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ANNALI
VOLUME
73
NAPOLI 2013
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “L’ORIENTALE”
ANNALI
Sezione orientale
AION (or)
ISSN 0393-3180
ANNALI
VOLUME
73
NAPOLI 2013
In copertina: Biblioteca Nazionale di Napoli, ms III.F.16, f. 93v (per gentile concessione
del Ministero per i Beni e le Attività Culturali © Biblioteca Nazionale di Napoli)
INDICE
Articoli
BELLO S.Y. AL-HASSAN, The ‘-ka’-suffixed Verbs of Hausa: a Reconstruction and
Re-analysis 91
GIANCARLO TOLONI, Ahiqar archetipo di Tobia? Sull’intertestualità biblica di una
tradizione assiro-aramaica .. 107
ANTONIA SORIENTE, The Study of Emotions in Literary Indonesian: Love, Sex and
Transgression in the Novel Saman .. 135
MARIA POMPEA RANUCCI, L’analisi delle xuci del guwen negli Élémens de la
Grammaire Chinoise di Jean Pierre Abel-Rémusat 161
Note e Discussioni
SERGIO BALDI, La langue mubi (République du Tchad). A propos d’une grammaire
récente .. 191
OSCAR NALESINI, Onori e nefandezze di un esploratore. Note in margine a una re-
cente biografia di Giuseppe Tucci .. 201
Recensioni
Peter Stein, Die altsüdarabischen Minuskelinschriften auf Holzstäbchen aus der
Bayerischen Staatsbibliothek in München. Band 1: Die Inschriften der mittel-
und spätsabäischen Periode. – 1. Teil: Text. – 2. Teil: Verzeichnisse und Ta-
feln (Gianfrancesco Lusini) …………………………………………………… 277
Jean-François Breton (éd.), Le sanctuaire de ‘Athtar dhû-Riṣâf de ‘as-Sawdâ
(Gianfrancesco Lusini) ……………………………………………………… 279
Heinz Gaube, with contributions by Abdulrahman al Salimi, The Ibadis in the Re-
gion of the Indian Ocean. Section One: East Africa (Gianfrancesco Lusini) … 282
Alessandro Bausi (ed.), Languages and Cultures of Eastern Christianity: Ethiopian
(Gianfrancesco Lusini) ………………………………………………………... 284
Anaïs Wion, Paradis pour une reine. Le monastère de Qoma Fasilädäs, Éthiopie,
XVIIe siècle (Gianfrancesco Lusini) ……………………………………...…… 287
Méropi Anastassiadou, Les Grecs d’Istanbul au XIXe siecle. Histoire sociocultu-
relle de la communauté de Péra (Veronica Prestini) …………………………. 290
Gideon Goldenberg, Ariel Shisha-Halevy (eds.), Egyptian, Semitic and General
Grammar. Studies in Memory of H.J. Polotsky (Riccardo Contini) ………….. 292
Alessandro Mengozzi (ed./tr.), Religious Poetry in Vernacular Syriac from North-
ern Iraq (17th-20th centuries). An Anthology (Riccardo Contini) ……………. 299
Karl Debreczeny, The Black Hat Eccentric: Artistic Visions of the Tenth Karmapa
(Giacomella Orofino) …………………………………………………………. 301
Shingo Einoo (ed.), Genesis and Development of Tantrism (Florinda De Simini) …. 303
Necrologio
Gherardo Gnoli, L’Orientale e l’iranistica italiana (Adriano V. Rossi) ... 309
————
1
Quell’anno Tucci presentò alla casa editrice Carabba un suo lavoro per la collana ‘Cultura
dell’anima’, e gli fu risposto di rivolgersi a Papini in quanto direttore di quella collana (cart.
post. datata Lanciano 22 dic. 1914, Archivio Fondazione Primo Conti onlus (Fiesole), Archi-
vio Papini, Carabba Roberto, XVII C.523).
Onori e nefandezze di un esploratore 203
West un articolo «nel quale tu parlassi di te, della tua storia, della tua esperien-
za di pensatore poeta e scrittore, della tua concezione della vita».2
Il nazionalismo è, di conseguenza, un elemento da tenere sempre in consi-
derazione parlando di Tucci: si considerino a questo riguardo il frequente uso
della parola «Patria» nelle sue lettere e altre espressioni di attaccamento all’Italia
rintracciabili nei suoi scritti. D’altra parte, mentre troviamo in alcuni suoi scritti
divulgativi delle espressioni di gratitudine al governo fascista, talvolta più mar-
cate del necessario,3 spicca la sua assenza durante il Ventennio dalle riviste ita-
liane di letteratura e politica rivolte a una intellettualità militante, come L’Ita-
liano, Il Selvaggio e Critica fascista. La sua non fu un’adesione di mera conve-
nienza ma nemmeno dedizione, e subì importanti mutamenti nel tempo.
La lettera che spedì a Giovanni Gentile pochi giorni dopo l’arresto di Mus-
solini rivela a mio avviso aspetti importanti, ancorché dai contorni incerti, della
sua posizione. Egli scrisse di non essere sorpreso dell’accaduto perché Federzo-
ni lo aveva informato in anticipo di quel che si preparava, intendendo evidente-
mente con ciò l’ordine del giorno di Grandi al Gran consiglio del fascismo. Piut-
tosto, è preoccupato per i grandi sacrifici necessari a «rimediare al caos cui ci ha
condannati[?] il tradimento del Fascio».4 Frase certamente chiara per Gentile ma
non per noi. Tucci intendeva distaccarsi dalla ‘fronda’ di Grandi, criticare
l’azione del re, o all’opposto giudicare negativamente la trasformazione del re-
gime in dittatura personalistica di Mussolini e la sua subordinazione a Hitler?
L’approdo di Tucci nei mesi successivi a formazioni clandestine di ispi-
razione conservatrice mi fa propendere per l’ultima ipotesi. Secondo quanto
egli asserì nelle memorie difensive presentate durante il procedimento di epu-
razione dall’università tra il 1944 e il 1945, era entrato a far parte della Resi-
stenza nell’ottobre del 1943, collaborando nei mesi successivi con personaggi
quali i generali Fidenzio Dall’Ora e Roberto Bencivenga, monarchici e massoni,
implicati dopo la guerra in trame eversive, e l’avvocato e scrittore Eucardio
Momigliano, tra i dirigenti del partito Democrazia del lavoro.5 Una dichiara-
————
2
Lettere a Giovanni Papini del 20 ott. 1949 e 27 feb. 1950 (ibid., Tucci Giuseppe, LXXXIV
C.3094).
3
Da notare che il lavoro di Tucci per sua natura dipendeva strettamente dal benestare governa-
tivo. Non a caso la sua scheda di accademico d’Italia pubblicata da Arturo Marpicati è l’unica
in cui si faccia notare, rivolgendosi credo anche all’interessato, «il mecenatismo illuminato del
Duce e del Governo fascista» (Marpicati 1930: 219).
4
Archivio della Fondazione Giovanni Gentile (d’ora in poi AFGG), Giovanni Gentile, Corri-
spondenza, Lettere inviate a Gentile, b. Corrispondenti T, fasc. Tucci Giuseppe. La lettera è
stata indicativamente datata al 28 luglio 1943 dagli archivisti.
5
«Ricorso presentato da G. Tucci contro la decisione della Commissione per l’epurazione del
personale universitario dell’11 novembre 1944, Roma 20 novembre 1944», in Archivio Cen-
trale dello Stato (d’ora in poi ACS), Ministero della Pubblica Istruzione, Professori universita-
ri epurati, b. 33, fasc. Giuseppe Tucci. Dall’Ora, dopo la guerra, aderì al Movimento antico-
munista per la ricostruzione italiana, responsabile di attentati a sedi romane del Partito Comu-
nista e alla redazione dell’Avanti! (Murgia 2004: 134). Bencivenga avrebbe invece appoggiato
204 O. Nalesini
zione firmata dal tenente colonnello Elia Rossi avvalorò inoltre la sua militan-
za come informatore della brigata partigiana ‘Goffredo Mameli’, in conse-
guenza della sua iscrizione alla Carboneria.6
Per quanto riguarda il dopoguerra, il suo allontanamento dai resti del regi-
me sembra essersi rapidamente consumato. Mantenne i rapporti con Gherardo
Casini, il fondatore di La rivoluzione fascista (il periodico chiuso d’autorità a di-
spetto del titolo per il suo atteggiamento critico),7 poi condirettore di Critica fa-
scista e infine direttore generale del Ministero della cultura popolare, che si era
rifiutato di aderire alla Repubblica sociale. L’ex gerarca aveva fondato nel do-
poguerra l’omonima casa editrice, con cui la Fondazione Cini e l’IsMEO avreb-
bero pubblicato tra il 1956 e il 1962 la corposa opera Le civiltà dell’Oriente, di-
retta appunto da Tucci (1956-1962).
Non ho invece evidenze di una partecipazione di Tucci alle iniziative dei
movimenti politici afferenti alla destra tradizionalista e neofascista. Al contra-
rio, si può agevolmente dimostrare come il suo supposto coinvolgimento risul-
ti esclusivamente dai proclami altrui. Questo è il caso del sostegno che avreb-
be fornito al Centro di vita italiana diretto dai deputati missini Ernesto De
Marzio e Giano Accame (Vassallo 2008: 90), di cui non conosco riscontri
concreti, nonché della collaborazione con il settimanale Il nazionale diretto da
Ezio Maria Gray, fascista della prima ora, poi vicepresidente della Camera dei
fasci e delle corporazioni, presidente dell’EIAR nella Repubblica sociale e tra
i fondatori del Movimento sociale italiano (Sircana 2002).8
Sulla prima pagina del primo numero della rivista compare effettivamente
un riquadro in cui si reclamizza la prossima apparizione dell’articolo «La nuo-
————
la nascita del Fronte Italiano anticomunista (Parlato 2007: 151). Trascrizione del documento in
Crisanti (2013: 233-35), il cui lavoro è da consultarsi per la puntuale analisi del processo di
epurazione subito da Tucci (ibid.: 218-68) e i documenti riprodotti (ibid.: 320-33).
6
La brigata, nota anche come ‘Banda Neri’, aveva operato a Roma e vicinanze a partire dall'8
settembre 1943. Nella relazione depositata al Ministero della Difesa, Tucci non compare. Vi si
legge tuttavia che nei giorni immediatamente successivi all’ingresso a Roma delle truppe al-
leate, la brigata allacciò contatti con l’ambasciata britannica grazie a una persona, presentata
da un altro ufficiale partigiano, di cui non si fornisce il nome ma «che conosceva il vice Con-
sole inglese sig. J. Sergent [recte Sergeant]» (Elia Rossi, «Relazione sull’attività svolta dalla
Brigata ‘Goffredo Mameli’», Roma, 15 giu. 1944, p. 12, in Archivio dell’Ufficio storico dello
Stato Maggiore dell’Esercito [d’ora in poi AUSSME], Diari storici della II Guerra mondiale,
b. 302, fasc. 18). Che questa persona fosse Tucci è naturalmente solo un’ipotesi, avvalorata
però dal fatto che, secondo la testimonianza di Mary Stanley, ufficiale britannico, egli aiutò
dei soldati sudafricani fuggiti dalla prigionia facendo pervenire notizie alle loro famiglie (Cri-
santi 2013: 241, 331), e disponeva dunque di contatti clandestini con la diplomazia britannica.
7
«Rivoluzione fascista non è una rivista nel senso comune della parola: è un tentativo (mode-
stissimo) di trarre dal Fascismo una rivoluzione di pensiero e di forme politiche, di considerare
il Fascismo come fenomeno iniziale di un lungo processo storico» (G. Casini a Camillo Pelliz-
zi, 3 lug. 1923 in Breschi, Longo 2003: 59, n. 101).
8
L’annuncio della collaborazione di Tucci è riportato da Baldoni (2000: 299).
Onori e nefandezze di un esploratore 205
va India» di Tucci, che sembrerebbe il seguito ideale del suo «La crisi
dell’India» scritto sei anni prima per il periodico Gerarchia (Tucci 1943). Nel
1942 Gray era divenuto il primo presidente della Società Amici dell’India, che
aveva sede presso l’IsMEO e aveva come segretario Iqbal Shedai, rappresen-
tante in Italia del partito indipendentista indiano ‘Gadar’, e futuro diplomatico
pakistano (De Felice 1988: 229); un contatto che verosimilmente si rivelò im-
portante quando, dopo la guerra, l’IsMEO strinse gli accordi col governo paki-
stano per iniziare gli scavi nello Swat (Olivieri 2006: 24-25). Presso la società
si tenne nel novembre 1942 un ricevimento in onore del reparto ‘Azad Hindo-
stan’, inquadrato nell’esercito italiano e composto da volontari indiani, cui
Tucci partecipò (Fabei 2008: 96).9 Nel 1944 Tucci sostenne di essere stato
contrario alla realizzazione della società e di averne poi boicottato l’attività.10
In seguito asserì di averla addirittura fatta sopprimere perché aveva finalità po-
litiche,11 il che mi lascia perplesso. Le sue affermazioni non sono comunque
verificabili per assenza di documenti.
Verosimilmente, dopo la guerra Gray chiese a Tucci un contributo per la
nascente rivista, volendo sfruttare la sua fama rinnovata dalla spedizione a
Lhasa, e questi non volle rispondergli negativamente, disinteressandosi poi
della faccenda. Tucci infatti non scrisse nulla per questo settimanale, a diffe-
renza di altri intellettuali come Roberto Paribeni, che ancora nel 1956 si fir-
mava «Accademico d’Italia», Francesco Bono, Ugo Ojetti, René Grousset,
Giorgio de Chirico, Julius Evola, Massimo Scaligero e Padre Pio. Nei numeri
seguenti il suo articolo non fu più preannunciato, e nelle annate che ho sfoglia-
to (1949-1953 e 1955-1956) non ho trovato nemmeno una fugace menzione
delle sue ricerche, nonostante la curiosità che devono aver suscitato in quegli
anni le due spedizioni attraverso il Nepal occidentale e l’inizio degli scavi ar-
cheologici dell’IsMEO.12
Comprensibilmente, era (ed è) interesse degli esponenti della destra radi-
cale far proprio un intellettuale di spicco, assurto a posizioni elevate durante il
fascismo; un’intenzione apertamente dichiarata da Claudio Mutti (2005) in
un’intervista rilasciata alla rivista Junges Forum nel 2005. Sorprende piuttosto
————
9
Una foto dell’evento in cui Tucci è visibile al centro degli ospiti, accanto a Shedai, è pubblica-
ta in Bamber, Neeven (2010), e riprodotta a http://www.freeindianlegion.info/pag_sample-
pages3.php (verificato 3 aprile 2014).
