Sei sulla pagina 1di 194

L’Ottava

Collana curata da
Franco Battiato,
Enzo di Mauro ed Enrico Maghenzani

VOLUME II
DELLO STESSO AUTORE
Il pellegrinaggio
Centro italiano studi sull’uomo
G.I. Gurdjieff, Milano

Ce que le Temps épargne


Racconto
Les Chemins contraires
Diario secondo
A la source du vivant
Diario terzo
Le Versant de l’Aurore
Saggio
sull’Insegnamento di Gurdjieff

Prima dell’alba
Diario di un’esperienza
1947-1967
Henri Thomasson

BAGLIORI DELL’ANIMA
Meditazioni
sulla mia ricerca

Traduzione di
Igor Legati
Proprietà letteraria riservata
L’Ottava Edizioni © 1992
95014 Giarre (CT), viale Don Minzoni 36
ISBN 88-304-1090-X

Traduzione dal francese


di Igor Legati

Copertina di Francesco Messina

Copyright © 1992 L’Ottava, Giarre

Distribuzione a cura
della Longanesi & C. S.p.A., via Salvini 3, 20122 Milano
Bagliori dell’anima
« Nella speranza che un giorno i risultati delle vostre
ricerche possano essere utili ai miei compatrioti, farò
tutto il possibile per aiutarvi a raggiungere lo scopo che
vi siete prefissi. »
PADRE GIOVANNI
(G. Gurdjieff, Incontri con uomini straordinari,
Adelphi, p. 307)

In memoria di
Padre Giovanni
e dei suoi compatrioti
che l’Insegnamento ha risvegliato
per un istante o per sempre.
Ho parlato troppo di sogni
e inventato troppe parole!
Lasciata l’ombra appassita dei giorni
sono passato dall’altra parte,
raggiungendo col mio passo d’uomo
il versante dell’aurora...
Avvertenza

Non mi spiace che alcune cose essenziali affidate a questi appunti


restino oscure e che coloro per i quali dovrebbero avere senso
facciano un po’ di fatica a scoprirle.
Vi sono impressioni che richiedono di esser comprese:
ciascuno ne trarrà ciò che è in grado di trarne. Talvolta è già stato
così in Les chemins contraires, poi in A la source du vivant. Oggi
bracco la vita con un linguaggio di cui mi auguro che il lettore
eventuale si sforzi di penetrare 1’ambiguità apparente. Io cerco di
avvolgere le impressioni indicibili in una bruma poetica perché
vengano più intuite che comprese, e cerco di lasciare un vuoto
intorno alle parole perché nell’alone che si viene a creare trovi
spazio il fremito dei livelli interiori.
Raccontare i momenti più significativi della mia esperienza
non avrebbe alcun interesse se mirasse soltanto a soddisfare in chi
legge il desiderio di capire. Io mi auguro che questo linguaggio
produca nel lettore un fermento da cui, nel migliore dei casi,
emerga una sensazione analoga alla mia.
E inopportuno esprimere nel linguaggio abituale quanto di
prezioso anima i momenti in cui le impressioni banali
dell’esistenza si fanno da parte. E sarei molto contento se queste
note scritte sul filo del rasoio fossero, come dice Littré della
vecchia lingua francese, una lingua straniera che il cercatore
incamminato sulla nostra via capisca immediatamente.
Perciò tengo a sottolineare che, nella lingua utilizzata in questi
miei scritti, esistono quelle che chiamerei - come altri hanno fatto
- equivalenze, vale a dire immagini che s’incarnano nel discorso
senza esserne la « decorazione » e che, invece di limitarsi a
sviluppare il tema scelto, hanno la funzione di essere la cosa stessa.

H. TH.
Parte prima
Recitativo per la coscienza
I

La soglia

Sempre più spesso e sempre più chiaramente mi s’impone il


bisogno di tracciare il mio proprio sentiero. Ciò non significa
lasciare la via che percorro da più di trentacinque anni né coloro
che ne sono i depositari - al contrario, non mi sono mai sentito
così dipendente dal loro contributo - ma significa piuttosto
addestrarmi a camminare da solo mettendo alla prova le forze che
ho.
Sotto sotto avverto una sorta di potenzialità latente che
trasmette a ciò che avvicino una dimensione diversa, una potenza
che cresce e che spande sulle cose che sfioro dentro di me un
calore più intenso. Si precisano certi valori, i miei dubbi non
restano più tanto spesso sospesi nel vuoto, anzi, talvolta ricevono
risposte degne di quelle ascoltate nei giorni non tanto lontani in
cui A. era in vita. * C’è una soglia che occorre varcare: al di là sarà
tutto per sempre diverso. Una soglia che ancora non vedo con
molta chiarezza, ma di cui avverto già l’influenza. La luce che ne
traspare viene a morirmi sul piede che mi spinge in avanti.
Il più duro è ancora da fare. Io so quel che devo fare. Lo farò?
Per passare ci vuole coraggio, un immenso coraggio.
Signore, abbi pietà!

Sento una specie di sollievo a non dover più annotare per forza
le mie esperienze. Una fonte di libertà conquistata. Solo oggi
scopro il peso di quella costrizione e quanto vi fossi asservito senza
saperlo.
Posso quindi marciare verso la meta senza l’assillo di fermare

* Nei miei scritti già pubblicati A. è l’iniziale con cui ho indicato Henriette
LANNES, ossia colei che è stata la mia guida dal momento in cui ho incontrato
l’Insegnamento di GURDJIEFF.

13
sulla carta gli eventi vissuti. Sì, mi sento liberato davvero. Scrivere
è un'occasione per dimostrarlo ancora di più. Senza alcun’altra
intenzione.

Ciò che importa è tentare. Riuscire non ha alcuna importanza.


Riuscire è una conseguenza.

Talora succede che la parola preceda l'atto che si compie dentro


di me nello stesso istante, come se l’atto ne risultasse.

La testa ha sempre bisogno di prove. Il sentimento ne è avido e


le divora. Il corpo è la prova di se stesso. L'Essere, invece, non ha
bisogno di prove, ha solo bisogno di essere.

Tutto comincia con un incontro seguito da un « riconoscimento


». Se ciò che si presenta non viene riconosciuto, la Via intravista è
subito persa.

Pigrizia.
Pigrizia del pensiero che rifiuta lo sforzo di strapparsi
all'associativo. Perché ci vuole la domanda diretta, perché occorre
chiedere aiuto per trovare all’istante il sentiero che conduce in un
posto diverso di sé e l’energia necessaria a percorrerlo? Uno dei
vantaggi del lavoro di gruppo consiste nel fatto che ci troviamo
costretti a manifestarci ad un altro livello. Cosa che diventa
possibile grazie all'influsso risultante dallo sforzo comune.
Ma ciascuno chiede aiuto dal punto nel quale si trova. Per il
responsabile del gruppo, spingere gli altri a svegliarsi significa
essere sveglio. Se il responsabile non è in grado di sottrarsi al-
l'associativo - e quando ne è prigioniero può sembrare il più
brillante e credersi il più efficiente - costringerà tutti i presenti a
restare nell'associativo. Se si trova a un certo livello del
sentimento, il suo contributo resterà impresso nell’omologa
parte dell'altro... È un legame terribile.

14
La gravità si esercita su tutte le nostre funzioni e ci mantiene
nel punto più basso dove ci schiaccia. L’uomo che dorme è un
uomo sdraiato.

La proprietà del termine indica la rettitudine del pensiero. Una


lingua corretta ed elegante non è solo un effetto dell’arte, è un
mezzo con cui il pensiero si mantiene a un certo livello.
In tal caso il pensiero si fa strumento dell’insieme dei livelli
equivalenti delle altre parti dell’uomo, interprete del suo Essere in
estensione e profondità.
Il corpo è terra, acqua e aria, il sentimento è calore, il sesso è
fuoco. Il pensiero è luce.

Viene il momento in cui vanno superati i confini della logica,


della ragione. Al di là ci si trova soggetti ad altre leggi, giustificate
da una ragione più alta, e si sta a proprio agio. Il difficile sta nel
passaggio: un cunicolo più o meno lungo in cui ci sentiamo
perduti. Nel buio la nostra ragione rallenta la marcia e cerca
disperatamente di non mollare la presa riportandoci spesso
all’indietro. In certi casi per sempre.
Al di là, le parole consuete hanno un senso diverso, si
stabiliscono nuovi rapporti, le energie trascinate dalla corrente
degli automatismi vengono risparmiate e trovano il loro utilizzo in
un mondo sottile finalmente abitabile. Un mondo, anche questo,
in cui non ci portiamo dietro il corpo di carne.

Credere.
E poi, un giorno, vedere ciò che credo.
Ecco un risultato della Conoscenza.

« Nella notte più lunga accendi una candela nel buio,


In un lampo il mondo diventa un giardino di rose.
Affronta l’impresa, per quanto sia ardua, e tutto andrà
bene. La stessa galera fa sì che la fatica del rematore
diventi luce. »
AHMED YASAWI

15
Piazzarmi davanti al Reale in me stesso che funge da specchio,
cercare nello specchio i segni della mia « presenza » proiettati dalla
parte più sottile dell’ energia che riesco a mettere insieme. Per
dire più validamente « IO SONO ».

Tutti gli errori si pagano.


Sarò ricco abbastanza?

Non confondere la sofferenza con ciò che chiamiamo così e che


spesso non è altro che scontentezza.

Primi tentativi di F., F. e M. di esprimere insieme, tramite i


suoni, la loro « presenza », la presenza interiore di un mondo verso
il quale ciascuno di noi si dirige a tentoni. Tre punti di partenza
diversi, tre sentieri diretti verso un'unica meta - la Coscienza - che
non raggiungono mai, cui però s'avvicinano insieme sempre di
più, asintoticamente.
Ne sgorga una musica strana. Una musica libera, nata
all'istante, non legata alla forma, capace di utilizzare lo spazio
vuoto lasciato tra le righe della scala musicale che solo il
pianoforte richiama e sostiene. Una musica inafferrabile come il
tempo, insofferente a qualunque scrittura, registrabile solo dal
nastro magnetico che la fissa come la foto fissa l’istante vissuto.
Una musica che è come l'ombra dell'invisibile proiettata sullo
schermo del mondo visibile, un tentativo di esprimere
l'inesprimibile. Una musica spoglia, priva di regole e di quelle
forme che l’uso corrente sembra aver reso scontate.
Una musica imprevedibile e fugace che scompare sul nascere,
lasciando a chi l'ode un messaggio che la mente quasi sempre
respinge - e talvolta con molta violenza - ma tale da imprimersi su
un’altra memoria e da integrarsi alla vita in modo imprevisto.
Forse perché entrambe, musica e vita, hanno la stessa sorgente. O
forse perché sono identiche...
Scorrendo come un ruscello fra le sponde del tempo, questa
musica sbocca nel mare aperto della sensibilità umana che si
muove con flussi e riflussi seguendo il respiro del mondo.
Musica istantanea: così la chiamerei, se proprio dovessi
metterle un’etichetta...

16
Sforzarmi di restare indifferente sia alla critica che
all’adulazione, tanto al successo quanto al fallimento.
Ancora ne sono lontanissimo.

Ogni tanto mi capita ancora di guardarmi allo specchio che A.


era per me. Lo specchio è scomparso, ma il gesto rimane. E mi
consente tuttora di vedere l’uomo che cerco nello specchio del
mondo che mi circonda.

Comunicare ciò che so tramite il modo in cui vivo.

Che cos'è la vita?


Un’energia immanente a tutte le cose create? Il potere di
evolvere distruggendo i supporti scelti via via, fino al punto del
ritorno all’origine?
L’espressione della Presenza Divina?
Aspetti diversi - forse complementari - di una definizione
impossibile.

La mia « testa » s’insinua incessantemente in ogni


manifestazione della vita per scoprirvi la verità, la sua verità, e
ripetermela fino alla noia. Il suo moto assordante e meccanico,
turba la pace di cui ho bisogno. Quando con grande sforzo
raggiungo la pace, la « testa », senza darsi per vinta, mi chiede: «E
adesso che te ne fai della pace? » Una domanda difficile da
ignorare.
Eppure è impossibile non arrendersi all’evidenza del fatto che il
contenuto della mia « testa » è fatto di ricordi, nozioni e
aspettative legate al tempo, allo spazio e al futuro, e mai al
presente.
Essere, nell’istante medesimo! A tal fine la « testa » è
inservibile.

L’emozione di una parola consunta dall’uso, ma scritta per la


prima volta... o di un’impressione che di colpo coincide con
l’istante vissuto per la prima volta! Ahimè! La prima volta si
presenta solamente una volta.

17
La luce schianta il cemento delle tombe. Polvere di pensieri
che deposita un omaggio ridicolo sulla pietra eretta a mia gloria.
Ed ecco, la festa si celebra. Tempio sepolto sotto ceneri annose, un
piccolo seme mi ha scosso. Un piccolo seme che cresce al soffiar
dello Spirito, come ha detto il profeta...

L’estate riporta il presagio: la sua luce mi chiude le palpebre


all’interno delle quali si proiettano i sogni dell’inverno scomparso.
Restare in piedi a dispetto della corrente che mi trascina nel
paese senza memoria della violenza... Resistere. Tener duro fino
alla sera! O notte che ogni volta riporti il silenzio nel quale sento
singhiozzare la fonte in giardino! Profumati fiori di caprifoglio,
fresca polpa della rosea albicocca, carezza del vento che s’infila
nell’apertura della camicia slacciata: trappole di felicità che
regnate sull’assenza e la fretta!...
Poi, al mattino, camminare con passo sicuro verso il segno che
annuncia la Presenza imminente...

Laggiù! Vestita delle tue sole mani, la tua bocca è un frutto


maturo. Emerse dalla solitudine, le onde del mio desiderio si
espandono verso di te, il mio ardore brucia dentro di te.
Adesso tu puoi sostenere il peso d’una notte d’uomo. Ma io
sono diventato più vecchio. Tu sei nuova come l’alba che
t’illumina il viso, tu sai come estinguere l’inutile esodo dei tuoi
desideri. Viva. Nata. Libera! Non vi è affatto peccato nelle carni
giustamente congiunte.

Mezzogiorno canta l’estate.


Il cielo, lente impeccabile di puro cristallo, resiste all’erosione
della luce. Fino al sudario punteggiato di stelle col quale, ancora
una volta, si coprirà questa sera. Già appare la pietra della sua
soglia. Allungo il passo. Ecco l’inverso del mondo comune.
L’impazienza mi coglie: che frutto darà la mia semina? In questo
posto di grazia e di ringraziamento l’attenzione scatena un’eternità
di bel tempo che la burrasca dei sensi aveva oscurato..
O mia gioia di essere, più fresca dell’acqua di fonte!...
Mezzogiorno canta l’estate.

18
Clamore di uomini trascinati all’azione dal loro stesso gran
moto come un immenso anello che gira intorno alla terra!...
Dentro di noi - quei pochi che siamo - al clamore risponde un
silenzio duramente sudato, trascinato a sua volta verso una strana
eternità depistante, fuori dalle tombe.
A lunghe tappe stiamo andando verso la nascita.

La parola conserva la forma, ma non la vita.


Quando la pronunziamo le rendiamo la vita donandole una
briciola della nostra.
Tener presente la magia del parlare.

« Guai a coloro che si adagiano beatamente sui risultati


acquisiti! »
Cappella funeraria di Khaemhàt - Egitto

Non essere arrogante, non suscitare odio, invidia, gelosia. Ogni


giorno più vicino all’uscita, ricordare che non devo lasciarmi alle
spalle neppure un nemico.

Compiere il gesto che rivela il rovescio delle cose, sorvolare i


continenti dell’automatismo, affilare il ferro dello sforzo, cacciare
le cose vaganti nel campo mentale, resistere al riflusso.
Accogliere ciò che dice la presenza nell’intimità più profonda
del corpo...

Dare senza compenso, aiutare evitando all’altro lo sforzo


significa suscitare l’invidia e la ribellione anziché la capacità e la
riconoscenza.

Ho svestito il tuo fianco e sfiorato un fogliame d’aurora. Baci:


rose colte dalle tue labbra... La mia mano perduta su un cuscino
strappato.
I nostri desideri s’estinsero su un letto di fiamme.
Poi restammo a giacere come arpe abbandonate.

19
Perché definire assurdo ciò che per ora è inaccessibile?

Il pensiero serve solo a tradurre ciò che la Coscienza conosce.

Il Tempo sposta il « luogo »; nel nostro mondo, infatti, non c’è


nulla d’immobile.

Che cos’è la Coscienza per l’uomo?


E l’individualizzazione, la realizzazione di tutte le potenzialità
virtuali dell’Universo in un essere determinato, la misura del
legame che ne unisce i vari elementi?
Se la Coscienza è qualcosa del genere, è chiaro ch’essa è l’unica
strada verso un’autentica Conoscenza.
E che non c’è progresso se non quello compiuto su questa
strada.

Bisogna abbandonare alla distruzione i valori di un Tempo


ormai giunto alla fine? Credo che G. avrebbe risposto di no. Ogni
forza comporta una resistenza.

Dio è ciò che è anteriore - prima. Ciò che È, prima dell’idea o


della sensazione che cercano di percepire qualcosa di Lui.

IO SONO... Parole che, come colonne di un Tempio, sostengono


il movimento stesso dell’Essere.
Parole che esprimono desideri ignorati, spazi aperti a gran
cavalcate... Parole che, sottomesse alle spinte profonde del mondo
creato, flusso e riflusso del mio sangue dilatato nella durata, sono
state a lungo soltanto un presagio della potenza di vita che mi
abita.
Oggi « IO SONO » respinge il potere del tempo e la magia dei
luoghi, cancellando questi due incontestabili contrassegni di
morte.

20
L’atto interiore si dispiega in uno spazio temporale che lo
riempie di significato. Poi, di fronte all’importanza assunta
dall’atto nello spazio infinito che si è venuto a creare, bisogna
costringerlo subito a quel ripiegamento raccolto in cui l’Essere
vive e s’accresce.
Là dove l’energia fluisce, arde, si strugge, dove la terra triviale
diventa ceramica.
Là dove brucia la freschezza del sangue.

Averliaz.
Nel gran bel tempo d’estate, ecco qua il mio riposo.
Camminare nei boschi, gustare il fresco sorriso che mi
rivolgono le foglie, ascoltare sui pendii delle terre in rigoglio
l’allegro gorgoglio dei ruscelli che scendono giù dalle rocce...
Orgia di campi alberati, di erbe copiose; nella luce del primo
mattino, carezza ondeggiante di segale e grano, discreto
ammiccare dell’avena sui fianchi delle colline; fulvo riflesso di
volpe che annusa gli odori dell’uomo; nel momento più caldo del
giorno l’uccello piomba dal cielo vestito del suo fruscio d’ali; una
spuma di foglie erompe dai rami e scalfisce l’azzurro del cielo.
Sentori di terra e fogliame, di passato e presente mischiati; semi
portati dal vento verso corolle che offrono la loro carne, chicchi
che marciscono e germinano al calpestio delle greggi, preludio a
nascite nuove che non hanno mai fine.
Profumo di preghiera proveniente dalla Certosa vicina,
frammisto al gusto di terra che sale da ciuffi di umide felci... E
connubi di insetti, amori furtivi nelle macchie d’arbusti, bianchi
voli di farfalle festose allo Zenith del giorno... E l’ora di grande
mistero in cui l’ombra sposa le stelle... E la notte che, fra non
molto, tesserà i miei sogni con una spola dorata...
Tutta questa natura davanti alla mia cecità!

O tu, insensato, che vivi solo di ventre e di sesso, che te ne fai


di una saggezza che non ti sia entrata nel sangue?... La tua testa è
come un cieco che vede la terra solo attraverso il bastone.
Percorri il sentiero, vai verso un’altra luce, conosciti e sii te
stesso.

21
Sviluppare in me stesso ciò che è parente di Dio.

Finito lo sforzo di strappare alle acque notturne qualche goccia


del gran fiume senza memoria che s’inabissa nelle viscere della
terra!
Noi, guardiani della transumanza, saremo riusciti ancora una
volta a guidare i nostri lentissimi itineranti verso la riva dell’altro
fiume?
Deposto il fardello che loro sono per noi, siamo rimasti alle
prese col nostro, compagno delle nozze d’estate. Diventare, per
tutta la bella stagione, esseri pazienti che si prendono il tempo di
nascere negli istanti promessi...

Scoppiato...
Fermo per qualche tempo al margine della strada, giusto il
tempo di montare la vita di scorta e ripartire...
Ci penserò fra qualche giorno.

Giunto al culmine dell’istante, col palpito di un essere vivo che


contiene il suo seme, io SONO.
L’attenzione scocca giù come un fulmine, verticale, piomba
sulla preda e l’avvolge in un cerchio. Che contiene la carne. E lo
spirito. E il luogo in cui sono. E la terra. E l’universo... Che
contiene ciò che la contiene.
Al volume e al tempo s’aggiunge una dimensione che include
l’argilla del mio essere roso dall’impazienza. Lunga libagione
d’istanti. Possa regnare e durare l’ebbrezza del silenzio.
Trasferito su un nuovo astro, non so più cosa sia la morte.

Delle piogge nemmeno il ricordo. Una luce secca erode il verde


dei prati. L’orizzonte apre al vento un sottile spiraglio da cui
vengono strani profumi. Il seme soffre nella terra materna; quanti
germogli mancati ai margini dei sentieri scoscesi che salgono ai
picchi montani! L’estate mi offre la sua carne regale. Il tempo che
va dal corallo dei tramonti all’alba chiara che scaccia l’ombra dal
letto è quello in cui si prepara il piacere del giorno seguente. Ogni
mattino è nuovo, il vento si leva nello spazio roccioso che

22
congiunge entrambi i versanti. Mentre cammino col respiro
infuocato sento la bocca riarsa dalla mancanza di pioggia, ma
bramosa di frutti dal gusto di donna.
Amo Testate di un amore da amante.

Tra coloro che ci osservano, alcuni non sanno distinguerci dalle


sétte - quelle orde in marcia verso la gran cecità in cui vi sono
pochi chiamati ma tantissimi sedicenti eletti...

Questa scienza che ci fa sapere tutto senza farci conoscere


nulla! Comincerò finalmente a disimparare?

La morte ha bussato al villaggio.


Uomo che sei scomparso una sera di una calda domenica estiva
e che ormai sei cenere e terra, o persino fango, qualcosa di te
conserva ancora il gusto del miele? Quale guizzo di fiamma ha
illuminato i tuoi occhi nell’ultimo batter di ciglia? Quale brivido ti
ha scosso la carne, stroncata nella sua breve esistenza?
Inerte, morto sulle ortiche che ti hanno raccolto, il tuo cuore
ha improvvisamente cessato di battere, il respiro si è arrestato di
colpo come un uccello abbattuto in volo. Eri ubriaco, hanno
detto... Noi che siamo ebbri di essere - e che ogni giorno di più ne
bramiamo l’ebbrezza - ti perdoniamo d’esser morto a un mondo
d’usura e discordia sotto i nostri occhi, senza rumore, senza
lacrime, senza sangue versato; ti perdoniamo d’esser morto di
un’ebbrezza insensata!
Sì, tu che te ne sei andato in una calda domenica sera, ricordi il
dirupo di pietra che ha assistito alla tua morte? Ciò che il tuo
corpo ha lasciato vede ancora coloro che piangono e che saranno
inchiodati all’umano dolore dalla tua dipartita? Ciò che di te è
andato al di là ha trovato la chiave? O un’eternità fatta di niente
ha cancellato per sempre i profumi, i colori, i rumori e la gioia
conosciuti in passato?
La tua bocca, ormai impietrita, conserva il segreto sotto la
maschera... E sulla tua strada non è rimasta traccia di passi.

23
Il tempo passa. Non sento ancora montare la linfa che nutrirà i
prossimi mesi. Ma presto dovrò risalire alla fonte dei pensieri e del
linguaggio, ritrovare un’ondata di idee che s’infranga sulla mia
incoercibile accidia, riscoprire il gusto della vita nelle parole
incrostate di ricordi, camminare di nuovo verso plaghe irte
d’insidie.
Per ora una sottile lievitazione, ancora immatura, freme
appena sotto la maschera. Ma nel mio dormiveglia sento già
l’appello al prossimo appuntamento cui sono chiamato.

Dopo aver detto tutto, dopo aver compiuto tutte le opere


individuali, l’uomo può deporre il fardello e partire. Ahimè! Ciò
che l’attrae in maniera insensata lo costringe a tardare e la giusta
partenza ne risulta assai differita. Anche quando chi parte è molto
avanti negli anni.

Talvolta m’hanno chiesto: « Perché scrive? » Secondo l’epoca in


cui mi hanno rivolto la domanda ho risposto in maniera diversa.
Oggi risponderei: « E lei perché mangia, perché respira? »
Debbo riconoscere che per qualcuno la mia prosa è altrettanto
inutile del fatto che gli altri mangino o respirino...

Qual è la creatura vivente che ha più effetto sull’umanità


odierna?
La mosca tse-tse!

Diventare « uomo abbiente »: ogni tanto bisogna anche esaltare


L’AVERE, un AVERE incorporato, sostanzialmente integrato all’ESSERE
per movimento e durata. Definirne il processo: interrogazione,
comprensione, conoscenza, celebrazione. Restare al centro
dell’azione, sentirsi superati dal movimento cui s’è dato l’avvio,
fondersi in esso.
Così AVERE e ESSERE sono un’unica cosa.

Sul verde silenzio dei boschi è caduta la tiepida pioggia attesa


in agosto, e il suo odore è salito invadente come i sogni abituali

24
che mi abitano. La terra ha emesso rumori svaniti negli abissi del
cielo. Adesso, passato il rovescio, sorgono i pensieri: nodi
ottenebrati, ancora inadatti all’offerta che mi attende in futuro.
Sono ancora sull’altra riva, ma già si prepara il gesto del
seminatore, ritmi nuovi s’innescano, il tempo sospeso si sgretola e
si delinea un arco che unisce i due orizzonti. Il mio riposo si irrita
come il cielo dell’equinozio.
Pace sulla tettoia della mia pazienza... Le foglie si muovono
lente nel verde silenzio dei boschi.

Mediterraneo... Perché mi viene alle labbra questo nome,


parola sacra del mio linguaggio?
Mediterraneo, tu sei forza e dolcezza, energia e ozio, mare di
uomini perduti nei deserti del sapere, custode di memorie ancora
presenti tra le porte socchiuse del tempo. Mare di luce nelle ore
meridiane, tu sei tomba e sorgente. Mare mille volte tradito
barattando l’ulivo con l’aspro alloro di guerra... Seme di una gloria
alimentata dalle fervide fiamme delle crociate, lo sai in che modo
maturano gli amari frutti del rimorso? Mare radioso, confine di
razze in contrasto protese verso un’impossibile fraternità, grande
via battuta dalle galere i cui remi dolorosi hanno faticosamente
tracciato i sentieri della storia, via anticamente invasa da vele
saracene, mare ostinato nel riconciliare gli uomini vaganti sulle
tue acque.
Punto d’incontro di continenti che conservano l’ombra di
antichi popoli, tu sei contemporaneamente mare di nazioni libere
e di dèi ciechi, mare di massacri e di amori, mare di crudeltà, di
violenza e di pietà, mare puro e santo, guida del tuo popolo verso
la grazia, ingannevole perennità!...
Mediterraneo, frontiera d’imperi, sentiero aperto verso
l’oriente della mia ricerca, mare cui devo questo insaziabile
desiderio di vivere, già si leva il vento che mi porta verso di te!

Api del mio nettare quotidiano, non volate verso fonti sgorgate
da altre rive!... Aspetto pollini ignoti per un miele di pensieri
nuovi. E fiori di stagione per altre emozioni.
Dove sono le feste delle sere passate che allietavano i bei giorni
d’oro e di miele? Si dissolve il gusto indicibile del futuro che mi
sfiora le labbra; sulla mia fronte a poco a poco svaniscono le cifre

25
del destino. Cosa mi resta? È tempo di costruire, la schiena si
raddrizzaci fuoco del mio desiderio, sostenuta da nuove forze. Sarà
ben accolta l’offerta di uno sforzo, sarà consumata la sua carica
ardente, matureranno in fretta le parole pronunziate dalla mia
bocca, lontano richiamo all’avventura dell’essere? Api erranti nei
colori del tramonto, per voi emano i miei raggi; pieno d’ardore e
saldo nel mio risveglio attendo il dono del vostro miele.

Caino e Abele, padri della discordia, della violenza e della


morte adesso in auge come non mai su questa terra, perché mi
siete venuti in mente proprio oggi? I popoli si levano solo per
battersi, non si sente parlare che di pace tradita e la maschera
livida della morte è presente a tutte le feste. Presto contro il dolore
non vi sarà altro rimedio che l’oblio della tomba?
Il crepitare dei fuochi, che divampano lasciando ceneri sempre
più spesse, si apre un varco fino alla mia pace turbando la dolcezza
della presenza. O mio silenzio, talora salito alle vette più alte
dell’attenzione... E vinto!
Un gran frastuono si leva dalla terra impazzita, un torrente di
bestemmie dilagante sulle sacre parole che a tratti mi risuonano in
bocca. Parlerò ancora un anno? Le voci che un tempo mi avevano
affidato questa croce, ormai compagna della mia vita senza riposo
né remissione, sono tornate al silenzio. Le rare parole che cadono
dalla mia bocca come cenere leggera nel crepuscolo insonne dei
giorni migliori non sono all’altezza della scienza che quelle voci
mi avevano insegnato. Parlare... Eppure bisogna. Per sovrastare il
tumulto dei Caini, per dominare il clamore degli Abeli, per
onorare l’eredità ricevuta, per poterla a mia volta affidare.
Dire la parola di pace nel regno della presenza perché la mano
dell’uomo si arrenda, perché la sua fronte si curvi in preghiera e
perché la sua forza s’adoperi a onorare la vita.

Cielo velato di seta al morire del giorno; l’ocra del tramonto


stupisce come un istante venuto d’altrove. Al volgere del
crepuscolo il cielo diventa un tappeto da tempio sul quale
s’incrociano i sentieri percorsi dalle stelle cadenti d’agosto.
Cambia il gusto di ciò che in me avevano aperto le porte del

26
mezzogiorno. Si dissolve la schiuma dei sogni inutili scoprendo i
segni del male. E le piaghe. Il sangue dell'anima ne guarisce P
obbrobrio e la mia vita imbavagliata può trasmettere il suo
messaggio. Tutto palpita, il canto vicino e lontano risuona e
riempie il santuario.
E il chiarore delle notti,
dolce,
riluce sui miei giardini.

Apertura verso un lavoro interiore più intenso.


Scelta dei partecipanti. Esitazione. Decisione.

È germogliata una nuova pianta che ha radici ben più estese del
previsto. Come per miracolo si è presentato un aiuto inatteso,
assolutamente imprevedibile, che ne ha facilitato la crescita.
Ma non è sempre così quando si tratta di cose « vere »?
Riconoscenza.

Una condizione in cui non dovessimo sperare né aspettarci più


nulla, un luogo ideale in cui tutte le mete fossero raggiunte,
sarebbe vivibile? Dio ha fatto agli uomini un bello scherzo con la
promessa del paradiso!

Prender piede in me stesso, ormeggiare saldamente l’apparato


attivo che a quel punto si sostituisce ai pensieri e ai sentimenti a
buon mercato di tutti i giorni... Restare al centro della tela, attento
come il ragno - al centro di me, in quel plesso solare da cui
partono le terminazioni nervose che collegano senza esclusioni le
varie parti dell'Essere. Dire io. Dire SONO. Dire io SONO. Imparare a
pensare - la somma delle mie capacità non può superare il livello
del mio pensiero. Essere gratificato, per caso, da una lunga serie di
rimorsi di coscienza. E pagare. Pagare per il presente, per il
passato, per poter preparare il futuro.
Ma l'impazienza mi riempie la bocca.
Dio, fa' che me ne ricordi!...

27
Rileggo con immenso piacere Ce que le Temps épargne, di cui
mi hanno appena consegnato la prima copia.
Quanto tempo trascorso, quante impressioni intatte che
conservano il gusto dell'istante in cui mi avevano colpito! Un
tempo che non perde la memoria, che attraversa la vita senza
forare il tessuto dei ricordi non è forse estremamente prezioso?
Ma poi scopro di avere l'età che aveva mio nonno quando lui e
io, durante gli ultimi anni della sua vita, percorrevamo fianco a
fianco i filari della vigna con la pompa di verderame in spalla...
Come eravamo vicini a quel tempo anche senza parlare! Quasi
sessantanni sono passati da allora. In gran parte ho già attraversato
il fosso della vita da una sponda all'altra del tempo, e nel giorno
predestinato la mia ruota s'impantanerà per sempre nelle nere
sabbie della morte. Ogni tanto mi capita di scordarlo.
Prima che la coscienza mi venga strappata di mano avrò ancora
il privilegio di sentir echeggiare, nella sera di una lunga giornata
di sforzi, il passo lento del Tempo della mia infanzia, e di
camminare alla sua cadenza - l'unica appropriata là dove alcuni di
noi stanno andando?

Che ne so delle strade che partono dal punto della mia morte?
Sento il cuore battere prigioniero e rimestare le linfe del corpo. Lo
sguardo perduto sulla distesa del tempo non coglie alcun punto
d'arrivo, e il pensiero ha per alimento solo il vuoto delle stanze
proibite. Là dove non esiste più carne non ci sono ricordi né
immagini. Anche l'ebbrezza dei giorni più belli dovrà essere
dimenticata. I luoghi ignoti, che sono l'altra faccia del mondo, non
escono dall’ombra. E Dio continua a tacere.
Eppure mi sono levato, la fronte all'altezza del cielo e l'essere
per un breve istante all'altezza dell’uomo, senza vedere la strada
che non ha inizio né fine, nata da ceneri e fiamme. Ho
appuntamento nel paese senza nome e tutte le strade mi
conducono là, dove giungerò aggrappato alla mia passione
d’essere: forse l’unico bagaglio concesso a chi percorre il sentiero
dei morti. Però mi trattengono i luoghi che lascio: la terra è dolce
sotto i miei passi e qui, per un po', posso ancora sognare.
Morte, asilo obbligato di uomini, piante e animali, presente a
ogni istante e sempre dimenticata, perché mi sei così vicina in
questo chiaro giorno d'estate?

28
Fame troppo presto placata, nutrita dall’ermellino dei pensieri
innocenti troppo presto abbandonati al turbine che li annienta: un
prurito dell’intelletto irritato al quale m’identifico. Zittire l’uomo
che ciarla!
Ci riesce un battito d’ali, non fosse che di farfalla (la natura è
sovrana). Dal verde limone dell’anima - ancora sull’altro versante -
all’alcool del desiderio, percorro l’aspro sentiero e vado incontro
all’uomo fuorviato che ospito dentro di me, smarrito su itinerari
impossibili.
M’incenerisca un fulmine distruggendo la difesa che sono per
me stesso! Affinché finalmente io non sia più costretto a essere
sempre confuso con lui.

Equilibrio. Alleanza di energie diverse che affluiscono ai


confini della coscienza. Col respiro infuocato mi muovo nel
presente, fonte del mio potere e della mia impotenza.
Come posso resistere così a lungo separato dal mondo
cui talvolta mi accosto, restare nell’anticamera del risveglio
senza riuscire a varcarne realmente la soglia e vivere
contento, inchiodato al ricordo di un futuro mille volte vissuto?
Potrò presto mostrare il segno che ha bussato alle porte della
mia infanzia e che ho ritrovato dopo la lunga notte iniziata con
l’adolescenza? L’impazienza è passata dalle mie labbra al fuoco
che, pur acceso in tempi remoti, non si è mai smorzato. Per me è
ancora tempo di semina o è tempo di raccolto? Il cielo si espande
al tramonto nelle sere coronate di sforzi, e vi leggo scritto il mio
NOME che cancella le vane parole del linguaggio quotidiano.
E spio impaziente - ma è un’altra impazienza - il segno - ma è
un altro segno - iscritto in tutte le cose, il quale fa sì che ogni cosa
improvvisamente sia, e poi di colpo non sia più.
Cosa c’è dunque nel mondo della presenza che prima non c’era
e che fra poco non ci sarà più?

Queste note recenti rispecchiano il mio piacere di scrivere.


Ho ceduto alla tendenza gonfia di musica che stagna in me, mai
troppo lontana, e il mio sforzo interiore le ha dato una mano... E
mi chiedo se d’ora in poi sarà questo il mio nuovo linguaggio.

29
Avrò sacrificato l’essenziale al piacere delle immagini cui mi
sono più o meno abbandonato? Non credo. Al contrario, ho
volutamente deciso di esprimere, in maniera un poco diversa, una
certa forma di « conoscenza ». Le sonorità insolite e le costruzioni
inconsuete risvegliano risonanze e intrecciano complicità fra
sensazioni troppo spesso separate tra loro. Esprimersi nel solito
modo conduce a sentieri mille volte percorsi. Secondo questo
nuovo progetto le parole consuete servono solo ogni tanto come
punti di riferimento necessari a chi teme di perdersi. Così
L’impressione comunicata può dare origine a nuovi
collegamenti imposti dalla metafora, suscitando
contemporaneamente il piacere di sonorità inabituali e l’apertura
verso aspetti inespressi della ricerca.
La difficoltà consiste nel mantenere contemporaneamente la
presenza di entrambe le cose, nel far sì che il contenuto e la forma
non assumano a turno il ruolo di prima donna, né che la forma se
ne arroghi arbitrariamente il diritto una volta per sempre.
Potrebbe anche essere il mezzo più sicuro per esprimere
l’infinita varietà delle sensazioni suscitate da una ricerca ostinata.
(Non dico queste cose solo perché voglio giustificarmi).

Essere consapevole di ciò che faccio e del fatto che « io sto


facendo ».
Non scambiare per « io » Forma lasciata dall’esperienza vissuta
né il ricordo che ne rimane, io non può essere che la mia
coscienza. E la mia coscienza è come un volo d’uccello - un volo
d’uccello non lascia traccia nel cielo!...
Non essere più soltanto l’idea che ho di me stesso: un corpo,
una mente. A ogni istante il tempo si riempie di « ciò che succede
». E in « ciò che succede » c’è anche la certezza del fatto di essere
colui che fa. Si ripropone la domanda: e allora chi sono?
Sono forse lo stendardo alzato ogni mattina e ogni sera sull’asta
della vita, bianco al momento della nascita e poi, con l’andare del
tempo, ricoperto di tratti significativi, di simboli, di colori, di oro,
e che forse s’innalzerà virgineo, candeggiato dalle liscive dello
sforzo, nella sera dell’ultimo giorno?
Sono soltanto il bianco dello stendardo ottenuto con dolorose
abluzioni, la goccia di rugiada che si gloria dell’effimero splendore
donatole dal sole o, ben più semplicemente, ciò che « io SONO » si
sente essere?

30
Ogni mattina rinnovato come la sete, avido del profumo
d’essere, rinchiuso nelle mie costrizioni, dilaniato da forze
contrastanti, come costruire, a dispetto di tutto, il mio nido di
silenzio?
Un silenzio che non lascia traccia. Come un volo d’uccello sulla
pagina tersa del cielo.

31
II
Fogli sparsi del segno e del verbo

In quest’ultimo paio d’anni, per un pelo M. e io non abbiamo


lasciato entrambi il sentiero dei vivi. Sfiorando il limite al di là del
quale non c’è più ritorno, abbiamo ambedue soggiornato nei
luoghi dove soste infeconde mantengono il transumante fuori
dall’altro mondo, là dove la coscienza, malgrado lo sforzo di
arrivarci, resta assente.
Ora, tornati dall’esilio e ricaduti un’altra volta in balia della
persona, ci tocca portarne il peso di nuovo. Per quanto mi
riguarda, avverto lo spessore delle nubi che incombono sulla mia
vita. Ora che sono tornato dalle frontiere ritrovo le mie certezze
definitive. E dato che posseggo gli atti che insegnano, devo
impegnarmi a estinguere i sogni in cui troppo spesso mi crogiolo.
Come trasmettere l’ignoto che è in me, come gettare sulle
fertili terre della coscienza il seme delle impressioni che le
feconderanno? Oggi la vita non è più soltanto l’ornamento di ciò
che io sono nell’esistenza ordinaria, oggi la vita nell’insieme
diventa opera mentre nuovi strumenti, comparsi dal nulla, si
mettono al servizio del Pensiero permettendogli di utilizzare la
sostanza che ne è l’energia specifica, preparata clandestinamente
sin dall’adolescenza.
Chi oggi dentro di me saprà riconoscere l’istante in cui,
raggiunta finalmente l’età adulta dell’uomo, sarò in grado
d’integrarla al mio essere? L’istante nasce, passa in un lampo e
scompare, ma la sequenza ininterrotta degli istanti successivi dà la
sensazione di una realtà atemporale e di un silenzio moltiplicato in
cui l’atto volontario s’affila.
Eccomi arrivato davanti alla porta socchiusa.

A poco a poco il mio dominio si estende. Intorno alla coscienza si


costituisce una zona in cui la conoscenza si sviluppa e regna.

