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HERITAGE - antropologia, musei, paesaggi 4

collana diretta da
Daniele Parbuono, Francesca Sbardella, Mario Turci

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HERITAGE - antropologia, musei, paesaggi

La collana ha lo scopo di offrire uno spazio laboratoriale di sperimentazione nel campo


dell’antropologia del patrimonio e del paesaggio, aperto a strumenti didattici, a scritture
etnografiche, museografiche ed expografiche, a studi sui patrimoni materiali e immateriali.
Attraverso la presentazione di ricerche ed esperienze di patrimonializzazione, la collana
intende proporre riflessioni teoriche e progetti di fattibilità.

Comitato scientifico
Denis Chevallier (MuCem - Musée de Civilisations de l’Europe e de la Méditerranée) -
Patrizia Cirino (Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo) - Zhuang
Liu (Chongqing University of Arts and Sciences) - Bogdan Iancu (Școala Națională de
Studii Politice și Administrative) - Ferdinando Felice Mirizzi (Università degli Studi della
Basilicata) - Emanuela Rossi (Università degli Studi di Firenze) - Federica Tamarozzi
(Musée d’Ethnographie de Genève) - Jean-Pierre Warnier (Université René Descartes Paris V)

Direzione
Daniele Parbuono (Università degli Studi di Perugia) - Francesca Sbardella (Università
degli Studi di Bologna) - Mario Turci (Museo Ettore Guatelli)

Comitato di Redazione
Cristiano Croci - Alessandro De Cola - Maria Elena Lopatriello - Lorenza Lullini -
Irene Picichè - Gregorio Serafino

La collana è peer review.


Tutti i volumi sono sottoposti a duplice referaggio anonimo.

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Ri-tornare
Pratiche etnografiche
tra comunità e patrimoni culturali

a cura di
Katia Ballacchino - Letizia Bindi - Alessandra Broccolini

Pàtron Editore Bologna

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Copyright © 2020 by Pàtron editore - Quarto Inferiore - Bologna
ISBN 9788855535038

I diritti di traduzione e adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo sono riservati per
tutti i Paesi. È vietata la riproduzione parziale, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o
didattico, non autorizzata.

Le fotocopie per uso personale possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume
dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22
aprile 1941 n. 633.
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munque per uso diverso da quello personale possono essere realizzate a seguito di specifica au-
torizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Edi-
toriali, Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail autorizzazioni@clearedi.org e sito
web www.clearedi.org

Prima edizione, dicembre 2020

Ristampa
5 4 3 2 1 0 2024 2023 2022 2021 2020

Opera pubblicata con il contributo di

Pàtron Editore - Via Badini, 12


Quarto Inferiore 40057 Granarolo dell’Emilia (BO)
Tel. 051.767003
E-mail: info@patroneditore.com
Sito: www.patroneditore.com
Il catalogo generale è visibile nel nostro sito web. Sono possibili ricerche per autore, titolo, ma-
teria e collana. Per ogni volume è presente il sommario, per le novità la copertina dell’opera e
una breve descrizione del contenuto.

Impaginazione: Omega Graphics Snc - Bologna

Stampa: Editografica, Rastignano (BO) per conto della Pàtron editore.

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Indice

Introduzione p. 7
  Letizia Bindi
  Dell’inquieto ritornare…Posture, fraintendimenti e domande
  dal campo........................................................................................... » 7
  Alessandra Broccolini
  La ricerca sul terreno tra restituzione, musei locali e condivisione............ » 14
  Katia Ballacchino
  Restituzioni e processi partecipativi. Problemi metodologici circa
  il ri-tornare sul campo.......................................................................... » 29

Premessa.................................................................................................. » 45

Interventi
Emanuela Rossi, Costanza Lanzara, Marco D’Aureli
Condivisione di patrimoni. La sfida della partecipazione nel progetto
di Mappe di comunità di San Casciano Val di Pesa e Matassino................ » 51
Valeria Trupiano
Il bene di chi? Comunità e tutela del patrimonio demoetnoantropologico
e immateriale ........................................................................................ » 69
Simone Valitutto
PIC · Patrimonio in Comune. Le quattro azioni della restituzione
del patrimonio che unisce........................................................................ » 87
Monica Maria Giacomelli, Cinzia Marchesini, Daniele Parbuono
“TrasiMemo. Banca della memoria del Trasimeno”. Dialoghi ................... » 99

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Valentina Lusini
Le culture dei luoghi. Paesaggio, patrimonio e promozione dell’identità
locale nel Chianti senese.......................................................................... p. 119
Omerita Ranalli
Tra demologia storica e processi di patrimonializzazione.
Riflessioni dalla ricerca sul campo a Cocullo, paese dei serpari.................... » 137
Paolo De Simonis
Crisi della permanenza: per un museo riflessivo DEA campato
su esperienze toscane................................................................................ » 151
Silvia Cibolini, Fabio Perrone
Progetto Pro San Ginesio. Comitato Promotore per il Club per l’Unesco
di Cremona............................................................................................ » 167

Curatrici................................................................................................. » 179

Autori..................................................................................................... » 180

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Emanuela Rossi, Costanza Lanzara, Marco D’Aureli

Condivisione di patrimoni.
La sfida della partecipazione nel progetto di Mappe di comunità
di San Casciano Val di Pesa e Matassino1

Condivisione di patrimoni. La sfida della partecipazione nel progetto di Mappe…

R ipercorrendo l’esperienza di lavoro sulle Mappe di comunità in due comuni


della Toscana, metteremo in luce le articolazioni metodologiche messe in atto
durante i sei mesi della ricerca, illustrando le varie fasi procedurali. A ciò si legano
alcune considerazioni sulle evenienze del terreno di ricerca che spesso possono
rivelarsi decentrate rispetto alle motivazioni della ricerca (Fabietti 2012; Cuturi
2019), sia in termini referenziali: l’oggetto finale della restituzione; sia in termini
riflessivi: la negoziazione della funzione di una etnografia collaborativa e il suo
carattere destabilizzante (Allovio 2011), con la riconfigurazione dello statuto stesso
della Mappa di comunità.