10
«Ricorso presentato da G. Tucci contro la decisione della Commissione per l’epurazione del
personale universitario dell’11 novembre 1944, Roma 20 novembre 1944», in ACS, Ministero
della Pubblica Istruzione, Professori universitari epurati, b. 33, fasc. Giuseppe Tucci.
11
«Memoria a sostegno del ricorso presentato il 19 dicembre 1944, Roma 30 aprile 1945» (ibidem).
12
A titolo di confronto si vedano gli articoli apparsi nello steso periodo su L’Unità: «La spedi-
zione del prof. Tucci ha attraversato il Nepal», 11 dicembre 1952, p. 3; «Un messaggio della
spedizione Tucci spintosi sulle montagne del Nepal», 21 novembre 1954, p. 8 (riferisce anche
degli accordi per l’apertura degli scavi archeologici a Ghazni); «Giuseppe Tucci è rientrato
dall'Asia», 25 dicembre 1955, p. 4 (missione in Giappone e nello Swat).
206 O. Nalesini
che da altre parti questa appropriazione di Tucci non abbia sollevato opposi-
zioni, e nemmeno interesse; tanto che lo scorso anno l’unico quotidiano ad
averlo ricordato nella ricorrenza della sua nascita è stato Il secolo d’Italia
(Terranova 2013).13
Il tema andrebbe sviluppato in maniera più ordinata e completa, e non è
questa la sede. Se mi ci sono soffermato così a lungo è perché gli ‘strattona-
menti’ cui è stata sottoposta la memoria di Giuseppe Tucci mostrano la neces-
sità di una migliore conoscenza storica del personaggio e delle sue opere, ne-
cessità manifestata del resto già pochi anni dopo la sua morte da Renzo De Fe-
lice (1988: 204, n. 34).
A questa lacuna intenderebbe rimediare la corposa biografia recentemente
pubblicata da Enrica Garzilli (2012; d’ora in poi EG). È il coronamento di una
ricerca durata diversi anni, nel corso dei quali l’autrice ha fornito brevi antici-
pazioni del suo lavoro tramite le pagine di un blog.14 In quel torno di tempo
deve aver fatto circolare il dattiloscritto tra ‘addetti ai lavori’: Michelgugliel-
mo Torri (2011: 24, n. 23) lo ha apprezzato, definendolo «importante» oltre un
anno prima della pubblicazione.15
Senza preavviso, invece, lo scorso inverno l’opera è comparsa nell’indice
SBN, risultando disponibile solo alla biblioteca statale Braidense di Milano.
Era però assente dai cataloghi delle sue case editrici. La discrepanza era solo
apparente. La biblioteca aveva ricevuto una versione del libro battezzata «pri-
ma edizione: 29 gennaio 2012», ma non destinata alla distribuzione perché il
testo era ancora in corso di revisione. Una prima edizione pressoché virtuale,
dunque, che ha fatto le veci del deposito legale. Tale operazione, se da un lato
ha salvaguardato autrice ed editori da un ipotetico plagio,16 dall’altro ha com-
portato conseguenze di cui è bene essere consci.
A differenza del deposito legale, la consegna alla biblioteca di una edi-
zione fittizia ha comportato la messa in lettura di un testo considerato inaffi-
dabile dalla sua autrice, senza che gli utenti avessero modo di saperlo. Nei me-
si intercorsi tra il deposito della prima edizione e il rilascio della seconda (13
agosto 2012), quella destinata alla vendita, il testo è stato infatti modificato
(prima ed.: vol. I, XLVIII,664 pp. e vol. II, 670-1355 pp.; seconda ed.: vol. I,
LII,685 pp. e vol. II: XIV,726 pp.).
————
13
Curiosa pertanto l’affermazione di Angelo Mellone (2006: 131), per cui Tucci è stato ‘sdoga-
nato’ dalla sinistra.
14
In origine http://giuseppetucci.garzilli.com/, transitato dopo l’uscita del libro su
http://esploratoredelduce.it/. Nel giugno 2013 l’autrice ha utilizzato un secondo blog per pub-
blicizzare il libro (http://garzilli.wordpress.com/).
15
La biografia è data erroneamente in stampa presso la casa editrice Le Lettere di Firenze.
16
Non certo del titolo, che è assai poco originale. Almeno un centinaio di libri su qualcosa o
qualcuno ‘del Duce’ è approdata sugli scaffali delle librerie di tutta Europa negli ultimi anni
(fonte: Worldcat.org).
Onori e nefandezze di un esploratore 207
————
17
Il video è visibile all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=mSY6ZWq2HKM (verifica-
to 18 ott. 2013). Ho chiesto chiarimenti alla redazione de Il fatto quotidiano con una mail in
data 24 novembre 2012; risposta non pervenuta.
18
Una versione ampliata è apparsa col titolo «Una leggenda italiana» su Yoga Journal, giugno
2013, pp. 41-42.
208 O. Nalesini
A dispetto della sua mole (1477 pagine, di cui 297 di apparati e bibliogra-
fia), la biografia contiene poco di nuovo rispetto a quanto già pubblicato sulla
vita di Tucci: alcune fotografie concesse dalla sua nipote assieme a qualche
documento familiare e le interviste ad alcuni personaggi che lo conobbero.
L’inedito carteggio con Andreotti, presentato in un apposito capitolo (vol. II,
pp. 375-418) risulta avere un interesse che definirei medio: aiuta a capire gli
iter seguiti dalle richieste di finanziamento nei difficili anni del dopoguerra,
ma non tocca la sostanza politica, che fu verosimilmente discussa per le vie
brevi o in altri documenti.
Il libro ha l’indubbio pregio di raccogliere in un unico contenitore le notizie
sulla vita e l’opera di Tucci apparse qua e là, su articoli di varia natura, libri, in-
terviste, in un ampio arco temporale. Ma sarebbe stato opportuno prestare mag-
gior cura all’organizzazione dei dati. Il tutto è spesso presentato in maniera con-
fusa e approssimativa, quasi sempre senza un puntuale riferimento alle fonti. Il
volenteroso lettore che si inoltrerà in questa selva dovrà poi vedersela con una
prosa povera, talvolta scialba, presentata per giunta con sciatteria tipografica.
Manca persino quel minimo gioco di corpi dei caratteri e delle interlinee per di-
stinguere le citazioni di notevole lunghezza. Avvisaglia di ciò si trova nella co-
pertina, dove campeggia un ritratto di Tucci con l’espressione di chi ha infilato
le dita in una presa di corrente mentre faceva la doccia.
C’è di peggio. Diversi argomenti sono stati omessi o discussi in modo par-
ziale, nonostante l’esistenza di documenti. Tutti i suoi contatti con altri intellet-
tuali sono ridotti alla componente utilitaristica per la carriera o i finanziamenti.
Dell’influsso culturale da lui esercitato sulle persone che frequentò o degli sti-
moli che ricevette da altri vi è scarsa traccia. La sua vita e la sua personalità ri-
sultano perciò estraniate dalle forze sociali, politiche e culturali della comunità
in cui visse, organizzò le sue ricerche, maturò la proprie passioni, mutò col tem-
po l’indirizzo dei propri pensieri. In sostanza, EG ha eliminato gran parte della
sua umanità per ridurlo ad automa dell’affermazione personale.
Le sue pubblicazioni sono presentate in blocchi cronologici, al termine
dei capitoli. Metodo opinabile, perché ha prodotto mere elencazioni, spesso
condite con commenti banali sulla loro «importanza variabile» o sugli «svaria-
ti argomenti» affrontati, che lasciano il lettore nell’ignoranza dei motivi per
cui quelle opere rappresentano delle tappe importanti della nostra comprensio-
ne dell’India o del Tibet e dello sviluppo delle rispettive discipline. Ad alcune
si attribuiscono poi finalità a loro estranee. EG giunge a sostenere, ad esempio,
che Teoria e pratica del mandala sia un libro divulgativo sulla meditazione
scritto al fine di collegare (sic!) le scienze orientali (quali?) alla psicanalisi di
————
Da notare, infine, l’affermazione che il libro si legge come un romanzo; lo stesso giudizio è
espresso in due recensioni del libro di EG, firmate da altri, apparse sul sito di Amazon, nonché
in quella dell’ex presidente della Fondazione Ugo Spirito (Perfetti 2013). Affermazione curio-
sa, perché sul piano estetico e della tecnica di scrittura le differenze con un romanziere sono
evidenti: che sia linguaggio esoterico?
210 O. Nalesini
Jung (I, 10). Qualunque lettore potrà facilmente rendersi conto che Tucci non ha
tentato di fare quel che è senza senso. Il linguaggio del libro, poi, non ha nulla di
divulgativo; Maurizio Taddei (1984: 701) lo ha definito «bellissimo ed arduo».
Si tratta, per dirla in termini stringati, di una biografia manipolata che
presenta gli stessi difetti manifestati dall’autrice nel suo blog, già discusso
brevemente ma con cognizione da Arturo Gallia (2006: 306). Svelare fino a
che punto sia stata spinta la manipolazione è compito delle note che seguo-
no.22 Le ho sviluppate privilegiando, come è naturale vista la mole del libro,
gli argomenti a me più congeniali. Ho inoltre colto l’occasione per presentare
notizie attinte da documenti che EG non ha utilizzato o ha male interpretato.
Pur con questi limiti, si vedrà come le deficienze metodologiche e l’ignoranza
dei fatti storici che emergono da questa analisi siano tali da gettare l’ombra
dell’inaffidabilità sull’intera biografia.
La motivazione principale ad aver indotto l’autrice all’impresa è persona-
le: Tucci è stato il maestro dei suoi maestri (I, xxii). Nulla da eccepire. Ma
dalla lettura del libro ho ricavato l’impressione che il senso di questa afferma-
zione sia più forte di quel che appare e che nel corso della ricerca il rapporto
tra studiosa e studiato abbia valicato il limite, impalpabile eppur necessario,
oltre il quale l’oggetto dell’interesse si carica di valenze che offuscano la vi-
sione e ostacolano il giudizio sereno e distaccato. Con eccessiva frequenza
l’autrice sottolinea i suoi punti di contatto con Tucci: lui è stato il miglior rap-
presentante della scuola cui lei appartiene (I, xxii); lei, come lui, è stata ospite
di persone importanti in Nepal e in India (II, 137) nonché allieva di un impor-
tante professore e preside di college universitario a Delhi (II, 102), amica della
figlia di un ministro dell’India (II, 454); lei ha vinto la stessa borsa di studio di
Daffinà, allievo di Tucci, ecc. E tutto ciò mentre nulla o quasi dice dei suoi
principali allievi come Raniero e Gherardo Gnoli, Luciano Petech, Paolo Daf-
finà, René de Nebesky-Wojkowitz, David Snellgrove, Turrell V. Wylie, Erik
Haarh, per ricordarne solo alcuni. Non è un buon segno leggere del suo dispia-
cersi di dover permettere ad altri la consultazione dei documenti su Tucci con-
servati nell’Archivio storico diplomatico del Ministero per gli Affari Esteri (I,
xxvi), quasi che il personaggio fosse sua proprietà privata.
Una mancanza di serenità, dunque, che permea l’intero lavoro. L’autrice
sostiene di essere stata sinora l’unica ad aver voluto portare alla luce la figura
di Tucci indagando a tutto campo (I, xxi). Per far questo, avrebbe lottato con-
tro oscure combriccole accademiche che non vogliono far emergere verità
scomode o ritengono di possedere un monopolio sull’argomento (II, 470 e
472), e hanno cercato di ostacolarla con omertà, minacce velate (I, 153) e oc-
cultamento di documenti (I, xxvi, xxviii; II, 455). Si dilunga perciò, con un
certo sussiego, sulle difficoltà incontrate nel corso della ricerca per reperire le
————
22
Critiche in parte anticipate il 6 novembre 2012: «L’esploratore maltrattato»
(http://www.amazon.it/review/R3SQXB2PC3GMCH; ultima visita 18 ott. 2013).
Onori e nefandezze di un esploratore 211
informazioni (ad es. I, xxvi, xxxvi-xxxviii). Quelle da lei descritte mi sono pe-
rò sembrate difficoltà ordinarie, non il risultato di un complotto internazionale.
È impensabile trovare pronti dei regesti mirati alle proprie esigenze, o archivi-
sti capaci di indicare in prima battuta la busta giusta. L’autrice sostiene inoltre
che i pochi scritti sulla vita e le opere di Tucci sinora pubblicati abbiano carat-
tere esclusivamente encomiastico, e che pressoché nulla contengano sulla sua
personalità e le sue esplorazioni, una parte importantissima della sua attività
scientifica (I, xxi). In altri termini, ha dovuto scoprire tutto da sola.
La devo contraddire. Il Ricordo di Giuseppe Tucci scritto da Raniero
Gnoli celebra sì con enfasi retorica le doti del suo maestro, ma propone anche
ricordi e riflessioni sull’uomo e il suo intendere la vita, di cui EG ha oltretutto
beneficiato. Lo stesso dicasi dei saggi pubblicati in memoria di Tucci da altri
suoi allievi. Negli ultimi anni sono inoltre apparsi alcuni studi sulla storia delle
sue spedizioni e sui suoi compagni di avventura, prodotti in parte a margine
del riordino del suo archivio fotografico. Parte dei risultati, in forma condensa-
ta, era stata pubblicata anche sul sito internet dell’IsIAO cessato nel febbraio
2013, ma in parte ancora consultabile su Internet Archive.23 Il lettore di questa
biografia ne troverà tuttavia menzionati solo alcuni nella bibliografia generale e
quasi mai li vedrà citati nelle scarse note al testo (65 pagine su 1477). Ciò suc-
cede anche quando vengono riferite informazioni reperibili solo in quei lavori.
