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Abenante

Storia delle istituzioni e dei Paesi afroasiatici

Corso di 40 ore
1 scritto a metà del corso (dopo 20 ore)
1 scritto alla fine del corso
domande multiple aperte
voto  media tra le 2 prove
se si vuole rifare si fa prova orale su tutto il programma
libri:
Bausani “L’Islam” secondo e quarto capitolo (quello sulla Sharia e quello sulla Shia e le comunità
non sunnitiche)
Lapidus “storia delle società islamiche” Einaudi
Reinherdt “storia del colonialismo” Einaudi
Altri:
Collotti Pischel “ storia dell’Asia orientale” Carocci Roma solo 1 o 2 capitoli
Giovanni Carbone “l’Africa, gli Stati, la politica, i conflitti”, Mulino

martedì 11 ottobre
programma
trovare linee di sviluppo storico che accomunino queste società afro-asiatiche. Il dilemma di come
ricondurre questo discorso a un unico criterio è: il passato coloniale almeno dal tardo 700. Per
questi Paesi c’è stato l’impatto dell’Europa. Ma è una risposta molto eurocentrica. Non si può però
iniziare storia dall’impatto europeo: bisogna capire cosa c’era prima da un punto di vista
antropologico, etnologico, religioso, istituzionale/strutturale, delle strutture del pensiero ecc. solo
allora possiamo capire bene l’impatto dell’europa su queste società e su queste culture. Concetti
come l’idea di individuo non sono scontati: ad esempio era più importante la dimensione della
collettività che di quella di individui. Non c’è nemmeno l’idea di uguaglianza, anzi. Per i prof
regolari di storia ci si basa su fonti come archivi, trattati ecc. per questo corso invece non basta
perché queste società non hanno sempre avuto una tradizione statuale. Qui entreranno nella
storia il folklore, i miti ecc. le società afroasiatiche prima dell’europa sono comunque accomunate
da alcune caratteristiche di fondo: tutte queste società si caratterizzano per l’assenza di categorie
che noi consideriamo essenziali e che loro non hanno (ne hanno altre). Primo tra tutti non c’è la
prevalenza dell’individuo ma quella del gruppo di appartenenza: l’individuo non era fonte di valori
né l’unità-base della società. L’individuo era rilevante quando aveva un ruolo in un gruppo, ruolo
che variava a seconda della nascita. Per il semplice fatto di nascere in una famiglia o tribù avevi
una certa posizione sociale. Ogni individuo poi volge una funzione all’interno del gruppo (nasci ne
gruppo guerriero farai il guerriero). il sistema castale ì l’estremizzazione id questa cosa,
l’individuo in quanto tale non esiste, se non sei di una casta non esisti, vai in contro alla morte
sociale.
Altra idea che non c’è: l’idea di eguaglianza. Il termine disuguaglianza ci sembra connotato in
senso negativo. Anche il cameriere è portatore di diritto inalienabile e universale. In luoghi non
europei invece non è così: il cameriere ti è subordinato gerarchicamente e i comportamenti
sottolineano normalmente e quotidianamente questo fatto. Queste società si basano sul principio
di disuguaglianza, che è un concetto normale ed accettato e che una volta era quasi sacralizzato.
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C’è quindi gerarchia. Il sistema castale non è altro che gruppi distinti in base alla nascita e
gerarchizzati. Se un gruppo sottordinato cerca di cambiare collocazione sarà il caos. Questo non
c’è solo in India: il mondo persiano pre-islamico (zoroastrismo) aveva una società divisa in classi
basate sulla nascita. Ne deriva che le persone di una stessa casta o simili creino dei legami molto
forti. Rapporto di patronato-clientela è molto usuale tra le varie caste. Queste relazioni di solito
consistono nel fornire protezione in cambio di servizi.
Legame di sangue è molto importante. Nell’occidente di solito si nega questa importanza. I legami
di sangue, invece, lì ancora oggi sono alla base del funzionamento sociale. Spesso l’importanza dei
legami di sangue è rivendicata come fondamentale.
In Europa siamo abituati a pensare alla società come secolarizzata (religione staccata dalla sfera
pubblica). Queste società, invece, sono basate ancora molto sul sacro, alle volte in modo
addirittura fondamentale. Queste società non si sono secolarizzate e anche laddove la
secolarizzazione c’è stata, è stata molto superficiale. Se non si considera il sacro è difficile
comprendere queste società. Il fatto che queste categorie non siano state riconosciute
ufficialmente nelle costituzioni fa si che in molti di questi stati ci sia un dualismo tra le relazioni
formali e quelle informali: esiste una dinamica di relazioni politiche, economiche ecc che sono
informali e poi ci sono le relazioni su cui si basa davvero il sistema, che sono informali e corrono
accanto ai sistemi formali e in relatà le determinano (es ci sono i parlamenti ma in realtà il
momento della decisione non avviene lì). Spesso le regole sono formali ma le regole autentiche di
funzionamento sono informali. Poi l’europa ha esportato un sacco di cose e tutte queste categorie
prima elencte si sono trasformate: le categorie non sono scomparse, ma si è creato un ibrido.
Convivono modernizzazione e tradizione: alcuni strati (élites urbane) sono più coinvolti della
modernizzazione di altri (e anche le città più del mondo rurale). Problema: come fanno l’india o il
giappone o la corea del sud a essere estremamente modernizzati e tradizionali allo stesso tempo?
Siamo noi che diamo per scontato che la modernità deve passare per cose come egualitarismo,
secolarizzazione ecc.

Mercoledì 12 ottobre
Ci sono due linee di tendenza storica che accomunano lo sviluppo dell’Africa e dell’Asia:
1 creazione di strutture sociali di scala ridotta basate sulla dimensione della famiglia estesa, del
clan, soprattutto in Africa sub sahariana. Eccezione: Egitto. le tribù, i clan ecc hanno dato vita a
forme di piccolo stato. Con il tempo questo fatto faciliterà la penetrazione delle potenze europee.
Prima dell’islamizzazione, anche nell’africa mediterranea prevale l’elemento tribale, e gli stati che
si formano sono di breve durata, a base tribale e berbera (fino all’arrivo degli arabi islamici, che
dopo colonizzano queste zone). Quindi anche l’africa mediterranea ha per molto tempo stati di
breve durata (una tribù ne sconfiggeva un’altra e dava origine ad un nuovo ordine e così via) di
natura dinastico-tribale.
Nella mezzaluna fertile (dall’Egitto alla Siria, sarebbe il medio-oriente) la cosa è un po’
diversa: questa zona, pur partendo dalle basi legate al sangue, ha visto, sin dall’antichità, la nascita
di grandi imperi, di grandi formazioni statali. Importanti sono stati i grandi imperi persiani, che, per
quanto non fossero centralizzati, avevano teorie dello stato e della politica importanti ed
elaborate. I raffinati sistemi teorici, e, più in generale, il sistema socio-culturale persiano sarà utile
allo stesso Islam, che, quando nascerà e si espanderà anche in Persia, “copierà” le strutture e le
teorie persiane. Ricordiamo che in origine gli arabi erano beduini, nomadi e per nulla aditi
nell’elaborazione politica. Queste popolazioni nomadi avranno successo geo-politico grazie
all’islam, che si presentò da subito come una religione dotata di grande forza ed in grado di
supportare e spingere l’espandersi di coloro che la praticavano.

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Nel mondo Indiano e Cinese c’è anche ci sono anche qui antichissime civiltà, ma con delle
differenze tra le 2: l’India, pur essendo molto antica, non ha mai avuto grandi formazioni imperiali:
prima dell’invasione islamica c’erano piccoli staterelli regionali che non hanno mai, prima
dell’invasione islamica (in India fu attorno al 1100, 1200) avuto l’ambizione di creare un grande
impero. Perché? Perché per la civiltà indiana la dimensione politica è sempre stata meno
importante di quella politica e sociale. Erano l’induismo e il sistema castale a dare unità all’India.
L’india ha sempre trovato la sua unità nell’induismo e nel sistema castale, non nella dimensione
politica, che era meno importante. Negli antichi testi indù, infatti al primo posto ci sono le autorità
religiose, i BRAHMANI, e solo al secondo posto c’erano gli KSATRIYA (principi guerrieri che
facevano la guerra e la politica) e questo è molto significativo. Se il sacro non viene curato e la
mattina non faccio il sacrificio, il mondo perirà. Questo ordine dei valori si è tradotto nel fatto che
gli indù non hanno mai avuto bisogno di unificare l’india da un punto di vista politico, perché era
già unito dal punto di vista sociale (caste) e religione (induismo). Nel passato in molte civiltà si
sacralizzava il re (o l’imperatore ecc), nell’impero persiano così come nel mondo cinese o
giapponese. Nel mondo indiano invece il re si è secolarizzato molto presto. Il principe regna ma
non è sacro, è uno che si fa ubbidire con la forza e la violenza, ed è il brahmano che gli sta accanto
a giustificare la violenza usata dal re. Il sultanato di Deli e l’impero Mogoul sono le prime volte in
cui si crea uno stato, in questo caso musulmano (sono gli islamici a creare queste due realità).
Più a est ci sono i modelli confuciani (Cina, Vietnam, Corea, Birmania, in parte il Giappone,
ovvero la penisola indo-cinese, che separa l’area indiana da quella cinese, in Birmania e
Thainlandia scema la influenza indiana per andare sotto quella cinese). Il modello confuciano è
importantissimo. La Cina era un grande stato molto elaborato con rigida gerarchia, rispetto del
sacro, della società e del livello politico (rispetto dei mandarini ecc), rispetto della gerarchia
familiare (culto dei più anziani e degli antenati). Questa organizzazione prevede una
organizzazione burocratica molto complessa, che si basa su concorsi pubblici, teoricamente aperti
a tutti, basati sulla conoscenza della letteratura confuciana. Era una grande struttura politica
enorme e poi replicata nelle corte regionali (corea Vietnam Birmania ecc) che erano satelliti della
Cina.
Come cambia questo scenario?
Una grande novità c’è nella prima metà del settimo secolo dopo cristo: in una zona
sperduta del mondo arabo (penisola arabica), in una zona deserta detta HIJAZ, compare la civiltà
islamica (tra gli anni 10 e 20 del 7° secolo Dc). Cosa sappiamo di questa zona desertica? Era
popolata da comunità nomadi di pastori con organizzazione tribale, tribù tendenzialmente molto
conflittuali e basate sulla discendenza –gli studiosi le chiamano società segmentarie, cioè tribali e
basate sulla discendenza-. Ma queste società di solito si uniscono e scindono in modo molto fluido
e sulla base della parentela e dei momenti (ad es. due gruppi si uniscono se devono sconfiggere
qualcun altro). Regola: tutta la società tribale si ritiene discendente da un unico antenato, da cui
nascono i diversi clan.
Ci sono studi che dimostrano che le società tribali tendono sempre a diventare conflittuali
perché i vari elementi si ritengono egualitari (i capi tribù si ritengono alla pari e le qualità di un
capo sono sempre messe in discussione dagli altri appartenenti alla tribù, che si ritengono alla
pari). Nel mondo tribale la leadership riesce ad essere stabile nel tempo quando si stabilisce una
autorità religiosa. Es di un classico di re che è a un tempo capo tribale e santo: re del Marocco. Es 2
dinastia HASHEMITA di Giordania. Questo è importante per capire la società araba beduina pre-
islamica: questo aspetto conflittuale è importante nel momento in cui arriva l’islam: l’islam infatti
affermerà la pace all’interno di coloro che accettano il messaggio divino. Un musulmano non può
fare guerra a un altro musulmano, altrimenti non è più musulmano. Gli unici scambi li hanno con
le società sedentarie che vivono nelle oasi. Una di queste oasi, che è nello HIJAZ, è La Mecca, e

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c’era una simbiosi tra nomadi e sedentari. Anche se i nomadi, con la loro etica guerriera, si
sentivano superiori a chi coltivava la terra, c’era una simbiosi perché c’era bisogno di scambio
commerciale tra le 2 parti. Soprattutto, presso le oasi, avevano luogo i culti pagani che prima pre-
islamici. Erano soprattutto culti degli elementi naturali -fonti d’acqua, piete, un meteorite- (sarà il
caso della pietra nera con l’Islam poi). Le oasi, quindi, diventavano un luogo d’incontro
importante. C’era un calendario religioso secondo cui ci si recava nelle oasi e l’occasione
devozionale era occasione di commercio, di incontro e discussione tra tribù diverse, quindi le oasi
erano luoghi politicamente importantissimi perché potevi incontrarti e parlare, concludere accordi
in tranquillità, perché lì era proibita la guerra. queste oasi venivano chiamate HARAM (che
all’inizio vuol dire luogo proibito nel senso di sacro, poi la parola vorrà dire soprattutto sacro). Le
famiglie e le tribù che presiedevano e sovrintendevano questi luoghi potevano anche avere grande
prestigio. A La Mecca, anche prima dell’Islam, aveva luogo uno di questi culti preislamici, perché lì
c’era la pietra nera, la KàABA. Qui veniva venerata una divinità chiamata ALLAH (Che voleva dire
Dio, ma qui in senso di uno degli dei, non il Dio unico).
Ora il grande mistero è: che cosa scatta in questo ambiente che fa si che un piccolo culto
regionale faccia un tale balzo, nel 7° secolo, da imporsi come una religione del dio unico. Com’è
avvenuto? È difficile da dire, perché non ci sono molte fonti. In realtà ci sono molti elementi di
continuità tra il pre-islam ed il post-islam. Gli storiografi islamici, invece, sottolineano un grande
salto tra i 2 momenti. Non era così improbabile che nascesse un monoteismo, perché nella zona
c’erano già influenze monoteiste. Infatti, influenze ebraiche e cristiane erano già entrate un po’
nella penisola araba: prima via influenza bizantina, (l’impero di Bisanzio non era poi così distante).
C’erano infatti regni arabi cristianizzati al confine tra la frontiera bizantina, e questi stati fungevano
da cerniera tra bizantini e mondo arabo. C’erano poi tribù ebraiche in Arabia: c’era una città con
un nome ebraico, YATRIB, poi ribattezzata MEDINA, che all’epoca, prima di essere conquistata, era
abitata da ebrei. Era probabile che ci fossero forme di ascetismo ed eremitismo cristiano in quella
zona. Ulteriore elemento che viene da est: l’influenza del mondo persiano, dove, prima
dell’avvento dell’islam, si praticava lo zoroastrismo (chiamato anche mazdeismo), che non era un
monoteismo. Alcuni praticanti di questa religione fuggiranno verso oriente e si rifugeranno in
India: oggi si chiamano PARSI (che vuol dire persiani), e sopravvivono tutt’oggi, specie a Bombei.
Lo zoroastrismo si basa su un dualismo tra bene e male, forze che si scontrano in modo costante.
L’uomo con le sue azioni può contribuire al realizzarsi finale del bene (infatti quelle zoroastriane
sono società molto molto attive, perché commerciare, fare cose, guadagnare ecc. aiuta a realizzare
il bene). In questo simbolo del bene (rappresentato dal fuoco) alcuni intravvedono un antenato del
monoteismo. Questo spazio infatti era molto poroso e c’erano molti commerci e contaminazioni
culturali.
A una certa questo Allah si trasforma nel Dio unico, il dio per eccellenza. Non sappiamo
bene quando, perché la prima data autentica che abbiamo è il 622 DC. Ma il 622 non è l’inizio della
rivelazione islamica, ma la migrazione, in italiano égira (HIJGRA), del profeta verso Medina, dove,
con i suoi seguaci, formerà la prima comunità islamica. Quindi il 622 è la data che segna la
fondazione della comunità islamica, non dell’inizio della rivelazione. Perché gli islamici hanno
ritenuto importante tramandare l’evento socio-politico e non quello spirituale-religioso? Perché
per loro è importante il momento sociale e politico, e non tanto quello mistico religioso. Alcuni
pensano che l’inizio della rivelazione sia il 610. Rivelazione cosa vuol dire? Che a un certo punto un
membro della tribù che custodiva la mecca -la tribù dei QURAISH-, che si chiamava MUHAMMAD
-NB: questo membro non era poi così importante o famoso, o benestante, o colto ma aveva
sposato una donna mercante messa meglio, che ha un po’ risollevato la sua condizione-, questo
MUHAMMAD ha iniziato ad avere delle rivelazioni da Dio per mezzo dell’Arcangelo Gabriele.
Attenzione però: queste rivelazioni (CORANO) non sono un racconto di Muhammad di quello che

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gli viene detto, ma è letteralmente e direttamente la parola di Dio, e questo è importantissimo. Il
corano non ha nulla di umano ma è parola di Dio. Nella scienza che studia l’interpretazione
coranica, si usa il termine di alterità di Muhammad (portatore di Dio) rispetto al testo sacro. La
teologia musulmana considererà il testo coranico come parte dell’essenza di Dio, perché è sua
parola diretta (quindi strappare una pagina del corano è gravissimo). La stessa tradizione islamica
sottolinea l’alterità di Muhammad, e in alcuni passaggi c’è anche Allah che rimprovera
bonariamente Muhammad perché tende ad allargarsi un po’ -perché magari Muhammad finiva
una frase o simili e Dio gli dice tipo “oh stai nel tuo”-. Muhammad riceveva le rivelazioni, le
ripeteva ad alta voce e delle persone attorno a lui scrivevano quello che diceva. Si dice che ci sia
autenticità dell’esperienza mistica da parte di Muhammad. Ci sono studi che dicono che le
sensazioni di santi con rivelazioni e le cose di Muhammad sono molto simili, anche se le visioni
sono abbastanza particolareggiate. Questo processo di rivelazione dura degli anni e va a costituire
il Corano, che in arabo è QURAN che vuol dire rivelazione. In principio, il corano viene tramandato
oralmente. Le prime trascrizioni antiche sono comparse probabilmente come un sostegno alla
memoria, ma non come il mezzo per eccellenza di trascrizione. In principio era la forma orale a
essere la forma autentica di trasmissione della parola di Dio. Il corpus delle rivelazioni coraniche
non ha un ordine intrinseco: è compostodi SURE, che sono in ordine dalla più lunga alla più corta.
L’analisi sul testo ha rilevato due tipi di sure: le SURE MECCANE e le SURE MEDINESI. Le sure
meccane sono quelle rivelate nella fase in cui si trovavano a La Mecca, le altre dopo la migrazione
a Medina. Come si è capito che ci sono due tipi di Sure? Si è notato che alcune sure hanno tema
spirituale-religioso (rapporto dio-uomini) –quelle meccane-, mentre le altre hanno contenuto
terreno, di organizzazione sociale e politica –quelle medinesi- (rapporti TRA gli uomini). Queste
ultime sure sono state probabilmente rivelate quando a Medina, perché le esigenze erano
cambiate: a La Mecca c’era il bisogno di affermare l’autenticità della rivelazione (buona parte di
queste rivelazioni hanno la necessità di convincere della genuinità della rivelazione). Invece le
seconde hanno bisogno di organizzare la comunità e di stabilirne le regole. Ma perché si
trasferiscono? Perché a La Mecca non triava una buona aria: una parte della popolazione aveva
accettato il messaggio di Muhammad, ma altri e alcune tribù no. Allora gli ebrei di YATRIB offrono
a Muhammad di andare a Medina per risolvere, in quanto persona terza, le controversie. Gli ebrei
gli offrono di andare lì, avevano bisogno di un personaggio esterno che avesse la fama di essere
uno che ne capiva per risolvere i conflitti interni alla città. Yatrib viene ribattezzata AL MEDINAH.
Viene ribattezzata così perché vuol dire LA città. La prima comunità islamica si fonda lì e questo
vuol anche dire che, per essere dei buoni musulmani, bisogna vivere in città, nella struttura
urbana. Muhammad si reca a Medina nel 622 e da questo anno nasce l’era islamica.

Giovedì 13 ottobre

Nel 622 si forma l’UMMA ovvero la comunità politica e religiosa dell’Islam,. Nel 622 è
ancora molto ristretta ma in futuro si amplierà. UMMA non è solo un termine religioso, ma
politico-religioso, e nasce a Medina nel 622 (data che NON è quella dell’inizio della rivelazione
anche se la rivelazione dura fino al e oltre il 622). Muhammad muore nel 632 e la rivelazione si
conclude poco prima della morte di Muhammad, quindi ben dopo il 622, è una rivelazione lunga.
La storia politica e quella della rivelazione si intrecciano, perché l’organizzazione dell’UMMA è
riflessa nei versetti del Corano. Il momento di Medina è interessante per i rapporti comunità
musulmana-altre popolazioni. La città di Yatrib ha una maggioranza ebraica e Muhammad stipula
con questi ebrei il patto di AQABA nel 627. In questo patto politico (/di alleanza) Muhammad
stabilisce la legittimità di un patto politico tra musulmani e non musulmani, al fine di vivere in pace

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e di costituire una protezione comune (Muhammad è minacciato da alcuni di La Mecca). Quando è
stato stipulato il patto, esso non aveva importanza simbolica, ma poi diventa un precedente a cui
si è fatto molto spesso in seguito: nasce la possibilità di stipulare patti per vivere in pace (per i
musulmani è possibile fare accordi con non musulmani e far parte con altri di una stessa comunità
politica. All’epoca dei movimenti anticoloniali, cioè molto dopo, si sfrutta questa possibilità per
allearsi con altri contro i colonialisti ad es con l’India di Ghandi). Il patto in realtà durò poco: non
sappiamo la causa ma musulmani e ebrei entrarono in guerra e i musulmani scacciarono gli ebrei
da Medina. Questo patto però nell’immaginario musulmano ha tuttora rilevanza.
Altro concetto: c’è un atteggiamento che sembra indicare che l’aspetto socio-politico sia
più importante di quello mistico, ma la rivelazione non va sottovalutata. L’importanza di
Muhammad è enorme come figura e come esempio di vita. La figura del profeta come messaggero
del messaggio divino è importante, ma il momento in cui Muhammad si presenta come profeta si
apre e chiude velocemente e, una volta che la funzione della profezia è stata svolta, quando
questo ruolo è esaurito, l’enfasi si sposta sull’aspetto politico. Muhammad è colui che guida la
comunità, risolve le controversie ecc. Una volta affermato il ruolo di Muhammad come portatore
del messaggio divino, questo aspetto passa in secondo piano ed emerge il Muhammad capo,
leader, politico. Muhammad come messaggero di Dio è recuperato nell’ambito della mistica e del
sufismo. Quando si parla di sufismo si parla del culto dei santi musulmani. Nel resto dell’Islam,
Muhammad è colui che ordina la comunità ed è fonte della legge e esempio di comportamento.
Muhammad emerge in tutta la sua umanità: es Muhammad compie dei miracoli ma compaiono
solo quando deve affermarsi come profeta, ma poi basta, è dato poco spazio a queste cose.
Attenzione: non è Muhammad a fare i miracoli, ma Dio per mezzo di Muhammad fa il miracolo.
Dopo quella fase, l’accento è solo sulla sua umanità. Forte attenzione nel sottolineare questa cosa.
Anche se Muhammad è il migliore degli uomini, è sempre è solo un uomo. Perché tutta questa
enfasi su questa cosa? Non solo per esigenze di organizzazione, ma anche per ragioni
teoriche/teologiche: l’Islam si basa sull’idea del Dio unico, che a noi pare normale, ma, nascendo
da un ambiente pagano e politeista, l’islam deve enfatizzare tantissimo il monoteismo e deve
escludere in assoluto ogni possibilità di divinizzare qualche altro essere.
Concetto più importante Islam: TAWHID vuol dire unità/unicità. Dio è unico ma è anche
uno, cioè non è possibile in nessun modo scindere la natura di Dio in altro modo. Da questo
concetto del Tawhid deriva il terrore degli islamici che -vista la necessità delle comunità di trovare
rappresentazioni terrene, immanenti del sacro, anche perché erano popolazioni abituate a
venerare pietre e fiumi- la gente iniziasse a venerare Muhammad. Per questo si enfatizza così
l’umanità di Muhammad. Associare chiunque a Dio e venerare chiunque a parte Dio è gravissimo.
Poi su questo ci saranno correnti più o meno rigide: es gli WAHABITI (dal profeta WAHAB) danno
vita ad una corrente puritana-militare. Molte popolazioni illetterate rurali ecc. veneravano la
tomba del profeta a Medina-. Quando gli wahabiti conquistano Medina, distruggono la tomba del
profeta per far smettere questa tendenza. Si spinsero a questo perché credevano che venerare la
tomba del profeta sminuisse l’importanza di Dio.
Ma come è possibile che una rivelazione abbia un aspetto così terreno e mondano?
Rivelandosi agli uomini dio dice “io vi porto un messaggio religioso, che però non si limita a
indicarvi un percorso di salvezza -della serie se fate così avrete la vita eterna fine-.” L’islam, invece,
poprio all’interno del messaggio divino, aggiunge che gli uomini devono formare una comunità;
anzi, devono formare “la più perfetta comunità che si sia mai vista sulla terra.” Questo comando di
comunità è addirittura più importante del comando spirituale, perché è solo nella comunità che
l’uomo può essere un buon islamico, senza comunità non posso realizzare bene il comandamento.
La comunità realizza il volere di Dio sulla terra. Ma per i musulmani non ha senso la domanda se il
religioso è più o meno importante del politico perché le 2 cose sono legatissime e il primo aspetto

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rimanda continuamente al secondo e viceversa. Questo concetto è sintetizzato in “DIN WA
DAWLAT” cioè “fede e stato”. Religione e politica dovrebbero essere indissolubili. Poi nel divenire
storico i rapporti religione-politica sono molto più complessi di così.
La comunità islamica ha fatto fatica a darsi un assetto politico. La rivelazione coranica ha,
infatti, una debolezza: non dà comandamenti rispetto a come gestire la comunità dopo la
scomparsa del profeta. La rivelazione coranica riconosce tutta una serie di profezie precedenti a
Muhammad (quelle cristiane, quelle ebraiche ed altre ancora), ma dice che Muhammad è l’ultimo
profeta e che con lui si chiude tutto. Muhammad è SIGILLO della profezia, dopo di lui non sono
attesi altri profeti. Problema: se Muhammad è l’ultimo, e nella rivelazione coranica non ci sono
altre istituzioni o indicazioni per creare delle altre istituzioni, come si fa ad organizzarsi dopo la
morte del Profeta? Bisogna infatti sottolineare che la rivelazione non prevede né una chiesa, né un
sacerdozio; non c’è una liturgia, non c’è un dogma, tutto è attratto dal TAWHID, perché, in fondo,
un sacramento consiste nell’obbligare Dio a fare qualcosa (perché se io faccio un sacramento, ad
es. confessare i peccati, poi sono perdonato: dio “deve” perdonarmi, nell’Islam non c’è nulla di
tutto questo). Dio nell’islam è davvero onnipotente, può fare il bene e il male, non deve “dare
giustificazioni” (cosa che dà dei problemi ai teorici islamici, tipo “perché dio dovrebbe voler fare il
male?” ma il discorso sarebbe lungo). Dio crea il bene e il male, ma non vi è sottoposto, perché ne
è la fonte; in ogni caso la mente umana non può afferrare il disegno divino, quindi, anche se Dio
vuole il male, può essere per motivi che l’uomo non comprende (la teologia islamica è così
complessa che pochi la praticano nell’Islam). La debolezza della rivelazione islamica è questa: ha
nel cuore l’indicazione di creare questa comunità, ma non dice esattamente come. E quando
scompare il profeta nasce un casino, infatti ci sarà subito lo scisma sciiti-sunniti. Al di là di questo,
altre istituzioni non vengono create (no sacerdozio, chiesa, no meccanismo di successione,
nemmeno si dice come sostituire il Muhammad-leader politico). C’è grande tendenza alla
frammentazione.
Il cuore del comandamento divino è: formare la comunità; questo comporta che la
comunità formata a Medina è la comunità perfetta, perché segue il comandamento divino ed è
guidata dal profeta. La perfezione si è già realizzata all’inizio, manca un’utopia, qualcosa da
raggiungere, un obiettivo. Nell’immaginario islamico la comunità perfetta si è già data nel 7° secolo
a medina. Alcuni hanno esteso la fase ai “primi quattro califfi -fino al 671-” ma poi fine. Se la
perfezione c’è già stata, si può solo peggiorare, quindi più ci si allontana, nel tempo e nello spazio,
più c’è il rischio di smarrire la purezza di quel messaggio. Col passare del tempo, con califfi molto
più umani e meno spirituali, si rischia di smarrire il senso intimo della rivelazione divina.
L’ossessione islamica sarà guardare indietro, al passato. Quelli che volevano riformare e purificare
l’Islam non hanno detto “progrediamo” ma hanno detto “torniamo indietro alla purezza
originaria”. Questo emergerà soprattutto con le invasioni coloniali. “Bisogna tornare al modello
originario”: il fondamentalismo islamico dice questo. Età dell’oro: quella di Medina, dei profeti e
dei primi 4 califfi. L’utopia è una utopia conservatrice, perché l’obiettivo è tornare al passato. La
cultura islamica (quella religiosa, quella giuridica ecc. hanno avuto sempre orientamento
conservatore per questo motivo). Bisogna assicurarsi che il sapere sia trasmesso di generazione in
generazione. Anche nelle scuole il rapporto maestro-discepolo sarà incentrato sul far sì che il
messaggio sia trasmesso nel modo più fedele possibile, il rapporto maestro-discepolo è personale.
L’islam si pone sempre il problema di conservare e non di rinnovare e questo è un problema
perché ha posto enormi difficoltà di adattamento nel momento in cui si è dovuto affrontare nuove
sfide.
Con medina ha inizio l’era islamica ma nel 632 (10 anni dopo) il profeta muore e Dio nel
testo coranico non aveva dato indicazioni sulla successione. Nel 632 si apre una crisi politico-
istituzionale, e questa crisi politica ha risvolti religiosi importanti: nella comunità si crea una

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frattura. La comunità, infatti, non riesce a mettersi d’accordo né su quale sia stato il contesto della
morte di Muhammad né sul sistema di successione alla guida politica della umma, anche se tutti
pensano che il leader dovrebbe essere unico. Il leader, nell’immaginario islamico, era il riflesso
sulla terra del Tawhid, perché, come Dio è unico, così il leader è il baricentro della comunità. Ecco
cosa succede: la maggior parte della comunità (sunniti) pensano che Muhammad sia morto senza
indicare un successore; per questo motivo, la maggioranza della comunità pensava che l’autorità,
prima detenuta dal profeta, dovesse tornare alla comunità, che, in quanto perfetta, avrebbe avuto
la possibilità di scegliere un nuovo leader (l’autorità assumeva carattere diffuso). Si cercava anche
un compromesso con la stirpe di Muhammad: i sunniti pensavano che il successore, il califfo,
dovesse essere scelto dalla tribù di Maometto.
Una minoranza invece (sciiti) pensavano che:
1 la morte di Maometto fosse accaduta in condizioni diverse da quel che pensavano i sunniti: gli
sciiti sostenevano che Muhammad avesse indicato un successore al momento della morte, e che
questo successore fosse il suo cugino e genero Alì (aveva sposato Fatima, figlia del profeta). SCIA
da cui deriva sciiti vuol dire fazione.
2 Avanzavano una concezione di autorità diversa da quella dei sunniti: l’autorità non era della
comunità, ma era anzi legata al sangue, quindi l’autorità si doveva trasmettere dal profeta ad Ali
(cugino-genero) secondo questo principio. Questi discendenti maschi che assumeranno l’autorità
saranno gli Imam (non califfi).
Quindi il problema è sì politico, ma anche di concezione dell’autorità, che per i sunniti era una
autorità diffusa (molto lontana dalle concezioni tribali, l’unica cosa era che si cercava di stare nella
tribù di Muhammad ma a parte questo era la comunità a scegliere). Gli sciiti invece hanno una
concezione più tribale per cui sì Muhammad è scelto da Dio, ma il suo carisma si trasmette in
qualche modo per sangue. Il messaggio islamico è nuovo: quando parliamo di tribalismo ci
rifacciamo al legame di sangue tra le tribù arabe, ma il tribalismo viene fermamente negato dalla
rivelazione islamica.
ASABIYA è il legame di sangue e costituisce la base della società tribale. Per l’islam, invece,
nella comunità che ha accettato il messaggio islamico, si è tutti fratelli: non è un messaggio di
sangue ma un messaggio di unità. Il messaggio islamico, inoltre, afferma che, essendo tutti “fratelli
musulmani”, è fatto divieto di entrare in guerra tra fratelli. All’epoca è una cosa rivoluzionaria
perché si sostituisce un legame di fede a quello di sangue. La comunità islamica polemizza da
subito l’Asabiya. Dio se la prende con i tribali in una parte del corano. In un passaggio dio dice: <<i
beduini, i tribali, dicono “noi crediamo” dì loro –dice dio a Muhammad-: “voi non credete, dite
piuttosto che avete accettato l’Islam perché non vi è ancora entrata la fede nel cuore”>>. Dio dice
queste parole perché non si può credere davvero se si hanno ancora i sistemi tribali e se vige
ancora l’asabiya. UMMA e ASABIYA sono antitetici, non possono coesistere, o umma o tribalismo.
E allora perché si discuteva ancora sul legame di sangue? perché sradicare l’asabiya è una
problematica annosa e complessa. Nel conflitto tra sunniti e sciiti si vede il riemergere del
problema del tribalismo nell’islam. Con la SHIA riemerge il problema del legame tribale (la shia è
l’unico vero scisma dell’islam). La minoranza quindi da qui in poi sarà nota come Shia, la
maggioranza come sunniti, che è l’abbreviazione di “popolo della tradizione e della comunità”
(AHL AL SUNNAT WA AL JAMÁAT). Shia vuol anche dire allontanarsi, uscire.
Quindi come viene superata questa crisi? Con una divisione: sunniti e sciiti. I sunniti
inventano l’istituzione del califfato, KHILAFAT, che deriva da KHALIFA, che significa il vice, il
successore. Vice di chi? Del profeta, ma non in quanto profeta (profeti non ce ne saranno più).
Sarà un successore del profeta in quanto capo della comunità e dovrà garantire in primo luogo
l’unità della UMMA. Inoltre, il califfo ha il compito di guidare la guerra contro i miscredenti,
applicare la legge islamica nell’umma ecc. Il califfato però viene inventato dalla comunità, non è

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nel comandamento divino. È una decisione di non poco conto e coraggiosa, presa per esigenza di
risolvere la situa, ma non c’è né nel testo coranico né in ciò che Muhammad ha fatto o detto.
Questo è un aspetto interessante e poco conosciuto. A posteriori i musulmani hanno cercato di
giustificare questa invenzione con il Tawhid, perché se la comunità non ha un leader non può
essere unita  non può essere una comunità  non può eseguire il comandamento. Ma sono
deduzioni, non è scritto da nessuna parte. All’inizio il califfo ha compiti precisi: mantenere l’unità,
guidarla in pace e in guerra, e da qui il califfo acquisisce sempre più funzioni (mano a mano che la
comunità diventa più complessa, ad es, quando i musulmani conquistano comunità non
musulmane, se ti sottoponi puoi mantenere la tua fede e il califfo ha il compito di proteggerti). Il
califfo rappresenta il potere politico, non ha prerogative religiose particolari, è solo un uomo, per
quanto pio e devoto.
La dimensione religiosa è distinta ed è custodita da un’altra istituzione nata
spontaneamente: gli ULAMA (al singolare ALIM). Entrambe le parole derivano da ‘ILM
(=conoscenza). Anche queste figure nascono spontaneamente e dal basso e vengono dall’esigenza
di avere degli esperti. Non sappiamo come e quando questo sia avvenuto. Probabilmente,
inizialmente, c’erano delle persone che avevano memorizzato per intero il corano, e vi si rivolgeva
in caso di dubbio; poi la cosa, piano piano, si formalizza ed inizia ad essere tramandata. Glu ulama
erano una categoria sociologicamente aperta, puoi diventare un ALIM anche se sei povero. La
dimensione politica e quella religiosa, quindi, si distinguono sempre di più: il politico va sotto il
califfo, capo politico della UMMA, califfo che, però, sa di non avere l’esperienza coranica
necessaria, e quindi lascia la dimensione religiosa agli ULAMA che estrapolano le norme giuridiche
e creano il diritto islamico. Ma è il califfo o il dotto ad avere autorità? È un bel problema ci sarà una
competizione per l’autorità tra dotti e califfi, ci saranno anche scontri e rivolte. Sono dimensioni
che però tendono a distinguersi e a rivaleggiare per l’autorità. Anche nell’ambito sciita si crea un
corpo di dotti.
Il califfato è una istituzione sunnita. La Shia, una volta individuato Ali come leader, continua
la successone con i discendenti di Ali. Il capo si chiama IMAM, che è un termine vago perché vuol
dire “persona preposta … a fare qualcosa”, ma non è l’imam di cui si sente parlare di solito (si
chiamano imam i capi delle scuole di pensiero, sono imam coloro che custodiscono la moschea, è
imam chi guida la preghiera, anche in ambito sunnita, e chi guida la preghiera può essere
chiunque). Imam nel senso sciita quindi è diverso dall’imam in tutti gli altri sensi.

Martedì 18 ottobre

Per quanto concerne la divisione nella Umma, andiamo ad analizzare le differenze tra islam
sciita e sunnita. Gli sciiti vengono influenzati e contaminati anche da diverse fonti religiose:
zoroastrismo, agnosticismo ecc. Inizialmente, la Shia rimane un fenomeno arabo -non persiano o
iraniano-: solo dopo diventa preponderante in quella regione. È importante ribadire che, ancora
oggi, nella penisola arabica esistono comunità sciite. In Persia gli sciiti ci arrivano solo dopo: l’Iran
diventa sciita tardissimo –nella metà del 1500-. La shia, fino alla prima metà del 1500, fu solo una
corrente: poi arrivò la dinastia degli ASFAVIDI, che, nel 1500-1501, dichiarò la shia duodecimana
(un particolare corrente) quella più importante. Fino a quel momento, i persiani erano in
maggioranza sunniti. Quando gli Asfavidi (in origine questi Asfavidi erano sunniti, ma in una zona
grigia perché venivano dall’Anatolia dove sunniti e sciiti come confessioni erano mescolate) si sono
dichiarati duodecimani, lo hanno fatto per legittimarsi politicamente e religiosamente.
La Shia, all’origine, nasce su una diversa interpretazione di come la Umma dovrebbe
essere. L’autorità non risiede nella comunità dei credenti, ma nella discendenza. Gli sciiti si

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spingeranno a dire che la rivelazione coranica non possedeva un unico senso (come si era creduto
fino ad allora) ma che c’era un senso nascosto della rivelazione. Questo senso nascosto era noto
solo a Muhammad, che lo aveva recepito da Dio e lo aveva poi rivelato Ali, poi il messaggio passò
da Ali ai suoi successori e così via. Gli sciiti toccano così un aspetto fondamentale: dicono che non
è vero che tutti i fedeli conoscono tutto. I sunniti dicono che basta studiare la rivelazione e si è
tutti uguali, l’autorità religiosa si basa solo sullo studio. Invece gli sciiti dicono che questo assunto
non è vero, che c’è una versione mistica-esoterica dell’Islam e che la conoscono solo pochi eletti
discendenti del profeta. Ci sarebbe una differenza tra aspetto esterno ed interno della rivelazione.
Questa tendenza c’è anche nel sufismo, che è un movimento che nasce dal basso e più tardi. Ma
un primo insegnamento mistico-esoterico si rintraccia nei primi imam sciiti. Coesistono quindi un
senso esterno della rivelazione -per il credente non eletto- e un senso interno per gli eletti; c’è un
certo elitismo. Questa differenza porterà a differenti letture del testo coranico.
La scienza di interpretazione coranica è il TAFSIR. I sunniti, la cui scuola principale è quella
ASHARITA, leggono il corano fermandosi al senso letterale-esteriore ed è proibito cercare un senso
nascosto perché vorrebbe dire tentare di entrare nella mente di Dio, cosa vietata. Invece il TA’WIL,
ovvero l’interpretazione allegorica tipica degli sciiti, si sforza di trovare i significati nascosti del
testo coranico: la scuola principale sciita è quella MU’TAZILITA, che cerca questo significato
nascosto.
Es. in un punto il corano dice che Muhammad, grazie a un gesto del dito, crea una spaccatura sulla
superficie della luna. i dotti sunniti ne sono convinti realmente e genuinamente. Gli sciiti invece
dicono che il versetto vuole trasmettere un diverso significato. Adottando il metodo del TA’WIL si
riescono a dare interpretazioni più razionali del testo.
Un aspetto della corrente sciita, che ha influenzato l’islam sunnita è quello della mistica:
l’idea che ci possa essere tutta una dimensione interiore del credente e l’idea di non limitarsi a
leggere il testo coranico in modo letterale è di influenza sciita sui sunniti. Questa tendenza ala
dimensione interiore, alle interpretazioni non letterali ecc. rimane assolutamente non dichiarata,
privata e in una certa misura anche nascosta, perché nell’islam (e in quello sunnita in modo
particolarmente rigido), tecnicamente, ogni cosa dovrebbe essere visibile e comprensibile (carne e
sangue) e se una cosa non viene resa nota è perché dio non voleva che la sapessi.
Il crescere in complessità della teologia sciita ha a che fare anche con l’espansione verso oriente.

