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Data di appello: 12/02/2021 Eleonora Savina Matricola: 5009712

L’ATRIO E GLI SPAZI DI CONFINE: L’IMPORTANZA DELLA LIMINALITÀ NELLA


CORRETTA ELABORAZIONE DELL’ESPERIENZA MUSEALE

Abstract: un elemento di separazione tra il mondo esterno e l’universo museale, così si presenta
l’atrio. Ma come viene considerato oggi e come viene concepita la sua importanza, il suo significato
simbolico e il suo ruolo nell’innesco e nell’elaborazione dell’esperienza museale? Ma soprattutto,
nell’epoca digitale e pandemica, in cui contenuti digitali sono fruibili ovunque e in qualsiasi luogo,
senza introduzioni e mediazioni, è ancora possibile parlare di esperienza autentica? Il lavoro si riserva
di esaminare questi punti, con un’analisi volta alla dimostrazione dell’importanza di avere un luogo,
all’interno delle istituzioni museali, di riflessione e introduzione alle collezioni, per rendere davvero
conto della natura sacra e universale del museo, con un occhio di riguardo alla situazione
contemporanea e alle potenziali possibili evoluzioni dell’offerta museale.

Indice
1. L’atrio museale: un confine non solo fisico................................................................. pag. 1
2. Le problematiche odierne dell’atrio............................................................................. pag. 5
3. Esempi e controesempi ............................................................................................... pag. 6
4. Uno schermo come atrio, è possibile?......................................................................... pag. 10
5. Conclusioni.................................................................................................................. pag. 12
6. Bibliografia.................................................................................................................. pag. 13
7. Sitografia..................................................................................................................... pag. 13

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1. L’atrio museale: un confine non solo fisico


Pomian afferma, parlando delle collezioni museali, che “Il Museo non è altro che un’organizzazione
più o meno complessa di oggetti che rimandano l’uno all’altro”1.

Infatti, il museo, facendo risalire la sua origine più remota dall’archetipo della tomba, nasce
dall’istinto primordiale umano finalizzato alla selezione, raccolta e alla classificazione di elementi.

Passando per gli altri archetipi del tempio e del teatro, fino ad approdare al museion come “casa delle
Muse”, l’evoluzione che ha conosciuto fino ai giorni d’oggi, lo vede configurarsi come ben più che
un semplice edificio in cui frammenti della storia dell’uomo e del mondo sono conservati. Il museo
assume il ruolo di istituzione che deve essere farsi carico di elaborare una narrazione organica e
funzionale in merito a quello stesso insieme di frammenti, capace di renderlo una struttura
semiologica in grado di attivare, nei visitatori, il contatto con le loro origini e la loro storia.

Un’altra eredità, poi, che il museo di oggi ha acquisito e mantenuto dagli archetipi sopracitati, in
particolare quelli del tempio e della tomba, è legata al concetto di una propria sacralità e della

1
M.C. Ruggeri Tricoli, L'idea di museo: archetipi della comunicazione museale nel mondo antico, Lybra immagine,
1998, p.23

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Data di appello: 12/02/2021 Eleonora Savina Matricola: 5009712

fuoriuscita dal tempo presente. Maria Clara Ruggeri Tricoli, ne L’idea di museo: archetipi della
comunicazione museale nel mondo antico ben individua e delinea l’entità di questo lascito, arrivando
ad individuare tre tematiche fondamentali comuni:

- Recinzione
- Liminalità
- Percorso2

È proprio a partire da questi punti che è possibile innestare una riflessione su quello che nel museo è
uno spazio fondamentale, che li condensa e ne incarna il senso: l’atrio, un elemento che la
museografia trae dalla storia e dalla tradizione, ma che allo stesso tempo investito di un ruolo
fondamentale.

Le discussioni sull’etimologia di questa parola e su quale significato avesse in origine sono in realtà
ancora aperte, ma è ben accertato da fonti dirette che così (atrium) si chiamasse il cortile interno della
casa romana e paleo-italica.
Questo si configurava come il fulcro della dimora, il centro della vita domestica, la via di accesso per
le altre stanze, un luogo di rappresentanza, nonché il ambiente in cui venivano custoditi gli dèi tutelari.
Era, insomma, fortemente identitario per il nucleo familiare, per sé e nei confronti della comunità in
cui quegli individui che lo compongono sono inserito3.