Preambolo

San Casciano in Val di Pesa è un paese di circa 17.000 abitanti a pochi


chilometri da Firenze. È situato nella zona del cosiddetto “Chianti Classico” e
le produzioni del vino e dell’olio, che fortemente incidono sull’aspetto del ter-
ritorio, sono tra le principali attività economiche della zona assieme al turismo,
spesso a queste connesso. Nonostante la sua estrema vicinanza a Firenze, San
Casciano non si configura come un paese “dormitorio”, anche se ovviamente
gli studenti delle scuole secondarie e parte della popolazione, per ragioni di
lavoro, frequentano quotidianamente il capoluogo, che è raggiungibile attra-
verso un raccordo autostradale e un tempo con una tranvia a vapore che rimase
attiva per 45 anni, dal 1891 al 1935, ricordata localmente come la “caffettiera
del Chianti”. San Casciano, che ha un proprio teatro, un cinema ed un museo,

1
  Il testo di questo contributo è frutto di elaborazione condivisa da parte dei tre autori.

51

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Condivisione di patrimoni. La sfida della partecipazione nel progetto di Mappe…

è un paese dove si riscontra una forte sensibilità ed interesse verso la storia e le


tradizioni locali2.
L’assessore alla cultura di San Casciano3 tra il 2016 e il 2017 ha preso contatti
con Emanuela Rossi, docente di discipline demoetnoantropologiche del Dipar-
timento SAGAS4, con il desiderio di avviare un progetto che legasse il tema del
patrimonio culturale e la comunità locale, utile a creare, rinsaldare, promuovere
l’affezione verso di esso da parte della popolazione. Nel corso di vari incontri
preliminari5 fu mostrato il lavoro che un gruppo di antropologi senesi, coordi-
nati da Valentina Lusini, aveva compiuto in una zona vicino a San Casciano:
la Val di Merse e il Chianti senese. Si trattava di “eco-musei virtuali” (Meloni
2014), accessibili da un sito web, costruiti in forma di Mappe di comunità geo-
referenziate su Google Maps. Questo tipo di geo-referenziazione, in questa fase
preliminare, era parsa a tutti un modo facile ed efficacie per poter presentare una
mappatura della zona, accessibile on line, che tenesse conto del punto di vista
della comunità sul patrimonio inteso in senso ampio. Nella ricerca vera e propria
ha assunto, invece, delle caratteristiche molto diverse e se n’è fatto un altro uso,
come vedremo in seguito.
Si è giunti così a focalizzare sempre di più il progetto come un percorso parteci-
pativo finalizzato alla creazione di Mappe di comunità e, nel 2018, alla stipula del-
la convenzione per due borse di ricerca tra il Dipartimento SAGAS dell’Università
di Firenze e il Sistema museale del Chianti e Valdarno fiorentino. Per il progetto,
infine intitolato: “Rappresentazioni creative del patrimonio. Le Mappe di comu-
nità”, buon esempio di coinvolgimento dell’accademia in prassi di antropologia
pubblica, fra i 7 comuni gestiti dal Sistema museale sono stati scelti San Casciano
con le sue frazioni e Matassino (frazione afferente e tre comuni: Incisa-Figline,
Reggello e Pian di Scò). Quest’ultimo, nato come centro agricolo, successivamente
riconvertitosi e cresciuto attorno a due realtà industriali6, è al centro di una sorta di
“grande narrazione” messa in atto da molti degli intervistati, anche assai giovani,
che riportano una memoria non vissuta: «c’era un tempo in cui Matassino era una
comunità unita, accogliente, assai relazionale». La cesura con l’oggi, in cui Matas-
sino è più una città dormitorio, si è verificata con il popolamento dei pendolari
2
  Il sindaco, Massimiliano Pescini, in uno dei recenti discorsi pubblici di fine mandato, ha ricor-
dato che, durante i suoi dieci anni da sindaco, ha presenziato a decine e decine di presentazioni di libri
dedicati a vari aspetti del paese e della sua storia, scritti da cittadini qui residenti.
3
  Chiara Molducci, archeologa medievale con una specializzazione in archeologia pubblica.
4
  Dipartimento di Storia, Arte, Archeologia, Geografia e Arti e Spettacolo, Università degli Studi
di Firenze.
5
  Agli incontri hanno preso parte il funzionario dell’Ufficio cultura, Leonardo Baldini, e poi la
direttrice del Museo Giuliano Ghelli, Nicoletta Matteuzzi.
6
  Fornace SOLAVA e produzione di fuochi pirotecnici ditta Soldi.

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Emanuela Rossi, Costanza Lanzara, Marco D’Aureli

che si sono trasferiti dal contesto fiorentino o aretino e che ancora lavorano lì. Il
piano urbanistico è metafora del vissuto: non c’è una piazza di aggregazione e l’uso
di altri spazi (bar della parrocchia, campino sportivo) generano a volte lamentele
e screzi. Pur puntando sul desiderio di reti sociali, la preoccupazione di molti
ruota intorno al sistema viario: costruire un nuovo ponte sull’Arno e cambiare la
circolazione. Emerge in maniera abbastanza evidente la scarsa consapevolezza di
un patrimonio comune, tanto che gli interlocutori intercettati hanno restituito
l’immagine di un arcipelago di attività frammentate e isolate.
Il nostro incarico di ricerca è durato sei mesi, da giugno a novembre 2018. Ab-
biamo scelto di lavorare insieme su entrambi i teatri della ricerca consapevoli della
densità patrimoniale e sociale che essi incarnano, sfruttando la complementarietà
delle nostre attitudini professionali e di genere.

1. La Mappa-Archivio di comunità

Le Parish Maps, in Italia conosciute come Mappe di comunità, sono nate e


si sono diffuse in Gran Bretagna all’inizio degli anni Ottanta come reazione al
processo di omologazione dei luoghi e delle culture locali. Letteralmente parish
significa “parrocchia”, ma in questo contesto può essere tradotta con “comunità”.
Le Parish Maps nascono in seno all’associazione Common Ground, che promuove
le mappe come un modo dinamico e partecipato di esplorare il territorio con la
finalità di individuare la tipicità e i valori di un luogo. In Italia gran parte della
loro diffusione si deve al contributo degli ecomusei, istituzioni a forte vocazione
partecipativa, che hanno rintracciato in questo strumento utili valenze per coin-
volgere gli abitanti del territorio nella rappresentazione, salvaguardia e promozio-
ne del patrimonio ambientale, artistico e demoantropologico. Casi virtuosi come
l’Ecomuseo del casentino o l’Ecomuseo Urbano Metropolitano Milano Nord, per
citare realtà abbastanza differenti, mostrano la validità di un simile percorso e l’im-
portanza della sua attivazione.
Sebbene da un lato l’applicazione ormai trentennale di un simile strumento ne
abbia modellato statuto e procedure7, le sue declinazioni socio-culturali fanno sì
che gli scenari attuativi possano risultare diversi.
Nel nostro caso per le richieste dei committenti, per i tempi assegnati e per
le risposte degli stakeholder siamo arrivati a comporre degli Archivi delle mappe
come forma di restituzione. Nello specifico: una elaborazione di Google Maps che
7
  Il sito www.mappadicomunita.it realizzato dall’Ecomuseo delle Acque del Gemonese è un buon
punto di riferimento per accedere a informazioni e pubblicazioni.

