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Elena Dellù
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XXIX
INSTRUMENTUM DOMESTICUM
Archeologia cristiana, temi,
metodologie e cultura materiale
della tarda antichità e dell’alto medioevo
a cura di
Gabriele Castiglia e Philippe Pergola
Volume I
2020
Città del Vaticano
ISBN 978-88-85991-67-5
Danilo Mazzoleni
Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
Enrico Giannichedda
L’archeologia della produzione in campagna in età tardo antica e altomedievale 91
Alessandro Vella
Per una archeologia delle sepolture cristiane . . . . . . . . . . . . . 109
Danilo Mazzoleni
La produzione epigrafica: materiali e tecniche . . . . . . . . . . . . . 207
Elena Dellù
Antropologia e archeologia. Un approccio bioculturale per la ricostruzione
delle popolazioni storiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . 233
Fabrizio Bisconti
I sarcofagi cristiani antichi. La produzione, la diffusione, la decorazione . . 259
Fabrizio Bisconti
Pittura cristiana della tarda antichità. La tecnica, i programmi decorativi, la
diffusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 309
Olof Brandt
Archeologia del costruito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 345
5
Instrumentum domesticum
Federico Guidobaldi
I pavimenti in opus sectile (sectilia pavimenta) dalle origini al medioevo . . 447
Fabrizio Bisconti
Mosaici cristiani della tarda antichità. Orizzonti figurativi e programmi iconografici 483
Franco Cambi
Geomorfologia e archeologia dei paesaggi. Il caso della Regio Maritima . . 565
Cristina Corsi
L’archeologia senza scavo. Ricognizione topografica, remote sensing, prospe-
zioni geofisiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 591
Giuliano Volpe
Archeologia subacquea e tarda antichità . . . . . . . . . . . . . . . 611
Giorgio Nestori
La fotografia archeologica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 683
Federico Zoni
Il rilievo nel cantiere archeologico, dai metodi tradizionali ai più recenti sviluppi 699
6
Indice
Daniela Esposito
Conservazione e restauro. Materiali e siti . . . . . . . . . . . . . . . 747
Marco Valenti
Archeologia pubblica e comunicazione . . . . . . . . . . . . . . . 769
7
Elena Dellù *
ANTROPOLOGIA E ARCHEOLOGIA.
UN APPROCCIO BIOCULTURALE PER LA RICOSTRUZIONE
DELLE POPOLAZIONI STORICHE.
Introduzione**
233
Instrumentum domesticum
di corredi e di pratiche rituali, dove lo scheletro del defunto è stato troppo spesso
considerato – e in molti casi lo è tuttora – un’unità stratigrafica alla stregua di
uno strato limoso. La marginalizzazione e discriminazione del dato antropolo-
gico ha reso il potenziale informativo di tali resti (biologico e genetico, oltre
che culturale) una vera e propria appendice alla ricostruzione interpretativa dei
processi socio-culturali delle epoche passate, prodotta esclusivamente dalle ela-
borazioni teoriche ad opera del mondo umanistico.2
Quello che si è venuto a creare è un vero e proprio problema di approccio
metodologico alla documentazione e allo studio di tali contesti – sempre più di-
scusso in sedi accademiche, ma purtroppo quasi esclusivamente in ambito inter-
nazionale e per le epoche pre-protostoriche – che ha condotto ad un ribaltamento
di priorità e di prospettive, dove l’indagine parte dai prodotti delle azioni umane
escludendo (parzialmente o completamente) i corpi delle persone, che invece
registrano per primi e into the bones la storia personale e sociale del proprio
tempo.3
L’Archeologia funeraria, l’Archeoantropologia, la Bioarcheologia e tutte le
discipline connesse risultano quindi le facce di un poliedro, termini con cui i di-
versi ambiti disciplinari si mettono ciascuno in prima linea per portare avanti le
proprie prerogative di ricerca – sulla base degli specifici metodi sviluppati nel cor-
so degli anni – ma che evocano la necessità di un nuovo “biocultural approach”.4
Quello che si vuole proporre in questa sede e che, per molti aspetti, è frut-
to di riflessioni e necessità scaturite a seguito di una preparazione accademica
interdisciplinare che ha interessato entrambi i settori – quello archeologico e
antropologico – e che nel corso degli anni mi ha portata a lavorare sul campo in
contesti archeologici con vari professionisti e spesso a contatto con studenti in
formazione, vuole essere un utile strumento di analisi per comprendere quanto
una collaborazione fattiva tra le discipline – da considerarsi realmente alla pari e
auspicata ormai da molti decenni – possa portare a risultati inaspettati e metodo-
logicamente più corretti per ricostruire in una nuova ottica le dinamiche sociali e
culturali delle popolazioni passate.
