianca, CAR13


v. 2 aprile, CAR13
v. 3 cerva, CAR13
v. 6 sottile; CAR13
v. 7 per guiderdon de le gravose some, CAR13
v. 8 spargi I-BC I-MOE F-PN

XIII (Iacopo Sannazaro)


Tirrena mia , il cui color aguaglia
Le matutine rose e’l puro latte ;
Più veloce che Damma ,
Dolce del mio cor fiamma ,
Più cruda di colei che fe’ in Tessaglia 5
Il primo alloro di sue membra attratte ;
Sol per rimedio del ferito core ,
Volgi a me gli occhi ove s’annida Amore.

(Madrigale: ABccABDD)

117
Edizioni di riferimento

v. 1 Tirrena mia, il cui colore agguaglia CAR13


v. 2 latte; CAR13
v. 3 damma, CAR13
v. 4 fiamma; CAR13
v. 5 che fe’ CAR13
v. 6 attratte; CAR13
v. 8 gli occhi, CAR13

XIV (Iacopo Sannazaro)


Pastor , che sete intorno al cantar nostro ,
S’alcun di voi ricerca foco od esca
Per riscaldar la mandra ,
Vegna a me Salamandra ,
Felice insieme et miserabil mostro ; 5
In cui convien ch’ogn’hor l’incendio cresca
Dal dì ch’io vidi l’amoroso sguardo ,
Ove anchor ripensando aggiaccio et ardo.

(Madrigale: ABccABDD)

Edizioni di riferimento

v. 2 foco o esca CAR13


v. 6 c’ognor CAR13
v. 8 aghiaccio CAR13

XV
Prima stanza
Fresch’acque e chiare più tra tutte l’onde
Sotto propitio e favorevol cielo ,
Che pien di dolce affetto e pien di zelo ,
Dona a voi sole quel ch’ad altre asconde .
Quando le vostre sponde , 5
Da l’alto albergo suo beato seno ,
Cinge d’aer sereno
Però da voi premute e da voi strette
Liete e spumose stann’amorosette.

(Canzone: ABBAaCcDD)

Testimoni musicali

v. 7 sereno: I-BC C, B I-MOE F-PN


118
XVI
Seconda stanza
Ma per più ispiegar gli ampli favori
E rendervi pacat’il freddo inverno ,
Vi dona un Duce che ,di fama eterno .
Fa mai sempre regnar staggion di fiori .
E s’ode dentr’e fuori 5
Dal Borea a l’Austro , e a l’un’ e a l’altro corno
Cantar da ogn’intorno ,
E rissonar nel bel giardin del mondo
Il dolce stato vostr’almo e giocondo.

(Canzone: ABBAaCcDD)

Testimoni musicali

v. 2 inverno: I-BC I-MOE

XVII
Terza stanza
Aventurose voi terre vicine
E felice acque , sott’il saggio Duce ,
Che’l perso secol d’or hor vi riduce ,
E guid’a santo e glorioso fine .
Però fredde pruine , 5
Che’ l verno sparger suol di rea fortuna ,
Fuggon’ad un’ad una ,
E lascian l’acque e terre et aria insieme ,
Del Duce lor lodando il real seme.

(Canzone: ABBAaCcDD)

XVIII
Quarta Stanza
Ben capitata e tu ben posta valle
Più non ti lice bramar cos’alcuna
Poiché sì destra corri hora fortuna
E la sinistra ti volge le spalle
Qual per alpestre valle 5
Cespitando sen corr’e sen dilegua
E’i mesti vanni spiega
Et tu al mormorar delle fresch’onde
Godi nel tuo Signor aure gioconde.
119
(Canzone: ABBAaCcDD)

XIX
Quinta stanza
Le vostre vie , circonvicini monti ,
Non schiveran più mai le volgar genti ,
Ma con dolce aura d’amorosi venti
Verranno a goder voi , vostr’aria, e fonti .
E con pensieri pronti , 5
Scorrendovi dal basso al mezz’intorno ,
Diran : “ Facciam soggiorno !”,
Lodando il ciel et il fatal destino ,
E’l gentil Duce lor Pallavicino.

(Canzone: ABBAaCcDD)

XX
Sesta stanza
Di dolci notti e d’amorosi accenti ,
Rissoneran le vostre chiare valli ,
Co’l mormorar de liquidi cristalli ;
Mossi da presti e velocetti venti
Quando l’allegre genti , 5
Che godono con voi mirabil cura
Entro l’antiche mura ,
Ad Oratio , Signor del bello stato ,
Canteran tutti al dolce modo usato.

