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I . IL MUSEO E LA DIDATTICA
1 . Museo come scrigno o luogo di detenzione: il persistere della ambivalenza.
Idea di museo come luogo poco piacevole, sgradevole: oltre all'eclettico artista parigino
Didier Tronchet, molti altri hanno espresso ostilità nei confronti dei musei: il poeta francese
Paul Valery negli anni 20, Marinetti negli anni 70 col suo Manifesto del Futurismo. Nel
manifesto, il punto di vista è quello di un artista che vedeva, nell'immobile sacralità imposta
dalle opere, un rischio per la creatività e lo sviluppo dei cantori di una nuova era; nuova era;
che vuole liberarsi dal forzato rispetto nei confronti delle "tele venerate" da cui non si sentiva
più rappresentato. Ancora oggi riemergono echi marinettiani -> articolo Bisogna bruciare i
musei di etnografia? Di Maria Camilla De Palma: l'autrice sostiene che bisognerebbe
cambiare il nome di museo etnografico in nomi già usati altrove come Cultural Center,
Treasure House, Community House, e non il termine 'museo', per lei sinonimo di cimitero,
dove quei ricettacoli di vita si trasformano in oggetti dietro un vetro. Ancora oggi espressioni
come "pezzo da museo" e "dietro liceo, davanti museo" indicano con tono spregiativo una
persona antiquata, oppure "roba da museo" evoca un'anticaglla. Persino uomini di cultura
come lo scrittore Alessandro Baricco o il sovrintendente del Teatro San Carlo di Napoli,
usano come termine di confronto negativo proprio la parola museo, riferendosi
rispettivamente a un'esecuzione musicale un po' antiquata e al rischio di trasformazione del
suo teatro in un teatro-museo. Umberto Eco definiva i musei tradizionali "tombe di oggetti
morti" in cui gli oggetti sono "feticci culturali avulsi da ogni rapporto con la realtà". Coloro che
lavorano nei musei continuano a ripetere, con un certo imbarazzo e persino un certo senso
di colpa, che occorre smitizzare l'idea do una istituzione noiosa, polverosa, fuori dal tempo: il
museo può essere divertente. Nell'immaginario collettivo, il museo non sembra un luogo
tanto piacevole (x es. la bibliotecaria è una zitella inacidita). Al contrario, l'economía ha colto
immediatamente il valore commerciale e turistico del museo, dando al nome una
connotazione promozionale e positiva, di eleganza e qualità.
• L'italia è a lungo rimasta ai margini del dibattito sorto con La Nouvelle Muséologie (viene
fondata nel 1982 in Francia: si basava sull'idea di un museo aperto all'esterno, portato fuori
dalle sue mura, fatto dalla collettività per la collettività, sull'idea di abolire la distanza fra
pubblico e contenuto) e del Movimento inglese New Museology (nella trasformazione
mantiene l'essenza tradizionale e elitaria).
• Gli ottimisti la considerano una istituzione in divenire piuttosto che un residuo del passato.
• Museologia -> perché farlo => riflessione sul metodo. Questo "perché" è finalistico, se ne
cerca il senso. Domanda che va proiettata nel futuro.
Al di là delle tipologie di collezioni, tutti i musei condividono i problemi legati alla
conservazione e soprattutto al rapporto col pubblico.
Distinzione funzionale fra attività SCIENTIFICA e attività DIDATTICA => nel momento in cui
una viene qualificata come scientifica, si suggerisce che l'altra non lo è, e se per scientifico
intendiamo qualcosa di rigoroso, certo e provato, viene da sé che "didattica" diventa subito
meno seria. Tuttavia didattica non è una semplificazione. La didattica museale ha a che fare
con questioni complesse perché ogni museo è una forma complessa. Ogni istituzione
museale è una incarnazione di credenze, idee, dibattiti. In ognuna delle sue sale convivono
piani temporali diversi, spazio e tempo originari delle opere e degli oggetti, della loro vicenda
collezionistica, spazio e tempo dei successivi allestimenti; spazio e tempo attuali, di
ciascuno di noi, con le nostre attese, i nostri sentimenti contrastanti (emozione, noja,
curiosità, estraneità).
• se consideriamo quest'ultimo scenario, la didattica incontra il suo pubblico => non deve
necessariamente offrirgli una meta, ma uno strumento per il viaggio, didattica nel museo non
è forzata attualizzazione: mettere in rapporto gli oggetti col Vissuto del visitatore e con
esperienze quotidiane è un buon approccio ma non è sufficiente. Anzi, rischiamo di
proiettare le nostre conoscenze e concezioni di oggi su di essi.
• Rischio dell'anacronismo sempre presente -> rischio di stabilire analogie inesistenti fra
moderno ed antico.