Più avanti, con l’avvento del Cristianesimo, venne ad identificarsi come atrio anche il cortile
quadriportico antistante le basiliche paleocristiane (o, poi, anche il breve braccio antistante alla
facciata, che prende il nome di nartece, che avrà il sopravvento).
L’atrio quadriportico assume, poi, con il tempo una connotazione pratica, di connessione con altri
spazi all’interno di complessi monastici, ma anche simbolica, di filtro, confine e luogo di passaggio
tra il mondo esterno e l’universo sacro della celebrazione liturgica, presentando in alcuni casi anche
una fontana, dove il fedele poteva lavarsi le mani prima di entrare propriamente in contatto con il
luogo sacro4.

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Ivi, p. 27
3
Autore non riportato, Atrio, in “Enciclopedia dell’Arte Medievale (2013)” (ultimo accesso: 17 – 01 – 2021):
https://www.treccani.it/enciclopedia/atrio_%28Enciclopedia-dell%27-Arte-Antica%29/
4
Autore non riportato, Atrio, in “Enciclopedia dell’Arte Medievale (2013)” (ultimo accesso: 17 – 01 – 2021):
https://www.treccani.it/enciclopedia/atrio_%28Enciclopedia-dell%27-Arte-Medievale%29/

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Nell’architettura moderna e contemporanea, il suo significato si è gradualmente ampliato ed è ad oggi


più genericamente definito come “l’ingresso monumentale in un palazzo o in una villa; anche la sala
d’ingresso di una villa signorile o di un albergo, il locale di entrata o di sosta di edifici pubblici”5.

Quindi, come risulta evidente da queste definizioni, nella storia l’atrio è sì un luogo fisico di
passaggio, ma anche un elemento investito nel tempo di una forte connotazione valoriale e simbolica,
che nel complesso ha il compito di mettere in connessione fisicamente e mentalmente gli individui
con l’ambiente in cui sono introdotti, facendosi portatore di valori semiotici che comunichino e
dispongano da subito il visitatore al tipo di fruizione che del luogo è più opportuno fare.

Nel museo questo impianto valoriale non è certamente da meno. Nell’esclusività delle sue collezioni
- in cui “esclusivo” è da intendersi come irripetibile e unico - il museo si pone per natura come
qualcosa di esterno al mondo che lo circonda, ma allo stesso tempo comprensivo di esso e della sua
storia.

Per rendere questa “esclusività” inclusiva e far sì che il museo possa assolvere al suo compito
educativo e di innesco per lo sviluppo sociale, secondo le finalità indicate dalla definizione ICOM
del 20076, è necessario che gli spazi siano frutto di un’attenta e accurata progettualità, che deve tenere
in conto, prima di tutto, le esigenze museologiche e identitarie della collezione e, in teoria, sulla base
di quella modellare gli spazi.

Inoltre tra tutti gli spazi che dovrebbero essere considerati, l’atrio è in particolare uno di quelli che,
nell’ottica dell’efficacia della progettualità narrativa museale, dovrebbe avere una rilevanza
maggiore, proprio perché esso è attivatore di quel processo liminale che ha il compito di disporre
correttamente al percorso.

Tuttavia, prima di sviluppare ulteriormente quanto fin qui è stato asserito, è necessario prima
sottolineare anche un altro ruolo dell’atrio museale, forse di più immediata comprensione, ossia
quello di spazio servente utile all’illustrazione dei servizi che il museo è in grado di offrire al
visitatore. Infatti, è in questo spazio preliminare che si ha la possibilità di accedere a servizi quali
guardaroba e biglietteria – dove si può decidere se iniziare la visita da soli o con una guida, oppure

5
Autore non riportato, Àtrio, in “Vocabolario online” (ultimo accesso: 17 – 01 – 2021):
https://www.treccani.it/vocabolario/atrio/
6
“Il museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società, e del suo sviluppo, aperta al
pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali ed immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce,
le conserva, e le comunica e specificatamente le espone per scopi di studio, educazione e diletto” (Sito ufficiale di
ICOM Italia: http://www.icom-italia.org/definizione-di-museo-di-icom/. Ultimo accesso 17 – 01 – 2021)

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decidere di usufruire di un’eventuale audioguida. Servizi imprescindibili, ma che non esauriscono


totalmente il ruolo che ha questo spazio.