2
La bibliografia che tocca tale problematica è ormai molto ampia, si citano a titolo esempli-
ficativo Perry 2007; Earle 2008; Knüsel 2010; Šlaus, Petaros, Adamić 2015; Larsen 2017;
Passalacqua 2018.
3
Goldstein 1976; King 1976; Larson 1971; Peebles 1971; Saxe 1970; Tainter 1978;
Rothschild 1975; Rothschild 1979; Ubelaker, Guttenplan Grant 1989, pp. 250-252.
4
Goldstein 2006, pp. 375-387.
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5
Ubelaker, Guttenplan Grant 1989, pp. 257-258.
6
Documento sulla questione della richiesta di restituzione di resti scheletrici umani provenienti dal
territorio Australiano 2011, p. 19,
7
Codice etico dell’ICOM per i musei 2009, nello specifico art. 2.5, 3.7, 4.3; Monza 2014, p. 242.
8
Per inquadramenti puntuali a carattere internazionale e nazionale di tale problematica vd. ad esempio
Biological Anthropology and Ethics 2005; White, Folkens 2005, pp. 21-28; Turner, Wagner, Cabana
2017; Monza 2014, p. 244.
9
White, Falkens 2005, p. 25.
10
Si cita ad esempio il concilio di Mâcon del 585 d.C. in cui veniva espressamente vietato di riaprire
le inumazioni per deporvi ulteriori corpi (Comperimus multos necdum marcidata mortuorum membra sepul-
chral reserare et mortuos suos seperimponere vel aliorum, quod nefas est, mortuis suis religiosa loca usur-
pare, sne voluntate scilicet domini sepulchrorum. Ideoque statuemus, ut nullus deinceps hoc peragat. Quod
si factum fuerit, secundum legum auctoritatem superimposta corpora de eisdem tumulis reiactentur, Can. 17,
Concilia Galliae [Corpus Christianorum, CXLVIII A, p. 246]).
235
Instrumentum domesticum
le quali la cremazione che, per via della sua ideologia spesso anticristiana legata
alla negazione dell’immortalità, veniva contenuta, pur non essendo condannata;11
analogamente, come testimoniano i numerosi scavi di ricerca condotti proprio
da istituti scientifici della Santa Sede, l’apertura delle sepolture, il loro scavo e
studio sono quotidianamente ammessi.12
Il dibattito internazionale, invece, è ormai piuttosto articolato, soprattutto in
paesi come Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna e Australia, dove già a partire
dagli anni ‘70 del Novecento le diverse comunità d’origine avevano iniziato a
richiedere la restituzione dei corpi degli avi e denunciavano – e denunciano tut-
tora – le attività di ricerca condotte dagli archeologi e dagli antropologi come
forme di razzismo e di violazione dei siti a carattere sacro in cui sono deposti i
loro antenati.13 Le forti pressioni portate avanti dai Nativi Americani, ad esem-
pio, condussero negli anni ‘90 all’approvazione da parte del Presidente Bush
della Public Law 101-601, Native American Graves Protection and Repatriation
Act (NAGPRA), protocollo che tutti i laboratori e i musei dovettero adottare (con
forte dissenso), portando ad un depauperamento delle collezioni biologiche e an-
tropologiche e alla restituzione – senza la previsione di particolari forme di tutela
o di reinterro – dei defunti.14
Tale genere di approccio al ‘bene antropologico’, vero e proprio documento
unico e irripetibile della variabilità biologica della nostra specie,15 risulta forte-
mente limitante, sia per la libertà di ricerca scientifica sia per il forte rischio in
cui si incorre nel momento in cui si vengono a smembrare delle collezioni, siano
queste di carattere biologico, ma anche costituite da oggetti anch’essi da consi-
derarsi ‘sensibili’, in quanto creati e utilizzati da gruppi etnici/comunità che ne
11
Codice di Diritto Canonico (can. 1176): “la Chiesa raccomanda vivamente che si conservi la pia
consuetudine di seppellire i corpi dei defunti; tuttavia non proibisce la cremazione, a meno che questa non sia
stata scelta per ragioni contrarie alla dottrina cattolica”.