• La didattica del museo non è divulgazione, che a volte è solo un eccesso di informazioni
generali: la didattica del museo trasmette dati, informazioni sul metodo, solleva problemi,
suggerisce punti di vista, suscita curiosità.
• Il limite della didattica non è dato dall'aspetto economico. E dato dallo spazio fisico del
museo come contenitore e dalla presenza di oggetti. Limite che ci condiziona e ci definisce;
è ciò che rende unico ogni museo.
• La didattica museale richiede una costante riflessione e un confronto quotidiano con tutti
coloro che operano all'interno del museo.
Carattere simbolico del museo -> scrigno e prigione / passato e futuro / tradizione e
innovazione => dal momento che il museo contiene e fa vivere in sé gli opposti può essere
definito un luogo simbolico. Col termine simbolico non si parla delle allegorie in campo
iconologico. Né il simbolo in quanto segno di qualcosa. Se partiamo dalla etimologia greca,
syn ballein, "mettere insieme" e secondo la concezione junghiana -> simbolo semantico che
mette insieme gli opposti, senza annullarli a vicenda, ma mantenendo tra tensione creativa.
L'aspetto simbolico è sempre ampio, inconscio, mai definito con precisione. Il simbolo per
sua natura sfugge alla definizione e questa indeterminatezza si riverbera sulla museologia e
sulla sua didattica. La difficoltà di definizione non è una scusa per non fare chiarezza: dato
che il museo ha tra i suoi compiti istituzionali l'educazione, una oltre alla conservazione,
possiamo dire che la didattica è una delle anime del museo. Secondo la definizione dello
Statuto dell'international Council of Museums (ICOM), "il museo è un'istituzione permanente
senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo. E aperto al pubblico e
compie ricerche che riguardano le testimonianze materiali e immateriali dell'umanità e del
suo ambiente: le acquisisce, le conserva, le comunica e soprattutto le espone a fini di studio,
educazione e diletto." Secondo la Balboni Brizza, il museo è un'opera a più voci: è sbagliáto
credere che gli oggetti siano gli unici protagonisti, perché senza spettatori, il lavoro dei
museologi e la realtà stessa del museo non avrebbero ragione di esistere. La didattica non
deve solo essere un servizio aggiuntivo, e i suoi confini non sono rigidamente delimitabili. Le
sue proposte devono tenere conto del mutare dei tempi e dunque delle richieste, delle
aspettative dei visitatori (il pubblico di profondamente diverso rispetto a quello di una visita di
venti o anche solo dieci anni fa) => non c'è un preciso percorso educativo, non deve essere
imprigionata in uno schema ma deve poter mutare col tempo, tener conto dei cambiamenti
del nostro rapporto con il mondo delle immagini e delle cose. Lavorare in un museo significa
lavorare sul campo, un campo con particolari specificità. I direttori e i conservatori non sono
direttori o manager, come chi si occupa di didattica non è un insegnante. L'azione didattica
del museo si impara sul campo, con la pratica quotidiana, non sui manuali. Bisogna
considerare poi anche aspetti trasversali come: - Il ruolo della conservazione in una società
che invita al consumo - Il collezionismo indotto dalla pubblicità - Le luci e ombre delle nuove
tecnologie. Quanto la tipologia psicologica individuale del visitatore influenzi le sue reazioni
Se si dimentica il valore simbolico e archetipico di qualunque museo, si vedrà l'affollarsi del
pubblico nelle sue sale, non come espressione di un bisogno su cui occorre interrogarsi, ma
come fenomeno di moda o di mercato.
Tomba e Tempio => archetipi della comunicazione museale già presenti nel mondo antico
[secondo un'analisi di Maria Clara Ruggieri Tricoli e di Maria Désirée Vacircala]
• Tomba –> tombe neolitiche caratterizzate da presenza di corredi funerari;
• Tempio -> luogo in cui si conservano oggetti di sacrificio -> più importante luogo delle
collezioni. Nel tempio-museo, sarebbe stata presente una forte carica promozionale volta a
trasformare oggetti dal valore rituale in oggetti dal valore culturale. => più di una somiglianza
fra i templi greci ei nostri musei -> incessante depositarsi in essi di memorie.storiche e
artistiche -> avrebbero assolto a 3 funzioni fondamentali: conservazione, esibizione, implicita
significazione. Oggi l'albero genealogico dei musei arriva solitamente alle chiese o alle
collezioni principesche, wunderkammern.
A volte çapita che la contemplazione dell'architettura di alcuni musei (Balboni Brizza cita per
esempio il Museo delle Arti Decorative di Francoforte ad opera di Richard Meier nel 1985)
faccia passare inosservate le opere contenute all'interno del museo stesso. È solo negli
ultimi decenni che edifici si servono del fine museale per proporsi come opere di architettura
autoreferenziali: musei-monumenti che devono innanzitutto servire per attivare il pubblico,
indipendentemente dalle collezioni ospitate.
