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ADOCENTYN

QUADERNI TEMATICI DI
ESOTERISMO GEOPOLITICA
VARIA UMANITÀ
(Agosto 2016)

LE SETTE TESTE DEL DRAGO VERDE


Puoi leggere o non leggere!
Bruciare o conservare!
Aggiungi putredine alla putredine.
Noi della stirpe degli Hywel Dda, principi del Galles,
siamo morti...
(Gustav Meyrink, «L'Angelo della Finestra d'Occidente»)

ADOCENTYN quaderni tematici di esoterismo, geopolitica, varia umanità.


Pubblicazione amatoriale privata fuori commercio riservata ai promotori
editoriali.
© by Vittorio Fincati 2016. Pubblicazione depositata. Tutti i diritti riservati. E'
fatto divieto di riproduzione e diffusione anche digitale e su Internet. E'
consentita la menzione di brevissimi contenuti di testo purchè si citi la fonte e il
titolo del quaderno.
Direzione: remomangialupi@gmail.com - Stampa: via Luca della Robbia 3,
36063 Marostica (VI)
Teddy Legrand

LA SVASTICA
DELLA ZARINA
(le sette teste del drago verde)
Teddy Legrand

LES SEPT TETES DU DRAGON VERT


Éditions Berger-Levrault, Paris 1933

traduzione presentazione e note a piè di pagina


di
Vittorio Fincati

immagine di copertina

la Zarina
Aleksandra Fëdorovna Romanova
(1872-1918)
ritratta da Aleksandr Sokolov nel 1901

APPENDICE

La vera storia di Erik Jan Hanussen


Presentazione

...Le sette teste del drago verde,


scritto su istigazione dei servizi segreti.

(Elisabeth Antebi: Ave Lucifer, p.203)

Il testo che offriamo in traduzione italiana è un vero e proprio documento


dell'azione di guerra occulta svolta da un ambiente francese tra le due guerre
mondiali che identificava nella cosiddetta «Fratellanza Polare» un
pericolosissimo fattore di degenerazione mondiale, specie con riferimento al
mondo dell'occultismo, mondo verso il quale la posizione dell'autore è netta,
come dichiara nel libro: «le pratiche esoteriche - ed è il loro difetto minore -
distruggono rapidamente il senso critico e gli occultisti prendono troppo spesso
i loro desideri e velleità per realtà tangibili!».
Attore di questa guerra occulta a carattere divulgativo, fu un uomo d'affari, poi
spia e quindi scrittore, Charles Lucieto, che scrisse nel 1926 per la casa editrice
parigina Berger-Levrault, inserendo i racconti in una collana denominata «La
guerra dei cervelli»1. Ha scritto Elisabeth Antebi riferendosi alla presente
traduzione che «spaventati dalla crescita del pericolo nazista, e non volendo
agire troppo apertamente, i servizi segreti affidarono certi dossier a dei rewriters
che ebbero il compito di trasformare in avventura di spionaggio un insieme fin
troppo veritiero di fatti»2.
Dal 1928 al 1929 Lucieto scrisse anche per le Éditions La Vigie (in realtà un
altro nome della precedente editrice) una serie di 12 brevi fascicoli mensili nella
collana intitolata «I retroscena dello spionaggio internazionale»3. Lucieto, che
lavorava in Olanda, aveva servito come spia contro la Germania del Kaiser. Una
sua foto pubblicata sul primo dei fascicoli stampati per le edizioni «La Vigie»

1
En missions spéciales (1926) La Vierge rouge du Kremlin (1927) Livrés à l'ennemi (1928)
Le Diable noir (1928) L'Espion du Kaiser (1929) La Tragique Affaire de Bullway Castle
(1929) Sampierro, gentilhomme corse (1930) Les Pirates de la Jade (1931) L'Espionne aux
mains sanglantes (1931) Le Mystère de Monte-Carlo (1932) La Brigade des Loups (1932).
2
E. Antebi: Ave Lucifer, p.146. Paris 1973. Fatto curioso, il libro di Legrand fu subito
recensito dalla... Revue du Génie Militaire (t. 72 del 1933, p.536).
3
Un drame au War Office ( novembre 1928 ) - Le courrier du Tzar ( décembre 1928 ) - Au
pays de l'épouvante ( janvier 1929 ) - La louve du cap Spartiventi ( février 1929 ) - La momie
sanglante (mars 1929) - Les compagnons du désespoir ( avril 1929 ) - Les mystères de la
Sainte-Vehme (mai 1929) - La fin tragique d'un espion ( juin 1929 ) - L'effroyable drame de
Malhem ( juillet 1929 ) - Les vengeurs d'Isis ( août 1929 ) - Un drame au quartier général du
Kaiser (septembre 1929) - Le secret du fellah (octobre 1929).
ce lo mostra al tavolo da lavoro con la dicitura «Ch. Lucieto e la sua formidabile
documentazione!». Terry Crowdy lo ha definito nel suo saggio sullo spionaggio
come «one of the most successfull Allied spies during the war».
Il libro qui tradotto lo firmò «Teddy Legrand», forse per dare più veridicità alla
sua serie; infatti nella premessa è scritto che il Legrand avrebbe raccolto il
testimone se Lucieto fosse stato assassinato; noi l'abbiamo rinominato La
Svastica della Zarina mettendo l'originale in sottotitolo. In esso si lancia
l'allarme sull'esistenza di una setta segreta che manovrerebbe i destini del
mondo, la setta polare dei «Verdi», con sede in Svezia, di cui farebbero parte 72
persone, in evidente analogia con i 72 demoni della Magia diabolica. Circa il
riferimento al colore verde, attribuito al gruppo pangermanista e satanico dei 72,
si può dire che è solo un camuffamento (verde al posto del rosso) per non dire
esplicitamente qual'era la setta. Infatti i 72 membri della Fratellanza Polare (nata
ufficialmente nel 1929), posto mai che raggiunsero davvero questo numero,
avevano la facoltà di evocare un misterioso «raggio rosso», che gli conferiva
particolari poteri.4 In effetti nel libro di Legrand tutti gli indizi, tutti gli accenni
velati, fanno pensare che l'autore (che si capisce abbia una impostazione
cattolica antioccultista ma non antisemita), volesse attaccare proprio quello
strano ed eterogeneo gruppo, che si esteriorizzava con forme assolutamente
misticheggianti e spiritualiste, e che basava tutti i suoi riferimenti su una
primordiale e confusionaria tradizione «polare», alcuni membri del quale erano
in contatto con i Pangermanisti. Vivian Postel (uno pseudonimo) aveva
incontrato a Parigi nel 1920 Rudolf Hess5 e nel 1936 fonderà il «Movimento
Sinarchico d'Impero» il cui compito sarebbe stato quello di unire l'Europa sotto
il segno della svastica nazista6; successivamente ci furono contatti con Otto
Rahn delle SS; Jean Marquès-Rivière collaborò più che attivamente con i nazisti
durante la seconda guerra mondiale. Ciò che per noi invece costituisce la prova
che la setta nel libro di Legrand fosse la «Fratellanza Polare», è che questa era
composta proprio da 72 membri (63+9 dirigenti). Nel libro, si parla male del
4
A commento di alcuni versi di Rudolf Steiner che parlava di «verdi demoni di fronte a cui la
luce vacilla», Irene Diet scrisse che «il colore verde è il colore della soglia, cosa di cui erano
consapevoli antichi maestri come Mathias Grunewald. E' il colore del limitare tra la vita e la
morte, tra il mondo terrestre e quello spirituale. Il corpo vivo delle piante, il loro corpo
eterico, non è verde. E' la loro immagine morta e mineralizzata che è verde. Il verde, colore
complementare del rosso, è il colore della putrefazione, della scomposizione della corporeità
defunta» (Irene Diet: Jules und Alice Sauerwein und die Anthroposophie in Frankreich. Nota
n. 422, Berlin 1998).
5
Curiosamente Rudolf Hess (1894-1987) nacque ad Alessandria d'Egitto, dove visse fino
all'età di quattordici anni, affezionandosi al suo insegnante di arabo, Abdul-Aziz Effendi. Il
suo infermiere durante la prigionia a Spandau fu un'altro arabo, Abdallah Melaouhi.
6
Per i Sinarchici, Hitler sarebbe stato solo uno strumento per unificare l'Europa onde
realizzare gli auspici di Saint-Yves d'Alveydre e quelli che saranno gli auspici del conte
austriaco Richard Coudenhove-Kalergi (1894-1972).
famoso ammiraglio Koltchak (1874-1920) accusato dall'autore di essersi posto
al servizio dei 72 attraverso gli Inglesi. E' curoso che questo ufficiale venisse
soprannominato in Russia: «Koltchak-Poliarny» (Koltchak il Polare), anche se
lo si deve alle sue missioni nell'Artico. Nel libro di Legrand i Verdi comunque
stanno alle spalle dei Polari e li manovrano. Quest'ultimi pare che abbiano
esercitato un'azione occulta, comunque sempre molto equivoca e con derive
inaspettate, anche al di fuori del pangermanesimo: Victor Blanchard per
esempio fu tra coloro che auspicarono l'Unione Europea.
In realtà l'autore sposta dalla Francia alla Svezia la sede di questa setta
(cambiandone anche la denominazione) insistendo sul carattere germanista di
essa al solo scopo di non nominarla direttamente. In realtà la Fratellanza
Polare, propiziata nel 1920 in modo misterioso in Egitto, era solo in parte
collegata ad ambienti tedeschi, anche se questa occulta congregazione è quella
che secondo Lucieto manderà Adolf Hitler al potere in Germania, nel libro
definito «l'uomo della doppia Z», poichè la svastica la si può vedere anche come
una doppia Z incrociata.7
La narrazione si svolge in un modo piuttosto intrigante, e cioé per singoli
episodi, ambientati in diversi luoghi d'Europa, e porta alla fine del racconto,
all'identificazione di uno particolare membro della setta dei 72, di cui non si fa
il nome ma che, come vedremo, al tempo del racconto era identificabile
benissimo. La storia inizia con una misteriosa scritta, tracciata dall'ultima zarina
di Russia poco prima di venire massacrata, nel vano della finestra della sua
camera da letto - scritta sormontata da una svastica. Storicamente, pare che la
svastica fosse presente anche sulla copertina di un diario che all'inizio del 1918
la figlia Tatiana aveva offerto in dono alla zarina8. Si tratterebbe di un estremo
messaggio, per quanto incomprensibile, col quale i Romanov denunciavano al
mondo l'esistenza e l'azione della setta pangermanista dei Verdi 9. Il significato
del messaggio imperiale sarebbe passato poi alla Chiesa Ortodossa e da questa
confidato al capo degli zaristi in esilio, il generale Koutiepov. Da qui gli
incidenti che i due protagonisti ebbero con membri di quella chiesa vendutisi ai
Verdi, aiutati in ciò da una ex spia tedesca già amante di Walter Rathenau,
uomo politico ebreo assassinato nel 1922; di quest'ultimo l'autore parla con

7
Si sa che l'argomento «pangermanesimo-satanismo» verrà ripreso negli anni '50 del secolo
scorso da ambienti teosofici tedeschi e praghesi, in particolare da un editore, Dieter
Rüggeberg, che nel curare alcuni testi di Franz Bardon fa raccontare di una misteriosa Loggia
demoniaca composta da 99 persone al cui vertice vi sarebbe un membro extra, cioè il Diavolo
in persona, di cui avrebbe fatto parte Adolf Hitler.
8
Harry N. Abrams, Nicholas and Alexandra, plate 608, London 1998. Inoltre, e questa è una
notizia che pochi conoscono, la svastica fu un simbolo usato all'inizio pure dai Bolscevichi.
E' evidente a questo punto che nel mondo russo la svastica era intesa solo come segnacolo
asiatico di fortuna e benessere, e non c'entrava nulla con presunti gruppi pangermanisti.
9
G. King, The Last Empress, p. 344.
smaccata simpatia, attaccando i movimenti pangermanisti che ordirono il suo
assassinio 10. Grazie alle indagini condotte sui rapitori di Koutiepov, i nostri due
protagonisti giungono a toccare da vicino alcuni personaggi appartenenti ai
Verdi. Uno di essi è l'industriale svedese e «re dei fiammiferi» Ivar Kreuger
(1880-1932), personaggio storico citato con le sue vere generalità, morto in
circostanze misteriose. Solo recentemente è saltata fuori un'ipotesi di omicidio,
mentre in precedenza tutti propendevano per il suicidio. Un altro, denominato
«barone Otto von Bautenas», potrebbe essere l'eminenza grigia e trafficante
d'armi Vasil Zaharyas, più noto come Sir Basil Zaharoff (1849-1936), nato in
Turchia da genitori greci ebrei, il quale fu attaccato sulla stampa da Xavier de
Hautecloche11, quest'ultimo considerato (ma forse solo per questo fatto) il vero
autore del racconto. L'indagine saliente avviene a bordo di un battello che
l'autore chiama Asgärd, il mitico castello ultraterreno della mitologia nordica;
solo che la parola è scritta tutte le volte con la dieresi sulla seconda a, secondo
l'uso dei dialetti scandinavi. Un elemento per indicare che è in una direzione
«polare» che bisogna cercare? Il proprietario dell'Asgärd, viene fatto figurare
come uno dei principali consiglieri del politico lituano Augustinas Voldemaras
(1883-1942), fondatore del movimento nazionalista «Lupo di Ferro»,
appoggiato da Germania e Italia. Sta di fatto che anche Zaharoff fu
«consigliere» di molti uomini politici.
Ora, il messaggio della zarina è davvero incomprensibile, ammesso che gli si
voglia appunto attribuire un significato criptico, mentre in realtà aveva solo un
banale significato calendariale o beneaugurante 12. Lucieto invece ne approfitta,
10
Questa simpatia basta da sola a smentire tutte quelle voci che identificano Terry Legrand
nel giornalista e scrittore francese Pierre Mariel, che invece durante la seconda guerra
mondiale collaborò con i nazisti in funzione antiebraica.
11
Xavier de Hauteclocque: «Sir Basil Zaharoff, le magnat de la mort subite» in Le
Crapouillot, Numéro spécial « Les maîtres du monde », mars 1932, p. 4-13. Xavier de
Hauteclocque (1897-1935) si segnalò per l'azione di denunciare sulla stampa, con tanto di
nome e cognome, a partire dall'anno precedente l'uscita di questo racconto, il pericolo del
nascente nazionalsocialismo. Morì avvelenato al rientro da un viaggio in Germania (Henri de
Wailly: Le tocsin; un grand reporter assassiné: Xavier de Hautecloque (1897-1935). Paris
2016. Ecco i titoli di alcuni suoi eloquenti lavori: Police Politique Hitlérienne - À l'Ombre de
la Croix Gammée - La Tragédie Brune - Nuit sur l'Allemagne). Un anno dopo la morte di
Hauteclocque, fu pubblicato a nome di Teddy Legrand il libro Envouteurs Guerisseurs &
Mages.
12
Si veda quanto infatti ne dice il precettore dello zarevitch Alessio, Pierre Gilliard (Le
tragique destin de Nicolas II et de sa famille, p. 230. Paris, Payot 1921): «Notai poi sul muro,
nel vano di una delle finestre della camera delle Loro Maestà, il segno preferito
dell'imperatrice, il sauvastika. Questo è un simbolo religioso dell'India che consiste in una
croce a braccia uguali, le cui estremità piegano a sinistra; se piegano a destra, secondo il
movimento apparente di traslazione del sole, il segno è detto svastica. La zarina lo metteva
dapertutto come portafortuna. Lo aveva tracciato a matita e aveva aggiunto al di sotto la data
17/30 aprile, giorno della loro incarcerazione nella casa Ipatief. Lo stesso segno, ma senza
coglie al balzo l'occasione datagli da un pezzo di storia, e lo utilizza per far
capire a chi voleva intendere, che lui stava alludendo alla «Fratellanza Polare» e
in particolar modo al cosiddetto «Oracolo di Forza Astrale», un curioso metodo
divinatorio a carattere numerico. I numeri tracciati dalla zarina sotto alla
svastica servirono a Lucieto per alludere al calcolo numerico col quale il capo
dei Polari, l'italiano Mario Fille (1894 - ?) faceva dare le risposte all'Oracolo e
faceva propaganda per la Fratellanza. Se così non fosse stato nelle intenzioni di
Lucieto, quest'ultimo nella trama del racconto avrebbe rivelato al lettore il
significato della misteriosa iscrizione, ma così non è, perchè ha lasciato insoluto
e quasi dimenticato l'argomento.
Per mezzo della seduzione di questo oracolo, del quale Fille era l'unico a
possedere la chiave operativa13, si voleva costituire un gruppo dirigente formato
da scrittori e giornalisti capaci di agire da catalizzatori per un ambiente sempre
più vasto da influenzare. Furono così «accalappiati» Maurice Magre (1877-
1941), Jean Marquès-Rivière, Jean Dorsenne (1892-1945), Vivian Postel du
Mas (? - 1950), Victor Blanchard (1878-1953), Ernest Gengenbach (1903-
1979), Henri Meslin, il principe cambogiano You-Kantor, la giornalista Jeanne
Janin (1892-1950, collaboratrice dei servizi segreti nazisti14), Fernand Divoire
(1883-1951), l'accanito antisemita Renè Odin (faceva l'infiltrato tra gli
antifascisti italiani per conto della polizia di Torino con il nome in codice
«Togo»15), e forse anche la maga sessuale Maria de Naglowska (1883-1936)
mentre il tentativo con Renè Guénon fallì dopo due anni di contatti. Furono
«imbarcati» anche tre mediums tra cui la famosa inglese Grace Cooke. Il fatto
che alcuni di loro fossero filo-germanici, o vicini alla nazista Ahnenerbe, come
l'inglese Gaston de Mengel16, ha ingannato persino l'ambiente dei servizi segreti
francesi che stavano dietro a Lucieto, facendogli imbastire la trama del libro qui
tradotto, ma in realtà l'anima occulta dei Polari mirava altrove, come

data, si trova anche sul parato del muro, all'altezza del letto occupato senza dubbio da lei o da
Alexis Nicolaievitch».
13
Nel 1938 Fille e Odin pubblicarono un libretto, Un Oracle Kabbalistique, che riproduceva
il sistema di matematica divinatoria dell'Oracolo di Forza Astrale, ma gli autori smentivano
quanto su di esso si era detto nei primi anni '30. Anzichè riceverlo a Bagnaia da «Padre
Giuliano», lo avrebbero rinvenuto in uno scavo archeologico nel castello di Montsegur!
Entrambe le versioni sono false. Più probabile che Fille avesse ricevuto l'Oracolo durante il
suo viaggio in Egitto nel 1920.
14
Nel 1928 verrà espulsa assieme a Vivian Postel du Mas per attività antifrancese e filo-araba
dall'Egitto dove si era trasferita assieme a Valentine de Saint-Pont (un'amica di Guénon
convertita all'islamismo).
15
M. Giovana: Giustizia e Libertà in Italia. Storia di una cospirazione antifascista 1929-
1937. Torino 2005.
16
Franz Wegener: Heinrich Himmler. Deutscher Spiritismus, Französischer Okkultismus und
der Reichsführer SS. Gladbeck 2004.
dimostreranno in seguito le attività di un suo capo, Victor Blanchard, fondatore
del Martinismo Sinarchico. Jean Dorsenne, che collaborò con la Resistenza,
morì nel campo di concentramento di Buchenwald.
Se l'autore ha tratto spunto da molti eventi pregressi17 ciò non toglie che l'ordito
che regge la trama degli eventi possa essere il frutto di vere informazioni dei
servizi segreti. Sembra che quest'ultimi in realtà avessero capito benissimo chi
c'era dietro la Fratellanza Polare e il movimento sinarchico, ed avessero dato a
Lucieto l'incarico di svelarla al pubblico, ma non in modo esplicito. Leggendo
un numero del bollettino informativo dei Polari (giugno 1930), si vede bene
quanto fumose ne fossero le rivendicazioni: «I Polari prendono questo nome
perché in tutti i tempi la Montagna Sacra, che è il luogo simbolico dei Centri
Iniziatici, è sempre stata qualificata dalle diverse tradizioni come Polare. Molto
probabilmente questa Montagna fu una volta realmente Polare, nel senso
geografico della parola, poiché è affermato ovunque che la Tradizione Boreale
(o Tradizione Primordiale, fonte di tutte le tradizioni) originariamente ebbe sede
nelle regioni Iperboree».
A dispetto di questa affermazione, il simbolo era costituito dal sigillo di
Salomone, dalla croce, dalla scritta INRI e dal numero 9, tutti simboli niente
affatto primordiali, bensì molto storicamente determinabili. I Polari erano
praticamente in grado di fagocitare tutti i simbolismi e tutte le tradizioni dentro
a un indistinto calderone, plagiando persino i contenuti di libri famosi come
quello di Saint-Yves d'Alveydre Mission de l'Inde o Il Re del Mondo di Guénon.
E' stato supposto con molta verosimiglianza che anche la figura di «Padre
Giuliano», il fiabesco capostipite dei Polari, fosse un modo per far intendere che
fosse stato della partita anche l'ermetista italiano Giuliano Kremmerz (1861-
1930).
Per quanto riguarda il personaggio finale del racconto, col quale si pretende di
identificare il membro della setta dei 72 a contatto con «l'uomo della doppia Z»,
quello oggi noto al pubblico come il mago di Hitler18, è probabile che l'autore
prenda una solenne cantonata. A sua discolpa il fatto che tale presunto mago,
cioé Erik Jan Hanussen, morì in contemporanea con l'uscita del libro, e di certo
l'autore non era al corrente che Hanussen fosse ebreo e avesse platealmente
ingannato Hitler, venendo quindi trucidato in malo modo. Di Hanussen
sappiamo ormai quasi tutto ed è molto difficile poter sostenere che fosse un
membro o uno strumento della setta «verde», che avrebbe manovrato
occultamente Hitler, quando tutto invece lascia pensare che agì
individualmente, scherzò col fuoco, e ne uscì bruciato19.

17
Enquête judiciaire sur l’assassinat de la famille impériale russe, par Nicolas Sokoloff, juge
d’instruction près le tribunal d’Omsk. Payot, 1924.
18
Mel Gordon, Il Mago di Hitler, Milano 2004.
19
Si veda la nostra post-fazione su Hanussen.
Abbiamo detto dell'atteggiamento antioccultista dell'autore. Ciò, oltre a
confermare per una seconda volta, che Pierre Mariel non ne potè essere il
redattore, essendo oltre che antisemita anche un esoterista, si evince dal fatto
che ogni volta che si tratta di descrivere un qualche personaggio in odore di
occultismo, da Maitre Philippe ai membri della Chiesa Mariavita, l'autore non
risparmia i commenti denigratori, come il lettore avrà modo di notare. Inoltre le
sue visuali sono fortemente influenzate, anzi, pare rispecchino, le idee di certa
destra cattolica francese antitedesca, per quanto non identificabile con le Destre
antisemite di Maurice Barrès e di Charles Maurras. Gli stessi cristiani ortodossi
non ne escono bene, anche se il tentativo di Lucieto è goffo: è infatti difficile far
passare il monaco ortodosso Rasputin come un personaggio manovrato dalla
setta pangermanista che operava dalla Svezia, quando si sa che fece di tutto per
impedire l'entrata in guerra della Russia. A titolo di curiosità, l'amico Gaetano
Lo Monaco mi segnala che invece, durante la Seconda Guerra Mondiale, nel
monastero russo di Panteleimon, sul monte Athos, il quadro di Adolf Hitler
campeggiava in bella mostra accanto a quelli di molti sant'uomini, tra cui anche
lo Zar Nicola II.
In definitiva appare chiaro come scopo globale del racconto sia quello di
attaccare il Pangermanesimo e denigrare in blocco tutti i gruppi esoterici o
pseudo-esoterici, in special modo la Fratellanza Polare anche se per far questo si
è sacrificata alla coerenza dei fatti la stessa narrazione, creando anche dei
piccoli falsi, come la prima foto delle due pubblicate dall'autore all'interno del
racconto. Qui appresso, invece, la vera fotografia della svastica della zarina, che
abbiamo ritrovato in un libro (che Legrand si guarda bene dal citare) sulla cui
attendibilità non ci possono essere dubbi e che dimostra come tale «messaggio»
non fosse altro che una data, apposta sotto alla svastica, messa con funzione
protettiva per l'evento significato da quella data stessa!
Ma la storia della svastica della zarina non finì qui.
Collegandosi al significato apotropaico e beneaugurante del simbolo, nel 1939
un altro membro dei servizi segreti francesi, Henri Rollin (1885-1955), imbastì
tutto un grosso libro in funzione antigermanica, L'Apocalypse de notre temps.
Ampliando le tesi di Legrand, Rollin sostenne che la svastica era il simbolo
occulto dei Pangermanisti tedeschi nativi dei paesi baltici e che, grazie al fatto
che la zarina avrebbe fatto parte di questa organizzazione (essendo anche lei una
tedesca baltica), la svastica sarebbe «emigrata» ideologicamente da
Ekaterinbourg fino a Berlino, proprio perchè i primi membri del partito nazista
erano quasi tutti dei tedeschi baltici che avevano complottato per liberare la
zarina. Ma quest'ultima - divenuta una russa convinta20 - si oppose alle richieste
dei Pangermanisti che volevano una Russia succube della Germania e restò
sempre fedele allo zar Nicola II. Fallito quindi il complotto per liberare la
20
Parlando della «russificazione» dell'imperatrice, Rollin scrisse che si trattava di un
«fenomeno frequente nei Tedeschi le cui affinità asiatiche sembrano risvegliarsi al contatto
coi Russi» (H. Rollin: L'Apocalypse de notre temps, p. 92. Allia, Paris 2005).
famiglia imperiale anzi, vista la tenacia con cui Nicola e Alessandra rimanevano
fedeli all'alleanza con Francia e Inghilterra, se ne propiziò l'uccisione, così come
poi avvenne. Ma la potente organizzazione pangermanista baltica, il cui simbolo
era la svastica, continuò nei suoi programmi, aderendo al neonato movimento
hitleriano.
Appena occupata la Francia, i nazisti sequestrarono e distrussero tutte le copie
che riuscirono a trovare di questo libro.

«Il segno preferito dell'imperatrice, il SUUVASTIKA portafortuna, che aveva tracciato con la
matita nel vano della finestra della sua camera, a Ekaterinbourg, aggiungendo la data 17/30
aprile 1918. A sinistra, fotografia dell'iscrizione, messa sotto una lastra di vetro con quattro
sigilli. A destra, il calco della stessa iscrizione» (Pierre Gilliard, Le tragique destin de Nicolas
II et de sa famille, p. 241. Paris, Payot 1921).21

Abbiamo corredato di un numero di note forse eccessivo il testo, ma ciò si è


reso necessario per rendere comprensibile cose scritte nel 1933 che al lettore
contemporaneo potrebbero sfuggire.

21
«17/30» dovrebbe corrispondere alla doppia data secondo il calendario cattolico e quello
ortodosso.
Prefazione

Qualche settimana prima della sua morte, che nulla faceva presagire, l'amico
Charles Lucieto mi disse all'improvviso con tono grave, in contrasto con la sua
abituale bonomìa:
- Se dovessi scomparire prematuramente - è sempre possibile, dato che troppa
gente vuole che non prosegua nel mio compito -, c'è un uomo che potrebbe
portarlo a termine meglio di chiunque altro.
Quest'uomo, è Teddy Legrand, attualmente credo in missione speciale alla
frontiera dell'Hedjaz, il solo che sia riuscito a dare scacco alla famosa Fräulein
Doktor22. Se mai decidesse di parlare, quali retroscena misteriosi della storia
contemporanea potrebbe illuminare!
Cercai di realizzare l'auspicio di Lucieto allorché scomparve, e scrissi
all'indirizzo che mi aveva dato.
La mia lettera rimase senza risposta.
Passarono due anni.
Ed ecco che all'inizio di gennaio, Teddy Legrand bussò al mio ufficio.
- Rientrando dalla mia missione, mi disse, ho trovato il vostro biglietto...
Dapprima fu recalcitrante, ma l'auspicio dell'amico defunto, gli argomenti che
misi in campo e soprattutto la consapevolezza che compiva un dovere mettendo
in guardia l'opinione pubblica, tutto ciò finì per convincerlo a scrivere questo
libro, sensazionale documento sui pericoli insospettati che minacciano la pace
nel mondo.

E. R.

22
Soprannome di una spia tedesca della Germania guglielmina realmente esistita, la cui vera
identità era Elsbeth Schragmüller (1887-1940). Le sue imprese furono descritte, riprendendo
il leggendario che circolava su di lei, nel libro Spionage! (Stuttgart 1929) del giornalista H. R.
Berndorff. Di lei parlò, specialmente nel suo primo libro del 1926, Charles Lucieto, allegando
anche un paio di foto. Un'altra foto fu publicata nel libro di T. Crowdy: The Enemy Within: A
History of Spies, Spymasters and Espionage. Oxford 2006. Compare anche in un capitolo del
presente racconto.
PRIMA PARTE
CAPITOLO PRIMO

La foto e l'icona

La pratica del mestiere di spia o di agente segreto sviluppa, si dice, una specie
di sesto senso tra coloro che hanno l'abitudine di «vivere pericolosamente» al
servizio di una di quelle organizzazioni di cui l'Intelligence britannica non è
certo una delle migliori.
Avevo avuto la certezza che fossero entrati da me, recentemente, approfittando
della mia assenza, appena ebbi inserito la chiave - una chiave piatta di forma
molto particolare - nella serratura della porta esterna del pied-à-terre dove
risiedo tra una missione e l'altra ogni volta che rientro a Parigi.
Il forte odore di tabacco inglese che impregnava l'ambiente, sovrastava quello
della naftalina e della canfora e indicava anche che la visita era avvenuta non
più di quarant'otto ore prima.
Di solito, le persone troppo curiose che pensano di poter trovare tra le pareti
del mio appartamento dei documenti o degli indizi, si comportano con maggiore
destrezza.
L'ultimo della serie doveva essere un principiante, un novizio, non ancora al
corrente delle «finezze», a meno che - riflettevo - non si trattasse di una vecchia
volpe, troppo sicura dell'impunità per cercare di nascondere le tracce.
Il fatto è che dopo aver spalancato le persiane e posata la mia valigia sulla
moquette all'ingresso, potei verificare che la camera, il bagno e lo studio erano
stati scandagliati con metodo da qualcuno che si proponeva di cercare
dappertutto.
Persino - mi si perdoni il dettaglio del tutto prosaico - fin nel rotolo, rimasto
vedovo della carta igienica, del mio water, che fu esplorato minuziosamente e
da mano maestra, nel caso avesse contenuto il «vaso di rose» 23 che si cercava.
Dopo marzo 1918 (questo racconto comincia a settembre 1929) mi sono
abituato a questi «attacchi di curiosità perniciosa» - espressione cara al mio ex
collega, il famoso colonnello Lawrence, con cui «lavorai» durante la guerra
contro i Turchi, prima che, per ordine dei suoi capi, andasse a impiegare le sue
capacità e il suo notevole ascendente sulle popolazioni arabe per minare
l'influenza francese -; attacchi che aggiungono un sovrappiù di imprevisto in
una vita già movimentata, sia per piacere che per professione.
A tal punto le potenze occulte hanno un interesse capitale nel distruggere ciò
che è in mio possesso!

23
Termine massonico del grado di Cavaliere Rosa+Croce, designante la cosa preziosa
nascosta.
Dopo la settimana che seguì la macelleria di Ekaterinenburg, l’odioso massacro
dell'ultimo Zar e della famiglia imperiale, in quella casa Ipatieff dove, unico
francese, ero entrato a fine luglio 1918, quando ancora il sangue dei Romanoff
macchiava l'impiantito... dopo undici anni ancora si accaniscono!
Senza Émile Pagès24, inoltre, dopo la mia ferita di Kharbin, non credo che
sarei mai riuscito a raggiungere la Missione di Janin e a imbarcarmi con essa
sull' Athos, a Porto Dairen. Senza di lui, che non se lo immaginava, le mie foto,
le mie preziose foto, non avrebbero mai raggiunto Marsiglia.
Sì, certo, mi causarono degli intoppi non da poco quelle pellicole 6 ½ -11,
impressionate dalla mia Kodak prima che si potesse truccare come si voleva lo
scenario del dramma dove tramontò una dinastia.
E non fu un giudizio azzardato quello di ricollegare alla «serie nera» l'incidente
- improbabile rottura della cinghia della sella del mio mehara - verificatosi nel
mezzo della steppa desertica, al termine della mia escursione «etnografica»
nello Hoggar, incidente che mi aveva costretto, dopo soli quindici giorni, a
incidere due nuove tacche sul calcio consumato della mia Colt. Doveva essere
destino, senza dubbio, che dopo quel soggiorno di sei mesi, in missione speciale
nel deserto tra i Touareg Imaziren, con la scusa di studiare abitudini e usanze di
quelle genti semplici che forse discendevano dai Crociati, - i miei avversari
particolari mi volessero rovinare la gioia del ritorno!
Avversari particolari, sì.
Perchè è un fatto che tutte le volte che gli agenti di una nazione alleata o rivale
si son voluti mettere alle mie calcagna, non si sono mai preoccupati di
prendersela con i miei poveri mobili!
Anche questa volta, per sopperire ai danni causati dallo «scavo» del mio
scrupoloso visitatore, sarò costretto a rovinarmi con le fatture dell'ebanista, del
tappezziere e del legatore?
Per lo meno, stante un rapido esame di guardaroba e ripostigli, abbastanza
ampi da permettere a un audace di nascondersi per cogliere i miei piccoli
segreti, ebbi la soddisfazione morale di constatare che l'indiscreto disturbatore
dei miei Penati se ne era andato con le pive nel sacco.
Abbassate le tendine, accesa la lampada da tavolo, mi fu sufficiente sfogliare il
vecchio album di foto, rilegato in velluto verde, sciupato e ingiallito in più
punti, che di solito lascio distrattamente sul cassettone di Boule, al suo posto,
vicino al piccolo bronzo di Barye e al gres fiammato di Massier, nella sala dei
miei genitori.
Tengo molto a questa reliquia di tutto il mio passato familiare, ricco in ricordi
d'infanzia, dove rinvengo i volti dimenticati delle vecchie cugine, di lontani zii,

24
Non potrò mai ringraziare abbastanza Émile Pagès, all'epoca radiotelegrafista della
Missione del generale Janin, per la dedizione mostratami mettendo in pericolo la sua vita e
per il coraggio di cui fece mostra (nota dell'autore). - [Maurice Janin, Ma mission en Sibérie
1918-1920, Paris 1933. - Émile Pagès (1893-1963) a partire dal 1930 scrisse romanzi
polizieschi e d'avventura].
persi di vista, dall'epoca della mia prima comunione, accanto a fisionomie di
esseri cari che ho perduto.
Ma vi ero ancor più affezionato, all'epoca di quest'avventura, perché alcuni di
questi cartoni, dorati sui bordi, dove campeggiava, in fondo a un'immagine
passata, la firma, anch'essa dorata, di un fotografo di provincia, avevano fissati
sul verso gli originali di quattordici piccoli negativi 6 ½ - 11, scattati a suo
tempo da me sugli Urali, così come uno scatto di prove in doppio.
La rivelazione che faccio non può causare ormai più alcuna conseguenza.
Sempre tenuti per gli angoli agli spessi fogli del Bristol, i miei Lari non
servono più a proteggere dal furto e dalla cupidigia scatenata quei pezzi
fondamentali che dovevano portarmi, poco tempo dopo il ritorno in questione,
alla prima delle scoperte che ho deciso di rivelare!