Infatti, l’atrio del museo è in tutto e per tutto una zona di confine - non solo materiale, ma anche
semiotica e semiologica - oltre il varco fisico costituito dalla porta, ma precedente alle sale espositive.
Nell’atrio non si è ancora propriamente nel museo. Si è certo nell’edificio, ma non nel museo inteso
come vera e propria casa della memoria. Ci si trova in un luogo di preparazione, in cui qualcosa deve
essere attivato affinché la memoria del mondo possa essere concretamente memoria del singolo.

I confini, fisicamente concepiti come dei limiti e delle barriere, hanno poco a che vedere con il dialogo
e l’interazione, ma se vengono analizzati dal punto di vista della semiotica e della psicologia e portati
ad un livello ideologico più che fisico, sono definibili invece come “aree instabili dei processi
identitari, aree di trasformazioni dei processi di significazione” o anche concettualizzabili come
“dispositivi semiotici che consentono simultaneamente processi di differenziazione, distanziamento
ma anche connessione e integrazione. ...dispositivi plastici dotati di grande sensibilità contestuale e
locale possono accelerare/decelerare le trasformazioni e i cambiamenti, generando condizioni e
processi di liminalità spazio-temporale” 7.
Sono, quindi, elementi dinamici, sulla soglia dei quali nulla è mai fermo, ma che anzi si rivelano
essere le aree idealmente più frenetiche per lo sviluppo e la creazione di nuove idee e la generazione
di nuovi processi psicologici e connettivi. È su queste zone di transizione che avvengono incontri e
scontri tra la percezione che l’individuo ha di sé e della propria esperienza e qualsiasi ipotetico altro-
da-sé, ignoto e che non si conosce.

È a questo ampliamento del concetto di confine che chi si occupa della progettazione o riallestimento
di un atrio, che sia in un complesso museale nuovo o già esistente, dovrebbe tendere. Tutto inizia da
lì ed è da lì che vicendevolmente museo e fruitore devono instaurare una connessione duratura, in
grado di rimanere salda per tutto il percorso.
Pertanto, l’ambiente iniziale di un museo deve essere in grado di attivare quei processi di liminalità
che permettano, tramite il passaggio da un sistema di segni ad un altro – ossia dal sistema di segni del
mondo contingente all’ignoto della storia universale, di cui pure il contingente fa parte – di avere
come risultato un’evoluzione attiva dell’individuo.

7
R. De Luca Picione, La funzione dei confini e della liminalità nei processi narrativi. Una discussione semiotico-
dinamica, in “International journal of psychoanalysis and education”, gennaio 2018 p.37 e p.42

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Infatti, solo partendo con la giusta disposizione psicologica, egli sarà in grado di compiere
un’esperienza che gli permetta di accrescersi e portare quel sistema di valori e memoria collettiva
anche all’esterno, facendolo proprio della sua vita di tutti i giorni.
Al contrario, quindi, qualora non si riuscisse a suscitare lo stimolo a questo mutamento di ottica già
dal principio, si rischierebbe di catapultare il visitatore in un universo che gli rimarrebbe di fatto
estraneo, con il risultato di una completa indifferenza, o peggio, di repulsione e sviluppo di una
memoria negativa dell’esperienza.

Entrambi i ruoli che sono stati illustrati dovrebbero essere fondamentali e irrinunciabili per un museo.
Per questo motivo, potrebbe rivelarsi una scelta vincente al fine di conciliare tutte le esigenze,
organizzare gli elementi di introduzione al museo in due momenti, uno in cui si ha modo di accedere
ai cosiddetti servizi aggiuntivi e collaterali e uno in cui il museo possa disvelarsi nella sua componente
identitaria, fornendo gli strumenti per un’esperienza costruttiva ed evitando di catapultare il fruitore
direttamente a contatto con frammenti di cui rischierebbe di non afferrare il senso vero e pieno.