• Alessandra Mottola Molfino, scriveva provocatoriamente che gli architetti non capiscono
nulla di musei : "per molti architetti il rapporto fra contenuto e contenitore, fra opere ed
edificio, si risolve in un soliloquio del secondo, cioè dell'opera architettonica". Parla proprio
del Museo di Francoforte dicendo che i direttori cambiano sempre perché non riescono ad
attirare più l'attenzione del pubblico, che quindi diminuisce, una volta che questo ha giá
potuto contemplarne l'architettura, nonostante la collezione del museo sia bellissima.
• Se di un museo o di una mostra ricordiamo solo l'edificio o l'allestimento c'è qualcosa che
non ha funzionato. Stessa cosa quando il progetto architettonico è in contrasto col carattere
e il significato degli oggetti esposti. • Un altro esempio di museo "troppo" spettacolare è il
Kiasma di Helsinki.
• Negli anni 70, ci si interrogava sui rischi di mistificazione impliciti in ogni museo e legati allo
sradicamento e alla decontestualizzazione degli oggetti strappati/salvati dal loro contesto
originario.
• Negli ultimi anni, ci interroghiamo sul "museo di se stesso": museo che celebra se stesso,
che comunica se stesso
• => Horst Bredekamp: illustra il processo che implica questa autoreferenzialità con
l'esempio del Guggenheim Museum di Bilbao di Frank Gehry -> è un museo che, con tutto il
suo armamentario di acciaio, vetro e cemento armato, aspira ad essere opera d'arte
trasferendo su di sé le specificità delle opere d'arte che custodisce. L'architettura del museo
ne è la componente meta espositiva.
• Se è vero che il museo è lo specchio della società, allora questa calcolata seduzione e
questo narcisismo progettuale corrispondono alla cultura del narcisismo (diffusa mancanza
di fiducia nella possibilità di comunicazione. Il narcisista ha poco interesse per il passato e
nessuno per il futuro). -> Christopher Lasch dice che vivere per il presente è l'ossessione
dominante, vivere per se stessi, non per i predecessori o per i posteri. Perdita del senso di
appartenenza a una continuità di generazioni che affonda le sue radici nel passato.
In altri casi l'architetta/artista propone di stabilire una relazione fra contenitore e contenuto
affinché si amplifichino a vicenda, invece di soffocare il contenuto semantico degli oggetti.
Ma non sempre le aspettative corrispondono al risultato.
• Esempio n.1: Museo Ebraico di Berlino , opera dell'architetto polacco Daniel Libeskind del
1999 => è un contenitore estetico ed emozionale ricco di rimandi simbolici: ha la forma di
una stella di David spezzata - La Torre dell'Olocausto è priva di finestre e all'interno vuole
evocare l'oscurità del dramma - il Giardino dell'Esilio vuole rispecchiare con i suoi monoliti
l'isolamento e la perdita di orientamento di coloro che hanno dovuto lasciare la patria, Non è
però del tutto vero che le valenze simboliche dell'architettura rimandino in modo coerente al
materiale esposto, che documenta la storia ebraico-cristiana. Ma si dibatte ancora sul fatto
che il contenitore prevalga sul contenuto con il suo carattere monumentale.
• Esempio n.2: Sala d'armi del Museo Poldi Pezzoli di Milano, rifatta dallo scultore Arnaldo
Pomodoro tra il 98 e il 200:primo ambiente della casa-museo ad essere allestito (metà XIX
sec) - In origine volutamente teatrale, progettato dal pittore-scenografo del Teatro alla Scala
(Peroni): allestimento spettacolare e trionfale con armi, scudi, trofei. Produzione di altissimo
artigianato. - Prima c'erano archi a sesto acuto che ora sono amplificati in una grande volta
dalla tonalità rossastra (polvere di rame + stucco) che evoca lo spazio magico di una
caverna (luogo in cui si sperimenta il senso di sicurezza raccolta tipico dello spazio
culturale). Sopra di essa sono sparsi elementi scultorei rivestiti con lamina di piombo =>
senso di calma e profondità Le armi è come se fossero impugnate da guerrieri in preda
all'impeto delle loro passioni -> immagini del mito dell'eroe nel momento della catàbasi
(discesa nel mondo sotterraneo come espressione del rivolgersi della coscienza agli stati più
profondi della psiche inconscia collettiva) - Lo spețtatore è sempre attratto dallo scalone che
conduce alle sale dell'appartamento particolare di Gian Giacomo Poldi Pezzoli => soddisfa il
desiderio di ascesa verso la scoperta e quindi verso la conoscenza.Arnaldo Pomodoro ha
recuperato una delle anime del progetto originario di G.G.P. Pezzoli: l'anima che persegue la
ricerca e contemplazione della bellezza. I visitatori non sfuggono all'incanto della "caverna"
ma alcuni sono in difficoltà nel dare una lettura tradizionale degli oggetti esposti (quindi
cronologica e classificatoria). Sentono la mancanza di cartelli e cartellini, sostituiti ora da un
dépliant. In conclusione ci sono:
• Musei che si identificano tradizionalmente col contenuto;
• (nuovi) musei in cui l'attenzione è catturata più dal contenitore;
• Musei alla costante ricerca di equilibrio fra tradizione e rinnovamento;
• Allestimenti di artista;
• Vecchi musei dell'immaginario collettivo (sale deserte, cartellini sbiaditi e rovinati, con
correzioni a mano, lampadine bruciate) ma che rimangono comunque oggetto di nostalgia.