Per me, Edgar Allan Poe è un uomo di genio.


Ancora una volta si ripeteva che il principio ingegnoso della sua novella, La
Lettera Rubata, è di una psicologia perfetta.
I più maliziosi tra i cercatori che avevano agito da me, al rientro dalla missione
in Russia, si erano tutti fatti prendere col trucco rinnovato del signor Dupin 25,
troppo semplice da potersi evitare.

§§§

Se il generale Gajda, comandante in capo delle forze cecoslovacche in Siberia,


al tempo dell'offensiva antisovietica di luglio 1918, non fosse stato condannato
in seguito a Praga, dai suoi compatrioti, per crimine di alto tradimento 26, penso
che avrebbe un soprassalto nel sapere, da queste memorie, che Dedina, il suo
cuoco, al quale dava calci in culo quando il gulash alla paprika, per il quale
andava pazzo, non era sufficientemente speziato, sapeva parlare non solo quella
specie di dialetto slavo deformato della sua provincia boema, ma pure il
tedesco, il russo, il bulgaro, l'inglese, l'italiano, il turco, l'arabo, lo spagnolo e il
greco, oltre, beninteso, il francese!
E se fossi stato io quel cuoco peloso, ubriaco, credulone, bestia e ignorante,
«testa di turco» dello Stato Maggiore e degli ordini della mensa ufficiali, ma di
cui il capo tollerava, talvolta, la familiarità, quando aveva la pancia piena, dopo
le copiose agapi in cui brillava la mia arte culinaria?

25
Auguste Dupin, personaggio inventato da Edgar Allan Poe per tre suoi racconti.
26
Rudolf Geidl, più noto come Radola Gajda (1892-1948), fondatore della «Comunità
Fascista Nazionale» cecoslovacca, fu arrestato nel 1931 e nel 1933 per breve tempo dalle
autorità di Praga per tentativi di colpo di stato.
Principe dei capocuochi, Escoffier27 - di cui sono stato, sotto pseudonimo,
allievo attento per sei mesi -, di quante buone mani di carte vi sono debitore,
tanto quanto i «maestri» che vantavano il mio straordinario dono delle lingue,
quando, destinato, come sembravo, ai migliori incarichi universitari, io mi
preparavo per la Scuola Normale nelle birrerie del Quartiere Latino.
« L’insegnamento porta a tutto». Eh sì!
Questo detto, che credo si debba attribuire al Guizot28, non potrebbe illustrarsi
meglio se non dalla serie di avatar che impersonai a causa della guerra.
Che tocco che avevo!
Questa foto, scattata a Omsk da Lucien Altmeyer, mio compagno di missione,
distaccato come me in segreto sul fronte antibolscevico, poi massacrato e
sventrato nel villaggio di Verkh-Isset, dai simpatici Tovarish, mi restituisce
l'avatar di cui sono forse più orgoglioso, perché fu la prima volta che mi trovai
costretto a impersonare un personaggio con una costante minuzia.
Povero Altmeyer!
Se fosse potuto arrivare fino al generale Diteriks, agli avanposti di Koltchak,
che stava lasciando Tobolsk in direzione del Baikal, e trasmettergli il rapporto
verbale di cui l'avevo incaricato, rapporto preciso, che stabiliva i maneggi da me
scoperti tra la «Commissione straordinaria per la lotta contro la
Controrivoluzione» (Tchrezvytchkaia) e il comandante delle divisioni ceche, è
probabile che la famiglia imperiale si sarebbe salvata!
Eccomi ora travestito da pope, grazie all'abilità di padre Stojoreff, ultimo
confessore dello Zar, quand'ero addetto all'ospizio di Ekaterinenburg, ospizio
dove, colpito da tifo esantematico, Medvieff, uno degli assassini, spirò tra le
mie braccia, diciotto giorni dopo29 che, per ordine esplicito e ripetuto del
Commissario del Popolo Yurovsky, finì l'Imperatrice e a sua figlia Tatiana con
diciotto colpi di baionetta, sul pavimento già imbrattato di sangue di casa
Ipatieff.
Da lui ho avuto l'icona di san Serafino di Sarov, che ora adorna il mio
caminetto.
Me la affidò, dopo che ebbi acconsentito a dargli l'assoluzione in extremis e
non prima di aver parlato e alleviato la sua coscienza contorta, confidandomi
che l'aveva sottratta al cadavere di Alexandra Feodorovna Romanoff.
Gli altri negativi che completano la mia collezione siberiana non hanno altro di
particolare.

27
Il gastronomo Georges Auguste Escoffier (1846-1935) fece conoscere a livello
internazionale la cucina francese.
28
François Guizot (1787-1874) uomo politico francese al tempo della Restaurazione.
29
Che il massacro fosse avvenuto in due tempi, fu sostenuto erroneamente dal secondo
giudice incaricato dell'inchiesta, Ivan Serguéiev, in una intervista al giornale Le New York
Herald Tribune.
Una grande banale casa bianca, dal pianterreno rialzato, sormontata da una
specie di mansarda, e tutta circondata da una palizzata di tronchi d'albero
appena sbozzati.
Brevi scritte a matita su muri sporchi e decrepiti.
Mobili sparsi, spaiati, in camere troppo grandi, dove sembra aleggiare una
lugubre atmosfera di trasloco.
Una parete divisoria, tappezzata con una brutta carta a righe, bucata, a tratti
strappata, da cui si intravedono le assi con l'intonaco di gesso, caduto in mucchi
di scaglie sul parquet chiazzato di sporco.
Un pozzo minerario, al centro di una radura nella foresta.
Frammenti di ossa calcinate.
Diversi bottoni di uniforme, metallici, corrosi dall'acido. Una dentiera in buone
condizioni.
Degli occhialetti a stringinaso rotti e piegati.
Defunto il giudice istruttore del tribunale di Omsk, Sokoloff, il quale, peraltro,
concluse la sua inchiesta ufficiale sulla tragedia imperiale di Ekaterinenburg
tenendo conto delle istruzioni formali dell'ammiraglio Koltchak - che obbediva
agli ordini degli emissari di Lloyd George, e che è morto - gli iniziati lo sanno -
per aver lasciato capire di essere a conoscenza dei documenti che stabilivano la
verità30.
Verità sempre temibile per quelli che permisero il massacro, che lo
provocarono, per meglio dire, per i quali il «Presidio del Comitato Esecutivo
degli Operai e Contadini e Guardie Rosse degli Urali» non fu che uno strumento
discreto, per quelli che io voglio smascherare, prima che la loro nefasta azione
provochi altre catastrofi in grado di far crollare la pace in Europa!

§§§

Non temo di essere smentito.


Si è tentato di comprarmi, quando si è saputo delle mie intenzioni.
Intimidazioni, minacce, ogni potente forma di pressione è stata messa in opera,
in alto loco, sull'oscuro soldato che io sono!
Se quelli che sono stati a lungo i miei capi sono stati costretti a smentirmi, non
importa, ho le spalle larghe!
So che i migliori tra loro approvano l'azione che intraprendo, sotto la mia
responsabilità e a mio rischio e pericolo, ora che ho riacquistato il diritto
assoluto di parlare.

§§§

30
Il giudice Sokolov morì di apparente infarto in Francia lo stesso anno in cui pubblicò una
parte dei risultati dell'inchiesta. Si noti che i due giudici istruttori che l'avevano preceduto
nell'indagine, erano stati destituiti d'imperio dai Bianchi.
C'è voluta una forte scampanellata per strapparmi ai fantasmi del ricordo, che fa
sempre sorgere in me l'evocazione delle ore russe, quelle che - ero ancora molto
giovane quando l'ordine di mobilitazione mi raggiunse nel liceo francese della
defunta San Pietroburgo -, hanno segnato di più la mia vita.
Nessuno dei miei cari, tuttavia, nè alcuno dei pochi amici che le mie continue
assenze mi permettono di mantenere, sapeva che ero rientrato in Francia.
Al ministero, non mi aspettavano prima di tre settimane. Allora, chi poteva
essere?
Andai ad aprire.
- Entrate Nobody. Entrate! feci.
L'uomo a cui avevo aperto la porta e che si diresse subito verso la luce del mio
studio, con grande sicurezza, è sicuramente uno degli artefici segreti più
prodigiosi della sconfitta della Germania.
Se l'intesa fra gli Alleati fosse continuata, dopo la pace di Brest-Litowsk, pace
vergognosa che consentì la caduta del fronte russo, e i suoi capi avessero
ascoltato le sue profetiche suggestioni, la dittatura di Lenin non si sarebbe mai
affermata e soprattutto non si sarebbe consolidata nella Russia in agonia. Oggi
non ci sarebbe l'URSS a contaminare e incancrenire gli altri popoli.
Il povero Charles Lucieto, che fu intimo di entrambi noi, morto anch'esso per
aver preso alla leggera troppi rancori e per averci visto troppo chiaro, ha reso
celebre il cognome, rinnovato da Omero, di Jules Verne (Nobody, Nemo,
Nessuno) che a suo tempo gli affibbiarono i suoi gelosi compagni del servizio di
informazioni di Sua Maestà Britannica.
E' un nomignolo che gli voglio lasciare.
Così tante volte ci tocca dimenticare le nostre vere generalità in questa
professione!
- Son, disse in inglese, con il suo caratteristico modo di entrare in argomento di
punto in bianco... se «questi signori di avenue Marceau»31 non mi avessero fatto
capire che ne avevate ancora per un mese nell'ascoltare le donne del Tanezrouff
e se avessi avuto qualche dubbio che il Chanzy non vi aveva sbarcato ieri
mattina a la Joliette, mi sarei risparmiato la fatica di fumare sessanta pipe qui da
voi, senza aspettarvi.
- Ma avete cambiato tabacco, dopo Constantinopoli, dissi! Non ho ritrovato il
familiare odore del vostro navy-cut.
- E' vero! ammise serafico.
Il medico ora mi costringe ad usare solo bird’s eye. Le mie arterie invecchiano,
sapete.
Ebbi modo di legarmi strettamente con Nobody, dopo l'armistizio, a Istambul,
dove collaborammo, fianco a fianco, per quasi un anno.
Gli sono debitore di preziosi consigli che hanno finito per istruirmi nella
pratica del mio mestiere.
Lo avevo tirato fuori da un passo falso, dove aveva rischiato più che la sua vita.

31
Sede all'epoca dei servizi segreti francesi
Non era dunque un nemico quello che si era introdotto in casa mia!
- Di che si impiccia Downing Street? gli chiesi. Il maggiore Slade si interessa
alle mie foto?
- Non lui, vecchio mio.
- Voi?
- Right!
James aveva quel sorriso disarmante, che a volte illumina il suo viso rossiccio
di gentiluomo inglese, viso che mi faceva pensare a quello del dickensiano
mister Pickwick, ogniqualvolta gli è possibile lasciarsi andare, senza costrizioni,
alla sua naturale bonomia.
- Dubito molto che i miei attuali superiori gerarchici manifestino un
entusiasmo immoderato, proseguì nel suo francese lento e preciso, se dovessero
conoscere i motivi della mia presenza in rue Bellechasse… Del resto io sono in
congedo libero dopo il ritiro del direttore sir Ian Mornington.
«Lui mi avebbe probabilmente compreso e incoraggiato, suppongo. Tuttavia,
non approvo il nuovo vento che soffia sui servizi, così come non si
approverebbero le mie attuali attività, se ne scoprissero il motivo.
«Per dirla diversamente, se sono ancora in azione, nonostante l'età, la
pinguedine, gli acciacchi, è come free-lance, per conto mio… con la prospettiva
di veder condite un giorno le mie ostriche con una coltura di bacilli di Eberth!».
- In cosa posso esservi utile, Old man? Una luce, che ben conosco, filtrò sotto
le palpebre di James.
- In fede mia, vorrei confrontare il negativo che avete fatto della svastica della
Zarina con la riproduzione che ne ha dato il giudice Sokoloff, alla figura 21 del
libro dove riassunse le conclusioni della sua inchiesta32.
La svastica della Zarina!
Questa breve iscrizione, vergata dalla sfortunata sovrana nel vano di una
finestra di casa Ipatieff, aveva intrigato tutti i crittografi del mondo!
Una data, così pareva, sormontata dal segno fatidico improntato al simbolismo
asiatico... il «terzo marchio» che si trova sempre ritualmente inciso sotto ai
piedi del Buddha Çakya-Mouni.

32
In realtà Sokoloff pubblicò solo un decimo del materiale da lui raccolto. Il resto fu
pubblicato molto più tardi da Nicolas Ross: Guibel Tsarskoj Semi Frankfurt, 1987. La casa
Ipatieff fu rasa al suolo nel 1977 su ordine del governo sovietico e ne fu dato incarico al
futuro presidente Boris Yeltzin. Nel 1990 Yeltzin farà invece avviare scavi per la
riesumazione degli illustri cadaveri.
Infime e pertanto capitali le differenze tra le due immagini! La prima,
rigorosamente autentica, riproduce l'ultimo messaggio della Zarina, così come
fu da me fotografata il 24 luglio su un muro di casa Ipatieff. La seconda, benché
pubblicata otto mesi dopo nel rapporto ufficiale del giudice Sokoloff, è stata
manifestamente truccata per impedire le ultime rivelazioni della sfortunata
sovrana.
Una invocazione alla memoria dello Staretz, a Rasputin, verso il quale la
prigioniera sembra avesse conservato, fino alla fine, la stessa mistica
venerazione?33
Supremo messaggio per amici fidati, ultimi fedeli dispersi, i soli capaci di
capirne il significato?
Avevo ottime ragioni per credere che nessuno l'avesse ancora decifrato!34
Senza esitare un secondo, andai a cercare l'album di velluto sul marmo del
cassettone dove, senza aprirlo, subito, l'avevo rimesso al suo posto e presi il
piccolo ritratto della giovane donna che fu mia madre, ai cui piedi si legge
ancora, a lato di un cardo di Lorena: J. Barco, fotografo, Nancy.

33
Lo staretz è una specie di santone o eremita nella tradizione russa. Eccone la definizione
data da F. Dostoevskij nei Fratelli Karamazov: « Lo staretz è qualcuno che prende la vostra
anima e la vostra volontà e le assimila nella propria anima e nella propria volontà [...] al
punto di potere alla fine raggiungere, con una vita di obbedienza, la libertà assoluta, cioè la
libertà dal proprio "io", e sfuggire così alla sorte di chi ha vissuto una vita intera senza
ritrovare se stesso ».
34
Secondo fonti ufficiali, sui muri di casa Ipatiev fu trovata invece una citazione
modificata,scritta in tedesco, di Heinrich Heine: «Belsazar ward in selbiger Nacht Von seinen
Knechten umgebracht» («Nella stessa notte Balthazar fu assassinato dai suoi servitori»).
Inoltre nella camera della zarina fu trovata una copia dei famosi Protocolli di Sion.
Nobody non manifestò alcuna sorpresa nel vedermi staccare, dal lato blu
chiaro, la prova che desiderava confrontare con quella che aveva nel frattempo
estratto dal suo portafoglio.
- Even old monkies learn, disse, strofinando, col fazzoletto, la spessa lente del
monocolo, di cui si servì a mò di lente d'ingrandimento.
L'esame non durò che dieci secondi.
- Ne ero sicuro! riprese rialzandosi. I due testi non concordano.
Il fatto è che tra il negativo, preso da me il 24 luglio, e quello, posteriore come
data, pubblicato a cura dallo sfortunato Sokoloff, e poi riprodotto in milioni di
esemplari, più volte, dalla stampa di tutto il mondo, c'era una differenza.
Insignificante, lo ammetto; ma saltava agli occhi.
Il mio documento portava nettamente, sotto la svastica rovesciata, questa linea,
indubbiamente scritta dalla Zarina:

17 / 30 A. u. p. 19-18. 7-

Mentre il documento ufficiale, sigillato dal predecessore di Sokoloff,


Nametkine, e fotografato, appena i Rossi vennero scacciati, cioé il 14 agosto,
presentava la variante seguente:

17 / 30 Aup. 1918 ?-

- Così, continuò convintamente James, è chiaro, come ho sempre sospettato, che


qualcuno aveva interesse a truccare questa iscrizione, in cui insisto nel vedere
una specie di testamento di Alexandra Feodorovna Romanoff.
« Altrimenti perché l'aveva fatto?
« Perché, soprattutto, si è cercato, ostinatamente, di sopprimere la prova di
quest'abile camuffamento, tentando di sopprimere voi allo stesso tempo»
- Le nostre conclusioni sono le stesse! ammisi. Le prime volte, ho passato
intere giornate a cercare di interpretare, in modo chiaro, questi diciassette segni.
Non ci sono mai riuscito. Vi ho rinunciato. E' troppo difficile. E infine a che
prò? Lo zarismo è morto e sepolto.
- E' perché ho la certezza di poter risolvere l'enigma che sono venuto a
trovarvi. Mettiamo le carte in tavola, continuò Nobody, senza discutere la mia
opinione, improntata a una certa arrendevolezza. Il tempo è tiranno, e l'unico
uomo in grado di parlare ha solo qualche giorno di vita.
« Ero quasi disperato, l'altro ieri, venendo via da qui, senza aver potuto metter
mano sulle vostre dannate foto. Per fortuna, siete rientrato... »
- Di chi parlate? Dissi incuriosito. Ammetto...
- Sua Beatitudine Basilio III35, patriarca ecumenico di Costantinopoli, fece lui.

35
Vasilios Georgiadis, più tardi Patriarca Basilio III di Costantinopoli (1846-1929).
§§§

- Se la vostra famiglia si è dimostrata di una discrezione esemplare, continuò


Nobody col suo sorriso alla Pickwick, poco dopo che ebbi finito di rivelargli il
contenuto integrale del mio albun verde, ci sono tra voi degli stranieri che hanno
avuto la lingua meno lunga.
Mi prese per il braccio sinistro e, a passi lenti, mi fece fare il giro del mio
studio, - così come fanno talvolta quegli appassionati che si dedicano a quelle
esperienze primitive di trasmissione del pensiero consistenti nel far indovinare
dove si è nascosto un oggetto.
- Adesso avete ancora dei dubbi? Se la godeva chiaramente della sua rivincita.
- Niente affatto! feci io.
Appoggiò l'atletica schiena al marmo del caminetto.
- In effetti, non vi siete scomposto neanche un pò.
«Ebbene io ho imparato dal famoso ipnotizzatore Pickmann, il cui
insegnamento mi ha spesso valso una fama da indovino, che un soggetto, anche
padrone di sè, si tradisce involontariamente passando davanti a un nascondiglio
che cerca di nascondere».
Si fece una gran risata.
- By Jove, non ho proprio perduto il mio tempo, vecchio giovanotto, fumando
qui le mie pipe.
Si era voltato all'improvviso impadronendosi della mia icona ortodossa di san
Serafino36.Così, non conoscete il valore immenso del regalo che vi fece il
defunto Medvieff, quando eravate il pope Tikhine?
Fui meno padrone dei miei riflessi di quanto lui non lo fu dei suoi e la sorpresa
che denotai lo incantò doppiamente.
- Wait and see.
Deposta la sacra immagine su una poltrona - con lo smalto dal lato del velluto -
, ne picchiettò il retro con una serie di piccoli colpi secchi.
Sentii un debole scatto... come il rumore fatto da una monetina che cade.
- Ecco!
Con gesto da prestigiatore, James mi offrì, di nuovo, l'oggetto che mi è così
familiare.
La gloria dorata, quella specie di aureola che circondava, fino a quel momento,
il volto ascetico del santo anacoreta di Sarov, era scomparsa, lasciando vedere
un'ampia superficie d'argento annerito, su cui risaltavano alcune parole, incise
per mezzo di una punta.
Delicata lezione di umiltà!
Da quattordici anni, questa icona era in mio possesso senza che mai avessi
potuto supporre che celasse un segreto e Nobody, con qualche colpetto...
A scuola, Teddy, amico mio!

36
Serafino di Sarov (1759-1833), staretz della chiesa russa, canonizzato nel 1903.
Alla luce di una lampada, l'iscrizione, per quanto graffiando appena la
superficie del metallo, fu facilmente decifrabile.
Iscrizioni, di fatto, per essere precisi!
La prima, scritta sicuramente da una mano femminile nervosa, si componeva di
quattro iniziali, seguite da un simbolo, poi da sette parole, scritte in perfetto
inglese:

S.I.M.P. [seguono sei punti] The green Dragon. You were absolutely right

La seconda scrittura, stavolta maschile, constava di due sole parole con un


difetto ortografico: to [too] late, troppo tardi!
Ci fu un tempo in cui l'esoterismo costituiva il mio passatempo preferito.
Mi fu pertanto molto facile riacquistare credibilità agli occhi dell'anziano
collega, visibilmente in imbarazzo per l'inizio enigmatico della più lunga delle
iscrizioni.
- The Green dragon, ecc… capisco bene, perbacco, il senso letterale del testo!
borbottò, mentre il suo volto rossiccio si corrugava per lo sforzo mentale.
«Il significato è: Drago verde o Idra Verde, come preferite, e: avete proprio
ragione.
« Ma che significano quei sei punti; sembrano un segno massonico. E che
significa la formula S.I.M.P.? Mi ci sono già rotto la testa sopra nella mia visita
dell'altro ieri»
- Si tratta di una società alquanto segreta, risposi, quella dei Figli della Vedova,
la Massoneria. I sei punti schematizzano, vecchio mio, il famoso Sigillo di
Salomone, una figura cabalistica - due triangoli equilateri intersecantisi -, e
costituiscono la firma del Martinismo.
Nobody mi squadrò con attenzione.
- Credevo, disse, che questa setta, la quale, se non erro, svolse un ruolo
determinante, nell'ombra, verso il 1789, durante la Rivoluzione Francese, di cui
fu, secondo il Thackeray, la vera propiziatrice, fosse scomparsa del tutto nel
1795, una volta svolto il suo compito.
- Gli risposi della mia convinzione che la sua influenza si rimanifestò in
Francia nel 1830 e poi nel 1848. Ci sono sempre stati, fra i fautori occulti dei
colpi di stato, discepoli di Martinez de Pasqually e Louis Claude de Saint-
Martin.
«Lo storico che si vorrà consacrare allo studio delle loro azioni metterà allo
scoperto i retroscena degli avvenimenti da cui scaturì la Repubblica...
«In ogni caso, il Maestro Filippo37 - di cui è questione qui - e toccai l'icona
violata con la punta dell'unghia, fu davvero per cinque anni, incontestabilmente,
il vero padrone di Tutte le Russie!».

37
Nizier Anthelme Philippe, più noto in francese come Maitre Philippe (1849-1905).
- Il Maestro Filippo, il Taumaturgo, un tempo volgare preparatore di trippe,
quello che teneva le redini di Nicola II e che venne poi soppiantato da Rasputin!
E' lui il «Superiore Incognito Maestro Filippo».... i sei punti?
- Sì, è sotto queste iniziali che lo designano gli iniziati, l'ambasciatore a Mosca
Georges Louis che lui in particolare, badi bene, non seppe utilizzare, e il suo
successore Paleologo che invece capì - ma troppo tardi - l'immenso vantaggio
che ne avrebbe potuto ricavare la Francia...
Strana figura, in verità, questo Nizier Anthelme Philippe, piccolo salumiere
savoiardo giunto a Lione in cerca di fortuna e che, presentato da Manouiloff,
agente segreto della polizia zarista, con gli auspici del mago Papus (rifondatore
nel 1890 dell'Ordine Martinista, il chè non è una coincidenza) alla coppia
imperiale a Compiègne il 20 settembre 1901 - doveva diventare, poco dopo,
l'arbitro segreto dei destini di un impero di cento milioni di persone.
Impostore e confidente della polizia d'ambasciata, ipnotizzatore e ciarlatano,
secondo i suoi accaniti nemici a che gli è valsa, a San Pietroburgo, la sua
autorità esclusiva, predominante, sui creduli residenti di Tsarkoie-Selo?
Inviato di Dio, detentore di un potere preternaturale, forse pure incarnazione di
Cristo, per coloro che aveva reso fanatici.
Non c'è dubbio, in ogni caso, che dispose di un'influenza inimmaginabile,
assoluta, sul rapporto molto speciale tra «Nichy» e Alessandra - che languiva,
all'epoca, per non poter avere figli - dal giorno in cui per sua intercessione essi
ebbero un erede al trono.
Caso, adulterio imposto in nome della ragion di stato, intervento di forze
occulte?
La mia opinione si è fatta su quest'essere eccezionale che riposa nel cimitero di
Logasse, a Lione, e del quale una famiglia illustre - di cui resuscitò il
figlioletto,38 secondo testimonianze reali -, continua ad occupare alla grande la
tomba.
- All'Intelligence Service, eravamo persuasi che si avvantaggiò della simpatia
che la Zarina aveva per il giovane principe Goluchowski, aggiunse James
«Nobody», le cui riflessioni si erano avvicinate alle mie.
Del resto il piccolo Zarevitch assomigliava in modo evidente a quel bel ragazzo
seducente, malato anch'esso di emofilia, che scomparve in modo misterioso a
Koenigsmark quando cessò di essere utile».
- E' ammissibile, riconobbi. A dispetto delle negazioni di Gilliard, precettore
dello Zarevitch, il Dottor Peters ha dato le motivazioni fisiologiche di quella
impotenza coniugale. Senza un coadiutore Nicola II non poteva che procreare
delle figlie!39

38
Sédir: Quelques amis de Dieu. Legrand, Rouen (nota dell'autore)
39
Questa affermazione risente di teorie pseudoscientifiche, in base alle quali alcuni maschi
potevano procreare solo femmine. L'autore avrebbe fatto meglio a riferire che nel 1891
Nicola II si fece tatuare sul braccio sinistro, nel corso di una visita in Giappone, un drago....
(D. Keene, Emperor of Japan, Meiji and His World 1852-1912. pp.446, 2002).
- Ma non è che la cosa ci faccia andare avanti...
Nobody fece saltellare pensosamente nel palmo aperto della sua mano l'aureola
di smalto dorato caduta sul cuscino del divano.
- C'è qualche rapporto tra l'aureola di san Serafino, il sigillo segreto di
Salomone, e la svastica inversa di casa Ipatieff?
«Siamo in presenza di due chiavi in grado di aprire una stessa porta?
«Che cos'è questo Drago Verde?
«Chi aveva veramente ragione?
«Perché era troppo tardi?
Queste sei domande me le ponevo mentalmente in termini più o meno
analoghi.
Così, quando dopo un certo silenzio James disse con aria distaccata: «Devo
supporre che l'etnografia vi abbia lasciato qualche distrazione?», gli risposi
senza esitazioni:
- Molte, se non vi spiace che confermi due posti sull'Orient Express di questa
sera.
- «Il Phanar40 attira anche a me!»

40
Il Vaticano ortodosso di Istambul.
CAPITOLO SECONDO

Phanar, Settembre 1929

Erano circa le 11 della sera e il Simplon Orient Express, che «faceva i 90»,
stava oltrepassando Laroche41, quando, nel corridoio deserto dove stavamo
fumando delle sigarette, di fronte alla porta del nostro scompartimento,
venimmo incrociati da una giovane donna in pigiama coperta da una pesante
mantella da viaggio.
- Assomiglia a Natasha! dissi, mentre la sua figura slanciata, dall'andatura
armoniosa, scompariva in fondo al «car», in uno di quegli stretti anditi dove la
Compagnie des Wagon-Lits ci stipava per due giorni.
Natasha, queste tre sillabe slave resuscitarono all'improvviso in me la
Costantinopoli d'anteguerra, quella Istambul fuori squadra, focolaio di complotti
e intrighi, ritrovo di tutti i pescatori in acque torbide euroasiatiche, dove ho
trascorso i due anni più ardenti e pieni della mia carriera di agente segreto.
Piccola ragazza carezzevole e bizzarra, animata da un'oscura energia, che
sosteneva, nel suo esilio, l'odio feroce per tutto ciò riguardava il regime
sovietico.
Fu infatti grazie a lei che conobbi Nobody - lei mi faceva da confidente -, ma,
senza mai avere informazioni a riguardo, avevo pensato che Nobody si fosse
fatto attrarre dal fascino amaro di questa nipote della Wyroubova, la figlioccia
della defunta Zarina.
Notai che gli bastava, spesso, una parola, per provocare, nello spirito di James,
come un corso seguito da associazioni di idee che scaturivano generalmente ad
un risultato imprevisto.
Per quale tortuoso concatenamento, il nome che avevo pronunciato lo portò a
mormorare, quasi dieci minuti dopo, mentre il treno superava Tonnerre:
- ...Sì, dev'essere stato dal principe Youssoupof che conoscemmo quelle
persone.
- Quali persone?
- Quelle che dalla lontana Svezia manovrarono Rasputin e ai cui ordini lui
obbediva servilmente.
Di nuovo una curiosa coincidenza.
Posso affermare che per tutta la sera ero stato confusamente ossessionato dalla
strana iscrizione scoperta sotto l'aureola di san Serafino di Sarof: The green
dragon, il drago verde.
Dov'è che avevo già sentito parlare di qualcosa di simile?
Adesso ci sono, accidenti!

41
Importante snodo ferroviario della Borgogna, lungo la linea Parigi-Marsiglia.
Fu proprio da Obolensky42, il vecchio direttore delle poste russe, caduto in
disgrazia perchè si lamentava troppo spesso con lo Zar per la frequenza dei
telegrammi cifrati ricevuti da Rasputin e che erano firmati Il Verde.
Nondimeno nè l'indagine del principe Lvof - capo del governo provvisorio
dopo l'abdicazione dello Zar -, nè quelle compiute dai nostri Servizi e
dall'Intelligence a Stoccolma, poterono mai scoprire la personalità di quelli che
si servirono dello Staretz per scompaginare del tutto l'alta società imperiale e
preparare così la strada all'avvento del Bolscevismo.
- Green dragon - I Verdi, ripetei.
Il Maestro Filippo avrebbe quindi messo in guardia già da prima l'Imperatrice
Alessandra sull'azione delle temibili forze che stavano scalzando la Russia,
forze di cui io stesso ho provato la particolare ostilità..., dato che mi ritenevano
capace di poterle smascherare in futuro! La sfortunata sovrana si era accorta
ormai tardi che il lionese aveva ragione?
- Natacha!
Le stesse tre sillabe tornarono in bocca a Nobody, mentre stavo salendo i due
gradini dello sgabello per issarmi sulla cuccetta superiore.
Poco dopo, abbassando la luce della lampada, nell'intimità rumorosa della
cabina ferroviaria, si lasciò sfuggire con grande schiettezza, sorprendente in un
vecchio viaggiatore come lui, qualcosa sugli strani occhi e l'eterno ambiguo
sorriso, gli scatti e gli slanci di colei che Charles Lucieto aveva denominato la
Sirena del Bosforo.

