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Museologia

di Roberta Carta
L'insegnamento mira a fornire allo studente conoscenze sulla storia
dell’istituzione museale in quanto tale e sulla storia delle più importanti
istituzioni museali nazionali e internazionali.
Vengono fornite indicazioni anche dal punto di vista tecnico, in particolare sulle
pratiche curatoriali in atto e sulle figure professionali attualmente all’interno
delle istituzioni museali.
Anno Accademico 2018/19

Università: Università degli Studi di Cagliari


Facoltà: Beni culturali
Esame: Museologia/e
Docente: Simona Campus
Roberta Carta Sezione Appunti

1. Nascita della museologia


La museologia è una disciplina abbastanza recente, in quanto possiamo parlare di essa solo a partire dagli
anni ’50 del XX secolo, mentre prima di allora tutto ciò che riguardava i musei rientrava nella cosiddetta “
museografia”, termine attestabile a partire dal 1727.

Il termine museologia nasce nel secondo dopoguerra in concomitanza con la nascita dell’ ICOM, cioè dell’
International Counsil of Museums, organizzazione internazionale a cui fanno riferimento tutti i musei del
mondo, nata nel 1946 come costola dell’Unesco.
Il fatto che questo termine si affermi nel dopoguerra indica che gli eventi bellici contribuiscono in questo
periodo a porsi delle domande attinenti alla tutela dei beni culturali e alla definizione di bene culturale stesso
.

L’ICOM risponde a questa esigenza nei suoi due documenti più importanti, ovvero il suo statuto (1975) e il
Codice deontologico.
Il Codice deontologico viene approvato durante l’Assemblea generale dell’ICOM tenutasi a Buenos Aires
nel 1986 e stabilisce che l’area di competenza e intervento dell’ICOM è attinente anche al controllo
dell’etica dei musei e delle professionalità al loro interno.

Con museologia, a partire dagli anni ’50 del XX secolo, si indica quella disciplina che riguarda tutti gli
aspetti teorici e strategici dei musei, con riferimento anche alla storia stessa dei musei in particolare nei
paesi europei e continentali.

La museografia, invece, è l’applicazione pratica di questi aspetti teorici e strategici, quindi la traduzione in
edificio, le progettazioni architettoniche e gli allestimenti.

Queste due discipline sono accompagnate dalla museotecnica, ovvero quella disciplina che individua gli
strumenti tecnici che permettono la progettazione teorica e la realizzazione pratica.

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2. Il museo
Per definire un museo si devono prima individuare i suoi elementi costitutivi, ovvero:

• La collezione. Un museo si basa quindi su un insieme di oggetti o, soprattutto in epoca moderna, su un


insieme di idee, la cui natura determina la natura stessa del museo. La natura delle collezioni permette cioè
di distinguere il museo archeologico dal museo artistico, storico, ecc. A determinare la natura del museo è
anche la quantità degli oggetti: per esempio, un museo basato su una collezione molto ampia prende il nome
di museo generalista.

• Il pubblico: non esiste un museo contemporaneo e moderno che non tenga conto del pubblico di
riferimento. Mentre il collezionismo privato non prevedeva il pubblico come elemento fondamentale, il
museo moderno nasce per conservare e tutelare le collezioni in virtù della loro fruizione pubblica.

• Il personale, cioè tutti coloro che permettono l’esistenza stessa del museo attraverso i compiti da loro
svolti.

• La sede, ovvero il luogo fisico dove le collezioni sono conservate e che può essere un edificio ma anche
un luogo all’aperto.

Il termine “museo” è legato alle muse, ovvero le nove figlie di Zeus protettrici delle arti e rappresentate
dall’iconografia classica sempre in compagnia di Apollo, e si attesta infatti per la prima volta in epoca
ellenistica.
Con “museion” si indicava il complesso culturale costruito ad Alessandria d’Egitto nel tempio di Tolomeo
I, che comprendeva: un osservatorio astronomico, un istituto anatomico, un giardino botanico e zoologico e
un’enorme biblioteca in cui veniva conservata tutta la letteratura sino ad allora prodotta. Il museion di
Alessandria era dunque allo stesso tempo un luogo di conservazione e produzione delle arti ed è proprio al
suo interno che ci si pone per la prima volta il problema della conservazione.

L’esigenza di conservare nasce in concomitanza ai cambiamenti politici e culturali che vedono in questo
periodo protagonista la Grecia: il passaggio dallo status di cittadino allo status di suddito, infatti, cambia
radicalmente l’impostazione filosofia e culturale, contribuendo all’emergere di una differenziazione nella
creazione di gerarchie in relazione alla produzione culturale. Si distinguono infatti un’età di decadenza e
un’età dell’oro, la cui produzione culturale deve essere in virtù di questo tutelata.

Il termine museo viene attestato anche in età romana, quando con “museo” non si indica un luogo di
conservazione e produzione delle arti ma una grotta riccamente decorata e con funzione di tipo edonistico.

Esso ricompare poi in età umanistico-rinascimentale e va ad indicare gli studioli, ovvero i luoghi dove i

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principi e i signori rinascimentali si dedicavano agli ozi letterari e dove conservavano oggetti, opere d’arte,
libri, ecc. Nonostante gli studioli rappresentino l’essenza propria dell’Umanesimo e del Rinascimento, da
essi emerge ancora una concezione elitaria del sapere.
Sempre nel ‘500, il termine museo viene attestato quando Paolo Giovo fa costruire a Borgo Vico un edificio
che ospitasse le sue collezioni artistiche.
Emerge per la prima volta la relazione tra collezione e sede edificata appositamente per ospitarla.

Nel 1797, Friedrich Neickel scrive un’opera sistematica sulle collezioni europee nel loro insieme e nel
titolo di quest’opera compare per la prima volta il termine “museografia”.
Questo non ha ancora però l’accezione che noi oggi conosciamo, ma indicherà fino all’affermazione della
museologia tutto ciò che riguarda i musei.
Nell’analizzare le collezioni, Neickel individua diverse tipologie, distinguendole rispetto ai contenuti e
rispetto agli ambienti.

Rispetto ai contenuti vengono individuate due grandi classi:


• I naturalia, cioè le attestazioni naturali e i reperti che in epoca moderna vanno a costituire i musei di
scienze naturali.
• Gli artificialia, ovvero i prodotti della cultura umana.
Naturalia e artificialia determinano la natura delle collezioni.

Rispetto agli ambienti, Neickel individua diverse tipologie:

• Gli studioli.

• I cabinet.

• Le gallerie, all’interno di cui venivano conservate soprattutto le collezioni storico-artistiche, quindi in


particolare quadri e statue.
Nella loro genesi, esse si ispiravano agli spazi esterni delle ville romane antiche in cui venivano accolti gli
ospiti.
Con la galleria, dunque, si ha per la prima volta il concetto di un luogo di conservazione del patrimonio
culturale che possa essere visitato.

• La Wunderkammer, sviluppatasi in particolare nei paesi del nord Europa allo scopo di provocare stupore
e meraviglia e non per la coltivazione degli interessi degli intellettuali, come nel caso degli studioli.
In italiano il termine “wunderkammer” viene tradotto come “camera delle meraviglie”, proprio perché aveva
come scopo quello di provocare stupore e meraviglia in chi vi entrava.
Presupponeva cioè una forma embrionale di pubblico, che poteva essere anche una sola persona o più
semplicemente gli ospiti del proprietario.

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Al suo interno, naturalia e artificialia erano conservati insieme secondo un criterio di assoluta eterogeneità.

Nel 1765, Louis de Jacourt cura la voce “museo” all’interno dell’Encyclopedie di Diderot e D’Alembert,
indicando con museo un concetto che con il tempo diventa sempre più complicato e come qualsiasi luogo in
cui si conservino le “cose legate alle arti e alle muse”.

Negli anni ’60 del '700 cadono le tradizionali gerarchie in tutti gli ambiti della vita, soprattutto in quello
culturale, contribuendo a sviluppare l’idea secondo cui il messaggio contenuto dalle opere d’arte sussiste
fino al momento in cui la fisicità di queste viene preservata.

In epoca moderna, la definizione a cui tutti i musei si riferiscono è quella formulata dall’ICOM, che nasce
nel secondo dopoguerra dalla necessità di formulare delle regole condivise a livello internazionale allo
scopo di conservare e tutelare il patrimonio culturale.
Tale definizione viene inserita nel 1975 nello Statuto e nel 1986 nel Codice di deontologia professionale, ma
non deve essere considerata una definizione statica, in quanto il museo è un’istituzione in continuo
mutamento essendo profondamente legato al contesto culturale della società in cui insiste.

L’ICOM definisce il museo come un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, aperta al pubblico, legata
alla società e al suo sviluppo, che acquisisce, conserva, tutela, comunica ed espone con finalità di istruzione,
studio e diletto.

Il museo è un’istituzione permanente in quanto le sue collezioni devono essere sempre disponibili per la
fruizione al pubblico, anche se in caso di restauro o spostamenti occasionali può succedere talvolta che siano
disponibili solo in parte. Questa caratteristica permette di distinguere il museo dalle mostre temporanee.
È inoltre aperta al pubblico in quanto il pubblico è uno degli elementi senza cui il museo non può esistere,
legata alla società e al suo sviluppo in quanto è questo sempre suo maggior coinvolgimento che lo ha portato
a diventare un’istituzione sempre più complessa.
Tra le sue finalità, il diletto rientra perfettamente nella concezione moderna di museo, che non è più solo un
luogo finalizzato esclusivamente all’istruzione (museo-scuola) ma anche un luogo di socializzazione
(museo-forum).
Un’altra definizione di museo è quella indicata invece nel Codice dei beni culturali e del paesaggio della
legislazione italiana, che stabilisce che il museo è un’istituzione permanente che acquisisce, cataloga,
conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio. La legislazione italiana,
nonostante si basi sulla definizione fornita dall’ICOM, non riconosce il diletto tra le finalità del museo.

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3. Storia dell’istituzione museale


La storia dell’istituzione museale si può suddividere in due momenti significativi:
• Il fenomeno del collezionismo.
• Il museo moderno.

Il fenomeno del collezionismo inizia nello stesso periodo in cui viene attestata per la prima volta il termine
“museo”, quindi in epoca ellenistica.

Con la conquista della Magna Grecia e la nascita dell’Impero Romano, la storia del collezionismo si sposta
inevitabilmente a Roma, dove riscuote particolare successo almeno fino all’epoca di Nerone.
Le statue greche vanno a costituire un vero e proprio traffico e cominciano ad essere riprodotte.
In epoca romana si hanno anche i primi cenni normativi relativi alla tutela: il diritto romano prevedeva
infatti che le statue collocate in luoghi pubblici fossero inamovibili, in virtù della loro fruizione pubblica.

In epoca medievale, le opere d’arte sono prevalentemente fruibili soltanto nei luoghi ecclesiastici, mentre
alla fine del Medioevo si affermano due tipologie di collezionismo:
• le collezioni generaliste, come quella del duca di Berry, legate al prestigio sociale del proprietario.
• Le collezioni con funzioni specialiste, legate all’approfondimento culturale o allo studio. Tra le più
famose, la Collezione Numismatica di Petrarca.

Le collezioni di Petrarca e di Berry preludono a due diverse tipologie collezionistiche, ovvero quella dello
studiolo e quella della Wunderkammer.

Uno degli studioli più significativi fu quello di Isabella d’Este, per la cui costruzione contribuirono i più
grandi artisti del periodo, tra cui Andrea Mantegna.

Nel 1461, Papa Sisto IV dona al popolo romano una serie di statue legate alla storia della città, che verranno
esposte in Campidoglio e andranno così a formare il primo nucleo dei Musei Capitolini.