Molto di quel che EG racconta di Eugenio Ghersi, compagno di Tucci nel
1933 e nel 1935, è stato ad esempio tratto da un volume citato solo nella bi-
bliografia generale (Ghersi 2008), mentre la vicenda di Capitini riprende so-
stanzialmente quanto esposto in un libro di Sergio Romano (1984: 371-76).
Del viaggio in Sikkim del 1926 non si parla nelle opere citate da EG in nota (I,
172), e lo stesso dicasi del ritratto di Vasudev V. Gokhale, con dedica, donato
a Tucci nel 1926 e pubblicato vent’anni fa (Nalesini 1994: 188). Qui però si va
oltre la mancata menzione della fonte, che avrebbe permesso al lettore di ve-
dere l’immagine. EG afferma che Tucci contraccambiò con un suo ritratto e
che il rapporto tra i due studiosi fu di breve durata (I, 171). Sebbene presentate
con la sicurezza di chi abbia acclarato i fatti, si tratta di mere supposizioni.
L’autrice non indica la fonte sullo scambio di ritratti ed è palesemente in erro-
re sulla durata del rapporto tra i due studiosi. Nel fondo bibliografico donato
da Tucci all’IsMEO si conservano molti estratti di Gokhale pubblicati dagli
anni Trenta almeno sino al 1947, alcuni dei quali con dedica autografa.
Altri elementi utili per valutare la posizione dell’autrice nei confronti del-
lo ‘scrivere storia’ (e biografia) si trovano nella lunga introduzione (26 pagine,
oltre a 7 di ringraziamenti). Sono enunciati laconici, affogati tra pagine e pa-
gine di informazioni di scarso rilievo, impressioni personali, recriminazioni. Il
recensore si trova nella difficile condizione di dover guardare oltre un muro
————
23
http://web.archive.org/web/20120618210304/http://www.giuseppetucci.isiao.it/ (ultima visita
18 ott. 2013).
212 O. Nalesini
che sembra essere stato costruito a bella posta per sviare la sua attenzione verso
elementi non essenziali, costringendolo talvolta a procedere indiziariamente.
Al termine di una succinta lezione di metodo storico, EG afferma che «fa-
re storia è in larga parte una scienza riproducibile e verificabile». Ciò nono-
stante, non esita a esprimere invidia nei confronti di Tucci, il cui lavoro le «ri-
sulta più semplice [del suo (sic)] perché non è inquinato dalla storiografia occi-
dentale precedente», avendo avuto a disposizione «fonti originarie» (II, 13).
Come dovrebbe essere noto, le fonti originarie non svaniscono nel nulla
dopo la lettura e la storiografia non le inquina; le critica e le interpreta senza in-
ficiare la possibilità degli altri di criticarle e interpretarle diversamente. Nessuno
sostiene che la storiografia occidentale possieda le chiavi della verità assoluta,
così come nessuna persona con un briciolo di cultura si sognerebbe di discrimi-
narla solo perché occidentale. Quanto al paragone fatto dall’autrice tra la com-
plessità del lavoro di Tucci e il suo, lascio il giudizio all’avvedutezza del lettore.
Non è l’unico punto critico di questa frase. L’attività storiografica non pro-
cede per verità calate dall’alto, ma per discussioni e confronti, resi necessari dal
fatto che gli eventi storici e i percorsi storiografici sono ricostruibili ma non ri-
producibili. Fino a quando non riceveranno i poteri attribuiti da Malory ad Artù,
rex quondam rexque futurus, gli storici non potranno far rivivere le idi di marzo
per scoprire chi, fra Plutarco e Svetonio, avesse ragione sull’ultima frase proffe-
rita da Giulio Cesare. Dobbiamo arrenderci all’evidenza.
Un’altra frase illuminante sull’impostazione teorica di EG si trova a p.
xxii del vol. I, dove l’autrice esprime il suo intento di indagare l’uomo Tucci
senza «discriminanti ideologiche o metodologiche». Ma cosa ella intenda per
«discriminanti metodologiche» non è affatto chiaro. La critica delle fonti, il
metodo storico, come qualunque altra attività umana è soggetta a continue
modifiche e sviluppi. L’autrice non avanza però alcuna critica particolare nei
confronti di questo o quell’aspetto, né riserve sul metodo storico tout court.
Un possibile sentiero da percorrere per comprendere tale affermazione è
metterla in relazione con una seconda, scritta appena qualche rigo sotto, nella
quale l’autrice sostiene di aver sviluppato una tesi inedita sulla visione politica
di Mussolini verso l’Asia e di aver per questo «raccolto, scelto, presentato, in-
terpretato e fatto risuonare in me, alla luce della mia scienza e coscienza, i fatti
e le fonti che mi hanno portato a essa» (enfasi mia). È un’espressione inusuale
nelle opere storiche, biografie incluse. Appartiene piuttosto al linguaggio di poe-
ti e predicatori, per i quali le sensazioni intime costituiscono il cuore pulsante at-
torno al quale dare forma comunicativa ai propri pensieri. Lo scrivere storia è at-
tività assai meno libera del versificare poetico, avendo come limite invalicabile
una conoscenza basata sull’analisi delle fonti secondo criteri espliciti e procedu-
re il più possibile trasparenti, ovvero criticabili dagli altri. Elevare la propria co-
scienza ad arbitro della credibilità delle fonti comporta esattamente l’opposto,
perché, come qualunque procedimento auto-referenziante, rende inaccessibili
agli altri le ragioni delle scelte.
Onori e nefandezze di un esploratore 213
È vero che, nelle sue relazioni di viaggio, Tucci spesso registrò senza par-
ticolari commenti la triste sorte di alcuni dei suoi portatori o di altre persone di
condizione indigente che ebbe la ventura di incontrare. Ma attribuirgli comple-
ta indifferenza è tirar l’evidenza per i capelli.
Onori e nefandezze di un esploratore 215
e, in prospettiva, di tutti gli esseri viventi, sulla base dell’esperienza del dolore
provocato dalla vita e la consapevolezza di una necessità dell’amore. Idee che
cozzano senza alcuna speranza di pace con la concezione evoliana della voluta
incomunicabilità tra dominatori e dominati e il netto rifiuto del «pathos frater-
nalistico», il disprezzo della «volontà dell’amare e del sentirsi amati, del sen-
tirsi uguali ed insieme» (Evola 1931: 109, cit. in Cassata 2003: 49).
Tucci non auspicò il ritorno a un ordine sociale arcaico e, quando espres-
se una certa simpatia per i sistemi dove i rapporti di dipendenza personale so-
no diretti e trasparenti, anziché spersonalizzati ed astratti come negli stati mo-
derni, a differenza di Evola lo fece senza scagliarsi contro l’idea di eguaglian-
za e non vide nella schiavitù di molti la fonte della libertà di pochi (Tucci
1952: 87 e 122; cfr. Cassata 2003: 39-40). Emerge persino una considerazione
di pari dignità di tutti i mestieri, sia pure con una (ovvia) preferenza personale
per quelli intellettuali (Tucci 1952: 88). Men che meno possiamo attribuirgli
simpatia per la ributtante esaltazione dello sterminio di intere popolazioni a
sangue freddo da parte di una aristocrazia guerriera, in ossequio ai principi di
fedeltà, onore e imperium, che Evola scrisse nel 1953, con i forni crematori di
Mathausen ancora caldi (Evola 2001: 146).26
Non ho nemmeno trovato tracce di una ricerca della Tradizione, quella
con la T maiuscola, intesa come nucleo primordiale di sapienza iniziatica di
cui ogni sviluppo deve essere considerato degrado. Per Tucci, che questo con-
cetto non lo ha mai esplicitamente enucleato nei suoi scritti, direi che tradizio-
ne significava piuttosto atto creativo da cui scaturisce qualcosa di nuovo e,
dunque, appartiene sempre al presente. Questa era, del resto, la posizione di
alcuni intellettuali a lui vicini come Bontempelli e Ciliberti, di cui parlerò ol-
tre. Di conseguenza, diversamente da Evola, Tucci non detestò mai la moder-
nità in quanto tale. Più volte criticò apertamente le fantasie su un’India preda
del misticismo, per sottolineare al contrario i fermenti culturali e sociali che
l’attraversavano (Tucci 1928a).27 Anzi, espresse ammirazione per l’India pro-
prio perché non era affatto il paese dell’immutabile passato di cui si favoleg-
giava in Occidente, ma del «mutamento continuo, traverso il quale tutto ciò
ch’era estraneo veniva lentamente assorbito, riplasmato, adattato allo spirito
indiano» (Id. 1937: 419).
Nel dopoguerra, quando accennò all’esistenza di caratteri culturali innati
nelle popolazioni, impiegò una frase che formalmente strizzava l’occhio a
————
26
Per la posizione di Evola sulle SS e la giustificazione della loro violenza vedi Cassata (2003:
342-43).
27
Da notare l’apprezzamento di Antonio Gramsci nel secondo Quaderno dal carcere, §86: «Arti-
colo interessante. Critica tutti i luoghi comuni che di solito si ripetono sull’India e sull’‘anima’
indiana, sul misticismo, ecc. … Molte osservazioni che il Tucci fa a proposito dell’India si po-
trebbero fare per molti altri paesi e altre religioni. Tenere presente» (Gramsci 1996: 427).
218 O. Nalesini
————
28
«le credenze umane – quelle che i padri ci trasmettono con il sangue e che troviamo quasi so-
lidificate nelle opinioni comuni fino a che nuove idee, insinuandovisi, non le sconvolgono»
(Tucci 1952: 18).
Onori e nefandezze di un esploratore 219
trodotti da ‘infatti’ e ‘anche se’ restano per me oscuri; l’autrice non spende una
sola sillaba per spiegarli. Ribadisce la professione di fede buddhista di Tucci a p.
19 per trasformarlo subito dopo in ateo, mentre a p. 22 lo vediamo tornare bud-
dhista. Ma non finisce qui. Oltre lo scopriamo di volta in volta gnostico (I, 180),
buddhista (I, 182), ateo (I, 196), massone (I, 235), buddhista (I, 252 e 299),
«molto ‘materialista’» perché ha pubblicato uno studio sulla filosofia materiali-
sta indiana (sic! I, 276), e spiritualista nella pagina successiva (I, 277), negatore
di dio (quello cristiano o in generale?) fino all’ultimo, o forse quasi (II, 471).
In questo marasma brilla l’affermazione che Tucci era «buddhista nel
senso che credeva … in un’altra realtà al riparo dai dolori e dalle difficoltà; …
Egli fu quindi ateo» (I, 19). È evidentemente un non senso, perché il buddhi-
smo conosce le divinità e crede in una realtà trascendente l’uomo e l’universo;
quindi i buddhisti non sono atei nel senso che noi diamo a questo termine.
La spiegazione è presto detta. EG si è appropriata di una frase di Raniero
Gnoli (1995: 19), per cui Tucci era «Buddhista nel senso che credeva ferma-
mente a una diversa dimensione della realtà, che le nostre parole e pensieri
non possono toccare, ateo (ma nel senso buddhista della parola) e profonda-
mente religioso allo stesso tempo». Ha un significato ben diverso, evidente-
mente, e conferma quel sentimento di generale filantropia slegata dagli indi-
rizzi della varie scuole religiose e filosofiche, che Tucci espose in una lettera
al quotidiano Il tempo dell’8 ottobre 1973. Lì dichiarò di rifarsi ai principi eti-
ci e morali basilari enunciati dal Buddha storico, negando al contempo valore
alle speculazioni teologiche successive: «Io non credo in Dio, non credo
nell’anima non credo in nessuna Chiesa ma in tre principi soltanto: retto pen-
siero, retta parola, retta azione». Come aveva sostenuto anche in precedenti
occasioni, l’ascesa verso piani spirituali superiori e la conoscenza di verità
eterne non avviene attraverso lo studio ma grazie a una visione diretta e inte-
riore (Tucci, Ghersi 1934: 99). EG cita per esteso questa lettera di Tucci (II,
424), ma non sembra averne colto il senso.
La posizione religiosa espressa da Tucci era maturata in un ampio arco
temporale. In La via dello Svat (Tucci 1963: 28-29) indicò nella compassione
per il dolore e la morte provati sin da fanciullo nei confronti di tutti gli esseri
viventi il motore che lo avrebbe indotto a dedicarsi allo studio del pensiero ci-
nese e indiano e a provare particolare simpatia per il buddhismo. È un’affer-
mazione parziale. Sul tema del dolore provocato dall’esistenza avrebbe trovato
alcune risposte anche nel cristianesimo. Quel che gli fece volgere lo sguardo
lontano è a mio avviso qualcosa di più.
Coltivò sin da giovane la convinzione che le singole tradizioni religiose
siano un prodotto umano, oltre il quale percepiva la presenza di qualcosa di es-
senziale che solo pochi pensatori o poeti erano riusciti ad esprimere. Una profes-
sione di umanesimo che presenta dei punti di contatto con le concezioni teosofi-
che e merita di essere qui sottolineata perché contiene il superamento dell’idea
che le differenze tra le religioni possano essere ridotte a un’opposizione tra falsi-
Onori e nefandezze di un esploratore 221
tà e verità. Nell’articolo inaugurale della sua rivista, Alle fonti delle religioni,
Tucci (1921: 5) enunciò sommariamente le linee guida di una ricerca con cui si
prefiggeva di «diffondere una più adeguata conoscenza di quei valori umani as-
soluti, di quelle verità eterne, che Dei od uomini, ispirati o veggenti, hanno rive-
lato in tempi e luoghi diversi a questa travagliata umanità».
Se negli scritti giovanili è ravvisabile una tendenza verso quella che po-
tremmo definire una gnosi, essa appare superata negli anni Trenta. Questo svi-
luppo sembra aver proceduto di pari passo con la sua decisione di dedicarsi prin-
cipalmente al pensiero indiano, con particolare riguardo al buddhismo. Scelta la
cui razionalità è nella rinuncia alla ricerca di mondi trascendenti per concentrarsi
sull’uomo come parte integrante dell’universo. Lo troviamo chiaramente spiegato
in un articolo da molti dimenticato, da cui è opportuno citare un brano:
Proprio col Buddhismo l’uomo sembra che nell’India acquisti coscienza del suo pote-
re e di quelle sue infinite capacità che lo fanno superiore a tutti gli dei. Signore della
terra e dei cieli. … alla salvazione particolare dell’asceta ha sostituito la misericordia
e la simpatia per tutto ciò che ha vita: perché dove c’è vita c’è dolore – e c’è
l’inesorabile angoscia della morte. L’occidente ha scoperto l’uomo attraverso la scien-
za: l’India l’ha scoperto traverso il dolore – l’uomo ha ritrovato colà coscienza di sé
medesimo come essere che soffre e sa di soffrire. Allora soltanto esso cessa di essere
un’astrazione e diventa persona (Tucci 1938: 127).