12
Si ricordano i recenti scavi condotti dal Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana presso la Basilica
di Papa Marco a Roma, il complesso martiriale di San Calocero ad Albenga (SV) e la basilica paleocristiana
di Capo Don (IM) (vd. Fiocchi Nicolai, Vella 2017; Pergola, Garrisi, Roascio, Dellù, Castiglia 2015;
Pergola, Roascio, Spadea, Dellù, Castiglia, Svevo, Valente 2015; Pergola, Cagnana, Dellù, Gam-
baro, Garrisi 2015).
13
Ubelaker, Guttenplan Grant 1989; White, Falkens 2005, pp. 25-28; Documento sulla questione
della richiesta di restituzione di resti scheletrici umani provenienti dal territorio Australiano 2011, pp. 13-17;
Monza 2014, pp. 244-242; Monza 2015; Turner, Wagner, Cabana 2017.
14
Rose, Green, Green 1996, pp. 81-96; White, Falkens 2005, p. 28; Documento sulla questione della
richiesta di restituzione di resti scheletrici umani provenienti dal territorio Australiano 2011, p. 14; Turner,
Wagner, Cabana 2017, p. 942.
15
Peretto, Arzanello, Arnaud 2014.
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16
Documento sulla questione della richiesta di restituzione di resti scheletrici umani provenienti dal
territorio Australiano 2011.
17
Codice etico dell’ICOM per i musei 2009, nello specifico art. 2.5, 3.7, 4.3.
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18
Per un ampio affondo interdisciplinare a carattere storiografico e interpretativo, che prende in consi-
derazione anche l’Antropologia culturale, si veda il recente volume Nizzo 2015.
19
Saxe 1970; Binford 1971; Tainter 1978; Chapman, Kinnes, Randsborg 1981; Thomas 1991;
Lucy 2000.
20
Il dibattito nato a seguito dello sviluppo dell’archeologia processuale è assai ampio, si vd. Hodder
1982, p. 141; Parker Person 1982; Morris 1987, p. 38; Johnson 1989; Barrett 1990, p. 181.
21
Lucy 2000, p. 5 in riferimento a Barrett 1988; Barrett 1989.
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22
Duday 2005; Duday 2006; Duday 2009; Duday, Courtaud, Crubezy, Sellier, Tillier 1990; Du-
day, Sellier 1990.
23
Duday 2009, p. 6.
24
Clark 1972.
25
“A new form of regionally-based, interdisciplinary research in mortuary site archaeology and human
osteology has been developed in the course of this study (of the lower Illinois River Valley, USA). With the
active participation of both archaeologists and physical anthropologists in all phases of research design,
members of our ‘bio-archaeological ’ research group made the initial decision to focus upon the investigation
of biocultural change within the Woodland period... on the Middle to Late Woodland ‘transition ’ (circa last
millennium B.C. to first millennium A.D.), popularly known as the ‘decline of Hopewell ’, which has been
variously explained in terms of migrations, climatic change, disease stress, and other factors ” (Buikstra
1977, p. 69; Buikstra 2006, pp. 7-25.).
239
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26
Larsen 1997.
27
Nizzo 2015, p. 509.
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Fig. 1- Raffigurazioni giapponesi del XIX secolo che mostrano le fasi della decomposizione
(da Duday 2009).
28
In questa sede si ripercorrono le osservazioni prevalenti da effettuarsi sul campo finalizzate alla defi-
nizione delle pratiche deposizionali; per un inquadramento di dettaglio di tali metodologie di scavo e studio
vd. Mallegni, Rubini 1994; Duday 2005; Duday 2006; Duday 2009; Duday, Courtaud, Crubezy, Sel-
lier, Tillier 1990; Duday, Guillon 2006; Duday, Lambach, Plouin 1990; Duday, Sellier 1990; Canci,
Minozzi 2007.
29
Canci, Minozzi 2007, pp. 71-85; Duday 2009, pp. 3-92.
241
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30
Canci, Minozzi 2007, pp. 85-92.