Altra distinzione: le figure dell’imam sciita e del califfo sunnita, distinzione che riguarda
anche i rispettivi poteri. I sunniti sottolineano tantissimo l’umanità del loro califfo, che non ha
carattere carismatico-spirituale; questo vale anche per i primi califfati (quelli ben diretti) e anche
per i califfati OMMIADI. La cosa si complicherà con gli ABBASIDI ma lo vedremo dopo. Il califfo qui
è primus inter pares, scelto per le sue capacità di guidare, ma tutta la tradizione legata alla figura
del Califfo ribadisce il suo essere primus inter pares. Es il califfo era assistito da un consiglio, detto
SHURĀ (il concetto di Shura è stato usato per dire che l’islam è democratico ma non è vero, la
legge c’era già ed era quella divina, la shura non aveva alcun potere legislativo).
L’Imam sciita è diverso e ha un peso tutto maggiore, ha un carisma di origine divina che
deriva dal fatto di discendere dalla famiglia del profeta (sono gli ALIDI, cioè discendenti di Ali e
Fatima, figlia di Muhammad). L’imam può addirittura interpretare le scritture e si arriverà in certi
ambienti sciiti a teorizzare l’infallibilità dell’Imam e la sua capacità di prevedere il futuro. Sono
qualità sovrumane e QUASI divine. Ma anche nel mondo sciita non è unanime il giudizio su quanto
sia sovraumano questo imam: sulla base di quanto potere le varie fazioni fossero propense a
riconoscere all’imam, la shia si spacca a sua volta e nascono varie correnti sciite; alcune danno
poteri quasi divini all’Imam, altri ne danno molto pochi. Ed è proprio su queste differenziazioni e
quantità di poteri attribuite all’Imam che la scia si spacca in 3 grandi correnti:

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1 shia MEDIANA o DUODECIMANA: è quella iraniana. Riconoscono 12 Imam. Si dice mediana
perché in questa questione dell’imam (più umano o divino?) gli attribuiscono poteri superiori ma
non il grado di divinità
2 ISMAILITI o SETTIMANI cioè la scia estremista. Riconoscono 7 imam (poi continuano la leadership
sotto altre forme).
3 shia ZAYDITI o scia MODERATA. Sono una comunità che oggi è quasi solo nello Yemen. Danno
all’imam qualità talmente ridotte da distinguersi poco niente dalla visione sunnita del califfo.
Riconoscono una successione di 5 imam. Delle 3 branche quella degli Zayditi è la più ridotta.
Perché a una certa non continua questa successione degli imam? A causa
dell’occultamento, in arabo GHAIBA. La Shia afferma che, se un imam muore in circostanze non
chiare, egli non è effettivamente morto, ma è entrato in occultamento, cioè è nascosto e non
visibile, ma ancora vivo. Si pensava che questo imam occultato sarebbe tornato sulla terra in una
futura fase di crisi per riportare la verità sulla terra. Con questa attesa del ritorno si parla di una
escatologia e si attende un evento che deve capitare, evento che cambierà la storia del mondo.
Attenzione perché nell’islam sunnita originario non c’è utopia perché l’utopia c’è già stata nella
creazione della comunità del profeta, la perfezione si è già data e non si aspetta niente, si vuole
solo mantenere questa purezza. Nell’islam sciita, invece, in questo modo nascono un’utopia e
un’attesa. Questo elemento, nella visione sunnita, manca, ma anche in questo caso la shia ha
influenzato i sunniti (senza che questo sia ufficiale o teorizzato): nel mondo sunnita emerge la
figura del MAHDI, che vuol dire il messia; è un termine applicato dai sunniti a figure di grandi
rivoluzionari, che emergono in particolari momenti e riportano la giustizia. Alcuni hanno anche
detto “io sono il mahdi”. Un esempio ottocentesco è MUHAMMAD AHMAD, detto il mahdi, che
organizzò una grande rivolta contro le forze anglo-egiziane nella zona tra Sudan e Egitto, usando
parole anticoloniali, di riforma dell’islam e di odio verso i poteri musulmani schiavi dell’Europa.
Questo movimento raggiunge il suo apice negli anni 80, ma poi sarà sradicato.
Tornando a noi, presso gli sciiti, a una certa l’imam si occulta (alcuni sostengono sia stato il
quinto, altri sostengono il 12° ecc. ma sta cosa è successa in tutte le confessioni). Però si apre un
problema: senza imam chi prende il potere? Perché è vero che l’imam è nascosto ma il suo volere
e le sue intenzioni possono essere rese note alla comunità tramite un processo mistico. L’imam
occultato si mette e resta in costante contatto con i più importanti dotti sciiti, detti MUJTAHID.
Questi Mujtahid possono riportare alla comunità i voleri dell’Imam occultato. Nel mondo sunnita,
il califfato si trasforma semplicemente in una monarchia dinastica e buona notte, basta che ci sia
un califfo che eviti il caos. Gli sciiti non hanno vissuto una simile trasformazione per gli imam, in
primo luogo e soprattutto perché hanno questa teologia in cui l’imam è l’unica autorità legittima,
che deve gestire religione e poter [in assenza di imam ci sono i MUJTAHID (=coloro che fanno
l’interpretazione)]. Differentemente dal mondo sunnita, in quello sciita esiste la tendenza a
mettere spesso in dubbio la legittimità del potere. Ricordiamo che la scia nasce come minoranza
che deve difendersi dalla maggioranza sunnita: la Shia ha nel suo DNA il senso di contestazione del
potere costituito. I sunniti non sfiderebbero mai il califfo dichiarato e legittimo. Khomeini negli
anni 70 ha fatto leva su tutta questa teoria. Puntualizzazione: nella realtà, in Iran dal 500 a oggi,
anche gli Ulamà hanno dato prova di grande pragmatismo e hanno gestito i rapporti con il potere
di volta in volta decidendo se tirare in ballo un imam occultato o no.
Nel mondo sciita si è creata una sorta di struttura piramidale degli ulamà: quando inizi a
studiar,e puoi partire dal basso e salire sempre più su (nei sunniti non è così: studi, ottieni un
diploma e puoi insegnare a tua volta, fine, non c’è gerarchia). Negli sciiti invece si inizia in quanto
TALIB cioè l’allievo base. Poi diventi HOJATOL-ISLAM. poi diventi AYATOLLAH. infine puoi diventare
MARJA-E-TAQLID (=fonte dell’imitazione) (possono essere uno o più di uno in uno stesso momento
storico) e questo è il massimo grado a cui puoi aspirare. Se sei uno di loro, le tue interpretazioni

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sono obbligatorie per tutta la popolazione. Chi decide se e quando sali di grado? La comunità degli
studiosi. Si può dire che questa struttura gerarchica-piramidale è la cosa più vicina al concetto di
chiesa. Nel mondo sunnita è più complicato dire chi ha ragione: se il Marja sciita dice qualcosa, ha
ragione punto e basta. Nel mondo sunnita non è così, ci sono vari studiosi più o a meno famosi e
importanti ma se uno dice una cosa e un altro ne dice un’altra, non c’è un modo di capire chi ha
ragione (una volta si decideva chi aveva ragione trovandosi e parlandone ma oggi non si può fare).
Quindi se oggi arriva Bin Laden e dice che lui rappresenta l’Islam non puoi dirgli no non è vero
perché non puoi provare che ha torto.
Altra caratteristica islam sciita: c’è un po’ il culto di uno dei discendenti di Muhammad,
HUSSEIN. Il culto sciita si è costruito molto attorno al culto del sacrificio e del martirio. Hussein era
uno dei 2 figli maschi di Fatima e Ali (l’altro era HASSAN). Hussein fu ucciso nel 680 in una battaglia
contro i sunniti, nella battaglia di KARBALA. Hussein morì anche in circostanze molto drammatiche
perché fu lasciato morire di sete nel deserto. Attorno a questo martirio nasce l’idea sacrificio. I
sunniti non sono solo chi ha tradito Ali ma anche chi ha ucciso Hussein. E questo sacrificio e
martirio si dovrà risolvere infine con un riscatto finale (che si ricollega un po’ con l’imam occultato.
Le celebrazioni di ASHURA servono proprio a ricordare questo martirio e assumono sempre più
importanza, specie in Iran. La gente si ferisce e frusta e fa una processione. La scia duodecimale ha
tutta questa fissa.
Islam sciita si consolida nel corso del tempo e le differenze con i sunniti, inizialmente fondamentali
ma non enormi, aumentano molto: sunniti più democratici ma passivi politicamente e sunniti più
spirituali e gerarchici.
Il mondo sciita ha comunque vissuto le sue frammentazioni, così come il mondo sunnita. Va
detto che ultimamente queste rivalità tra le diverse correnti hanno avuto la tendenza a scomparire
o diminuire. Questa tendenza a creare una grande comnuità sciita mondiale è nata per questioni
geo-politiche (rivalità Iran-sciita vs mondo arabo sunnita).
I discendenti di Muhammad si chiamano SAYYID.
Alawiti di Siria sono altri sciiti (gli alawiti siriani oggi sono difesi da milizie iraniane).

Mercoledì 19 ottobre

4 califfi ben guidati cioè i califfati “RASHIDUN”:


- ABUBAKR prende il califfato nel 632
- OMAR
- UTHMAN
- ĀLI ucciso nel 661
Dal 632 la umma finisce in uno stato di conflitto perenne, seppure in teoria la guerra fosse
proibita. Qui c’è un primo conflitto. Poi tregua che porta a un nuovo conflitto. In seguito alla
morte di Uthman, Ali riesce per un breve periodo ad imporsi anche come capo dei sunniti e Ali
è a capo di entrambe le comunità, ma nel 61 Ali viene ucciso. AL MUHAWIYA governava la
Siria. Lo scisma aveva portato anche altre posizioni dissenzienti all’interno delle due comunità.
Cosa interessante: mentre Alì combatteva in Siria, nel 657, AL Muhawiya, che governava la
Siria, propone una tregua e Alì accetta: alcuni sciiti non sono d’accordo con Ali e pensano che
non avrebbe dovuto accettare la tregua. Questi qui dicono 1 che non può essere Ali a decidere
chi ha torto e chi ha ragione. Questa cosa della tregua sembra che faccia prendere ad Ali la
decisione su chi ha ragione e chi no: secondo loro bisognerebbe che ci si ammazzasse tutti e
alla fine, chi rimane vivo, è quello che Dio ha scelto e che ha la visione giusta dell’Islam 2 si
oppongono al formalismo nel decidere chi è e chi non è un buon musulmano. Formalismo vuol
dire che per essere un buon musulmano non basta la fede ma bisogna avere anche un

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comportamento coerente con il fatto di essere musulmani. Ali, pur dichiarandosi musulmano,
secondo questi non lo era davvero. Questo gruppo sarà noto con il termine di KHARIJITI
(=allontanarsi) e si separano sia da sciiti che da sunniti. Oggi sono noti come IBADITI.
Geograficamente si espandono poco: ci sono in alcune zone della penisola arabica e in parte in
alcune aree del Maghreb. Questi dicono di essere in grado di dire chi è un vero musulmano e
chi no. Per gli altri invece è musulmano chi si dice musulmano e in modo esteriore per lo meno
agisce un pelo come un musulmano. Perché? Perché altrimenti ci sarebbero stati un sacco di
scismi e frammentazioni come i Karijiti. Il rischio per l’islam è sempre stato che si creassero
molti piccoli gruppi che dicano “so io dire chi è un buon musulmano”. Quīb dice che bisogna
considerare tutte le società che lui considera non musulmane come pagane (e considera non
musulmani tutti quelli che non applicano rigidamente corano e sharia). Fino alla formazione
dell’Iran sciita moderno, per il resto la Shia ha continuato a vivere gomito a gomito con l’islam
sunnita.

PARLIAMO DEL SISTEMA DI LEGGI DEI SUNNITI


Torniamo alla formazione della legge islamica SUNNITA, la SHARÌA (la retta via). C’è un altro
termine: FIQH. Con Sharia si intende legge in senso generale, tutte le fonti del diritto islamico.
FIQH invece è la giurisprudenza, l’attività tecnica del giurista, che estrapola dalle fonti le norme
concrete che servono alla comunità. La fase della sharia come processo di formazione si chiude
nel decimo secolo. Come nascono le fonti della Sharia? È stato un processo di un arco
temporale piuttosto lungo. Arco formativo del diritto islamico è durato 300 anni, in cui la
comunità ha trovato nuove forme di diritto dove non ce n’erano. Inoltre in questo arco
temporale l’islam si è espanso tantissimo. L’islam è stato una spugna che ha assorbito idee,
istituzioni e culture. L’islam non è rigido, anzi ha assorbito tantissimo delle culture conquistate.
La sharia nel suo periodo di formazione ha assorbito un sacco di cose (dalla cultura bizantina e
quella persiana, ma anche dal mondo centro asiatico, da consuetudini tribali centro asiatiche
ecc.). molte di queste cose sono entrate a far parte della Sharia.
Per quanto riguarda le fonti:
1) CORANO. Il problema sarà quello di fissare un testo e nel tempo ci saranno diverse versioni
del corano, perché inizialmente si tramandava tutto oralmente. Per molto tempo ci sono
state varie versioni, non ce n’era una standard. La versione standard è una cosa abbastanza
recente. Il problema però era che il corano come fonte normativa per i bisogni di una
comunità che cresceva A territorialmente B come numeri non era sufficiente. Problema: il
contenuto normativo del corano è piuttosto ridotto. Si decide di introdurre ulteriori forme
normative. E allora i sunniti guardano al profeta e a quello che ha detto e ha fatto. Anche
qui c’è stata una divisione all’interno della comunità, perché alcuni pensavano fosse una
bestemmia accostare parole e gesti del profeta alla parola di Dio. Dio nel corano dice: voi
avete nel mio messaggere un esempio buono. E questo rassicura molte delle persone, ma
questo non vuol dire che Muhammad è infallibile. Allora nasce la:
2) SUNNA Nasce così il binomio detto “profetico-comportamento della comunità”. Si dirà:
quando il profeta ha detto qualcosa e la comunità ha accettato questo dettame e tutti si
sono comportati coerentemente per abbastanza tempo allora è legge ed è cogente. Su
questo ragionamento emerge la SUNNA (=tradizione) cioè la tradizione profetica di
Muhammad. Nasce una scienza che studia la credibilità delle testimonianze di chi dice di
aver assistito agli episodi. Il problema è stata la fedeltà della testimonianza. Ci sono state
nel tempo varie versioni della sunna e nel tempo ne sono resistite un paio, ritenute più
attendibili. Come sono composte queste raccolte? Un singolo episodio della sunna ha il
nome di HADITH. Inoltre ogni Hadith ha due elementi:

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A) ISNAD cioè catena di testimonianza. Che è tipo: io ALBUKHARI (uno dei tizi più
accreditati) dico che tizio ha detto che caio ha detto che… che Muhammad ha detto: “…”
questa catena è importantissima perché se c’è anche solo un tassello di dubbia reputazione
l’hadith viene scartato
B) MATN è l’episodio che compone l’hadith
E come si sviluppa questa scienza? Cioè come si fa a dire che questa persona è più
attendibile di quella? Per una questione di reputazione. Se questa persona non è una
persona di fondata fede islamica, l’isnad si incrina. Concetto dell’Isnad è importante perché
riflette la tradizione profetica per cui il sapere veniva tramandato oralmente. SILSILA vuol
dire genealogia delle confraternite sufi dove è ancora più forte il principio di trasmissione
da persona a persona. Purtroppo gli hadith verbali (cioè che Muhammad ha detto) sono
molto pochi e bisogna cercare di prendere molti insegnamenti dal suo comportamento.
Alla sunna si fa riferimento continuamente per anche tantissime pratiche quotidiane. Con il
processo di formazione della sunna, si iniziano a creare hadith, magari inventati di sana
pianta, ma che servivano alla gente per riuscire a vivere. Ogni spaccato della comunità si
inventava tantissimi episodi per dipingersi il profeta come gli era più consono. Quando più
avanti ci sarà il conflitto tra interpretazioni sufistiche e interpretazioni più letterali questi
Hadith saranno una delle cose prese in considerazione. All’interno del corpo dei dotti si è
deciso di fare una selezione a una certa.
3) IJMA (=consenso). La terza fonte è un passaggio coraggioso perché è la prima volta che i
musulmani inventano una fonte che non viene né da Dio né dal profeta. Nasce come un
prolungamento della sunna. La sunna tiene in considerazione anche il comportamento
delle persone influenti perché si guarda non solo cosa ha detto Muhammad ma anche
come ha reagito la comunità e questo è un elemento arabo preislamico, perché prima
dell’islam si dava molta importanza al comportamento dei saggi; l’idea era che chi era
vissuto nel passato ne sa più di te. È un concetto un po’ pagano. Lo stesso concetto si
rivede nell’Ijma, che nasce perché ad un certo punto la sunna non era più sufficiente.
Allora si dice: vediamo come si sono comportati i seguaci (quelli della generazione
successiva a Muhammad e ai suoi “compagni” =quelli della stessa generazione). E il
comportamento di questi seguaci è l’Ijma. La differenza tra sunna e ijma è cronologica ma
non concettuale. L’idea è che ci serve un comportamento 1 condiviso 2 reiterato nel
tempo: in questo caso c’è consenso, c’è Ijma
4) Ma c’era ancora bisogno di qualcos’altro e con quest’ultima fonte i credenti compiono un
passo coraggioso (le prime tre fonti erano tranquille concettualmente per i musulmani).
Con la quarta fonte invece, cioè la QIYAS entra in gioco la ragione umana, che nelle prime
tre fonti non giocava un ruolo. Con questa fonte emerge il ruolo del giurista che applica la
razionalità per estrarre nuove norme. L’operazione è comparare norme già estrapolate e
decise a nuovi casi non ancora risolti: se ho un caso non risolto cerco un caso simile e faccio
una analogia per risolvere il mio caso. Prima di questo QIYAS c’era il RA’J cioè una parola
araba che vuol dire “io penso”. Questo ra’j veniva usato dai giuristi come un pensiero libero
con cui risolvere le controversie per molte questioni (ma era molto, anzi troppo vago). Dal
Ra’j si passa con un processo di selezione al qiyas. Questo è un processo molto creativo.
Alla fine, la maggioranza della comunità ritenne che le fonti fino a quel momento create
fossero sufficienti per la comunità. Questa fase, attorno al 10° secolo DC, in cui la comunità (=la
maggior parte degli ulamà) ritiene che l’assetto sia sufficiente e stabile, è cruciale perché, per
evitare che questo equilibrio venisse compromesso, si è dato divieto di produrre nuove
interpretazioni della legge: era chiusa la porta dell’ IJTIHAD cioè la porta dell’interpretazione. Dal
decimo secolo è vietato cercare di estrapolare nuove norme. È stata forse la decisione più

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rimpianta dell’islam perché da questo è derivato l’ordine del TAQUID cioè dell’imitazione. Alcuni
dicono che, con questa chiusura dell’interpretazione, l’islam perde la sua capacità di adattamento.
In sostanza la legge sunnita è quella del 10° secolo.
Alcuni autori hanno detto che il diritto islamico ha avuto e ha capacità di adattamento con le
interpretazioni giudiziarie, cioè le FATWA. Con le fatwa, un giurista qualificato risponde alla
domanda di un fedele su una questione. Alcuni dicono che, per questa via, l’islam potrebbe
riformare il diritto, ma nei fatti questa cosa non è mai accaduta.
Gli sciiti riconoscono solo le parti della sunna con le rivelazioni profetiche di Muhammad
perché dicono che i primi 3 califfi sono stati impostori. I buchi li hanno tappati basandosi su
raccolte di cose dette e fatte dagli imam, fonte di legge di grandissima importanza.
Giovedì 20 ottobre

L’evoluzione storica del diritto islamico a una certa si interrompe. Ci siamo imbattuti in una
fase in cui si interrompe l’interpretazione della legge circa nel 10° secolo. Perché? Una prima
ragione è perché i dotti volevano cristallizzare e rendere stabile l’assetto di quel momento storico:
infatti fino ad allora c’erano stati tantissimi conflitti e nel momento in cui il mondo musulmano ha
finalmente trovato, almeno sul diritto, un consenso, lo si voleva stabilizzare. Seconda ragione: una
glorificazione del passato tipica dell’immaginario sunnita. Chi è vissuto più vicino al luogo e al
tempo del Profeta è migliore di noi: si pensava che i grandi maestri del diritto (che poi fonderanno
le scuole), tutti vissuti tra 8° e 9° secolo dovevano essere necessariamente migliori dei giuristi
posteriori. I giuristi posteriori sono impoveriti. Lo spazio interpretativo si restringe sempre più
anche per questo motivo: che le interpretazioni del passato sono ritenute migliori. La chiusura non
fu immediata ma graduale. I grandi giuristi del passato, si diceva, avrebbero già risolto tutte le
questioni fondamentali e i giuristi contemporanei potevano risolvere solo questioni secondarie,
fino al 10° secolo, in cui a una certa, risulta vietato interpretare di nuovo diritto. A differenza
dell’occidente, sono le interpretazioni vecchie ad avere più valore. E allora cosa fanno i giuristi
viventi? Commentano e ripetono le opinioni del passato. Quindi tutta la letteratura
giurisprudenziale, che continua a crescere, è composta di trattati che ripetono e commentano e
spiegano i vecchi scritti. Il commentario è il grande genere del diritto islamico contemporaneo.
Tutto questo ha delle conseguenze: tutta questa mole di tomi rende un po’ difficile arrivare alla
fonte del diritto, perché per accedervi devi passare per questa selva di scritti. I grandi giuristi dopo
il 10° secolo diranno 2 cose: 1 che bisogna riaprire l’interpretazione 2 che bisogna buttare un po’ di
questi commentari, perché rendono difficilissimo arrivare alle fonti.
Se si riflette sulle 4 fonti di cui sopra, ci si trova a pensare questo: la sharia non dovrebbe
essere il diritto divino? Ma, come abbiamo visto sopra, c’è ben poco di divino (solo alcune parti di
corano) e molto di umano, perché c’è molta discrezionalità del diritto umano (Muhammad era un
uomo, i 4 califfi erano uomini, la Umma è formata da uomini ecc). Quindi il complesso delle fonti
(escluso il corano) sono il frutto dello sforzo della comunità di tradurre in pratica i principi religiosi
e di vita esposti da Dio nel testo coranico. Da ciò deriva come il principio teorico per cui la sharia è
di origine divina, è vero solo molto parzialmente. Ma per i musulmani la sharia rimane un diritto
divino. Ciò è importante nel momento in cui la sharia diventa il diritto di uno stato: il principio
divino impedisce, almeno formalmente, all’uomo di fare legge, perché questo diritto c’è già ed è
divino. Nell’Islam non c’è diritto positivo perché il diritto è dato da Dio agli uomini. Questa
articolazione del diritto in fonti non ha visto la comunità dare lo steso significato e peso alle 4
fonti. Rimaneva infatti una discrepanza di opinioni sul peso specifico delle 4 fonti. Medina diventa
celebre per lo studio della sunna. Sorgono altri luoghi di sapere e studio (Baghdad, Kufa –città
dell’attuale Iraq- Kairouan…) e ognuno di questi centri del sapere si è specializzato in una
particolare branca. Ad es. le scuole di medina danno importanza alla Sunna. Ma le opinioni

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giurisprudenziali erano influenzate anche da altri fattori: ad es nella penisola arabica, ancora
tribale e nomadica, si dava importanza al diritto della tribù più che a quello dell’individuo, quindi
anche le interpretazioni riflettevano questo aspetto. Le opinioni giuridiche che nascono in abito
urbano e cosmopolita (specie nell’attuale Iraq, futura culla del califfato abbaside) le interpretazioni
danno più importanza all’aspetto individuale.
Ovviamente nascono le scuole giuridiche islamiche, dette MADHAB /mazab/ nascono così: con la
cristallizzazione di opinioni giuridiche. Tra ottavo e nono secolo nascono moltissime scuole
giuridiche e ci sarà un processo di osmosi di scuole giuridiche e ne prevarranno 4 nel mondo
sunnita:
1) HANAFITA li troviamo nella mezzaluna fertile –ora Siria, Libano-. Sarà la scuola del mondo
Turco, sarà la scola del mondo asiatico (escluso Iran dopo la conquista sciita ovviamente) e
le parti dell’India islamica sono hanafite. Questa ondata di conquiste infatti è stata dovuta
ai turchi, che erano già stati islamizzati e hanno esportato tanto la scola hanafita. Sono
abbastanza progressisti
2) MALIKITA specie in Africa. Questa scuola nasce in ambito arabo (il fondatore ha vissuto e
abitato a Medina). La scuola malikita però si espande tantissimo e soprattutto in tutto il
Nord Africa e in parte dell’Africa centrale. Sono piuttosto aperti e tolleranti
3) SHAFIìTA è una scuola particolare: nasce nel sud della penisola arabica e diventa una scuola
che si diffonde con le navigazioni. È la scuola dei mercanti, dei navigatori arabi. C’è questo
triangolo che unisce oceano indiano, costa d’Avorio e costa orientale africana e poi fino
all’Indonesia. Dopo la nascita dell’Islam, a questi traffici marittimi si uniscono missionari
arabi shafiiti. È un islam piuttosto aperto e tollerante. Questo islam è prettamente arabo,
non turco o africano. La cosa divertente è l’Indonesia, che è oggi il più grande Paese
musulmano
4) HANBALITA è una scuola un po’ a sé ed è la più recente (fine 9° secolo). Nasce come
reazione alle altre scuole, ritenute troppo tolleranti. Questa scuola, prettamente araba, è
una reazione conservatrice. Ce l’hanno molto con gli anafiti. È una scuola molto rigida per
l’uso delle fonti. Usa veramente solo sharia e corano e le altre due le usa molto poco.
Troviamo questa scuola nella penisola arabica e si estende molto poco territorialmente.
Oggi è la scuola dell’attuale Arabia Saudita. C’è stato un revival hanbalita nel medioevo (13°
secolo), che avrà come protagonista IBNTAYMIYA, teologo musulmano che visse nel 1200 e
riprese il pensiero hanbalita, lo rielaborò e ne fece una ideologia molto puritana e rigida
nell’interpretazione coranica. Egli ritiene molto deplorevoli 1 le forme di mistica (sufismi) 2
le interpretazioni libere delle fonti 3 gli sciiti. Questa idea è diventata maggioritaria solo in
Arabia Saudita, per causa del movimento WAHABITA (nasce le 1700 e si rifà al pensiero di
questo qui). Gli wahabiti si alleano con la tribù araba degli IBNSAUD e conquistano molte
zone poi vengono sconfitte; poi riconquistano e fondano l’Arabia saudita. Si battono contro
chi non è considerato un buon musulmano.
Le scuole nascono nell’8°-9° secolo. Le differenze sono quanto l’uomo può spingersi ad aggiungere
norme a quello che hanno detto Dio e il profeta. Va sottolineato che la tendenza a essere chiusi o
aperti si deve anche alla collocazione geografica: le scuole lungo “la frontiera”, che stanno quindi
negli ambiti da poco o non ancora islamizzati, sono molto molto meno rigide. Ad es gli anafiti, che
si espandono tanto in Asia orientale, sono molto poco rigidi perché si devono adattare tanto
Queste 4 scuole valgono per il mondo sunnita.

Il mondo sciita, dal punto di vista del diritto, si divide anch’esso. La scia duodecimana ha
una propria scuola giuridica, la scuola JAFARITA (dal sesto imam sciita, Jafar). Non ci sono enormi
differenze con le scuole sunnite. Ci sono alcune differenze: nella figura nell’imam in primo luogo,

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che può interpretare le scritture e può fare diritto (fino al 12° imam almeno). Grazie a questo fatto
c’è stato un po’ più tempo per l’interpretazione. Altra differenza da sottolineare è il ruolo del
JIHAD (Guerra santa) che gli sciiti considerano uno dei pilastri della fede (mentre i sunniti la JIHAD
non è un pilastro). La Jihad è un obbligo individuale del credente ed è aggiunto ai 5 pilastri sunniti.
La jihad per gli sciiti si può fare anche contro musulmani che si dichiarano tali ma non lo sono
davvero (mentre per i sunniti la Jihad 1 si può fare solo contro non musulmani 2 la jihad la deve
dichiarare una autorità religiosa ed è un dovere collettivo). Altra differenza: per gli sciiti si può fare
un matrimonio temporaneo (anche di poche ore, è quasi una legalizzazione della prostituzione).
Altra differenza ancora: la dissimulazione, detta TAQIYA cioè la possibilità legale di negare
l’appartenenza alla tua fede: se sei in situazione di costrizione e rischi la tua vita puoi legalmente
fare questa cosa (questa possibilità esiste anche nelle altre confessioni ma ha più successo qui
perché gli sciiti sono una minoranza e quindi capitava spesso agli sciiti di dover salvarsi la pelle).
Questa Taqiya recentemente è stata ritenuta una cosa molto ipocrita e incoerente perché ti esime
dall’obbligo di assumerti le conseguenze del fatto di essere di quella fede. Ci sono poi differenze
tra le altre confessioni sciite ma sono minimali..
i 5 pilastri (per i sunniti)
1. Pellegrinaggio a La Mecca
2. Ramadan
3. Professione di fede
4. Elemosina
5. Preghiera 5 volte al giorno
Se studiamo la sharia ci accorgiamo che è un diritto particolare e difficile da applicare nell’ambito
di uno stato. Quanto era uno strumento efficace? Poco. E quanto creava problemi? Molto, perché
la Sharia non ha mai avuto una codificazione. La sharia è un diritto non codificato, e questo è
importante. Perché non è mai stato prodotto un codice? Non lo sappiamo ma possiamo fare
ipotesi:
1. i musulmani hanno molta ritrosia a codificare le cose (anche la sunna e il corano sono stati
scritti tardi)., probabilmente perché avevano paura che mettere per iscritto le cose aprisse
il rischio che alcuni credenti pensassero che quegli scritti erano allo stesso livello del
corano.
2. La sharia si è cristallizzata nel 10° secolo e in quel momento il potere politico islamico
tendeva a frammentarsi. In questo momento il potere sta declinando, il califfo fa tanta
fatica a controllare il territorio e si formano degli staterelli. Il fatto che la sharia si fosse
cristallizzata in questo momento storico faceva temere il rischio che la sharia vigesse in una
parte del territorio e non in un’altra. Invece si pensava che lasciando questo carattere
indefinito alla sharia sarebbe stato più facile applicarla a tutta la umma.
3. Si pensava che, se la sharia fosse stata codificata, questa sharia avrebbe permesso al
potere politico di svincolarsi dai dotti. infatti gli ulamà avevano l’importantissimo ruolo di
interpretare e applicare le fonti. Ecco perché gli ulama sono sempre stati contrari alla
codificazione della sharia. E le poche volte in cui si è cercato di codificare la sharia, è
sempre stato un tentativo politico, non religioso (es tra 600 e 700 un imperatore,
AWRANGZEB, musulmano indiano propone una codificazione, ma poi non se ne conclude
molto). Inoltre, l’epoca in cui si è andati più vicini a codificare il diritto islamico, è stato
quando si è colonizzato, perché lì c’era bisogno di un codice per giudicare i sottomessi.
La sharia dunque è un diritto non codificato. La sua non codificazione ha reso la sharia di
difficile applicazione come diritto di uno stato. Ma non è solo il fatto che non sia codificata a
rendere la sharia difficilmente applicabile: è la stessa natura della sharia a renderla difficile da
applicare. La shria per sua natura, essendo un diritto nato fuori dallo stato e nella società, non

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attribuisce nessun particolare ruolo allo Stato, alla cosa pubblica. Manca l’idea di personalità
politica pubblica. La sharia si avvicina alla nostra idea di diritto civile (ho subito un danno  vado
in tribunale e porto le prove). Manca la personalità giuridica dello stato, quindi era facile risolvere
controversie civili tra privati, ma per esempio è un casino quando si devono risolvere casi penali
perché manca una “pubblica accusa”, manca lo Stato che si fa parte civile e fa una delle 2 parti del
processo. C’è anche il problema delle prove: perché una prova si a valida ci devono essere 5
testimoni maschi e di provata fede, che confermino le accuse. Quindi in certi tipi di casi è
difficilissimo provare qualcosa (es un omicidio, una violenza ecc). possono testimoniare anche le
donne ma ce le vogliono il doppio (valiamo la metà). E quando non ci sono i testimoni non si
possono applicare le pene previste dal corano  è il giudice che a quel punto può applicare a sua
discrezione tutta un’altra serie di pene. Si è un po’ creata una tensione in questo ambito del diritto
penale tra ulamà (che hanno preponderanza nel diritto) e Stato (che giustamente pretendeva un
ruolo nella giustizia penale). Si assiste a un tentativo da parte del potere politico di ritagliarsi delle
sfere normative e di creare diritto, anche se questo in teoria è proibito. Lo fa creando una propria
prassi e lo fa sempre in conflitto con gli ulamà.

martedì 25 ottobre 2016

La sharia è difficile da applicare come diritto dello Stato. Lo stato da un punto di vista giuridico non
esiste. Non c’è una pubblica accusa, non c’è niente. Nel diritto penale c’è vaghezza per quanto
riguarda reati e pene. Ce ne sono solo 5 menzionati nel Corano, che stabilisce le pene (è Dio che
stabilisce le pene) e sono casi particolari perché è Dio che ha deciso di regolamentare lui stesso
solo queste fattispecie:
1. Reati sessuali
2. Consumo di Alcol
3. Apostasia
4. Furto (taglio dell’arto)
5. Omicidio (lapidazione)
Questi 5 casi sono chiamati HUDUD cioè limiti, confini. Solo per questi casi la Sharia dà delle pene.
Queste pene possono essere comminate solo quando c’è l’onere dalla prova islamica (5 persone
hanno assistito al fatto e sono 5 maschi di fede provata). Se non si può comminare la penna, cosa
fa il giudice? Applica altre pene. Questa eccessiva discrezionalità del giudice è un problema. Nel
caso del Pakistan negli anni 80 sono state introdotte (da ZIA UL HAQ) delle pene nel sistema
giuridico pakistano. Il reato sulla fornicazione ha reso ancora più esposte le donne al reato di
violenza perché se una donna subisce violenza sessuale, già il fatto di denunciare la cosa, equivale
a una confessione di fornicazione (ZINA). Questo ha visto come paradosso donne che hanno subito
violenza finire in carcere.
Questo ci aiuta a capire lo sviluppo storico dell’Islam: storicamente, nel califfato, il Califfo ha avuto
la tendenza ad invadere il campo della Sharia, cosa che non avrebbe dovuto fare (la Sharia nasce
nella società e nella società doveva rimanere, sotto il controllo degli Ulamà). Gli ulamà nascono
spontaneamente dalla comunità e provengono dalla comunità. Lo stato è altro da tutto questo.
Nel concreto lo Stato cerca di occupare questo spazio e ha cercato di promulgare una propria
normativa. Questo non poteva in teoria accadere, ma ciò che accade fin dalle origini del califfato e
che si rafforza sempre più nel califfato monarchico, è che i califfi, vista la difficoltà della Sharia di
regolamentare la vita, regolamentano a loro volta la vita della società. Questo crea un precedente
e gli ulamà non soffrono bene questa cosa. Questo precedente viene anche battezzato (specie
sotto gli abbasidi) come SIYASA SHARìA che potrebbe voler dire la politica secondo la legge

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religiosa. Siyasa è una parola di origine militare e era l’arte di condurre il cavallo in guerra e poi si
estende a significare tutta l’attività del sovrano e infine vuol dire l’attività politica in senso
secolare-laico. Questa siyasa sharìa nasce di fatto dalla vita concreta ed è un istituto che
tecnicamente prevedeva la superiorità della sharia: era ammesso che il potere politico emanasse
decreti per regolamentare ambiti specifici, a patto che questi non violino la Sharia. Questi
regolamenti riguardavano in primo luogo l’ambito penale o per la vita pubblica (es. non si può
uscire dopo le 10 di sera). Altri ambiti: il diritto commerciale e mercantile; i regolamenti sanitari
ecc. tutte queste cose non c’erano nella Sharia ma ce n’era bisogno. Qual è il problema? Che
questo precedente era difficilmente teorizzabile. Rimaneva infatti il principio di fondo per cui in
teoria non viene travalicata la sharia. Rischio e problema c’è quando questa cosa invade il campo
della Sharia perché lì gli ulamà fanno resistenza. Qui c’è attrito tra Ulamà e Stato. Questa è una
declinazione del problema di fondo dell’Islam, cioè che l’Islam è poco istituzionalizzato perché
l’enfasi è nella comunità. Il corano parla sempre di comunità ma non parla mai dello Stato. In che
cosa questa politica avrebbe dovuto essere incarnata? Il corano non da una risposta e il califfato è
la risposta della comunità, non è nel corano. Il problema della teorizzazione del Califfato è un
problema su cui i dotti musulmani si scervellano a lungo. I musulmani accettavano lo status quo
ma prima della teorizzazione abbaside (quando si cerca di teorizzare il califfato). C’è quindi un
problema di debolezza e fragilità istituzionale. Soggetto è la comunità, non lo Stato. Lo stato è un
apparato limitato che serve a svolgere funzioni (mantenere unità della comunità, difendere i non
musulmani che si sono sottomessi all’islam, fare jihad ecc) ma una volta che lo Stato ha compiuto
queste cose non deve fare altro. Lo Stato non è fonte di valori o di altro. Paradossalmente un
totalitarismo islamico non sarebbe concepibile (nel senso di Stato che si impone sui cittadini) -è
una cit. di Roy- perché lo Stato è troppo debole per farlo. In una situazione così, tra ulamà e califfo
nasce competizione. Quando l’islam si confronta con la modernità questa cosa servirà come
precedente per superare la posizione degli ulamà e imporre riforme moderne. Ad es. succederà
con i Qanun ottomani, ovvero dei canoni emanati sai sultani ottomani per riformare l’impero.
Nell’Egitto di Muhammad Ali introdurrà in Egitto riforme di stampo moderno. In epoca moderna
spesso i regimi musulmani fanno riferimento a questa cosa per riformare.
Problema degli ulamà: non possono esercitare il potere. Possono al massimo decidere i requisiti di
chi può governare. E il califfo non può esercitare autorità religiosa. Quindi si sgomita.

