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Collana curata da
Franco Battiato,
Enzo di Mauro ed Enrico Maghenzani
VOLUME II
DELLO STESSO AUTORE
Il pellegrinaggio
Centro italiano studi sull’uomo
G.I. Gurdjieff, Milano
Prima dell’alba
Diario di un’esperienza
1947-1967
Henri Thomasson
BAGLIORI DELL’ANIMA
Meditazioni
sulla mia ricerca
Traduzione di
Igor Legati
Proprietà letteraria riservata
L’Ottava Edizioni © 1992
95014 Giarre (CT), viale Don Minzoni 36
ISBN 88-304-1090-X
Distribuzione a cura
della Longanesi & C. S.p.A., via Salvini 3, 20122 Milano
Bagliori dell’anima
« Nella speranza che un giorno i risultati delle vostre
ricerche possano essere utili ai miei compatrioti, farò
tutto il possibile per aiutarvi a raggiungere lo scopo che
vi siete prefissi. »
PADRE GIOVANNI
(G. Gurdjieff, Incontri con uomini straordinari,
Adelphi, p. 307)
In memoria di
Padre Giovanni
e dei suoi compatrioti
che l’Insegnamento ha risvegliato
per un istante o per sempre.
Ho parlato troppo di sogni
e inventato troppe parole!
Lasciata l’ombra appassita dei giorni
sono passato dall’altra parte,
raggiungendo col mio passo d’uomo
il versante dell’aurora...
Avvertenza
H. TH.
Parte prima
Recitativo per la coscienza
I
La soglia
Sento una specie di sollievo a non dover più annotare per forza
le mie esperienze. Una fonte di libertà conquistata. Solo oggi
scopro il peso di quella costrizione e quanto vi fossi asservito senza
saperlo.
Posso quindi marciare verso la meta senza l’assillo di fermare
* Nei miei scritti già pubblicati A. è l’iniziale con cui ho indicato Henriette
LANNES, ossia colei che è stata la mia guida dal momento in cui ho incontrato
l’Insegnamento di GURDJIEFF.
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sulla carta gli eventi vissuti. Sì, mi sento liberato davvero. Scrivere
è un'occasione per dimostrarlo ancora di più. Senza alcun’altra
intenzione.
Pigrizia.
Pigrizia del pensiero che rifiuta lo sforzo di strapparsi
all'associativo. Perché ci vuole la domanda diretta, perché occorre
chiedere aiuto per trovare all’istante il sentiero che conduce in un
posto diverso di sé e l’energia necessaria a percorrerlo? Uno dei
vantaggi del lavoro di gruppo consiste nel fatto che ci troviamo
costretti a manifestarci ad un altro livello. Cosa che diventa
possibile grazie all'influsso risultante dallo sforzo comune.
Ma ciascuno chiede aiuto dal punto nel quale si trova. Per il
responsabile del gruppo, spingere gli altri a svegliarsi significa
essere sveglio. Se il responsabile non è in grado di sottrarsi al-
l'associativo - e quando ne è prigioniero può sembrare il più
brillante e credersi il più efficiente - costringerà tutti i presenti a
restare nell'associativo. Se si trova a un certo livello del
sentimento, il suo contributo resterà impresso nell’omologa
parte dell'altro... È un legame terribile.
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La gravità si esercita su tutte le nostre funzioni e ci mantiene
nel punto più basso dove ci schiaccia. L’uomo che dorme è un
uomo sdraiato.
Credere.
E poi, un giorno, vedere ciò che credo.
Ecco un risultato della Conoscenza.
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Piazzarmi davanti al Reale in me stesso che funge da specchio,
cercare nello specchio i segni della mia « presenza » proiettati dalla
parte più sottile dell’ energia che riesco a mettere insieme. Per
dire più validamente « IO SONO ».
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Sforzarmi di restare indifferente sia alla critica che
all’adulazione, tanto al successo quanto al fallimento.
Ancora ne sono lontanissimo.
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La luce schianta il cemento delle tombe. Polvere di pensieri
che deposita un omaggio ridicolo sulla pietra eretta a mia gloria.
Ed ecco, la festa si celebra. Tempio sepolto sotto ceneri annose, un
piccolo seme mi ha scosso. Un piccolo seme che cresce al soffiar
dello Spirito, come ha detto il profeta...
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Clamore di uomini trascinati all’azione dal loro stesso gran
moto come un immenso anello che gira intorno alla terra!...
Dentro di noi - quei pochi che siamo - al clamore risponde un
silenzio duramente sudato, trascinato a sua volta verso una strana
eternità depistante, fuori dalle tombe.
A lunghe tappe stiamo andando verso la nascita.
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Perché definire assurdo ciò che per ora è inaccessibile?
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L’atto interiore si dispiega in uno spazio temporale che lo
riempie di significato. Poi, di fronte all’importanza assunta
dall’atto nello spazio infinito che si è venuto a creare, bisogna
costringerlo subito a quel ripiegamento raccolto in cui l’Essere
vive e s’accresce.
Là dove l’energia fluisce, arde, si strugge, dove la terra triviale
diventa ceramica.
Là dove brucia la freschezza del sangue.
Averliaz.
Nel gran bel tempo d’estate, ecco qua il mio riposo.
Camminare nei boschi, gustare il fresco sorriso che mi
rivolgono le foglie, ascoltare sui pendii delle terre in rigoglio
l’allegro gorgoglio dei ruscelli che scendono giù dalle rocce...
Orgia di campi alberati, di erbe copiose; nella luce del primo
mattino, carezza ondeggiante di segale e grano, discreto
ammiccare dell’avena sui fianchi delle colline; fulvo riflesso di
volpe che annusa gli odori dell’uomo; nel momento più caldo del
giorno l’uccello piomba dal cielo vestito del suo fruscio d’ali; una
spuma di foglie erompe dai rami e scalfisce l’azzurro del cielo.
Sentori di terra e fogliame, di passato e presente mischiati; semi
portati dal vento verso corolle che offrono la loro carne, chicchi
che marciscono e germinano al calpestio delle greggi, preludio a
nascite nuove che non hanno mai fine.
Profumo di preghiera proveniente dalla Certosa vicina,
frammisto al gusto di terra che sale da ciuffi di umide felci... E
connubi di insetti, amori furtivi nelle macchie d’arbusti, bianchi
voli di farfalle festose allo Zenith del giorno... E l’ora di grande
mistero in cui l’ombra sposa le stelle... E la notte che, fra non
molto, tesserà i miei sogni con una spola dorata...
Tutta questa natura davanti alla mia cecità!
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Sviluppare in me stesso ciò che è parente di Dio.
Scoppiato...
Fermo per qualche tempo al margine della strada, giusto il
tempo di montare la vita di scorta e ripartire...
Ci penserò fra qualche giorno.
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congiunge entrambi i versanti. Mentre cammino col respiro
infuocato sento la bocca riarsa dalla mancanza di pioggia, ma
bramosa di frutti dal gusto di donna.
Amo Testate di un amore da amante.
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Il tempo passa. Non sento ancora montare la linfa che nutrirà i
prossimi mesi. Ma presto dovrò risalire alla fonte dei pensieri e del
linguaggio, ritrovare un’ondata di idee che s’infranga sulla mia
incoercibile accidia, riscoprire il gusto della vita nelle parole
incrostate di ricordi, camminare di nuovo verso plaghe irte
d’insidie.
Per ora una sottile lievitazione, ancora immatura, freme
appena sotto la maschera. Ma nel mio dormiveglia sento già
l’appello al prossimo appuntamento cui sono chiamato.
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che mi abitano. La terra ha emesso rumori svaniti negli abissi del
cielo. Adesso, passato il rovescio, sorgono i pensieri: nodi
ottenebrati, ancora inadatti all’offerta che mi attende in futuro.
Sono ancora sull’altra riva, ma già si prepara il gesto del
seminatore, ritmi nuovi s’innescano, il tempo sospeso si sgretola e
si delinea un arco che unisce i due orizzonti. Il mio riposo si irrita
come il cielo dell’equinozio.
Pace sulla tettoia della mia pazienza... Le foglie si muovono
lente nel verde silenzio dei boschi.
Api del mio nettare quotidiano, non volate verso fonti sgorgate
da altre rive!... Aspetto pollini ignoti per un miele di pensieri
nuovi. E fiori di stagione per altre emozioni.
Dove sono le feste delle sere passate che allietavano i bei giorni
d’oro e di miele? Si dissolve il gusto indicibile del futuro che mi
sfiora le labbra; sulla mia fronte a poco a poco svaniscono le cifre
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del destino. Cosa mi resta? È tempo di costruire, la schiena si
raddrizzaci fuoco del mio desiderio, sostenuta da nuove forze. Sarà
ben accolta l’offerta di uno sforzo, sarà consumata la sua carica
ardente, matureranno in fretta le parole pronunziate dalla mia
bocca, lontano richiamo all’avventura dell’essere? Api erranti nei
colori del tramonto, per voi emano i miei raggi; pieno d’ardore e
saldo nel mio risveglio attendo il dono del vostro miele.
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mezzogiorno. Si dissolve la schiuma dei sogni inutili scoprendo i
segni del male. E le piaghe. Il sangue dell'anima ne guarisce P
obbrobrio e la mia vita imbavagliata può trasmettere il suo
messaggio. Tutto palpita, il canto vicino e lontano risuona e
riempie il santuario.
E il chiarore delle notti,
dolce,
riluce sui miei giardini.
È germogliata una nuova pianta che ha radici ben più estese del
previsto. Come per miracolo si è presentato un aiuto inatteso,
assolutamente imprevedibile, che ne ha facilitato la crescita.
Ma non è sempre così quando si tratta di cose « vere »?
Riconoscenza.
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Rileggo con immenso piacere Ce que le Temps épargne, di cui
mi hanno appena consegnato la prima copia.
Quanto tempo trascorso, quante impressioni intatte che
conservano il gusto dell'istante in cui mi avevano colpito! Un
tempo che non perde la memoria, che attraversa la vita senza
forare il tessuto dei ricordi non è forse estremamente prezioso?
Ma poi scopro di avere l'età che aveva mio nonno quando lui e
io, durante gli ultimi anni della sua vita, percorrevamo fianco a
fianco i filari della vigna con la pompa di verderame in spalla...
Come eravamo vicini a quel tempo anche senza parlare! Quasi
sessantanni sono passati da allora. In gran parte ho già attraversato
il fosso della vita da una sponda all'altra del tempo, e nel giorno
predestinato la mia ruota s'impantanerà per sempre nelle nere
sabbie della morte. Ogni tanto mi capita di scordarlo.
Prima che la coscienza mi venga strappata di mano avrò ancora
il privilegio di sentir echeggiare, nella sera di una lunga giornata
di sforzi, il passo lento del Tempo della mia infanzia, e di
camminare alla sua cadenza - l'unica appropriata là dove alcuni di
noi stanno andando?
Che ne so delle strade che partono dal punto della mia morte?
Sento il cuore battere prigioniero e rimestare le linfe del corpo. Lo
sguardo perduto sulla distesa del tempo non coglie alcun punto
d'arrivo, e il pensiero ha per alimento solo il vuoto delle stanze
proibite. Là dove non esiste più carne non ci sono ricordi né
immagini. Anche l'ebbrezza dei giorni più belli dovrà essere
dimenticata. I luoghi ignoti, che sono l'altra faccia del mondo, non
escono dall’ombra. E Dio continua a tacere.
Eppure mi sono levato, la fronte all'altezza del cielo e l'essere
per un breve istante all'altezza dell’uomo, senza vedere la strada
che non ha inizio né fine, nata da ceneri e fiamme. Ho
appuntamento nel paese senza nome e tutte le strade mi
conducono là, dove giungerò aggrappato alla mia passione
d’essere: forse l’unico bagaglio concesso a chi percorre il sentiero
dei morti. Però mi trattengono i luoghi che lascio: la terra è dolce
sotto i miei passi e qui, per un po', posso ancora sognare.
Morte, asilo obbligato di uomini, piante e animali, presente a
ogni istante e sempre dimenticata, perché mi sei così vicina in
questo chiaro giorno d'estate?
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Fame troppo presto placata, nutrita dall’ermellino dei pensieri
innocenti troppo presto abbandonati al turbine che li annienta: un
prurito dell’intelletto irritato al quale m’identifico. Zittire l’uomo
che ciarla!
Ci riesce un battito d’ali, non fosse che di farfalla (la natura è
sovrana). Dal verde limone dell’anima - ancora sull’altro versante -
all’alcool del desiderio, percorro l’aspro sentiero e vado incontro
all’uomo fuorviato che ospito dentro di me, smarrito su itinerari
impossibili.
M’incenerisca un fulmine distruggendo la difesa che sono per
me stesso! Affinché finalmente io non sia più costretto a essere
sempre confuso con lui.
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Avrò sacrificato l’essenziale al piacere delle immagini cui mi
sono più o meno abbandonato? Non credo. Al contrario, ho
volutamente deciso di esprimere, in maniera un poco diversa, una
certa forma di « conoscenza ». Le sonorità insolite e le costruzioni
inconsuete risvegliano risonanze e intrecciano complicità fra
sensazioni troppo spesso separate tra loro. Esprimersi nel solito
modo conduce a sentieri mille volte percorsi. Secondo questo
nuovo progetto le parole consuete servono solo ogni tanto come
punti di riferimento necessari a chi teme di perdersi. Così
L’impressione comunicata può dare origine a nuovi
collegamenti imposti dalla metafora, suscitando
contemporaneamente il piacere di sonorità inabituali e l’apertura
verso aspetti inespressi della ricerca.
La difficoltà consiste nel mantenere contemporaneamente la
presenza di entrambe le cose, nel far sì che il contenuto e la forma
non assumano a turno il ruolo di prima donna, né che la forma se
ne arroghi arbitrariamente il diritto una volta per sempre.
Potrebbe anche essere il mezzo più sicuro per esprimere
l’infinita varietà delle sensazioni suscitate da una ricerca ostinata.
(Non dico queste cose solo perché voglio giustificarmi).
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Ogni mattina rinnovato come la sete, avido del profumo
d’essere, rinchiuso nelle mie costrizioni, dilaniato da forze
contrastanti, come costruire, a dispetto di tutto, il mio nido di
silenzio?
Un silenzio che non lascia traccia. Come un volo d’uccello sulla
pagina tersa del cielo.