1 . Le esposizioni interattive
3 . Apprendimento e gioco
Domanda che sorge spontanea quando il museo propone qualcosa di ludico: "Stanno
davvero imparando o stanno semplicemente giocando?" Si tende ancora a considerare
apprendimento e gioco come due opposti, che si escludono a vicenda. Per superare questo
problema è stato recentemente coniato un brutto neologismo: Edutainment che unisce i
termini Educational e Entertainment => intrattenimento educativo, apprendimento giocoso.
Qualunque sia il termine, la cosa importante è l'obiettivo: che tipo di conoscenza si vuole
raggiungere? I| gioco può essere una delle possibili vie per apprendere. Oppure il gioco può
esso stesso essere l'apprendimento se mette in gioco determinate abilità.
• Tim Caulton propone un modello di conoscenza costruttivista, che sia concentrato di più
sul processo stesso dell'apprendimento e sugli interessi e i bisogni dei visitatori, e meno
sull'importanza e la quantità delle informazioni trasmesse. Questo modello accetta che il
visitatore si muova liberamente nell'esposizione e si augura che gli siano forniti tutti gli
strumenti creare connessioni con concetti e oggetti familiari - solo creando relazioni con ciò
che ci è familiare confermiamo o mettiamo in discussione le nostre conoscenze e diamo un
senso alle nostre esperienze. Imparare non è solo aggiungere nuovi dati a quelli che già
possediamo, bensì riorganizzare costantemente i dati acquisiti e rimettere in discussione
anche solo un piccolo frammento della nostra visione del mondo. Non è importante quali
mezzi utilizziamo, tradizionali o tecnologici, ma ciò che conta è che abbiamo imparato
qualcosa. Se nella nostra visita abbiamo imparato qualcosa ci sentiamo meglio, perché la
conoscenza rassicura e dà energia (un fatto biologico legato al progredire della coscienza e
alla capacità di superare gli ostacoli).
4. I bambini al museo
Nel museo le attività interattive sono proposte soprattutto ai bambini. Oggi i miei propongono
attività per famiglie, biglietti cumulativi, al MOMA di NYC ci sono pure programmi differenziati
in base al numero di figli: ex al lunedì sono previste visite per famiglie con un solo figlio fra
5-12 anni, il mercoledì per famiglie con 2 figli ecc. Questo crescente interesse per i bambini
può essere positivo se visto come doveroso investimento rispetto al pubblico di domani;
negativo se essi sono nel mirino in quanto consumatori. Compito del museo è
accompagnare il bambino con informazioni comprensibili in base alla sua età e alle sue
conoscenze. Spesso ai bambini vengono proposti messaggi educativi impoveriti e banali,
che ne spengono la fantasia creativa, I bambini non devono essere lasciati soli con la loro
curiosità, ma devono essere lasciati liberi nella loro esperienza. Il compito del museo è
accompagnare il bambino con informazioni comprensibili in base alla sua età e alle sue
conoscenze - l'informazione deve essere sempre vera e comprensibile. Non bisogna
utilizzare un linguaggio ridicolmente elementare né inspiegabilmente astruso. I bambini sono
spontanei e vivaci e spesso desiderano toccare gli oggetti per poterli comprendere meglio: i
laboratori e gli strumenti interattivi possono venire incontro a questo desiderio. I laboratori
devono costituire un'esperienza attiva e sono buoni laboratori quando mantengono un forte
legame con i contenuti del museo e dell'esposizione (ex. Consentire la conoscenza di
materiali diversi, dall'effetto coprente della tempera rispetto all'acquerello alla consistenza di
diversi tessuti). Bisogna insegnare loro anche a non toccare per rispetto, perché le nostre
mani potrebbero danneggiare gravemente le opere con sporcizia per es.