32
Anche la sensazione del corpo si estende, ma non sul piano fisico
come si potrebbe immaginare. Infatti questa sensazione sviluppa
nuove qualità, simili a quelle di un metallo magnetizzato o
radioattivo. Queste diverse qualità si precisano e diventano sempre
più evidenti al punto da costituire ormai nel loro insieme un «
nuovo corpo » che io definisco « corpo psichico » e che, tengo a
precisare, non va confuso con quelli che Gurdjieff chiamava «
corpi superiori »: secondo, terzo e quarto corpo. Il « corpo psichico
», secondo la mia terminologia, s’appropria pian piano degli
attributi della coscienza e in un certo senso diventa coscienza.
Perciò in esso viene a crearsi quella che potrebbe chiamarsi una «
nuova coscienza », una coscienza più elevata che, rispetto a quella
attuale, sta nello stesso rapporto del mio pensiero col pensiero
associativo.
Anche il « presente » è cambiato, come se l’acquisizione del
corpo psichico l’avesse fertilizzato. La « presenza » contiene in
gestazione le parole del Ricordo di sé, le sue energie sostanziali, e
si muove nel nuovo spazio preparato per lei dagli atti coscienti che
ormai sono divenuti possibili.
Oggi cammino libero e vittorioso, ignorando le rivolte del
peccatore smascherato, e al mattino del risveglio ritrovo i sortilegi
tardivi del mio paese natale. L’attenzione si leva, pronta all’opera
interiore, e cacciando il quotidiano s’attacca all’essenziale, a tutto
ciò che significa. E improvvisamente si svaluta ciò che prima era il
mio tesoro.
Saprò mai riconoscere i luoghi nei quali i miei valori sono
caduti in declino?

Ah, uscire dalla notte, incontrare Uomini, proiettare su di loro


la primavera della mia ricerca, far sì che possiamo precipitare
insieme nel crogiolo della conoscenza che ci viene messo davanti,
condividere le energie sottili della nuova coscienza, entrare nel
cerchio di silenzio che abbiamo sottratto insieme agli automatismi
ostinati... Essere condotto per mano quando l’intelletto finalmente
si rifiuta d’ingaggiare la lotta fratricida del quotidiano. Sentire che
improvvisamente « qualcosa » prolunga il pensiero e sopravvive a
ciò che s’è perso nella scia delle parole.
« Qualcosa » che si chiama coscienza.

33
La mia bocca, impaziente di parole nuove, si rifiuta di
descrivere le ombre sempre crescenti disseminate dalle parole sul
sentiero che quelle ombre prendono in prestito quando Torà del
grande naufragio, Torà in cui tutto sprofonderà nel grande silenzio
della morte, si profila già in lontananza.
Mi reco ogni giorno alla fonte di me stesso, e ci andrò fino
all’ultimo viaggio di andata e ritorno. Ma l’ultima andata non avrà
più ritorno: mi toccherà rimanere sul continente ignoto da cui non
si torna. E duro il viaggio quotidiano alle frontiere di quaggiù, al di
là delle quali nascono le anime in attesa dell’ assente.

Non confondere l’« istantaneo » e il « Presente ». Il presente


contiene, l’istantaneo esiste nell’istante; il presente include
l’istantaneo ogni volta che uno stato di coscienza risvegliato si
sostituisce al sonno ipnotico quotidiano; invece l’istantaneo si
esprime senza ritegno in ogni istante vissuto nel sonno.
Ogni volta che il presente riluce, l’istantaneo gli è interamente
sottomesso.
Quando è collegato alla presenza, l’uomo è finalmente capace
di fare.

Imparare a fermare la fuga continua del tempo, a rifiutare le


effervescenze dell’emozione e a reprimere le voglie del corpo: ecco
gli atti essenziali con cui l’uomo entra in conflitto con se stesso.
Ma se riesce ad aggiungervi il silenzio interiore delle funzioni,
l’uomo avverte una forza in profondità che gli assicura il potere
assoluto sull’ego.
Così si dispiegano gli atti in cui s’afferma la celebrazione del
Presente, accompagnata dal ritorno alle fonti dell’infanzia con
tutte le meraviglie di allora: un sentiero verso i luoghi in cui i
contrari si dissolvono.
Imparare a vivere Presente.

Imparare a VEDERE e non solo a guardare. L’attenzione


necessaria a vedere esige una qualità di presenza che, mantenuta
in continuità, le conferisce un acume diverso, e nello stesso tempo
conferisce all’impressione ricevuta un potere di penetrazione

34
maggiore. Vedere significa rendere omaggio alla luce. Senza luce
Porgano visivo non è in grado di percepire nulla. Ma nello stesso
tempo è impossibile non accorgersi che il fatto di « vedere »
sviluppa continuamente il potere d’identificazione.
Lo sforzo per VEDERE provoca - come ogni sforzo - una crescita
della qualità d’essere. In tal caso ciò che si vede rivela un’infinità
di sorgenti dalle quali scaturiscono impressioni mai viste né
immaginate, VEDERE è una delle componenti essenziali del
Presente, che ne risulta contemporaneamente dilatato in altre
dimensioni. Sorpresa! Quando tutto s’illumina cacciando le
tenebre del pensiero ordinario, io VEDO in questo mondo solo cose
morte, VEDERE, VEDERE le sfumature di bianco della neve che
ricopre il villaggio, ciascuna foriera di gioia; vedere il giorno che
si estende in un’orgia di fulgide ocre, VEDERE, VEDERE, è così
bello vedere!

Chi dice io? È importante distinguere l’io della condizione


identificata dall’io che sorge al momento del Ricordo di sé. io non
è soltanto corpo e intelletto, io è anche attenzione, è la coscienza
che ho di essere. Da dove viene questa attenzione, questa
coscienza capace di conoscere se stessa? Dov’è la sorgente? E il
vero io può fermare e usare ciò che esce dalla sorgente? Tutte
domande ancora senza risposta.
Chi dimentica sempre che io SONO e si tuffa nuovamente
nell’identificazione in cui non mi resta nemmeno il ricordo di
essere stato?
Finalmente potrò sentirmi risvegliato a quello stato d’essere in
cui il principio io SONO suscita esclusivamente la propria
sensazione di essere. « Io sono » non è né questo né quello, ma
soltanto ME, ME STESSO, l’io Tutto, l’Assoluto.
Rifiutare di sentirmi essere, ossia scartare ciò che in me si
percepisce, e al contempo collegarmi col principio della mia realtà,
assistere alla mia esistenza. Scoprire che la coscienza non è
generalmente legata al corpo, che ne è distinta e che ogni
impressione costituisce per lei un alimento, io SONO è il luogo in
cui dentro di me la coscienza si nutre. E dunque il corpo è solo un
organismo che serve a alimentare la coscienza, mentre la coscienza
è l’intermediaria tra il piano materiale - la terra - e i piani
superiori - divini.

35
È strano constatare che la sensazione d’essere, nata dentro di
noi, sorge, si manifesta e scompare dissolvendosi nella propria
origine, mentre nello stato di sonno abituale provo talora una
sensazione particolare che mi dà l’impressione di riuscire a
distinguere la natura della mia identificazione a tutto ciò che si
manifesta. In tal caso basta che m’interroghi profondamente per
rendermi conto d’ignorare tutto dell’io che appare in me. E forse
l’io abituato a fare tutto automaticamente, è l’io dell’io SONO della
coscienza, è l’io dell’essere fisico destinato a sparire?
Come diventare cosciente di tutto ciò che esiste: dell’aria, dello
spazio, della terra, della luce e di tutto ciò che unisce i mondi
visibili e invisibili? Come spegnere il desiderio di prolungare al
massimo il privilegio d’esistere e, dopo averne eliminato il potere,
non aver più paura della morte?
Affinché la sensazione di esistere - e anche di essere - diventi la
regola d’oro, dovrò dimenticare le idee e i concetti per stabilirmi
definitivamente nell’essere.
Si, dovrò dimenticare il corpo e lasciare che le forze sottili, di
cui il corpo è il supporto e si nutre, scelgano la loro strada. Il
chicco è stato seminato, chissà se germoglierà. Ma qualsiasi sia la
sorte riservata al contenuto di questo corpo che porta il mio nome,
il germe d’essere che io contengo non può tradire la sua promessa.

L’istante non può essere eterno, ma ogni istante contiene una


frazione d’eternità. Con ciò voglio dire che in ogni istante la
coscienza risvegliata dovrebbe poter percepire un certo gusto
d’eternità. Oppure gli istanti che vivo - effimeri - devono
comparire uno dopo l’altro davanti alla coscienza - eterna - per
acquisire un certo gusto d’eternità?
L’istante cosciente è quello in cui tutto viene messo da parte: la
persona - l’ego -, le manifestazioni mentali, i moti del sentimento.
Allora regna la nuova coscienza.

Quando potrò smettere finalmente d’alimentare l’ego


insaziabile, ossia smettere di ricadere nel mondo degli
automatismi che lo nutre e che ne è la dimora? Per questo devono
dissolversi nel nulla - o nell’Assoluto - le idee, i concetti, tutte le
cose imposte dall’educazione, dai parenti e dalle impressioni
ricevute meccanicamente, e devo diventare conscio del fatto che,

36
attraverso la vita ordinaria, continuo ad alimentare il movente
dell’identificazione.
Il ricordo di sé e il sonno profondo sono i due stati mediante i
quali sarà possibile provocare il risveglio e vivere collegato alla
coscienza. Tramite un sentiero che ignoro devo ancora riuscire a
penetrare nel sonno profondo.

Il Risveglio... Cos’è dunque il Risveglio? Dato che in noi tutto è


già pienamente sviluppato - come ha detto Gurdjieff prima e dopo
molti altri – l’uomo non ha niente da FARE se non aprire e
mantenere aperta la via in cui passano le energie che, unite a
quelle contenute nell’uomo, andranno a nutrire i livelli superiori
in cui si manifesta la vita del suo Essere. Questo è un vero LAVORO
su di sé.
Quindi per l’Uomo il solo atto possibile è quello di contribuire
a ritrovare il legame che lo unisce a se stesso, a ciò ch’egli è
veramente. Perché questo legame s’è rotto? E qual era il contenuto
dell’Uomo prima della rottura? Domande che, per la stragrande
maggioranza degli uomini, restano senza risposta. Ma sono anche
le domande essenziali che molti si pongono.
E come non porsele!

Cerco l’origine della vita dentro di me. Alla nascita « qualcosa »


era già legato all’io SONO. Oggi che sono quasi arrivato al termine
della vita terrestre, riuscirò a sentire ciò che ha provocato e
accompagnato la mia crescita? Come mai sono passato dall’infanzia
all’età adulta senza pormi seriamente questa domanda?
Questa origine molti la chiamano AMORE. E l’amore che in me
collega le forze vitali da cui sono animato. Sì, è certamente l’amore
a sgorgare da quella fonte che io chiamo VITA. Come essere UNO
con lei senza identificarmi al suo contenuto? E possibile sostituire
l’attrazione psicosomatica che ho provato tante volte per una
donna - e che tutti chiamano Amore - con il legame che M. e io
abbiamo in comune e che ci guida verso la stessa ricerca della vita?
Avrei dovuto respingere ogni tentazione del corpo prima che se ne
incaricasse l’età? Era questo il prezzo da pagare per accedere a un
livello in cui Tessere potesse sbarazzarsi definitivamente
dell’identificazione? Probabilmente sì.
Oggi, aperto agli istanti di luce che mi sono concessi, devo

37
lasciar cadere l’attaccamento alle cose, appannaggio dell’uomo
identificato che ancora sono troppo spesso, amare soltanto ciò che
viene dalla coscienza e, respingendo l’ignoranza, ultimo ostacolo
all’unione dell’uomo col Tutto, sforzarmi di emergere dall’essere al
non-essere. Convincermi che la coscienza non mi sarà accessibile
e non potrà essere mantenuta per un tempo sostanziale se non
nella misura in cui saprò riconoscere il suo legame con le forze
vitali del corpo, di cui la coscienza è strettamente tributaria. E
ricordarmi che io SONO.

L’essenziale non è conoscere, ma essere. Allora perché fare un


lavoro che si limita a sviluppare la conoscenza? Lo sforzo per
essere è una penetrazione costante nell’io SONO. Non fare - nel
senso ordinario della parola -, sentirsi essere e affermare il proprio
ESSERE: ecco Tunica Via che conduce alla Meta.

Sono distinto da ciò che osservo: ad esempio, ogni volta che mi


sento respirare sono distinto dalla respirazione, ma posso
contemporaneamente avvertirne la forza vitale. Praticare questa
sensazione richiamandola continuamente sviluppa la forza vitale,
di cui la coscienza libera il combustibile rendendolo utilizzabile.
L’attenzione liberata da questa dissociazione contribuisce a
mantenere attivi gli strumenti psichici utilizzati dal Lavoro, e
questa attività genera forze che presto diventano trasformatrici,
capaci di riportare alla coscienza l’insieme dei livelli che per il
momento mi costituiscono.

Talvolta ho l’impressione di aver ricevuto alcune chiavi, ma


non so quali porte aprano. Inoltre mi chiedo: da quale mondo sono
venuto? Chi sono? La ricerca perde ogni senso se continuo a
ignorarne questi due poli essenziali. Eppure non posso dimenticare
che non mi conosco, che esisto senza ricordare che « io sono ». E
mai possibile tollerare una situazione del genere?
Per uscirne ho bisogno di sviluppare contemporaneamente il

38
sapere e l’essere, onde raggiungere la comprensione che è il vero
sapere dell'essere. La ricerca è dunque in definitiva una scienza
dell'essere che tenderebbe a considerarmi - nel mio piccolo - quale
fonte di conoscenza e arbitro dei valori che mi vengono proposti.
Questo vuol forse dire che nelle circostanze ordinarie la finestra si
aprirà solo sull’altro, mentre il mio proposito era quello di vederla
aperta su me stesso? Gli occhi aperti contemplano gli occhi chiusi
dell’assenza.
E il verbo illumina un viso in fiamme.

Essere il momento di una menzogna smascherata da


un’evidenza schiacciante; il pensiero fustiga il caos in cui
imputridisco, un caos che ha il gusto del sapere dimenticato...
Tuttavia il giardino della vita, spazzato dal vento, mi offre riparo:
veleno assopito emerso da vecchie messi perdute, come vincere
l’aroma venuto su dalle notti in cui la rosa è sovrana? Inchiodato
alle chimere io cerco. Ma cosa cerco? Perduto nelle mie
incertezze, so esclusivamente che non so cosa cerco.
Eppure ogni giorno io trovo, perché ogni giorno sono
mantenuto in una certa continuità delle funzioni ordinarie o
superiori. E allora come uscirne? Il labirinto è murato!

39
III
Conservare il ricordo

Sembra delinearsi un progresso nella linea di lavoro che tento di


elaborare a beneficio dei Gruppi di cui ho la responsabilità. Per i
partecipanti che hanno più anzianità il tempo dell’osservazione
passiva è finito, com’è finita l’attesa di risultati costruiti sul-
l’associativo o sull’immaginazione.
I più vecchi adesso sperano altro.
In questi ultimi tre anni, dopo la morte di A., mi sono sforzato
d’infondere coraggio e ho abbozzato un quadro esauriente del
Lavoro per stimolare la nostra parte che cerca e che ha fame.
Talvolta ho l’impressione d’esserci riuscito fin troppo: nei migliori
l’attesa è diventata impaziente mentre altri, in compenso,
abbandonano. Eccomi dunque con le spalle al muro, costretto a
cavare dal mio sforzo di che nutrire i più affamati. E il progresso
che si delinea va nella direzione di un impegno più preciso verso
un lavoro interiore pratico, concreto, meno dipendente dagli
strumenti psichici più sviluppati.
Ciò suppone un ricorso costante al contenuto interiore del
materiale fornito da G., spesso non colto o ancora inaccessibile. E
proprio questo il passo avanti che dobbiamo compiere insieme:
vincere la paura che ci coglie davanti al mondo di forze
inutilizzate apparso di colpo, superare la nostra indegnità davanti
alla sua grandezza e accettare la sfida lanciata dal nuovo mondo
senza commettere il peccato d’orgoglio che rischia di risultarne.
Un passo già carico di conseguenze.

Quanti giorni sopravvivrà ancora la nostra fedele compagna di


Lavoro che, paralizzata e immersa in un coma profondo da più di
dieci settimane senz’alcuna speranza di riprendere coscienza, è
mantenuta « in vita » da mezzi artificiali?
In quale dilemma si è cacciata la scienza medica, lacerata tra

40
una logica elementare che esige il rispetto di certe evidenze e
un’etica cui si sente inesorabilmente legata!
Ho la profonda certezza che in questo modo Tessere umano
venga messo in una situazione intollerabile, diviso fra due mondi e
costretto a restare in un universo di sofferenze ormai inabitabile,
senza avere la possibilità di approdare sull’altra riva dove forse
qualcosa di lui è chiamato a sopravvivere.
Se quest’ipotesi venisse presa in considerazione, in virtù della
medesima etica sarebbe inammissibile favorire una situazione del
genere. Ma ovviamente la scienza medica non può accontentarsi
di un’ipotesi che ai propri occhi è comunque inverificabile. Perciò
il dilemma rimane.
Detto questo, autorizzo solennemente i depositari della scienza
medica che si trovassero un giorno a dover decidere la stessa cosa
nei miei confronti a staccare le « macchine per sopravvivere » -
dopo essersi naturalmente assicurati che nessun ritorno è possibile
- e a lasciarmi proseguire liberamente per la mia strada.
Se questo dovesse avvenire, dispenso da qualunque rimorso
coloro che, familiari o amici, dovessero sentirne anche solo il più
pallido indizio.

Cercatori di verità! Quante alleanze abbiamo tentato, quante


domande abbiamo fatto, per quanti anni siamo andati soltanto alla
ricerca dei nostri sogni? I materiali del nostro lavoro erano simili a
offerte di cibo deposte nelle camere funerarie... cerimonie gratuite
allietate da sacrifici umani, sforzi infestati di ciarpame mentale,
errori grossolani e semi di una crescita morta sul nascere...
Ma vengono improvvisamente alla luce le forze del Gran
Tempio e noi sentiamo nascere l’autorità conferitaci dal privilegio
d’essere nati. Chi eravamo, chi non eravamo? Di colpo la spessa
polvere del sapere viene spazzata via e un’energia nuda penetra
nell’intimità dell’essere cancellando le menzogne, i dubbi e
l’impazienza. Allora ci raddrizziamo. D’improvviso tutto viene
dall’alto e i valori, invertendosi, investono i nostri desideri e le
nostre intelligenze. Un altro mondo si presenta... Pasceremo
finalmente il fumo per l’arrosto?
La prova che il miele è dolce sta nella bocca e non nel miele!

41
I viali del giardino conservano il ricordo dell’estate. La mia
ricerca di cieli tersi e di mari limpidi non si è interrotta. Medi-
terraneo, che tante volte ho sorvolato in questi ultimi dodici mesi
senz’averne mai sentito la carezza nemmeno una volta!
Gusto di mare, gusto di carne, stagione di vendemmia, sapore di
vino nuovo su labbra amate, dolcezza di fine settembre dai sentori
di frutti maturi, calore della sabbia, ricordi del deserto ocra di
Giseh: non ho ancora lasciato l’ardente stagione cominciata alle
soglie dell’Amazzonia più di otto mesi fa.
La stretta dell’estate minaccia il Dio Forte della mia preghiera.
Dio Santo, Dio Immortale, sarete presenti sulle rive dell’autunno,
benché per ora siate tenuti lontani dalla stagione-regina che si
attarda?

Poca gente conduce una vera ricerca; molti di coloro che


sembrano farla chiamano così un’acuta curiosità verso le
innumerevoli domande senza risposta che ci pone la vita. A lungo
andare la curiosità non può sostituire l’impulso. Per mantenere lo
sforzo del lavoro su di sé a un giusto livello occorre una
determinazione ben altrimenti attiva.
E approdare un giorno al di là di se stessi, là dove termina la
coltre di tenebre che ce ne separa, dove agiscono le forze al lavoro
promesse da sempre, là dove c’è la nostra dimora, luogo di vette
frementi sinora sfiorate soltanto dai nostri sogni. Alba, quest’oggi,
di una ricerca maturata da tanti autunni fecondi... Di una ricerca
che non vuol più mentire!

Finalmente libera, Catherine è partita l’ultima sera di


settembre. L’ingiusta catena che la legava al nostro mondo s’è
rotta. Niente la trattiene più sulla nuova strada che la morte le ha
aperto.
In noi, immobili per un’ora al suo capezzale, ciò che per
qualche tempo resta ancora di lei paralizza le stesse forze di cui si
nutriva la sua vita terrestre, e libera per un momento quelle di cui,
forse altrove, lei ora vive. Io le percepisco, distinte da quelle che
mi animano negli sforzi migliori, come il messaggio venuto dal
mondo verso cui Catherine si dirige, un mondo che soltanto le
incandescenze, accese per un brevissimo istante nella mia vita
interiore sconvolta, possono captare.

42
Ma su questo, per chiunque altro ad eccezione di me, le mie
labbra di essere vivente resteranno ben sigillate.

Ascolto alcune forze, risvegliate dallo sforzo, vivere nel


silenzio, e cerco di seguire il sottile tracciato di un pensiero
diverso: segni d’un sonno momentaneamente sospeso.
Vibrante come carne sfiorata dalla carezza di un bacio, un
punto nasce alla base della fronte tra gli occhi e s’accende:
trasparenza dell’argilla umana, arcobaleno fra due mondi, luogo
d’asilo e dolcezza. Piovono musiche venute da fonti celesti, aleggia
un sospiro che scende dal punto della fronte al cavo vivente del
ventre.
E giunta l’ora di sfuggire per sempre ai grandi movimenti
dell’essere verso l’azione che ne consacra l’indegno connubio.

La « presenza » è tornata allo spirar della sera, quando ho


smesso di sognare spazi dai colori del cielo. E sono entrato dalla
frontiera aperta, libero dalle mie solite servitù.
Con lunghi spasimi, respingendo la schiuma dei pensieri
meccanici, l’essere si è pian piano levato popolando la presenza del
suo alfabeto di conoscenze. Certi riti ben noti, unendo alle
dolcezze del crepuscolo dai riflessi ramati il profumo dolciastro
degli oboli quotidianamente richiesti dal mondo abituale, hanno
cercato invano di riprendere potere.
Ma ben presto li ho visti rimpicciolire e sparire all’orizzonte.
E senz’altri indugi è cominciata l’Opera.

Spiare nel futuro ciò di cui sarà fatto il presente.


E agire di conseguenza.

La morte di Catherine mi ha risvegliato le impressioni dolorose


che ho vissuto insieme a lei quando A. ci ha lasciati. Com’era
vicina Catherine a ciò che A. stava attraversando! Si sentiva già
sulla stessa strada? Presentiva che un tratto relativamente breve le
separava?
Oggi avverto il fremito che ci abitava entrambi quando, coi
nostri compagni più stretti, cercavamo di afferrare un presente

43
che aveva i colori del crepuscolo. I nostri cuori erano presi dalla
stessa angoscia e noi percepivamo insieme, senza parlare, i passi
sovrani della morte che si avvicinava pian piano. Ci bastava uno
sguardo per comunicarci le paure del domani e per sapere che la
stessa determinazione ci avrebbe permesso di superarle. Poi,
quando tutto è finito, quando ci è toccato radunare le briciole di
conoscenza che avevamo ricevuto e raccogliere la fiaccola per
riprendere la marcia, Catherine è stata la prima e la più decisa in
quest’opera indispensabile. Fino al suo ultimo giorno di lucidità.
D’ora in poi Catherine, entrata nell’al di là attraverso una
nascita nuova, non sarà per me che silenzio. E assenza dolorosa,
infinitamente.
La sua affettuosa presenza al mio fianco non è mai venuta
meno... Quante volte il richiamo spietato di ciò che lei s’attendeva
da me - e che grazie a lei ho compiuto - mi ha scosso e rimesso in
carreggiata! Che il suo regno splenda in una grande apoteosi di
luce! La sua tomba non occulterà il riflesso luminoso che già il suo
volto emanava sul letto di morte.
Come una presenza immutabile presso il freddo marmo
tombale.

« A ben pochi uomini è dato... d’invecchiare senza diventare


mai vecchi... »
« Essere presenti nel cuore di una generazione da cui più di
mezzo secolo ci separa: chi non sogna una grazia del genere? »
Come vorrei che queste poche righe, scritte da un grande
giornalista per la morte di Raymond Aron, valessero anche per
me! Fatte le debite proporzioni, ovviamente.

Esplorare la notte. La notte in cui brillano forze che mi


superano. In che lingua raccontarne l’essenza? Una lingua che
talvolta m’è dato di usare, ma espressa ancor meglio dal mutismo
in cui sprofondo al momento di utilizzarla. Migliore dell’alito
profumato della menzogna che si respira nelle strade in cui
s’affrettano gli uomini...
In me anche la presenza respira, s’eleva, s’abbassa, lenta origine da
cui traggo la forza d’essere, ingigantita dall’estate straordinaria che
ho vissuto quest’anno. Ma già l’autunno, stagione triste, comincia
a prodigare albe più dolci, come dalle labbra socchiuse esce più

44
dolce il respiro nelle pigre ore della sera. L'autunno è solitudine,
ed è anche dolcezza nel tiepido letto delle mattine oziose, quando
le nostre fronti s'animano in mezzo agli occhi e si riempiono
d'amore! L'amore, fiume dalla scia luminosa sul quale gli Dèi,
invocati nel momento della felicità, naufragano ormai più
rapidamente...
Autunno senza fretta da cui attingere il tempo di vincere le
potenze del sonno: sorgono due forze che bisogna condurre al più
presto alle nozze dell'istante! Perduto ogni ricordo e rinnegato
ogni attaccamento, attraversare le stagioni morte, marciare fra gli
ostacoli verso la pienezza delle forze, assaporare la primizia del
loro dilagare improvviso...

Il presente germoglia come un increato apparso di colpo e,


splendendo sulla notte delle parole, conduce alla scintilla in cui, a
ogni pulsazione cardiaca, l'istante muore.
Allora mi viene un grande coraggio. La via conduce all’assoluto
senza prove, là dove si prepara una vittoria giammai contestata.
Divenire, divenire! Sotto l’oscura nube del tempo quotidiano
spio i fertili domani nei quali il diamante della vita farà scintillare
altre facce. Ascoltare il grido delle forze che invadono il sangue,
ignorare il diluvio di pensieri pellegrini che mi si riversano
addosso, la scala infinita del sogno, il desiderio di desideri più
fermi...
Oggi ho stretto alleanza con l'insperato aprendomi con mano
nuova la strada...

Benché il mio essere sia più vasto di tutta la terra, io ne occupo


solo un’infima parte. Risalire alle fonti da cui sgorgano i caldi flutti
della vita...
Procedere lungo la stretta riva che mi porta alle altezze del
Sacro. Spiare, camminare a piedi nudi sul sentiero, non conoscere
riposo senza avere ottenuto risposta...
O dolore della spiga, martirio del grano, sofferenza del pane
che subisce l'ardore delle pietre sbiancate... Sarò sulla soglia del
regno - grande più della terra - cui mi conducono le molteplici
strade che sboccano sulla Via?

45
La mia vita è un frutto
Cresciuto su un albero, posto sull'orlo di un abisso,
Che ha già fatto il suo tempo.
I pensieri ne sono la polpa, nutrita dalla pioggia delle parole,
E l’attenzione il sapore quando, nelle ore dello sforzo più
[duro, si desta l'istante.
Frutto marchiato dal sigillo regale, dove ogni giorno s'affila
[lo scettro del mio potere.
Nell'orto che sta accanto al Tempio il tronco mi tende i suoi
[rami...
E il frutto, pian piano, matura.
A ponente i rossi e i violetti del cielo si espandono nello spazio
crepuscolare infuocato. Sarà così l'ultima sera della morte? Prima
che l’ombra inghiotta l'uomo di carne la coscienza diverrà
incandescente? Splenderanno i colori dell’ocra, i verdi, i riflessi di
smeraldo e ossidiana, prima che, curvo sotto il peso delle mie
colpe, ciò che resta dell'uomo che sono discenda gli ultimi gradini
mortali?
Quante albe mi hanno donato solamente oscurità!... Quanto
miele sprecato a sognare in questa dimora senza nome che dovrò
presto lasciare! Scende la notte, e non sa nulla della morte che io
già non sappia. Avrò allargato abbastanza il campo della mia vita?
Avrò tenuto fermo il dialogo con Dio? Nelle lodi altisonanti che
innalzo alla vita s’insinua invariabilmente l'amore. Ne sarò
perdonato? È senz’altro venuto il momento di precisare i miei atti.
A ponente si spengono i rossi e i violetti, s'estinguono l’ocra e
l'opale. L'ombra avanza, ma nei luoghi che presto sarò costretto a
lasciare devo ancora aprirmi la strada.
E marciarvi con passo sovrano.

Dove trovare il segreto delle origini? Esiste da qualche parte


una fonte inesauribile d’energia in grado di farsi materia? E, per
comodità, se ne sono riassunte le diverse implicazioni in una
parola - DIO - che dice tutto e non dice niente?

Sarò l’albero che produrrà nuovi frutti?


Nasce un mondo sotto i miei passi, un mondo nel quale
s'iscrivono atti mai compiuti finora.

46
L’acqua del cielo si unisce al mio pane, e ne traggo la forza di
spingere sulla via la mia bestia tremante. La maturazione
ricomincia di nuovo, ricca di ombre e silenzi; sento crescere le
forze di una nuova età del mio essere. Erigere contro il tempo il
bastione della mia pigrizia incoercibile!...
Ma troppe insidie si levano ancora, e si perdono nelle frange
del desiderio o scoppiano in brandelli di parole.
Poi di colpo ogni cosa mi è nuova...

E domani, ancora una volta, mi toccherà effettuare questo


infame passaggio di sonno, lasciare le terre di quaggiù per quel
deserto dell’anima, quel sentiero improvvisamente interrotto che
si sa d’aver perso solo quando lo si è ritrovato.
Abisso dilatato di quella cosa che in me non ha nome, iato
peggiore dell’assenza: una morte che non è una morte, una vita
orbata della sua fine. Iato imposto al corso degli eventi, spazio
abolito tra me e il nulla; in confronto morire non è ancora « es- -
sere »?
Domani, per un istante, dovrò abbandonare il tripudio di
vivere, e nemmeno la dolcezza del sonno mi verrà forse concessa.
Costretto all’offerta di un po’ del mio tempo - un tempo che non
sarà vissuto né occupato dai sogni - e fino alla morte, mi troverò
all’opposto del mondo, schiacciato sotto il peso del nulla,
incosciente dell’ora nuova portatrice di attese...
Ma in seguito, forse, non avrò mai più l’oscuro tormento di
vivere...

L’apprensione che mi portavo dentro, suscitata da un’anestesia


molto sofferta di tanti anni fa, era ingiustificata. Stavolta è stata
solo una parentesi nel flusso del tempo, come un sogno notturno
in cui il corpo riposa... Una parentesi chiusa su un’ombra chiara
che lentamente mi ha invaso. Poi, d’improvviso, la speranza è
tornata.
Come trovo pesante e insopportabile l’atteggiamento del
personale sanitario - e dei medici in primo luogo - che consiste
nello svolgere la propria mansione ipercoscienziosamente, senza
mai prestare al malato una briciola di vera attenzione! Nessuno si
prende la briga di considerare il paziente un essere umano e

47
di ascoltarlo! Eppure di questo il paziente ha bisogno, forse non
meno delle cure che gli vengono generalmente prodigate con
abnegazione. Tutto viene fatto soltanto per la malattia e per la
terapia di cui Tessere umano è considerato - inconsciamente -
nient’altro che il supporto. E con ciò ogni dovere è assolto.
Senz’altro anche i medici e i paramedici rinnegheranno questo
atteggiamento, ma ben pochi sanno esserne immuni, tanto esso è
radicato nel personaggio del medico che si è formato nel corso
d’innumerevoli generazioni e che l’attuale scienza « evoluta » non
manca di rafforzare ancor più.
In questo secolo tumultuoso tutti pensano solo a parlare e
nessuno più vuole ascoltare... Se ne sarà accorta la gente? E il caso
di ridare un posto d’onore al sacramento della confessione: infatti
il confessionale è uno degli ultimi posti dove sanno ascoltare!
Talvolta ascoltare diventa vita e sostanza se risponde
all’esigenza di chi ha bisogno.

Terra d’Italia sorvolata in angoscia sul versante dell’anno che


muore, per me terra dolce da coltivare! Ogni aurora s’arricchisce
delle opere proposte quando, per qualche momento, si fanno da
parte le follie quotidiane cui ciascuno che mi ascolta è assuefatto.
Sussulta il sapere che soffoca l’intelligenza : ancora una volta
ho visto il sonno sparire dagli occhi e aprirsi la fonte che mi
elargisce la grazia di una domanda. E, ritto sull’uscio, ho cercato di
aprire la porta dalla quale i miei ascoltatori desideravano entrare.
Ma non ho potuto evitare il turbine delle migrazioni, il cui
segno invincibile è la millesima che sta per venire. E ho pagato!
Ho pagato per tutto il bene che ho ricevuto, ho pagato per tutti i
doni, ancora più cari perché donati e perché fatti con amore...
Ho pagato... Nessuno saprà mai quanto ho pagato!

Il mondo moderno sta diventando un incubo ogni giorno di


più, e viene davvero da chiedersi come e quando sarà possibile
uscirne.
Un incubo, ahimè, subito anche dagli uomini rari che, per
qualche momento, si sono parzialmente svegliati.

48
Nell’ora strana che segue il tramonto il cielo si apre e si abbassa.
L’impressione della notte che sta per venire proietta le sue quattro
dimensioni sulla tavola piatta di ciò che in me la riceve e ne trae
nutrimento unendola alla mia verticalità improvvisa.
Silenzio nello spazio infinito dove l’essere diventa più grande.
Punto fisso nell’eternità... La linfa primordiale concentra le
proprie sostanze e continua lentamente a maturare. L’ombra della
gravitazione s’attenua. Da una riva all’altra del cielo la notte
vestita di scuro conserva la sua chiarezza, in realtà mai estinta. La
mia « presenza » è come uno specchio la cui chiarezza, in realtà
mai estinta anche nel sonno più nero, ne moltiplica l’estensione!

Essere amato d’un amore di donna... Uno vero (ché molti son
«cerebrali»). Prodigio di bocca avida portatrice di gioia in azione. E
le mani vibranti, e i gesti che sono come offerte, e altri gesti in
risposta dal tocco di seta!...
Amore di donna, più lieve che bruma d’autunno, più dolce del
seme gettato al gran vento dell’equinozio, latte di tenerezza
profuso da seni sfiorati da tenui carezze. Le tue mani nelle mie
ricevono il presagio... Al riparo del nostro comune silenzio, vieni a
dormire il mio sonno, dammi il tuo sapore di donna. Le tue
palpebre, sgualcite dal tocco di umide labbra ostinate, nascondono
occhi felici; e fiato a fiato vivremo, ascoltando l’istante che nasce
profumato dall’effluvio infuocato d’amore che il tuo alito
accende...
Solo l’attimo di Presenza può, in eguale misura, riempirmi la
vita.

Neve, dopo Natale; la mia mente l’attraversa e fugge alle rive


mediterranee da cui, poco fa, sono tornato. Nevica sulle alture
boscose, sulle cime lontane; e nevica anche sulla mia presenza, e la
soffoca...
E nevichi allora su tutta la terra, affinché le infinite catene di
cui gli uomini portano il peso vengano usate per le ruote delle loro
irrinunciabili auto!
Uomini senza catene su una terra senz’odio? Ahimè, è un sogno
su cui pure cade la neve, e l’inghiotte.

49
La Presenza viene al potere come acqua di fonte che sgorga sul
fianco della montagna, unendo le forze dell’altra sponda a quelle
di questa sponda impietosa.
Ieri, le feste intristite da ripetute orazioni, le mille luci
improvvisamente accese delle città, domani V odore forte e
dolciastro del futuro... Tetro corteo di sogni incompiuti, i Magi
sono ripartiti verso la Mesopotamia. Si spegne l’incenso, l’oro sale
nel corso dei cambi tenuti nei suoi templi chiassosi, la mirra è
sempre più rara nei paesi dell’abbondanza: tutte cose che un
tempo regnavano sopra l’assenza.
Incandescenza dell’idea, sentinella del Presente che mai non
diserta l’oriente del risveglio, là dove a ogni ora mi trovo per
chiudere una parentesi sul mondo delle spiegazioni. Là dove
germina il seme delle parole.
E scopro un piacere improvviso/nel colore del tempo nuovo.

« Per quanto lontano portiate un asino, foss’anche alla Mecca,


al ritorno sarà sempre un asino. »
Proverbio turco

Un proverbio che il mio impegno mi costringe a non


dimenticare.

Passato il Natale, bisognerà presto rivolgere lo sguardo alla


strada che da poco la morte ha percorso: un sentiero sul quale, con
la bocca che forse ancora ricorda gli antichi sapori e con gli occhi
chiusi su antiche lodi, camminano A. e, poco più indietro,
Catherine, pronte per nascite nuove.
Noi che ancora vaghiamo sulla soglia della morte mentre sono
appena svanite le leggende che ci hanno cullato l’infanzia, noi non
possiamo pensare che ciò che amavamo - e che forse ben presto
saremo - si riduca a quel pugno di cenere che giace in fondo alla
tomba. Dove sono passate le vostre ombre? A che punto della
transumanza divina siete arrivate? Avete raggiunto l’estuario dove
tutte le cose si fondono, il paese in cui le sacre funzioni sono tutte
ormai celebrate e che sta lì ad aspettarci, ad aspettare noi che
abbiamo pazienza, e fiducia, e perseveranza?...
Ma, passato il Natale, rientrano i nostri ricordi, e presto saremo
di nuovo costretti a scordarvi ogni tanto, e a pagare per i nostri

50
atti, per i frutti che abbiamo ricevuto e per tutti i sentieri battuti
dai nostri passi. Bisognerà riscoprire le forze che fanno maturare,
riconoscere il gusto che A. vi ha lasciato, deporre le maschere
e preparare opere d’uomo, se ancora ne è il tempo.

Le mie idee vorticano come il fuso delle nebulose. Fatte di


tempo, di materia e di forze, aizzate dagli ammassi di eventi
ancora celati negli insondabili archivi del futuro, esse scorrono
una dopo l’altra con la dolcezza d’un frutto maturo.
E le contiene la mente, come l’acqua le sponde di un fiume. Ma
in me ogni cosa che ha senso urta subito l’irrazionale stringendo
alleanza. Talvolta ne sgorga un purissimo canto che ascolto rapito:
ma non sempre ne rivelo la sostanza ad alta voce. E in esso mi
riconosco, mi fondo in un solo respiro. Allora il pensiero accresce
la sua densità. E io mi preparo all’impresa di essere.
Finalmente silenzio sulle mie labbra di uomo vivente. La
folgore del ricordo di sé mi riporta sulla via delle forze più vere.
Sento lievitare le sostanze da cui nascono gli istanti di presenza
più puri. Affiorano i fondali della coscienza ricacciando all’in-
dietro i rossori maliziosi dei pensieri associativi...
E sugli ultimi brontolii di tuono dell’automatismo
Si chiude lo spazio che separa due mondi.

Quali attimi puri mi vengono in mente nella sera di un anno


che sta per finire: la nascita di un potere, la prerogativa dell’atto
volontario sul diritto d’anzianità del voler-fare, la grandezza
dell’impegno, talvolta solo apparente?...
Segni pervenuti dagli abissi dell’Eternità a chi porta un’infima
parte del fardello dell’Umanità!

Dimmi, o mio Io improvvisamente destato, perché la sorgente è


in grado di aprirsi così agevolmente la strada in mezzo alle torme
dei pensieri? Dimmi, come posso seguirla alle soglie dell’ellisse
arrogante che si genera dalla Coscienza e su cui errano i sogni e le
brame? Dimmelo, per poter essere Io la Sorgente, Io l’ellisse e Io la
Coscienza.

51
Scoprendo Tessere nella sua essenza, ma privo di volto, il seme
è gravido di nuovi momenti. Umile, oscuro, mi presento alle porte
socchiuse della presenza umana, là dove nessuna frontiera può
fermare l’uomo deciso e armato del ricordo di ciò che ha amato.
Le nevi sono finite, un grigio chiarore mi riposa lo sguardo,
sulla terra le cose ordinarie sono prive di senso. Smetterò
finalmente di recitare le mie parti sulla soglia dei santuari?
Deporrò le maschere e i drappi di cui nobilmente mi sono
ammantato, ancora macchiati dal sangue degli altri?...
La presenza si attarda, vecchi sogni si sbrecciano al colmo di
muraglie crollanti, le opere sussultano all’orlo di un mondo che
nasce - e rinasce incessante.
Poco fa ho incontrato la fine del mondo.

Cronaca delle mie nostalgie... di quelle più inafferrabili e


continuamente elusive: non trovo parole per descriverle!
Ma, dopotutto, che importa se non riesco a rendere
esattamente l’idea di ciò che popola il mio universo quotidiano!

Per liberarsi di una civiltà industriale di cui non ha saputo


guidare l’evoluzione, l’uomo occidentale dovrà ritrovare il
contatto con la terra e camminarci su a piedi nudi così da subirne
il magnetismo intatto?
Dovrà cambiare strada e, in risposta alle antiche migrazioni dei
pellegrini asiatici, riscoprire, camminando su vari strati di ruderi, i
presagi delle terre d’Oriente? Il fallimento dei pragmatismi, degli
intellettualismi e dei materialismi distruttori l’obbligherà a
ritrovare in se stesso l’altra parte del destino, finora ignorato,
dell’uomo?
Meditare sull’uomo atemporale non esclude l’azione da cui
forse dipendono le sorti dell’umanità.
Ma oggi esistono uomini capaci di mantenere l’umanità
aderente alla storia e di salvaguardare al contempo la grandezza
dell’uomo?