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II
Fogli sparsi del segno e del verbo
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Anche la sensazione del corpo si estende, ma non sul piano fisico
come si potrebbe immaginare. Infatti questa sensazione sviluppa
nuove qualità, simili a quelle di un metallo magnetizzato o
radioattivo. Queste diverse qualità si precisano e diventano sempre
più evidenti al punto da costituire ormai nel loro insieme un «
nuovo corpo » che io definisco « corpo psichico » e che, tengo a
precisare, non va confuso con quelli che Gurdjieff chiamava «
corpi superiori »: secondo, terzo e quarto corpo. Il « corpo psichico
», secondo la mia terminologia, s’appropria pian piano degli
attributi della coscienza e in un certo senso diventa coscienza.
Perciò in esso viene a crearsi quella che potrebbe chiamarsi una «
nuova coscienza », una coscienza più elevata che, rispetto a quella
attuale, sta nello stesso rapporto del mio pensiero col pensiero
associativo.
Anche il « presente » è cambiato, come se l’acquisizione del
corpo psichico l’avesse fertilizzato. La « presenza » contiene in
gestazione le parole del Ricordo di sé, le sue energie sostanziali, e
si muove nel nuovo spazio preparato per lei dagli atti coscienti che
ormai sono divenuti possibili.
Oggi cammino libero e vittorioso, ignorando le rivolte del
peccatore smascherato, e al mattino del risveglio ritrovo i sortilegi
tardivi del mio paese natale. L’attenzione si leva, pronta all’opera
interiore, e cacciando il quotidiano s’attacca all’essenziale, a tutto
ciò che significa. E improvvisamente si svaluta ciò che prima era il
mio tesoro.
Saprò mai riconoscere i luoghi nei quali i miei valori sono
caduti in declino?
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La mia bocca, impaziente di parole nuove, si rifiuta di
descrivere le ombre sempre crescenti disseminate dalle parole sul
sentiero che quelle ombre prendono in prestito quando Torà del
grande naufragio, Torà in cui tutto sprofonderà nel grande silenzio
della morte, si profila già in lontananza.
Mi reco ogni giorno alla fonte di me stesso, e ci andrò fino
all’ultimo viaggio di andata e ritorno. Ma l’ultima andata non avrà
più ritorno: mi toccherà rimanere sul continente ignoto da cui non
si torna. E duro il viaggio quotidiano alle frontiere di quaggiù, al di
là delle quali nascono le anime in attesa dell’ assente.
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maggiore. Vedere significa rendere omaggio alla luce. Senza luce
Porgano visivo non è in grado di percepire nulla. Ma nello stesso
tempo è impossibile non accorgersi che il fatto di « vedere »
sviluppa continuamente il potere d’identificazione.
Lo sforzo per VEDERE provoca - come ogni sforzo - una crescita
della qualità d’essere. In tal caso ciò che si vede rivela un’infinità
di sorgenti dalle quali scaturiscono impressioni mai viste né
immaginate, VEDERE è una delle componenti essenziali del
Presente, che ne risulta contemporaneamente dilatato in altre
dimensioni. Sorpresa! Quando tutto s’illumina cacciando le
tenebre del pensiero ordinario, io VEDO in questo mondo solo cose
morte, VEDERE, VEDERE le sfumature di bianco della neve che
ricopre il villaggio, ciascuna foriera di gioia; vedere il giorno che
si estende in un’orgia di fulgide ocre, VEDERE, VEDERE, è così
bello vedere!
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È strano constatare che la sensazione d’essere, nata dentro di
noi, sorge, si manifesta e scompare dissolvendosi nella propria
origine, mentre nello stato di sonno abituale provo talora una
sensazione particolare che mi dà l’impressione di riuscire a
distinguere la natura della mia identificazione a tutto ciò che si
manifesta. In tal caso basta che m’interroghi profondamente per
rendermi conto d’ignorare tutto dell’io che appare in me. E forse
l’io abituato a fare tutto automaticamente, è l’io dell’io SONO della
coscienza, è l’io dell’essere fisico destinato a sparire?
Come diventare cosciente di tutto ciò che esiste: dell’aria, dello
spazio, della terra, della luce e di tutto ciò che unisce i mondi
visibili e invisibili? Come spegnere il desiderio di prolungare al
massimo il privilegio d’esistere e, dopo averne eliminato il potere,
non aver più paura della morte?
Affinché la sensazione di esistere - e anche di essere - diventi la
regola d’oro, dovrò dimenticare le idee e i concetti per stabilirmi
definitivamente nell’essere.
Si, dovrò dimenticare il corpo e lasciare che le forze sottili, di
cui il corpo è il supporto e si nutre, scelgano la loro strada. Il
chicco è stato seminato, chissà se germoglierà. Ma qualsiasi sia la
sorte riservata al contenuto di questo corpo che porta il mio nome,
il germe d’essere che io contengo non può tradire la sua promessa.
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attraverso la vita ordinaria, continuo ad alimentare il movente
dell’identificazione.
Il ricordo di sé e il sonno profondo sono i due stati mediante i
quali sarà possibile provocare il risveglio e vivere collegato alla
coscienza. Tramite un sentiero che ignoro devo ancora riuscire a
penetrare nel sonno profondo.
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lasciar cadere l’attaccamento alle cose, appannaggio dell’uomo
identificato che ancora sono troppo spesso, amare soltanto ciò che
viene dalla coscienza e, respingendo l’ignoranza, ultimo ostacolo
all’unione dell’uomo col Tutto, sforzarmi di emergere dall’essere al
non-essere. Convincermi che la coscienza non mi sarà accessibile
e non potrà essere mantenuta per un tempo sostanziale se non
nella misura in cui saprò riconoscere il suo legame con le forze
vitali del corpo, di cui la coscienza è strettamente tributaria. E
ricordarmi che io SONO.
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sapere e l’essere, onde raggiungere la comprensione che è il vero
sapere dell'essere. La ricerca è dunque in definitiva una scienza
dell'essere che tenderebbe a considerarmi - nel mio piccolo - quale
fonte di conoscenza e arbitro dei valori che mi vengono proposti.
Questo vuol forse dire che nelle circostanze ordinarie la finestra si
aprirà solo sull’altro, mentre il mio proposito era quello di vederla
aperta su me stesso? Gli occhi aperti contemplano gli occhi chiusi
dell’assenza.
E il verbo illumina un viso in fiamme.
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III
Conservare il ricordo
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una logica elementare che esige il rispetto di certe evidenze e
un’etica cui si sente inesorabilmente legata!
Ho la profonda certezza che in questo modo Tessere umano
venga messo in una situazione intollerabile, diviso fra due mondi e
costretto a restare in un universo di sofferenze ormai inabitabile,
senza avere la possibilità di approdare sull’altra riva dove forse
qualcosa di lui è chiamato a sopravvivere.
Se quest’ipotesi venisse presa in considerazione, in virtù della
medesima etica sarebbe inammissibile favorire una situazione del
genere. Ma ovviamente la scienza medica non può accontentarsi
di un’ipotesi che ai propri occhi è comunque inverificabile. Perciò
il dilemma rimane.
Detto questo, autorizzo solennemente i depositari della scienza
medica che si trovassero un giorno a dover decidere la stessa cosa
nei miei confronti a staccare le « macchine per sopravvivere » -
dopo essersi naturalmente assicurati che nessun ritorno è possibile
- e a lasciarmi proseguire liberamente per la mia strada.
Se questo dovesse avvenire, dispenso da qualunque rimorso
coloro che, familiari o amici, dovessero sentirne anche solo il più
pallido indizio.
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I viali del giardino conservano il ricordo dell’estate. La mia
ricerca di cieli tersi e di mari limpidi non si è interrotta. Medi-
terraneo, che tante volte ho sorvolato in questi ultimi dodici mesi
senz’averne mai sentito la carezza nemmeno una volta!
Gusto di mare, gusto di carne, stagione di vendemmia, sapore di
vino nuovo su labbra amate, dolcezza di fine settembre dai sentori
di frutti maturi, calore della sabbia, ricordi del deserto ocra di
Giseh: non ho ancora lasciato l’ardente stagione cominciata alle
soglie dell’Amazzonia più di otto mesi fa.
La stretta dell’estate minaccia il Dio Forte della mia preghiera.
Dio Santo, Dio Immortale, sarete presenti sulle rive dell’autunno,
benché per ora siate tenuti lontani dalla stagione-regina che si
attarda?
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Ma su questo, per chiunque altro ad eccezione di me, le mie
labbra di essere vivente resteranno ben sigillate.
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che aveva i colori del crepuscolo. I nostri cuori erano presi dalla
stessa angoscia e noi percepivamo insieme, senza parlare, i passi
sovrani della morte che si avvicinava pian piano. Ci bastava uno
sguardo per comunicarci le paure del domani e per sapere che la
stessa determinazione ci avrebbe permesso di superarle. Poi,
quando tutto è finito, quando ci è toccato radunare le briciole di
conoscenza che avevamo ricevuto e raccogliere la fiaccola per
riprendere la marcia, Catherine è stata la prima e la più decisa in
quest’opera indispensabile. Fino al suo ultimo giorno di lucidità.
D’ora in poi Catherine, entrata nell’al di là attraverso una
nascita nuova, non sarà per me che silenzio. E assenza dolorosa,
infinitamente.
La sua affettuosa presenza al mio fianco non è mai venuta
meno... Quante volte il richiamo spietato di ciò che lei s’attendeva
da me - e che grazie a lei ho compiuto - mi ha scosso e rimesso in
carreggiata! Che il suo regno splenda in una grande apoteosi di
luce! La sua tomba non occulterà il riflesso luminoso che già il suo
volto emanava sul letto di morte.
Come una presenza immutabile presso il freddo marmo
tombale.
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dolce il respiro nelle pigre ore della sera. L'autunno è solitudine,
ed è anche dolcezza nel tiepido letto delle mattine oziose, quando
le nostre fronti s'animano in mezzo agli occhi e si riempiono
d'amore! L'amore, fiume dalla scia luminosa sul quale gli Dèi,
invocati nel momento della felicità, naufragano ormai più
rapidamente...
Autunno senza fretta da cui attingere il tempo di vincere le
potenze del sonno: sorgono due forze che bisogna condurre al più
presto alle nozze dell'istante! Perduto ogni ricordo e rinnegato
ogni attaccamento, attraversare le stagioni morte, marciare fra gli
ostacoli verso la pienezza delle forze, assaporare la primizia del
loro dilagare improvviso...
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La mia vita è un frutto
Cresciuto su un albero, posto sull'orlo di un abisso,
Che ha già fatto il suo tempo.
I pensieri ne sono la polpa, nutrita dalla pioggia delle parole,
E l’attenzione il sapore quando, nelle ore dello sforzo più
[duro, si desta l'istante.
Frutto marchiato dal sigillo regale, dove ogni giorno s'affila
[lo scettro del mio potere.
Nell'orto che sta accanto al Tempio il tronco mi tende i suoi
[rami...
E il frutto, pian piano, matura.
A ponente i rossi e i violetti del cielo si espandono nello spazio
crepuscolare infuocato. Sarà così l'ultima sera della morte? Prima
che l’ombra inghiotta l'uomo di carne la coscienza diverrà
incandescente? Splenderanno i colori dell’ocra, i verdi, i riflessi di
smeraldo e ossidiana, prima che, curvo sotto il peso delle mie
colpe, ciò che resta dell'uomo che sono discenda gli ultimi gradini
mortali?
Quante albe mi hanno donato solamente oscurità!... Quanto
miele sprecato a sognare in questa dimora senza nome che dovrò
presto lasciare! Scende la notte, e non sa nulla della morte che io
già non sappia. Avrò allargato abbastanza il campo della mia vita?
Avrò tenuto fermo il dialogo con Dio? Nelle lodi altisonanti che
innalzo alla vita s’insinua invariabilmente l'amore. Ne sarò
perdonato? È senz’altro venuto il momento di precisare i miei atti.
A ponente si spengono i rossi e i violetti, s'estinguono l’ocra e
l'opale. L'ombra avanza, ma nei luoghi che presto sarò costretto a
lasciare devo ancora aprirmi la strada.
E marciarvi con passo sovrano.
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L’acqua del cielo si unisce al mio pane, e ne traggo la forza di
spingere sulla via la mia bestia tremante. La maturazione
ricomincia di nuovo, ricca di ombre e silenzi; sento crescere le
forze di una nuova età del mio essere. Erigere contro il tempo il
bastione della mia pigrizia incoercibile!...
Ma troppe insidie si levano ancora, e si perdono nelle frange
del desiderio o scoppiano in brandelli di parole.
Poi di colpo ogni cosa mi è nuova...
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di ascoltarlo! Eppure di questo il paziente ha bisogno, forse non
meno delle cure che gli vengono generalmente prodigate con
abnegazione. Tutto viene fatto soltanto per la malattia e per la
terapia di cui Tessere umano è considerato - inconsciamente -
nient’altro che il supporto. E con ciò ogni dovere è assolto.
Senz’altro anche i medici e i paramedici rinnegheranno questo
atteggiamento, ma ben pochi sanno esserne immuni, tanto esso è
radicato nel personaggio del medico che si è formato nel corso
d’innumerevoli generazioni e che l’attuale scienza « evoluta » non
manca di rafforzare ancor più.
In questo secolo tumultuoso tutti pensano solo a parlare e
nessuno più vuole ascoltare... Se ne sarà accorta la gente? E il caso
di ridare un posto d’onore al sacramento della confessione: infatti
il confessionale è uno degli ultimi posti dove sanno ascoltare!
Talvolta ascoltare diventa vita e sostanza se risponde
all’esigenza di chi ha bisogno.
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Nell’ora strana che segue il tramonto il cielo si apre e si abbassa.
L’impressione della notte che sta per venire proietta le sue quattro
dimensioni sulla tavola piatta di ciò che in me la riceve e ne trae
nutrimento unendola alla mia verticalità improvvisa.
Silenzio nello spazio infinito dove l’essere diventa più grande.
Punto fisso nell’eternità... La linfa primordiale concentra le
proprie sostanze e continua lentamente a maturare. L’ombra della
gravitazione s’attenua. Da una riva all’altra del cielo la notte
vestita di scuro conserva la sua chiarezza, in realtà mai estinta. La
mia « presenza » è come uno specchio la cui chiarezza, in realtà
mai estinta anche nel sonno più nero, ne moltiplica l’estensione!
Essere amato d’un amore di donna... Uno vero (ché molti son
«cerebrali»). Prodigio di bocca avida portatrice di gioia in azione. E
le mani vibranti, e i gesti che sono come offerte, e altri gesti in
risposta dal tocco di seta!...
Amore di donna, più lieve che bruma d’autunno, più dolce del
seme gettato al gran vento dell’equinozio, latte di tenerezza
profuso da seni sfiorati da tenui carezze. Le tue mani nelle mie
ricevono il presagio... Al riparo del nostro comune silenzio, vieni a
dormire il mio sonno, dammi il tuo sapore di donna. Le tue
palpebre, sgualcite dal tocco di umide labbra ostinate, nascondono
occhi felici; e fiato a fiato vivremo, ascoltando l’istante che nasce
profumato dall’effluvio infuocato d’amore che il tuo alito
accende...