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Condivisione di patrimoni. La sfida della partecipazione nel progetto di Mappe…

raccoglie, attraverso punti georeferenziati del territorio, la documentazione patri-


moniale creata nel corso della ricerca. Deontologicamente non possiamo darle lo
statuto di mappa “di comunità”, poiché è frutto del lavoro etnografico, non della
progettazione del gruppo laboratoriale. Tuttavia, a tutti gli effetti, riguarda il ma-
teriale che gli attori sociali coinvolti hanno offerto come propria autorappresenta-
zione e che rimarrà a loro disposizione, nella forma di mappatura classica che po-
trà essere implementata e/o ri-creata in nuove forme8. Ovviamente, data la mole
di “registrato” abbiamo operato un editing del materiale. A fianco a ciò rimane
l’archivio integrale della documentazione etnografica che è da noi custodito.
Abbiamo consegnato gli archivi con la speranza che sia un bacino al quale
attingere per una costruzione di Mappe fatte in prima persona da esponenti della
comunità. La stessa configurazione della Mappa di comunità ha in sé i criteri di
“archivio permanente e sempre implementabile”, tanto che altre esperienze di
ricerca demoantropologica hanno ugualmente restituito raccolte di materiale au-
dio-video accessibili presso un portale9. Ciò mette in risalto una sorta di flessione
verso ricerche più prettamente etnografiche, piuttosto che iniziative partecipati-
ve di auto-gestione di piccoli o grandi gruppi. Ne consegue che anche il ruolo
dell’antropologo, benché nella letteratura delle Mappe sia deputato a “facilitato-
re”, possa invece rimanere ancorato a stili e pratiche più classiche di osservazione
e interviste. Tuttavia è sempre più complesso stabilire confini e compartimenta-
zioni, laddove il paradigma dell’etnografia contemporanea, come delineava Las-
siter anni fa, è comunque centrato sull’idea di una relazione collaborativa.

Ethnography today involves a critical and reflexive process whereby ethnographers and
their interlocutors regularly assess not only how their collaborative work engenders the
dialogic emergence of culture (and the verity of their shared understandings) but also
the goals and the audiences of the ethnographic products these collaborative relation-
ships produce. (Lassiter 2005: 93)

È interessante sottolineare come nel caso delle Mappe di comunità, ancor pri-
ma dell’avvio dei lavori, gli obiettivi siano potenzialmente definiti, poiché impliciti
nello strumento stesso che si tende a costruire. Vale la pena rileggere un estratto,
che rientra nella definizione canonica della Mappa, per focalizzare quanto la cor-
nice implichi la traiettoria e la meta:

La mappa di comunità è uno strumento con cui gli abitanti di un determinato luogo
hanno la possibilità di rappresentare il patrimonio, il paesaggio, i saperi in cui si

8
  È possibile accedere alla Mappa dal sito del comune di San Casciano in Val Di Pesa.
9
  Si vedano le mappe digitali dell’Ecomuseo del Chianti www.ecomuseochianti.org di cui si accen-
nava nel preambolo.

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Emanuela Rossi, Costanza Lanzara, Marco D’Aureli

riconoscono e che desiderano trasmettere alle nuove generazioni. Evidenzia il modo


con cui la comunità locale vede, percepisce, attribuisce valore al proprio territorio,
alle sue memorie, alle sue trasformazioni, alla sua realtà attuale e a come vorrebbe
che fosse in futuro. Consiste in una rappresentazione cartografica o in un qualsiasi
altro prodotto od elaborato in cui la comunità si può identificare. Viene in tal modo
esplicitato un concetto “nuovo” di territorio, che non è solo il luogo in cui si vive
e si lavora, ma che pure conserva la storia degli uomini che lo hanno abitato e tra-
sformato in passato, i segni che lo hanno caratterizzato. Vi è la consapevolezza che
il territorio, qualunque esso sia, contenga un patrimonio diffuso, ricco di dettagli e
soprattutto di una fittissima rete di rapporti e interrelazioni tra i tanti elementi che
lo contraddistinguono10.

Non è difficile cogliere una retorica di legittimazione culturale, dai toni un


po’ celebrativi, che condensa concetti assai problematici e trasformazioni non così
automatiche.
Cercheremo di analizzarne alcuni punti alla luce della specificità della nostra
esperienza di campo, anche per mettere in evidenza quanto gli obiettivi di cui
si diceva, siano in realtà dipendenti dalle esigenze e richieste di micro contesti e
di come l’antropologo debba saper affrontare lo spettro multidimensionale che il
quadro patrimoniale caso per caso esprime.

2. La comunità locale

Allargando lo sguardo su più ampi scenari il meccanismo della Mappa rivela


quella “coscienza patrimoniale” che le moderne politiche culturali sovranazionali
dell’UNESCO auspicano e incentivano per l’identificazione delle risorse rappre-
sentative delle comunità, a cui nei documenti ufficiali viene richiesto un alto livel-
lo di partecipazione e assegnato un ruolo strategico11.
Tuttavia il concetto di “comunità locale” è forse uno dei nodi più problematici
da prendere in considerazione. Benché spesso vi si faccia riferimento, anche a costo
di una semplificazione generalizzante, le riflessioni antropologiche da lungo tempo
hanno puntualizzato la difficoltà nel definire “comunità” come categoria generica,

10
  www.mappadicomunita.it (visualizzato in data 2 giugno 2019).
11
  Convenzione per la salvaguardia del patrimonio immateriale 2003 e Dichiarazione di Faro
del 2005. Da notare che il modello riflessivo di auto-riconoscimento nazionale si esprime attra-
verso la compilazione di inventari che, proprio perché incoraggiano una rappresentazione più
aderente al territorio, possono essere più di uno. Per un resoconto sul caso italiano, vedi Broccolini
2011: 41-51.