Torniamo all’evoluzione storica del califfato. Il califfato ben guidato nel 661 finisce. E poi? Una
famiglia si impadronisce del califfato. È la stessa famiglia che si era allontanata da ali e lo aveva
fatto uccidere. Questa famiglia sposta la capitale a Damasco e crea la stirpe OMMIADE. Da
Damasco era facile controllare il mediterraneo.
661-750 è il periodo Ommiade. In questa fase c’è grande penetrazione nel Nord Africa,
detto anche il Maghreb islamico. Riescono a conquistare la penisola iberica e in Francia. Vengono
bloccati nel 732 da Carlo Martello con la battaglia di Poitiers. Però è opinione comune degli storici
musulmani che nel passaggio da califfato ben guidato a quello ommiade è successo qualcosa: è
venuto meno l’ideale califfale perché il califfato con gli ommiadi si trasforma in una monarchia
pura e semplice. Non è più una leadership politica e religiosa, ma è solo una monarchia che si basa
sull’esercizio della forza e della violenza. Si trasmetteranno di padre in figlio il potere. Non è più la
comunità a scegliere il califfo. Conseguenze: durante il periodo ommiade, aumenterà l’importanza
della mistica islamica (sufismo). Si cerca una via mistica all’islam perché il califfo non è più quello di
una volta.
Dal 750 si passa alla famiglia degli Abbasidi, che prendevano questo nome da Abbas, che
sembrava essere omonimo dello zio del profeta. Fu storicamente incerto se questi abbasidi sono
effettivamente discendenti del profeta. Oggi si pensa che non sia vero. Durante il periodo abbaside

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si cerca di sottolineare il lato religioso della figura del Califfo. Questo si deve intanto alla tensione
tra califfi e ulamà. La shia era molto influente nel periodo Abbaside. Gli abbasidi governavano da
Baghdad. Nel passaggio ciò che accade è che il baricentro si sposta verso Oriente e gradualmente il
califfato entra in contatto con la cultura persiana: Baghdad si trova a pochi chilometri dalla vecchia
capitale safanide (?). con questo spostamento verso est il califfato si ridefinisce e questo lo
sappiamo per certo. Il califfo è sempre meno leader beduino e sempre più leader persiano.
All’inizio il califfo era un primus inter pares: era un uomo, un leader, un guerriero. Questo profilo
rimane nel periodo ommiade, ma nel periodo abbaside i califfi assomigliano sempre di più ai
sovrani persiani. Il califfo si atteggia a monarca superiore e dalle rappresentazioni si vede che gli
abbasidi si fanno rappresentare con gli ornamenti tipici persiani (es. diadema). Questo fenomeno
si chiama persianizzazione del califfato. In tutto questo il rapporto califfi-ulamà peggiorava perché i
califfi si sacralizzavano e non si accontentavano di essere uomini e basta, volevano sempre di più
essere leader con una autorità spirituale. Alcuni califfi affermeranno addirittura che il Corano è
creato. L’idea consolidata nei secoli era quella che il corano è increato: il corano, in quanto parola
di dio, ed essendo emanazione dell’essenza divina, ed essendo dio increato, anche il corano è
increato. Gli ulamà sostenevano questo perché gli conveniva: gli ulamà che interpretano il corano
sono molto importanti. Invece gli abbasidi dicono che il Corano è creato da Dio, che domani
potrebbe crearne un altro. Il corano viene quindi un pelo pelo sminuito. Alla fine gli abbasidi
accetteranno che il corano è increato ma ci metteranno un po’. Il califfato quindi si trasforma.
L’Islam quindi si espande moltissimo (Maghreb e Mashreq islamico sono occidente e
oriente islamico) ed entra in contatto con le istituzioni di altre culture, più raffinate di quelle
islamiche. Saranno queste culture a dare le teorie, le idee e alle volte il personale per dare forza
all’espansione islamica. L’islam nella sua espansione non fa affatto tabula rasa (anche se c’è
l’aspetto fortemente militare della conquista) ma ci sarà grande rispetto dei territori conquistati.
Questa non è solo questione di bontà e generosità: infatti gli conveniva per una ragione
economica. Se io conquisto la società persiana, non ha senso che io bruci e distrugga tutto, perché
comprometto l’economia delle società conquistate. Siccome l’islam impone una tassa sulle terre
conquistate, l’JIZYA, che veniva data per avere salva la vita (dovevi accettare il dominio, anche se
non dovevi convertirti, e pagare la tassa). Quindi sarebbe stato un danno per il califfato stesso
distruggere le economie di questi Paesi. Abbiamo capito che quando una armata islamica
conquistava una città, i musulmani non si insediavano nella città conquistata, ma vi si ponevano
accanto. Costruivano un accampamento fortificato lì accanto. Lo scopo era proprio evitare che le
armate distruggessero e saccheggiassero. C’è di solito un dualismo città conquistata –
insediamento arabo: nell’insediamento ci sono l’etica tribale e militare. La città musulmana è il
luogo dell’urbanità e della cultura. Gradualmente, però, cade la frontiera città-accampamento,
avviene una osmosi tra i due insediamenti e infine scompare la differenza conquistatori-
conquistati. I conquistatori sono sempre meno tribali arabi e sempre più sedentari civilizzati e si
insediano lì, prendono parte alla vita della zona. Questa cosa sarà importantissima in Persia.
Emerge piano piano una cultura comune, sempre più sedentaria e detribalizzata. Ci sarà una
ritribalizzazione solo quando ci c’è la caduta delle barriere con il mondo turco, ma succederà più
tardi. Ciò che nasce qui è la cultura cosmopolita del califfato. Le città saranno sempre più miste e
ibride. Ci saranno persone di provenienze differenti. C’è una graduale trasformazione in cui alcune
caratteristiche vengono esportate (es l’etica tribale). Nasce una cultura politica dalla commistione
tra conquistatori e conquistati. Questa natura ibrida si riflette anche nell’aspetto linguistico: nel
periodo abbaside c’è molta importanza per quanto riguarda la lingua persiana (il FARSI) che
diventa la lingua colta e poi anche del governo e della politica. L’arabo rimane importante perché
è la lingua del corano. Le opere religiose continuano a essere in arabo. Ma sempre più la vita laica
della comunità usa il persiano nella politica. Questo avviene mano a mano che gli arabi si rendono

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conto che hanno bisogno di una lingua per l’amministrazione. Il califfato coopta le élite delle civiltà
conquistate. Questo avviene per il mondo persiano soprattutto. Saranno Persiane anche le idee
sulla politica.
Ora parliamo del rapporto con le popolazioni soggette. Infatti il corano dice solo di
espandere l’islam ma non dice come gestire la cosa una volta conquistato un posto. L’alternativa
alla conquista e alla sottomissione è la morte. Quindi costruire una sfera politica e religiosa che
regolasse il rapporto con le popolazioni che si sottomettono pur non convertendosi è una
problematica tutte nuova. Il califfato ha incorporato popolazioni che musulmane non sono e che
sono state sottomesse. Vivono pacificamente e hanno diritto ad aver salva la vita. Il califfato deve
ridefinirsi anche decidendo che spazio hanno queste persone. Rispetto a coloro che si convertono,
il principio all’inizio è l’egalitarismo islamico (tutti uguali tra noi dell’islam). Quando si incorporano
altre popolazioni, i non musulmani sono su un gradino inferiore. Ma se si convertono dovrebbero
essere allo stesso livello degli altri musulmani. Ma nella realtà emergono dei motivi che causano la
gerarchizzazione della Umma: emergono differenziazioni basate sul potere politico, la umma si
distanzia dall’ideale islamico di eguaglianza e si creano gerarchizzazioni. Inoltre c’è il fattore
persianizzazione: l’islam fa proprie teorie e idee della società persiana. La società persiana non è
egalitaria e anzi è basata su una struttura gerarchica. Le persone qui nascono diseguali. Il compito
del buon governante era quello di mantenere le gerarchie naturali della società. Quando l’islam si
contamina con il mondo persiano prende anche queste idee della società con buona pace del
Corano e di Muhammad. Lo si vede nei trattati sulla politica prodotti dal califfato abbaside. Attorno
al 10° 11° secolo nascono anche tante dinastie locali perché il califfato abbaside è in declino. È
anche un momento di grande produzione letteraria e questi scrivono trattati con questa visione
persiana della società: ognuno ha la sua funzione e deve svolgerla e se sei contadino sei più in
basso del mercante che è più in basso del soldato. Un libro si chiama SIYASAT NAMA: è stato
paragonato al principe di machiavelli versione tardo-islamica, riflette proprio queste visioni
(autore NIZAM ULMULK) che scrive nel contesto selgiuchide. Perché questo è interessante? Perché
è evoluto tantissimo e si è molto allontanato da alcuni dei principi di partenza. Da umma
orizzontale a società gerarchica. Non c’è una conciliazione possibile con la visione di partenza di
Muhammad. L’intera élite dell’esercito persiano (specie la cavalleria sassanide) si converte in
blocco all’Islam . Ma, in particolare, il concetto importante quando si parla di contatto, è
l’istituzione dei MAWALI che è il rapporto clientelare nostro. La radice –WLI vuol dire vicinanza.
Chi erano questi MAWALI? Erano dei non musulmani (usata specie per i persiani zoroastriani
esperti di amministrazione pubblica sotto i sassanidi) che accettano la supremazia islamica e
entrano a far parte dell’amministrazione islamica sotto la protezione dei musulmani. Questi si
convertiranno e convertendosi diventano il nervo politico-amministrativo del califfato abbaside.
Però, nel fare questo, i mawali portano con se l’aspettativa di poter ottenere uno status elevato.
Invece questi saranno considerati dagli arabi come persone soggette e sottomesse. Questo porta a
tensioni perché i mawali risento di questo basso status sociale. Ci sarà una serie di rivolte contro
gli arabi. È opinione degli storici che questi scontri accelereranno il processo di crisi del califfato
abbaside. Il califfato abbaside quindi è una struttura in rapida evoluzione ed è sempre meno araba
e sempre più cosmopolita. Più passa il tempo più l’importanza della cultura araba si affievolisce.
L’arabo rimane importante per l’aspetto religioso, ma nella cultura politica il persiano è la lingua
importante e la cultura importane. Da qui in poi la lingua del potere sarà la lingua persiana. Tutte
le culture e le lingue che sorgeranno nei territori conquistati saranno persiani. Nel tardo periodo
abbaside emergerà una terza cultura: quella turca. Questa cultura inizialmente entrerà come una
cultura militare. Cadrà piano piano la frontiera del mondo sedentario di Baghdad e quello asiatico.
Il mondo turco si insinuerà in primo luogo con gli schiavi che venivano islamizzati e schiaffati
nell’esercito del califfato. Poi, nella fase finale abbaside, ci saranno sempre più penetrazioni turche

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che faranno pressione sulla frontiera orientale e occuperanno parte del califfato abbaside
formando staterelli turchi che, dal 1100 fino al 1150 conviveranno in modo strano con la figura del
califfo. Quello che accade è questo tipo di evoluzione storica: 3 culture che si susseguono (arabi
persiani turchi) e non si cancelleranno reciprocamente ma svolgeranno funzioni diverse. La cultura
araba sarà sempre più religiosa, quella persiana sarà cultura del governo e della politica e lingua
letteraria, la cultura turca svolgerà una funzione soprattutto militare. Dunque il califfato alla fine di
questa grande traiettoria storica sarà diverso da com’era in partenza.
Il califfato ha sempre avuto un problema di legittimazione: la comunità fonda il califfato.
Non c’è un comandamento divino. In realtà manca e mancherà per molti secoli una completa
teorizzazione del califfato. E uno si chiede: ma nessuno ha sentito il bisogno di scrivere sulle basi
teoriche del califfato? In realtà c’erano persone che se ne occupavano (c’era sempre un capitolo
nei libri in cui si dicevano diritti e doveri del califfo) ma mancava una analisi teorica e teologica al
riguardo. La domanda è perché i musulmani per tanti secoli non hanno sentito il bisogno di dare
una teorizzazione al califfato. La risposta è che non lo sappiamo ma possiamo fare una ipotesi: era
la stessa mentalità musulmana a rendere superflua una teorizzazione del califfato, finché questo
era forte e faceva tremare mezzo mondo. Nell’apogeo del califfato (632 fino agli ommiadi) nessun
dotto sente il bisogno di porsi questa questione perché la mentalità musulmana tende a mettere
dio dietro agli eventi. Siccome un califfato c’era ed era forte e glorioso verso i nemici e vincente
ecc. era implicito che dietro a questo califfato ci fosse Dio. Doveva per forza essere Dio a volere
questo califfato. Dio crea la realtà in ogni istante. Secondo la mentalità islamica dio crea il bene ed
il male. Il dio onnipotente crea tutto, anche il male. Dio può volere che io faccia il male perché i
suoi disegni sono incomprensibili. Chi parte da una impostazione così non ha bisogno di porsi
questo quesito. Non ci deve sorprendere che le teorizzazioni sul califfato nascono quando il
califfato entra in crisi. Sarà solo dopo il 1000 che ci si porrà il problema. Quando i musulmani si
porranno questo problema la risposta sarà che si, il califfato è obbligatorio.

mercoledì 26 ottobre 2016

il persiano sarà scritto con l’alfabeto arabo, che si evolve e acquisisce nuovi caratteristiche.
Quali sono le dinamiche interne del califfato? come si sviluppa la società islamica?
Guardiamo il rapporto tra musulmani e non musulmani. La lettera delle scritture (ciò che
c’è in corano sunna ecc.) viene solo in parte rispettato. C’è un versetto in cui Dio dice
“combatteteli dunque affinché non ci sia più scandalo ecc.” riferendosi ai non musulmani quindi il
comandamento è di combattere i non musulmani senza se e senza ma. Ben presto operò i
musulmani si rendono conto di non poter conquistare il mondo intero. Differenza terra dell’islam
(DAR AL ISLAM) e terra della guerra (DAR AL HARB). La differenza non è che da una parte sono tutti
musulmani e dall’altra tutti infedeli, ma la differenza è che nel DAR AL ISLAM è dove governano i
musulmani, nel dar al harb hanno il potere gli infedeli e questa differenza è importantissima.
Questa distinzione contrasta il comandamento divino perché già accettare la divisione vuol dire
che l’Islam non conquisterà tutto il mondo. Quindi qui l’islam lascia come lettera morta il
comandamento coranico. Almeno una volta l’anno il califfo deve fare un jihad contro gli infedeli.
Questo dovere nel tempo diventa sempre più simbolico che reale. Diventa un simbolo. E dentro i
confini del califfato cosa avviene? Nel corano tutti dovrebbero abbracciare l’Islam. Nella sura della
conversione, la numero 9, si dice che bisogna convertire tutti. Ma nella realtà non sarà così. Alcuni
semplicemente non si convertono e rimangono non musulmani e questa cosa viene lasciata
correre. Perché si lascia che ciò avvenga? 1 perché l’enfasi è sul fatto che l’islam comandi ed abbia
potere. Questo è il focus principale, infatti l’umma deve essere governata da un musulmano

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perché solo così posso essere un buon musulmano, ma anche se qualcuno all’interno non si
converte non importa, basta che il potere politico sia in mano islamica. 2 è conveniente
economicamente perché questi qui che non si convertono pagano una tassa JIZIA che va nelle
casse del Califfo (anche i musulmani pagano una tassa che si chiama ZAKAT ma è meno onerosa ed
è un dovere del buon musulmano). 3 certe persone non musulmane sono necessarie ed impiegate
nell’amministrazione pubblica ed in altre posizioni tecniche 4 i musulmani sono sempre stati
convinti della superiorità del messaggio islamico quindi l’idea era che non ci fosse bisogno di fare
la conversione, perché tanto anche i non musulmani prima o poi sarebbero stati “assorbiti” e si
sarebbero convertiti per conto loro. Non sempre era piacevole essere non musulmani nel califfato
(all’inizio, prima dell’introduzione della tassa, dovevano portare un drappo giallo per essere
distinti, ma questa consuetudine viene abbandonata presto) ma in generale non era malaccio. Si
passa da una società di soli musulmani ad un’altra che contiene anche non musulmani e che poi
introduce ulteriori elementi di novità e stratificazione. Chi si convertiva, infatti, lo faceva per
differenti ragioni, ma soprattutto per ottenere lo status sociale dei conquistatori, anche se
raramente questo avveniva: si crea quindi una stratificazione sociale basata sull’antichità della
conversione (i più recentemente convertiti sono i più in basso). Questo fenomeno della gerarchia
sociale legata alla conversione è un fenomeno che si crea soprattutto alla periferia dell’impero.
Si sa che i luoghi del profeta sono il centro della perfezione. Ciò che avviene nelle società
islamiche di nuova formazione è che questi si inventano delle genealogie per dare lustro, potere e
credibilità alla propria famiglia (ovviamente questo accadeva dopo un po’, non appena ti
convertivi). 2 aspetti: uno etnico (se sei arabo sei più vicino al cuore dell’Islam) uno religioso (se sei
arabo sei più vicino al centro, più sei vicino al cuore della religione). Più ci si allontana dalla
penisola arabica più le stratificazioni si complicano. Poter vantare una origine straniera era meglio
per l’autorità perché potevi ricondurre indietro nel tempo la tua stirpe. Queste stratificazioni sono
legittimanti anche religiosamente. Es. andiamo in Afghanistan. I Pashtun sono musulmani al 99% e
sono afghani, non arabi (parlano Pashto, hanno un proprio codice e una propria legge tribale ecc.).
Tuttavia, i Pashtun hanno creato un mito della propria conversione all’islam: si sarebbero
convertiti all’islam grazie ad un mitico antenato, QAYS, che era un afghano, che però si sarebbe
recato a La Mecca e che, ascoltando il profeta, si sarebbe convertito. Dopo la conversione sarebbe
tornato e avrebbe convertito tutti i pashtun. Qual è il significato di questo mito di conversione? I
pashtun, non potendo essere arabi, hanno ricostruito una storia per nobilitarsi legandosi
direttamente alla figura del profeta. Se guardiamo all’Andalusia, conquistata dall’islam, qui si
creano situazioni particolari: non tutti intanto si convertono all’Islam. Ma, comunque sia, con il
dominio musulmano della penisola iberica, il contatto con gli arabi fa si che tutti un po’ si
arabizzino. 2 gruppi: 1 persone non musulmane che non si convertirono (o ebrei o cristiani di
solito) diventando quindi non musulmani che vivano sotto l’islam (chi non si converte ma vive
sotto l’islam sono i DHIMMII che comunque prenderanno stile di vita, cultura ecc islamica e
faranno da mediatori tra arabi musulmani e non musulmani 2 quelli che in seguito alla conquista
si convertono. Con la reconquista cristiana tutto questo viene rinnegato e verranno tutti costretti a
fuggire (anche gli arabizzati non convertiti).
Abbiamo detto che di solito i musulmani non obbligavano alla conversione. E allora la
domanda è: perché alcuni si convertivano? Quali sono le modalità? Non è un tema facile x due
motivi:
1. quando noi parliamo di conversione parliamo di qualcosa di molto ambiguo perché la
categoria di conversione è occidentale e vecchia (800centesca). Quando si parla di
conversione si pensano a categorie un po’ vecchiotte: fino al 20° secolo si concepivano le
religioni come ben definite e con dei confini. Era facile con questa logica definire chi è
dentro e chi è fuori. Questa è la visione occidentale della conversione: o sei di qua o sei di

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la, il passaggio è univoco e non lascia strascichi; non ci sono forme intermedie. Questa
visione è sorpassata perché figlia di concezioni europee non sempre aderenti alla realtà.
Innanzitutto le religioni non sono uno spazio limitato in cui è facile dire chi è dentro e chi è
fuori perché ci sono tanti modi di appartenere e praticare una religione. Ci sono anche
forme di sovrapposizione tra religioni. Oggi sappiamo che la conversione, come tutte le
forme di acculturazione, non è mai un fenomeno a senso unico, ma biunivoco (l’influenza è
reciproca). Chi accetta le credenze di un’altra comunità in primo luogo può accettarle in
tutto o in parte e inoltre chi accetta un’altra religione la influenza con la propria vecchia
religione. Le islamizzazioni imperfette sono quelle in cui una comunità accetta l’islam ma lo
commisstiona e mescola con credenze proprie e locali. Alle volte accade anche che una
comunità accetti l’islam e in seguito torni alla vecchia religione.
2. Altro problema rilevante è quello delle fonti. Infatti gli studiosi e gli storici musulmani non
si sono molto interessati alle conversioni perché veniva considerato un fenomeno naturale
e atteso. C’erano dei dotti che seguivano i conquistatori. Dopo che le armate islamiche
conquistavano un territorio e lo avevano pacificato, questi dotti si piazzavano lì e poi
narravano la storia islamica della regione, ma questo veniva a distanza di tempo dagli
eventi. Altro problema è che queste fonti riguardanti l’islamizzazione dei territori non
distinguono tra conquista del territorio e conversione. Questi dotti musulmani riassumono
le fasi dell’islamizzazione con delle forme standard che sono tipo “dopo la battaglia la
popolazione si sottomise all’islam”. Ora il problema è che queste fonti in occidente sono
state interpretate come conversione del territorio, non come conquista, ma questi
occidentali non comprendevano che per chi scriveva, la conquista di un territorio significa
la supremazia della religione islamica, ma non si erano necessariamente convertiti.
“accettare l’islam” significa accettarne la supremazia politica, non convertirsi. La
conversione avviene molto più lentamente e in un arco di tempo molto lungo. Il
conquistatore non è solo un soldato ma è anche colui che porta l’islam. C’è quindi un
equivoco culturale. Oggi possiamo invece dare una lettura critica e capire che la
conversione all’islam è stato un processo lento, che spesso non è avvenuto al momento
della conquista ma in un momento successivo. Se ci sono state conversioni forzate sono
state eccezioni, non la regola
Ultimo elemento: di solito le fonti che ci raccontano queste cose sono fonti esterne agli eventi ma
è raro che si trovino fonti in cui la società musulmana stessa di persone che si sono convertite
all’islam ci raccontino come è successo. Le fonti ci sono, ma sono complicate e sono state prese sul
serio tardi. Queste fonti sono emerse durante il periodo coloniale, ma per molto tempo non sono
state calcolate. Fonti di questo tipo sono fonti di tipo popolari (funzionari coloniali che giravano e
dovevano dare tasse o cose del genere e che raccoglievano fonti e storie, poi giunte fino a noi).
Tutta questa roba, che all’epoca era considerata folclore, è interessante per ricostruire le storie
locali.
Quindi, fatte queste premesse, andiamo a vedere le modalità di conversione:
1) La teoria della spada, ovvero la conversione forzata (o ti converti o ti ammazzo). Questa
modalità di conversione ha avuto una sua rilevanza ed in diverse epoche (India musulmana
conquistata dall’impero Moghul, oppure in Iran nel 1600 e nel 1700). Ma le conversioni
forzate furono una eccezione, non la regola. Lo stesso islam tende ad enfatizzare la scarsa
rilevanza della conversione forzata. C’è una sunna di Muhammad che direbbe “Non c’è
costrizione nella fede”. Questa teoria della spada, molto popolare fino al 20° secolo, oggi è
meno considerata
2) Teoria del patronato socio-politico. Significa che la conversione avviene per interesse.
Attraverso la conversione vengono promossi o preservati interessi personali, aspettandosi

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dei vantaggi in cambio della conversione. È una categoria ampia. Uno dei casi qui compreso
è quello dei mawali. Non è assente in questa categoria una forma di violenza: infatti se io ti
faccio balenare l’idea che se non accetti l’islam perdi i tuoi privilegi sto esercitando una
forma di violenza, per lo meno psicologica.
3) Teoria della conversione per ottenere la liberazione da determinate situazioni sociali. La
validità di questa categoria si riferisce soprattutto alla zona dell’Asia, specie nelle zone di
cultura indiana: nelle zone in cui c’era il sistema castale, convertirsi all’islam voleva dire
avere una speranza di entrare in un mondo più egualitario. Se sono di una casta
intoccabile, l’islam mi fa gola. Dagli studi antropologici accade che in india i musulmani
appartengono spesso a vecchie classi indù. Bisogna poi sottolineare che, in realtà, il
miglioramento non è stato davvero effettivo perché, specie alla periferia dell’impero, la
società si stratificava molto, quindi rimanevi in basso lo stesso.
4) Molto spesso le comunità locali si convertivano perché c’erano dei leader carismatici che si
muovevano ai confini dell’islam e predicavano. Questi predicatori promuovevano la
graduale conversione delle popolazioni all’Islam. Questo tipo di fenomeni ci sono narrati
dalle fonti di cui sopra. Alcuni sono un po’ scettici riguardo a questa teoria. Innanzitutto
sappiamo che queste conversioni sono avvenute in un arco di tempo molto prolungato e la
frequentazione con questi missionari è stata molto prolungata. La conversione di queste
comunità è passata spesso attraverso la sedentarizzazione: questi gruppi entravano in
contatto con una istituzione sufi e gradualmente ne entravano nell’orbita. Si
sedentarizzavano e contemporaneamente accettavano l’islam. Questo islam sufi era più
simile alle religioni locali dell’islam sunnita propriamente detto, quindi veniva assimilato
più facilmente delle versioni ortodosse dell’Islam. Dato che queste istituzioni svolgevano
un ruolo così importante, le istituzioni centrali lasciavano fare.

Lezione del 2-11-2016

Prima provetta: mercoledì 9 alle 14.00


Argomenti: appunti di quanto fatto finora, due capitoli del bausani in pdf, capitoli 3,4,5 del primo
vol del lapidus e anche i capitoli 7 e 8 sempre dello stesso volume del lapidus.
Reprise:
In sintesi

Il tema delle conversioni, come altri punti di cui abbiamo discusso, evidenzia la discrepanza
fra quanto l’islam si ripropone di fare in teoria, e quanto emerge nella storia dell’islam c’è una
forbice fra valori islamici ideali e come che la umma va agendo de facto. Nella teoria, infatti,
sussiste l’obbligo di conversione degli “infedeli”, in quanto l’islam è la religione perfetta; in caso di
mancata conversione, non c’è altro che la morte. Nella pratica, invece, vengono accettate altre
religioni, a patto che ne si accetti la supremazia politico-istituzionale dell’islam (il potere è centrale
nella religione islamica). Nella prassi si inventa una fattispecie, quella dei DHIMMI, (Dhimmi, i
protetti dal termine arabo Dhimma, protezione), per permettere la sopravvivenza delle comunità
non islamiche. (NB: Dar ul Islam ha a che fare con la potestas, non con l’aspetto spirituale, rivedi
sopra negli appunti). Di recente si è verificata la scomparsa di comunità religiose non islamiche,
come per esempio quelle ebraiche, migrate verso Israele, ma anche quelle cristiane. In
precedenza, l’islam era anche un rifugio per i non musulmani, come nel caso delle comunità
fuggite dalla spagna durante la reconquista.

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JIHAD
La jihad rappresenta un altro degli esempi di discrepanza fra teoria e prassi; in occidente, viene
interpretata come “guerra”, e ora anche nel mondo musulmano è questa la versione prevalente.
Esclusi alcuni intellettuali musulmani attuali, che non vogliono intendere jihad in questi termini,
ma solo in termini irenici, questa è la linea generale. La radice araba è “jhd”, è traducibile come
“sforzarsi, applicarsi, impegnarsi”, e questo lo si ritrova anche nel testo coranicojihad si usa in
una pluralità di contesti, per indicare i diversi modi con cui l’uomo può impegnarsi per mettere in
pratica il disegno divino, guerra inclusa. Non necessariamente con la guerra, ma anche con la
predicazione, “jihad della parola o della penna”, ma anche nello sforzo di ciascuno nel reprimere i
propri istinti negativi. Questo termine non è quello che il corano predilige per descrivere la guerra;
si usano diversi termini. Se anche si va a guardare alla sunna, si nota come il termine jihad non
abbia accezione puramente bellica; ci sono diversi haddis in cui il profeta sembra privilegiare una
lettura non militare del jihad. Uno dei più noti: uno va dal profeta dicendo “Muhammad, andrò a
fare la jihad” muhammad: “hai entrambi i genitori?” “Si” “allora il tuo jihad è prenderti cura di
loro”.
Se dunque dal corano e dalla sunna emergono significati ulteriori oltre a quello militare, perché
storicamente è diventato il termine più noto per indicare la guerra? Non c’è una risposta chiara; la
stessa giurisprudenza islamica ha proteso per un’interpretazione di tipo militare della jihad, pur
non escludendo, le altre forme del jihad. Può esserci stata in questa evoluzione della percezione
occidentale, cioè l’islam può aver assorbito la visione occidentale, ma non siamo grado di dirlo con
esattezza. La fonte più anticaopera del 1697, francese, una sorta di dizionario di termini
orientali, “la Bibliothèque Orientale” di D’Herbelot. Fra i diversi termini c’è Jihad, tradotta come
“guerra sulla via di Dio”, ovvero guerra contro gli infedeli. Si tratta di una testimonianza tarda, ma
altro non abbiamo.
La giurisprudenza islamica annovera i diversi tipi di jihad, pacifico e non, ma nella gran parte delle
opere di diritto islamico, quello pacifico viene definito “grande jihad”, e quello militare “piccolo
jihad”. È vero che la giurisprudenza islamica ha ammesso il jihad militare, ma nel mondo sunnita è
stato accompagnato da discipline, cautele, di valore legale per limitare l’applicazione del jihad.
Questo quasi ad evitarne un’applicazione sproporzionata rispetto alla sua funzione, limitandolo
alle circostanze necessarie. In questo riprende lo spirito coranico: la guerra è un obbligo che gli
uomini devono portare avanti, pur essendo sgradevole. versetto coranico sulla guerra “Vi è
prescritta la guerra anche se ciò possa spiacervi (…)” una sorta di male necessario al trionfo
dell’islam. La giurisprudenza islamica disciplina in modo ferreo il jihad:
- È necessario far precedere il jihad con l’obbligo a convertirsi
- C’è l’ingiunzione espressa di evitare crudeltà inutili e danneggiamenti inutili nei confronti
delle istituzioni
- Ingiunzione di risparmiare donne vecchi bambini e esponenti religiosi se non combattono
- Prevista espressamente la possibilità di fare tregua, anche di lunga durata (si trova anche
nel corano; non può essere rotta dai musulmani). I giuristi si sono spunti al punto da
inventare una nuova categoria, la “Dar al Sulh”, la terra della tregua, cioè tutti i territori
non sottoposti a potere musulmano ma con cui si era stipulato un patto di non
belligeranza, di tregua. Finché la tregua non era rotta dai non musulmani, potevano
convivere pacificamente. Storicamente questa prassi è stata usata, soprattutto in quei casi
in cui i califfi avevano bisogno di interrompere campagne di guerra.
NB: il jihad ha entrambe le dimensioni, militare e pacifica, nei secoli la parte militare ha avuto la
tendenza a prevalere, anche in ragione dello stato di guerra fra “occidente”, cioè cristianità, e

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mondo islamico. Si deve però tenere a mente la complessità del concetto e delle diverse possibili
implicazioni.
EVOLUZIONE DEL CALIFFATO
Califfato abbaside: estesa territorialmente, ma con la tendenza a frammentarsi politicamente. Nel
tempo il Califfato si era spostato verso oriente, e questo causò la frammentazione politica
soprattutto nel Maghreb e nel bacino del Mediterraneo. (Soprattutto nel passaggio fra Ommiade e
Abbaside). Diventerà difficile seguire l’evoluzione delle dinastie nell’area fra Egitto e Marocco
dall’VIII secolo in poi a causa della frammentazione politica; si tratterà di dinastia arabo-berbere
che si susseguiranno con frequenza, fino alla conquista ottomana. Più capace di mantenere il
controllo del territorio sarà il califfato Abbaside, con Baghdad capitale, ma con il tempo la
pressione di popolazioni turche da nord-est ci saranno penetrazioni di genti turche nel califfato
(terza grande influenza nel califfato dopo quella araba e persiana). Prima faseschiavi militari
catturati dall’esercito Abbaside e insediati nell’esercito come schiavi-militari.  “Ghulam
Mamluk”, due termini per indicare questi schiavi. La schiavitù nell’islam ha svolto un ruolo
importante: diversamente dal mondo occidentale, lo schiavo godeva un’autorità riflessa del
proprio padrone: lo schiavo di un’autorità musulmana, poteva essere uno schiavo di grande
importanza sociale. Nel periodo fra califfato Abbaside e sua disgregazione, compariranno figure di
schiavi con cariche politiche/militari di grande rilevanza, addirittura dinastie di schiavi. Per
esempio, questi schiavi turchi conquistavano dei territori in nome del Califfo soprattutto in zona
estremo est, e ne diventavano governatori provvisori, per poi diventarne sultani o emiri e quindi
dando origine alla loro dinastia, restando solo formalmente sotto il califfato pagando tributi a
Baghdad. I casi più noti sono in India: dinastia di sultani, che rientrano collettivamente nel
“sultanato di Delhi”, dal 1200 in poi, che governavano indipendentemente da Baghdad.
All’estremo opposto, i Mamelucchi, in Egitto, dove avevano fondato una dinastia e regnarono fino
alla conquista ottomana. Da un punto di vista religioso, la schiavitù è ritenuta legittima, e l’islam ha
resistito fra XVIII e XIX secolo all’abolizione della schiavitù che in occidente andava diffondendosi.
La tratta degli schiavi non era solo verso l’atlantico, ma anche nell’oceano indiano, e quest’ultima
proseguì ben oltre la fine della prima.
Quindi i turchi cominciarono a fare pressioni, e finché Baghdad ci riuscì, le forze turche saranno
cooptate nell’esercito; ma ciò che accadrà dal X secolo in avanti, fino alla definitiva scomparsa nel
XIII secolo, il confine si indebolirà e le popolazioni turche cominceranno a penetrarvi
dall’Afghanistan fino alla mezzaluna fertileconquista di territori e insediamenti, dando vita a
staterelli turchi di etnia ma di religione islamica (convertiti loro sponte). Questi stati conviveranno
con il Califfato di Baghdad; non avevano interesse a spodestarlo, anzi, ne riconoscevano l’autorità
in quanto autorità spiritualeda capo politico, il Califfo passa a essere più che altro una guida
religiosa. Si va a creare una convivenza difficile fra questi signori della guerra turchi, noti con
termini laici di origine militare, “sultan” o “amir”, ben diverso da Califfo. Ci saranno anche
problemi di carattere teorico: ristabilire l’autorità legittima. Ancora più interessante, i dotti si
accorgono che il Califfato non era mai stato teorizzato. Gli Ulamà sunniti si pongono il problema
di istituzionalizzare il Califfato, quando ormai si stava disgregando. La sua obbligatorietà non si era
mai dimostrata, perché? Il Califfato era obbligatorio perché esisteva. Se era forte e riusciva a
svolgere bene il suo compito, doveva esserci necessariamente Dio dietro le sue azioni, quindi la
storia si giustifica da sétendenza sunnita a vedere l’autorità divina dietro ogni evento. Solo in
periodo Abbaside troviamo i tentativi di spiegare il Califfato. Dal X sec in avanti: due studiosi hanno
fornito il contributo maggiore: Al Mawardi (974-1058), e l’altro molto più noto, Al Ghazali, (1058-
1111) considerato forse il più importante studioso sunnita. Importanti perché danno due risposte
diverse al venir meno del potere del Califfato. Il primo non dà risposta: scrive un’opera sul Califfato
e cerca di ristabilire l’ordine dei valori fra Califfo e sultano e chi dovrebbe comandare. Il califfo

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detiene l’autorità politica legittima, mentre il sultano al massimo può essere al massimo un
sostegno militare. Introduce la tipologia del “emirato di conquista”un capo conquista un
territorio con la forza e può essere investito del potere a governare questo territorio ma solo se il
Califfo gli dà il potere di farlo. La realtà però è ben diversa: non è il Califfo che autorizza, sono i
Sultani i veri capi, al punto che metteranno sotto protezione il Califfo di Baghdad. Dal punto di
vista teorico, Al mawardi dà una visione ortodossa del Califfato: il Califfato è imposto dalla
rivelazione, anche se non c’è un passo coranico specifico, emerge dal complesso della rivelazione,
e è espressione del Tawhid, cioè dell’unicità di Dio. Inoltre riafferma l’indissolubilità del potere
temporale e spirituale. visione classica del califfato ben guidato.
Al Ghazaliteoria molto più elastica dell’altro. Si muove per gradi, anche con una certa cautela,
ma troviamo un’innovazione della teoria del califfato. Riprende dei punti di Al Mawardi, dicendo
che il Califfato corrisponde al cuore della rivelazione divina. In secondo luogo riafferma il legame
fra religione e politica, definendole “sorelle” la religione è la base solida di cui il sultano deve
essere il guardiano. In conclusione l’autorità politica è indispensabile per l’ordine sociale, e l’ordine
sociale è necessario alla religione, e la religione è necessaria per garantirsi la vita futura.
Innovazione introdotta da G. scelta del Califfo, cioè come viene nominato. Elenca i diversi modi
noti per sceglierlo secondo la teoria; per primo, l’elezione da parte della comunità, poi scelto dal
predecessore, e poi come en passant, aggiunge che può essere nominato per elezione assegnata a
un capo militarerivoluzionario; nomina del SULTANO, cioè quindi l’autorità militare può
scegliere il Califfo: legittima la situazione di fatto che si trova dinanzi, in cui il Califfo era
sottomesso al Sultano. È quasi un escamotage legale, frutto dell’eccezione; non vi è però altro
modo per salvare il Califfato, o almeno così emerge fra le righe dello studioso. Unico caso in cui si
riesce a conciliare la realtà con la teoria sunnita. Dopo Ghazali il sultano diventa leader
legittimo; da conquistatore, a sovrano legittimato, che deve governare secondo la sharia il suo
territorio. Se lo fa, è un “pio sultano”. Ghazali afferma che la umma politicamente possa essere
frammentata; la sua unità è religiosa.  ci sono numerosi sultani, quindi l’unità politica deve per
forza passare in secondo piano. C’è umma dove c’è islam, e quindi c’è shariaunità religiosa e
giuridica. In secondo luogo, Ghazali afferma che non si possa negare ai Sultani di darsi
regolamentazioni per amministrare il territorio le leggi “politiche”. Visto che questi sultani sono
pii, e quindi legittimi e sacri, non si può negare al sultano il diritto/dovere di emettere normative
principio della “Siyasa sharia”, la politica secondo la legge religiosa. (di fatto, molto autonoma).
la sharia diventa elemento unificatore della Umma: dove c’è sharia, c’è umma. L’ambiguità però
resterà: Ghazali non ha fatto venir meno il principio di unità fra religione e politica, anche se di
fatto lo sono. Nessuno lo dice, anche se de facto la separazione è evidente, e non smetterà di
creare problemi. In epoca post Ghazali, avrà ragione chi dirà che religione e politica sono distinte,
ma anche chi invece ribadirà l’indissolubilità delle due. Ancora oggi, ci sono autorità che affermano
entrambe le cose. Ghazali è stato criticato da autori contemporanei perché accusato di aver
avallato la tendenza islamica ad accettare qualunque sovrano, anche uno “ingiusto”; sociologi e
politologi occidentali l’hanno accusato di aver aperto la strada al totalitarismoGhazali aveva
affermato che gli islamici dovessero sottomettersi a un sovrano conquistatore straniero che aveva
conquistato il territorio con la forza; lo studioso aveva teorizzato che la forza del sultano
sottintendeva un’autorità divina alla sue spalle che lo legittimasse. Dunque questa critica è
piuttosto seria sociologo francese, Gardet, in un suo libro, pone al centro della sua analisi
proprio questo tema e accusa Ghazali di avere la responsabilità di aver legittimato il potere
esistente, per il solo fatto di esistere. È vero però che il sultano che Ghazali teorizza debba essere
ubbidito è un “pio sultano”, ma è difficile immaginare che un sovrano possa violare la sharia al
punto da causare una rivolta. Solo nel caso di una violazione aperta, a quel punto sarebbe
legittimo rivoltarsi, ma resta a livello teorico (mai si è verificato nella storia islamica). Bisogna però

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tenere conto delle circostanze attenuanti, cioè dello stato di crisi in cui Ghazali si trovò a vivere alla
necessità di legittimare la situazione.
Il califfato abbaside quindi attraversa una transizione in cui convive con le varie dinastie turche che
si susseguono nel territorio; due dinastie più importanti: Buhidi, fra 900-1000 circa, e il Selgiuchidi,
fra 1000 e 1092. nelle terre centrali del Califfato, fra mezzaluna fertile e persia. I primi avranno
la caratteristica di essere shiiti, e quindi avremo il paradosso di una dinastia shiita che protegge e
tutela il califfo sunnita, quello Abbaside. La cosa interessante è che nessuno oserà spodestare il
califfo e dichiarsi Califfo; tutti lo lasceranno al suo posto. Verrà meno questo escamotage nel 1258;
una nuova invasione, quella dei mongoli, distruggerà definitivamente il Califfato. (fra la valle
dell’indo all’asia minore, all’Anatolia, spazzando via le istituzioni sedentarie che ivi si erano
costruite nei secoli sotto l’islam.) le invasioni dei mongoli nella sotriografia musulmana appare
come una sorta di shock, di grande trauma, quasi un castigo divino (molto maggiore delle
crociate). Le istituzioni musulmane risorgeranno non tanto dal mondo urbano, in pratica
annientato, non di certo da Baghdad (assassinio del Califfo nel 1258), e l’islam risorgerà dalle
campagne e dalle confraternite religiose sufi, da cui ripartiranno le dinastie islamiche. Le orde
mongole massacrarono intere popolazioni, si può parlare di genocidio. Era quindi inevitabile che
nel momento della ripresa, sarebbe stato possibile riprendere solo da ciò che nelle città non era
prevalente, come i sufi appunto. (es i Safavidi: ex confraternita mistica, diventerà una dinastia,
cioè quella che diventerà regnante in Iran.)
DA QUI PER SECONDO TEST
STATI TURCHI PRE INVASIONE MONGOLA
La supremazia dei turchi è un fattore di lungo periodo della storia del mondo musulmano; sarà
dominante anche dopo l’eco delle stragi delle invasioni mongole. Tutti i nuovi stati saranno di
etnia turca; il mondo turco darà avvio alla formazione di nuovi, grandi stati con cui l’Europa si
confronterà. La struttura che si daranno, sarà poi riprodotta dagli Ottomani, dai Safavidi. Ci sono
elementi distintivi che caratterizzano questi stati turchi che nascono dalla disgregazione del
califfato universale:
- Uso della schiavitù militare, che diventa un’istituzione fondamentale, quasi l’ossatura degli
apparati militari di questi stati turchi. Anche la possibilità di fare carriera sarà parte di
questa struttura; si troverà in diverse forme. Un esempio: impero ottomano, anni
dell’apogeo, “Devshirme”: una delle istituzioni più importanti dell’impero ottomano; era
un’elaborazione della vecchia schiavitù turca. Sarà una sorta di imposta che il sultano
imponeva a determinate comunità dell’impero, soprattutto a quelle cristiane dei Balcani, e
che consisteva della cessione di giovani ogni anno che venivano convertiti forzatamente,
istruiti, e poi indirizzati all’apparato burocratico dell’impero o all’esercito, nel reparto
d’élite dell’esercito ottomano: i Giannizzeri, la fanteria dell’esercito ottomano. L’origine
cristiana di questi giannizzeri darà una matrice culturale particolare a questo fenomeno. La
confraternita “Bektashiya”, nata da questi giannizzeri, esiste ancora oggi e presenta un
sincretismo religioso nelle celebrazioni e nel credo fra cristianità e islam.
- Principio dell’uso dell’imposta fondiaria come istituzione politica: devoluzione della rendita
di un pezzo di terra a favore di un personaggio importante a sostegno di un leader, o di
una famiglia, in modo da legarlo allo stato. Questo uso politico della rendita fondiaria va
sotto il nome di “Iqtah”, e si ritrova in tutti gli stati di origine turca da qui in avanti, dai
Mogul ai Safavidi, ed è tipica di stati decentrati. Sono tutti nati da migrazioni tribali, e
hanno come ossessione il mantenimento dell’unità. dato che la tassa fondiaria era
l’entrata maggiore, ecco che la si utilizzava per legarli al centro.