§§§

Mentre un taxi, singolarmente nuovo, ci conduceva senza affrettarsi - il tempo


non conta in Oriente - dalla stazione di Sir Kedji al Grand Hotel Tokatlian, nel
moderno palazzo di Pera, James non smise mai di imprecare contro «quel
mascalzone di Kemal» 43, per colpa del quale Istambul era ormai una città
morta priva di tutto, aspetto di cui sentiamo entrambi, non senza qualche
malinconia, la totale mancanza.
Era la fine di Bisanzio, certo!
E noi abbiamo il cuor stretto in una morsa, come al capezzale di una
moribonda, oggi vecchia e decrepita, che si era conosciuta e amata in tutto il
voluttuoso splendore e le seduzioni della giovinezza.
Fu così che, quasi riconoscenti verso Kismet, il Destino dei Musulmani, nel
personaggio stretto in una prorompente giacchetta che stava uscendo dalla
réception per salutarci con mille salamelecchi, riconoscemmo Panaioti
Theopoulos, il vecchio «Pana», più grasso, senza dubbio, più ingessato, più
appesantito che mai di monili, ma i cui occhi acquosi brillavano di una luce che

42
Forse si tratta di Aleksandr Dmitrievič Obolenskij (1847-1917), membro del Consiglio di
Stato.
43
Kemal Atatürk (1881-1938), primo capo di stato turco dopo l'epoca dei Sultani.
subito si spense di fronte ai nostri volti conosciuti. Theopoulos, il popolare
tenutario del famoso Garden - (Ambassadeurs, Folies-Bergère e Luna-Park
messi assieme) - che tutti gli ufficiali alleati, tutti gli addetti diplomatici, tutti i
trafficanti petroliferi, di anime e di gioielli frequentavano, certi di trovare con
lui un passatempo dilettevole, champagne di marca e compagne d'avventura... a
prezzi ragionevoli, tanto più che la «mercanzia» offerta non era mai troppo
scadente. Professionalmente avemmo molteplici occasioni per riconoscere la
bontà delle sue informazioni, il valore della sua discrezione e in più gli siamo
debitori di averci permesso di dedicarci in santa pace a quelle necessarie
«bordate» con cui ci dilettavamo, avendone il tempo, a quel tempo, di quelle
snervanti caccie all'uomo, in cui figuravamo, di volta in volta, se non sempre,
come la selvaggina o i segugi.
Panaioti si guardò bene dal mostrare felicità per l'incontro, tanto che finché ci
trovammo nella hall, e poi nel grosso e lento ascensore, si comportò solo come
un gestore impeccabile, consapevole di accogliere, in incognito, ospiti di
riguardo.
Il costo dell'appartamento privato dove ci portò, doveva giustificare in
sovrappiù, agli occhi di un qualunque ficcanaso, la deferenza ossequiosa se non
servile, di cui sapeva dare prova.
- Tu ci vuoi rovinare, vecchia canaglia! gli disse James a bruciapelo, dopo che
la porta si fu richiusa alle spalle del facchino che aveva portato le nostre leggere
valigie.
Le tenere carni di Theopoulos si aprirono in un ampio sorriso.
- Per due vecchi amici come voi c'è sempre modo di accomodarsi. Rivedervi
insieme! Subito, ho pensato di tornare giovane di dieci anni. Ah! bei tempi, non
è vero?
Alla sincerità di quel greco fece eco come un'emozione nello sguardo di
Nobody.
Ma, gesto per lui raro, benché avesse nelle vene sangue irlandese, alzò due
volte le spalle e in tono canzonatorio, a voce alta, rispose:
- Allora il Ghazi, Kemal il Vittorioso, vi ha avuto!
Il fatto che al temuto soprannome dell'attuale padrone di Ankhara, Panaioti non
avesse mugugnato, che non avesse lanciato un'occhiata in direzione della porta,
mi confermò che temeva solo che i muri potessero avere orecchie.
«Tu lo rimpiangi, eh, il dopoguerra! proseguì James, sempre gioviale. Qui ti
arrivava, vecchio bandito, il commercio delle principesse russe, gli spumanti da
centocinquanta piastre, le lettere rubate ai guardiamarina o ai commodori
ubriachi! Al Diavolo se non avessi pensato che ti avremmo potuto ritrovare qui!
« Meglio cambiare mestiere che morire appesi ad una corda! »
Panaioti mi guardò, abbassando le palpebre grasse, cerchiate con un grosso
tratto di Kajal.
- Siete sempre gli stessi, vedo. Il mio collega gli batté forte sulla spalla.
- Good old scout! esclamò, all'improvviso commossosi di nuovo.
Fu allora che capii perfettamente dove tutte le sue domande andassero a parare.
- Il Garden l'hai venduto, vero? cominciò, indifferente, almeno in apparenza.
Theopoulos avrebbe senz'altro sputato per terra se il pavimento non fosse stato
per tre quarti ricoperto di splendidi tappeti di Smirne.
- Fu chiuso, signori miei, l'anno in cui venne proibito alle sorelle di riaprire le
scuole francesi. C'è di che disgustarsi di tutto.
- E Manouissef? tagliò corto James. Un lampo di furbizia brillò negli occhi di
«Pana».
- Questo è più divertente! rispose.
« Pensate che quell'animale è riuscito a dormire con la donna di un addetto
dell'ambasciata americana da cui poi ha divorziato, dopo che lui gli fece
provare, quella notte stessa, per undici volte il valore della cavalleria circassa».
Ma le prodezze amatorie dell'ex aiutante di campo di Wrangel non
interessavano a Nobody.
E il piccolo Mickham? riprese, ancora, per darci il cambio.
Credo che non udì la risposta di Theopoulos.
- Natasha? chiese allora, con voce appena tremante.
- Quella? Se l'è presa la Tcheka44, con la forza. Trovarono il suo cadavere,
strangolato, presso l'Isola dei Principi. I granchi l'avevano mezzo mangiato.
Solo allora il greco si ricordò, e si fece rapidamente tre volte il segno della
croce sulle labbra.
Nella nostra arte, qualche volta è più difficile reggere il «colpo» che rischiare
la propria vita da cani, coscientemente, con il sorriso.
Perciò ammirai sinceramente James quando, con gli occhi appena velati,
proseguì con lo stesso tono canzonatorio, col quale usava volentieri con
Panaioti:
- Allora, sempre così bacchettone?
- Non c'è bisogno di salutarsi? Non si sa mai chi vive e chi muore! rispose
seriamente l'altro.
La risata alla Pickwick echeggiò sonora.
- Vedrete che un giorno siederà a fianco dei santi Cirillo e Metodio, come un
giusto, alla destra di Dio!
«Ma sto scherzando; non è tutto qui, riprese, dicci, in amicizia, cosa c'è di vero,
secondo te, in quelle voci che vengono dal Phanar? E' vero che Sua Beatitudine
Basilio III sta morendo?
La domanda diretta scatenò immediatamente una nuova serie di rapidi segni
della croce.
- Haimè! gemette Theopoulos, c'è da temere che a breve riprenderanno, contro
i nostri fratelli, le spaventose persecuzioni dell'epoca di Maometto III45.
Ebbe di nuovo la tentazione di sputare per terra, ma si trattenne.
«La Chiesa ortodossa, come allora, è divisa in se stessa... Il Phanar (abbassò la
voce) è un ritrovo di furfanti. Gli Igumeni46 ricevono con una mano le

44
Polizia politica bolscevica.
45
Mehmet III, sultano dal 1595 al 1603.
elemosine della povera gente e con l'altra prendono dal Ghazi! Non mi sbaglio
se affermo che vi regna il tradimento».
- Perché non ti sei fatto pope? buttai là, ma lui non sorrise a questa
stupidaggine che in altre circostanze l'avrebbe fatto sghignazzare.
- Per me il Santo Patriarca è già morto! continuò. La cosa ci vien tenuta
nascosta per preparare e falsificare con tutto comodo l'elezione del successore.
«Con lui si estinguerà l'ultima luce della Fede, crollerà il bastione della vera
Cristianità!».
Quando Panaioti si metteva a filosofare in questo modo era o perchè non
sapeva niente o perché non voleva dire niente.
James non insistette.
- Suvvia, vecchio, non siamo venuti qui per compiangere il destino dei tuoi
correligionari. Me ne preoccupo a metà. Ne hanno viste e passate di peggiori e
se ne sono sempre tirati fuori!
«Noi siam qui per divertirci. Per domani ci procurerai una guida che ci faccia
visitare i posti dove ci si distrae malgrado la polizia di Kemal».
E, siccome il grosso greco protestava che non c'era più un night degno di quel
nome in tutta Istambul, lui lo prese a forza per il braccio, lo fece girare su se
stesso e lo spinse verso la porta, dicendo:
- Ebbene, arrangiati pure, ma sappi che noi vogliamo divertirci.
«Se non è affatto convinto che questa volta siamo in missione speciale -
continuò, appena il passo pesante del direttore si fu allontanato lungo il
corridoio di mattonelle -, al ritorno mi faccio doganiere... Si sta spremendo le
meningi per indovinare cosa facciamo; penso che, fino a domani, ci lascerà in
santa pace. Da qui fino ad allora. Ma...».
Si fermò e disse facendo una smorfia:
«Damn-it! Ammesso che, tuttavia, non abbia ragione... e che noi si sia arrivati
troppo tardi».

§§§

Molto spesso si crede che il legame, quel legame d'obbedienza che unisce le
chiese russe al Patriarca ecumenico di Costantinopoli, sia puramente formale da
molti secoli.
A mio avviso, è un errore...
Non solo tutti i dirigenti del Santo Sinodo hanno ricevuto da Bisanzio una
specie di impronta, indelebile, che si traduce, superficialmente almeno, con un
gusto tutto malsano per il segreto, per il mistero - là anche dove questo non c'è -,
ma prima del 1918, tutta una aggrovigliata matassa di gerarchie occulte esisteva
tra i patriarcati di Istambul e Kiev, e tra quelli di Kiev, Mosca e san Pietroburgo.

46
Titolo corrispondente a quello cattolico di prete, mentre archimandrita corrisponde ad
arciprete.
Non che il Phanar desse ordini. Raccomandava, suggeriva, ma si può dire,
senza sbagliarsi, che la sua influenza si stendeva anche al dominio politico,
poichè animò costantemente - anche se indirettamente - con una unità di visione
davvero profetica. Posso citare due personaggi da esso influenzati: Constantin
Pobiednotseff, creatore del Panslavismo, consigliere privato e amico intimo di
Alessandro III, e il suo continuatore von Plehwe, il mentore di Nicola II,
fondatore della Okrana, la polizia zarista, il cui assassinio - nel luglio 1904 -,
causò la fine dell'assolutismo.
Meglio posizionato del Santo Sinodo per giudicare la situazione europea nel
suo insieme, il Phanar - ne ho alcune prove -, aveva previsto, fin dai primi di
luglio 1914, la catastrofe in cui sarebbe precipitato - per quanto tempo? -
l'impero zarista!
Sua Beatitudine Basilio III non aveva forse detto testualmente al padre
redentorista Quétand, con cui intratteneva rapporti di fiducia fin dal tempo in
cui questi compiva degli scavi archeologici nei pressi della tomba di Achille:
- Una tale guerra non sarà popolare nella massa russa. L'idea di una rivoluzione
gli è molto più confacente di una vittoria sui tedeschi...
«Infine nè i popoli nè gli uomini possono sfuggire, neanche per un'ora, al loro
destino», dopodichè si fece il segno della croce.
Pertanto si fu pronti, sulle sponde ortodosse del Bosforo, appena si verificarono
i primi scollamenti nella potenza moscovita, a radunare tutti gli archivi religiosi
della Santa Russia.
Il Bolscevismo non pareva peraltro agli occhi degli Igumeni quel gran pericolo
che sembrava, anzi.
Alcuni di loro vi vollero vedere una specie di prova necessaria, in cui il
misticismo dell'anima slava doveva rinascere depurato, in un rinnovo di fede
ardente, una volta sbarazzatosi di ciò che si compiacevano definire la putredine
occidentale.
Tali fanatici non si trattennero dal benedire persino quei padroni dell'URSS che
ambivano restituire alla Russia i suoi destini asiatici!

§§§

Sono stato ricevuto in udienza in Vaticano, più volte, non molto tempo fa. Ho
fatto ricerche ben due volte al Phanar nel 1920 e vi ho trovato la prova del ruolo
svolto dai monaci bulgari di un certo convento del monte Athos nel corso della
guerra sottomarina, in quanto provveditori di carburante e navi appoggio per gli
U-boot che all'epoca operavano sulle rotte del Dodecanneso.
Quelle visite per me avevano la capacità, meglio di un qualsiasi testo di
teologia, di mostrarmi le differenze fondamentali che c'erano tra le due branche,
ora separate e avversarie, del Cristianesimo delle origini.
Da una parte, un palazzo sontuoso, dove tutto è ordine e armonia, dall'altra un
intrico di costruzioni basse, prive di ogni unità, di ogni stile, con una sola
misura comune, la mancanza quasi completa di aperture esterne e dove - una
volta varcata la soglia -, ci si perde subito in un ingarbuglio di corridoi, di scale
oscure, di vicoli ciechi, di «in pace»47.
Comunque, c'è un elemento comune alle due Chiese avversarie.
In entrambe, i sacrestani hanno quasi lo stesso modo di strascicare i piedi sul
pavimento e la stessa aria bigotta.

L'anziano che ci accolse nel vestibolo del Phanar non si sottraeva a questa
regola.
Insaccato in una sudicia sottana, tutta cosparsa di forfora, ci fece entrare, a
sinistra, in una stanza angusta, buia, ammobiliata con sedie scompagnate e i cui
muri erano adorni di oleografie nel peggior stile Saint-Sulpice48; quindi ci chiese
in greco - sprofondandosi in un inchino - cosa desiderassero lorsignori.
Tuttavia il suo sguardo di sottecchi ci aveva già valutato, disprezzato, forse
temuto.
Io conoscevo da prima la Casa per sapere che quella sala d'attesa era riservata
di solito ai visitatori senza importanza, così risposi, in francese, con tono
scontento:
- Ma vedere il Patriarca, che diamine!
- Avere l'onore di essere ammessi a un'udienza privata col Santo Basilio III,
brav'uomo! confermò Nobody, beffardo...
Cinquant'anni di ipocrisia avevano conferito al fanariota un perfetto dominio di
se stesso; tuttavia la sfrontata richiesta fece impallidire la sua faccia sudaticcia.
Rivolse uno sguardo sgomento agli antipatici volti di santi appesi ai muri, e
non seppe far altro che rispondere in greco, con voce flebile, quasi spaventata:
- Ma occorre che lorsignori facciano una richiesta scritta, esponendo le ragioni,
l'argomento preciso, i motivi della visita che desiderano fare a Sua... a Sua
Beatitudine. Il Segretariato risponderà e consentirà se ne è il caso!
Lo sbigottimento di quel fantoccio era, certo, molto esilarante da vedere, anche
se del tutto comprensibile.
Si pensi alla faccia che farebbe una guardia svizzera o meglio una guardia
nobile all'ingresso del Vaticano se un signor nessuno gli ingiungesse di portarlo
senza perder tempo al cospetto del Santo Padre!
Ora, se è vero che è molto meno conosciuto dalla massa dei Cristiani, il
Patriarca ecumenico è forse più accessibile di quanto non lo sia il Vicario di
Cristo a Roma.
- Sbrigati! Abbiamo fretta! continuò Nobody, con aria arrogante, con quel
disdegno naturale tipico degli Inglesi.
Il sacrestano tergiversò.
- Non posso far altro che ripetervi...
- E va bene, tagliai corto io, facciamo così, portaci dall'archimandrita Teofane.

47
Termine latino col quale si designavano ipocritamente le prigioni nei conventi.
48
Espressione coniata da Léon Bloy nel 1897, riferibile ad un'arte religiosa grossolana e
popolare, volta a suscitare l'emozione del fedele.
«Gli riferirai che cè qualcuno che aspetta per riportargli la croce d'oro della
cappella armena delle Sante Servitù». Il mio amico mi scrutò con un'aria che
voleva dire:
- Caspita, quello che vi manca non è certo la faccia tosta!
Il fatto è che undici anni prima, quella croce pettorale d'oro - ma vuota - aveva
svolto un ruolo decisivo nel processo del pope Dionigi, spudorato emissario dei
Soviet, fucilato a Santo Stefano, dopo che fu tradito per mille lire da
quell'importante personaggio fanariota che già allora era l'igumeno Teofane.
La cosa sconcertò visibilmente l'anziano sacrestano.
- Vado a vedere se Sua Eminenza è presente, sospirò. Che le loro eccellenze si
degnino di aspettare qui.
- Qui? Certo che no!
L’uomo capì definitivamente di aver commesso una gaffe e, sconfitto, ci
introdusse senza convenevoli attraverso un chiostro completamente deserto,
fino a una specie di rotonda, illuminata da ciotole d'olio, talmente sovraccarica
di dorature da sembrare l'interno di un reliquiario.
All'inizio i nostri occhi fecero fatica ad abituarsi alla penombra, ma avemmo
tutto il tempo necessario per apprezzare i particolari del mosaico bizantino
arcaico su cui cadevano i tremuli riflessi delle lampade.
Inoltre, poiché la nostra guida tardava a tornare, accusai un insidioso malessere
nell'essere scrutato dai grandi occhi vuoti delle poderose immagini di santi che
ci fissavano dai muri, dalle volte, dalle vetrate.
E quel continuo scivolar d'ombre evanescenti, che si scorgevano attraverso la
porta dalla forma trifoliata, finiva per stizzire i nervi, mentre sulla soglia
morivano - con fruscii soffocati - i rintocchi argentini di una campanella, ultima
eco di una salmodìa.
Di sicuro ci stavano spiando!
E quell'accidenti di sacrestano che non tornava mai!
Riapparve infine, dopo un'interminabile mezz'ora, più ossequioso e bigotto di
prima, e senza una parola ci fece segno di seguirlo.
Corridoi a volta, bassi, così bassi che temevo che Nobody, più grosso di me, ci
andasse a sbattere! Disordinati saliscendi di scale di casamatte; piccoli cortili
umidi, bui, saturi di tutto il tanfo dell'Oriente; cappelle socchiuse e tanto buie
che le lampade rosseggianti, ardenti di fronte all'Iconostasi, non emettevano
neanche uno scintillìo.
Avemmo entrambi l'impressione che la cadenza moderna dei nostri passi
commettesse in un luogo del genere una specie di sacrilegio.
Dei pope, scorgendoci, si fecero da parte all'improvviso, dileguandosi
nell'oscurità.
L'anziano continuava la sua andatura, quasi volesse perderci in quel labirinto
tortuoso.
In un attimo fummo presi e avvolti dalle onde sonore di un canto liturgico,
rauco, selvaggio, infinitamente esasperante, intonato da bassi eccellenti.
Il nostro uomo trotterellava sempre, come un ratto, e quelle silenziose strettoie
parevano diventate un incubo.
Eravamo pure nello scoramento causato dall'indefinibile odore tipico del culto
bizantino, che ci prendeva il naso, un miscuglio di incensi, sudore, sporcizia,
muffa e tessuti umidi.
All'improvviso chi ci faceva da guida si fermò di fronte a una porta nascosta
all'interno di un antico affresco, dai colori sbiaditi.
Grattò alla porta, e aprì.
Lo choc, lo choc visivo che ebbi, mi fece l'effetto di un cazzotto, ricevuto in
pieno viso.
L'archimandrita Teofane era seduto, quando entrammo, dietro un'enorme
scrivania a cilindri, di tipo americano, e stava scrivendo a macchina - una
Underwood ultimo modello -, con la velocità regolare di un impiegato
professioniosta.
Il mobilio si componeva di classificatori, sedie di cuoio e numerosi schedari in
mogano.
La stanza, intoncata a calce, illuminata da tre grandi finestroni che davano su
un giardino adorno di bei alberi da frutta secolari, era pregna di uno spesso
fumo che sapeva di sigaro di qualità.
Infatti, come ci vide, l'alto dignitario ortodosso schiacciò precipitosamente il
suo Henri-Clay in una ciotola, e si mise davanti a noi, sollecito, con le palme in
fuori in segno di accoglienza. Adesso ci si offriva in tutta la sua enorme
corporatura, rubicondo, lustro, apoplettico, scoppiante di salute insomma. Ma la
fitta e lucida barba che gli saliva scarmigliata fin sugli occhi era in ogni caso
nera per l'inchiostro, e lo sguardo, acquoso, sotto palpebre appesantite, rendeva
lo stesso riflesso metallico sbiadito dell'ambiente.
- Ah, capitano, fece con smaccata cordialità e tenendomi a lungo le dita nei
suoi palmi carnosi, spugnosi, umidi. Che gentilezza ricordarvi così di me! Che
onore potervi ricevere in questa casa - e qui fece un gesto come ad abbracciare
il suo curioso ambiente lavorativo -, in cui cerco di introdurre un pò di
indispensabile modernismo, sicuro di essere scambiato, da certuni, per un
seguace dell'Antico Nemico!
Parlava in perfetto francese.
Ma fu in inglese che però continuò rivolgendosi a James.
- Delighted, I am sure, to meet the famous Nobody.
Al pari di me, il mio amico non si fece ingannare dall'esuberante cortesia
orientale.
Per l'archimandrita Teofane noi rappresentavamo, certo, dei probabili fastidi e
forse - vai a sapere - un pericolo.
Accavallando le gambe, semisdraiato sul divano di pelle conciata, dopo averci
fatti sedere su pesanti e confortevoli sedili moreschi, il nostro ospite credette
giunto il momento di chiedere il motivo della nostra presenza al Phanar.
- Mio Dio, ecco...
James mi rivolse un'occhiata, con aria d'imbarazzo.
Al che io continuai, facendo il suo gioco:
- Ecco, il mio amico desidera vedere Sua Beatitudine, per...
- ...per una piccola questione privata, terminò Nobody, impassibile.
- Ah! Bene! ma è chiaro! gli uscì dalle labbra carnose.
Il suo tono sembrava dire: «In verità, nel vedervi qui tutti e due, avrei pensato a
dei motivi più imperiosi, più necessitanti!
«Quanto sarei felice di potervi rendere questo servizio».
La sua voce prese un tono scandito e le labbra tumide si piegarono all'indietro
sotto la barba.
«Solo che, per il momento, la cosa è alquanto difficile. Sono desolato, ma
capitate male. Sua Beatitudine è infermo.
Oh, niente di serio».
Il discorso si fece confidenziale:
«Si tratta di una indisposizione passeggera, ma con un vegliardo così delicato,
con l'età che ha il Santo Patriarca, i medici sono costretti a delle precauzioni
giustificate, cosicché le visite sono sospese.
«In verità, se fosse per me solo, trasgredirei volentieri queste prescrizioni per
venirvi incontro. Ma mi attirerei gli strali degli Episcopi, fedeli ad una rigida
tradizione.
«Abbiate la pazienza di attendere otto giorni. Dopodiché l'illustre malato si
sarà di certo rimesso e sarà per me un piacere farvi dare udienza».
Fin dall'inizio del discorso, avevo capito tutto.
Malgrado il sorriso accondiscendente e l'affettazione soporifera, Teofane
mentiva.
Sicuramente, il vecchio Basilio III doveva essere a un passo dalla morte e si
mercanteggiava la sua agonia - Panaioti ne aveva avuto sentore - per predisporre
la successione, in base al nuovo vento che dall'Asia spirava sul Bosforo.
Il giovane Phanar non si sarebbe lasciato scappare l'occasione di assumere le
redini del comando.
- Otto giorni, sicuramente. Quindici se mai! rispose Nobody, gioviale. Non cè
davvero fretta!
Forse l'archimandrita, nell'accompagnarci all'uscita del Phanar attraverso un
percorso molto più breve di quello che facemmo all'andata, dette mostra di una
fretta esagerata, e fu un lieve errore di comportamento.
Ma la vittoria lo doveva aver reso più cordiale, più esuberante.
Senza dubbio aveva pensato tra sè e sè:
«Da qui a otto giorni Basilio sarà su un catafalco e voi, cari amici miei, dovrete
contentarvi di baciare devotamente la mano del cadavere».
Ma fu solo alla fine del corridoio d'uscita che fece la domanda che mi
aspettavo fin dall'inizio:
- Forse, in pratica, io stesso avrei potuto procurarvi senza perder tempo, le
informazioni che tenevate ad avere dal Santo Patriarca.
Tutti gli archivi della Chiesa sono a mia disposizione».
- Allora badate bene, vecchio mio, gli dissi come scoccando una freccia
persiana. A conoscer troppi segreti, le ossa non diventano vecchie!

§§§

Credo sia inutile raccontare come seminammo l'apprendista che fece del suo
meglio per seguirci, dopo l'uscita dal Phanar, nè quali furono le nostre trattative
con l'armeno Braidjian quando, più tardi, quasi fossimo tra un cane e un lupo,
scivolammo discretamente nel suo fetido negozio.

§§§

Benché fosse l'una del mattino, sicuramente nessuno dormì quella notte al
Phanar.
E quando i due abati mitriati dei conventi russi del Monte Athos - Panteleimon
e Sant'Andrea - scesero dall'automobile davanti al robusto portone chiodato
chiedendo al portiere dell'igumeno di servizio, l'immenso multiforme edificio
risuonò di un rumore, di un confuso bisbiglìo, quasi simile a quello di un
alveare.
I pope che vennero a salutarli, sapendo tutto quello che era dovuto a quegli
elettori influenti, la cui parola sarebbe pesata al prossimo conclave, gli si
affollarono contro, gli chiesero se avessero bisogno di qualcosa, dopo avergli
devotamente, s'intende, baciato la spalla.
Essi rifiutarono la colazione che gli proposero di servirgli e con quella voce
bassa dall'accento rauco, tipica degli anacoreti che han perso anche la parola,
dicendosi stanchi del viaggio - si erano messi in cammino appena ricevuto il
messaggio -, chiesero solo una cella dove gli fosse possibile, al suo interno,
raccogliersi in preghiera, prima di recuperare le forze perdute con qualche ora di
sonno.
Poi, dopo il rituale lavacro dei piedi compiuto da un giovane diacono - Dio,
avevano forse i piedi lerci di santa e antica sporcizia? -, furono condotti, in
piccola processione, all'appartamento che nel frattempo l'Igumeno-economo,
avvisato, aveva fatto preparare per loro.
I sobbalzi dei cattivi sentieri percorsi dopo Cavalla - cioè circa 500 chilometri -
, dovevano di certo averli macinati a dovere, poiché appena si insediarono in
una grande camera, ammobiliata in stile secondo Impero autentico, crollarono,
fianco a fianco, sull'immenso smisurato letto, anormalmente largo, testimone
eloquente, sebbene muto, degli speciali passatempi a cui si abbandonavano quei
corrotti.
Chi fosse entrato nella mezz'ora seguente - ah, certamente in maniera discreta e
in punta di piedi -, per assicurarsi che stavano riposando, li avrebbe già trovati
tutti ronfanti a pugni stretti, vestiti, incuranti della trapunta che avevano
comodamente sporcato con i loro stivali grassi e inzaccherati, e dei loro capelli
grigi, unti d'olio.
§§§

— Get a move on you!


Nobody mi colpì dolcemente col gomito.
Con la sua turgida barba assomigliava perlomeno a un brigante di strada
piuttosto che al capo di una delle comunità più ricche del mondo antico.
— Yes a bloody move! replicai.
E' davvero raro che una parola equivoca sfugga dalle labbra cortesi di James.
Mi accorsi di quale tensione di spirito tradiva quella battuta, quale reazione
reagisse alla malìa dell'ambiente.
Si sentiva soffocare moralmente nel suo travestimento da anacoreta.
L'energica uscita gli impedì di farsi divorare dal personaggio che impersonava.
Gli risposi in francese - il francese, senza accento tonico, è la lingua che si
bisbiglia meglio; quella che si capisce meno sentendola a distanza.
- Ho un punto d'orientamento preciso. Ci troviamo proprio a fianco della
cappella di Sant'Eulogio.
Sia benedetta quella vecchia canaglia provvidenziale di Braidjian!
Dio voglia che la riconoscenza per gli antichi servizi resi, resti una virtù degli
Armeni!
Non solo le due tonache dell'ordine del beato San Atanasio, procurateci dal
rigattiere di Top-Hané erano giuste, fedeli fin nei più piccoli particolari, ma
anche la piantina del Patriarcato - comprata a peso d'oro - era esatta!
Armati di pistole Colt con la sicura libera nella tasca destra delle sottane, ci
intrufolammo nel corridoio.
Sembrava fortunatamente deserto, ma la notte pulsava di presenze invisibili.
Una nenia infinitamente lugubre veniva dal santuario vicino; riconobbi gli
accenti, scanditi dal «Paraskhou, Kyrie», del salmo dei moribondi.
Preceduto da due turiferi, un officiante ci incrociò, senza badare a noi, tutti
avviluppati com'erano da una spessa coltre d'incenso e così indorati che avevano
l'aria di esser scesi da un'icona.
Ci muovemmo, decisi a tutto, usando la mappa solo all'incrocio di passaggi
ingarbugliati.
Infine, superati gli ostacoli, percorsi tutti i meandri, ci trovammo sulla soglia
sotterranea dietro cui vegliava la Morte!
Che fosse lì?
Non c'era da dubitarne!
Bastava ascoltare il rantolo secco, regolare, che sovrastava a intervalli gli
ultimi echi di una liturgia che veniva dal mondo dei vivi.
Spingemmo una porta ferrata.
In una cella completamente spoglia, illuminata lugubremente da una lampada
rossa da iconostasi, un vecchio agonizzava, solo, sopra una branda, isolato da
ogni presenza umana.
Solo i suoi occhi esprimevano la vita - e con quale fuoco - fissi su una grossa
icona della Santissima Vergine Maria, splendente di pietre preziose, tenuta in
piedi da un cavalletto ai piedi del miserabile giaciglio.
Sic transit gloria mundi!
Mi sarei ben guardato dall'interrompere quel silenzioso colloquio mistico,
talmente profondo che il moribondo non si era accorto della nostra presenza.
Ma James, senza esitazioni, si era già avvicinato al letto, dopo avere estratto
l'icona di San Serafino di Sarov da una tasca interna della tonaca.
Basilio III trasalì.
Lo sguardo si staccò dalla Regina di Misericordia.
Le mani ceree rasparono il lenzuolo.
Avvicinandomi a mia volta, sentii affiorare dalle sue labbra, screpolate per la
febbre ed esangui:
- Vi perdono. Ma che i cani aspettino che mi sia raffreddato prima di disputarsi
le mie vecchie ossa! Tanta impazienza è sacrilega! Lasciatemi addormentare
nella pace.
« Eleggete chi vi pare. Non potrete comunque impedire che la volontà
dell'Altissimo si manifesti in piena luce. Non vi odio più. Andatevene via».
- Padre! mormorai
L’emozione, il sussieguo della mia voce parvero meravigliarlo; senza dubbio,
dovette sospettare qualcosa. Poi il suo sguardo sfiorò la pia immagine che
James gli porgeva.
Vide l'aureola mancante; il suo corpo ebbe un sobbalzo che mi fece temere per
la sua vita.
- Padre, ripetei. Dite ai vostri amici Teddy Legrand e James Nobody, chi vi
riferì le ultime parole del Patriarca Thichon 49.
«Dovete aiutarci a comprendere il segreto di questa iscrizione. Il sangue dei
giusti grida vendetta. Padre, compiacetevi di offrire al Cielo il sacrificio
prezioso dei vostri ultimi minuti terreni. Il giudice è là, è vicino!
- Il calice! Ah! Allontanatelo!
Le labbra tremarono alcuni istanti come per recitare una breve preghiera.
Ostentatamente - miracolo divino, miracolo di una volontà dominatrice -, il
morente riacquistò forza.
Mi sembrò anche che un sorriso ne sfiorasse il volto eburneo.
«Li avete beffati, figli miei. Siete arrivati fin qui!»
Nobody insistette, pressante.
- Parlate, parlate subito my lord! Se non ce lo dite, la macchia di sangue
stavolta si allargherà a tutta l'Europa e la Cristianità perirà.
- Troppo tardi! gemette con voce fioca.

49
Torturato dalla Tcheka. Nobody riuscì ad avvicinarlo - ma questa è un'altra storia - in
tempo perché rivelasse il nascondiglio del tesoro del Santo Sinodo di cui i Bolscevichi
volevano impossessarsi (nota dell'autore). [Tichon fu l'ultimo Patriarca liberamente eletto del
Patriarcato di Mosca. Fu fatto santo nel 1989]
Da undici anni attendevo l'icona della Zarina.
«Emissari fidati hanno battuto la Siberia in lungo e in largo; niente, mai; non
ho mai saputo nulla, e adesso essa mi giunge nel momento in cui si aprono le
porte della Morte. I miei poveri occhi non hanno più forza per leggere il
messaggio. Che dice?»
Glielo sussurrai.
Le sue dita allora cercarono e poi sfiorarono i caratteri acuti incisi sulla
superficie di argento polito.
- Sì è proprio la loro scrittura! Alessandra; il povero Nicky!50 Come aveva
ragione. Troppo tardi!
Non avrei mai creduto che quel povero corpo emaciato contenesse ancora tanta
energia, tanta vitalità.
L’anima, splendida, dominava la spoglia terrestre consumata; la sorreggeva,
galvanizzandola.
Il pensiero luminoso scaturiva dalla caverna della bocca, sotto una strana
forma, certo, fatta apposta per sconcertare.
- Quando il fantasma di Alessandro III appariva alle sedute magiche della
loggia di Tsarkoie e dava al figlio Nicola II le sue istruzioni d'oltretomba, noi
sappiamo qui, in anticipo, in quali termini il defunto Zar si espresse51.
«Filippo non avrebbe rischiato di incorrere nel nostro anatema. Fu un prezioso
strumento.
«Il suo recente prestigio medianico sul misticismo della corte rafforzava i
nostri ammonimenti, ciò che volevamo far capire... »
Il vecchio, che si era sollevato dal cuscino, ricadde.
Il respiro si fece affannoso.
Volle continuare lo stesso.
«Solo lo Zar poteva impedire che le predizioni si compissero. La battaglia di
Armageddon. Il combattimento dell'Apocalisse. I cavalli bianchi. L’Idra dalle
sette teste coronate. L'idra verde!»
Sacralità del delirio! Visione conferita dall'imminenza della morte.
Gli occhi incavati si spalancarono.
Il vecchio profetava da un'altra dimensione.
Profezia? Incubo? Turbine dei supremi ricordi che ossessionano coloro che
stanno morendo?
«I cattivi pastori indossano la pelle delle pecore. Una testa mozzata e due teste
rinascono. Rasputin, maledetta marionetta! Odio per l'Europa, odio per quelli
che volevano una pace perpetua. Sangue sulla tunica bianca! I due pazzi di
Sarajevo. Nessuno ha capito che l'Idra verde aveva armato il braccio del serbo...
per vecchi che siano i figli di Elle, sulla sua roccia, roccia d'oro, non si è sazi...
il cervello è nelle terre glaciali, se i tentacoli si estendono e diffondono nel

50
Nomignolo affettuoso dello Zar Nicola II.
51
Si vedano, a conferma, le Memorie di Paleologue, tomo III, p. 93 (nota dell'autore).
mondo... Santa Russia, barriera d'Europa, sostegno della Chiesa, se tu cedi, i
cavalli di Tamerlano si bagneranno sulle spiagge della Bretagna.
«Grazie, Signore, perchè non vedrò il tempo dell'abominazione. Un alito è
passato sul mio viso e mi si rizzano i peli.
«L'inglese, se arriva, la Russia lacerata ritrova un esercito e l'onda tedesca si
infrange. Ma l'abisso si è aperto. Le forze del male hanno rotto la catena. Nulla
le può più fermare.
«Se comunque un uomo, quell'ebreo, Rathenau, che voleva fare l'alleanza tra
Germania e Francia... Abbiamo parlato a lungo. Ci vedeva chiaro... ma l'hanno
ammazzato. Si avvicina il tempo in cui l'Europa tremerà sotto gli speroni
taglienti dell'uomo delle due Z.52
«Troppo tardi, No, forse, se voi...
Noi eravamo talmente in apprensione per le scioccanti parole del moribondo
che non avevamo sentito aprirsi la porta della cella.
Ci salvò un grido del vecchio, un grido soffocato e di paura.
Alle nostre spalle un pope gigantesco brandiva, come fosse una clava, un
enorme candeliere di rame.
Con un pugno assestato al fianco sinistro, Nobody lo gettò a terra.
In pochi secondi, a fianco del moribondo, nacque una mischia atroce e confusa.
Una fiumana impetuosa d'uomini di chiesa ci venne addosso biascicando una
sequela di imprecazioni in greco.
In un batter d'occhio ci vennero strappate le barbe e le parrucche finte.
Saremmo certamente stati sopraffatti dalle grinfie di quei forsennati e dalle loro
armi improvvisate se la furia stessa della loro rabbia e l'esiguità dello spazio non
li avessero resi maldestri nel muoversi e colpire.
Stretti troppo da vicino per poter estrarre le nostre pistole, che avremmo dovuto
usare prima, ci difendevamo comunque bene, ogni nostra reazione dava il fatto
suo all'avversario, tanto più che una pesante croce d'argento massiccio e un
incensiere d'oro sbalzato, strappati nel corpo a corpo, erano diventati, in mano
nostra, strumenti molto efficaci.
Urtata, l'icona della Vergine cadde dal cavalletto, causando un arretramento
della massa.
Io scattai via.
- Hello Nobody! gridai.
Con due balzi, ruppi le lampade a olio.
In piena oscurità, in mezzo al brulicare umano che puzzava di sudore e di
capro, tra le urla, riuscimmo a raggiungere la porta.
Fu l'inizio di una corsa a perdifiato per i corridoi, le gallerie, le corsie deserte;
ma, stavolta, pistole in pugno, non avevamo molto da temere, tanto più che i
nostri aggressori sembrava volessero prenderci vivi.