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Condivisione di patrimoni. La sfida della partecipazione nel progetto di Mappe…

proprio a causa dei continui processi di riarticolazione e mutamento dei contesti


in cui è data una comunità12.
È necessario, come suggerisce Alessandro Simonicca: «[...] ripercorrere le com-
plesse e contraddittorie sequenze che i plurimi attori locali hanno del loro terri-
torio e del loro corrispettivo spazio di vita» (2010: IX). Ne consegue, come molti
progetti del resto hanno evidenziato, che si debba piuttosto pensare che non si
parta da una comunità locale tout court, quanto piuttosto sia il percorso degli
incontri sulla Mappa che aggreghi i soggetti interessati in una ‘“comunità di eredi-
tà.” Oppure, in alcuni casi, si arrivi a intercettare le varie forme comunitarie che si
muovono e si intersecano in differenti ambiti patrimoniali.
Il nostro incarico ha visto fin da subito la forte presenza dei referenti istituziona-
li, nel duplice ruolo di committenti e di portatori di interesse. I primi incontri sul
terreno, infatti, sono avvenuti nelle sedi del comune di San Casciano, di Reggello
e del Museo Ghelli. Un ruolo chiave è stato svolto dall’assessore Chiara Molducci,
con alle spalle una esperienza di compilazione di mappe di comunità in Casentino,
aventi per focus il patrimonio archeologico. L’assessore ha svolto più di altri un ruolo
direttivo e di coordinamento. Per noi ha significato avere l’appoggio istituzionale per
una legittimazione professionale alla ricerca, ma anche il misurarsi con visioni meto-
dologiche differenti e ha esposto il nostro lavoro al rischio, consapevole e in quanto
tale gestito, dell’incliccaggio (Olivier de Sardan 2009: 54). Benché, infatti, sia con-
sustanziale alla ricerca ‘applicata’ la disponibilità a stabilire uno stretto e continuo
contatto di scambio attivo, critico e costruttivo con istituzioni e amministrazioni
locali (o statali) (Colajanni 2014: 26)13, il pericolo sempre latente era, da un punto
di vista relazionale, di essere assimilati nel bene o nel male al “fronte istituzionale”;
da quello operativo di rimarcare la promozione di un’esigenza di selezione e valo-
rizzazione culturale calata dall’alto. Un parziale ruolo di mediazione tra le istanze
del fronte politico e quelle del fronte comunitario è stato svolto dai portavoce delle
associazioni locali, contattati su esplicito invito degli amministratori. Essi sono stati
il tramite per incontrare e conoscere individualmente la più ampia platea dei mem-
bri della comunità. Pur avendo risposto alla chiamata, ben pochi di loro si sono resi
promotori attivi della partecipazione alle attività laboratoriali.
Se la domanda di base da cui partire per l’elaborazione di una Mappa di co-
munità è quella che la presunta comunità stessa si pone: «Cosa identifico, eleggo,
salvaguardo, promuovo come mio patrimonio?», nel nostro caso si è trattato di
accogliere le motivazioni della committenza, che desiderava in una località una
survey identificativa a tutto tondo e, nell’altra, una possibilità – messa in atto dalla
12
  La rivista AM Antropologia museale ha dedicato pochi anni fa un considerevole spazio di
riflessione sulle Comunità patrimoniali.
13
  Per una critica alla dicotomia tra ricerca accademica e applicata si veda Dei 2007.

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Emanuela Rossi, Costanza Lanzara, Marco D’Aureli

Mappa – di ricucitura sociale. Più in dettaglio, per quanto riguarda Matassino, a


differenza di San Casciano, esistono meno realtà attive e una di queste, la Casa del
popolo, da vari anni sta vivendo una graduale perdita di attrattività, collegata a
ciò che gli attori sociali chiamano “perdita dell’identità politica di Matassino”, che
colleghiamo certo anche l’attuale crisi politica del nostro Paese. I poli aggregativi
più importanti sono la parrocchia (da notare che è in costruzione un polo pastorale
con l’avvallo del comune di Reggello); la Contrada di San Francesco che partecipa
al Palio di San Rocco della limitrofa Figline e il centro sportivo, del quale si la-
menta la inadeguatezza ed eccessiva fatiscenza degli impianti. Da qui l’esigenza, da
parte di un assessore matassinese, di stimolare la nascita di una rete sociale capace
di connettere le poche realtà attive.
Ne consegue che un primo nucleo di comunità sia proprio quello istituzionale,
che tuttavia si pone a un livello diverso dei privati cittadini o delle realtà associati-
ve. Si inverte quindi, almeno in parte, il processo bottom-up saliente nelle Mappe
di comunità, senza arrivare, però, a costruire una stretta cornice identificativa che
delimita «forme aggregative politicamente o economicamente orientate» (Padi-
glione-Broccolini 2015-2016:7).
Tentando di ricucire i diversi piani di condivisione patrimoniale, abbiamo de-
ciso di inserire nell’Archivio anche loro interviste che testimoniano nel ruolo pub-
blico una partecipazione differita, di stampo organizzativo, e in quello privato una
affezione intima al territorio, soprattutto sul versante sancascianese. I colloqui met-
tono in evidenza il diverso grado di coinvolgimento delle amministrazioni comuna-
li nel progetto, che sono speculari, come vedremo, a quello della cittadinanza. Nel
caso di Matassino, dimessosi l’assessore alla cultura Mattia Chiosi, colui che aveva
espressamente chiesto che il terreno della ricerca fosse il suo piccolo paese natale,
non abbiamo più incontrato punti di riferimento istituzionali. Date le caratteristi-
che di Matassino, che appare come un paese-dormitorio, crocevia di scambio tra
Firenze e Arezzo, senza particolari “bellezze artistiche”, si potrebbe ragionare sulla
influenza esercitata sulla cittadinanza, del non riconoscimento istituzionale dei pic-
coli patrimoni materiali e immateriali. Poiché, venendo meno una “promozione
istruttiva” dall’alto, è mancata anche una spinta di auto affermazione dal basso,
come l’esperienza di Common Ground ha ispirato, invece, in vari contesti. L’esem-
pio di questa realtà locale investe il senso di un progetto di Mappe di comunità nel-
la costruzione di un habitat di significato (Hannerz 1998: 28)14 patrimoniale, senza

14
  Leggiamo nel dettaglio: «Adottando l’ottica di Bauman, penso che un concetto come quello di
«habitat di significato» possa tornare utile nell’analisi sociale. La vena relativista seguita nell’analisi cul-
turale ci ha frequentemente indotti a perifrasi come «mondi di significato», ma ciò porta ancora un’idea
di autonomia e di chiusura. Invece gli habitat possono espandersi e contrarsi; possono combaciare del
tutto, parzialmente o per niente e quindi possono essere identificati in singoli individui o in collettività».