Nel 1609, per volontà del cardinale Federico Borromeo, a Milano viene aperto il complesso
dell’Ambrosiana, che comprendeva la biblioteca, la pinacoteca e l’Accademia del disegno, allo scopo di
“essere utile ai giovani”.
In questo periodo si comincia così a comprendere l’importanza che le collezioni d’arte potevano ricoprire
nel processo di formazione e di educazione dei giovani.

Poco tempo dopo, in Italia e in Francia si diffonde la tipologia della galleria.


In Italia la più significativa sarà la Galleria degli Uffizi, fatta costruire da Francesco I de’ Medici sul
complesso degli Uffizi vasariani, nati come luogo di gestione dell’amministrazione. Gli Uffizi vasariani

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vengono dunque dotati di uno spazio utile per ospitare le collezioni d’arte di Francesco I e, accanto al
percorso dedicato ad esse, viene costruire la Tribuna.

La Tribuna era uno spazio circolare all’interno di cui le opere d’arte erano ordinate in maniera densa, allo
scopo di occupare tutto lo spazio disponibile, e che assumeva allo stesso tempo il ruolo di opera d’arte e di
luogo di conservazione delle collezioni. In epoca moderna, le opere al suo interno sono ordinate secondo
una concezione moderna del museo, quindi rispettando lo spazio vitale e l’autonomia di ciascuna di esse.

Nel 1737, Anna Maria Ludovica, ultima discendente dei Medici, dona le raccolte ai Lorena, a condizione
che queste non venissero spostate dalla capitale e dal granducato: stabilisce quindi il legame tra le
collezioni e il luogo in cui queste sono nate e si sono formate. Anna Maria Ludovica indica poi come
finalità delle collezioni quella di ornare lo Stato, quella di essere utile al pubblico e quella di suscitare la
curiosità dei forestieri. Il pubblico, dunque, non è più necessariamente fiorentino, ma può provenire anche
da altri luoghi.

Nel 1769, il granduca Pietro Leopoldo, il più sensibile in campo artistico tra i Lorena, apre gli Uffizi al
pubblico.

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4. La Galleria degli Uffizi


Gli Uffizi non nascono come istituzione a scopo museale, bensì come sede dell’amministrazione del
territorio fiorentino.
L’edificio viene commissionato a Giorgio Vasari da Cosimo I de’ Medici insieme al corridoio vasariano.
Alla morte di Cosimo, Francesco I decide di dotare l’edificio di uno spazio utile alla conservazione delle
proprie collezioni artistiche: nel 1581 viene inaugurata la Galleria degli Uffizi, caratterizzata da una pianta
a u, da un cortile interno e da un giardino pensile sulla Loggia dei Lanzi.

Accanto al percorso dedicato alle collezioni viene costruita la Tribuna, uno spazio a impianto ottagonale,
dotato di alte pareti per i dipinti e le mensole per esporre gli oggetti e al centro di cui viene sistemato uno
scrigno a forma di tempietto rotondo per le medaglie e i cammei. Si trattava di un percorso circolare in cui
ogni opera aveva eguale visibilità e la luce si diffondeva dall’alto.

Alla morte di Francesco, il fratello Ferdinando I fa allestire la sala delle carte geografiche e lo stanzino delle
matematiche, mentre Ferdinando II allestisce il braccio di ponente con soggetti che raffiguravano uomini
illustri e le istituzioni fiorentine.

Nel 1672, un incendio distrugge numerose opere, che vengono sostituite grazie a diversi interventi.

Sotto Cosimo III, la Galleria subisce un grande ampliamento, che la dota di nuovi spazi destinati agli
autoritratti, ai bronzetti e alle medaglie e di una Fonderia, ovvero la farmacia granducale che comprendeva
anche uno spazio dedicato alle curiosità naturali.

In seguito alla morte dell’ultimo discendente maschio dei Medici, Anna Maria Ludovica dona le collezioni
ai Lorena, i quali entrano in possesso della Toscana, a condizione che queste non venissero spostate dalla
capitale e dal granducato, sancendo il legame tra le collezioni e il luogo dove essere di erano formate.

Nel 1769, il granduca Pietro Leopoldo apre la galleria al pubblico e la riorganizza secondo i criteri dell’
Illuminismo: le raccolte vengono suddivise per tipologia e dotate di spazi specifici.
Egli, inoltre, commissiona un nuovo ingresso che costituiva l’ampliamento della scala attraverso rampe
monumentali che terminavano nel Vestibolo.

Nell’Ottocento vengono costruite 28 statue di marmo che raffiguravano uomini illustri della Toscana e che
vengono sistemate in nicchie architettoniche all’interno della galleria.

Nella seconda metà del XIX secolo, invece, si diffonde la volontà di trasformare la galleria in una

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pinacoteca, motivo per cui molte statue vengono spostate in altri musei e agli Uffizi rimangono soltanto
pitture, arazzi e statue classiche.

Negli anni successivi, gli Uffizi si arricchiscono di nuove opere, tra cui la Nascita di Venere di Botticelli.

Alla fine degli anni ’90 si avanza una proposta di ammodernamento del museo, che tuttavia non avrà seguito
a causa dell’alluvione del 1966.
Il progetto verrà ripreso in seguito con il nome di Nuovi Uffizi e avrà termine nel 2004.

Gli anni 2000 rappresentano un periodo di ulteriore ampliamento della Galleria, che viene dotata di nuove
sale, tra cui:
• Le stanze blu.
• Le stanze rosse.
• Le stanze gialle
• Le sale dei primitivi.

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5. Il museo del Louvre


A differenza degli altri musei aperti al pubblico nel Settecento, il Louvre nasce sulla spinta della
Rivoluzione francese.
Il 26 luglio 1791, l’Assemblea nazionale costituente dichiara l’esproprio dei beni della corona e il 27
settembre 1792 nei palazzi del Louvre viene istituito il Musée Rivolutionnaire, che prenderà poi il nome di
Musée Central des Arts.

Secondo la tradizione, l’edificio che ospita il Louvre era nel Medioevo una fortificazione contro l’invasione
normanna, mentre secondo gli studiosi fu fatto costruire da Filippo Augusto nel 1190.

Nel XIV secolo, Carlo V fa del Louvre la seconda residenza reale.

Francesco I, invece, trasforma il Louvre nella residenza ufficiale dei sovrani francesi, facendo abbattere
parte del vecchio castello e costruendo un palazzo rinascimentale.
Egli era un sovrano molto sensibile all’arte, tanto che nella sua breve vita riesce a costruire una delle più
grandi collezioni di dipinti.

Nel 1563, Caterina de’ Medici fa costruire un nuovo palazzo antistante al Louvre, che prende il nome di
Palazzo delle Tuileries e che verrà collegato al Louvre tramite la Petit Galerie e la Grande Galerie.

Nel corso del Seicento, il collezionismo diventa momento di celebrazione reale: importanti in questo periodo
saranno il cardinale Richelieu, il quale riuscirà a portare in Francia alcune opere d’arte facenti parte dello
studiolo di Isabella d’Este, e il cardinale Mazzarino, il quale importa in Francia numerose opere di artisti
italiani.

Sotto il regno di Luigi XIV, il Louvre si arricchisce non solo di dipinti ma anche di stampe e disegni e viene
trasformato dal ministro Colbert in una galleria di pittura, in seguito alla decisione del sovrano di fare di
Versailles la residenza reale.

Nel 1681, viene approvato il progetto di trasformazione del Louvre in museo, motivo per cui le opere più
degradate vengono sottoposte a restauro, vengono dotate di cornici e di cartellini.

Nel 1792, caduta la monarchia, il Louvre viene trasformato in museo pubblico, quindi tutti i cittadini
dovevano poterne usufruire, e viene posto sotto l’amministrazione di Jacques-Louis David.

Durante il regno di Napoleone III, il museo si arricchisce di nuovi spazi espositivi e di nuove opere d’arte.
Nel 1870, la proclamazione della repubblica fa del Louvre proprietà dello stato e viene ribattezzato Musée
National du Louvre.

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Durante il periodo immediatamente precedente allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, gli
amministratori del Louvre decidono di spostare le collezioni in sedi anonime nella campagna francese, al
fine di tutelarle.
Gli spazi vuoti del Louvre, durante la guerra, fungeranno da magazzini per ospitare le opere d’arte
sequestrate dai nazisti alle famiglie ebree.

Nel 1981, il presidente francese decide di dedicare alla funzione museale tutti gli spazi del Louvre e di
spostare quindi il Ministero delle finanze in un’altra sede.

Il Louvre viene dotato quindi della Pyramide, un nuovo ingresso che illuminava la zona antistante, tutte le
opere datate dopo il 1850 vengono spostate nella Galleria delle Gare d’Orsay e vengono riorganizzate tutte
le collezioni.

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6. Nascita del museo pubblico nel '700


Nel 1737, Anna Maria Ludovica, ultima discendente della famiglia de’ Medici, dona le collezioni medicee
ai Lorena, a condizione che queste non venissero spostate dalla capitale e dal granducato, sancendo il
profondo legame tra le collezioni e il territorio in cui esse si sono formate.

Nel 1769, Pietro Leopoldo apre al pubblico la Galleria degli Uffizi.


Negli stessi anni, eventi analoghi coinvolgono altri Stati europei.

Nel 1749, ser Hans Sloane, all’interno del suo testamento, dichiara la sua volontà di lasciare le sue
collezioni scientifiche a qualcuno che fosse disposto ad acquistarle dai suoi discendenti e a renderle fruibili
al pubblico.
Le collezioni vengono acquisite dal Parlamento inglese, che ne organizza il riallestimento in una sede
appositamente destinata ad ospitarle.
Nel 1759, nasce il British Museum, il primo aperto per conto di un parlamento nazionale.

Nel 1792, Maria Teresa d’Austria concede l’ingresso al Museo del Belvedere di Vienna a “chiunque
indossasse scarpe pulite”.

Il 10 agosto 1793, viene aperto al pubblico il Museo del Louvre. Per la prima volta la destinazione
pubblica non discende da una concessione del sovrano ma da un diritto dei cittadini, ai quali viene
assegnata la proprietà delle collezioni.
Questa acquisizione comporta l’emergere di una concezione museale prettamente illuministica: il museo
come scuola, quindi un museo atto all’educazione dei cittadini.
Per finalità didattiche, dunque, si procede anche alla riorganizzazione e al riallestimento delle collezioni.

Per quanto riguarda la pittura, per esempio, si individuano tre grandi scuole: la scuola francese, la scuola
italiana e la scuola fiamminga.
Le opere afferenti a queste tre scuole vengono dotate di apparati didattici:
• Vengono redatte delle didascalie
• Viene stilato un catalogo, a diretta disposizione dei visitatori, che potevano entrare gratuitamente ogni fine
settimana.

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7. L’istituzione museale durante il Neoclassicismo


Secondo Alessandra Mottola Molfino, l’apertura del Louvre al pubblico trova una spiegazione in parte nelle
ragioni storico-culturali che abbiamo già indicato e in parte nel periodo che tra la fine del Settecento e l’età
napoleonica vede protagonista Roma, interessata dal fenomeno del Neoclassicismo.

Il Neoclassicismo è una nuova sensibilità artistica e culturale che guarda alla classicità come modello da cui
prendere esempio.
Tuttavia, a differenza degli altri movimenti artistici che già in precedenza l’avevano fatto, il neoclassicismo
individua delle epoche e dei momenti specifici.