Risveglio.
Ho visto le mie labbra sorridere nello specchio festoso del

52
primo mattino che in sé porta il seme del giorno nascente. Si
delinea la curva dell’ora, tesa verso l’azzurro del mezzogiorno che
regna sulle paludi. Di quali messi sarà cosparso il mio suolo
stasera? I miei passi risalgono all’infanzia mentre scendono verso
la dispersione le promesse ripetute fino alla noia. E intanto
stridono le catene del sapere.
Poi il nuovo germe inizia la crescita e io vedo aprirsi la notte.
Cercatore di sentieri, salgo fin dove riesco a salire. L’ombra di atti
nuovi si profila davanti al futuro. Ma anche la carne si sgretola
sulle asperità del tempo; questa massa sospetta di ossa e di sangue
in cui riposa la mia speranza lascia trasparire la stanchezza; la vita
è ormai giunta alla fine? Ogni singola chiarezza è tradita dalla
propria ombra. E questo sapore terroso d’orgoglio che d’un tratto
m’assale la lingua! Di cosa è fatto lo spazio che sta tra due sponde,
spazio nel quale credevo di avere le mie ricchezze e dove, dopo
l’infanzia, si concentra l’alcool dei desideri? Sbriciolate in
frammenti di sillabe, le parole della preghiera passano al largo
d’entrambe le rive.
Il mio volto s’accende, i pensieri migranti sono svaniti laggiù
all’orizzonte, si presenta una soglia, il mondo si chiude sulle opere
dell’inverno trascorso. Posso cantare gli inni delle nozze con
l’istante!
Silenzio. Ma nessuno decifra la scritta che risalta sulla mia
presenza spalancata di colpo.
Presenza, solo in te la vita è reale.

Quante volte, parlando in tutta serietà, ho raccontato


sciocchezze sostituendo il fumo delle parole alla fiamma di una
vera presenza! E quante volte la mia bocca, pronunziando frasi
intelligibili, ha stentato a tirarmi fuori dal chiasso, ogni giorno più
assordante, dell’umano trambusto!
Grazie a Dio le parole e gli atti di un tempo non sono rimasti
indelebili. Ricordi ripudiati, nati da incerti contatti: oggi ne
distruggo il fermento e lascio che s’instaurino le premesse di un
nuovo linguaggio.
Nei giorni della vecchiaia secondo l’anagrafe, eccomi qua più
giovane che mai, ubriaco di essere, sicuro della mia presenza al
passar delle ore, delle settimane, dei mesi e di gran parte del
secolo.

53
Restituito alla terra natale e colmo di gioie infantili, sono
tornato indietro tanto quanto mi sono inoltrato in luoghi forti e
sani, molto addentro nella mia vita. Lontano. Fino a veder
comparire il versante dell’ultima aurora, i prossimi sentieri della
morte che l’alba silente rischiara davanti alla mia cecità.
Il mare di pianto trattenuto in gola esprime il ripudio della
tristezza, mentre dentro di me si leva, possente, il gusto di vivere.
E già s’indovina l’evento che mi farà sorgere ancora, alla luce della
morte, quando ormai avrò vissuto l’ultimo domani e avrò fatto sul
sentiero gli ultimi passi lasciando in terra il mio segno in un paese
senz’odio, con quell’eterna giovinezza che col cuore e le labbra ho
seminato instancabilmente!...

Ho dentro il sapore di quando, subentrato al migrare dei Magi -


metafora dei pensieri vaganti - depongo l’oro della presenza ai
piedi del trono su cui veglia l’attenzione. Al colmo dello stupore.
La nascita è istantanea, terra nuziale di gestazione immediata
dove, di colpo, io SONO. Nel tempio si celebra la funzione: odore
d’incenso e gusto di carne vivente, la presenza compare e
scompare secondo il flusso d’attenzione che la genera. Silenzio
colmo di gemme che sbocciano. Un batter d’occhio è già
sufficiente per sollevare la pietra che separa me da me stesso: e
subito erompe in mille zampilli la presenza fremente di cui sono
pervaso.
Allora si levano le lodi a Chi, con passo da gigante, è passato
tempo fa sulla Terra!

« Oggi il mondo è governato da finzioni, da false dottrine


sociali e da false promesse scientifiche che sono fondate su dotte
argomentazioni di cui non si riesce nemmeno più a cogliere il
circolo vizioso, e cioè che l’ordine sociale deve piegarsi alle
tecniche prodotte dalla scienza mentre la scienza, a sua volta, deve
continuamente adattarsi all’ordine sociale destabilizzato
dall’indole passionale e caotica dell’essere umano. »

SCHWALLER DE LUBICZ
(Il re della teocrazia faraonica, Flammarion, p. 10)

54
Rimpiangendo l’Unità finalmente demistificata, il mio io di
tutti i giorni continua talvolta a ritirarsi nel sogno da cui, dopo un
po’, ricade come un frutto maturo.
Allora cominciano i gesti invisibili. Ogni tanto colgo lo sguardo
della presenza precedere il mio sguardo e scivolare sulle cose
prima che la mente, ingannata dal chiaroscuro dell’assenza, possa
impadronirsene. Pian piano svanisce l’insolenza di vivere e più
nulla risolve l’equazione esistenziale fra il divino e l’umano;
l’ebbrezza di essere, luminosa, accresce la mia sete di conoscenza e
la giustifica appieno.
E scopro di essere i frammenti del Tutto che mi costituisce,
ciascuno col suo sapore e col mistero della sua incarnazione;
frammenti che, volta a volta, prendono vita e s’integrano al
destino dell’UNO che sono; frammenti nei quali si capta l’essenza
dell’essere, terra su cui progredire nella conoscenza di sé
scoprendone l’insularità sorprendente.
Eccoci adesso in tanti nell’avita dimora. Tanti, ma collegati:
arcipelago fitto che popola l’estuario in cui finirà la mia vita.
E le acque del largo, forse, laveranno le mie ultime colpe.

La muraglia mentale, più opaca di quella che si erge tra Pieri e


il domani, acuisce l’impazienza e protegge il mio sonno. Ritmo
lento - ma quanto! - dello sbriciolarsi continuo d’idee che ne
sgorga, da cui cade l’impalpabile polvere del vuoto sapere.
Cosa mi resta oggi dei libri letti e dimenticati, provenienti dai
quattro punti cardinali della ricerca?
Ancora sensibile alle fiamme del piacere, mi tocca aspettare col
fiato mozzo che si calmino le tentazioni, attento al solco tracciato
da tempo che serve ad aggirare la muraglia e a condurmi alle terre
di un nuovo risveglio. Senza segni e ornamenti.
La presenza infine scavalca il bastione, s’espande e irrompe
nello spazio ancora misterioso in cui si risveglieranno i miei atti.

È in arrivo un Tempo nuovo, quello dell’Acquario.


Noi che viviamo la fine di un Tempo, dobbiamo stupirci dei
tormenti che agitano la coscienza degli uomini d’oggi?
Vuol dire che dovranno essere vissuti - o rivissuti - tutti gli
inizi? Ogni epoca, senza dubbio, è soggetta alle proprie influenze,

55
e nulla potrà mai esattamente ripetersi. Tuttavia esistono Leggi
che appartengono a tutti i tempi e che, a dispetto delle tecnocrazie
al potere, seguono percorsi immutabili, diretti là dove l’Essere è
comunione di Uomo e Coscienza.
Percorsi impraticabili dall’esemplare più tipico d’Homo Sapiens
odierno, immagine di una fiamma accesa che divora la sua stessa
face.

Quel grido dentro di me all’alba, quando il treno mi stava


portando verso l’impegno consueto... Cos’era? Di quale
disperazione esprimeva l’angoscia?
Mentre, con l’occhio sperso nelle frange del giorno,
interrogavo il silenzio che ne era seguito, c’è stata un’espansione:
d’un tratto la notte ha iniziato lentamente a svanire mentre un
sole di porpora, scalfendo l’orizzonte e virando al colore dell’oro,
si lanciava ardito sulle vie siderali inaugurando l’ora propizia ad
atti diversi.
Da quanto tempo dormiva dentro di me quel grido pregno di
antiche speranze? E perché all’alba è scoppiato senza ritegno sui
sentieri del giorno? Perché, quando l’ora frizzante ha risvegliato la
mia impazienza, quel grido si è fatto respiro, freschezza di fiato,
gusto di vivere adesso squarciando le barriere del sonno?
Ben presto ho dovuto smettere di spiare le meraviglie intatte
emerse dallo splendore dei sogni: sillabe scaturite dalla terra di
frasi pronunciate nell’assenza totale, ricordi ricacciati all’istante da
un fruscio di pensieri, e persino i nomi degli dèi sepolti nel cuore
delle leggende...
Ora il treno, lanciato verso altre soglie, riga in silenzio il
tappeto di neve srotolato sugli eventi futuri e sulle nuove risposte.
Non si può perdere la speranza! Raccogliere le energie
divergenti, le cose disperse ai quattro angoli dello spirito... Tutte
opere legittime!
Sento ancora echeggiare il mio grido nell’alba svanita.

Aprirmi la strada negli incolti dell’automatismo, ascoltare la


voce delle sorgenti respingere le parti monche e disonorate di me
conservando i desideri e l’amore di essere.
Combattente atterrato, eppure mai vinto, cercatore
instancabile d’energie armonizzate, troppo spesso condotto al

56
pozzo secco della mia fedeltà, sto aspettando l’acqua sacrale.
Dove dirigerò il mio destino? Qualche volta tocco il fondo
dell’abiezione. Lo sciame dei pensieri e della fame ronza
incessante scandendo le mie impazienze. Ansioso di un nuovo
domani, invischiato in oscuri spessori, spio ciò che sta per
sbocciare, la parola avventurata nel groviglio delle contraddizioni
che farà cessare il mio sonno come tempo scaduto.
Sto prendendo lo slancio per oltrepassare la notte che mi
auguro corta. Per fare di nuovo amicizia con la presenza. E infine
per essere in piedi, ripulito da ciò che mi tiene prigioniero. Un
canto sgorga dalle mie labbra, paziente, venuto da misteriosi
recessi per sentieri imprevisti sulle tracce delle docili ellissi di un
voler-essere inosservato per lungo tempo. Giunto da grandi spazi
compassionevoli a soddisfarmi la sete e a stimolarla a sua volta.
Vivere allora mi piace.

Sono tanti quelli che nello sforzo quotidiano posano sempre la


prima pietra del loro edificio interiore.
Costoro non avranno mai quattro mura.
Sono tanti coloro che hanno il desiderio ma non il bisogno.

A un certo momento mi sono trovato sulla soglia della notte


introvabile, ma fuori dal buio delle parole. Sotto i miei piedi
trionfanti ha tremato la terra, scacciando una folla d’idee respinta
nello spazio assoluto dove poi è svanita. Restando estraneo al
crepuscolo col pensiero a riposo come una spada nel fodero,
camminavo a labbra socchiuse nell’ultimo azzurro del cielo. E mi è
sorta dentro una tenerezza ineffabile, sorella minore della felicità.
Attento alle inevitabili metamorfosi, il mio sentimento d’un tratto
è stato invaso dal sole. Poi la scorza è caduta del tutto, i ciuffi di
felci sono diventati verdissimi e i diamanti, emersi dai flutti, si
sono messi a brillare in mezzo al torrente. Io sentivo, meravigliato,
la fertilità dei poteri della coscienza; la fecondità dei suoi giochi
fugaci mi ha sfiorato improvvisamente l’olfatto come il profumo
che preannuncia il fiore.
Allora ho toccato le rive future dove l’essenziale non era ancora

57
sbarcato con me, terra del mio cimitero che ho percorso
anzitempo esplorando me stesso.
Liberato dalle abitudini, ho accettato d’impegnare laggiù tutto
il mio bene, particella dell’Uomo vivente. E ho visto salire, sullo
sfondo del cielo, la presenza protesa verso insolite altezze.

Perché la mia persona ha così pochi riguardi per la coscienza?

Essere qui immobile, presente; il semplice fatto di esserci,


mentre il tempo trascorre, è già esultanza dell’essere in risveglio.
Molto in alto mi sono levato per conoscere l’umano penare!
L’angoscia amara che me n’è venuta sta passando, travolta da
parole ricolme d’errori. Quali fantasmi abitavano le mie dimore,
quali fermenti hanno dovuto librarsi ai confini del cuore per
cancellare l’arruffio dei pensieri e l’irto linguaggio... E preparare la
successione clemente dei secoli a venire!
Presso il lenzuolo del mio silenzio, in quella parte del mondo
in cui, per qualche tempo, cadono tutti i clamori, smetterò di
vagare, e con l’anima piena di desiderio chiederò alla vita di
assolvermi e di cantare per me l’altrove!

Tutti questi « io » agitati che tremano per la loro vita! I


pensieri, collezionisti di fallimenti, ne rabbrividiscono e passano
con la furia di una tempesta dalle stelle al sentiero fangoso,
continuamente in azione, vogliosi di svariate prede...
Camminare malgrado la fiacca, infiammare ogni istante,
costruirsi alle spalle un muro invalicabile che ci separi per sempre
dalla morte del tempo... Trovare parole che ridestino la sete.
Diventare padrone dell’essenza delle cose, scoprire lo spazio futuro
nel quale opererà il Mago e restare in ascolto di ciò ch’egli dirà a
bassa voce. Incamminarsi con lui verso plaghe più interiori che
mai...
Raggiungere insieme, coi nostri vestiti da festa, il limbo del
sapere.

Signore, fa’ che io viva la morte affinché la mia morte sia


pienamente vissuta!

58
Potere dell’Ieri da cui proviene il tracciato degli atti - di quelli
che sto per attuare. Vivere le forme di vita che l’essenza autorizza,
contemplare in pace gli ostacoli... Per un attimo sono colui che
tiene insieme le promesse passate e gli atti presenti, colui che,
nell’alba di questo giorno, saluta il primogenito della coscienza. Le
mie forze si spingono fino al remoto cuore dell’essere. Liberato da
impulsi improvvisi, il mio sguardo interiore pugnala le ombre
residue finché arrivo in luoghi purificati dalle mie libagioni.
E i miei servitori-padroni, che di solito mi precedono, marciano
finalmente dietro di me.

Gran vento distruttore. E anche purificatore: un gran vento


venuto senz’odio a soffiarmi addosso i personaggi che io sono e dei
quali avrei dovuto liberarmi pian piano e senza violenza, come
cadono i frutti maturi dal ramo.
Vento dalle zaffate di resina che si spandono all’infinito
gonfiando i miei desideri, vento più forte del vomere che ara le
mie domande impazienti.
Vento che passa e si placa soffiando sulla stagione morta, sugli
alberi nudi, irritando i miei ozi tenaci e ghermendo i miei sogni
insignificanti lanciati al galoppo. Tuttavia insieme a me questo
vento corre anche con molta dolcezza e in completo abbandono,
incontrando senza tristezza la morte. Il suo impeto abbraccia
l’angolo in cui si dispiega lo spazio che mi è riservato. A quel soffio
il rumore del mondo viene esaltato, attirando continui pensieri.
Tumulto dei desideri che rompono il silenzio agli albori di un
giorno che pure mi aveva mostrato la tavola delle Leggi inondata
di luce.
La speranza ha la febbre a quaranta nell’ultima ora della notte
che muore. L’avvenire è già nell’aurora. E nel vento che passa... Il
chicco potrà quindi marcire, il seme germinare, e ciò che il
pensiero disprezza potrà finalmente sbocciare.
E un giorno la messe del grano avverrà nelle mie mani - l’ho
appena saputo dai pensieri di un altro universo.

Provenza, giardino che finalmente ritrovo, cullato dalla carezza


di un leggero mistral foriero del dolce settembre... Il sole arde, c’è
ancora l’estate. Malizia acuita dalla mia passività naturale: i dati

59
della lotta cambiano impercettibilmente. Ardua ricerca interiore
degli anfratti in cui lo sforzo è possibile.
Ma quale piacere posare di nuovo lo sguardo su questo
giardino!

Io, mio unico bagaglio.

Già sento che presto potrò misurare l’empito della primavera.


Ascolto parlare le labbra di oggi e scopro idee nuove in pieno
rigoglio, pronte a lanciarsi all’esterno. Ancora indistinte,
volteggiano dietro la fronte come un volo di civette nel sogno...
Ma che succede? Gigante monco, mi sento improvvisamente
vuoto come se non avessi un passato: il mio desiderio, accerchiato
da tutte le parti, resta inerte. Fermato da un muro d’ignoranza su
una terra usurpata, mi trovo solo davanti al Tempo!
Ma il cielo infine si apre, gli alberi emanano sentori di resina e
io indovino la carena del tuo corpo, fatta di curve armoniose, da
cui salgono, offerte, le onde del tuo desiderio; cade la maschera
che avevo sul viso e che m’impediva di vivere mentre la bocca,
levato il duro bavaglio, torna a ospitare le parole di verità in esilio.
E mi ritrovo sulla strada maestra lastricata di pensieri fecondi...
Esserci, esser pronto per l’attimo della scintilla, quando s’irritano
le forze del rifiuto e il santuario della coscienza, meravigliato, si
apre al puro dedalo del sentiero...

Ma quando sarò uomo?

Morire: vivere altrove.

Cercare un movente ancora ignorato, contemplare le acque


gorgoglianti delle fontane, all’ombra del tempo...

Al serico effondersi di nuove emozioni succede istantanea-


mente il piacere di scrivere. E mi ci abbandono, sperando in frasi
non ancora consunte, rilievo d’immagini promesse da tempo.

60
Senza far caso al tumulto del sangue mi preparo alle offerte
generate dal moto perpetuo di tutte le cose, qual è quello che ha
luogo alle soglie della Conoscenza, là dove si mostra il volto
incompiuto del vero.
Improvviso timore che tutto si limiti a essere bello, che i trofei
ricevuti non siano altro che fiabe infantili. E che resti bianca la
gran pagina pronta a esser riempita dal racconto che ogni giorno la
coscienza mi offre.
Che importa: nulla mi vieta di amare.

I tesori della mente sprofondano, inghiottiti dai sudori dovuti


allo sforzo. Uccisore di sogni e assassino di chimere io, più
accanito che mai, mi oppongo all’alfiere dell’inconcludenza! Ah,
potermi finalmente sgravare del carico di tirannia che m’ingombra
la scatola cranica! Liberato di questa zavorra e della sonnolenza
provocata finora dall’immaginazione attiva del mio monocorde
cervello, forse riuscirò finalmente a trasformare la disfatta in
vittoria.
Mettere insomma a tacere le voci ipnotiche e i pensieri lapidari!
Affinché non trovino più in me uno specchio che possa rifletterli!
Stasera il fragile flusso del mio desiderio di essere - che io solo
posso vedere - mi trascina verso un Presente ormai sgombro di
tenebre che si staglia lontano contro il sipario infuocato del cielo.

Il Ricordo di sé rapina tutte le cose conosciute all’istante:


sottrae alle tre dimensioni frammenti di spazio e d’energia, li
introduce in dimensioni più alte e li insedia in un volume
interiore. Punto fisso di un perpetuo movimento centrifugo, esso
domina il punto d’incontro fra il monte e la valle - ratto della
sposa nella sera in cui si celebrano le nozze dell’istante...

Programma:
Costruire partendo dall’argilla umana. Con modestia, dignità,
vigilanza, aiutandoci con le effusioni accessorie dell’intelligenza.

61
Rompere in un primo momento 1’ equilibrio disinvolto degli
automatismi compiacenti, che appartengono alla persona, per
sorprendere le forze interiori in via di trasformazione, e poi
liquidarli del tutto; rendersi conto della precarietà dei contenuti
ordinari e del ridicolo aiuto prestato loro dai processi funzionali
ordinari.
Mostrarsi tali fra gli uomini di altre razze - quelle dai sonni
incoercibili e dalle persistenti illusioni -, e come tali non rifiutare
nulla dell’umana esperienza, cui la nostra debolezza conferisce
una sofferenza indicibile.
Mostrare agli altri la pazienza, l’attenzione e la serietà di un
viso animato dalla massima franchezza. Posare su chiunque uno
sguardo che tragga dalle rive serene della presenza la forza
preziosa generata dalle frange estreme della coscienza. Evitare
qualsiasi spiegazione.
Sì, levarmi semplicemente vivo, al di sopra di ogni conflitto, in
piedi nella tempesta che oscura l’umanità, riparato esclusiva-
mente dal mio nome d’uomo.

Perché all’improvviso mi sono venute in mente le « marmellate


gratuite » cui Gurdjieff paragonava le « scoperte » che noi facciamo
nei primi tempi della ricerca?
Le marmellate di oggi sono forse meno zuccherose o più
rimunerative? Negli oscuri meandri dei nostri sentieri prestiamo
sufficiente ascolto al rumore dei nostri passi che oltrepassano le
povere mete raggiunte? Teniamo abbastanza stretta la mano di chi
ci precede, ci procuriamo l’indispensabile flusso di attenzione in
quantità sufficienti? Stiamo preparando una buona semina, luoghi
di riposo per gli affaticati e altri spazi per i forti nei paraggi dei
templi?
Stranieri sulle nostre terre, lasceremo un giorno il cilicio delle
menzogne cui siamo così affezionati? Sapremo riconoscere la
grandezza delle promesse, desiderare con forza il nome che
abbiamo?
E, sul versante dell’aurora che ormai abbiamo imboccato,
diventeremo finalmente ebbri di coscienza?

Ho riletto alcuni appunti di A., incredibilmente attuali anche


dieci anni dopo! Sembra di sentire la sua viva voce. Circa quattro

62
anni ci separano dalla sua dipartita: come li abbiamo impiegati?
Alcuni si sono innalzati a livelli allora imprevisti, altri si sono
ingrigiti nel tran tran quotidiano, altri ancora né questo né quello.
D’altra parte oggi bisogna affrontare tutto, dai ritmi dell’orgoglio
alle angosce che gonfiano le nostre incertezze. Davanti a noi s’apre
la fredda via del futuro... la vergogna, talvolta, delle cose dette, e
di quelle taciute ch’era il caso di dire!... E lo sconforto di trovarci
soltanto all’infanzia della nostra ricerca, malgrado la gioia e i
grandi voli di silenzio che l’accompagnano. La coscienza però ci
diventa più familiare e vince gli aspri rifiuti. Talvolta dall’oziosa
memoria riaffiora l’origine del nostro male cui, senza fallo, A.
sapeva condurci.
Adesso dobbiamo imparare a fermarci sempre più a lungo
all’ombra dell’edificio che lei ha costruito per noi, in attesa di
deciderci un giorno a varcarne la soglia senza paura.

Bere direttamente al ciclone che passa nell’attimo del Ricordo


di sé, cercare l’assenso delle forme inusuali che ne scaturiscono,
percepire il tenue sapore del divino disciolto nel sangue dilatato
che mi scorre nelle vene!
Un dardo trafigge la carne divisa. Se i desideri si degnassero di
non regnare più sugli idoli falsi e bugiardi... O mio pensiero
operoso, non hai proprio alcun altra passione?
Che cosa dunque si compie?

In parole, in presenza: non è forse così che d’ora in poi dovrò


pagare il prezzo di mezzo secolo di vita più responsabile? Ma per
riuscirci devo allungare il passo verso il culmine infuocato dello
spirito finalmente ridesto. E pronunziare una lunga sequenza di
lodi per tutti i doni sin qui ricevuti. Cercare di trasformarmi in
pastore delle greggi del futuro che pascolano nei luoghi della
Conoscenza: anche questo è pagare?
Le opere che vivono in me nel mattino dei giorni migliori mi
conducono al vivo dell’essere; io nasco, e poi di nuovo rinasco a
questa presenza legata al sangue più rosso, specchio arrogante del
sole, brace ardente di febbri lungamente bramate.
Poi mezzogiorno accorcia le ombre, alba di quotidiani
tramonti. Portato verso una vaga fusione al calar della notte,
legato agli impulsi stagionali di desideri mai soddisfatti, medito la

63
via aperta verso la Meta.
Ma chi mai d’improvviso in me ricerca l’assenza e l’insedia,
conquistando i territori illuminati dalla Coscienza e turbando la
parte migliore, ormai in pericolo, di ciò che è appena avvenuto?
Gli idoli vacillanti ritrovano il loro equilibrio e io, sotto false
apparenze, ridiscendo i sentieri di rovi diretti alla fetida piana
dove le scorie dello spirito sono in perpetuo ristagno.
Ancora una volta dovrò riallacciare i fili. Domani indosserò il
vestito da festa e, con gli occhi arrossati dal sonno, mi chinerò
nuovamente sul gran libro di carne che sono. Instancabilmente.

Un suono di flauto per asciugare le lacrime che mi opprimono


il cuore... A lungo, cercando l’orma di un tempo, non ho saputo
far altro che assistere a spartizioni di ceneri. Ma un giorno, in terra
d’infanzia, un uomo s’è levato venendomi incontro. E io ho colto
il frutto della sua saggezza.
Così ho imparato a vegliare interrogando i pensieri,
prestando attenzione al respiro e cercando il mio nome. E
talvolta, puro come alla nascita, ho incontrato l’argilla che poi
s’è popolata di semi. Infine è venuto il tempo in cui fiori e frutti
sono convissuti, il tempo degli incontri sempre più gravosi che mi
hanno spinto nel futuro di cui oggi assaporo, secondo per
secondo, la sostanza inebriante.

La mia vita interiore traccia una linea punteggiata sul percorso


della quotidianità. Inchiodato alla terra dalla mia condizione di
uomo, il futuro mi entra negli occhi come polvere sollevata dai
sismi costanti dell’umana avventura.
Lo sforzo estende lo spazio cancellando i confini che mi
bloccano lo slancio. Collegare le sponde opposte del moto di
andata e ritorno, là dove il desiderio, riallacciato al pensiero, frusta
l’intelligenza e spazza la schiuma leggera del tempo.
Essere solo un ricordo! Smetta l’immaginazione di imbellettare
l’effimero, si plachi ogni violenza. Dimentico degli istanti sottratti
alla presenza e delle inevitabili svolte del sentiero, e confidando
sul gusto durevole della Verità che mi riempie, potrò finalmente
celebrare senza posa la festa eccelsa della Coscienza attiva?
Cos’è questo gusto improvviso sul labbro? Un messaggio di
pazienza. E di speranza. L’Uomo che è in me sta forse per

64
cominciare la Grande Transumanza, per gettare nell’oblio la lunga
lista di ciò che ha rinnegato, per strappare la pagina dove assurdi
sofismi acuiscono i loro effetti malefici e rischiarare la notte che
incombe impietosa sul cammino dei vivi?
Sarà il segno dell’ingresso nell’era grandiosa in cui, finalmente,
sorgeranno i miei atti?

65
Parte seconda
Parole d’alba
I
Erranza

Un altro dei migliori tra noi se n’è andato, uno degli « allievi di
spicco » - come li chiamava Gurdjieff - e uno dei nostri « Maestri ».
Le file di coloro che hanno ricevuto direttamente il messaggio
s’assottigliano. Quasi contemporaneamente, su entrambe le sponde
dell’Atlantico sono spariti alcuni autentici portaparola.
Il nostro silenzio risponda al silenzio delle voci ormai spente
per ascoltare meglio le nuove parole da cui, sin dall’origine, il
sonno ci aveva disgiunti...

Che importa dove va il vento!


Se passa fra le tue labbra, colora di piacere le parole venute alla
luce e bagna d’un tenue vapore la tenerezza di cui mi fai dono.
Se si perde sulla terra, s’inuma inesorabilmente nei punti
cardinali dello spazio, arricchito al passaggio d’un greve bottino di
profumi donati.
Se conquista il mio sangue, ravviva la fiamma accesa verso l’al
di là della sensazione, e sfondando l’intasamento di umori che
pretendevano di iniziarmi, rischiara l’angosciante enigma del
labirinto che sono... O vento, che allora hai il mio respiro per
miele!

Ecco, la primavera è arrivata. Uscire dall’ombra, andare verso


l’estate nel solco di una nuova attenzione voltando le spalle agli
splendori delle dimore carcerarie in cui gioiscono ancora i ricordi
di un tempo sprecato. Distogliere lo sguardo dalle umide
penombre dell’inverno, chinarmi sul rozzo cannello delle

69
fontane, cambiare... Esaurisco la strada proprio quando la natura
affretta la corsa al rinnovamento.
Risvegliarmi, ascoltare i brontolii di tuono che mi riempiono
il sangue. Promuovere i momenti di gloria in cui dispiego spessi
strati di luce sepolti dietro la maschera oscura dell’esistenza.
Momenti in cui diserto i facili sentieri della gioia, in cui accolgo la
preziosa sostanza della Presenza, in cui dentro di me tutto diventa
febbricitante e in cui sprofondano le parole del linguaggio triviale.
Momenti carichi di risposte ipotetiche, troppo spesso rimaste
silenti.
Nelle prossime albe dell’anno, ricordare i momenti vissuti nel
limbo della coscienza e non distoglierne minimamente lo sguardo
quando suoneranno i torridi mezzogiorni d’estate.
...non perdermi nei meandri della lotta.

All’angolo del cimitero, un fazzoletto di terra libero da ipocriti


marmi, un fazzoletto di terra che reclama il vento e attende il fiore
piantato, un fazzoletto di terra nutrito, a distanza regolare, dalla
polvere che un tempo era viva.
Terra coperta ogni domenica dalla coltre della nostra
riconoscenza vibrante e delle cose dette nel silenzio del cuore,
terra che ci parla d’altre terre anticamente popolate di messaggi
ricevuti.
Terra, terra pregna di semi, aiutaci a ricordare il crocevia che ci
ha costretti alla scelta e colei che, oggi scomparsa in quell’altra
parte della terra davanti a cui stiamo in piedi a capo scoperto, ci ha
aiutati a farla!
In questo giardino veglia un ginepro, devotamente piantato da
mani pie, che, segno verticale portatore di spazio e pazienza,
s’inclina lentamente alla dolce carezza del vento, immagine del
nostro omaggio fremente a Colei che dorme in quest’angolo. E che
vive così intensamente nella nostra Presenza.
Terra parata d’erba verde in cui si ritrova la nostra freschezza,
in cui si concentra la nostra purezza, aperta alla speranza, ancora
animata dal movimento che ci porta verso A., terra di cimitero che
ci racconta la vita, dimora segreta di cui bisogna trovare la chiave
nascosta sotto la morte!

Tutto questo rumore che fa la notte. E questo male!

70
L’alba nera nel cuore della tristezza... Eppure cantano gli
uccellini. Ma l’alba è nera, sì, ed è triste il futuro che si presenta.
D’un tratto mi perseguita l’ansito degli abissi, la morte segue i miei
passi; curvo sotto il peso di un lungo passato, ascolto il fruscio di
mille clessidre in azione. E il canto d’antiche liturgie celebrate
sotto gli archi delle chiese. E il cuore che partecipa alla
desolazione.
E la vita che mi sta lasciando? O mi squassano brutalmente i
segni dell’impostura? O la maschera vietata a chi entra nel
santuario vuol prendermi e darmi finalmente la grandezza?
La vita fa maturare dentro di me le sue promesse contrarie. Ora
devo compierne i riti, essenziali a tutti gli echi già pronunciati.

Averliaz. S’è sciolta la neve sulle terre neglette. Appena giunto,


la vita m’interroga. Gettare i ciocchi degli impegni invernali nelle
fiamme ancora ghiacciate della primavera, stabilirmi nel verbo,
dare nomi nuovi a ogni cosa, e che a ogni cosa il verbo aggiunga
ciò che la rende immortale. Parole d’alba, tutto diventa luce: si
scoprono le costanti menzogne delle illusioni, i calici si riempiono
di fiori e s’addensa la nebulosa dei fiacchi pensieri d’inverno. Le
ciance si purificano al vento delle parole dette: nominare le cose
che l’estate scorsa sono state di brace, affinché i miei passi sereni
vadano incontro ai giorni sulla via della primavera. Giorni ancor
più lontani di quelli della mia nascita.
Avverto già la prima estasi estiva: una carezza di seta e una
brezza leggera che mi fanno sentire in festa. Tuttavia i rovi che mi
feriranno le mani e il cuore non sono ancora fioriti; lingua senza
parole, prigioniera della spina, bisognerà lottare ancora. E vincere.
Presto si leveranno le tiepide brezze estive e avrò nuovamente così
poco tempo! E così poco ardimento! Tuttavia dovrò preparare le
magie d’un verbo rinnovato: sussurri di cieco avventuratosi agli
avamposti di un sapere pagato assai caro. E mostrare il segno che
mi hanno lasciato le ustioni. E le tracce di più grossi disordini.
Uomo di parole, solo con la mia notte, dovrò parlare, parlare
ancora e assumermi davanti a tutti il peso degli atti futuri.

71
La mente oziosa scivola a monte del tempo senza chiedersi
come tutto ciò che è sia potuto succedere.
Quanto tempo alle spalle... E domani sarà presto il passato!

Il poema si trova sull’orlo del baratro proprio come l’assoluto


matematico o fisico. Bisogna dunque utilizzarli entrambi, il poema
e la logica, con gli stessi strumenti?
Benché non si accontenti del puro e semplice estetismo, il
poema, nato dall’intuizione e diretto al fine - spesso inconfessato -
di penetrare il mistero dell’Uomo, non può trascurare la bellezza.
Unendo incessantemente i propri fini all’arte di vivere, il poema è
azione e potere al contempo, e abbraccia nel presente il passato e il
futuro, l’umano e il non umano.
Pur esplorando la notte, il poeta si rifiuta di osservarla perché è
incondizionatamente legato all’uomo cui per un istante è caduta la
maschera di sonno o di violenza. Dal fondo dell’antro poetico in
cui dimora, il poeta ascolta la voce che si eleva e proclama la
grazia del linguaggio creatore. La ricerca degli uomini s’indirizza
innanzitutto all’immaginazione poetica. Lingua di poeta: punto di
rottura tra la beatitudine che apporta e il baratro che costeggia,
per il poeta non c’è luce che non diventi fiamma dispiegando lo
spazio amplificato dei vivi.
...Poeta, non dimenticare le esigenze del poema, la grandezza
che gli è indispensabile per attestare l’eternità del verbo
lungo la via dell’alleanza su cui marciano senza tregua i
cercatori dell’innominabile.

Il passato mi agita la memoria. Rivivere le scappatelle di un


tempo, a che pro? Tutto è fissato per sempre in ciò che è avvenuto,
il tempo mette fine al pensiero. Riconoscere soltanto la felice
distanza che mi unisce agli istanti infiammati dalla presenza.
Fonte da cui sgorgherà nuovamente ciò che attendo, chiuso ancora
nelle crisalidi dell’intelletto.
Acclimatare l’invisibile sorto nello spiraglio dello sforzo.
Sedimento secolare di cui sono fatti i territori commossi del
sentimento, l’invisibile va e viene sulla chiara spiaggia della
coscienza come un raggio di luna che ammicca tra le nuove fronde
d’aprile.
E io oggi l’accolgo con l’acquolina in bocca.

72
Tirarmi fuori dallo spessore dell’assenza che talora è melma
putrida, talora fango secco, residuo dei giorni passati in cui mi
trattiene l’anima divenuta di sasso. La mente prigioniera vi pianta
la tenda mentre l’immaginazione se ne allontana, senza peraltro
uscirne, e va nelle nuvole, pazzerella, a disegnare il proprio futuro.
Le clessidre dell’assenza insabbiano l’avvenire.

Quale vomere misterioso mi ara e scava dentro di me il solco in


cui germineranno le nuove sementi?
Nomade infaticabile, il sentiero su cui marcio s’accresce sotto i
miei passi, insensibile al tumulto dell’intelletto, eco perpetua del
mormorio sollevato dalle folle rivierasche. Riposare ogni tanto
all’ombra del Presente, contemplare la linea profetica del solco,
legame stabile col moto che mi porta in avanti, di volta in volta
uomo di silenzio, uomo di fatica, uomo di dialogo, attivo nel
quotidiano.
Mantenere le radici nella terra ancestrale e,
contemporaneamente, denunciare l’urgenza delle opere vive
prodotte dagli spasimi dello spirito.
Che tutto, infine, vada al di là dello scritto, più in là
dell’effusione quotidiana colta dalla penna stanca - e anche
compiacente. S’alleggerisca il pesante fardello sotto cui,
squilibrato, vacillo. Guariscano le ferite che mi sono fatto da solo e
anche quelle di cui porto il marchio.
E finisca con me, senza rimpianto, tutta un’epoca di sforzi, di
pazienza, d’attenzione, semi sepolti nel cuore del solco,
semi dei quali un giorno raccoglieranno il frutto alcuni uomini
del popolo d’Italia, popolo fiero ancora malato della sua storia, ma
consapevole di essere figlio di una terra di offerte, di una terra
aperta ai poemi e alle scienze dell’essere.

Un giorno rilasceranno anche a te un passaporto per la


Sofferenza. Valido per un millennio. La sofferenza riempirà tutto
il tuo spazio, occuperà l’intero silenzio. E le sue grida nel cielo
saranno le tue stelle.
Ma un bel mattino tu, uomo nuovo, cambierai rotta e ti
troverai d’improvviso da quell’altra parte del giorno in cui cessa il
dolore d’essere nato. Giunto alla soglia di un’altra immensità,

73
perderai il gusto d’argilla che da troppo tempo t’impregna le
labbra.
E davanti all’invitto mistero della Vita riprenderai instancabile
il tuo turno di guardia.

Tracciare sentieri su cui altri ricalcheranno le mie orme è le


cancelleranno! Mantenendone però la direzione e vegliando al
passare delle stagioni. E pagando il tributo agli istanti di presenza.
Arrivati ai confini dello spazio, là dove finisce il pensiero
ingabbiato, essi risaliranno ai ricordi dell’infanzia e, dimorando
soltanto in se stessi, sapranno zittire l’invettiva sorta come un
crepuscolo sulle labbra serrate.
Chi si è commosso nei giorni dell’adolescenza avrà, alla fine dei
suoi anni, il fremito di una corda tesa; un profumo di pensiero
nascerà sulla fronte di coloro che arriveranno alle porte delle
chiese e, risvegliandosi, le varcheranno in piedi lasciando l’avido e
l’impaziente, aperti ai riflussi delle loro emozioni infantili.
Tuttavia dietro l’angolo sta in agguato la morte, profumata
dall’ombra che ben presto dispenserà.
Ma il nostro sentiero va oltre...

Che sensazione surreale provo talvolta dopo lo sforzo interiore!


Nata dalla scintilla di una contraddizione, la potenza d’una tal
sensazione mi conduce a un passo dal mistero dell’Essere. Quando
si disfa il nodo degli opposti e s’instaura il ritmo che scandisce lo
spazio interiore, incomincia la strana avventura di essere. A metà
di questo perpetuo va e vieni tra il passato e il futuro, eccomi al
punto d’incontro delle mie discordanze tenaci. Trasgredire il reale
- o sedicente tale - voltare la schiena alle quotidiane avventure
meccaniche, scordare le forme dilatate dell’orgoglio per non essere
più distolto dall’atto volontario da compiere che si rivelerebbe
interamente nuovo, sforzo straordinario cui oggi bisogna piegarsi.
Curvo sotto il peso d’un fardello d’umanità che mi è imposto,
possa l’azione diventarmi passione e, mantenendo il senso della
misura, possa io finalmente, inserito nel ritmo stagionale dei
declini e dei rinnovamenti, innamorarmi del Presente!

74
Che resta della Presenza soppressa?
Chi l’ha conquistata con una lotta cosciente ne conserva la
traccia significante che sopravvive alla schiuma dei pensieri.
Cosa chiede la domanda?
Il polline del sentimento fa venire alla luce i frutti maturi delle
risposte. Ma bisogna che il fiore gli apra al massimo i petali
dell’intelligenza.
Le parole sono ciò che mi sento essere in loro?
Le parole! Carcerieri che fanno la guardia a un mondo interiore
troppo spesso distrutto.

Vorace lo sono, certamente; avido di tutto ciò che è buono, di


tutto ciò che è forte, dei sospiri, delle grida, del mondo
accompagnato da tutti i suoi stridori.
Tanto della paglia quanto del chicco.

« Che penserebbe A. di ciò che noi oggi siamo e facciamo? »


Domanda ansiosa di M. cui rispondere è molto difficile. Eppure...
Nel gran cerchio d’imperfezione in cui ci muoviamo, il relativo
resta e nessuno pretende di esprimere verità prossime all’assoluto.
Esattamente come faceva A. - fatte le debite proporzioni,
ovviamente. Cosa c’è di più naturale del fatto che ciascuno
s’affligga delle proprie mancanze e che il migliore ne soffra di più?
Ma non è forse giusto che la soluzione dei problemi incontrati
venga inizialmente cercata attraverso ciò che siamo, ovvero che il
lavoro interiore pervenga in definitiva a interrogare
impietosamente noi stessi? La risposta a tutto passa attraverso la
domanda « Chi sono? » Il resto è fatto solo di concetti
compartimentati in cui vagano la molteplicità, l’immaginario e la
filosofia.
La vita, guardiana d’assoluto, è sovrana, e da lei sorge
l’Insegnamento che noi sollecitiamo. Non bisogna dimenticarlo.
Essa conferisce il moto a ciò che è fisso. La vita quaggiù è la nostra
maestra, colei che ci insegna a provare e ad agire più ancora che a
pensare. Non è forse questo il messaggio supremo di colei che è
stata la nostra guida?
Quando il bagliore di A. ha smesso di illuminarci lasciandoci

75
in un crepuscolo incerto, dovevamo lasciarci avvolgere dalle
tenebre della notte, o dovevamo decidere di marciare insieme,
collegati alle luci che l’hanno sostituita, verso l’alba seguente che
non poteva esimersi dall’offrirci la sua incomparabile trasparenza?
Un’alba a nostra misura, fatta dei nostri meriti e in cui forse, tra
l’altro, ci è dato di canticchiare qualche verità... Bloccando quella
che avrebbe potuto essere un’apocalisse tremenda.
Avremo il coraggio di tenere aperta dentro di noi questa
indispensabile domanda inquietante?