(Canzone: ABBAaCcDD)

Testimoni musicali

v. 1 Di dolci notte I-Bc C, A, Q, T, B

XXI
Settima stanza
Con acque , dunque , e terre e valli e monti
di voi Signor Oratio , Oratio canto ,
con questa Musa mia lontana tanto
dai lachi Aonij e d’Elicona ai fonti .
120
Prendete i pensier pronti , 5
illustre padron mio , del vostr’ Oratio ,
che di cantar mai satio
da voi sen vien con la sua grata musa
Carica del suo dir di degna scusa .

(Canzone: ABBAaCcDD)

Testimoni musicali

v. 6 Illustre padron mio [del vostr’Oratio] I-Bc T

XXII
Ottava e ultima stanza
Però canzon mia cara ,
Vattene allegra con gratioso stile
E con sembiante humile !
Mostra la voglia mia ! Mostra’l desio
C’ho di servir il tuo Signor e mio. 5

(Canzone: aBbCC)

121
3.4 Trascrizione moderna dei testi poetici

I
Al tuo preggiato nome, invitto Alfonso,
ai tuoi celesti onori,
crescan palme et allori,
si ergan statue e colossi ai fatti eroi
degli avi Estensi e ai divin preggi tuoi 5

II
Il giovane pastore,
di tre celesti Dive
che le fiamme d’Amor facean più vive,
una che di beltà l’altre vincea
scelse e li diede il preggio. 5
Ma io tre Dive or veggio
a te gloria d’Estensi dar il vanto,
e por nel capo tuo vaga corona,
qual più bella si tesse in Elicona.

III
Prima parte
Amor di propria man congiunti avea
in luogo chiuso doi fedeli amanti:
l’uno era Tirsi e l’altro Galatea.
E perché ognun di lor avea desire
di provar il morire, 5
fu il primo Tirsi a dire,
la sua Ninfa gentil stringendo forte,
“Vita mia cara, io son vicino a morte”.

IV
Seconda parte
La Ninfa allor, con voce ebra d’Amore,
stringendoselo al petto,
piena d’alto diletto
disse: “Non far, speranza del mio core,
non mi far consumar a poco a poco, 5
122
sia il colpo eguale poiché egual è il foco.”
Così con lieto giuoco,
l’un e l’altro morio con viva speme
di gioir mille volte ancor insieme.

V
Proposta
Clori cara et amata,
dimmi per cortesia:
questa tua bella bocca non è mia?
Ahi, non rispondi ingrata,
e col silenzio nieghi 5
d’ascoltar i miei prieghi?
Piacciati almen se taci,
di darmi invece di risposta baci.

VI
Risposta
Dunque Damon mio caro,
non credi esser Signore
di questa bocca se tu sei del core?
Eccola è tua! Più chiaro
segno ben mio ne voi , 5
prendilo pur che poi,
così vedrai se sia
questa bocca più tua che non è mia.

VII
Folminava d’Amor questa rubella,
udite, udite Amanti!
Giove, mosso a pietà de nostri pianti,
ma folgorando in quella,
i suoi belli occhi il vinse. 5
E lui fè cieco et arso,
e il suo fier colpo scarso,
beltà che un fuoco accese e l’altro estinse.
Or se sforza gli Dei,
come l’accenderete, o sospir miei? 10

123
VIII
I miei veloci dardi,
mille piaghe mortali in cor altero,
più d’una volta fero;
et or saran si tardi
contra costei che, d’un’amante fido, 5
non ode il pianto e il grido.
Ah, non sia vero già che tal incarco
ricevi la mia gloria!
Tenderò donque l’arco
e, scoccando lo stral, dirò: “Vittoria!”. 10

IX
S’asconde a noi la sera
il Sol, che alluma l’Emisfero intorno.
Ma l’alma Ottava sfera
splende, la notte, a voi vie più che il giorno,
e, in queste notti algenti, 5
di lei godete i rai chiari et ardenti.

X
Con ruggiadose e molli
luci, pregne di duol di rabbia e d’ira,
Filli di selve e colli
onor mesta diceva: “Ahi, sorte dira!”,
col ferro stretto in mano 5
al morto Aminta invano.

XI
Itene a l’ombra degli ameni faggi,
pasciute pecorelle omai che il sole
sul mezzo giorno indrizza i caldi rai.
Ivi udirete l’alte mie parole
lodar gli occhi sereni e trecce bionde, 5
le mani e le bellezze al mondo sole,
mentre il mio canto e il mormorar de l’onde
s’accorderanno, e voi di passo in passo
ite pascendo fiori, erbette e fronde.

124
XII
Fillida mia, più che ligustri bianca,
più vermiglia che il prato a mezzo Aprile,
più fugace che Cerva,
et a me più proterva
che a Pan non fu colei che vinta e stanca 5
divenne canna tremula e sottile;
per guiderdon delle gravose some,
deh sparge al vento le dorate chiome.