————
29
L’autrice è in buona compagnia. Nell’interrogazione a risposta scritta n. 4-14744 sulla sorte
dell’IsIAO presentata dall’on. A. Porfidia nella seduta della Camera dei deputati del 2 febbraio
2012 n. 581 si legge: «… prestigioso istituto … al quale fa capo anche il Museo Nazionale
d’Arte Orientale di Roma»! Il sottosegretario di stato per gli affari esteri on. M. Dassú non ri-
leva l’errore nella sua risposta. Scrive di quel che non sa anche Eric Salerno (2013).
30
Al museo ‘Pigorini’ l’IsMEO destinò del resto alcuni oggetti giapponesi, cinesi, birmani e
thailandesi ricevuti in dono nel 1938 dal col. Guido Calvi, quando le attività dell’Istituto furo-
no sospese nel 1944 e il suo Museo d’Arte Orientale fu dismesso (da annotazioni a penna e
matita sull’inventario del museo: Archivio Storico del Museo Nazionale d’Arte Orientale
[ASMNAO], Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente).
Onori e nefandezze di un esploratore 223
Pigorini, come altri studiosi del suo tempo, nutriva un vivo interesse per la
comparazione dei resti preistorici con la cultura dei primitivi extra-europei e
degli strati rurali delle genti europee, nella convinzione che queste popolazioni
moderne avessero conservato quasi inalterati elementi degli stadi primordiali
dell’umanità (ad es. Pigorini 1870). Come Pigorini, anche Tucci è stato un
convinto assertore dell’unità psichica del genere umano e si è interessato di
comparazione, prestando maggiore attenzione alla sfera religiosa. Scrisse pro-
prio in quegli anni che
Vi è addirittura un mondo di superstizioni e credenze le quali si ritrovano sostanzial-
mente uguali in tempi diversi e fra popoli differenti, senza che però possa dedursi dal-
la loro somiglianza un rapporto di dipendenza o derivazione dell’una dall’altra. … tut-
te le varie superstizioni e credenze non sono che il risultato di impressioni dirette,
immediate, spontanee che l’uomo prova di fronte a determinati fatti o fenomeni da cui
egli trae sempre, le stesse relazioni, o gli stessi rapporti causali e perciò possono sor-
gere indipendentemente in tempi e luoghi diversi (Tucci 1914a: 689).
————
32
Lettera nell’archivio personale di Ardito Desio, per cui ringrazio Mariella Desio.
33
G. Tucci a G. Dainelli, S. Polo dei Cavalieri 16 ago. 1955, pp. 2-3 (Archivio della Società
Geografica italiana [d’ora in poi ASGI], Giotto Dainelli, b. 99, fasc. 2787, Corrispondenza
Dainelli Tucci G.).
226 O. Nalesini
————
34
Archivio della Fondazione Istituto Gramsci (d’ora in poi AFIG), Sibilla Aleramo, Corrispon-
denza, Corrispondenza ordinata cronologicamente, Sezione cronologica 1910-1919, fasc. 1916
giugno, lettera 169.
Onori e nefandezze di un esploratore 227
Nel corso della corrispondenza Tucci inviò alla scrittrice una copia del suo
saggio «I mistici dell’Oriente» (Tucci 1914c) e fece mostra di seguire la sua atti-
vità. Infine le confidò di attendere con impazienza che «finito il triste periodo che
ora attraversiamo ci sia dato riprendere la nostra lotta proficua di idee, e coopera-
re con le nostre migliori energie alla redenzione o al risveglio delle genti».35
Quali fossero i comuni ideali non è specificato, ma credo di non essere
lontano dal vero nel legarli alla ricerca spirituale a cui ho sopra brevemente
accennato, e che in quel periodo portò forse entrambi ad avvicinarsi alla teoso-
fia. Questo umanesimo troverà negli anni Trenta una sponda anche nell’opera
dello scrittore Massimo Bontempelli, di cui Tucci diverrà amico. Il cuore della
ricerca di Bontempelli, che certamente forniva un terreno comune alle loro ri-
flessioni, tendeva alla scoperta di un punto unico di osservazione
donde si veda il muoversi della speculazione filosofica, della espressione artistica,
dell’azione politica, della curiosità scientifica, del linguaggio del costume, della vita
d’ogni giorno – come un solo fatto armonioso. Scovarne il ritmo centrale. | (Investire
tutta la vita. Vedere un’opera d’arte come un fatto storico, studiare un fatto storico
come fosse una costruzione d’arte) (Bontempelli 1933: 1).
————
35
Tucci ad Aleramo, Macerata 1 ott. 1916, ibid., fasc. 1916 ottobre, cartolina postale 286.
36
Si veda la critica avanzata da Il Doganiere (1933: 191), pseudonimo di Gherardo Casini,
sull’autorevole Critica fascista: «Nel razionalismo non credo che fino a un certo punto».
228 O. Nalesini
aveva ideato la Galleria del Corso e il porto industriale di Milano tra il 1915 e
il 1918, ed era impegnato nella ristrutturazione del sistema di trasporto fluvia-
le in Lombardia (G. Beretta 1949).40 Nel 1924 sarebbe stato tra i fondatori
dell’Unione Nazionale di Giovanni Amendola (Amendola 2006: 518).
Entrambi scrissero a Luigi Luzzatti, commissario esaminatore di quel
concorso, nonché senatore ed ex presidente del Consiglio dei ministri, per ap-
poggiare la candidatura di Tucci. È presumibile che in favore del suo allievo si
sia mosso anche Formichi, da molti anni in contatto con Luzzatti.41 Le racco-
mandazioni trovarono buona accoglienza, visto che Tucci ottenne il posto e
scrisse di proprio pugno a Luzzatti per ringraziarlo dell’interessamento. Gli
promise anche la dedica di un’antologia di testi buddhisti sanscriti a cui stava
lavorando e che non realizzerà.42 Pochi mesi dopo Luzzatti scriverà un articolo
per il primo fascicolo della rivista Alle fonti delle religioni, sorta proprio per
iniziativa di Tucci (Luzzatti 1921). In seguito appoggerà la pubblicazione del-
la sua Storia della filosofia cinese antica presso la casa editrice Zanichelli (EG
sembra invece indicare Gentile come sostenitore di questa pubblicazione: I,
346).43 L’opera colmava un vuoto non limitato alle pubblicazioni in lingua ita-
liana se, poco tempo dopo la pubblicazione, l’ambasciatore cinese in Messico
la consigliò al filosofo Antonio Caso (1975 [1936]). Luzzatti presentò inoltre
all’Accademia dei Lincei la collana ‘Apologie’ dell’editore Formiggini, di cui
Tucci e Formichi furono importanti contributori. La collana riscosse notevole
successo e fu subito tradotta in francese e spagnolo (Formiggini 1939; 1977:
92).44 Tucci sarà sino al 1925 segretario della Unione Intellettuale Italiana di
cui Luzzatti era presidente.45
L’assunzione alla biblioteca fornì a Tucci l’opportunità di allacciare nuo-
ve conoscenze, ad esempio con il direttore della biblioteca, lo slavista Enrico
Damiani. Nel 1921 questi lo presentò alla casa editrice Il Solco di Città di Ca-
stello, diretta dal socialista Giulio Pierangeli e dal sacerdote modernista Enrico
Giovagnoli. L’intento era di trovare un editore per delle traduzioni di testi ci-
————
40
Sulla Galleria vedi Grandi, Pracchi (1980: 148, n. 39). Fra le sue pubblicazioni ricordo M. Be-
retta (1914, 1920, 1923).
41
Le lettere dei due deputati sono in Archivio dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti
(d’ora in poi AIVSLA), Luigi Luzzatti, Corrispondenza, Fascicoli per corrispondenti, fasc.
Tucci Giuseppe, s.fasc. Corrispondenza su Giuseppe Tucci. Il fasc. «Formichi Carlo» contiene
lettere dal 1912 al 1927.
42
Tucci a Luzzatti, post nov. 1920 (ibid., fasc. Tucci Giuseppe). Le lettere dei due deputati sono
nel sottofascicolo Corrispondenza su Giuseppe Tucci.
43
http://www.catalogo.zanichelli.it/Pages/Opera?siteLang=IT&id_opera=0000000015753 (ulti-
ma visita 15 ott. 2013).
44
EG definisce Formiggini un «internazionalista ebreo di stampo radical-massone» (I, 10).
45
Tucci comunicò a Luzzatti il 21 giugno 1925 le sue dimissioni dalla carica, già accettate dal
comitato direttivo (AIVSLA, Luigi Luzzatti, Corrispondenza, Fascicoli per corrispondenti,
fasc. Tucci Giuseppe).
230 O. Nalesini
nesi e sanscriti, che Damiani pensò potessero comparire nella collana ‘Biblio-
teca di cultura filosofica’. Il successo arrise credo oltre le aspettative, perché
in breve Tucci si trovò a dirigere per quella casa editrice una nuova collana:
‘Classici d’Oriente’ (Lignani 2006).
Non va meglio quando arriviamo alla storia dei primi viaggi di studio attra-
verso l’India e lo Himalaya. Cimento non semplice, perché Tucci non è mai stato
prodigo di informazioni, e anche quelle poche sono spesso contraddittorie. Persi-
no Mario Carelli (1941: 333) si confuse tra le spedizioni in Tibet e Nepal nello
spiegare come Tucci fosse giunto in possesso del manoscritto che lui ora pubbli-
cava. Ma l’approccio al problema seguito da EG soffre di una impostazione di-
storta. L’analisi dei documenti d’archivio è pressoché inesistente e si ignora
quanto pubblicato di recente sull’argomento. Per ricostruire questa parte impor-
tante della biografia di Tucci l’autrice ha preferito prendere in considerazione
solo le relazioni di viaggio pubblicate e, talvolta, le fotografie del Fondo Tucci.
Come tutte le fonti, però, anche le fotografie devono essere consultate
prima di venir discusse. Potrà sembrare un’osservazione banale, ma tant’è: da
quel che scrive risulta evidente che EG non ha consultato l’archivio fotografi-
co di Tucci, né ha chiesto informazioni a chi lo gestisce. Per il suo studio ha
utilizzato solo le scarne notizie contenute nell’inventario del fondo, parzial-
mente diffuso in un primo momento a stampa (Klimburg-Salter, Nalesini, Ta-
lamo 1994) e dal 2006 al febbraio del 2013 tramite una banca dati completa
consultabile on-line. 46 Quest’ultima versione differiva dalla precedente non
solo perché conteneva la descrizione di un numero maggiore di fotografie e
circa 500 immagini, ma anche per la correzione degli errori materiali compiuti
nella prima stesura. Il che, come ora vedremo, non è privo di conseguenze.
Dall’uso fatto di queste informazioni risulta infatti evidente come EG non ab-
bia tenuto nel debito conto la necessità di verificare la rispondenza delle im-
magini (e degli altri elementi della fotografia, che è una fonte storica comples-
sa) con gli eventi di cui sarebbero testimonianza.
Esempio lampante della noncuranza di questa elementare regola critica è la
discussione dei viaggi compiuti da Tucci e dalla moglie nel corso del 1928, che
per ammissione di EG si basa in buona parte appunto sulle fotografie (I, 191).
Secondo la sua ricostruzione, quell’anno Tucci si sarebbe recato innanzitutto nel
Kashmir (evento noto e documentato), e da lì avrebbe proseguito per il Nepal;
viaggio invece sinora ignoto di cui «è testimone una sua foto trovata a Patan con
la scritta ‘Kathmandu 1928’» (I, 192). Peccato che EG non fornisca una descri-
zione dell’immagine, non ci dica dove è conservata né chi possa averla scattata,
non la riproduca e non spenda una sola parola per spiegare le ragioni per cui es-
sa dimostrerebbe che Tucci si trovasse in Nepal nel 1928. Anche ammettendo
che ritragga Tucci in un punto riconoscibile della capitale nepalese, non possia-
————
46
http://www.giuseppetucci.isiao.it/index.cfm?ID=archivio.
Onori e nefandezze di un esploratore 231
mo non domandarci chi abbia scritto la didascalia e quali competenze avesse per
datarla. Tutte questioni essenziali per valutare l’affidabilità del documento.
Chiarirò questo punto riepilogando la vicenda di una fotografia del Fondo
Tucci che, per una curiosa coincidenza, presenta una notevolissima somiglian-
za con quella di Garzilli. Nell’archivio fotografico del MNAO si conservano
due positivi fotografici che riportano sul retro la didascalia a matita «Nepal
1928? Kathmandu» (P.6695 e 6696). La grafia non appartiene né a Tucci né
alla moglie di allora, Giulia Nuvoloni. Appurato che la didascalia non fu ver-
gata dalle due persone che potevano testimoniare per conoscenza diretta la da-
ta di esecuzione dello scatto, e considerato che l’autore della didascalia (forse
Francesca Bonardi) nutriva dubbi abbastanza forti su quanto scriveva da ag-
giungervi un punto interrogativo, la cautela nell’utilizzare l’informazione do-
vrebbe essere ovvia. L’immagine appartiene infatti a una serie, scattata nel
1929 durante la processione annuale di Rato Matsyendranātha e in minima
parte pubblicata (Tucci 1931a: fronte p. 519).
È successo tuttavia che, nel compilare la scheda di uno di questi due posi-
tivi (tav. I), un collaboratore del Museo abbia erroneamente trascritto l’anno
indicato sul retro come data di esecuzione della ripresa, cosicché chi l’avesse
consultata prima della correzione, senza controllare l’originale, sarebbe stato
indotto in errore. Allo stesso modo, per poter accettare per autentica e credibi-
le la didascalia della fotografia rinvenuta a Patan da Garzilli è necessario con-
siderare altri dati che purtroppo non vengono forniti.