Solo l’attimo di Presenza può, in eguale misura, riempirmi la
vita.
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La Presenza viene al potere come acqua di fonte che sgorga sul
fianco della montagna, unendo le forze dell’altra sponda a quelle
di questa sponda impietosa.
Ieri, le feste intristite da ripetute orazioni, le mille luci
improvvisamente accese delle città, domani V odore forte e
dolciastro del futuro... Tetro corteo di sogni incompiuti, i Magi
sono ripartiti verso la Mesopotamia. Si spegne l’incenso, l’oro sale
nel corso dei cambi tenuti nei suoi templi chiassosi, la mirra è
sempre più rara nei paesi dell’abbondanza: tutte cose che un
tempo regnavano sopra l’assenza.
Incandescenza dell’idea, sentinella del Presente che mai non
diserta l’oriente del risveglio, là dove a ogni ora mi trovo per
chiudere una parentesi sul mondo delle spiegazioni. Là dove
germina il seme delle parole.
E scopro un piacere improvviso/nel colore del tempo nuovo.
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atti, per i frutti che abbiamo ricevuto e per tutti i sentieri battuti
dai nostri passi. Bisognerà riscoprire le forze che fanno maturare,
riconoscere il gusto che A. vi ha lasciato, deporre le maschere
e preparare opere d’uomo, se ancora ne è il tempo.
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Scoprendo Tessere nella sua essenza, ma privo di volto, il seme
è gravido di nuovi momenti. Umile, oscuro, mi presento alle porte
socchiuse della presenza umana, là dove nessuna frontiera può
fermare l’uomo deciso e armato del ricordo di ciò che ha amato.
Le nevi sono finite, un grigio chiarore mi riposa lo sguardo,
sulla terra le cose ordinarie sono prive di senso. Smetterò
finalmente di recitare le mie parti sulla soglia dei santuari?
Deporrò le maschere e i drappi di cui nobilmente mi sono
ammantato, ancora macchiati dal sangue degli altri?...
La presenza si attarda, vecchi sogni si sbrecciano al colmo di
muraglie crollanti, le opere sussultano all’orlo di un mondo che
nasce - e rinasce incessante.
Poco fa ho incontrato la fine del mondo.
Risveglio.
Ho visto le mie labbra sorridere nello specchio festoso del
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primo mattino che in sé porta il seme del giorno nascente. Si
delinea la curva dell’ora, tesa verso l’azzurro del mezzogiorno che
regna sulle paludi. Di quali messi sarà cosparso il mio suolo
stasera? I miei passi risalgono all’infanzia mentre scendono verso
la dispersione le promesse ripetute fino alla noia. E intanto
stridono le catene del sapere.
Poi il nuovo germe inizia la crescita e io vedo aprirsi la notte.
Cercatore di sentieri, salgo fin dove riesco a salire. L’ombra di atti
nuovi si profila davanti al futuro. Ma anche la carne si sgretola
sulle asperità del tempo; questa massa sospetta di ossa e di sangue
in cui riposa la mia speranza lascia trasparire la stanchezza; la vita
è ormai giunta alla fine? Ogni singola chiarezza è tradita dalla
propria ombra. E questo sapore terroso d’orgoglio che d’un tratto
m’assale la lingua! Di cosa è fatto lo spazio che sta tra due sponde,
spazio nel quale credevo di avere le mie ricchezze e dove, dopo
l’infanzia, si concentra l’alcool dei desideri? Sbriciolate in
frammenti di sillabe, le parole della preghiera passano al largo
d’entrambe le rive.
Il mio volto s’accende, i pensieri migranti sono svaniti laggiù
all’orizzonte, si presenta una soglia, il mondo si chiude sulle opere
dell’inverno trascorso. Posso cantare gli inni delle nozze con
l’istante!
Silenzio. Ma nessuno decifra la scritta che risalta sulla mia
presenza spalancata di colpo.
Presenza, solo in te la vita è reale.
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Restituito alla terra natale e colmo di gioie infantili, sono
tornato indietro tanto quanto mi sono inoltrato in luoghi forti e
sani, molto addentro nella mia vita. Lontano. Fino a veder
comparire il versante dell’ultima aurora, i prossimi sentieri della
morte che l’alba silente rischiara davanti alla mia cecità.
Il mare di pianto trattenuto in gola esprime il ripudio della
tristezza, mentre dentro di me si leva, possente, il gusto di vivere.
E già s’indovina l’evento che mi farà sorgere ancora, alla luce della
morte, quando ormai avrò vissuto l’ultimo domani e avrò fatto sul
sentiero gli ultimi passi lasciando in terra il mio segno in un paese
senz’odio, con quell’eterna giovinezza che col cuore e le labbra ho
seminato instancabilmente!...
SCHWALLER DE LUBICZ
(Il re della teocrazia faraonica, Flammarion, p. 10)
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Rimpiangendo l’Unità finalmente demistificata, il mio io di
tutti i giorni continua talvolta a ritirarsi nel sogno da cui, dopo un
po’, ricade come un frutto maturo.
Allora cominciano i gesti invisibili. Ogni tanto colgo lo sguardo
della presenza precedere il mio sguardo e scivolare sulle cose
prima che la mente, ingannata dal chiaroscuro dell’assenza, possa
impadronirsene. Pian piano svanisce l’insolenza di vivere e più
nulla risolve l’equazione esistenziale fra il divino e l’umano;
l’ebbrezza di essere, luminosa, accresce la mia sete di conoscenza e
la giustifica appieno.
E scopro di essere i frammenti del Tutto che mi costituisce,
ciascuno col suo sapore e col mistero della sua incarnazione;
frammenti che, volta a volta, prendono vita e s’integrano al
destino dell’UNO che sono; frammenti nei quali si capta l’essenza
dell’essere, terra su cui progredire nella conoscenza di sé
scoprendone l’insularità sorprendente.
Eccoci adesso in tanti nell’avita dimora. Tanti, ma collegati:
arcipelago fitto che popola l’estuario in cui finirà la mia vita.
E le acque del largo, forse, laveranno le mie ultime colpe.
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e nulla potrà mai esattamente ripetersi. Tuttavia esistono Leggi
che appartengono a tutti i tempi e che, a dispetto delle tecnocrazie
al potere, seguono percorsi immutabili, diretti là dove l’Essere è
comunione di Uomo e Coscienza.
Percorsi impraticabili dall’esemplare più tipico d’Homo Sapiens
odierno, immagine di una fiamma accesa che divora la sua stessa
face.
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pozzo secco della mia fedeltà, sto aspettando l’acqua sacrale.
Dove dirigerò il mio destino? Qualche volta tocco il fondo
dell’abiezione. Lo sciame dei pensieri e della fame ronza
incessante scandendo le mie impazienze. Ansioso di un nuovo
domani, invischiato in oscuri spessori, spio ciò che sta per
sbocciare, la parola avventurata nel groviglio delle contraddizioni
che farà cessare il mio sonno come tempo scaduto.
Sto prendendo lo slancio per oltrepassare la notte che mi
auguro corta. Per fare di nuovo amicizia con la presenza. E infine
per essere in piedi, ripulito da ciò che mi tiene prigioniero. Un
canto sgorga dalle mie labbra, paziente, venuto da misteriosi
recessi per sentieri imprevisti sulle tracce delle docili ellissi di un
voler-essere inosservato per lungo tempo. Giunto da grandi spazi
compassionevoli a soddisfarmi la sete e a stimolarla a sua volta.
Vivere allora mi piace.
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sbarcato con me, terra del mio cimitero che ho percorso
anzitempo esplorando me stesso.
Liberato dalle abitudini, ho accettato d’impegnare laggiù tutto
il mio bene, particella dell’Uomo vivente. E ho visto salire, sullo
sfondo del cielo, la presenza protesa verso insolite altezze.
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Potere dell’Ieri da cui proviene il tracciato degli atti - di quelli
che sto per attuare. Vivere le forme di vita che l’essenza autorizza,
contemplare in pace gli ostacoli... Per un attimo sono colui che
tiene insieme le promesse passate e gli atti presenti, colui che,
nell’alba di questo giorno, saluta il primogenito della coscienza. Le
mie forze si spingono fino al remoto cuore dell’essere. Liberato da
impulsi improvvisi, il mio sguardo interiore pugnala le ombre
residue finché arrivo in luoghi purificati dalle mie libagioni.
E i miei servitori-padroni, che di solito mi precedono, marciano
finalmente dietro di me.
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della lotta cambiano impercettibilmente. Ardua ricerca interiore
degli anfratti in cui lo sforzo è possibile.
Ma quale piacere posare di nuovo lo sguardo su questo
giardino!
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Senza far caso al tumulto del sangue mi preparo alle offerte
generate dal moto perpetuo di tutte le cose, qual è quello che ha
luogo alle soglie della Conoscenza, là dove si mostra il volto
incompiuto del vero.
Improvviso timore che tutto si limiti a essere bello, che i trofei
ricevuti non siano altro che fiabe infantili. E che resti bianca la
gran pagina pronta a esser riempita dal racconto che ogni giorno la
coscienza mi offre.
Che importa: nulla mi vieta di amare.
Programma:
Costruire partendo dall’argilla umana. Con modestia, dignità,
vigilanza, aiutandoci con le effusioni accessorie dell’intelligenza.
61
Rompere in un primo momento 1’ equilibrio disinvolto degli
automatismi compiacenti, che appartengono alla persona, per
sorprendere le forze interiori in via di trasformazione, e poi
liquidarli del tutto; rendersi conto della precarietà dei contenuti
ordinari e del ridicolo aiuto prestato loro dai processi funzionali
ordinari.
Mostrarsi tali fra gli uomini di altre razze - quelle dai sonni
incoercibili e dalle persistenti illusioni -, e come tali non rifiutare
nulla dell’umana esperienza, cui la nostra debolezza conferisce
una sofferenza indicibile.
Mostrare agli altri la pazienza, l’attenzione e la serietà di un
viso animato dalla massima franchezza. Posare su chiunque uno
sguardo che tragga dalle rive serene della presenza la forza
preziosa generata dalle frange estreme della coscienza. Evitare
qualsiasi spiegazione.
Sì, levarmi semplicemente vivo, al di sopra di ogni conflitto, in
piedi nella tempesta che oscura l’umanità, riparato esclusiva-
mente dal mio nome d’uomo.
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anni ci separano dalla sua dipartita: come li abbiamo impiegati?
Alcuni si sono innalzati a livelli allora imprevisti, altri si sono
ingrigiti nel tran tran quotidiano, altri ancora né questo né quello.
D’altra parte oggi bisogna affrontare tutto, dai ritmi dell’orgoglio
alle angosce che gonfiano le nostre incertezze. Davanti a noi s’apre
la fredda via del futuro... la vergogna, talvolta, delle cose dette, e
di quelle taciute ch’era il caso di dire!... E lo sconforto di trovarci
soltanto all’infanzia della nostra ricerca, malgrado la gioia e i
grandi voli di silenzio che l’accompagnano. La coscienza però ci
diventa più familiare e vince gli aspri rifiuti. Talvolta dall’oziosa
memoria riaffiora l’origine del nostro male cui, senza fallo, A.
sapeva condurci.
Adesso dobbiamo imparare a fermarci sempre più a lungo
all’ombra dell’edificio che lei ha costruito per noi, in attesa di
deciderci un giorno a varcarne la soglia senza paura.
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via aperta verso la Meta.
Ma chi mai d’improvviso in me ricerca l’assenza e l’insedia,
conquistando i territori illuminati dalla Coscienza e turbando la
parte migliore, ormai in pericolo, di ciò che è appena avvenuto?
Gli idoli vacillanti ritrovano il loro equilibrio e io, sotto false
apparenze, ridiscendo i sentieri di rovi diretti alla fetida piana
dove le scorie dello spirito sono in perpetuo ristagno.
Ancora una volta dovrò riallacciare i fili. Domani indosserò il
vestito da festa e, con gli occhi arrossati dal sonno, mi chinerò
nuovamente sul gran libro di carne che sono. Instancabilmente.
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cominciare la Grande Transumanza, per gettare nell’oblio la lunga
lista di ciò che ha rinnegato, per strappare la pagina dove assurdi
sofismi acuiscono i loro effetti malefici e rischiarare la notte che
incombe impietosa sul cammino dei vivi?
Sarà il segno dell’ingresso nell’era grandiosa in cui, finalmente,
sorgeranno i miei atti?
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Parte seconda
Parole d’alba
I
Erranza
Un altro dei migliori tra noi se n’è andato, uno degli « allievi di
spicco » - come li chiamava Gurdjieff - e uno dei nostri « Maestri ».
Le file di coloro che hanno ricevuto direttamente il messaggio
s’assottigliano. Quasi contemporaneamente, su entrambe le sponde
dell’Atlantico sono spariti alcuni autentici portaparola.
Il nostro silenzio risponda al silenzio delle voci ormai spente
per ascoltare meglio le nuove parole da cui, sin dall’origine, il
sonno ci aveva disgiunti...
69
fontane, cambiare... Esaurisco la strada proprio quando la natura
affretta la corsa al rinnovamento.
Risvegliarmi, ascoltare i brontolii di tuono che mi riempiono
il sangue. Promuovere i momenti di gloria in cui dispiego spessi
strati di luce sepolti dietro la maschera oscura dell’esistenza.
Momenti in cui diserto i facili sentieri della gioia, in cui accolgo la
preziosa sostanza della Presenza, in cui dentro di me tutto diventa
febbricitante e in cui sprofondano le parole del linguaggio triviale.
Momenti carichi di risposte ipotetiche, troppo spesso rimaste
silenti.
Nelle prossime albe dell’anno, ricordare i momenti vissuti nel
limbo della coscienza e non distoglierne minimamente lo sguardo
quando suoneranno i torridi mezzogiorni d’estate.
...non perdermi nei meandri della lotta.
70
L’alba nera nel cuore della tristezza... Eppure cantano gli
uccellini. Ma l’alba è nera, sì, ed è triste il futuro che si presenta.
D’un tratto mi perseguita l’ansito degli abissi, la morte segue i miei
passi; curvo sotto il peso di un lungo passato, ascolto il fruscio di
mille clessidre in azione. E il canto d’antiche liturgie celebrate
sotto gli archi delle chiese. E il cuore che partecipa alla
desolazione.