L'autrice considera normale il periodo di latenza che allontana i giovani dal museo - museo
che privilegia il passato, l'oggetto e l'originale – mentre la nostra epoca privilegia il presente,
l'immagine e la copia. Il museo è stato definito una istituzione "contro-natura" inquanto
conserva oggetti che secondo il naturale corso della natura sarebbero destinati a
scomparire. Dietro al museo c'è il rifiuto ma anche la coscienza della morte; coscienza che i
giovani che si credono immortali hanno ben poco, ne consegue il loro scarso interesse. Un
altro motivo per cui il museo può essere "innaturale" è che esso propone le cose come
eterne in una società che privilegia l'effimero e il momentaneo. Il sociologo Bauman l'ha
definita "società liquida" in cui I"eroe" è colui che è libero di fluttuare senza intralci e senza
identificazioni: un simile individuo non può sentirsi dunque rappresentato da un'istituzione
che ha l'ambizione di classificare, ritrovare radici e certezze. I giovani sono più attratti da una
realtà effimera come per esempio una mostra, esposizione o installazione, non di certo ,da
un muse che nella conservazione presuppone un tempo lineare e finalizzato, Se i giovani
vanno al museo è solo principalmente grazie alle loro famiglie e scuole, quindi è inevitabile
che a un certo punto esso sia messo da parte. Il giovane tornerà al museo solo per propria
libera scelta. Negli anni 70, Bourdieu e Darbel (L'amour de l'art) dicevano che 'abitudine a
visitare i musei si prende da piccoli e solo una corretta iniziazione, mediata dalla famiglia e
dagli insegnanti sarà in grado di trasformare i giovanissimi nei potenziali visitatori del
domani. Tuttavia ora possiamo affermare che non si tratti di una verità assoluta. Ci
dobbiamo ora chiedere con quali ricordi e con quali aspettative varcherà la soglia del museo
il pubblico del futuro?
Il nostro rapporto con gli oggetti è profondamente cambiato rispetto alla metà del secolo
scorso, quando ogni oggetto era il deposito di una sensazione e di un'emozione. A poco a
poco, nell'accumulazione ed esibizione di oggetti "sentimentali" se ne andava perdendo il
senso, intendendo non solo il significato, ma la sensazione di come una cosa è fatta e il suo
valore simbolico.
2. Collezionismo o accumulazione?
3. Oggetti e musei
Perché esista un museo devono esistere degli oggetti: ma cosa accade a un oggetto quando
diventa oggetto da museo? · Alberto Maria Cirese diceva che l'oggetto diventa documento,
estratto dal suo contesto vitale; parla un nuovo linguaggio, assume una nuova valenza.
• Filip Cremers del museo della Carta da gioco a Turnhou Belgio sostiene che ogni
discussione sulla relazione museo-pubblico debba avere come punto di partenza il problema
degli oggetti. => il museo sottrae gli oggetti al loro contesto privandoli della funzione
originaria. Ciò accade quasi sempre ma con modalità diverse: per un aratro per es. è vero;
non per oggetti che nascono per essere visti ed ammirati. E poi vero che un oggetto che
viene esposto in vetrina assume sempre più importanza.
• Marco Aime fa un esempio per quanto riguarda il museo etnografico: dice che tale tipo di
museo diventa una sorta di terreno comune fra il nativo e il visitatore che dedica agli oggetti
uno sguardo molto più attento che se li vedesse nel cortile di un'abitazione in un villaggio.
Qualsiasi oggetto che entra in un museo acquista un carattere di unicità: sotto questo punto
di vista la Gioconda di Leonardo e un osso di balena condívidono lo stesso status.
• Inoltre ogni oggetto esposto esiste veramente solo quando incontra il nostro sguardo=> sta
all'osservatore ricreare il suo contesto a partire dalla propria esperienza personale e
culturale.
• il museo fa sempre storia: ma non si tratta di verità assolute, solo relative. Il museologo
può solamente offrire un inquadramento storico parziale e limitato. Anche la miglior
soluzione didattica non offre una chiave di lettura definitiva, ma offre solo uno spunto. E'
bene ricordare che il museo offre ai visitatori sempre una realtà più o meno
consapevolmente manipolata.
4. Ripartire dall'oggetto
Gli oggetti recano con se i fantasmi di ció che sono stati, di chi li ha creati, di chi li ha
raccolti e, infine, di coloro che li hanno incontrati nelle sale dei musei. L'esposizione efficace
è quella di chi riesce sapientemente a mediare il rapporto fra il pubblico e il materiale
espositivo, rendendone visibili i "fantasmi", facendo si che possano comunicare. Non
sempre si trova questa cura nell'esposizione, a volte il rapporto tra l'oggetto e il museo si
risolve in un semplice problema di collocazione. Spesso accade, soprattutto all'interno delle
mostre, che gli apparati didattici (es. testi esplicativi) soffochino gli oggetti, lasciando poca
attenzione residua da dedicare alle cose in sé. James Hillman (psicoanalista junghiano
statunitense) lo sguardo della cultura, che in una mostra vede ogni opera descrivere se
stessa, non dovrebbe essere completamente sostituito dallo sguardo della civiltà, che vuole
a tutti i costi contestualizzare. Bisogna ripartire dall'oggetto e dalla sua realtà concreta:
• materia, origine, funzione lo rendono unico; d• valenze simboliche, studi, attribuzioni gli
danno un valore;
• vicende storiche e collezionistiche lo portano ai nostri occhi. Guardiamo l'oggetto e
insegniamo al pubblico a guardarlo.