L’acqua del mio pensiero scorrerebbe più in fretta se la


pendenza fosse maggiore. Dovrei quindi elevarmi di più. Ma
quanto è più riposante restare orizzontale... Stagnante come tutto
ciò che dorme, stagnante come la morte.
Ritrovare il fascino dei vecchi tempi, dei luoghi emozionanti
situati nei territori dell’anima in cui anticamente ho vissuto, dei
profumi evaporati all’istante... tutte cose divorate in seguito dal
fuoco della spiegazione.
Mentre s ’ intravvedono di nuovo le occasioni di un tempo e
mentre scorre dentro di me la dolcezza delle promesse fatte, e in
seguito mantenute, le immagini cambiano. E si presentano altre
rive che circondano altri laghi, dove s’anima in modo diverso ciò
che costituiva i miei interessi infantili. E tra questi due punti di
riferimento prende forma tutto il tempo trascorso!
Agire, parola maestra della vita attiva, essere, verbo universale
che ne testimonia l’incarnazione: due termini, diventati le mie
armi principali, che consacrano la rottura del percorso lineare
seguito dal pensiero invaso dalle immagini convulse d’ogni giorno.
I sapori di oggi ritrovano l’infanzia tanto agognata: un tempo di
sogno che non posso più sognare. Dovrò vivere una nuova
avventura? Finirà presto la vertigine del mio centro di gravità, che
ormai include sia l’aspetto sensuale che quello cerebrale? Oserò
finalmente soffrire davanti agli occhi di tutti?

Quando si aspettano le forze lievitanti, turbinano troppe parole


che testimoniano l’affanno del pensiero. Ma io ho ben di meglio da
fare! Essere padrone del verbo: scegliere parole che, pur
mantenendo il senso della misura, entrino in contatto con le
sensazioni evocate e, rompendo l’inerzia del pensiero, respirino, si

76
riempiano e si svuotino al volere degli istanti che popolano lo
spazio in cui mi muovo... Parole che favoriscano l’identificazione
più stretta possibile tra l’idea e il supporto umano senza , il quale
l’idea non esisterebbe, parole alternate ogni tanto ad acuti silenzi...
Adesso bisogna ascoltare le parole venute d’altrove e respingere
quelle vuote, sentire il peso della maschera per contribuire a farla
cadere, mettere la voracità al servizio del ratto permanente della
coscienza, suscitare istanti preziosi durante i quali, liberandomi
dall’assurdo, possa acquisire il privilegio di misurarmi con me
stesso. Come affermare oggi le mie certezze, attizzare le brame che
mi portano a desiderare la Presenza e, dopo averla ottenuta, a
viverla anziché a viverne?
Errando fra le profezie mentre « divento », alcuni pensieri
schiudono la corolla e, fiori vaganti che adornano la mia dimora,
la coprono
come un inesauribile cielo di stelle.

Quel luogo dentro di me in cui non si sa più nulla! Basilica


della Coscienza disseminata dalle briciole del sapere, sotto luci più
pallide del chiaro di luna, aperta sulla notte...
Ma subito i segni del presente raggiungono le altezze di cui
conservo il ricordo, la carne si sveglia, rinnovata e lacerata dallo
stesso grido che un movimento irresistibile fa sorgere
dall’inudibile. E in me l’Uomo si leva, ritto all’incrocio delle vie su
cui marciano gli uomini, innalzato da un prodigio al culmine
dell’istante. A ogni passo il rumore s’attenua fino al greve silenzio
delle cime, sotto un cielo pieno d’albe a venire...
Il brusio delle parole passa al largo e tende ad ammaliarmi.
Nell’infrangersi del desiderio in cui s’ingolfano i pensieri,
comincio a detestare il mondo murato in cui di solito, freddoloso,
sparisco pian piano. E sogno migrazioni di stelle su ignoti sentieri
del cielo. Il tempo regna sovrano, poi rallenta il passo, oblia se
stesso e diviene semplice attesa.
Cos’è successo? Il canto mi è morto in gola? Mi sono assopito di
nuovo? Ho rinnegato tutto e sono tornato a essere solamente una
larva sprofondata nello spesso strato di scorie accumulate,
scambiate per luminose particelle di conoscenza?

77
Oh, lo scoramento sotto la maschera! Il mio sogno lo contende
ai movimenti dell’essere. Flusso e riflusso dei bagliori della
Coscienza, come l'alba e la notte. Istanti funesti in cui il
presente non è più che un gioco...
Poi, risvegliato ai rintocchi di brevi liturgie, risorgo rinnovato
dal limbo fumoso in cui m’ero perduto. E scuotendomi di dosso le
ceneri morte che mi coprivano, nell’istante improvvisamente
addensato io SONO.

Vorrei aver piantato una foresta centenaria. Piena di canti


d’uccelli... Tenderei l’orecchio per ascoltare l’assolo dell’usignolo
al violino e assisterei, presente, alla festa della coscienza. Ma io
mantengo il contatto con un’infanzia non ancora finita: la vita
s’inventa a ogni nota e io ne accetto la promessa ineffabile affinché
la morte mi scordi ancora per qualche tempo. M’incalzano le
pulsazioni del cuore, frutti del serio artigiano incaricato di
travestire gli ardori della vita in sostanze organiche. Ogni istante è
come il canto di un uccello che prende il volo; il futuro mi fugge,
mentre una volta si compiaceva di confortare la speranza dei miei
giovani anni. Tuttavia ho intenzione di vivere, il sale dell’essere è
sapido sulle mie labbra e io, desiderando la sete, mi abbevero
all’esiguo ruscello della foresta che avrei potuto piantare.
Incatenato al movimento delle cose, compio atti che diventano
conoscenza e gesti che s’iscrivono armoniosi nelle righe rettilinee
del pentagramma in cui è scritta la mia vita. Alcuni canti ne
punteggiano le battute, lo spazio si popola di silenzi; allora
l’avventura di vivere diventa mia e all’inizio del tramonto appare
l’obiettivo: arrivare al punto fisso del tempo. Dopo aver lasciato la
morte alle spalle quando scoccherà l’ora.
Stagione di linfe e sementi, la primavera lenisce la nuova sete
che mi riempie. Andare nell’erba e, negli interstizi delle foglie
dischiuse, scoprire l’immenso giacimento di luce che copre la
terra. Una luce come non s’era mai vista finora! Che chiude gli
occhi e le labbra e spande un profumo d’aurora. Luce venuta da
altre contrade, peraltro vicine, sfuggendo all’ombra che traina il
mio passo da sonnambulo...
Piegato dal peso della nascita, inchiodato ai tormenti
dell’assenza, io mi apro un sentiero. Perduto nel rigoglio dei
pensieri meccanici, vedrò la primavera dischiudermi il passaggio

78
per la prima volta? Perderò finalmente la maschera da straniero?
Oh, quanto mi lava quest'anno l’abluzione della primavera! E
come d’un tratto sono vicino a me stesso, nel più profondo
dell’essere!

Sotto la falce dei passi volano le pietre del sentiero! L’orizzonte


è in marcia, diretto là dove brillano le luci che mi abitano. Possa la
mia parola diventare sostanza e possa io finalmente fare il pane
con le sue messi!
Nella frescura feconda del mattino tutto comincia con un
crepuscolo; avido di pensieri introvabili, indugio ai riflessi dei
ricordi. D’un tratto l’ignoranza sparisce, ed eccomi agli estremi
confini dell’età, venuto da tempi profondi. Cosa mi pervade
improvvisamente la vita? Quasi un gioioso seme di essere. Un
seme che conosce luoghi nei quali non andrò mai, ma in cui
esisterò, un seme che sa chi incontrerò e non conoscerò mai.
Fertile seme proiettato nel futuro dell’essere, là dove c’è la
speranza, ma dove s’insinua pure la sofferenza, insistente, fino
all’ultimo respiro che mi verrà concesso. Un seme che mi ha
trovato cieco, immobile, rassegnato, ancorato ai miei limiti,
impegnato a invertire la curva del Tempo... vinto! Ma poi il seme,
crescendo, s’è messo tra quell’altro che ero e ME.
E ha riempito immediatamente lo spazio del mio risveglio.

La presenza è vita, ma non soltanto vita da vivere: la presenza è


vita cantata. In tutti i toni.
Ah, vivere un giorno tutti gli istanti di presenza, senza
intervalli: ricompensa! Visione improvvisa degli io vuoti, relitti
trascinati dal fiume impietoso del Tempo! Esserne l’ospite fisso,
solcarne le acque sopra una barca inaffondabile, andare al festino
mostrando le mie piaghe guaribili... fino a qual porto, verso quale
naufragio? Le luci verso cui credevo di navigare svaniscono.
Scacco dell’avvenire immaginato. Dove portano dunque le strade
promesse? Erano aperte soltanto per la mia crisalide!
E il momento del suo risveglio?
Già perduto nell’eternità, fra poco potrò gettare sul mondo
soltanto uno sguardo d’addio?

79
Giugno, porta dell’estate. Lassù sotto gli alberi stanno per
cantare le fonti e presto l’aria s’inciprierà di sole. In questo
momento si compie ciò che prepara la mia gioia futura.
Rugiade d’amore che dovrò fortunatamente prosciugare... E
immergermi nell’azzurro del cielo nei giorni di tempo leggero.
Placido, contemplare la chiglia della presenza all’opera che fende
il futuro fino al grande silenzio della morte. Rallentare la
traversata della bella stagione... Vincitore dell’irrealizzabile, uscire
dall’estate a ritroso, tirato verso l’inverno laborioso sul quale il mio
sguardo evita ancora di alzarsi.
La paura è lontana. Da oggi, far tacere l’angoscia verso cui mi
trascinano le parole.

Un giardino. Un’aiuola di pensieri, di sentimenti piantati in


piena terra, agitati dal vento di un desiderio che non vuole darsi
per vinto. Un giardino pieno di bruma in cui s’annuncia, tardivo, il
raccolto; i rami non sanno più come carezzare le stelle, l’avvenire
si copre di una grande cappa d’ignoranza. Come ghermire la
presenza che, nello sforzo, calamita il futuro? Mondo interiore
devastato!... Io, reggendo la volta dello spazio i riempito dal
respiro, innesco il conflitto; s’espande una spirale di sofferenza
determinata a imporre la sua credenza.
Dallo spavento sorge improvvisa la felicità: è di vivere come
vivo che muoio! Fondare l’opera di vita su terre commosse
attraversate da nuovi sentieri, bordate da pietre miliari segnate dai
solstizi...
Di colpo si ravvivano i riflessi della presenza. Non più estraneo
all’aurora, il peso della notte s’alleggerisce attraverso il mio
sguardo; nel giardino s’annuncia la nuova stagione, si scatenano i
temporali facendo montare la linfa che prima, ignorata, irrigava
soltanto la coscienza. L’aria, improvvisamente pacificata, depone
dentro di me le sue turbolenze e mi nutre.
L’oblio, quest’indiscreto, oserà ancora attraversarmi la strada?

L’attenzione convogliata crea lo spazio necessario alla propria


esistenza. Uno spazio variegato in cui s’alternano macchie d’ombra
e di luce. Ogni impulso di attenzione è una fonte viva che sfiora
l’istante offerto al momento e anima l’indispensabile

80
paesaggio. E che finalmente s’insinua per intero nell’istante
rallentato fissandolo per sempre. Allora nasce il « presente ».
E nel « presente » io SONO.

Mi trovo di fronte all’ostilità del Tempo e in balia


dell’impazienza. Strano che in questo momento il possibile sia
impossibile... Il reale è una favola. Le immagini e ME si
riconcilieranno?
Piove anche sulla coscienza. La « presenza » non è più di questo
mondo. Che nome dare alla vita? Mi abita l’innominabile. Da che
parte prendermi: dal basso, dall’alto? Intravvedo un tratto
silenzioso, subito coperto dai rovi che definivo « il sentiero ».
Finirà qui il pellegrinaggio verso la fonte?
Quale vento misterioso mi ha dunque piegato?

Poi un giorno è avvenuto quell’incontro...


Era il 1947...
E ben presto sono arrivati i primi doni della Presenza, intessuti
di sogni e di realtà mescolati insieme. Come un tocco leggero, un
fruscio di coscienza appena colto all’inizio di un’ora pacificata.
Ci sono state anche molte feste sotto la maschera della
sofferenza, maschera finalmente sollevata che solo la nuova lingua
materna, insegnatami allora, riusciva a esprimere senza parole.
Poi sulla gioia s’è estesa una bruma rinnovata ogni giorno, fonte
di acquazzoni sotto cui rischiavo spesso di soccombere, stanco,
perdendo il sentiero.
Sono avvenute tante cose... molti pianti e molti canti, deserti,
terre sovraccariche di frutti, sentieri sul ciglio del baratro, grandi
spazi per l’attesa, istanti lunghi un secolo, ore smisurate...
Tante cose, tante cose!...
Ancora però manca il Segno.
Quello dell’ultimo appuntamento, fissato solo per me.

L’acerbo fogliame della primavera s’espande. Ormai l’acqua,


come la prima brina invernale, si scalda, dolce come le cose dette
nel momento del Ricordo di sé. L’estate propizia esce lentamente
dalle radici offrendo in potenza tutti i suoi frutti.

81
Già sento parlare le voci ammutolite da due stagioni: e dicono il
mio nome, quello che conosco io solo, maturato come un frutto
precoce nelle tiepide sere d’aprile.
Sulla via silenziosa dell’estate avviene un movimento, il
crepuscolo vibra di ali che cercano asilo. Finalmente padrone dei
pensieri brulicanti come insetti, ascolto il presagio: s’indovinano i
sentori dell’estate e il tempo, che corre incontro alla sua
inconcepibile fine, mi trascina con sé distruggendo ogni sorta di
vani ricordi.
Pellegrino d’un secolo già vissuto a tre quarti, cammino verso i
miei stessi semi e verso la prima innocenza, riconciliato per un
attimo con l’Unità.
Oggi, aprendomi la strada attraverso i solstizi, sfioro ancora una
volta le frange dell’estate, e dal fremito dell’alba fino all’equatore
della gioia sono pronto a nascere ogni giorno.

82
VI
Strada facendo

Devo interrogarmi di nuovo sul linguaggio che sto utilizzando?


Il ritmo e la metrica istintiva cui mi sottometto, l'impatto
sonoro della materia verbale, cui do molta importanza, sono
compatibili con ciò che ho da dire? La forma è adeguata al
contenuto? In altre parole, tendo a dare troppa importanza
agli strumenti e a trascurare la musica?
Il mio proposito è quello di cercare l'unità tra il vissuto e ciò
che può esprimerlo meglio. Naturalmente il risultato è
sempre un’approssimazione, un approccio sempre più stretto e
mai totale, ma neppure soltanto accettabile o tollerabile. Per di
più non c’è il rischio di vedere le immagini sbiadire col tempo?
Mi sembra di percepire qualcosa del genere dopo la quinta o la
decima lettura...
Il rischio è grande e le trappole sono tante, anche se pericolose
in diversa misura. Evitare di essere gratuitamente « lirico », non
attaccarmi a una sola nota, per quanto foneticamente azzeccata,
accettare invece ogni incidenza che tenda a inflettere la linea
melodica della frase provocando sorpresa e contrasto, a
condizione che la « sostanza interiore » resti leggibile e
purché risulti lampante che il messaggio proviene dai paraggi
più prossimi alla coscienza.
Per il resto, lasciar fluire, lasciar venire, lasciar « cantare ».

Il domani sa quali saranno i miei atti. Dall’alto della solitudine,


dall’aereo promontorio del Passato, io avanzo ed entro di slancio
nell’istante per andare all’unico appuntamento con l’inspirazione
del futuro. Incontro dell’irreversibile. Scontro! (Così, se le Leggi
sono uguali dovunque, si formano le nove nel cuore delle galassie!)
Eterna aratura del Presente che scava il solco rettilineo tra i

83
due mondi e vi semina il suo lievito. Terre fecondate dal fermento
dell’attenzione più attiva: ne nasceranno opere vive; terre aperte
all’azione, cariche di semi e di frutti, terre in festa per la mia
nascita senza fine,
...ora in cui comincia il tormento.

La vita sale fino al ramo più alto, la vita sale fino al cuore, ma la
testa stenta a percepire il vuoto scavato dallo sforzo. Ascolto il
termine proferito nel vento della parola. E il mio grido d’uomo,
scoppiato improvvisamente al momento del risveglio. Dove sono?
Alcune idee periferiche vanno a zonzo in cerca di chi,
opponendosi al potere centrifugo del pensiero ordinario, le
riporterebbe al Centro. Poi d’un tratto s’apre l’ignoto paese di cui
m’è rimasto il ricordo.
Partito dal basso, da terre lontane segnate dalle ustioni subite,
eccomi arrivato alla soglia di un futuro indicibile... Saprò
mantenere l’andatura e compiere, imparziale, altri passi sulla
strada dei prossimi secoli?

Oggi il ventre fecondo della terra genera l’estate, giunta come


un dono generoso nel deserto della mia solitudine. Nuovi passi
calpestano il tiepido suolo mentre il grigio del cielo ricorda ancora
l’acquazzone estivo appena passato.
Alcune sensazioni si risvegliano e cambiano posto dentro di
me, creando col loro movimento i ritmi d’un altro poema. Il cielo
è come un festino preparato solo per me; una messe di fiori
discreti ne orna la volta.
Cacciando per lunghi momenti il luccichio dei piaceri ordinari,
contemplo in silenzio la grande ombra notturna che mi riempie,
simile a un altro cielo. Non sognare più gli appetiti, scordare le
impazienze... Lasciando cadere le immagini, costeggiare le forze
esiliate da cui, perpetuamente ignorata, emerge la mia sete d’essere
già sofferta migliaia di volte!

Raggiungere il luogo d’asilo! Cacciato da me stesso fino alle


frontiere del sonno, dove m’inebrio di accidia tenendo la
coscienza in ostaggio senza riuscire a varcare la stretta soglia della
presenza, io vivo i miei alti e bassi... Odore di fieno tagliato

84
frammisto ai profumi del giardino: breve lasso caduto in fondo alla
memoria - cose ancora irreali. Leggero solletichio d’un pensiero
futile subito inghiottito dalle fauci dell’ignoto. A chi dare la mia
parte di tenebre per potermene liberare in eterno?
Sapendo più di ciò che mi hanno insegnato, starò finalmente
per imporre intorno a me il potere d’essere, di cui vengo spogliato
in continuazione? E per imporre che abbia valore la spartizione tra
noi? Portando l’ineffabile più lontano, potrò un giorno passare,
libero, esibendo i miei atti come promesse mantenute, e indicare il
cammino?
Il puro frammento di coscienza diventato territorio abbordabile
riesce a durare, improvvisamente ribelle ai riti abituali che lo
fanno sparire. Vivere ormai è una cosa naturale e lascia spazio alla
gioia...
Finalmente ho trovato l’asilo che cercavo!

Il tempo è sereno e tiepido, e in giardino i miei passi aprono un


nuovo sentiero nella carne dell’estate. Strano suono di cose dette
alla comparsa di un pensiero, corolla subito fecondata dallo
spirito... Il ritmo si commuove nel petto, accelera e rallenta: io
m’interrogo, scuoto la catena dei pensieri, le parole calano in
picchiata come un volo di stornelli lasciando un segno sulla pagina
bianca...
Bisogna scegliere? No, basta voltare pagina, passare dall’altra
parte, andare verso l’altrove, oltre le forme in cui ristagnano la
gioia, la tristezza e la speranza, ritrovarmi solo, libero nell’odore
dell’estate, di fronte all’innominabile, e misurarmi con lui.

Mattino. Dopo che ho preso in mano le mie solite armi, la


coscienza esce lentamente dal suo riparo. Chino sulla notte,
ascolto i pensieri scrosciare come un acquazzone. Il riscatto non è
ancora interamente pagato, devo ancora soffrire. E scegliere. E
divorare senza tregua ciò che mi divora incessantemente.
Entrare in me seguendo il filo della spada e sostare nel silenzio,
lontano dai centri di gravità provvisori caduti uno dopo l’altro nel
pantano dell’oblio. Rannicchiarmi nell’ombra ardente e gonfia di
segreti del futuro, ombra presente anche quando io sono assente,
recipiente magico di tutto ciò che sognavo da bimbo. Quale
freschezza improvvisa mi spinge alla fame insaziata di essere, quali

85
palpitazioni animano l’emozione cui accedo di colpo?... Pensare -
dire - essere - percepire: sintesi di tutte le brame depistante.
Ma, ahimè, l’impazienza ancora mi stringe, e innalza come un
trofeo il suo nome di cortigiana.

Sostare un momento. Guardare la bruma che mi circonda,


impenetrabile anche a uno sguardo attento: nasconderà l’ultima
pagina di una storia che sta per finire, oppure Falba di una nuova
èra, i primi movimenti di un’impresa che riempirà l’ultima parte
della mia vita, opera di crociato infaustamente smarrito nell’èra
contemporanea? Costretto a partecipare alla crociata del nostro
tempo, avrò diritto di lodare umilmente la mia opera di artigiano,
di proclamare la mia gratitudine verso chi mi ha trasmesso il gran
moto all’azione cui sono definitivamente legato?
Immerso a lungo nel sonno dei vivi, sento crescere pensieri che
si sostituiscono lentamente ai sogni ormai liquidati. Nella moneta
d’oro del sentimento, di cui troppo spesso finora si vedeva una
faccia soltanto, il dritto s’impone al rovescio. Stroncando
l’insolenza degli attaccamenti abituali, ho ricevuto alcune perle di
cui oggi devo ricusare l’apparenza ma esaltare l’oriente. (Istanza
recente apparsa da poco.)
Da questa parte del mondo in cui ancora mi trovo a spiare i
segni sulle rive del futuro, cerco il significato e la misura che ho. E
talvolta li trovo sui sentieri tortuosi disseminati d’insuccessi e
discordie.

Che cosa dunque ci attende dietro le stelle? Come


interrompere il silenzio della divinità?
Talvolta mi sembra di percepire una folgorazione, una corrente
carica di una sostanza che mi penetra. Di questa corrente
intraducibile, che si potrebbe esprimere solo con Fuso di allegorie,
si nutre la parte migliore di me.
Nell’alleanza di questa corrente con ciò che io mi sento essere
c’è tutto ciò che l’uomo può attendersi: sia ciò che l’uomo è
virtualmente, sia le forze latenti incluse nella sfera che contiene la
sorgente e l’estuario in cui la Creazione trova il suo fine e la sua
ragion d’essere.
Vittima della mia stessa storia - poiché sono attaccato
all’andamento passionale della mia vita - ormai devo respingere il

86
potere delle parole e delle sensazioni fissate nella loro accezione ‘
abituale, e volgermi verso quell’alleanza che, manifestandosi,
consacra immediatamente ciascuno degli elementi che mi
compongono. Allora ciò che ho scatenato mi supera e io, subendo
la presa del « vero conscio », divento improvvisamente capace di
cogliere i multipli aspetti del mondo e di acquisire nuove
conoscenze e la visione autentica delle cose...
Temporaneamente incarnato in questa santa alleanza, sarò
giunto nel luogo di me in cui la liturgia praticata genera un nuovo
approccio all’accessibile... e anche una parte di ciò ch’essa ha per
scopo di magnificare?

Vivere un istante che squassi il Tempo. Rendere udibile tutto


intorno il silenzio mortale del sonno ed entrare nel Presente di
straforo. Onore a chi sta per venire! Scegliere atti e parole tra i
frutti ch’egli propone, ormeggiarne i migliori alla coscienza
affinché si riposino prima di partecipare alla mia vita, poi lasciare
che si allontanino lentamente per guadagnare i territori di libertà
in cui agire non è « fare », non è ripetere atti pur nuovi, e in cui le
parole, anche se dette e ridette, andranno a onorare altri spessori!
E vivere come fosse la cosa più naturale del mondo.

Ogni mattino si presentano le seriche ore estive: intervallo


piacevole fra le stagioni dello sforzo. Da quanto tempo ormai è
finito il roco ansimare del respiro stanco, affaticato dalla mia
grande opera di trascinatore! E da quanto tempo è sceso il silenzio
sulla terra che mi ospita, un fresco silenzio che regna a turno su
tutte le cose. Promessa del futuro riposo.
Laggiù nel villaggio i rumori della vita non pesano più della
piuma d’uccello trovata in un nido. Freschi odori di muffa
assillano il vento, promesse d’estate.
In quest’oasi di desideri soddisfatti, quali forze nuove, capaci
d’affrontare il dubbio e l’impazienza o d’appianare ogni lite, dovrò
forgiare per domani, quando alle mie spalle sarà finita la stagione
morta?... E quante volte dovrò ancora accogliere e disfare tutte le
cose avvizzite nel cuore degli uomini, spazzare le montagne di
ciarpame prodotte dalla loro intelligenza... e braccare l’apolide
Conoscenza?

87
Perché mai all’orizzonte si staglia già il triste profilo di
settembre che preannuncia le nevi invernali?

Oh, l’agra gioia di curvarsi su di sé prima di mezzogiorno,


quando l’attenzione scende a livello dello sforzo e i pensieri morti
fuggono come un banco di pesci impauriti!

La fonte sgorga dentro di me, nel profondo, e talvolta emana


riflessi d’oro. Allora il cuore e la mente assumono una
impareggiabile trasparenza... Il Presente: grano seminato sul
rovescio delle colline che sbarrano la strada; è il mio specchio, il
mio fiore - o è il frutto maturo dello spirito, promesso a ogni alba
della coscienza? Accedo alla novità. Il deserto popolato dalle
ombre di mille sogni ricorrenti si chiude. Più prezioso perché raro,
il bisogno della presenza cresce mentre svaniscono per sempre le
conseguenze degli atti morti e si animano potenze che a lungo
sono state follia. Ecco, si spalancano le stanze proibite in cui si
poteva entrare solo con la spina nel fianco, si apre la via delle
fontane e si presentano le pietre su cui appoggiare la testa.
Mi verranno perdonati gli atti eccessivi, i tradimenti periodici,
le parole cariche di sogni scambiate per verità?
Certamente sì, sempre che io sappia tener viva la fiamma nel
focolare dell’istante e scaldarmi alle sue braci - purché, diffidente,
mi guardi dalle sue ceneri.

Avere a che fare con me stesso: piaghe aperte, rese


insopportabilmente dolorose dal fuoco dello sforzo. Paradosso!
Piaghe nate dall’effluvio del sogno, dalla tirannia dell’uomo
immaginario che porta il mio nome, e cioè da cose irreali che non
sarebbero in grado di ferire.
Da quando l’uomo immaginario ha fatto naufragio e s’è imposta
la necessità di ricostruirlo a partire dal relitto, s’ode lo stesso
lamento elevato al culmine dell’istante vissuto. Libero di parlare -
com’ero prima dell’adolescenza - potrò presto rovesciare senza
violenza le panoplie, fermare il viavai delle cose sognate, unire il
respiro a quello delle notti e dei giorni, rifiutare i dissidi più
costanti con atti da uomo? E veder finalmente guarire le piaghe
più lancinanti?...

88
Allora cominceranno le opere di ragione della Coscienza.
Dapprima come un lieve tocco, un movimento leggero dello
spirito, un canto puro dell’essenza sussurrato soltanto per me... Poi
verranno i grandi rumori, i traumi profetici simili al lampo di una
cripta illuminata di colpo, e le vertigini davanti agli antichi abissi
in cui sprofonda la verità.
Tagliati tutti i ponti alle spalle, con passo da uomo libero andrò
verso il futuro scrivendo in mia memoria le prime pagine della
storia del mio destino.

Solo il desiderio di essere può liberarmi dal torpore ancestrale


in cui mi crogiolo, dall’errore in cui vivo ogni giorno e dal flusso
che trascina tutti i miei fremiti psichici.
Perché quest’amnesia perpetua della Coscienza? Eppure basta
un nonnulla per ritrovare la sovranità: un albero illuminato, un
bambino che gioca, un fiore inaspettatamente aperto di notte, un
profumo inopinatamente risuscitato nelle pliche del cervelletto...
Ma che traccia lascerà tutto questo? Il mio ardore brucerà ogni
cosa?
No, resterà la forza d’amare. E il suo irreversibile movimento.

Finalmente l’ora dei lunghi silenzi dopo lo sforzo è arrivata! Gli


ospiti hanno pesato molto quest’anno sul bronzo effimero al quale
m’appoggio; talvolta le parole hanno indugiato nella mia bocca,
semi raccolti che loro, tornati a casa, dimenticheranno persino
d’aver ricevuto! « Loro », « loro » chi? I miei visitatori d’estate, i
cercatori di santuari da costruire in se stessi, coloro che bisogna
ridestare dal sonno...
Sguardi ciechi nella notte, tracce d’impronte cancellate ogni
giorno... E l’onda incessante dei pensieri ingabbiati. Ciascuno mi
racconta il suo male: e io devo essere nuovo, far sì che nelle parole
aleggi il profumo di qualcosa che sboccia. Affinché restino
sorpresi, risuoni l’ordine di cambiare, inizi il movimento stentato
che consente di elevarsi e poi di parlare; e di uscire dal grande
anonimato dell’assenza in cui imputridiscono.
Affinché un giorno arrivino a sentirsi « uomini », a liberarsi
dalla scorta di nubi, dai cortei d’arcobaleni, dalle fantasticherie
che popolano i loro orizzonti, a percepire la breccia aperta nel
muro di tenebre dietro cui credono di transumare!

89
Basta con questi pensieri! Il calice è vuoto... Avido delle ore
passate alle porte del tempio, ascolto le cose parlare e respingo i
mormorii del sogno abituale.
Presenza, non ho luogo che in te.

Nell’istante in cui l’avvenire cede di fronte al presente che


rinveste, lo spazio si dilata e inghiotte il Tempo.

I lumi mentali non rischiarano.

A quei tempi avevo così poco da pensare che compravo libri.


Non vedevo il pericolo: ho rischiato d’essere ucciso dai proiettili
delle parole.

Quando si spegnerà la mia lampada, quando s’abbasserà la


verticale delle impazienze e la morte rivendicherà i suoi diritti,
allora, forse, fiorirà l’arbusto vivace che ho piantato nel Tempo.

La Coscienza s’offre all’istante come l’essere femminile in cui


l’uomo si radica. Filtro guerriero trapassato dal dardo, essa
contiene una scienza perfetta che cela il segreto in eterno. Ma
quello che dice è ciò di cui è fatto quel che nasconde.
Basta imparare a ascoltarla.

La vita è come un lungo corridoio soleggiato qua e là che passa


fra sofferenze contrarie, un corridoio ornato di sogni e disseminato
di luoghi deserti. Vi si percepiscono canti e singhiozzi. Io ci ho
riso e ci ho pianto sovente, ci ho amato e ci ho camminato, spinto
di volta in volta dalla calma e dall’angoscia, dal ricorrente ritorno
dei sogni tirreni...
I muri conservano l’eco delle mie grida erose dal vento
dell’oblio; un pezzetto di cielo azzurro, minacciato dalla notte, mi
fa da soffitto.

90
Marciare ancora qualche anno e poi, alla fine del corridoio,
contemplare l’infinito?...

La coscienza è situata nello spazio in cui, nonostante il


diuturno vagare, non ci si avvicina mai alle stelle. Uno spazio che
ignora la distanza. La coscienza rivela un luogo unico, proprio a lei
stessa.

La silenziosa veglia dei secoli piantati lungo le strade percorse


dagli uomini! Quasi tutti passano di corsa senza vedere nulla,
come fuggiaschi, senza notare nemmeno il confine del mondo.

La mia vita, che sta mettendo le spighe nutrita dall’humus


radioso della terra, è allo zenit? Gioia o dolore, nettare o veleno,
amarezza o amore, oggi ella s’offre alla prossima messe, allo
spargimento di un atteso raccolto... Ho appuntamento con lei!
Promessa di nuove sementi per le terre dell’al di là, raggiunte,
Dio solo sa come, attraverso strade misconosciute che passano per
luoghi deserti, mi passerà finalmente l’oscuro tormento di vivere?
Vita, terra di pazienza, le tue forze s’irritano davanti al freno
delle potenze del sapere, davanti ai sogni sconclusionati
dell’immaginazione in cui mi crogiolo. Oggi la mia ricerca è
diversa: lo sforzo fecondo sta nelle mie mani, il vero è animato
dalle ardenti memorie di esperienze passate, si vedono
chiaramente gli assurdi sviamenti...
La mia vita improvvisamente si libera dalle ombre e la bocca si
libera dal linguaggio; iniziano migrazioni che aprono la strada ad
altri cicli di pensieri. E là dove poco fa fumigavano le braci mai
spente del nulla, ora si leva una bella frescura.

L’arte di « vivere » - aspetto essenziale della nostra meta - può


nascere solo da un preesistente bisogno reale.
L’esempio non basta.

Cos’è che cancella senza tregua il presente?

91
Viandante seduto per un momento - il tempo della vita -
davanti alla sorgente spesso esaurita in cui s’indovina, semicoperta
dal muschio, una pietra che porta incisa la parola « AMORE », saprò
saziarmi della mia sete?

Il futuro è un diluvio di cui la Presenza è l’Arca.


Riuscirà Noè a salvare definitivamente la Creazione?

Quali parole possono esprimere l’anima di questo paese? Ogni


parola che vorrei utilizzare è già pregna di qualcosa, e ogni volta
sono sorpreso di scoprirne il contenuto: immagine esatta di ciò che
sto sentendo nei confronti delle parole e che finora non avevo
percepito.
Talvolta vi si mescolano alcune sillabe riluttanti, proprio come
la suola posata su un sasso appuntito prende parte alle peripezie
del cammino.
Sul pentagramma le parole s’insediano e danzano, i suoni
s’allungano in lunghi stridori come un canto di cavallette.
Raccontare la Terra, il prato e la montagna, paese d’ombra e di
freschezza, affinché riviva il gusto dei tempi anteriori, l’odore di
humus che sotto il fogliame aleggia come un profumo di carne
emanato da inediti sillabari.
Il testo si tesse a partire dalla segale e dal frumento, dall’avena
leggera e dall’erba medica, dai fiori schiusi alla sommità di lunghi
steli flessibili, dal peso dell’aria sulle curve delle colline, creando
parole di ferro, parole di bronzo, parole tenere e dolci posate
sull’area soleggiata della pagina bianca, e si forma anche a partire
dalla linea delle alte pietre verticali, tempio del silenzio più puro
che resiste al vagare impaziente delle nuvole, a partire dal
mezzogiorno splendente, dalle ore serali già piene di ombra... e da
tutto ciò che colma lo spazio fra due mondi.
Avendo compreso il testo, l’anima del paese esala nella nuova
scrittura innestata per sempre sulla realtà.

Scopro sorpreso che in questo momento la parola per me più


preziosa e più importante sotto tutti gli aspetti non è « AMORE » ma
« SILENZIO ».

92
L’uomo di paglia e l’uomo di grano!
Senza il primo il secondo non ha certamente alcuna possibilità
d’esistere. Ma saprò mantenere l’ordine di successione?
Paglia di erbe e di piante amare, l’uomo degli istanti sordi e
ciechi, l’uomo cacciato via da se stesso obnubila il raccolto e
compromette il torrente dei chicchi.
Paglia degli automatismi indispensabili ornati dal corteo dei
sentimenti domestici, paglia immensa delle abitudini..., paglia
secca delle parole, paglia umida delle cose descritte dalle parole, di
tutti i bisogni, di tutte le immagini riverite sin dall’infanzia, di
tutti gli appetiti di gioia, di tutte le credenze denunciate mille
volte, paglia dei sogni notturni e dei sogni da sveglio, degli amori
dimenticati, dei nirvana immaginari e degli abissi sfiorati, paglia
smisurata di tutta una vita irresponsabile...
Quando s’innalzerà l’alta fiamma che la divorerà?
E perché esito tanto a sfregare il fiammifero?

La presenza è fuori dal tempo attuale.


La presenza non è di questo mondo. Però « è », senza ombra di
dubbio.

Spesso, quando mi viene il bisogno di scrivere, non so come si


esprimeranno le impressioni da me ricevute né con quali parole o
immagini le descriverò, ma so perfettamente, in compenso, come
non devo parlarne.

Queste brevi note, scritte di getto, vorrebbero esprimere ciò


che non si può comunicare con la solita costruzione verbale,
capace solo di comunicare il dicibile. Infatti vorrebbero esprimere
qualcos’altro che dovrebbe venir fuori dal modo in cui le cose
sono dette. Come succede nell’arte, che non è il linguaggio di ciò
che si dice, si vede o si ode abitualmente, ma l’espressione di
qualcosa che si può percepire solo per tramite suo.
Non pretendo di riuscirci egregiamente, tuttavia non desisto da
questi esercizi di ventriloquio!...

Ascolto attento i minuti rumori di cui è fatto il silenzio: appena

93
una schiuma leggera sulle onde del tempo... Attento anche al
silenzio perfetto: scorrimento impalpabile delle linfe vegetali in
vasi invisibili, moto impercettibile della vita nel cuore del seme,
presenza sorta al centro dell’essere. Tutte cose che crescono
instancabili in uno strano tumulto silente nel quale si colmano i
vuoti dell’angoscia saliti dallo scorcio del mondo, nel quale si
aprono le brecce che danno accesso all’io presente e spariscono per
qualche tempo i territori della molteplicità...
Avrò accesso al luogo d’asilo stabile e immutabile, alla terra di
maturità dalla voce di bronzo e dalle parole di pietra, luogo di
promesse e di silenzio in cui si raccolgono le particelle verso le
quali la morte è impotente?

L’intelletto e il sentimento non abitano gli stessi paesi, non


sono bagnati dallo stesso fiume e non producono le stesse ceneri.
E ne soffrono...
I continenti dei sofismi e le terre ardenti del poema che si è
fatto vita restano troppo spesso disgiunti. Con la bocca riarsa, non
smetto mai di attraversare il deserto che li divide, cercando, nei
momenti di debolezza e di gioia, le possibili confluenze. Legato
più spesso - e contro la mia natura - alle lucide terre della ragione,
ho vissuto a lungo una vita da schiavo. Poi, improvvisamente, ho
scoperto che, avendo recitato continuamente una parte, sono
diventato il dramma.
Dimenticare i territori in cui nascono insieme l’infelicità e
l’amore: è ai confini del deserto infatti che sbocciano i fiori più
belli e più profumati, là dove finisce la strada che viene dall’altro
continente. Ed è là che devo deporre i miei costumi di scena e
ritrovare la purezza del tempo che fu.
Intelletto smisurato, tu che pecchi instancabilmente contro il
silenzio e che versi sul mondo l’inestinguibile luccichio del
linguaggio, saprai finalmente lasciare il posto a chi regna sull’altra
terra, e anche a ciò che sfugge alla durata e non è affatto limitato
dall’estensione?...
E tu, sentimento caloroso, tu che nella solitudine ti dedicavi a
nutrirmi di sogni, al ricordo delle porte che si sono aperte al
momento dell’adolescenza saprai accogliere di nuovo la preghiera,
rinnegare l’assenza e riunirti all’intelligenza affinché rifiorisca
l’immensa distesa del deserto?...

94
III
Alti e bassi

La lama è entrata profondamente e m’ha fatto assai male... Perché


c’era proprio bisogno che il colpo venisse dal più amato? Che
sorpresa, che colpo inatteso! Ma non è nell’ordine delle cose che
chi ha dato di più riprenda di più?
Ora mi tocca partire alla ricerca dell’errore commesso,
ascoltarmi, comprendere, riprendermi, annodare altri legami e
verificare che il grande affetto cresciuto pian piano rimanga.
Ma stento a convincermi che l’accaduto sia giusto e che tutto
possa restare come prima.
In compenso ho la certezza che non c’è alcuna colpa da
perdonare.

Cercare di nuovo l’equilibrio, ritrovarmi quale sono e riuscire a


presentarmi ancora, semplicemente, davanti agli altri soltanto col
mio nome d’uomo... Oggi è una bella scommessa.
Ah, come indugia in me la tristezza! A causa di tutte le cose cui
ho fatto torto. E di quelle più pure, cui una cecità incoercibile e
dolorosa m’impedisce l’accesso, alle quali non ho fatto giustizia.
Tutte cose frementi, sepolte in fondo al cuore degli uomini.

Amarezza davanti all’enigma.


Dov’è cominciato l’errore?
Forse ho elogiato eccessivamente i doni ricevuti. E ho
mescolato al sentimento un incorreggibile lirismo: una sorta di
belato degradante.
Con F., è vero, non bisogna cominciare dalle parole. Le parole
contengono qualcosa che non si trasmette, le parole non possono
unirsi totalmente al cuore.

95
Tuttavia, se sapesse quante volte ho parlato solo per lui! E
quante volte ho detto tante parole perché in lui prima della morte
sboccino i fiori di stagione, quante volte ho spiato sulle sue labbra
il segreto ch’egli palesemente contiene. E spesso ho gioito d’averne
riconosciuto la promessa...
Se sapesse in quale punto della mia coscienza nascente vibrano
le armonie con le quali lui sa rivestire i poemi, e come talvolta io
sia rimasto ad ascoltarne il silenzio più che la musica!
Come mai un giorno ho smesso di rispondere alle sue
aspettative? Cosa non ho fatto che avrei dovuto fare, cosa non ho
detto che avrei dovuto dire, cosa non sono stato che avrei dovuto
essere? O ancora, cosa ho detto che avrei dovuto tacere?
Sul mio corpo invecchiato, settantatré anni pesano meno
dell’interrogativo che mi rode e della scoperta che oggi forse ci
separa un’oscura distanza... L’intero edificio ha subito una scossa,
l’uomo e la bestia hanno entrambi tremato.
Ma bisogna che la ferita sia fertile: già è riuscita a far sì che una
parte del mio spazio interiore, finora indifferente, abbia smesso di
esserlo. L’uomo è triste, ma il seme ch’egli contiene - e che sta per
marcire - è felice, qualunque cosa succeda.
Allora, forse, un giorno il canto riprenderà.
Kyrie eleison!