E la vita che mi sta lasciando? O mi squassano brutalmente i
segni dell’impostura? O la maschera vietata a chi entra nel
santuario vuol prendermi e darmi finalmente la grandezza?
La vita fa maturare dentro di me le sue promesse contrarie. Ora
devo compierne i riti, essenziali a tutti gli echi già pronunciati.
71
La mente oziosa scivola a monte del tempo senza chiedersi
come tutto ciò che è sia potuto succedere.
Quanto tempo alle spalle... E domani sarà presto il passato!
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Tirarmi fuori dallo spessore dell’assenza che talora è melma
putrida, talora fango secco, residuo dei giorni passati in cui mi
trattiene l’anima divenuta di sasso. La mente prigioniera vi pianta
la tenda mentre l’immaginazione se ne allontana, senza peraltro
uscirne, e va nelle nuvole, pazzerella, a disegnare il proprio futuro.
Le clessidre dell’assenza insabbiano l’avvenire.
73
perderai il gusto d’argilla che da troppo tempo t’impregna le
labbra.
E davanti all’invitto mistero della Vita riprenderai instancabile
il tuo turno di guardia.
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Che resta della Presenza soppressa?
Chi l’ha conquistata con una lotta cosciente ne conserva la
traccia significante che sopravvive alla schiuma dei pensieri.
Cosa chiede la domanda?
Il polline del sentimento fa venire alla luce i frutti maturi delle
risposte. Ma bisogna che il fiore gli apra al massimo i petali
dell’intelligenza.
Le parole sono ciò che mi sento essere in loro?
Le parole! Carcerieri che fanno la guardia a un mondo interiore
troppo spesso distrutto.
75
in un crepuscolo incerto, dovevamo lasciarci avvolgere dalle
tenebre della notte, o dovevamo decidere di marciare insieme,
collegati alle luci che l’hanno sostituita, verso l’alba seguente che
non poteva esimersi dall’offrirci la sua incomparabile trasparenza?
Un’alba a nostra misura, fatta dei nostri meriti e in cui forse, tra
l’altro, ci è dato di canticchiare qualche verità... Bloccando quella
che avrebbe potuto essere un’apocalisse tremenda.
Avremo il coraggio di tenere aperta dentro di noi questa
indispensabile domanda inquietante?
76
riempiano e si svuotino al volere degli istanti che popolano lo
spazio in cui mi muovo... Parole che favoriscano l’identificazione
più stretta possibile tra l’idea e il supporto umano senza , il quale
l’idea non esisterebbe, parole alternate ogni tanto ad acuti silenzi...
Adesso bisogna ascoltare le parole venute d’altrove e respingere
quelle vuote, sentire il peso della maschera per contribuire a farla
cadere, mettere la voracità al servizio del ratto permanente della
coscienza, suscitare istanti preziosi durante i quali, liberandomi
dall’assurdo, possa acquisire il privilegio di misurarmi con me
stesso. Come affermare oggi le mie certezze, attizzare le brame che
mi portano a desiderare la Presenza e, dopo averla ottenuta, a
viverla anziché a viverne?
Errando fra le profezie mentre « divento », alcuni pensieri
schiudono la corolla e, fiori vaganti che adornano la mia dimora,
la coprono
come un inesauribile cielo di stelle.
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Oh, lo scoramento sotto la maschera! Il mio sogno lo contende
ai movimenti dell’essere. Flusso e riflusso dei bagliori della
Coscienza, come l'alba e la notte. Istanti funesti in cui il
presente non è più che un gioco...
Poi, risvegliato ai rintocchi di brevi liturgie, risorgo rinnovato
dal limbo fumoso in cui m’ero perduto. E scuotendomi di dosso le
ceneri morte che mi coprivano, nell’istante improvvisamente
addensato io SONO.
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per la prima volta? Perderò finalmente la maschera da straniero?
Oh, quanto mi lava quest'anno l’abluzione della primavera! E
come d’un tratto sono vicino a me stesso, nel più profondo
dell’essere!
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Giugno, porta dell’estate. Lassù sotto gli alberi stanno per
cantare le fonti e presto l’aria s’inciprierà di sole. In questo
momento si compie ciò che prepara la mia gioia futura.
Rugiade d’amore che dovrò fortunatamente prosciugare... E
immergermi nell’azzurro del cielo nei giorni di tempo leggero.
Placido, contemplare la chiglia della presenza all’opera che fende
il futuro fino al grande silenzio della morte. Rallentare la
traversata della bella stagione... Vincitore dell’irrealizzabile, uscire
dall’estate a ritroso, tirato verso l’inverno laborioso sul quale il mio
sguardo evita ancora di alzarsi.
La paura è lontana. Da oggi, far tacere l’angoscia verso cui mi
trascinano le parole.
80
paesaggio. E che finalmente s’insinua per intero nell’istante
rallentato fissandolo per sempre. Allora nasce il « presente ».
E nel « presente » io SONO.
81
Già sento parlare le voci ammutolite da due stagioni: e dicono il
mio nome, quello che conosco io solo, maturato come un frutto
precoce nelle tiepide sere d’aprile.
Sulla via silenziosa dell’estate avviene un movimento, il
crepuscolo vibra di ali che cercano asilo. Finalmente padrone dei
pensieri brulicanti come insetti, ascolto il presagio: s’indovinano i
sentori dell’estate e il tempo, che corre incontro alla sua
inconcepibile fine, mi trascina con sé distruggendo ogni sorta di
vani ricordi.
Pellegrino d’un secolo già vissuto a tre quarti, cammino verso i
miei stessi semi e verso la prima innocenza, riconciliato per un
attimo con l’Unità.
Oggi, aprendomi la strada attraverso i solstizi, sfioro ancora una
volta le frange dell’estate, e dal fremito dell’alba fino all’equatore
della gioia sono pronto a nascere ogni giorno.
82
VI
Strada facendo
83
due mondi e vi semina il suo lievito. Terre fecondate dal fermento
dell’attenzione più attiva: ne nasceranno opere vive; terre aperte
all’azione, cariche di semi e di frutti, terre in festa per la mia
nascita senza fine,
...ora in cui comincia il tormento.
La vita sale fino al ramo più alto, la vita sale fino al cuore, ma la
testa stenta a percepire il vuoto scavato dallo sforzo. Ascolto il
termine proferito nel vento della parola. E il mio grido d’uomo,
scoppiato improvvisamente al momento del risveglio. Dove sono?
Alcune idee periferiche vanno a zonzo in cerca di chi,
opponendosi al potere centrifugo del pensiero ordinario, le
riporterebbe al Centro. Poi d’un tratto s’apre l’ignoto paese di cui
m’è rimasto il ricordo.
Partito dal basso, da terre lontane segnate dalle ustioni subite,
eccomi arrivato alla soglia di un futuro indicibile... Saprò
mantenere l’andatura e compiere, imparziale, altri passi sulla
strada dei prossimi secoli?
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frammisto ai profumi del giardino: breve lasso caduto in fondo alla
memoria - cose ancora irreali. Leggero solletichio d’un pensiero
futile subito inghiottito dalle fauci dell’ignoto. A chi dare la mia
parte di tenebre per potermene liberare in eterno?
Sapendo più di ciò che mi hanno insegnato, starò finalmente
per imporre intorno a me il potere d’essere, di cui vengo spogliato
in continuazione? E per imporre che abbia valore la spartizione tra
noi? Portando l’ineffabile più lontano, potrò un giorno passare,
libero, esibendo i miei atti come promesse mantenute, e indicare il
cammino?
Il puro frammento di coscienza diventato territorio abbordabile
riesce a durare, improvvisamente ribelle ai riti abituali che lo
fanno sparire. Vivere ormai è una cosa naturale e lascia spazio alla
gioia...
Finalmente ho trovato l’asilo che cercavo!
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palpitazioni animano l’emozione cui accedo di colpo?... Pensare -
dire - essere - percepire: sintesi di tutte le brame depistante.
Ma, ahimè, l’impazienza ancora mi stringe, e innalza come un
trofeo il suo nome di cortigiana.
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potere delle parole e delle sensazioni fissate nella loro accezione ‘
abituale, e volgermi verso quell’alleanza che, manifestandosi,
consacra immediatamente ciascuno degli elementi che mi
compongono. Allora ciò che ho scatenato mi supera e io, subendo
la presa del « vero conscio », divento improvvisamente capace di
cogliere i multipli aspetti del mondo e di acquisire nuove
conoscenze e la visione autentica delle cose...
Temporaneamente incarnato in questa santa alleanza, sarò
giunto nel luogo di me in cui la liturgia praticata genera un nuovo
approccio all’accessibile... e anche una parte di ciò ch’essa ha per
scopo di magnificare?
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Perché mai all’orizzonte si staglia già il triste profilo di
settembre che preannuncia le nevi invernali?
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Allora cominceranno le opere di ragione della Coscienza.
Dapprima come un lieve tocco, un movimento leggero dello
spirito, un canto puro dell’essenza sussurrato soltanto per me... Poi
verranno i grandi rumori, i traumi profetici simili al lampo di una
cripta illuminata di colpo, e le vertigini davanti agli antichi abissi
in cui sprofonda la verità.
Tagliati tutti i ponti alle spalle, con passo da uomo libero andrò
verso il futuro scrivendo in mia memoria le prime pagine della
storia del mio destino.
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Basta con questi pensieri! Il calice è vuoto... Avido delle ore
passate alle porte del tempio, ascolto le cose parlare e respingo i
mormorii del sogno abituale.
Presenza, non ho luogo che in te.
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Marciare ancora qualche anno e poi, alla fine del corridoio,
contemplare l’infinito?...
91
Viandante seduto per un momento - il tempo della vita -
davanti alla sorgente spesso esaurita in cui s’indovina, semicoperta
dal muschio, una pietra che porta incisa la parola « AMORE », saprò
saziarmi della mia sete?
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L’uomo di paglia e l’uomo di grano!
Senza il primo il secondo non ha certamente alcuna possibilità
d’esistere. Ma saprò mantenere l’ordine di successione?
Paglia di erbe e di piante amare, l’uomo degli istanti sordi e
ciechi, l’uomo cacciato via da se stesso obnubila il raccolto e
compromette il torrente dei chicchi.
Paglia degli automatismi indispensabili ornati dal corteo dei
sentimenti domestici, paglia immensa delle abitudini..., paglia
secca delle parole, paglia umida delle cose descritte dalle parole, di
tutti i bisogni, di tutte le immagini riverite sin dall’infanzia, di
tutti gli appetiti di gioia, di tutte le credenze denunciate mille
volte, paglia dei sogni notturni e dei sogni da sveglio, degli amori
dimenticati, dei nirvana immaginari e degli abissi sfiorati, paglia
smisurata di tutta una vita irresponsabile...
Quando s’innalzerà l’alta fiamma che la divorerà?
E perché esito tanto a sfregare il fiammifero?
93
una schiuma leggera sulle onde del tempo... Attento anche al
silenzio perfetto: scorrimento impalpabile delle linfe vegetali in
vasi invisibili, moto impercettibile della vita nel cuore del seme,
presenza sorta al centro dell’essere. Tutte cose che crescono
instancabili in uno strano tumulto silente nel quale si colmano i
vuoti dell’angoscia saliti dallo scorcio del mondo, nel quale si
aprono le brecce che danno accesso all’io presente e spariscono per
qualche tempo i territori della molteplicità...
Avrò accesso al luogo d’asilo stabile e immutabile, alla terra di
maturità dalla voce di bronzo e dalle parole di pietra, luogo di
promesse e di silenzio in cui si raccolgono le particelle verso le
quali la morte è impotente?
94
III
Alti e bassi
95
Tuttavia, se sapesse quante volte ho parlato solo per lui! E
quante volte ho detto tante parole perché in lui prima della morte
sboccino i fiori di stagione, quante volte ho spiato sulle sue labbra
il segreto ch’egli palesemente contiene. E spesso ho gioito d’averne
riconosciuto la promessa...
Se sapesse in quale punto della mia coscienza nascente vibrano
le armonie con le quali lui sa rivestire i poemi, e come talvolta io
sia rimasto ad ascoltarne il silenzio più che la musica!
Come mai un giorno ho smesso di rispondere alle sue
aspettative? Cosa non ho fatto che avrei dovuto fare, cosa non ho
detto che avrei dovuto dire, cosa non sono stato che avrei dovuto
essere? O ancora, cosa ho detto che avrei dovuto tacere?
Sul mio corpo invecchiato, settantatré anni pesano meno
dell’interrogativo che mi rode e della scoperta che oggi forse ci
separa un’oscura distanza... L’intero edificio ha subito una scossa,
l’uomo e la bestia hanno entrambi tremato.
Ma bisogna che la ferita sia fertile: già è riuscita a far sì che una
parte del mio spazio interiore, finora indifferente, abbia smesso di
esserlo. L’uomo è triste, ma il seme ch’egli contiene - e che sta per
marcire - è felice, qualunque cosa succeda.
Allora, forse, un giorno il canto riprenderà.
Kyrie eleison!
In noi da qualche parte c’è sempre una luce che non vediamo.
Si trova spesso nella parte non illuminata e nutre l’ombra che a
poco a poco c’invade. Fino alla morte.
Quest’ombra pericolosa è aumentata. Per dissiparla cerco di
scrollare il futuro ma, ferito nel vivo, mi sento debole e - stupore!
- non credo più nel domani.
Quando riprenderò a spigolare speranza?
96
spodestato per un momento. Sentire la domanda esprimere ciò che
è, poi sentirla diventare ciò che sono. Rifare l’inventario
temporaneamente svanito dalla memoria imbevuta di sofferenza.
Una sofferenza che, come Toccano, si ritira lentamente due
volte ogni ventiquattr’ore.
97
Risveglio!... È contro la Morte che l’Essere prende
provvedimenti. Esso cerca la strada nel santuario del corpo e apre
vie che portano lontano le promesse del mio destino.
Ma cosa sono queste urla che m’aggrediscono? Quali fermenti
sono emersi d’un tratto dal silenzio? Le fiamme dell’azione mi
ripiombano nell’abisso. La pigrizia cerca la propria ombra,
l’istante, attraversato da brandelli di antichi sogni, si vela, e
scorrono pensieri che riempiono l’effimero e popolano lo spazio
circolare che mi trascina nella sua rotazione. Abbandonato agli
usurai del sogno, sento appena battere il cuore. So ancora di essere
un uomo?
Cercatore dalle fragili mani, come farmi scaldare dalla febbre,
come ottenere che un futuro già deciso s’avveri e mi ricompensi di
un’assidua temerarietà? Oserò ancora vivere e andare fra le
contraddizioni respirando l’oscuro profumo dei prossimi
disvelamenti?