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Condivisione di patrimoni. La sfida della partecipazione nel progetto di Mappe…

il quale decade la possibilità stessa di catturare un interesse degli abitanti. Un dato


importante, che ci ha aiutato a comprendere il distacco dei matassinesi da pratiche
partecipative, è stato il costante riferirsi alla frustrazione di essere un paese “sotto
tre comuni e due province” e per questo poco curato da tutte le amministrazioni.
Prima ancora di pensare al patrimonio culturale era necessario per i soggetti locali
occuparsi della viabilità, della massiva confluenza di pendolari che, secondo varie
testimonianze, snaturavano la dimensione “mitizzata” di socialità di paese. Abbia-
mo percepito che da orfani di governo, non sentissero concreta la valorizzazione del
loro territorio e, di conseguenza, non rivendicassero un diritto di proprietà morale
del patrimonio che, chiarisce De Varine, «rispetto alla proprietà giuridica è nozione
essenzialmente culturale, affettiva, psicologica, ma non meno forte» (2010: 45).
In sintesi possiamo dire che ci siamo sostanzialmente mossi fra due poli quasi
opposti: San Casciano, con una forte presenza della comunità istituzionale, espri-
meva una sorta di saturazione patrimoniale; Matassino una sensazione di vuoto.
Esemplare la frase di un nostro interlocutore: «Matassino non risponde», che sin-
tetizzava la dimensione di capitale socio-culturale in crisi.
In entrambi i casi si è trattato, comunque, di accogliere una sfida. La conoscen-
za capillare degli attori sociali da coinvolgere ci avrebbe permesso di capire intorno
a quali aspettative negoziare l’adesione al progetto. Non poteva certo bastare la
promozione di un’esigenza istituzionale (controproducente in alcuni casi), né la
dichiarazione del valore socio-antropologico del progetto. Nel corso del processo
andava rintracciato il senso futuro dell’oggetto mappa.

3. “La specificità locale vista dall’interno”

3.1 Le interviste

Un ruolo decisivo lo hanno avuto le interviste, sia come strumento di escus-


sione, sia come mezzo per favorire una conoscenza interpersonale che valorizzasse
le specificità di ognuno dei nostri interlocutori e li predisponesse a un dialogo sul
patrimonio. I nostri referenti sono stati altresì sollecitati a diffondere il più possi-
bile la notizia del progetto Mappe e ad individuare, se possibile, altri partecipanti.
Al contempo abbiamo proposto ad alcuni di loro di immaginarsi interpreti di
eventuali rappresentazioni della mappa in consonanza con le proprie attitudini
musicali, artistiche, artigiane, performative che fossero.
Abbiamo realizzato 56 interviste, 39 nel territorio del comune di San Casciano
Val di Pesa e 17 a Matassino. Per ciascuna sono state prodotte registrazioni audio
e/o audiovisive digitali, nonché immagini fotografiche. Continuare fino al termine

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Emanuela Rossi, Costanza Lanzara, Marco D’Aureli

del mandato gli incontri personali è stata una scelta in certo qual modo obbligata.
Si è manifestata una notevole disponibilità ai colloqui grazie alla dinamica di fa-
scinazione che sempre investe l’intervista: la centralità dell’attore sociale e del suo
racconto è stata una chiave seduttiva che, più di altre attività, ci ha aperto spazi di
conoscenza. Ogni singola testimonianza lascia trapelare il gradiente di soggettività
e di appartenenza identitaria nella selezione del patrimonio, indicando traiettorie
di rappresentazione della “diversità locale”. Per questo troviamo riduttivo quanto
afferma Maggi (2008: 1-2) quando rimarca i limiti di una postura etnografica:

[…] l’approccio talvolta utilizzato in ambito accademico (per esempio interviste in


profondità, sulle basi delle quali una equipe di studiosi disegna la mappa) parte da
presupposti diversi dai nostri, parte cioè dal presupposto che esista una sola mappa per
un luogo, che esista la mappa “giusta”.

Non che l’autorialità paventata (qui espressa dal rigido filtro selettivo) non sia
latente e problematica, ma questo, attenzione, può valere anche nella conduzione di
attività dallo stampo più partecipativo, che spesso possono essere strumento per la
creazione di consenso piuttosto che di trasformazione (Grassi 2018:165). Va però
riconosciuta agli antropologi “esperti della diversità” (Hannerz 2012: 63-90) la vo-
cazione di ascoltare le voci del territorio e, non di meno, la natura critico-riflessiva
del sapere socioantropologico15. Un sapere che da troppo tempo ormai ha messo in
crisi sue forme di “ventriloquismo” (Geertz 1990)16 (so dire io la mappa che vuoi tu)
per spostarsi sul riconoscimento della coautorialità (non stiamo costruendo insieme
in un dialogo comunque a più voci?). Per i professionisti del patrimonio si parte,
insomma, da presupposti diametralmente opposti da quelli asseriti da Maggi: i pa-
trimoni non devono irrigidirsi in “unicità”, essenzialismi ed icone della comunità.
Non di meno, se non esiste “la mappa giusta” per tutti, fin dove deve spin-
gersi il gradiente di rappresentatività? Quanto grande dovrà essere il campione
di mappe e/o di soggetti mappanti? Considerazioni emerse durante i nostri in-
contri laboratoriali (di cui si parlerà nel prossimo paragrafo), in cui i partecipanti
esprimevano il disagio di un’elezione: la loro selezione patrimoniale chi e quanti
avrebbe rappresentato, se non loro stessi e l’adunanza lì raccolta? É evidente, dun-
que, che bisogna sfuggire al tranello che anche Bateson (1984) e Borges ci hanno
indicato: la mappa non è il territorio e il patrimonio nominato non è il patrimonio
designato. Né si tratta di avvicinarsi per approssimazione.

15
  Non è questo lo spazio per affrontare tematiche così vaste e complesse, basti accennare alla
svolta riflessiva degli anni Ottanta del Novecento, che ha avuto il suo incipit con il convegno di Santa
Fé e il testo di Clifford-Marcus 2005.
16
  Per un dialogo critico con Geertz e riflessioni sulla coautorialità si veda Clemente 2013.