Che dietro a questa mancanza si nasconda non una semplice svista ma un
serio problema di metodo lo dimostra l’utilizzo di altre fotografie addotte da
EG per completare l’esposizione di questo presunto viaggio nepalese, e preci-
samente quelle scattate a Namru. Questo villaggio, secondo l’autrice, si trove-
rebbe molto ad ovest di Kathmandu: sul limitare del distretto di Pokhara, lun-
go il sentiero percorso oggi dalle comitive impegnate nei trekking alle falde
del Manaslu. L’analisi delle immagini le ha persino permesso di ricostruire
con invidiabile dettaglio le fattezze del villaggio, il fiume che lo lambisce, il
posto di blocco della polizia e il magnifico panorama che Tucci avrebbe am-
mirato dalle sponde del suo lago (I, 192).
Poi, per una ragione ignota, sempre secondo EG, Tucci avrebbe abbando-
nato in tutta fretta il Nepal per raggiungere Bolpur, in Bengala, dove avrebbe
trascorso alcuni giorni discutendo con i pandit e incontrando Tagore e Bhatta-
charya. Meravigliosa è la capacità dell’autrice di penetrare nelle fotografie si-
no al punto da poter precisare dettagli cronologici insospettabili; oltre agli in-
contri sopra ricordati, ad esempio, l’affacciarsi di Tucci proprio in quei giorni
al tramonto sul Belvedere Tagore e la sua partenza dopo pochi giorni alla volta
di Rawalpindi (I, 193).
È una ricostruzione imbarazzante. Chi conosce quelle immagini sa benis-
simo che i dettagli specificati da Garzilli sono mera immaginazione. Le foto di
Namru sono effettivamente elencate nell’inventario del Fondo Tucci pubblica-
232 O. Nalesini
to nel 1994, e alcune delle loro didascalie, scritte da Giulia Nuvoloni, riporta-
no la data 1928. In questo inventario, però, viene anche specificato che la lo-
calità si trova in «North-east India». Capisco che gli autori dell’inventario
possano aver ispirato poca fiducia a EG, ma almeno un piccolo dubbio che
l’identificazione non sia stata fatta estraendo un nome a sorte da una ruota di
lotteria avrebbe potuto balenarle nella mente. Un laghetto contornato da palme
e donne abbigliate col sāṛī (AFMNAO P.1585 e P.1580), bambini a torso nu-
do dalla pelle olivastra (P.0216 e neg. dep. 7461), una campagna piatta sino
all’orizzonte (P.1571 e P.1578), case rurali con tetti di foglie di palma (P.1575 e
P.1580), un tempietto in pietra dal caratteristico tetto ‘alla bengalese’ (neg. dep.
7294 e P.1581) dimostrano oltre ogni ragionevole dubbio come questa località
distasse molte, ma veramente molte miglia dalle vette himalayane (tav. II).
Non basta. Le didascalie apposte da Giulia Nuvoloni riportano il luogo e tal-
volta l’anno, ma mai il giorno e il mese, e figuriamoci l’ora, cosicché è impossi-
bile determinare sulla loro scorta la cronologia degli spostamenti (tav. III); EG la
ha inventata di sana pianta. Ha inoltre preso un abbaglio sul nome del villaggio:
quello nepalese da lei ricordato non si chiama Namru ma Namrung (Mayhew,
Bindloss 2010: 347). Più importante, il nome scritto sulle fotografie è un altro.
Ho precisato sopra il riferimento all’inventario stampato nel 1994 perché
per un errore di lettura delle didascalie, manoscritte a matita da Nuvoloni sui
retro delle stampe e sbiadite dal tempo, lì è stato riportato appunto Namru. Ma
il nome corretto è un altro: Nannur, nel distretto bengalese di Birbhum, lo
stesso di Bolpur e Shantiniketan. Qui forse nacque e operò nel XV secolo il
poeta Caṇḍīdās, che ebbe un ruolo di primo piano nello sviluppo della lettera-
tura bengalese. Gli si attribuisce un verso a cui Tucci affidò la chiusura di un
articolo: «L’uomo è sopra a tutte le cose e più alto di lui non c’è nulla» (Tucci
1938: 130), e che in seguito citò spesso, come in un discorso tenuto a Tokyo e
altre occasioni (Das Gupta 1984: 43; Chandra 1990: 70). Comprensibile che
abbia voluto visitare il luogo natio del poeta.
L’inventario è stato di conseguenza corretto e la versione aggiornata è
stata pubblicata nel 2006 sul sito internet dedicato a Tucci, dove era possibile
leggere anche una breve nota sulla escursione a Nannur.47 Fonti di informa-
zione che Garzilli ha sfruttato, perché in un altro punto del suo libro ricorda il
viaggio da Bolpur a Nannur del 1928 (I, 171), di cui non avrebbe potuto altri-
menti venire a conoscenza. È vero che lei non poteva sapere della correzione,
ma è anche vero che i numeri di inventario delle fotografie sono rimasti gli
stessi. Un banale confronto lo avrebbe subito evidenziato e sarebbe bastata
una mail per fugare qualunque dubbio.
La realtà è che le fotografie citate da EG non documentano affatto un
viaggio in Nepal nel 1928, e men che meno l’ascesa al Manaslu e un repentino
————
47
«n. 3, 1928: Shantiniketan, Bolpur, Nannur (Bengala)», http://web.archive.org/web/20090601115510
http://www.giuseppetucci.isiao.it/index.cfm?Id=missioni1 (ultima visita 18 ott. 2013).
Onori e nefandezze di un esploratore 233
quaderni del proprio diario che saranno pubblicati postumi nel 1920 sotto il ti-
tolo di Confessioni a Giulia (Vian 1971; Pasquazzi 1989: 88). Se dunque ave-
va saputo accendere tanta passione in un uomo in precedenza noto per le sue
frequenti avventure galanti e la sua buona condizione economica, la posizione
sociale della famiglia non era l’unica attrattiva di Giulia. Lo stesso Tucci am-
metterà, nei documenti del suo tentativo di annullamento del matrimonio nel
1947, di essere stato «attratto per la di lei cultura al di sopra del comune». Ol-
tre a essere l’autrice di alcuni articoli, Giulia Nuvoloni fu consigliere della
fondazione Ernesta Besso di Roma, nonché direttore della sua rivista Altius
(Misiani 1998: 373, n. 94).
La questione non termina qui. Garzilli dedica solo una laconica nota, ol-
tretutto moraleggiante, all’annullamento del matrimonio con Di Benedetto, as-
serendo che fu voluto da lei (I, 162). La notizia proviene probabilmente dai
parenti di Giulia Nuvoloni, che l’autrice ha intervistato; fonte autorevole, ma
che sarebbe stato egualmente opportuno verificare. Per la legislazione civile e
canonica dell’epoca né le lunghe assenze né l’infedeltà del marito sarebbero sta-
te ritenute cause valide di annullamento, e forse nemmeno di scioglimento; e ciò
a maggior ragione in presenza di un figlio. La storia è infatti molto diversa.
Il 12 maggio 1926 il quotidiano La stampa di Torino pubblicò a p. 3 un
articolo su due colonne intitolato «Amore e archeologia». Vi si riporta una
corrispondenza da Roma dove, la notte precedente, la polizia aveva fatto irru-
zione nella casa di Tucci in via Crescenzio trovandovi la moglie in compagnia
di un tenente, nonché sua vecchia fiamma. La polizia si era mossa in seguito
alla denuncia presentata alla Questura di Roma dallo stesso Tucci (in India da
cinque mesi), messo sull’avviso dall’immancabile vicino impiccione. Non vi
fu dunque un annullamento voluto da Rosa, ma uno scioglimento per adulte-
rio; e questo spiega come mai il figlio fu affidato al padre.
Per noi, la rilevanza di questo articolo va oltre la cronaca mondana o giu-
diziaria. In quegli anni l’infedeltà coniugale della moglie sollevava maggior
riprovazione di quanto non susciti oggi. Quello di Rosina, però, non sarà stato
l’unico adulterio d’Italia e la redazione del quotidiano torinese avrebbe certa-
mente trovato di che scrivere senza scomodare il corrispondente dalla capitale.
Tucci, inoltre, doveva ancora iniziare le esplorazioni himalayane che di lì a
qualche anno gli avrebbero dato pubblica notorietà. Se La stampa (e forse altri
giornali, ma non ho verificato) diede tanto risalto alla vicenda, la ragione non
può essere cercata né nella efferatezza del reato, né nella popolarità del perso-
naggio. Sospetto dunque che grazie al quotidiano il clamore dello scandalo fu
alzato per costringere Di Benedetto ad accettare senza troppe storie lo scio-
glimento del matrimonio. Chi possa aver esercitato pressioni sulla redazione
del quotidiano non lo sapremo credo mai. Chi invece ne beneficiò è evidente.
Anche il matrimonio tra Tucci e Nuvoloni è trattato superficialmente. Se-
condo la testimonianza riportata da EG (I, 164), i due si sposarono per procura
nel 1925, quando Tucci era già in India, ma ancora regolarmente unito a Di
236 O. Nalesini
Benedetto. Del che personalmente dubito, perché una famiglia in vista come i
Nuvoloni non avrebbe mai accettato di esporsi permettendo un matrimonio bi-
gamo alla figlia. Comunque, Giulia avrebbe in seguito raggiunto Tucci in In-
dia e, sempre secondo EG, ciò sarebbe confermato dalle fotografie che lei
avrebbe scattato tra il 1926 e il 1930. Un’altra affermazione non rispondente
alla realtà: le prime fotografie attribuibili con ragionevole certezza a Nuvoloni
sono del 1928. Le quattro (letteralmente) fotografie risalenti al 1926 presenti
nell’archivio fotografico del MNAO sono anonime, hanno didascalie scritte da
Tucci, sono state scattate con una macchina e una pellicola differenti da quelle
che Giulia userà un paio di anni dopo e le inquadrature riflettono a mio parere
una mano diversa. È invece certo che il matrimonio fu celebrato a Calcutta il
19 agosto 1927 dal console generale italiano Gino Scarpa e che nel 1942 Giu-
lia si rivolse a un giudice per ottenere il riconoscimento degli alimenti da parte
del marito, da cui era di fatto separata almeno dall’anno precedente.
Sempre secondo la testimonianza raccolta da EG, Tucci ottenne l’annul-
lamento del matrimonio con Nuvoloni dopo la guerra «in un paese dell’Est»
(I, 165), precisato poi come est europeo (II, 43). Ciò desta altre perplessità.
Quale paese dell’Europa orientale poteva esercitare giurisdizione legale sui
matrimoni contratti in Italia? Per di più dopo la divisione dell’Europa in due
blocchi politicamente contrapposti e retti da sistemi giuridici affatto differenti?
Ovviamente nessuno. Le cose stavano in tutt’altra maniera, e i documenti lo
dimostrano. Documenti, aggiungo, di cui EG era a conoscenza.
In un altro punto del libro (II, 244) lei cita un atto presentato nel 1952 al
Ministero della Pubblica Istruzione, in cui Tucci dichiarava di aver dato man-
dato al notaio Vincenzo Colapietro di pagare regolarmente alla moglie una ci-
fra per il mantenimento, dal novembre 1947 fino a quando le condizioni della
separazione non sarebbero state definite da un giudice.48 A questo passo Tucci
fu costretto per ottenere dalla moglie, nelle more del giudizio, l’assenso al ri-
lascio del passaporto per l’estero, senza il quale non avrebbe potuto partire per
la spedizione tibetana prevista per il febbraio successivo. Un passo che EG ri-
porta senza accorgersi della evidente contraddizione con la testimonianza dei
parenti di Giulia Nuvoloni da lei in precedenza sostenuta. Riassumo dunque la
vicenda come emerge dalle carte processuali.
Tucci impugnò il matrimonio con Giulia Nuvoloni presso la magistratura
di San Marino nel marzo del 1947, avvalendosi delle disposizioni in materia
civile dell’Accordo di amicizia e buon vicinato stipulato con l’Italia nel 1939.
Per questo aveva trasferito la sua residenza a Borgo Maggiore, pur continuan-
do a vivere a Roma. Tucci sostenne che il matrimonio non era valido perché lo
aveva contratto in stato di costrizione, determinato dall’inaspettato arrivo di Nu-
voloni nella sua casa in India e dal ricatto del console, che non voleva scandali
————
48
Il documento è nell’Archivio dell’università di Roma ‘Sapienza’, AS 4886, Mandato del 7 no-
vembre 1947, Repertorio 9371. Ringrazio Alice Crisanti per avermene fornito copia.
Onori e nefandezze di un esploratore 237
nella comunità italiana; infine, perché il matrimonio non era stato consumato.
Tucci aggiunse che la convivenza forzata con Nuvoloni gli aveva procurato un
gravissimo stato di prostrazione psichica e fisica. Mesi dopo, Tucci ricorderà di
aver scartato in partenza l’ipotesi di un accomodamento con la moglie,
d’accordo col suo legale, perché ritenevano di avere buone carte in mano.49
L’imbarazzante natura delle accuse rivolte alla moglie dipese anche dalla
necessità di ottenere l’annullamento del matrimonio sulla base della legisla-
zione civile e canonica di allora. Non sappiamo come proseguì il dibattimento
perché le carte conservate nel fascicolo si fermano alle eccezioni procedurali e
le prove addotte dagli avvocati sono sparite. Sappiamo però che per la delica-
tezza del caso e la notorietà delle persone coinvolte il tribunale chiese
l’intervento del Consiglio dei XII, e di sicuro non si arrivò alla sentenza.50
Credo altresì che le accuse non ressero alle controdeduzioni dell’avvocato
sammarinese di Giulia Nuvoloni, Ferruccio Martelli. Una scelta davvero ocu-
lata. Martelli era un personaggio di spicco: già tre volte Capitano del popolo,
direttore ed editore de La voce di San Marino, durante la guerra aveva ospitato
nella sua casa ebrei italiani in fuga e aveva capeggiato la resistenza contro il
governo filo-fascista della piccola repubblica (Caruso 2004: 28; Marzi 2012:
140). Figuriamoci se si lasciava sfuggire la ghiotta occasione di spennare un
intellettuale di punta del passato regime!