98
Come posso accettare con tanta facilità di perdere, anche solo per
un momento, l’opera che mi è costata tanti sforzi, veglie, sacrifici,
parole, e tutte le cose già utilizzate che vegliano in potenza
nell’immensità del potere di essere?
Per questo occorre una base, e la base è il corpo. Il corpo
mortale onorato finora solo per se stesso, il corpo che è interessato
solo a ciò che lo sazia, come le pietre di un Tempio erroneamente
onorate e servite dal Tempio stesso! Eppure il corpo quaggiù
traccia il segno delle cose: pur guastandosi per usura, il corpo non
è solo una fragile massa di ossa, di sangue e di carne palpitante...
Moneta di scambio indispensabile al momento dell’agonia, anche
il corpo appartiene all’eterno.
Nel tempo che mi resta riuscirò ad abbellire la mia dimora, pur
sapendo che non è l’essenziale - benché l’essenziale vi sia
contenuto - e saprò coglierne il significato in maniera diversa
ristabilendo la giusta gerarchia delle cose? Può darsi.
Lentamente mi sento essere colui che mi realizza...
99
presenza, ronzio d’api avvolto nelle brume del tempo, nembi
odorosi venuti da un remoto e infaticabile portatore di saggezza...
E la presenza s’accresce di ciò che vince, della massa che le
resiste, dell’inconfessabile amore che porto ai miei nemici...
La Verità, che cresce lenta come un albero, sorge
dall’essenziale, parte legittima dell’eredità che si esprime fuori dal
tempo perduto.
100
là che si dirigono i miei passi, verso i paesi d’altrove nei quali
anch’io ho ricompense e onori.
101
Chiuso nella prigione dell’esilio, potrò cominciare a celebrare
l’ascensione verso la coscienza? I miei passi lenti rompono l’attesa
della crisalide, la presenza si leva e viene a incantare la notte.
Ma perché ho ricevuto questo travestimento da uomo? E una
ricompensa? Una penitenza? Una missione? Dovrò divorare me
stesso quando, trovata finalmente la chiave, lotterò per Dio? Sì, nei
tormenti della digestione, la Persona subirà la muta da cui nascerà
l’Uomo che è in me. E la sete verrà dimenticata, ogni sorta di sete,
ogni sforzo, ogni sterile sfinimento...
E io griderò la mia riconoscenza!
102
fatti può comparire solo nell’intervallo tra l’inizio e la fine dello
sforzo... Presenza, linfa dell’Uomo sbocciato alle frontiere del
desiderio, freschezza e conoscenza dell’istante che lascia in me
l’impronta e il gusto dell’uomo interiore che solo allora io sono... Il
sudario diventa una mascherina leggera. Una maschera che ancora
mi nasconde la faccia.
Ma è ora di scoprire il volto dopo averne tanto parlato.
Il conosciuto è forma,
la conoscenza parola,
colui che conosce regna su un certo livello di essere.
La realtà è al di là.
103
Sono ancora capace di guidare il flusso dei pensieri restii, di
padroneggiare le espansioni emotive che mi faranno rifiutare la
prova del domani?
Non mentire più alla vita che mi viene offerta. Riconoscere chi
nasce e chi muore, resistere alla fatica del Tempo esorbitante,
sfuggire alla magia delle forme rotte dal sogno, assumermi la mia
parte d’esilio... Spiare il Tempo, poter essere la risposta quando il
Tempo crede di essere l’ultima parola. Vincere l’inerzia della
persona; discernere il fango e la luce per separarli... Oh, farla finita
con lo sguardo pesante e col dolore turbolento che torna, mentre
avevo già conquistato la pace all’inizio dello sforzo!
Tuttavia lo specchio mi rimanda all’istante l’immagine di un
viso vivente.
104
chiuso nei rari domani che mi restano, ma libero dalle mie gabbie,
proseguirò il cammino tra fiori olezzanti, scortato da farfalle che
danzano in volo...
L’aria penetra in me lasciandomi il suo profumo.
105
ritrovo sul fertile e caloroso tragitto della mia vita.
E dimentico il riscatto da pagare.
106
Resistere alle ondate del futuro che s’infrangono a ogni istante.
Camminare. Entrare nell’età della luce con passo da adulto. L’alba
immensa delle mattine mi riceve nel suo spazio, contiguo alle
ricche ore in cui, dopo essermi a lungo cercato, finalmente mi
trovo e ne sono ricompensato. Il giorno mi apre le pupille, e io mi
abbandono alla complicità della « presenza » riaffermata dentro di
me.
Poco dopo aumenta l’impazienza. Eccomi pronto a una lunga
giornata d’assenza sulla sterile riva dei pensieri ossessivi, litorale
indifeso che percorro a piedi nudi, avido della freschezza ormai
perduta dell’aurora... In seguito salgono le ombre. E talvolta la
luna risveglia dentro di me ciò che ancora è assopito... Prendendo
la coscienza a due mani sento l’infanzia salirmi alla gola. Ed ecco
che, alle soglie della notte, l’alba riluce di nuovo.
107
mondo percepito s’avvicina più al cinema che alla prosa poetica, e
forse al lettore basterebbe una certa disposizione interiore, simile a
quella indotta dallo spettacolo, per gustarne contemporaneamente
la sostanza e la forma, le parole e la musica.
Ma in definitiva tutto ciò non è forse più vicino al lavoro del
regista che a quello dello sceneggiatore? Un regista la cui opera
non è ancora realizzata... Ecco l’accusa che certamente mi verrà
mossa, sempre che qualcuno s’azzardi a prendere conoscenza di
questo brogliaccio.
Inverno, più svelto della gioia, tu che vieni dalle porte aperte
del Tempo a prodigarmi il tuo astio periodico; io, freddoloso e
sottomesso alla tua costante gravitazione, dovrò subirti ancora!
Piangendo i rituali estivi ormai inaccessibili e le immagini
piacevoli della memoria, che ne sarà di me nei tristi giorni
dell’imminente stagione?
Fuggendo la scintillante bigiotteria dei ghiacci e delle brine
gelate, e la magia delle nevi ancora increate ma già presenti nei
sogni di Natale, dovrò significare di più. Ostaggio del freddo,
108
dovrò mantenere lo sguardo sulla distesa delle nevi scese dalle
cime più alte, ma dovrò anche dividerlo affinché un’altra parte
dell’universo, quella interiore, ne sia illuminata. E con animo
equanime avanzerò... chissà, forse fino alla prima mia primavera.
109
Poi, al termine di un lungo cammino, si popolano i grandi spazi
interiori e, nella gloria dell’istante d’un tratto più denso, il relitto
della sofferenza sprofonda nelle acque del porto.
Suona l’ora del battesimo per un’altra speranza...
110
parole restie a uscire di bocca mentre il tempo, credendosi sempre
in festa, esulta, e mentre nelle sere d’inverno risplendono le
aurore boreali dell’associativo!...
Ma un sisma scoppia improvviso nel cavo del plesso e fa
ribollire l’argento degli specchi... In tutta evidenza, l’eternità è un
calcolo errato della metafisica...
E tempo di far mentire i profeti.
PASSEGGIATA
Un lembo di cielo riluce, indugiando nel giorno che muore.
Presto la luna seminerà perle sugli alberi. La prima stella sembra
uno sguardo. Il tempo rallenta. I pensieri contorti dei giorni privi
di luce m’invadono mentre, come da un rubinetto mal chiuso,
colano i miasmi di un’ebbrezza emotiva tenace. Le tiepide onde
111
del desiderio sfogliano lentamente il libro della mia vita. D’un
tratto la speranza s’affloscia al ricordo degli anni trascorsi e
scoppia come una bolla. Una marea monta, mi riempie la scatola
cranica e tesse brusii senza fine. Adesso i desideri sono saliti nei
fiori e bisbigliano nelle svolte del sentiero, dove il vento soffia con
indifferenza. Il silenzio m’assedia. Oltre le porte chiuse della notte
incombente si forgia la storia dell’essere. Che attingerò dunque
nella cieca vasca del tempo? Un passo conosciuto - il mio -
risveglia l’eco di cose lontane e la dolcezza d’antichi amori a lungo
scordati. Ammiccamento dei ricordi, dei gesti compiuti
nell’ombra, di tutto ciò che un bel giorno è svanito.
Improvvisamente gli ultimi raggi di luce decidono di rischiarare il
cielo come un corteo di fiori deposti all’orizzonte, fiori che
galleggiano ancora un poco prima del grande naufragio notturno.
Saprò meritare il piacere che ne ricavo? Sono pronto a
sacrificare i miei sogni? Non c’è alcuno specchio in cui cercare il
mio sguardo e il viso inesplicabile che ho.
L’aria s’addensa, i rumori rinfrescano, la natura entra in veglia.
Tutto dormirà nell’immenso cantiere della notte.
Fino alla prossima aurora sarò libero dall’ossessione del «
domani »? Potrò ascoltare il silenzio che scende, la voce
impercettibile e tonante dell’« io SONO »? E obliare per sempre il
passato sepolto sotto la cenere? La tenebra fa pensare...
I viali del giardino s’impolverano di brina sotto la luna. Passano
alcune nubi leggere sopra i fiori estinti. - Non aggrapparmi più alle
illusioni svanite -. Ora l’intero cielo vibra sotto una polvere di
stelle...
Fuggire!...
Non per scappare, no. Ma per incontrare l’immenso.
L’immenso che s’innalza all’infinito verso l’alto e s’abbassa
all’infinito verso la profondità. E, così facendo, seguire le mia
traiettoria.
Seme unito alla gravitazione da un legame implacabile, mi
tocca vincere la gravità a ogni istante, pronto però a sopportare la
parte di tempo che mi è destinata. Con tutte le sue glorie e con
tutte le sue tenerezze.
A mia volta io semino. Semi di pensieri, semi di parole, semi
d’atti meno incoscienti di cui ogni parola di queste pagine è un
112
chicco. Forse un giorno l’embrione verrà fecondato dall'attenzione
che l'avrà incontrato al di sopra di me. E forse altri uomini ne
mieteranno le verità, legate in fasci invisibili ch’essi cercheranno
d’ammassare nell'Assoluto!
113
« Ei fu ». Meriterò questo epitaffio?
114
Mantenere la verticalità dell’uomo fino al giorno delle ultime
solitudini. Spiare l’atteso attimo di coscienza... Il futuro essuda gli
istanti con l’insolenza di un oracolo sorpreso. Non c’è alcuna
fretta. I millenni aspettano senza impazienza.
Improvvisamente tutto è chiaro perché sin dalla bella stagione
m’ha seguito un fiore, colto nel giardino dell’eccelsa presenza...
115
Tuttavia il mio approccio è attivo e io mi sento sul punto di
arrivare dove inizia la vita.
Ma non è forse, giustamente, dalla forza dei contrari, da
quell’antagonismo impossibile fra la fuga perpetua davanti al
giusto sforzo e il persistere della speranza irriducibile, che nascerà
e potrà essere vissuto ciò che al contempo è anteriore e futuro,
ossia ciò che è PRESENTE?
E piacevole essere quello in cui, per un momento, la presenza
prolunga la coscienza.
116
l’altro. Chi saranno gli uomini che dopo di noi vedranno ancora
splendere il sole? Cosa faranno dei vari beni che avranno ricevuto
in eredità da noi?
E dove saremo noi, noi che ci siamo conosciuti e amati?
Resteremo uniti da qualche soffio di vento alle cose che oggi son
nostre? Sapremo ritrovare il linguaggio comune che ci veniva alle
labbra? E voi che siete partiti un po’ prima, vi volterete sul
sentiero lasciandoci venire incontro lo sguardo? Rallenterete il
passo per aspettarci e convincerci che bisogna consentire alla
morte?
Dovremo apprendere il linguaggio delle ombre? E lasciare le
parole ormai familiari del poema e il canto del tempo che fu?
Quando arriveremo all’incrocio dove un altro sole cancellerà le
nostre ombre sarà troppo tardi per scegliere la strada. Nel paese
del tempo immobile, i piaceri saranno vani, tutte le preghiere
saranno già dette e gli atti non potranno fiorire mai più.
Sola, sopra l’ossario di tutti i beni, di tutti i pensieri e di tutti i
desideri, per sempre regnerà la COSCIENZA.
117
Parte terza
La presenza sovrana
I
L’Innominabile
121
Un termine che vorrebbe riassumere l’insieme delle forze d’ogni
livello suscitate dalla disciplina seguita, tutte le cose intuite oltre i
limiti del mondo concepibile, tanto materiale quanto spirituale,
che le varie tradizioni e religioni rivestono di idee e di linguaggi
diversi. L’Innominabile sarebbe lo stato potenziale inaccessibile
alla condizione umana, un mondo comprensivo di quelle che
talvolta vengono chiamate « le forze superiori » e delle molteplici
conseguenze dell’azione delle leggi cosmiche, in gran parte
inconoscibili all’uomo.
Aprirmi alla sua potenza trasformatrice, lasciarmi attraversare
dalla sua influenza finché gli effetti, pur attenuati, del suo potere
vengano a illuminare queste pagine... Ma esiste un linguaggio
capace di esprimerne minimamente la realtà? Ci vorrebbe un
linguaggio poetico in cui l’armonia del verbo avesse innanzitutto
l’obiettivo di tralasciare gli « effetti artistici », di rifiutare i « canoni
del bello » e d’introdurre ogni tanto nell’espressione alcune
immagini e alcune metafore capaci di far percepire gli effluvi d’un
altro mondo.
Chimere? E dalla prima pagina che ci provo, e intendo
perseverare.
122
conducano a un mondo molteplice in cui tuttavia il terrore non sia
più sovrano?
Sarebbe come fissare un limite all’infinito
o arrivare alla soglia del mondo.
123
trasparenza affinché la nostra immagine al suo cospetto venga
continuamente riflessa!
L’Innominabile muto ci parla di un altro Mondo mediante i
sistri e i violini di un’immaginazione estasiata. Forse, ascoltandoli,
percepiremo il segreto che ci farà doppiare il capo in un soffio...
124
Io, al colmo del silenzio, sento che la forza migratoria in
azione, pronta per le cose in procinto di nascere, produce un
rumore d’altro mondo... Tutti i sogni d’una sera svaniscono, le
forme spariscono e mi è restituito il presente senza immagini.
D’un tratto lo spazio è svuotato, e in quel vuoto improvviso spunta
e cresce l’ombra di una futura nascita. Tacere, respingere tutti i
mormorii insidiosi della persona, restare sordo alle istanze
pressanti dell’immaginazione, continuare a ESSERE.
Oh, che desiderio di vivere sempre così!
125
sangue e vittima della memoria, resterà in ostaggio all’età? Egli a
lungo resta incerto e tremante.