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Martedì 8 novembre

Ripasso:
KHARIJITI critiche: (approfondimento per pag. 12).
1) Ali ha tolto a Dio la possibilità di decidere chi aveva ragione
2) Dicono che non è vero che basta dire che sei musulmano per essere musulmano. Dicono
che se con gli atti tu violi l’islam non sei un vero musulmano e io, kharijita, posso muoverti
guerra. Ma l’islam ortodosso dice che non puoi fare questa cosa di dire chi è musulmano e
chi no, perché l’unico che si può permettere di giudicare se sei un vero musulmano è Dio
Califfato abbaside si impone come carismatico e anche per questo assume la teoria mutazilita del
corano creato.
Gli sciiti giustificano che gli imam devono discendere da Muhammad per via di sangue sostenendo
che questo fatto sia legato a quello che ha detto Muhammad in punto di morte. Giustificano il
fatto che il califfato debba essere legato alla stirpe degli alidi 1 dicendo che lo ha detto
Muhammad in punto di morte 2 dicendo che è naturale che la discendenza passi per gli alidi. Tutto
questo fa trasparire ancora molto la forza dei legami di Asabiya.
Andiamo avanti.

I SULTANATI E GLI EMIRATI


I sultani, gli emiri ed il loro rapporto con il califfato
In seguito al declino del califfato abbaside, sono accaduti una serie di sconvolgimenti nello spazio
islamico. Già prima dell’enorme cataclisma che è stato l’invasione mongola nel corso del 1200,
nell’epoca che va tra il 10° e il 12° secolo, c’è la creazione di una serie di sultanati (o emirati), cioè
di signorie locali che occupano dei territori guidati da popolazioni tribali turche, che gradualmente
avevano iniziato a fare breccia nel califfato. Questo fenomeno prosegue per diversi anni. Le
armate del califfato non sono in grado di controllare questo processo. Ma la cosa strana è che fino
al 1258 (anno in cui arrivano i mongoli e ciao) questi sultani e emiri non hanno interesse a fare
fuori il califfo e non vogliono spodestarlo, anche perché queste popolazioni si sono già convertite e
riconoscono l’importanza simbolica del califfo. Lo difenderanno persino. Questi sultani ed emiri
credono nell’importanza del simbolo dei califfi, e l’importanza simbolica di questa figura è davvero
straordinaria. I musulmani in tutte le parti del mondo, dopo il 1258, continuano a far finta che ci
sia ancora il califfo. Es. in tutti i paesi musulmani c’è una JAMI MASJID cioè la moschea principale,
la moschea del venerdì. In queste moschee l’imam di solito il venerdì dice di pregare per il califfo.
Dal 1258 il califfo non c’è più, ma nelle moschee in giro per il mondo, gli imam continuano a fare la
preghiera dicendo di dedicarla al califfo. È interessante perché dimostra l’importanza del SIMBOLO
del califfo. In queste fasi di grande disordine della Umma era importante continuare a pensare che
il califfo ci fosse, anche se non si sapeva chi fosse. Per molti musulmani era inconcepibile pensare
che non ci fosse un califfo.
Sultanati ed emirati: degli stati turco-persiani
Spoiler: L’Impero ottomano, impero safavide e impero mogul saranno i 3 nuovi grandi imperi.
Intanto, è interessante analizzare gli staterelli -sultanati e emirati- di cui sopra. Sono stati Stati
turco-persiani. Infatti le 2 principali influenze culturali sono quella persiana e quella turca perché
l’arabo ormai è una influenza davvero minore.
A) Questi stati sono turchi dal punto di vista dell’origine etnica e linguistica. Tutti gli stati di
origine turca daranno enorme enfasi al potere dello stato. Negli stati di origine turca il
potere dello stato nei confronti della società (della comunità) è fortissimo e questo si vedrà

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molto nell’impero ottomano, dove tutte le componenti della società sono organizzate,
inserite e gerarchizzate all’interno della struttura statale. Molto più avanti, il capo dello
stato turco avrà addirittura potere di vita e di morte sui sottoposti (cosa che va
assolutamente contro i principi musulmani).
B) L’altra influenza è quella persiana, perché i quadri e le élite di questi stati hanno imparato il
persiano, che era la lingua colta e la lingua del potere e della politica.
In questo senso si parla di stati turco persiani.
Le caratteristiche di emirati e sultanati
Vediamo le caratteristiche di questi stati:
1 LA SCHIAVITÚ
è centrale l’importanza della schiavitù (i turchi entrano come schiavi e poi diventano schiavi-
militari nel mondo islamico). Il sistema del DEVSHIRME è centrale in questo periodo. Questa cosa
porta alla formazione di dinastie-schiave. Una cosa particolare della schiavitù in questo contesto è
che se il padrone è importante è importante anche lo schiavo. (questa istituzione è vista anche
nella lezione precedente).
2 L’IQTAH
Istituzione della IQTAH. È un sistema di gestione della redita fondiaria finalizzata a finanziare delle
élites, spesso militari ma alle volte anche civili. (è spiegata bene nel capitolo 8 del lapidus volume
1). Questa istituzione non è di origine turca né persiana né araba: questa è una istituzione copiata
dai bizantini. L’impero bizantino assegnava una rendita a personaggi che lo stato pensava fosse
importante legare a sé e questa rendita era legata alla rendita di un territorio (quei soldi venivano
tratti dalla rendita di un territorio). Gli arabi osservano questa istituzione ma la cosa interessante è
essa, sebbene sia già impiegata nel periodo arabo, ha molto successo soprattutto nel periodo
turco. Ma come mai questa istituzione ha meno successo con gli arabi e ha così importanza nel
mondo turco-persiano?
1. motivo 1: Gli stati turchi nascono come confederazioni tribali e si pongono il problema di
come legare a sé le tribù che erano assoggettate allo stato da un punto di vista formale.
C’era il problema di legare a se i piccoli capi tribali della zona.
2. Motivo 2: la discrezionalità con cui lo stato poteva assegnare i proventi della terra.
2 A. L’iqtah e gli arabi. Gli arabi erano molto legati alla visione profetica-muhammadica
della terra, che insegna che la terra è proprietà di Dio e l’uomo la ha come in usufrutto: Dio
mette la terra a disposizione della Umma. Una sura dice: “la terra è di Dio, del suo inviato
(Muhammad) e dei musulmani” e i 3 proprietari sono in ordine di importanza dio 
Muhammad  comunità. Questo comporta che la terra poteva essere usata equamente
da tutti i musulmani. Prevaleva il principio della suddivisione della terra tra tutti i
musulmani. Quando le armate conquistavano un territorio, una porzione della terra (1/5 di
solito) veniva messa da parte “per Dio il profeta e i credenti”. Il resto della terra veniva
divisa tra i musulmani. Un sistema di questo genere è tipico delle comunità tribali e
nomadi, perché se dividi tanto la terra non favorisci la sedentarizzazione. Il quinto della
terra di cui sopra veniva gestito dalla comunità. Questo schema, con l’ingrandirsi della
comunità, varia, ma sostanzialmente il principio è questo: gli arabi sono molto cauti nello
sfruttare la terra e i suoi proventi. Quindi gli arabi osservano questo istituto bizantino e vi si
ispirano ma lo usano con molta cautela.
2B i turchi e l’iqtah. Invece negli stati turco-persiani questa iqtah diventa centrale. Nel
corso dell’11° secolo ci sono tutta una serie di trattati tra cui una specie di principe di
machiavelli, che si chiama SIYASRT’NAMA scritto da NIZAM AL MULK, che era della corte
selgiuchide. In questo libro, che è un trattato di politica, parla anche dell’iqtah e dice che lo
scopo di questa istituzione è di legare al centro le élite militari. Il paradosso dell’iqtah è che

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vorrebbe evitare la frammentazione, ma a lungo andare diventa fattore di decentramento
e frattura. L’iqtah prevedeva tutta una sera di regole, che facevano nascere una sorta di
feudalesimo ma, a differenza di come accadeva con il feudalesimo europeo, si cercava di
non legare eccessivamente il singolo ricevente ad uno specifico territorio. La somma veniva
specificata, ma il territorio da cui si traeva la somma cambiava e tutto questo per evitare
che si creasse una élite locale. Quando il sovrano era forte, il proprietario dell’iqtah stava
buono, quando c’era da fare una guerra combattevano e ok. Ma quando il sovrano era
debole, i proprietari dell’iqtah si legavano al territorio e ci si piantavano, creando piccole
dinastie e diventando piccoli signori locali. La cosa interessante è che in ambito turco la
terra è vista in modo molto laico: la terra è uno strumento, se posso sfruttarla per rendere
lo stato più saldo la uso senza farmi tanti problemi.
3 LA GERARCHIA E L’UGUAGLIANZA
qui si viene più all’aspetto persiano della matrice culturale di questi stati. Queste società sono
molto gerarchiche. Questa gerarchia non fa mai venir meno la teorica uguaglianza dei musulmani,
ma de facto c’era gerarchia. Questi sovrani avevano fatto propria la teoria persiana della politica,
che si basa sulla “distinzione degli statuti” e non sull’individuo (vedi prime lezioni, qui l’individuo
non ha rilevanza) ma su gruppi. La teoria persiana vede la società divisa in diversi gruppi basati
sulla nascita. Questa visione c’è già dall’epoca sassanide, prima della nascita dell’islam, ma si trova
pari pari nei trattati tardo-medievali islamici della politica. Questi dotti, come Nizam Al Mulk
(quello di prima), non vedono contraddizione nel fatto di essere musulmani e spiegarci insieme
che i gruppi nascono diseguali e che il buon capo è chi mantiene la separazione di questi gruppi. Si
distingue tra uomini della penna (religiosi, letterati), uomini della spada, uomini degli affari
(mercanti, esattori delle tasse..) e contadini. Il ruolo del potere temporale è mantenere queste
classi al loro posto. Il punto importante è che questa non è solo una visione astratta, ma rifletteva
la società islamica persianizzata. Una simile struttura non si trova solo in queste dinastie ma si
troverà anche nell’impero ottomano, in quello safavide ecc. C’è la tendenza degli stati a interagire
con le persone in quanto appartenenti ad una comunità. I MILLET (=comunità) nell’impero
ottomano erano le varie comunità etnico-religiose che componevano l’impero e con le quali il
sultano manteneva i rapporti. Il sultano ottomano lasciava grande autonomia a queste comunità.
L’impero ottomano negli anni del suo apogeo era organizzato sulla base di questo importantissimo
sistema, perché i millet comprendevano anche le comunità non musulmane, come i cristiani dei
Balcani. Lo stato vede quindi persone non in quanto tali ma in quanto appartenenti ad un gruppo.
Questo è importante perché riusciremo a capire meglio l’impatto dell’occidente su queste società.
4 I CAPI DEI GRUPPI SOCIALI: i personaggi intermedi
Altra caratteristica: Le funzioni che lo stato svolgeva (es. riscuotere le imposte, dirimere le
controversie, mantenere l’ordine a livello locale ecc.) in questi stati turco-persiani venivano svolte
da personaggi intermedi, come capi di comunità tribali o religiose o di corporazioni di mestiere o di
tribù. Per ogni gruppo esisteva un leader o un capo e questo personaggio svolgeva importanti
compiti pubblici che noi siamo abituati a vedere svolti dallo stato. Le funzioni del sovrano erano
decentrate e queste figure intermedie svolgevano ruoli importantissimi, ad esempio svolgevano
funzione di intermediazione tra il potere dello stato e la popolazione. Questi tizi erano un anello
tra società e sovrano. Questo è importantissimo perché quando ci sarà l’espansione coloniale
accadrà che dappertutto si imporrà un modello diverso e occidentale, in cui queste funzioni
verranno riaccentrate nelle mani dello stato. Tutte queste figure intermedie verranno scalzate o
abolite. Verranno meno quindi i punti di riferimento delle popolazioni locali. Il processo di
modernizzazione nel mondo musulmano coinciderà con il rafforzamento del potere dello stato.
Se volessimo semplificare potremmo dire che questi stati sono verticali, e che il potere del sultano
non arriva direttamente alla società senza intermediazione, ma attraverso un filtro. Con il

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passaggio allo stato moderno, frutto delle concezioni occidentali, queste figure saranno abolite e ci
sarà interazione diretta stato-società. Il potere del centro non era affatto assoluto, era molto
relativo. Ci sarà potere assoluto solo dopo l’influenza occidentale: si passerà a una struttura
orizzontale. Ci sarà il potere e ci sarà la società, senza corpi intermedi.
5 IL NUOVO RUOLO DEI SUFI
Ora passiamo ad un aspetto più religioso. A un certo momento quindi non c’è più il centro
dell’islam, anche se i vari stati che emergono fanno finta che il califfo ci sia ancora. i sultani
ottomani per un po’ vengono pensati da alcuni come i nuovi califfi ma non tutti saranno convinti
da questa tesi. Questi stati, comunque, facevano finta che il califfo ci fosse ancora. il fatto che non
ci sia più un capo della umma è rilevante soprattutto nei luoghi più periferici. Gli ulama ortodossi
vedono indebolirsi la loro autorità. I sultani di questi nuovi stati non vedranno negli ulama una
forma di legittimazione abbastanza forte. I sultani molto spesso troveranno più conveniente
appoggiarsi, più che sugli ulama, sui SUFI. Dopo la fine del califfato abbaside, la vera autorità
religiosa a livello locale sarà detenuta dai sufi. Si creerà un rapporto stretto sultano-sufi e questo
rapporto sarà più importante di quello con gli ulama. Questo accade soprattutto nei luoghi un po’
più lontani di centri storici dell’islam. Alla periferia, il santo sufi era lì, il sufismo aveva questa
grande caratteristica di essere locale, di essere li. Emerge quindi questa prassi nel mondo
medievale di appoggiarsi ai rappresentanti dell’islam mistico, che si apprestavano volentieri a
benedire il sultano. Il sufi poi riceveva benefici indietro (di soldi, di prestigio, di terre ecc.).
IL MONDO DEI SUFI
Ora approfondiamo questo discorso della mistica e dei sufi. Questo mondo sarà molto importante
quando l’islam riemergerà dalle ceneri delle invasioni mongole.
Quali problemi pone il sufismo all’islam ortodosso?
1) Il sufismo dà importanza all’aspetto interiore dell’islam, mentre dovrebbe prevalere
l’aspetto esteriore. Ciò che è importante è ciò che si vede e che traspare. Ciò che è
esteriore è pericoloso
2) Il sufismo è intercessorio, mediatorio. Il sufismo crede nell’intercessione tra dio e gli
uomini. Si crede che ci sia una intercessione tra il credente e dio attraverso i santi.
Nell’islam ortodosso solo il profeta ha un potere di intermediazione, e anche li la cosa è
parziale, perché Muhammad potrà intercedere solo nel giorno del giudizio (quando dio
scenderà sulla terra a giudicare le malefatte degli uomini)
3) Il sufismo disdegna anche l’ordine politico perché tende a svalutarlo. Nel momento in cui
guardi all’interiorità, l’ordine socio-politico è meno importante della sfera interiore. Il
sufismo porta a svalutare l’ordine politico e anche il sovrano a vantaggio della sfera
interiore. Tutto questo è un problema perché nell’islam tu devi ubbidire al califfo.
4) Il sufismo crea forme di venerazione e devozione. Nell’islam ortodosso non puoi nemmeno
venerare il profeta, figuriamoci qualcun altro. Il sufismo trasforma la trascendenza in
immanente, invece nell’islam ortodosso dio è altro rispetto al creato, è del tutto
trascendente, c’è una enorme distanza incolmabile tra dio e la sua creazione. Nel sufismo
dio è immanente nella sua creazione.
Perché il sufismo non ha provocato uno scisma?
Se si considera tutto questo, non solo non stupisce che il sufismo abbia avuto dei problemi, ma
anzi potrebbe averne avuti anche di più. Ci si chiede anche come mai non ci sia stato addirittura
uno scisma. Questo però non è avvenuto. Perché?
1) perché l’islam aborrisce le spaccature. L’islam odia rompere l’unità della comunità perché
significa rompere ciò che dio ha voluto unire. Spaccature= FITNA.

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2) 2 perché anche l’ortodossia (ulama) nel corso del tempo ha dovuto ammettere che nel
tempo i sufi hanno svolto funzioni importantissime, perché hanno convertito tantissime
zone periferiche che altrimenti, probabilmente, non si sarebbero mai convertite. L’islam
ortodosso non ha mai avuto la capacità di convertire il mondo rurale (le città si, ma le
campagne no). Molte zone che oggi sono islamiche, forse senza il sufismo oggi non
sarebbero tali.
3) dei grandi studiosi hanno lavorato per integrare il pensiero sufi nell’ortodossia. Ad esempio
Al Ghazali (12° secolo) è stato un grande studioso, teorico e anche un po’ mistico: lui e
molti studiosi dopo di lui, hanno molto smussato la mistica islamica sugli aspetti più
pericolosi, evitando che il sufismo si sviluppasse come un fenomeno settario e integrandolo
nell’ortodossia, rendendolo “accettabile”.
4) Va sottolineato anche che è vero e innegabile che l’esperienza di Muhammad nasce da una
potente esperienza mistica ma noi sappiamo anche che questo aspetto è stato
rapidamente messo da parte una volta dimostrata l’autenticità della rivelazione coranica.
Quindi non si può negare che c’è un lato mistico sin dall’inizio dalla rivelazione (aspetto
mistico che consiste in queste rivelazioni). Ma è anche vero che questo aspetto viene
messo in secondo piano molto presto anche da Muhammad. C’è un versetto corano che
parlando dei cristiani dice “quanto al monachesimo, fu da loro istituito, ma non fummo noi
(noi sarebbe Dio) a comandarglielo, e a quelli che di loro sono pii demmo la mercede, ma
molti di loro sono empi”. C’è una freddezza di fondo verso i monaci, che si estraniano dalla
realtà e non sono immersi nell’azione e nel mondo come vorrebbe l’islam. Estraniarsi dal
mondo non è parte del comandamento divino.
La nascita del sufismo e il cammino per il fanā
Forse all’inizio non c’era nemmeno una vera distinzione tra mistici, studiosi, teologi ecc. c’era una
categoria indistinta di studiosi del sacro. C’erano all’inizio delle figure che spesso erano note a
livello popolare, recitavano il corano e si muovevano di villaggio in villaggio. Erano come i
cantastorie che giravano e raccontavano e mescolavano anche tradizioni diverse. Poi, tra 8° e 9°
secolo, avviene una polarizzazione, perché emerge e si caratterizza come distinta la categoria dei
giuristi, che si specializzano. I mistici tenderanno a distinguersi per reazione all’emergere della
categoria dei giuristi. Inizieranno a emergere anche distinzioni teoriche. I mistici si oppongono a
questo formalismo e sottolineano una visione più spirituale dell’islam.
Si elaborano le prime teorie mistiche ed emerge l’idea del percorso del mistico, percorso di varie
stazioni spirituali, che il mistico dovrebbe attraversare, con un avvicinamento che porta fino a Dio.
Questo avvicinamento parte dall’esteriorità dell’uomo della strada verso l’interiorità. Si passa dal
guscio al nocciolo. Questo passaggio esterno-interno, nella letteratura sufi, viene chiamato in vari
modi (il più comune è TARIQAH, “la via”), ma quello che conta è che questo percorso verso
l’interiorità porta allo stadio in cui il mistico si annulla e scompare in dio. Arriva all’unione con Dio.
Questo principio ovviamente preoccupa molto gli ortodossi. Questo annullamento si chiama
FANĀ. Il soggetto che arriva alla fine di questo percorso riflette una sorta di luce divina, è la figura
di un santo, che nella terminologia sufi si chiama WALĪ; walī è una terminologia coranica (i sufi
usano termini coranici per legittimarsi), che significa “l’amico di Dio”. La figura del walī crea
problemi perché avvicina la figura del santo a quella del profeta. Ma il wali non può essere un
profeta perché Muhammad fu “sigillo della profezia”.
L’islam sciita ebbe molta influenza sul sufismo (vedi per esempio la parte della dimensione
interiore). Gli sciiti infatti furono i primi ad immaginare un processo di dualità tra interiorità ed
esteriorità. Viene elaborata questa teoria della dimensione spirituale.
La teoria della gerarchia dei santi

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Altra teoria è quella della gerarchia dei santi. C’è una gerarchia di sati che costituisce una sorta di
colonna vertebrale dell’universo. In cima a questa colonna è il QUTB. C’è questa gerarchia in ogni
momento, ed in ogni momento l’universo gira attorno a questa gerarchia. Senza questa gerarchia
l’universo non potrebbe esistere. Con la teoria del qutb i mistici arrivano ad ipotizzare che il
sultano non è un vero sultano, che il capo terreno è tutta apparenza, perché il potere temporale è
solo apparenza. Chi invece regge davvero il mondo è questa colonna di santi. La gerarchia del
potere temporale non è davvero importante. Se i sufi si spingono fin qui si rischia una repressione.
Questa evoluzione storico-cronologica della mistica arriva tra 11° e 13° secolo alla formazione
delle confraternite. All’inizio c’erano varie teorie che si sovrapponevano e mischiavano, poi si
formano delle teorie, chiamate “la via”, TARIQUAH, che significherà confraternita. Ogni
confraternita avrà ovviamente delle caratteristiche distintive.

martedì 15 novembre 2016

L’origine del termine sufi


Sufismo è l’italianizzazione del termine arabo TASAWUF, che indica la via mistica nell’islam. Ci
sono varie teorie sulla radice etimologica di questo termine. Una teoria è che derivi dalla particella
SUF, che indica la lana (la veste grezza dei primi mistici sarebbe stata di lana). Anche altre teorie
sono state proposte: per esempio un’altra spiegazione sarebbe che il termine deriva dalla radice
SOFA, che vuol dire essere sacro. Oppure da un’altra etimologia ancora che era la piattaforma
usata dal profeta a Medina nella moschea.
Quand’è che il sufismo è pericoloso per l’ortodossia?
La mistica sufi arriva a costruire tutta una propria teologia e alla creazione delle confraternite.
Centrale è l’elemento del TARIQAH, che letteralmente vuol dire la via, e che rappresenta il
percorso che inizia dall’esteriorità e arriva all’interiorità. Il sufismo in certi momenti diventa
deviante (= particolarmente pericoloso per l’ortodossia), e questa devianza si sottolinea
soprattutto quando nascono le confraternite, cioè quando questi sufi non sono più da soli ma si
concretizzano in organizzazioni collettive e trovano tutta una loro liturgia e gerarchia. È quando
accade questo che il sufismo diventa pericoloso per l’ortodossia islamica. Per l’islam ortodosso la
dimensione interiore è totalmente ininfluente: se tu rispetti la sharia, vai a pregare il venerdì nella
grande moschea e ti comporti da pio musulmano senza dare scandalo (salvo tu non commetta
FITNA, cioè sedizione) sei a posto, le altre persone non ti verranno mai a dire nulla, perché solo Dio
può giudicare l’aspetto interiore. Benché l’islam ortodosso vieti la mistica, si è creato un enorme
fenomeno di santità e di mistica a livello popolare, proprio per supplire a questa mancanza e
“riempire” la dimensione interiore. Tornando alle confraternite, se per i sufi c’è disprezzo
dell’esteriorità perché ciò che conta è l’interiorità, egli probabilmente disprezzerà la sharia e la
violerà in modo plateale per scandalizzare i benpensanti. In epoca medievale questo accade molto.
Ad esempio alcuni mistici -per scandalizzare e dimostrare che i sufi erano superiori agli altri perché
incentrati sull’interiorità- si vestivano da donne, anche a simboleggiare il fatto di essere la moglie
di Dio. In alcune zone, soprattutto in India, il giorno della morte del santo viene festeggiato perché
significa il giorno dello “sposalizio” del santo con Dio, questa cosa si chiama URS.
Quindi c’è un passaggio da una credenza di tipo teologico a una potenziale ragione di scontro.
Il mondo delle confraternite sufi
Questo passaggio all’interiorità si riflette anche nel discorso della gerarchia dei santi. Nella mistica,
ad un certo punto, si dice che, al di là dell’ordine apparente, c’è una gerarchia invisibile di santi che
regge il mondo. Alla sommità di questa gerarchia c’è il “polo” detto QUTB, che è il santo più alto e
regge l’universo. L’ordine del mondo concreto è solo apparente. ABDUL QUADIR JILANI è il più
quotato per essere il QUTB e fondò una scuola detta QADIRIYA. Generalmente ci sono 2 grandi

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scuole sufi, una detta BAGHDADI e una detta KHORASAN. Le tradizioni baghdadi sono quelle più
moderate perché l’ordine apparente è sì svilito, ma non in modo estremo (c’era un certo rispetto
della sharia). Le scuole khorasan, invece, erano molto più estreme e rompevano in modo
sistematico e scandaloso la sharia. Queste sono solo due tendenze, che daranno luogo a
moltissime confraternite, che poi si sono incrociate e sovrapposte.
Lo zikr
Le confraternite, quindi costituiscono un periodo più tardo: dal 12° al 13° secolo, in cui le
confraternite si cristallizzano attorno al santo e si distinguono in base agli insegnamenti di questi
santi. Ogni confraternita si darà delle caratteristiche cerimonie collettive che dovevano aiutare il
fedele ad avvicinarsi a Dio. Queste confraternite si basavano sul ricordo, ovvero lo ZIKR, consisteva
nell’elencare i 99 nomi di Dio. Dio viene definito, secondo la tradizione, in 99 modi diversi secondo
il Corano (es. Misericordioso…). Ricordare questi 99 nomi diventa una litania, una sorta di esercizio
spirituale. Le confraternite sufi arricchiranno questo zikr con danze, musiche ecc. fino ad arrivare
alla trans. Ogni confraternita sviluppa un modo di fare lo zikr e il modo di farlo distingue le varie
confraternite. Quasi tutte le confraternite usano li zikr vocale, ma ce n’è una sola, che sarà famosa
per lo zikr silenzioso (si ripetono i nomi di dio solo nella mente). (particolarità: anche i musulmani
non sufi fanno lo zikr vocale). Questa confraternita prese le distanze da manifestazioni esagerate
di estasi mistica. Questa confraternita si chiama NAQSHBANDIYA.
La sisla
Tutte le confraternite svilupperanno una genealogia, “SILSILA”, sacra che parte dal fondatore della
confraternita e si trasmette di generazione in generazione (i successori saranno chiamati khalifa).
Molte confraternite ricollegano il fondatore ad Ali, che a sua volta ha ricevuto il messaggio da
Muhammad. Questa cosa di ricollegarsi ad Ali o a uno dei 4 califfati ben diretti è fatta per cercare
di evitare di essere perseguitati e per legittimarsi. Questo vale per tutte le confraternite tranne la
NAQSHBANDIYA, che si dice discendente non da Ali ma da Abubakr.
Le più importanti confraternite: naqshbandi, qadiriya e mevleviah
Questi NAQSHBANDI hanno come loro dovere l’anonimato, cioè nessuno deve sapere che
appartengono alla confraternita. “solitudine nella folla” è un termine usato da questi per dire che
non bisogna dire a nessuno che si fa parte della confraternita. Questi qui aborriscono l’uso della
musica, della danza, e in generale ogni espressione poco sobria della mistica. Seguono gli
insegnamenti dei maestri ma in modo molto pacato. Per quanto riguarda le altre confraternite,
alcune ti lasciano continuare a vivere la tua vita e il tuo ruolo sociale, altre ti chiedono di
abbandonare la società. La confraternita più diffusa è la QADIRIYA. Alcuni di questi sufi hanno
anche preso le armi. un leader sufi algerino, chiamato ABDEL QUADER, che guidava la quadiriya,
organizzò la resistenza contro l’invasione francese dell’Algeria. BUKHARA è il luogo dove nasce la
NAQSHBANDIYA. Si diffonderà in India e lì sarà rielaborata molto. Sarà la confraternita sobria e
riformata.
Altre confraternite importanti: quella MEVLEVIAH è quella dei dervisci rotanti. Sono molto diffusi
in Turchia e un po’ nei Balcani. C’è questa particolarità delle cerimonie sufi di questi mevleviah in
cui danzano ruotando; sono stati fondati da RUMI, la cui tomba è a KONYA.
Alcune confraternite si sono unite e altre spaccate: è il meccanismo della genealogia spirituale,
detta SILSILA. Praticamente funzionava che a partire dal santo, che aveva un proprio adepto, detto
vice cioè khalifa. Il khalifa poi ha dei discepoli e così via. Può accadere che uno di questi khalifa
aggiunga la sua interpretazione e faccia nascere un’altra confraternita particolare.
Due tendenze: sufismo istituzionalizzato vs sufismo eversivo
Queste confraternite hanno svolto ruoli in ambito non solo religioso ma anche politico. Il ruolo
politico fu particolarmente importante nel 13° secolo dopo la scomparsa dell’imperio abbaside.
Infatti i poteri locali, soprattutto nelle parti dell’estremo occidente o oriente, gli emiri trovarono

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sensato appoggiarsi alle confraternite locali piuttosto che a una ortodossia lontana e poco
concreta. Così emiri e sultani si facevano spesso vedere con i sufi. Ma sopravvivrà anche una forma
di sufismo particolarmente eversiva che si oppone all’ordine costituito o alla società. Queste
tendenze di sufismo radicale sono sia e soprattutto individuali, ma sono anche frequenti intere
confraternite radicali, ad es. i qualandariya, che presentano una matrice preislamica evidente. Es
si tagliano e fanno vedere che non esce sangue o camminano sulle braci. In queste pratiche vanno
a convergere tutta una serie di tradizioni e usanze tribali preislamiche. Il sufismo africano è pieno
di queste forme devianti di mistica. È importante ricordare che entrambe queste forme (moderata
e estrema) di sufismo sono sopravvissute. Capisci cos’è MALANG.

L’INDIA: LA RELIGIONE

Premessa metodologica
Ora spostiamo lo sguardo verso oriente, nell’asia meridionale, ovvero nel subcontinente indiano.
L’asia meridionale ha una dimensione anche religiosa molto importante. Tutto questo ha dato il
via a una tradizione religiosa che ha molto influenzato e si è espansa ad est (indocina) andando a
commisstionarsi con il buddismo. Il buddismo infatti è una evoluzione religiosa dell’induismo.
Dobbiamo cambiare metodo di lettura. Se la civiltà islamica possiamo interpretarla con gli stessi
strumenti interpretativi occidentali (infatti l’islam muta molti concetti dalle tradizioni giudaico-
cristiane), invece la civiltà indiana ragiona in modi completamente diversi. Innanzitutto l’induismo
non è una religione storica, nel senso che non ha un momento di partenza, non c’è una data di
inizio dell’induismo (nel cristianesimo e nell’islam c’è). Nell’induismo non c’è un momento in cui
dio si manifesta all’uomo e inizia la storia. Nell’induismo non ci sono date, e quando ci sono
numeri sono così inconcepibili per la mente umana perché sono enormi e rispetto a questi numeri
la vita umana non ha senso, l’uomo è nulla.
Le difficoltà di datazione
In realtà la prima grande difficoltà che lo studioso deve affrontare è la mancanza di punti di
riferimento cronologici. Ci sono dei testi ma non sappiamo quando sono stati composti. Questo è il
più grande ostacolo per gli storici dell’induismo. Si può dire grossomodo che l’unico appiglio
stabile lo si è trovato nel buddismo. Il buddismo è stato un grande fenomeno settario che ha
estremizzato certi aspetti dell’induismo. Nell’india, quando c’è una setta, si inizia a segnare una
cronologia per farsi ricordare. In india c’è storia quando c’è un fenomeno settario. Il buddismo
nasce ad esempio nel 6° secolo AC. Quindi in India si ripartiscono le cose dicendo se sono arrivate
prima o dopo il buddismo (se devo datare un testo cerco di dire se è stato scritto prima o dopo il
buddismo). A parte il buddismo, non abbiamo altre date certe, quindi sono state fatte moltissime
stime, ma sono tutte stime occidentali. Il mondo indiano, invece, non ha mai voluto datare la
storia. Le date le troviamo con i fenomeni settari che danno vita ad una rottura nella storia, l’altro
motivo per cui in India si data è quando ci sono influssi dall’esterno, ad esempio con le invasioni. In
questi casi c’è storia in india. In India ci sono state molte invasioni, a partire da Alessandro Mangio.
L’invasione importantissima è stata quella musulmana. Quando un musulmano arrivava magari
scriveva delle cose e quindi abbiamo fonti. Ovviamente poi sono state fondamentali le invasioni
europee (soprattutto UK). Abbiamo anche testi scritti da autori indiani, ma sono soprattutto dei
regni di frontiera, soprattutto del nord, zona Tibet, Nepal, Himalaya: in queste zone ci sono storie.
Altra zona di frontiera in cui troviamo cronache è nel SINDH, cioè a ovest. Ma queste sono
eccezioni e la società indiana non si vuole far ricordare.
Perché la società indiana non lascia tracce storiche? Il karma e il samsara
Ma perché l’uomo indiano non voleva lasciare traccia di se? Perché ricordare e farsi ricordare
significa legarsi al mondo. Se io lascio traccia del mio passaggio mi lego a questo mondo e a questa
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vita, mentre l’umo indù ha come scopo principale di lasciare questo mondo. Uscire dal mondo per
ricongiungersi all’assoluto è quello che interessa. La vita terrena è sofferenza, è una condizione
non piacevole e bisogna lasciarla. Lo scopo di ciascun essere è lasciare questo mondo. L’uomo indù
sa che sarà difficile lasciare questo mondo, perché ci sono questi lacci che frenano l’uomo qui; un
laccio, ad esempio, è appunto voler farsi ricordare, quindi creare legami. Ogni azione ti lega al
mondo un pochino di più. In sanscrito l’azione è KARMA(N) (=azione). Ogni atto crea legami
perché qualunque cosa io faccia, il mio gesto avrà delle conseguenze. Ogni azione che porta delle
conseguenze lega le persone alla vita. E bisogna stare in questo mondo per scontare le
conseguenze delle azioni, perché le mie azioni avranno conseguenze che magari io non ho
previsto. Le mie azioni creano una catena potenzialmente infinita di conseguenze. Quindi
bisognerebbe evitare di agire, evitare di compiere karman. La mia vita umana non può bastare a
farmi scontare i miei karman, quindi siamo destinati a rinascere: SAMSARA è il ciclo perenne delle
rinascite. Questo ciclo è potenzialmente senza fine. questo ciclo di rinascite non è uguale: il karma
può essere buono o cattivo. Ognuno nasce in una condizione, in uno spaccato della società: ogni
fascia della società ha un dovere da adempiere e se tu adempi la tua azione in modo buono (che
non è buono in assoluto o in senso morale, ma la tua azione è buona se tu adempi il dovere che ti
spetta, se sei un guerriero e uccidi tanto è buon karma) rinascerai in una casta migliore e ti
avvicinerai allo scopo di lasciare il mondo.
La ciclicità del tempo
Il tempo è ciclico e viene misurato con periodi molto molto estesi: si parla di migliaia di miliardi di
anni, l’uomo è irrilevante. La visione religiosa dietro a questa concezione ciclica del tempo è legata
al risveglio della divinità. C’è l’unità base del tempo che è il giorno di BRAHMA, in un tempo che
non solo è enorme ma è anche ciclico. La vita individuale è insignificante. La civiltà indiana, quindi,
non è storica ma mitica.
Veda e smrti
Nel mondo indù c’è una serie di testi, ma nessuno di essi ha il ruolo e il profilo del testo unico e
rivelato delle tradizioni semitiche.
I testi più importanti sono i VEDA, che sono 4 raccolte. Queste possono essere considerate la
rivelazione dell’induismo perché di origine divina. In lingua sanscrita veda vuol dire conoscenza,
sapere. Questi termini sono noti anche come SRUTI cioè audizione (ciò che fu udito, ascoltato).
Questi sono i testi più importanti.
Abbiamo diversi altri testi: c’è una seconda categoria, che sono i testi della tradizione, detta SMRTI
cioè tradizione o ricordo, ciò che è ricordato. Questi testi non sono rivelati ma di origine umana. È
una grande collezione di testi che comprendono cose diverse. Alcuni trattati hanno scopo socio-
religioso (vagamente giuridici) e regolamentano certi settori della vita umana. Uno di questi è il
DHARMA-SHASTRA che è un trattato che analizza il dharma (vedi più avanti) e spiega come deve
essere eseguito. Ci sono anche altri testi che sono epopee (grandi battaglie, storie di eroi che si
intersecano con le storie delle divinità). C’è un testo particolarmente noto in occidente che è il
MAHABARATA, che racconta le storie di alcune famiglie regnanti.
Brahma e atman
Nella società indiana non abbiamo però date o origini e sviluppo di storia e istituzioni, quindi
dobbiamo seguire il modo indiano di raccontare le cose, quindi procediamo per valori. Questo
percorso può non essere semplice. Quali sono questi valori che traiamo dai testi?
La prima immagine è quella della volontà di uscire dal mondo e ricongiungersi con l’assoluto.
Questa è una visione importante per l’induismo. I testi vedici ci danno due concetti di base: il
BRAHMA, il principio dell’assoluto, dell’eterno, di creatore del mondo. Poi c’è il concetto di
ATMAN, il principio immortale presente in ognuno di noi che deve liberarsi dal corpo e
congiungersi con il brahma. Prima della creazione del mondo, brahma e atman erano uniti e poi

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con la creazione del mondo si sono scissi. Per questa ragione l’atman vuole uscire dal mondo e
ricongiungersi con il brahma. La creazione del mondo nella mentalità indù è il prodotto
dell’individualità. Se in un’epoca precedente alla creazione del mondo atman e brahma erano
uniti, a un certo punto l’atman, particella immortale presente nell’uomo, ha voluto essere sé
stesso e staccarsi. Questo processo è frutto del desiderio, desiderio di essere sé stesso, di
possedere beni materiali e una propria vita. È un desiderio individuale. Questa cosa è vista
negativamente. C’è in questo un carattere ambiguo del pensiero indù: i veda ci dicono che la
creazione del mondo era un processo inevitabile e tutto questo ha anche un lato positivo, perché
ha creato ogni cosa, ma tutto questo deve anche essere superato.
La cosmogonia indù e la nascita dei 4 varna
Nei testi vedici il processo di distaccamento dell’atman avviene attraverso un atto sacrificale
primigenio in cui questo essere primordiale, PURUSHA, (che sarebbe il primo uomo), si smembra e
dalle sue membra nascono le varie componenti che costituiranno la società umana. È una
cosmogonia (nascita del mondo) che parte da questo momento primordiale. Tutto questo è
simbolico perché dalla scomposizione delle parti del corpo dell’essere primordiale nascono i 4
VARNA, che vuol dire colore (ogni classe ha un colore). Quali sono queste 4 parti del corpo che in
questo sacrificio originario portano alla nascita del mondo e della società? (non sono ancora le
caste, che arrivano dopo). Ogni parte ha il suo colore.
1) La testa porta alla creazione del corpo dei sacerdoti. I BRAHMANA sono i sacerdoti.
BIANCO per la purezza
2) Dal tronco, che rappresenta la forza, nesce la classe politico-militare degli KSATRIYA. Nel
pensiero indiano politica è anche violenza, non c’è distinzione tra guerriero e principe.
Questi qui stanno al secondo posto. ROSSO per il sangue
3) Il bacino, che rappresenta la fertilità, dà vita ai VAISIYA che sono i mercanti ORO, GIALLO
4) I piedi, che reggono e sorreggono tutto il corpo, sono gli SHUDRA, che è la funzione servile.
NERO, per la terra.
Il mondo quindi è frutto di un incidente perché è stato l’atman che si è voluto egoisticamente
staccare.
ATTENZIONE queste non sono le caste. Le caste però hanno un riferimento ai varna. Sono 2
concetti distinti ma collegati. Chi ha studiato il sistema castale ha detto che c’è osmosi tra i due
concetti, ma restano distinti.
I varna sono interdipendenti e gerarchici
Altra cosa da dire: questa è una gerarchia. È così perché i veda ci dicono che la dimensione
religiosa è più importante delle altre. Il brahmana è in alto perché la dimensione religiosa è
importante perché se non c’è il brahmana che fa i sacrifici e tutti i suoi riti il mondo cade, il sole
non sorge. Ma l’indù è anche una religione pragmatica: al secondo posto arrivano i principi
guerrieri perché, da un punto di vista pragmatico e concreto, ci vuole qualcuno che difenda la
struttura. La forza e la violenza, se sono al loro posto e sono sottomesse alla religione, servono e
sono anzi essenziali, così come la politica. Il sacerdote legittima e sacralizza quello che fa lo
ksatriya.
Altra cosa: la società indiana è una delle prime ad avere secolarizzato la figura del principe
guerriero. sappiamo che in molte altre strutture (es romani) il principe o il re avevano anche
funzione sacrale –es re taumaturghi in Francia-. È così anche in Cina ad esempio. Nella civiltà
indiana non è così. Anche qui ci sarà probabilmente stato un momento in cui il principe si è
secolarizzato, ma non sappiamo quando. Quello che sappiamo è che quando vengono composti i
veda lo ksatriya è già secolarizzato.
Al terzo posto c’è il VAISYA che è essenziale perché produce le risorse che servono al sistema. Di
solito è anche colui che chiede e finanzia il sacrificio (porta lui i prodotti animali per il sacrificio).