59

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Condivisione di patrimoni. La sfida della partecipazione nel progetto di Mappe…

Queste sollecitazioni ci spingono a considerare la tensione che la comunità stes-


sa esprime riguardo alla irriducibilità dei luoghi e delle soggettività alle costrizioni
della Mappa, denunciando l’impossibilità di mantenere integra una fedeltà al ter-
ritorio17. Come nel famoso paradosso della Mappa dell’Impero di Borges (2014)18,
spingersi fino a mappare 1:1 il patrimonio materiale e immateriale, conduce all’ir-
rappresentabile. Eppure sovente era questa la traiettoria che ci veniva richiesta,
con domande del tipo: «Come farete a mappare tutto il patrimonio archeologico/
artistico/paesaggistico ecc.?»; oppure frasi come: «Siete voi gli esperti…». Tutto ciò
ci induce a sottolineare almeno due cose. La prima: lo scarto tra rappresentatività
(quantità di dati/caratteri per la determinazione) e rappresentazione (dove il valore
sta nel significato di ciò che si rappresenta) del patrimonio non sempre è dato per
assodato. Giungere a questa consapevolezza fa parte del processo che implica una
trasformazione di postura, sguardo, prospettiva. Non così automaticamente gli at-
tori sociali, prima ancora di sentirsi comunità di eredità, possono rivendicare il va-
lore di un approccio emico, quello che approssimativamente potremmo chiamare
delle ‘emozioni patrimoniali’. La seconda, che dalla prima consegue, è che la con-
dizione di accompagnare un progetto ‘calato dall’alto’ ci sbilanciava sul piano di
“esperti”, dai quali ci si aspettava, ironia della sorte per Maggi, la mappa “giusta”.
L’indagine etnografica, portata avanti fino al termine del mandato ha avuto la
finalità di intercettare gli interessi locali, calamitare la formazione di una comunità
composita, intorno a una proposta venuta da terzi, facendo affiorare un desiderio
“emico” di ri-formulazione del proprio bene territoriale collettivo. Per questo nella
costruzione delle Mappe ha agito, fin da subito, una messa in gioco dei dati di
ricerca, sia nella forma dei report ai referenti istituzionali, sia soprattutto come
materiale per edificare lo scheletro delle mappe. In entrambi i casi possiamo vedere
come la collezione di informazioni e la relativa dimensione patrimoniale rinviata
agli interlocutori abbia assunto la forma di un back talk (Frisina 2006), il cui ca-
rattere meta-comunicativo porta a generare nuovi significati e prospettive con una
retroazione circolare.

3.2 Il caleidoscopio delle attività

La densità della costellazione patrimoniale ha guidato l’idea di creare un iter


metodologico che abbracciasse una multiformità di proposte operative. Tentando
nelle azioni di mostrare che l’expertise antropologica di mediazione conoscitiva e
comunicativa non si colloca all’esterno di un patrimonio dotato di valore intrinse-

17
  Sulla “crisi della ragione cartografica” si veda Farinelli 2009a, 2009b.
18
  Il noto paradosso è contenuto nel frammento “Del rigore della scienza”, in Borges 2014.

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Emanuela Rossi, Costanza Lanzara, Marco D’Aureli

co (Padiglione 1998; Paggi 2003), ma è piuttosto un lavoro di messa in trama del


patrimonio stesso, fianco a fianco con gli attori sociali.
Il poco tempo a disposizione ci ha spinto a lavorare sulla disseminazione di
micro-modelli attuativi, in linea con l’immagine dell’antropologo giardiniere of-
ferta da Pietro Clemente (2015)19. Agire insieme ha dato lentamente un senso a
quel nostro essere stranieri interni, osservati (Tedlock 1991) nel rintracciare visioni
di intimità patrimoniale e nel registrarne le emozioni. Ci ha messo di fronte alla
complessità di coniugare la nostra professionalità accademica con la capacità ma-
ieutica-comunicativa di declinare e adattare i contenuti ai partecipanti ingaggiati20.
In modo forse provvisorio, ma non per questo non inclusivo, ci ha reso parte della
comunità locale. Condivisioni e appartenenze ormai riconosciute nel “farsi delle
comunità patrimoniali”, come attestano Vincenzo Padiglione e Alessandra Broc-
colini (2015-2016: 6):
L’opera di collaborazione e co-costruzione del patrimonio che la ricerca parte-
cipata realizza è da considerarsi interna ad un fare comunitario e di certo in grado
di elevare interesse e fascino del bene patrimoniale. Antonio Arantes (2016) ha
dato un’interpretazione inclusiva della Convenzione di Faro21 che va in questa di-
rezione. Sono parte integrante della comunità patrimoniale non solo i portatori di
cultura ma anche quanti ad un tempo intimi ed esterni operano per la conoscenza
e la valorizzazione.

3.2.1 Il laboratorio pomeridiano

Il laboratorio “San Casciano Matassino: tra memorie e desideri” avrebbe dovu-


to essere il luogo di aggregazione principale per il lavoro sulle Mappe. Le adesioni
sono avvenute in seguito a una presentazione pubblica, in luglio, in entrambe le
sedi durante la quale abbiamo illustrato scenari di Mappe di comunità già realiz-
zate, ma anche piccoli saggi di esercizi laboratoriali.
A Matassino la popolazione non ha aderito all’iniziativa. Per questo la ricerca
ha seguito due filoni principali: la ricerca etnografica e il lavoro con la scuola. A
San Casciano, invece, dopo l’estate si è riunito un piccolo gruppo di adulti (età

19
  Una disposizione alla preparazione del terreno: «[…] possiamo aspirare a farci registi qualche
volta, ma qualche altra possiamo anche solo essere quelli che mettono a disposizione il palcoscenico o
che annunciano l’evento», 2015: 24.
20
  Attività similari sono assai frequenti nella didattica museale. Si veda a titolo esemplificativo
Bodo-Mascheroni 2012; Bortolotto - Calidoni - Mascheroni - Mattozzi 2008.
21
  La Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società,
firmata dagli Stati membri nel 2005 a Faro, in Italia è in corso di ratifica (ad oggi manca il passaggio
alla Camera dei deputati).