2. Le problematiche odierne legate all’atrio


Tuttavia, accade oggi che le logiche di mercato impongano quasi ai musei di tenere molto più in
considerazione il proprio progetto finanziario, molto più di quello economico e ideologico, il che ha
portato i musei a cercare di guadagnare sempre di più, non di rado a discapito delle esperienze.
Il conseguente costante bisogno di aggiornamento, portato oggi sempre più spesso avanti nell’ottica
della spettacolarizzazione, ha portato alcuni musei a realizzare progetti di innovazione che, però, non
potendo coinvolgere in toto le intere collezioni o le sale, hanno portato a puntare sulla realizzazione
di atri spettacolari, ma che spesso nel complesso risultano molto funzionali, ma certamente poco
efficaci.
Nell’ottica dell’instaurarsi delle dinamiche del turismo di massa, che richiedono una capacità di
accoglienza di quanti più visitatori possibile nello stesso momento, è facile incappare in nuove
spettacolari costruzioni che, però, risultano distruggere completamente la possibilità
dell’instaurazione di una giusta connessione con il senso sacro che dovrebbe essere proprio degli
spazi museali.
Si dovrebbe, perciò, tornare o pensare, in caso di nuove costruzioni, a come rendere gli atri ricchi di
significato, miccia di accensione della memoria e non solo luoghi dove ci si limiti a staccare biglietti
e fornire guide, audioguide o comprare gadget.

Ragionando poi sempre secondo questa ottica di mercato e unendola alle precedenti riflessioni sui
confini e i processi di liminalità ad essi connessi, sarebbe bene notare come sempre più spesso musei

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e strutture adibite ad ospitare mostre temporanee concludano la visita direttamente nel bookshop o
nelle caffetterie, lasciando l’ospite del museo in preda alla sola frenesia ed al solo entusiasmo
dell’acquisto, unico strumento tramite cui si pensa ormai di poter idealmente portare a casa e fissare
l’esperienza nella memoria. Raramente si lascia un reale spazio di elaborazione alla fine della visita
e ciò è assolutamente deleterio per la possibilità di internalizzare quella memoria con cui ci si è appena
approcciati.

Infatti, i confini si attraversano sempre due volte durante un percorso, in entrata e in uscita, per cui se
è opportuno e funzionale dividere lo spazio d’entrata del museo in due momenti distinti, così
dovrebbe essere per gli spazi di congedo dal racconto museale, per permettere l’attivazione di quei
processi liminali complementari che permetterebbero la completa e più efficace trasmissione del
sapere e della memoria collettiva.

Quindi, sembra quasi che oggi i grandi, ma anche i piccoli musei, siano schiavi di logiche di guadagno
che li costringono a sacrificare l’attenzione ad una complessiva sana relazione con il visitatore a
scapito del bisogno di indurre il visitatore all’acquisto, che sia in entrata, in uscita, o addirittura nel
mezzo della visita, con l’acquisto di ricordi del museo da portare con sè8.

3. Esempi e controesempi
È opportuno, a questo punto, dopo aver esposto cosa, in teoria, dovrebbe essere l’atrio del museo in
quanto spazio di confine e quali sono le problematiche odierne legate all’applicazione di quelle teorie,
portare all’attenzione dei casi pratici in cui è possibile rilevare quanto, fino ad adesso, è stato
sostenuto.

La Piramide di Ieoh Ming Pei del Musèe du Louvre


a Parigi è forse uno dei casi più eclatanti e discussi
degli ultimi decenni. Inaugurata nel 1989,
imponente e maestosa, quasi galleggiante, si
staglia come un’isola al centro del cortile
dell’edificio seicentesco. Odiata o amata, la
Pyramide si è affermata oggi come uno dei simboli
del museo o anche di Parigi stessa.
Realizzata e progettata per permettere al museo di gestire il sempre crescente numero di visitatori,
richiama nella forma la sacralità dei luoghi di sepoltura egizi, catartici rispetto al mondo che si è

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Lucia Tarantino, Conquistare la soglia Valore e funzione dell’ingresso museale e suo significato simbolico, in
“Figure”, 2013 p.169