Due momenti chiave di questo periodo saranno negli anni ’30 del 700 la scoperta di Pompei ed Ercolano,
che porta alla luce numerosi nuovi reperti antichi, e negli anni ’60 la nascita della disciplina della storia
dell’arte con la pubblicazione del testo di Winckelmann intitolato “ Storia dell’arte dell’antichità”.

Un importante precedente per l’apertura del Louvre al pubblico sarà la costruzione di Villa Albani a Roma.
La villa viene costruita per volere del cardinale Albani tra il 1756 e il 1763 allo scopo di conservare le
proprie collezioni artistiche, in particolare le statue dell’antichità, che dovevano trovare posto sotto un
portico.
Alla costruzione contribuiranno proprio Winckelmann e il pittore boemo Mangs, dal cui sodalizio nasce il
Neoclassicismo.

Risulta particolarmente importante, tuttavia, la nascita di una nuova concezione che univa la bellezza alla
rettitudine: per Wincklemann simbolo di questa nuova concezione era l’Apollo del Belvedere, mentre
secondo Piranesi la romanità fu quell’epoca in cui l’antichità si è meglio concentrata sulla rettitudine
morale, ancora prima che culturale, motivo per cui la modernità dovrebbe prenderla come esempio.

Epicentri del Neoclassicismo sono Roma e Parigi, mentre gli esponenti più importanti Antonio Canova e
Jacques- Louis David.

Antonio Canova viene nominato ispettore generale delle Belle Arti nello Stato Pontificio e a lui viene
affidato il problema della tutela dei beni culturali in seguito alla scoperta di Pompei ed Ercolano.

Nell’opera di Jacques-Louis David, intitolata “Giuramento degli Orazi”, che diventa simbolo del
neoclassicismo, l’artista non raffigura il momento della lotta bensì quello in cui gli Orazi giurano sulle spade
tenute dal padre: da quest’opera emerge l’esempio di una classicità simbolo di austerità e rigore.

Alla fine del ‘700, ha luogo uno dei più importanti riallestimenti museografici del secolo, ovvero quello
che interessa il Cortile Ottagono nel Museo Pio Clementino in Vaticano.

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Il Cortile Ottagono era uno spazio espositivo in cui era possibile fruire delle opere d’arte insieme alla
struttura architettonica e alle piante presenti. Gli architetti erano Michelangelo Simonetti e Giuseppe
Camporesi, i quali costruiscono il Braccio nuovo nei Musei Vaticani impostandolo secondo il modello della
galleria (lungo corridoio sui cui lati le nicchie architettoniche ospitano le statue classiche) e la Sala della
Rotonda ancora nel Museo Pio Clementino.

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8. L’età napoleonica e la nascita dei musei civici in Italia


Con l’ascesa al trono di Napoleone Bonaparte, il Louvre comincia a incamerare molte opere d’arte
appartenenti ai territori conquistati, diventando il simbolo della potenza militare francese.

Molti esprimeranno il proprio disappunto, sottolineando il profondo legame tra le collezioni e il territorio nel
quale essere nascono e si formano.

L’Italia sarà uno tra i Paesi più colpiti da queste spoliazioni e a partire dal 1796 perderà numerose importanti
opere d’arte, tra cui l’Apollo del Belvedere e la Venere dei Medici. Ne consegue una profonda modifica del
territorio e della futura geografia museale. A giovarne saranno solo i cosiddetti “primitivi”, ovvero gli
artisti prerinascimentali che otterranno il giusto riconoscimento soltanto in seguito alle spoliazioni
francesi.

Nel 1797, il Trattato di Tolentino permette il trasferimento da Roma di ulteriori opere d’arte, che arrivano a
Parigi l’anno seguente mediante un corteo di trionfo e vengono destinate al Louvre, allo scopo di
documentare visivamente l’esito delle conquiste militari. Nel 1804, il Louvre viene rinominato Musée
Napoleon.

In Italia importanti conseguenze ha anche la soppressione degli ordini religiosi e delle congregazioni minori,
che comporta la requisizione di ulteriori opere.

Per quelle rimaste sul territorio italiano verranno fondate nuove istituzioni museali, in cui, per la prima
volta, le collezioni appartengono alla comunità civica, quindi sono più accessibili per i cittadini, gli studiosi
e gli artisti.

Tra queste nuove istituzioni:

La Pinacoteca di Brera a Milano, che doveva rinforzare il luogo di capitale ottenuto in seguito alle
conquiste francesi e rispondeva alla missione di autocelebrazione del potere promossa da Napoleone. Poiché
il palazzo originario non riusciva a contenere tutte le collezioni, si decise di usufruire della chiesa gotica di
Santa Maria di Brera, inaugurata nel 1809. Nel 1812 viene invece pubblicato il catalogo della pinacoteca.

La Pinacoteca di Bologna, nata su ispirazione dell’Accademia del naturale dei Carracci e ribattezzata poi
Accademia clementina. Durante l’epoca napoleonica viene soppressa e rifondata con il nome di Pinacoteca
Nazionale.

Le Gallerie dell’Accademia di Venezia, nate nel 1807 grazie a Pietro Edwards, il quale nel 1771 diventa
direttore del restauro delle opere pubbliche.

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Il Museo di Castelvecchio di Verona.

Nel 1814, con la sconfitta di Waterloo, l’impero napoleonico crolla e inizia il periodo della Restaurazione.
Il Louvre torna più o meno alle dimensioni precedenti le campagne napoleoniche e le opere requisite ai
Paesi conquistati vengono restituite.

In Italia nasce una nuova tipologia di museo, il “museo del ricovero”, che prende poi il nome di museo
civico.
All’interno dei musei civici vengono ospitate non solo le opere restituite dalla Francia dopo la sconfitta di
Napoleone ma anche le donazioni dei collezionisti privati.

Il museo civico è dunque un museo aperto al pubblico che viene organizzato e gestito autonomamente dalle
comunità civiche, allo scopo di conservare e rendere fruibile il patrimonio artistico, soprattutto locale.

Importanti musei locali nascono in Lombardia:

L’ Accademia Carrara di Bergamo, il cui nucleo originario era costituito dalle collezioni che Giacomo
Carrara lascia all’Accademia del disegno da lui stesso fondata, a cui si aggiunsero poi le collezioni Lochis e
Morelli.

Galleria Palatina, aperta al pubblico nel 1833 grazie al granduca Pietro Leopoldo all’interno del progetto di
razionalizzazione delle collezioni: a Palazzo Pitti e agli Uffizi andarono le opere di pittura e scultura, mentre
le gemme e le attestazioni naturali andarono a costituire il primo nucleo di quello che sarebbe diventato il
Museo di storia naturale.

Museo Correr di Venezia, il cui nucleo originario è rappresentato dalle collezioni del duca Correr, nate da
una passione per la civiltà artistica veneziana.

La Galleria Estense, aperta nel 1854 nella storica sede del Palazzo Ducale e poi spostata nel Palazzo dei
Musei. Le collezioni riflettono il gusto degli Estensi per la pittura, la scultura, le arti grafiche e decorative.

La Pinacoteca Vaticana, che si forma nel 1816 negli appartamenti Borgia e la cui restituzione delle opere
fu possibile grazie alla diplomazia di Canova.

Il Braccio Nuovo, costruito nei Musei Vaticani da Michelangelo Simonetti e Giuseppe Camporesi secondo
la tipologia della galleria: si presenta dunque come un lungo corridoio sui cui lati grandi nicchie
architettoniche ospitano le statue classiche. Il Braccio Nuovo costituisce l’unica architettura costruita ex
novo in questo periodo in Italia appositamente per ospitare le collezioni.

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9. Il museo dell’Ottocento in Germania


Tra la fine del Settecento e l’Inizio dell’Ottocento, la Germania vede la nascita di nuovi edifici basati sui
criteri dell’ architettura neoclassica: edifici con funzione civile e sociale, ma soprattutto musei.

Il primo tra questi è il Museum Fridericianum, costruito a Kassel tra il 1769 e il 1779.

Protagoniste di questo periodo saranno due città in particolare, ovvero Monaco di Baviera e Berlino.

A Monaco, l’architetto protagonista è Leon Von Klenze, il quale costruisce la Glyptothek e l’ Alte
Pinakothek.

La Glyptothek vede all’esterno un’architettura prettamente neoclassica, mentre all’interno una sensibilità
più strettamente storicistica.
Per esempio, la Sala del Fauno Barberini è caratterizzata da pavimenti e pareti affrescate con scene della
storia dell’architettura che esulano da quella classicista.

L’Alte Pinakothek, invece, per quanto riguarda l’architettura, ha l’aspetto di un palazzo rinascimentale.

A Berlino, Schinkel costruisce l’Altes Museum, che contribuisce alla nascita di una nuova concezione di
museo.
Dal punto di vista architettonico, gli elementi sono quelli tipici neoclassici (all’interno, per esempio, la Sala
della Rotonda costituisce un importante riferimento al Pantheon), ma cambia il modo in cui questi vengono
usati e il significato che viene loro dato. Per esempio, l’ordine gigante utilizzato rompe il principio di
equilibrio che Winkelmann considerava alla base del neoclassicismo, avvicinando il museo alla filosofia
idealista.

Emerge il concetto di museo-tempio: museo-tempio sia perché vicino all’architettura tipica dei templi, sia
perché considerato luogo sacro dell’arte.
In virtù di questo emerge anche un nuovo pubblico a cui il museo è destinato, rappresentato da una élite di
tipo culturale.

Se nel ‘700 il pubblico è la massa indistinta del periodo rivoluzionario, che si vede riconosciuto il diritto a
fruire delle collezioni d’arte, nell’800 il museo-tempio è indirizzato a una élite di persone che all’interno di
esso hanno la possibilità di coltivare i propri interessi.
Contro questa concezione di museo nascerà una forte opposizione tra la fine dell’800 e l’inizio del 900.

L’Altes Museum è il primo dei tanti musei che sorgono nella cosiddetta Isola dei Musei di Berlino,
collocata al centro della città nella parte settentrionale e recentemente dichiarata patrimonio dell’umanità.

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Nel 1855 sorge il Neues Museum, su progetto dell’architetto Stuler, che viene pressoché completamente
distrutto dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e rimane in condizioni di devastazione fino ai
primi anni 2000, quando il progetto di ricostruzione viene affidato a David Chipperfield. L’architetto
procede attraverso un’opera di inglobamento di ogni singola maceria all’interno del nuovo edificio, ma non
ricostruisce fedelmente quello originario, scegliendo uno stile di tipo contemporaneo. Nonostante molti
abbiano manifestato il proprio disappunto nei confronti di questo intervento, la critica l’ha ritenuto tra i più
rispettosi della storia dei musei.

Nel 1874 sorge invece l’Alte Nationalgallerie, in concomitanza con la diffusione del movimento
impressionista in Francia. L’Alte Nationagallerie sarà infatti la prima istituzione museale ad ospitare una
collezione aggiornata di arte impressionista.

Tra il 1896 e il 1903, nasce il Bode Museum, inizialmente chiamato Kaiser Friedrich Museum e poi in
seguito ribattezzato con il nome del fondatore. Dal punto di vista architettonico, questo museo presenta un
aspetto più eclettico, che si avvicina ai canoni del barocco tedesco.

Nel 1930 sorge il Pergamon Museum, che prende il nome da una delle più importanti testimonianze
dell’antichità presenti al suo interno, ovvero l’altare di Pergamo. L’opera fu trasportata in Germania grazia
al consenso del sultano turco e mentre la parte superiore rappresenta una riproduzione dell’opera originaria,
il fregio sottostante è quello originario.

In epoca moderna, spoliazioni di questo tipo non sono più universalmente concepite e concesse, in quanto
prevale il riconoscimento dell’importanza del legame che le collezioni hanno con il territorio dove sono nate
e a cui quindi appartengono.