52
Queste parole portano incontestabilmente la firma di Xavier de Hautecloche!
L'orrore dell'ultima vista del Patriarca mi ossessionava, mentre accelleravo
l'andatura fianco a fianco di Nobody, meravigliato per la resistenza di un grosso
signore che aveva passato la cinquantina.
...un corpo scheletrico, piegato all'indietro di traverso al letto, con la testa
canuta che toccava il pavimento, i tratti eburnei stravolti, la bocca aperta come
fermatasi nel supremo urlo di paura...
Un'alba sporca che saliva timidamente dalle vetrate, ci permise di orientarci
verso l'uscita.
Avevamo distanziato la muta; ma, per un attimo, ad una svolta, rumori di passi
che si avvicinavano ci fecero pensare ad un nuovo ostacolo in arrivo.
Erano solo due ragazzetti, belli come cherubini, cui le sottanelle troppo grandi
conferivano un tono di austera compostezza.
Come videro le pistole, si gettarono in ginocchio spaventati, chiedendo grazia
della vita.
Sempre correndo, eravamo già distanti prima che potessero mettersi a gridare.
Infine una finestra.
Romperla, saltare tre metri in un giardinetto che confina col muro blù-slavato
del Patriarcato, oltrepassare la modesta grata che protegge - davvero male - il
Phanar... stavolta ci eravamo salvati ed avevamo fatto tesoro di informazioni dal
valore inestimabile, più di quanto potessimo sperare.
Nel guardarci reciprocamente in faccia, la nostra gaiezza abituale riprese il
sopravvento. Scoppiammo a ridere, più per una comprensibile reazione alla
buffa vista dei colpi che avevamo ricevuto entrambi.
In effetti, avevamo proprio un bell'aspetto, con le barbe scollate, le tonache a
brandelli, il volto tumefatto e graffiato.
Fu per questa singolare goffaggine o per avere delle armi bene in vista che
avevamo violato le leggi di Kemal Paschà?
Sta di fatto che i due zaptiés ottomani che stavano rientrando a mani vuote da
una ronda nel quartiere ebraico di Balata, non esitarono un secondo nel saltarci
addosso!
I Bravi gendarmi col berretto di astrakhan!
Provvidenziale salvezza!
Delle ombre stavano agitandosi sullo stretto sagrato di San Giorgio, sotto porta
Fanar-Kapou.
Che ne sarebbe stato di noi, se gli igumeni avessero potuto aizzare la plebaglia
fanatica che alberga tra le rovine bizantine e l'antico Pammacaristos, le viuzze
di Eivan Serai, i tuguri di Petri-Kapou, e consegnarci alla sua furia quali
assassini di Basilio?
Saremmo stati linciati ancor prima di aver potuto raggiungere il Ponte Vecchio
o il Corno d'Oro!
Meglio la protezione un pò brutale dei djandarma!
- Fate presto! Al Commissariato!
Davanti a questi strani delinquenti, che pretendevano con insistenza, di essere
portati in commissariato, i due poliziotti esitarono.
Forse ebbero la sensazione che stavano per cacciarsi in un vespaio.
Ma come Nobody, sempre in turco, ebbe detto:
Sbrigatevi! Accompagnateci! C'è pericolo! Una grossa mancia! ci
accompagnarono subito, di buona lena, fendendo con un imperioso Attenzione!
il raggruppamento dall'aria ostile che stava cominciando a circondarci da ogni
parte.
Alcune manganellate furono sufficienti per l'immediata dispersione dei curiosi
usciti dai vicoli adiacenti, cosicché ben presto fummo seguiti solo da alcuni
phanarioti ostinati, che procedevano distanziati alle nostre spalle, come iene che
temono i sassi della carovana che passa.

§§§

Sebbene, fin dal nostro arrivo a Istambul, James non aveva smesso di
prendersela con il Ghazi, la sua buona fede lo costrinse nondimeno a
riconoscere, che in certi casi, la dittatura di Kemal, aveva dato risultati
eccellenti. Al posto della vecchia guardina, fetida, che un tempo si scorgeva
all'ingresso del Balouk-Bazar, noi trovammo un posto di polizia moderno e
pulito, un brigadiere e degli ispettori molto cortesi, un segretario intelligente.
Non erano passati ancora venti minuti che squillò il telefono, su istigazione di
James che sapeva parlare ai Turchi; un'automobile ci venne a prendere alla porta
del Merkez e, sotto scorta dei nostri zaptié, ci portò a Eski-Serai, il vecchio
Ministero della Guerra, ora in servizio alla Prefettura di Polizia, il Poliss bath
mudirieti.
Nel frattempo l'accorta distribuzione di venti medjidiés ci aveva valso le buone
grazie deferenti degli sbirri e permesso, grazie all'acqua calda, al sapone e a
dell'alcool preso da un armadietto medico, di ridarci un aspetto quasi rispettabile
che faceva il paio con i nostri preti rispettosamente ricuciti e spazzolati.
Così sembravamo quasi di nuovo dei gentlemen, malgrado l'abbigliamento
stravagante. All'improvviso un usciere ci portò nell'ufficio di un colonnello di
polizia che voleva incontrarci.
L'ufficio del «commissionner chief of control» di Scotland Yard non è certo
arredato più sobriamente di quello nel quale penetrammo, ed io in Francia ho
conosciuto solo un grande prefetto - un corso -, che potè rivaleggiare per
eleganza, con il bel ragazzo abbronzato, vestito con un appariscente elegante
abito di Bond street, che ci scrutava con aria a metà severa e a metà incuriosita.
- Voi mi dovete una rivincita a poker!, dissi, riconoscendo nell'alto funzionario,
seduto dietro un scrivania ingombra, il vecchio piccolo ispettore che un tempo
era stipendiato - alla grande, devo dire -, dai nostri servizi e a cui avevo spesse
volte predetto una rapida ascesa, cui contribuii io stesso, con delle informative,
là dove mi era possibile.
La sua sorpresa fu altrettanto spontanea, mi sembrò, del suo piacere -
leggermente orgoglioso, forse -, di trovarsi in debito con me.
- Voi, capitano! Questa poi. Machallah! Se me l'aspettavo.
Gli presentai Nobody, che di certo non conosceva, e il rispetto che mostrò da
quel momento per il mio anziano collega mi testimoniò che il suo saper vivere
era pari alla sua diplomazia.
Di questa avemmo una dimostrazione più grande nei fatti che seguirono.
- Non voglio sapere, signori, ci disse entrando in argomento, come vi siete
attirati questo... eccesso di ospitalità da parte del Patriarcato.
«Vi posso assicurare, tuttavia, che date le circostanze, gli epitropi si
guarderanno bene dallo sporgere denuncia contro di voi...
« L’archimandrita Teofane è troppo furbo, secondo me, per richiamare
l'attenzione sugli strani avvenimenti che hanno preceduto la morte, nel Phanar,
dell'ultimo Patriarca. Infatti il suo decesso mi è stato confermato ufficiosamente.
«Non penso per nulla che creda a ciò che le masse ortodosse hanno saputo, da
persone fededegne, che Sua Defunta Beatitudine forse non ha fatto una fine...
tranquilla e naturale!»
Io sorrisi, estasiato.
Il colonnello Ibrahim era decisamente molto in gamba e si meritava la
promozione che aveva avuto.
Conosceva già i particolari della nostra piccola disavventura.
Ne intuiva i motivi?
Parve molto fiero dello sguardo di apprezzamento professionale che gli detti e
soprattutto il fine work con cui Nobody aveva sottolineato la mia approvazione.
- Tuttavia sarei dispiaciuto, continuò dopo una pausa, se dovessi
accompagnarvi al cimitero di Balekli e registrare il vostro prematuro trapasso
sotto la rubrica degli incidenti... Credo quindi che siamo tutti d’accordo, no?
- Il primo treno per Adrianopoli parte sempre alle 14, 30? domandò Nobody
con calma.
- In tal caso, sarebbe chiedervi troppo far prenotare due cuccette sovrapposte?
chiesi sempre sorridendo.

§§§

Al lettore basterà sapere che fu Ibrahim in persona che fece saldare i nostri
conti in hotel, portò via i bagagli e ci condusse alla stazione di Sirkedji, a bordo
della sua magnifica Chrysler, dopo che ci fummo riassestati e avemmo
indossato i nostri abiti di sempre...
Ciò non impedì che all'ultimo momento, quando il treno stava già partendo,
due uomini tarchiati facessero irruzione nel vagone-letto di prima classe del
quale occupavamo due posti... due persone dai modi grossolani, dai vestiti neri
di cattivo taglio, con le unghie tagliate a lutto, che traspiravano a venti metri di
distanza, odore di Phanar!...
la foto della vera «fraulein doktor»
(Elsbeth Schragmüller)
CAPITOLO TERZO

Orient-Express

Dopo la movimentata notte trascorsa da me e James all'interno del Phanar,


dormire sarebbe stato per noi di gran beneficio.
Ora, sebbene avessimo raggiunto le nostre cuccette di buon'ora, non potemmo
minimamente chiudere gli occhi. L'indolenzimento derivante dalle numerose
botte ricevute al momento del drammatico parapiglia al capezzale di Basilio III,
si faceva sentire, ma eravamo inquieti soprattutto per il via vai dei due fanarioti
barbuti che non smisero di passare e ripassare fino al mattino davanti alla porta
del nostro scompartimento, come sentinelle.
Quei due aratori di corridoi stavano dando prova di uno zelo piuttosto
impacciato, di un'insistenza maldestra? Erano talmente necessitati di spedirci ad
patres, che non volevano perdere la più piccola occasione?
Questo non lo sapemmo mai perché, appena arrivammo alla stazione di Lule-
Burgas, dove avviene - si è alla frontiera tra Turchia e Bulgaria - il controllo
passaporti e quello del bagaglio a mano, due gendarmi di re Boris53 saltarono,
appena il treno si fu fermato, sul marciapiede antistante il nostro vagone e,
scorti i due nostri angeli custodi, li invitarono rudemente a scendere e a seguirli.
Quelli protestarono, è vero, per quelle modalità, aiutandosi con ampi gesti
untuosi ma, afferrati senza troppi riguardi, dovettero ben presto cedere alla
forza, e noi li vedemmo, poco dopo, scomparire, sotto buona scorta, dietro la
porta del vicino ufficio del commissario di stazione.
Lule-Burgas, sporco piccolo villaggio, promosso dalla bizzarria dei trattati
internazionali alla gravosa dignità di città di frontiera, ci sei apparsa dal treno,
malgrado la nebbia e l'alba grigia e fredda, quasi come il confine della Terra
Promessa, lontana dagli odi neo-ortodossi e delle loro elaborate vendette.
Paura? No! Non ne abbiamo avuta.
Ma era molto piacevole poter fare qualche progetto che andasse al di là del
futuro immediato, senza temere intoppi omicidi, senza l'ansia di un incidente
fatale.
Piccolo piacere che si assapora solo se si conduce, come facciamo io e James,
una vita disordinata.
E bravo Ibrahim Bey! mormorai, ben convinto che dovevamo alla sua
sollecitudine a distanza l'esistenza dei nostri progetti.
La replica di James mi parve molto strana e interruppe l'elenco dei favori che
dovevo al mio ex collaboratore.
- Ah, questa poi! Ancora una conquista del femminismo! disse semiserio
afferrandomi per il braccio.

53
Boris III (1894-1943), Zar di Bulgaria.
Confesso che, seguendo con lo sguardo la direzione che mi indicava facendomi
pressione sul braccio, ebbi un soprassalto.
Nei Balcani, di fatto, è buona regola non meravigliarsi troppo, ma però, questa
volta!
Mitria in testa, pastorale in mano, ametista al dito - là, a qualche metro di
distanza sulla banchina -, un vescovo stava benedicendo un centinaio di fedeli
inginocchiati che lo circondavano con aria fedele e raccolta.
A dire il vero, tra quelle pecorelle c'erano più adolescenti robusti e belle
ragazze che altro.
Era già tanto veder salire un vescovo sull'Orient Express coi paramenti sacri.
Ma più strano ancora forse era che questo vescovo non doveva avere più di
trent'anni, aveva le guance imbellettate, e le labbra col rossetto!
Di fronte a questo spettacolo inconsueto, molti viaggiatori del treno, scesi a
terra per scaldarsi, si affollavano, beffardi, attorno allo strano prelato; i finestrini
dei vagoni venivano abbassati e da essi facevano capolino teste incuriosite
ancora tutte insonnolite.
Ma ci voleva ben altro per turbare la manifesta serenità del dignitario
ecclesiastico.
I suoi occhi verdi incrociarono i miei - troppo veloci perché io potessi
confondermi tra la massa compatta delle persone - e, apparentemente
soddisfatto, come se avesse infine scoperto la persona che cercava, benedì
un'altra volta il giovanile corteggio dirigendosi compostamente verso l'entrata
del vagone-salotto che si stava attaccando dietro alle vetture dirette a Vienna.
- Però! borbottò Nobody, seguendo con gli occhi l'equivoco profilo che
ancheggiava con armonica grazia.
Malcelati sogghigni, ironiche battute fatte da orecchio a orecchio, ci
confermarono che non eravamo vittime di un abbaglio.
Mi perdoni la forzatura, ma quel personaggio in pompa magna... quel vescovo,
è una vescova!
- Però, rifece il mio amico, quando poco dopo rientrammo nello
scompartimento e il treno fu ripartito. Non sono sospettabile di simpatie per il
vostro papismo, ma che venga messo alla berlina con pagliacciate così
sacrileghe! Non ho mai visto nulla di così volgare, neanche in Europa Orientale.
Quella gente dev'essere isterica.
Sorrisi:
- Di sicuro la stranezza di cerimonie di questa sorte attirano adepti e belle
seguaci. So che in Polonia, recentemente, il falso vescovo Kowalski, che ne è
stato il promotore, venne condannato con durezza al pari delle sue spose
spirituali, dal tribunale di Plock per attentato contro la pubblica morale.
Nobody riflettè un poco e disse, quasi volesse affermarlo:
- Questa gru sarebbe una mariavita?
- Perbacco! feci, divertito per l'accentazione con cui aveva pronunciato il nome
di quell'uccello trampoliere54; non conosco che loro che abbiano, per così dire,
un clero femminile, i cui costumi e gerarchie ricalchino alla perfezione quelli
del clero cattolico...
- La cosa non mi sorprende, del resto - aggiunsi non appena la mia voce smise
di essere sovrastata dallo sferragliamento di un ponte passato a sessanta all'ora -,
dopo il loro fallimento in Polonia, i Mariaviti sono sciamati in Bulgaria dove
stanno facendo numerosi proseliti! I Bugri55 hanno il fuoco nelle vene!
Una lunga esperienza mi ha provato che questo tipo di sette - libertine ma sotto
copertura spiritualista - non hanno solo come finalità quella di condurre i
discepoli più fedeli verso le gioie del cerchio interno, le ammucchiate e i
matrimoni di anime.
Sono anche macchine da guerra costruite contro la Chiesa di Roma, che
vogliono screditare assumendo i segni esteriori del suo culto.
- Andiamo! Towianski, Kowalowski, metto tutti nello stesso sacco! concluse
Nobody, accendendosi una pipa di bird’s eye. Profumo polacco: incenso, coscia
e fascino slavo!
Io non ero d'accordo.
- Ma via! Non dovete confondere il maestro di Mickievicz, di Michelet, con
l'amante disvelatore della piccola madre Kozlowska… il grande profeta dei
tempi moderni col suo supporto di messe nere.
- A… di S…! disse maliziosamente il mio collega.
Io restai di stucco.
C'ero cascato in pieno nella trappola, come un novizio. E mi ritraevo, rabbioso
di veder dissolto il solo segreto personale a cui tenevo.
Senza dubbio, faccio parte di un gruppo molto chiuso, designato con le sole
iniziali, ma la cosa riguarda soltanto me e non mi risento con il mio amico per
avermi strappato, così, una mezza confidenza personale.

§§§

James escogitò un modo cordiale di farmi uscire, con poche parole, dal guscio
in cui mi ero richiuso.

- Con la vostra prodigiosa memoria, vi siete ricordato, nevvero, di tutte le


parole del Patriarca? chiese con aria innocente, dopo un lungo silenzio forzato.

54
Col nome di quest'uccello si designa familiarmente in francese una peripatetica, una
prostituta. La Chiesa Mariavita era la comunità scismatica polacca accusata di pratiche
sessuali.
55
Gioco di parole che in francese accomuna «Bulgari» (Bulgares) e «Debosciati» (Bougres).
Proprio quest'ultima parola deriva a sua volta dal latino Bulgarus, inteso come seguace della
setta dei Bogomili.
Sarei stato davvero maleducato a non rispondere a quella lusinga, tanto più che
riguardava l'argomento al quale non avevo smesso di pensare da quando
eravamo partiti da Lule-Burgas.
- Certo, risposi. Mi basta chiudere gli occhi per ricreare persino il tono di voce.
Peccato che il velo, sollevatosi per poco, sia ricaduto anzitempo davanti a noi; e
che a verità enunciate con estrema chiarezza si sia mescolato un tal fiume di
vaticinazioni fumose, praticamente incomprensibili.
Nobody mi osservò ccon un sorriso ambiguo:
- Quindi, se ho ben capito, voi distinguete due parti distinte nelle importanti
rivelazioni che abbiamo raccolto sulla bocca del moribondo, una... ultima luce
emessa da una intelligenza fuori del comune, l'altra... delirio di un cervello
malato, ormai più di là che di qua.
Svuotò il fornello ardente della pipa sotto il sedile.
- Non la penso così. Per me, quell'uomo non ha delirato, neanche un secondo.
Ad allusioni precise si sono succedute semplicemente altre rivelazioni secondo
una chiave allegorica che doveva essergli molto familiare e che noi dovremo
scoprire.
James scrollò la testa e si grattò energicamente l'orecchio sinistro.
«Vi concedo che, in pratica, dal punto di vista che ci riguarda, le cose non
cambiano di molto.
Aveva forse ragione lui.
- E sia, dissi poi. Possiamo sempre stabilire un primo livello. Cominciamo per
prima cosa col prendere per buono ciò che ci è sembrato indiscutibile,
dopodiché, ci occuperemo della decifrazione di ciò che rimane nebuloso,
dell'oscuro guazzabuglio.
- Mi ci sto applicando, old man, dalla nostra fuga da Costantinopoli, rispose il
mio amico con una nuova punta di malizia. Io non sono certo sano di mente, ma
ho il vecchio buon senso scozzese...
Fece il gesto di contare sulle sue dita troppo corte.
- Quello che emerge, a prima vista, dalle confidenze del Patriarca, è, mi
sembra, che tra avvenimenti politici in apparenza meno correlati, meno
riconducibili a qualcosa di comune... ci sia un legame, una specie di filo
conduttore.
- In altre parole, feci io, delle forze misteriose reggono il mondo, sottobanco,
da anni... in vista di certe finalità precise. Si tratta di un’ipotesi che si fonda su
numerose constatazioni e che mi è particolarmente cara.
«Sua Defunta Beatitudine mi sembra ci avesse visto di sicuro molto bene su
questo punto».
- Non si è trattato di un'opinione, ma di una certezza! mi corresse dolcemente
Nobody. Forze o cause, per lui, nessun dubbio! Si tratta degli stessi facitori dei
disordini che andarono a provocare i due assassinii di Sarajevo, per scatenare la
guerra, la scomparsa di Kitchener che molto probabilmente l'avrebbe fermata, il
selvaggio massacro, calcolato, della famiglia imperiale russa, catastrofe che ha
gettato l'Europa in quell'indescrivibile caos da cui non riesce a trarsi fuori,
l'assassinio di Rathenau che stava lavorando, con tutte le sue energie, a
ripristinare una pace mondiale....
- D'accordo, feci. Quindi secondo il Patriarca ecumenico chi dà le carte in
questo caso, i facitori di disordini, i responsabili, sarebbero gli stessi che
Filippo e Rasputin chiamavano I Verdi, quelli contro cui l'occultista di Lione
tentò invano di resistere, quegli Incogniti che, dalla Svezia, manovravano lo
Staretz.
Ma James, come recita un'espressione popolare, era subito risalito in blocco.
Non mi fece proseguire.
- Rimane da spiegare, disse, l'allusione al vecchio elleno colmato di onori su
una roccia d'oro e nonostante ciò per nulla soddisfatto56... la venuta del flagello
di Dio che dovrà essere quest'uomo dalle due Z!
- Debbo ammettere che non capisco affatto a cosa possano corrispondere
queste strane denominazioni.

§§§

Contemporaneamente, trasalii e detti un calcio così forte nelle gambe a James


che poi ne portò a lungo il segno.
Infatti la porta dello scompartimento riservato che occupavamo, piano piano si
stava aprendo di alcuni centimetri e, nello spiraglio, erano comparse delle
dita...femminili, certo un pò grandi ma affusolate e con le unghie dipinte di
carminio.
Fermai, con un'occhiata, la mossa che il mio collega stava facendo verso la
fondina della sua pistola...
La porta terminò di aprirsi, mostrando, come mi aspettavo, la figura della
nostra bella vescova!
Stavolta indossava una tonaca nera, listata di violetto, che metteva in bella
mostra il biondo di una fastosa capigliatura e un prorompente incarnato bianco
tendente alla pinguedine.
Mi stupii ancor più della scena della stazione, perché il tessuto aderente
metteva in mostra le sode rotondità di un seno e di un sedere da Walkyria ben
più di quanto non avevano fatto i paramenti sacerdotali… il sacrilego contrasto
aveva qualcosa di conturbante.
La giovane donna rimase di fronte a noi per qualche attimo, sorridente,
silenziosa, assaporando di certo la sensazione di imbarazzo in cui ci aveva
messo.
Notai che Nobody era diventato rosso, rosso come un pomodoro, e aveva
smesso di colpo di tirare la sua pipa già spenta.
La prelata mariavita continuò tranquilla a scrutarci ma con un'espressione
alquanto beffarda.

56
L'allusione potrebbe essere al trafficante di armi Basil Zaharoff....
Di certo ci conosceva - i suoi occhi verdi ce lo dicevano -, e si divertiva della
nostra sorpresa, dell'evidente imbarazzo.
Debbo confessare che provai per una ventina di secondi una penosa sensazione
di inferiorità.
Ma ecco che una sùbita visione lontana mi passò in mente, sovrapponendosi
all'immagine di lei che mi riempiva gli occhi.
Stavo per parlare, ma Nobody, più pronto di me, mi precedette.
Con flemma, con voce calma, ma che, per me, si colorava di un indefinibile
disprezzo, constatò:
- Siete sempre bellissima, Fräulein Doktor. Il nero vi si addice.
Questo epiteto, questo soprannome piuttosto, catalizzò subito la mia memoria.
Irma Staub se si preferisce, la famosa spia tedesca, la più temibile avversaria
che mai ebbe il mio amico e che ritenevo morta.
Così l'ex anima dannata dello Stato Maggiore germanico ora vestiva i panni
della vescova mariavita!
I due nemici si ritrovarono uno di fronte all'altro.
Avvertii come una strana mescolanza di ansia e di gioia, presentendo che sarei
stato testimone di un duello inconsueto. Testimone e attore!
Appena fu riconosciuta, l'austriaca (ho infatti la prova che nacque a Vienna e
non a Potsdam come si è sempre scritto) si sedette graziosamente a fianco a me,
sempre sorridente e muta, in modo che ebbi tutto l'agio di esaminarla nei
particolari.
No, non era affatto cambiata. Era sempre la stessa, molto seducente, molto
bella, una coinvolgente bellezza nordica, con quel biancore giunonico che
costituiva proprio la sua arma più efficace.
E pensare che negli anni era sempre sgattaiolata fra le diverse trappole57 che i
nostri Servizi di Informazione e l'Intelligence le avevano teso.
Valutai la perplessità in cui doveva stare Nobody per l'asprezza del suo attacco:
- Il mestiere rende? fece lui, con uno sguardo espressivo alla tonaca troppo
aderente.
La riposta non fu da meno:
- Meno di quanto renda introdursi col saio di Sant'Atanasio dentro al Phanar.
James accusò il fair play, ammirando il colpo da maestro di quella risposta.
Anche il viso di lei si illuminò di bonomia tutta pickwickiana.
- Non pensavo davvero di avere l'onore e il piacere di ritrovarvi su questa terra,
cara la mia Fräulein. Me ne compiaccio molto. Ciò prova che la partita merita
di essere giocata e giocata bene, perché ne vale la pena.
La prelata si girò a guardarmi:
- Tanto più, mio caro capitano, che questa volta io vi offro uno svago inedito,
perché, se gradirete la mia collaborazione, ci troveremo, voi ed io, io e voi, dalla
stessa parte della barricata, se così si può dire.

57
Parola francese a doppio senso: souricières (trappole per topi e/o agguato teso dalla
polizia).
Che questa donna, ancora una volta, stesse facendo meravigliosamente bene la
commediante?
Poi scomparve ogni traccia di scherzo, e un'espressione di scoramento avvolse
il suo sguardo intenso; fu in tono supplichevole, a mani giunte, che continuò:
- Vi scongiuro, capitano, e voi, Nobody, credetemi!
«Nemici lo siamo stati, ma nemici leali, per quanto concesso dal nostro
mestiere. In nome di questo rapporto, di certo speciale, che si è potuto stabilire
tra noi, con la reciproca cortesia, cavalleresca da parte vostra, forse sentimentale
da parte mia, in nome del nostro reciproco rispetto, vogliate darmi qui subito un
minimo di fiducia ».
La sua voce bassa vibrava in crescendo; il respiro era ansante.
«Non abbiamo un secondo... proprio un secondo, vi dico, da perdere!
Si fece più vicina:
«Ascoltate, il treno è pieno di loro agenti. Tra qualche minuto, alla curva che
precede il ponte sul fiume Maritza - avete presente? -, tirate il segnale di
allarme. Saltate dal treno in corsa. Nascondetevi rapidi nel bosco.
Fate perdere le tracce, subito!
- Cos'è questa sollecitudine? Non vi ero abituato da parte vostra! esclamò
Nobody, ironico. Ma io la conoscevo abbastanza per intuire che quella
veemenza, quei toni sinceri, avevano minato lo scetticismo manifestato dal suo
atteggiamento.
Lei si torse le mani, mentre il volto assumeva tratti di indubbia disperazione.
- Come devo fare per convincervi? Eppure, devo salvarvi. Devo!
- Perché? chiesi sommessamente.
- Perché l'operazione che sto portando avanti mi ha scatenato contro nemici
implacabili, e la vostra alleanza mi è indispensabile!
E a voce più bassa, espressione di un vero e proprio terrore, ci disse:
- Sono gli stessi nemici che avete voi, signor Nobody. Mi riferisco ai vostri
nuovi capi!
Poi aggiunse dell'altro, cosa che fece cadere i miei ultimi dubbi, e di cui ogni
parola mi parve strappata da una forza superiore alla sua volontà.
- Per la vendetta che ho giurato di compiere, a qualunque costo, il vostro aiuto
è essenziale. Siamo i volontari di una stessa causa!
Io e James ci scambiammo uno sguardo eloquente.
Avevamo ritrovato tutta quanta la nostra appassionata Irma Staub!
Andiamo! supplicò. Andiamo. Salterò con voi, se necessario.
Il treno rallentò, un poco, dopo aver emesso un lungo fischio.
Già stavo allungando la mano verso il pomello di ottone, che il vagone oscillò.
Poi, con enorme frastuono, tutto il vagone letto si capovolse mandandoci
gambe all'aria.
Al contempo, una pesante valigia, dagli angoli di ottone, spinta violentemente
fuori dalla rete dov'era alloggiata, mi colpì alla tempia sinistra.
Il mio ultimo ricordo fu un grido atroce emesso vicino a me, come di una
donna che venisse sgozzata.
§§§

Se morire fosse stato solo questo, non era certo così terribile.
Ero scivolato nel nulla, un nulla ovattato di nero, dove dolcemente si era
dissolta la mia coscienza.
Il recupero dei sensi fu contrassegnato soprattutto da un lancinante dolore alle
vertebre cervicali.
L'istintivo movimento riflesso che feci mi strappò subito un gemito e sentii,
vicina e lontana, una ben nota voce, quella di James, che mi ripeteva:
- Hello, boy! Non è ancora giunta la vostra ora. Cheer up! Ho maledettamente
bisogno di voi.
Aprii gli occhi.
Il mio collega stava inginocchiato presso di me, indenne, almeno in apparenza,
ma con i vestiti strappati.
Mi stava palpeggiando con abilità.
Mi passai due dita sulla fronte e le ritrassi bagnate di sangue.
- Nulla, vecchio mio; il cuoio capelluto lacerato; nessuna lesione, ho già visto
io! mi assicurò Nobody, calmo.
Mi prese sotto le ascelle, mi sollevò con forza e, per quanto traballassi, come
un ubriaco, riuscii a stare in piedi.
Avevo la sensazione di esser stato macinato; ero pesto, indolenzito, ma
comunque senza nessuna ferita importante.
Fu allora, solo allora, che mi resi infine conto dei danni spaventosi causati
dall'attentato, di cui avremmo dovuto essere le vittime.
Di spettacoli orribili ne ho visti molti, haimè, nella mia carriera, ma nessuno
come questo è stato così intenso quanto a intensità di orrore, spiegabile con la
fortissima scossa patita dal mio sistema nervoso.
Insomma, il treno era deragliato all'imbocco del ponte sospeso sulla Maritza58.
La locomotiva, il tender e i primi quattro vagoni erano precipitati giù nella
stretta e profonda gola, schiantandosi nel fiume vorticoso, cinquanta metri più
in basso.
Non erano ormai altro che un ammasso di ferraglia ritorta, di legni frantumati,
fumanti, da cui si levavano urla atroci.
Brandelli umani macchiavano di rosso le balze e i cespugli della faglia rocciosa,
dove i soccorritori si agitavano come formiche in fila.