31
Per un inquadramento aggiornato sulle metodologie di documentazione digitale connesse con scavi
archeologici e sepolture vd. Barceló, M. Forte, D.H. Sanders 2000; Booms, Fuller 2003; Brzobohatá,
Prokop, Horák, Jančárek, Velemínská 2012; Cabo, Dirkmaat, Adovasio, Rozas 2012; Curci, Fiorini
242
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2015; De Reu, De Smedt, Herremans, Van Meirvenne, Laloo, De Clercq 2014; Knüsel, Haddow, Sad-
vari, Dell’Unto 2013; Sachau-Carcel 2012.
32
Per un inquadramento degli sviluppi della disciplina vd. ad esempio Knüsel 2010 e Larsen 2017.
33
Si vd. i maggiori manuali in uso: Ortner, Putschar 1985; Cattaneo, Grandi 2004; White, Folkens
2005; Canci, Minozzi 2007; Rubini 2008; Fornaciari, Giuffra 2009; Roberts, Manchester 2012.
243
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Fig. 2 - Principali punti di repere per le misurazioni craniometriche (norma laterale, in alto,
norma frontale, in basso) (da Cattaneo, Grandi 2004).
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34
Per una sintesi dei maggiori punti di repere e degli indici antropometrici in uso vd. Canci, Minozzi
2007, pp. 143-159; Doro Garetto, Fulcheri, Gerbore, Prono 1985.
35
Canci, Minozzi 2007, pp. 117-141.
36
Cattaneo, Grandi 2004, pp. 163-176; White, Falkens 2005, pp. 385-397; Canci, Minozzi 2007,
pp. 133-141.
245
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Se per gli individui di età adulta la diagnosi di età risulta più difficoltosa37 a
causa della variabilità sia individuale, che sessuale e popolazionistica, quella dei
subadulti è più agevole grazie all’individuazione delle fasi di accrescimento e di
fusione delle singole ossa.38 Tuttavia, in entrambi i casi, è sempre necessaria una
certa cautela a causa della mancanza di corrispondenze tra le popolazioni attuali
– di cui è spesso noto il sesso, l’età e la causa di morte – usate come punti di par-
tenza per formulare modelli di studio da applicare su campioni popolazionistici
provenienti da scavi archeologici, e quelle delle epoche passate.39
L’analisi macroscopica consente anche di proporre diagnosi circa lo stato
di salute e lo stile di vita degli individui, giungendo quindi alla formulazione di
ipotesi – corroborate da analisi differenziali40 – circa patologie dento-alveolari,
articolari, infettive, sindromi metaboliche e disordini endocrini, neoplasie, pro-
blemi circolatori ed ematologici, anomalie osteoarticolari congenite e acquisite,
traumi.41 Grazie agli studi pioneristici di Lawrence Angel dei primi anni ’70 del
Novecento e all’affinamento sia dei metodi macroscopici che radiologici, tomo-
grafici, di microscopia elettronica a scansione, etc. degli ultimi anni, l’indivi-
duazione di alcuni specifici markers sta consentendo di formulare ipotesi anche
a riguardo delle attività svolte in vita dagli individui, elementi che consentono,
37
White, Falkens 2005, pp. 365-372, 374-384.
38
Cattaneo, Grandi 2004, pp. 151-163; White, Falkens 2005, pp. 364-365, 373-374; Canci, Minoz-
zi 2007, pp. 126-132.
39
Canci, Minozzi 2007, pp. 126-127.
40
Ortner 2012.
41
Ortner, Putschar 1985; Rubini 2008; Fornaciari, Giuffra 2009; Roberts, Manchester 2010.
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42
Per una bibliografia aggiornata vd. Canci, Minozzi 2007, pp. 187-199.
43
Per una bibliografia di riferimento vd. Canci, Minozzi 2007, pp. 225-240.
44
Per le problematiche connesse con la rappresentatività dei campioni e un confronto tra essi vd. Jackes
2011.