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10. I musei in Inghilterra


A partire dalla seconda metà del ‘700 in Inghilterra sorgono importanti istituzioni museali.

Il British Museum nasce a Londra 1759, in seguito alle volontà testamentarie di Ser Hans Sloane e
all’acquisizione da parte del Parlamento inglese delle sue collezioni, che comprendevano anche quello che
sarà il nucleo originario della British Library. Nel 1823 iniziano i lavori per la nuova sede del museo, sede
che occupa ancora oggi: dal punto di vista architettonico lo stile è quello neoclassico, ma al suo interno sono
presenti importanti differenziazioni dovute al corso degli anni.

Importante è la sala costruita da John Russel Pope per ospitare i fregi e le sculture del Partenone.

All’interno del British Museum è ospitata anche la Stele di Rosetta, rinvenuta durante le campagne
napoleoniche in Egitto e a lungo contesa tra Francia e Inghilterra.

Nel 2000, all’interno del museo trova posto la Queen Elisabeth II Great Court, la più grande piazza al
coperto del mondo, che prende il posto della zona che ospitava il primo nucleo della British Library.

La Queen Elisabeth II Great Court soppianta la concezione ottocentesca del museo-tempio, sostituendola
con il concetto di museo-forum: in epoca romana il forum rappresentava il luogo della vita collettiva e il
museo-forum ha come obiettivo quello di diventare un luogo di socializzazione per le persone che ne
usufruiscono.

La National Gallery viene costruita invece tra il 1831 e il 1838 davanti a Trafalgar Square, punto
nevralgico della Londra contemporanea. Sul piano architettonico il modulo di riferimento è sempre quello
neoclassico, ma il museo ha subito nel tempo alcuni ampliamenti, tra cui la costruzione della Sansbury
Wing: lo stile in questo caso è più prettamente contemporaneo, ma non entra in contrasto con l’edificio
principale.

Nel 1851, Londra ospita la prima esposizione universale, in occasione di cui viene costruito per ospitarla il
Crystal Palace.
Le esposizioni universali nascono come esposizioni atte a mostrare gli esiti dei prodotti dell’industria e della
modernità e contribuiscono all’emergere di una problematica ancora oggi attuale, ovvero quella dei rapporti
tra arte e industria.
La costruzione del Crystal Palace viene affidata all’architetto Richard Paxton: i materiali utilizzati non sono
materiali tradizionali, ma vetro e ferro, che vanno a costituire una sorta di enorme serra interamente vetrata.
Siamo agli albori di quella che verrà denominata in modo dispregiativo “architettura degli ingegneri”, che
raggiungerà l’apice con la costruzione a Parigi della Tour Eiffel in occasione di un’altra esposizione
universale.

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Nel 1852 sorge invece il primo Museo dell’Industria, allo scopo di esporre i prodotti dell’industria e
renderli fruibili esattamente come le opere d’arte nei musei artistici.
Viene successivamente trasferito prima nel South Kensington e poi in Cromwell Road, dove diventa il
Victoria and Albert Museum, il primo museo dedicato al rapporto tra le arti maggiori e le arti applicate.

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11. L’Italia tra Ottocento e Novecento


Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, in Europa si apre il dibattito sulla funzione del museo e
sull’istituzione di un forum internazionale sulla museografia.
L’Italia risulta poco partecipe al dibattito, in quanto, come spiega l’allora ispettore superiore delle Belle
Arti, aveva il dovere di rispettare le tradizioni in termini storici delle singole province della penisola.
In Italia, infatti, prevale la tendenza a riutilizzare i palazzi storici per convertirli alla funzione museale.
Le uniche eccezioni saranno il Palazzo delle Esposizioni e la Galleria Nazionale di Arte Moderna.

Il Palazzo delle Esposizioni


Il Palazzo delle Esposizioni viene costruito tra il 1877 e il 1883 a Roma, su progetto di Pio Placentini.
Non si tratta di un vero e proprio museo, ma di uno spazio espositivo senza collezione in cui vengono
ospitate numerose mostre d’arte e manifestazioni.
A partire dal 1927, il palazzo diventa la sede delle mostre della Fondazione della Quadriennale d’Arte.
Il Palazzo delle Esposizioni è situato in Via Nazionale e la sua costruzione rientrava nel progetto d
riqualificazione urbana che prendere avvio in seguito al trasferimento della capitale da Firenze a Roma.
Il progetto di Placentini prevede, all’esterno, una facciata priva di finestre e dotata di un arcone trionfale, in
cui le pareti sono scandite da lesene che ospitano le statue; la mancanza di finestre permette l’esistenza
all’interno di grandi pareti per l’esposizione delle opere. All’interno, la pianta è caratterizzata dalla
convergenza di 6 ampie sale su una rotonda centrale decorata in stucchi e cassettoni. Lo stile di Placentini
viene considerato molto lontano da quello nazionale e influenzato invece dallo stile francese.

Nel 1883, in Italia si tiene la prima Mostra Internazionale di Belle Arti, in cui traspaiono motivazioni di
tipo politico e un mutato clima culturale: le opere d’arte sono infatti perlopiù opere di pittura
commemorativa, celebrativa e storica, i cui soggetti sono presi dall’età romana.
Per molti anni la sede della Mostra sarà il Palazzo delle Esposizioni per conto della Società degli Amatori e
dei Cultori di Belle Arti.

Negli anni successivi, si manifestano diversi tentativi di ammodernamento della società:


• nel 1895 nasce la Biennale di Venezia, che comincia a svolgere il ruolo di vetrina internazionale.
• Tra il 1913 e il 1916 nasce l’Esposizione Internazionale d’Arte della Secessione.

Tra le esposizioni più famose che vengono ospitate dal Palazzo delle Esposizioni:

• La Mostra della Rivoluzione fascista, promossa dal partito nazionale fascista in occasione
dell’anniversario del decennale della marcia su Roma. I lavori di preparazione vengono sottoposti
all’approvazione del duce e la mostra assume intenti prettamente propagandistici e celebrativi.
I lavori prevedevano anche la sostituzione della facciata con una struttura geometrica di colore rosso, sui cui
lati spiccavano due X di lamiera alte 6 metri che indicavano il decimo anno dell’era fascista. Davanti alla

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struttura quattro fasci metallici alti 25 metri.

• La Mostra augustea per la romanità, anch’essa promossa dal partito fascista, che riteneva l’età romana il
periodo a cui l’Italia fascista dovesse guardare come esempio.

Nel corso degli anni, il Palazzo delle Esposizioni va incontro a diversi interventi di ristrutturazione, in
particolare nel secondo dopoguerra, quando l’edificio risulta praticamente in decadenza.
Dopo un ulteriore intervento di restauro, nel 1990 il Palazzo riapre con diverse mostre, tra cui quella su
Peter Paul Rubens e Mario Schifano.

Nel 1927, nasce la Quadriennale di Roma all’interno del Palazzo delle Esposizioni, allo scopo di
promuovere l’arte contemporanea italiana. Oggi trova sede invece all’interno di Villa Carpagna.
La prima Quadriennale, definita da Mussolini “storica”, ottiene un grande successo di critica e di pubblico.
Nel 1937, ottiene lo status di ente autonomo e un proprio statuto, ma si svolge accompagnata
dall’intromissione politica, un forte clima di guerra e una crisi di tipo artistico.

La Quadriennale che si svolge immediatamente dopo la fine della guerra viene ospitata dalla Galleria
Nazionale d’Arte Moderna, in quanto il Palazzo delle Esposizioni risulta troppo danneggiato dagli eventi
bellici e necessita perciò un intervento di restauro.

La Galleria Nazionale d’Arte Moderna


La Galleria Nazionale d’Arte Moderna nasce ne 1883, quando il nuovo stato unitario comincia a guardare
verso un’arte di tipo nazionale.
Il primo ad ospitarla sarà il Palazzo delle Esposizioni, ma dal 1915 le collezioni vengono spostate
nell’edificio di Cesare Bazzani.
Il criterio di allestimento prevede l’acquisto di opere d’arte durante la Biennale di Venezia o le mostre
nazionali: i primi acquisti sono rappresentati da opere del Verismo, del Simbolismo e del Decadentismo.
Le collezioni, tuttavia, crescono grazie alle donazioni di opere di pittori ottocenteschi.

Fino al 1945, gli spazi vuoti della galleria ospitano i cimeli della mostra fascista.

Nel 1941, la Galleria ottiene lo status autonomo della soprintendenza e passa sotto la direzione di Palma
Bucarelli, la quale la dota di tutti quegli apparati tecnologici necessari per un’istituzione museale moderna:
incontri con gli autori, biblioteca, libreria, caffetteria, apparati didattici.

Durante il secondo conflitto mondiale le collezioni vengono ricoverate all’interno di Palazzo Farnese e
Castel Sant’Angelo.
Finita la guerra, la Galleria riapre in seguito a un importante intervento di restauro e allo smantellamento
della mostra fascista.

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Nel 1975 nasce il Ministero dei Beni culturali, che la priva dell’autonomia nelle acquisizioni.

Negli anni successivi, la Galleria collabora con la scuola universitaria di Roma e organizza importanti
mostre, tra cui quella su Picasso, Mondrian, Fontana e Manzoni.

Gli anni ’60 sono finalizzati al completamento della collezione afferente al XX secolo e con la nascita del
MAXXI, le cui collezioni sono afferenti invece al XXI secolo, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna
acquista il titolo di “museo madre”.

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12. I musei negli Stati Uniti d’America


Nei primi decenni dell’Ottocento, negli Stati Uniti d’America nascono le prime istituzioni museali, prima fra
tutte il Paele Museum di Baltimora.

La genesi dei musei statunitensi è tuttavia molto diversa da quella dei musei europei. Mentre in Europa i
musei nascono dall’acquisizione da parte dello Stato di collezioni d’arte e dalla decisione di renderle fruibili
al pubblico, la genesi e la conseguente gestione dei musei negli Stati Uniti è di tipo privatistico: i musei
statunitensi nascono dalla decisione di collezionisti privati di donare le proprie collezioni alla comunità,
dotandole di un edificio e di un fondo finanziario.
Il fondo finanziario è gestito da un organo appositamente istituito, che può investirlo in ambiti che non sono
necessariamente afferenti all’ambito museale, mentre i proventi devono essere utilizzati per il finanziamento
del museo stesso.

Il motivo che sta alla base di questa profonda differenza è legato alla storia stessa dei due Paesi, in quanto
mentre per esempio i musei italiani vi è una continuità con il paesaggio naturale e antropico, negli Stati Uniti
questo non succede perché la loro storia è abbastanza recente.
Da ciò derivano tutta una serie di problematiche di contestualizzazione, decontestualizzazione e problemi di
natura gestionale.

Anche dal punto di vista legislativo, mentre in Italia il Codice dei Beni culturali e il Codice Civile Italiano
affermano l’inalienabilità delle collezioni, negli Stati Uniti un museo può decidere di vendere le opere d’arte
per acquistarne altre che ritiene più coerenti con la propria collezione.

Sono numerosi anche i musei che, dal punto di vista architettonico, rispettano i canoni neoclassici: per
esempio, il Philadelphia Museum of Arts e il Minneapolis Institute of Arts.

Il Metropolitan Museum di New York, invece, presenta uno stile eclettico, evidente particolarmente sul
lato della 5th Avenue.

Per quanto riguarda la contestualizzazione, i museografi americani hanno ideato la formula della period
room, ovvero un metodo grazie a cui è possibile ricreare l’epoca a cui le collezioni appartengono. Per
esempio, il Metropolitan Museum possiede una sede staccata chiamata The Cloisters, che rappresenta
l’esatta riproduzione di un chiostro medievale, in cui trovano posto collezioni d’arte medievale.