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appena lasciato varcando la soglia, ma è nata con un intento così spettacolare, è diventata talmente
iconica e con il tempo spettacolarizzata che il suo stesso ideatore è stato a volte identificato come
“faraone Pei” e il suo significato sembra quasi essersi perso9.
Questa sua notorietà, in ogni caso, non è riflesso e frutto di una funzionalità reale, quantomeno non
una funzionalità liminale nel senso in cui l’atrio è stato trattato nel corso di questo lavoro. Certo, la
trasparenza della struttura permette di creare un dialogo tra il mondo esterno, l’edificio originario e il
nuovo spazio ipogeo.
Ma in cosa esattamente questo nuovo spazio è latore di un qualche valore identitario del museo che
si accinge a presentare? Vi sono i desk per le audioguide e per le brossure, l’ingresso dei servizi
igienici e del guardaroba ed è questo che permette di capire che ci si trova effettivamente
nell’ambiente introduttivo ad un museo, ma se a questi elementi sostituissimo monitor per check-in
o il punto vendita di qualsiasi brand di fast o high end fashion, sarebbe davvero possibile distinguere
l’ambiente dal mall di un aeroporto o dalle gallerie di un centro commerciale?10 Certamente
suggestivo, quando su di esso ci si riesce a concentrare, l’ambiente risulta nel complesso caotico ed
eccessivamente dispersivo per poter essere definito un dispositivo di confine in grado di mettere in
campo efficacemente un processo liminale, che permetta al visitatore di attivarsi per entrare in
connessione con la vastità di quello che è contenuto negli oltre quattordici chilometri di gallerie. È
uno degli esempi più calzanti di atrio adeguato alle logiche di mercato piuttosto che alle vere logiche
museali e non stupisce se, a posteriori, si analizza l’evoluzione negli anni dell’istituzione museale in
questione, che ha fondato un vero e proprio brand, dislocando sedi distaccate a Lens (2012) e Abu
Dhabi (2017) e, in ultimo, prestando i suoi spazi come set per produzioni cinematografiche come
Lupin, serie TV originale Netflix distribuita sulla piattaforma a partire da gennaio 2021, in cui, tra
l’altro, fulcro di attenzione principale rispetto all’intero museo risulta essere proprio l’atrio.

L’immensa copertura che dal


2000 funge da atrio del British
Museum di Londra porta il
nome di Great court ed è stato
progettato da Norman Foster
per lo studio Foster + Partners.

9
L. Chipley Slavicek, I.M. Pei, I.M.Pei, Infobase Publishing, s.l., 2009, pp. 8-11
10
L. Tarantino, Conquistare la soglia... p.176

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La grande struttura, realizzata a copertura di quello che originariamente era un giardino, è sede dei
maggiori servizi come la biglietteria, il bookshop, la caffetteria, ma è anche introduzione e
collegamento della struttura centrale dedicata alle esposizioni temporanee con le sale espositive
permanenti11.
Questo spazio è certamente più identitario della struttura di Pei a Parigi, innanzitutto per la stretta
connessione con l’edificio originario, ma anche perché presenta già da questi spazi l’esposizione di
alcuni reperti che in parte rendono conto della natura delle collezioni museali12.
Le dimensioni, la capienza, la disposizione dei servizi e la quantità di stimoli che vengono presentati
risultano comunque eccessivi per renderlo davvero funzionale e, nel complesso, la struttura potrebbe
risultare dispersiva e generare confusione e disorientamento piuttosto che connessione con le aree
espositive, dando più l’idea di una piazza pubblica al coperto che non quella di effettivo spazio
introduttivo ad un luogo sacro e diverso dal mondo che lo circonda.

Il Museumplein di Amsterdam nei primi anni


del nuovo secolo è stato oggetto di molti
rinnovamenti che hanno visto protagonisti, tra
gli altri, il Van Gogh Museum e Rijksmuseum,
il museo nazionale olandese, entrambi poli di
fondamentale importanza per la città e l’Olanda
intera.

Nel primo caso, quello del Van Gogh Museum,


si tratta di un corpo trasparente in vetro, ad opera dello studio Hans van Heeswijk Architects,
inaugurato nel 2015, complementare alla struttura di Kisho Kurokawa del 1999 per le esposizioni
temporanee e allo stesso tempo collegamento con il corpo principale del museo del 1973 progettato
da Gerrit Rietveld13.
Strutturalmente ottimo punto di congiunzione tra le entità architettoniche, presenta una questione
ideologica di fondo che lo rende in definitiva inadeguato ad adempiere correttamente al suo ruolo di
atrio e introduzione al museo. Infatti subito dopo la biglietteria e il check-in delle prenotazioni online,
il visitatore si trova davanti come prima cosa, lo store del museo, con ogni tipo di oggetto legato alle