Il cartellino dell'opera è ciò che attrae l'occhio irresistibilmente e, spesso, è anche ciò da cui
il visitatore trae la propria interpretazione. II bisogno di classificazione, che è un bisogno di
sicurezza, fa si che la domanda "cos'è" venga prima di "perché". Se riconosciamo l'autore o
Il soggetto ci sentiamo rassicurati, mentre quando leggiamo solo "senza titolo" o una
didascalia criptica ("variazione n°5") sperimentiamo un senso di frustrazione. I cartellini
vengono accusati principalmente di essere troppo poco comprensibili oppure troppo poco
esaurienti. A prescindere dalle informazioni che si scrivono e dai riferimenti, c'è comunque la
certezza che qualcuno resterà insoddisfatto dal cartellino. I pannelli didattici dovrebbero
essere brevi, concisi e di facile lettura. Delle informazioni contenute nel pannelli, solo una
piccola percentuale rimane impressa nella mente del visitatore, In ogni caso, poiché
qualunque scelta del museologo non è mai neutrale, anche i mezzi scelti per comunicare
non sono neutrali rispetto alla comunicazione; comunicazione che dovrebbe avere alla base
un metodo e un progetto che siano identificabili con chiarezza.
Ascoltare vuol dire in genere seguire le spiegazioni di una visita guidata. "Quando la guida
inizia a parlare le opere diventano mute". (Giorgio de Marchis) Nel corso di una visita
guidata è raro che qualcuno osservi realmente gli oggetti. Benché negli anni Ottanta si
pensasse che le visite guidate non avrebbero avuto un futuro, nel corso degli anni è
aumentato il numero di insegnanti coinvolti in prima persona nella preparazione dell'incontro
col museo, capaci di trasformare la visita d'istruzione in un'avventura culturale.
Parallelamente sono aumentate le richieste di visite guidate o, per meglio dire, di progetti
d'incontro in grado di favorire un progetto comune Una buona visita guidata è tale quando si
fonda sul dialogo, che è uno straordinario strumento interattivo, e può essere fonte di nuove
scoperte, nuove idee e nuove curiosità che arricchiscono entrambe le parti. Con l'audioguida
l'ascolto è meno distratto e la visita può essere personalizzata, scegliendo di informarsi solo
su ció che più interessa. Gli svantaggi sono:
• l'impossibilità di fare domande
• l'isolamento che induce in chi ascolta.
•=> Tuttavia ascoltare e guardare non è facile. Infine, il silenzio. Il museo è tra i pochi luoghi
pubblici in cui la nostra permanenza non é costantemente accompagnata da un sottofondo
musicale, ma il suo è un silenzio relativo, rotto dal rumore dei passi e dalle voci dei visitatori.
Un silenzio che non è sempre rispettato oggi.
Negli allestimenti didattici dei musei le parole sono quasi sempre accompagnate da
immagini. W. Benjamin aveva compreso che con la riproducibilità era in atto un processo
irreversibile, il cui significato andava al di là dell'ambito artistico. La riproduzione, che
trasformava un evento unico in una serie di eventi e lo attualizzava mettendolo a
disposizione del fruitore, portava ad un violento rivolgimento della tradizione, legato, a sua
volta, alla crisi e al rinnovamento della società. Oggi noi abbiamo a disposizione le immagini
di ogni cosa - luoghi, monumenti, musei e mostre - perciò, più che una scoperta, il viaggio e
la visita diventano una verifica e "per non deludere, la realtà dovrá somigliare alla sua
immagine". Talvolta si fa fatica a mettere un oggetto in relazione alla sua immagine
riprodotta, spesso "migliorata" dai grafici - l'immagine crea false aspettative riguardo gli
oggetti. Il fatto che i visitatori comprino delle cartoline è legato alla necessità di portare con
sé un ricordo dell'occasione.