XIII
Tirrena mia, il cui color aguaglia
le matutine rose e il puro latte;
più veloce che Damma,
dolce del mio cor fiamma,
più cruda di colei che fe’ in Tessaglia 5
il primo alloro di sue membra attratte;
sol per rimedio del ferito core,
volgi a me gli occhi ove s’annida Amore.

XIV
Pastor, che sete intorno al cantar nostro,
s’alcun di voi ricerca foco od esca
per riscaldar la mandra,
vegna a me Salamandra,
felice insieme et miserabil mostro; 5
in cui convien che ogni or l’incendio cresca
dal dì che io vidi l’amoroso sguardo,
ove ancor ripensando aggiaccio et ardo.

XV
Prima stanza
Fresche acque e chiare più tra tutte l’onde
sotto propizio e favorevol cielo,
che pien di dolce affetto e pien di zelo,
dona a voi sole quel che ad altre asconde.
Quando le vostre sponde, 5
da l’alto albergo suo beato seno,
cinge d’aer sereno
però da voi premute e da voi strette

125
liete e spumose stanno amorosette.

XVI
Seconda stanza
Ma per più ispiegar gli ampli favori
e rendervi pacato il freddo inverno,
vi dona un Duce che, di fama eterno,
fa mai sempre regnar staggion di fiori.
E s’ ode dentro e fuori 5
dal Borea a l’Austro, e a l’uno e a l’altro corno
cantar da ogni intorno,
e rissonar nel bel giardin del mondo
il dolce stato vostro almo e giocondo.

XVII
Terza stanza
Aventurose voi terre vicine
e felice acque, sotto il saggio Duce,
che il perso secol d’or or vi riduce,
e guida a santo e glorioso fine.
Però fredde pruine, 5
che il verno sparger suol di rea fortuna,
fuggono ad una ad una,
e lascian l’acque e terre et aria insieme,
del Duce lor lodando il real seme.

XVIII
Quarta Stanza
Ben capitata e tu ben posta valle
più non ti lice bramar cosa alcuna.
Poiché sì destra corri ora, fortuna,
e la sinistra ti volge le spalle,
qual per alpestre valle , 5
cespitando, sen corre e sen dilegua
e i mesti vanni spiega,
e tu, al mormorar delle fresche onde,
godi nel tuo Signor aure gioconde.

126
XIX
Quinta stanza
Le vostre vie, circonvicini monti,
non schiveran più mai le volgar genti,
ma con dolce aura d’amorosi venti
verranno a goder voi, vostra aria, e fonti.
E con pensieri pronti, 5
scorrendovi dal basso al mezzo intorno,
diran: “Facciam soggiorno!”,
lodando il ciel et il fatal destino,
e il gentil Duce lor Pallavicino.

XX
Sesta stanza
Di dolci notti e d’amorosi accenti,
rissoneran le vostre chiare valli
co’l mormorar de liquidi cristalli,
mossi da presti e velocetti venti;
quando l’allegre genti , 5
che godono con voi mirabil cura
entro l’antiche mura,
ad Orazio, Signor del bello stato,
canteran tutti al dolce modo usato.

XXI
Settima stanza
Con acque, dunque, e terre e valli e monti
di voi Signor Orazio, Orazio canto,
con questa Musa mia lontana tanto
dai lachi Aonij e d’Elicona ai fonti.
Prendete i pensier pronti, 5
illustre padron mio, del vostro Orazio,
che di cantar mai sazio
da voi sen vien con la sua grata musa
carica del suo dir di degna scusa.

XXII
Ottava e ultima stanza stanza
Però canzon mia cara,
vattene allegra con grazioso stile

127
e con sembiante umile!
Mostra la voglia mia! Mostra il desio
che ho di servir il tuo Signor e mio. 5

128
Al tuo preggiato nome invitto Alfonso

129
130
131
132
Il giovane pastore

133
134
135
136
Amor di propria man congiunti avea

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140
La Ninfa allor con voce ebra d’Amore

141
142
143
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Clori cara et amata

145
146
147
148
Dunque Damon mio caro

149
150
151
152
Folminava d’Amor questa rubella

153
154
155
156
I miei veloci dardi

157
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159
160
161
S’asconde a noi la sera

162
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164
165
Con ruggiadose e molli

166
167
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169
Itene a l’ombra degli ameni faggi

170
171
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Fillida mia più che ligustri bianca

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176
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Tirrena mia il cui color aguaglia

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180
181
Pastor che sete intorno al cantar nostro

182
183
184
185
Fresche acque e chiare più tra tutte l’onde

186
187
188
189
Ma per più ispiegar gli ampli favori

190
191
192
193
Aventurose voi terre vicine

194
195
196
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Ben capitata e tu ben posta valle

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200
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Le vostre vie circonvicini monti

202
203
204
205
Di dolci notti e d’amorosi accenti

206
207
208
209
Con acque dunque e terre e valli e monti

210
211
212
213
214
Però canzon mia cara

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