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Alla fine c’è lo shudra che deve solo servire. Non c’è altro che possa fare. Non c’è nessun dovere
particolare se non servire i 3 varna superiori. Ma al tempo stesso vediamo anche come è massima
l’interdipendenza tra brahmana e shudra. È vero che i brahmana sono purissimi, ma gli shudra si
fanno carico dell’impurità di tutti, soprattutto di coloro che sono particolarmente puri, gli shudra
appunto. Quanto più sei un buono shudra accumuli buon karma e nel giro i un po’ di rinascite e
qualche millennio forse te la cavi e lasci il mondo. I varna sono quindi interdipendenti: altro
esempio è che i brahmani sono molto legati agli ksatriya e viceversa: gli ksatriya hanno bisogno
della legittimazione da parte del brahmano e il brahmano ha super bisogno dello ksatriya perché in
teoria è talmente puro che non può nemmeno difendersi se viene attaccato (posso andare lì e
picchiarlo, lui in teoria non può difendersi). Inoltre il brahmano è obbligato alla povertà e non è
nemmeno potente. È importante solo perché è importante la sua funzione. Vive solo delle offerte
di chi si fa fare i sacrifici. Quindi questa gerarchia di varna è molto diversa da come siamo abituati
a pensare. Il brahmano deve essere fisicamente difeso dal principe guerriero. in cambio, il
brahmano legittima il principe guerriero. lo ksatriya non è una posizione particolarmente
invidiabile perché devi usare violenza in certi casi e questa cosa potrebbe allontanarti dal fatto di
lasciare il mondo. Il principe deve avere il brahmano vicino e deve avere un rapporto molto stretto
con questo brahmano che sacralizza la sua posizione. Molti brahmani a livello sociopolitico, poi nel
concreto e nello storico, si sono ricavati posizioni importanti. La situazione dello ksatriya è quindi
più complicata e rischiosa di quello che sembra.

Le 4 finalità dell’uomo
Accanto a questa distinzione in varna, i veda ci danno anche un’altra quadruplica distinzione, che
ci da una gerarchia dei fini dell’uomo. Questa distinzione dei fini deve essere messa accanto ai
varna. Ci son o 4 finalità:
1) MOKSA = liberazione. È il fine di tutti ed il più importante. Tutti vogliono liberarsi del corpo.
È un fine particolare perché non è già più di questo mondo.
2) DHARMA può essere letto a più livelli.
A livello generale è l’ordine socio-cosmico universale
alle volte è tradotto come bene ma non funziona tanto perché il dharma non è il bene in
se: il Dharma è il concetto per cui l’ordine deve essere mantenuto, si deve fare in modo che
ognuno compia il proprio dovere. Il cosmo deve funzionare in modo corretto ed ordinato. È
il dharma a garantire che i varna stiano in ordine.
terza accezione: il dharma appartiene a tutti cioè lo SVA-DHARMA, dove sva vuol dire sé
cioè il dharma di sé, il proprio dharma. Vuol dire che se sei brahmano devi seguire il tuo
dharma, se sei principe guerriero devi fare bene il principe e il guerriero.
3) ARTHA è l’interesse materiale che comprende potere sociale e politico e anche la
ricchezza. Lo ksatriya ha l’artha, ma anche il vaisiya ce l’ha.
4) KAMA è il desiderio, soprattutto fisico, soprattutto il piacere amoroso. Appartiene a tutti. È
un fine legittimo, ma sta in fondo. Quelli a cui più appartiene il kama sono gli shudra.
Si vede che più si scende in questa scala meno elevate sono queste cose, meno elevate sono le
classi sociali a cui i valori in primo luogo appartengono. Nel mondo indù tutto esiste, è un mondo
molto sincero, non è che non c’è la violenza, o non c’è il sesso o non c’è la ricchezza ecc. tutto
questo ha un o spazio riconosciuto e legittimo ma è fondamentale che le cose non siano confuse e
stiano al loro posto. Se i valori non stanno nella gerarchia, il mondo perisce.
L’irrilevanza dell’individuo e i rinuncianti
Questa distinzione in varna è la distinzione teorica della società. In tutto questo mondo gerarchico
e interdipendente la persona non c’è, è del tutto irrilevante. Tu sei rilevante se sei in un gruppo

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che svolge una funzione. Nella società del dharma, l’individuo non c’è. Tutto quello che puoi fare è
agire con karma e sei sei ksatriya devi fare il bravo ksatriya, segui il flusso e basta. Questa visione
della vita però non è molto attraente. Però i testi vedici, riconoscendo il fatto che la persona ha
bisogno di uscire dalla visione del samsara, alcuni testi offrono una via di salvezza da questo ciclo.
Questa via di salvezza alternativa dice questo: se tu a una certa non ce la fai più a vivere in questo
ciclo di rinascite, puoi uscire dal mondo, cioè diventare un rinunciante, un SANNYASIN (è una
scorciatoia). Rinunciante a cosa? Abbiamo detto che il karma è ciò che ti tiene legato al mondo.
Quindi il rinunciante può uscire dalla società e allontanarsene: deve lasciare il villaggio e andare
nella foresta e nella foresta si dà all’inazione, abbandona il karma e smette di agire. Non agendo,
smette di produrre attaccamento al mondo e può sperare di raggiungere il moksa. È il classico
asceta indù immobile e fermo. Dovresti quasi lasciarti morire in sostanza. Concretamente di solito i
sannyasin paradossalmente diventano i fondatori di una setta perché lui vorrebbe stare isolato e
invece le persone vanno a rendere omaggio.
Ci sono quindi due tipi di uomini: gli uomini nel mondo e gli uomini fuori dal mondo. Gli uomini nel
mondo non hanno individualità, compiono una serie di relazioni che li legano al mondo e si
possono liberare solo attraverso le rinascite. L’uomo fuori dal mondo si individualizza perché
smette di pensare agli altri, e pensa solo a se stesso.
LEGGI 2 ARITCOLI sul sito del dipartimento.

MARTEDì 22 NOVEMBRE

La società indiana è olistica e organica


2 tipi di uomo: uomo nel mondo e uomo fuori dal mondo. Il primo tipo di uomo non ci è familiare.
L’uomo fuori dal mondo, che è individuo, è più occidentale ma non è su di lui che si basa la
struttura della società. Un antropologo francese, LOUIS DUMONT, ha detto che ci sono 2 soggetti
alla base della società, cioè la società è un gioco di relazioni non di individui. La società indiana è
olistica. Le società olistiche sono quelle in cui non puoi estrarre un elemento dal tutto perché se lo
estrai sia il tutto che il singolo elemento perdono di significato. Ogni elemento ha senso in quanto
parte del sistema. Si dice che è anche un sistema organico, perché la società indiana è come un
organismo vivente. Queste società, per essere comprese, devono essere lette nella loro totalità. Si
parla di olismo e organicità. Sono gli stessi testi a dare una visione di tipo organico. L’individuo
cosmico originario, PURUSHA, viene smembrato e dà vita alle 4 categorie (testa busto gambe
bacino). La vita nei testi vedici è un dovere. Dumont dice “la vita umana è un fascio di debiti”, e
passa la sua vita a pagarli: agli dei facendo sacrifici la mattina; agli avi procreando (quindi
continuando la discendenza). È una vita senza sorpresa, perché nasci brahmano e rimani
brahmano. Non c’è spazio per l’iniziativa individuale. L’altro lato della medaglia è che è una società
molto stabile. Nasci in un elemento del sistema e sai che passi la tua vita lì. A prescindere dalle tue
qualità, che sono irrilevanti, avrai il tuo spazio e il tuo ruolo nella società. È una vita molto protetta
e stabile. L’aspetto religioso è molto connesso all’aspetto sociale, ma l’India è sempre stata molto
instabile politicamente seppur molto molto stabile socialmente.
I quattro stadi della vita dell’uomo
La società indiana riconosce l’esistenza di bisogni, di tutti i bisogni e ogni bisogno ha un proprio
spazio. Ecco che, ad un certo momento, nei testi vedici si vede una scappatoia, la strada per uscire
dal mondo, per chi non ce la fa a resistere alle rinascite. È una scappatoia per premettersi di
pensare a se stessi e non agli altri (Divinità, antenati…). I 4 testi vedici ci rappresentano 4 stadi di
vita dell’uomo, che sono le 4 fasi di vita normale di un uomo che appartiene ai primi tre varna.
Perché? Perché sono i così detti nati 2 volte.

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1) Questi 3 varna (brahmani, ksatriya e vaishya) hanno accesso allo studio dei testi vedici.
brahmani, ksatriya e vaishya a un certo punto, quando sono adolescenti, fanno un rito di
iniziazione in cui entrano nella società e diventano studenti brahmani, studi cioè i testi
vedici.
2) Segue poi un secondo stadio che parla del capo famiglia e qui sei già più grande, cioè
quando ti fai una famiglia.
3) Poi c’è la scappatoia dei SANNYASIN, perché è l’uomo che pensa solo a se stesso e si
individualizza. I testi vedici ci mostrano il percorso con cui questo esce. C’è un terzo gruppo
di testi vedici chiamati il SILVESTRI (da silva latino). Sono i testi della selva perché parlano
dell’uomo che si sposta nella foresta. Contrapposizione simbolica tra villaggio e mondo
umano VS foresta, natura, luogo dell’Assoluto.
4) I testi silvestri sono una fase intermedia, la fase dell’abitatore della foresta. Questo anticipa
la quarta e ultima fase, che è un gruppo dei testi vedici che ci racconta del rinunciante
assoluto. L’uomo della terza fase intermedia di abitatore della foresta fa comunque il
sacrificio ma solo per se stesso, non più per gli dei o per gli antenati. Il rinunciante assoluto
invece non fa nulla rinuncia anche al sacrificio, che è l’atto di karma per eccellenza.
I requisiti per essere un rinunciante
C’è un però: ma non c’è il pericolo che vadano tutti nei boschi? E infatti i brahmani hanno messo
tutta una serie di precauzioni per andare a rinunciare.
1) I brahmani intanto hanno messo un limite anagrafico: devi avere una certa età, perché così
hai pagato il tuo debito verso la società. Per andare nei boschi devi aver visto nascere i tuoi
nipoti se no non puoi andare a rinunciare (c’era la paura che i giovani rinunciassero e la
società morisse). Questa è la prima cautela.
2) Poi ci sono altri limiti alla rinuncia: possono accedere alla rinuncia solo i nati due volte cioè
brahmani, ksatriya e vaishya, gli shudra no. La via della rinuncia, per questo, è chiamata via
della conoscenza, perché quelli che possono rinunciare hanno studiato i testi, pagato i loro
debiti (sono rinati) e fanno questo percorso. Gli shudra non possono fare questa cosa. Per
quanto riguarda le donne, non hanno uno spazio nel bramanesimo ortodosso. La donna
non ha accesso alla rinuncia perché non ha accesso allo studio dei testi vedici.
La donna nell’induismo ortodosso
La nascita come donna non è vista come una nascita positiva: la donna non ha un percorso proprio
e autonomo dopo la morte ma è destinata a ricongiungersi all’atman del padre o del marito. La
donna non ha un percorso proprio verso la rivelazione. Questa è la visione dei testi vedici ma in
altri ambiti più eterodossi la donna ha più importanza. La donna deve sperare di rinascere uomo.
L’unico testo a cui hanno accesso le donne è il testo sul Kama perché è l’unico ambito di
competenza delle donne. Il varna delle donne è quello di stare vicino all’uomo. L’unico libro a cui
hanno accesso le donne è il KAMASUTRA che vuol dire il trattato sul desiderio, il trattato sul kama.
ATETNZIONE questo è l’induismo ortodosso, poi nelle sette e negli sviluppi è diverso.
Gli opposti che si toccano
Non dimentichiamo che lasciare il mondo non è da tutti: rinunciare vuol dire lasciare moglie, figli
ecc. e nei testi si capisce che andare nei boschi è andare a morire di inedia, quindi non è uno
scherzo. Per questa ragione la società indiana ha creato una spinta alla nascita di nuove vie di
liberazione. Si volevano creare vie più aperte (accessibili da più persone) per la liberazione. La
tensione tra questi 2 poli è stato un enorme motore di cambiamento e l’indù vissuto nasce
dall’interazione tra questi 2 poli/obiettivi. Nell’induismo tutto sta assieme. Il rinunciante in realtà
vive gomito a gomito con il brahmano perché il villaggio è lì vicino e sono consapevoli della
presenza l’uno dell’altro e i testi parlano del loro rapporto. Gli estremi nella società indiana non si
escludono a vicenda, anzi convivono, dialogano e sono in contatto. E anzi senza rinunciante non

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può esistere brahmano e viceversa. Le 2 cose sono legate a doppio filo. Il brahmano all’inizio non
era nemmeno vegetariano, tutto questo aspetto della non violenza assoluta è diventata
fondamentale in seguito e è abbastanza accertato che sono stati i rinuncianti a indurre questa
purezza nel brahmano. È come se avessero iniziato a competere nella purezza assoluta. Il
brahmano nel villaggio, che all’inizio si mangia anche un po’ di carne, vede il rinunciante che ha la
purezza assoluta e cambia le sue abitudini influenzato di sannyasin. Questo reciproco influenzarsi
è classico dell’induismo/brahmanesimo ortodosso. E tutte le sette in futuro non si cancelleranno
con l’induismo, ma conviveranno.
Le vie di liberazione
L’interazione vivo nel mondo VS vivo fuori dal mondo è stato il motore principale della società
indiana. La vita terrena è si svalutata ma in modo tendenziale, non in modo assoluto.
Indubbiamente la rinuncia, intesa come via della conoscenza, è una strada elitaria e ristretta. C’è
questa spinta verso la nascita di nuove vie di liberazione. Queste vie di liberazione però non sono
nei veda.
Vie di liberazione sono quindi:
1 la via dell’azione, del karma, faccio il mio dovere, passo per il samsara e alla fine mi libererò
2 la via della rinuncia
3 la via del BHAKTI cioè della devozione. Oggi la maggior parte degli indù si riconoscono in questo.
La bhakti, ovvero la terza via di liberazione
Come nasce questa bhakti? Per creare una strada più agevole alla liberazione, si vuole
democratizzare la liberazione e aprirla a donne, shudra, giovani ecc. moltissime vie di liberazione,
che nascono ora e in seguito, nascono dagli ksatriya cioè dei guerrieri, ad esempio la bhakti nasce
da un principe guerriero. perché? Perché la posizione dello ksatriya è difficile, perché il darma del
guerriero è soprattutto l’ARTHA cioè ciò che è utile/buono. L’artha è spesso difficile da ottenere e
compiendolo è facile compiere errori e sconfinare e fare qualcosa di impuro. È normale che sia
nata da qui la ricerca di vie di salvezza nuove.
La nascita del bhakti, la storia di krishna e arjuna
Torniamo al BHAKTI che non si ispira ai testi rivelati (i veda) ma ai grandi epici. Quel testo è forse il
più popolare in india (nessuno invece legge i veda). Il testo è il BHAGAUADGITA canto del signore
o canto del beato che è un poemetto di 700 versi dentro un’opera monumentale detto
MAHABARATA, che è un’opera monumentale in 18 volumi. Un capitoletto di quest’opera è quindi
diventato famosissimo. Come mai questo testo è così importante? Bisogna vedere di cosa parla
questo BHAGAUADGITA. È una storia complicatissima di famiglie che fanno guerre, interagiscono
con gli dei fanno un sacco di cose, pace guerra ecc. il BHAGAUADGITA racconta del rapporto tra 2
rami di una famiglia che sono 2 rami di cugini chiamati PANDAVA e KAURAVA (sono parenti).
Tutto il casino nasce da una partita a dadi e una parte perde. Dalla sconfitta una parte perde tutti i
propri averi (case, donna ecc.). alla fine dopo mille tentativi di ricomposizione del conflitto i 2 rami
entrano in guerra ed è proprio la scena della guerra che costituisce la parte centrale: viene
riportato un dialogo tra il protagonista della storia, uno KSATRIYA che si chiama ARJUNA (un
pandava) e che è il guerriero perfetto, e il suo auriga. Lui è su un carro e dialoga con il suo auriga,
che non è un auriga ma una divinità sotto mentite spoglie. È il dio KRISHNA, che si intromette un
sacco in questa guerra. Ad un certo punto addirittura krishna, quando i 2 rami della famiglia
dicono che bisogna andare in guerra, dice: potete avere o me o le mie armi: i pandava (i buoni)
scelgono lui e gli altri le armi (è una scelta qualitativa vs quantitativa). Allora questo Arjuna sa di
dover andare a combattere e di dover uccidere ma lui è incerto e ne parla con l’auriga, che lo
consiglia e lo sprona a compiere il suo dovere. Allora l’auriga-dio gli da un sacco di consigli e gli
consiglia le solite due strade più una terza strada rivoluzionaria. Il dubbio di questo guerriero è che
lui ha super paura di combattere perché di la ci sono i suoi cugini, c’è il suo vecchio maestro ecc. e

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dice “se io combatto mi allontano dalla rivelazione” e si confida con l’auriga. Allora in primo luogo
il dio gli dice: compi il tuo darna, fai il tuo dovere e così facendo ti avvicinerai alla liberazione (via
1, via del karma). Ma Arjuna non è convinto e dice, no, non posso! Allora il dio gli dice dai ma
insomma non drammatizziamo, tu vai lì e uccidi solo il corpo di questi, tanto sai che è tutta
apparenza, quello che conta è l’atman e quello non puoi ucciderlo (via della conoscenza, della
rinuncia è la via 3). Questa terza via è la via del BAKHTI. Ma arjuna non è ancora convinto e non
vuole combattere. Allora krshna gli dice: combatti, agisci ma SENZA DESIDERIO DEL RISULTATO
cioè senza desiderare il risultato della tua azione. Tu puoi agire benissimo e compiere bene il tuo
karma (quindi andare verso la liberazione) rinunciando al risultato della tua azione e devolvi il
risultato della tua azione alla divinità (a quel punto il dio si è rivelato). A quel punto tu stai facendo
il tuo dovere e va tutto bene basta che rinunci al risultato dell’azione. è la via del KARMA YOGA
cioè è una rinuncia pur rimanendo all’interno dell’azione. puoi essere un rinunciante senza
smettere di agire. Questa cosa si può applicare a tutti i componenti della società non solo agli
ksatriya.
Il bhakti e il rapporto diretto uomo-dio
Secondo aspetto di questa via è il rapporto diretto UOMO-DIVINITà, perché fuori da questa via il
rapporto tra dio e l’uomo passa attraverso il brahmano. Si crea il rapporto privilegiato con una
singola divinità. Mentre nell’indù ortodosso c’è un panteon e non c’è rapporto speciale con un
certo dio, qui c’è quasi uno sviluppo monoteistico dell’induismo. Accadrà che molti templi saranno
dedicati ad una specifica divinità. La mediazione del brahmano passa in secondo piano. Questo
ajuna supera il formalismo dei brahmani, tutto il loro ritualismo non è più indispensabile per
arrivare alla saggezza, basta l’azione disinteressata. Compi il tuo dovere senza attaccamento
personale e senza individualismo e interesse personale per il risultato e è tutto ok. Tu sei l’asceta
nell’azione (Ghandi per esempio si considera così). Questo eroe è molto strano perché cade
combattendo. Ma è indifferente il fatto che lui vinca o perda. Lui raggiungerà il moksa a
prescindere da come andrà, quasi è meglio se perde perché cadendo ha quasi enfasi il suo
sacrificio e il suo disinteresse nell’azione. non è importante che viva o muoia ma che abbia fatto il
suo dovere fino in fondo, che abbia dato tutto quello che poteva dare. È molto diverso dall’idea
occidentale di dover raggiungere l’obiettivo.
Il ridimensionamento del ruolo del brahmano
da un punto di vista sociale con questa terza via si ridimensiona il ruolo del brahmano. Prima di
questa terza via il fedele non può entrare in contatto con la divinità. Nel tempio c’è il brahmano
che media non sei tu che ci parli. Da divinità è talmente potente che non entri nemmeno in
contatto. Il movimento è collettivo e sociale e può essere un movimento di riforma dell’induismo e
il monopolio religioso entra in dubbio. Il fedele costruisce il rapporto diretto con la divinità e il
credente entra liberamente senza fare riti prima di entrare (come succede nell’induismo ortodosso
in cui devi fare dei giri intorno al tempio prima di entrare). Nell’induismo ortodosso gli dei sono
così potenti che non puoi interfacciarti direttamente con loro perché rischi di rimanere
“fulminato”. Con questa terza via c’è quasi un monoteismo e nascono delle vie di dialogo con le
religioni monoteiste. Nascerà in questo contesto nel punjab tra 1600 e 1700 la religione dei SIKH
che è una religione sincretista, cioè di contaminazione tra questa terza via e i monoteisti. BAKHTI
sono questi culti della terza via. I culti bakhti sono aperti a tutti, tutti possono avvicinarsi. L’amore
per la divinità è aperto a tutti, non ci sono più le limitazioni, tutti possono accedere alla
liberazione.
La shakti
C’è poi una quarta via di liberazione che è la più eterodossa di tutte. È una via detta la via della
forza femminile detta anche SHAKTI. Ci avviciniamo ad un panorama in cui il femminile è
preponderante.

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Premessa sull’idea del femminile: shakti vuol dire forza femminile, forza primordiale, è un’idea
strettamente legata alla natura. Secondo l’idea indiana, pre-vedica e radicata nell’immaginario
indù, c’è una parte femminile molto forte presente nella natura. I grandi elementi della natura
sono visti come femminili. La terra è femminile, lo sono anche fiumi e mari. In questo senso
l’aspetto femminile è benefico ma può anche diventare negativo: la forza femminile quando è
incontrollata è distruttiva. La shakti rappresenta questo aspetto incontrollato e distruttivo del
femminile. Il femminile, per essere benefico, deve essere complementare al maschile. Il maschile
controlla il femminile e le consente di essere benefico. Quando lasci questa forza a sé stessa hai
problemi. Questa cosa c’è in una serie di raffigurazioni in cui parte femminile e maschile sono
complementari. Nelle prime raffigurazioni le divinità erano divise in due con una parte femminile e
una maschile e in altre raffigurazioni il dio viene rappresentato con la compagna. Quando maschile
e femminile sono assieme il femminile è rassicurante. Quando il femminile si allontana diventa
distruttivo. Le stesse compagne delle divinità maschili, se prese da sole, diventano shakti e in quel
caso, cioè quando le divinità femminili diventano shakti, sono dette DEVI o DURGA.
Un’espressione dello shakti è KALI, cioè la nera con teste mozzate, lingua di fuori ecc. il femminile
è la forza primordiale della natura e ci può essere temporale, tempesta ecc. il punto è che la shakti
in quanto espressione terrifica del sacro è un culto carnale (spesso non sono vegetariani) magari si
sacrificano animali ecc. ci sono templi in cui ci sono entrambi i culti es. quello del dio maschile
vegetariano, puro ecc. e di là ammazzi gli animali. Attenzione perché qui gli dei sono immanenti, il
dio è nella statua, la mattina la statua viene svegliata, lavata ecc. in India ci sono culti della shakta,
con culti sanguinari, in cui di solito i sacerdoti appartengono a caste più basse e si fanno culti
molto carnali. Qui non c’è l’aspetto della purezza, che viene rovesciato.
La shakti e la quarta via di liberazione: il tantrismo
Nella shakti prevale il sanguinario e da qui nasce la quarta via di liberazione, quella del
TANTRISMO, che si basa su questo rovesciamento dei valori. TANTRA è un complesso di testi sacri,
che alcuni dicono far parte dei testi vedici. Tantra significa trama, ordito. Tu qui arrivi alla
liberazione attraverso la shakti. Sono dei testi che ci presentano una via di liberazione in cui tutti i
valori sono rovesciati. Nell’induismo brahmanico devi stare lontano dalla carnalità, qui la carnalità
è la strada per l’assoluto. Il tantrismo è un grande fenomeno e ci sono scuole molto estremiste e
altre meno estreme. In quelle estreme hai riti con la carne, sacrifici sanguinari, l’uso di vino,
l’importanza dell’atto sessuale che è una metafora dell’unione con l’assoluto. Questo vale con le
sette tantriche estreme, che sono dette tantrismo della mano sinistra (la mano sinistra è la mano
impura). Il tantrismo della mano destra è quello meno estremo. Nel tantrismo si rovesciano i valori
dell’ortodossia. L’aspetto impuro diventa esaltato e è veicolo del raggiungimento della liberazione.
La cosa assurda è che le cose hanno convissuto. Il principio della shakti è stato enorme, tanto che
alcune parti dell’ortodossia hanno preso alcuni simboli della shakti e li hanno fatti propri. Il LINGA,
cioè il fallo maschile, è uno dei modi in cui si rappresenta shiva,. Spesso questo fallo è sovrapposto
alla YONI che è la rappresentazione dell’organo femminile. E queste simbologie sono proprie dello
shakti. La mentalità indù di solito si limita a riconoscere l’esistenza del sacro in mille forme e il
brahmano si tiene lontanissimo da queste cose anche perché rischia di contaminarsi, ma non ne
nega l’esistenza e non dice “no quello è sbagliato”, semplicemente ne sta lontano. Poi bisogna
sempre considerare che qui stiamo generalizzando e che la realtà è vastissima. Nelle varie zone
tutto è molto diverso e ci sono 1000 declinazioni. Spesso sono le caste più basse a praticare questi
culti shakti (specie sud dell’India dove le caste più basse sono più consistenti).
Quindi riassumendo:
1) Via del karma ortodossa
2) Via della rinuncia/della conoscenza ortodossa

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3) Via della bakhti, via della devozione, che interiorizza la rinuncia e si esce dal mondo solo
interiormente, ogni gesto quotidiano è senza interesse personale
4) Via del tantrismo, via della shakti, che è la via più eterodossa di tutte. Qui il femminile è
preponderante.

L’INDIA: LE CASTE E L’ORDINE SOCIALE


Le caste
Lasciamo per un attimo il discorso della liberazione e parliamo della casta.
Ricorda varna DIVERSO da casta. I varna sono il teorico ordine sociale. Le caste sono molto di più. Il
termine casta è occidentale, non è il termine vero. Il vero nome della repubblica indiana è
BHARAT. Casta viene da castus, dal latino e hanno dato i portoghesi questo nome a questi gruppi.
Ma è sbagliato. Gli occidentali sono sempre stati colpiti dall’aspetto della separazione non
capendo che le caste sono sì separate ma che alla base c’è un concetto olistico. Anche gli indiani
ormai usano il termine casta da quanto i colonialisti l’hanno detto. Ormai anche a livello politico si
usa il termine casta senza più accezione negativa. Il termine proprio per definire la casta sarebbe
JATI che indica il gruppo di sangue e antropologico di nascita (questo gruppo in teoria è
endogamico) che di solito è riferito al varna in modo un po’ complesso. JATI come etimologia
(radice JA) ha in se l’idea della nascita. La JATi non è varna.
La mobilità delle caste e la loro numerosità
Le caste sono molte ma non è facile contarle, ci sono delle stime. In epoca coloniale si è tanto
provato a catalogarle, contarle ecc. ma si è quasi sempre fallito perché le caste sono molto legate
al territorio perché a seconda del territorio hanno nomi diverse e cambiano. Nella realtà le caste
sono in continua mobilità, sono molto fluide, si uniscono, si separano, si muovono. In teoria le
caste seguono l’ordine dei varna, ma non è detto: in teoria ci dovrebbe essere almeno una casta
per varna, ma non è detto. Accade ad esempio che una certa casta in una zona abbia poco potere
o non ci sia proprio. Ad esempio nella ziona del Khaiber e in generale nelle zone a nord che
avevano problemi di combattimenti ecc. le caste guerriere sono molto forti. Invece al sud le caste
guerriere erano così irrilevanti che tendevano a scomparire. Inoltre le caste non hanno nemmeno
gli stessi nomi, ma hanno nomi differenti. Questi nomi possono essere i nomi delle professioni o
possono essere nomi che si riferiscono alla località ecc. le caste hanno mestieri specializzati ma nel
tempo questi mestieri sono cambiati. Più si va in alto nelle caste meno i lavori sono manuali.
Quindi le caste brahmaniche svolgeranno lavori di pensiero.
Ma varna e jati sono in comunicazione e non puoi concepire l’uno senza l’altro. Le jati si
strutturano con un ordine che guarda ai varna. Poi ci sono altri fattori che influenzano la posizione
di una casta, ma una casta ha più probabilità di diventare una casta importante se si riferisce ad un
varna alto che non ad un varna basso. Conta sia l’aspetto dei valori e delle idee (varna) che
l’aspetto antropologico. C’è osmosi tra varna e jati. Definiremo meglio l’aspetto antropologico la
prossima volta. Nella vita di una casta è importantissimo l’aspetto della purezza e la
contrapposizione puro-impuro.

mercoledì 23 novembre 2016

il rapporto jati-varna
JATI = gruppo endogamico cui si appartiene per nascita, di solito legato ad un mestiere. Concetti
fondamentali che influenzano lo status di una casta: contrapposizione puro-impuro, quello che si
mangia e con chi lo si mangia (ovvero la commensalità), matrimonio.

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La jati prima di tutto è antropologica. La casta, seppur antropologica come concetto, è legata
comunque alla sfera religiosa-valoriale dei varna. C’è questo aspetto multivalente della casta. Il
collegamento casta-valori dà al sistema castale l’aspetto generale, nazionale. L’aspetto del vissuto,
invece, lega la casta a livello locale (tutte le cose quotidiane, i rapporti tra le caste, le singole
caratterizzazioni). C’è questa contrapposizione tra generale e particolare. Resta il senso di identità
generale-nazionale (perché caratterizza tutta l’india) nel fatto che ogni casta si riconduce ad uno
specifico varna. In generale il mondo orientale ha questa capacità di passare da un livello
identitario ad un altro. Le identità sono molto fluide. Quando si arriva alle elezioni, se c’è un
partito che fa riferimento ad una certa identità castale, anche se quel particolare partito è legato
ad una zona, c’è la tendenza a farsi riconoscere e votare da tutti quelli di quella casta, anche fuori
dalla specifica zona, usando il criterio identitario della casta. Si gioca molto con i registri identitari,
che sono molteplici e si intersecano. Il termine casta è stato adottato dagli spagnoli e poi esportato
dai portoghesi nella metà del 400. Poi questo termine è entrato nel vocabolario di altri attori
europei. Noi troviamo nella metà del 500 il termine CAST per riferirsi alla razza e poi dall’inizio del
160 la eastern indian company lo usa nel senso che abbiamo noi oggi. Nel 1740 compare nell
dictionnaire de l’economie (?). ma il termine corretto sarebbe jati.
Le teorie sul sistema castale
Si sono distinte tre grandi tipi di spiegazioni (+1) del sistema castale. Sono spiegazioni di tipo:
1) Teorie volontaristiche. Queste teorie spiegano le caste come volute e fondate da alcuni
uomini. Le caste sarebbero frutto del lavoro di antichi legislatori. Il fatto che tutti capissero
e accettassero subito che i brahmani fosser alla testa del sistema faceva supporre a questi
studiosi che fossero stati proprio i brahmani a formare la casta. Queste teorie sono state in
voga durante, che vedeva malissimo questo sistema e lo pensava come un insieme di
stupide credenze religiose che imbrigliavano l’intelletto.
2) Teorie del caso limite (le caste ci sono ovunque, anche in occidente). La casta in queste
teorie non è un sistema peculiare e originale ma la casta è una versione più rigida delle
gerarchie sociali umane che esistono in tutte le società. La casta ne è solo una versione più
strutturata, verticistica e rigida. L’esempio più interessante è quello dei missionari cristiani
cattolici che iniziavano a frequentare l’India già a partire dal 400, in particolare i gesuiti.
Questi operarono molto in India del sud cercando di convertire gli indù al cristianesimo. Es
DE NOBILI era un gesuita italiano che fu attivo nella costa occidentale dell’india nella prima
metà del 1600.. perché i missionari gesuiti hanno scelto di interpretare così il fenomeno
castale? C’erano i riti MALABARICI (da MALABAR, costa occidentale dell’India, dove
operavano questi gesuiti). I missionari gesuiti nel 600 non potevano pensare di spazzare via
tutte le caste. Capiscono subito che c’è una gerarchia. loro in quanto dotti venivano
percepiti come brahmani nella società locale perché gli indù riconoscono molte possibilità
per l’immanenza del sacro (venivano percepiti solo come persone che veneravano un'altra
divinità e gli indù cercavano subito di inquadrarli in una fascia della società). I gesuiti
capirono subito che se si fossero messi a convertire le caste basse avrebbero perso subito
l’appeal sulle caste alte perché queste avevano paura della contaminazione. Inoltre se
avessero provato a mettere tutti assieme in una chiesa le caste alte si sarebbero rifiutate.
Allora questi gesuiti capiscono che devono adattare il messaggio cristiano ad una società
diseguale e iniziano a fare i RITI MALABARICI cioè fanno riti appostiti per ogni casta
(adattavano il cristianesimo alla struttura sociale). Stessa cosa succede in Cina dove c’era
l’organizzazione confuciana. Il vaticano si arrabbia molto e si scatena nel 17° secolo un
dibattito molto serio su questa faccenda. Ci furono diverse bolle papali. Papa Gregorio 15°
nel 1624 scrive una bolla che accetta i riti malabarici e i riti cinesi ma in seguito prevalgono
le opinioni contrarie e questi riti furono condannati. Benedetto 14° condanna nel 1744 in

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modo definitivo queste pratiche. I gesuiti, cercando di difendere il loro operato potevano
solo minimizzare il significato religioso della casta e sottolineare l’affinità con le istituzioni e
strutture europee. Altri studiosi non gesuiti, poi, appoggeranno queste teorie, ad esempio
MAX MÜLLER, tedesco, che affermò anche lui che la casta era una forma di distinzione
sociale in base alla nascita, la differenza rispetto all’Europa era una giustificazione religiosa
delle stratificazioni e divisioni sociali. Anche MAX WEBER parlò della casta dichiarandola
come gruppi di stato, come i 3 gruppi di stato dell’Ancient regime francese.
3) teorie storiche. L’origine della casta si riconduce a fatti avvenuti nel passato, veri o presunti.
La più importante di queste teorie, adottata anche da indiani ma priva di prove, fa
riferimento alle invasioni ARIE o ARIANE. La teoria nasce nell’Europa del 1800 da studiosi
europei di lingue che individuano una grande famiglia linguistica detta di lingue INDO-ARIE,
da cui deriverebbero anche le lingue europee, originarie dall’area persiana. Queste
popolazioni si sarebbero spostate dall’Iran sia verso occidente che verso oriente. Questa
teoria avrebbe spiegato le somiglianze linguistiche tra le lingue latine sassoni ecc., la lingua
persiana (farsi) e le lingue dell’India settentrionale. L’idea era che queste popolazioni,
migrando verso l’india, avrebbero spinto le popolazioni autoctone verso il sud dell’india, e
dopo averle sottomesse avrebbero creato il sistema castale per dare una gerarchia
giustificata religiosamente al sistema sociale. Supposte prove di questo: nel subcontinente
indiano le lingue della parte a nord hanno effettivamente molte connessioni con le lingue
indoeuropee (indi, punjabi…). Queste lingue hanno alcune radici linguistiche simili a quelle
europee. Nel sud invece, lingue come il tamil (controlla come si scrive), sono le lingue
DRAVIDICHE sono di una famiglia linguistica del tutto diversa. Altra prova sarebbe delle
caratteristiche fisiche, perché le popolazioni del centro nord sono più alti e chiari di pelle
che al sud. Più ci si sposta verso sud, più le persone sono più scure di pelle e basse. Anche li
si è pensato che questa fosse una prova. Ma a parte questo non ci sono altri tipi di prove
né storiche né antropologiche. È abbastanza strano che non ci sia nemmeno un briciolo di
prova dice Abe. Anche le differenze fisiognomiche sono state analizzate anche da voci che
respingono questa teoria e che dicono che in una società che ha il sistema castale non è
strano che le caratteristiche fisiognomiche siano distinte da una zona all’altra del sub-
continente. È stato fatto il confronto con il Sudafrica con l’aphartheid e con la società USA
in cui anche qui si vede una separazione piuttosto netta. Questa teoria è quindi una mera
ipotesi
4) spiegazioni recenti dal 1945 in poi. Queste spiegazioni si sono concentrate meno nel
tentativo di spiegare complessivamente la nascita del sistema ma si cerca di fare studi
locali per arrivare al generale. Questi studi nascono col boom dell’antropologia. Dobbiamo
molto qui a DUMONT che ha lavorato negli usa negli anni 60 e 70. Lui nel 66 ha scritto un
libro chiamato HOMO HIERARCHICUS in cui fornisce una spiegazione del sistema diverso
dalle altre. Che lettura del sistema castale dà? 1 considera l’aspetto religioso fondamentale
nel sistema. Dà molta importanza al peso religioso delle caste. Dice inoltre che il sistema
delle caste non è un unico sistema ma è una molteplicità di sistemi locali nei quali lo status
di una singola casta può variare molto di regione in regione. Non c’è un sistema valido per
tutta l’india se non per un certo elemento comune: che tutte le caste si gerarchizzano
secondo una linea che ha 2 estremi: brahmani e intoccabili.
La teoria di Dumont
Approfondiamo la sua teoria: lui scrive “ogni casta è inferiore a quelle che la precedono ed è
superiore a quelle che le seguono e tutte sono comprese tra i due estremi. Lo stare tra i 2 estremi
è l’unica cosa che accomuna tutte le caste. La gerarchia è il principio fondamentale del sistema e
questa gerarchia ha caratteristiche che distinguono il sistema della casta da altre gerarchie