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Condivisione di patrimoni. La sfida della partecipazione nel progetto di Mappe…

compresa tra i 50 e i 70 anni). Con cadenza quindicinale abbiamo esplorato insie-


me angoli del loro vissuto patrimoniale. Ne elenchiamo velocemente alcuni.
1) L’Apericena in biblioteca: condivisione amichevole di pietanze, memorie
culinarie e gastronomiche che ci ha proiettati nella dimensione simbolica e relazio-
nale che il cibo condensa.
2) Il Museo parla di te: intreccio di biografie delle opere d’arte del Museo Ghel-
li e delle storie di vita del pubblico. Una emozionante intrusione nell’intimità di
ricordi e sensazioni che il patrimonio artistico ‘domestico’ richiama.
3) La passeggiata patrimoniale: un piccolo viaggio di scoperta guidati via via dal-
le storie che hanno reso alcuni luoghi oggetto di particolare investimento emotivo.
Molto è stato fatto nella cornice performativa, sia come esempio di processua-
lità creativa che il patrimonio incarna ed esprime, sia per instaurare una relazione
dinamica ed esperienziale tra i partecipanti e le emergenze patrimoniali. Il nostro
intento, nel far rappresentare i diversi ruoli alternativi di attori protagonisti e di
pubblico, era di condurli verso una dislocazione di prospettive nel ri-conoscere il
proprio patrimonio. Inoltre aveva la sua importanza offrire ‘strutture di azione’,
che includono mente-corpo nell’interazione con l’ambiente fisico e sociale, dato
che non solo l’aspetto cognitivo, ma sensazioni, sentimenti e volizione sono attivi
nella costruzione di un’esperienza (Turner, 2014). Ancora, “la messa in scena” di
queste stesse esperienze, poteva consentire contestualmente di condividere il signi-
ficato che emergeva individualmente, proiettandolo nella sfera comune, poiché la
performance è un fare che necessariamente si espone alla relazione.

[…] la performance è un fare in cui il significato è generato attraverso la possibilità


di avere un impatto affettivo ed essere colpiti da questo impatto di assoggettare ed
essere assoggettati, di cambiare l’altro e di essere disponibile ad essere cambiato. […] É
nell’hic et nunc della sua singolarità che la performance crea le condizioni di possibilità
del sociale – in termini di impegno, coinvolgimento e responsabilità – a realizzarsi in
una maniera concreta, anche se effimera. (Tamisari, 2006: 126-128)

Altri tipi di proposte sono stati quelli più prossimi a una dinamica di concer-
tazione e dibattito. “Nel cantiere delle Mappe”, ad esempio, è stata un’occasione
per visionare una selezione del materiale prodotto e ragionare su come procedere
alla restituzione finale della documentazione raccolta. Sono stati questi i momenti
in cui, grazie all’ulteriore torsione riflessiva, abbiamo ricevuto commenti al nostro
operare, che specularmente indicavano elementi importanti dell’autorappresenta-
zione desiderata. Ad esempio, durante i laboratori, abbiamo registrato la richiesta
di “un’estetica del prodotto finale” che si può ricondurre a un elemento chiave,
molto presente nelle interviste: il valore della dimensione estetica del paesaggio

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Emanuela Rossi, Costanza Lanzara, Marco D’Aureli

collinare chiantigiano di San Casciano. Oppure che affiorasse la “sancascenesità”,


come una sorta di etichetta che contenesse meta-dati, quasi che ciò era stato rac-
colto non fosse realmente pertinente con una oggettivazione identitaria (Handler,
1998; Palumbo, 2002)22 simbolicamente pregnante. Si misurava in questi casi la
reale distanza tra alcune istanze del gruppo e le nostre specifiche modalità di ricerca
e messa in forma dei dati. In quest’occasione abbiamo privilegiato l’ascolto, per poi
ripercorrere altre tracce video-fotografiche del nostro cammino, commentandole
insieme. Ci siamo messi, cioè, nella disposizione di compagni di pensiero critico,
cercando comunque una prossimità nella lontananza di prospettive ottenendo in
alcuni soggetti dei feedback positivi.

3.2.2 I laboratori scolastici

Da settembre, in parallelo alla realizzazione delle interviste, abbiamo attivato


laboratori didattici presso le scuole primarie di secondo grado di San Casciano e
di Matassino. Possiamo ritenerci fortunati nell’aver avuto interlocutori disponibili,
attenti e pieni di entusiasmo, che hanno saputo integrare velocemente le nostre
proposte nella programmazione già avviata23.
L’idea è stata quella di fare in modo che la Mappa di comunità contenesse e
accogliesse emergenze di carattere patrimoniale segnalate dagli studenti, dunque
dai componenti di una classe d’età meno accessibile e meno coinvolgibile in simili
progetti se non, appunto, dentro la cornice dell’obbligo scolastico. Al momento
del nostro arrivo presso l’Istituto comprensivo Ippolito Nievo di San Casciano, era
già attivo un programma di lavoro didattico finalizzato alla realizzazione di alcuni
totem informativi costruiti in base ad una filiera che prevedeva la raccolta di te-
stimonianze e la loro rielaborazione. I temi sui quali abbiamo ritenuto opportuno
collaborare, nell’osmosi tra mappa e totem, sono stati quelli dell’artigianato e dei
saperi enogastronomici. Il lavoro svolto dai ragazzi ha goduto del riconoscimento
espresso dalla folta platea di spettatori intervenuti per una presentazione pubblica
delle ricerche condotte.
A Matassino, pur avendo ottenuto un numero ridotto di ore rispetto a San
Casciano, abbiamo avviato gli studenti alla documentazione di luoghi di partico-
lare rilievo emozionale, storico, tradizionale, problematico ed aggregativo. Le loro
relazioni hanno avuto sfumature toccanti, come una foto regalata a un ragazzo da
una coppia di sposi che ha sempre frequentato la Casa del popolo. Il senso di lan-
22
  Dino Palumbo così sintetizza: «L’oggettivazione culturale è un meccanismo di fissazione, natu-
ralizzazione e, dunque, immobilizzazione di processi socio-culturali complessi.», 2002: 17.
23
  Vogliamo ancora una volta ringraziare per la collaborazione i docenti: Marco Poli, Maria Cri-
stina Dari, Cristina Lisi, Monica Giuliani.

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Condivisione di patrimoni. La sfida della partecipazione nel progetto di Mappe…

ciare questo tipo di proposte riposa nel futuro, in sviluppi che sarebbe interessante
poter registrare anche più avanti nel tempo24. A ridosso della fine del mandato, per
esempio, ci ha contattato Benedetta Maggini, una professoressa di storia dell’arte
appena arrivata nella sede di Matassino, che ha voluto visionare il materiale raccol-
to e ha espresso l’intenzione di mettere in connessione la nostra iniziativa con un
progetto legato al territorio in collaborazione con l’artista Michele Bernardini25.