Poi la tenerezza gli entra, leggera, nella carne illuminata.
126
instancabile il fremito della Coscienza, sorta come un’isola nuova
nell’oceano dell’oblio quotidiano.
127
L’enigma resta, totale, ma sulla parete traslucida che ci separa c’è
come un riflesso di Conoscenza intraducibile di cui la Presenza si
nutre.
Piegare il ginocchio davanti alla sostanza, ancora presente tra
noi, che A. ha lasciato in coscienza, chinare il capo sotto il peso
delle conoscenze che si levano ai nostri passi, seminate
instancabilmente dalla sua vigilanza costante, ritrovare tutto ciò
che ci ha dato significa ritrovare noi stessi come lei ci voleva.
Comincio a sentirmi invadere dalla sostanza che fa nascere i
frutti.
128
d’erba. E dovrò dissolvermi anch’io... Ma chi è io? Una particella
di vita venuta da chissà dove, passata attraverso un numero
incalcolabile d’esseri umani, miei genitori e antenati, una parte
della quale continuerà il suo percorso attraverso i miei figli, i miei
nipoti - e i loro -, mentre un’altra, certamente comune alle piante
e agli animali del giardino, se ne andrà, aspirata
dall’Innominabile... E ogni cosa che l’accoglieva ne dimenticherà
il nome! Tutte particelle oggi unite dallo stesso fervore di essere,
ma destinate un giorno a estinguersi come fiamme schiacciate dal
crollo della dimora che ciascuna particella aveva il compito
d’illuminare.
Immerso nell’aria colorata della sera e nel brusio silenzioso
della vita celata nel cuore delle piante e degli animali,
l’Innominabile è come un uccello che si posa un istante su tutte le
cose. E che s’invola al mio sopraggiungere.
Morire!... Sarà più facile che comprendere.
129
II
La condizione di Uomo operaio
130
Là dove non s’usano più né tempo né luogo, là dove qualcosa
d’indefinibile mi costringe a perpetuare l’istante - qualcosa che vive
in me e tiene desto il mio cuore - si rivela l’inganno della vita
passata nel sonno. E si compie lo spasmo del presente: in tutta
chiarezza, anche se impregnato dalla notte delle parole. La forza mi
viene dal fatto che, nell’istante medesimo, il Presente è, e non
perché la sua venuta mi conferisca di colpo la capacità d'essere. «
Essendo » a causa sua e tramite suo, io divengo. E divenendo, io
SONO.
La luce non viene più dalle cose sognate; alcune particelle di
verità, frammenti sparsi dell’Unità ancora impregnati dal profumo
dell’origine, si riuniscono e ritrovano il percorso lineare delle
realizzazioni indispensabili.
Allora devo captare nella loro scia la vocazione di essere. Quella
che sale dentro di me irreprimibile quando smetto di « pensarla ».
Può darsi che, nel migliore dei casi, la vita sia solo una
preparazione.
131
E di fronte a loro posso finalmente prendere le distanze e scoprire
dove iniziano le frontiere del « me stesso interiore ». Al loro interno
potrò finalmente cessare di vivere a sprazzi e innescare una catena di
atti che siano cristallizzazione e movimento al contempo? E la cui
densità li protegga da qualsiasi magniloquenza.
Includere poco a poco l’ordine temporale nell’« esoterismo »
della vita, e non fare l’inverso, chiarire il loro comportamento in
opposizione cercando le analogie segrete nascoste in entrambi.
Non essere più il mimo, diventare Fattore e anche - perché no - il
celebrante!
132
Il mondo ottenebrato del vagare quotidiano si popola di specchi in
cui finalmente mi riconosco!
Per un giorno viaggiatore arrivato.
Quegli istanti che sono una grazia, che danno al tempo vissuto il
vero sapore di ciò che c’è di meglio da vivere... Istanti che vengono
ogni tanto a riempire gli spazi lasciati liberi dalle perniciose
manifestazioni della ménte. Questi istanti, che punteggiano più di tre
decadi e mezzo di ricerca fervente, di pazienza consumata sulla
cenere delle illusioni postadolescenziali, segnano la devoluzione
della mia parte di beni promessi.
Seguire la scia delle folgorazioni di coscienza che scoppiano
inaspettate nell’incoscienza quotidiana, e riconoscere così le
confluenze di nuove correnti d’energia. Stilla un sangue libero che
lava le discordanze e porta al sapiente risveglio dell’uomo smarrito...
Allora in me sale come un male necessario la febbre di essere.
Fino all’incandescenza. E io mi levo, subito arricchito dalle opere
dell’istante!
133
Seminare un’area sempre maggiore... È possibile perché il gesto
del seminatore s’è fatto più ampio. E perché s’è allargato il campo
dell’inedito. Il potere creatore del chicco viene quasi a contatto con
l’ospite cosciente che vive in me. Allora si confondono l’essere e il
dire. E, uscito dall’invisibile, si rivela improvvisamente all’opera il
principio di vita.
Origine anteriore di tutto, il potere d’effrazione s’esercita
sull’embrione fino a farlo sbocciare nello spazio di vita in cui
l’incanto della coscienza ha preparato l’aratura.
E l’alba di nuove semine?
Il mio fine è « il mio maestro ». Io, il mio fine e ciò che li unisce
costituiscono « il mio maestro ». Dato che l’attaccamento al fine è il
mezzo migliore per raggiungerlo, « il mio maestro » non può essere
che il risultato degli sforzi fatti in tal senso.
Lo stato di Uomo operaio è una forma concreta di ciò che è « il
mio maestro ». Come avvicinarmi a ciò ch’egli manifesta, come
toccare e far mia l’espressione più armoniosa della materia di cui è
fatto? Oggi devo essere l’artigiano dell’opera creatrice ch’egli porta
in sé. Essere padrone di me, di uno sguardo improvviso gettato sul
destino delle cose, di un gesto dell’Uomo operaio che altri gesti
hanno preparato da tempo, del potere carnale degli atti compiuti
dalla mano di un uomo: tutto questo significa essere « Maestro di ME
».
Ma il bisogno che mi attende prepara la fuga... Stanco di riflettere
sui fini talora intravisti anche nei giorni migliori, mi vedo costretto a
seguire il volo dei desideri e ad ascoltare il lamento infinito che mi
134
abita. Oggi devo andare dall’altra parte delle cose. Ma non ho il
coraggio di soffrire abbastanza!
La mia terra è un’isola, ma io mal mi adatto all’insularità.
135
Vi sono parti di me che diventano più belle... Parti interiori,
beninteso, desiderate da sempre, che in silenzio confermano la loro
fama. Respirate da forze in sviluppo, esse concludono i momenti
preziosi, suscitati dal pensiero, in cui fioriscono le mie differenze.
Ma siccome bisogna, come diventare più di ciò che mi sento
essere e mi dico di essere giù nel profondo?
136
Rinsaldarmi nella sensazione per poter valutare finalmente me
stesso. Chi mi sta attorno e mi giudica è in grado di farlo meglio di
me? Chi può imparzialmente alzare lo sguardo dal suo mondo
interiore al mio e trarne indubbie certezze?
Mentre brilla l’istanza più alta e si manifesta al centro di me la
forza occulta della Coscienza, è Torà di conoscere finalmente la mia
consistenza.
A tal fine devo guardare la filigrana in trasparenza.
137
Seminatore d’ineffabile, dispensatore di prodigi, così si riconosce
l’istante che l’Uomo operaio riempie della sua presenza. Io invece
resto l’incerto, come aprile per gli alberi da frutta.
138
alle grandi speranze... Le mie cose di un tempo, derrate ormai
guaste, assillano ancora la verità che mi abita... Ahimè!
Ritrovare al più presto ciò che nutre le fonti permettendo che,
davanti alla ribellione del mondo associativo, la specie umana,
ancora intatta, si perpetri incessantemente.
139
III
La grazia dei limiti
Agli incroci che mi chiudono fuori dal mondo in cui vorrei cercarmi
pendono alcune ombre. Brandelli di frasi svolazzano ai confini dei
mari senza rive: pensieri oziosi, forme sepolte che si aprono un
varco tra la materia e la luce, fra lo spirito e la solidità.
L’obsolescenza dei mezzi diventa lampante, i templi sono ancora
lontani, i luoghi nei quali un tempo amavo rinchiudere l’universo
hanno svenduto i loro arcani e offrono al mio sguardo disincantato
un rovescio famelico...
Vagolo senza progetti con la testa ingombra di tracce ancora
fresche di cose che, seppur impazienti di essere proclamate,
dimenticano se stesse. Sommerso dal fiorire di pensieri indifferenti,
legato al rigoglio delle immagini, attento mio malgrado al brusio del
discorso interiore, agisco solo in ricordo dei nulla che un tempo mi
sono stati essenziali.
In questo giorno d’assenza mi piace portare il lutto: quello per
l’adolescente perduto sin dall’inizio.
140
Essere: piacere plenario, poesia senza parole.
141
Fogli sparsi del Segno e del Verbo! Così un giorno ho definito
queste mie brevi note.
Fogli sparsi impregnati di vita sui quali s’iscrivono parole che
significano, parole da cui restano il più possibile esclusi il valore
geroglifico della scrittura e la musica mentale del linguaggio. Fogli
sparsi nati da un istante di presenza: rileggendoli constato di nuovo
la difficoltà di trasporre la sensazione vibratoria vissuta nell’istante
dello sforzo in un ammasso di vocaboli che dovrebbero esprimerla al
meglio. E, accettando ogni volta di provarci, finisco solitamente per
ottenere la scomparsa quasi totale della sensazione da comunicare.
Il verbo è interprete del segno che a sua volta è interprete
dell’esperienza vissuta: due intermediari successivi, vale a dire due
occasioni di tradire il principio originario che intendo servire.
In questi fogli sparsi traspare abbastanza l’inquietudine che nutro
in proposito?
142
Questo spazio a metà strada fra mito e testimonianza,
indissociabile dall’uno e dall’altra e in armonia col ritmo del mondo,
va avvicinato con rispetto, ma anche con timore. Dato che scaturisce
direttamente dallo strumento umano, dare un nome a ciò che
l’essenza stessa della vita produce equivale a sottrargli gran parte
della sua realtà.
Più nuda d’una spada sguainata, l’attenzione arde in direzione del
vuoto mettendo all’asta le mie brame più forti.
SULLA TOMBA DI A.
143
L’aspra felicità di un gesto volontario compiuto nelle sere in cui
il silenzio moltiplica le stelle, dopo una giornata d’oblio.
Una brezza leggera trasporta il polline dell’attenzione verso
incessanti fecondazioni. E freme già l’embrione, obbedendo
all’oscuro disegno della Creazione. Fecondando il pensiero e
unendosi all’incandescenza del sentimento, il fiore raro della
Presenza spande profumo.
Come la linfa salita dalle radici più profonde va a morire all’orlo
delle corolle appena sbocciate, così trema un singhiozzo sulle mie
labbra... La Presenza si fa e si disfa seguendo le tensioni e i
rilassamenti. Piegata sotto il mio carico di sonno, la sua potenza mi
drizza, e la Presenza mi depone sulla fronte il suo colore di rosa,
preludio a felici successi. Come abbracci d’amanti!
Nelle feste dell’ombra serale l’uomo dentro di me comincia a
essere.
Era ora.
144
Attorno alla Coscienza si costituisce lentamente una zona di
conoscenza che ravvolge: un’atmosfera piena di vie silenziose,
luogo d’incontri, di legami e di scambi. Anche zona di sofferenza,
trappola dell’oblio che rinasce continuamente; fonte di perpetui
tormenti, vi nascono allo stesso tempo il lampo del simbolo e la
menzogna dell’ego, l’astratto e il concreto, la materia di cui è fatta
la Presenza e gli strettissimi nodi fatti dai sistemi contraddittori.
La sarabanda dei pensieri associativi vi dispiega i suoi fasti mentre
forze ancora ignote, sepolte nell’innominato fin dall’inizio del
mondo, si levano risvegliando chissà quale nostalgia inaspettata.
Zona di conoscenza dove il passato ha lasciato solo tracce
leggere, in cui i luoghi e le epoche si confondono; presterò
sufficiente attenzione alla comparsa dei Segni, comparsa che
avviene laggiù, nella sua infinita diversità?
E saprò rispondere per le rime all’invettiva dell’istante che
tende ad allontanarmene?
Estasi alla mia misura: così sono i punti forti della linea
melodica che oggi lo sforzo suscita in me.
145
Ed è proprio così che bisogna immergersi nelle sue profondità.
Pena l’insabbiamento definitivo.
Non sto forse scoprendo che basta fare alcuni gesti, dire alcune
parole, provare alcuni sentimenti ed espellere alcuni falsi valori
perché tutto sia diverso? E per sempre!
146
Entrare a occhi aperti nel vasto miracolo di vivere... Devo
lasciare i luoghi in cui sono, partire, scavalcare lo steccato del
futuro da cui sono punteggiato a ogni istante, farmi carico di ciò
che trovo dall'altra parte... A tal fine devo sbarazzarmi delle
abitudini, cacciarle a calci fuori dal mondo, resistere alla pressione
del Tempo chiamata impazienza, arrancare sul sentiero fino al
cuore di me stesso, fonte e tomba da cui provengo e verso cui
vado, duplice nube d'ignoto...
Non ero « io », ancora.
147
in modo che cominci a brillare sulla tomba in cui giace l’Uomo, in
piedi, frutto che persiste a essere, nato dai rami della Creazione
nel vivo dell’eterno...
Separate dal Tempo, alcune particelle distinte da ciò che mi
sento essere s’inclinano talora davanti alla vita iniziale che sorge e
s’espande. Dal centro del corpo, base inespugnabile dell’esistenza,
sale, vita contro vita, un raggio che mi tocca la fronte in quel
punto privilegiato che si trova a uguale distanza dai due fuochi
dello sguardo... Lontano dalle terre ombrose del quotidiano e dai
tiepidi sudori dello sforzo, il « prima » è svanito. Che cosa dentro
di me nutre d’un tratto la luce? Tutto diventa immenso, persino la
gioia.
Soprattutto la gioia!
148
Perché avvenga la muta delle vanità che mi riempiono: ai limiti
del mondo d’esilio talvolta raggiunto dai miei desideri, ritrovare il
punto in cui è cominciato il declino dei tempi giusti...
Chi mai, alla deriva del secolo, mi ha trascinato lontano dalle
rive natali, all’opposto del luogo in cui risiedeva il mio bene?