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presenti nel mondo. Lui dice non c’è un unico sistema ma c’è una pluralità di sistemi locali. Dice
Dumont che le caste si gerarchizzano sulla base di fattori prettamente antropologici.
Lui sostiene che il criterio preponderante è la contrapposizione puro-impuro. Cosa vuol dire?
Andiamo nello specifico
La contrapposizione puro-impuro
L’idea della purezza non c’è solo in India. Sono concezioni molto antiche e che nell’induismo sono
penetrate e hanno trovato una sistemazione religiosa. Nel mondo indiano esistono 2 fonti
dell’impurità. La prima sono i grandi momenti di passaggio della vita dell’uomo: nascita e morte.
Perché sono momenti di impurità? Perché nascita e morte sono fasi in cui si passa dal mondo
umano al mondo non umano. Questi momenti di passaggio sono con un certo grado di impurità.
La seconda idea sull’impurità è legato alla dimensione carnale e materiale della vita, tutto quello
che riguarda sangue e decomposizione. Tutto questo aspetto è fonte si impurità. Quindi se
guardiamo il primo aspetto, cioè nascita e morte, comporta che tutti coloro che entrano in
contatto con nascita e morte assorbono un certo grado di impurità. Ma tutti moriamo e nasciamo
quindi è chiaro che l’impurità è un elemento essenziale e inevitabile della vita. L’impurità non è
patologica e esiste il modo per sanare l’impurità. Quando c’è una nascita o un lutto, interviene il
brahmano che dietro offerta fa un rito che risana questa impurità. Ovviamente più si è a contatto
con l’impurità più si è contaminato. Si usano ad esempio elementi della mucca come il latte
vaccino (mucche sacre), oppure i fiumi e l’acqua corrente sono purificatori. L’impurità non è
patologica. Il problema c’è quando c’è una casta che svolge una funzione specializzata che la porta
ad essere costantemente a contatto con fonti di impurità. Il problema è che se una casta si
specializza in una funzione che li mette continuamente a contatto con forte impurità, non c’è più
purificazione possibile e bisogna stare lontani da queste caste perché potresti contaminarti. Ma
attenzione il termine intoccabile è un termine introdotto dagli inglesi. I portoghesi usavano il
termine parya. Ma gli indiani per queste caste hanno i soliti loro nomi castali. Recentemente
queste caste sono note con un termine di rivendicazione politica con il termine di DALIT che vuol
dire genti politiche. Il termine è stato introdotto da uno dei padri costituenti dell’india e che ha
combattuto per le caste intoccabili e si chiama AMBEDKAR. Questi hanno una impurità patologica,
insanabile e che colpisce tutta la casta. Ci vuole anche una separazione fisica e questo nel villaggio
poteva portare a una vera discriminazione. Ma ricordiamo i principi di complementarietà:
comunque ci sono delle funzioni della società impure che devono essere svolte da qualcuno,
quindi gli intoccabili fanno le mansioni che gli altri non possono fare. In un mondo di non violenza
e vegetarianismo se muore un animale ci vuole qualcuno che porti via la carcassa e le caste alte
non possono farlo. Allora le caste che gestiscono gli animali morti, che conciano le pelli ecc. fanno
queste cose qui. Anche chi è in contatto con sporcizia e rifiuti, chi lava i corpi dei defunti, chi si
occupa dei funerali ecc. sono queste caste, che hanno quindi un ruolo importante e fondamentale.
Vengono anche pagati per fare queste cose e vengono ritenuti importanti in alcune zone. Quindi
non è che se sei intoccabile sei povero o per forza sdegnato. Quando nasce qualcuno ci vuole la
levatrice che di solito è di una casta intoccabile. Ognuno ha il suo spazio. Ci sono molte funzioni
intermedie che comportano solo un certo grado di impurità. Ogni professione è gerarchizzata con
il principio di puro-impuro. Il contadino è abbastanza basso perché sei a contatto con la terra. Ma
dipende anche da cosa coltivi: per esempio uccida la pianta o no? Perché se cogli il frutto e non
uccidi la pianta sei più puro di chi raccoglie la patata e strappa una parte e uccide la pianta. Già qui
c’è una distinzione, già qui c’è un grado di impurità più alto. C’è una capacità quasi infinita di
gerarchizzare. Tutto (animali, piante ecc.) è gerarchizzato a seconda della purezza. Inoltre non
sempre le caste hanno svolto lo stesso mestiere. Si è notato come l’attività specializzata è migliore
di una attività non specializzata. E può accadere che per arrotondare tu ti metti a svolgere un’altra
attività più impura (es sei contadino ma arrotondi come pescatore che è più impuro perché uccidi

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il pesce) ma questa attività collaterale non incideva sullo status della casta. Questo perché la cosa
importante non è di per se la cosa che fai ma come la società ti vede: se la tua casta è nota per
fare quella cosa, anche se arrotondi con una cosa più impura non importa. La gerarchia si
autodetermina, non la crea una autorità superiore.
La gerarchia delle caste è mobile
Attenzione perché la gerarchia castale non è immobile, ma la mobilità segue delle regole: la
mobilità non è del singolo ma è collettivo, oppure ci può essere una sotto-casta che si stacca e si
muove. Come può avvenire questo movimento delle caste?
1) La condizione del brahmano è considerato il top, è l’obiettivo a cui tutti dovrebbero
tendere. Questo fatto ha fatto sì che le caste tendessero ad imitare i brahmani e in
generale le caste superiori (di solito il brahmano ma non necessariamente). Questo
concetto ci è familiare perché in Europa magari imiti il comportamento dei nobili. Questo
meccanismo dell’imitazione delle caste superiori è stato definito da SRINIVAS un
antropologo indiano e è stato definito SANSCRITIZZAZIONE (fenomeno con cui la casta
bassa imita quelle più alte). Magari tu sei un guerriero ed a una certa dici: sapete che c’è?
Sono vegetariano. E si crea un’aura, delle premesse che in futuro mi potrebbero
permettere di salire. Se io mi metto a imitare i costumi dei brahmani (es sono monogamici,
non violenti, vegetariani, prendono le mogli bambine …) e così posso sperare di avanzare. Il
mondo delle caste guerriere è stato uno strumento di grande elevazione delle classi sociali
perché è uno dei mestieri che è più facile da imparare. E quindi magari la casta contadina a
un certo punto ha iniziato a vendersi come mercenaria e alla fine venivano percepiti come
ksatriya e lo diventavano.
2) Con il matrimonio. In teoria c’è la regola generale dell’endogamia, ma non sempre è
possibile sposarsi all’interno della casta perché se la casta è piccola a un certo punto si è
tutti parenti e allora può succedere che ti devi sposare fuori dalla casta. 2 possibilità:
A. ti puoi sposare con una caste superiore IPERGAMIA
B. inferiore IPOGAMIA
C. Ti sposi con una casta dello stesso livello ISOGAMIA, che è la cosa miglire perché non
corri rischio di cambiare la tua posizione sociale.
Ma può accadere che l’isogamia non sia possibile e allora accade che di regola la casta che
dà la donna si sottomette alla casta a cui dà la donna. Quindi si cerca sempre di dare le
donne a caste superiori, perché elevi la casta.
Le caste possono avere molte sotto caste e quindi può anche essere che sia solo una sotto casta a
muoversi.
C’è una differenziazione anche basata sulla dieta, cioè su quello che mangi. Persino i vegetali e gli
animali infatti sono gerarchizzati per purità-impurità es gli animali domestici sono più impuri di
quelli selvaggi. Quindi la distinzione non è solo carnivoro vegetariano ma anche che animali e che
vegetali mangi (ess crostacei sono i pesci più impuri).
La mobilità può addirittura portare le caste a frammentarsi (sotto caste che si staccano).
Venire declassati e il sistema di giustizia castale
Può anche accadere che una casta però scenda nella gerarchia ad es. perché abbandona il suo
mestiere tradizionale o perché non è conforme ai principi di vita della casta (es sbagliati matrimoni
o alimentazione rispetto alla casta di appartenenza). Può accadere che quel pezzo di casta o
l’intera casta si stacchi e scenda nella gerarchia. Può addirittura succedere che una singola persona
scenda di casta (ma è più teorico che reale). La casta di solito tende a reprimere le violazioni
all’interno della propria casta attraverso un organismo, una sorta di organismo che gestisce la
giustizia dentro la casta, detto PANCHAYAT (probabilmente da panch che vuol dire cinque
probabile che in origine fosse composto da 5 persone). È sbagliato concepire la giustizia castale

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come repressione ma anzi è un meccanismo di autodifesa della casta perché se il singolo
trasgredisce rischia conseguenze l’intera casta. Questo organismo è come un chirurgo che amputa
l’arto infetto. Questo avviene nei casi più estremi (Di solito si cerca di mediare) ma può succedere
che una persona o una famiglia o un singolo siano espulsi dalla casta, cosa che comporta la morte
sociale ed è gravissimo. Oggi il motivo per cui accade di più è per motivi sociali (es uno di una casta
alta sceglie un marito o una moglie da una casta intoccabile perché c’è sempre tutta l’analogia con
il corpo che si contamina). Un esempio noto è quello di Ghandi che, ad un certo punto, a fine 800,
quando era giovane studente voleva andare a studiare legge a Londra; lui però apparteneva a una
casta intermedia di mercanti (della zona del Gujarat) e la sua casta vietava i viaggi oltremare.
Rischia di essere espulso ma alla fine lo lasciano andare facendo voto: fa voto di non mangiare
carne, di castità ecc. solo grazie a questi voti gli fu permesso di viaggiare. Può anche succedere che
per qualche motivo manchi una casta e allora magari una parte dei brahmani prendono il posto
degli ksatriya per colmare il vuoto e dare dare una classe politica a quella zona.
Il predominio dell’aspetto locale e la legge in India
Conseguenze di questo sistema:
- Predominio della dimensione locale su quella nazionale perché tutto il sistema è legato a
elementi locali. È vero che il varna ha dimensione nazionale ma la casta funziona
soprattutto in riferimento alla casta locale. Questo è importante perché l’India fa più fatica
ad organizzarsi a livello nazionale.
- Manca una idea generale di legge perché è vero che in India c’è il concetto di DHARMA ma
il dharma non vuol dire legge e nemmeno vuol dire bene. Il dharma può essere concepito
come qualcosa che ordina ma non si applica a tutti perché il dharma è diverso a seconda
delle caste. Spesso si dà il consiglio di lasciare che la società si autoregoli perché se tutti
seguono il loro dovere non c’è bisogno che il sovrano intervenga. Il sovrano interviene solo
se c’è una violazione, ma altrimenti la società è autosufficiente. Manca un concetto di legge
e di dovere generale perché il dovere è specifico per ogni casta. L’accento è più sui doveri
più che sui diritti e su quello che non si può fare più che su quello che si può fare. La
domanda è più cosa puoi fare per il sistema non cosa può fare il sistema per te. È una
società molto pluralista perché l’ambizione non è premiata e l’enfasi è sul rispettare le
regole ed il proprio posto. Tra l’altro il sistema castale tende a segmentarsi. questo fa si che
in un territorio c’è sempre una pluralità di caste e è raro che una casta riesca ad avere
predominio stabile su un certo territorio; questo comporta una grande predisposizione a
dialogare, mediare, trovare soluzioni. Il panchayat aveva anche questo ruolo, si convocava
e andavano gli esponenti delle caste per trovare una soluzione. C’è una contrattazione
continua. Questo è importante se si riflette sul perché l’India sia riuscita a dare vita a un
sistema democratico. Il fatto che l’india sia diventata una democrazia è un grande e difficile
tema. Molti autori hanno iniziato a rivalutare il ruolo delle caste nella nascita della
democrazia indiana. Jaffrelot, un autore, dice che l’India è riuscita a diventare una
democrazia grazie alle caste perché questo fatto di contrattare continuamente e l’enfasi sui
limiti umani invece dell’aggressività avrebbe favorito l’instaurarsi della democrazia.
La stabilità sociale e l’instabilità politica
Ci sono anche aspetti negativi. La società indiana è il tipico caso di stabilità sociale e instabilità
politica. Soprattutto può esserci una dimensione politica stabile a livello locale ma a livello
nazionale è difficilissimo. C’è stata una difficoltà a creare una posizione statale forte. Si è dovuta
aspettare l’invasione islamica per portare l’importanza della dimensione politica in India. Infatti
che importanza ha la politica se la società si autoregola? Questo rende la politica debole. Questo è
interessante dal punto di vista storico-politico. C’è sempre stato un divario villaggi-scala nazionale
e questo gap quasi mai nessuno, nemmeno i musulmani, è riuscito a colmarlo. E questo problema

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ce l’ha anche l’india di oggi. È grande questo problema del gap villaggio-stato. E studi dimostrano
che la dimensione locale sta diventando sempre più importante: i grandi partititi nazionali sono in
crisi e hanno successo le grandi coalizioni di partitini locali a base etnica, castale, locale e
regionale. E questi partitini hanno grande potere e riescono a mettere un sacco di veti. Quindi il
primo ministro indiano passa grande parte del suo tempo a risolvere i problemi locali e ha poco
tempo per la politica estera a causa della localizzazione della politica. C’è difficoltà a tradurre la
stabilità locale in stabilità nazionale. Anche oggi questo è un ostacolo importante.
La casta dominante
La casta ha sempre svoto ruoli secolari ma la casta si occupava di politica a livello locale, mai
nazionale. Es. in un certo villaggio è sempre stata presente una certa organizzazione statale ma è
anche sempre stata presente una casta dominante. Non è detto che sia quella brahmanica
(potrebbe per esempio non esserci la casta di brahmani). Una casta per essere dominante intanto
non deve essere bassa nella gerarchia dei varna (è difficile che tu essendo shudra sia casta
dominante). Una casta dominante deve avere anche una preponderanza numerica. Bisogna anche
che abbia una forza economica e politica cioè avere la terra e una forza militare o avere un
collegamento con il potere esterno (es con i coloni o con il governo nazionale oggi). In epoca
coloniale a questi elementi si aggiungeva il fatto di avere nella casta un buon numero di persone
educate all’occidentale. Questa lista di criteri non è tassativa e poteva accadere che una casta
avesse uno o più di questi elementi: es c’è una casta col varna alto ma poco numerosa e povera
oppure una casta con varna basso ma ricca e numerosa ecc. questi requisiti potevano dar vita alla
casta dominante, teorizzata sempre da SRINIVAS quello di prima. Una casta shudra che riesce ad
ottenere il possesso della terra con la sanscritizzazione può ottenere uno status più elevato e
iniziare il suo percorso.
Bisogna anche considerare che ogni gerarchia castale è diversa da villaggio a villaggio: es in due
villaggi vicini ci possono essere due gerarchie molto diverse (la stessa casta in un villaggio ha un
certo status e la stessa casta in un altro villaggio ha uno status più basso). Non si può prevedere la
gerarchia castale.
Attenzione il panchayat agisce all’interno della casta ma con un’ottica sempre esterna cioè per
salvare la reputazione/posizione della casta rispetto all’esterno
Le caste e la terra
Altra cosa da considerare è il rapporto caste-terra. In India non esiste il possesso personale della
terra. La complementarietà castale prevale: tutte le caste presenti sul territorio hanno diritto ad
una porzione del raccolto. Tutte le caste vantano diritti gerarchizzati e proporzionali della terra.
Questo sistema è il JAJMANI, che fa riferimento al rapporto di complementarietà tra chi compie
una prestazione e chi compie una contro-prestazione. In una società ognuno svolge una
prestazione e in teoria non serve neanche la moneta perché io ti affilo i coltelli e tu mi fai il vestito.
In questo sistema tutti hanno uno spazio. Per ogni prestazione che una casta svolge corrisponde
un diritto sulla ripartizione dei frutti della terra. La ripartizione avveniva nella piazza del villaggio e
era gestita dalla casta dominante, che assegna le parti del raccolto. Manca però attualmente il
concetto di proprietà esclusiva della terra. Non arriverà mai la casta dominante a dire la terra è
mia. In più la terra non è concepita come un bene economico (era concepita anche come dea
madre) quindi non era concepibile venderla. Questo sistema riflette la complementarietà castale
perché tutti hanno diritti complementari e gerarchici sui frutti della terra. Solo con la dominazione
UK entra il concetto di proprietà individuale della terra. Sarà una delle prime grandi riforme
imposte in India e porta un discreto sconquasso perché comporta alla fine della complementarietà
castale. Ci sono conseguenze forti sulla stabilità sociale.

Martedì 29 novembre ’16

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Prossimo esame
Conclude la settimana del 12 dicembre e il 12 mattina lezione straordinaria. Provetta finale o
venerdì 16 o lunedì 19 o il 20
Da studiare per la seconda prova: cose caricate sul suo profilo.
Volume secondo lapidus: intro + cap da 1,2,3 4
Induismo vs Islam
Il politico qui (induismo) è secondario rispetto al sacro. È una società incentrata sull’unità base del
villaggio. Persino la città in India è più stata (a differenza che nell’islam) un incidente che un
obiettivo, una cosa pianificata. Ad esempio si univano villaggi per scopi difensivi e nasceva una
città o si creavano città per motivi sacri, quindi vicino a luoghi sacri, ad esempio vicino a fiumi. A
parte queste eccezioni di solito la società indiana è rurale. Altre cività sono giunte in India tramite
conquista, e giungendo hanno portato valori differenti. Questo ha portato ad un impatto molto
forte e violento. L’impatto sul mondo indiano ha dato vita ad una complementarietà tra le religioni
che arrivavano e l’induismo. L’islam è una religione storica con un libro rivelato, c’è un
monoteismo rigidissimo, è una religione esclusiva (noi ragione voi torto). L’induismo è astorico,
politeista e sfaccettatissima, c’è una pluralità di libri, inclusiva (anche se tu non sei indù fai parte
del Darma): tutti sono inclusi, i cristiani sono semplicemente altre persone di una diversa
confessione che hanno una diversa manifestazione del divino e lo chiamano Gesù ma non c’è
nessun problema. Islam è basato sulla città, induismo sulla ruralità e sulla dimensione del villaggio.
Nella ruralità puoi creare uno spazio per la credenza e per il culto in modo peculiare.
I musulmani arrivano in India
Questa differenza è importante perché per l’islam era importante conquistare le città (e invece agli
indiani interessavano relativamente) soprattutto nel Nord, ovvero nel basso-piano indo-gangetico:
quindi conquistano queste città e costruiscono delle fortificazioni. C’era una convivenza possibile,
nonostante la violenza della conquista iniziale, perché voi state lì nelle campagne e noi musulmani
conquistatori stiamo nelle città. Certo all’inizio è molto brutta la cosa perché distruggevano tutti i
simboli, saccheggiavano ecc. però una volta superata la prima fase va molto meglio per un po’
perché si crea una coesistenza basata sulla differenza città / campagna. Nei primi secoli l’islam in
india vive come una élite di conquistatori che non ha contatto con gli indiani (vivono nelle loro
città fortificate) e anzi i musulmani cercano di evitare ogni contatto con questi tizi strani che
venerano tutti questi idoli. Sarà solo col tempo che inizierà il contatto. Poi col tempo ci saranno
cooptazioni dei gruppi più importanti della società indiana (militari ad es). la struttura sociale e
religiosa indiana farà sì che ci saranno tantissimi indiani cooptati dai musulmani perché hanno una
religione super inclusiva. In Asia meridionale i musulmani rimarranno per tutto il tempo una
piccola percentuale (si pensa che non superarono mai il 20/25% della popolazione). Questo
costringe i musulmani a venire a compromessi con la maggioranza indù e quindi dovranno lasciare
molto spazio a elementi della società indù (spesso non li facevano nemmeno convertire). I
musulmani, almeno in teoria, sono deboli e fragili per il fatto di essere in minoranza. E questa
diventerà una ossessione per i musulmani, l’ossessione di venire cacciati o massacrati in india. I
musulmani indiani alla fine fine creeranno il loro stato islamico che sarà il Pakistan. L’invasione
islamica dell’india avviene nel 1200 CONTROLLA.
Musulmani e indiani: una convivenza possibile
C’è un impatto forte tra diversissime società ma grazie alla diversità emergeva la possibilità di una
complementarietà, che ha a che fare:
1) Con il rapporto città-campagna (vedi sopra)
2) Col valore dato alla politica. Infatti agli indiani va anche bene cedere la supremazia politica,
a patto che tu non interferisci con la religione e con la società (che in india sono un
tutt’uno). In più la struttura castale lasciava spazio a ulteriori posizioni (se c’è una gerarchia

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si può creare più spazio, arriva l’invasore e io lo metto in cima e tutti si spingono un po’
sotto, ma la struttura della società regge, nessun problema). Arrivano i musulmani? Ok, da
domani governate voi e siete la casta dominante e buona notte, invece con l’uguaglianza
questa cosa non è possibile, si sgomita tutti alla pari. Qui invece la struttura fondamentale
del sistema resta uguale. I musulmani si accontenteranno del potere politico e delle
imposte. Arriva il musulmano? Ok lo mettiamo alla testa del sistema. Fine, la società regge.
I musulmani non portano nemmeno il concetto di proprietà individuale della terra. Ma i
musulmani non avrebbero problemi con la società castale visto che in teoria sono tutti
uguali, uno si potrebbe chiedere? No, 1 perché si sa che ormai è una cosa teorica più che
pratica e che si è creata una certa gerarchia 2 l’80 % circa dei musulmani CHE arrivano in
india non sono arabi, sono turchi, turchi afghani, turco-mongoli, ma non arabi e per di più
arriveranno tardi: le prime scorribande sono nel 10° secolo quindi tardi nel califfato. L’islam
che giunge in india è diverso dall’islam primordiale ed è già filtrato da 1000 influenze, è
filtrato dalla cultura turca, è come tribalizzato. Per queste ragioni i musulmani non si
scandalizzano per la casta, anzi si adattano alla società castale. Ci sono studiosi che parlano
della CASTALIZZAZIONE dell’Islam in India, cioè l’islam, che in questa zona e a questo punto
è già gerarchizzato e ha la sua struttura, si castalizza ancora di più. Inoltre nel cammino
verso l’India si assorbono persone che si convertono e finiscono in basso nella gerarchia:
andiamo a studiare questa gerarchia.
La gerarchia dei conquistatori
i primi sono gli arabi, i secondi nella gerarchia sono coloro che vengono dal centro asia – MOGUL-,
quelli che vengono dall’Afghanistan sono i PATHAN Pathan (Pashtun)
1) SAYYID arabi discendenti del profeta
2) SHAIKH arabi non discendenti dal profeta
3) MOGHUL dal centro-Asia
4) PATHAN dall’Afghanistan
Questi sono i conquistatori, erano musulmani prima di arrivare in INDIA e sono chiamati ASRAF (o
SHARIF)
AJLAF (non nobile, popolano) invece sono gli indiani quelli che si convertono dopo, sono ad
esempio delle caste di intoccabili che vorrebbero risollevare la loro condizione (es le caste di chi
suona i tamburi che toccano la pelle morta e quindi sono impuri, spesso loro si convertono); altre
famiglie invece di caste indù importanti si convertono, magari per mantenere il loro status, e per
nobilitarsi inventavano delle discendenze musulmane (es affermano di essere shaikh o moghul).
Es. in Pakistan ci sono i BHUTTO (primo ministro e figlia) sono una famiglia della provincia del
SINDE che vantano una antica discendenza islamica ma non è vero.
Nella società islamica avviene questa catalizzazione. È come se i musulmani diventassero piuttosto
rigidi da questo punto di vista, nonostante tutto: ad es gli intoccabili che si convertivano venivano
comunque trattati male dai musulmani.
I 3 momenti di contatto tra Islam e India
Parliamo ora dell’islam in india.
3 vie di contatto dell’islam con l’India. Due sono antiche e poco significative, la terza e più tarda
porta la vera islamizzazione del subcontinente:
1) Il contatto più antico è costiero (sia coste occidentali che orientali) è antichissimo e forse
addirittura arabo: il contatto risale a quella scuola giuridica che seguiva i mercanti. Questo
contatto, di tipo arabo, avviene da prima della nascita dell’islam, da prima del 7° secolo. Poi
continua con l’islam e si portano degli ulama. Questo è un islam mercantile e pacifico.
Questi missionari portavano un islam non violento e effettuavano delle conversioni
abbastanza limitate (ci saranno matrimoni misti ad es). questo contatto è importante,

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infatti le prime moschee sono nell’India del sud e sulle coste. La scuola di questo islam è
shafiita, scuola che c’è solo in queste zone. Ma questo contatto, per quanto rilevante, non
porta a conversioni di massa o a conquiste militari
2) C’è una conquista militare ma piuttosto limitata. Avviene nel 711 e il 712 nel SIND attuale
Pakistan occidentale. In questo momento c’è una scorribanda da parte di truppe arabe
inviata dal califfato ommiade per tentare una sortita militare. Perché il califfo di Damasco
ha fatto sta cosa? Anche perché lì, tra SIND settentrionale e PANJAB meridionale
riusciranno a prendere giusto delle roccaforti, che sono isolate dal resto del territorio
musulmano. Perché hanno fatto questa operazione? Pare si sia trattato di una ritorsione
perché un sovrano indù del sind aveva forse per errore saccheggiato delle navi arabe che
veleggiavano nell’oceano Indiano e forse è stato per quello. Comunque resta una cosa
molto limitata
3) Per la vera e propria invasione dobbiamo arrivare dal 970 in poi. Non saranno gli arabi i
protagonisti, ma popolazioni di origine turca, spostatesi dall’Asia centrale in Afghanistan,
dove avevano delle roccaforti e si erano sedentarizzati. Poi dall’Afghanistan vanno in India
a fare scorribande attraverso il mitico passo che collega il Pakistan e l’India: il passo di
KHYBER. Questa sarà la direzione dei conquistatori musulmani. Non sarà una conquista
sistematica, andrà da nord-ovest verso est e vogliono conquistare il nord, la zona tra Indo e
Gange, appunto, l’altopiano indo-gangetico. Il resto del subcontinente, cioè il centro-sud,
viene sottoposto sporadicamente e gradualmente, e la cosa è più da un punto di vista
culturale che militare. Gli stati islamici che ci saranno in India avranno capitale spesso a
Deli. Il controllo islamico sull’India è soprattutto a nord nell’altopiano indo-gangetico, nel
resto dell’India la cosa è meno continua e solida
Le 3 fasi dell’influenza islamica in India
3 fasi dell’influenza islamica in India:
1) Le prime incursioni 970-1206,
IL 1206 è l’anno in cui si considera che il potere si è stabilizzato, infatti viene fondato il
SULTANATO DI DELI. Prima del 1206 ci sono delle piccole realtà che cercano di darsi una
forma con più o a meno successo di solito hanno base tribale. Dalle prime popolazioni
turco-afghane iniziano quindi le prime conquiste (tutti venivano attirati dalla prodigiosa
ricchezza che si diceva ci fosse in India e poi tutti volevano dare una lezione a questi infami
infedeli). Questa fase è importantissima perché lascia una cicatrice grandissima,
soprattutto in merito alla distruzione dei templi indù da parte dell’islam. Chi vuole
dimostrare che l’islam si è diffuso in India con la forza e che l’islam è sempre stato
intollerante, parla e fa stime su questi tempi distrutti e sui sacerdoti uccisi ecc. questo è un
dibattito, anche ideologico, in epoca coloniale e anche nel 900: gli indù incolpavano i
musulmani e i musulmani negavano. Alcuni autori qui iniziano a vedere i cosiddetti scontri
di civiltà ma fare queste letture oggi è controproducente perché si usano gli occhiali di oggi.
Le ricerche recenti sulla distruzione dei templi hanno mostrato che sul piano numerico
queste distruzioni non sono poi state tantissime. EATON, un americano, ha scoperto che 1
effettivamente questi episodi di distruzione sono avvenuti e che soprattutto in questa fase
uccidevano i brahmani e usavano le pietre del tempio indù distrutto per costruire le
moschee 2 però queste distruzioni non erano così tante come si pensava (si pensava a
100.000-200.000 casi invece sembra non fossero più di 1.000). 3 fa una analisi del perché si
facesse questa cosa: dietro la distruzione non c’era tanto iconoclastia e volontà di
distruggere l’altro ma c’era più che altro la volontà, una volta sconfitto il sovrano indù, di
delegittimare il sovrano indù. Infatti i principi indù di solito traevano legittimazione da un
certo culto, legato ad un certo tempio. Quindi quando io avevo sconfitto sul campo di

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battaglia il sovrano indù distruggevo il tempio perché esso era sede della fonte della
legittimazione del sovrano locale. Eaton dice che questa prassi, di colpire la legittimazione
del rivale sconfitto, era in uso anche tra i principi indù. A riprova di questo, si apporta il
fatto che le distruzioni di templi avveniva lungo la frontiera: se un tempio era nel territorio
già musulmano, non veniva colpito, era solo nelle zone contese che avveniva la distruzione.
Non si deve però sminuire la violenza di queste distruzioni. Questa violenza lascerà una
ferita e molta diffidenza. Le Due popolazioni afghane che invadono l’India sono
GHAZNAVIDI (da Ghazni una roccaforte afghana da cui partivano) e GHURIDI (da un’altra
roccaforte). In primo luogo non si cerca di fondare un vero e proprio stato, ma
semplicemente si conquistano città, alcune delle più importanti sono LAHORE e DHELI.
Questi qui però all’inizio non si erano proposti di fondare uno stato, quindi di solito
lasciavano a governare queste città degli schiavi turchi e poi tornavano nelle loro roccaforti
in Afghanistan, e questa è la prassi almeno fino alla fine del 1200. Questa conquista è stata
molto veloce. Da cosa è determinata questa velocità? L’elemento principale è la superiorità
militare degli eserciti turco-afghani, eserciti formati in prevalenza da soldati a cavallo con
l’arco, che allora era l’arma più potente. Invece gli eserciti dei principi indù erano molto
basati sulle fanterie, e ciò sembra aver dato un vantaggio notevole agli eserciti turco-
afghani. Un altro elemento è che questi eserciti turco-afghani erano molto specializzati
nelle tecniche di assedio e avevano delle macchine da guerra molto forti. Un terzo
elemento è stato il fatto che le catene di comando erano più efficienti di quelle indù:
nonostante queste dinastie avessero una struttura tribale e fossero quindi un po’ diffuse,
c’era una struttura gerarchica che legava con vincoli di fedeltà al capo. Invece, tra le caste
indù guerriere, tra le più note c’erano i RAJPUT (ovvero figli di re, un insieme di caste molto
note). Queste caste di rajput si consideravano di pari livello e quindi era difficile concertare
l’azione militare. Dopo la scomparsa nel 1203 dell’ultimo GHURIDE, si decide di lasciare
l’amministrazione dei territori indiani ad un comandante-schiavo, che si chiamava AIBAK,
che era comandante militare, nominato governatore. Egli coglie l’occasione e percependo,
nel 1206, la debolezza del legame con i suoi padroni, si rende indipendente e dichiara il
sultanato di Dheli, che è il primo stato indipendente indiano-musulmano. Sul trono di
DHELI si succedono 4 dinastie e coprono i 300 anni seguenti
2) Le dinastie turco-afghane 1206-1526. Dal 1206 c’è una serie di dinastie turco afghane che si
susseguono fino al 1526, -altra data importante che segna l’arrivo in India di una nuova
invasione tutta afghana guidata da BABUR che sconfigge il sultanato di Deli e fonda
l’IMPERO MOGUL-. Dicevamo che AIBAK coglie l’occasione e percependo, nel 1206, la
debolezza del legame con i suoi padroni, si rende indipendente e dichiara il sultanato di
Dheli, che è il primo stato indipendente indiano-musulmano. Sul trono di DHELI si
succedono 4 dinastie e coprono i 300 anni seguenti. Qui alcuni storici hanno letto uno
scontro di civiltà ma è vero fin lì. Ci si rende conto che i sovrani musulmani in India misero
in piedi una forma di potere che non era di per sé sconosciuto al mondo indiano.
Costruirono un tipo di potere conosciuto al mondo indiano: infatti i turco-afghani, più che
stabilire un controllo diretto sul territorio, cercano di ottenere una sottomissione formale
dei principi indù sul territorio, chiedere il pagamento di una tassa, ma il più delle volte i
turco-afghani lasciavano al loro posto i principi indù che avevano trovato al loro arrivo.
Agivano più per cooptazione che rivoluzionando la struttura del potere. Si formano grandi
confederazioni tribali: c’era il clan dominante e molti clan che vi si legavano tramite fedeltà
e matrimoni. C’era una forma di patronato-clientela e questa forma il mondo indiano
riusciva a comprenderla. Letta così, si ridimensiona la portata rivoluzionaria dell’islam in
India. Quello che avviene in questo periodo è che, sempre più spesso, i sovrani musulmani

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si interessano poco dell’approvazione degli ulamà e cercano legittimazione alternativa, ad
esempio guardando ai santi sufi e ai loro culti. Questo 1 perché erano distanti 2 perché già
questa pratica era in corso alla periferia dell’impero 3 perché l’influenza del centro
dell’islam è lontana 4 e cosa più importante perché devono incorporare grandissime
comunità non musulmane. Non possono quindi essere rigidi, dovevano trovare delle forme
per incorporare le società non musulmane e contemplarle nel loro panorama. Certo, i
simboli dell’islam sono importanti, ma bisogna costruire forme di legittimazioni ibride non
necessariamente tutte musulmane. L’India è il caso principe perché si governa su
popolazioni interamente non musulmane. C’è quindi grande collaborazione con il mondo
sufi.
Va aggiunto che noi parliamo di classi di governo molto eterogenee da un punto di vista
etnico-culturale: c’erano persiani, persone del centro-asia, poi vengono integrati indiani,
alcuni convertiti e alcuni no ecc. durante l’impero mogul ci saranno addirittura abissini,
etiopi, arabi ecc. quindi la classe di governo militare era super variegata.
Ci sono state anche importanti innovazioni: si prova a creare un catalogo della terra cioè un
catasto fondiario. Si provano a registrare i diritti della terra e questa è una cosa
importantissima anche per riscuotere le tasse. Con questa cosa si fa anche una valutazione
della capacità produttiva della terra e si decide l’imposta fondiaria. Questa cosa prima non
esisteva in India: la casta dominante gestiva il raccolto e faceva sta cosa a livello locale. Di
solito la tassa fondiaria era piuttosto elevata (50%) del raccolto, però, al tempo stesso,
sappiamo che era un sistema molto flessibile perché il Sovrano era disponibile a fare
notevoli eccezioni, cosa importantissima per un posto con un clima super infame coma
succede in India. La percentuale era teoricamente fissa ma si poteva sospendere o
dilazionare il pagamento. Inoltre il pagamento poteva avvenire sia in denaro che in natura.
Questo è importante perché i musulmani monetarizzano in parte l’economia indiana, ma si
lascia spazio anche al tradizionale metodo di scambio in natura. Inizia qui per la prima volta
a formarsi un sistema statuale. Altra cosa importantissima è che per la prima volta, nel
territorio indiano governato dai musulmani, si forma una organizzazione amministrativa: ci
sono province, distretti, villaggi ecc. e a capo di ogni parte c’è un funzionario stipendiato
dallo stato. Questo nell’india pre-islamica non succedeva perché la società si regolamenva
da sola. Gli inglesi quando arrivano non hanno già province, distretti ecc. e devono solo
ricalcare, e gli inglesi spesso useranno i termini persiani che venivano usati dai turco-
afghani.
un’altra innovazione è l’irrigazione, che non era sconosciuta, ma con i musulmani si da il via
a piani di irrigazione su vasta scala, specie in India del Nord. Prima c’era irrigazione su scala
ridotta, ora l’irrigazione la fa il sultano, inizialmente con il sistema della “ruota persiana” in
uso in tutto il continente asiatico, che usava una ruota che portava l’acqua dall’alto in
basso e con canalette portava l’acqua in zone lontane. Col tempo, nell’impero mogul
soprattutto, si passa a sistemi più sofisticati e dai letti dei fiumi si scavano dei canali per
portare l’acqua in giro
3) 1526-1858 l’impero mogul regge fino al 1858, data in cui il potere britannico toglie
formalmente il potere ai Mogul, ma de facto la cosa succede dall’inizio del 1700, dal 1700
l’impero Mogul è puramente di facciata, però era comodo per la compagnia delle Indie
inglese.
Ibridazione culturale e problemi identitari
Da un punto di vista culturale l’interazione società indiana-islam è più ricca a livello popolare (dove
avvengono di più le conversioni e si condividono credenze e luoghi di culto tra musulmani e non);
a livello alto ci sono delle élite che vengono cooptate. Ma rimane il fatto che in India l’islam

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continua a sentirsi altro, estraneo e non si sente parte del mondo islamico. Ci saranno momenti di
ibridazione culturale (architettonica, culturale, letteraria…). Es il Taj mahal ha la tipica forma del
cimitero musulmano ma usavano manovalanza indiana e questi infilavano simbologie indù, magari
nelle colonne ecc. c’è una ispirazione a Samarcanda e altri luoghi centro-asiatici. gli stili
architettonici tendevano a copiare il centro asia perché chi era in India continuava a sentirsi un
estraneo e a guardare verso dove veniva. Tutto questo è importante perché le élite musulmane
alla fine dovevano rispondere a questo dilemma: come dare vita ad uno stato stabile in India ma
continuare ad essere musulmani in un luogo così differente. E tutte le dinastie provano a
rispondere alla domanda “come essere bravi musulmani in India? Come creare uno stato stabile in
India senza impastarsi troppo con il mondo Indiano? Qual è il punto giusto di compromesso, che
mi permetta di trovare stabilità senza compromettermi troppo e diventare solo un’altra corrente
religiosa in India?”.

L’IMPERO OTTOMANO
Il panorama fuori dall’india nel 1200-1300
Se ci allontaniamo un attimo dall’India cosa vediamo nel 1200-1300? Si sono placati i cataclismi
provocati dalla sconfitta del califfato e dalle distruzioni mongole. Si esaurisce il periodo delle
devastazioni mongole. Il mondo musulmano inizia a formare grandi unità statali dalla dimensione
della tribù. È una nuova fase di state-building. Questo nuovo dinamismo può essere spiegato con il
predominio dell’elemento turco nel mondo musulmano. Una delle caratteristiche dell’elemento
turco è il fatto di dare più enfasi all’aspetto politico che a quello religioso. È come se i turchi
usassero la politica in modo più spregiudicato di prima. In questa nuova fase possiamo vedere un
marchio del dominio dell’elemento turco del contenente asiatico. C’è un’autonomizzazione della
sfera politica che si traduce nel fatto che le confederazioni tribali turche danno vita a formazioni
statali. Questo succede in Medioriente, in Persia e in Asia meridionale. Ci sono degli ingredienti
comuni in queste 3 are (are ottomana, safavide e Mogul).
Da tribù a grande stato
Primo elemento è il passaggio da confederazione tribale a Stato, segnato dalla capacità di darsi
una grande legittimazione religiosa. La modalità con cui viene elaborata questa legittimazione è
cambia es. nell’impero ottomano c’è l’immagine del sultano ottomano come “combattente della
fede”, ovvero GHAZI. Questi combattono molto con la cristianità, quindi sono uno stato di
frontiera, e in questa contrapposizione col mondo cristiano si trova un grande elemento di
legittimazione perché il sovrano è colui che combatte per diffondere l’Islam. Nel caso dei safavidi,
che sono gli Scià, creano addirittura una religione: creano la scia duodecimana ortodossa di persia,
che viene dichiarata religione di Stato, quindi lo Scià safavide è molto importante per questo.
Nell’India Mogul, dovendo incorporare nello Stato una comunità indù enorme, sarà sovrano
musulmano ma anche mogul, quindi ad es userà simboli della regalità indù e non solo musulmana
(es l’imperatore festeggia feste indù o fa rituali e pratiche tipiche indù es. una volta all’anno ti fai
pesare e il tuo peso in oro viene distribuito ai bisognosi ecc). al di la delle differenze, i sovrani
musulmani sono forti solo quando sono legittimati religiosamente. Inoltre tutti e 3 questi stati
devono organizzare fonti di potere in cui ci sono molte persone non islamiche. Es. gli ottomani
devono legare a sé i cristiani ortodossi dei Balcani e i musulmani sono bravissimi a fare questo con
i MILLET (Da MILLAT, comunità) con cui si indicano i cristiani delle regioni balcaniche. Anche
l’impero safavide fa questa cosa, per non parlare dei Mogul che lo fanno moltissimo.
Secondo elemento è la creazione di burocrazie statali efficienti, cosa importantissima, perché la
burocrazia in tutti e 3 i casi, è il pilastro dello stato. L’elaborazione amministrativa è molto
raffinata.