Famoso è anche l’Isabella Stewart Gardner Museum, una casa-museo che, per volere della collezionista,
è rimasta nelle esatte condizioni in cui era quando la collezionista era in vita.

Quindi, se da una parte gli Stati Uniti cercano di rimanere al passo con la storia museale europea, dall’altra

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tentano di costruirsi una propria identità.

Anche se dal punto di vista gestionale i musei statunitensi seguono un sistema di tipo privatistico, ciò non
significa che non esistano organi di riferimento, tra i quali il più importante è il Smithsonian Institute.
Oggi, a questo organismo rispondono circa 19 musei, la Smithsonian Library e gli archivi di arte
contemporanea americana.

Tale gestione privatistica del patrimonio culturale è una pratica non solo largamente apprezzata ma anche
fortemente sostenuta dal punto di vista finanziario: i collezionisti che decidano di donare le proprie
collezioni ottengono da una parte maggiore prestigio sociale e dall’altra agevolazioni finanziarie.

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13. Il Museum of Modern Art di New York


Nel 1929, a New York, viene istituito il MOMA (Museum of Modern Art), grazie a un gruppo di mogli di
importanti mecenati.
La moglie di Rockfeller, in particolare, donerà l’edificio su cui verrà costruito il museo.

La costruzione del MOMA è importante soprattutto perché per la prima volta si ha una perfetta
corrispondenza tra il linguaggio architettonico e le collezioni ospitate all’interno del museo: il movimento di
riferimento è il movimento modernista, che nasce in Europa e trova i suoi padri fondatori in Le Corbusier,
Walter Gropius e Mies Van Der Rohe.
Il linguaggio modernista è un linguaggio razionale e funzionale, che si pone come obiettivo quello di
plasmare l’architettura e l’urbanistica della città.

Nel corso degli anni, il museo è soggetto diversi interventi, tra cui il più importante sarà la costruzione del
cosiddetto “giardino delle sculture” di Philip Johnson.

Il grande prestigio di cui il museo tuttora oggi gode è dovuto in particolare alla figura del suo primo
direttore, Alfred Barr: divenuto direttore all’età di 24 anni, egli organizza importanti esposizioni che nel
corso degli anni contribuiscono all’affermazione del MOMA a livello internazionale.

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14. La Fondazione Gugghenaim


Nella seconda metà del 900, protagonista dello scenario artistico mondiale sarà la Fondazione Gugghenaim
.

Tra il 1953 e il 1959, viene istituito il Solomon Gugghenaim Museum, costruito su progetto di Frank
Llyod Wright secondo il linguaggio della cosiddetta “architettura organica”: questo linguaggio prevede
edifici organicamente concepiti nel loro insieme e rispetto all’ambiente che li ospita.

Il museo prende il nome dal collezionista Solomon Gugghenaim, le cui collezioni si formano con la
collaborazione della baronessa tedesca Hilla Rebay, grande conoscitrice dell’arte d’avanguardia del XX
secolo.

Il nucleo originario del museo era costituito dalle collezioni di Kandinskij, inventore dell’astrattismo, ed
era ospitato da una sede diversa rispetto a quella che lo ospita oggi: l’allestimento, ideato dalla baronessa
Rebay, prevede la sistemazione delle opere in basso e uno stile neutrale sia per quanto riguarda i pavimenti
sia per quanto riguarda gli arredi; l’atmosfera creata, accompagnata in sottofondo dalle melodie di Bach, è di
totale contemplazione.
Questo primo embrione di museo prendeva il nome di “museo della non-oggettività”.

Con il tempo la collezione si è ampliata, abbracciando stili che non afferiscono esclusivamente
all’astrattismo e richiedendo di conseguenza una nuova sede e un nuovo nome.

Il museo costruito da Wright, sia esternamente sia internamente, richiama una grande spirale continua che
si pone in modo molto scenografico all’interno del panorama urbanistico e che viene concepita per essere
percorsa dall’alto verso il basso. Molti artisti hanno tuttavia ritenuto che il progetto di Wright fosse poco
funzionale al ruolo che il museo dovrebbe ricoprire, cioè quello di spazio espositivo (le pareti curve, per
esempio, sono poco funzionali all’esposizione dei quadri), mentre altri hanno raccolto la sfida di dialogare
con esso attraverso installazioni al suo interno di grande impatto scenografico.

Il Solomon Gugghenaim Museum è importante principalmente per due ragioni:


• Emerge per la prima volta il problema del rapporto tra contenente e contenuto.
• È il primo museo della Fondazione Gugghenaim, destinata a diventare con il tempo una vera e propria
multinazionale.

Nel corso degli anni, la Fondazione Gugghenaim apre diverse filiali nei vari continenti.

A Venezia, per esempio, sorge la Peggy Gugghenhaim Collection, che ospita per lo più opere afferenti al
surrealismo. In realtà, Peggy Gugghenaim aveva aperto prima una galleria a Londra e New York,

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quest’ultima operativa fino agli anni ’40.

La personalità della collezionista ha una grande influenza non solo sulla collezione ma anche sulla sede che
la ospita, ovvero un palazzo storico del ‘700 che rappresenta anche la dimora della collezionista: nel
giardino esterno trovano posto le statue, mentre le opere d’arte sono collocate in un ambiente della
quotidianità, seppur sui generis.

Significativo è anche il Gugghenaim Museum di Bilbao, costruito da Frank O’Gery nel 1998: la struttura
ha un grande impatto scenografico ed è costituita interamente da lame di titanio, che fanno del museo sede
delle collezioni d’arte e opera d’arte allo stesso tempo. Anche in questo caso emerge la problematica dei
rapporti tra il contenente e il contenuto, in quanto molti hanno ritenuto che la grandiosità della struttura
architettonica distolga l’attenzione dalle opere d’arte ospitate, che entrano in competizione anche con le
installazioni che O’Gery ha sistemato all’interno del museo.

Il Gugghenaim Museum è inoltre diventato il punto focale dell’economia locale che, all’epoca della sua
costruzione, stava affrontando un periodo di dura crisi. Il museo ha dunque permesso la riqualificazione del
territorio sia sul piano economico sia sul piano culturale.

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15. Il Kimbell Art Museum


All’interno del panorama architettonico statunitense dei primi decenni del ‘900, figura eterodossa e
totalmente lontana dalla ricerca della spettacolarità è quella di Louis Kahn, che nella località texana di
Forth Worth progetta il Kimbell Art Museum.
Kahn aveva una profonda ammirazione vero l’architettura classica, di cui reinterpreta i canoni.

Al Kimbell Art Museum si accede anzitutto percorrendo un piccolo bosco, poi l’edificio è basato su una
sequenza paratattica di alcuni ambienti basati sulla tipologia della galleria: l’esterno e gli ambienti interni
sono pensati in modo funzionale all’esposizione delle opere d’arte e alla ricerca dell’assoluta sobrietà, tanto
che la luce che pervade l’edificio è quella naturale proveniente dalle finestre.

Nel corso degli anni, il museo non è stato sottoposto ad alcun intervento di ampliamento, se non in termini
recentissimi con la costruzione di una nuova ala ad opera dell’architetto Renzo Piano.
Luis Kahn aveva infatti predisposto che, se l’intervento di ampliamento fosse avvenuto, non si fosse trattato
di un intervento sull’edificio da lui costruito ma di una nuova costruzione.

Gli anni ’30 e ’40 sono gli anni che vedono l’emigrazione di tantissimi artisti europei verso gli Stati Uniti, in
seguito all’affermazione in Europa dei regimi totalitari e quindi all’emergere della necessità di sfuggire chi
alle leggi razziali e chi alla censura.

Nel 1933, per esempio, Hitler procede alla chiusura della Bahuaus e in seguito all’istituzione della
cosiddetta “mostra dell’arte degenerata”, una mostra itinerante che tocca diverse città della Germania ed
espone le opere d’arte “degenerate” accanto ai volti di persone con disabilità o menomazioni fisiche e
psichiche.

Tra gli artisti costretti ad emigrare vi è Costantino Nivola, il quale trova rifugio negli Stati Uniti in quanto la
moglie era tedesca ma di religione ebraica.

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16. Il Centre National d’Arte e Culture George Pompidou


Il Centre National d’Arte e Culture George Pompidou viene costruito tra il 1976 e il 1977 per volere del
presidente francese Pompidou, su progetto di Renzo Piano e Richard Rogers.

Dalla collaborazione di questi due architetti emerge la perfetta sintesi tra la cultura museale europea e
statunitense e il definitivo ingresso nella contemporaneità.
Il Centre Pompidou rappresenta anche il connubio tra la concezione di museo-tempio e quella di museo-
forum.

Il museo ospita un’ampia collezione di arte moderna e contemporanea, che restituisce alla Francia quel ruolo
centrale all’interno del panorama museale che aveva perso con l’emigrazione di artisti e architetti verso gli
Stati Uniti tra gli anni ’30 e ’40.

Oltre agli spazi espositivi, il Centre Pompidou è dotato di spazi didattici dedicati alle arti performative, al
teatro e al cinema e di un archivio bibliografico.

Dal punto di vista architettonico, il museo si presenta come una grande macchina, grazie all’utilizzo di
materiali assolutamente moderni e grazie alla presenza di scale mobili esterne che contribuiscono alla
creazione di un percorso dinamico.
Varcata la soglia del museo, i visitatori si ritrovano all’interno di un forum, che è allo stesso tempo spazio di
accoglienza e di orientamento, dove hanno la possibilità di passare il tempo e scegliere quali spazi visitare.
Questa scelta è dovuta sia alla necessità di attirare un pubblico quanto più ampio possibile sia alla necessità
di diversificazione dei target museali.
Saper conciliare questi due aspetti senza venir meno alla qualità della propria offerta museale è una delle
problematiche più diffuse dei tempi moderni.

Per esempio, il Metropolitan Museum di New York ha affrontato in tempi recenti un periodo di involuzione
rispetto alla propria offerta museale, ospitando mostre Blockbuster che non hanno avuto un grande successo
né di critica né di pubblico.

Il Centre National d’Arte e Culture George Pompidou rappresenta il primo grande progetto che coinvolge
l’architetto Renzo Piano, di origini genovesi e oggi uno dei più grandi architetti a livello mondiale. Tra le
sue progettazioni più importanti, vi sono il MUSE (Centro scientifico di Trento) e il Paul Klee Museum di
Berna.

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17. Il Musée d’Orsay


Negli anni ’80, in Francia si verificano due importanti eventi all’interno del panorama museale:

Costruzione della Pyramide, nuovo ingresso del Louvre che porta i visitatori in un corridoio sotterraneo da
cui poi vengono indirizzati nei vari spazi del museo. La Pyramide rappresenta l’ingresso del Louvre nella
contemporaneità.

Apertura del Musée D’Orsay, restaurato e allestito da Gae Aulenti nel 1986 allo scopo di ospitare la
collezione d’arte impressionista.
Il museo è ospitato all’interno di una stazione ferroviaria dell’800, caduta in breve tempo in disuso. È
significativo il fatto che la sede del museo sia una stazione ferroviaria, in quanto il movimento
impressionista, le cui collezioni caratterizzano il Musée d’Orsay, era attento alla rappresentazione non solo
del paesaggio naturalistico ma anche di quello urbano: le stazioni ferroviarie, per esempio, erano tra i
soggetti preferiti di Monet.
L’ordinamento museale prevede, oltre alle collezioni d’arte impressionista, collezioni antecedenti a queste e
collezioni che da esse hanno ereditato i tratti caratteristici.