La strada percorsa doveva ciò nonostante sembrare promettente, perché
dopo il deposito della ratifica italiana del trattato di pace di Parigi (2 febbraio
1948) un altro avvocato suggerì a Tucci di trasferire la residenza a Trieste do-
po la costituzione del Territorio Libero, dove la legislazione prevedeva il di-
vorzio. Ma a quanto pare non se ne fece nulla. 51 Tucci dovette attendere
l’introduzione in Italia della legge sul divorzio per sposare, nel 1971, France-
sca Bonardi. Da notare che, nelle carte processuali, nessuna delle due parti ac-
cenna a un matrimonio per procura nel 1925.
Il capitolo dedicato alle prime tre spedizioni ad ampio raggio, quelle nel
Tibet occidentale del 1931, 1933 e 1935, dedica molto spazio alla cronaca dei
————
49
Tucci a Luciano Petech, Lhasa 19 giu. 1948 (Archivio Luciano Petech [d’ora in poi ALP]).
50
La pratica è conservata presso l’Archivio di stato della repubblica di San Marino, Tribunale
commissariale, anno 1947, Causa civile n. 36. Non vi è traccia della sentenza nell’incartamento,
né nella serie archivistica Sentenze civili 1947-1972, né sulla rivista Giurisprudenza sammarine-
se. Ringrazio per il cortesissimo (‘titanico’) aiuto gli archivisti della Repubblica.
51
«Colgo quest’occasione per ricordare a mio papà che forse si può prendere contatto per la mia
causa con Solis o altri avvocati ora che la questione di Trieste è risolta e la città deve avere un
suo statuto. Io sono domiciliato a Trieste o così almeno mi disse Solis.» (Tucci a Petech [Cal-
cutta, fine marzo o inizi di aprile 1948], ALP). Tucci è sconosciuto alle anagrafi dei comuni
della ex zona A del TLT: Trieste, Muggia, S. Dorligo della Valle, Sgonico-Zgonik e Duino-
Aurisina (rispettivamente comunicazioni di Susanna Drobnich del 20 feb. 2014, Andrea Nessi
del 25 feb. 2014, Emanuela Sacchi del 27 feb. 2014, Neva Rebula del 5 marzo 2014, Silvana
Bressani del 2 aprile 2014, che ringrazio per la collaborazione).
238 O. Nalesini
————
54
«Se vuoi conoscere un paese non basta lo studio al tavolino: il lavoro deve essere sollecitato
da un contatto diretto» (Tucci 1963: 47).
Onori e nefandezze di un esploratore 241
————
55
Consapevolezza ben illustrata nella prefazione di Tucci, Ghersi (1934: 12-13), e in altre opere.
242 O. Nalesini
2008: 93; 2011: 22). Grazie al mio errore si scopre così che EG ha fatto passa-
re per suo il lavoro svolto da altri e che, a quanto sembra, ha citato articoli non
letti. Non comprendo poi come abbia potuto pensare che per quella spedizione
Tucci abbia acquistato i viveri, arruolato persone e chiesto il visto a Kathmandu
o in Kashmir (II, 17)! Si trovava a Calcutta, dove aveva certamente maggior
scelta di prodotti e magari anche un ufficio governativo per sbrigare le pratiche.
Senza considerare che, se uno vuole recarsi da Calcutta a Gangtok, Kathmandu
e Shrinagar sono decisamente fuori mano. A detta di Tucci (1952: 12), poi, i
luoghi migliori per organizzare la carovana erano altri: Kalimpong e Darjeeling.
C’erano altre cose da dire su queste due spedizioni. Era opportuno ad
esempio aggiungere che nel 1937 Tucci aveva progettato di visitare Shigatse
e, sembra, anche Lhasa,57 ma le autorità tibetane gli rifiutarono il permesso
perché, come gli spiegarono gli ufficiali governativi britannici, la situazione
politica interna del Tibet era tesa. Il IX Paṇchen Lama aveva intavolato delle
trattative serrate per rientrare nella sua sede, a Tashilhünpo, dopo 13 anni di
esilio trascorsi in Cina, ma ponendo condizioni ritenute inaccettabili dal go-
verno di Lhasa. Questo aveva portato a uno stallo nel negoziato e a tensioni tra
le opposte fazioni. Il che costrinse Tucci a limitare la sua visita a Gyantse,
Iwang e altre località lungo la strada commerciale proveniente dall’India.
Il collaboratore fotografo di questa spedizione non era né un militare né
un medico, ma un giovane fiorentino laureando in biologia destinato a ottenere
grande notorietà: Fosco Maraini. Che i rapporti tra i due siano stati tesi è cosa
nota. Sorprende pertanto leggere in questo libro che nel 1937 i loro rapporti
erano ottimi (II, 8). Le critiche espresse anni dopo da Maraini al carattere di
Tucci riguardavano di certo anche quella prima esperienza. Oltre alla nota, e
abusata, lamentela di essere stato costretto a rivolgersi a Tucci col titolo di Ec-
cellenza anche in mezzo alla desolazione dell’altopiano tibetano,58 va ricorda-
to che nel taccuino di appunti del viaggio in Sikkim, intrapreso subito dopo il
rientro dal Tibet, Maraini scrisse di sospettare che la commozione manifestata
da Tucci al momento della sua partenza non fosse sincera.59 Già all’epoca,
dunque, Maraini non si fidava molto di Tucci.
Aneddoti a parte, l’arruolamento di Maraini avrebbe meritato un piccolo
approfondimento. Egli, come è noto, ha sempre sostenuto di aver casualmente
saputo da un ritaglio di giornale della prossima partenza di Tucci e di avergli
scritto proponendosi come aiutante. Con sua grande sorpresa ricevette in breve
————
57
Vi accennano F. Maraini nel Taccuino del 1937 e Giulia Nuvoloni in una lettera a F. Maraini,
Roma 15 dicembre 1939 (entrambi nell’Archivio Contemporaneo del Gabinetto scientifico let-
terario G.B. Viesseux [d’ora in poi ACGV], Fosco Maraini, senza segnatura perché in via di
riordino). Tucci cullava da tempo il sogno di visitare la capitale tibetana. Il primo accenno, in
realtà piuttosto vago, è in una lettera a Dainelli, non datata ma ricevuta il 16 dicembre 1931
(ASGI, Giotto Dainelli, b. 99, fasc. 2787 Corrispondenza Dainelli Tucci G.).
58
Su cui vedi però il commento di C. Guttuso (Guttuso, Nalesini 2008: 7).
59
ACGV, Fosco Maraini.
Onori e nefandezze di un esploratore 245
————
60
Rapporti non scevri da rivalità. Ojetti (1954: 343) era convinto che Tucci avesse votato contro
di lui all’Accademia Reale il 2 giugno del 1930.
246 O. Nalesini
————
61
Lettera d’incarico della Reale Accademia d’Italia, prot. 13888 del 13 aprile 1937, firmata da
Formichi; Orlandi Edmondo a G. Tucci, 12 maggio 1937 (garantisce una copia gratuita del
film per l’Accademia); Orlandi Edmondo a F. Maraini, 12 maggio 1937 (gli riconosce il 10%
dei profitti). Documenti in ACGV, Fosco Maraini.
62
La vicenda è ricostruita in Nalesini (2013: 276-77). Le carte sono in ASAL, Reale Accademia
d’Italia, XI Corrispondenza con gli accademici, b. 7, fasc. 81.
63
Rispettivamente lettere Sorice al sottocapo del Servizio informazioni militari, Roma 9 gen. 1939,
e Tripiccione al Gabinetto del ministro, Roma 17 gen. 1939 (AUSSME, H-3 Servizio Informa-
zioni Militari, b. 26, fasc. Asia, Siria, Siam, Africa, s.fasc. 3 Spedizione Tucci nel Tibet).
Onori e nefandezze di un esploratore 247
stiene che nel 1939 Tucci e la moglie si trovavano a Calcutta per preparare una
spedizione in Ladakh e Tibet occidentale, il che è palesemente sbagliato.
L’autrice non ha compreso chi fosse il fotografo: il capitano degli Alpini
Felice Boffa Ballaran non era un «ufficiale medico…, che avrebbe anche di-
segnato le mappe» nonché «un abile scalatore» (II, 11). Non solo Boffa non
era medico, ma non si era mai iscritto all’università. Aveva conseguito il di-
ploma di maturità nella sezione edilizia della scuola tecnica-industriale di
Campiglia Cervo (Biella). Aveva poi frequentato il Corso allievi ufficiali du-
rante la I Guerra mondiale, divenendo per il suo ardimento e le sue eccezionali
doti alpinistiche aiutante del colonnello Alberto Pariani, plenipotenziario alla
firma dell’armistizio nel 1918. La sua attività di cartografo iniziò durante le
trattative di pace, perché Pariani lo volle nella Commissione internazionale per
la delimitazione dei nuovi confini e gli fece seguire un corso all’Istituto Geo-
grafico Militare. Della spedizione tibetana redasse la carta dell’itinerario a cor-
redo dell’articolo di Tucci (1940) «Nel Tibet centrale: relazione preliminare
della spedizione 1939» e altre carte di maggior dettaglio che devono essere
state allegate alla relazione consegnata al Ministero della Guerra, di cui non
ho trovato traccia negli archivi militari (Nalesini 2013: 291-93). Divenne già
negli anni Venti uno dei più brillanti scalatori italiani.
Non è una semplice svista dell’autrice. Come in altri punti già esaminati,
e altri che vedremo, il problema principale è quella personalissima idea della
critica dei documenti libera da «discriminanti metodologiche» (I, xxii) di cui
comprendiamo sempre meglio i reali contorni: EG ritiene che le sue impres-
sioni siano la realtà; trasforma l’ipotesi in fatto acclarato, da cui partire per ul-
teriori elucubrazioni, e considera superfluo porsi lo scrupolo di una verifica o
di un confronto con ipotesi alternative. Per fortuna, per riprendere le sue paro-
le, «si può manipolare la verità quanto si vuole…ma i reperti e i documenti re-
stano» (II, 14).
In questo caso particolare – questa è la mia opinione – EG ha consultato il
mai citato (ma sovente sfruttato) sito internet dell’IsIAO dedicato a Tucci. Qui
era presente una sezione intitolata «Fotografi e medici delle spedizioni Tucci»,
contenente brevi profili biografici di gran parte dei suoi compagni di avventu-
ra, compreso naturalmente Boffa Ballaran.64 EG deve aver creduto che tutte le
persone elencate in questa sezione fossero sia medici sia fotografi e non ha ri-
tenuto di dover controllare, magari leggendo i lavori che cita in nota. Eppure
la presenza in quella lista di Mele e Maraini, che notoriamente non erano me-
dici, avrebbe dovuto metterla sull’avviso.
Le informazioni raccolte durante la spedizione del 1939 confluirono in
una delle opere principali di Tucci: Tibetan Painted Scrolls, pubblicato a Ro-
ma nel 1949. EG riesce nuovamente a sbagliarsi. A p. 40 del vol. II afferma
————
64
Ancora visibile su: http://web.archive.org/web/20070712143942
http://www.giuseppetucci.isiao.it/fotografi/elenco.cfm (ultima visita 18 ott. 2013).
248 O. Nalesini
che il libro contiene i dati raccolti nelle spedizioni del 1935, 1937 e 1939. Co-
sa impossibile, perché nel 1935 Tucci si trovava nel Tibet occidentale e non in
quello centrale, argomento del libro, mentre i dati raccolti durante la spedizio-
ne del 1937 erano stati utilizzati per il quarto volume di Indo-tibetica (Tucci
1941). Oltre (II, 146) l’autrice si contraddice asserendo che in Tibetan Painted
Scrolls confluirono i dati raccolti durante la spedizione del 1948; erra nuova-
mente, perché questa spedizione attraversò zone del Tibet centrale di cui Tucci
non parla in questo libro! Ben se ne ricordò invece il senatore Andreotti (1982:
34; 1992: 3), che trasse prestigio per l’Italia esibendolo alla Mostra del libro
italiano di Alessandria d’Egitto nel 1951.65 Era, oltretutto, uno dei libri più co-
stosi sul mercato (Conze 1979: 51) e sorprende che il Poligrafico dello Stato
fosse stato capace di realizzare una lussuosa opera in-folio mentre i cittadini
italiani ancora acquistavano viveri con la tessera annonaria.
Nell’anno trascorso tra le due spedizioni nello Tsang, Tucci fu coinvolto
nei lavori della Commissione per lo studio dei problemi della razza istituita
dall’Accademia d’Italia nel 1938 (Capristo 1997). Non era una delle tante
commissioni. Essa sorse mentre il governo pianificava l’introduzione delle
leggi razziali e l’eco di quegli eventi è risuonata nel 2010, quando il Comune
di Roma intitolò a Tucci un largo; uno spazio minuscolo, appartato, preceden-
temente anonimo, tra il recinto del Bioparco e il Museo di zoologia, senza
numeri civici. La polemica politica scoppiò immediata, con tanto di articoli sui
quotidiani e interrogazione parlamentare, 66 perché Tucci figurava nella lista
dei 359 intellettuali che avrebbero sostenuto il cosiddetto ‘Manifesto degli
scienziati razzisti’ del 1938 e di conseguenza non avrebbe avuto diritto a sif-
fatto onore. Il tema è dunque caldo nonostante gli anni trascorsi, ed EG ha fat-
to benissimo ad affrontarlo.
Sbaglia però quando afferma che la famigerata lista di personalità che
avrebbero firmato articoli in appoggio al ‘Manifesto’ e alla proclamazione del-
le leggi razziali fu compilata all’epoca (I, 332). L’elenco è il risultato di un re-
cente lavoro di ricerca. La sua prima versione fu pubblicata su un supplemento
della rivista Avvenimenti e non comprendeva Tucci (Levi 1995). Una seconda
versione, più lunga, è stato redatta dieci anni più tardi, e questa volta Tucci vi
compare (F. Cuomo 2005: 202-7). In entrambi i casi, però, non sono state di-
chiarate le fonti utilizzate per la compilazione.67 Molte persone, ben inteso, lì
ci stanno benissimo perché erano razzisti fin nel midollo e firmarono articoli
————
65
Il titolo del libro è ricordato nel catalogo (Gargano 1951: 527), ma non compare nell’elenco
delle opere esposte in quella sezione della mostra (ibid.: 549-66).