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contatto con il corpo e il relativo contesto, contatto che può condurre a una sen-
sazione di avvicinamento o di discostamento/repulsione verso quanto osservato.45
La cosiddetta ‘cultura del morire’ è un sentimento innato che porta ogni uomo
ad una vera e propria ambivalenza cognitiva, ossia basata sulla consapevolezza
del proprio essere mortale e allo stesso tempo sulla creazione di strategie psi-
cosociali,46 come atteggiamenti di tabuizzazione o uso di gesti apotropaici, per
adattare la mente al proprio e all’altrui trapasso. In particolar modo nel momento
storico attuale il rapporto con la morte è divenuto un passaggio fortemente desta-
bilizzante più che per ogni altro periodo: se nelle diverse epoche pre-protostori-
che e storiche le società hanno sempre vissuto la morte come un elemento sociale
e di aggregazione – attraverso espedienti diversificati – oggigiorno la messa in
atto di processi analoghi risulta di estrema difficoltà poiché la morte è sempre
più solitaria e razionalizzata; l’evento che per secoli ha costituito un percorso
progressivo, naturale, controllabile e collettivo, diviene violento, innaturale e in-
controllabile dal punto di vista psicologico ed antropologico.47 Non si assiste più
nel quotidiano all’invecchiamento dei familiari e al progressivo avvicinamento
della morte; allo stesso tempo la mortalità infantile è sempre più ridotta anche per
la volontaria interruzione di gravidanza di feti le cui probabilità di sopravvivenza
sarebbero limitate.
E’ per questa ragione che proprio in relazione a tale momento conoscitivo
(tra visitatore e resto antropologico) lo specialista non sempre riesce a percepire
con una visione distaccata l’oggetto del proprio lavoro e spesso viene a man-
care un’attenta valutazione dell’impatto emotivo che si potrebbe creare con le
diverse tipologie di osservatori48. Ponendo il caso di interfacciarci con visitatori
senza particolari credenze o comunque interessati ad un’osservazione scientifica
del dato che gli viene mostrato, la proposta espositiva sarebbe sicuramente più
facilmente gestibile e in linea con gli standard museali utilizzati per i contesti
archeologici. Ma valutare a priori la tipologia di visitatori non è facilmente de-
terminabile e per tale ragione bisogna adottare metodologie espositive volte alla
difesa della sensibilità personale. In particolar modo sono da tenere in conside-
razione soluzioni che consentano innanzitutto di avvicinare lentamente l’osser-
45
Per le problematiche e le tipologie di esposizione di corpi umani e di resti biologici vd. Codice etico
dell’ICOM per i musei e Monza 2014; Monza 2015; Cimmuto, Fazio, Di Fabrizio, Sciubba, Paolucci,
Monza 2015; Turner, Wagner, Cabana 2018
46
Favole 2006, pp. 20-25.
47
Pardo 1985, pp. 36-41; Nizzo 2015; Dellù 2017.
48
Monza 2015.
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vatore al defunto con strumenti atti alla comprensione del contesto, inoltre non
urtare la suscettibilità delle comunità e delle popolazioni che percepiscono i resti
osteologici esposti come ‘proprio patrimonio culturale’ o come ‘bene sensibile’
da rispettare sulla base di proprie credenze personali o culturali; analogamente
occorre prevedere accorgimenti per l’eventuale presenza di minori, la cui sensi-
bilità potrebbe essere maggiormente urtata.
Oltretutto, trattandosi di ‘beni sensibili’ che costituiscono veri e propri ar-
chivi biologici delle epoche passate – realmente vissuti – bisognerebbe attuare
una governance del reperto che tenga in conto la tutela materiale dei resti ossei,
in quanto testimonianza storica, ma allo stesso tempo sociale, in quanto persona
deceduta. La negazione di ogni forma di esposizione di defunti è ormai superata
nel dibattito accademico, ma dovrebbe essere valutata attentamente a seconda
della rilevanza scientifica e del valore comunicativo che esso riveste nei confron-
ti del pubblico, non rifiutando l’impiego di riproduzioni 1:1 o digitali laddove
necessario.
249
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Le parole che venivano espresse da Sergio Sergi proprio negli anni del secon-
do conflitto mondiale, con un mondo completamente in disfacimento, risuonano
oggi più che mai come una possibilità reale di collaborazione fattiva che ci deve
condurre a tutelare, conoscere e promuovere la nostra storia passata per preve-
dere e prevenire quella futura: “ogni tentativo di scindere la scienza dell’uomo,
che ha per fine la sua conoscenza integrale, non può assumere un valore assoluto
[…] perché si suole prendere a base della divisione una qualunque proprietà
umana per sé stante, come se questa coesista come elemento isolato. Ma l’uomo
quale organismo non si può concepire né rappresentare che unitariamente”.49
49
Sergi 1947, p. 73.
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BIBLIOGRAFIA
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