Un allestimento didattico dovrebbe contemplare un uso attento del colore. Una tinta
sbagliata sulle pareti può modificare la nostra percezione dei colori di un dipinto; una
scultura in marmo bianco su sfondo bianco può sembrare sporca e non si rivela nella sua
tridimensionalità, Proprio il bianco è grande protagonista delle pareti e architetture di molti
musei contemporanei. Esso è solo apparentemente un colore neutro. Ce ne sono diverse
tonalità, più fredde, più calde, più luminoso, più candido ecc. David Batchelor ha fatto una
serie di riflessioni proprio sul rischio del grande bianco che tutto pervade. Il pubblico,
spesso, di fronte ad un quadro antico dai colori troppo vivaci, rimane sconcertato. Anche
quando non si tratta di un restauro selvaggio, ma di una semplice pulitura, il nostro occhio
diventa critico, come se togliere la patina del tempo avesse tolto valore al dipinto. Il
problema della percezione del colore non è un fatto biologico, bensì culturale. I templi greci
erano, almeno in parte, dipinti, ma, poiché si è abituati a vedere il bianco del marmo o delle
rovine, si guarda all'arte greca come se i colori non esistessero. Michael Pastoreau (storico)
"non vediamo i colori che il passato ci ha trasmesso alterati dal tempo e non nel loro stato
originale; Il vediamo inoltre in condizioni di luce che spesso non hanno alcun rapporto con
quelle conosciute dalla società che ci hanno preceduto: infine per decenni e decenni,
abbiamo preso l'abitudine di studiare le immagini e gli oggetti del passato per mezzo di
fotografie in bianco e nero e, malgrado la diffusione della fotografia a colori, il nostro modo di
pensare e di reagire a questi oggetti sembra essere rimasto, anch'esso, più o meno in
bianco e nero".
2. Trovare un centro
• Un tempo si diceva agli insegnanti, per invogliare a fare un buon uso didattico del museo,
di considerarlo un enciclopedia. Ed un enciclopedia non non si legge dalla prima all'ultima
definizione.
• La mostra, invece, è come un romanzo: ha un tema, un soggetto, un inizio e una fine. Nelle
cattive mostre, come nei cattivi romanzi, quello che manca è un centro. Questo può
dipendere dalla mancanza di un progetto, ma anche dall'eccessivo accumulo di opere
L'annullarsi reciproco di troppi stimoli porta alla sensazione di uno spazio indifferenziato: non
c'è scoperta, non c'è emozione (Caspar David Friedrich lamentava, nel 1830, l'accumulo di
quadri che impediva all'osservatore di osservare singolarmente le opere). Questo avviene
anche quando le opere sono tutte di qualità. => Mentre di un museo si può rinunciare a
vedere ogni cosa, non si rinuncia a entrare in tutte le sale di una grande mostra, poiché
l'evento va consumato completamente. Umberto Eco -> un tragitto che conduca il visitatore
"dentro" una sola opera renderebbe l'esperienza memorabile. L'autore è consapevole che
un museo non possa annullarsi in una sola esposizione, tuttavia sarebbe un buon progetto
per una mostra temporanea. Una buona mostra deve avere un punto di partenza, un nucleo
- un'opera, un artista, un movimento storico, un fenomeno, un'organizzazione produttiva,
un'idea - intorno al quale vada crescendo il progetto.
E' impossibile dire quanto tempo richieda la visita di un museo. Un fattore che influenza la
permanenza del pubblico nella sede espositiva é l'affollamento delle sale. Se vi sono troppe
persone, si deve aspettare che l'altro vada via per potersi appropriare di uno spazio
"personale" condiviso con l'opera. Il tempo da dedicare all'oggetto non è quantificabile. Il
museo richiede al visitatore un tempo "diverso", rallentato e non finalizzato, paragonabile a
quello del flâneur, nella sua accezione di figura contemplativa che si aggira senza una meta.
[Il museo, invece. aspira ad un tempo eterno (Aion, contrapposto a Chronos, il tempo che
distrugge). Il tempo dei visitatori potrebbe essere quello rappresentato da Kairós, il momento
del tempo vissuto, del tempo interiore.) Il desiderio di imparare e l'impulso ad insegnare,
ugualmente innati, sono i due poli tra cui si colloca ogni impresa educativa. L'intervento
dell'Educazione permette di scoprire qualcosa di inatteso e di importante. L'inatteso rimanda
ancora a Kairós, un tempo diverso. Pietro Sacchetto, in relazione alle visite scolastiche al
museo - bisogna ritualizzare con i bambini il fatto che stiamo compiendo un'esperienza
dissonante rispetto a quella consueta, con un tempo diverso e una diversa modalità di
comunicazione. Non è importante una verifica di conoscenze, bensì il fatto che si crei un
contesto comunicativo capace di far nascere interrogativi e attivare, successivamente,
processi originali di ricerca.
4. Il secondo sguardo
Se nelle grandi mostre il percorso è obbligato ed è raro che lo si ripercorra a ritroso, nelle
piccole mostre è possibile, invece, soffermarsi e tornare indietro. Ogni volta che guardiamo
la stessa cosa di nuovo, acquisiamo maggior rispetto nei suoi confronti e aumentiamo la sua
rispettabilità (pensieri di James Hillman in Politica della bellezza).