58
L'autore, retrospettivamente, inserisce un dato storico cambiandone i connotati. L'incidente avvenne
transitando in territorio ungherese, il 13 settembre 1931, allorché fu fatto saltare il viadotto di
Biatorbagy, facendo deragliare il treno e precipitare la locomotiva e un vagone-letto del rapido
Budapest-Vienna nel baratro sottostante. La tragedia causò 22 morti: a bordo viaggiava anche la
famosa Josephine Baker (1906-1975). Il colpevole dell'attentato, Sylvester Matuschka, imprigionato,
evase in circostanze misteriose nel 1944 (notizia in prima pagina su L'Echo d'Alger del 14.09.1931).
Gli ultimi quattro vagoni invece, di cui il nostro era il secondo, avevano rotto
l'aggancio, evitando così, di misura, di cadere in fondo al baratro.
Il vagone-notte, quello stesso nel quale ci trovavamo ancora, e il vagone-
salotto che lo seguiva, erano riversi di fianco, intatti sembrava, tranne i
finestrini.
Uomini in corsa, in entrambi i sensi, lungo il percorso dissestato; ordini
contraddittori. Pianti, rantoli, grida!
A una ventina di metri da noi, rossi - ma rossi dalla testa ai piedi -, medici
indaffarati, che medicavano uno dopo l'altro corpi straziati.
Dei teli macchiati coprivano file di cadaveri, allineati ai piedi della massicciata.
L'afflusso dei feriti e dei morti aumentava sempre più.
Era davvero possibile che noi fossimo gli indiretti responsabili di quella
catastrofe? Sarebbe stata ordita solo per noi?
L’importanza del nostro segreto era dunque così prodigiosa?
- Almeno, Fräulein Doktor aveva avuto davvero ragione! mormorai.
Anziché rispondere, Nobody mi mise in guardia con un rapido sguardo.
Stravolto, un addetto del treno si stava avvicinando, mezzo curvo, come un
felino pronto a scattare.
Ma appena vide il gesto che James fece verso la sua tasca, constatato che i
nostri occhi gli stavano addosso, si piegò, rinculò con una gran risata, come un
predatore notturno sorpreso da un improvviso lampo luminoso, una iena che
teme il sasso brandito.
Un poveraccio che ha smarrito la ragione a causa dell'incidente? Un agente
incaricato di terminare l'opera, almeno per quel che ci riguardava? Sarebbe stato
così facile attribuire ad un folle, nella confusione che regnava, la spiacevole
eliminazione di due viaggiatori superstiti.
- C'è del buono nell'acciaio! continuai poco dopo, toccando con debole mano,
le pareti verniciate del vagone letto, a cui dovevamo la nostra vita e che aveva
tamponato la vettura che precedeva, la cui struttura era di legno.
Gioia di vivere, di fare qualche passo, di ritrovare progressivamente l'uso della
propria carcassa umana. Gioia animale di respirare, di muoversi, in mezzo ai
resti di un disastro da cui si è usciti indenni.
- Date le circostanze, meglio che vi medichi io! concluse Nobody, dopo un
breve conciliabolo interiore di cui avevo capito i motivi.
«Non è il caso che una ferita superficiale si infetti.
«E poi chi può sapere se in questo gruppo di medici, arrivati proprio al
momento giusto, non si trovi anche un sicario prezzolato da loro?
Fortunatamente ho il mio whisky!»
Del tutto astemio, James pretende, nondimeno, che ci sono casi in cui una
sorsata di Johnnie Walker può dare al corpo indebolito la frustata
indispensabile, così si porta sempre appresso, in una delle sue fondine, una
fiaschetta ben riempita.
Tre minuti dopo, rianimato da una potente sorsata di scotch, e con un impacco
dello stesso liquido apposto sulla ferita, facente funzioni di emostatico, mi sentii
a posto e nuovamente in grado di ragionare.
- E la donna? gli chiesi infine.
- Al posto di soccorso. In gravi condizioni. Ma per nessun motivo, al momento,
dobbiamo avvicinarla. Delira a tratti. Volete che si metta a dire qualcosa di più
chiaro, vedendoci vicino a lei?
«Mi son dovuto limitare, in mancanza di meglio, a sorvegliarla a distanza,
dopo che ho ripreso conoscenza».
Poi si abbassò e raccolse, dalla massicciata, una gamba di donna, tranciata,
come se fosse un pezzo anatomico, all'apice di una calza mordoré.
- Un pezzo, probabilmente, di quella piccola rumena cicciottella che cenava di
fronte a noi, ieri sera; vi ricordate? Andava fiera dei suoi polpacci e li mostrava
con generosità.
Quando penso che noi...
Tossì, e depose sotto il telone quel tragico resto umano. Mi sentii venir meno e
dovetti ricorrere alla fiaschetta piatta del whisky.
- Da quanto tempo avete ripreso conoscenza? chiesi, mentre James mi aiutava
cameratescamente a risalire il terrapieno argilloso reso franoso dalle recenti
piogge.
Svoltammo bruscamente nel folto bosco per raggiungere un posto denso di
betulle dal quale, senza essere visti, potevamo osservare il posto di soccorso.
Solo quando mi sistemai su di un tronco, rozza ma confortevole seggiola,
Nobody replicò:
- Il treno è deragliato da poco più di un'ora. Il colpo mi ha fatto subito perdere
conoscenza per non so quanto tempo. Ma sono svenuto davvero oppure ho
avuto solo un'amnesia momentanea?
«Comunque, quando fui di nuovo padrone di me stesso, voi eravate
incosciente, steso accanto a me, sul terrapieno.
«La nostra vescova non c'era però... nè vicino a noi nè nel vagone letto».
James prese a caricare lentamente la pipa con la sua immancabile miscela.
- Questo fatto mi fece l'effetto come di una scarica elettrica, continuò, mentre
intruppava il suo tabacco bruyère nel fornello della pipa, e mi elettrizzò
talmente che mi misi subito a cercare la nostra ex-nemica.
Stemmo un attimo entrambi zitti.
Fu senza entusiasmarmi che ammirai la coscienza professionale di Nobody.
Suo primo impulso non fu prendersi cura di me, ma ritrovare subito la pista
cancellata dall'incidente.
Poi riprese, un pò impacciato, senza che gli avessi detto nulla:
- Avevo fiducia nella vostra stella, nella vostra robusta costituzione. E poi, in
simili momenti, quale è la cosa giusta?
E concluse, con un ardore contenuto che mostrava fino a che punto lo intrigava
la nostra pericolosa gita:
- Comunque è viva, e parlerà. Sì, parlerà, grazie a Dio!
§§§

Se devo con piacere rendere un omaggio pienamente meritato alla Croce-Rossa


bulgara, per la notevole prontezza nell'organizzare i soccorsi, se non posso che
congratularmi per la cordiale ospitalità, rapida e spontanea, accordata dalle
locali autorità e dalla popolazione del distretto di Filippopoli ai sopravvissuti
del treno 28..., mi spiace dover ammettere che la polizia di re Boris dette prova
di notevole inettitudine quanto alla ricerca dei veri responsabili della catastrofe!
Ci si ricorderà senz'altro delle conclusioni dell'inchiesta, condotta senza alcun
buon senso, con l'arresto scandaloso di quel calzolaio di Sofia, un povero pazzo,
paranoico, perseguitato e perseguitore, che venne ritenuto responsabile.
Mitomane megalomaniaco, non smise un attimo, in una sorta di estasi
delirante, di vantarsi, di accusarsi, di esaltare il suo ruolo di anarchico nemico
della società. Al punto che la giuria lo spedì in manicomio.
Che ci muoia in pace, foss'anche stato lo strumento materiale del crimine! Ma
non è almeno alquanto strano che nè il pubblico ministero nè il difensore si
dettero la pena di cercare chi aveva spinto quel povero diavolo, quel fantoccio,
quella pappamolla, a provocare un simile attentato, senza un profitto o almeno
senza averlo vantato. Perché io non sono affatto convinto.
Se ci si fosse presa la briga di verificare l'alibi, che aveva cominciato
ingenuamente a dare, appena arrestato, si sarebbe constatato che era solo un
capro espiatorio, e che lo si era suggestionato affinché si accollasse, nella
fattispecie, tutti i peccati di Israele!
Cosa che giustificherebbe ancora la famosa frase di Kipling.
Ma è ora di tornare alla nostra vicenda.

§§§

Distribuendo abilmente a destra e a manca denaro turco - Filippopoli fu a lungo


sotto dominazione ottomana -, avemmo l'opportunità, senza che ci notassero
troppo, di far in modo che Irma Staub venisse trasportata in albergo, nonostante
le gravi condizioni.
Temevamo che l'ospedale sarebbe stato per lei in breve tempo l'anticamera
dell'obitorio, cosicché ci sentimmo molto più rassicurati quando quel bravo
svizzero di Feller, cordiale proprietario del Métropole e che aveva lavorato per
James, chiamò a curarla un ottimo medico tedesco originario di Baden, che
abitava in via Zar Simeone.
L’ex maggiore medico non ci nascose che se la frattura della tibia poteva
essere facilmente ricomposta, destava maggiori preoccupazioni la lesione al
polmone destro, dovuta alla frattura delle costole, lesione di cui non poteva
accertare la gravità se non quando la Staub fosse stata trasportabile per
effettuare una radioscopia.
La giovane donna soffriva molto quando la andammo a trovare, dopo che il
dottor Muller e i suoi aiutanti terminarono l'operazione di ingessatura di gamba
e busto.
Respirava a fatica, le narici quasi chiuse, la bocca scolorita da cui sfuggiva a
tratti un piccolo lamento di dolore.
Non aveva comunque perso la sua bellezza, con la folta capigliatura bionda
sparsa attorno al viso sofferente, più bella, in verità, di come non l'avessi mai
vista.
- Ecco delle persone che non mi aspettavo di vedere, disse scorgendoci, dopo
aver penosamente girato il capo sul cucino. Però sono contenta lo stesso,
continuò abbozzando un patetico sorriso.
James si pose al suo capezzale, prendendole dolcemente la mano.
Donna questa volta, ragazza se vogliamo, si abbandonò…
- Rimanete qui, Nobody. Morirò meglio, disse.
- Voi siete matta, mia cara, mentì Nobody con perfetto aplomb. Giù nella hall
dell'albergo abbiamo appena incrociato il medico che ci ha promesso
solennemente che nel giro di tre settimane vi sarete completamente rimessa.
Lei fece per tre volte con la testa un gesto di diniego e sussurrò:
- Vi dirò tutto, tutto, sì tutto!
E voi continuerete, non è vero?, il compito che loro mi impediscono di portare
avanti. Ma quando colui che aspetto e che ho mandato a cercare, arriverà tra
pochi minuti, mi lascerete sola con lui... pochi momenti. Mi capite?
Sotto la pelle rosea di Nobody, le mascelle si contrassero, ma senza darsi a
vedere.
A che gioco giocava questa diavolessa? Cos'altro aveva combinato?
- Di chi si tratta? domandò con una certa rudezza.
- Non lo conosco, gemette. Un prete, un pope, un monaco. Che importa? pur di
non morire come un cane!
Scoppiò a piangere, con uno strazio in cui emergeva tutto il confuso misticismo
che c'era in lei, mentre l'anima animale, ancora forte, si ribellava.
- Ho paura! esclamò ansimando.
Mi parve infatti di scorgere nei suoi occhi il subitaneo lampo di quel gran
terrore panico, qualcosa come un lontano ricordo dello spavento che faceva
fremere gli uomini delle caverne davanti al cadavere privo di vita di un loro
simile.
Quando si percorre una strada come la nostra, l'essere di razza anglo-sassone è
di enorme aiuto.
Un latino non avrebbe mai avuto il crudele coraggio di insistere con la flemma
di Nobody:
- E di questi? disse ironicamente, indicando, con gesto sdegnoso, i paramenti
ecclesiastici, sparsi sulle sedie della camera.
Lei fu colta da un tale sussulto che fece tremare il letto di ottone.
- Appunto, appunto, ho paura. Non credevo in niente, prima di questa
mascherata religiosa. Ora, vedo il male; temo il sacrilegio.
« Lui infatti, mi aveva messo in guardia, lui!»
Due lacrime le scesero sulle guance, ma non vi badò.
Curiosamente, l'emozione per la nostra venuta gli restituiva un po di forza, e la
nostra sicurezza, un po di coraggio.
Fu in tono più rassicurato che continuò:
«Spero tuttavia che molto mi verrà perdonato, in virtù del fine perseguito.
Avevo giurato di vendicarlo! Da lassù di sicuro mi protegge. Lo sento qui con
me, ascolto quel che mi dice».
Subito credetti che delirasse, in preda a un accesso di febbre.
Ma, mentre parlava, quel che diceva si faceva vieppiù coerente e chiaro, senza
perdere nulla quanto a vigore.
Si era dimenticata del pope, della paura della fine e, dopo tutto a suo onore,
aveva dimenticato i suoi passeggeri e tardivi scrupoli religiosi.
Osservandola, ritrovai le mie vecchie opinioni; ma non avevo avuto ancora
modo di verificare così da vicino lo stretto legame che c'era tra lei e una pantera
nera, per esempio.
Non era solo per l'anima e la ferocia dormiente, l'insidiosa crudeltà, che
assomigliava a quel modello.
Aveva movenza feline e quel modo particolare di guardarti a occhi socchiusi,
quel curioso movimento delle spalle, quella continua palpitazione, così
caratteristica, delle sue narici!
Strana bestia, certo, ma accattivante e fascinosa, sì... ah quanto!

§§§

Contrariamente al solito delle altre donne, anche le più intelligenti, la nostra ex


avversaria sapeva che un resoconto dev'essere diretto, privo di fioriture e inutili
disgressioni.
Malgrado la prostrazione nervosa, emanava dalle sue asserzioni una tale forza
di convinzione che James ed io, pur dotati di forte spirito critico, non trovammo
nulla di che obiettargli, anche per le prove controllabili che ci dette.
Avevamo già avuto più volte occasione di verificare quanto ci disse e
verificammo che i fatti corrispondevano fin nel minimo dettaglio. Le
interpretazioni erano sensate.
Di quanto ci disse allora, non mi è ancora possibile rivelare l'essenziale.
Troppe persone, ancora al potere, o sul posto, verrebbero coinvolte, senza
vantaggio per l'umanità, e particolari troppo precisi rischierebbero di suscitare
un'azione internazionale di copertura, di esacerbare certi conflitti.
Mi limiterò quindi, rigorosamente, a render conto di ciò che si ripercosse sui
nostri destini personali, attraverso le estreme confidenze di colei che, per ordine
del Kaiser, era diventata l'amante dell'ebreo Walther Rathenau nel settembre
1918.
Ma, a contatto con quel grande uomo che fu il capo della Allgemeine
Elektrizitats Gesellschaft (A.E.G.)59, vero dittatore dietro le quinte della
Germania al termine del conflitto mondiale, la nostra spia guglielmina aveva
subito lasciato il posto alla figura della donna, dell'amante felice e ossequiata,
poi della collaboratrice ardente, appassionata, fanatica dell'opera intrapresa dal
figlio del piccolo sensale Ephraim, alias Emile Rathenow, scappato dai ghetti
polacchi.
Quest'opera, l'opinione pubblica non l'ha mai sospettata e coloro stessi che ne
furono al corrente o che la intuirono, ne fraintesero le finalità!
In breve, secondo Irma Staub, Walther Rathenau - convinto delle cause segrete
e profonde dell'immenso malessere mondiale -, si era prefisso la ricostruzione
economica dell'Europa, un nobile impegno di riordino, di ristabilimento, in
grado di evitare future catastrofi, di ovviare alla crisi dell'epoca, di impedire
nuove guerre.
Membro di quell'onnipotente oligarchia capitalista che da quasi centovent'anni
guida praticamente il mondo, si era, subito dopo l'armistizio, messo a capo di
quel piccolo gruppo di lungimiranti che grazie ai suoi consigli, si opponeva
all'azione dei Verdi60.
Contro quella specie di cospirazione permanente contro la razza bianca - contro
la civiltà occidentale grecoromana -, tesa a scalzare e far crollare l'edificio già
così instabile dell'Europa contemporanea, Rathenau pretendeva contrapporre
un'azione benefica, tale da permettere alle nazioni di produrre di mutuo accordo
e di convivere in pace.
Una splendida battaglia condotta da un uomo solo contro il fanatismo, gli odi e
i sordidi interessi, le malefiche bramosie, fonti che gettavano sull'umanità
irritazione, sofferenza e disordine.
Denunciando e attaccando quelli che lui chiamava i cattivi pastori, assegnando
al popolo ebraico una grande funzione catalizzatrice (un blocco attorno al quale
gli uomini migliori si sarebbero uniti per preparare i Tempi Nuovi, una sorta di
ritorno all'Età dell'Oro), aveva saputo attirare ben presto attorno a sè - per
l'innegabile nobiltà delle concezioni profetiche e per la lungimiranza delle
soluzioni proposte - simpatie e alleanze, aiuti preziosi sia in Francia che in
Inghilterra e America. E anche da quella potenza, intendo il Vaticano, che
riteneva la più influente di tutte.
Il 16 giugno 1922, il grande israelita cadeva sotto i colpi della stessa mano che
il 16 luglio 1918 aveva abbattuto lo zarismo! 61
Basilio III ne aveva condiviso i destini, appena tre giorni fa.

59
Ci si riferisce sempre al Rathenau.
60
Anche lui li chiamò in tal modo (vedi il discorso di Washington del 4 marzo 1919) Così
pure nei libri del Webster: The French Revolution; Les Protocols of the Learned Elders of
Zion; Les Mémoires de Disraëli (Lord Beaconsfiel); e nelle stesse opere di Rathenau : Écoute
Israël, etc…(nota dell'autore)
61
Si vuole alla setta dei Verdi.... la Santa Vehme era un tribunale segreto germanico
Ufficialmente Rathenau era stato assassinato da qualche pazzo pangermanista
appartenente alla Santa Vehme!
Le indagini dei tedeschi si erano infatti fermate lì!

§§§

Quanto a Irma Staub, che raccolse l'ultimo respiro, le ultime parole dell'uomo e
a cui aveva dato tutta se stessa, fuggì via dal Reich sapendosi ella stessa nel
mirino.
Ci fu un tempo in cui, per vendicare ad ogni costo il caro Walt credette di poter
appoggiarsi efficacemente all'Intelligence Service, ma col tempo si rese conto di
aver fatto un errore pericoloso.
Sparì da Londra e cominciò a cacciare da sola.
Guai a chi uccide il maschio della pantera nera!
Un giorno o l'altro, essa gli piomberà addosso da un ramo soprastante.
Non c'è astuzia che non adoperi per questo fine.
Non avrà pace fino a che i suoi artigli aguzzi non si pianteranno nel ventre
dell'assassino.
Non era stato solo il caso che le aveva fatto cercare da noi aiuto e alleanza.
Temporanea? forse!
Durevole?
Ciò dipenderà dal tempo che ci occorrerà per liberare il mondo dal cancro che
lo divora!

§§§

- Avete poi trovato dal Santo Patriarca quello che cercavate? continuò Fräulein
Doktor, dopo aver terminato le sue confidenze, allorché la andammo a ritrovare
due giorni dopo, quando, grazie alle cure del dottor Muller, già stava meglio,
per concordare seriamente un piano d'azione contro quell'avversario comune
che prima si doveva smascherare!
- Per cinque secondi il velo del mistero si era sollevato ma era ricaduto quasi
all'istante, aggiunse James, sincero.
- Lo so, ci fu una zuffa, disse la giovane donna, con le spalle addossate ai
cuscini del letto. Per questo feci in modo di aspettarvi a Lule-Burgas.
Nobody ed io non dicemmo nulla.
Lei si perse nel silenzio.
Ma il viso plastico, mobile, tradiva un violento combattimento interiore.
Così, finì col dirci:
- Dopo Basilio III c'è una sola persona - sì, una sola -, che sa!
Mi sussurrò un nome, da bocca a orecchio... un nome che a quel tempo mi era
del tutto sconosciuto.
SECONDA PARTE

CAPITOLO PRIMO

Nobody propone, l'Intelligence Service dispone

Se ne avrò l'opportunità in seguito, e se - secondo una immagine cara a Nobody


- non mi avranno zuccherato il caffè con del cianuro di potassio, avrò qualche
storia carina da raccontare sul modo in cui Irma Staub seppe adempiere - una
volta ristabilitasi in salute - al compito che la riguardava nel nostro piano
d'azione comune dove, fin dall'inizio, ci eravamo divisi il lavoro.
Per la chiarezza del racconto, basterà che qui indichi che, sei mesi dopo
l'incidente in cui si era rotta tre costole, stava diffondendo la buona novella di
Gandhi in tutta l'India, insegnamento stranamente conforme - per noi - al piano
verde di Swaraj, ciò allo stesso titolo di Miss Slade, segretaria-confidente,
sponsor del Mahatma, la quale, sia detto di passata, è proprio la figlia del
generale Slade, capo dell'Intelligence Service62.
Quanto a noi, fedeli all'assioma fondamentale dello spionaggio che vuole che
tra due scoperte, la via più breve è sempre quella della linea spezzata e non di
quella retta, impiegammo volontariamente, stavolta, alcune settimane a passare
senza clamore da una pista all'altra.
Il risultato fu che un giorno potei enunciare a colpo sicuro questa affermazione
che potrà apparire insignificante a molti... ma altri la capiranno con parole
velate.
- Se non altro, è molto curioso che il numero 72 ritorni sempre... appena è
questione di questi famosi Verdi.
« Realtà o simbolo?
- Non siamo certo i primi ad esserci accordi, old man, che questi farabutti che
vogliono sconvolgere il mondo sono 72, rispose il vecchio James,
imperturbabile.
- Va bene! feci. Ma non è comunque significativo che questo numero svolge un
ruolo molto importante in occultismo e kabbala e che nella Bibbia si
accompagna a idee di distruzione e dominazione totale?
«La distruzione della torre di Babele non portò alla confusione di 72 linguaggi?
E poi ci sono i 72 attributi di Jahvé e i 72 vegliardi della sinagoga.
«Nello Zohar, non sono 72 gli angeli che reggono lo Zodiaco, cioè il destino
umano?

62
So bene che il generale ha rinnegato la fedele compagna dell'uomo all'arcolaio [Gandhi],
ma le persone informate sanno bene cosa significa questa smentita (nota dell’autore).
- Pure!» interruppe Nobody, emulando Montaigne. «Si tratta di uomini e non di
angeli. E ci vorrebbe una buona corda per impiccarli il prima possibile quei
sanguinari figli di cagna!».

§§§

In genere mi basta fare dieci passi in una stanza per capire che mestiere fa chi
ci abita.
Ognuno di noi si porta appresso una atmosfera professionale che si tradisce
sempre per qualcosa... dettagli quasi impercettibili.
Sono capace di distinguere perfettamente l'ufficio di un uomo di lettere dallo
studio di un drammaturgo, il salone di un commerciante di cuoio e pellami dal
tinello di un grossista dei mercati generali, l'edificio di un filandiere del Nord
dalla dimora di un setaiolo.
Ma è certamente più difficile distinguere subito l'alloggio di un povero soldato
da quello di un prete o di un monaco.
Se non avessi saputo dove mi trovavo, avrei potuto quindi esitare quando
visitammo, il 25 gennaio 1930, la dimora della persona che abitava il modesto
appartamento di una via insignificante e triste, ai confini del Vaugirard.
Alcune panoplie denunciavano sicuramente il militare, ma una vecchia icona,
illuminata da un lucignolo ad olio, indicava anche un religioso.
Dovemmo aspettare a lungo.
Poi una donna, ancora giovane, graziosa sotto i capelli bianchi, cercò di
metterci alla porta diplomaticamente, con buona grazia, con quel rotolamento
della lettera r che emoziona sempre in una Slava.
Per un quarto d'ora, con tutti i mezzi della più formale cortesia, ci fece capire
nettamente che eravamo maleducati a insistere in quel modo!... che il generale
non riceveva mai sconosciuti. Era una disposizione esplicita!
Generale? Sì.
Ma anche, in qualche modo, il pontefice di una religione quasi scomparsa,
debole fiamma, protetta da veli di dolore - con quale fatica - dalla più
formidabile burrasca che avesse mai sconvolto il mondo.
Il generale Koutiepov, capo incontestato dei Russi Bianchi, forse il supremo
difensore della mistica zarista!
Se la dolce custode del focolare, sua protettrice tutelare, si mostrava
irriducibile, io e James davamo prova di un'ostinazione non da meno, poiché era
assolutamente necessario che avessimo immediatamente quel colloquio.
Fu allora che pensai ad un apriti Sesamo efficace, a colpo sicuro!
- Volete usarci la cortesia di dire soltanto al generale, dissi ad alta voce, che il
settimo sigillo si è rotto?
Avevo appena terminato di parlare che si aprì una porta alle nostre spalle e un
uomo, senza età, entrò nella piccola sala da pranzo di caposquadra di fabbrica.
Sesamo aveva funzionato.
Un capo, davvero, quell'uomo minuto, vestito con abiti puliti ma ormai lisi, dal
ventre prominente, dalla carnagione fresca, dai capelli radi?
Sì! lo si capiva dagli occhi, due luci che illuminavano l'anima.
Accolsi la forza del suo sguardo, pesante e metallico, senza batter ciglio. Poi
rimase a lungo in silenzio.
Istintivamente mi aspettavo quasi il «Forza, signori!» che apre i duelli.
- Mio generale, fece Nobody, rompendo il silenzio per primo, siamo solo in tre,
ma alleandoci noi possiamo, lo garantisco, sconfiggere da soli quei 72 famosi
furfanti!
Il generale si fece un pò rosso, ma non rispose subito.
Tuttavia, dopo un segnale discreto, la signora Koutiepoff si allontanò, mentre,
avvicinandomi un poco all'icona male illuminata appesa al muro, mi avvidi che
era una riproduzione di quella di San Serafino di Sarov.
- Mio generale, proseguì il vecchio James, serenamente, dovete convenire con
me che si è perso molto tempo, da quel giorno di luglio del 1918... in mancanza
di documenti autentici.
- Grazie alla contraffazione di una iscrizione! precisai io.
Il capo dei Russi Bianchi rimase sulla difensiva.
- Cosa significa? rispose.
- In fede mia, ripresi, caso vuole che il giorno 24 potei entrare in casa Ipatieff,
prima che venissero messi in atto i camuffamenti successivi che hanno confuso
tutte le ricerche. All'epoca possedevo un'ottima Kodak e da tempo avevo la
passione per la fotografia.
- Avete una prova?
La voce di Koutiepoff si era fatta secca e rauca.
- Forse avrete sentito parlare di un certo pope Tikhine, tra le cui braccia morì
quell'ubriacone di Yurowsky, assassino della Zarina, e sentito parlare del cuoco
ceco del generale Gaida. Ebbene ero io.
L'ho notato spesso. Più uno si sforza di rimanere padrone di sè stesso, più si
turba quando perde all'improvviso il controllo dei suoi riflessi.
- In tal caso voi siete in possesso dell'icona, con la foto della vera iscrizione
fatta sotto la svastica! balbettò, bianco come un lenzuolo. Dodici anni, dodici
anni che la cerco! Che la cerchiamo, tutti, invano.
- E' quello che ci diceva ancora Sua Beatitudine Basilio III, poco prima di
morire, interruppe James, sempre serafico. La fiaccola che ha fatto cadere, voi
la dovete rialzare, perché non è ancora spenta.
Io gli porsi l'icona e la foto.
Il generale Koutiepov, barcollando quasi come uno ubriaco, le prese con mani
tremanti.
Stava baciando devotamente l'immagine dell'anacoreta, per il quale la famiglia
imperiale aveva una profonda devozione, allorché la porta cominciò ad aprirsi
lentamente.
Eccitabile come polvere da sparo, il nostro interlocutore posò i due pezzi unici
sul tavolo coprendoli con una rivista, poi, con una esuberanza che meraviglia a
volte tra gli Slavi, andò incontro al nuovo arrivato, lo prese nelle sue braccia
troppo corte e se lo strinse al petto.
L'altro ricambiò l'abbraccio con toccante affetto, tutto russo, ma che non potei
fare a meno di considerare alquanto teatrale.
Poi, avevo notato che ci guardava di sottecchi, furtivamente, e che non era
affatto socievole!
Il personaggio, di cui Kutiepoff aveva detto: «il mio amico Igor, uno dei nostri
più preziosi affiliati», spingendolo verso me e James, mi fu, a pelle,
immediatamente antipatico!
Era uno strano personaggio, invero, con un corpaccione in cima al quale si
bilanciava, su un collo troppo lungo e stretto, una piccola testa tondeggiante,
con zigomi sporgenti da calmucco e occhi leggermente a mandorla.
Il cranio, tutto rasato, gli conferiva in sovrappiù un aspetto piuttosto
inquietante, difficile da dimenticare.
Il volto si distese in un sorriso, non privo di malizia, solo quando il generale
disse succintamente, ma in modo inesatto:
- Figurati che questi signori credono di aver scoperto la chiave della svastica
della Zarina, di aver decifrato il significato dell'iscrizione di Sokoloff che nè
Medvieff nè noi siamo ancora riusciti a fare.
«Vuoi avvertire i nostri fratelli del consiglio? Li convocherai alle 9.35 dove
sai, se non hai nulla in contrario».
Lo sconosciuto ci guardò, di nuovo, con aria scettica.
Poi si chinò all'orecchio di Kutiepoff e mormorò qualcosa che non intesi.
Ma il gesto che fece il generale mi illuminò, come la risposta che gli dette:
- Io so chi sono, ti dico! esclamò in russo, rapidamente. So che ci si può fidare,
almeno di uno di loro.
Il gigante dalla testa a palla alzò le grosse spalle:
- Diffidare! disse solamente.
La cosa non mi stupì nè mi infastidì.
I sostenitori del vecchio regime son tutti circondati da spie; se en infiltrano di
così abili fin dentro i loro comitati più segreti, che stanno sempre sul chi va là.
- Vai, vai! continuò il generale con una certa impazienza. Bisogna subito
avvisare gli altri. Faccio conto su di te.
- Bene, vado ad avvisarli, rispose senza entusiasmo.
Ma ci squadrò una seconda volta, molto significativamente.
Il generale attese che il suo passo strascicato si fosse allontanato, prima verso il
corridoio e poi sulle scale. Allora si voltò verso di noi.
- Quest'uomo mi è stato imposto, disse. Ma non mi fido molto di lui. Ho usato
la prima scusa che mi veniva in mente per allontanarlo.
Alzò la rivista sgualcita trascurando, sul momento, l'icona, la cui aureola di
gloria nascondeva l'invisibile segreto, e concentrò la sua attenzione sulle poche
lettere tracciate di propria mano dalla Zarina sotto la fin troppo famosa svastica.
E così avete scattato questa foto il 24 luglio, riprese, mentre quella di Sokoloff
fu scattata solo a fine agosto.
Una evidente emozione si impadronì nuovamente di lui e ancor di più le sue
mani presero a tremargli nervosamente.
- Finalmente! mormorò. Finalmente!
Senza mollare la presa, raggiunse una piccola vetrina situata all'angolo opposto
della stanza, rimosse una fila di libri, estrasse dal retro un volume rilegato in un
modesto marocchino rosso che si apriva l''italiana.
Furtivamente, posò le labbra sulla rilegatura usurata, e poi ci spiegò, con una
specie di fervore concentrato, quasi fosse un sacerdote che aprla del suo Dio:
- Ecco, signori, un esemplare del codice segreto di cui si servivano le loro
Maestà Imperiali, quando corrispondevano tra di loro.
«All'inizio fu come un gioco, un gioco seducente, quand'erano fidanzati,
quando lo zarevitch Nicola visitò l'Asia, il Giappone. Poi, in seguito, ne
compresero l'utilità, quando furono nella necessità di scriversi apertamente
evitando i controlli che venivano esercitati - lo sapevano bene - nel loro più
immediato entourage».
Il generale Koutiepoff si adagiò in una delle sedie incannucciate, ce ne porse
due, e continuò:
- Ho capito chi potreste essere voi due! proseguì. Non esito quindi a parlarvi
col cuore in mano, come mia abitudine. Ora, voi potete darmi un aiuto effettivo,
ed io, posso indirizzarvi con esattezza nelle ricerche che state compiendo.
Macchinalmente, le sue dita grassocce carezzarono il piatto del volume.
- Sappiate, tanto per cominciare, disse, che alla fine del 1909, sentendosi
costantemente spiati, i miei sovrani, per astuzia, ebbero due codici, quello
attualmente conosciuto e di cui testimoniarono l'esistenza ad alcuni familiari; e
l'altro, di aspetto pressocchè identico, del quale lo stesso Rasputin non era a
conoscenza, cosa di cui sono ben certo. E' il primo di questi due codici che
Sokoloff potè aggiungere agli elementi sospetti della sua inchiesta, come si può
ben vedere nel suo libro pubblicato da Payot.
«L'altro, quello vero, ce l'ho io, eccolo. Più tardi, vi racconterò come ne sono
entrato in possesso».
Sfogliò lentamente alcune pagine dell'ultimo libro profano, su cui senza dubbio
si erano chinate le vittime di Ekaterinenburg.
E all'improvviso il suo viso assunse un diverso aspetto.
- E così sarebbe il greco! Anche là! lo udimmo mormorare.
Richiuse il piccolo libro, vi inserì dentro la nostra foto e rimise il tutto in tasca.
Ci fu un nuovo silenzio.
Koutiepoff rimaneva muto, ma era talmente impallidito che temei venisse
meno.
Infine, con sforzo, recuperò un minimo di sangue freddo.
- E' incredibile! sibilò. Quest'uomo sarebbe dunque l'Anticristo!
Ebbe un soprassalto.
Un passo rapido, pesante, avanzava nel corridoio.
Ebbe solo il tempo di dirci:
- Domani, alle sedici, fatevi trovare all'angolo di avenue La Motte-Picquet con
la piccola rue Tiphaine.
Si aprì la porta.
Entrò Igor.
Forse il generale non riprese abbastanza normalmente la conversazione… e poi
dimostrò un tale imbarazzo, mentre cercava di argomentare qualcosa, che anche
un individuo meno prevenuto dell'uomo dalla testa a cipolla, avrebbe capito che
il discorso era stato interrotto per il suo arrivo.
Così, quando il generale riprese a parlare:
- Allora, mio caro, già di ritorno? quello ebbe la sfacciata insolenza di indicarci
col dito e di far segno con la mimica che non avrebbe detto niente, finché noi
non ce ne fossimo andati via!
Fu così che alla fine ci congedammo, inquieti e imbarazzati per una così
esplicita ostilità.
- Che ne pensi, vecchio mio, chiesi a Nobody, nel taxi che ci riportava al nostro
alloggio.
- Che il generale ora sa, che ha capito tutto grazie a noi ma che cercherà,
malgrado ciò, di dirci il meno possibile.
- Bah! risposi. Non abbiamo forse i mezzi per farlo parlare?
- Bisogna considerare quell'Igor!
E, aspirando la sua solita bruyère, James cominciò a caricarla lentamente, con
cura, segno che intendeva riflettere prima di parlare oltre.