Il dono d’intere panoplie destinate soltanto a nutrire i sogni, le
opacità cadute come un velo sulla mente attiva, le croci bianche
fatte nelle sere festose (nient’altro che segni delebili), gli istanti
senza memoria e l’oblio delle opere manuali, il riposo sui morbidi
letti, i falsi riflessi di ciò che ho percepito all’alba dell’età adulta, è
tutto questo, senz’altro, che bisogna gettare nell’ombra perché
avvenga la muta.
E perché, attraverso la grazia infinita delle forze sfiorate, io
abbia finalmente accesso alle glorie umane promesse da sempre!
149
IV
Ricongiungimento
150
Siccome alcune proprietà sono caratteristiche della materia
erbale, la scrittura non può esprimerle. Perciò talvolta le parole
udite hanno più forza di quelle lette su un pezzo di carta.
La frase scritta nuota nell’acqua trasparente prima di scornarne
come un segnale spento; la parola è un’arma carica in gra- o di
sparare il segreto che contiene prima d’essere detta. Alcuni
pensieri tremano sulle labbra delle parole emesse, la voce risuona
e s’accorda ai rumori abituali, ma è a mezza voce che si dicono le
parole del ricongiungimento, quelle che hanno il potere di
smascherare l’indicibile verso cui l’uomo deve salire grazie alla
scala d’oro del silenzio... Parole animate da una fiamma vacante
come un battito cardiaco sul punto di estinguersi. Parola, canale
indispensabile per ritrovare la fonte delle forze creative, ma
incapace di rivelarne la vera natura. Parole che all’ascolto
costringono a piangere... inebriate dai tesori dell’indici- ile, capaci
di squarciare le tenebre...
Invece lo scritto può solo raccontarne la storia.
Insoddisfazione perpetua.
Inciampiamo sulla materia, ci areniamo sulla mancanza
d’energia. Drogati dalla persona, malati di abitudini e di
ripetizioni, ubriachi di sogni, come agire perché lo spirito precipiti
nel crogiolo dell’anima e acceda ad altre dimensioni? Rosi dal
pensiero, decomposti da emozioni incontrollate, rinsecchiti
dall’indifferenza, saremo un giorno capaci di affrontare la morte a
occhi aperti?
Siamo soltanto in vista del problema?
Eppure... Quanti segreti ci vengono incontro ogni giorno.
a ci preoccupiamo di sollevare il coperchio per farli entrare,
sappiamo stancare il rifiuto?
151
sua purezza. L’attenzione alza le antenne verso la chiarezza
lasciata dai miraggi della durata. S’indeboliscono alcuni valori
caduti dalle prigioni senza sbarre in cui li tenevo. Scavalcando
secoli sepolti fuori dal mio spazio abituale, sento il vomere
rivoltare gli automatismi dentro di me. Colpite da vibrazioni
incrociate, le vecchie parole del linguaggio faticano a ritrovare
l’Idea, e il cielo aperto della Presenza lascia entrare una sostanza
che si deposita al fondo di me.
Forse un giorno bisognerà scendere a prenderla o, viceversa,
bisognerà esserne presi. E non mostrare alcuna ingratitudine,
lasciar svanire la schiuma delle cose, aggrapparsi alla roccia che un
tempo mi faceva colare a picco, là dove mi attardavo nelle ombre
passeggere e sentivo profumi: scorie odorose di forze esaurite...
Avanzare senza paura, adesso.
E come un fuoco che s’accende e divampa!
152
particolare comune a tutto l’universo, superstite del cataclisma
quotidiano.
Ecco l’uomo!
Saper dire.
Dire giusto. E camminare. Andare di miraggio in miraggio fino
alla meta: la Coscienza.
Oggi che si placano i rumori del mondo intorno a tutto ciò che
so e a ciò che sono, in questo periodo inesorabile di riflusso della
mia vita, sul gradino della porta che si apre sulla Coscienza sento
dirsi le parole ardenti di cui la mia storia è intessuta...
I miei atti si allontanano come l’albero che si fonde con la
foresta cui appartiene. Le albe sono mute e spesso senza speranza,
mentre mi parlano i crepuscoli venuti da opposti versanti, dove
nascono aurore fin qui mai concepite. Ogni mattino nasco carico
di notte, ma provvisto della chiarezza portata dal rimedio che
dovrò conquistare tutto il giorno... Affinché le opere entrino in
me e s’affermi il potere di essere: parte divina a lungo smarrita
nell’uomo nascosto sotto mentite spoglie.
Finché si operi il ricongiungimento e si affermi ben chiaro che
sono un uomo.
153
flusso improvviso come quello del sangue tumultuoso nelle sere
d’amore.
E s’apre la Coscienza al mattino di un’età che non conosce
declino.
154
Una lunga confidenza, un giorno intelligibile.
155
Su quali morti vegliano i fiori dei campi? Falciati insieme al
grano e strappati dalla terra su cui la natura li ha incastonati per
una breve stagione, i fiori perdono contemporaneamente la
verticalità e l’anima.
Fiori per festeggiare la nascita, fiori per onorare la morte! Il
loro profumo non è forse fatto solo di risposte mai date? Tuttavia
l’ape e la farfalla domandano, e ne ricevono una messe di gioia
spensierata e di miele... Ma i colori esuberanti, e i semi, e i frutti
che nascono con l’aiuto del vento?...
Allora riprendono a parlare le voci prese in prestito dalle
risposte.
156
sotto l’egida di una pianta comune mi sembra un felice presagio.
Nell’istante di calma posso lasciar spaziare lo sguardo su ciò che
nell’adolescenza mi è stato sottratto, posso scavalcare il periodo in
cui le parole cariche di significato non hanno più avuto presa e in
cui i fiori non hanno avuto profumo, affinché un giorno il fiore
della « ricongiunta » partecipi col suo profumo ai supremi
ricongiungimenti dell’Essere.
157
Svaniti i presagi, mi è concesso di vivere; mi serva di lezione, e
scoppino le risposte gettando alle tenebre i satelliti della ragione.
158
L’istante in cui, varcata ogni frontiera, la celebrazione del
Presente comincia... Come un ritorno alla magica sorgente
dell’infanzia, quando tutto era festa - il mattino, il mezzogiorno e
la sera, ciascuno con la sua gioia - e quando tutto era vasto: le
praterie, i deserti, i suoni, i profumi, ogni minima impressione.
Sembrava che tutto dovesse durare per sempre, ogni evento si
lasciava dietro non solo un ricordo ma qualcosa di più, la felicità
mi risuonava dentro come un cristallo, le mani e gli occhi si
richiudevano sempre su qualche meraviglia... Epoca ancora vicina,
anzi, appena trascorsa!
Oggi la Presenza mi lascia in bocca un gusto di vino nuovo, e
regna sovrana dentro di me come un invito supremo a vivere.
Luogo di confluenza, punto atemporale in cui convergono tutti i
movimenti della vita, sintesi d’influenze vicine e lontane, forza
senza violenza, lingua senza parole, materia-spirito più qualcosa,
per l’Essere allo zenit la Presenza è puro diletto.
Io, privo di senso e giunto da un paese senza nome, lascerò
finalmente per sempre l’esilio, approderò alla riva su cui si
risolvono i contrari, mi allontanerò dall’uomo parolaio e sognatore
per « essere » semplicemente, per essere l’Uomo? Atto e sogno al
contempo.
Raccogliere le cose sparse e ascoltare il canto del vivente,
mentre è ancora tempo...
159
Dentro di me un cielo fatto a mia misura; fuggire la caverna
senza tetto in cui passo la vita... Tremante e allarmato da tutto ciò
che striscia e ribolle dentro di me, ascolto i rimorsi di coscienza
parlare a bassa voce. Nel giardino contiguo al recesso della caverna
in cui poco fa mi trovavo, la Presenza fiorisce con ombrelle
odorose, dominatrice perché ha domato il Tempo: tanto il passato,
viaggio compiuto con ciò che non esiste più, quanto il futuro, un
silenzio che regna dietro i muri di una vecchia casa sprangata...
Talvolta il passato ritorna e m’assilla. Il futuro dorme ancora fra
lenzuola piene di fronzoli ed emana un odore fallace, appena
avvertibile, che mette in dubbio antiche certezze. Non
svegliamolo.
160
V
Il silenzio ascoltato
161
Presenza, complice degli abbandoni più dolci: un giorno ho saputo
in confidenza che il silenzio gradisce essere ascoltato.
Ma già sento un passo che in me s’allontana, pronto a
raggiungere il territorio dei grandi clamori.
162
comune gliel’ha attribuito. L’attento ascolto consente
d’individuarlo e di evitarlo.
Poi, come si passa dalla luce all’ombra nelle ore sempre più
lunghe della sera, il silenzio riprende il suo volto e si popola di
mormorii che rivelano atti in procinto di compiersi.
163
uno sviluppo dal « prima » al « dopo », mentre l’intelletto trae da
altri « continui » gli elementi - le idee - che costituiranno un
insieme complesso di atti potenziali. È così che si svolge
l'attività della funzione intellettuale.
La materia intellettuale - come peraltro quella emotiva e il
mondo immenso della sensazione - è un caos in cui la « Presenza a
se stessi » crea momentaneamente un certo ORDINE. La sua
immanenza provoca uno scompiglio nello svolgimento automatico
dell’attività funzionale e apporta un « di più » che cambia
totalmente l’eventuale percezione dell’evento considerato.
La « Presenza » fa giustizia delle sterili speculazioni
intellettuali, dei morsi del piacere e delle rivendicazioni
sentimentali.
Istigatrice di atti volontari, la Presenza reclama ogni volta il
dovuto. Il silenzio - interiore, s’intende - è una delle sue esigenze
primarie.
164
Qui ogni luogo ne contiene un pochino. I sentieri dei boschi
respirano la luce del mattino e ci conducono lentamente al riposo
serale, il silenzio rintocca tra le nevi delle montagne, i torrenti che
non cullano mai il cielo rumoreggiano fieramente e si tuffano a
valle. Come un tempo.
Tuttavia la felicità si spaventa d’ogni nonnulla: il fruscio del
vento ne increspa la superficie e la spazza via a brandelli;
stamattina nei prati tu hai raccolto un fiore di raperonzolo che
ancora adesso trema nelle tue mani, prima di morire di una lunga
agonia nel vaso in cui verrà messo. Ma la felicità - grazie a Dio -
non smetterà di fremere nelle radici intatte né di risplendere
ardente fra noi.
La felicità è ancora qui, io non oso soffrire.
165
fluidi in cui sono radicate le forze vitali, significa più di quanto
l’uomo di memoria sia normalmente capace.
Il meglio della mia carne, il meglio di me stesso in pericolo di
morte, di colpo a cospetto dell’offerta divina d’immortalità...
Abbandonare nella scia dei pensieri sovrani gli antichi sogni di
gloria, mantenere la prua puntata verso il cielo, spiando il segno
scritto al centro delle due immensità, e vincere!
166
La memoria è simile alla morte nel senso che, se la memoria
non esistesse, l’uomo - perso d’un tratto il suo materiale - non
sopravvivrebbe all’istantanea assenza di impressioni. Dato che
nulla troverebbe in lui qualcosa cui collegarsi, l’uomo si
troverebbe completamente isolato dalla corrente vitale senza cui
la sua vita non può esistere.
« Senza impressioni l’uomo non può vivere un solo istante » (G.
Gurdjieff).
La memoria fa sembrare che il passato esista adesso, cosa non
vera. Il passato non esiste più, proprio come la vita - perlomeno
sotto la forma che mi è nota - non esiste più dopo la morte. Io
percepisco la vita attraverso la sensazione di ogni istante presente.
Però posso percepire il « Presente » solo attraverso strumenti
educati da atti trascorsi, ossia grazie alle tracce lasciate in me dalle
impressioni ricevute e conservate nella « memoria ».
E strano e paradossale questo parallelo fra la memoria e la
morte...
La vita, la morte, il Presente, la memoria: enigmatiche offerte
della Natura!
167
La vita è affetta - tra 1’ altro - da possessione progressiva del- T
avvenire; ciò che non ha più vita non ha più avvenire. Lo svolgersi
del Tempo che chiamiamo « avvenire » è strettamente legato al
fenomeno della vita. Il « Presente », nel momento stesso in cui
nasce, è P avvenire di tutte le cose vissute, V avvenire di ciò che è
stato. Di conseguenza è passato, presente e avvenire
contemporaneamente.
Ed è proprio Listante così vissuto e sentito che si deve chiamare
Presente.
168
All’interno improvvisamente tutto s’illumina sotto la scorza.
Chi mai ha favorito lo zelo? Quando è avvenuta l’aurora? Mi è
dato di gustare il sapore di un silenzio spoglio e puro sul quale non
crescono più le erbacce di un tempo, di un silenzio eccelso che
credevo inaccessibile. La vita si definisce. Immunizzati contro il
sogno dalla luce presente, gli istanti si succedono in me come una
fontana maestosa da cui zampillano fiori e frutti in un grande
sfolgorio di colori...
Per raccontarlo « veridicamente » dovrei elevarmi alle cime più
alte del linguaggio!
169
La montagna s’innalza e nasconde le insidie dietro fitte foreste.
Calma e ammantata d’erbe e d’arbusti di cui non so il nome, la
montagna va sorpresa nelle ore solitarie del mattino. Ore in cui la
neve spazzata dal vento sfiora le rocce dei picchi, più fresca
dell’acqua proveniente dagli altopiani, mondo di fragili movenze e
di candore ben presto macchiato - come il linguaggio della
coscienza nata dallo sforzo e guastata dall’abitudine. Ma i sentieri
battuti spariscono di nuovo sotto la neve, e l’uomo si perde nelle
distese immacolate che, riformandosi continuamente, coprono la
ricerca come un lenzuolo.
Montagna, rifugio supremo del silenzio felicemente sparso sulla
mia febbre, immagine altera della coscienza sulla quale volteggia
instancabile uno stormo di aquile nere annidate nell’estuario della
corrente associativa che albergo dentro di me...
Ricalcando le mie orme camminerò fino ai luoghi di silenzio
situati nel punto più alto o nel punto più basso di me, luoghi di
presenza troppo spesso cancellati dalla neve dell’oblio. Ma presenti
sempre, continuamente...
O silenzio!
Prima che l’Eterno Silenzio scenda sulla mia vita, amo cantare
l’ora presente sul versante dell’alba - il versante della morte -,
davanti ai flutti marini o sui balconi fioriti prospicienti le nevi più
inaccessibili. La vita, in festa come nei giorni di presenza più
eccelsi, vibra di gioia fugace; pensieri e sentimenti hanno un
proposito di risveglio, e il corpo smemorato, in attesa di satollarsi
170
di nuovo, contempla la morte lontana senza battere ciglio...
Sento anche il gusto di essere: quanto m’aiuta il silenzio!