In noi da qualche parte c’è sempre una luce che non vediamo.
Si trova spesso nella parte non illuminata e nutre l’ombra che a
poco a poco c’invade. Fino alla morte.
Quest’ombra pericolosa è aumentata. Per dissiparla cerco di
scrollare il futuro ma, ferito nel vivo, mi sento debole e - stupore!
- non credo più nel domani.
Quando riprenderò a spigolare speranza?

Cacciato dal riparo dell’estate, mi tocca entrare pian piano


nell’anima dell’autunno. Le foglie tremano, impaurite:
presagiscono già la fine? Il pipistrello ha smesso d’intrecciare
merletti nelle tiepide sere d’estate. Oggi la dura stretta del vento si
unisce allo spirito, mio convivente, che sale dentro di me contro-
corrente come una linfa. Autunno!
Riprendere tranquillamente la lettura della mia vita, rimetterne
insieme i frammenti dispersi nello spazio, ricostruire l’uomo

96
spodestato per un momento. Sentire la domanda esprimere ciò che
è, poi sentirla diventare ciò che sono. Rifare l’inventario
temporaneamente svanito dalla memoria imbevuta di sofferenza.
Una sofferenza che, come Toccano, si ritira lentamente due
volte ogni ventiquattr’ore.

Di nuovo si deposita in me il sapore della vita. Come il tenero


sguardo di una civetta emersa dal cuore della notte. Sapore che
sale pian piano riprendendo posto nell’amicizia delle cose che mi
circondano. Per qualche attimo posso di nuovo indossare gli
attributi recentemente acquisiti. E ritrovare la vocazione pressante
per le forze che riempiono il mondo.
Allora cos’è che per qualche tempo mi è stato infedele?

È più giusto sciamare che accumulare miele.

Il corpo, impareggiabile vaso in cui si consumano energie


ignorate e si mescolano flussi di correnti diverse - sangue, aria,
spirito -, luogo di passaggio tra Dio e il nulla, intersezione di due
mondi, seme e frutto!
Uomo, tu che, invaghito del corpo, il cielo rimiri, ti resta poco
tempo per nascere... Ascolta l’opera che si fa in te e cerca la nuova
carne in cui passerà la traiettoria del tuo futuro. Uomo invaghito
del corpo, rammenta che il corpo non guarirà mai dal male della
mortalità, che non lascerà la riva situata ai confini della terra, e
ricorda che ti sei dato l’obiettivo di estrarne l’Ospite divino...
L’Ospite esiliato nel corpo. Ricordalo, tu che il cielo rimiri.

Questi movimenti leggeri dentro di me che il Tempo trascura,


mentre la Morte in abito nero mi attende alla soglia dell’occidente!
Visitatore periodico, il narratore si leva: Pio si fa sentire,
trovando parole per le cose che si muovono nell’intimo di me
stesso... Salgono alle labbra lodi e preghiere. E istanti mai vissuti in
cui la gioia s’accresce.

97
Risveglio!... È contro la Morte che l’Essere prende
provvedimenti. Esso cerca la strada nel santuario del corpo e apre
vie che portano lontano le promesse del mio destino.
Ma cosa sono queste urla che m’aggrediscono? Quali fermenti
sono emersi d’un tratto dal silenzio? Le fiamme dell’azione mi
ripiombano nell’abisso. La pigrizia cerca la propria ombra,
l’istante, attraversato da brandelli di antichi sogni, si vela, e
scorrono pensieri che riempiono l’effimero e popolano lo spazio
circolare che mi trascina nella sua rotazione. Abbandonato agli
usurai del sogno, sento appena battere il cuore. So ancora di essere
un uomo?
Cercatore dalle fragili mani, come farmi scaldare dalla febbre,
come ottenere che un futuro già deciso s’avveri e mi ricompensi di
un’assidua temerarietà? Oserò ancora vivere e andare fra le
contraddizioni respirando l’oscuro profumo dei prossimi
disvelamenti?

S’irritano alcune forze davanti allo sforzo e lo rifiutano. Sono


pronto all’impresa? Saprò riconoscere i territori del prodigio alla
svolta del sentiero, vedrò scaturire la buona novella, saprò
trovarmi di colpo al di là dell’umano?
Saprò espormi di nuovo allo sguardo della Terra per usufruire
del suo irradiamento, saprò celebrare la festa ardente dell’amore,
inventare una presenza estratta dal nero sonno in cui palpitano i
sogni, abitare la scintilla?
Imparerò ad ascoltare dal mattino alla sera il clamore che si
leva nello spazio, a rispettare il rituale troppo spesso negletto
dell’essere in divenire?
La verità ancora mi attende.

Perché talvolta mi sono svegliato di notte scoprendomi


viaggiatore dal crepuscolo all’aurora e ritrovando di colpo il flusso
delle antiche perfezioni? (Sto parlando della notte che è in me, di
quella che sa cancellare la gioia, l’ira e le sofferenze ordinarie, e
che cancella anche la luce e la coscienza presente per un istante.)
Devo risvegliarmi, affinché la morte smetta di usare la mia vita in
tutti gli istanti di sonno che io chiamo « esistere ».
E l’ora di non rotolarmi più nella cenere dell’esistenza e di
portare con più costanza dentro di me l’essenziale della vita.

98
Come posso accettare con tanta facilità di perdere, anche solo per
un momento, l’opera che mi è costata tanti sforzi, veglie, sacrifici,
parole, e tutte le cose già utilizzate che vegliano in potenza
nell’immensità del potere di essere?
Per questo occorre una base, e la base è il corpo. Il corpo
mortale onorato finora solo per se stesso, il corpo che è interessato
solo a ciò che lo sazia, come le pietre di un Tempio erroneamente
onorate e servite dal Tempio stesso! Eppure il corpo quaggiù
traccia il segno delle cose: pur guastandosi per usura, il corpo non
è solo una fragile massa di ossa, di sangue e di carne palpitante...
Moneta di scambio indispensabile al momento dell’agonia, anche
il corpo appartiene all’eterno.
Nel tempo che mi resta riuscirò ad abbellire la mia dimora, pur
sapendo che non è l’essenziale - benché l’essenziale vi sia
contenuto - e saprò coglierne il significato in maniera diversa
ristabilendo la giusta gerarchia delle cose? Può darsi.
Lentamente mi sento essere colui che mi realizza...

« Essere »... Succederà il giorno in cui avrò finito di « divenire ».


Ma per arrivarci devo fare buon uso del domani.

Oh, le vane parole che talvolta mi escono di bocca! Venute da


questa parte del mondo. - Ero ancora perduto dietro le brame del
sapere -. Pensieri che s’affollano riversando parole opposte che
vibrano come sottili foglie metalliche nella bufera. O malattia del
discorso!
Ritrovare innanzitutto l’origine del silenzio.

Spiare l’istante in cui si manifesta l’essenziale. Saperlo


riconoscere: il difficile non sta forse qui? Capita spesso di prendere
per luce d’amore ciò che è soltanto uno sterile incendio, di vedere
la trasparenza là dove un triplo bastione ci separa dalla realtà e di
gioire davanti a riflessi sporadici come davanti a un poema
inesauribile.
L’essenziale è di bronzo; nella vita quotidiana amo solo ciò che
lo fugge. Mai nominato e compagno dei più lunghi silenzi, basta
onorare l’istante per sentirne la potenza.
In tal caso mi alzo, mosso da un fremito nato alle frontiere della

99
presenza, ronzio d’api avvolto nelle brume del tempo, nembi
odorosi venuti da un remoto e infaticabile portatore di saggezza...
E la presenza s’accresce di ciò che vince, della massa che le
resiste, dell’inconfessabile amore che porto ai miei nemici...
La Verità, che cresce lenta come un albero, sorge
dall’essenziale, parte legittima dell’eredità che si esprime fuori dal
tempo perduto.

Signore, ricordati che abbiamo bisogno di un al di là che ci


accolga...

L’autunno si sfoglia pian piano del suo mantello di porpora e


d’oro. Nello scarico delle fontane alcuni rivoletti d’acqua meditano
sulla via da seguire. Migrazione d’uccelli che raggiungono altrove i
confini dell’estate. Autunno, stagione della morte!
E il momento propizio per esplorare le stanze proibite.
L’impazienza brucia davanti alla promessa delle caduche stagioni
ammucchiate nel futuro. Domani unirò la mia gioia ai tepori delle
primavere a venire? O, al termine di una primavera, morirò
anch’io?
Che importa... Le parole dette al calar della sera suonano
diversamente, come fossero già toccate dall’ombra.
Non è così che saranno dette negli ultimi giorni, quando
cesseranno le sofferenze e le divisioni?

Vado in giro nei campi a seminare sotto le stelle... Perché


dovrei stupirmi del fatto che molti semi si perdono nelle ripide
scarpate delle coscienze sepolte sotto la cenere? Considerare
soltanto le parole che trasformano la trivialità in luce e il seme in
un albero che sfida il vento. Indicare la giustizia e non le
conseguenze delle giuste parole dette. Condurre alla libertà e non
attenderne il beneficio. Essere la chiave e non colui che apre - né
colui che entra in se stesso scassinando la porta.
Oggi non cerco più oro né onori. Cerco il nocciolo, cerco la
scintilla. Nel letto dei fiumi che mi attraversano, cerco il fermento
fecondo che faccia salire la febbre d’essere. Giacimento di opere
nuove sepolto nell’intimità più profonda dell’uomo, è

100
là che si dirigono i miei passi, verso i paesi d’altrove nei quali
anch’io ho ricompense e onori.

La sofferenza mi radica. Solo quando mi strappo alla felicità


ordinaria divengo.

Sono ormai più di quattro anni che A. è dipartita, ma i frutti


fecondati da lei continuano a maturare perché non sono solo frutti
della mente, bensì frutti che hanno ricevuto una carica destinata a
sbocciare in futuro, perché sono capaci di nutrire numerose
generazioni successive.
La sua voce maschile, leggermente colorita dalle sonorità della
sua terra bearnese, mi risuona vicina, e spesso l’interrogo ancora!
Ogni volta la risposta è come un’insurrezione in me stesso, e ogni
volta al contempo fa maturare il mio grano.
A lungo ho fatto domande solo per sentire il rumore delle
parole, ma oggi sono pronto a dire parole il cui senso ha un’altra
natura. A. mi ha fatto ciò che sono, al di là di ciò che ero allora:
uomo in divenire al di là del discepolo...
Per riconoscenza, un giorno mi toccherà essere divenuto.

Soffrire d’amore è pur sempre amare.

Quando svanisce, la coscienza si rivela anche mediante


l’assenza.

Ciò che discende dalla coscienza reclama la coscienza.

L’uomo che ha coscienza è più della coscienza perché la


irraggia.

Le esperienze vissute diventano più importanti proprio come i


ricordi, con la notte dei tempi, diventano più belli.

101
Chiuso nella prigione dell’esilio, potrò cominciare a celebrare
l’ascensione verso la coscienza? I miei passi lenti rompono l’attesa
della crisalide, la presenza si leva e viene a incantare la notte.
Ma perché ho ricevuto questo travestimento da uomo? E una
ricompensa? Una penitenza? Una missione? Dovrò divorare me
stesso quando, trovata finalmente la chiave, lotterò per Dio? Sì, nei
tormenti della digestione, la Persona subirà la muta da cui nascerà
l’Uomo che è in me. E la sete verrà dimenticata, ogni sorta di sete,
ogni sforzo, ogni sterile sfinimento...
E io griderò la mia riconoscenza!

Questa notte ho sognato un uomo immobile sul sentiero - sul


mio sentiero. Dopo aver cominciato a scavare, l’uomo s’è fermato
restando pensieroso davanti al lavoro interrotto lasciando
l’attrezzo posato al suo fianco. Temendo di non poter proseguire la
strada, gli ho chiesto i motivi di quel comportamento...
- Cosa cerchi nelle viscere della terra e perché a un certo
punto ti sei fermato?
- Ho scoperto, - mi ha risposto, - che le domande degli uomini
non hanno senso, che la loro saggezza, anche la più elevata, è solo
una tappa e che tutti devono scavare in profondità per trovare ciò
che anch’io sto cercando: la coscienza. Dopo non c’è più bisogno
di fare domande.
A quel punto ho visto che l’uomo immobile del sogno aveva il
mio corpo e il mio viso.
(Questo è proprio il sogno di ieri notte: qui mi limito a
riportarne il ricordo e la traccia durevole che mi ha lasciato.)

Dal silenzio della Coscienza al continuo alterco con la realtà:


questo il percorso che oggi devo proporre.
Sottrarre continuamente il mondo del sogno alla sostanza che il
sogno usa per regnare, alternare le soste feconde in cui di volta in
volta il sentimento risplende o il flusso della respirazione dirige
verso la coscienza le impressioni del mondo vivente, ascoltare a
lungo il rumore del sangue, occupare lo spazio preparato per
ricevere il messaggio: questo il programma della via da percorrere.
Presenza, che tardi a venire tra le due porte dello sforzo - in

102
fatti può comparire solo nell’intervallo tra l’inizio e la fine dello
sforzo... Presenza, linfa dell’Uomo sbocciato alle frontiere del
desiderio, freschezza e conoscenza dell’istante che lascia in me
l’impronta e il gusto dell’uomo interiore che solo allora io sono... Il
sudario diventa una mascherina leggera. Una maschera che ancora
mi nasconde la faccia.
Ma è ora di scoprire il volto dopo averne tanto parlato.

È strano che negli ultimi anni la parola « giardino » - e tutto ciò


che contiene - abbia assunto tanta importanza per me!
Ordine, misura, armonia dei colori e dei limiti, sito
immemorabile di una presenza calma, il giardino emana
freschezza a uguale distanza dal sole di mezzogiorno e dall’ombra
propizia della sera.
Giardino... una parola oggi più lunga che leggo con occhio
nuovo. L’avvenire si dissolve nel giardino delle mie soste, ascolto
la parola dire ciò che è - e ciò che dice è come se la morte mi
avesse concesso un rinvio! Una linfa bagna i sentieri che ci
attraversano insieme. Corrente ritmata dalle stagioni, il mio
respiro è legato al gesto che sottende.
E ora so nutrirmi col polline dei fiori.

Il futuro è il materiale di cui un giorno si servirà il Presente,


che in una certa misura potrà costruire ciò che gli pare. Tutto
dipenderà da chi regna quando arriva il futuro.

Il conosciuto è forma,
la conoscenza parola,
colui che conosce regna su un certo livello di essere.
La realtà è al di là.

Le parole non creano l’evento: lo descrivono o lo tradiscono,


ma l’evento non è mai mentale.

Intaccare la notte... Ci riesco abbastanza?


Il lavoro su me stesso è terminato? Ogni tanto me lo chiedo.

103
Sono ancora capace di guidare il flusso dei pensieri restii, di
padroneggiare le espansioni emotive che mi faranno rifiutare la
prova del domani?
Non mentire più alla vita che mi viene offerta. Riconoscere chi
nasce e chi muore, resistere alla fatica del Tempo esorbitante,
sfuggire alla magia delle forme rotte dal sogno, assumermi la mia
parte d’esilio... Spiare il Tempo, poter essere la risposta quando il
Tempo crede di essere l’ultima parola. Vincere l’inerzia della
persona; discernere il fango e la luce per separarli... Oh, farla finita
con lo sguardo pesante e col dolore turbolento che torna, mentre
avevo già conquistato la pace all’inizio dello sforzo!
Tuttavia lo specchio mi rimanda all’istante l’immagine di un
viso vivente.

Convincermi definitivamente che la Meta si confonde con la


Via seguita e che, fino all’ultimo giorno, sarò in marcia. Non per
raggiungere la Meta, ma per gioire della sua magnificenza.
Affinché si dissipino le nubi estese che ricoprono la mia vita.
Cessando d’essere sia ciò che non sono, sia un fardello per me
stesso, la vita sarà semplice, naturale, fine a se stessa. E già così?
Sono finiti da tempo i preparativi della traversata... Ho
costeggiato tanti abissi, ho incontrato un tal numero d’implacabili
ostilità che spesso ho dovuto imporre col pugno e col dolore il filo
sul quale iscrivere le mie parole. Ubriaco d’impazienza, oggi
cammino verso la frontiera al passo delle mie certezze definitive;
piegato dalla pressione delle prove, subisco la spietata alchimia che
ho insediato negli spazi indelebili del mio essere. E resto impavido
davanti all’inflessibilità delle sue leggi.

L’aria penetra in me come acqua feconda che s’aggiunge al


silenzio. Unita alla mia volontà diventa lavoro di semina. L’aria
penetra nei multipli frutti ch’essa produce: dall’opera delle mie
mani fino al suono chiaro della risata - senza omettere i gloriosi
cantici del pensiero...
Così, ricco di alcuni semi dischiusi, incedo con passo lento
insegnando la spiga per messi future. Messi che non vedrò perché
matureranno dopo il crepuscolo. Ma fino a quel momento io,

104
chiuso nei rari domani che mi restano, ma libero dalle mie gabbie,
proseguirò il cammino tra fiori olezzanti, scortato da farfalle che
danzano in volo...
L’aria penetra in me lasciandomi il suo profumo.

Il Lavoro mi ha bevuto, assorbito come la carta assorbente


prosciuga l’inchiostro. Su di me ne resta la traccia, come una
scrittura che mi dà significato.
Tuttavia l’inchiostro è indispensabile anche se, come il corpo e
l’essere psichico, è destinato comunque a sparire.

Parlare dell’Insegnamento significa suscitare la sete. Infatti non


sono le parole che insegnano, ma gli atti. L’uomo non si disseta
vedendo la vigna. Se parlo d’acqua chiara, la sete diventa arsura; se
parlo di alcool, sorge un mondo a partire dal fuoco dell’alcool. Ma
l’Insegnamento si trova nella sete stessa. Se parlo
dell’Insegnamento in un certo modo, do a chi lo riceve sia la sete
che il dissetante.
E lo faccio dissetare con ciò che gli crea la sete.

Uno sforzo ogni giorno per estinguere i sogni di cui mi


compiaccio e per tirar fuori dalle paludi gli atti che mi
costruiscono! Lo sforzo vale ciò che costa per farlo. Il suo valore
ripaga non solo l’abolizione dei sogni e la realizzazione degli atti,
ma pure il fatto che m’aiuta a diventare me stesso.
Lo sforzo scava un passaggio dentro di me fino al punto in cui si
raccolgono le energie vagabonde. Sul bordo così scavato da cui
esse entrano, scorre la mia volontà nuova che le controbilancia.
Io cosa sono prima dello sforzo? L’immaginario è la realtà del
momento, poco dopo smentita dall’evidenza del risultato. E
svanirà lentamente la carezza dei ricordi...
Lo sforzo libera l’ignoto che è in me. Scatena l’allerta e si rende
subito conto dell’interiore. Immediatamente cala una rugiada sulle
successive pianure che lo sforzo scopre e feconda. E si disperdono
armonicamente i territori che un caos manteneva in frammenti
separati. E a questo punto che comincio a guarire dalle piaghe del
Tempo: le parole s’allontanano, sfumano all’orizzonte, e io mi

105
ritrovo sul fertile e caloroso tragitto della mia vita.
E dimentico il riscatto da pagare.

Cosa occorre aggiungere all’atto di mangiare per conoscere il


gusto del pane... e allo sforzo - che è solo fatica - perché sia
qualcosa di più dell’abbozzo iniziale di ciò che mi fa crescere?

C’è un tempo per il silenzio, e c’è anche un tempo per la


genesi... Impastare la materia affinché abbia un senso, nutrirla di
pensieri e della mia carne malgrado la minaccia delle immagini
caparbiamente ossessive.
Cessi il tempo in cui la vita era solo una parvenza di realtà,
l’ombra dei germogli che un seme ha cominciato a produrre
dentro di me, il tempo senza peso ancora vuoto del senso delle
cose. Finisca questo tempo, e tutto diventi subito opera.
Integrarmi al creatore oppresso dall’immaginario, guarire dalle
inutili trapanazioni che il mio cervello subisce in perpetuo,
chiudere le camere che rimandano l’eco, ritrovare i giorni
risparmiati della preadolescenza e ricevere finalmente la chiave
del labirinto.
Forgiare con le mie mani contraddittorie la nuova sostanza a
partire dai materiali vacillanti del Pensiero, impregnati d’un tratto
dall’alcool del sentimento... Allora la vita diventa un piacere da
amanti.

La successione d’istanti fugaci crea l’illusione del Tempo. Dov’è


quindi la realtà, « l’immutabile » - ossia ciò che non si muove -,
colui senza il quale non si potrebbe percepire la successione
d’istanti? Lo si può percepire solo nell’interrogativo che mi pongo
riguardo al « presente »: un istante che passa in un lampo e che,
quando cerco di vedere da dove viene o dove va e non trovo inizio
né fine, mi dà la sensazione di una realtà atemporale che esiste
necessariamente in quanto senza di essa non potrebbe esistere il «
presente ».
Ma perché attardarmi in questi luoghi elucubratoti in cui penso
esclusivamente a catturare un’avventura che mira a strappare
l’opaco velo della Realtà?

106
Resistere alle ondate del futuro che s’infrangono a ogni istante.
Camminare. Entrare nell’età della luce con passo da adulto. L’alba
immensa delle mattine mi riceve nel suo spazio, contiguo alle
ricche ore in cui, dopo essermi a lungo cercato, finalmente mi
trovo e ne sono ricompensato. Il giorno mi apre le pupille, e io mi
abbandono alla complicità della « presenza » riaffermata dentro di
me.
Poco dopo aumenta l’impazienza. Eccomi pronto a una lunga
giornata d’assenza sulla sterile riva dei pensieri ossessivi, litorale
indifeso che percorro a piedi nudi, avido della freschezza ormai
perduta dell’aurora... In seguito salgono le ombre. E talvolta la
luna risveglia dentro di me ciò che ancora è assopito... Prendendo
la coscienza a due mani sento l’infanzia salirmi alla gola. Ed ecco
che, alle soglie della notte, l’alba riluce di nuovo.

Tutti gli uomini, anche quando ne sembrano ben lontani,


combattono e muoiono per ciò che amano. L’amore non ha limiti.

Il calendario: cloaca in cui palpita il futuro, pronto a saltarci


agli occhi in trecentosessantacinque balzi diversi. Per ora,
rintanato all’orizzonte a custodire il suo segreto celandosi alla
vista, esso è, nel cuore della notte, come un passato che non è mai
avvenuto.

Cosa andate cercando nel rivolgervi a quelli cui pretendete


d’insegnare? Non vi capita per caso di domandare che vi facciano
credere d’aver ricevuto qualcosa da voi?

È un libro d’immagini quello che prende forma man mano


sotto la mia penna. Un libro d’immagini ad uso di alcuni tipi
d’uomini, rari, non sempre sensibili alle raffinatezze che talvolta
sorgono dalla corrente, e anche limitati a certi interessi. Ma non
sempre coloro che s’interessano alle cose di cui parlo apprezzano il
linguaggio allusivo e la metafora: quindi saranno assai pochi i miei
eventuali lettori.
Cionondimeno... Quella specie di lampo che proietto sul

107
mondo percepito s’avvicina più al cinema che alla prosa poetica, e
forse al lettore basterebbe una certa disposizione interiore, simile a
quella indotta dallo spettacolo, per gustarne contemporaneamente
la sostanza e la forma, le parole e la musica.
Ma in definitiva tutto ciò non è forse più vicino al lavoro del
regista che a quello dello sceneggiatore? Un regista la cui opera
non è ancora realizzata... Ecco l’accusa che certamente mi verrà
mossa, sempre che qualcuno s’azzardi a prendere conoscenza di
questo brogliaccio.

Sotto quali nuove spoglie appariranno i germogli finora di


marmo?
Oh, lo sgretolamento delle opere morte, perdute all’incrocio
del Tempo! Oh, lo stiracchiamento dei nuovi pensieri istigatori
d’altri costumi! L’attesa si stupisce spogliando il presente dalle
conoscenze velenose. Sposare finalmente le dispute, salire alle
creste del passato raccogliendo semi perduti e sogni finora
immobili. Di colpo la parola è nuova, e nel gran levarsi del secolo
che mi viene incontro io trovo salvezza in ciò che sento dire da
essa.
S’alza improvvisa davanti a me la viva immagine della mia
forza... Fonte di ogni crescita emersa dal cuore delle stagioni
morte, in preda alle sofferenze della creazione risalgo la corrente
di un cielo in fuga e i miei passi s’allontanano dall’abisso. Venuta
la freschezza sul versante interiore dell’essere, con la trachea
aperta e i polmoni brinati dai primi geli invernali sento dirsi
brandelli di parole vere, ma piene d’ombra; e cercando la strada
nell’oscurità, cammino verso il bel paese dell’infanzia, paese da
riconquistare.

Inverno, più svelto della gioia, tu che vieni dalle porte aperte
del Tempo a prodigarmi il tuo astio periodico; io, freddoloso e
sottomesso alla tua costante gravitazione, dovrò subirti ancora!
Piangendo i rituali estivi ormai inaccessibili e le immagini
piacevoli della memoria, che ne sarà di me nei tristi giorni
dell’imminente stagione?
Fuggendo la scintillante bigiotteria dei ghiacci e delle brine
gelate, e la magia delle nevi ancora increate ma già presenti nei
sogni di Natale, dovrò significare di più. Ostaggio del freddo,

108
dovrò mantenere lo sguardo sulla distesa delle nevi scese dalle
cime più alte, ma dovrò anche dividerlo affinché un’altra parte
dell’universo, quella interiore, ne sia illuminata. E con animo
equanime avanzerò... chissà, forse fino alla prima mia primavera.

Dismettere infine i costumi di scena della Persona, usati,


stracciati e miserabili, a costo di restare nudo. Levare le maschere,
deporre gli scudi pomposi e i cuscinetti protettivi intrisi dal sudore
di agonie provvisorie. E le medaglie, e i trofei, e i doni adatti allo
scambio di sontuose inutilità. Confermare la promessa di rendere
tutto, anche le cose usurpate più segreta- mente...
Varcare infine la soglia della mia dimora: ESSENZA - presente ai
confini dell’oblio; ESSERE - in preda ai travagli del parto benché
concepito dall’eternità. Subito ebbri della loro legittimità
ancestrale.

Immobile e silenzioso nel cuore della mia metamorfosi, regno


su un frammento di spazio ai limiti della realtà. Mistero
dell’evidenza. Nudità dell’Essere. Relatività del Tempo. La linfa
dei pensieri fa maturare le parole, v’incarna l’idea. Animato da un
ritmo universale, il corpo si libera per un attimo dalla solita
schiavitù; allora in me il poema diventa fertile e ciò che l’Uomo
dice diventa Parola.

Ci vorrà una notte d’inverno, con tutta la sua tristezza, per


risuscitare l’interminabile battaglia cui sono condannato?
Cercando di intravvedere un segno d’intelligenza, non smetto di
braccare la vita - la mia vita -, ma nello specchio vedo soltanto la
derisione del mio sorriso invecchiato... Non osando più correre il
rischio di entrare nell’ombra e cercando il passaggio segreto verso
l’io introvabile, tanto a lungo sognato, m’imbatto nelle porte
sprangate del desiderio. I pensieri fremono sull’orlo del baratro e
fluiscono uno dopo l’altro, incapaci d’assorbire la sofferenza... Io ci
soffio sopra, ma loro s’involano come i soffioni del tarassaco, e si
perdono nelle ombre di un cielo imprigionato.

109
Poi, al termine di un lungo cammino, si popolano i grandi spazi
interiori e, nella gloria dell’istante d’un tratto più denso, il relitto
della sofferenza sprofonda nelle acque del porto.
Suona l’ora del battesimo per un’altra speranza...

L’imponderabile sostanza mi penetra e diventa corporea


unendosi al complesso sistema che, temporaneamente, porta il mio
nome.
E strano come il supporto della mia materialità le vada
incontro. Pian piano ne ho la visione e la sensazione, senza
peraltro servirmi di ciò che di solito mi fa vedere e sentire. Quali
forze, attraversando gli spessi strati dell’etere, mi hanno fatto
l’insostituibile regalo della vita? Ma chi ha controllato - o
mescolato - le referenze durante il cataclisma della mia
concezione? E chi ha disegnato in chiaroscuro le filigrane della
mia carne divenuta pensante, dove ben presto si sono armonizzati
nuovi rapporti?
Oggi, trovandomi solo davanti al totale naufragio delle
illusioni, comincio a sentire l’acuto profumo della Conoscenza.
Trascinandomi dietro i relitti dei desideri più ricorrenti, insediato
in una sfera di silenzio, guarito infine dall’ingratitudine, mentre la
carne canticchia nuove canzoni io avanzo determinato
obliquamente alla mia ombra, e forse sono li lì per trovare
l’introvabile.
Ma perché ho passato tanto tempo senza mai essere in grado di
abbandonare il prurito delle abitudini e le certezze che persistono
a ingannare se stesse?
Bisognerebbe ricominciare da capo.

Per quante settimane, mesi o anni continuerò ad avvicinarmi


con passo asmatico a quel punto centrale di me in cui non ci sono
muraglie, immerso nella luminosa ignoranza che il tempo talvolta
conferisce all’essere?
Infatti perché voler sempre conoscere? E inutile sapere tutto, basta
sapere ciò che mi riguarda; il resto - tutto il resto - può benissimo
continuare senza di me. Ma io sono soprattutto impazienza e
desiderio. Desiderio inguainato di carne che possiede al proprio
servizio un pensiero cancerogeno in costante evoluzione, come la
terra che produce tartufi, e uno spirito balbuziente che farfuglia

110
parole restie a uscire di bocca mentre il tempo, credendosi sempre
in festa, esulta, e mentre nelle sere d’inverno risplendono le
aurore boreali dell’associativo!...
Ma un sisma scoppia improvviso nel cavo del plesso e fa
ribollire l’argento degli specchi... In tutta evidenza, l’eternità è un
calcolo errato della metafisica...
E tempo di far mentire i profeti.

Cammino su una strada ombreggiata di sonno, ubriaco fradicio


di pensieri associativi, satollo d’impressioni a uso esterno che
ingurgito come panacee universali mentre in me si riflettono tutti
i miraggi del mondo!
Donde verranno le forze fotogene che mi daranno la linfa
nutrice riparando l’intelligenza consunta, devastando le cittadelle
del desiderio e liberandomi al contempo dalle reti delle tensioni
ribelli?
Forze che mi faranno dire i poemi che sogno,
scintille cadute da stelle remote
nel giardino autunnale
in cui domani
sarà bello morire.

Ogni mattino m’assale l’immagine delle antiche « presenze »


ridotta a brandelli, immagine viva infine ritrovata e sottratta alle
vertigini del tempo.
Solitaria e muta sul suo sentiero, essa raggiunge subito l’austero
gesto di oggi, libero dalle magie del passato... Ed eccomi a marciare
verso l’evidenza, sempre più UNO con l’esistenza, e a procedere da
solo verso la zona di silenzio in cui si confondono le antiche «
presenze » e la vita portata dall’istante.
La vita che esulta in un muto clamore di cui ogni aurora adesso
mi è prodiga.

PASSEGGIATA
Un lembo di cielo riluce, indugiando nel giorno che muore.
Presto la luna seminerà perle sugli alberi. La prima stella sembra
uno sguardo. Il tempo rallenta. I pensieri contorti dei giorni privi
di luce m’invadono mentre, come da un rubinetto mal chiuso,
colano i miasmi di un’ebbrezza emotiva tenace. Le tiepide onde

111
del desiderio sfogliano lentamente il libro della mia vita. D’un
tratto la speranza s’affloscia al ricordo degli anni trascorsi e
scoppia come una bolla. Una marea monta, mi riempie la scatola
cranica e tesse brusii senza fine. Adesso i desideri sono saliti nei
fiori e bisbigliano nelle svolte del sentiero, dove il vento soffia con
indifferenza. Il silenzio m’assedia. Oltre le porte chiuse della notte
incombente si forgia la storia dell’essere. Che attingerò dunque
nella cieca vasca del tempo? Un passo conosciuto - il mio -
risveglia l’eco di cose lontane e la dolcezza d’antichi amori a lungo
scordati. Ammiccamento dei ricordi, dei gesti compiuti
nell’ombra, di tutto ciò che un bel giorno è svanito.
Improvvisamente gli ultimi raggi di luce decidono di rischiarare il
cielo come un corteo di fiori deposti all’orizzonte, fiori che
galleggiano ancora un poco prima del grande naufragio notturno.
Saprò meritare il piacere che ne ricavo? Sono pronto a
sacrificare i miei sogni? Non c’è alcuno specchio in cui cercare il
mio sguardo e il viso inesplicabile che ho.
L’aria s’addensa, i rumori rinfrescano, la natura entra in veglia.
Tutto dormirà nell’immenso cantiere della notte.
Fino alla prossima aurora sarò libero dall’ossessione del «
domani »? Potrò ascoltare il silenzio che scende, la voce
impercettibile e tonante dell’« io SONO »? E obliare per sempre il
passato sepolto sotto la cenere? La tenebra fa pensare...
I viali del giardino s’impolverano di brina sotto la luna. Passano
alcune nubi leggere sopra i fiori estinti. - Non aggrapparmi più alle
illusioni svanite -. Ora l’intero cielo vibra sotto una polvere di
stelle...

Fuggire!...
Non per scappare, no. Ma per incontrare l’immenso.
L’immenso che s’innalza all’infinito verso l’alto e s’abbassa
all’infinito verso la profondità. E, così facendo, seguire le mia
traiettoria.
Seme unito alla gravitazione da un legame implacabile, mi
tocca vincere la gravità a ogni istante, pronto però a sopportare la
parte di tempo che mi è destinata. Con tutte le sue glorie e con
tutte le sue tenerezze.
A mia volta io semino. Semi di pensieri, semi di parole, semi
d’atti meno incoscienti di cui ogni parola di queste pagine è un

112
chicco. Forse un giorno l’embrione verrà fecondato dall'attenzione
che l'avrà incontrato al di sopra di me. E forse altri uomini ne
mieteranno le verità, legate in fasci invisibili ch’essi cercheranno
d’ammassare nell'Assoluto!

Gonfio d'un canto... La gioia m'invade senza ragione. Pensieri


contrari si disputano il possesso del mio strumento pensante.
(Punto, a capo!...)
L’ombra del passato si fa più trasparente. Dimenticare i Natali
di un tempo, il loro presente oggi irrisorio, i cantucci della mia
casa natale in cui ho tanto sofferto - e sperato, e immaginato -, la
via del villaggio in cui la morte è passata spesso, le facce
conosciute, le grandi risa estinte di coloro che mi amavano...
Ritornano in massa i ricordi negletti... Ma che ci stanno a fare
nel paesaggio interiore che ogni giorno mi viene incontro? Il
fiume delle cose scordate, illuminato dal mio sguardo, accelera
l'andatura e ben presto sparisce, cacciato dal respiro cui
l'attenzione si lega.
Ascolto. E sento la felicità del Natale che freme dovunque. Per
quanti, fra tutti gli sguardi che fissano il mio, questo Natale sarà
l'ultimo? O forse al prossimo Natale sarà il mio sguardo a essere
estinto? Che importa, la gioia disarma i pensieri.
Natale fugge dalla parte dell'ombra. E io non so più come
piangere...
Sognatore, io resto nella mia luce.

Talvolta l’anima è simile a un'acqua scura, immobile e piena di


mistero in mezzo a un giardino. Lo sforzo ne turba il fremito lieve
mentre la luce portata dalla respirazione s'ammucchia tra i muri
ben intonacati di un mondo interiore in piena edificazione.
Comincerò a sentir raccontare la storia dell'anima mia?

Il mondo interiore dell'uomo si costruisce col gusto che le cose


hanno l'una per l’altra. Il legame che le unisce ne costituisce la
materia essenziale.

113
« Ei fu ». Meriterò questo epitaffio?

Solo, nell’intimità di una stanza poco illuminata. Di sera. Ora


delle confidenze. Cosa posso rivelare a me stesso? Come riempire
questo intervallo? In questo momento sarò soltanto l’ombra d’un
passato scomparso, vale a dire l’ombra di un morto?
Per quale motivo devo passare così dall’essere al nulla,
dall’essere « relativo » al nulla « relativo »? Perché sono ancora
tanto spesso il « niente relativo » che si trova in me e che s’esprime
con i desideri e la gioia della carne, con queste ossa rigide che gli
sopravvivranno un pochino, con un pensiero flaccido che si limita
a riflettere le immagini tristi che aleggiano tra gli uomini?
Però fuori canta una fontana e il lamento diventa speranza. La
speranza rimpiazza i morti brusii del silenzio in cui ero chiuso.
L’ombra non teme più il giorno che domani verrà. L’essere non è
più un insetto prigioniero che si dibatte...
Ahimè, dall’essere al nulla la strada è aperta... i fiori muoiono
senza soffrire.

Stancare il rifiuto. Essere svegliato dalla forza del sonno.


Sostituire questo discreto viavai con le solide fondamenta di una «
presenza » finalmente acquisita.

Talvolta ciò che provo è troppo pesante da dire: le parole non


riuscirebbero a sopportarlo. Quando riuscirò a essere indifferente
nel dirlo?

Lo spazio è un giardino di cui la coscienza umana si sforza di


essere il segno.

Se io è l’ombra della coscienza, c’è un sole da qualche parte che


proietta l’ombra.

114
Mantenere la verticalità dell’uomo fino al giorno delle ultime
solitudini. Spiare l’atteso attimo di coscienza... Il futuro essuda gli
istanti con l’insolenza di un oracolo sorpreso. Non c’è alcuna
fretta. I millenni aspettano senza impazienza.
Improvvisamente tutto è chiaro perché sin dalla bella stagione
m’ha seguito un fiore, colto nel giardino dell’eccelsa presenza...

Sempre questi echi del passato che risuonano... Come scorie di


un tempo trascorso, essi investono il sentimento sviluppandovi
l’uso delle cose, la loro utilità; hanno scordato che l’essenziale è
l’amore, l’amore per le cose stesse e non per ciò di cui sono fatte.
E questi pensieri che mi girano dentro come un insetto
rabbioso... insetto che non viene a bruciarsi le ali al fuoco della
presenza sparendo per sempre! Ahimè, non è soltanto un insetto,
ma un intero sciame ronzante, attraversato ogni tanto dal
l’austerità di un raggio di luce, di quella luce che m’illumina in
permanenza.
E poi c’è questo corpo che si trascina dal ventinove dicembre
millenovecentodieci a chissà quale prossimo giorno del calendario!
E che, delle aiuole che ornano questo pianeta sul quale ho avuto
l’onore d’essere accolto, ne ha visitate ben poche. Ma ogni volta ha
sopportato il viaggio onorevolmente. Gli è successo perfino di
credersi un eroe - pur non avendo avuto alcuna occasione per
diventarlo. Da molto tempo pensa esclusivamente a dilatarsi - per
contenermi meglio, senz’altro. Le sue funzioni funzionano ancora,
e lui stesso mi serve.
Apparentemente non sono da commiserare.

L’immagine delle cose - e delle parole - non è innanzitutto un


esilio in un mondo immaginario creduto reale?

Verso quale nuovo deserto la solitudine mi sta conducendo?


Approdo a rive in cui l’immagine delle cose perde peso e fattezze.
Eppure ciò che vive in me è ancora troppo spesso legato a ciò che
costituisce l’essenziale della tentazione, cioè a qualcosa che non
potrebbe coincidere con l’essenza stessa della speranza.

115
Tuttavia il mio approccio è attivo e io mi sento sul punto di
arrivare dove inizia la vita.
Ma non è forse, giustamente, dalla forza dei contrari, da
quell’antagonismo impossibile fra la fuga perpetua davanti al
giusto sforzo e il persistere della speranza irriducibile, che nascerà
e potrà essere vissuto ciò che al contempo è anteriore e futuro,
ossia ciò che è PRESENTE?
E piacevole essere quello in cui, per un momento, la presenza
prolunga la coscienza.

Io sono l’uomo, il senso dell’uomo, il centro, la verità


dell’uomo. Devo solo realizzarlo. Bisogna che il mio desiderio
diventi atto.
A tal fino dispongo soltanto del tempo che mi separa dalla
morte.

Chi mi suggerisce le parole di luce che ogni tanto mi capita di


pronunciare? Queste parole, che sono spesso il risultato di una
veglia molto anteriore al momento in cui vengono dette,
piombano giù come un vento caduto dalle stelle. Piene
d’improvvisa armonia, esse evocano una strana trasparenza che dà
a ogni cosa tanto una certa forza quanto un certo languore. E che
tocca profondamente.
Frutti della presenza in fermento, nel levarsi improvvise
davanti al cielo d’una sera attraversando lo sguardo in cui brilla
l’anima delle cose, esse SONO.
Tuttavia ho l’impressione di non aver ancora detto nulla.

Bada che il tuo sforzo di lavoro non diventi orgoglio di chi


lavora.

Un tempo le sentinelle addormentate venivano messe a morte.


Spero che questa legge non valga per me, poiché per debolezza io
lascio dormire la sentinella anni interi.

Le generazioni passano e la morte viene a prenderci uno via

116
l’altro. Chi saranno gli uomini che dopo di noi vedranno ancora
splendere il sole? Cosa faranno dei vari beni che avranno ricevuto
in eredità da noi?
E dove saremo noi, noi che ci siamo conosciuti e amati?
Resteremo uniti da qualche soffio di vento alle cose che oggi son
nostre? Sapremo ritrovare il linguaggio comune che ci veniva alle
labbra? E voi che siete partiti un po’ prima, vi volterete sul
sentiero lasciandoci venire incontro lo sguardo? Rallenterete il
passo per aspettarci e convincerci che bisogna consentire alla
morte?
Dovremo apprendere il linguaggio delle ombre? E lasciare le
parole ormai familiari del poema e il canto del tempo che fu?
Quando arriveremo all’incrocio dove un altro sole cancellerà le
nostre ombre sarà troppo tardi per scegliere la strada. Nel paese
del tempo immobile, i piaceri saranno vani, tutte le preghiere
saranno già dette e gli atti non potranno fiorire mai più.
Sola, sopra l’ossario di tutti i beni, di tutti i pensieri e di tutti i
desideri, per sempre regnerà la COSCIENZA.