§§§

Avevamo deciso di presentarci all'incontro con Koutiepoff con un certo


anticipo.
Pertanto facemmo in modo di lasciare rue Bassano, dove Nobody aveva eletto
provvisoriamente domicilio, verso le 3.35, come testimoniava il mio orologio -
un prezioso cronometro Patek - che non ha ancora perso un secondo, da
vent'anni che ce l'ho.
Siccome ci volevano soltanto dieci minuti al massimo per raggiungere il luogo
dell'appuntamento con la mia piccola Peugeot, avevamo del tempo a
disposizione.
Guidai ad andatura più che moderata, attraverso Cours-la- Reine, in quel
momento quasi priva di automobili.
Forse ero un pò preso da certi pensieri, ma i riflessi di un guidatore che come
me è da tempo abituato a guidare, sono pressoché automatici.
Fu per questo, allorché il furgone a tre ruote che sbucava, svirgolando - pedali
impazziti -, da rue Bayard, nel viale laterale, proprio davanti al mio paraurti,
che io abbozzai una brusca sbandata che mi avrebbe permesso di evitarlo, se
non fosse stato, in un attimo, con una svolta voluta, indirizzato deliberatamente
contro le mie ruote.
L'avrei colpito molto leggermente di striscio.
Ma, in un cozzo di vetri infranti, il cassone verniciato si ribaltò e il guidatore,
sbalzato di tre metri in mezzo ai cocci di bottiglia, si mise a urlare più forte di
un maiale al macello.
C'era di che sollevare l'intero quartiere contro di noi!
Il che, del resto, successe.
In meno di un minuto, il viale vuoto fu invaso da una dozzina, poi da una
ventina di energumeni, usciti chissà da dove, che circondarono la nostra vettura
con fare aggressivo e minaccioso.
Subito - perché nasconderlo? - ebbi la tentazione di svicolare attraverso quella
marmaglia, apparsa troppo opportunamente, io credo, per ricoprirci di insolenze
e di ingiurie volgari.
Nobody mi dissuase dal farlo.
Non avremmo raggiunto pont des Invalides, che saremmo stati subito
riacciuffati, grazie ai parafanghi ammaccati, e trattati come pericolosi
automobilisti.
Meglio quindi scendere, se necessario, e perdere alcuni minuti.
Mi ero appena chinato sul ferito - dal cui viso colava sangue -, che mi accorsi
con non aveva nessuna ferita importante.
- Incidente prefabbricato! dissi immediatamente.
Stavolta alcuni veri curiosi si unirono ai primi compari e, impressionati
dall'aspetto penoso della...vittima, dai commenti infervorati dei falsi testimoni
dell'incidente, espressero la loro indignazione, da benpensanti, contro «quei
bruti degli automobilisti».

Mi accorsi subito che nella ressa ci avrebbe sbranato e fatto a pezzi.


Fortuna volle che all'ultimo momento apparve un agente ciclista, maestoso, sul
luogo del piccolo dramma!
Subito assordato dalle urla, dalle esclamazioni rabbiose, da quelle benevole -
tanto diverse quanto fastidiose per Nobody e me -, riuscì poi a redigere un
verbale in un relativo silenzio; quindi, fermando d'autorità un taxi Renault in
cerca di clienti, vi fece entrare l'uomo sanguinante - (in compagnia di un medico
che, come per caso, si era offerto per senso di umanità) -, ordinando di portarlo
immediatamente all'ospedale di Beaujon.
Dopodiché ci invitò, con fermezza, a seguirli fino al posto di Grand Palais,
distante circa seicento metri. Notai allora che i figuri più determinati nel volerci
accusare all'inizio, si erano dileguati tra la folla, così bene che quando
arrivammo al commissariato eravamo seguiti solo da alcuni curiosi che di certo
non avrebbero saputo descrivere l'incidente.
Certi nostri documenti d'identità, esibiti opportunamente a un segretario molto
cortese, ci dispensarono dal fornire spiegazioni che avrebbero potuto darci delle
noie.
Tuttavia telefonai all'ospedale per avere notizie della gravità delle condizioni
del brav’uomo che avevamo «ribaltato»!
Come mi aspettavo, non avevano avuto alcuna segnalazione di ricovero di un
ferito corrispondente alla mia descrizione.
Fu anche accertato subito che il triciclo a pedali «preso a prestito», la sera
prima, da un grossista di spezie, conteneva solo bottiglie vuote di vario tipo.
Non ci si meravigli nel sapere che, quando raggiungemmo la macchina, rimasta
sul posto, trovammo che i quattro pneumatici erano stati perforati.
Ora erano le 16.10!
Abbandonando la macchina, saltammo sulla prima Citroën di piazza che
passava, e siccome avevo promesso cento franchi di mancia all'autista - un
Russo - se avesse dato tutto gas, impiegammo solo sette minuti per raggiungere
l'incrocio dell'appuntamento, non senza esser stati «fischiati» in tre occasioni -
per cui tre contravvenzioni al volo -, in avenue de La Tour-Maubourg!
Koutiepoff non era là!
Ci era mai arrivato?
Si sa che scomparve proprio verso l'ora dell'appuntamento!63
Segnalo soltanto, di passata, che la descrizione che fu fatta all'epoca, del «falso
agente», da diversi testimoni degni di fede, corrispose curiosamente ai connotati
di Igor!
La mia opinione, peraltro, è basata sui motivi che impedirono ai Russi Bianchi
di segnalare alla Sicurezza Generale la scomparsa parallela dell'uomo dalla testa
a cipolla!

§§§

La gente comune fu messa al corrente da tutta la stampa sulle ricerche della


polizia per ritrovare il generale, rapito in circostanze misteriose.
L'inchiesta prese in considerazione di volta in volta le ipotesi più strambe se
non rocambolesche, e poi le abbandonò.
Il giornale Le Populaire ci vide, con inaspettata chiarezza, il «marchio» di
Downing-Street. Nobody stesso ne ebbe la prova!
Ma se sapevamo entrambi che il rapimento era stato certamente istigato,
indirettamente si badi, dall'Intelligence Service, non riuscivamo a capire o
meglio capivamo benissimo le motivazioni dei nuovi capi gerarchici del mio
collega britannico: l'opinione pubblica non doveva venire a conoscenza del
significato dei venti segni, scritti dalla defunta zarina, sotto la fatale svastica di
casa Ipatiev!
Fu un caso davvero curioso quello che ci mise, due giorni dopo, cioè il primo
febbraio, su una traccia che doveva, di fatto, permetterci di ritrovare il bandolo
della matassa!
63
Il generale Alexandre Pavlovitch Koutepov (1882-1930) fu rapito dalla polizia segreta
sovietica, trasportato in Russia e subito ucciso. Anche il suo successore, il generale Ievgueni
Karlovitch Miller (1867-1939) verrà rapito, tradotto in Russia e ucciso.
Da molto tempo, il Supplément Illustré du Petit Journal pubblicava una serie di
stampe naives, colorate a tinte forti, quasi chiassose, dai tratti sempre eccessivi,
che sono l'arredo preferito di quelle case contadine col tetto di paglia e dei
piccoli negozi.
Questo settimanale - nipote della vecchia immagine di Épinal - aveva al tempo
come segretario della redazione di rue La Fayette, un giovane molto strano,
grazie al quale ero riuscito a penetrare in certi gruppi chiusi, delle conventicole
esoteriche di cui era stato un aderente iniziato.
Benché si fosse spesso lamentato con me di non essere riuscito ad entrare nella
Trappa, io invece lo sospettavo fortemente di avere praticato all'occasione la
magia tantrica tibetana.
Ebbene, la copertina a colori del numero del suo giornaletto, uscita
ventiquattrore dopo il rapimento di Koutiepov, mi dette a pensare per alcune
particolarità, specialmente quella che Le Petit Journal (all'epoca espressione del
più totale conformismo) non si adeguava alla versione ufficiale del rapimento!
Questa copertina raffigurava una valleuse64 della regione di Caux, nei cui
pressi stazionava una potente automobile scura, la dicitura apposta sul retro
faceva indovinare - per chi sapeva leggere tra le righe - che la redazione del
giornale conosceva una possibile soluzione di quell'oscuro problema.
Fatto ancor più significativo, il numero mi era stato spedito in imballo anonimo
prima ancora che venisse diffuso pubblicamente.
Il venerdì seguente suonai quindi al campanello del mio giornalista che -
piccandosi di essere mago - non dette mostra di meravigliarsi della mia visita.
Mi giurò sul Carro di Fuoco del Profeta Ezechiele (sembra fosse il suo più
grande giuramento) che non sapeva nulla di quella spedizione, che il disegno di
prima pagina, fatto con molta cura, serviva solo a facilitare la vendita; ma non si
contrariò per nulla quando gli dissi che non gli credevo affatto!
Ne avevo capito abbastanza, tuttavia, per andarmene subito!
Aggiungo che mi trattenne sulla porta qualche istante sussurrandomi
all'orecchio:
- Se questo mestiere cane non mi trattenesse a Parigi, mi farebbe piacere
andarmene a trascorrere subito una settimana sulla costa, in qualche angolo
tranquillo. Conoscete il faro di Ailly?
Siccome il guardiano del faro di Ailly, all'epoca, Jagu Duhamel, originario di
Morlaix, è il cognato di Louis Autret, che è, a sua volta, cugino di Jeanne
Leguivic, fidanzata del mio ex-attendente Pierre Tinel, mi fu relativamente
facile - la fortuna aiuta - ingraziarmi quel vecchio marinaio bretone dell'Yser,
privo di un braccio.
Comunque, nonostante tazze di sidro, caffè corretti, caffè «consolati» e
correzioni per risciacquare la tazzina, mi ero persuaso che non sarei mai riuscito

64
Valleuse è termine regionale della Normandia, che designa un'apertura, come un
avvallamento tra le falesie della costa.
a superare la testardaggine di quel zuccone armoricano incrociato all'astuzia
normanna.
Se infatti l'addetto al faro costiero sapeva qualcosa è chiaro che voleva tenersi
tutto dentro.
Stavo rinunciando, almeno per quel giorno, a farlo parlare a sua insaputa o,
come si dice, a tirargli il verme dal naso, quando Nobody adoperò l'unico
sistema in grado di far parlare quel tipo.
- Beh, insomma, brav'uomo, non vogliamo farvi perdere dell'altro tempo, disse
alzandosi dalla lunga panca della locanda...
Ora ci rendiamo conto che non avete visto niente di niente! Del resto...
Fece una pausa, come a teatro, e continuò, in tono tranquillo, indifferente: «...
la vostra vicina, la signora Dubois, ce l'aveva detto subito!".
Una rapida inchiesta per Ailly, ci aveva informato quella mattina che questa
signora Dubois, vedova arcigna, era l'impietosa nemica del misogino Duhamel.
Quest'ultimo sferrò un pugno poderoso sulla tavola appiccicosa e sbilenca del
bancone, che fece traballare i bicchieri vuoti e accorrere la cameriera.
Io pagai....
Il guardiano del faro si era fatto rosso come un mattone.
- Quella vecchia carogna! borbottò. Ma tu guarda quella vipera!
Poi, ancora fremente per effetto dell'indignazione, unita alla massiccia dose di
alcool ingurgitato fino a quel momento all'osteria, tenendoci testa senza troppa
fatica, ci propose a bassa voce:
- Ci facciamo un giro nella valleuse?
- Certo che sì! risposi. Servirà a sgranchirci le gambe. Andiamoci!
Passate le ultime case della frazione di Petit Ailly, assicuratosi che non ci fosse
nessun'altro ad ascoltare i suoi discorsi, Jagu Duhamel esplose:
- Allora, insomma, quella vecchia strega vi avrebbe detto, ci scommetto eh?,
che quel giorno avrei preso una sbornia e non avrei visto niente? Ma che ne sa
quella peste?
Alzò le spalle tarchiate.
Dirigendosi a sinistra per la valleuse di Vastréval, continuò brontolando:
- Bella merda, se dovessi parlare!

§§§

I motivi per i quali l'onesto guardiano del faro aveva taciuto - anche se
l'avevano interrogato due abili investigatori della Sûreté, senza peraltro dare alla
cosa alcun interesse -, erano del tutto rispettabili.
Derivavano da un affetto familiare molto forte!
Poteva confessare a quei poliziotti che lui si era accorto molto chiaramente di
un peschereccio a luci spente (a bordo del quale si è finalmente supposto che
Kutiepov fosse stato sequestrato!) e che si trattava della Belle Hougue di Jersey,
il battello di proprietà del marito della sua giovane sorella cadetta Hortense!
E soprattutto che suo cognato, Guérin, - suddito di Re Giorgio -, quella sera
pescava illegalmente a strascico ben oltre il limite delle acque territoriali
francesi, dove, neanche a farlo apposta, il pesce abbondava!
Bisognava poi che quella pesca fosse stata molto fruttuosa perché dopo,
quell'accidente di pescatore, come dicono, non aveva più smesso di rimpinzarsi
nelle osterie di Saint-Aubin, di Saint-Hélier, ed aveva pagato a sua moglie una
protesi dentaria.
Conservo tutt'ora un dente di quel gagliardo lupo di mare anglo-normanno,
vera figura di bucaniere, che mi valse una traversata di venti ore, con un mare
molto mosso, su quel piccolo cutter di Dieppe, l'unico che - a fronte del prezzo
salato offerto da Nobody - non si tirò indietro e uscì in mare col maestrale,
serrando tre vele.
Stetti molto male, io che - lo ammetto a mia vergogna - ho il cuore in
subbuglio solo a prendere il bateau-mouche tra la Concorde e Saint-Cloud.
Non so quante volte votai alla vendetta delle Erinni il mio collega, che, a
guance rosse e indifferente agli spruzzi, si godeva la sua pipa di erica, i cui
sbuffi intermittenti, che odoravano di olio di ricino, spinti costantemente verso
di me ad ogni raffica di vento, aumentavano vieppiù il mio malessere.
Per fortuna quest'ultimo cessò appena doppiammo la diga foranea di Fort
Elisabeth e dopo aver dato un forte abbraccio alla fiaschetta del whisky, uscita
dalla tasca del vecchio James, che mi rimise a posto.
Il nostro uomo non lo trovammo di certo in Queen street ma nel pub che lo
stesso frequentava - vicino la caserma del Reggente -, all'insegna di Smart
seeman, o al Coquet Navigateur… dove si respirava almeno l'aroma della birra
ale, la cera del pavimento e una umanità ben lavata.
Emile Guérin aveva ancora una buona brezza nelle vele ma non era più ubriaco
fradicio e la sua furbizia si accompagnava a prudenza e buonsenso.
Si rese conto quasi subito del valore che il suo segreto aveva per quei due
signori che, venuti grazie al vecchio Duhamel, non avevano esitato, malgrado la
tempesta che infuriava, a rischiare la pelle traversando mezza Manica in
burrasca.
Se non fosse stato in quel momento allo stremo delle sue energie, ho forti
dubbi che avrebbe parlato e i nostri discorsi avrebbero avuto lo stesso valore di
quelli fatti ad una qualsiasi Conferenza di Ginevra.
Peraltro, trovammo nella sua donna un insperato alleato, perchè, entrata per
riportarselo a casa per l'ora di pranzo, fu più sensibile al suono cristallino delle
sovrane e dei bei Luigi d'oro d'anteguerra di cui si era munito Nobody, piuttosto
che al suono del radio-concerto che si stava trasmettendo nel locale.
Per la verità, il padrone dai capelli color stoppa della Belle Hougue non aveva
alcun grave motivo per nasconderci quello che aveva combinato quel 31
gennaio. Se aveva svolto un ruolo nel rapimento di Kutiepov ciò era avvenuto a
sua insaputa e in modo del tutto marginale.
Non aveva certo commesso un crimine quella sera là nel valutare male la
distanza che lo separava dalla costa francese!
I pescatori di Caux forse si davano da fare per rendere la pariglia ai pescherecci
anglo-normanni, quando i banchi di merluzzi comparivano dalle parti di
Minquiers, e immaginandosi anche che le scogliere fossero quelle francesi!
Sarebbe stato maggiormente biasimevole aver abbandonato alla deriva quel
grosso motoscafo incontrato più al largo, caduta la notte, davanti Saint-Valéry-
en-Caux, i cui occupanti nordici lo avevano pagato molto bene per farsi
rimorchiare.
Non erano affare suo, no? se poi uno yacht - un bello yacht in verità, tutto
dipinto di bianco - speronò il motoscafo, sotto Serk, mentre incrociava a bassa
andatura da Etac fino a la Baleine!
Il mare è di tutti, no? ... e per di più nessuno lo aveva incaricato di fargli da
guardia!
Inoltre non aveva proprio visto che bandiera batteva quello yacht!
La bandiera sta issata di notte solo sul pennone di battelli da diporto
importanti, e l'alba illuminava solo il cielo allorché il motoscafo che stava
rimorchiando si era accostato alla tagliata!
- Che nome aveva lo yacht?
- Là, neanche a farlo apposta, c'era un pezzo della tenda catramata che pendeva
dal coronamento e nascondeva gran parte della poppa, proprio là dove si
vedono, di solito, le lettere dorate!
Questa serenità normanna mi esasperava.
Ma Nobody continuò a chiedere con altrettanta calma:
- E voi non avete notato nulla di particolare nell'armatura del battello? Il volto
di Émile Guérin si illuminò:
- Quanto a questo, so ancora distinguere un trealberi, quando ne vedo uno,
soprattutto in zona, dove gli yachts misti, fatti come questo, sono piuttosto rari
di questi tempi nella Manica.
«Se ne ho già visto uno simile prima?» ripeté poco dopo a seguito di un nuovo
chiedere di James.
Si grattò la testa.
«Forse, ora che mi ci fate pensare. Doveva esserci uno dei paesi baltici o uno
scandinavo l'anno scorso alle regate di Cowes, che aveva un coso del genere!»
Il mio collega ritenne che il padrone della Belle Hougue avesse finito di
vuotare il sacco, come si suol dire, perchè dopo aver alzato con discrezione una
pila di giallini, cioè di monete d'oro, alla giovane sorella di Duhamel, strinse
vigorosamente le mani ad entrambi dicendo che saremmo ripartiti di buon'ora,
l'indomani, per il continente.
Il vecchio adagio che la notte porta consiglio si dimostrò vero una volta di più
anche quella mattina, perché non avevamo terminato di far colazione, in una
delle sale ancora deserte de l’Esplanade - prima di prendere, in capo al porto, il
piccolo vapore di Grainville -, che Hortense Guérin apparve timidamente sulla
soglia. Un caffè la rese loquace.
- Bisognava che non lo venisse a sapere il suo uomo, che altrimenti l'avrebbe
maltrattata.
« Ma siccome lorsignori si erano dimostrati così generosi... (James strizzò
l'occhio destro e tirò fuori teatralmente dal taschino una sovrana) ...forse gli
sarebbe interessato conoscere che nel motoscafo rimorchiato dalla Belle
Hougue, c'era…
Si chinò, con gli occhi accesi.
«...un uomo che sembrava malato, rimasto tutto il tempo disteso nel castello di
poppa, sotto un mucchio di coperte.
«Pare che non si fosse mosso per tutto il tragitto ma si lamentava spesso in
modo strano, in una buffa lingua incomprensibile! »
Quattro Luigi rotolarono sulla tovaglia; i suoi occhi sfavillarono di gioia.
La giovane sorella di Duhamel, con il viso arrossato, si alzò, fece un profondo
inchino e scappò via di corsa, felice, stringendo il suo bottino nel palmo della
mano.
CAPITOLO SECONDO

A bordo della Asgärd

Nei teatri sovvenzionati, le attrici non salgono di norma all'onore, assai


temibile, di ricoprire ruoli di ingenue se non dopo aver superato la cinquantina.
Questa regola, spiacevole, aveva almeno una eccezione, nella persona della
biondissima, esile e avvenente Elsa Eriksenn, all'epoca prima donna dell’Opéra
Royal di Oslo, che infatti non aveva ancora superato la trentina.
Se la felicità è di questo mondo, poteva esserci uomo più felice del barone von
Bautenas, Consigliere privato esterno della repubblica lituana, dal momento che
possedeva sia l'amore e la fedeltà della deliziosa cantante lirica che quel
magnifico grosso yacht misto - armato, cosa rara, come un trealberi -, più
bianco di un gabbiano, l'Asgärd?
La più meravigliose delle ragazze in fiore, uscita dalle saghe scandinave, e uno
dei più moderni, forse dei più veloci, dei meglio costruiti di tutti i navigli da
diporto che capriccio di miliardario avesse mai messo in acqua.
Il barone Otto doveva essere, di certo, ricchissimo!
Doveva esserlo per forza per mantenere al suo interno un tale livello di lusso
fiabesco... ma più ancora perché la bella, la tanto capricciosa Elsa avesse
scoperto la sua anima gemella in quel corpaccione che di sicuro non aveva
alcunché di attraente o di seduttivo!
Se il Consigliere non fosse stato davvero uno dei maggiori funzionari del
governo del dittatore Voldemaras65, detto la Luce di Kaunas, il più feroce
animatore del movimento antipolacco, lo si sarebbe preso, d'acchito, per un
cosacco del Kouban, brutale, illitterato... sventratore!
Aveva gambe storte, mani enormi, dita quadrate, occhietti neri a mandorla,
sempre in movimento. Ci avrebbe certamente guadagnato se non si fosse
acconciato secondo la moda dell'Europa centrale che obbligava a tondersi il
cranio con la tagliatrice da barba!
Ma dopotutto era un uomo gentile, costumato, affabile. Ed era sempre un
regalo poter apprezzare il fascino profondo sempre rinnovantesi della vivissima
intelligenza, fascino che si aggiungeva anche all'euforia che si provava a
navigare a vele spiegate, su quell'alcione dalle ali bianche e dal volo sicuro che
era l'Asgärd; al piacere, più sottile, di un flirt con quella creatura bionda e quasi
irreale ma tuttavia così straordinariamente voluttuosa che aveva nome Elsa
Eriksenn.
Inoltre, il bar inglese dello yacht aveva un whisky di pregio, un White Horse
1904, annata preferita, sembra, dagli amanti del distillato di frumento.

65
Augustinas Voldemaras (1883-1942), fondatore del movimento nazionalista «Lupo di
Ferro», appoggiato dalla Germania.
§§§

Si capisce che in tale situazione i due ingegneri yankees della Chicago


Machine-Tool Corporation - al presente in missione negli stati baltici e
passeggeri già da otto giorni di quel palazzo galleggiante che era il trealberi -,
non ci avrebbero messo molto per giungere alla stipula di quel contratto che
erano incaricati di discutere con lo stato lituano.
William P. Sleets e Andreas J. Gadger, appena giunti a Vilnius, dove il
Consigliere Bautenas combatteva a tutto campo contro le ambizioni territoriali
di Varsavia, si erano abboccati senza indugio con il potente personaggio, che
ritenevano in grado di procurargli l'importante commessa che tentavano di
ottenere!
Non si trattava di poca cosa!
Il braccio destro di Voldemaras aveva capito, da parte sua, che la commissione
assegnata per la riuscita dell'affare, valeva la pena, anche per chi come lui aveva
l'abitudine di trastullarsi con milioni di corone. Ora, siccome il suo yacht era in
procinto di partire per una crociera nei fiordi, giustamente, due giorni dopo,
aveva pregato i due uomini, giunti dalla lontana Chicago, di aggiungersi agli
altri invitati!
Viaggio di piacere, senza alcun dubbio, fatto a piccole tappe, con diversi scali a
Malmoë, Göteborg, Fredrikshald, Christiansund e che proseguivano poi verso
Stavanger e Bergen, per raggiungere Aalesund, fors'anche Trondjhem, se la
stagione lo consentiva.
La grossa imbarcazione bianca, battezzata - era un caso? - con la parola con cui
le leggende islandesi designano il paradiso terrestre (il regno del re di Thule) si
fermava a casaccio nei fiordi, secondo il capriccio di Elsa Eriksenn.
Tutto era un pretesto per passeggiate, per lunghe escursioni a terra, nel corso
delle quali la cantante lirica cercava ostentatamente la compagnia di A. J.
Gadger, mentre Bautenas si accaparrava William P. Sleets.
Coincidenza curiosa, quando la scialuppa a motore dell'Asgard sbarcava gli
escursionisti, il telegrafo crepitava continuamente, utilizzato anche per ore dal
quarto ospite di bordo e unico cliente, per così dire, del radiotrasmittente da
quando lo yacht aveva lasciato il Cattegat.
Scialbo e strano personaggio, questo ragazzone biondo, febbrile, per il quale il
barone Otto sembrava avere un'amicizia di lunga data, molto particolare!
Si era innamorato di Elsa?
Forse; ma in tal caso molto timidamente, perchè non lasciava apparire nulla, se
non per l'atteggiamento, quando a seguito di un incontro fortuito, lei gli
rivolgeva la parola.
Allora, arrossiva improvvisamente, come un collegiale colto in fallo,
farfugliava qualcosa e andava via, dopo averle risposto a monosillabi.
Del resto, i suoi lineamenti flaccidi, insignificanti, non si illuminavano mai se
non quando lo andava a trovare un piccolo mozzo sfrontato che lui chiamava
molto spesso - con vari pretesti - nella sua cabina!
L’affetto che gli portava il Consigliere era manifestato da continue cure. Lo
circondava di mille attenzioni, rispettava le sue numerose manie, alcune delle
quali irritanti, faceva sì che non gli mancassero mai le comodità e i bisogni
relativi al suo benessere.
Così come, quando, per la trascuratezza di uno steward, la provvista di sigari di
una marca particolare che quest'ospite coccolato fumava, fu a rischio di esaurirsi
prima che la crociera finisse, Bautenas non esitò a noleggiare telegraficamente
un idrovolante, il quale, in dieci ore, portò da Oslo fino all'Asgard venticinque
scatole di King’s Habanas!
Ivar Kreuger poi non mangiava in compagnia degli altri passeggeri e i cibi che
gli venivano serviti erano cucinati apposta per lui.
Dire che era orripilante agli occhi di Gadger e soprattutto di Sleets è dire poco.
La cantante lirica aveva confidato al primo, che avrebbe volentieri colpito
quella faccia da schiaffi se il suo padrone e signore non avesse esigito da lei una
estrema affabilità.
Due o tre volte - senza ragione apparente - il biondo svedese, smettendo
all'improvviso di fare l'orso, si era mescolato agli ospiti del Consigliere e agli
Yankees, quest'ultimi convenendo che alla fine era molto più intelligente di
quanto non apparisse.
Si era vivacizzato o quasi, aveva perso la sua goffaggine ed aveva emesso non
solo opinioni originali, ma brillanti e molto sensate, circa l'avvenire, in
particolare, del capitalismo europeo e il fallimento in cui rischiava di cadere,
presto o tardi, la classe padronale se rimedi draconiani non fossero stati presi, al
più presto, contro la spaventosa stagnazione economica mondiale.
Aveva anche lasciato intendere che grazie alle numerose e potenti relazioni che
possedeva nella maggior parte delle grandi nazioni, avrebbe tentato in futuro di
ristabilire quell'equilibrio senza il quale la macchina dei quattrini rischiava di
rompersi!
Che fosse a modo suo sensibile agli splendori dell'inverno nordico?
Perchè no? Infatti gli Americani lo sentirono deplorare più volte, che le sue
cento fabbriche contribuivano al disboscamento di quelle magnifiche foreste, il
cui denso fogliame verde-scuro si rifletteva di continuo nell'acqua immobile dei
fiordi.
In ogni caso, per la maggior parte del tempo, appariva di fatto caduto in uno
stato di ebetudine, analogo a quello dei malati che si concedono dosi troppo
forti di neve, di oppio o di morfina... stupore da cui solo Bautenas era capace di
farlo uscire.
Allora Kreuger si aggrappava letteralmente al barone, come un naufrago a un
tronco, e li si poteva vedere uniti, misurare a grandi passi, per ore, senza dire
niente, il tavolato di controcoperta.
Dopodiché, generalmente, il Consigliere spediva alcuni brevi messaggi via
radio!

§§§

Il Hardanger Fjord è forse il più pittoresco della costa norvegese, dominato


com'è dalla massa scintillante del Lange-Fjeld, il ghiacciaio dove, in base al
tempo, brillano tonalità color berillo, rubino, smeraldo o ametista.
Il percorso doveva essere piuttosto lungo e il gruppo degli escursionisti era
partito di buon'ora per poter raggiungere all'ora di pranzo la famosa grotta di
Rosmersholm, palazzo incantato tagliato dai geni della montagna nel ghiaccio
traslucido del Berg.
Quella volta, eccezionalmente, Kreuger si era deciso ad accompagnare
Bautenas e si sarebbe detto, tant'era l'impegno che metteva nel salire i sentieri
che serpeggiavano lungo la morena, un ragazzo scappato dal collegio.
Gadger da parte sua, approfittava con decisione dell'incontro ravvicinato che le
circostanze favorevoli gli offrivano con Elsa, e mentre lo svedese e il balto
scomparivano alla vista, nelle curve che facevano i sentieri, flirtava con
passione con la bionda fata delle nevi, più conturbante che mai nei suoi
giovanili indumenti di lana.
La cantante lirica vide - pur palpitante mentre lui le si stringeva con passione
un'attimo dopo - il sorriso che si dipinse sulle sue labbra, accuratamente rasate,
quando gli confidò, arrossendo, che stringeva come un francese.

§§§

L’Asgard, lasciato poco dopo l'alba, fu raggiunto al tramonto. La piccola mano


calda di Elsa, che stringeva con convinzione quella più giovane dell'americano,
si staccò solo in cima alla scaletta della tagliata di bordo, mentre l'allegro barone
e il «caro Ivar», ancora eccitato dalla marcia e dall'aria fresca, si scambiavano,
ridendo, battute sporche e pesanti.
La prima cura dell'ingegnere fu di andare a parlare col suo amico William P.
Sleets, al quale un accesso di malaria, presa già nei fossati delle chiuse dell'isola
portoricana di Culebra, aveva impedito quella mattina di unirsi alla
combriccola. Quell'omone era confortevolmente disteso nel suo letto con a
portata di mano un provvidenziale night-peg66, già svuotato più che a metà.
Accolse il compagno con uno scialbo sorriso da convalescente, felice di esser
guarito così facilmente.
- Il Rosmersholm? chiese.
- Most gorgeous! Wonderful! Splendid!
- Elsa?
- Lovely, dear fellow! Got the sweetest lips in the world.
66
Whisky o brandy con seltz.
- Bautenas?
- Pieno come non mai di attenzioni verso noi due.
- Un capretto, vecchio mio, sgambettante e pieno di vita!
William P. Sleets girò gli occhi e tirò fuori una lingua biancastra.
Quella smorfia doveva avere un significato particolare per Andreas J. Gadger,
perché se ne tornò subito nel suo alloggio, che peraltro era contiguo e
comunicante mediante una porta con la cabina del collega!

§§§

Alle due del mattino, quando tutti a bordo avrebbero dovuto dormire, quella
porta si schiuse, senza rumore, e William Sleets, in pigiama, scivolò
discretamente sotto le lenzuola a fianco del suo più giovane collega, che faceva
finta di russare!
Ma, honni soit qui mal y pense!
Si trattava solo di una ingegnosa precauzione adottata dai due compari, dal
giorno in cui si erano installati a bordo dell'Asgard, per poter tranquillamente e
con comodo conversare senza correre il rischio di poter essere ascoltati da
qualche orecchio indiscreto.
Ci sono cabine molto acustiche, specie a bordo di certi yachts!
- Ebbene, questo bell'accesso di febbre mi aveva talmente prostrato, sussurrò il
grosso ingegnere, con un sorriso alla Pickwick che somigliava tanto a quello di
James Nobody, che sono stato costretto, poco dopo la vostra partenza, a
trascinarmi fino alla cabina del dottore!
«Quest'ultimo si è così spaventato per la crisi malarica, per la febbre che saliva,
per il delirio a carattere epilettiforme, che mi ha dispensato cure e calmanti fino
a mezzogiorno.
«La malattia lo sconvolgeva visibilmente per i sintomi, che non aveva mai
visto, e ne aveva ben d'onde...!»
Una luce ironica brillò tra gli occhi socchiusi.
«Così, quando, preso dall'affaticamento, continuò con voce bassa e melliflua,
mi addormentai nel letto stesso del medico, colto da un sonno profondo, quello
ritenne di dovermi lasciare lì a riposare, raccomandandosi alla mia buona
costituzione per una pronta guarigione».
Nobody accostò le labbra al mio orecchio.
«Crederesti che a bordo dell'Asgard, dove tutti gli ottoni luccicano e
scintillano, dove il tavolato del ponte è strofinato con rara minuzia, come non
usano neanche i marinai della flotta da guerra, che le pulizie sono fatte così
male?»
Il piccolo sorriso alla Pickwick gli riapparve sulle grosse labbra.
«Sì, e non dispiaccia alla nostra ospitale e raffinata padrona di casa - al chè mi
dette una gomitata! - ma certe cabine vengono spazzate veramente a dispetto del
buon sangue.
« Ne vuoi una prova? »
Dalla tasca del pigiama, da cui sporgeva un fazzolettino di seta verde, il
vecchio James estrasse una piccola medaglia di rame, il cui dritto recava inciso
il profilo ben riconoscibile del Cristo, circondato dalle lettere yod e schinn,
almeno per quel che mi sembrava, e il rovescio una breve iscrizione ebraica, che
non seppi decifrare.
- Questa medaglia, continuò il falso William P. Sleets, con improvvisa serietà,
era per mia fortuna incastrata tra il letto e la paratia della cabina del dottore e ho
fatto anche, caro vecchio Teddy, molta fatica a toglierla.
. Da parte mia, avevo subito riconosciuto quell'esemplare di moneta antica, ben
noto agli archeologi, e che i numismatici designano come Denario di Traiano.
Sapevo che su di essa si erano versati fiumi d'inchiostro, perché quella scritta
salutava Gesù Cristo come il Messia, atteso da tutto Israele, il chè portava a
pensare che fosse servita al tempo del Cristianesimo delle origini quale segno di
riconoscimento e adesione per i primi settatori della nuova fede, per i discepoli
del Nazareno!
Non avevo anche letto, da qualche parte, che, coniata qualche tempo dopo la
crocifissione sul Calvario, con ogni probabilità essa avrebbe dovuto riprodurre
le vere sembianze del figlio di Maria?
- Quella medaglia stava sempre con il generale Kutiepov! proseguì Nobody,
con tale sorda veemenza quanta ne poteva usare nel tono di voce in quella
circostanza. Capisci ora?
Scossi la testa in segno affermativo!
- La portava appesa a una catena di acciaio fino, attorno al collo.
«I suoi congiunti me l'hanno garantito, mentre tu eri a Londra a preparare
questa gita.
«Il suo misticismo slavo vi vedeva un motivo di speranza, anche nei momenti
peggiori. Pare che gli fu affidata da uno degli spiriti superiori della nostra
epoca, un certo Sédir. Lo conosci? ». Sì, il fondatore, esclamai, delle Amicizie
Spirituali di cui il denario di Traiano è proprio il simbolo67.
- Quindi siamo sulla pista giusta!
Gli occhi sempre socchiusi di James brillarono di quella luce penetrante che
esprime la gioia del successo.
«Kutiepov è stato su questo battello!»