11
Sito ufficiale dello studio Foster+Partners (ultimo accesso 19 – 01 – 2021):
https://www.fosterandpartners.com/projects/great-court-at-the-british-museum/
12
Redazione di Brundarte, Londra – British Museum, novembre 2015 (ultimo accesso 19 – 01 – 2021):
http://www.brundarte.it/2015/11/09/british-museum-londra/
13
F. Lusiardi, Un nuovo ingresso per il Van Gogh Museum, in “inexhibit”, gennaio 2016 (ultimo accesso 20 – 01 – 2021):
https://www.inexhibit.com/it/case-studies/amsterdam-un-nuovo-ingresso-per-il-van-gogh-museum/

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opere esposte e alla figura di Van Gogh, a cui però non ci si è ancora nella pratica approcciati, con il
risultato di non sembrare troppo diverso da un qualsiasi negozio di souvenir della città. Lo stesso
store è, poi, anche l’ultima cosa che si vede quando si esce dal museo, in una circolarità che dà quasi
l’impressione che siano il museo e le opere al servizio dello store e non viceversa, per alimentare e
guadagnare sulla fama del pittore olandese che, seppur meritata, risulta indubbiamente essere stata
spettacolarizzata negli ultimi anni.

Al contrario, la discrezione nella


presentazione dei singoli servizi nell’atrio del
Rijksmuseum, progettato dallo studio Cruz y
Ortiz Arquitectos e inaugurato nel 2013, è un
ottimo esempio di innovazione che si intreccia
alla storia.
Infatti, un cortile preesistente è qui stato
coperto con una struttura leggera, moderna ed
equilibrata, che ha anche funzione
fonoassorbente, cosicché anche nella situazione di presenza di una qualsiasi potenziale ingente folla
di persone l’ambiente possa risultare godibile e piacevole nella sua fruizione14.
Il dialogo con gli edifici originali del palazzo e la distribuzione ordinata e organizzata dei servizi non
risulta, perciò, provocare particolare confusione nel visitatore, che può orientarsi correttamente,
facilmente ed efficacemente, senza essere sommerso da una quantità di stimoli eccessivi, con il
risultato di essere un confine potenzialmente molto funzionale all’attivazione di quei processi liminali
utili alla buona disposizione psicologica dei visitatori.

Al Neues Museum di Berlino è possibile


reperire un altro caso utile all’analisi della tesi
sull’importanza di un’adeguata zona di
confine.
Il museo, danneggiato durante i
bombardamenti della Seconda Guerra
mondiale, è stato riaperto nel 2009, dopo una

14
R. Bianchini, Il nuovo Rijksmuseum, in “inexhibit”, dicembre 2016 (ultimo accesso 20 – 01 – 2021):
https://www.inexhibit.com/it/case-studies/amsterdam-il-nuovo-rijksmuseum-1parte/

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lunga operazione di ricostruzione da parte di David Chipperfield15.

L’architetto inglese, pur mantenendosi fedele alle forme originali della struttura, non ha optato per
una ricostruzione in stile, preferendo dare spazio alle vicende storiche di cui il museo berlinese è stato
protagonista. Lo stesso paradigma è stato mantenuto anche negli spazi interni, tra cui l’atrio, in cui
storia e contemporaneità si uniscono in un dialogo che può essere l’innesco per un nuovo dialogo tra
il visitatore e i frammenti.

Uno spazio vuoto e solo una parola:


indifferenza. Questo è quello che ci si trova
davanti all’entrata del memoriale della
Shoah a Milano, ad opera dello studio
Morpurgo de Curtis Architetti Associati e
progettato nel concreto a partire dal 2007.16
Quella parola, “Indifferenza”, nella sua
semplice monumentalità rappresenta
esattamente quel confine necessario
nell’ambiente per predisporre il visitatore a ricevere la pesante memoria delle deportazioni nazi-
fasciste che si attuavano con la partenza dei treni dal binario 21 della Stazione Centrale di Milano e
che sono state sì ideate e portate avanti da concezioni malsane, deviate, che sono state espressione
del punto più basso che l’umanità abbia mai raggiunto, ma che sono state alimentate proprio da
quell’indifferenza collettiva che viene presentata da subito, in accoglienza, perché è con la
consapevolezza della sua esistenza e della sua importanza che il visitatore deve affrontare il percorso,
per ritrovarsi alla fine a non essere più indifferente alla storia e ai fatti del mondo che si trova ad
affrontare una volta uscito dal sito.