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18. Inalienabilità delle collezioni, le funzioni museali, le


professionalità museali
Gli elementi costitutivi di un museo sono la collezione, il pubblico, il personale e la sede.

La collezione
La collezione è l’elemento principale del museo, in quanto ne determina la natura e le dimensioni, ed è
tendenzialmente inalienabile in quanto elemento che viene preservato per le generazioni presenti e future.

In Italia, l’inalienabilità delle collezioni è normata dal Codice Civile Italiano e dal Codice dei Beni
Culturali, che stabiliscono:
• Che l’inalienabilità è assoluta per le collezioni pubbliche.
• Che sono invece TENDENZIALMENTE inalienabili le collezioni rette da diritto privato.

Quindi, anche se un museo non è giuridicamente pubblico o statale, le collezioni sono alienabili soltanto in
occasioni eccezionali.
La normativa italiana è anche molto rigida per quanto riguarda la conservazione e la tutela delle collezioni,
in quanto ritiene il legame che queste hanno con il territorio in cui si sono formate elementi imprescindibili.

Le funzioni del museo si distinguono in due grandi classi:


• Funzioni orientate verso la collezione.
• Funzioni orientate verso il pubblico.

Le funzioni orientate verso la collezione sono:

• Collection management, quindi tutto ciò che concerne la gestione del museo.

• Collection care, che rientra nella curatela e prevede le fasi di studio e ricerca, documentazione,
conservazione ed esposizione. Lo studio è la fase preliminare da cui nessuna istituzione museale che
funzioni può prescindere, mentre per quanto riguarda la documentazione si fa riferimento al catalogo e
all’inventario.
Quando un’opera d’arte entra a far parte di una collezione le viene assegnato un numero di inventario, che la
identifica in maniera univoca.
Il catalogo è la schedatura scientifica delle collezioni, un’operazione che segue degli standard specifici e
che ci deve restituire non solo le informazioni sulla storia dell’opera d’arte, ma anche la sua conformazione
fisica e soprattutto il suo stato di conservazione.
In merito alla catalogazione, nel 1923 il Regno d’Italia emette un decreto regio sulla catalogazione, mentre
nel 1927 emette il regolamento per la conservazione e la contabilità dei beni culturali e dei reperti

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archeologici, bibliografici e scientifici.
Nel 1969 nasce in Italia l’Ufficio Centrale del Catalogo, che nel 1975 prende il nome di Istituto Centrale del
Catalogo e la Documentazione. Questo istituto formula le norme che devono essere universalmente accettate
e seguite da tutte le istituzioni museali, che devono potervi accedere.
Oggi sia l’inventario sia il catalogo sono operazioni gestite in maniera totalmente informatizzata, mentre
prima erano entrambi redatti manualmente.

• Ordinamento: tutto ciò che riguarda le decisioni afferenti alle collezioni, dalla loro selezione interna alla
loro organizzazione nel museo.

• Allestimento: applicazione pratica dell’ordinamento.

Il personale
In un museo che funziona, ordinamento e allestimento, e di conseguenza le figure di riferimento del curatore
e del museografo, devono essere complementari.

Professionalità museali orientate verso la collezione:


• Il direttore, il quale ha la responsabilità a 360° di tutto ciò che succede all’interno del museo.
Nei musei piccoli può coincidere con il curatore della collezione.
• Il curatore, il quale si occupa dell’ordinamento delle collezioni. Nei grandi musei possono esserci tanti
curatori quante sono le collezioni, mentre nei musei piccoli curatore e direttore possono coincidere. Il
curatore è una persona necessariamente specializzata, per esempio uno storico dell’arte o un archeologo, a
seconda della natura delle collezioni.
• Il museografo, cioè colui che si occupa dell’allestimento.
• Il restauratore, il quale segue delle norme universalmente riconosciute che fanno riferimento all’Istituto
Superiore per la Conservazione e il Restauro. I grandi musei hanno dei restauratori assunti stabilmente,
mentre i musei piccoli si appoggiano a liberi professionisti che periodicamente svolgono il monitoraggio
delle collezioni.
• Il registrar, figura recentissima che si occupa dello spostamento delle collezioni sia all’interno della sede
museale sia in altre sedi, in occasione per esempio di mostre temporanee.
Egli è responsabile di tutto ciò che concerne lo spostamento dell’opera, quindi della sua assicurazione, della
ditta che si occupa del trasporto e di tutti gli accorgimenti necessari al mantenimento dell’integrità
dell’opera d’arte.

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19. Differenza tra tutela e conservazione


Quando si parla di tutela delle collezioni s’intende quell’operazione culturale che ha come obiettivo quello
di preservare i beni culturali per le generazioni presenti e future.

La conservazione è invece quella funzione che più propriamente ha come obiettivo quello di preservare la
fisicità, l’integrità del bene culturale.
In particolare, la conservazione preventiva comprende tutti quegli accorgimenti che il museo
quotidianamente deve seguire per far sì che l’opera d’arte non venga danneggiata o rubata.
Questi accorgimenti variano ovviamente in base alla natura delle collezioni: per esempio, una collezione
interamente basata su oggetti di carta non può essere esposta a una luce troppo intensa, in quanto la carta è
un materiale facilmente ossidabile.

Capita anche spesso che i musei inseriscano delle barriere fisiche che non permettono al visitatore di
avvicinarsi troppo alle opere d’arte.
La conservazione preventiva più efficace è ovviamente l’attenzione da parte del visitatore.

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20. Funzioni orientate verso il pubblico


Le funzioni orientate verso il pubblico sono:

• La comunicazione, che in epoca moderna avviene soprattutto all’interno dei siti web ancora prima che
all’interno del museo. Il sito del museo deve informare il pubblico sulla sua storia, la sua offerta culturale e
su tutte le attività che all’interno di esso vengono svolte.
Seguono poi tutta una serie di strategie di marketing volte alla pubblicità del museo.

• L’ accoglienza visitatori, che trova maggiormente espressione nel concetto di museo-forum. Oggi tutti i
musei sono dotati di spazi in cui i visitatori sono accolti e vengono orientati verso gli altri spazi museali
grazie anche all’aiuto del personale museale addetto all’accoglienza.

• Gli apparati didattici, che devono essere rivolti a tutte le generazioni, quindi dal bambino in età
prescolare all’anziano visitatore.

Tema molto importante e tra i più discussi in epoca moderna è quello dell’ accessibilità museale: il museo
moderno deve essere in grado di rendere accessibile la propria offerta culturale a un pubblico più ampio
possibile, comprendendo i nuovi cittadini, i migranti con un background culturale diverso, le persone con
evidenti disabilità o problematiche come la cecità e la sordità.

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21. Allestimenti museali negli anni ’50 in Italia


Negli anni ’50 l’Italia vive un florido periodo di sperimentazione nell’ambito degli allestimenti museali, che
vede spesso la collaborazione di importanti architetti con i direttori dei musei coinvolti.

Tra questi Franco Albani, che negli anni ’50 è parte del riallestimento di Palazzo Bianco a Genova, rimasto
fortemente compromesso dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Tutte le decisioni relative al
nuovo allestimento vengono prese da Albani in collaborazione con la direttrice del museo.
Viene anzitutto fatta una selezione all’interno della collezione, in modo che le opere d’arte scelte venissero
valorizzate e risultassero più leggibili. Per le opere d’arte non scelte, invece, Albani crea i cosiddetti
“depositi consultabili”, caratterizzati da pareti continue e a scorrimento.
Il punto chiave di questa collaborazione è la convivenza tra passato e presente: dal punto di vista
architettonico, infatti, gli ornamenti storici vengono mantenuti, mentre tutto ciò che viene aggiunto da
Albani fa riferimento allo stile moderno. Le opere d’arte vengono private delle loro cornici, appese
attraverso cavi metallici e investite da una luce naturale.
Alcune statue sono sistemate su basamenti in stile moderno, per esempio basamenti telescopici.

Nel 1948, Carlo Scarpa si occupa dell’allestimento della mostra di Paul Klee in occasione della Biennale
di Venezia di quell’anno.
Il punto focale dell’intervento di Scarpa consiste nell’aver reso fisicamente percorribile la spazialità del
dipinto “Geoffnet” di Paul Klee, facendola diventare anche spazialità della mostra.
Interviene in maniera analoga anche nell’allestimento della mostra di Mondrian all’interno della Galleria
Nazionale d’Arte Moderna a Roma, in cui sfrutta l’ortogonalità delle opere dell’artista per la
progettazione della pianta dell’esposizione.

In questi anni, Scarpa si occupa anche di allestimenti museali, tra cui:


• Allestimento di Palazzo Abatellis, in cui si trova a dialogare con la storia, che deve valorizzare e non
mettere in contrasto con la contemporaneità. Scarpa sceglie una serie di supporti essenziali e delle soluzioni
scenografiche che mettono in risalto i dipinti e ne facilitano la leggibilità.
• Gipsoteca canoviana, in cui si occupa di una collezione molto diversa rispetto a quelle precedenti, in
quanto costituita dai bozzetti in terracotta e gesso delle opere di Antonio Canova. Attraverso una serie di
finestre continue, che invadono gli ambienti con la luce naturale, Scarpa risalta le opere a 360°.
• Museo di Castelvecchio a Verona: Scarpa mette anzitutto in comunicazione due ambienti, in modo da
creare una continuità di percorso e valorizzare la fuga prospettica. Le opere sono poggiate su basamenti
essenziali che riflettono la luce grazie al fatto di essere lucidi.
Importante è anche la sistemazione della statua di Cangrande della Scala all’esterno dell’edificio, nel punto
in cui prima vi era un’antica porta della Verona medievale.

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22. Lo studio BBPR


Lo studio BBPR prende il nome dai cognomi degli architetti fondatori, quindi Banfi (il quale muore durante
la Seconda Guerra Mondiale in un campo di concentramento), Belgiojoso, Peressuti e Rogers.

Negli anni ’30 lo studio abbraccia l’architettura moderna, mentre negli anni ’50 è impegnato nel dialogo tra
la contemporaneità e la storia.

Nel 1954 realizza a Milano la Torre Velasca, allora grattacielo più alto della città e vicino al Duomo.

Tra il 1954 e il 1963 è impegnato invece nel riallestimento del Castello Sforzesco, occupandosi anche della
ricostruzione a livello architettonico delle parti maggiormente danneggiate.
Alla base dell’allestimento vi è la possibilità per i visitatori di fruire il percorso storico artistico nella
maniera più fluida possibile. A ciascuna opera viene riconosciuto il proprio spazio vitale, ma vengono allo
stesso tempo anche contestualizzate.

L’unica eccezione è costituita dalla Pietà Rondanini: i BBPR rispondono alla richiesta dell’allora direttore
del museo di rendere fruibile al pubblico l’opera nella sua unicità, progettando una sorta di quinta teatrale
che da un lato non rendeva visibile l’opera durante il percorso e dall’altro ne costituiva la sua
teatralizzazione. Il percorso portava inevitabilmente alla visione della Pietà, visibile tuttavia soltanto
frontalmente. La critica rivolta a questo allestimento dei BBPR, infatti, rimprovera il fatto di aver impedito
la visione dell’opera a 360° e quindi di aver impedito la visione del non-finito di Michelangelo.

Negli anni successivi, si è discusso spesso di una possibile risistemazione della Pietà Rondanini, che arriva
nel 2015 in occasione dell’Expo di Milano: il nuovo allestimento è curato da Michele De Lucchi, che
sistema la Pietà Rondanini all’interno dell’Ospedale spagnolo, quindi un’aula completamente separata dalle
altre collezioni. Entrando all’interno dell’ambiente, il visitatore ha una visione dell’opera a 360°, in quanto
sistemata al centro, investita dalla luce naturale e poggiata su un basamento moderno assolutamente neutro.