Regole utili per vedere un museo stese da Thomas Grenwood nel 1888:
1. Non cercare di vedere troppo;
2. Ricorda che è meglio un oggetto visto bene che una serie di oggetti esaminati
distrattamente;
3. Prima di entrare in un museo chiediti che cosa vuoi veramente vedere e concentrati su
quello;
4. Ricorda che il principale scopo degli oggetti è istruire.
5. Fa' in modo di avere un taccuino su cui annotare le tue impressioni;
6. inserisci nella tua conversazione le impressioni su quanto vedi nei musei (legato al fatto di
de far propria un'immagine, un frammento di esperienza);
7. Consulta frequentemente la letteratura specializzata sul particolare argomento che ti
interessa;
8. Visita periodicamente il museo a te più vicino e fanne una scuola avanzata di
autoeducazione;
9. Ricorda che ogni volta c'è qualcosa di nuovo da vedere;
10. Fa' una collezione personale di qualcosa. 11. Segui da vicino qualche particolare
argomento di studio relativo ai musei;
12. Guarda lentamente, osserva con attenzione e rifletti molto su ciò che vedi. Alla base di
queste regole c'è una saldissima fede nel valore educativo dell'esperienza. Alcuni consigli,
come "non cercare di veder troppo" sono ancora validi - il sito della National Gallery di
Londra invita gli insegnanti a non trascorrere una giornata intera al museo, onde evitare di
togliere definitivamente agli studenti la voglia di tornare. Nel 1993 al Museo Poldi Pezzoli si
tennero una serie di incontri dedicati a "Saper vedere i musei" - la conclusione fu che era
meglio fornire ai visitatori tutte le informazioni necessarie per poter sviluppare un giudizio
critico basato su dati reali (es. informazioni sulla storia della collezione per spiegare la
vicinanza di determinati oggetti in una collezioni, dare alla mostra un titolo in relazione ai
contenuti).
VI . IL MUSEO E IL PUBBLICO
Spesso ai musei è applicata una psicologia da marketing, analoga a quella che usano le
aziende per identificare i bisogni del consumatore e aumentare le vendite. I musei non
dovrebbero considerare i visitatori come consumatori, anzi dovrebbero interrogarsi sul
pubblico=> non sono i biglietti d'ingresso a risanare i bilanci, ma la visibilità del museo è
richiesta dal mercato e dagli sponsor che sostengono finanziariamente riallestimenti,
restauri, mostre. Non esiste un visitatore ideale, quindi bisogna riflettere sui visitatori a
partire dal loro atteggiamento psicologico.
Succede che un visitatore possa sentirsi spaesato tanto da preferire la visita di gruppo.
Quest'ultima può suscitare sensazioni ambivalenti. La visita di gruppo, spessa vista con
un'accezione negativa ("torma" ovvero branco di animali, usato dalla stampa per definire i
visitatori in gruppo), è vissuta in modo diverso rispetto a una visita individuale e ,talvolta, non
è neppure ricordata come una "visita". Nella visita di gruppo, quel che sembra contare, in
fondo, non è l'osservazione delle opere, ma il partecipare ad un'esperienza comune, che
nasce da un bisogno di condivisione che avvicina la visita al pellegrinaggio. Il termine
"pellegrinaggio", che rimanda a pratiche del passato a noi ormai estranee, è utilizzato
ancora nel senso di "un lungo viaggio fatto per visitare un caro illustre o infermo o pervedere
opere d'arte particolari". In ogni caso il termine ha conservato un valore paradigmatico,
legato al concetto di speranza e di "santuario". Anche nel cammino verso il
museo-santuario, nella sua valenza archetipica, si mescolano speranza e attesa di un
beneficio. Probabilmente questo non è il pensiero dei visitatori, eppure nello stesso fare la
coda si può intravedere un rito che diminuisce l'importanza di quello che accadrà dopo.
Esserci stati esaurisce l'esperienza.
4. Turismo culturale
Oggi il rituale della visita di gruppo ai musei e alle mostre avviene spesso nell'ambito di un
tour organizzato - turismo culturale (connubio di riposo, esotismo e istruzione)I turisti spesso
visitano i musei solo perché lo prevede un programma, non perché siano spinti dal desiderio
di elevazione culturale.
5. Classificare il pubblico
Il titolo di questo paragrafo indica il limitarsi ad una percezione sensoriale, che registra il
dato visivo e sensoriale ma non lo elabora, non lo trasforma in esperienza. Il museo si
colloca nello scarto fra la percezione Scomparsa e la percezione attuale: le opere
raccontano il loro tempo, ma non in modo esauriente. Coloro che le contemplano oggi non
avranno mai lo sguardo di chi le vide per la prima volta. La didattica museale dovrebbe dare
qualche strumento per muoversi in questa terra di mezzo.