117
Parte terza
La presenza sovrana
I
L’Innominabile

L’Innominabile si sviluppa in spazi immaginari di cui lo spazio


euclideo è solo la proiezione o la rappresentazione arbitraria
risultante dal mediocre funzionamento dei rudimentali strumenti
di percezione di cui siamo dotati.
Il solo fatto che non possa essere « nominato » - poiché non gli
si può applicare nessun sostantivo, verbo o aggettivo - dimostra
ch’esso sfugge al mondo del quale i due stati distinti - quello fisico
e quello psichico - bastano apparentemente a illustrare tutti gli
aspetti. « L’Innominabile » non può manifestarsi nell’uno o
nell’altro di questi due mondi che per preterizione. Nessun
concetto che il pensiero, il desiderio o la sensazione potrebbero
formulare o percepire in proposito riuscirebbe a indicarne
validamente la vera natura. Al suo riguardo non esiste « pensiero »
né comprensione possibile. Qualunque movimento emotivo o
qualunque sensazione fisica che potrebbero aiutarci ad avvicinarlo
sarebbero soltanto il risultato del funzionamento più o meno
sottile delle nostre parti che hanno il potere di suscitare emozioni
o sensazioni, e non la manifestazione diretta dell’Innominabile, di
cui questi strumenti sono gli interpreti.
Data l’assurdità di chiedere cos’è l’Innominabile e di sperare
che un giorno ci arrivi la risposta, dobbiamo cercare piuttosto ciò
che, nel nostro mondo, è in rapporto con l’elemento intermedio
attraverso il quale « qualcosa » esercita un potere, talora avvertito
senza ombra di dubbio, sul nostro destino e sulla nostra vita. Così
potremmo risalire all’Innominabile.
Ecco il tentativo presuntuoso cui è dedicato ogni passo di
queste pagine.

L’Innominabile... un termine che non appartiene


all’Insegnamento di cui qui tento, molto indirettamente, di
precisare il percorso.

121
Un termine che vorrebbe riassumere l’insieme delle forze d’ogni
livello suscitate dalla disciplina seguita, tutte le cose intuite oltre i
limiti del mondo concepibile, tanto materiale quanto spirituale,
che le varie tradizioni e religioni rivestono di idee e di linguaggi
diversi. L’Innominabile sarebbe lo stato potenziale inaccessibile
alla condizione umana, un mondo comprensivo di quelle che
talvolta vengono chiamate « le forze superiori » e delle molteplici
conseguenze dell’azione delle leggi cosmiche, in gran parte
inconoscibili all’uomo.
Aprirmi alla sua potenza trasformatrice, lasciarmi attraversare
dalla sua influenza finché gli effetti, pur attenuati, del suo potere
vengano a illuminare queste pagine... Ma esiste un linguaggio
capace di esprimerne minimamente la realtà? Ci vorrebbe un
linguaggio poetico in cui l’armonia del verbo avesse innanzitutto
l’obiettivo di tralasciare gli « effetti artistici », di rifiutare i « canoni
del bello » e d’introdurre ogni tanto nell’espressione alcune
immagini e alcune metafore capaci di far percepire gli effluvi d’un
altro mondo.
Chimere? E dalla prima pagina che ci provo, e intendo
perseverare.

Un dialogo con la mia ombra. Viso triste su cui si riflette il


grigiore delle abitudini. Il mio sguardo si gira verso l’obliqua luce
che indugia su un passante. Ah, la felicità perduta, sacrificata
all’impazienza! L’istante in cui vivevo con me stesso è svanito.
Lontano. La via per tornarci è esaurita. Qualcuno dentro di me
dice: - Lascia perdere... - poi tace. L’ora ripete la vecchia solfa.
Canzone triste di un angoscia tosto riapparsa. Alcuni pensieri si
nascondono rifiutando la confessione. Il cielo si apre, chiaro, sopra
gli arbusti del giardino; dove sono gli ori del tramonto?
Ma improvvisamente gli ori tornano in me assieme
all’attenzione ritrovata. Da un istante la mia ombra è sparita.

Il momento di troppo in cui tutto precipita nell’immaginario: lì


comincia il dominio dei vapori venuti dalle viscere dei crateri in
cui ribollono le idee e la speranza.
Ben protetto dal riparo della memoria, perché non credere alla
nobiltà delle parole del poema e accettare che i passi mi

122
conducano a un mondo molteplice in cui tuttavia il terrore non sia
più sovrano?
Sarebbe come fissare un limite all’infinito
o arrivare alla soglia del mondo.

Il sogno è profumato, ma io sono stanco di sognare. Prendere al


volo le forze che passano senza tregua in un mondo che non è il
nostro. Abito spazi ristretti, e tuttavia sbaglio strada. Il ricordo dei
tempi venturi prepara la coppa, impaziente di ghermire la preda, e
talvolta coglie al volo il lampo inatteso dell’Innominabile.
Particelle luminose abbagliano parti di me in procinto di perdere
le loro certezze. Venuto da un paese privo di beni e da emozioni
prive di realtà, indovino il legame inconcepibile che mi dà la
possibilità e il gusto di essere.
Lassù, nel cielo gemello abitato dai pensieri meccanici, sognano
le stelle. Intanto un altrove in boccio arriva a portata di mano.

L’aurora, sulle labbra dell’orizzonte: promessa mantenuta di


confidenze mattiniere.

La mia debolezza s’irrita di non sapere su quali rive attendere


conoscenze più alte. Che rimorsi per gli sguardi che non ho osato
gettare!

Conoscere il funzionamento della macchina umana fin nei


minimi particolari è compito delle scienze e della psicologia.
Conoscere la via è prerogativa dell’Innominabile.
Talvolta capita che quest’ultimo si chini sulla mia spalla e
immerga dentro di me un mondo inesplorato. Allora il cervello, le
mani, l’intelligenza, i punti impercettibili da cui sorgono mille
aspetti diversi della sensibilità ne sono impregnati. Ma gran parte
dei segni che lascia svaniscono subito. Ne restano tracce leggere
ma strane, più elevate delle massime rivelazioni del pensiero e dei
più ardenti moti del sentimento, tracce che generano gli istanti
più generosi e che aprono nuovi sentieri. Ahimè, è l’Innominabile
che ha depositato la foglia d’argento sugli specchi, annullando la

123
trasparenza affinché la nostra immagine al suo cospetto venga
continuamente riflessa!
L’Innominabile muto ci parla di un altro Mondo mediante i
sistri e i violini di un’immaginazione estasiata. Forse, ascoltandoli,
percepiremo il segreto che ci farà doppiare il capo in un soffio...

Ombra, giardino, silenzio... Tre parole che fioriscono in


abbondanza tra le erbe selvatiche raccolte in queste pagine! Nulla
sembra in grado d’esaurire il significato che ciascuna di esse può
contenere. Parole mascherate finché non le utilizzo - e finché non
le inserisco in un certo contesto - esse hanno sempre un bel posto,
spesso il primo, nella frase in cui compaiono, e assumono da sole
di slancio quel ruolo trainante cui consento senza esitare. Meglio
di molte altre sanno contenere il mistero, racchiudere il significato
recondito delle cose e dimostrare, con la loro perennità, il potere
di suscitare l’incanto. Per me incarnano assai da vicino gli aspetti
essenziali dell’inconoscibile ch’esse hanno la missione di
esprimere con la massima approssimazione possibile.
Fanno parte di quelle parole cui si perdona d’essere anche
parole.

Io vivo nella scorza, l’alburno appartiene all’Innominabile;


tuttavia la crescita dipende necessariamente da entrambi. Quando
l’albero viene abbattuto, ogni parte segue il proprio destino.
Ma chi ha scelto l’albero promesso all’ebanista?

C’è un momento preciso della stagione in cui, scuotendo


l’albero con vigore, i frutti guasti cadono a terra. In seguito i frutti
maturi cadono da soli, quando è l’ora. Se ne ricordino quelli di noi
che si lamentano d’essere scossi con troppa violenza!
Ma sono in grado di stabilire con esattezza quand’è il momento
di scuotere l’albero?

124
Io, al colmo del silenzio, sento che la forza migratoria in
azione, pronta per le cose in procinto di nascere, produce un
rumore d’altro mondo... Tutti i sogni d’una sera svaniscono, le
forme spariscono e mi è restituito il presente senza immagini.
D’un tratto lo spazio è svuotato, e in quel vuoto improvviso spunta
e cresce l’ombra di una futura nascita. Tacere, respingere tutti i
mormorii insidiosi della persona, restare sordo alle istanze
pressanti dell’immaginazione, continuare a ESSERE.
Oh, che desiderio di vivere sempre così!

Dando un nome a ogni evento passato e a ogni oggetto


manifestato, l’uomo ha loro aggiunto qualcosa. La relazione, in
gran parte ignota, dell’uomo con un mondo più alto di quello in
cui esiste, e il suo bisogno di conoscere, sono forse il « qualcosa »
che gli è stato aggiunto al momento di ricevere un « nome ».
Ma qual è mai questo nome?

Col respiro attivo e le labbra mute riesco a seguire dentro di me


il sentiero che conduce alla Presenza. L’attenzione diventa un
principio grazie al quale qualcosa di più interiore si lega a ciò che
l’aria contiene. Allora cedono tutte le brame e le preoccupazioni
del sangue e della carne. Promessa mantenuta, maturazione
improvvisa dei semi d’un altro mondo...
Ahimè, sovente si tratta di una promessa che precede la caduta
e la marcia oscura nell’umano, il ritorno alla trivialità quotidiana
fino all’effervescenza inevitabile delle immagini...
Come una respirazione della Coscienza.

La carne possente risveglia il dormiente. Crisalide portatrice


della fede nel piacere, essa fra poco si libererà e brillerà su tutto
ciò che nel dormiente è oscurato.
Il cielo carnale della prima adolescenza rischiara come un’alba
la figura incerta dell’uomo che sta arrivando al termine della vita...
Il crudele carceriere del sangue accetta di prolungare le forze
dimenticate... La mano ritrova nel palmo il ricordo di antiche
carezze. L’amore estenuato riversa di nuovo i più bei sortilegi.
Come un tempo.
Ma l’angoscia è vicina. Quest’uomo, dubbioso sulla virtù del

125
sangue e vittima della memoria, resterà in ostaggio all’età? Egli a
lungo resta incerto e tremante.
Poi la tenerezza gli entra, leggera, nella carne illuminata.

Possa la mia ricerca, alla fine, aprire la porta della tomba! E


possa deporvi, accanto alle ossa, ciò che da sempre ha nutrito la
falsa certezza che la morte è il contrario della vita.

Presenza. Il silenzio si popola di trasalimenti del sangue, del


respiro, del corpo in travaglio. Io, più vicino al cuore delle cose,
ascolto: anche il loro silenzio si muove. Ma la traiettoria dei loro
movimenti sfugge al tempo: per questo sembrano immobili. Poi di
nuovo i miei sogni ci girano attorno.

I giorni in cui gli incubi vagano sullo sfondo dell’Essere...


Incubi dalle vertebre irrigidite. E che sembrano insediarsi al
centro del futuro per sempre.
Ostacolando il movimento che suscita in me una gravitazione
più alta, gli incubi salgono e m’invadono. Non so più se sono atti
d’amore, spasmi d’agonia o preludi al massacro dei valori autentici
momentaneamente sfiorati.
Sterile voluttà dei sogni... Vane figure disegnate sullo scenario
che circonda il sentiero, ombre danzanti foriere di una gioia
fittizia: da tutto questo non può nascere la vita!
Sottrarmi all’opaco vapore delle parole e delle immagini
affinché la Presenza si orni e si vesta di nuovo della mia carne,
affinché la vita ridiventi un seguito ininterrotto di istanti unici e
irripetibili.
Allora non c’è crepuscolo che non risplenda di luci dell’alba.

La coscienza: acqua pura in pieno sole. Non si può comprimere


l’acqua, la si può soltanto contenere; non si può uccidere la luce, se
ne possono solo schermare i raggi. La coscienza è sovrana!
Partire verso le alture delle sorgenti, verso le terre in cui
dormono i semi del mio divenire! Terre segnate dalle mie orme,
terre serene nel loro esilio, ma anche pregne dell’argilla tombale.
Assassino e salvatore di ciò che c’è in me di più alto, io spio

126
instancabile il fremito della Coscienza, sorta come un’isola nuova
nell’oceano dell’oblio quotidiano.

Un luogo in cui tutto si unisce. Alcuni lo costruiscono entro le


mura di un monastero... Io ho bisogno di un posto in cui si
percepiscano ancora le musiche della terra, in cui possa giungere
ancora il combustibile necessario all’incandescente vita interiore.
Nel mio corpo invecchiato la vita brucia come una volta, con una
fiamma più alta che mai, illuminando e scaldando persino gli
oscuri recessi in cui l’aria rimane viziata.
Le fiamme di un tempo entrano nel presente e danno vita di
colpo a un gesto dimenticato, al profumo di un ricordo
lungamente amato, mescolandosi ai frammenti decomposti della
memoria.
Forse queste fiamme non sono esistite che in me e vengono
adesso a ravvivare il passato solo per prepararmi alla separazione
finale? No, « sono state » e « sono » tuttora, e io posso estrarle dai
sogni consunti e individuarle con un pensiero attento.
Poi, un giorno non molto lontano, le fiamme s’estingueranno.
Sarò vissuto solo per morire o la morte sarà un’altra nascita?
Non è possibile gettare uno sguardo oltre l’alto bastione lambito
dalle fiamme della vita.

Non vedete che ciò che chiamate io è quasi sempre una


maschera luccicante appiccicata sulle tenebre della vostra
sedicente vita interiore?

Non bisogna confondere il dolore con la sofferenza.

La sera, quando cessa lo sforzo quotidiano, spunta in me, viva


come un tempo, la Presenza che A. non s’è portata via
interamente. E così che sono legato a ciò ch’ella è stata - stavo per
scrivere « a ciò ch’ella è ». Dall’altra parte dello specchio della
morte, privo della foglia d’argento, A. resta inaccessibile anche al
pensiero; il vapore del mio respiro confonde le immagini, e
percepisco un’oscurità che però non è notte.

127
L’enigma resta, totale, ma sulla parete traslucida che ci separa c’è
come un riflesso di Conoscenza intraducibile di cui la Presenza si
nutre.
Piegare il ginocchio davanti alla sostanza, ancora presente tra
noi, che A. ha lasciato in coscienza, chinare il capo sotto il peso
delle conoscenze che si levano ai nostri passi, seminate
instancabilmente dalla sua vigilanza costante, ritrovare tutto ciò
che ci ha dato significa ritrovare noi stessi come lei ci voleva.
Comincio a sentirmi invadere dalla sostanza che fa nascere i
frutti.

Cammino tra due abissi: da una parte il mistero di essere un


uomo, dall’altra l’enigma della morte.

Avvicinamento all’oscuro emisfero in cui regno con potere


assoluto: relitti di realtà galleggiano sulla distesa dei ricordi, ma
non sempre riesco ad abbordarli.
Come estirpare alla base l’inferno di sonno che mi porto
dentro, sì da farmelo diventare estraneo per sempre? Quali peccati
ho commesso perché l’inferno sia così radicato dentro di me?
Eppure tutti i miei peccati - parlo di quelli che mi hanno causato
l’inferno - erano innocenza in quanto commessi dalla maschera
dietro la quale un’insormontabile fatalità mi ha costretto a esistere.
Là dove l’odio s’esprime con altrettanta forza e felicità dell’amore,
là dove il timore fa diventare penosa l’evidente necessità della
morte, là dove lo sguardo non può restare sereno davanti
all’illusione, talvolta svelata, di essere...
Ma la mia immagine sarà prigioniera per sempre dello specchio
di quella Vita che troppo a lungo è stata la mia?

L’ora del cielo rosato passa lentamente. Il giardino orienta i


propri colori. I pini hanno dimenticato la violenza del vento e
restano muti. Però la vita è in tutte le cose, anche se ciascuna, per
il momento, conserva la propria forma. Ma quando l’Innominabile
si sarà ripreso questa vita, ogni cosa si dissolverà. Come si
dissolveranno i ricordi immagazzinati, dai più brillanti e dai più
semplici fino alle impressioni insignificanti: ad esempio fare
quattro passi sull’erba del prato in piena estate o masticare un filo

128
d’erba. E dovrò dissolvermi anch’io... Ma chi è io? Una particella
di vita venuta da chissà dove, passata attraverso un numero
incalcolabile d’esseri umani, miei genitori e antenati, una parte
della quale continuerà il suo percorso attraverso i miei figli, i miei
nipoti - e i loro -, mentre un’altra, certamente comune alle piante
e agli animali del giardino, se ne andrà, aspirata
dall’Innominabile... E ogni cosa che l’accoglieva ne dimenticherà
il nome! Tutte particelle oggi unite dallo stesso fervore di essere,
ma destinate un giorno a estinguersi come fiamme schiacciate dal
crollo della dimora che ciascuna particella aveva il compito
d’illuminare.
Immerso nell’aria colorata della sera e nel brusio silenzioso
della vita celata nel cuore delle piante e degli animali,
l’Innominabile è come un uccello che si posa un istante su tutte le
cose. E che s’invola al mio sopraggiungere.
Morire!... Sarà più facile che comprendere.

129
II
La condizione di Uomo operaio

Creare nuovi rapporti, moltiplicare i legami, voler giungere all’Unità


equivale a compiere un passo nel migliore dei mondi... Gioire della
Presenza che invade la persona: subito le parole diventano
improprie.
E si presenta la necessità dell’Uomo operaio, quello che poco a
poco soppianterà il « pensatore », l’uomo di parole. L’Uomo
operaio: colui che è capace di esprimere la propria realtà conferendo
alle parole la terza dimensione di cui sono prive. Infatti l’Uomo
operaio può parlare soltanto dell’oggetto - o di se stesso - e non del
segno che la parola rappresenta per l’oggetto; può parlare della forza
che usa e non del voler-dire con cui l’« uomo pensatore » cerca di
indicare se stesso o l’oggetto.
Poiché « fa », l’Uomo operaio acquisisce la capacità di
rappresentare certi valori, di rendere sensibili certe proprietà della
condizione umana albergate dalla Coscienza. E queste sono cose
essenziali.
Andare a mani aperte verso l’Uomo operaio che per tanto tempo
mi sono rifiutato di essere! Mentre s’estinguono i riflessi dei
fantasmi che me l’hanno fatto rifiutare, mentre mi fa groppo in gola
lo scoramento per le pigrizie tenaci, mentre s’annunciano le
premesse di un’opera più autentica, oggi devo portare in alto i frutti
maturati al pieno sole dello sforzo. Cercatore di nuovi sentieri,
l’uomo a questo livello si avvicina al focolare da cui sgorgano
energie ancora ignote e scopre sostanze prive di nome; il metallo e
lo spirito non sono più materiali di lavoro: in silenzio l’Uomo
operaio forgia leghe tra i cui componenti non c’è più lo sforzo di un
tempo. L’antico sforzo sembra un grosso divertimento.
E l’opera nuova è come un’alba che sorge nel cuore della mia
notte.

130
Là dove non s’usano più né tempo né luogo, là dove qualcosa
d’indefinibile mi costringe a perpetuare l’istante - qualcosa che vive
in me e tiene desto il mio cuore - si rivela l’inganno della vita
passata nel sonno. E si compie lo spasmo del presente: in tutta
chiarezza, anche se impregnato dalla notte delle parole. La forza mi
viene dal fatto che, nell’istante medesimo, il Presente è, e non
perché la sua venuta mi conferisca di colpo la capacità d'essere. «
Essendo » a causa sua e tramite suo, io divengo. E divenendo, io
SONO.
La luce non viene più dalle cose sognate; alcune particelle di
verità, frammenti sparsi dell’Unità ancora impregnati dal profumo
dell’origine, si riuniscono e ritrovano il percorso lineare delle
realizzazioni indispensabili.
Allora devo captare nella loro scia la vocazione di essere. Quella
che sale dentro di me irreprimibile quando smetto di « pensarla ».

Può darsi che, nel migliore dei casi, la vita sia solo una
preparazione.

Il mio corpo, tempio di vita e detentore dei segreti del mondo,


cammina verso la morte ancora acquattata nella sua tana...
Occhi popolati di sogni, aperti alla carezza del vento, la loro
dolcezza è esaudita quando gli ultimi fuochi del crepuscolo, placati,
palpitano nella scia invisibile del passato.
Sogni erranti lungo fiumi deserti, ornati dall’oro dei ricordi,
sarete ancora presenti nelle mie notti feconde?
La stretta del desiderio li attraversa, aprendo temporaneamente le
porte del piacere.

Sfrondare... Contenere soltanto le semplici cose umane di cui


dovrebbe essere fatta la vita d’ogni giorno. Disfarmi di ceneri e
braci, diventare insonne e al contempo sensibile alla voluttà dolorosa
dell’atto volontario. Nel guazzabuglio delle parole, scegliere la più
gloriosa per metterla subito in discussione. Allora si apre uno spazio
in cui, caduta ogni maschera, avanzo a mani nude, trovando il riposo
portato immancabilmente dal respiro più rapido e dal rossore della
fronte. Il tempo e lo spazio si allargano.

131
E di fronte a loro posso finalmente prendere le distanze e scoprire
dove iniziano le frontiere del « me stesso interiore ». Al loro interno
potrò finalmente cessare di vivere a sprazzi e innescare una catena di
atti che siano cristallizzazione e movimento al contempo? E la cui
densità li protegga da qualsiasi magniloquenza.
Includere poco a poco l’ordine temporale nell’« esoterismo »
della vita, e non fare l’inverso, chiarire il loro comportamento in
opposizione cercando le analogie segrete nascoste in entrambi.
Non essere più il mimo, diventare Fattore e anche - perché no - il
celebrante!

Essere presente potrebbe consistere nel recitare coscientemente la


parte di tutti i personaggi che vivono e si manifestano in me. Ma il
prodotto della loro manifestazione non è già una parte recitata da
Chi abita l’essere vivente che sono?
Certo, ma il fatto di recitare coscientemente la parte dei primi fa
sì che io non sia più abbindolato dal secondo. Questo cambia tutto.
L’atto recitato in questa parte della mia vita ne porta la traiettoria
al colmo dell’esaltazione.

L’« uomo pensatore » pensa e manifesta. Tutto passa attraverso


di lui, ma non è lui a essere manifestato.
L’Uomo operaio « medita » e « fa ». S’incontra con se stesso e,
da questo incontro, nasce un autentico « fare ».

Quando smetterò d’essere l’uomo vestito di sentenze che sono


troppo sovente? Oggi, passato dall’altra parte del mondo, fissato al
centro dell’Uomo operaio, giunto là dove sto bene, nei vasti luoghi
in cui sparisce l’ombra che mi abita, non m’aspetto nient’altro.
Si rischiarano grandi lembi di cielo in cui viaggiano nuovi
pensieri... Appaiono alcune crepe in ciò che regna sull’assenza, il
lettore di parole deve fare silenzio, s’irrita il mio benessere, presagio
dell’esilio auspicato, e io non abito più i luoghi piacevoli in cui
faccio ordinariamente commercio...

132
Il mondo ottenebrato del vagare quotidiano si popola di specchi in
cui finalmente mi riconosco!
Per un giorno viaggiatore arrivato.

Quegli istanti che sono una grazia, che danno al tempo vissuto il
vero sapore di ciò che c’è di meglio da vivere... Istanti che vengono
ogni tanto a riempire gli spazi lasciati liberi dalle perniciose
manifestazioni della ménte. Questi istanti, che punteggiano più di tre
decadi e mezzo di ricerca fervente, di pazienza consumata sulla
cenere delle illusioni postadolescenziali, segnano la devoluzione
della mia parte di beni promessi.
Seguire la scia delle folgorazioni di coscienza che scoppiano
inaspettate nell’incoscienza quotidiana, e riconoscere così le
confluenze di nuove correnti d’energia. Stilla un sangue libero che
lava le discordanze e porta al sapiente risveglio dell’uomo smarrito...
Allora in me sale come un male necessario la febbre di essere.
Fino all’incandescenza. E io mi levo, subito arricchito dalle opere
dell’istante!

Ho raggiunto di nuovo gli antri e i luoghi oscuri nei quali abitano


le solite gioie in cui svanisce qualunque intenzione.
Dove saranno sparite le tracce fresche degli ultimi giorni, perché
quest’improvvisa opacità?
Ritrovare la luce. Dovrò aspettare la primavera e le prime foglie
novelle? No, già vengono i segni e i presagi, s’apre la porta del
giardino e monta la marea delle forze ospiti della Coscienza. E
risalgo verso la fonte...
Presto, senza tregua o misura, intonerò il canto di grazia!

« Ascoltate il silenzio... » La sua forza improvvisa sorprende,


cancella il nome delle cose. Necessità di trovare nomi nuovi, più
veri, strappati all’Innominato, nomi che blocchino per un certo
tempo il pensiero itinerante. Come scegliere un sito più elevato di sé
in cui l’ascolto diventi più fiero? La presenza, refrattaria a
qualunque nome, diviene improvvisamente durata. E diviene
l’attenta risposta, d’un tratto fremente, che scende per gradi gli strati
successivi dello spazio. Fino al liscio piancito del silenzio...

133
Seminare un’area sempre maggiore... È possibile perché il gesto
del seminatore s’è fatto più ampio. E perché s’è allargato il campo
dell’inedito. Il potere creatore del chicco viene quasi a contatto con
l’ospite cosciente che vive in me. Allora si confondono l’essere e il
dire. E, uscito dall’invisibile, si rivela improvvisamente all’opera il
principio di vita.
Origine anteriore di tutto, il potere d’effrazione s’esercita
sull’embrione fino a farlo sbocciare nello spazio di vita in cui
l’incanto della coscienza ha preparato l’aratura.
E l’alba di nuove semine?

Al margine della strada. Un pensiero che mi riguarda: immenso,


capace di riempire il mondo - che pesa su di me che sono già così
stanco! Mentre persino i ricordi mi pesano sulle spalle, risalgo
penosamente il passato col greve passo dei sogni fino agli antichi
territori del male...
Cerco l’impercettibile crepa da cui entrerà un’eco di luce,
l’ombra di un viso o l’assenso di uno sguardo... Poi, dall’orizzonte
furtivo, sorge improvvisa l’immagine di un vincitore. Io la guardo
con attenzione più volte, come bevessi a lunghi sorsi da una
sorgente.
Quell’immagine sono io.

Il mio fine è « il mio maestro ». Io, il mio fine e ciò che li unisce
costituiscono « il mio maestro ». Dato che l’attaccamento al fine è il
mezzo migliore per raggiungerlo, « il mio maestro » non può essere
che il risultato degli sforzi fatti in tal senso.
Lo stato di Uomo operaio è una forma concreta di ciò che è « il
mio maestro ». Come avvicinarmi a ciò ch’egli manifesta, come
toccare e far mia l’espressione più armoniosa della materia di cui è
fatto? Oggi devo essere l’artigiano dell’opera creatrice ch’egli porta
in sé. Essere padrone di me, di uno sguardo improvviso gettato sul
destino delle cose, di un gesto dell’Uomo operaio che altri gesti
hanno preparato da tempo, del potere carnale degli atti compiuti
dalla mano di un uomo: tutto questo significa essere « Maestro di ME
».
Ma il bisogno che mi attende prepara la fuga... Stanco di riflettere
sui fini talora intravisti anche nei giorni migliori, mi vedo costretto a
seguire il volo dei desideri e ad ascoltare il lamento infinito che mi

134
abita. Oggi devo andare dall’altra parte delle cose. Ma non ho il
coraggio di soffrire abbastanza!
La mia terra è un’isola, ma io mal mi adatto all’insularità.

Pur costruendo fuori del tempo e dello spazio, nell’irrazionale


dove la ricerca mi porta, io mi appoggio comunque al vissuto di ogni
istante di presenza donato, anche se talvolta vi si mescola un po’ di
tristezza, molta nostalgia e il calo dovuto allo slittamento
dell’apparecchio psichico verso chissà quale impossibile
limitazione...
E impossibile eludere l’Assoluto!

Vi sono giorni senz’alba in cui ogni sforzo finisce come una


lacrima che cade dalle ciglia e si spiaccica a terra.
Sulla strada inaridita restano solo più le mie orme.

Quando avrò assunto un volto straniero e il calore della presenza


umana mi avrà lasciato gli occhi per sempre, quando nessuna parola
potrà più nascere dalla mia bocca diventata di marmo, voi penserete
ancora per qualche tempo a colui che vi è stato di fronte per tanti
anni e che vi ha amati.
Poi dopo, ma molto tempo dopo, tutto farà silenzio.

Il mio sguardo azzurro lava la superficie del mondo su cui


slittano i miei ultimi anni. E vi scopre la traccia degli antichi sogni e
delle gioie che ho ricevuto, il contenuto di tutti i domani svaniti, il
tempo in cui l’amore si dispiegava tra passato e futuro sporgendo
leggermente su entrambi.
Toccato nel vivo, il mio futuro è ormai nei tuoi occhi.

Solo chi dorme sogna.

Talvolta il poema dura solo un certo tempo. Dopo non restano


che le parole.

135
Vi sono parti di me che diventano più belle... Parti interiori,
beninteso, desiderate da sempre, che in silenzio confermano la loro
fama. Respirate da forze in sviluppo, esse concludono i momenti
preziosi, suscitati dal pensiero, in cui fioriscono le mie differenze.
Ma siccome bisogna, come diventare più di ciò che mi sento
essere e mi dico di essere giù nel profondo?

L’arco del cielo si restringe per rientrare interamente nel mio


sguardo, e io non lo sento pesare. La mia voce si alza: io SONO! Ma ne
capto soltanto l’eco rimandata dai confini della presenza.
Chi mai custodisce in profondità il mio nome di essere vivente?

Vestigio di stagioni passate, un fiore secco e diafano sfugge alla


duplicazione dell’ombra. Mentre dentro di me l’enunciato del
destino chiede una risposta, i territori della Coscienza brillano come
faci portate di vetta in vetta.
Fino a quel luogo d’asilo dove un giorno, forse, verrò ben
accolto.

Che mai dunque m’assale ai confini dell’invisibile, quando le


parti risvegliate della coscienza sfiorano un mondo ignoto che freme
alla loro pressione?
Nel luogo di passeggera concordia in cui vengo accolto mi lascio
prendere dall’orgia di essere che vi regna. Là dove il silenzio ha la
parte migliore. E come un accordo succede a un altro nella grande
sinfonia della vita, così a ogni istante successivo compare una
sensazione nuova...
Poi viene un istante particolare in cui percepisco ciò che in me
s’attacca alla realtà, l’ormeggio grazie al quale sono ancorato alla
vita. Però non mi è dato di saggiarne la forza né di dedurre l’epoca
in cui probabilmente si romperà... Ma io patisco la separazione
forzata da ogni istante particolare la cui sequenza costituisce un
sentiero dai sette colori! Sono costretto a deviare, a ritrovare le
paludi... E la massa degli io si dispiega e si sparge come uno sciame
d’api sui fiori.
Chi mi costringe a pagare un tale prezzo?

136
Rinsaldarmi nella sensazione per poter valutare finalmente me
stesso. Chi mi sta attorno e mi giudica è in grado di farlo meglio di
me? Chi può imparzialmente alzare lo sguardo dal suo mondo
interiore al mio e trarne indubbie certezze?
Mentre brilla l’istanza più alta e si manifesta al centro di me la
forza occulta della Coscienza, è Torà di conoscere finalmente la mia
consistenza.
A tal fine devo guardare la filigrana in trasparenza.

Quanti passi mi resteranno da fare sulla terra? Talora ho


l’impressione di farne un gran numero insieme sull’erba verde della
speranza, là dove il gran vento della presenza piega la mia vanità,
dove cammino con la bocca ancora piena di nutrimenti della terra e
col cuore gonfio di sogni.
In realtà cammino davanti allo specchio del Tempo su cui si
riflettono immagini note, rifacendo gli stessi sogni che un giorno
finalmente trasformerò in atti. Sì, sotto i miei passi devono ancora
nascere interi mondi. Mentre rimane la traccia di quelli compiuti, le
nascite prodotte dai passi odierni respingono il frutto delle mie
azioni verso l’ultimo scalo... Troppo a lungo ho marciato su strade
straniere, troppo a lungo ho bussato invano perché si aprano le porte
dell’esilio. E tempo che ritrovi il mio passo.
Inesorabile, lo specchio riflette soltanto me stesso.

Affacciato alla finestra dell’istante guardo a monte e a valle


abbracciando l’insieme della mia vita dalla culla alla tomba: poco
prima della tomba resta ancora una piccola zona d’ombra... Tra ciò
che deve divenire e ciò che è stato io tendo le mani aperte.
Strattonato tra il nulla anteriore e la morte vicina, perseguitato dai
ricordi, dove troverò appoggio? Il corpo è come un frutto maturo, la
memoria un cimitero abbandonato, il Tempo ha fatto su di me una
tacca che indica al boscaiolo l’albero da tagliare. Tuttavia la vita
afferma la sua costante ribellione.
Lentamente mi metto composto.

137
Seminatore d’ineffabile, dispensatore di prodigi, così si riconosce
l’istante che l’Uomo operaio riempie della sua presenza. Io invece
resto l’incerto, come aprile per gli alberi da frutta.

La morte abbrevia sia la strada larga e luminosa, sia il sentiero


che termina in una sterpaglia inestricabile... In ogni caso elimina il
pane. Ma si dice che ogni tanto ci lasci il grano.

L’aurora talvolta s’annuncia con fiamme boreali che sorgono


dalla mia notte... Chiara come un sogno di ripetute promesse, mi
consente d’entrare in altri luoghi di presenza. Allora dentro di me
cadono gli stracci invernali, e io mi trovo in preda alle fresche
ustioni della Coscienza. E mi vengono fatte strane confidenze, cose
proferite ad alta voce! Nuove albe s’oppongono al salire delle
ombre, il respiro s’affretta, avido dello spirito che gliene viene e lo
riempie. Subito tutto s’accresce in questo mondo chiuso e così
spesso dimenticato, e le azioni della Presenza per me sono nuove.
Molto a lungo.
Forse più tardi potrò ascoltare il silenzio nel crepuscolo
insanguinato delle sere...

Ciò che m’infesta la memoria è un corteo di cose morte che,


trascinate dallo scorrere ininterrotto del Tempo come zingare
infaticabili, chiuse nel sacco di pelle in cui sono provvisoriamente
accampato, pullulano in un groviglio ronzante difficile da fissare.
Vuotare il carico d’inutili ricordi che mi girano in testa, buttare
alle ortiche gli odori, il suono delle voci e dei passanti incontrati, un
vecchio amore sorto dall’ombra... Arrivi, passaggi, soste, sguardi
scomparsi catturati per un attimo, case abitate o sognate, melodie
mai notate, campagne desiderate e subito abbandonate, giardini
immersi nel sonno e poi il mare... Ah, il mare! Mare che rimbomba
del suo rombo pesante, mare verso il quale ruscellano eternamente i
miei desideri, mare di seta che tesse infaticabilmente un arazzo di
schiuma sulle spiagge, via solcata da navi e immagini, mare che fa
ribollire le rocce costiere e il mio cuore!...
Finestre dormienti piene di ricordi che mai più si apriranno

138
alle grandi speranze... Le mie cose di un tempo, derrate ormai
guaste, assillano ancora la verità che mi abita... Ahimè!
Ritrovare al più presto ciò che nutre le fonti permettendo che,
davanti alla ribellione del mondo associativo, la specie umana,
ancora intatta, si perpetri incessantemente.

139
III
La grazia dei limiti

Agli incroci che mi chiudono fuori dal mondo in cui vorrei cercarmi
pendono alcune ombre. Brandelli di frasi svolazzano ai confini dei
mari senza rive: pensieri oziosi, forme sepolte che si aprono un
varco tra la materia e la luce, fra lo spirito e la solidità.
L’obsolescenza dei mezzi diventa lampante, i templi sono ancora
lontani, i luoghi nei quali un tempo amavo rinchiudere l’universo
hanno svenduto i loro arcani e offrono al mio sguardo disincantato
un rovescio famelico...
Vagolo senza progetti con la testa ingombra di tracce ancora
fresche di cose che, seppur impazienti di essere proclamate,
dimenticano se stesse. Sommerso dal fiorire di pensieri indifferenti,
legato al rigoglio delle immagini, attento mio malgrado al brusio del
discorso interiore, agisco solo in ricordo dei nulla che un tempo mi
sono stati essenziali.
In questo giorno d’assenza mi piace portare il lutto: quello per
l’adolescente perduto sin dall’inizio.

Il dolore di partorire la Presenza a partire dal corpo, dalla sua


densità pietrosa...
Come prendono vita e verità la carne, lo spirito e l’essere?
Quando in me una certa qualità d’essere comincia a fagocitare le
immagini e i concetti, allora l’essenza stessa delle cose, colta
improvvisamente, significa, agisce, è. A questo punto come
lasciarmi interrogare dalle parole nuove - anche se ripetute - fatte a
uso dell’Essere? E concedermi il lusso di trarre dalle fonti
dell’infanzia la frescura e la forza che sovente sono state soltanto
una vana promessa...
E così che, per un momento, mi trovo dall’altra parte.

140
Essere: piacere plenario, poesia senza parole.

Oh, la grazia dei limiti che permette di superarli! Quando si


colma la distanza, lo spazio vuoto in cui si mescolano i miti, i
simboli e F afflusso protagonista di ciò che in me li varca: spazio
fino a quel momento mimato e poi, per un istante, vissuto...
Smettere infine di vivere nell’al di qua... Trovare nel
corrispondente al di là le nubi che ne mascheravano i limiti, la
risoluzione della molteplicità. E indietreggi la presenza di tutte le
cose con le quali di solito sono confuso. Là dove il balbettio delle
tenebre non è più percettibile.
Stupore per l’improvvisa gratuità di poter accedere oltre i limiti,
là dove si consuma l’ombra... Apoteosi!...

Momenti in cui svanisce l’insolito - quando l’ignoto diventa noto,


quando è possibile esumare antiche intuizioni non ancora
confermate da nulla. Istanti in cui l’abbandono degli antichi sogni mi
libera dai fantasmi insistenti e chiude un tempo ora defunto, nel
punto esatto in cui il mio bisogno si è biforcato...
Sono stupito dalla mia improvvisa capacità di riconoscere la
strada giusta.

Servitore - talvolta disoccupato - della coscienza io, scalpitante


ma incapace di fuggire davanti alla porta chiusa, incapace di
riconoscere la fiamma che continuamente rinasce e riluce tra la
schiuma e la polvere, resto Ferrante.
Sentiero talora aperto e talora chiuso perché partecipe della
respirazione del mondo, io percepisco il tocco leggero della mia
dualità. Strisciando nello stretto corridoio in cui il tempo accumula
ciò di cui si pasce, a ogni incrocio io, ghiacciato e immobilizzato in
un’eternità insormontabile, m’imbatto nello specchio segreto degli
orologi. Ma a ogni secondo il bilanciere espira al termine del suo
movimento, e così io cammino nella notte divisa ascoltando il
silenzio, rotto esclusivamente dal cuore che batte.
Nell’attesa sicura del silenzio totale ed eterno.

141
Fogli sparsi del Segno e del Verbo! Così un giorno ho definito
queste mie brevi note.
Fogli sparsi impregnati di vita sui quali s’iscrivono parole che
significano, parole da cui restano il più possibile esclusi il valore
geroglifico della scrittura e la musica mentale del linguaggio. Fogli
sparsi nati da un istante di presenza: rileggendoli constato di nuovo
la difficoltà di trasporre la sensazione vibratoria vissuta nell’istante
dello sforzo in un ammasso di vocaboli che dovrebbero esprimerla al
meglio. E, accettando ogni volta di provarci, finisco solitamente per
ottenere la scomparsa quasi totale della sensazione da comunicare.
Il verbo è interprete del segno che a sua volta è interprete
dell’esperienza vissuta: due intermediari successivi, vale a dire due
occasioni di tradire il principio originario che intendo servire.
In questi fogli sparsi traspare abbastanza l’inquietudine che nutro
in proposito?

Il giardino s’annoia sotto il cielo grigiastro. Ritti nell’inquieto


silenzio domenicale, i pini si piegano sotto il tiepido vento agitando i
rami più alti come una chioma disciolta. Nostalgia di volti rischiarati
dalla sanguinante nudità di un sorriso, nostalgia di carni generose,
del lieve gusto di sale che hanno il sesso e le lacrime...
Perché d’un tratto si fanno più aspre sotto i miei passi le
irregolarità del terreno, perché in me ogni velleità poetica tace,
lasciando posto soltanto ai riflessi passeggeri di parole errabonde?
Dopo essermi avvicinato ai limiti del silenzio più ardente, eccomi
rigettato di colpo ai tropici del verbo, come se l’essenziale,
comunque, si dovesse proferire sul campo!
Irrigidito in un trepidante faccia a faccia con le parole, le delizie
sono fuggite improvvise, le chimere propongono estasi sublimi, il
linguaggio è momentaneamente tornato nella tomba del dizionario...
Il cristallo della mia penna diventa opaco. Tarda il futuro,
...il giardino s’annoia sotto il cielo grigiastro.

Quanto ho da dire non può esprimersi che al limite del silenzio.


Luogo che va cercato nello spazio in cui galleggiano le parole e che
si trova soltanto sulla traiettoria che unisce i volumi disponibili
all’attenzione.