67
Sédir, pseudonimo del francese Yvon Le Loup (1871-1926), dapprima esoterista poi
mistico cristiano, dopo aver frequentato il Maestro Filippo di cui si parla anche in questo
libro. La medaglia esiste realmente e in un gran numero di «originali», poiché è una delle
tante «médailles voyageuses» in circolazione dal XVI secolo. Pare che fosse il segno di
riconoscimento di una chiesa eretica polacca, quella che dette vita al movimento
dell'Unitarianismo, negatore della Trinità, poi fatto proprio dal gruppo di Sédir, Les Amitiès
Spirituelles. La dicitura «denario di Traiano» pare sia un'invenzione invece di Teddy
Legrand.
Un trepido silenzio si stabilì tra noi, saturo di profonda esaltazione, la più bella
che un uomo possa concepire, quella della caccia!
Sia reso grazie all'affettuosa complicità del nostro amico, il generale J. C.
Parker, già agente superiore dell’Intelligence del Corpo di Spedizione
Americano e attualmente vicepresidente della Chicago Machine-Tool!
Senza di lui, non avremmo mai potuto trovare un motivo plausibile per
introdurci a quel modo nell'intimità quotidiana del Consigliere Bautenas ed
essere ospiti sull'Asgard, raro e magnifico yacht armato come un trealberi, della
cui precisa descrizione fummo debitori a Émile Guérin, cognato di Jagu
Duhamel, il monco custode, ma non cieco per fortuna, del faro di Ailly!

§§§

Questa scoperta ci portò a fare alcune deduzioni basilari! Avemmo la netta


convinzione che il generale Kutiepov fosse stato rapito, su ordine di quei famosi
Verdi la cui esistenza, per noi almeno, non era affatto ipotetica e che eravamo in
procinto di smascherare col suo aiuto!
Bautenas, pertanto, era uno dei 72 Verdi, e non uno degli ultimi,
evidentemente, a giudicare dal lusso miliardario che sfoggiava.
Era lui che bisognava far parlare per trovare la chiave del mistero
dell'improvvisa e tragica sparizione del capo dei Russi Bianchi, che tutte le
polizie del mondo cercavano...con molta calma!
Grazie a lui, noi avevamo infine, alla fine, una maglia della catena!
Chiedo scusa, ma questo pensiero primeggiò in noi, per un momento, rispetto
alla speranza di liberare colui che una sposa disperata piangeva, nel caso poco
probabile, del resto, che fosse stato ancora vivo!
Un altro punto ancora - è il caso di dirlo - attirava la nostra attenzione, cioè le
relazioni che c'erano tra Kreuger - meteora apparsa all'improvviso nel
firmamento della finanza, sostegno degli affari traballanti di tanti stati europei,
re dei fiammiferi svedesi - e il barone lituano, membro dell'occulta confraternita
che vuole dominare il mondo.
Questa relazione a nostro avviso gettava una luce particolare sull'improvvisa
fortuna di questo insulso scandinavo, così l'abbiamo già definito, alquanto
ottuso, dalla mentalità contorta, diventato, in brevissimo tempo, com'è noto, uno
dei pilastri del capitalismo mondiale... e le cui concezioni non erano affatto
brillanti, originali, geniali, se non quand'era - questo è un fatto assodato - in uno
stato alterato di coscienza.
Pur non volendo fare rivelazioni, ci si permetta di segnalare che nei rapporti
che all'epoca indirizzammo confidenzialmente a quel grande lorenese che aveva
le redini delle finanze della Repubblica Francese, noi insistemmo sul pericolo
che c'era nel trattare con colui che consideravamo come una creatura dei Verdi!
Gli avvenimenti ci dovevano dare oltremodo ben presto ragione, perché la
morte di Kreuger - (ci sarebbe molto da dire sui cosiddetti suicidi suggeriti dopo
la rilettura di Loewenstein!) - minò alle fondamenta la struttura stessa
dell'Europa e fu una delle cause principali del crollo della sterlina!
L'assassinio di Sarajevo, il massacro di Nicola II, l’assassinio di Rathenau… il
crach del re dei fiammiferi, furono altrettante tappe vittoriose verso l'epilogo
preparato dalla lunga mano dei 72...
Rimaneva una sola mano da giocare e non la si doveva perdere!
Il poco che già sapevamo ci permetteva di far scoppiare l'ascesso verde, di
sbrigliarlo, di impedire alla temibile cancrena di propagarsi oltremisura?
Avremmo potuto indirizzare in tempo gli occhi dei conduttori di popoli,
volgerli uniti contro l'Idra, il Drago dalle 72 teste?
CAPITOLO TERZO

Racconto di una caccia all'anatra!

Questa nuova crisi di malaria che mise in serio pericolo i giorni preziosi di
William Sleets - senza peraltro che Nobody ne fosse in alcun modo toccato -,
aveva costretto l'Asgard ad accorciare la crociera e fare rilascio a Stoccolma.
Del resto, le cure di una affascinante ed esperta infermiera, Vera Petrovna
Vassiliev, che ci era stata procurata seduta stante dalla venerabile matrona
dell'ospedale Haakon, la quiete di un confortevole e comoda camera dell'hotel
Dagmar, contribuirono felicemente ad una rapida guarigione!
Quel giorno, il 6 febbraio, James era sprofondato in una poltrona, accanto alla
finestra a doppi vetri che faceva entrare una luminosità del mattino che aveva
dell'incredibile, e discorreva col suo modo di fare serafico, con la sua flemma
alla Pickwich, di fronte al suo servo e alla sua bionda guarda-malati, a sua volta
messasi senza riguardi a cavalcioni di una sedia, con lo schienale facente da
appoggio per le mani e il mento.
Lui discorreva.
Sarebbe stato meglio dire che teneva una conferenza a beneficio esclusivo dei
due ascoltatori presenti.
- L’Echinocactus Williamsi, aveva cominciato, da persona che conosce a fondo
l'argomento, è un cactus che cresce solo negli altipiani desertici del Messico
centrale.
« Certi collezionisti inglesi di cactacee - e non sono pochi - l'hanno chiamato
«turnip-cactus», termine descrive invero molto esattamente l'aspetto, perché
assomiglia effettivamente a una grossa rapa color verde scialbo, la cui testa è
divisa in otto lobi di grossezza ineguale.
«Per quanto indietro si vada nella storia, anche precolombiana, little girl
(James sorrise paternamente all'indirizzo della giovane slava), si vede che
l’Echinocactus Williamsi era già noto a certe tribù amerindie, che lo
chiamavano peyotl, da una parola del dialetto nahuatl, e che già avevano avuto
modo di apprezzarne le strane proprietà». Nobody piegò le gambe, si raddrizzò
e continuò:
- Il peyotl, per gli indigeni americani, era una specie di pianta-dio e i sacerdoti
huichahs, che vivono nella Sierra del Norte lo adoravano per i suoi meriti.
«Oggi, inoltre, i giovani uomini di questa tribù autoctona - il cui areale si trova
peraltro a più di duecento leghe dalla zona dove cresce il peyotl - non esitano a
percorrere, una volta all'anno, ottocento chilometri di piste impraticabili tra
deserti e montagne, per portare alla tribù quella quantità di rapa verde di cui
non saprebbe fare a meno.
«Infatti chi ha assaggiato il peyotl non può più fare a meno di masticarlo!»
James si fermò per riaccendere la vecchia pipa in radica di erica, e ne fece
uscire, con piccoli rumori, due o tre boccate soddisfatte.
«Gli indiani Huichahs fanno seccare 'sto peyotl, proseguì, con metodi segreti,
che si trasmettono gelosamente da nonno a nipote.
«Lo tagliano in piccoli pezzi - simili alla cipolla secca che si vende nelle
spezierie - e che gli etnografi inglesi hanno chiamato « mescal buttons ».
- La sensazione che si prova a masticare questa specie di cicche è dapprima
molto sgradevole, lo interruppi, desideroso di sciogliermi un pò la lingua e di
far vedere a Vera Vassiliev che anch'io ne sapevo qualcosa. L’odore è
francamente scoraggiante, il sapore pepato asciuga la bocca e causa spesso
nausee che gli indigeni evitano con bizzarri incantesimi senza effetto, almeno
sugli Europei puro sangue.
- L'ho provato diverse volte.
Il vecchio James ci teneva a concludere la sua conferenza.
Pertanto mi tacqui e ascoltai, tanto più volentieri in quanto lui possedeva, in
materia di stupefacenti, un'esperienza più ampia e consolidata della mia.
«Passata la prima mezz'ora, dopo l'assunzione di una sola dose - un « mescal
button » basta e avanza -, si avverte generalmente una sensazione di euforia
simile a quella che procura agli intossicati una puntura di morfina. «Ma la
sensazione è molto più viva e complessa anche di quanto può procurare
l'ingestione degli alcaloidi dell'oppio.
«E' del resto difficile da descrivere, quando si rientra da quella sorta di Nirvana
in cui si sprofonda rapidamente... quando si dissipano i fantasmi che
accompagnano lo stato alterato di coscienza... quando si rimette piede su questa
terra!»
Nobody rifletté, succhiò con aria assente la pipa nuovamente spenta, senza
accorgersene, e proseguì con un tono diverso di voce.
«Pensate che i colori, qualsiasi oggetto, assumono uno splendore assolutamente
straordinario... un rumore, anche banale, evoca delle fantasmagorìe, fantastici
giochi di luce, analoghi a quelli che si ottengono premendo a lungo e con forza
le palpebre... con la differenza che questi fuochi d'artificio, queste proiezioni,
avvengono al di fuori di voi... li vedete per davvero».
Fatto strano per un anglosassone - pur con sangue irlandese -, James si era
messo a tracciare col fornello della pipa dei ghirigori nell'aria, così come
farebbe un latino.
Ma, parola mia, faceva dei gesti!
«Allo stesso tempo, continuò, vi appare davanti tutta la vostra esistenza. Si
rivedono con esattezza i più piccoli ricordi della memoria, con prodigiosa
velocità, ma senza intervalli, in successione perfetta!
«E' meglio tentare l'esperienza davanti amici fidati e affezionati, perché questa
specie di sogno desto, lo si declama ad alta voce, senza accorgersene.
Descrivete tutte le vostre visioni, ripetete in modo chiaro tutti i fatti accaduti,
rendete una piena confessione, non lasciate più alcun segreto sulla natura delle
vostre azioni e su chi siete veramente!»
- Se l'Inquisizione avesse conosciuto questa droga, avrebbe evitato a molti
eretici la tortura! mormorò sommessamente Vera Petrovna Vassilief! Per
fortuna che la Tcheka non ne fece uso, sei mesi fa, quando il commissario
Gontcharov mi interrogò sui motivi del mio viaggio verso Kharbin!
- I primi viaggiatori che ebbero l'occasione di osservare da vicino gli effetti del
« turnip cactus », continuò a recitare Nobody, come se non avesse sentito,
credettero a torto che potesse consentire di predire l'avvenire... Fregnacce!
«I veri servizi che può rendere sono molto più interessanti».
- E dove ci si procura sto peyotl? chiese la slava aggrottando le sopracciglie
mentre al contempo si stiracchiava come un gatto.
James fece finta di non aver sentito quell'esplicita domanda ma rispose
comunque a modo suo.
- Nel Rio Grande del Norte, dei trafficanti meticci raccolgono l’Echinocactus
Williamsi, all'occorrenza lo rubano agli Indiani e lo vendono poi a peso d'oro in
certi porti del Nuovo Mondo, col nome caratteristico, da non credere, di dry
whisky.
« La proibizione ha del resto fatto di questo commercio clandestino una delle
industrie più fiorenti, tipicamente nord-americana, in cui ci si arricchisce molto
più velocemente rispetto al contrabbando di liquori.
« Liverpool, Amburgo e Marsiglia non sono state da meno ed hanno in breve
tempo aperto delle distillerie di peyotl, mettendosi in concorrenza con i
trafficanti di carburante, eroina, neve e oppio».
Vera Petrovna Vassilief riassunse la posa da sfinge bianca, per pochi attimi
interrotta, e la fronte increspata riacquistò la serenità del marmo.
James, placido, proseguì nel discorso:
- E' da quindici anni che il peyotl è stato, per la prima volta, oggetto di ricerche
scientifiche nei laboratori europei. Ora, poichè questo importante aspetto vi
deve interessare entrambi, vi consiglio vivamente di leggervi l'ottimo libro che
un noto farmacista francese, Alexandre Rouhier, ha consacrato al vegetale-dio
degli Indiani Huichahs et Nahuatl. La sua lettura è avvincente, prende come un
romanzo.
- L'ho già sfogliato, dissi, stanco del mio ruolo di muto.
Nobody soffocò la mia ironia col flusso pressoché inarrestabile del suo eloquio
cadenzato.
«Gli studiosi dunque, sono riusciti ad isolare e conservare gli alcaloidi del
peyotl, così come fecero con la morfina, estratta dall'oppio e dalla cocaina,
quest'ultima derivata, come sapete, dalla coca.
«Naturalmente, questi alcaloidi che hanno il non disprezzabile vantaggio di
essere facilmente somministrabili, non hanno proprio le stesse proprietà del
peyotl.
« Due di questi, relativamente facili da ottenere, la muscalina e la peyotlina,
hanno come effetto quello di indurre visioni a colori di incredibile intensità, ma
non agiscono sulla memoria, non richiamano il passato.
«Al contrario la lophophorina, alcaloide molto meno stabile, difficile da
ottenersi, estremamente tossico a dosaggi già bassi, provoca quando è usato in
dosi omeopatiche un riaffioramento dei ricordi assolutamente irresistibile».
Il viso di James si illuminò di un sorriso un pò ambiguo.
Tale ambiguità peraltro sembrava indirizzarsi solo a me.
- Voi sapete bene, old chap, che la grande amministrazione di cui fui zelante
strumento per moltissimi anni, possiede i più moderni laboratori di analisi.
« Il peyotl naturalmente c'entrava appieno.
« Voi capite perchè, vero?
«Molte furono le volte che restammo soddisfatti del servizio resoci dalla
lophophorina».
- Come ce la si può procurare? insisté Vera Petrovna, la cui voce musicale
aveva assunto tonalità quasi drammatiche.
- Se l'uso del peyotl fosse di dominio pubblico, rispose con dolcezza il vecchio
James, produrrebbe danni, lui solo, molto più grandi di tutti quelli provocati
dalle altre droghe messe insieme, pertanto i pochi laboratori che producono
lophophorina sono rigidamente controllati. Il suo uso è tollerato a dosi
infinitesimali in alcuni prodotti farmaceutici.
« Cinquanta bottiglie di… (citò una specialità medicinale conosciuta, prescritta
agli astenici, per gli esaurimenti nervosi) … una volta distillate come si deve, vi
daranno una sufficiente quantità per l'esperienza che sembra vogliate tentare....
».
Un sorriso alla Pickwick si aprì, di nuovo, su quelle grosse labbra «...se per
caso non riesca a trovare nel disordine della mia sacca da viaggio il campione di
molti grammi datomi dal mio vecchio amico Johnny Langford, direttore del
reparto chimico dell’Intelligence Service! »

§§§

Abbandonando l'inconsueto tono e aspetto professorale, James Nobody


ritornava, per alcuni minuti, se stesso, prima di riprendere gli atteggiamenti e le
espressioni di William Sleets.
Con mano paterna sfiorò la guancia esangue della giovane infermiera russa.
- Capisco, mia piccola, disse. E approvo… « Possa il sistema che vi ho indicato
riuscire. Credetemi, è infallibile, se si sa come usarlo».
Un'improvvisa decisione trasparì dagli occhi grigio-acciaio della ragazza dalla
fronte senza rughe.
- Non tema, Signore, saprò fare, esclamò alzandosi. I tre fratelli che mi
aiuteranno non sono alle prime armi.
«Hanno giurato assieme a me, sulla tre volte sacra icona di san Serafino di
Sarov, di riuscire o di morire!»
E colei che la gioventù dei Russi Bianchi venerava fanaticamente, colei che
aveva dedicato fascino, bellezza, verginità alla causa del defunto zarismo, come
se si prendessero i voti, colei che, come gli altri, non pensava altro che ritrovare
o vendicare il generale Koutiepov, ripetè solennemente:
- Non temete. Ci riuscirò!
§§§

La caccia all'anatra selvatica nei canneti del lago Moëlar, mi lasciò in verità un
ricordo indimenticabile.
Entusiasta di rivedere il suo ospite dell'Asgard così rapidamente ristabilitosi, il
barone von Bautenas aveva subito ceduto al capriccio di quel robusto
convalescente che era William Sleets, dando le disposizioni necessarie affinchè
la gita fosse ricca di emozioni venatorie.
La « Mercedes » del barone balto era, nel suo genere, bella e distinta quanto il
suo yacht, così quando salì per la rampa dell'hotel Dagmar, verso le sette di quel
giovedì 2 marzo - un mese esatto, ricordiamolo, dal rapimento misterioso del
capo supremo dei Russi Bianchi -, non potemmo fare a meno di ammirare la
linea, la silenziosa flessibilità, l'eleganza.
Il Consigliere, ottimo cacciatore, pareva di ottimo umore. Elsa Eriksenn poteva
gareggiare con Diana cacciatrice.
Nessuno dei due sembrava rimpiangere Ivar Kreuger, il quale aspettava, così
sembrava, una risposta urgente da Parigi alla sua proposta di assumere il
monopolio dei fiammiferi in sostituzione delle Imposte Indirette.
Inutile dire, nevvero, che avevamo già un'idea precisa su questa operazione; ma
non usciamo dal seminato.
Dunque, mentre i doppi vetri della vettura si appannavano, le ruote, lasciando
le strade di un sobborgo ridente e grazioso - col suo decoro di alberi
sempreverdi -, si avviarono sul liscio asfalto di magnifiche strade boschive.
Girammo per ore, incassati fra due falesie di pini neri, poi arrivammo alla
regione dei laghi, la cui acqua risplendeva immota fra i bianchi tronchi delle
betulle, limpido specchio riflettente la totalità del cielo, pura come lo sguardo di
un bambino!
Anche Bautenas che non aveva certo l'animo di un artista, taceva, preso pian
piano, dal grande silenzio fremente di quella natura invernale, mentre il
passaggio della vettura turbava appena l'atmosfera traslucida e secca,
eccezionalmente limpida.
Il mistero di quello che sembrava un mondo vergine, intatto, esente da ogni
umana polluzione, aveva un ché di sconcertante ma anche di inebriante.
Avevo la sottile sensazione di essere il primo ad esplorare una regione del
sogno, fatata!
Era incantata davvero, meravigliosa, ma pure allucinante, a causa della
ripetizione di paesaggi sempre simili.
Gli abeti, le betulle, i laghi, si assomigliavano tutti, si confondevano tanto da
assumere le fattezze di un incubo. Mi angosciava l'idea di muovermi a vuoto
nello stesso ambiente.
Così, benché la coscia calda sotto la corta gonna di Elsa non avesse mai smesso
fin da Oslo di appoggiarsi contro la mia, grazie alla sensuale complicità della
coperta di opossum, mi sentii rinfrancato solo quando la Mercedes si fermò.
Dovemmo percorrere a piedi una sessantina di metri tra i canneti gelati, in riva
al lago Moëlar, per raggiungere il ghiaccio trasparente ma solido come una
banchisa.
Come lasciammo la riva, il grido stridulo di una civetta che si era attardata
risuonò tre volte nell'aria secca e frizzante come champagne, lugubre ululato.
Bautenas tese l'orecchio, si fermò, scrutò il bosco con una certa inquietudine,
poi, facendo spallucce, raggiunse il falso William Sleets.
Elsa era impallidita, aggrappandosi al mio braccio.
- Brutto presagio! disse, nervosa. Riderete di me, mi accuserete di
superstizione; ma le nostre nonne dicono che è un segno di morte.
Feci del mio meglio per rassicurarla, con tutta la buona grazia di cui era capace
quel Gadger che mi aveva fatto impersonare Nobody, il quale a sua volta replicò
ad alta voce, ridendo:
- Un segnale, se volete, ma infausto solo, ve lo garantisco, per le sfortunate
anatre che cadranno sotto il nostro piombo!
Voltatosi poi verso di me:
«Non è così?
E il suo farmi l'occhietto, un poco beffardo, che poteva essere interpretato
come una bonaria canzonatura per il balto, significava invece per me:
— All right! I nostri sono in posizione! Speriamo che non facciano cilecca!

§§§

Tre capanni di canne secche erano stati recentemente costruiti su ordine del
barone, per accogliere gli invitati.
Sorgevano nascosti al centro di una densissima vegetazione palustre, a
duecento metri uno dall'altro, su una specie di isolotto, cui si poteva accedere a
piedi asciutti grazie al ghiaccio spesso. L'isolotto era all'intersezione dei due
principali rami del lago, nella cui direzione, in brevissimo tempo, due grossi
gruppi di battitori, a bordo di piccoli canotti a motore, ribattevano il volo delle
anatre verso i passaggi d'acqua ancora liberi.
- Mi estrarrete a sorte, Signori? propose Elsa, ridendo, spezzando tre rametti di
giunchi, fragili come vetro. Chi estrarrà il più corto mi avrà come più
bell'ornamento del suo wigwam fino a mezzogiorno. Sarò la sua devota squaw!
Gli ricaricherò il fucile e gli cercherò la selvaggina!
Caso o astuzia femminile?
Fui io che vinsi l'estrazione!
Bautenas fece qualche smorfia, al pensiero che sarei stato faccia a faccia, per
ben due ore, con colei che era la «perla dei suoi occhi».
Ma fece finta di condividere l'opinione di Nobody che disse:
- Ci sono promesse delle ecatombi di consolazione! Perdendo al grazioso gioco
di Eros, guadagneremo al gioco di Nimrod!68

§§§

Bisognerebbe davvero che mi inoculassero una forte dose di lofoforina per


costringermi a evocare i deliziosi ricordi che conservo di quei centoventi minuti
così preziosi, passati in compagnia della dolcissima Elsa, nel piccolo capanno
caldo e confortevole del lago Moëlar!
Il fatto però che lì vicino - a duecento metri - si svolgeva una partita molto
importante, la cui posta mi premeva molto, non mi impedì affatto di assaporare
l'opportunità del momento e l'affascinante condizione d'animo della mia
compagna di caccia!
«Carpe Diem!» «Cogli l'attimo!». Il consiglio dell'epicureo è una massima del
mio mestiere!
Non si pensi però che la mia arma da fuoco avesse mancato il colpo!
Perché il mio carnet, già... reale, si accrebbe di una lista di tutto rispetto,
appena feci la prima....
Eros, anziché disturbarmi la mira, mi conferì maggiore precisione.
A proposito, mi applicavo dopotutto in ogni cosa a lavorare di buona lena...
L'emozione in cui ci aveva gettato il nostro reciproco trionfo, la delicata
soddisfazione di un desiderio a lungo condiviso, impedì a Elsa Eriksenn di
rendersi conto, lì per lì, che al quinto passaggio delle anatre, Sleets era il solo
che sparava.
- Stai attento, mi disse, all'improvviso, allontanando le mie labbra dalle sue.
«Si dev'essere insospettito. Ha lasciato la sua postazione. Ascolta. Non sento
più la sua carabina. Se ci vedesse, se ci ha visto! Sapessi come è geloso.
Sarebbe capace di tutto, anche... di tirarci una fucilata!».
Non ci fu modo di stornare quella pericolosa inquietudine.
Siccome il silenzio, intrigante è vero, del winchester continuava - il fucile di
cui il barone ci aveva vantato le capacità e che durante i primi quattro voli di
anatre non aveva smesso di tuonare -, Elsa perse il controllo.
Una certezza era meglio di quell'insopportabile angoscia.
Voleva uscire, andare a vedere!
Se ci aveva visto, che importava!
Se ci aveva spiati, tanto peggio.
Se ci aspettava per sorprenderci? Ebbene, avremmo semplicemente pagato il
fio delle nostre colpe!

68
Nimrod, mitico cacciatore primordiale.
Ah! Non avrebbe rischiato un'altra volta la sua posizione, la propria vita, per
uno straniero.
§§§

Sebbene la civetta avesse cantato di nuovo, questa volta due volte, dovetti
simulare la più grande sorpresa, quando penetrando nel capanno di Bautenas,
col pavimento cosparso di bossoli vuoti, constatammo l'inspiegabile scomparsa
del Consigliere.
Nè i miei richiami, nè quelli potenti e stentorei dello pseudo William, nè le
suppliche di Elsa, subito in lacrime, disperata, non suscitarono il benché minimo
eco di risposta.
Dopo una battuta, durata invano fino al crepuscolo, battuta a cui si unirono
l'autista della Mercedes e dei boscaioli, attratti dai nostri inutili richiami, fummo
costretti a ritornare a Stoccolma in automobile.
Ciò che la stampa scandinava avrebbe chiamato, il giorno seguente, «Il nuovo
affare Koutiepov», era già cominciato.
Affare che si fece beffe dei segugi migliori della polizia baltica e di quella
svedese, che lavoravano in competizione.
Le acque del lago non restituirono il cadavere del consigliere del dittatore
Valdemeras!
Come il generale bianco, scomparso proprio un mese prima, che sembrava
essersi stranamente e bizzarramente volatilizzato!
Aggiungerò che, inconsolabile per la perdita di un caro amico, Elsa Eriksenn
non volle più vedere l'ingegniere yankee che considerava sicuramente come il
responsabile del suo lutto.
Talmente convinta che Otto si fosse suicidato, appena lui si accorse -
malauguratamente - del di lei... infortunio, accettò infine, la prima settimana di
aprile, gli omaggi floreali e dorati del re dei fiammiferi: Kreuger!
L’Asgard - sbattezzato e ribattezzato con un nuovo nome - dato che era fin
troppo conosciuto dai Lloyd -, fu utilizzato per il loro... viaggio di nozze.
Certi slavi sono dei bambinoni.
Hanno una spiacevole e antipaticissima propensione a rompere i più bei
giocattoli!
Coloro che avevano invece lanciato il grido della civetta, aggiunsero a nostra
insaputa, e di loro propria iniziativa, un finale allo scenario che avevamo
minuziosamente ed esattamente programmato.
Il mio nonno materno, che fu uno dei padri ancora oggi ammirati della
psicofisiologia, ripeteva spesso e volentieri un aforisma che rappresentava in
pieno la bella Vera Petrovna Vassiliev.
- Diffida, piccolo, diceva - quando appena baccelliere mi credevo già uomo per
aver frequentato qualche cliente delle birrerie del Quartiere Latino -, diffida
delle donne, ma soprattutto ricorda che le più pericolose sono quelle, sì, che
sembrano delle santerelline! Fuggi come la peste quelle che hanno l'aspetto di
angeli biondi scesi dal cielo!
Non importa come l'ho saputo, ma so che attualmente in un ricovero di
Leningrado è ospitato un folle che interessa fortemente l'illustre professor
Pavlov, lo psichiatra più in vista, oggi, dell'U. R. S. S. e il suo assistente
Ileguine, uno degli «assi», non c'è dubbio, della psicopatologia.
Il soggetto in questione, registrato come numero 3008, porta sul corpo cicatrici
identiche a quelle dei dementi già a pensione in quell'asilo... e che vi furono
inviati dopo un soggiorno prolungato nelle prigioni della Tcheka.
Si constata un identico prelievo di strisce di carne sul dorso, sul petto e sulle
coscie.
I denti risultano strappati - con pezzi di mascella - al pari delle unghie delle
mani. Le dita dei piedi spezzate, le orecchie amputate.
Quell'uomo, tuttavia, non era mai stato consegnato alle «commissioni
speciali».
Nessun registro ufficiale ne citava la segnalazione prima di venire trovato - con
le piaghe già cicatrizzate - dalle Guardie Rosse incaricate di far sloggiare ogni
sera i visitatori dal mausoleo in cui giace Lenin, nel suo sarcofago di vetro.
Le autorità non sono mai riuscite ad identificarlo, tanto le guance, la fronte e il
collo, le dita e i palmi delle mani erano bruciati dall'acido!
La sua ebetudine era totale.
Ma talvolta presenta delle strane turbe vasomotrici che fanno credere ai due
medici che sia stato avvelenato, in un momento della sua vita, da potenti
alcaloidi, alcaloidi vegetali della serie ...C13 H17 O3 N …!
Sicuramente, Koutiepov fu debitamente vendicato!
CAPITOLO QUARTO

L'uomo dai guanti verdi

La scomparsa definitiva del consigliere Bautenas non suscitò scalpore solo in


Svezia, Lituania e Finlandia.
Per la risoluzione dell'enigma si ingegnarono spiriti molto più perspicaci dei
giornalisti e dei poliziotti scandinavi.
Lascio al vecchio James la completa paternità del seguente gioco di parole,
invero detestabile:
- Don’t Worry! Essi resteranno al verde!
Infatti, se non si seppe mai ciò che toccò a Koutiepov69, altrettanto si può dire -
tranni pochi privilegiati - del destino del barone Otto!
§§§

… Cavalière, sulla Côte des Maures è, al centro di un anfiteatro di montagne


amene e boscose, il luogo di soggiorno più seducente che si possa sognare, a
marzo, per coloro che amano la solitudine70.
Il minuscolo hôtel, sulla spiaggia, ombreggiato dai pini parasole, ove
nidificano migliaia di uccelli, pare un Eden in miniatura e i sentieri, odorosi di
mirto e della resina di Cap Nègre, a fianco di rocce rosse che carezzano un mare
trasparente e azzurrissimo, costituisce per gli ultimi dèi, sopravvissuti
dell'Olimpo, il soggiorno più adatto.
Non ho forse intravisto un sacco di volte, tra la schiuma di una calanca deserta,
il corpo sinuoso di una sirena?
Non ho forse inteso, la sera, sul colle ombroso, il flauto del divino capripede?
Per tutto il santo giorno, sistemati in qualche angolo ben nascosto della pineta
marittima, davanti a dei cavalletti, con delle tele frettolosamente imbrattate -
camuffati da pittori, avatar che permette, senza che nessuno si meravigli,
certune eccentricità -, James ed io, decifriamo i numerosi foglietti ricoperti da
una netta e precisa steganografia, spediti all'interno di una scatola di tubetti di
colori di qualità, marca Paul Foinet, commerciante in rue Bréa.

Bautenas era stato particolarmente loquace. Le sue divagazioni erano in


sovrappiù rispetto alle poche rivelazioni utili.
Anch'esse erano frammiste di nebbia, di oscurità, di fumo!

69
Il generale Alexandre Pavlovitch Koutiepov (1882-1930) fu rapito dalla polizia bolscevica
a Parigi nel gennaio 1930. Pare che sia morto prima ancora di arrivare in Russia (Nicolas
Ross: Koutiepov, Genève, 2016).
70
Celebre località della Costa Azzurra, prediletta dal presidente francese Nicolas Sarkozi.
Sotto l'effetto del peyotl, aveva parlato, ma per sè, esprimendosi più per
allusioni che per espressioni oggettive.
E temo proprio che noi ci saremmo seccati, come si dice volgarmente, se non
avessi posseduto una chiave di lettura!
A volte mi è tornato utile esser stato antroposofo!
Questa setta è un recente scisma della famosa società teosofica di Adyar, in
India.
Ma, mentre il movimento teosofico contemporaneo - la cui influenza occulta è
grande - si è sempre sviluppato seguendo direttive britanniche, gli antroposofi,
al contrario, ebbero come primo fondatore Rudolf Steiner, un ungherese71,
medico di grande intelligenza e sapere enciclopedico, il quale, stando a persone
bene informate, avrebbe avuto per un certo tempo degli agganci con l'illustre
Compagnia di Gesù... cosa che reputo vera!72
Confesso che al tempo in cui ero affiliato a questa società, le origini di Steiner
mi interessavamo molto meno che la sua attività in campo politico... politica
occulta!
Per quanto fossi molto giovane, allora, l'istinto che mi doveva guidare nella
mia attuale carriera mi spingeva già a cercare di scoprire quali fossero le
motivazioni del suddito di Francesco Giuseppe.
Mi apparve subito chiaro che, sotto il pretesto di resuscitare, di restaurare la
Rosa-Croce, lui cercasse soprattutto di riunire un gran numero di «piccole
cappelle», di «piccole confraternite», dei gruppi esoterici, in un blocco
germanofilo che si opponesse alle tendenze anglosassoni dei teosofi.
Forse un giorno racconterò la lotta subdola che si scatenò tra queste forze
antagoniste e quali ripercussioni si ebbero sui destini dell'Europa, dell'America
e dell'Asia!
Basti dire, al momento, che fui, per ordine dei miei superiori, uno dei proseliti
modello della «crociata steineriana», poiché mi meritai la Rosa d'Oro, ambita
insegna del grado più alto, accordata ai soli dirigenti del «Comitato superiore».
I discepoli del medico ungherese (tra i quali bisogna annoverare il famoso Jules
Sauerwein73, già redattore dei servizi esteri del quotidiano Le Matin), tra le altre
cose, non sembra abbiano continuato la sua crociata pangermanista.