66
Interrogazione a risposta scritta n. 4-07374 firmata dagli on. W. Verini, E. Fiano, R. Morassut,
J.L. Touadi, M. Coscia e presentata nella seduta del 26 maggio 2010 n. 328, a cui risponde il
31 maggio 2011 (sic!) il sottosegretario di stato agli interni on. M. Davico con argomenti di
routine. L’interrogazione è costellata da errori e incongruenze, da cui si evince la totale igno-
ranza della materia da parte dei firmatari.
67
Vedi anche quanto raccolto da Francesco Sferra (2014: 96-97).
Onori e nefandezze di un esploratore 249
questo alla fine egli, dopo essersi consultato con Tucci, decise di licenziare
Maraini (Nalesini 2012a: 134-35).
Perché Tucci non lo scrisse? Per una ragione semplicissima: Mele era il
rampollo di due importanti famiglie di imprenditori, i Mele di Napoli, di cui
Davide, padre del fotografo, fu anche senatore dal 1939, e i Matarazzo di Rio
de Janeiro, questi ultimi creatori di un vero e proprio impero economico in tut-
ta l’America Latina sotto il marchio delle Indústrias Reunidas Francisco
Matarazzo. Mele poteva dunque attingere a cospicue risorse economiche e
vantava influenti conoscenze anche nel cinema e nella moda;73 inoltre, aveva
una sua casa di produzione cinematografica negli Stati Uniti. Sarà infatti a Los
Angeles che Tucci e Mele si recheranno nel dicembre del 1948, subito dopo
essere tornati dal Tibet, per portare avanti la produzione di due documentari.
Uno di questi, Tibet proibito, vincerà ex-aequo il premio come miglior corto-
metraggio alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia del
1949 e sarà proiettato nel 1951 al Museum of Modern Art di New York (Nale-
sini 2012a: 135-36). Insomma, Tucci aveva bisogno di Mele, ma questi aveva
un carattere difficile e suscettibile, come risulta chiaramente dalla sua corri-
spondenza con Maraini, e Tucci preferì non rischiare di urtarlo rivelando un
episodio che il fotografo probabilmente preferiva venisse scordato.
L’importanza di Mele per Tucci in quegli anni può essere desunta da una
lettera scritta da Andreotti a EG e da lei debitamente riportata in questa bio-
grafia. L’autrice, purtroppo, non ha colto lo spunto. Per spiegarle come mai
aveva portato con sé Tucci nel viaggio in America Latina del 1951, il senatore
le ha riferito che la sua presenza era stata richiesta «da cospicue famiglie italo-
brasiliane» (II, 391). Non ha ricordato il loro nome, ma non è difficile imma-
ginare che si trattasse dei fratelli della madre di Mele, divenuta nel frattempo
un dirigente del Partito Nazionale Monarchico: i Matarazzo.
Non so come continuarono i rapporti tra Tucci e il fotografo dopo di allo-
ra, ma credo che i due rimanessero in contatto. È forse significativo che la sera
del 27 settembre 1982 Mele organizzasse nella sua casa una serata in onore del
Dalai Lama, in visita a Roma, e annunciasse di aver dato vita a una fondazio-
ne, con sede legale a New York, che avrebbe aiutato economicamente il go-
verno tibetano in esilio (Anonimo 1982; European 1991: 1479). Tucci morì
due anni dopo e del sostegno della Fondazione Mele al governo tibetano non
————
73
Tra queste la baronessa Luciana Aloisi de Reutern, per la quale Mele consegnò a Maraini una
lettera di presentazione (dal contenuto indisponente nei confronti del fiorentino, per usare un
eufemismo) il giorno della separazione al confine tibetano. Nota per aver sposato il barone
russo Max de Reutern, direttore di Coco Chanel e Jeanne Paquin, nel 1943 la Aloisi aveva aiu-
tato Alessandro Pavolini a contattare l’ambasciata tedesca di Roma, dopo l’arresto di Mussoli-
ni, per organizzare la sua fuga in Germania (Nistri 2000: 85). In seguito aveva lavorato nella
moda e disegnato gioielli per Gucci ed Elisabeth Arden, oltre che in proprio. Mele eseguì per
Elizabeth Arden il reportage fotografico ‘Around the World: Pictures of Our Time’ (1970),
mentre la moglie Dreda è stata la direttrice del negozio parigino di Armani e poi di Givenchy.
256 O. Nalesini
se ne fece nulla.74 Forse una semplice coincidenza, che ci porta però ad accen-
nare a un evento occorso nove anni prima.
Il 30 settembre 1973 il Dalai Lama giunse a Roma per incontrare in veste
ufficiale Paolo VI. Non vi fu alcun contatto con il governo italiano e Tucci si
rifiutò di incontrare il capo tibetano, con l’inevitabile strascico di polemiche
sui quotidiani, ora ripreso da EG (II, 418-25). Nessuno sembra aver preso in
adeguata considerazione la possibilità che Tucci, come presidente di un istitu-
to che curava le relazioni culturali con l’Asia per conto del governo, non po-
tesse agire in maniera contraria all’indirizzo politico del momento, che era
quello di rafforzare le relazioni diplomatiche con Pechino ristabilite solo tre
anni prima. Anche un incontro in veste privata avrebbe potuto essere interpre-
tato alla stregua di un evento ufficiale, vista la posizione e notorietà di Tucci.
Perciò, che fosse persona coraggiosa oppure gretta e meschina (come sostenne
Fosco Maraini, avendo però avuto cura di scriverlo dopo la morte dell’inte-
ressato), all’indirizzo politico Tucci si sarebbe dovuto attenere.
La storia di quei giorni è in realtà ancora da scrivere: si conoscono in pra-
tica solo le fonti giornalistiche. Non escludo che Tucci abbia tenuto un atteg-
giamento ufficiale consono alle direttive del governo, ma abbia agito dietro le
quinte per agevolare l’incontro. In tal caso anche l’iniziativa di Mele del 1982
potrebbe essere nata da un interessamento di Tucci. Ipotesi, sia chiaro, ma che
a mio avviso meriterebbe appurare.
Le ragioni dei cattivi rapporti tra Maraini e Tucci sono dunque più varie e
complesse di quelle solitamente indicate e sarebbe errato cercare un unico re-
sponsabile. Non ho difficoltà a credere che ci fossero invidia, rivalità o simili
sentimenti. Ciò tuttavia non inficiò completamente il loro rapporto, nemmeno
dopo la spedizione a Lhasa. Stando alla documentazione conservata dal Gabi-
netto Viesseux di Firenze, Tucci firmò per Maraini una lettera di presentazio-
ne per fargli ottenere la fellowship ad Oxford nel 1959 e cercò di coinvolgerlo
nella visita a Roma di una delegazione della Repubblica Popolare Cinese negli
anni Cinquanta, quando ancora non esisteva il riconoscimento diplomatico tra
i due paesi.
Anche per quanto riguarda la pubblicazione dei libri (Maraini 1939, 1942,
1984), oltre agli articoli, non credo che si possa ridurre tutto a una questione di
tabù infranti. Per quanto riguarda Dren Giong, c’è anzi la testimonianza di
Giulia Nuvoloni sull’apprezzamento del libro espresso dal marito.75 Più com-
plessa la questione di Chibetto, il libro fotografico pubblicato a Tokyo nel
1942 con le pose scattate durante la spedizione del 1937. Il contratto firmato
da Maraini con l’Accademia d’Italia prevedeva che le sue fotografie sarebbero
state acquistate dal capo spedizione con i fondi messi a disposizione
————
74
La serata romana è l’unico contatto con Mele registrato dalla segreteria del Dalai Lama (Ten-
zin Taklha a O. Nalesini, 21 aprile 2011).
75
G. Nuvoloni a F. Maraini, Roma, 15 dic. 1939 (ACGV, Fosco Maraini).
Onori e nefandezze di un esploratore 257
dall’Accademia stessa, tranne cento, «di carattere più artistico che documenta-
rio», che sarebbero rimaste al fotografo con l’impegno di utilizzarle solo dopo
la pubblicazione del diario del viaggio. Clausola comprensibile, perché i pro-
venti del libro avrebbero coperto parte delle spese della spedizione effettuata o
di quella futura. Le spedizioni degli anni Trenta erano auto-finanziate, nel sen-
so che i fondi pubblici erano insufficienti, e Tucci raccattava tutto quello che
poteva. Il diario del 1937 non fu pubblicato, ma nelle more Tucci avrà preteso
il rispetto del contratto, mentre Maraini si sentì forse sciolto dall’impegno
stante il tempo trascorso. Fatto sta che, per ventura o per calcolo, Chibetto uscì
un anno dopo il libro di Tucci (1941) su Gyantse.
È certo invece che i negativi e le pellicole cinematografiche della spedi-
zione rimasero a Maraini. Il Gabinetto Viesseux conserva anche una cartolina
postale non datata, ma direi risalente al 1938, con cui Tucci chiedeva a Marai-
ni notizie del film. Evidentemente, sia per le fotografie che per il documenta-
rio qualcosa andò storto; vuoi per mancanza di fondi, vuoi per incomprensioni
o responsabilità di qualcuno: lo ignoro. Posso però facilmente immaginare che
a Tucci la cosa non sia andata a genio. Le diffidenze a quel punto saranno sta-
te reciproche e nell’immediato dopoguerra ancora sentite. Il che spiega come
mai Tucci non pensò a Maraini mentre organizzava la spedizione del 1948.
Dubbi sui propri doveri attanagliarono Maraini mentre scriveva, su solle-
citazione dell’editore De Donato, il suo Segreto Tibet. Anche quella volta
Tucci aveva preteso un impegno scritto a non pubblicare nulla prima del capo
spedizione e comunque entro due anni dal ritorno. Benché Tucci avesse aper-
tamente dichiarato di non considerarlo un membro della spedizione perché
non aveva valicato il confine, Maraini manifestò agli amici il timore di inimi-
carsi definitivamente Tucci se si fosse comportato di conseguenza, ovvero
sciolto dagli impegni sottoscritti prima della partenza.
Il 2 febbraio del 1950 scrisse a Tucci inviandogli due suoi recenti articoli
sul Tibet e assicurandolo di non volergli fare concorrenza. La risposta di Tuc-
ci, del 10 febbraio, è che il Tibet non è proprietà privata e chiunque può scri-
verne. Coglie l’occasione per fargli notare un paio di errori che avrebbe potuto
correggergli se gli avesse sottoposto il testo prima di mandarlo in stampa.
Quello di Maraini è un modo per mettere la mani avanti e ottenere una
‘liberatoria’ definitiva. Ha taciuto a Tucci che il suo libro è pressoché finito.
La lettera-recensione di Bernard Berenson, che Maraini utilizzerà come intro-
duzione, è infatti datata 23 marzo 1950. Ciò nonostante, Maraini attenderà la
fine dell’anno per licenziarne le bozze, alcuni mesi dopo l’uscita della prima
edizione del libro di Tucci A Lhasa e oltre (Nalesini 2012a: 136-37). Almeno
sul piano formale, Tucci non avrebbe potuto lamentarsi di alcunché.
Non vorrei dilungarmi oltre su questo argomento. Era tuttavia necessario
toccare dei punti che EG ha trattato replicando argomenti triti e analisi super-
ficiali. L’ipotesi del complotto orchestrato da Tucci ai danni di Maraini non
sta in piedi. Se Tucci avesse realmente pianificato di escludere Maraini dalla
258 O. Nalesini
spedizione, questi non avrebbe nemmeno messo il piede sulla passerella della
nave per Bombay al porto di Napoli. Che senso aveva spendere un bel po’ dei
pochi soldi disponibili solo per far arrivare una persona ai confini del Tibet e
rimandarla indietro con un trucco? E tutta la fatica (oltre alla munifica mancia
competente) che ciò avrebbe comportato per coinvolgere nell’inganno funzio-
nari tibetani e indiani? E per quale ragione avrebbero dovuto assecondarlo?
Per questo insieme di ragioni ritengo che il mancato rilascio del lascia-
passare a Maraini fu determinato dall’accavallarsi di situazioni non previste.
Tucci ebbe certamente delle responsabilità nell’accaduto, nemmeno piccole
come ho spiegato altrove, e probabilmente non pianse quando si trovò nella
necessità di sacrificare Maraini. Ma affermare che abbia pianificato tutto a ta-
volino è illogico. Che poi l’insieme degli eventi sopra delineato e la delusione
per essere rimasto escluso abbiano generato in Maraini la convinzione di esse-
re stato vittima di un intrigo è cosa comprensibilissima. Oggi possiamo solo
rammaricarci che queste due menti eccezionali, e per molti versi complemen-
tari, non abbiano trovato il modo di convivere e collaborare.
Il capitolo X, dedicato alle spedizioni nel Nepal occidentale del periodo
1952-1954, presenta un deciso miglioramento dello stile narrativo, ma merita
solo una fugace menzione perché contiene null’altro che il riassunto di quanto
Tucci ha scritto. Maggior risalto avrebbero comunque meritato i suoi collabo-
ratori, tra cui Francesca Bonardi (Rossi 2012), nonché i medici (e all’occasio-
ne fotografi e cineasti) Concetto Guttuso e Vito Amorosino.
Sotto la direzione di Tucci, l’attività archeologica e di restauro monumen-
tale svolta dall’IsMEO a partire dal 1956 prima in Pakistan e successivamente
in Afghanistan e Iran ha costituito uno dei fiori all’occhiello della ricerca ita-
liana sino agli anni Settanta (Faccenna 1995). In seguito l’Istituto avrebbe ul-
teriormente espanso la sua presenza in paesi quali Oman, Yemen, Kuwayt,
Nepal, Ungheria, le repubbliche ex sovietiche dell’Asia Centrale, Cina, Arabia
Saudita. Una trattazione dell’argomento era dunque indispensabile ed EG non
si è sottratta al compito. Tuttavia, il preconcetto dell’appartenenza del Museo
Nazionale d’Arte Orientale all’IsMEO, e poi all’IsIAO, le ha giocato un brutto
scherzo. Non riuscendo a comprendere l’esistenza di due istituzioni separate,
attribuisce al Museo, «e quindi dell’IsIAO» (II, 329), progetti che sono stati
condotti dai due istituti autonomamente uno dall’altro, e persino altri che nes-
suno dei due istituti ha organizzato o gestito.