142
Questo spazio a metà strada fra mito e testimonianza,
indissociabile dall’uno e dall’altra e in armonia col ritmo del mondo,
va avvicinato con rispetto, ma anche con timore. Dato che scaturisce
direttamente dallo strumento umano, dare un nome a ciò che
l’essenza stessa della vita produce equivale a sottrargli gran parte
della sua realtà.
Più nuda d’una spada sguainata, l’attenzione arde in direzione del
vuoto mettendo all’asta le mie brame più forti.

SULLA TOMBA DI A.

Il funereo silenzio dei cimiteri favorisce il raccoglimento. Ogni


filo d’erba è come un sospiro esalato che mi giunge all’orecchio,
aprendo la strada a una fame che nulla riesce a calmare. L’azzurro
drappo del cielo copre il solitario sepolcro appena rivelato da una
semplice pietra. L’inevitabile dolore di essere accompagna la lunga
agonia che abbiamo sofferto con lei. Fra poco sarà passato un
decennio dal giorno in cui la fonte s’è prosciugata. La fonte dalla
quale veniva l’acqua che estingueva ogni sete... E il balsamo del
tempo non ha ancora guarito ciò che l’assenza cancella.
Sciami di stelle passano sulla tomba da un bordo all’altro del
cielo, deponendo sui fiori un avaro chiarore.
Chi siete, esseri dell’altra riva che talvolta ci regalate l’odore
dolciastro della morte? Sapreste raccontare a noi, sordi e ciechi, ciò
che promette la morte? E noi, vivi rosi dall’impazienza, impareremo
finalmente a nascere con l’anima presente alla messe del grano?

Al fendente dell’attenzione lo sforzo talora diventa provocazione


quando, sulla barriera dei limiti, mi arrischio a dire ciò che sento
essere giusto e forte. Allora tutto ciò che la parola solleva si
trasforma nell’alba di ciò che ieri era il crepuscolo; persino
l’inevitabile fardello che ne discende s’alleggerisce e inizia subito a
servire la vita... dall’orizzonte avanza il futuro, an- ch’esso
alleggerito e disposto allo stesso servizio.
Eppure tra me e la morte la distanza è sempre minore.

143
L’aspra felicità di un gesto volontario compiuto nelle sere in cui
il silenzio moltiplica le stelle, dopo una giornata d’oblio.
Una brezza leggera trasporta il polline dell’attenzione verso
incessanti fecondazioni. E freme già l’embrione, obbedendo
all’oscuro disegno della Creazione. Fecondando il pensiero e
unendosi all’incandescenza del sentimento, il fiore raro della
Presenza spande profumo.
Come la linfa salita dalle radici più profonde va a morire all’orlo
delle corolle appena sbocciate, così trema un singhiozzo sulle mie
labbra... La Presenza si fa e si disfa seguendo le tensioni e i
rilassamenti. Piegata sotto il mio carico di sonno, la sua potenza mi
drizza, e la Presenza mi depone sulla fronte il suo colore di rosa,
preludio a felici successi. Come abbracci d’amanti!
Nelle feste dell’ombra serale l’uomo dentro di me comincia a
essere.
Era ora.

Ricorderò sempre abbastanza i solchi profondi che lasciava su di


noi il possente aratro del Maestro nelle memorabili sere del
1947/48/49? Nessun letargo avrebbe potuto resistere alle sonore
promesse di una parola tanto incisiva!
Egli disfaceva all’istante i nostri sogni assurdi che ne
debordavano. La nostra infanzia se ne andava a piccoli passi,
eravamo nudi. E marciavamo verso l’altro versante del cielo, ancora
ignari del fatto che avevamo lasciato per sempre il paese del sonno
perpetuo.
Tutti noi, idioti ignoranti ma presenti, portavamo l’impronta del
suo sguardo. Ogni tanto lo vedevamo immobile, intento a interrogare
la sua saggezza, attento al respiro e a vegliare su tutti, ogni tanto
fiorente di compassione, capace di ridere e di elargirci la sua
toccante bonarietà...
Ricorderò a sufficienza il continuo crepitare di idee e di
conoscenze inedite che avveniva dentro di me? Dall’uscita del
deserto interiore in cui vagavamo mi arrivava un’insospettata
influenza nuova ed eloquente. Strane forze in movimento, capaci di
fagocitare le tenebre e di vincere antiche foschie, mi restituivano alle
terre di un tempo.
Insolitamente, la vita mi veniva ridata. Un’altra volta.
Lo ricorderò a sufficienza?

144
Attorno alla Coscienza si costituisce lentamente una zona di
conoscenza che ravvolge: un’atmosfera piena di vie silenziose,
luogo d’incontri, di legami e di scambi. Anche zona di sofferenza,
trappola dell’oblio che rinasce continuamente; fonte di perpetui
tormenti, vi nascono allo stesso tempo il lampo del simbolo e la
menzogna dell’ego, l’astratto e il concreto, la materia di cui è fatta
la Presenza e gli strettissimi nodi fatti dai sistemi contraddittori.
La sarabanda dei pensieri associativi vi dispiega i suoi fasti mentre
forze ancora ignote, sepolte nell’innominato fin dall’inizio del
mondo, si levano risvegliando chissà quale nostalgia inaspettata.
Zona di conoscenza dove il passato ha lasciato solo tracce
leggere, in cui i luoghi e le epoche si confondono; presterò
sufficiente attenzione alla comparsa dei Segni, comparsa che
avviene laggiù, nella sua infinita diversità?
E saprò rispondere per le rime all’invettiva dell’istante che
tende ad allontanarmene?

Estasi alla mia misura: così sono i punti forti della linea
melodica che oggi lo sforzo suscita in me.

Per la grazia dei limiti oltre i quali mi sono appena elevato,


entrando con scasso là dove s’esercita il potere della Coscienza, ho
inalato frammenti del Tutto che talvolta parzialmente intuisco.
Febbre d’un momento vissuto improvvisamente in maniera
diversa. Là dove s’affila l’atto volontario, dove splende la luce
discesa dalle glorie boreali; ma subito ne perdo il ricordo e tutto
s’estingue.
Ho già disertato.

È una bella scommessa voler designare - ovvero esprimere a


parole - ciò che costituisce la vera sostanza della ricerca. Allo
sforzo del pensiero questa sostanza presenta il carattere folgorante
dell’astratto. E quindi la sua espressione non può che dipendere
strettamente da un vocabolario più o meno ampio. Una
dipendenza che non è assolutamente possibile limitare a
un’impresa intellettuale.

145
Ed è proprio così che bisogna immergersi nelle sue profondità.
Pena l’insabbiamento definitivo.

Non sto forse scoprendo che basta fare alcuni gesti, dire alcune
parole, provare alcuni sentimenti ed espellere alcuni falsi valori
perché tutto sia diverso? E per sempre!

Approdare a un presente senza rughe che il mio sguardo


feconda; con le mani piene d’offerte, accompagnare il volo
ostinato del tempo, contenere la piena dei pensieri nell’argine
delle notti d’estate, marciare a passi contati verso il termine,
ritualizzando gli istanti successivi della vita... Creare uno spazio in
cui espandermi imparando parole-scintille, parole rare e
infiammabili, capaci di consumarsi appena enunciate!
Aumentare lo slancio, entrare in forme riconciliate tra l’Evento
e la gloria del Presente, a uguale distanza da entrambi, annientare
i conflitti « desiderio/pensiero » e far sì ch’entrambi si uniscano
come lo sguardo e la stella proclamando ciascuno i propri limiti...
Giunto così alle rive del risveglio dopo aver lasciato ciò che, a
causa della mia cecità permanente, non è mai avvenuto, sono
riuscito a seminare la terra, a lanciare alcuni chicchi venuti dal
profondo. Oggi aspetto paziente che nel cielo d’autunno si levino
finalmente nuove costellazioni.

L’impronta dell’infanzia segna i ricordi e rende tangibile il


messaggio di allora. La verità sta nell’impronta e non nel ricordo:
alba tinta di crepuscolo, numero d’Oro della Conoscenza già in
marcia...
Ma perché la Verità si è rivestita di una maschera dipinta coi
colori umani, perché ha permesso la trasgressione della legge che
coronava l’uomo, perché il desiderio s’imbatte così spesso in porte
chiuse? L’orecchio non è libero e l’occhio si chiude; il pensiero
incerto s’attacca alle sequenze dei ricordi; attento ai segni iscritti
sulla sabbia del sapere, io m’infogno negli equivoci. Mi trovo
ancora nelle stagioni dolciastre del dubbio, ma coni’è forte il gusto
di vivere che sento!

146
Entrare a occhi aperti nel vasto miracolo di vivere... Devo
lasciare i luoghi in cui sono, partire, scavalcare lo steccato del
futuro da cui sono punteggiato a ogni istante, farmi carico di ciò
che trovo dall'altra parte... A tal fine devo sbarazzarmi delle
abitudini, cacciarle a calci fuori dal mondo, resistere alla pressione
del Tempo chiamata impazienza, arrancare sul sentiero fino al
cuore di me stesso, fonte e tomba da cui provengo e verso cui
vado, duplice nube d'ignoto...
Non ero « io », ancora.

L'oblio di me: un'intemperie che attraversa lo spazio di un


pensiero. Da dove trarrò i miei piaceri se scarto dal sentiero le
leggende colorate d’aurora che mi faccio raccontare dalla testa
ciarlona? E le favole che si svolgono nella cavità parietale?
I miei atti s’affannano per sfuggire all'angoscia da oscurità
suscitata dalla coscienza, ma, respinti dalla Presenza, svaniscono
pian piano perdendosi nel caos dei ricordi.
Allora mi levo, io mi levo, emergendo dal nulla,
improvvisamente lecito, complice della più alta speranza e radioso
come un sole nuovo. Padre, figlio e spirito, egli E. Segno
proclamato sopra l'incendio dei sentieri contorti, io va più
lontano, trionfando su strade remote e disarmando il cipiglio del
peccatore smascherato.
E tempo di vivere, di rinunciare ai sogni d'ordine, agli stucchi
scrostati del barocco in cui a lungo ho vissuto. Scende la sera sul
mio percorso terrestre, ma nuove fronde perforano i giorni; io
emerge lentamente dall'immensa fioritura di desideri, di pensieri e
di sensazioni che mi viene continuamente elargita. La gioia mi
riempie, mentre la morte fa capolino dal lucernario, inoffensiva...
Fino a quando?
Finché non inaridiscono le fontane, finché non cessa per
sempre la valanga di lodi gratuite di cui troppo a lungo mi sono
dissetato, finché non cessano i sogni notturni che fanno seccare le
rose fiorite sulle rovine, finché non svanisce il paese natale che
dovrò lasciare e finché non si leva nella sua giovane gloria l'anima
sovrana, fiera dei suoi primi passi.

Oh, il canto dell'attenzione all'opera nel mio risveglio!


Padroneggiare finalmente la luce -come il sole padroneggia la sua-

147
in modo che cominci a brillare sulla tomba in cui giace l’Uomo, in
piedi, frutto che persiste a essere, nato dai rami della Creazione
nel vivo dell’eterno...
Separate dal Tempo, alcune particelle distinte da ciò che mi
sento essere s’inclinano talora davanti alla vita iniziale che sorge e
s’espande. Dal centro del corpo, base inespugnabile dell’esistenza,
sale, vita contro vita, un raggio che mi tocca la fronte in quel
punto privilegiato che si trova a uguale distanza dai due fuochi
dello sguardo... Lontano dalle terre ombrose del quotidiano e dai
tiepidi sudori dello sforzo, il « prima » è svanito. Che cosa dentro
di me nutre d’un tratto la luce? Tutto diventa immenso, persino la
gioia.
Soprattutto la gioia!

Un percorso a zig zag che, una volta finito, sembra rettilineo:


ecco la mia vita. Che cosa dunque si perde, lasciando soltanto
l’essenziale? Scorie di ricordi e d’impressioni a buon mercato,
scomparse nell’eternità... Ciò che resta nobilita il passato, e
tuttavia non è più affatto il passato: talvolta vi trova posto il
presente, mentre il futuro vi spia il divenire.
Così la vita diventa qualcosa che si sbarazza del tempo.

L’istante in cui l’ornamento diventa la cosa che ornava.


Talvolta persino le parole accettano la metamorfosi, e s’infrangono
come spinte dal vento diventando presenza alla soglia di un altro
mondo: sono il segno, sono il verbo che nutre i miei ricorrenti
bisogni; raccoglitrici d’idee temporaneamente naufragate, le parole
acquistano fulgore; portatrici di valori sviati, ritrovano peso fuori
dalle leggende trite e ritrite. E riprendono a significare.
L’opera sussulta al primo passo tentato, lo sguardo si alza verso i
limiti, la lunga fila di sogni smette di errare, e io sono pronto per
l’irruzione di ciò che supera le forze cieche delle mie antiche
ricchezze ormai svalutate.
Cessa l’equivoco, s’interrompe la piena degli automatismi
invadenti; ai confini visibili della realtà io vado a testa alta a
destare il dormiente ribelle, perduto su sentieri insensati...

148
Perché avvenga la muta delle vanità che mi riempiono: ai limiti
del mondo d’esilio talvolta raggiunto dai miei desideri, ritrovare il
punto in cui è cominciato il declino dei tempi giusti...
Chi mai, alla deriva del secolo, mi ha trascinato lontano dalle
rive natali, all’opposto del luogo in cui risiedeva il mio bene?
Il dono d’intere panoplie destinate soltanto a nutrire i sogni, le
opacità cadute come un velo sulla mente attiva, le croci bianche
fatte nelle sere festose (nient’altro che segni delebili), gli istanti
senza memoria e l’oblio delle opere manuali, il riposo sui morbidi
letti, i falsi riflessi di ciò che ho percepito all’alba dell’età adulta, è
tutto questo, senz’altro, che bisogna gettare nell’ombra perché
avvenga la muta.
E perché, attraverso la grazia infinita delle forze sfiorate, io
abbia finalmente accesso alle glorie umane promesse da sempre!

149
IV
Ricongiungimento

Riallacciare i fili spezzati in tempo d’infanzia. A tal fine partire


dalla carne - come un fiume che scorra dal mare alla sorgente - e
raggiungere il bersaglio della coscienza (comunque lo si voglia
chiamare), navigando sul sangue con le vele al vento
dell’attenzione...
Notare di sfuggita ciò che l’istante consuma e ciò che resta
quando si prosegue il cammino, specie di relitti che sfuggono al
perpetuo naufragio del Tempo. E i fili ricongiunti li legano, li
salvano dal diluvio in cui vengono trascinati dai pensieri
associativi. E diventano fasci di luce tosto lapidati, ahimè, e in
gran parte colati a picco...
Ripetutamente e instancabilmente bisogna ricongiungere i fili.

Sarò il traghettatore di tutto ciò che insorge dentro di me? E


che, senza il mio aiuto, resterebbe ancorato nel porto dei ricordi?
Mentre cammino verso il paese senza nome cui devo approdare,
smetterò di svendere l’asina della mia condizione d’uomo per un
paniere di sogni?
Lottando contro il desiderio dello spirito e scoprendo i più
antichi soprusi, lascerò finalmente la notte e riuscirò a
contemplare il mio volto paziente? Riparato dal belletto che tanto
a lungo mi ha orientato il profilo, approderò al molo che mi
attende?
Potrò finalmente gettare la primavera sulle mie piaghe,
alleggerire il peso del fango e prendere lo slancio verso un
abbraccio definitivo con la Coscienza? Complice del mio
carceriere, mi verrà concesso di arrivare all’incorruttibile, offerto
da sempre insieme a ogni istante evaporato di vita?
Va e vieni tra il possibile e il probabile... La risposta non è
ancora data.

150
Siccome alcune proprietà sono caratteristiche della materia
erbale, la scrittura non può esprimerle. Perciò talvolta le parole
udite hanno più forza di quelle lette su un pezzo di carta.
La frase scritta nuota nell’acqua trasparente prima di scornarne
come un segnale spento; la parola è un’arma carica in gra- o di
sparare il segreto che contiene prima d’essere detta. Alcuni
pensieri tremano sulle labbra delle parole emesse, la voce risuona
e s’accorda ai rumori abituali, ma è a mezza voce che si dicono le
parole del ricongiungimento, quelle che hanno il potere di
smascherare l’indicibile verso cui l’uomo deve salire grazie alla
scala d’oro del silenzio... Parole animate da una fiamma vacante
come un battito cardiaco sul punto di estinguersi. Parola, canale
indispensabile per ritrovare la fonte delle forze creative, ma
incapace di rivelarne la vera natura. Parole che all’ascolto
costringono a piangere... inebriate dai tesori dell’indici- ile, capaci
di squarciare le tenebre...
Invece lo scritto può solo raccontarne la storia.

Insoddisfazione perpetua.
Inciampiamo sulla materia, ci areniamo sulla mancanza
d’energia. Drogati dalla persona, malati di abitudini e di
ripetizioni, ubriachi di sogni, come agire perché lo spirito precipiti
nel crogiolo dell’anima e acceda ad altre dimensioni? Rosi dal
pensiero, decomposti da emozioni incontrollate, rinsecchiti
dall’indifferenza, saremo un giorno capaci di affrontare la morte a
occhi aperti?
Siamo soltanto in vista del problema?
Eppure... Quanti segreti ci vengono incontro ogni giorno.
a ci preoccupiamo di sollevare il coperchio per farli entrare,
sappiamo stancare il rifiuto?

La sirena del sangue mi risuona nelle orecchie. Una luce -


piccola - s’accende e, lentamente, sale l’aroma della Presenza.
Tutto è cambiato.
Uomo per uomo, dono per dono.

Lo shock del Ricordo di sé copre di stelle lo specchio liscio ella


mia vita di sonno... Entro in un cerchio di silenzio che amo per la

151
sua purezza. L’attenzione alza le antenne verso la chiarezza
lasciata dai miraggi della durata. S’indeboliscono alcuni valori
caduti dalle prigioni senza sbarre in cui li tenevo. Scavalcando
secoli sepolti fuori dal mio spazio abituale, sento il vomere
rivoltare gli automatismi dentro di me. Colpite da vibrazioni
incrociate, le vecchie parole del linguaggio faticano a ritrovare
l’Idea, e il cielo aperto della Presenza lascia entrare una sostanza
che si deposita al fondo di me.
Forse un giorno bisognerà scendere a prenderla o, viceversa,
bisognerà esserne presi. E non mostrare alcuna ingratitudine,
lasciar svanire la schiuma delle cose, aggrapparsi alla roccia che un
tempo mi faceva colare a picco, là dove mi attardavo nelle ombre
passeggere e sentivo profumi: scorie odorose di forze esaurite...
Avanzare senza paura, adesso.
E come un fuoco che s’accende e divampa!

Scrivere una musica di parole... avvicinarle pian piano,


prenderle - o sorprenderle! Un istante le fa evaporare mentre
quello successivo le riannoda e traspone, cancellando talvolta un
pensiero troppo diretto, indebitamente racchiuso al loro interno,
che ne avrebbe offuscato la musica... Musica della Coscienza
perennemente in fuga nel futuro dove occorre inseguirla.
Le parole casuali vestite di sole apparenze non bastano, ahimè,
a ricrearla.
La Coscienza? Un limite. All’infinito.

Mattine difficili in cui la ricerca si contorce come un verme...


Io la sento respirare vicinissima col mio stesso fiato, ma non riesco
a raggiungerla. Pensieri che volteggiano lassù in un mulinello.
Ogni tanto il sorriso finisce in singhiozzi. Ah! Arrendermi
completamente ed essere condotto per mano là dove il cervello dà
le dimissioni, dove l’oracolo sbalordito dà il suo responso, fonte di
risposte appena abbozzate.
Metastasi di bruscoli di coscienza oggi infermi, pruriti ancora
sensibili a fior di pelle, attrazione dell’inerzia. Alla fine mi tocca
indossare il sapere. Allora ricominciano le tempeste emorragiche,
grande frastuono di cateratte aperte nella caverna parietale,
cadono idee come proiettili, palpitazioni cardiache accelerate; poi
d’un tratto « qualcosa » prolunga l’intelligenza: un movimento

152
particolare comune a tutto l’universo, superstite del cataclisma
quotidiano.
Ecco l’uomo!

Saper dire.
Dire giusto. E camminare. Andare di miraggio in miraggio fino
alla meta: la Coscienza.

Oggi che si placano i rumori del mondo intorno a tutto ciò che
so e a ciò che sono, in questo periodo inesorabile di riflusso della
mia vita, sul gradino della porta che si apre sulla Coscienza sento
dirsi le parole ardenti di cui la mia storia è intessuta...
I miei atti si allontanano come l’albero che si fonde con la
foresta cui appartiene. Le albe sono mute e spesso senza speranza,
mentre mi parlano i crepuscoli venuti da opposti versanti, dove
nascono aurore fin qui mai concepite. Ogni mattino nasco carico
di notte, ma provvisto della chiarezza portata dal rimedio che
dovrò conquistare tutto il giorno... Affinché le opere entrino in
me e s’affermi il potere di essere: parte divina a lungo smarrita
nell’uomo nascosto sotto mentite spoglie.
Finché si operi il ricongiungimento e si affermi ben chiaro che
sono un uomo.

Ah! Raccogliere i frutti estremi dei desideri, deporli dove siano


marcati da segni capaci di liberarli da decadenze antichissime!
Con gli occhi ancora pieni di tenebre notturne e disposto ad
ascoltare il passo delle ore fuggenti, vedo cadere i miei atti tra le
cose erranti del mondo. Poi mi raddrizzo, tendendo l’orecchio
verso gli incitamenti del Presente, e depongo ogni ricordo
cercando chi mi garantisca cosa ho detto prima...
Carico di scritti che descrivono le rovine dei templi e i clamori
o le grida che rivelano un crudele tormento, cammino sull’erba
per liberarmi dalle sozzure, per disperdere il loro profumo nella
tiepida brezza serale... e per smettere di sognare un sogno troppo
grande per lo spazio dell’osso parietale!
Arrivano finalmente i docili frutti della ricerca quotidiana,

153
flusso improvviso come quello del sangue tumultuoso nelle sere
d’amore.
E s’apre la Coscienza al mattino di un’età che non conosce
declino.

Tutta intorno a me sulla terra s’estende l’ombra della tristezza.


Sono chiuse le porte delle stanze ancora proibite. Lunghi fili di
pensieri allacciati alla memoria pendono inutili, e io avanzo a caso
nella loro scia fuggitiva in cerca d’altri luoghi.
Più prezioso perché in pericolo sulla stretta riva lungo la quale
cammino, lo sforzo messo a nudo disperde le forze che tornano
sempre alla carica. Come una vedetta appostata in cima ai bastioni
a spiare il volo dell’attenzione, che di colpo si posa sulla piega
della fronte tra gli occhi, lo sforzo s’insedia nella novità del giorno,
pronto forse a durare così fino al sorgere della prima stella che si
presenti alle soglie dell’occidente.
Una grande impresa mi attende: partire alla ricerca dei mondi
immersi dentro di me, mondi un tempo viventi che emergono
come terre inondate quando finisce la piena. Sciogliendo la stretta
delle tensioni quotidiane per sentir colare la linfa del sangue, io
vado libero a onorare altri luoghi perché improvvisamente posso
accedere ai riti dell’Uomo, ritto in piedi su soglie invisibili...
Pura semina di chicchi prodotti dalla tristezza, già s’annuncia la
messe.

Il mondo interiore: come l’immagine di un Tempio, inutile


perché troppo guardata... Per descriverla ciascuno usa il proprio
dialetto. Ci vorrebbe un poema per raccontare le magie che
l’infanzia vi ha immagazzinato e le chiare premesse che la morte
vi mescola... un poema che racconti l’immensa fatica che scoppia
in un profluvio di chicchi, che parli di lievito, di fermento, di
grandi feste domenicali...
Il mio mondo interiore: dissetare al divino le labbra impazienti,
tendere all’altare le mani d’argilla, deporre le catene; linguaggio
nuovo, ritorno alla fonte, giorno eterno della mia nascita da cui
salgono le ombre crescenti che mi avvolgeranno al momento della
morte.
Mondo interiore, rifugio più nuovo della sete, ossario dei sogni,
chi sei?

154
Una lunga confidenza, un giorno intelligibile.

Spompato! Persino passare da un pensiero all’altro mi stanca.


Le parole non hanno più gusto e sostanza. Gli occhi sono oblò
mal richiusi in cui fermentano lacrime di Maddalena. Lo
sguardo è una corrente furtiva in cui si riflette un’attenzione da
paccottiglia.
E al di sopra di tutto la vertigine: atomi di sensazione che
aumentano, danzano e cadono.
Nella testa, bussola scombussolata, le idee cadono come
pacchetti cui si rompa lo spago. Il corpo, farcito da instabili
centri di gravità, s’aggrappa come può alle stelle filanti
dell’abitudine... L’emozione attizza il fuoco nel cielo piatto,
arrossando angoli d’ombra che ammiccano come palpebre... La
mia vita è l’antro del nulla.
Tutto ciò fa venire la sera, fa avvicinare la morte.
La morte: un naufragio lontano visto dalla riva sulla quale
ancora mi trovo!

Dopo l’intervallo, ricongiungersi al presente e ripopolare gli


echi. Restando attento, ho appena sentito la risposta dell’Essere al
quotidiano « chi sono? »: un amalgama di creato e divino
imbarcato sul vascello del Tempo... Ma anche un fragile masso
erratico, smarrito sulle diagonali dello Spazio con frasi incompiute
sulle labbra.
Ma forse nella mia bocca non tarderanno le parole del
messaggio e si leverà un grande respiro che segnalerà la grandezza
crescente dell’Uomo in via di sviluppo. S’avanza la coppa sfiorata
dalle labbra del divino. Scopritori d’enigmi, rivelatori di Segni,
maestri del Simbolo, ecco quelli che forse un giorno saranno i
detentori dell’Azione... E che resteranno in piedi al mio fianco,
vincitori, mentre prima l’accesso al loro Tempio m’era vietato.
E l’ora? Sta per nascere l’Uomo? Ahimè, la ricerca e l’avvenire
sboccano ancora sulla granitica muraglia del futuro.

La natura ha messo in fondo a qualcuno di noi un richiamo


incessante che a lungo facciamo finta di non sentire.

155
Su quali morti vegliano i fiori dei campi? Falciati insieme al
grano e strappati dalla terra su cui la natura li ha incastonati per
una breve stagione, i fiori perdono contemporaneamente la
verticalità e l’anima.
Fiori per festeggiare la nascita, fiori per onorare la morte! Il
loro profumo non è forse fatto solo di risposte mai date? Tuttavia
l’ape e la farfalla domandano, e ne ricevono una messe di gioia
spensierata e di miele... Ma i colori esuberanti, e i semi, e i frutti
che nascono con l’aiuto del vento?...
Allora riprendono a parlare le voci prese in prestito dalle
risposte.

...« nell’ora della nostra morte... »


Dall’origine al sepolcro la campana del risveglio rintocca talora
con un suono gioioso nel quale ho creduto a lungo di
riconoscermi. Poi, da quando ho imparato a vivere, la campana è
diventata materna. Temporaneamente.
Oggi il suo rintocco lontano è un inutile - benché
indispensabile - suonare a morto che cresce ogni giorno di più.
Perché preoccuparmene? Per l’Universo ciò che è prossimo a
morire ha ben poca importanza.

Andare verso se stessi con P aiuto degli echi, di parola in


parola, di sensazione in sensazione, scoprire il sentiero di un
continente ignoto, irto d’immagini e di emozioni. Puntare sul
mondo uno sguardo ricettivo che accolga nel suo raggio
impressioni da lungo tempo inaccessibili affinché l’anima, ancora
priva di focolare, raggiunga l’assente. Cogliere i frutti della
pazienza quando persino le parole indietreggiano. Meritare i riti,
abbordare il sacro, sentirmi vibrare alle porte della gioia... Tutto
questo, tutto questo, tutto questo insieme!
Possa nascerne l’opera, un’opera di pietra fra due momenti.
Sovrastata dai fulmini di uno sguardo contrario.

Da una frase trovata in un volume della mia « Plèiade » ho


saputo che esiste una pianta chiamata « Ricongiunta ». Il fatto che
questo capitolo - espressione dei più stretti ricongiungimenti fra
l’apparenza e la realtà avvenuti in me negli ultimi tempi - sia posto

156
sotto l’egida di una pianta comune mi sembra un felice presagio.
Nell’istante di calma posso lasciar spaziare lo sguardo su ciò che
nell’adolescenza mi è stato sottratto, posso scavalcare il periodo in
cui le parole cariche di significato non hanno più avuto presa e in
cui i fiori non hanno avuto profumo, affinché un giorno il fiore
della « ricongiunta » partecipi col suo profumo ai supremi
ricongiungimenti dell’Essere.

Desolante povertà di un mondo inattuale in cui ciascuno si


crede presente. Un mondo che prende a prestito dal tempo il turpe
privilegio di essudare istanti come fossero pus che esce lentamente
da un ascesso maturo schiacciato tra due dita...
Enigma delle confluenze in cui l’Istantaneo potrebbe fondersi
al Presente ed essergli sottomesso. Dire parole in sua gloria,
concepire l’Atto ch’egli contiene, e subito le parole significano,
l’Atto succede all’intenzione che lo genera. Allora l’uomo si erge.
E cominciano tempi in cui il Presente e l’Istantaneo mostrano una
strana connivenza. Sintesi provvisoria dei contrari, l’uomo accede
all’Ordine, un Ordine in cui propriamente brilla l’identità dei
contrari e in cui l’atto e l’intenzione si confondono alla loro stessa
sorgente. Una volta fusi insieme, il Presente contiene l’identità e
ciò che la contraddice, il Principio e ciò che lo nega.
Allora l’uomo in ogni momento può coniugare il verbo ESSERE,
sia riguardo al « mondo interiore », sia riguardo a ciò che
inconsciamente lo lega al mondo ordinario.

Interrogato improvvisamente dal bisogno di essere! Torturato


da ciò che entra dalla falla prodotta in me dallo sforzo appena
compiuto. E come andare controsenso su una giostra di cavalli che
gira!
La domanda e ciò che potrebbe rispondervi si tamponano con
un grande fracasso d’impressioni. Tutto intorno l’aria si riempie di
bolle sottili, penetra nei miei seni nasali melmosi e s’unisce alla
domanda insopportabile... Ritrovare l’itinerario grazie al quale
pensieri e sentimenti d’un tratto fecondi si ricongiungano con
l’istante in un gran movimento unitario. E si levi l’ovazione della
Presenza finalmente radiosa.

157
Svaniti i presagi, mi è concesso di vivere; mi serva di lezione, e
scoppino le risposte gettando alle tenebre i satelliti della ragione.

L’uomo, quest’insolente che pretende di penetrare i misteri


dell’Universo! Cercando di risolvere l’equazione della vita sul suo
tavolo di carne alla luce di astri che irraggiano debolmente pallide
incandescenze, credendosi il sosia di Dio, industriandosi in mille
maniere - talvolta le peggiori - a manifestare i poteri dell’amore,
legato com’è al disco instancabile del « pensiero », come potrebbe
anche solo enunciare i dati del problema?
Eppure quante volte esulta, sbandierando un sapere basato su
coordinate definitive che vanno ricalcolate più volte per secolo...
Giocando con le dimensioni e giudicandosi l’Ordine stesso, l’uomo
ben presto s’imbatte nell’insolubile malgrado la gloria, l’onore e
altre cose consimili.
Fino al giorno in cui finalmente un vomere rivolta ciò ch’egli
chiama « saggezza ». Allora l’uomo si scopre inestinguibile e
nuovo, pieno di altre sonorità che fanno risuonare nuovi echi, e
ben presto si rivela necessario un inventario permanente
dell’imprevisto. Dalla sua nuova fame nasce « qualcosa » in grado
di ricordare e fissare la debolezza della presunta verità di una
volta, di arrestare la fuga continua del tempo, di stabilizzare le
mille effervescenze dell’emozione. Estraneo all’uomo di prima e
armato del nuovo linguaggio da lui inventato, egli si trova aperto a
un’altra sensualità, pronto ad accogliere eccitazioni più sottili e
improvvisamente affamato di nuovi interrogativi.
E anche consapevole, Dio sia lodato, che i prodigi appena
scoperti, se abbandonati nelle sue mani, passano, come passano le
delizie della carne e dello spirito, ma pure consapevole che, là
dove i prodigi finiscono, si leva un purissimo canto fino allora
inaudito, proveniente dagli enigmatici territori della Coscienza...

La ricerca è un’epopea di cui la Coscienza è innanzitutto l’eroe.

Basta la Presenza per spostare dentro di me gli attributi del


mondo. Istanti più lunghi mi calmano l’impazienza. Meraviglia di
essere. Cosa c’è ora che prima non c’era e di cui mi sono invaghito
perdutamente per sempre?

158
L’istante in cui, varcata ogni frontiera, la celebrazione del
Presente comincia... Come un ritorno alla magica sorgente
dell’infanzia, quando tutto era festa - il mattino, il mezzogiorno e
la sera, ciascuno con la sua gioia - e quando tutto era vasto: le
praterie, i deserti, i suoni, i profumi, ogni minima impressione.
Sembrava che tutto dovesse durare per sempre, ogni evento si
lasciava dietro non solo un ricordo ma qualcosa di più, la felicità
mi risuonava dentro come un cristallo, le mani e gli occhi si
richiudevano sempre su qualche meraviglia... Epoca ancora vicina,
anzi, appena trascorsa!
Oggi la Presenza mi lascia in bocca un gusto di vino nuovo, e
regna sovrana dentro di me come un invito supremo a vivere.
Luogo di confluenza, punto atemporale in cui convergono tutti i
movimenti della vita, sintesi d’influenze vicine e lontane, forza
senza violenza, lingua senza parole, materia-spirito più qualcosa,
per l’Essere allo zenit la Presenza è puro diletto.
Io, privo di senso e giunto da un paese senza nome, lascerò
finalmente per sempre l’esilio, approderò alla riva su cui si
risolvono i contrari, mi allontanerò dall’uomo parolaio e sognatore
per « essere » semplicemente, per essere l’Uomo? Atto e sogno al
contempo.
Raccogliere le cose sparse e ascoltare il canto del vivente,
mentre è ancora tempo...

L’Atto nato da un fascio di volontà riunite perfora il tessuto


d’ignavia roso dall’ora spietata. Scorre il ruscello, simile ai sogni
stiracchiati che mi riempiono al mattino; l’albero senza uccelli
orna il cielo all’orizzonte, l’erba abbandonata dall’insetto vibra
ancora a lungo, e tutto nutre in me i diversi luoghi che,
improvvisamente vasti, si riempiono di uno spazio poco prima
gremito.
Adesso i giardini e i boschi mi sono abituali; dalle prime luci
dell’alba fino ai battiti d’ali del vespro, spio il tuo sorriso lungo il
sentiero sul quale mi vieni incontro con un mazzo di fiori in
mano.
Vacanze...

159
Dentro di me un cielo fatto a mia misura; fuggire la caverna
senza tetto in cui passo la vita... Tremante e allarmato da tutto ciò
che striscia e ribolle dentro di me, ascolto i rimorsi di coscienza
parlare a bassa voce. Nel giardino contiguo al recesso della caverna
in cui poco fa mi trovavo, la Presenza fiorisce con ombrelle
odorose, dominatrice perché ha domato il Tempo: tanto il passato,
viaggio compiuto con ciò che non esiste più, quanto il futuro, un
silenzio che regna dietro i muri di una vecchia casa sprangata...
Talvolta il passato ritorna e m’assilla. Il futuro dorme ancora fra
lenzuola piene di fronzoli ed emana un odore fallace, appena
avvertibile, che mette in dubbio antiche certezze. Non
svegliamolo.

Il futuro... un ignoto meraviglioso che si esaurirà sul mio letto


di morte...

Cosa si muove improvvisamente nella polpa del chicco? Forze


ricongiunte: il solco fecondo e il potere del seme ripetono la vita.
Specchio per la ricerca.

Ascolto le confidenze di un fuoco inventato da un desiderio


feroce.
La neve si scioglie davanti alla transumanza dell’attenzione
abituale. La Presenza scintilla, ultima nata dei supremi
ricongiungimenti.
Presenza della Festa, Presenza della luce. O silenzio!

160
V
Il silenzio ascoltato

La saggezza è innanzitutto silenzio, e s’acquisisce solo per


filiazione spirituale. Come nei paesi orientali la notte precede il
giorno, così la saggezza si raggiunge solo dopo un lungo periplo
nelle tenebre.
La strada che a essa conduce passa per l’umiltà. Non l’umiltà
che sminuisce i veri valori e abbassa l’uomo che li possiede, bensì
il corretto apprezzamento di ciò che conduce alla verità senza
badare alle conseguenze. Inoltre passa per la spoliazione, che non
è affatto l’abbandono o la rinuncia alle cose buone e giuste messe a
disposizione dell’uomo, ma l’atto che consiste nel cancellare in se
stessi le tracce di tutto ciò che nasce dall’automatismo per offrire
alla saggezza un ricettacolo vuoto in cui possa regnare.
Il rumore dei pensieri, l’agitazione del sentimento e le
impazienze del corpo faranno man mano posto al silenzio. Poi,
molto tempo dopo, l’uomo diventerà un santuario. Il santuario
resterà, ma l’uomo di carne non prosciugherà mai il Tempo.
Il silenzio è l’alveo della saggezza.

Talvolta il silenzio è complice della mia profondità tenebrosa.


Più vasto dell’oceano, ma immobile, terra da riconquistare
continuamente, il silenzio matura e innalza fino al cielo la sua
potenzialità inestinguibile. Ascolto il silenzio venuto dai versanti
del tramonto aspirarmi i pensieri e deviarmi le parole verso i pozzi
senza fondo dell’inespresso, l’ascolto emettere un serico brusio nei
teneri muscoli del cuore... Il silenzio, divina parentesi fra l’atto e la
morte, vigilia della gioia, popola della sua nostalgia il passato
meglio vissuto.
Alleato alle palpitazioni degli istanti vissuti nello stato di

161
Presenza, complice degli abbandoni più dolci: un giorno ho saputo
in confidenza che il silenzio gradisce essere ascoltato.
Ma già sento un passo che in me s’allontana, pronto a
raggiungere il territorio dei grandi clamori.

In vacanza tutto si riduce a cose superficiali, rumori leggeri e


brandelli di pensieri. Anche l’attimo più presente si dissolve: il
tempo perde tempo.

A poco a poco passo dal piacere di « fare » alla gioia di scoprire


in me il « potere di fare » che, una volta percepito, dà un piacere
ancora più grande se si lascia inutilizzato.

Ascoltando il silenzio m’approprio del tempo.

Nell’ascolto del silenzio c’è una qualità dell’attesa che rafforza il


potere di ascoltare conferendogli un insolito acume. La continuità
della possibile sensazione di « ascolto » conferisce al silenzio un
potere di conoscere che l’eccitabilità dell’apparato uditivo
ordinario normalmente non ci fa percepire.
Un’occasione in più per « ricordarmi di me ».

Compiere una serie d’atti meccanici rompe ripetutamente


l’equilibrio all’interno dello stato in cui mi trovo e di cui posso
rendermi conto oppure no. La volontà di riuscire rivela il bisogno
istintivo di ritrovare l’equilibrio rotto in tal modo, mentre la
realizzazione dell’atto ristabilisce provvisoriamente l’equilibrio.
Invece l’atto volontario constata l’eventuale squilibrio e lo
corregge volontariamente.

Il silenzio favorisce l’assorbimento delle impressioni che di


solito, per i nove decimi, passano inosservate, e serve anche a
demistificare il senso triviale delle parole, senso che spesso le
parole posseggono solo perché, talora un po’ a caso, l’accezione

162
comune gliel’ha attribuito. L’attento ascolto consente
d’individuarlo e di evitarlo.
Poi, come si passa dalla luce all’ombra nelle ore sempre più
lunghe della sera, il silenzio riprende il suo volto e si popola di
mormorii che rivelano atti in procinto di compiersi.

Vivere avendo cura del silenzio, ascoltando soltanto il rumore


del sangue nel fianco sinistro del corpo... Avvertire i legami che
allora il vuoto autorizza tra le forze venute da Fonti lontane e gli
atti volontari richiesti dalla progressione.
Gli spasimi dello sforzo ravvivano il piacere. Da errante ai
confini del mondo eccomi diventato uomo e restituito alle
saggezze sperate! Testimone dell’equinozio, eccomi condividere
ugualmente il sogno e l’azione cosciente, indossare a turno l’abito
della ragione e quello - più raro - della Conoscenza, sentire che in
me si levano i fermenti della Presenza.
Silenzio, si apre la porta d’oro dell’avvenire.

Il sogno è la spina della Presenza. Talvolta sono trafitto da un


intero cespuglio di rovi, talaltra - Grazie a Dio - da una sola spina
ben visibile che posso facilmente cavare sopportando il fugace
dolore dell’estrazione. Ma i rovi, gettati mille volte nei rifiuti o nel
fuoco, rinascono sempre: i racconti e le fiabe, le tiritere della
storia, tutto ciò che piace alla gente, ma anche i princìpi della
filosofia, le risposte inutili del caso, il gratuito viavai della
dialettica, i giochi di parole e d’immagini, il linguaggio oscuro
della metafisica, le « forme » capaci d’esprimere ciò che so,
eccetera eccetera...
Tutte cose adatte a fare un bel fuoco in occasione del prossimo
San Giovanni!

Curvo sotto il peso del Tempo che pian piano mi appesantisce


con sedimenti continui, mi sento morire alle mille cose chiare di
cui brillava la mia giovinezza.
Ma quanto è lungo - e difficile - « morire a se stessi »!