3.2.3 I focus group per le fasce giovanili

Per l’intercettazione delle fasce giovanili abbiamo cercato di attivare degli in-
contri in setting “strutturati”, dove era già presente la dimensione di gruppo, come
le sedi parrocchiali, di volontariato e sportivo. Abbiamo individuato una formula
che si concentrasse sulle loro esperienze in quel contesto, affinché potessimo in-
travedere tutti insieme alcuni nodi tematici patrimoniali, importanti e utili per la
loro auto rappresentazione di attori creativi del contesto culturale. I resoconti rice-
vuti sono narrazioni fotografiche o per immagini che svelano piccoli patrimoni di
effervescenza relazionale, di solidarietà o di spirito sportivo. Le mancate risposte di
alcuni di loro aiutano a comprendere, seguendo le suggestioni di Pietro Clemente
(2018: 12), quanto la comunità non sia data da «un insieme di pratiche o da una
immaginazione collettiva», semmai da «una soggettività plurale in formazione».
Si mette così in luce che le singole soggettività plurali possono declinare l’invito a
un processo meta-formativo, rivendicando la propria singolarità progettuale e che,
dunque, non sempre il valore di riconoscimento identitario che le Mappe di co-
munità sottendono, sia tenuto in considerazione e legittimato dagli attori sociali.
La metafora del caleidoscopio ci dice che le riflessioni multiple “delle autorap-
presentazioni patrimoniali” vanno a formare immagini a volte simmetriche, ma
come nel ‘magico tubo’, mutano in modo variabile rispetto alla conformazione
dei gruppi per età, interessi, capitale culturale, impegno, desideri e così via. Così
come, naturalmente, cambieranno nel corso del tempo.

3.3 Sinergie creative: la Mappa artistica di Lizzy Sainsbury

Verso la fine del progetto è stata nostra cura organizzare degli incontri di
restituzione del lavoro svolto a San Casciano, in linea con un interesse e un’at-
24
  Un aspetto sempre ben puntualizzato, anche in incontri personali, dal direttore dell’ecomuseo
del Casentino, Andrea Rossi, 2011, 2016.
25
  Uno dei lavori più noti del giovane artista umbro è Opera Mondo, che mostra una ricerca sulla
natura degli oggetti e l’antropocene. http://www.twentycentgroup.com/michele-bernardini/ (visualizzato
in data 27 maggio 2019).

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Emanuela Rossi, Costanza Lanzara, Marco D’Aureli

tenzione espressa in tal senso dagli amministratori locali, mentre, per quanto
riguarda Matassino, devono ad oggi26 configurarsi i termini della presa in carico
della Mappa e della sua eventuale presentazione e valorizzazione da parte degli
enti committenti27.
Una prima interessante immagine dell’archivio-mappa da noi raccolto ci vie-
ne restituita da Lizzy Sainsbury28. Artista inglese che da anni vive nell’empolese,
ha frequentato assiduamente San Casciano per varie iniziative, tra cui “Linee
temporanee” da noi documentata. Lizzy, che negli anni ha sviluppato un proprio
percorso artistico sulle mappe, ha frequentato il nostro laboratorio con entu-
siasmo e in lei abbiamo colto un’affinità di postura nell’ascoltare i racconti, nel
rintracciare dettagli, nello snidare patrimoni oltre il senso comune dei “beni arti-
stici”. La sua presenza assidua ci ha permesso di chiederle una sua Mappa: l’opera
è un patchwork doubleface di 10 quadrati di carta pesta, che complessivamente
misura 2,50 per 2,50 metri. È un disegno maestoso, denso di colori, che ritrae
luoghi intrecciati a frasi e nomi di persona. La scelta dei quadrati, come nelle
coperte fatte a mano, è inscritta nel codice aperto e fluido della Mappa di comu-
nità: altri quadrati potranno aggiungersi, fatti da mani diverse. Fortunatamente
questo non è solo un auspicio, perché Lizzy Sainsbury ha ideato il laboratorio
“La mappa delle memorie e dei desideri”29, rivolto ad adulti e bambini. Il titolo,
analogo a quello del nostro laboratorio pomeridiano, evidenzia la continuità del
percorso e questo, per noi, è uno dei successi del progetto.

Conclusioni

Nelle riflessioni che ci accompagnano, giunti alla fine del nostro incarico, par-
liamo di “sfida della partecipazione” come uno degli elementi chiave della nostra
esperienza di ricerca, in cui si evince la densità e la complessità di un mandato che,
fin dall’origine, si presentava ambivalente. Poiché una cosa è mappare un patrimo-
nio, altro è fare in modo che sia la comunità stessa a immaginare e costruire una
propria autorappresentazione patrimoniale.

26
  Il presente articolo è stato redatto nel novembre 2019.
27
  Sul tema della restituzione etnografica, in merito al quale è in corso un ricco dibattito, si ritiene
utile segnalare, fra tutti, il numero monografico della rivista L’Uomo Società Tradizione Sviluppo sul
tema a cura di Minicuci-Lupo 2015.
28
  https://www.lizzysainsbury.it/ (visualizzato in data 29 maggio 2019).
29
  Progetto in collaborazione con il Sistema museale del Chianti e Valdarno fiorentino e con il
Comune di San Casciano.

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Condivisione di patrimoni. La sfida della partecipazione nel progetto di Mappe…

È fin troppo evidente, infatti, che nel momento in cui si delinea una Mappa
di comunità la restituzione del processo è implicito nell’oggetto, nel senso che la
mappa è l’immagine realizzata per disseminare e rendere comunicabile, in maniera
sintetica ed esemplificativa, la selezione e l’elaborazione di una propria immagine
patrimoniale. Nel nostro caso, lo iato tra ricercatori e interlocutori locali ha in-
dotto l’esigenza di programmare e produrre forme di restituzione secondo varie
modalità. Da un lato si è trattato di redigere un report di ricerca accademico;
dall’altro di consegnare alle istituzioni locali un prodotto che racchiudesse l’artico-
lata mappatura patrimoniale. Cosa per noi più importante, infine, è stata la pratica
di restituzione rivolta ai nostri informatori, affinché potessero riconoscersi attori
protagonisti del processo e, soprattutto, creatori in futuro di eventuali mappe di
comunità.
Quest’ultimo auspicio è stato sistematicamente proposto nel corso degli in-
contri individuali e collettivi sul campo, consapevoli del fatto che, come asserisce
Maria Minicuci, «La restituzione […] non è disincarnata dallo spazio studiato e
non è dunque senza legami con le logiche sociali e simboliche che animano questo
spazio». La nostra esperienza ci ha portato a convalidare che si debba pensare alla
«restituzione non a partire dagli effetti che produce, ma da prima, dal momento in
cui si fa la ricerca, in quanto la restituzione non si può considerare solo come una
tappa che interviene dopo la ricerca» (Minicuci 2015: 23-24).

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