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Il terzo aspetto da sottolineare è quello militare. Il ruolo svolto dagli eserciti è molto importante
perché in tutti e 3 i casi si è creato un monopolio dell’uso della forza, liberandosi dell’identità
tribale della forza; prima infatti la forza militare si riferiva alla tribù: c’era il LASHKAR, la milizia
tribale, e questi giuravano fedeltà al capo-tribù, cosa che dava instabilità perché se un capo tribù
cambia idea è un casino. Invece qui gli eserciti sono meno tribali e più statali. Come si fa a
centralizzare la forza militare? Si crea il monopolio sulle artiglierie, e così facendo ti lego per forza
allo stato. Questi 3 imperi vengono definiti “Gun powder empires” cioè imperi della polvere da
sparo. Questo perché alcuni storici pensano che la statalizzazione e la centralizzazione sia riuscita
grazie all’appropriazione dell’artiglieria. Questa espressione è stata inventata da HODGSON. In
occidente si ricorreva a mercenari in larga misura, perché li pagavi e rispondevano allo stato,
quindi erano affidabili. I soldati di mestiere, cioè i mercenari sono importantissimi. Qui il concetto
è simile, cioè si rende la forza militare centralizzata e affidabile.

Mercoledì 30 nov. 16
La migrazione delle genti turche
Oggi si parla di impero ottomano. Dobbiamo guardare al fenomeno che ha visto il predominio
dell’elemento turco dopo la fine dell’impero abbaside. Molte genti turche sono migrate dall’Asia
centrale sia verso occidente che verso oriente. In occidente queste persone saranno protagonisti
nel territorio che va dalla mezzaluna fertile all’Afghanistan: si sono formate parecchi stati turchi,
come i MUHIDI che conquistano la zona di Baghdad. Un altro stato turco che sta più a occidente in
Anatolia è lo stato SELGIUCHIDE, antesignano dell’Impero ottomano. Lo stato dura poco 1088-
1092 (wiki dice 1037-1194 boh) ma si inizia a turchizzare quella zona. L’Anatolia viene turchizzata e
islamizzata e questo processo viene concluso con l’impero ottomano, che si rifarà molto allo stato
Selgiuchide.
Da dove sbucano questi turchi e a chi si ispirano
Chi erano gli ottomani? Tecnicamente si dovrebbe dire OSMANLI da OSMAN, mitico fondatore.
Questi erano migrati verso l’Anatolia e avevano costituito degli staterelli tra stato selgiuchide e
stato bizantino. Sopravvivevano facendo da stato cuscinetto tra queste 2 grandi realtà. Gli
Osmanli, nella prima metà del 1200, costituivano solo degli staterelli, ma piano piano aggiungono
sempre più territori e riescono ad espandersi. La crisi dello stato selgiuchide permette loro di
espandersi in Anatolia. è uno stato che nasce unendo diverse tradizioni della sovranità: troveremo
all’interno della legittimazione del potere ottomano elementi propri della confederazione tribale
turca, che si estrinseca nel potere assoluto del sovrano, concezione tipica del mondo tribale turco;
a questo aspetto si affiancano elementi propri della legittimazione religiosa islamica ( es figura del
santo guerriero che combatte per difendere la fede). Gli ottomani si ispirano anche alle tradizioni
imperiali di altri grandi imperi: la tradizione romana d’oriente, specie dopo la conquista nel 1453 di
Costantinopoli. Si ispirano anche al Califfato, che inizia a partire dal 1500 quando gli ottomani si
insinuano anche nei luoghi santi. Sono quindi stati ibridi, e c’è l’elemento tribale unito alla volontà
di costruire un grande impero.
Un impero multietnico
Non parleremo mai di uno stato omogeneo dal punto di vista etnico-raziale, ma più si espandono
più entrano nell’impero altri elementi culturali e religiosi. La composizione dell’impero vedrà il
sovrano interagire con i sudditi in quanto gruppi e non in quanto singoli: lo stato è composto da
grandi comunità che l’imperatore protegge.
La legittimazione religiosa del sultano
C’è un incontro di diverse tradizioni della regalità. La valenza religiosa islamica del sultano
ottomano si rafforza nel tempo. Un momento fondamentale è quando si conquistano i luoghi sacri,

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cosa che avviene tra il 1516-1517 sotto SOLIMAN I (primo) e poi sotto suo figlio, SOLIMAN il
magnifico. La conquista di conquistare Gerusalemme, la Mecca e Medina danno grande impulso
alla legittimazione ottomana perché molti pellegrini si recavano ai luoghi santi, quindi c’era grande
rispetto. La conquista dei luoghi santi e poi l’espansione verso l’Egitto e infine in Nord africa (primi
20 anni del 1500) danno al sultano la base legale per rivendicare il califfato. Questo era in teoria
impossibile perché il califfo dovrebbe appartenere alla tribù araba dei quraish e non poteva certo
essere ottomano ma in un momento simile di caos c’era il bisogno di guardare a qualcuno. Inoltre
a un certo punto iniziano a guerreggiare contro la cristianità e questa cosa fa guardare ancora di
più i musulmani nel mondo al sultano ma non ci sarà mai accordo sul fatto di attribuire il califfato
al sultano (persino gli ulamà anafiti sono un po’ restii). Comunque con la conquista dell’Egitto nel
1517, -quando i turchi sconfiggono i MAMELUCCHI, dinastia schiava sopravvissuta alla fine del
califfato abbaside, (i mamelucchi continuano a governare ma sono formalmente sottomessi al
sultano)- il sultano dice che ha ricevuto la legittimazione califfale dai mamelucchi che la avevano a
loro volta ricevuta dagli abbasidi. Il riconoscimento del califfato al sultano è tarda e dipende molto
dagli europei, che nel 1700 iniziano a minacciare il territorio dell’impero, specie in Europa dell’est
e dei Balcani (i russi li vogliono riprendere) e la sovrana di Russia riconosce nero su bianco che il
sultano è califfo e anche gli inglesi, per scopi coloniali, riconosceranno nell’800 il ruolo califfale del
sultano.
L’espansione turca a ovest
Questa via di espansione degli ottomani verso occidente (Egitto e nord africa) è importante sul
piano simbolico, ma non è questa la principale via di espansione ottomana. La principale
espansione è verso nord-ovest, verso i Balcani. Data importantissima 1389 BATTAGLIA DEL
KOSSOVO degli ottomani contro i serbi e così inizia la vera espansione verso i Balcani (il regno dei
serbi era l’ultimo ostacolo). Questa data poi sarà riletta come guerra mitica del nazionalismo
serbo. Oltre a questa vittoria a fine 1300 c’è nel 1453 la conquista di Costantinopoli. Poi si
espanderanno dal Danubio all’egeo e conquisteranno Bosnia Erzegovina, Albania e Grecia. La
conquista si ferma a Vienna con una serie di assedi il primo è nel 1529 e 1683 ultimo fallito
tentativo di assedio a Vienna, che è l’ultimo colpo di coda perché a fine 600 inizia la crisi profonda
dell’impero ottomano.
L’islamizzazione dell’Anatolia
L’elemento turco era già presente in Anatolia ma l’ingresso di questi elementi nella regione
balcanica è nuova. C’erano già in Anatolia armeni georgiani siriani ma avviene una islamizzazione
massiccia dell’Anatolia. come avviene l’islamizzazione? ci sono molti turchi che vanno a vivere lì
ma ci sono anche molte conversioni. C’è una politica abbastanza aggressiva e violenta di
conversione. Sappiamo che la politica dei turchi nei confronti della società cristiano-bizantina in
Anatolia è piuttosto violenta. C’è una politica molto aggressiva verso le chiese, scacciano i vescovi
e i preti, confiscano e distruggono le chiese. Cooptano una parte delle persone per le sfere
amministrative. C’è una grande diffusione di confraternite sufi che convertono soprattutto le fasce
basse della popolazione.
I turchi nei Balcani
Nei Balcani c’è un predominio turco-musulmano ma questa politica non porta ad una conversione
di massa. In parte l’impatto della turchizzazione fu meno forte nei Balcani che in Anatolia. nei
Balcani la migrazione di turchi fu marginale. Gli ottomani adottarono verso i cristiani dei Balcani
una politica di protezione. Gli ottomani utilizzarono le istituzioni delle chiese ottomane ortodosse
(chiese autocefale, cioè indipendenti es chiesa romena, chiesa bulgara…) come rappresentanti e
interlocutori, quindi proteggevano queste istituzioni, davano loro autonomia e usavano i vertici di
queste chiese come interlocutori (il sultano parlava con loro). Questo portava il vantaggio per le
comunità di ampia autonomia istituzionale (in assistenza sociale, educazione, ecc). c’erano molte

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chiese riconosciute dallo stato ottomano, chiesa maronita in Libano, chiesa armena (erano molte)
ecc. i vertici delle chiese cristiane prendono sempre più importanza e infatti molto più tardi ci sono
state in queste zone dei nazionalismi che nel 19° e 20° secolo sono sorti sulla base di queste chiese
(nazionalismi a base religiosa) es Romania, Bulgaria, Croazia. I capi di queste comunità erano
nominati localmente e trattavano con la corte ottomana, che dava molto spazio decisionale a
queste persone.
La distinzione ascheri-re’aya
Forte è la presenza ebraica, specie in Anatolia. dopo il 500 questo influsso è ancora più importante
perché gli ebrei di Spagna con la reconquista vengono scacciati (dopo 1492). Si ha una repressione
delle popolazioni convertite all’islam ma trattano male anche i cristiani arabizzati come costumi e
come lingua. Tutti questi devono riconvertirsi con gli auto da fé. Gli ebrei sefarditi in buona parte si
rifugiarono nell’impero ottomano dove avevano libertà di culto. Molti di questi vanno nei Balcani,
per questo Sarajevo diventa un centro importantissimo ebraico. C’è però anche qui una gerarchia
musulmani-non musulmani, ma più che una distinzione religiosa è una distinzione in 2 categorie,
chiamati: gli ASCHERI e RE’AYA. Ascheri è un termine persiano per indicare i militari ma per gli
ottomani indicava la classe dirigente (ricordiamo che è uno Stato nato come militare). Invece i
re’aya erano gli altri, i sudditi. La classe dirigente era in gran parte turco- musulmana ma
permetteva che entrassero, in modo restrittivo, anche cristiani o ebrei, ma bisognava convertirsi.
Le conversioni nei Balcani e il caso della Bosnia
Una parziale migrazione turco musulmana nei Balcani si ha nel 1300 e 1400 verso la Tracia. Qui le
conversioni ebbero carattere rurale, furono legate ai sufi e furono parziali: nasce un islam
balcanico fatto di riti e credenze (es i BECTASCI o bektasci hanno una conversione con pane vino e
formaggio, credono in una trinità con Dio, Muhammad e Ali ecc. è tutta una forma loro. Saranno
legati ai Giannizzeri). Si pensa che la popolazione musulmana nei Balcani fosse una piccola
percentuale. In Bosnia invece i musulmani sono il 45%. Gli storici hanno provato a capire perché il
Bosnia c’è stata una conversione più massiccia: probabilmente è perché in Bosnia c’era un
cristianesimo un po’ eretico, quello dei BOGOMILI, che aveva credenze particolari. Si pensa che la
presenza di questa eresia abbia determinato la debolezza del cristianesimo tradizionale in questa
zona, e quindi è stato più facile per l’islam espandersi perché alcune persone si convertivano
all’islam per protesta contro le repressioni della chiesa verso i bogomili. La popolazione
musulmana balcanica si concentra soprattutto nelle città come Sofia, che nel 1500 era a più del
65% musulmana, Adrianopoli era all’82% musulmana.
Le istituzioni e il ruolo degli ulama
Dal punto di vista delle istituzioni, negli anni dell’apogeo, l’impero ottomano riesce a imporre uno
stretto controllo sugli ulama, sulle gerarchie religiose musulmane. Gli ulama furono inquadrati
nelle strutture dello stato e controllati dallo stato, sono stati persino gerarchizzati (questa cosa di
riuscire a gerarchizzare gli ulama non succedeva quasi mai). Erano comunque molto influenti: 2
erano presenti a corte: IL SHAIKH-UL-ISLAM, capi degli ulamà, e QADI-ASKER, che era il capo dei
giudici musulmani. Pagano l’influenza politica con l’effettiva autonomia decisionale ( se il sultano
comandava, loro obbedivano). Questa cosa è importante perché ci aiuta a capire che, quando nel
700 l’impero ottomano entra in crisi, i leader religiosi ottomani non riescono ad opporre resistenza
alle importantissime riforme moderne ottomane messe in atto dai sultani. In persia invece gli
ulama hanno tenuto una certa autonomia.
L’organizzazione dei territori dell’impero
A partire da fine 600 inizio 700, inizia il declino dell’Impero. Dal punto di vista delle istituzioni c’è
distinzione governanti governati. La situazione era un po’ più complessa: nell’impero ottomano
non è mai esistito un unico sistema ma il regime attribuito ad ogni territorio dipendeva da quanto
antica era stata la conquista e quanta autonomia si voleva dare al territorio. Tipica organizzazione

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era il SANJAQ ovvero sangiaccato, al cui interno poi c’erano altre unità amministrative. C’erano
diversi regimi e sistemi a seconda di quando il territorio era stato acquisito.
Le limitazioni al potere del sultano
Importante era il rapporto sultano-corte. C’è sempre stato un certo grado di ambiguità: il potere
del sultano conoscerà spesso dei limiti. Questo crea una ambiguità perché il potere del sovrano
dovrebbe essere assoluto; l’ambiguità c’è anche perché il territorio era molto esteso quindi il
sovrano governa più per cooptazione e alleanze che con il potere assoluto. La nostra visione del
sovrano despota che governa come gli pare è occidentale e fuorviante. C’erano tradizioni regole
ecc. che limitavano il potere del sultano. Inoltre c’erano dei gruppi di potere molto forti, che
costituivano la corte, detta DIVAN (da cui il nostro divano perché ci si sedeva). Inizialmente il divan
era presieduto dal sultano ma dal 16° secolo viene presieduto dal suo primo ministro, detto GRAN
VIZIR. La composizione del consiglio del sultano variava: sotto Solimano il magnifico, inizio 1500,
comprendeva personaggi con funzioni amministrative, religiose e militari. Possiamo citare gli
addetti alle finanze, il cancelliere ecc. una parte importante era ricoperta dal governatore della
RUMELIA. C’era il comandante della flotta, noto con il termine KAPUDAN PASHA. I GIANNIZZERI
avevano un a parte importantissima. Nel 1514 erano più di 10.000 e erano la fanteria scelta. Erano
la punta di diamante dell’impero, ciò che rendeva l’esercito ottomano così forte.
I giannizzeri
L’istituzione dei giannizzeri diventa un gruppo di potere molto influente e quando il sultano vuole
riformare saranno un problema perché sono molto conservatori. C’è connessione tra giannizzeri e
schiavitù militare, detta DEVSHIRME (la raccolta), eredità dell’antica schiavitù turca. Era una
pratica per cui alle comunità cristiane, specie a quelle dei Balcani, era richiesto di dare i propri
giovani. All’inizio la cosa si richiedeva solo in Rumelia, poi anche all’Analtolia. Questi giovani
venivano convertiti e istruiti (o come militari o come amministrativi). I migliori poi andavano nel
corpo dell’esercito dei Giannizzeri. La pratica a un certo punto sembra cadere in disuso, l’ultima
traccia la abbiamo nel 1705. Questa pratica fu importante 1 perché va a aumentare il corpo dei
giannizzeri 2 perché si spiega l’eterogeneità etnica ai vertici dell’impero: è stato calcolato che tra
metà del 1400 e 1600, dei 47 gran visir, solo 5 sembrano essere stati turchi, gli altri sono stati
greci, armeni, georgiani, italiani ecc. è anche vero che queste persone vengono convertite,
turchizzate, viene loro trasmessa una matrice culturale e un senso di appartenete ottomano, come
un orgoglio di far parte dell’amministrazione ottomana.
Il timar
C’è da ricordare l’istituzione del TIMAR, versione ottomana del sistema di gestione fiscale delle
terre dell’iqtah turca. Questo timar era un tipo di imposizione sui frutti della terra, concessi a
favore di personaggi famiglie clan ecc. il timar serviva per distribuire le risorse in modo
conveniente per lo Stato. Era un pilastro del sistema. Non era ereditario e non durava per forza
per tutta la vita. Lo scopo era economico e di fedeltà ma anche militare: chi era titolare di un timar
doveva reclutare una milizia locale, che veniva richiamata dal sultano quando ce n’era bisogno.
Nell’impero ottomano questa cosa ha un ruolo importante. Sia nell’impero ottomano che in quello
safavide che in quello mogul c’è un sistema così.
L’equilibrio con l’Europa si inclina: le grandi navigazioni
L’apogeo dell’impero ottomano dura circa 400 (? Controlla) anni. Già nel 1700 sono evidenti i segni
di crisi, che coincidono con l’espansione europea. La crisi ottomana è connessa con il modificarsi
dell’equilibrio di potere tra occidente e oriente. Possiamo dire che questo equilibrio inizia a
modificarsi gradualmente nel corso del tempo. Fino alla fine del 600 l’impero ottomano, come le
grandi potenze orientali, interagiscono con l’Europa su una base di parità. Una superiorità
dell’Europa si manifesta prima sul mare che sulla terra. Questo si profila già dal 400. La superiorità
dell’Europa sui mari ha i primi segni con gli episodi della reconquista. C’è una grande capacità

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tecnica. Nel 1415 i portoghesi, proseguendo la reconquista sulla costa marocchina, conquistano la
piazzaforte di CEUTA sulla costa marocchina, proseguendo idealmente lo slancio della reconquista
al di la del mare. Questo è solo l’inizio perché poi la cosa va avanti. Nel 1415 inizia l’epopea delle
navigazioni ed esplorazioni europee che veleggiano lungo la costa occidentale dell’Africa e
esplorano mari, senza addentrarsi in Africa. I portoghesi sono i più attivi e alla fine degli anni 90 del
400 con DIAZ e VASCO DA GAMA doppiano il capo di buona speranza e entrano nell’oceano
indiano. Continuano le esplorazioni e alla fine entrano in conflitto con le navi arabe e ottomane
che occupavano questo spazio commerciale da secoli. È l’Europa del sud che ha il potere. Questo
segnala anche una avvenuta superiorità: la conoscenza tecnica europea sui mari è superiore a
quella musulmana. Ma la grande conquista dell’Europa è quella di riuscire a navigare nei grandi
oceani (con i grandi galeoni spagnoli e portoghesi). Invece le navi più piccole arabe non ce la fanno
ad andare troppo lontano dalla costa. Gli europei hanno un’altra caratteristica: unire la vela al
cannone. Avevano cioè le navi pesantemente armate e in caso di scontro in alto mare (cosa che
dal 500 avviene sempre più nell’oceano iniziano) vincevano sempre gli europei, mentre vicino alla
costa gli europei avevano più difficoltà (galeoni erano molto grandi quindi poco agili). La
superiorità dell’Europa, questa spinta ad andare oltremare, nasceva da un dinamismo e da una
volontà di esplorare, legato al periodo tra medioevo e rinascimento che mette in primo piano il
dinamismo e l’individualità dell’uomo europeo del rinascimento. AVIZ capisci cos’è. La sfera
individuale assume grandissima importanza.
Per ora lo scopo europeo non è di conquista, ma commerciale e religioso
In quest’epoca, l’Europa però, non è superiore ai grandi imperi d’oriente, infatti non ci pensano
nemmeno a sfidarli. Gli eserciti ottomani avevano fortissime artiglierie, grandi tecniche d’assedio,
eserciti terribili e potentissimi (tutti gli eserciti orientali in questo periodo erano così). Solo dal 18°
secolo in poi la superiorità si manifesta anche sulla terra. Il 1415 non è la data di inizio
dell’imperialismo coloniale, si può invece parlare di espansione coloniale europea con scopi
commerciali, di sconoscenza geografica e religiosa, ma non di conquista. La ragione fondamentale
è perché questi erano troppo forti. Un secondo motivo era che all’epoca non era considerato
importante costruire grandi imperi, ma solo arrivare dove si producevano merci pregiate,
soprattutto le spezie. Gli europei vanno verso l’oriente perché vogliono arrivare alle così dette
isole delle spezie, che non sapevano manco bene dov’erano. Volevano le merci preziose richieste
dai mercati europei. Le spezie prima arrivavano ma con le rotte commerciali via terra, ma queste
vie erano sempre più costose con l’avvento dell’islam perché c’era la mediazione dei mercati
musulmani.
Oltre allo scopo commerciale c’era quello religioso perché si voleva scavalcare i musulmani (non
piaceva l’idea di pagare i mercanti musulmani per le spezie). Si voleva andare alle fonti anche per
questo. Da un punto di vista religioso c’era anche una credenza: spesso si è parlato di volontà di
cristianizzazione degli europei verso Oriente ma oggi questa cosa è considerata marginale.
I cristiani perduti d’oriente
Gli europei volevano sì scavalcare l’islam, ma lo scopo era andare alla ricerca dei cristiani perduti
d’oriente perché c’era l’idea che l’avvento dell’islam avesse tagliato fuori delle comunità di cui si
erano perse le tracce perché isolate “al di là dell’islam”. Quando i primi portoghesi arrivarono sulle
coste dell’india e gli indiani chiedevano cosa volevano, loro dicevano che “cercavano cristiani e
spezie”. C’era il mito del PRETE GIANNI o PRETE GIOVANNI, un prete cristiano a capo di un
impero, nascosto da qualche parte e isolato poi rivelatosi il sovrano copto d’Etiopia (quindi era
molto più vicino di quello che si pensava). C’era anche un elemento anti-islamico che voleva
evitare la mediazione dei musulmani (detti mori). Non c’era la volontà di conquistare territori e
fondare imperi. Ben presto le 2 potenze cristiane, all’epoca rivali, ovvero spagnoli e portoghesi,
dovranno essere messi a posto dal Papa con una serie di bolle. ALESSANDRO VI scrive la bolla

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INTER CETERA negli anni 60 del 400 che stabilisce una linea di demarcazione tra Spagna e
Portogallo. la cosa viene sancita dal TRATTATO DI TORDESILLAS. La demarcazione segna il fatto
che la Spagna andrà verso ovest e il Portogallo verso oriente (gli Spagnoli volevano arrivarci
facendo il giro dall’altra parte poi troveranno in mezzo l’America). Questa fase si chiude solo nel
19° secolo, forse addirittura negli anni 70 dell’800, nel 1876, siamo in pieno SCRUMBLE FOR
AFRICA. Il 1876 è la data in cui Re Leopoldo del Belgio si prende dei territori a titolo personale e
inizia l’accaparramento dell’Africa.
Le eccezioni: alcune conquiste europee prima del 1876
È vero che non si volevano fare conquista come obiettivo principale, ma ci sono state delle
importantissime eccezioni: la più rilevante è l’attività degli inglesi in India, che è una attività
coloniale ante litteram perché iniziano a metà del 1700, quando iniziano a fare conquiste e a
espandersi in India.
Altra eccezione è nel 1830 l’inizio della conquista dell’Algeria di Carlo X.
Ultima eccezione è l’invasione napoleonica nel 1798 del Cairo (Egitto). Questo episodio non dà
luogo ad una invasione stabile ma anche questo va considerata una eccezione.
Si dice che la fase dell’imperialismo coloniale vera e proprio va dal 1876 al 1918 perché dopo la
fine del primo conflitto mondiale inizia il processo di decolonizzazione.
Il 700, ovvero l’inizio della fine. perché l’impero è così debole?
L’ultimo tentativo di assedio a Vienna rappresenta l’ultimo colpo di coda della potenza dell’Impero
Ottomano. Il 700 sarà un secolo di sconfitte una dietro l’altra. Queste sconfitte produrranno un
dibattito sulle cause della debolezza dello Stato ottomano, in primo luogo militare, ma non solo.
Nasce il discorso dell’esigenza di modernizzazione tra 700 e 800. La domanda è perché l’esercito
ottomano è così debole?
1) Il problema era che l’impero ottomano inizia ad essere isolato da un punto di vista
culturale. Nei secoli era stato bravissimo a copiare gli elementi che rendevano grandi gli
altri imperi, invece nel 600 e nel 700 c’è grande isolamento culturale e non si sa tanto bene
quello che avviene a occidente e a oriente. Ricordiamo che l’impero ottomano era la
cerniera tra mondo sciita e mondo sunnita. È stato notato che pochissimi libri europei sono
tradotti nel TURCO OSMANLI (era la lingua turca colta di allora). Anche nel 1500 erano stati
tradotti 2 libri europei e nel 1600 solo 3. Questo ci mostra l’isolamento di questo impero.
2) L’isolamento è culturale ma diventa tecnologico e scientifico. Uno dei campi in cui erano
rimasti più indietro era l’ambito sanitario. Nell’800 nel mondo musulmano c’erano ancora
le grandi epidemie che in Europa si era già riuscito ad abbattere (es le epidemie di colera).
Quando l’impero ottomano cerca di riannodare le relazioni col mondo europeo, nel 1876 si
convoca la conferenza sanitaria internazionale a Istanbul.
3) Ma è soprattutto sul paino militare che si registra il problema. La superiorità che era solo
sul mare ormai è anche in campo militare. Da questo punto di vista l’invasione del Cairo fa
capire all’impero ottomano la sua debolezza e quindi quella esperienza è molto
interessante.
La debolezza militare: l’assedio del Cairo
Abbiamo anche delle ottime fonti perché in quel momento al Cairo nel 1798 c’era uno studioso
che si chiamava AL JABARTI, che ha lasciato un diario che parla di quello che è successo prima,
durante e dopo. Racconta di come il fatto che i francesi volessero attaccare l’Egitto non era una
sorpresa perché le navi francesi erano state al largo del Cairo per giorni e lui racconta l’inettitudine
degli egiziani e degli ottomani che sono convintissimi della superiorità delle forze mamelucche e
ottomane, quindi non preparano nemmeno particolari difese. Invece quando i francesi sbarcano
sbaragliano tutto. Lo studioso racconta anche quanto è stupito del modo ordinato e efficiente in
cui si muovono i francesi, che è molto più ordinato e funziona molto di più del modo ottomano. Lui

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rimane di stucco del modo in cui ci si passano i comandi all’interno delle truppe, che sono molto
disciplinate e eseguono benissimo, in modo molto compatto. Inizia ad intuire che questo è il segno
evidente di un ordine e una compattezza che emana da un segreto profondo. Questo ordine e
compattezza si contrapponeva alle profonde spaccature e disordine che caratterizzavano l’impero
ottomano. Si intuiva un grande spunto da cui scaturivano ordine e compattezza. Questa cosa poi
diventa un grande dibattito nel mondo ottomano. In questo dibattito questo grande concetto che
dà origine a queste caratteristiche viene riconosciuto nel WATAN, ovvero il patriottismo. I
musulmani dicono: sono così forti perché sono compattati dal patriottismo e questa è una cosa
che noi musulmani non abbiamo perché siamo divisi.
Selim III e i primi tentativi di riforma
Tornando al cuore dell’impero ottomano, la debolezza fa pensare di fare riforme. nel 700 SELIM III
cerca di fare una riforma soprattutto militare. Il paradosso di queste riforme militari è che si prova
a resistere agli europei copiandoli. Questi primi tentativi di riforme di SELIM III sono fallimentari
perché bloccate da una serie di gruppi conservatori (soprattutto i giannizzeri si oppongono). Una
delle iniziative di Selim terzo è questa: una delle poche cose rimaste al Cairo dopo che o francesi
se ne vanno (le froze anglo-ottomane scacciano i francesi. La cosa era nata perché i francesi
volevano andare verso l’India) è una tipografia, che è la prima tipografia esistente nell’impero
ottomano. Era stata fatta per stampare i volantini con cui le truppe francesi leggevano proclami.
Selim III tiene questa tipografia e ne apre un’altra a Istanbul per diffondere della letteratura. I
giannizzeri le fanno chiudere entrambe perché dicevano che servivano per diffondere la
letteratura dei FARANGI che per loro voleva dire europei.
Le riforme ottocentesche
Nel 19° secolo l’impero ottomano inizia a dar vita ad un processo di riforme. Questo avverrà nel
1839 con l’inizio delle TANZIMAT tradotto con gli “ordinamenti utili”, usato per indicare le riforme
moderne. In questo anno il sultano emette il DECRETO DEL ROSETO (Firmato nel palazzo del
roseto di Istanbul). Questo è importante perché per la prima volta si prende atto del decino e si
cerca di riformare. Il decreto parte dall’aspetto tecnologico fino ad arrivare a quello culturale.
Inizialmente c’è l’illusione di importare la tecnologia occidentale senza importarne anche la
cultura. Le prime scuole moderne nell’impero ottomano sono scuole tecniche a uso militare
(architetti, ingegneri…). Questo spiega perché in buona parte del mondo musulmano le prime élite
moderne sono state militari. Poi ci si rende conto che è impossibile separare i 2 aspetti e si aprono
scuole di scienze politiche, sociali, tecniche ecc. alla fine si arriva al conflitto con l’islam, il cui ruolo
nella società viene messo in discussione. Si cerca di capire se e quanto della cultura islamica si può
conservare nella società moderna. Vedremo come questo tema non interessa solo l’impero
ottomano ma la stessa dinamica interessa tutti i grandi paesi musulmani in persia.

Martedì 6 dicembre
Il mondo musulmano si rende conto dei progressi Europa, soprattutto dal punto di vista
tecnologico (particolarmente militare).
Influenza europea vs imperialismo europeo
Bisogna distinguere tra influenza europea e imperialismo europeo: il secondo fenomeno è stato
più marginale rispetto al primo.
Imperialismo europeo: conquista da parte dell’Europa di territori oltremare. Soprattutto in Asia e
in Medioriente. Questo fenomeno è stato più l'eccezione che la regola. Piuttosto c’è stata
influenza europea: l’Europa controllava i territori indirettamente, senza stabilire dominio politico
europeo ma servendosi dei poteri locali.
Di 3 grandi imperi, ottomano, safavide (Persia) e Moghul (India), solo l'ultimo sarà sottoposto a
colonizzazione diretta. Il caso inglese sarà l’eccezione, un evento ante-litteram. Le altre due aree

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non saranno mai colonizzate o conquistate dall’Europa. L’impero ottomano fu in declino, sì, ma
mai conquistato (formalmente indipendente fino a prima guerra mondiale). La Persia fu uno stato
musulmano controllato dall’Europ,a senza essere mai conquistato; la situazione era di sudditanza,
ma mai di colonizzazione.
L’Egitto e l’impero ottomano non vengono colonizzati ma subiscono l’influenza e sono costretti a
darsi un'agenda di riforme, che viene imposta. Sono le élite che, costrette a correre ai ripari,
cercano di capire il segreto della superiorità europea e copiarla nella loro realtà.

L’EGITTO
In Egitto l'invasione francese e successivamente l'intervento europeo (Gb) per contrastare la
Francia porta a un cambio di regime. Al Regno Unito è interessato a proteggere la rotta verso
l'India (interessi britannici) e proteggere l’integrità territori ottomani. Emerge in Egitto una nuova
dinastia di origine militare, un corpo di mercenari albanesi guidati da Muhammad Alì. Egli s'insedia
(in un quadro di instabilità politica) come governatore politico. Gli Inglesi hanno interesse a
rendere autonomo l’Egitto rispetto all’impero ottomano e quindi riconoscono Alì come
governatore. L’Egitto rimane un territorio sotto l’impero ottomano ma è uno stato indipendente.
Alì non nasconde che ha ambizioni espansionistiche. Si espanderà in Siria e altrove. Nel 1831 Alì
verrà ricondotto nei suoi confini egiziani dagli anglo-ottomani ma gli viene concesso di trasmettere
la sua leadership ai discendenti: KHEDIVÉ è il nome di questi governatori. Si crea una dinastia che
durerà fino al colpo di stato di Nasser. Il cambiamento è importante perché si crea nuovo regime e
perché Alì si fa promotore di un programma di riforme. Fa capire che non è un leader
tradizionalista, egli vuole dimostrare che ha preso coscienza della superiorità europea e che vuole
riproporla in Egitto. Questo è importante perché egli sarà guardato con ammirazione dall’impero
ottomano.
Il programma di modernizzazione dell’Egitto di Ali
I punti fondamentali del programma di modernizzazione proposta da Alì:
- rafforzamento dello Stato: gli europei sono forti perché i loro stati sono, forti quindi
bisogna rafforzare lo stato a spese di tutti quei gruppi influenti che tradizionalmente
svolgevano funzioni importanti (mantenimento ordine, risoluzione controversie, esazione
tasse,...) che secondo quest'ottica indeboliscono lo Stato. Si vogliono eliminare tutte le
forme di mediazione accentrando il potere nelle mani stato, per renderlo più efficiente e
far sì che possa resistere alle pressioni europee.
- L’ efficienza degli eserciti europei viene collegata all'efficienza degli stati europei e questo
vuol essere riproposto. Si preferisce evitare di portare avanti questo processo per via
democratica e si predilige quella autoritaria. Il processo viene calato dall'alto, con la forza.
Una modernizzazione violenta e autoritaria
Il tentativo di accentrare lo Stato per cercare di resistere all’Europa incontra grande resistenza dei
gruppi tradizionali. Questo processo di riforma non sarà democratico ma autoritario, calato
dall’alto con la forza. Questa riflessione va tenuta a mente perché la modernizzazione
ottocentesca ha avuto forte carattere autoritario, perché questo processo di modernizzazione ha
modernizzato gli stati a spese delle figure intermedie e ha avuto carattere violento. Muhammad
Ali sale al potere nel 1805 e nel 1811 vuole iniziare il processo di riforma e trova resistenze. Allora
invita nel suo palazzo tutti i mamelucchi e li fa fuori tutti. Questa cosa preannuncia la fine che
faranno i giannizzeri nel 1825. Il sultano ottomano si libererà dell’opposizione alle riforme da parte
dei giannizzeri abolendo il corpo dei giannizzeri e requisendo tutte le loro proprietà e
incarcerandoli se opponevano resistenze.
Le riforme: militare, amministrativa, scolastica, statalizzazione dell’agricoltura, industria

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- Muhammad ali comprende la necessità di fare queste riforme e si concentra inizialmente
sull’aspetto militare. Infatti c’era ancora l’illusione di poter tenere la propria cultura.
Questa innovazione utilizzerà lo strumento dei tecnici militari europei che Muhammad ali
inizia ad assumere. Stanno finendo le guerre napoleoniche e c’è un surplus di militari
disoccupati. Molti militari francesi, prussiani, italiani, olandesi ecc. trovano lavoro nei paesi
extraeuropei e vengono assunti da questi riformatori per addestrare i soldati all’europea e
per aiutare da un punto di vista tecnologico/ingegneristico.
- Inoltre c’è una riforma amministrativa che accentra il potere. Muhammad si ispira alla
siyasa sharia e usa i QANUN cioè dei decreti che il sultano usava per imporre cose. Così non
sfida la sharia e si ricollega ad un istituto già esistente, la syiasa sharia.
- Fa anche la riforma della scuola per riempire le nuove caselle della burocrazia di stampo
europeo con delle persone locali. Lo fa anche qui ispirandosi al modello europeo. Introduce
la conoscenza non solo tradizionale ma anche delle lingue ecc.
[Muhammad Ali riesce a riformare l’Egitto e da alcuni è considerato il padre del nazionalismo
egiziano ma non è vero intanto perché lui non è egiziano (è albanese) e poi perché non si fida un
gran che degli egiziani. Nel suo governo, poi usa molto le minoranze, specialmente la minoranza
cristiana copta egiziana. Lo fa anche perché questi erano quelli più vicini alla cultura europea.]
- Muhammad ali si sforza anche di rendere più efficiente l’economia. Tra il 1810 e il 1815
stabilisce una proprietà statale della terra e mette in atto una legislazione sul monopolio e
l’esportazione di moltissimi prodotti agricoli. Le trattative private sono abolite e lo stato
gestisce la cosa dal momento in cui si pianta il prodotto al momento della vendita. È una
fortissima statalizzazione. Nuove forme del lavoro agricolo. Nuove tecniche di coltivazione.
Lo stato è attore principale del prodotto agricolo.
- Dal 1814 inizia anche a costruire fabbriche per essere meno dipendente dall’Europa per le
cose tecniche e un aiuto lo avrà dai consiglieri venuti dall’Europa.
Il tentativo di mantenere la legittimazione religiosa
Sotto Muhammad ogni reparto bell’esercito aveva comandanti europei. C’è però una condizione:
che i posti chiave di comando potevano essere ricoperti da europei se si convertivano,
islamizzavano e arabizzavano. Almeno formalmente si voleva salvare la legittimazione religiosa del
regime. Esempio noto è del francese SéVE che si convertì e divenne il capo di stato egiziano con il
nome di SOLIMAN PASHA. È importante ricordare che il regime di muhammad ali si basa sulla
tecnica perché inizialmente è convinto che la cultura musulmana sia migliore, ma poi dovrà
arrendersi.
Degli ulama a Parigi
Muhammad Ali si fa lui stesso promotore dei contatti culturali nello sforzo di conoscenza
dell’Europa. Si farà promotore della prima missione di studio di intellettuali egiziani che andranno
a Parigi a studiare il sistema europeo. Dal 1826-1821 questa delegazione di ulama presi dalla più
importante madrasa, quella di AL AZHAR molto ortodossa e conservatrice, vanno a Parigi per
studiare e osservare e li manda proprio Muhammad Ali. Questa missione sarà così significativa che
rimarrà celebre. Il capo di questa delegazione, un importante shek che si chiamava AL TAHTAWI
scriverà un diario che poi sarà tradotto in francese come “loro di Parigi”. Diventa celebre perché è
un’istantanea di un certo momento dei rapporti tra Europa e mondo musulmano. E ci si
aspetterebbe che, essendo questi ortodossi e musulmani, abbiano uno sguardo negativo, e invece
no, sono curiosissimi e si scrivono tutto, da come funziona il governo ai tram e ai negozi. L’idea è
osservare, copiare e riprodurre. Questo progetto sarà riprodotto da altri. Non c’è ombra di
condanna all’occidente, solo ammirazione.
Il dibattito sulle riforme e il concetto di Watan