71
Il conferenziere austriaco Rudolf Steiner (1861-1925) nacque nell'attuale Croazia da
genitori austriaci.
72
In realtà si tratta di accuse mosse da avversari teosofisti che avevano forse in vista gli anni
formativi giovanili di Steiner. Il suo supposto pangermanesimo potrebbe risalire ad una
pubblicazione berlinese del 1916: Pensieri del tempo di guerra, che fece allontanare dal
gruppo Edouard Schuré proprio con l'affermazione che Steiner era circondato da influenze
pangermaniste. Tuttavia Steiner nel 1922 sfuggì ad una aggressione di nazionalisti e subì
l'incendio di un suo famoso centro. Nel 1935 i nazisti metteranno fuori legge l'Antroposofia.
73
In effetti, Jules Auguste Sauerwein (1880-1967), originario di un famiglia austriaca
protestante, esule in Francia per motivi religiosi, così si era espresso su Hitler in una
conferenza: «Il pontefice della nuova religione manca di ogni caratteristica personale e
Oggi si limitano quasi esclusivamente a stabilire le conoscenze che permettono
di studiare la costituzione profonda e segreta dell'uomo.
Se ho continuato a lungo a pagare la mia quota associativa non fu certo perché il
mio tempo libero mi consentiva di appassionarmi a ricerche così fallaci.
E' che per noi «gente dell'ombra», può essere estremamente utile avere relazioni
con le associazioni occultiste.
Mi si creda se dico che l'ambiente occultista è un vivaio di confidenti di ogni
specie. Vi si possono reclutare facilmente molti agenti provocatori più di quanto
ci si immagini... e altrettanti spioni di basso rango, utili a tutti i bisogni.
Solo che non sempre sono di qualità sopraffina.
Le pratiche esoteriche - ed è il loro difetto minore - distruggono rapidamente il
senso critico e gli occultisti prendono troppo spesso i loro desideri e velleità per
realtà tangibili!
Non c'è un antroposofo, un occultista di qualità, che non abbia frequentato, a
suo tempo, la famosa Villa Bleue, a Nizza! La contessa P...74 accoglieva, con la
sua infinita buona grazia e la sua maestosa dignità, tutti i curiosi dell'al di là che
venivano a suonare al campanello.
Si potrebbe solo rimpiangere che la sua bontà, fin troppo congenita, e il suo
disprezzo delle contingenze, l'abbiano condotta a considerare il piacere se non
pure la mania dell'occulto, come un brevetto di onestà!
Nel suo salotto si trovavano - ed è ciò che mi attirava - il meglio e il peggio.
Quella eccellente e nobile persona, potè mai divinare i loschi e complessi
intrighi che si svolgevano tutt'intorno a lei?

particolare. Adolf Hitler è anonimo in tutto. Non è nè grande nè piccolo, nè grasso nè magro.
Ha un baffetto stretto (...) dei capelli lisciati con la brillantina e separati da una riga netta,
come quasi tutti i camerieri dei caffé o i parrucchieri portano in Austria» (L’Europe Nouvelle,
28-5-1932, p. 174). In precedenza aveva lasciato il quotidiano filogermanico Le Matin per la
sua politica apertamente filo-hitleriana.
74
La contessa che l'autore nomina solo con l'iniziale del cognome da sposata è la svedese
Marthe Bonde (1855-1931), moglie del conte Maurice Prozor (della nobiltà lituana e
traduttore di numerosi testi scandinavi). Stabilitasi a Nizza nel 1907, vi fondò la sezione
"Agni", della Società Teosofica, una sezione con forti valenze buddhiste. La sede non era
nella Villa Bleue come scrive Legrand ma in Maison Rose. La figlia, Elsa Prozor (1887-
1935), amica di Schuré, fu fervente seguace dello spirito nordico e di Steiner. E' probabile
che Legrand mescoli nel racconto i ricevimenti teosofisti della madre con l'antroposofismo
della figlia («mia madre è più ostile che mai, naturalmente, al nostro movimento», scrisse
Elsa). Cfr. Irene Diet: Jules und Alice Sauerwein und die Anthroposophie in Frankreich.
Berlin 1998.
l'antroposofista Elsa Prozor con il padre

Suo marito era traduttore di autori scandinavi, quelli affini a Rudolf Steiner. Lei
stessa cercava la verità, con toccante buona fede, attorniandosi di persone
convinte e del tutto rispettabili ma anche di ciarlatani, di bricconi se non di veri
e propri imbroglioni, senza saper distinguere.
Fu da lei che conobbi un gran numero di «grandi adepti» che non vivevano solo
alle spalle del suo conto in banca, ma che attingevano parimenti ai fondi segreti
di dieci paesi, servendoli o tradendoli, di volta in volta a seconda dei loro
capricci o del loro interesse immediato. Inayat-Khan75, Gurdjieff76, Dennis77,
dovrò raccontare le vostre imprese migliori? Probabilmente verrei accusato di
romanzare i miei ricordi e di scrivere un racconto d'appendice!
Ma quanto ci sarebbe da raccontare sui tuoi ospiti, strana Villa Bleue!
75
Si tratta dell'indostano Hazrat Inayat Khan (1882-1927), fondatore nel 1916 a Londra del
Sufismo Universale, un movimento che si proponeva di avvicinare l'Islam e l'Occidente.
Molto curiosamente, era stato invitato nel 1914 da Rasputin in Russia, alla corte dello Zar e
della Zarina. Al Cremlino nacque infatti nello stesso anno sua figlia Noor. Quest'ultima
divenne agente segreto britannico e fu uccisa dai nazisti nel 1944 a Dachau. La moglie di
Inayat Khan era l'americana convertita all'Islam Ora Ray Baker, cugina della fondatrice della
Christian Science. Come si vede, nulla, in questa famiglia, era profano, neanche la data di
nascita di Noor: 1° gennaio. Cfr.: J. Overton Fuller: Madeleine, the story of Noor Inayat
Khan. London 1952 (una seconda edizione, più completa, Rotterdam 1988).
76
Su G. I. Gurdjieff (1866-1949) si è scritto tantissimo, nel bene e nel male. Operò in Francia
dal 1922 alla morte.
77
Léon Denis (1846-1927) celebre spiritista e massone, detto l'Apostolo dello Spiritismo.
Tra quei fantocci, più o meno temibili, si distinse in primo piano una persona di
grande levatura.
Nei sei mesi che trascorse dalla contessa P..., edificò o meravigliò, come si
preferisce, la cerchia abituale degli ospiti, facendo sfoggio delle sue
straordinarie doti magnetiche.
Mi insegnò molte cose.
Ne seppi di più sul suo conto, quando scorsi presso la Sureté Générale, il suo
dossier estremamente esauriente, con le stesse iniziali delle mie. Ma preferisco
attribuirgli il nome che portava allora, Dordji-Den78.
Lama tibetano della cosiddetta setta dei Berretti Rossi; per gli iniziati, un
praticante lo Dzog-Tchen.
Non nascondeva affatto la sua origine ebraica, ma mostrava le prove testuali
della superiore iniziazione lamaista che aveva ricevuto al monastero di Sera,
vicino Lhasa, città santa del Buddha vivente.
La cosa più buffa, è che neanche all'epoca mentiva!
D’altronde - e ciò fa la sua forza - è sempre sincero.
E' colpa sua se le circostanze lo costringevano spesso a cambiare tipo di
sincerità!
Incredibilmente sporco, non mancava però di buone maniere, sotto al suo
costume che ricordava per molti versi quello dei sacerdoti nestoriani che
penetrarono con la loro dottrina scismatica fin nel profondo dell'Asia, per via
delle persecuzioni di cui li faceva oggetto il Basileus!79
Mi aveva preso in simpatia, apertamente, grazie alle mie molteplici conoscenze
esoteriche, inaspettate in un ingegnere del genio marittimo del porto di Tolone -
ruolo che avevo scelto e che mi valse del resto in quello stesso ambiente così
variegato, dei piacevoli successi con le donne!
In cambio di qualche informazione confidenziale, che mi lasciai strappare sui
nostri più recenti sommergibili, mi colmò di spiegazioni inedite sul simbolismo
molto speciale del suo costume.
Appresi così da lui il significato esatto del tridente degli stregoni tantrici, che
chiamano doung khatan… seppi distinguere i gradi iniziatici lamaisti, ma niente
al confronto di come portare il kangling, una specie di trombetta, intagliata in
un femore umano... imparai a salutare secondo la triplice formula sacra: « kale
jou den jag »; e sono capace di vestirmi, tanto quanto ne è capace lui, con lo
zen, una specie di toga, privilegio dei monaci della sua setta.
78
Legrand si riferisce all'ebreo ungherese Ignác Trebitsch (1879-1943), più noto come
Trebitch-Lincoln, avventuriero, approfittatore, intrigante, truffatore e spia. Divenuto abate
buddhista in Cina nel 1931 col nome di Chao Kung tentò pochi anni dopo di proclamarsi
Dalai Lama. Dopo aver collaborato con i massimi vertici nazisti, pare che morì avvelenato a
Shangai, poco dopo aver inviato una lettera di protesta a Hitler per la persecuzione degli
Ebrei. Cfr.: B. Wasserstein, The Secret Lives of Trebitsch Lincoln. New Haven/London,
1988.
79
Cioé l'Imperatore bizantino di Costantinopoli.
Feci più fatica a procurarmi - lo confesso - un theu-threng, quel rosario che
serve al lama per salmodiare delle litanie interminabili, inframezzate di pii Om
mani padme hung («oh! il gioiello nel loto!») e dovetti anche pagare col disegno
di un nuovo siluro a motore (che non fu mai in uso) una collana di 108 rondelle
d'osso strettamente unite, tutte piatte, ognuna intagliata in un cranio umano
diverso!
108, non una più, non una meno. E' il numero rituale per eccellenza.
Perché allora Bautenas aveva specificato chiaramente, in tre momenti diversi,
nel corso delle sue forzate rivelazioni, che il theu-threng, che funge da segno di
riconoscimento per i suoi pari, deve possedere 110 rondelle?

§§§

Ora si trattava, per prima cosa, di adattare il mio rosario, affinché potesse
continuare a sembrare autentico a chi l'avesse esaminato, poi - cosa invero più
difficile - di procurarsene un secondo che non rischiasse di essere preso per una
grossolana contraffazione.
Una visita interessata, a una delle persone che meglio conosce il Tibet
misterioso e che abita in un piacevole ritiro lungo la strada fra Nizza e Digne,
che laggiù chiamano «Villa del Silenzio», ci procurò delle informazioni che
risultarono molto preziose per il seguito della nostra missione - missione sempre
più speciale! - ma, nonostante l'intercessione cordiale della sua segretaria, la
gentilissima Miss Spinly, la nostra ospitante, la signora David-Neel,80 non
ritenne di doversi disfare dei theu-threngs lasciatigli dal lama Yong-Den!
Pensammo molto seriamente - perchè, a dire il vero, il tempo stringeva - di
svaligiare le vetrine della collezione Jacques Bacot, che si trova al Museo
Guimet, quando una informazione, comparsa in una rivista esoterica, mi
informò che il mio amico M.R.81 era di ritorno a Parigi, dopo un soggiorno di
tre anni nel monastero lamaista di Chorten Nyima, santuario e residenza
venerata di uno dei quattro Buddha viventi!
M. R., messo a conoscenza della cosa, ci procurò volentieri in poche ore gli
oggetti di cui potevamo avere bisogno, e ci garantì che coloro che avrebbero
esaminato i nostri theu-threngs, molto bene modificati, li avrebbero trovati
ricchi di fluido, imponderabile all'uomo comune, ma che li avrebbero fatti

80
Alexandrina David, più nota come Alexandra David-Néel (1868-1969), famosa
viaggiatrice, dal 1928 aveva acquistato una casa a Digne-les-Bains, nell'Alta Provenza,
chiamandola Samten-Dzong (fortezza della meditazione).
81
L'autore nasconde dietro queste iniziali l'esoterista e membro della Fratellanza Polare, Jean
Marquès-Rivière (1903-2000), autore del libro À l'ombre des monastères thibétains. Paris
1930. L'anno seguente pubblica Le Bouddhisme au Thibet dove si rimangia tutte le sue
esperienze tibetane e invita ad avvicinarsi alla chiesa cattolica. Alla luce di ciò si può
accettare l'espressione di Legrand: «il mio amico M.R.»! In seguito il Marquès-Rivière
ritornerà alle sue idee di una volta.
riconoscere come autentici agli iniziati che dovevamo per prima cosa
convincere...
§§§

Forti delle informazioni ottenute dalla nostra alleata Irma Staub, grazie a un
telegramma, dal contenuto apparentemente banale, inviato quattro giorni dopo a
Simla 82, potemmo dunque raggiungere Berlino, dopo un breve scalo a Londra.
Chi fu quel saggio che disse che più le religioni perdono seguaci, altrettanti ne
guadagnano i leggitori di Tarocchi e di fondi di caffè?
Il solo mestiere che non è in crisi nella Germania di oggi, è quello dell'indovino
ovvero del fondatore di sette occulte.
In verità da dopo la guerra, il Reich è minato da una miriade di conventicole,
più o meno magiche, molte delle quali sono votate alla più nera delle magie!
I «grandi luminari» come Keyserling, come Bo-Yin-Ra, non nuocciono affatto
ai «grandi interessi»; al contrario.
Un poco della loro notorietà ricade sugli « stregoni da 25 marchi» che
pullulano, d'altronde, tanto ai lati dell'Unter-den-Linden, che nelle periferie
sporche di Moabit.
Quando scendemmo all'hotel Adlon, il più famoso dei maghi del momento -
forse perché più caro -, era quello che un reporter del Berliner Zeitung aveva
sopranominato, dopo una clamorosa intervista, «Der Mensch mit den grünen
Handschuen», cioé, l’uomo dai guanti verdi.
Tutti sapevano che uomini del calibro di Hugenberg83 qualche volta andavano a
consultarlo. Questo mago aveva predetto sulla stampa per tre volte, il numero
esatto di deputati nazisti che al seguito di elezioni duramente contestate (lo devo
dire) sarebbero stati eletti al Reichstag!
Ebbene, le nostre deduzioni - vagliate con minuziosi controlli incrociati e basate
sulle rivelazioni strappate a Bautenas, ci avevano portato a credere che il
personaggio in questione, che lavorava in König’s gasse, doveva essere la
conclusione logica della nostra tenace inchiesta.

§§§

La sala d'attesa, quasi ovattata essendo tutta imbottita di tessuti di seta, come in
certe piccole palazzine private, in quel vicolo cieco dove si spegnevano i rumori
di Berlino, conteneva autentiche meraviglie.

82
Simla o Shimla era la capitale estiva del governatorato inglese dell'India.

83
Alfred Hugenberg (1865-1951) fondatore della Lega Pangermanica e ministro nel primo
governo Hitler.
I bassorilievi neri e oro della seconda dinastia Han - raffiguranti gli intrecci
successivi di Nieu-Koual e di Fou-Hi, gli avatars molto particolari di Houang-
Ti, il corteggio di Tigre bianca che rende visita a Lao Tseu -, i bronzi dell'epoca
Wei, le porcellane del regno di Wou, non avrebbero sfigurato tra i tesori della
collezione Ségalen.
Il profumo onnipresente delle tuberose, acre, dolce, zuccherato, la luce di grotta
o di tempio, contribuirono in breve a porci in qualche modo fuori dal tempo,
fuori del nostro mondo occidentale.
Mi sembrò che la volontà si affievolisse, si dissolvesse, che ne perdessi il
controllo.
Mi ci volle tutta l'energia di cui ero capace per reggere, per resistere a quel
tentativo sornione, insidioso, deprimente.
Devo esser grato a Nobody - il cui temperamento britannico è meno, molto
meno sensibile del mio - di avermi assestato all'improvviso un diretto in pieno
petto, un brutale espediente, ma in grado di restituirmi il controllo della
situazione.
La comparsa del maggiordomo asiatico, che, senza una parola, ci porse un
piatto d'argento, per riceverne i nostri biglietti da visita, finì per rimettermi in
sesto.
E debbo dire che sorrisi per lo sgomento apparso sul suo viso camuso - che
sostituiva l'evidente disprezzo col quale sembrava tenere i due anglosassoni, dal
colorito abbronzato, vestiti di flanela grigia, che sembravamo in apparenza -
quando, sul suo piatto tondo noi gettammo, a mò di biglietti, i nostri theu-threng
di centodieci grani!
L’attesa, infatti, non fu lunga... il tempo che serviva, con la massima esattezza,
ad un uomo pronto ed esperto per contare i frammenti di cranio e assicurarsi,
per due volte, del loro inusuale numero!
Seguimmo il domestico con passo tranquillo sotto una volta, salimmo cinque
gradini, poi altri cinque.
Si alzò un tendaggio.
Fummo infine alla presenza di uno di coloro che cercavamo, con l'accanimento
che sapete, da quasi sette mesi!
Un primo anello della catena!
Il Buddha vivente di Urga non avrebbe potuto avere un atteggiamento più
ieratico e maestoso, uno sguardo più crudele, penetrante e furbo di quella specie
di idolo che ci trovammo di fronte, seduto su una specie di trono, in fondo a una
nicchia rialzata.
Nella penombra, i suoi paramenti sacerdotali lanciavano riflessi di fiamma,
scintillando come un reliquiario.
Ma a me si impose di tutto quell'insieme per prima cosa un solo particolare, i
guanti verdi, alti fino ai gomiti, fosforescenti come la luce emanata dalle
lucciole.
L’uomo dai guanti verdi doveva avere padroneggiato in modo assoluto - a
prezzo di chissà quale strano e penoso allenamento - ogni suo moto riflesso.
Quando ci si mostrò, non mosse un solo muscolo del viso; le labbra rimasero
chiuse.
Ebbi la sgradevole impressione che una voce umana uscisse dall'interno di una
statua dipinta.
Gli occhi che sembravano di smalto, immobili, non si erano mossi. Guardavano
sempre fissi in lontananza.
Le parole, invece, furono nette e scandite, mi si voglia credere, in perfetto
inglese oxfordiano.
- Per quanto voi non siate entrambi, Signori, della mia razza, vi porgo la mano
verde, perché voi portate le chiavi che aprono le centodieci serrature del Regno
segreto di Aggharti.
« La City ha finalmente capito quali sono i suoi veri interessi?
« Che i suoi ambasciatori si degnino di illustrare ciò che si aspettano da noi! »
Così ci trovavamo proprio di fronte a uno di quelli la cui azione occulta stava
portando l'Europa verso il caos. Di fronte a uno di quei famosi Verdi, di cui
sosteniamo l'esistenza, a dispetto degli scherni increduli di coloro che dirigono
ufficialmente i popoli.
Ci rimaneva da sostenere il ruolo schiacciante, formidabile, di cui ci eravamo
incaricati, col pretesto di negoziare una intesa tra la Gran Bretagna anglosassone
- quel complesso insieme di interessi che si denomina simbolicamente la City -
e coloro che avevano manovrato o ucciso, uno dopo l'altro, l'arciduca Francesco
Ferdinando, il famoso staretz Rasputin, l'ultimo zar Nicola II, l'ebreo Rathenau,
il Patriarca ecumenico Basilio III, il generale Koutiepov, il finanziere Ivar
Kreuger e molte altre figure di minore importanza.
James rispose in poche parole, senza che l'altro lo interrompesse.
Poi per la prima volta quelle labbra dipinte si mossero, la luce degli occhi si
offuscò:
- D'accordo, domattina alle sei.
« L’uomo della doppia Z sarà là!»
APPENDICE

LA VERA STORIA DI ERIK JAN HANUSSEN

Essere ebrei all’epoca in cui Erik Jan Hanussen (il cui vero nome era
Herschmann Chaim Steinschneider, 1889-1933) nacque, era davvero
problematico, specialmente in quell’Europa Orientale da cui proveniva la sua
famiglia e dove avvenivano ancora dei sanguinosi pogrom. In Germania o in
città come Vienna, dove Hanussen nacque e visse fino alla giovinezza, non
c’erano pericoli fisici ma si subiva ancora un discredito morale, cui gli ebrei
supplivano mascherando la propria identità con nomi apparentemente «ariani».
Fu ciò che fece anche il nostro personaggio, che assunse diverse identità prima
di stabilizzarsi col finto nome danese che lo rese infine celebre e ricchissimo. Si
trattò però di una ricchezza goduta solo negli ultimissimi anni della sua tragica e
tormentata esistenza, poiché fino a che Hanussen non si stabilì a Berlino, nel
giugno del 1930, la sua vita fu un continuo conciliare il pranzo con la cena,
alternato a momenti di prosperità che venivano dilapidati inconsideratamente
nelle enormi spese dei piaceri mondani.
Erik Jan Hanussen è oggi noto come mago o veggente, grazie specialmente ad
una serie di films e di libri che sono stati scritti su di lui, ma già in vita si era
acquistato tale fama. I suoi correligionari ebrei però hanno fatto il possibile per
non parlare della sua ebraicità (anche censurando dei libri e lo stesso film
Hanussen del 1988 con Klaus Maria Brandauer) e specialmente dei suoi
rapporti amichevoli con il Fuhrer, poiché l’abbinamento del suo nome con
quello di Hitler avrebbe potuto sminuire la colpa dei nazisti nei confronti degli
ebrei. In realtà Hanussen non fu certo un mago ma un illusionista; è indubitabile
infatti che possedesse una naturale dote per la chiaroveggenza e l’ipnotismo. Fu
lui infatti che insegnò al nevrotico Adolf Hitler – il cui nome in codice era « il
grande Jagler » – una certa arte di atteggiarsi e di captare l’attenzione del
pubblico nonché una nuova concezione della scenografia politica. Nella sua
giovinezza Hanussen aveva vissuto al seguito di circhi e teatri ambulanti, dove
aveva potuto apprendere le particolari tecniche per condizionare l’attenzione del
pubblico. A titolo di curiosità, aggiungiamo che fu in un Circo che scoprì il
motivo grazie al quale i domatori di leoni non correvano tutti quei rischi che il
pubblico ingenuo paventa. Il domatore infatti si preoccupava di masturbare
regolarmente i propri leoni, tanto da creare in essi una vera e propria
dipendenza, cosicché questi poteva domarli con una relativa tranquillità!
Prima di approdare in Germania, sulla scia di numerosi fastidi legali collegati
agli spettacoli di illusionismo, ipnosi e telepatia che faceva nelle sale di
numerose città dell’Europa centro-orientale, Hanussen aveva trascorso
un’esistenza estremamente precaria se non indecorosa. Dopo una avvilente
infanzia vissuta tra indigenza e malattie familiari (il nostro non si faceva
problemi a rubare e vendere cose di famiglia all’insaputa dei suoi), si
barcamenò come poteva in mezzo alla gente di spettacoli teatrali e circensi per i
quali provava una innata propinquità. Ciò lo spinse a viaggiare moltissimo,
anche in Nord-Africa e Medio Oriente, viaggi che spesso erano sinonimo di
fughe, per via dei guai in cui si invischiava, e a vivere dentro di sè quella stessa
forma di caoticità che riscontrava nell’ambiente umano in cui viveva. Si è
scritto che talvolta gli ebrei provano una sorta di cupio dissolvi e di masochismo
esistenziale, quasi un autolesionismo. Se ciò può ampiamente essere messo in
dubbio, pare che per Hanussen fosse invece estremamente vero. Solo in alcuni
sporadici lampeggiamenti, verso la fine della sua esistenza, egli riconobbe
questo fatto e tuttavia non volle o non poté mai sottrarvisi. Forse intravide anche
la propria tragica fine, poiché, al tempo del suo pericoloso doppio gioco con i
Nazisti, aveva proposto all’ultima moglie, da cui si era allontanato, di fuggire in
Canada assieme alla figlia. Sta di fatto che nel suo ultimo periodo tedesco,
Hanussen pare che avesse tentato di dare una regolata alla sua istrionica attività,
cercando di renderla più seria e oggettiva, anche pubblicando dei testi in cui
svelava i trucchi degli illusionisti. Fondò riviste specializzate in occultismo ed
una Casa dell’Occulto, addobbata come un moderno tempio pagano, dove aveva
in animo di studiare scientificamente i fenomeni paranormali. Ciò poteva anche
avvenire grazie alle enormi somme di denaro che gli giungevano in tasca dal
fascino che esercitava sui tedeschi, quasi che quest’ultimi volessero dare segno
della loro passività al loro futuro domatore, il nevrotico austriaco Adolf Hitler!
Quest’ultimo, adeguatamente suggestionato, gli aveva infatti promesso
l’edificazione di una sorta di Facoltà dell’Occultismo con lui a capo. Sta di fatto
che Hanussen era un capace ipnotista: in alcune sedute pubbliche (praticamente
una via di mezzo tra uno spettacolo di cabaret e una seduta medianica) riuscì ad
ipnotizzare delle persone facendogli commettere azioni poco adeguate alla loro
condizione borghese: ad una donna fece credere che la colonna che gli stava di
fronte fosse il suo fidanzato che tornava da un lungo viaggio, al che la giovane
si slanciò contro il manufatto abbracciandolo e coprendolo di baci appassionati.
Un’altra volta ipnotizzò un uomo affinché avesse un rapporto sessuale
sbrigativo e violento con una donna (la quale peraltro esternò il massimo
apprezzamento per l’accadimento). Altri furono indotti a credersi un cane ed un
gatto e a litigare tra loro. Bisogna anche dire che la Berlino di quegli anni era
favorevolmente disposta verso le suggestioni esoteriche ed il mondo del
paranormale, in un modo che oggi difficilmente si riuscirebbe ad immaginare,
senza il libro che Mel Gordon ha scritto proprio sull’argomento84.
Non è ben chiaro come mai Hanussen decise di farsi il promotore finanziario di
molti esponenti nazisti nonché il profeta dei futuri successi di Adolf Hitler. E’
ipotizzabile che sperava di cavalcare quella tigre per assurgere a maggiore fama
e profitto. Egli ben sapeva dell’odio che i nazisti avevano per gli ebrei, ma
contava sul fatto che nessuno avrebbe scoperto la sua vera identità ed inoltre,
come pare avesse confessato poco prima di morire, riteneva che l’antisemitismo
di quel partito fosse soltanto un espediente elettorale. Su ciò fu poco veggente.
A parteggiare per il Nazismo potrebbe avere anche influito l’aperta ostilità che
nei suoi confronti aveva manifestato la Sinistra tedesca, la quale, in linea con i
postulati teorici della sua ideologia (ma forse ignara delle concessioni che nella
Russia sovietica si erano fatte verso i fenomeni paranormali ed un certo
spiritualismo), avversava sulla stampa i fenomeni esoterici ed occultistici,
collegandoli alla Religione quale forma di assoggettamento capitalistico delle
masse. Inoltre Hanussen non poteva certo considerarsi un uomo di sinistra, per
cui la “scelta” fu quasi imposta dalle circostanze. Hanussen quindi, si lasciò
andare a veggenze favorevoli ad Adolf Hitler, tanto che quest’ultimo lo volle
incontrare e in seguito si sottopose ad una serie di sedute col mago ebreo che gli
avrebbe insegnato molti trucchi del mestiere del suo repertorio di illusionista e
catturatore di attenzione. In seguito i nazisti avrebbero cancellato accuratamente
ogni prova documentale di tali incontri (comprese le ricevute dei prestiti che
Hanussen aveva fatto a molti nazisti). Ciò che non potettero far scomparire
furono i conoscenti di Hanussen, che fuggirono per tempo e resero ampia
testimonianza su riviste e libri di ciò che videro e ascoltarono.
Il nostro godeva a Berlino dell’amicizia di un caporione nazista delle Sturm
Abteilungen, il conte Wolf-Heinrich Graf von Helldorf (in seguito coinvolto
nell’attentato a Hitler e impiccato ad un uncino per maiali morendo di lenta

84
Mel Gordon: Voluptuous Panic, the erotic world of Weimar Berlin. Port Townsend 2006.
asfissia), che fu il primo ad inaugurare la caccia all’ebreo per le strade. Questo
Helldorf, uomo sanguigno e sadico, amava le gozzoviglie e le orge sessuali che
naturalmente Hanussen, non meno incline di lui a tali piaceri, gli allestiva con
grande dispendio di mezzi e di… donne. Tuttavia Hanussen si preoccupava
anche di filmare e registrare tali incontri.
In contemporanea, il direttore comunista del quotidiano Berlin am Morgen,
Bruno Frei, era entrato in possesso di alcune testimonianze che davano scontata
l’ebraicità di Hanussen, e cominciò quindi una violentissima campagna di
stampa contro di lui, accusando in sovrappiù i nazisti di essere degli ipocriti,
ostili agli ebrei in teoria ma loro amici di fatto. Hanussen riuscì a parare il colpo
dichiarando ad un sorpresissimo Helldorf di essere stato un orfanello danese
adottato da due compassionevoli ebrei e produsse anche un certificato falso che
ne attestava la veridicità. Se il conte, forse indotto dai fortissimi debiti che
aveva con Hanussen, si dispose a credergli (e a fornirgli una guardia del corpo
di SA di 25 uomini), non altrettanto fecero Joseph Goebbels ed Hermann
Goering, che cominciarono a loro volta delle indagini acquisendo infine prove
schiaccianti.
Hanussen tentò la carta della conversione al cattolicesimo (fatto che gli ha
garantito, almeno, una pacifica sopravvivenza oltremondana in un cimitero
cattolico fino ad oggi), e l’iscrizione al Partito Nazionale Socialista dei
Lavoratori Tedeschi!
Tuttavia l’ebraicità di Hanussen sarebbe forse potuta passare in sordina, come
pare sia avvenuto per diversi ufficiali ebrei delle SS85, se quest’ultimo non
avesse voluto giocare una carta che gli fu fatale. Secondo l’informatissimo e
accurato studio di Mel Gordon, il nostro avrebbe architettato l’incendio del
Reichstag, il Parlamento tedesco (ipnotizzando l’operaio olandese autore
materiale del misfatto), allo scopo di favorire la presa del potere di Hitler,
l’incriminazione dei comunisti e quindi l’eliminazione dei suoi peggiori
accusatori, e vedere accresciute le sue benemerenze magiche agli occhi dei
nazisti, poiché soltanto poche ore prima di quel famoso incendio Hanussen
aveva studiatamente profetizzato in pubblico a Berlino l’incendio e la
devastazione di un importante edificio… facendolo precedere tre giorni prima
da un articolo apparso sul Die Hanussen Zeitung circa un « Oroscopo di morte
per il nuovo Reichstag »! Del resto Hanussen fin da bambino aveva coltivato il
desiderio di scatenare un grande incendio. Un giorno, all’età di 9 anni, appiccò
il fuoco a un edificio della cittadina di Boskowitz, tentando di farlo estendere a
tutto il paese, atteggiandosi a Nerone con la cetra e non prima di avere scritto su
tutti i muri del paese le parole « antica Roma »…con un gruppo di amichetti
voleva evocare di nuovo l’incendio dell’Urbe! Tuttavia a Berlino le cose non
andarono come lui aveva previsto. I nazisti presero sì il potere assoluto, i
comunisti vennero sì banditi dalla Germania, ma quei gerarchi fieramente
antisemiti che l’avevano da sempre visto di malocchio, quando riuscirono a
85
B.M. Rigg: I soldati ebrei di Hitler. Newton & Compton, Roma.
convincere Hitler del grande pericolo di ricatto che incombeva sulla sua recente
carica di Cancelliere con poteri speciali conseguenti all’incendio del Reichstag e
del fatto che Hanussen l’avesse sempre ingannati spacciandosi per un non-
ebreo… ne decisero l’eliminazione fisica violenta.
Venne improvvisamente arrestato e violentemente pestato nel corso di un
interrogatorio in cui i nazisti si fecero dare tutti i riferimenti necessari ad
allontanare i sospetti di un loro pesante coinvolgimento con Hanussen. I suoi
amici come il conte Helldorf erano stati trasferiti in precedenza. Infine venne
rilasciato, ma solo per salvare le apparenze. Dopo poche ore venne nuovamente
catturato e ucciso con tre colpi di pistola sparatigli a bruciapelo. Poche ore
prima di venire ucciso, fece a tempo a scrivere un biglietto segreto per un suo
vecchio amico, con la speranza peraltro non esaudita, che costui facesse sapere
ad Hitler della sua profezia di una prossima caduta del Nazionalsocialismo,
basata su un testo biblico di Daniele (10, 11 e 12). Il corpo venne gettato in una
scarpata dove venne ritrovato, molti giorni dopo, in avanzato stato di
decomposizione. Solo un giornale nazista, il Völkischer Beobachter, dette
tardivamente sue notizie, scrivendo beffardamente di un «Cadavere ritrovato in
circostanze misteriose… voci non confermate suggeriscono che il cadavere sia
quello del chiaroveggente Hanussen». Sei anni dopo, anche un personaggio
“esoterico” come Otto Rahn sarebbe morto in simili equivoche circostanze.
Erik Jan Hanussen morì vittima di un imbroglio criminale da lui stesso
realizzato o, meglio, che fu costretto a realizzare per poter vivere come voleva
vivere: aver ingannato i suoi “amici” nazisti, Adolf Hitler in testa, facendogli
credere di essere un puro ariano. Affronto inconcepibile ma che tuttavia i nazisti
dovettero ingurgitare tutto quanto, e se oggi di molti di quei gerarchi non c’è più
traccia neanche cadaverica, quel terribile imbroglione di Herschmann Chaim
Steinschneider è ancora lì, nascosto in una tomba cattolica sempre visitata 86, che
si prende gioco di loro…

Vittorio Fincati

86
La tomba di Hanussen è nel cimitero di Stahnsdorf (Block Charlottenburg, Gartenblock III,
Gartenstelle 50), vicino Berlino.

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