Le ricerche in Tajikistan dell’IsIAO, per cominciare, non hanno nulla a
che fare con quelle del MNAO. Quanto al Lazio meridionale, si tratta dello
scavo di Monte d’Argento, nel comune di Minturno, iniziato negli anni Ottan-
ta per trovare tracce della presenza saracena, documentata dalle fonti scritte
del X secolo. Il Museo avviò il progetto assecondando gli stimoli di Umberto
Scerrato e David Whitehouse (allora direttore della British School at Rome) e
anche qui l’IsMEO non ci entrò mai.
Onori e nefandezze di un esploratore 259
ogni nome personale citato nel libro,76 ma non riporta le pagine in cui quei nomi
sono menzionati. Superfluo sottolineare quanto la consultazione del libro ne
venga ostacolata. Non è molto utile sapere dell’esistenza dell’amico Bhavnani,
del cameriere nepalese Chandra, dell’uomo di fatica Sheikh, del portatore Gio-
vannino, del cuoco Van Tenzin, del kashmiro Ganemide, del pandit Dhruba,
della studentessa Sidera Costante, del fotografo Guha, del militare nepalese Ba-
laram, del mussulmano Ebrahim o dei cani Rincen e Tsering, se non possiamo
associarli a un qualche evento della vita di Tucci per mancanza di date, né risali-
re alla pagina che li riguarda. E ciò a maggior ragione per nomi di peso storico
quali Formichi, Gentile, Nuvoloni, Mussolini, Federzoni, Andreotti, ecc.
Le informazioni biografiche fornite da questo indice non hanno nulla di
particolare, e possono facilmente essere reperite su enciclopedie e simili stru-
menti di consultazione in biblioteca o internet. Mi chiedo dunque quale utilità
abbiano. E che dire delle molte voci rimaste inspiegabilmente vuote, come, ad
esempio, Bellagi, Bencivieni (detto Cimabue), Botticelli Alessandro, Buonar-
roti Michelangelo, Berlusconi Silvio, Einstein Albert, Erodoto, Foscolo Ugo,
Mughini Renata, Petrarca Francesco, Shakespeare William, Ungaretti Giusep-
pe, Wilde Oscar, Wright Herbert Francis? Vi sono pure voci in odore di pe-
danteria quali «Abramo, personaggio biblico» e «Maria o Madonna», e riman-
di curiosi come «Profeta, vedi Maometto». Per inciso, Giuseppina Scalabrino
Borsani non è stata presidente dell’IsMEO e il cognome da nubile di Ann Britt
Tilia era Peterson.
Un altro vuoto sconcertante di questa biografia riguarda l’Abruzzo. Gra-
ve, perché questa regione può a buon diritto considerarsi la patria adottiva di
Tucci: una terra a cui si sentiva certamente più legato che alle native Marche,
come hanno testimoniato in diversi (Maraini 1938; Nuvoloni Tucci 1941;
Biordi 1959). Vi trascorreva tutto il tempo che poteva e ad essa ha dedicato
una parte del suo impegno intellettuale (Tucci 1934b, 1970b). Tucci fu il pri-
mo a riconoscere il valore dell’opera di Francesco Giuliani (2001: lvii), il poe-
ta-pastore di Castel del Monte, che visitò nel 1930. Ricordo poi la sua amicizia
con il medico Gerardo Rasetti. Presentò a Pettazzoni il suo libro Il Giudizio
universale in arte e la pittura medioevale abruzzese (Pescara, Tempo nostro,
1935) perché concorresse per l’assegnazione del premio di incoraggiamento
della Reale Accademia d’Italia del 1936 (Gandini 2002: 181-82). Nel 1948, a
cinque anni dalla morte, Tucci compose l’epigrafe «Humanitatis exemplum |
doctrinae magister» che figura sul busto di Rasetti eretto a Loreto Aprutino e
in seguito fu nel comitato nazionale per le sue onoranze (R.B. 1963; Tucci
1959). Non dimentichiamo poi gli articoli sull’Abruzzo ospitati dalle prime
annate di East and West.
————
76
Qualcuno manca, in realtà; ad esempio Donatoni, ricordato a p. 712, nota 25, del II volume.
262 O. Nalesini
sono state probabilmente scattate con la stessa macchina fotografica usata nel-
la spedizione tibetana di quell’anno. Tucci vi presenta però un aspetto più ma-
turo di quello visibile nelle fotografie delle spedizioni del 1933 e del 1935, e
furono in parte pubblicate dalla moglie (Nuvoloni Tucci 1941).
I, 287: Delhi, Kathmandu e Leh sono «città distanti … ideologicamente
dalla cultura latina». Cosa vuol dire?
I, 314: vengono fornite informazioni errate sul contenuto dell’accordo tra
Ciano e Perth del 1938, il cosiddetto Accordo di Pasqua. Il patto non prevedeva il
ritiro di truppe italiane dalla Libia: anzi, nemmeno la menziona (Accordo 1939).
I, 352: per collaborare con l’Enciclopedia italiana era necessario essere
«riconosciuti dal regime come scienziati e come fascisti». Non è così. L’Enci-
clopedia rimase aperta alla collaborazioni di non fascisti e persino di anti-
fascisti; EG dovrebbe sapere che Gentile, per perseguire la legittimazione del
regime, permise la collaborazione di dichiarati antifascisti come Gaetano De
Sanctis, Ludovico Geymonat, Giorgio Levi Della Vida, Luigi Einaudi (Turi
2006: 451-54).
I, 357-61: Nell’introdurre la costituzione della Reale Accademia d’Italia,
EG non ha ricordato che Tucci ne divenne membro sì dal primo anno, il 27
settembre 1929, ma in sostituzione di Alfredo Trombetti, deceduto in un inci-
dente a Venezia (Amendola 1978: 279; Toffanin 1987: 129).
I, 399-400: il nome della rivista Yamato, pubblicata dall’IsMEO, era quel-
lo «della più grande nave da battaglia della Marina imperiale giapponese». La
ossessiva ricerca dei legami tra Tucci e il fascismo ha indotto l’autrice a vedere
nel titolo della rivista italiana il segno dell’ammirazione per la forza militare
nipponica. Ma le navi, come è noto, vengono chiamate in ricordo di luoghi o
personaggi importanti. In questo caso si trattava del nome antico della prefettura
di Nara, nome poi passato alla dinastia regnante e dal XIX secolo utilizzato dai
movimenti nazionalisti per definire l’etnia maggioritaria delle isole giapponesi.
Una motivazione assai più ragionevole per il titolo della rivista.
I, 495: dal 1931 Tucci e la moglie sono stati accompagnati nelle spedizio-
ni «per brevi tratti, da galline»! È un vero peccato che EG non fornisca la fon-
te di questa interessantissima informazione. Qui davvero lo storico si ramma-
rica di non avere a disposizione una fotografia che immortali Tucci mentre di-
scute con i simpatici pennuti su quale sentiero imboccare o sull’interesse degli
ultimi ritrovamenti!! Scherzi a parte, non mi risulta che Tucci abbia portato
con sé galline, per la semplicissima ragione che accudirle viaggiando a piedi
nel Tibet avrebbe costituito un onere di gran lunga superiore alla gioia di bersi
di tanto in tanto un ovetto fresco.
I, 500: «Tucci conosceva appieno l’importanza di questi studi [di geogra-
fia storica del Tibet] e nel 1931 pubblicò… un curioso articolo sui viaggi… di
un asceta buddhista del XVI secolo che raggiunse il Madagascar». Non è esat-
to. Per Tucci il testo sulle peregrinazioni del sādhu non era importante per la
264 O. Nalesini
geografia storica del Tibet, ma per la storia delle conoscenze geografiche dei
tibetani (Tucci 1971: 306), che è altra cosa.
I, 509: Ghersi «pubblicò anche delle foto, scattate in Cina nel 1936». Le
foto furono pubblicate nel 1936, ma scattate nel 1931-1932.
I, 598: «... il 10 luglio [Tucci] arrivò al monastero di Ju che sarà distrutto
nel 1959. È stato poi ricostruito il Sershul Gonpa dei Gelugpa, che ora sta nel-
la contea di Shiqú Xiàn della provincia cinese del Sichuan». È impossibile
comprendere quali sottili nessi corrano tra la distruzione di un monastero sulle
sponde del lago Manasarowar, Tibet occidentale, e la ricostruzione di un altro
monastero, quasi duemila chilometri a est. E perché questo monastero di tro-
verebbe ‘ora’ nel Sichuan? Dove era prima, e chi ve lo ha portato?
I, 615: «L’Asia è piena di persone dotate di poteri eccezionali» deve esse-
re considerata assieme alla frase «il grande maestro Matsyendranātha visse ol-
tre quattrocento anni» (I, 633) non per il contenuto, che di per sé è stravagante
ma innocuo, quanto per la funzione di segnale della impronta irrazionalistica
che permea l’intero libro.
I, 632: «compiere il giro del Kailasa a piedi… è riservato ai pochi che
l’affrontano con animo puro e sincero». L’autrice confonde qui l’ideale con la
realtà del pellegrinaggio; nessuno del resto potrebbe fermare un pellegrino asse-
rendo che il suo animo non sia puro, per la semplice ragione che nessuno alber-
ga nel cuore di un altro. E comunque, anche all’epoca di Tucci il pellegrinaggio
al Kailasa, non diversamente da quello a Gerusalemme o alla Mecca, poteva es-
sere un fatto spirituale o di distinzione sociale per i singoli e, al contempo, un
buon affare per i monasteri, che certamente non avrebbero visto di buon occhio
un decrescere del flusso di visitatori per ragioni meramente spirituali.
I, 637: «il viaggio del 1935 e quello successivo del 1937… furono… an-
che dei veri e propri percorsi iniziatici». Forse perché tacciato così di sovente
di ingratitudine, arrivismo ecc., Tucci si è preso una piccola rivincita inducen-
do EG in errore. Nella prefazione alla ristampa del libro sulla spedizione del
1935, Tucci (1978: 15) ricorda di aver ricevuto un’iniziazione dall’abate di
Sakya. Vuoi per l’affievolirsi della memoria, vuoi per un refuso tipografico,
questa testimonianza è incongruente, ma EG non se ne è accorta. Nel 1935
Tucci visitò il Tibet occidentale; a Sakya vi andò per la prima e unica volta nel
1939. In questa prefazione si riferì verosimilmente alla cerimonia cui assistette
nel monastero sakyapa di Purang (Taklakot), ottenendo poi dall’abate di farla
ripetere per lui (Id. 1978: 35-36). Il rito è descritto da Tucci nei dettagli, ma
non è definito iniziazione. In tal caso, del resto, bisognerebbe sapere di quale
iniziazione trattavasi. Tucci (1952: 125) ci ricorda che quelle serie potevano
durare mesi e questo certamente non fu il suo caso perché il rito si risolse in
qualche ora. Quella di cui Tucci ci rende partecipi è un’esperienza che com-
prensibilmente uno studioso del buddhismo volle vivere in prima persona; di
simili esperienze nell’ambito di altre tradizioni religiose ne ebbe in Bengala
(R. Gnoli 1995: 16). Non vedo come da questa scarna notizia si possa desume-
Onori e nefandezze di un esploratore 265
Eliade 1990: 52-53). Il tarlo del pregiudizio ha condotto EG non solo a vedere
quel che nella lettera non c’è, ma a sbagliare persino sulla storia della discipli-
na in cui si è laureata. Duole farle notare che, se avesse copiato con maggior
discernimento dall’articolo di Raniero Gnoli (1994), non sarebbe incappata nel
madornale errore di far risalire l’insegnamento del sanscrito all’università di
Roma al XIV secolo! La prima cattedra di indianistica in Italia fu istituita a
Torino nel 1852 e assegnata a Gaspare Gorresio, che il sanscrito lo aveva do-
vuto studiare a Parigi.
II, 449: l’anno della morte di Tucci, 1984, è scambiato con quello di na-
scita, 1894.
II, 476: cronologia: quella del 1931 non è la terza spedizione vera e pro-
pria nel Tibet, ma la prima. Era la terza nell’area di cultura tibetana.
II, 479-512: a dispetto dell’enfasi con cui EG saluta il ritrovamento di
qualche introduzione non ricordata da Scialpi e Petech (ad es. I, xxvii–xxviii;
II, 340, 352, 408), quella da lei raccolta è una bibliografia altrettanto incom-
pleta. Personalmente ho sinora schedato circa 500 titoli di Tucci e di certo non
sono ancora tutti.
Scrivere una biografia di Tucci è stata una splendida idea e, con alcune
accortezze, tra cui una tranquilla rilettura prima del fatidico ‘si stampi’,
l’autrice avrebbe potuto presentare una discreta ricostruzione della vita del
grande orientalista, rendendo a tutti un ottimo servigio. Purtroppo il proteico
demone del pregiudizio ideologico si è impossessato della sua penna e le ha
fatto malamente sprecare l’occasione. Il lavoro da lei composto non aggiunge
notizie rilevanti sulla vita di Giuseppe Tucci, non presenta analisi originali, è
ricolmo di errori sconcertanti, è esposto confusamente. Non resta purtroppo
che chiudere il libro e – per riprendere Ripellino (1973: 6) – adagiarlo sulla
carretta di Chronos, il Grande Rigattiere.
Oscar Nalesini
Museo Nazionale d’Arte Orientale
Roma
oscar.nalesini@beniculturali.it
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Onori e nefandezze di un esploratore 275
SUMMARY
Giuseppe Tucci has been a pivotal personality of the twentieth century either for the pro-
gress of oriental studies and the construction of relations between Italy and Asian countries in the
crucial years of fascism and of the transition to the democratic republic. In spite of his fame, the
life of Tucci is still poorly known. This gap in the knowledge has favored in recent years its use
by different parts and for disparate purposes. The long biography published in 2012 by Enrica
Garzilli has unfortunately not filled this gap, and on some points it has actually increased the
confusion. The purpose of this article is not only to point out errors and inaccuracies of this book,
but to take the opportunity to contribute to the explanation of some events of Tucci's life and as-
pects of his thought, resorting also on previously untapped sources.
Keywords: Giuseppe Tucci, history of Oriental studies in Italy, intellectual history of the 20th
century, exploration history, history of archaeology