Smettere di parlare dell’opera, restare invece presente al suo
regno, ignorare i bugiardi e gli usurpatori, i vanitosi e gli
impostori...
Davanti a tutti costoro, tenere la bocca chiusa nel grande
silenzio postumo in cui sprofonderanno i pensieri, i desideri e le
sensazioni presenti al momento dell’ultimo appuntamento...
171
VI
Presenza del respiro e del sangue
172
Ciò che io percepisco è un altro « mondo », un altro « spazio »,
un altro « tempo », e le nozioni di « essere » e di « coscienza »
risvegliano in me un’altra « realtà ».
Ma forse proprio questo senso aggiuntivo dà consistenza - e
valore - alla Presenza che pian piano m’impregna il respiro e il
sangue!
Venuto dagli immensi spazi del cielo, nato dagli abissi celesti,
ecco il sogno dell’uomo. Nell’emergere dalla notte esso effonde
lungo il sentiero esalazioni di saggezza e vaga nei luoghi confusi a
lui assegnati finché non riconosce le carni in cui terminerà la sua
scia.
A un tratto la Presenza sgorga improvvisa come un’oasi di
frescura nel deserto del sogno! io si leva vincitore, legato allo
sciame dei sogni abituali, io ritto davanti ai miei sogni: atto
fondamentale da cui nasce la Presenza minacciata dal sonno. Il
mio sguardo diviso li popola entrambi, l’opera sussulta, si
presentano nuove forze per un nuovo lavoro.
E il vomere solca, solca instancabile la terra bagnata da questo
mio sangue.
173
Disimparare un sapere che non mi ha fatto conoscere nulla...
Talvolta è come strapparmi la carne a brandelli.
174
purpurea dell’azione, andavo tra la folla con la bocca affamata di
parole e il corpo assetato di gioie, adoprandomi per i frutti sperati.
Tutto questo è finito, ma dal fondo della coscienza sento emergere
il flusso vivace della Potenza ricevuta in dono perenne al
momento della concezione. Ne mantengo l’ardore benefico. E
vedo grazie al fuoco delle sue fiaccole accese.
Da questa parte della sera in cui vado verso la nascita, quando
nella carne sento vibrare la vita sui percorsi del sangue, mi ricordo
di « essere » istante per istante. E sento fremere il respiro nelle
trachee aperte come permanenti equinozi!... Poi avverto un colpo
improvviso. La Presenza apre la strada a una sensazione organica
che man mano aumenta: un’onda s’allarga e mi riempie come
quella formata da una pietra che rompa uno specchio d’acqua
tranquillo... Essere e percepire sotto lo sguardo dell’occhio
interiore aperto, sgombro d’un tratto dalla sua notte!
Allora mi sale alle labbra, più forte, il solito gusto d’argilla,
subito sfiorato da un sentimento richiamato per mia volontà. Già
in precedenza quel gusto bussava alla porta mescolato all’aurora
del primo istante di veglia... Eccolo incedere nella luce a falcate
leggere e inoltrarsi alle cime del vero... Essere e sentire alla
fiamma della coscienza man mano avvivata!
I brusii del secolo moribondo ritornano a infrangersi sulla mia
greve età di cui m’ero scordato, trascinando con sé la mia presenza
oscillante mentre s’infiamma di nuovo il desiderio di essere:
respiro indelebile, immagine dei ritmi immutabili dell’Universo.
Sentieri di brace, sentieri di cenere su cui arranco ricurvo!
175
del sangue. O Presenza, i tuoi atomi di luce, da cui traggono vita e
fulgore tutte le luci, diventano promesse d’embrioni, semenza
d’esseri... Sono vita e verità per il tempo del risveglio.
I tuoi atomi, dopo aver brillato un istante nel cielo della mia
vita, a poco a poco s’incarnano in me e irradiano luce, cancellando
il richiamo ansioso della mia fragile umanità. La luce della
Presenza è come il chiarore dell’alba che attraversa le nuvole
spesse addensate tutt’intorno al mio corpo. Improvvisamente
legato allo strale che mi porta verso altri lidi, caricandolo delle
emanazioni più sottili prodotte dall’immediata concentrazione
delle forze che mi abitano, io vado, continuamente accompagnato
da tali emanazioni, allacciando alla scia del dardo le forze di cui è
carico affinché nulla si perda dei suoi più elevati disegni!
La Presenza lascia cadere sulla mia vita una manciata d’istanti
privilegiati, come un cielo che d’improvviso spolveri la terra di
stelle...
E intorno a me lo spazio ne resta a lungo fertilizzato.
La dura sostanza della carne offre una forte resistenza alle forze
vive prodotte dalle cose sorvolate. Lo spazio si popola di correnti -
l’una s’innalza, l’altra mi viene dall’Alto: sottile continente in cui,
nel silenzio siderale della Presenza, le traiettorie s’incrociano
senza incontrarsi. Finché una terza corrente non ne congiunge le
rive, intesa novella nata sull’ala d’un respiro, sedimento divino
formato da sette strati, sette lieviti e sette fermenti.
L’opera prodotta dalle tre correnti freme sotto il mio sguardo
teso. Ciò che va alla Sorgente s’unisce a ciò che ne sgorga con un
movimento sostenuto da me, me l’Immobile, me il Presente. Il
gesto in cui sono impegnato è come un gesto che avrebbe potuto
far Dio: una nuova terra ancora inimmaginata spodesta l’irreale
che tanto mi ha fatto sognare! Finalmente potrò suggellare
l’espansione della coscienza e fare in modo che duri, fissata dal
lampo istantaneo all’incrocio delle strade... Momenti simili a
tappeti di piante odorose, momenti più vasti del mare, gravidi
d’albe lucenti e ricchi di effluvi che sanno d’infinito.
Momenti così dovrebbero essere i soli a riempire il tempo che
ancora mi resta!
176
Noi, uomini d’oggi che abbiamo preso il posto dei morti
avvolgendoci nel loro sapere come dentro un sudario, e che a
nostra volta siamo diventati guardiani alle porte del nulla e nunzi
alle soglie del futuro, sapremo lasciare in dignità il nostro posto tra
i vivi quando il sangue non pulserà più? Nei campi d’argilla in cui,
tendendo impauriti l’orecchio ai precipiti passi del Tempo e ai
clamori delle ostilità, viviamo piegati dalle colpe di un’umanità via
via più gravata di debiti, ogni tanto è necessario ritrovare i sentieri
della preghiera sui quali assorbire, inspirando, la sostanza - più
fresca dell’acqua sorgente - che nasce dall’orazione. Sospinta dal
montare dei segni, essa rivela d’un tratto un gusto di sale e di
miele che fa restare col fiato sospeso e ci sottrae ai sogni
insaziabili...
Predatori sulle tracce di quella sostanza, batteremo i sentieri
del pellegrinaggio usurpando la grazia dei santuari, cingendo i
gioielli esibiti dalla coscienza, adornandoci con le trine dell’anima
nascente, fino ai primi fuochi del risveglio, attenti ai sussurri che
tardano a uscire dalle labbra dei Signori della preghiera.
177
marcia, alimentato dalla sostanza maschile dell’io presente...
Profumo di anima in gestazione attiva. L’orecchio interiore sente
la tempesta che si abbatte là dove indugiano gli automatismi. Cose
sapute e fatte se la squagliano nell’oscurità, il sangue dell’anima ha
cambiato colore: prima ero la Fonte, ora sono anche la fontana. E
l’acqua che sgorga. E la sete che suscita. Il mio corpo eretto, che
maschera tutto questo, ne riceve riconoscente l’offerta come il
latte in tempo d’infanzia.
Quale mano m’ha improvvisamente vestito della tunica lieve
necessaria a percorrere la via sulla quale io SONO? Il mio sguardo
penetra nel vivo dell’essere, e al ritorno si lancia impetuoso verso i
cieli della Presenza, dai quali esce vuoto dopo il dono deposto per
l’anima...
Momento grandioso in cui là, sulla Soglia, ambedue non
eravamo che UNO.
178
L’età e il tempo non m’interessano più come prima. Il futuro
gonfio d’ombra dorme nell’ignoto senza crearmi ansietà. Non
invidio i piaceri promessi dal secolo ormai imminente. Buon
complice della frode giocata dalla felicità, proverò certamente
tristezza all’estinguersi della fiamma che in me nutre l’insistente
bisogno d’amare.
Oggi offro la veglia all’umile voce dell’Ospite presente che
spesso mi anima, alla sensazione sempre più vicina all’oggetto, al
vivace potere delle cose che appaiono nella concrezione primaria,
e soprattutto all’Amore... All’amore senza armatura carnale,
all’amore per l’umanità, scritto fin dal primo giorno nei panegirici
del mondo... Abbraccio nato dalla spuma di un piacere dispensato
da labbra ricche soltanto di parole appartenenti al Sapere... Il sale
di ora e il sangue d’un tempo mescolano il proprio sapore ai
fremiti del nuovo abbraccio che mi viene gratificato.
Abbraccio che per me è simultaneamente conoscenza e piacere,
acconto di gioie promesse da un tempo che sta per finire. A mani
giunte e sguardo sereno continuo il mio viaggio senza ritorno.
179
Ma se è giusto appurare, tocca a me giudicare?
L’aria che respiro mi aspira verso un ME smemorato vagante su
piste di tenebra lungo le quali a lungo ho errato tra ogni risma di
usurpatori e di mantenuti. Rotto ogni laccio, l’aria materna mi
porta all’uscita del labirinto, fuori dal sepolcro che mi sono
costruito nascendo.
Lì, senza colpo ferire, posso misurare la magra del sangue
pulsante contro l’argilla umana che lo contiene. Il respiro vi lancia
il suo seme - germe d’anima in pieno sviluppo - che farà
indietreggiare la morte.
L’aria e il sangue prolungano la mia delizia: e io ricordo... Un
deserto gelido s’è acceso di braci: il passaggio di Dio lascerà il
segno dentro di me.
180
vissuta ogni giorno e la perennità della coscienza - sentita al
contempo nel suo movimento e nella sua immanenza - possano
coabitare, mi sembra di estrema importanza.
Tra qualche settimana - forse tra qualche giorno - metterò la
parola fine al resoconto laborioso della mia lunga marcia, durante
la quale, nel tentativo di far posto a un’opera più elevata, di
ritrovare i desideri o i bisogni anteriori alle mie sazietà d’uomo
adulto e di riallacciarmi, nella solitudine assoluta della Coscienza
aperta, alle forze comparse da poco, ho cercato di lasciar cadere
per strada le croci, le tiare e gli scettri a lungo ostentati dalla mia
persona orgogliosa.
Gli anni sono passati. Oggi devo impormi un’ascesi nuova. Ma
prima che sprizzino le ultime scintille provocate da una ricerca
ostinata, perché non gridare davanti a tutti le mie gioie e le mie
sofferenze, compagne infaticabili degli ultimi quarantanni di vita?
E prima di smettere una volta per sempre, perché non confessare,
spinto dal rimorso, le menzogne a lungo celate nell’ombra delle
fiaccole accese e le debolezze volontariamente taciute?... Ma è
davvero necessario? A questa svolta della mia vita, alla soglia
dell’età pesantissima che già mi grava sul corpo, perché non
riguardarmi e risparmiare energie? Che succederà domani, per
quanto tempo avrò ancora la forza di spandermi attorno una
quantità sufficiente di valori monetizzabili? In realtà tutto ciò
m’importa ben poco!
Nelle mura della Cittadella che abbiamo assediato insieme si
aprono finalmente le brecce agognate. A ciascuno il compito di
allargare quella prescelta per tentare il passaggio. Buon lavoro a
noi tutti!
181
misura - e dell’assenza di ogni misura - dove, da qui o dall’al di là,
prima o poi dovremo arrivare.
182
ciò che chiamavo « avvenire », si delinea il caos del possibile di cui
è fatto il futuro, lasciando intravvedere ogni tanto un frammento
del probabile momentaneamente in esilio.
Oggi per me sono entrambi un peso accettabile, tanto più che
man mano s’abbassano, leggère, le palpebre del desiderio. Ora non
mi resta che scendere le ultime rampe del versante rivolto
all’aurora, fino al luogo preciso in cui, dietro a me, la porta sarà
chiusa per sempre. La mia parte mortale recalcitra, rifiutando le
risposte ben note e quelle prive di nome... E dunque vivere co- s’è
stato? A lungo ho schernito la morte illudendomi di esaltare la
vita. Poi è venuto il tempo dell’offerta che ho ricevuto, e adesso
per lunghi momenti tutto tace nella mia carne. Oggi l’alleanza
risplende, ma, per quanto io faccia, verrà presto il momento di
lasciare le vette del piacere, di spegnere le luci che adornavano gli
istanti di presenza sovrani e di abbandonare all’oblio le feste del
Sapere!...
Le terre sconosciute dove il sangue e il respiro non possono
vivere si levano già all’orizzonte, offrendo alla mia solitudine il
mistero di un altrove insondabile... E ben presto - destino fatale -
dovrò attraversare il muro del Tempo, barriera sorniona dietro cui
lentamente matura la morte.
Autunno 1985
183
Indice
Avvertenza 9
Parte prima
Recitativo per la coscienza
I - La soglia 13
II - Fogli sparsi del segno e del verbo 32
III - Conservare il ricordo 40
Parte seconda
Parole d’alba
I - Erranza 69
II - Strada facendo 83
III - Alti e bassi 95
Parte terza
La presenza sovrana
I - L’Innominabile 121
II - La condizione di Uomo operaio 130
III - La grazia dei limiti 140
IV - Ricongiungimento 150
V - Il silenzio ascoltato 161
VI - Presenza del respiro e del sangue 172
Volumi già pubblicati
1. G.I. GURDJIEFF
Vedute sul mondo
reale
2. ISHA SCHWALLER DE LUBICZ
Her-Bak « Cecio »
3. ISHA SCHWALLER DE LUBICZ
Her-Bak Discepolo
4. AMADU HAMPATÉ BÀ
Il saggio di Bandiagara
5. FRITZ PETERS
La rasatura del prato
e la costruzione di sé
6. NATSUME SOSEKI
Anima
7. I. HENRI THOMASSON
Prima dell’alba
8. G.I. GURDJIEFF
Racconti di Belzebù
al suo piccolo nipote - voi. I
9. LEO ANFOLSI
Bananananda
10. G.I. GURDJIEFF
Racconti di Belzebù
al suo piccolo nipote - voi. II
11. HENRI THOMASSON
Bagliori dell’anima
Finito di stampare
nel mese di maggio 1992
dalla S.A.T.E. s.r.l.
di Zingonia (Bergamo)
Printed in Italy