4. Uno schermo come atrio, è possibile?


I casi di cui si è appena discusso fanno tutti riferimento a delle strutture fisiche in cui si entra e, in
maniera efficace o meno, si è a prescindere in un qualche modo separati dal mondo esterno.

È ben noto, in ogni caso, che negli ultimi anni sempre più istituzioni museali e culturali abbiano
portato avanti iniziative di tour e visite virtuali, presentando i propri spazi espositivi anche tramite le
proprie piattaforme online ed è altrettanto ben noto come, a partire dal 2020, a causa della situazione

15
R. Bianchini, Neues Museum, in “inexhibit”, aprile 2019 (ultimo accesso 21 – 01 – 2021):
https://www.inexhibit.com/it/mymuseum/neues-museum-berlino/
16
Sito ufficiale del Memoriale della shoah di Milano (22 – 01 – 2021):
http://www.memorialeshoah.it/home-page/

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pandemica causata dal virus Sars-Cov-2 queste visite virtuali siano diventate la prevalente, obbligata,
soluzione di contatto con i percorsi museali.

È per questo che, nell’ottica di un’analisi sull’importanza dell’atrio come spazio di confine anche
narrativo e funzionale alla visita, risulta utile anche analizzare e riflettere sulla sua privazione.

In un momento storico in cui è possibile accedere a tutto semplicemente dagli schermi di cui siamo
circondati – da quelli più piccoli degli smartphone ai più grandi delle moderne Smart TV – è
importante essere ben consapevoli della natura del fenomeno.

Strettamente legati alla contingenza e all’effimero, i dispositivi digitali permettono un potenziale


libero accesso a tutto lo scibile umano ed è naturale chiedersi se questa sia una potenzialità o uno
svantaggio. Se, come in fisica, la somma di tutte le forze che agiscono su un corpo dà come risultato
zero, quando ci si trova a poter accedere a tutto e allontanarsene quando si vuole, questo “tutto” ha
un valore immenso o il suo valore si annulla?
È proprio da questa domanda che si articola la riflessione integrata con la realtà del museo.

Quando si “visita” un museo online, lo schermo del telefono diventa l’unico tramite che si ha con la
storia che viene presentata ed è quindi l’unico obbligato confine che è possibile avere. Bisogna capire,
se sulla base dell’imposizione di queste condizioni è possibile attivare dei processi liminali funzionali,
sopperendo alla mancanza di un ambiente preposto a questo compito, come è l’atrio.
Ciò è possibile, ma solo prendendo seriamente in considerazione il fine che si vuole raggiungere e le
modalità che si utilizzano per ottenerlo.

La risposta potrebbe essere affermativa se il fine delle esperienze online venisse inquadrato come
quello di fornire ad un pubblico sempre più vasto occasioni di conoscenza organica delle opere e della
storia del museo, attivando dei processi psicologici che trasformino le nozioni non tanto in una
esperienza compiuta, quanto in una desiderio di sapere potenziale che potrebbe poi auspicabilmente
tradursi in una verifica di persona di quello che di cui si è fruito virtualmente, in modo tale da
aumentare la portata potenzialmente universale tipica della natura del museo, senza andare a scapito
della sempre necessaria autopsia, elemento imprescindibile della vera e più autentica esperienza
museale.

Se il fine è rendere il museo virtuale una sostituzione della visita fisica, invece, la risposta non può
che essere negativa. Prendendo in prestito le parole di Francesco Antinucci su cosa sia un museo
virtuale, infatti, si può dire che questo non sia né espressione di qualcosa che manca al museo reale,

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né una mera trasposizione del museo reale sul web17. Quindi, sarà impossibile rendere un museo
davvero fruibile attraverso uno schermo semplicemente lasciando che una telecamera giri per le sale
riprendendone il contenuto, perché non si renderebbe giustizia alla componente fisica e sensoriale e
nulla si attiverebbe.
Allo stesso modo, inutile sarebbe pretendere di esaurire l’esperienza museale fornendo contenuti
online di cui il pubblico non ha modo di avere un vero riscontro e che rischia, quindi, di rimanere
sterile e sostanzialmente inutile, se non a fini di studio e ricerca.

Sulla base di questo, è possibile dire che è giusto per i musei adeguarsi ai tempi in cui si trovano ad
esistere, per portare avanti un sano e doveroso rapporto con la contemporaneità, ma è altrettanto
necessario affrontarli con la consapevolezza dei mezzi a disposizione e del loro potenziale.