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23. Gli showroom Olivetti negli anni ’50


Negli anni ’50 lo studio BBPR, Franco Albani e Carlo Scarpa non intervengono solo nell’ambito degli
allestimenti museali, ma si rendono protagonisti anche di alcuni interventi all’interno di spazi espositivi
dedicati alla merce.

Ci riferiamo in modo particolare agli Showroom Olivetti, compagnia fondata dal padre di Adriano Olivetti,
che in Italia fonda la prima industria di macchine da scrivere, e che in poco tempo riesce a conquistare il
mercato internazionale combinando l’eccellenza tecnologica e l’aspetto più propriamente estetico/artistico.
Gli showroom Olivetti rappresentano un importante banco di prova sia per le sperimentazioni nel campo
degli allestimenti museali sia perché permettono di mettere in relazione il prodotto industriale con l’opera
d’arte.
Aspetto importante della compagnia è anche l’attenzione verso i lavoratori, sentimento che trova
espressione nella costruzione degli stabilimenti industriali, per cui Adriano Olivetti chiama i maggiori
architetti italiani del tempo.

Costantino Nivola, che trova rifugio negli Stati Uniti allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale,
collabora all’allestimento dello showroom Olivetti di New York, il primo aperto nella grande metropoli.
Insieme allo studio BBPR egli concepisce una sorta di antro tecnologico in cui il prodotto industriale è
esposto come una vera e propria opera d’arte.

Nel 1958, Carlo Scarpa si occupa dell’allestimento dello showroom Olivetti di Venezia, collocato
all’interno di Piazza San Marco. Scarpa concepisce un edificio totalmente integrato anche sul piano dei
materiali, scegliendo il legno e i mosaici, i quali rimandavano all’acqua e all’infrangersi della luce su di
essa. Insieme alle macchine da scrivere e ai calcolatori elettronici, Scarpa inserisce delle vere e proprie
opere d’arte, come una statua realizzata da Lorenzo Viani.
Nello stesso anno, Franco Albani interviene nell’allestimento dello showroom Olivetti di Parigi, in cui
tornano molti degli elementi da lui utilizzati già in altri interventi, come i supporti metallici di Palazzo
Bianco.

L’esperienza degli showroom Olivetti costituisce un unicum ed è importante perché per la prima volta
emerge un concetto più ampio di industria, che non vuole governare la società ma che vuole inserirsi al suo
interno in maniera organica. Tuttavia, questo concetto rientra nel sogno utopico del movimento moderno
dell’integrazione tra passato e presente.

Lo Showroom Olivetti di New York viene concepito dai BBPR come un vero e proprio antro tecnologico
che si estendeva in senso longitudinale e che recava in sé sia elementi moderni sia elementi propri
dell’estetica italiana, come i marmi e le grandi lampade colorate che scendevano dal soffitto. Le macchine

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da scrivere erano poggiate su dei piedistalli che sembravano emergere dal pavimento, come onde marmoree.

L’elemento caratterizzante era però il bassorilievo di Nivola, concepito non come un elemento a priori ma
come un vero e proprio modulo spaziale, realizzato con la tecnica da lui stesso ideato della sand casting: si
procedeva prima con il negativo del rilievo, poi dalla colatura di sabbia mista a gesso si ottenevano i moduli
che servivano a realizzare il bassorilievo finito.
Nel bassorilievo possiamo individuare due parti: una caratterizzata da elementi astratti e l’altra dominata da
una figura che costituisce l’interpretazione di Nivola dei miti del mediterraneo.
I bozzetti preparatori sono oggi conservati nel Museo Nivola di Orani e da essi emerge che nel progetto
originario il bassorilievo doveva essere colorato. Tuttavia, la cromaticità dell’ambiente in cui doveva essere
inserito sarebbe entrata in contrasto con l’opera, che fu dipinta soltanto dopo essere stata trasferita
all’Università di Harvard, dopo la chiusura dello showroom negli anni ’70.

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24. Il Museo Nivola di Orani


Il Museo Nivola viene inaugurato nel 1955 a Orani, paese natale di Costantino Nivola, e trova posto
all’interno dell’ex lavatoio, di cui mantiene le strutture fondamentali.
La dimensione paesaggistica determina la continuità del museo con il paese e rende evidente anche ai
visitatori quello che è uno dei punti chiave della poetica di Nivola, ovvero la necessità di integrare le opere
all’esterno degli spazi pubblici.

Prima di entrare nelle sale che ospitano le collezioni, infatti, il visitatore ha la possibilità di ammirare alcune
opere anche all’esterno dell’edificio, molte delle quali rappresentano l’interpretazione di Nivola della figura
della Grande Madre (figura femminile che rimanda al mito della madre mediterranea che Nivola trasforma
in un’interpretazione di arte astratta).

Significativa è l’opera intitolata “Il muro incinto”, che rimanda a quell’accostamento, presente anche negli
scritti di Nivola, tra la madre che nutre dentro di sé la speranza di un figlio e i muri che durante la
giovinezza dell’artista contenevano il pane.
L’interno del museo è basato sull’utilizzo di una pietra granitica essenziale e sulla luce naturale.

Nel 1958 Nivola, il quale aveva trovato rifugio negli Stati Uniti durante la guerra, torna a Orani e realizza
l’opera muraria per la Chiesa di Santa Maria d’Itria.

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25. Maria Lai e il Museo Stazione dell’Arte


Nel 1981 il comune di Ulassai, paese natale di Maria Lai, commissiona all’artista la realizzazione di un
monumento ai caduti. Nei suoi scritti, tuttavia, Maria Lai manifesta la volontà di realizzare un’opera molto
lontana dalla concezione tradizionale di monumento ai caduti, ma soprattutto esprime la sua volontà di
realizzare un monumento ai vivi.

La sua non è un’opera materiale, ma un’azione collettiva che unisce tutto il paese di Ulassai attraverso un
nastro celeste. Maria Lai trova l’ispirazione per l’uso di questo nastro in uno dei racconti tramandati
oralmente nel paese, che vede una bambina salvarsi dal crollo di una caverna dove aveva trovato rifugio
attirata da un nastro celeste, che diventa metafora dell’arte.

Lo scopo di quest’azione collettiva è quello di restituire la verità dei rapporti tra le persone: laddove le
famiglie non erano legate da rapporti benevoli il nastro passava dritto, mentre quando le famiglie erano
legati da rapporti di amicizia il nastro veniva annodato. Laddove tra le famiglie scorreva amore, il nodo era
accompagnato da un pane tradizionale.
Il nastro venne portato fin sopra le montagne e poi sparato nuovamente verso il paese.
Maria Lai sposta così l’attenzione della destinazione pubblica dallo spazio alle persone, rendendo queste
protagoniste.

Negli ultimi anni della sua vita, Maria Lai, che aveva lasciato Ulassai per studiare a Cagliari e poi a Roma e
a Venezia, torna nel suo paese natale e fonda il Museo Stazione dell’Arte.
Il museo, da lei voluto e a lei dedicato, prende il nome dall’ex stazione ferroviaria del paese che lo ospita e
conserva le collezioni d’arte personali di Maria Lai.

Ancora una volta, la dimensione paesaggistica indica che l’arte non viene relegata all’interno del museo ma
occupa anche lo spazio esterno, per cui l’artista aveva appositamente progettato alcune importanti
installazioni.

All’interno delle collezioni ospitate, assumono particolare importanza le opere cucite, che reinterpretano
un’attività tradizionalmente relegata all’ambiente domestico e femminile trasformandola in uno strumento
d’arte. Le opere cucite, in particolare le mappe e i libri, costituiscono l’interpretazione di Maria Lai di
alcune fiabe e racconti, tra cui:
• Il dio distratto, ispirato dal racconto del “sardus pater” di Giuseppe Dessì, scrittore e caro amico
dell’artista.
• Maria pietra, ispirato dai racconti di Salvatore Cambosu contenuti nel suo “Miele amaro”.

Significativa è anche la tavola imbandita di libri, opera metafora dell’arte e la cultura come nutrimento
dello spirito.

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Maria Lai realizza per il paese di Ulassai anche altre opere importanti:
• La lavagna che reca la scritta “l’arte ci prende per mano”.
• Il grande gioco dell’oca.
• Le caprette cucite, altro elemento chiave all’interno della poetica artistica di Maria Lai, ispirate anch’esse
ai racconti di Cambosu.
• Interventi artistici all’interno del lavatoio del paese, in collaborazione con Costantino Nivola.

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26. Il Museo Francesco Ciusa di Nuoro


Il Museo Ciusa di Nuoro è ospitato all’interno dell’ex tribunale, motivo per cui prende il nome di Tribu, e
nasce dalla volontà di seguire, nel contesto del suo paese natale, l’evoluzione artistica di Francesco Ciusa,
inventore della scultura moderna in Sardegna.

Egli riesce a trasformare la sua cultura di appartenenza in un linguaggio universale, evidente soprattutto
nelle sculture dei primissimi anni ’10.

Tra queste, la “Madre dell’ucciso” è l’opera con cui Ciusa si presenta ad appena 20 anni alla Biennale di
Venezia, riuscendo a dimostrare una capacità straordinaria nel prendere un evento della vita isolana (legato
in questo caso al rito funebre) e trasformarlo in emblema.

Altra opera importante è “Il pane”, realizzata da Ciusa nel 1907 al suo rientro dalla Biennale e raffigurante
una figura femminile che indossa abiti afferenti alla tradizione sarda ed è immortalata nell’atto di impastare
il pane. Ciusa si riferisce a questa figura come a una sacerdotessa, paragonando quindi il rito di impastare il
pane a un rito sacro.

Accanto alle collezioni degli anni ’10, è significativa anche la collezione di arti applicate, a cui Ciusa si
dedica nello stesso periodo in cui apre la sua manifattura di ceramica e spica a Cagliari.
Questi oggetti, pur rimandando a un uso prettamente quotidiano, risentono fortemente delle scelte stilistiche
dell’artista. Le statuette in ceramica, per esempio, sono spesso riproduzioni in miniatura dei capolavori
degli anni ’10.
All’interno l’allestimento del museo è studiato ricercando la massima essenzialità, anche sul piano dei
materiali (quelli principalmente utilizzati sono il legno e il vetro), e le opere sono visibili a tutto tondo,
essendo sistemate al centro dell’ambiente e poggiate su apposite pedane.

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27. Il Museo Man di Nuoro


Il Museo Man di Nuoro viene inaugurato nel 1999 ed è dedicato nel suo statuto alla valorizzazione della
produzione artistica del XX secolo e di quella contemporanea.

La collezione oggi ospitata al suo interno è frutto dell’unione di quattro diverse collezioni:
• Collezione della provincia
• Collezione del comune
• Collezione della Camera di Commercio
• Collezione dell’ente commerciale del turismo.

Il museo riesce a far dialogare la produzione degli artisti sardi del 900 con quella più recedente di giovani
artisti e artisti non sardi, ai quali dedica numerose mostre temporanee.
La collezione acquisita in tempi successivi al nucleo originario è quella di Giovanni Pintori, che collabora
con la compagnia Olivetti in campo pubblicitario.

A differenza degli altri musei d’arte contemporanea, costruiti spesso secondo una mirata tendenza alla
spettacolarizzazione, il Museo Man trova posto all’interno di un palazzo degli anni ’20 di Piazza Satta. I
piani espositivi sono tre e sono collegati tramite una scala la cui tromba viene utilizzata per la
comunicazione relativa alle mostre ospitate all’interno del museo.