Il pensiero promana da un atto continuo in cui si percepisce

163
uno sviluppo dal « prima » al « dopo », mentre l’intelletto trae da
altri « continui » gli elementi - le idee - che costituiranno un
insieme complesso di atti potenziali. È così che si svolge
l'attività della funzione intellettuale.
La materia intellettuale - come peraltro quella emotiva e il
mondo immenso della sensazione - è un caos in cui la « Presenza a
se stessi » crea momentaneamente un certo ORDINE. La sua
immanenza provoca uno scompiglio nello svolgimento automatico
dell’attività funzionale e apporta un « di più » che cambia
totalmente l’eventuale percezione dell’evento considerato.
La « Presenza » fa giustizia delle sterili speculazioni
intellettuali, dei morsi del piacere e delle rivendicazioni
sentimentali.
Istigatrice di atti volontari, la Presenza reclama ogni volta il
dovuto. Il silenzio - interiore, s’intende - è una delle sue esigenze
primarie.

I sogni e l’onore di un tempo striano il silenzio come fili di


fumo nel crepuscolo che precede l’ombra imminente... Sguardi
scomparsi, sorrisi estinti; il passato, cui dava lustro un medesimo
sole, germoglia sul fragile confine dei ricordi.
... Mano in mano la domenica mattina andavamo in chiesa,
mentre nel pomeriggio, osservati dai vecchi dietro le tende
frementi agli incroci, passeggiavamo sulla strada del mulino
costellata dagli sguardi cerulei dei non-ti-scordar-di-me... Passa il
tempo: quanti mi hanno amato non esistono più... O corpi amati
che popolavano le case fiorite della mia infanzia, odori che
tornano indiscreti a testimoniare dolci intimità lungamente
scordate... Il passato è lì che occupa da solo il deserto della
Presenza. Scivolando furtivo tra la folla degli atti lontani, il passato
è riuscito a intrufolarsi mandando in esilio le forze vive
dell’istante: e insiste, improvvisamente sospeso all’esile canto di
Clémentine che sale dall’ombra fuggente della messa mattutina...
Risvegliarmi! Sfuggire alle magie di un’epoca estinta in cui sono
sprofondati tanti noti paesaggi, in cui tanti gesti si sono disfatti nei
luoghi obliati dove dorme il silenzio.
Per comparire, il presente subisce le doglie del parto.

Eccomi giunto nel paese in cui la felicità ha preso dimora.

164
Qui ogni luogo ne contiene un pochino. I sentieri dei boschi
respirano la luce del mattino e ci conducono lentamente al riposo
serale, il silenzio rintocca tra le nevi delle montagne, i torrenti che
non cullano mai il cielo rumoreggiano fieramente e si tuffano a
valle. Come un tempo.
Tuttavia la felicità si spaventa d’ogni nonnulla: il fruscio del
vento ne increspa la superficie e la spazza via a brandelli;
stamattina nei prati tu hai raccolto un fiore di raperonzolo che
ancora adesso trema nelle tue mani, prima di morire di una lunga
agonia nel vaso in cui verrà messo. Ma la felicità - grazie a Dio -
non smetterà di fremere nelle radici intatte né di risplendere
ardente fra noi.
La felicità è ancora qui, io non oso soffrire.

In me la presenza è come un rumore di passi ben noti


proveniente dalla notte dei tempi.

Il silenzio più difficile da ottenere è quello dell’intelletto.


Soprattutto un silenzio che non sia semplicemente assenza.

Mettere armonia nei terreni incolti della coscienza, dove


sovente vengo soltanto ammesso, ed esprimerla in parole. Questo
mi sforzo di fare - secondariamente.

Il silenzio non è soltanto uno stato di « non rumore » che


l’orecchio non può conoscere, ma è l’esercizio di una sensibilità
attiva attraverso la quale non si percepisce nessuna vibrazione,
sonora o non sonora che sia.
Ascoltare il silenzio conduce all’incrocio cui convergono i
costituenti fondamentali della « Presenza », e dove sono riunite le
condizioni più favorevoli alla soluzione dell’enigma posto dalla
Presenza stessa.

Sangue, saliva, sudore, seme: feste di Vita lanciate nel mondo


da un sibilo nato dal respiro... e dal piacere allo zenit. Allora
l’attenzione, testimone occasionale dello scorrere incessante dei

165
fluidi in cui sono radicate le forze vitali, significa più di quanto
l’uomo di memoria sia normalmente capace.
Il meglio della mia carne, il meglio di me stesso in pericolo di
morte, di colpo a cospetto dell’offerta divina d’immortalità...
Abbandonare nella scia dei pensieri sovrani gli antichi sogni di
gloria, mantenere la prua puntata verso il cielo, spiando il segno
scritto al centro delle due immensità, e vincere!

Seme di parole sul percorso incompiuto del tempo. Anche lo


spazio è indifferente. Sull’inverso vellutato della presenza l’anima
resta un deserto sotto una pioggia di pensieri caparbi. Poi il
passato, impietoso, accorre vestito del mio nome straniero, la
sabbia diventa più spessa e io non resisto più alla pressione delle
parole...
Favole! Fino all’alba, fino al prossimo istante in cui, sfiorato
dalla luce, mi raddrizzo senza fardello. S’insediano poteri fecondi e
alcune forze note entrano nell’humus tiepido della carne,
accelerano la trasparenza e mi rimettono sulle fondamenta.
L’anatema, perso nelle tenebre dei discorsi inutili, è scongiurato.
Apice della sinusoide di gioia...

Tutto il « possibile »: è questa l’Unità?

Immerso nello spessore dello spazio alla ricerca di nuove


intersezioni, esploro il territorio illimitato di questa periferia della
coscienza cui talvolta ho accesso: luogo di pace e di pazienza, e
anche rifugio della mia pigrizia quando l’intelletto viene a
profanarla.
Mentre su di me, in controsenso allo sforzo, scende
nuovamente l’oscurità foriera d’incancellabili ricordi, la maturità
si risveglia.
Ma l’Ospite ritorna ben presto varcando la Soglia e l’ombra
indietreggia: flusso e riflusso della vita novella nata pian piano
nella carne, respirazione serena di forze padroneggiate per un
momento, alternanza di preghiere e di tentazioni, terra di
speranza ma anche terra di vagabondaggio fino ai limiti
dell’inconoscenza, fino a incontrare il legittimo segno della morte
alla svolta del sentiero.

166
La memoria è simile alla morte nel senso che, se la memoria
non esistesse, l’uomo - perso d’un tratto il suo materiale - non
sopravvivrebbe all’istantanea assenza di impressioni. Dato che
nulla troverebbe in lui qualcosa cui collegarsi, l’uomo si
troverebbe completamente isolato dalla corrente vitale senza cui
la sua vita non può esistere.
« Senza impressioni l’uomo non può vivere un solo istante » (G.
Gurdjieff).
La memoria fa sembrare che il passato esista adesso, cosa non
vera. Il passato non esiste più, proprio come la vita - perlomeno
sotto la forma che mi è nota - non esiste più dopo la morte. Io
percepisco la vita attraverso la sensazione di ogni istante presente.
Però posso percepire il « Presente » solo attraverso strumenti
educati da atti trascorsi, ossia grazie alle tracce lasciate in me dalle
impressioni ricevute e conservate nella « memoria ».
E strano e paradossale questo parallelo fra la memoria e la
morte...
La vita, la morte, il Presente, la memoria: enigmatiche offerte
della Natura!

Una delle caratteristiche della memoria è quella di realizzare il


ritorno al passato nel presente. Spesso in un falso presente,
disertato dalla « Presenza ».

Una nube di silenzio mi arriva all’orecchio, lì per lì percepita


come una massa d’impressioni ovattate. Però l’orecchio, anche in
assenza di suoni, resta presente in attesa del nutrimento abituale.
E su questa spiaggia di silenzio nascono impressioni nuove che,
per essere tradotte in sensazioni, richiedono un’altissima qualità
d’attenzione. Il paesaggio cambia, diventa fluido, mobile, pieno di
sfumature, mentre le impressioni in arrivo s’inseriscono in un’altra
rappresentazione del mondo. Non so molto di ciò in cui
consistono, del posto da cui provengono, di cosa sono l’ombra e di
chi la proietta. Dov’è la verità? L’unica certezza è che il silenzio mi
avvicina alla verità.
Ombra, silenzio: parole magiche in cui freme il mistero che
l’orecchio ingolfato di rumori, o sgombro dai rumori ma
impaziente di sentirli, non può rivelare.

167
La vita è affetta - tra 1’ altro - da possessione progressiva del- T
avvenire; ciò che non ha più vita non ha più avvenire. Lo svolgersi
del Tempo che chiamiamo « avvenire » è strettamente legato al
fenomeno della vita. Il « Presente », nel momento stesso in cui
nasce, è P avvenire di tutte le cose vissute, V avvenire di ciò che è
stato. Di conseguenza è passato, presente e avvenire
contemporaneamente.
Ed è proprio Listante così vissuto e sentito che si deve chiamare
Presente.

La « Presenza » è reintegrazione delle ricchezze della Vita nel


verbo più raro. In questo risiede la sua unica possibilità di essere
comunicata.

L’istante vissuto in complicità con forze venute d’altrove mi dà


lo slancio per accedere a uno spazio abitato nel quale mi
riconosco. Sostanza delle parole, sostanza del movimento, sostanza
della vita che si esalta nel movimento della materia, passaggio a
uno stato di catene spezzate, di libertà più densa del granito...
Carnoso piacere di essere. Ignoti desideri. Il passato si ripiega, il
quotidiano s’oblia, il presente si dilata in un’altra dimensione.
Mistero: i prodigi sposano il reale. O principio dello Spirito
dinamico che di colpo invade lo spazio: i luoghi e il tempo
abdicano davanti all’esaltazione dell’eterno vivente! Slancio verso
l’atto creatore, solitudine alle grandi altezze, trasfigurazione di
colui che porta potenze seppellite da troppo tempo, la morte lascia
la presa...
Ecco l’Uomo uscito dalla notte, armato per la battaglia.

Sotto la cenere dell’età covano la linfa, il desiderio, la vita. Si


consuma una grande speranza che rinasce a ogni istante come una
strada nuova tracciata instancabilmente dentro di me. Ascolto le
antiche promesse di pienezza in continuo sviluppo, le esultanze
prodotte dall’evento.
E forse il ritmo del mondo che culla i miei desideri davanti allo
spettacolo mutevole della Vita? Cosa brilla sul mio sentiero, il
bagliore prodotto da un falò di relitti o la scintilla che accenderà la
luce della Conoscenza il giorno in cui avrò lasciato tutto e non
abiterò più sulla Terra?...

168
All’interno improvvisamente tutto s’illumina sotto la scorza.
Chi mai ha favorito lo zelo? Quando è avvenuta l’aurora? Mi è
dato di gustare il sapore di un silenzio spoglio e puro sul quale non
crescono più le erbacce di un tempo, di un silenzio eccelso che
credevo inaccessibile. La vita si definisce. Immunizzati contro il
sogno dalla luce presente, gli istanti si succedono in me come una
fontana maestosa da cui zampillano fiori e frutti in un grande
sfolgorio di colori...
Per raccontarlo « veridicamente » dovrei elevarmi alle cime più
alte del linguaggio!

L'istante è un atomo di Tempo, la più piccola particella di


Tempo in cui è possibile percepire davvero la sensazione di «
presenza ».

Il sole illumina le foglie chiare della betulla. Sull’erba


impolverata da una brina pollinea passa un brivido, come se uno
sciame di stelle ci si fosse posato sopra... Alcune immagini, venute
dagli abissi del passato eludendo le tenebre della memoria,
bussano alla finestra, sfiorando la noia che però non mi tocca.
Alcuni pensieri tremanti cercano di prenderne il posto prima
d’essere spazzati via dal passaggio del presente.
Ho ritrovato il giardino...

Perché talvolta le chiavi mi cadono in mano? Necessarie


all’inadempiuto, esse addolciscono l’impazienza e conducono
all’oracolo.

Essere consapevole che do ascolto al canto delle menzogne, che


ripeto sottovoce il nome di cose morte e, se la sfortuna mi conduce
davanti allo specchio, scoprire uno sguardo triste come un segnale
spento...
Esserne consapevole fa cambiare tutto; l’ombra indietreggia,
scavalca i pensieri abusivi, si defila e fugge. La luce ritrova la
propria corona - quante maschere ho gettato via? - e io sento di
nuovo gli aromi perduti, lo spazio mi mette un vuoto a
disposizione, e io non sono più cieco dalla nascita.

169
La montagna s’innalza e nasconde le insidie dietro fitte foreste.
Calma e ammantata d’erbe e d’arbusti di cui non so il nome, la
montagna va sorpresa nelle ore solitarie del mattino. Ore in cui la
neve spazzata dal vento sfiora le rocce dei picchi, più fresca
dell’acqua proveniente dagli altopiani, mondo di fragili movenze e
di candore ben presto macchiato - come il linguaggio della
coscienza nata dallo sforzo e guastata dall’abitudine. Ma i sentieri
battuti spariscono di nuovo sotto la neve, e l’uomo si perde nelle
distese immacolate che, riformandosi continuamente, coprono la
ricerca come un lenzuolo.
Montagna, rifugio supremo del silenzio felicemente sparso sulla
mia febbre, immagine altera della coscienza sulla quale volteggia
instancabile uno stormo di aquile nere annidate nell’estuario della
corrente associativa che albergo dentro di me...
Ricalcando le mie orme camminerò fino ai luoghi di silenzio
situati nel punto più alto o nel punto più basso di me, luoghi di
presenza troppo spesso cancellati dalla neve dell’oblio. Ma presenti
sempre, continuamente...
O silenzio!

Soltanto nel silenzio sento passare in me l’Ospite da lungo


tempo assente che mi dice in confidenza parole maturate dalla «
Presenza » e capaci di ravvivare per un attimo il mio dolore.
Testimone del perenne inganno del discorso, egli rischiara in
trasparenza le opere della Coscienza in marcia, spiegando l’oscuro
con la chiarezza e modulando lo sguardo sui molteplici aspetti
della battaglia.
Viaggiatore instancabile, giustiziere della discordia, conciliatore
che porta sempre più avanti la mia strada di straniero, l’Ospite
appare in tutti gli spazi liberati rivelando il segreto carpito.
Prima che scenda la notte devo prendere provvedimenti e
adattarmi al suo passo sino alla fine.

Prima che l’Eterno Silenzio scenda sulla mia vita, amo cantare
l’ora presente sul versante dell’alba - il versante della morte -,
davanti ai flutti marini o sui balconi fioriti prospicienti le nevi più
inaccessibili. La vita, in festa come nei giorni di presenza più
eccelsi, vibra di gioia fugace; pensieri e sentimenti hanno un
proposito di risveglio, e il corpo smemorato, in attesa di satollarsi

170
di nuovo, contempla la morte lontana senza battere ciglio...
Sento anche il gusto di essere: quanto m’aiuta il silenzio!
Smettere di parlare dell’opera, restare invece presente al suo
regno, ignorare i bugiardi e gli usurpatori, i vanitosi e gli
impostori...
Davanti a tutti costoro, tenere la bocca chiusa nel grande
silenzio postumo in cui sprofonderanno i pensieri, i desideri e le
sensazioni presenti al momento dell’ultimo appuntamento...

171
VI
Presenza del respiro e del sangue

Armi e tesori dell’io presente: spazio dove il gesto si ripete


estraneo e familiare al contempo, annullando un altro gesto che,
simile eppure diverso, a quel punto non m’importa più niente.
Subito preda dell’IO aggredito, il « fare » ordinario sprofonda
trascinando con sé tutte le cose « fatte »...
Sparito il dritto, io sono il rovescio, e il passaggio dall’uno
all’altro genera un tipo d’energia attiva che m’induce a spiare nel
rapporto tra io e « me » non quel che c’è, bensì quel che non c’è
ma che posso sfiorare pur senza contesto, ossia quel che non c’è
ma che ci sarà', risultato inevitabile dell’atto di ricerca esperito.
Talvolta ne percepisco la traccia portata dal respiro che io
infiammo. Una traccia che pervade il mio corpo fino ai globuli più
sperduti del sangue...

Di ciò che esprimono parole come « spazio », « tempo », «


mondo », « essere », « coscienza », oggi ho una comprensione non
più limitata alla sensazione interiore che ne ricevo. In me queste
nozioni - e altre dello stesso livello - sono legate a una cosa diversa
da ciò che definisco pensiero, sentimento o sensazione. Questo «
qualcos’altro » è il risultato d’un insieme di atteggiamenti oggi
possibili perché, quale risultato della disciplina connessa
all’Insegnamento cui sono legato, è comparso « qualcosa » che non
appartiene a nessuna di quelle tre manifestazioni elementari. Non
esiste certamente alcun termine che possa esprimerlo in maniera
soddisfacente.
E strano che certi « filosofi » ignorino - o respingano - questo
aspetto fondamentale di una potenzialità umana che essi, quando
ne avvertono l’ombra, classificano spesso sotto l’etichetta «
metafisica », per giunta negandole ogni significato, pur
consentendo talvolta ad attribuirle una funzione.

172
Ciò che io percepisco è un altro « mondo », un altro « spazio »,
un altro « tempo », e le nozioni di « essere » e di « coscienza »
risvegliano in me un’altra « realtà ».
Ma forse proprio questo senso aggiuntivo dà consistenza - e
valore - alla Presenza che pian piano m’impregna il respiro e il
sangue!

Per me ogni volta è una novità percepire il momento in cui


s’estingue il bisogno di cibo che scandisce la vita quotidiana. E
sempre di più gusto l’evento nella sua natura intrinseca che è
quella di « nutrire ».
L’alimento entra esultante nell’argilla del corpo, pronto a
future alleanze. Per oltre mezzo secolo l’ho mangiato e bramato al
contempo... A lungo è rimasto intimamente unito alle forze oscure
che mi rendevano assente. Poi pian piano la vita m’ha tenuto in
allerta, l’astrazione di quelle forze si è precisata e ho scoperto in
me un uomo nuovo, capace di un’altra respirazione e di espandersi
nello spazio interiore, facilmente liberato dai sogni, pronto forse a
schierarsi fra gli uomini fino al momento in cui il cibo liberi la sua
carica di sole trasmettendo al corpo la forza luminosa cristallizzata
dall’animale o dalla pianta nelle oscure profondità del proprio
essere affinché l’uomo, coscientemente, ne porti avanti
l’evoluzione.
Allora, senza nausea, l’appetito scema ponendo fine all’atto di
mangiare finalmente riabilitato.

Venuto dagli immensi spazi del cielo, nato dagli abissi celesti,
ecco il sogno dell’uomo. Nell’emergere dalla notte esso effonde
lungo il sentiero esalazioni di saggezza e vaga nei luoghi confusi a
lui assegnati finché non riconosce le carni in cui terminerà la sua
scia.
A un tratto la Presenza sgorga improvvisa come un’oasi di
frescura nel deserto del sogno! io si leva vincitore, legato allo
sciame dei sogni abituali, io ritto davanti ai miei sogni: atto
fondamentale da cui nasce la Presenza minacciata dal sonno. Il
mio sguardo diviso li popola entrambi, l’opera sussulta, si
presentano nuove forze per un nuovo lavoro.
E il vomere solca, solca instancabile la terra bagnata da questo
mio sangue.

173
Disimparare un sapere che non mi ha fatto conoscere nulla...
Talvolta è come strapparmi la carne a brandelli.

Gli ultimi bagliori del secolo che è stato il mio s’accendono e


passano uno via l’altro, nutriti dall’instancabile sogno dell’uomo.
Sento venirmi incontro un mondo ignoto che presto non abiterò
più. Come se, di fronte alle nuove scienze, alle nuove usanze e ai
nuovi linguaggi, mi trovassi già messo in disparte.
Amministratore dei miei stessi giudizi, devo per forza
occuparmi dell’incombenza estrema che mi riguarda
personalmente. E della sua urgenza. Io procedo, marciatore
instancabile, percorrendo lo spazio interiore nel quale i barlumi di
coscienza costituiscono il paesaggio in cui si riflette l’empireo, e
sottraggo sempre più spazio all’ombra, con gli occhi spalancati
sulla Presenza che si accumula dentro di me come la carica d’una
tempesta magnetica: eppure cieco ai prodigi delle tecniche nuove.
Che importa!
L’aria si mescola alla vigilia della mia festa: il respiro, purificato
dall’espirazione, s’unisce al pensiero nascente... Fremito
improvviso nelle radure del plesso, immediatamente seguito
dall’attenzione impegnata nell’impresa del risveglio accolta dal
midollo spinale... Come un’occasione in cui, per una lunga serie
d’istanti, sia in gioco la possibilità di essere...
Adesso mi tocca raggiungere i grandi spazi predestinati e
insanguinati dagli eccidi commessi dall’ignoranza. E immergerli
nel fluido arricchito dal potente ossigeno della Presenza.
Il sangue brucia alle porte del corpo chiuso alle scienze erranti
che corrono verso la fine del secolo! Fa uno strano rumore, una
specie di quasi-silenzio nel risveglio acquisito.
Allora mi ricordo d’essere Uomo
e talvolta lo sono.

Mille volte al giorno penso alla morte.


In tutti i modi possibili e immaginabili.

L’alito ardente della vita m’avvolge nella sua permanente


ovazione. Come cose dette nelle sere di estremo silenzio.
Sono finiti i tempi in cui, tracciando il solco nella carne

174
purpurea dell’azione, andavo tra la folla con la bocca affamata di
parole e il corpo assetato di gioie, adoprandomi per i frutti sperati.
Tutto questo è finito, ma dal fondo della coscienza sento emergere
il flusso vivace della Potenza ricevuta in dono perenne al
momento della concezione. Ne mantengo l’ardore benefico. E
vedo grazie al fuoco delle sue fiaccole accese.
Da questa parte della sera in cui vado verso la nascita, quando
nella carne sento vibrare la vita sui percorsi del sangue, mi ricordo
di « essere » istante per istante. E sento fremere il respiro nelle
trachee aperte come permanenti equinozi!... Poi avverto un colpo
improvviso. La Presenza apre la strada a una sensazione organica
che man mano aumenta: un’onda s’allarga e mi riempie come
quella formata da una pietra che rompa uno specchio d’acqua
tranquillo... Essere e percepire sotto lo sguardo dell’occhio
interiore aperto, sgombro d’un tratto dalla sua notte!
Allora mi sale alle labbra, più forte, il solito gusto d’argilla,
subito sfiorato da un sentimento richiamato per mia volontà. Già
in precedenza quel gusto bussava alla porta mescolato all’aurora
del primo istante di veglia... Eccolo incedere nella luce a falcate
leggere e inoltrarsi alle cime del vero... Essere e sentire alla
fiamma della coscienza man mano avvivata!
I brusii del secolo moribondo ritornano a infrangersi sulla mia
greve età di cui m’ero scordato, trascinando con sé la mia presenza
oscillante mentre s’infiamma di nuovo il desiderio di essere:
respiro indelebile, immagine dei ritmi immutabili dell’Universo.
Sentieri di brace, sentieri di cenere su cui arranco ricurvo!

Spogliandosi d’ogni ricordo alle porte del Tempio che sono, il


sangue in movimento s’imbatte nei limiti della carne risvegliando
sviluppi interiori... Raccoglimento di forze cardinali d’un sùbito
immobili, la durata si dissolve nella Presenza, ben presto la vita
risusciterà i ritmi di quelle forze, ritmi distesi che accoglieranno
un futuro allungato.
Dopo aver percorso così i due versanti del mondo, potrò
sconfiggere insieme i due volti della morte?

Pagine d’aria s’imprimono in me, ove si leggono i sentieri


percorsi dalla mia lunga marcia e s’ammassano a volontà i fiotti

175
del sangue. O Presenza, i tuoi atomi di luce, da cui traggono vita e
fulgore tutte le luci, diventano promesse d’embrioni, semenza
d’esseri... Sono vita e verità per il tempo del risveglio.
I tuoi atomi, dopo aver brillato un istante nel cielo della mia
vita, a poco a poco s’incarnano in me e irradiano luce, cancellando
il richiamo ansioso della mia fragile umanità. La luce della
Presenza è come il chiarore dell’alba che attraversa le nuvole
spesse addensate tutt’intorno al mio corpo. Improvvisamente
legato allo strale che mi porta verso altri lidi, caricandolo delle
emanazioni più sottili prodotte dall’immediata concentrazione
delle forze che mi abitano, io vado, continuamente accompagnato
da tali emanazioni, allacciando alla scia del dardo le forze di cui è
carico affinché nulla si perda dei suoi più elevati disegni!
La Presenza lascia cadere sulla mia vita una manciata d’istanti
privilegiati, come un cielo che d’improvviso spolveri la terra di
stelle...
E intorno a me lo spazio ne resta a lungo fertilizzato.

La dura sostanza della carne offre una forte resistenza alle forze
vive prodotte dalle cose sorvolate. Lo spazio si popola di correnti -
l’una s’innalza, l’altra mi viene dall’Alto: sottile continente in cui,
nel silenzio siderale della Presenza, le traiettorie s’incrociano
senza incontrarsi. Finché una terza corrente non ne congiunge le
rive, intesa novella nata sull’ala d’un respiro, sedimento divino
formato da sette strati, sette lieviti e sette fermenti.
L’opera prodotta dalle tre correnti freme sotto il mio sguardo
teso. Ciò che va alla Sorgente s’unisce a ciò che ne sgorga con un
movimento sostenuto da me, me l’Immobile, me il Presente. Il
gesto in cui sono impegnato è come un gesto che avrebbe potuto
far Dio: una nuova terra ancora inimmaginata spodesta l’irreale
che tanto mi ha fatto sognare! Finalmente potrò suggellare
l’espansione della coscienza e fare in modo che duri, fissata dal
lampo istantaneo all’incrocio delle strade... Momenti simili a
tappeti di piante odorose, momenti più vasti del mare, gravidi
d’albe lucenti e ricchi di effluvi che sanno d’infinito.
Momenti così dovrebbero essere i soli a riempire il tempo che
ancora mi resta!

176
Noi, uomini d’oggi che abbiamo preso il posto dei morti
avvolgendoci nel loro sapere come dentro un sudario, e che a
nostra volta siamo diventati guardiani alle porte del nulla e nunzi
alle soglie del futuro, sapremo lasciare in dignità il nostro posto tra
i vivi quando il sangue non pulserà più? Nei campi d’argilla in cui,
tendendo impauriti l’orecchio ai precipiti passi del Tempo e ai
clamori delle ostilità, viviamo piegati dalle colpe di un’umanità via
via più gravata di debiti, ogni tanto è necessario ritrovare i sentieri
della preghiera sui quali assorbire, inspirando, la sostanza - più
fresca dell’acqua sorgente - che nasce dall’orazione. Sospinta dal
montare dei segni, essa rivela d’un tratto un gusto di sale e di
miele che fa restare col fiato sospeso e ci sottrae ai sogni
insaziabili...
Predatori sulle tracce di quella sostanza, batteremo i sentieri
del pellegrinaggio usurpando la grazia dei santuari, cingendo i
gioielli esibiti dalla coscienza, adornandoci con le trine dell’anima
nascente, fino ai primi fuochi del risveglio, attenti ai sussurri che
tardano a uscire dalle labbra dei Signori della preghiera.

Il pensiero, lieve fiocco di spirito, scordando il suo peso s’adagia


sulle cose al pari d’un soffio e, più svelto della luce, passa
folgorante lasciando appena una traccia, linguaggio senza parole,
grazia ottenuta...
Il suo potere, disertando - ahimè - la dimora dell’Intelletto,
trabocca e dilaga come un flusso nauseante, subito soggiogato dalle
forze invitte del sogno. Se mai ne conoscessi la fonte, risalirei fino
alle remote province dello spirito per cercare il silenzio capace di
restituire al pensiero il posto e il potere che ha. E per far si che il
suo fiato al mio sia legato per sempre!
Eppure gli uomini continuano imperterriti a esaltarne la gloria
e la reputazione.
Come insegnargli le cause del suo stesso male? Forse, per
smorzare le forze accumulate intorno ai processi associativi
utilizzati in quasi tutte le circostanze, basterebbe che il pensiero
sapesse distinguere i diversi livelli cui gli è dato di manifestarsi.
Non dovrebbe essere affatto un’impresa impossibile.

Il respiro immerso nella Presenza si sposta verso l’immagine


reale di un ME che mi guarda. Lo strumento lettore si mette in

177
marcia, alimentato dalla sostanza maschile dell’io presente...
Profumo di anima in gestazione attiva. L’orecchio interiore sente
la tempesta che si abbatte là dove indugiano gli automatismi. Cose
sapute e fatte se la squagliano nell’oscurità, il sangue dell’anima ha
cambiato colore: prima ero la Fonte, ora sono anche la fontana. E
l’acqua che sgorga. E la sete che suscita. Il mio corpo eretto, che
maschera tutto questo, ne riceve riconoscente l’offerta come il
latte in tempo d’infanzia.
Quale mano m’ha improvvisamente vestito della tunica lieve
necessaria a percorrere la via sulla quale io SONO? Il mio sguardo
penetra nel vivo dell’essere, e al ritorno si lancia impetuoso verso i
cieli della Presenza, dai quali esce vuoto dopo il dono deposto per
l’anima...
Momento grandioso in cui là, sulla Soglia, ambedue non
eravamo che UNO.

Nella sera dei grandi tepori si fa più insistente il processo di


vita orizzontale, indefinitamente allungato nel senso della durata,
che costituisce la mia esistenza.
La mia ombra, ingrandita dalle false luci del sapere, m’innalza
verso le alture dell’esultanza dove tanto a lungo ho vissuto. La
Presenza infine mi apre le sue frontiere: coi primi frutti rallegra le
mie zone più esterne e poi cresce a cerchi concentrici, ricalcando
le vecchie orme ogni volta impresse più a fondo.
Costringo a rapida fuga i gesti automatici ripetuti nel tran tran
quotidiano. « Essere », divenuto impazienza, sente profumo di vita.
D’ora in poi saprò riconoscere l’inverso dei giorni continuamente
sgualciti dall’atto che si ripete, la ricerca diventa più vasta e più
lontano si spinge lo sguardo.
« Essere », divenuto fiamma per l’ardore del sangue, m’indica la
strada.
« Essere », divenuto abbraccio per l’amore che il desiderio e la
volontà generano dentro di me, regna su un popolo di credenti...
Si risvegliano altri livelli, si ricevono risposte strappate
all’abisso in cui tardavano a schiudersi...
Certo, nel corso degli anni ho forgiato l’oro di cui è fatto
l’anello. Ma finora l’anello non era mai brillato così a lungo al mio
dito.

178
L’età e il tempo non m’interessano più come prima. Il futuro
gonfio d’ombra dorme nell’ignoto senza crearmi ansietà. Non
invidio i piaceri promessi dal secolo ormai imminente. Buon
complice della frode giocata dalla felicità, proverò certamente
tristezza all’estinguersi della fiamma che in me nutre l’insistente
bisogno d’amare.
Oggi offro la veglia all’umile voce dell’Ospite presente che
spesso mi anima, alla sensazione sempre più vicina all’oggetto, al
vivace potere delle cose che appaiono nella concrezione primaria,
e soprattutto all’Amore... All’amore senza armatura carnale,
all’amore per l’umanità, scritto fin dal primo giorno nei panegirici
del mondo... Abbraccio nato dalla spuma di un piacere dispensato
da labbra ricche soltanto di parole appartenenti al Sapere... Il sale
di ora e il sangue d’un tempo mescolano il proprio sapore ai
fremiti del nuovo abbraccio che mi viene gratificato.
Abbraccio che per me è simultaneamente conoscenza e piacere,
acconto di gioie promesse da un tempo che sta per finire. A mani
giunte e sguardo sereno continuo il mio viaggio senza ritorno.

Attento a non dormire,


Vedi se ti puoi aprire,
Accetta di soffrire,
E cerca di ben morire.
Trasparenza dell’ora!... Forse presto giungerò al termine di
un’avventura vissuta ogni tanto in coscienza, avventura di uomo
vivente la cui consistenza è tempo ormai di appurare senza inutili
compiacimenti.
Il mistero della vita si è mostrato con sufficiente chiarezza in
ogni esperienza che ho fatto? Ho avuto sufficiente acutezza
d’orecchio - o di spirito - per avvertire puntualmente i due poli
intorno ai quali ha ruotato la mia attenzione, ossia la ricerca di
una verità interiore celata e la preoccupazione di esprimere la
realtà vissuta ogni giorno in uno stato di relativo risveglio?
Il mio tentativo costante di esprimere l’inesprimibile ha saputo
evitare sufficientemente l’oscurità? Il mio proposito - tutt’al- tro
che un passatempo, anzi, sempre inteso a rispecchiare un percorso
continuo in una direzione precisa - si è mantenuto nei limiti di un
linguaggio comprensibile a chi marcia sullo stesso sentiero?

179
Ma se è giusto appurare, tocca a me giudicare?
L’aria che respiro mi aspira verso un ME smemorato vagante su
piste di tenebra lungo le quali a lungo ho errato tra ogni risma di
usurpatori e di mantenuti. Rotto ogni laccio, l’aria materna mi
porta all’uscita del labirinto, fuori dal sepolcro che mi sono
costruito nascendo.
Lì, senza colpo ferire, posso misurare la magra del sangue
pulsante contro l’argilla umana che lo contiene. Il respiro vi lancia
il suo seme - germe d’anima in pieno sviluppo - che farà
indietreggiare la morte.
L’aria e il sangue prolungano la mia delizia: e io ricordo... Un
deserto gelido s’è acceso di braci: il passaggio di Dio lascerà il
segno dentro di me.

Uomo reinventato ogni giorno dal sogno, al mattino mi scopro


avvolto di ceneri. Troppo spesso la notte trasforma oro in piombo.
Mi tocca nuovamente scaldare la materia prima e annunciare un
altro tempo, legato stavolta all’istante in marcia verso la Presenza.
E ben presto ciò che cede al risveglio matura nella sostanza
predetta dalle antiche risposte.
E tempo d’ascoltare le acclamazioni di nuovi pensieri, di
gustare i sapori occultati dal sonno e di rispondere ai palpiti d’un
sentimento proiettato di colpo nella luce.
Arrivare all’eccesso di sforzo, glorificando per una volta
l’impazienza. L’essere si rivela in tutta la sua intimità, il silenzio
rifluisce sulle rive della Presenza disertate dal gusto d’infanzia, io,
QUI, ADESSO... Oh, l’ufficio del Vero celebrato sulla mia Soglia!

Le cose essenziali sono il desiderio e la volontà che spingono


allo sforzo. Poi viene l’atto, e infine la cosa fatta che dunque, agli
occhi del desiderio e della volontà, è sempre e soltanto una scoria.
E ben strano che noi, nel tran tran della vita ordinaria, a tutte
le cose buone e giuste possiamo preferire gli scarti.

A poco a poco in questo momento mi s’impone la necessità di


confondere intimamente l’azione e il silenzio. Il fatto che la vita

180
vissuta ogni giorno e la perennità della coscienza - sentita al
contempo nel suo movimento e nella sua immanenza - possano
coabitare, mi sembra di estrema importanza.
Tra qualche settimana - forse tra qualche giorno - metterò la
parola fine al resoconto laborioso della mia lunga marcia, durante
la quale, nel tentativo di far posto a un’opera più elevata, di
ritrovare i desideri o i bisogni anteriori alle mie sazietà d’uomo
adulto e di riallacciarmi, nella solitudine assoluta della Coscienza
aperta, alle forze comparse da poco, ho cercato di lasciar cadere
per strada le croci, le tiare e gli scettri a lungo ostentati dalla mia
persona orgogliosa.
Gli anni sono passati. Oggi devo impormi un’ascesi nuova. Ma
prima che sprizzino le ultime scintille provocate da una ricerca
ostinata, perché non gridare davanti a tutti le mie gioie e le mie
sofferenze, compagne infaticabili degli ultimi quarantanni di vita?
E prima di smettere una volta per sempre, perché non confessare,
spinto dal rimorso, le menzogne a lungo celate nell’ombra delle
fiaccole accese e le debolezze volontariamente taciute?... Ma è
davvero necessario? A questa svolta della mia vita, alla soglia
dell’età pesantissima che già mi grava sul corpo, perché non
riguardarmi e risparmiare energie? Che succederà domani, per
quanto tempo avrò ancora la forza di spandermi attorno una
quantità sufficiente di valori monetizzabili? In realtà tutto ciò
m’importa ben poco!
Nelle mura della Cittadella che abbiamo assediato insieme si
aprono finalmente le brecce agognate. A ciascuno il compito di
allargare quella prescelta per tentare il passaggio. Buon lavoro a
noi tutti!

L’aria m’incide sulla fronte il segno dell’alleanza. Il sangue


viene a raccoglierlo e lo sprofonda nello spazio carminio degli
antri materni. Al ritmo delle stagioni quel segno germina, fiorisce
e fruttifica fino alla vendemmia dell’attenzione: Presenza - fumo
dell’alcool che mi fa inebriare; l’albero vertebrale s’illumina ai
raggi del plesso, imperituri come l’istante vissuto, e, ignaro della
stranezza di vivere, partecipa alle feste della vita ignorando il
declino previsto... Sulla mia fronte l’aria è più pura, il suo alito mi
sostiene e mi nutre.
L’istante coronato di spirito rischiara la zona che porta ai
territori della piena Coscienza ancora preclusi, a quella terra della

181
misura - e dell’assenza di ogni misura - dove, da qui o dall’al di là,
prima o poi dovremo arrivare.

Saprò intravvedere me stesso - e riconoscermi senz’alcun


dubbio - nelle ombre proiettate dal mio essere sullo schermo del
mondo?

Alcune forze, nutrite molti anni fa da Esseri dotati di


Conoscenza, mi arrivano dall’alto, dal basso, da oriente, da
occidente, celesti visitatrici dei momenti di risveglio interiore.
Appoggiarsi al ricordo di un volto, seppur scomparso da qualche
decennio - o da molti millenni -, a un’icona incrostata d’oro
zecchino, aprirmi al loro influsso benefico e portarli più in alto,
più in alto... si, Più IN ALTO! Fatica d’uomo, sacra ricompensa della
grandezza ch’essi mi danno.
Presenza: ne sento il peso nella carne; la sua forza ai limiti
dell’umano si collega a una forza capace di vincermi.
Ah, che fretta ho di ESSERE, finalmente!

Eccomi ormai in arcione, pronto per l’ultima tappa... Il piede è


già nella staffa?

Nello spazio due forze si amano, ignude. Ce n’è anche una


terza, di nome AMORE.
Essere l’una, l’altra, la terza e lo spazio!

La coscienza, libera dalla morte, è come il perno fisso del


Tempo. Intorno a essa gli istanti, più lunghi o più corti secondo la
qualità del momento, girano in un carosello incessante. Un ritmo,
ostinato come il fiotto impaziente del sangue espulso dal
ventricolo, segna le tappe del presente sorto sullo sfondo di uno
stato di movenze perpetue.
S’avvicina l’istante in cui lascerò la mia epoca; l’ultimo orgasmo
della vita - la morte - si prepara all’orizzonte, e tutto ciò che è
avvenuto attraverso di me si presenta d’un tratto al mio sguardo
tranquillo. Sull’ultimo lembo di spiaggia, brandello superstite di

182
ciò che chiamavo « avvenire », si delinea il caos del possibile di cui
è fatto il futuro, lasciando intravvedere ogni tanto un frammento
del probabile momentaneamente in esilio.
Oggi per me sono entrambi un peso accettabile, tanto più che
man mano s’abbassano, leggère, le palpebre del desiderio. Ora non
mi resta che scendere le ultime rampe del versante rivolto
all’aurora, fino al luogo preciso in cui, dietro a me, la porta sarà
chiusa per sempre. La mia parte mortale recalcitra, rifiutando le
risposte ben note e quelle prive di nome... E dunque vivere co- s’è
stato? A lungo ho schernito la morte illudendomi di esaltare la
vita. Poi è venuto il tempo dell’offerta che ho ricevuto, e adesso
per lunghi momenti tutto tace nella mia carne. Oggi l’alleanza
risplende, ma, per quanto io faccia, verrà presto il momento di
lasciare le vette del piacere, di spegnere le luci che adornavano gli
istanti di presenza sovrani e di abbandonare all’oblio le feste del
Sapere!...
Le terre sconosciute dove il sangue e il respiro non possono
vivere si levano già all’orizzonte, offrendo alla mia solitudine il
mistero di un altrove insondabile... E ben presto - destino fatale -
dovrò attraversare il muro del Tempo, barriera sorniona dietro cui
lentamente matura la morte.

Autunno 1985

183
Indice

Avvertenza 9

Parte prima
Recitativo per la coscienza

I - La soglia 13
II - Fogli sparsi del segno e del verbo 32
III - Conservare il ricordo 40

Parte seconda
Parole d’alba

I - Erranza 69
II - Strada facendo 83
III - Alti e bassi 95

Parte terza
La presenza sovrana

I - L’Innominabile 121
II - La condizione di Uomo operaio 130
III - La grazia dei limiti 140
IV - Ricongiungimento 150
V - Il silenzio ascoltato 161
VI - Presenza del respiro e del sangue 172
Volumi già pubblicati

1. G.I. GURDJIEFF
Vedute sul mondo
reale
2. ISHA SCHWALLER DE LUBICZ
Her-Bak « Cecio »
3. ISHA SCHWALLER DE LUBICZ
Her-Bak Discepolo
4. AMADU HAMPATÉ BÀ
Il saggio di Bandiagara
5. FRITZ PETERS
La rasatura del prato
e la costruzione di sé
6. NATSUME SOSEKI
Anima
7. I. HENRI THOMASSON
Prima dell’alba
8. G.I. GURDJIEFF
Racconti di Belzebù
al suo piccolo nipote - voi. I
9. LEO ANFOLSI
Bananananda
10. G.I. GURDJIEFF
Racconti di Belzebù
al suo piccolo nipote - voi. II
11. HENRI THOMASSON
Bagliori dell’anima
Finito di stampare
nel mese di maggio 1992
dalla S.A.T.E. s.r.l.
di Zingonia (Bergamo)
Printed in Italy

Potrebbero piacerti anche