5. Conclusioni
Nel lavoro sono state affrontate le questioni dell’origine del museo e della sua natura sacra e
universale, concentrandosi poi sull’importanza simbolica di un luogo di confine come l’atrio
nell’ottica della riuscita della narrazione all’interno del percorso museale. Si sono analizzati casi
esemplari e si è analizzato anche la possibilità di una privazione dello spazio di confine fisico, per
scelta o per costrizione.
Quello che è emerso da tutti i punti presi in esame è che per una corretta percezione ed elaborazione
di un’esperienza, è necessaria una trasformazione, fisica e/o psicologica, che avviene lungo una
altrettanto fisica e/o psicologica linea di confine.
Per il museo contemporaneo, che si trova a fare i conti con un mondo in cui è facile avere tutto e in
fretta e in cui si fa attenzione a poco, risulta, quindi, importante e auspicabile una riflessione quanto
più attenta possibile sul concetto di confine e liminalità nelle fasi di costruzione dei propri spazi e dei
propri percorsi, tenendo conto delle logiche finanziarie che pure devono trovare posto in una
pianificazione efficace ed efficiente, ma che non dovrebbero mai prevaricare la ragion d’essere del
museo, ossia quella di luogo di trasmissione della memoria del mondo.

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F. Antinucci Musei virtuali. Come non fare innovazione tecnologica, editori Laterza, Bari, 2007, pp.106-113

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Data di appello: 12/02/2021 Eleonora Savina Matricola: 5009712

6. Bibliografia
F. Antinucci Musei virtuali. Come non fare innovazione tecnologica, editori Laterza, Bari, 2007

L. Chipley Slavicek, I.M. Pei, I.M.Pei, Infobase Publishing, s.l., 2009

R. De Luca Picione, La funzione dei confini e della liminalità nei processi narrativi. Una discussione
semiotico-dinamica in “International journal of psychoanalysis and education”, gennaio 2018

M.C. Ruggeri Tricoli, L'idea di museo: archetipi della comunicazione museale nel mondo antico, Lybra
immagine, 1998

L. Tarantino, Conquistare la soglia Valore e funzione dell’ingresso museale e suo significato simbolico, in
“Figure”, 2013

7. Sitografia
Autore non riportato, Atrio, in “Enciclopedia dell’Arte Medievale (2013)” (ultimo accesso: 17 – 01 – 2021):
https://www.treccani.it/enciclopedia/atrio_%28Enciclopedia-dell%27-Arte-Medievale%29/

Autore non riportato, Àtrio, in “Vocabolario online” (ultimo accesso: 17 – 01 – 2021):


https://www.treccani.it/vocabolario/atrio/

R. Bianchini, Il nuovo Rijksmuseum, in “inexhibit”, dicembre 2016 (ultimo accesso 20 – 01 – 2021):


https://www.inexhibit.com/it/case-studies/amsterdam-il-nuovo-rijksmuseum-1parte/

R. Bianchini, Neues Museum, in “inexhibit”, aprile 2019 (ultimo accesso 21 – 01 – 2021):


https://www.inexhibit.com/it/mymuseum/neues-museum-berlino/

F. Lusiardi, Un nuovo ingresso per il Van Gogh Museum, in “inexhibit”, gennaio 2016 (ultimo accesso 20 –
01 – 2021):
https://www.inexhibit.com/it/case-studies/amsterdam-un-nuovo-ingresso-per-il-van-gogh-museum/

G. Matthiae, Atrio, in “Enciclopedia dell’Arte Antica (1958)”:


https://www.treccani.it/enciclopedia/atrio_%28Enciclopedia-dell%27-Arte-Antica%29/

Redazione di Brundarte, Londra – British Museum, novembre 2015 (ultimo accesso 19 – 01 – 2021):
http://www.brundarte.it/2015/11/09/british-museum-londra/

Sito ufficiale ICOM Italia (ultimo accesso: 17 – 01 – 2021):


http://www.icom-italia.org/definizione-di-museo-di-icom/

Sito ufficiale del Memoriale della shoah di Milano (22 – 01 – 2021):


http://www.memorialeshoah.it/home-page/

Sito ufficiale dello studio Foster+Partners (ultimo accesso 19 – 01 – 2021):


https://www.fosterandpartners.com/projects/great-court-at-the-british-museum/

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