Nel 2013, il Museo Man ha ottenuto il riconoscimento come museo d’eccellenza.

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28. Il Museo Giovanni Antonio Sanna di Sassari


Il Museo Giovanni Antonio Sanna di Sassari viene inaugurato nel 1931 e nasce sulla base della
collezione di archeologia del collezionista da cui prende il nome, costituita soprattutto da reperti derivanti
dagli scavi effettuati nel nord Sardegna. La figlia di Sanna individuò il terreno su cui il museo fu costruito,
sulla base dei canoni neoclassici.

Il suo ordinamento tiene conto sia della scansione cronologica dei reperti sia dell’aspetto tipografico.

Si individuano per esempio una serie di sale, tra cui la Sala preistorica, la Sala fenicio-punica e la Sala
romana. Accanto a queste è significativa anche la sezione etnografica.
L’ordinamento del museo è in realtà da considerarsi un work in progress.

Negli anni ’70, un intervento di riordinamento è stato seguito dal professore Ercole Contu e in tempi recenti
(2015-2016) un altro intervento ha portato al riallestimento della sezione etnografica, in cui vi sono abiti
tradizionali sardi afferenti soprattutto al nord Sardegna.

La collezione del museo, in realtà, comprendeva anche numerosi dipinti, oggi conservati nella sede del
Mus’a (Museo Sassari Arte).
Il Mus’a è ospitato all’interno di un complesso gesuitico del Canopoleno e l’ordinamento prevede tre piani
espositivi: il piano terra ospita i dipinti che vanno dal 200 al manierismo, il primo piano le nature morte e il
secondo piano le opere che vanno dall’800 al 900.

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29. Il Museo Archeologico di Cagliari


Il Museo Archeologico di Cagliari è ospitato dal 1993 nell’attuale sede della Cittadella dei musei e ospita
collezioni afferenti ai contesti archeologici di Cagliari e Oristano.

Il suo ordinamento segue due criteri fondamentali:


• Criterio cronologico, che caratterizza il piano terra e che rende maggiormente fruibile la collezione al
grande pubblico.
• Criterio topografico, che caratterizza i piani superiori e che è maggiormente finalizzato
all’approfondimento.

Oltre alla collezione permanente, a partire dal 2014 il museo ospita la mostra temporanea dei Giganti di
Mont’e Prama, ospitata anche dal Civico Museo Archeologico di Cabras, vicino al luogo in cui sono stati
rinvenuti. Questa collezione rappresenta una netta cesura rispetto al resto del percorso museale ma allo
stesso tempo una soluzione di continuità.

Le statue sono state rinvenute nel complesso archeologico di Mont’e Prama nel 1974 e fino al 2014 sono
state soggette a un importante intervento di restauro. Chi si è occupato del loro allestimento ha scelto come
colore di fondo il colore nero, che permette alle statue, in pietra chiara, di emergere. Il nero, tuttavia, ha
anche una forte valenza metaforica: nonostante le statue siano state rinvenute più di quaranta anni fa, infatti,
sul motivo per cui sono state costruite e sulla ragione che le lega a quel contesto si sa molto poco.

Interessante è il dispositivo interattivo, progettato dal CRS4, che permette ai visitatori di osservare in alta
definizione tutti i dettagli delle statue, anche di quelle ospitate a Cabras.

Nel 2016, il Museo Archeologico di Cagliari è stato soggetto a un importante intervento di riallestimento
allo scopo di una maggiore accessibilità museale, che ha previsto:
• Lavori strutturali
• Apertura del sito web e dei principali canali social
• App del museo e digital library
• Corsi di formazione sull’accessibilità e l’accoglienza
• Nuovo apparato didascalico.

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30. Galleria Comunale di Cagliari


La Galleria Comunale di Cagliari è ubicata all’interno dei giardini pubblici e l’edificio che la ospita nasce
come polveria regia, caratterizzata dal punto di vista architettonico da uno stile neoclassico.
Il nucleo originario era rappresentato dalla collezione civica di artisti sardi, a cui si aggiunsero la
collezione d’arte contemporanea e la collezione Ingrao.

La collezione Ingrao viene pervenuta a Cagliari nel 1999 per iniziativa del collezionista da cui prende il
nome ed è costituita da opere d’arte che abbracciano un periodo che va dall’800 alla seconda metà del ‘900.
Ovviamente, come tutte le collezioni private diventate in seguito pubbliche, continuano a rispecchiare i gusti
personali del collezionista.
Essa si può suddividere in tre nuclei:

• Opere di Umberto Boccioni, maestro del futurismo italiano, unico tema a cui non corrispondono le opere
ospitate a Cagliari. Il motivo potrebbe risiedere nel costo troppo alto delle opere futuriste oppure nei gusti
stessi del collezionista orientati più verso l’arte figurativa.

• Opere di Giorgio Morandi, comprendenti alcune nature morte, numerosi disegni e l’epistolario. Molte
delle opere di Morandi che facevano parte della collezione furono tuttavia cedute.

• Opere di Nino Maccari, riferibili a una pittura di tipo impressionista.

L’ordinamento della galleria prevede una logica di tipo cronologico, che tiene tuttavia conto anche degli
stili, delle scuole e dei movimenti: comincia all’incirca negli anni ’40 dell’800 per concludersi negli anni 50-
60 del ‘900.
Questo percorso occupa i due piani di cui si compone l’edificio museale fino alla collezione Ingrao, che
rappresenta una cesura a partire da cui il percorso non segue più tali criteri: le pareti non sono più bianche e
le opere sono vicine le une alle altre. Lo scopo era quello di sottolineare il fatto che le opere appartenessero
prima a una collezione privata.

Le cosiddette “stanze del collezionista” sono peraltro un punto di congiunzione tra le due collezioni della
Galleria e il punto di contatto è rappresentato dalla “Pietà” di Francesco Ciusa.
Ciusa è il protagonista della collezione dedicata agli artisti sardi, che ospita i gessi originali delle grandi
sculture degli anni ’10.

La collezione sarda è ospitata all’interno di un’aula ottenuta nel 2003 dopo la sistemazione della collezione
Ingrao. È pervenuta in seguito anche la Biblioteca Ingrao, fruibile al pubblico e comprendente testi relativi
agli artisti della collezione stessa.

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31. Il Museo MAXXI di Roma


Il MAXXI di Roma è il primo museo nazionale dedicato all’arte contemporanea.
Per la sua costruzione nel 1998 viene bandito un concorso, vinto da Zaha Hadid, il cui progetto prevedeva:
• Pareti continue che delimitassero le gallerie.
• Uso del calcestruzzo, in quanto elemento adatto a conferire flessibilità e plasticità alla struttura.
• Uso del vetro, dell’acciaio e del ferro.
• Copertura trasparente, che permette l’uso della luce naturale e contiene il filtro solare e l’illuminazione
artificiale.

Il MAXXI si distingue in una sezione Arte e in una sezione Architettura, ma è dotato anche di spazi
dedicati alla caffetteria, al bookshop e alle mostre temporanee di arte e fotografia.

Il MAXXI Architettura è il primo museo nazionale dedicato all’architettura e ha come obiettivi quello di
storicizzare l’architettura del XX secolo e interpretare le esigenze della società attuale.

Il MAXXI Arte contiene oltre 4000 opere d’arte internazionale, ma si concentra soprattutto sul panorama
artistico italiano.

Per gli interni, Zaha Hadid ha utilizzato soprattutto materiali come il vetro e l’acciaio, materiali abbastanza
resistenti e adatti a poter essere utilizzati in qualsiasi contesto, e ha inserito scale sospese in acciaio, giochi
di trasparenze e percorsi labirintici.

Il MAXXI porta avanti da tempo la battaglia per il riconoscimento della legge del 2%, che permette cioè di
destinare il 2% del budget complessivo per la costruzione dell’edificio al finanziamento di opere artistiche
che completino l’edificio stesso.

Importante è anche la finalità didattica presente soprattutto all’interno del sito web, dovuta alla necessità di
differenziare i target di comunicazione in relazione ai target di pubblico con cui si interagisce.

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32. Le mostre temporanee e le pratiche curatoriali


Nell’ambito dell’esposizione, le collezioni possono essere permanenti o temporanee.

La storia delle mostre temporanee inizia nel XVIII secolo, quando a Parigi vengono costituiti i cosiddetti
“salon”, riservati inizialmente ai membri dell’Academie Royale e dotati di una giuria che si occupava della
selezione delle opere. La contestazione nei loro confronti inizia nel XIX secolo da parte degli artisti le cui
opere venivano rifiutate dai salon ufficiali e aprivano così salon a proprie spese.

Nel 1874, a Parigi gli artisti impressionisti organizzano la prima Mostra degli artisti indipendenti, che
porta alla nascita del Salon degli Indipendenti e al definitivo inserimento delle mostre temporanee
all’interno del sistema dell’arte.

Nascono la Manifesta, mostra biennale itinerante con sede amministrativa ad Amsterdam, e la Biennale di
Venezia, istituita nel 1895 e con sede storica nei Giardini.

Figura protagonista delle mostre temporanee è il curatore, che può essere:


• Museale, quindi lavorare in ambito istituzionale in riferimento a più collezioni.
• Indipendente, quindi gestire singoli eventi sia sul piano culturale sia sul piano logistico.

A questo tipo di lavoro di collegano le cosiddette pratiche curatoriali, attività in continua evoluzione e che
oggi si manifestano soprattutto attraverso piattaforme interattive come i libri e i siti web.
Compito del curatore è quello di gestire tutto ciò che riguarda la collezione e per svolgere tale compito è
accompagnato da un vero e proprio staff, che comprende:
• Un ufficio stampa, comunicazione e marketing
• Light designer e architetto progettista
• Comitato scientifico
• Ditte specializzate a cui affidare il trasporto e l’assicurazione delle opere d’arte.

All’evento espositivo concorrono poi diverse fasi:


• Elaborazione.
• Progettazione.
• Piano di comunicazione.
• Strutturazione del budget, reperimento dei fondi e sponsorizzazioni.
• Organizzazione, che si conclude nell’inaugurazione, vernissage e opening.

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Indice
1. Nascita della museologia 1
2. Il museo 2
3. Storia dell’istituzione museale 5
4. La Galleria degli Uffizi 7
5. Il museo del Louvre 9
6. Nascita del museo pubblico nel '700 11
7. L’istituzione museale durante il Neoclassicismo 12
8. L’età napoleonica e la nascita dei musei civici in Italia 14
9. Il museo dell’Ottocento in Germania 16
10. I musei in Inghilterra 18
11. L’Italia tra Ottocento e Novecento 20
12. I musei negli Stati Uniti d’America 23
13. Il Museum of Modern Art di New York 25
14. La Fondazione Gugghenaim 26
15. Il Kimbell Art Museum 28
16. Il Centre National d’Arte e Culture George Pompidou 29
17. Il Musée d’Orsay 30
18. Inalienabilità delle collezioni, le funzioni museali, le professionalità museali 31
19. Differenza tra tutela e conservazione 33
20. Funzioni orientate verso il pubblico 34
21. Allestimenti museali negli anni ’50 in Italia 35
22. Lo studio BBPR 36
23. Gli showroom Olivetti negli anni ’50 37
24. Il Museo Nivola di Orani 39
25. Maria Lai e il Museo Stazione dell’Arte 40
26. Il Museo Francesco Ciusa di Nuoro 42
27. Il Museo Man di Nuoro 43
28. Il Museo Giovanni Antonio Sanna di Sassari 44
29. Il Museo Archeologico di Cagliari 45
30. Galleria Comunale di Cagliari 46
31. Il Museo MAXXI di Roma 47
32. Le mostre temporanee e le pratiche curatoriali 48

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