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C’è grande ammirazione si per l’Europa ma c’è lo stesso un grande dibattito per la riforma interna.
Infatti sono convinti che non sia necessario abbandonare la cultura islamica tradizionale, che
considerano superiore. Ma quello che non sanno è che in realtà, così facendo, stanno
contribuendo a innescare quel cambiamento. È poi centrale il concetto di patria. Quando questi
vanno a Parigi capiscono che la solidità degli europei è legata a qualcosa di profondo. Questo
legame profondo, ci dice al Tahtani deve essere il patriottismo, in arabo WATAN. Il termine patria
quindi esisteva già in arabo, ma il concetto di patria aveva un significato tutto diverso. Watan in
arabo aveva un messaggio spirituale-romantico. Era il legame sentimentale che univa una persona
alla propria terra di nascita. Non c’era connotazione religiosa né connotazione politica. Ecco
perché la nuova interpretazione finisce per avere un messaggio dirompente e rivoluzionario. Si
pone il dibattito su quali fossero le basi comuni della società per riformarla. Si affaccia l’idea che
l’antico legame religioso non fosse una base sufficientemente solida (e ci si chiede se bisognerà
cercare un legame più forte come il sangue la terra ecc.). Watan non è ancora nazione ma è
nazione in potenza. Il legame patriottico, arricchendosi di significati politici, porta alla fine all’idea
di nazione.
La spedizione di Ali Mubarak
Ci sono altre esperienze simili di studio dell’occidente. ad es nel 1867-1868, in piena
modernizzazione dell’Egitto, c’è un tizio, ALI MUBARAK, insegnante e ingegnere (sarà uno dei
protagonisti della riforma) che viene inviato su mandato governativo a Parigi a visitare
l’esposizione universale (fu tra l’altro una grande dimostrazione della corrente culturale
dell’orientalismo). Quindi dicevamo che ali Mubarak va li e prende appunti su tutto. Quando torna
sarà nominato ministro della scuola e dei lavori pubblici (infatti aveva guardato scuole, fognature
ecc.) nel viaggio lui passa per Marsiglia e appena arrivato a Marsiglia vede una forma di persone
per strada ma non li sente gridare; anzi, ogni persona era impegnata nella propria occupazione e
proseguiva per la propria via cercando di non urtare nessuno. Ci dice “era come se si fossero riuniti
per la preghiera … non si sentiva nessuna parola o voce non necessaria…”. Il messaggio estrapolato
è l’ordine e l’intima coesione.
L’epistola delle otto parole
Questa coesione è tradotta dai musulmani nell’importanza della patria, che unisce le persone e
evita che si crei conflitto (nel piccolo tra le persone per la strada e nel grande a livello generale e
tra le istituzioni). Questo dibattito in seno al mondo musulmano lascia sempre meno importanza
alla religione e porta in primo piano altri fattori di coesione sociale. Un esempio di questo dibattito
si ha nel 1881 con la pubblicazione del libro di un altro protagonista delle riforme, lo SHAIKH AL
MARSAFI. Pubblica l’epistola delle 8 parole. Quest’Opera è di transizione e cambiamento già solo
perché usa il genere della RISALAH cioè dell’epistola, che è un genere tradizionale per loro. La
cosa interessante è che lui usa questo genere antico per veicolare messaggi moderni. È una cosa
liminale, cioè in corso di transizione. Questa epistola si sforza di analizzare 8 termini chiave che
secondo l’autore erano diventati più importanti nel dibattito sulla riforma. alcune sono parole
tradizionali, come UMMA, e altre sono moderne, come WATAN e come l’educazione, TARBIYA. È
interessante quando analizza il termine umma. Quando lui ne dà la definizione non ci dice quello
che diciamo di solito ma dice che umma è un insieme di persone unite da una base comune: la
lingua, il luogo e la religione, dando una sorta di gerarchia di valori. Sottolinea l’importanza della
lingua. Dice che l’unità linguistica è il fattore migliore e più appropriato per determinare l’esistenza
della Umma, legata al luogo in cui si è costituita e al passaggio dalla ruralità alla attuale società. La
religione in questa gerarchia è secondaria. Questo è pazzesco perché la religione non è il
fondamento della umma. La umma in questo caso è fondata in primo luogo su lingua e terra e solo
in terzo posto mette la religione.
Il concetto di nazione ottocentesco: lingua e terra in primo piano, religione in secondo

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Questi nuovi intellettuali, quando pensano alla religione, pensano solo alla frammentazione e
pensano che sia nebuloso e astratto, dunque inadatto a costruire l’Egitto moderno. Ci dice che la
religione deve essere superata per essere sostituita da cose più solide cioè lingua e terra (capisaldi
della nazione europea). Ecco quindi che vediamo sorgere il principio nazionale che inizierà ad
essere elaborato da autori egiziani o libanesi (che si trasferiscono al Cairo). Nell’800 quindi inizia
ad essere elaborato il concetto di nazione egiziana.
La corrente “Nahda”
Non tutti vivono questa sensazione di soggezione all’occidente. Ci sono correnti di pensiero che
pensano che sia possibile un ponte con la cultura europea. Era prevedibile che questo sforzo
provenisse dai circoli religiosi più tradizionali e quindi per l’Egitto dalla scuola di AL AZHAR. Al
Azhar diventa sempre più centro di elaborazione di nuove idee da parte di dotti musulmani che
cercano di mostrare che l’islam può essere moderno. Guardiamo alla corrente della NAHDA
traducibile come rinascimento, corrente di pensiero che coinvolge molte discipline tra cui la
letteratura, il giornalismo ecc ma noi ci concentriamo sull’aspetto religiosa. Questa corrente ha
riformato il pensiero musulmano cercando di dimostrarne la compatibilità con il pensiero europeo.
3 personaggi principali:
1 Al Afghani
2 Muhammad Abduh
3 Rashid Rida
Ci concentreremo su Abduh e Rida. Cercano di salvare la tradizione islamica affermando che
l’islam possa essere considerato moderno. Per trovare la modernità, dicono, i musulmani non
hanno bisogno di copiare l’Europa ma possono trovare la modernità nella loro propria cultura. Ma
per fare questo devono reinterpretare l’islam. Devono ritrovare la modernità andando alle radici
dell’islam, andando alla sunna e al corano. È il solito paradosso islamico che per trovare il meglio
bisogna andare al passato. Il paradosso di questi riformatori è che tendono a rileggere le loro fonti
e le loro tradizioni con un criterio esterno all’islam, cioè quello della razionalità tipica europea. C’è
quindi questo paradosso.
Al Afghani
Afghani è stato importante perché è stato l’incubo delle cancellerie europee coloniali (specie per i
britannici) era del sottobosco anticoloniale e rivoluzionario, considerato da alcuni un massone.
Alcuni dicono sia persiano, altri afghano ma non si sa molto di lui. È lui che ha ispirato questa
riforma. Al Afghani fu il maestro di MUHAMMAD ABDUH a sua volta maestro di RASHID RIDA.
Sappiamo invece più cose di Abduh e Rida.
Abduh
Abduh è stato molto attivo nella scuola di Al Azhar e ne viene nominato shek. Ha grande potere
quindi nella scuola e addirittura la riforma.
Abduh dice che dallo stato di crisi si può fuggire solo tramite una rigenerazione interna del mondo
musulmano e questo si può fare perché razionalità e rivelazione sono due vie compatibili perché
portano allo stesso luogo, cioè alla verità. Lui dice che sì, razionalità e rivelazione hanno ruoli
diversi, ma devono essere in armonia perché vanno a finire lì. Se non si vede l’armonia, non è
perché l’armonia non c’è ma è perché la nostra mente non è abbastanza lucida da vederla. In
questo caso bisogna lasciare la materia a dio. C’è una ambiguità perché sembra che si cerchi di
accettare l’uso della ragione ma dall’altra parte si ha paura delle conseguenze di questo pensiero.
Alla fine la clausola di salvaguardia che tiene insieme le cose è che se non si vede l’armonia siamo
noi che non la vediamo. C’è paurissima di negare l’onnipotenza di dio e di scadere nell’eresia.
Abduh inoltre afferma che la razionalità dell’islam si è manifestata nei primi secoli dell’islam cioè
col profeta e con i califfati rashidun. Poi c’è stata decadenza e così l’islam ha perso la sua
razionalità (tipico ragionamento astorico). //Il fondamentalismo islamico nascerà proprio così, in

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modo astorico, dicendo che tutto ciò che è arrivato dopo il 661 è stato decadenza, corruzione e
smarrimento della razionalità e della modernità.// Abduh si chiede perché c’è stata questa
decadenza. Si risponde che è perché l’islam ha lasciato entrare elementi non originari. Questi
elementi sono quelli persiani e turchi. Lui dice che la shia e il sufismo non sono tati il prodotto
dell’islam iniziale, bello, razionale, duro e puro, ma sono tati i persiani e i turchi a portare cose
irrazionali nell’islam. Abduh non denuncia tutta la shia ma solo la shia “estrema” cioè quella
duodecimana estrema. Non denuncia nemmeno tutto il sufismo ma la venerazione dei santi. Salva
la shia e il sufismo in quanto fenomeni colti mentali. Sono un pericolo quando introducono liturgie
nuove. Il sufismo è negativo perché spinge le persone a diventare ultramondane e a trascurare le
cose di questo mondo. Lui dice che l’islam non ha bisogno di questo ma di attivismo, dinamismo,
di essere terreni, mondani, non di perdersi nelle cose spirituali. Lui dice che il culto dei santi
infiacchisce la volontà spirituale. Se la prendeva tantissimo con le culture “altre” e con i persiani ci
sta, ma prendersela con i turchi in un paese sottoposto all’egemonia ottomana è un problema.
Questi della corrente della NAHDA infatti si rifiutano di riconoscere la sovranità sul mondo islamico
del sultano. Riconosceranno il ruolo del sultano proprio alla fine, quando sta per essere fatto fuori
dei nazionalisti, perché si rendono conto che è l’ultimo sovrano musulmano indipendente. Rida
negli ultimi anni della sua carriera dirà che se cade anche lui saremo proprio fregati.
Se quindi bisogna tornare al corano e alla Sunna vuol dire che bisogna riaprire la porta
dell’interpretazione. Infatti sunna e corano sono stati seppelliti dai commentari. Bisogna riaprire
l’IJTIHAD, reinterpretare tutto in chiave moderna e scoprire la modernità di queste fonti. La umma
deve assorbire la scienza europea, copiarla, tradurne i libri. Questo perché assorbire la scienza
europea non significa tradire le radici religiose: infatti se la modernità è intrinseca nell’islam non
siamo noi a copiare l’Europa, ma ci stiamo riscoprendo, al massimo sono loro che copiano noi.
Queste belle cose ABDUH cerca di applicarle con un modello educativo nella scuola e il KHEDIVÉ gli
fa avere il posto al capo della scuola. Lui rimodernizza il sistema tradizionale e introduce gli esami
e tutte le cose classiche europee.
Nel 1899 viene nominato il grande muftì d’Egitto. La sua interpretazione della legge era quindi
obbligatoria.
L’interpretazione di Abduh è vista bene perché il governo egiziano favoriva molto questo tipo di
interpretazioni. Tutta questa enfasi sulla matrice araba dell’islam era ancora più utile perché il
governo egiziano stava cercando di smarcarsi dal governo ottomano. Nel corso degli anni 80 e 90
l‘Inghilterra pone sempre di più l’Egitto sotto la sua influenza. L’Inghilterra lascia fare e guarda
bene le riforme fino a quando rischiano di diventare nazionalismo. I nuovi laureati delle scuole
moderne egiziane e in particolare i nuovi capi dell’esercito finiranno per avvicinarsi ad idee anti
europee. Accade che anche le idee di Abduh verranno accusate di essere figlie dell’Europa e di
essere funzionali allo strapotere dell’Europa sull’Egitto. 1982 alcune rivolte guidate da militari
egiziani educati alla maniera moderna. Ci sarà la rivolta di URABI PASHA. Con l’antioccidentalismo
anche Abduh sarà travolto da questa protesta e dovrà dimettersi da tutte le sue cariche nel 1905.
Rida
Rida era un siriano ma si è trasferito al Cario perché lì c’era un certo clima di libertà di pensiero. In
rida c’è il concetto di purificazione dell’islam che propone di tornare indietro. C’è però molto più
estremismo e ha per esempio orrore della mistica islamica. Nella sua biografia per puro caso sente
dei canti e in una casa trova una cerimonia dei dervisci rotanti e lui è sconvolto e fugge
scandalizzato. In Rida c’è una rigidità paragonabile al puritanesimo wahabita o agli wahabiti.
Il suo incontro con Abduh è nel 1894 e nel 1898 (?) fonda una rivista AL MANAR, il faro. La redige
fino alla morte, cioè nel 35. Lui dice che il Profeta e i primi 4 califfi erano il momento della purezza
originaria. Identifica le cause dell’impurità nei governi musulmani e negli ulama che nel tempo
hanno consentito questa impurità. Questo aspetto sarà ripreso anche poi soprattutto nell’aspetto

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di accusare gli ulama. Lui afferma che la superiorità tecnico-scientifica che potrebbe mettere i
musulmani alla pari con l’occidente la si può recuperare velocemente perché i musulmani hanno
in se il seme della modernità. In particolare fa l’esempio della jihad che per lui non è solo guerra
ma è attivarsi e avere spirito di sacrificio per il bene della comunità. Jihad diventa simbolo della
modernità (lui non ne parla in quanto guerra ma piuttosto come sforzo, attivazione ecc., ma la
cosa è comunque rilevante). Ricorda le ideologie europee di guerra come purificazione del mondo.
C’è una matrice europea e questo non ci deve stupire perché questi erano in contatto con
l’Europa. Parliamo di persone che dicono di voler salvaguardare l’islam ma allo stesso tempo
vogliono rendere l’islam accettabile ad un pubblico non musulmano cioè all’Europa. Quando ci
sarà il crollo, ci si pone il problema di cosa la umma può fare per sopravvivere alla caduta
dell’impero ottomano. Si vuole rifondare un califfato dopo la scomparsa dell’impero ottomano ma
si riconosce che ormai la umma è frammentata. In questo senso rida parla di califfo come semplice
mujtahid, cioè come di colui che fa l’interpretazione. Rida dice possiamo anche trovare un nuovo
califfo ma basta che sia una persona moralmente retta, non serve che governi lui, una sorta di
autorità morale. Questo permetteva l’esistenza di più stati musulmani. Anche questa idea di Rida
non avrà seguito. Lui considera la cultura turca una cultura di decadenza ma negli ultimi momenti
di esistenza dell’impero ottomano cerca di difenderlo perché è l’ultimo potere musulmano forte.
Rida sarà capostipite della scuola della SALAFIA, salaf vuol dire gli antichi, quindi salafia vuol dire
ispirarsi ai costumi degli antichi. Il termine salafiti avrà molto successo.
L’arabità nel pensiero di nahda
Nel pensiero della nahda c’è enfasi sull’arabità. Infatti dicono che l’islam è moderno ma non tutto
l’islam, solo l’islam arabo dei primi secoli.
Mettiamo tutto insieme: enfasi sul watan e sulla lingua. Poi c’è la corrente nahda che porta a
concentrarsi sull’arabità. Quindi è prevedibile che il discorso finisca sul fatto che l’arabità è la
chiave di volta per la modernità. Non che rida o abduh volessero liberarsi dell’islam, anzi volevano
salvarlo, ma questi ragionamenti, in mano a giovani più estremisti, portano al fatto di mettere
l’accento sul discorso dell’etnia araba. Perché cosa c’è di più originariamente autentico
dell’arabità, che è ancora più antico dell’Islam. È come se quasi si scavalcasse l’islam. E questo
accadrà nel pensiero dei primi nazionalisti che fanno proprio questo ragionamento. Mentre per
rida e abduh usano l’arabità per salvare l’islam, successivamente si dirà che l’islam è un prodotto
dell’arabità, espressione geniale del mondo arabo. Per fare questo occorre un passaggio
generazionale e sarà fatto da leader ancora più slegato dalla tradizione. Chi farà questi
ragionamenti della nazione araba saranno arabi non musulami (es copti ecc.) e mettono l’accento
sulla lingua perché al di la della religione parlano tutti arabo. Tutti possono ritrovarsi attorno alla
lingua araba, espressione più evidente della cultura. Paradosso: i primi modernizzatori volevano
salvare l’islam e finiscono per far diventare l’islam espressione dell’arabità. I nazionalisti arabi
cristiani arriveranno a dire di essere orgogliosi dell’islam in quanto grandiosa espressione
dell’arabità. Muhammad diventa grande leader arabo. La religione passa in secondo piano.

7 dicembre 2016
(della Yaz)
Terzo volume Lapidus: intro + capp 1 a 4 + 6

L’arabità collante di etnie e religioni diverse


La corrente nahda pone l’accento sul discorso dell’autenticità originaria dell’islam (primi secoli
islam, età dell’oro come perfezione e e di modernità perciò l’islam non ha nulla da invidiare
all’Europa). Tuttavia il fatto di rifarsi al periodo dell’età dell'oro si ricollega all’arabità: quando

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l’islam era arabo era perfetto, una volta che invece sono arrivati turchi l’islam si è allontanato dalla
modernità. Bisogna quindi tornare alle fonti, che devono essere reinterpretate (apertura della
porta dell'interpretazione).
Non c'era l’intenzione abolire l’islam dei valori ma do rafforzarlo, tuttavia l’enfasi sull’arabità e il
patriottismo porteranno nel corso del tempo alla formulazione delle prime forme del nazionalismo
arabo (seconda metà 800).
Anni 60 dell'800 Butrus Bustani usa i termini "cultura araba" e "popolo arabo" con significato
politico; negli stessi anni altri autori arabi-cristiani useranno questi termini con valenza politica; il
copto Jury Zaydan utilizza per la prima volta il termine "nazione araba". Ovviamente trattandosi di
intellettuali di fede diversa, l'elemento unificante viene rinvenuto nella lingua araba. La più
completa esposizione di questa concezione la ritroviamo negli scritti del siriano Najib Azoury: nel
1905 scrive "Il risveglio della nazione araba" in cui si teorizza l'esistenza di un'unica nazione araba
che comprende cristiani e musulmani e che deve liberarsi da turchi (ci si allontana dall’idea della
fratellanza musulmana).
!! Essendo l'aspetto linguistico più forte, trovano nell'arabità la formulazione più consona.
Arabità>Islam
Idee alla base dei primi partiti nazionalisti (fine 800-inizio 900): il primo partito Hezb-Al-Watan,
ovvero il "partito della patria", viene fondato nel 1904 da Mustafa Kamil. Comincia l’elaborazione
del nazionalismo arabo, che trova ne negli anni 20-30 del 900 la sua forma più completa
(passaggio dell'islam da religione a dimensione puramente culturale --> rovesciamento di islam e
arabità). L’Islam è ridotto a semplice manifestazione della cultura nazionale araba. L’Islam diventa
la religione nazionale degli Arabi. La gerarchia dei valori è rovesciata perché l'arabità supera per
importanza l'islam. Si arriverà a dire che l’islam è la forma sofisticata, il principio di civiltà già
presente nella natura degli arabi. Il Profeta quindi riprende qualcosa che era già degli arabi. La
diffusione dell'islam nel mondo non è più miracolo di dio ma è vista come contributo delle genti
arabe alla storia e al genere umano. --> laicizzazione. Il nazionalismo desacralizza l'islam e lo fa
diventare un elemento di carattere culturale. Visto che la cultura araba si esprime nell'islam e
soprattutto nella sua lingua ne consegue che coloro che parlano arabo possono appropriarsi della
cultura e della storia islamica, possono sentirsi orgogliosi rappresentanti della cultura e della storia
islamica. Corano diventa la più perfetta delle opere letterarie scritte in lingua araba.
La lotta egiziana per l’indipendenza
In Egitto, 800-900, c’è la lotta contro la permanenza del protettorato islamico e ci sono richieste di
indipendenza da parte dei nazionalisti. 1922: indipendenza dell’Egitto (anche se solo formale). C’è
una forte connotazione nazionalista in Egitto e la sua più grande elaborazione si ha con formazione
negli anni 40 del 900 del partito Ba'ath, ovvero il "partito del risveglio" degli arabi (cristiani, non
islamici), ad opera di Michel Aflaq. C’è un legame tra il partito Ba'aq e il colpo di stato militare del
1952 contro la monarchia egiziana (i cosiddetti "liberi ufficiali", tra cui Nasser).

L’IMPERO OTTOMANO
L’inizio delle riforme nell’impero ottomano: il decreto del roseto
Spostandoci al cuore dell’impero ottomano, possiamo ritrovare una situazione simile. Vediamo le
somiglianze e le differenze tra Egitto e impero ottomano. Somiglianza: riforme nascono dallo stato,
si nota infatti che è il sultano ottomano a essere promotore della riforma. L'inizio formale delle
riforme ottomane sarà segnato dal decreto reale del 1939 (detto il "decreto del Gulhane o decreto
del roseto" perché firmato nel palazzo del roseto), firmato dal sultano Abdul Majid. È un testo
interessante per capire lo spirito che anima lo sforzo di modernizzazione e riforma, indica le linee
guida delle riforme e le relazioni tra sforzo per attuare le riforme e la cultura ottomana.

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Il decreto del roseto: parte dall’analisi dello stato di crisi dell' impero ottomano e dice che negli
ultimi 150 anni la crisi dello stato ha provocato un declino della sharia, che non è più rispettata
nell'impero. Le riforme, come vediamo, sono presentate come un modo per rivitalizzare sharia e
non per superarla. Il decreto afferma la necessità di introdurre nuove legislazioni per avere
un’amministrazione efficiente del governo e delle provincie.
Cosa prevede il Tanzimat
Vengono introdotti:
- abolizione del potere discrezionale del sultano sulla vita e sulle proprietà dei funzionari,
- linee guida amministrazione pubblica,
- uguaglianza cittadini di fronte a legge,
- nuove leggi commerciali che permettessero a stranieri di entrare nel paese e condurre
attività commerciali (impero vuole spezzare isolamento e instaurare rapporti amichevoli).
Il complesso delle riforme è indicato con termine TANZIMAT.
L’impero ha bisogno della collaborazione con l’occidente
Paradosso: la crisi ottomana fu causata soprattutto dall’occidente (c’era infatti grande pressione
politica e militare dell'Europa), eppure il decreto non ha impostazione antioccidentale e piuttosto
vi si intravvede una volontà spasmodica di stabilire buoni rapporti con l’Europa. L'impero
ottomano, inoltre, ha preso atto che, senza una qualche collaborazione con qualcuna delle grandi
potenze europee, l’impero non poteva essere salvato. In particolare dopo la pace di Adrianopoli
(indipendenza della Grecia e sconfitta dell’impero con l’aiuto delle potenze europee), si capisce
che l’impero aveva il destino segnato senza la collaborazione con l’Europa. Anche prima del
decreto del roseto, l'impero si era sforzato di entrare nel consesso dei paesi europei: nel 1828
l’impero, infatti, aveva proposto una conferenza internazionale per risolvere il contenzioso nei
Balcani. Il decreto, dopo essere stato firmato da sultano, fu portato alle ambasciate dei più
importanti paesi europei.
Ancora rapporto islam-riforme e gli ulama
Impero ottomano: nell'800 c’è un dibattito simile a quello egiziano sull'importanza della patria e
del patriottismo come legame sociale più utile di quello religioso (crescente laicizzazione). Termine
watan compare già nel decreto 1839 e poi nel 1840 un diplomatico turco nel suo saggio
sull’Europa. Citerà l'amor di patria come uno dei valori più importanti degli europei. Nel 1841
l’espressione "amor di patria" entrerà nel vocabolario turco-francese. Il legame islamico comincia
ad indebolirsi anche nell'impero. Tanzimat non è però un elemento laico, allora qual è il rapporto
con islam? Il tanzimat introduce riforme che non sono manifestamente islamizzanti: le riforme
hanno un senso intrinseco di secolarizzazione e comportano l’irrilevanza della cultura e
dell'istruzione islamica
ulamà: fino ad allora erano influenti e presenti dappertutto, con funzioni religiose e politiche. Ora
con le riforme essi non vengono esclusi dal potere, ma succede che il loro ruolo viene
gradualmente ridimensionato. SI manifesta una crescente irrilevanza delle competenze di cui gli
ulamà sono depositari. I religiosi cominciano a perdere posizioni che erano stati loro monopolio,
es.
I progressi medici
I progressi in campo medico fanno sì che la medicina tradizionale islamica (medici detti HAKIM)
perda importanza perché anacronistica (si basa su concezioni olistiche, il corpo come parte del
tutto, s'interviene con sostanze naturali, non invasive). 1866: Istanbul ospita una importante
conferenza medica internazionale contro il problema delle epidemie (un problema grave in asia e
non più in Europa) e una delle conclusioni era stata che i grandi pellegrinaggi religiosi erano uno
dei veicoli di trasmissione delle malattie, soprattutto del colera. Viene rilevata l'importanza di
introdurre metodi occidentali (quarantena, isolamento...) per risolvere malattia. Nell'impero

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ottomano c'erano tuttavia resistenze di carattere culturale. Quando si introducono queste
soluzioni esse vengono avvertite come rottura con tradizione.
La riforma del diritto
le competenze dei giudici kadiasker (religiosi), quando si riforma diritto, vengono ridotte.
Le funzioni degli esponenti religiosi vengono limitate prettamente a aspetti religiosi, sharia.
Ulamà dovranno applicare per una fase iniziale delle concezioni moderne e man mano che
uscivano laureati educati con nuove modalità saranno sostituiti. Quindi succederà che ulamà
dovranno applicare per il periodo iniziale i codici delle leggi ispirati a diritto europeo.
La riforma dell’istruzione
Istruzione pubblica riformata: nel 1846 viene creato ministero pubblica istruzione. Il modello di
istruzione non ha più contenuto religioso ma piuttosto si ispira ai paesi europei. Negli anni 50
viene creato il sistema delle scuole superiori moderne (RUSHDIYE), i cui allievi formeranno i quadri
dell'amministrazione. Il è quello francese.
--> influenza francese nella modernizzazione paesi musulmani nel campo umanistico/giuridico.
--> influenza tedesca nella modernizzazione militare dei paesi musulmani
1859: nasce la prima scuola scienze politiche. Poi nasce una scuola giurisprudenza. --> viene così
creata una nuova intellighenzia man mano che si laureano.
L’ individuo assume spessore nella società
Contemporaneamente ai nuovi metodi didattici, si ha la diffusione della mentalità razionale,
scientifica. Da questo tipo di educazione nasceva una forma mentis diversa, che dava nuova enfasi
all’importanza della dimensione umana, individuale: l’individuo è capace di plasmare il mondo
circostante, capace di determinare il proprio destino. È un cambiamento di portata epocale
(innanzitutto psicologico). Alcune persone metteranno in discussione la loro fede, l’Islam comincia
ad apparire come una sorta di lente per leggere la realtà che non è al passo coi tempi; si pensa che
invece la realtà possa essere compresa avendo una metodologia osservazione razionale.
Il dualismo città-campagna e i limiti della riforma
Questo processo ha un fondamentale processo: le riforme attecchiranno soprattutto in zone
urbane. C’è una grande distanza tra città e campagna (in quest'ultima le riforme entreranno molto
meno perché le scuole e le attività di lavoro si trovano nelle città). Il dualismo città sempre più
moderna- campagna legata alla cultura tradizionale è sempre più forte (l’islam tradizionale
sopravvive). Questo fatto comporta un forte limite al processo di modernizzazione.
La dimensione individuale come chiave di lettura della realtà: la letteratura
Si rafforza la dimensione individuale. La Lettura individuale della realtà, che prima era considerata
marginale, assume ruolo di primo piano. Viene introdotto il metodo scientifico e razionale: si
prende coscienza del fatto che la mente individuale può aiutare a comprendere realtà e modellare
realtà a propria immagine. Questa trasformazione corrisponde a quello che Weber chiama il
"disincanto del mondo": il mondo non è misterioso, tutto può essere capito, c'è sempre dietro una
legge scientifica, ed accettare l’esistenza di questo meccanismo fa parte processo di
modernizzazione. Il rafforzamento della dimensione individuale, mette in crisi l’importanza della
famiglia, del clan,... anche a letteratura vive questo processo: nasce il genere dell’autobiografia e i
vecchi generi letterari sono modificati a soddisfare questo bisogno di dire la propria, di raccontare
le proprie esperienze. I diari di viaggio, in particolare i diari del pellegrinaggio, assumono nuova
rilevanza: SAFARNAMAH=racconto del viaggio. Il genere autobiografico è nuovo nella cultura
musulmana, che conosceva solo le biografie, dette tazkirah, di grandi dotti o personaggi come re,
principi... con lo scopo edificante di sottolineare le virtù morali.
Una abiguità di fondo: riforme VS legittimazione islamica dello stato
Si assiste al graduale indebolimento della cultura tradizionale, ma gli stessi autori delle riforme
sono ambigui: non sono disposti a eliminare definitivamente l’islam dalla vita pubblica e a

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svincolare lo stato dalla religione. L’islam, come fonte di legittimazione dell’impero, si rafforza man
mano che impero prosegue nella sua perdita di territori (XVIII-XIX sec). Man mano che c'è
modernizzazione, aumenta anche la volontà di legittimare il sultano attraverso l’islam. La
legittimazione non è solo internazionale ma anche interna (infatti i posti più arretrati sono legati a
tradizione).
La politica del doppio binario: islam e riforme
La strategia seguita dai sultani (Abdul Majid e poi Abdul Hamid II) fu abile, basata sul portare
avanti le riforme e mantenere l’islam come valore di riferimento dell’impero. Questa strategia era
in parte una risposta alla politica delle grandi potenze (che cercavano di staccare sempre di più i
musulmani e i non musulmani all’interno dell’impero. I non musulmani venivano sottratti dalle
grande potenze alla sovranità dell’impero ottomano. Solo il cuore dell’impero, che è quasi tutto
musulmano, rimane ancora. La volontà del sultano di usare l’islam per tenere unito l’impero era la
scelta più ovvia. Di fatto non faceva nulla di concreto per sostenere le istituzioni religiose.
Qualche data
1875: rivolta dei vassalli ottomani in Bosnia-Erzegovina  guerra 75-76  intervento russo 
guerra 76-77  pace santo Stefano.
Dopo il congresso Berlino, buona parte dei territori non musulmani dell'impero furono sottratti
agli ottomani: rimasero l’Anatolia, le province arabe della mezzaluna fertile e del Maghreb. La
scelta del sovrano di usare l’islam come elemento ideologico è perciò ammissibile.
Le figure religiose davanti alle riforme
I religiosi accettavano tutto questo? La collaborazione o meno alle riforme dipese molto da
quanto gli attori erano vicini al potere e da quanto erano periferici e quindi autonomi. Gli ulamà
più favorevoli erano quelli di alto rango, maggiormente sottoposti al controllo del potere. Questo
vale anche per le confraternite religiose (es. Medlevi furono favorevoli alle riforme). Spostandoci
verso religiosi (sia ulamà che sufi) di più basso rango, ci fu freddezza verso le riforme e addirittura
opposizione. Il problema è che le voci di opposizione difficilmente furono espresse in maniera
manifesta. Un gruppo di opposizione era quello degli studenti di teologia (chiamati "talibani"),
gruppo numeroso (ad Istanbul 1500 studenti e man mano aumenteranno, arriveranno a essere
5000 nella sola Istambul). Si crea un bacino di malcontento: vengono fatte accuse verso i religiosi
di più alto rango perché corrotti. Malcontento è anche per le riforme. Gli stessi sufi, soprattutto
quelli di rango popolare, si opposero. Ad es. i Bektashi furono un gruppo di opposizione alle
riforme. Inoltre, anche alcuni asceti assunsero posizioni di critica verso il sultano. Addirittura, nel
'37, uno di questi aggredì verbalmente il sultano accusandolo di tradire le basi dell’islam. In
conclusione ci fu sì opposizione, ma solo nei gradi più bassi della nomenclatura religiosa.
Le argomentazioni dei religiosi che appoggiano le riforme
Religiosi che accettavano riforme e quindi le consideravano legittime come le potevano giustificare
questa scelta anche da punto di vista religioso? Argomentazioni proposte:
- alcuni passaggi delle scritture coraniche: la modernizzazione dell’esercito fu giustificata con
dei versetti coranici che essi prendevano e reinterpretavano.
- Con dei precedenti storici: es. opera di Ibn Khaldun (XIV sec) che diceva che già i primi
arabi avevano abbandonato il tradizionale modo di combattere per adoperare tecniche
combattimento dei bizantini e dei persiani.
Ci si chiede quindi se queste argomentazioni siano valide o utili solo a coprire la loro incapacità
opporsi. La ragione determinante per cui questi non possono opporsi è il timore di una
repressione da parte del sultano, in quanto egli dimostrò di sostenere le riforme senza fermarsi
neppure di fronte alle eliminazioni fisiche.
La delegittimazione del vecchio ordine da parte della nuova intellighentia

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Il processo modernizzazione nell'impero ottomano non corrisponde ad un allargamento della base
democratica, ma finisce per rafforzare potere (aspetto autoritario).
Lo sbocco politico delle riforme nell'impero qual è? C’è analogia con le province arabe e l’Egitto: in
Egitto c'è gradualità dell'introduzione dei nuovi concetti, per gettare un ponte tra cultura
tradizionale e moderna. Nell'impero ottomano il processo di riforma finisce per essere
controproducente: i sultani non sospettavano che proprio le riforme avrebbero introdotto spinte
radicali che si sarebbero spinte oltre la semplice riforma, ma che avrebbero minacciato la
posizione politica del sultano e dell’islam. Questa nuova intellighenzia arriva alla delegittimazione
del vecchio ordine. Ad es. viene usato il termine "fossile" per indicare vecchio ordine imperiale.
I nuovi laureati incominciano a chiedere un cambiamento più profondo rispetto a istituzioni e
diritti politici: il movimento democratico ottomano sorgeva da nuovi laureati e militari ,che
avanzano richieste più radicali. Questi in particolare vogliono mantenere la struttura monarchia
ma chiedono concessione diritti politici e creazione di un parlamento.
L’associazione dei giovani ottomani
Il movimento democratico ottomano prende nome "associazione dei giovani ottomani"
(continuazione linguistica con irredentisti europei) e nasce nel 1856. Cosa vogliono?
1) non chiedono l’interruzione riforme, a cui sono favorevoli, ma chiedono che esse siano
accompagnate dalla concessione di diritti politici.
2) Sono convinti della necessità di salvaguardare il carattere etnico dell’impero (province)
(non sono nazionalisti turchi) ma proprio per salvaguardare struttura tradizionale dell'
impero ritenevano fossero necessarie riforme politiche.
Questo movimento fallisce: perché?
1) Per la resistenza del sovrano: non vuole concedere diritti politici, non vuole dare autonomie e
non vuole perdere controllo di tanzimah
2) Il movimento si scontrava con l’emergere di un sentimento nuovo nelle province: il
nazionalismo, che non volevano più far parte impero. Il nazionalismo emerge in Grecia, nei
Balcani e nazionalismo arabo contro le speranze del movimento. Sentimenti nazionalistici
legittimati e sostenuti da paesi europei.
il colpo di stato del 1876
1876: il movimento organizza un colpo di stato costituzionale (di palazzo) che riesce a portare alla
destituzione del sultano in carica Abdul Aziz (abdica). Nuovo sultano: Abdul Hamid II. Il colpo di
stato inizialmente sembra avere successo (il sultano concede la costituzione e accetta di formare
un parlamento), ma poco dopo lo stesso sultano con un altro colpo stato ristabilisce il suo potere
assoluto, sospende la costituzione e il parlamento, reprimendo i giovani ottomani (prigionieri o
fuggono soprattutto a Parigi). Molti riescono a fuggire a Parigi, dove il movimento rifletterà sugli
errori commessi e rinascerà però in veste molto più radicale e in chiave nazionalista.
la società ottomana per l’unione e il progresso: il nazionalismo ed una nuova storia
Sarà in Francia che movimento si ribattezzerà come "società ottomana per l'unione e il
progresso", organizzazione poi ribattezzata come i "giovani turchi". 1908: nuovo colpo stato che
avrà successo (reintroduzione costituzione del 1876).
Nel passaggio da giovani ottomani a giovani turchi si segnala anche il passaggio ideologico: da
ottomanesimo a nazionalismo turco. Passaggio in cui l’imitazione dell’Europa è importantissima. La
stessa idea della nazione turca trova la sua radice in Europa: nel corso dell’800 c'è la scoperta e la
ridefinizione del passato della storia delle genti turche. Questo fa parte di una moda dell'800 di
indagare le origini soprattutto dei popoli d’oriente (vedasi orientalismo). Tuttavia si arriva a
reinventare la storia. Questo succede nel caso delle popolazioni turche (che non avevano una
comune cultura). Nel corso della “riscoperta” ottocentesca invece si attribuisce alle popolazioni
turche una unità di intenti, una unità culturale inventata. C’è una tendenza europea a rileggere il

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passato dei popoli alla luce dell'ottica nazionalista. Es. 1832: scrittore inglese Davis parla dei turchi
come popolo con unica lingua, cultura, popolo unici. I giovani turchi, ispirandosi alla rilettura della
cultura turca introducono un linguaggio nazionalista completamente nuovo, inventato. Ad
esempio, in precedenza, la parola "turco"( "turk" ) addirittura aveva accezione negativa e
significava contadino, rozzo, bifolco. No significato politico, culturale, addirittura un insulto. La
parola TURKIYE entrò molto tardi nell'uso comune. Si arriverà a elaborare una propria lingua, la
lingua turca, riprendendo il turco ottomano; fu Ziya Gokalp a reinventare il turco moderno,
eliminando tutte parole di origine non turca, eliminando l’alfabeto di origine araba, introducendo
alfabeto latino e termini di origine occidentale, soprattutto francese.
Il Nazionalismo concedeva una nuova identità eliminando il vecchio. Questa identità era
incoraggiata da Europa, era legittimata dai paesi europei. La nuova ideologia nazionalista era
destinata comunque a non penetrare negli ambiti più tradizionali (rurali)
Mustafa Kemal, ovvero Ataturk
1908: colpo stato
Conflitto mondiale: l’impero sconfitto viene inizialmente smembrato nei suoi territori con trattato
Sèvres. I nazionalisti turchi attorno a Kemal porteranno avanti la resistenza militare che porterà
alla revisione trattato nel 1920.
Nuovo trattato Losanna: restituisce parte dei territori ottomani a Turchia.
Kemal abolirà la monarchia mantenendo solo figura spirituale califfo. Nel 1924 viene abolito anche
il califfo e viene proclamata la repubblica.
anni 20 del 900: kemalismo ovvero la rivoluzione culturale di mustafa kemal che sarà chiamato il
"padre dei turchi" (ATATüRK).
Tanzimat aveva impostato la laicizzazione che crea la premessa per modernizzazione turca.
anni 20 del 900: attacco del ruolo pubblico dell'islam (quel poco che rimaneva, già tanzimat
avevano tolto molto infatti)
le novità introdotte da Mustafa Kemal
Ataturk non ha nulla contro l’islam come fede religiosa (nel privato), lui vuole abolire il ruolo
pubblico della religione perché è legato a passato ottomano, metre lui vuole portare avanti il
processo di secolarizzazione forzata del paese. In quest’ottica prende alcune decisioni simboliche:
1) 1925: vengono messi al bando gli ordini sufi (abolizione)
2) 1928: viene introdotto l’alfabeto latino al posto di quello arabo
3) 1935: vengono occidentalizzati i nomi con l’introduzione di cognomi, che vengono imposti
dallo stato e tra cui cittadini dovevano scegliere
4) legislazione sociale (naturalmente autoritaria) a favore parità genere: 1911 primo liceo
femminile, poi 1916 diritto di divorzio, 1924 abolita poligamia, 1934 diritto di voto
occidentalizzazione della vita pubblica

l’Islam sopravvivrà soprattutto in zone rurali (nelle formazioni sufi in modo celato)

Ataturk introduce un principio di cittadinanza laico, ma è discusso se il modello di cittadinanza di


Ataturk abbia creato una concezione laica della cittadinanza. In qualche modo la cittadinanza era
comunque collegata alla componente religiosa, veniva quasi dato per scontato che un cittadino
turco fosse anche un cittadino musulmano.

lunedì 12 dicembre 2016


le riforme hanno permesso il kemalismo: cosa cambia con Kemal
Il rapporto islam-stato nell’impero ottomano è fondamentale perché piano piano l’islam si ritira
sempre più dalla sfera pubblica a quella privata. Il percorso inizia con le riforme. L’islam non è

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sfidato sul piano dei valori ma de facto piano piano si ritira. Alla fine, il processo culmina col
kemalismo, fenomeno interessante. Se non ci fossero state le riforme, il kemalismo non sarebbe
stato possibile. Le tanzimat sono però riforme moderne e laicizzanti, che mantengono però l’islam
come valore fondamentale e legittimante dell’impero (due piani difficilmente conciliabili e infatti si
vede che finisce male). Con Kemal invece, dagli anni 20 in poi, cambiano i valori di riferimento e si
parla di nazione e identità turca, identità fondata su criteri laici: sangue e lingua, una lingua
costruita artificialmente (osmanli riformato a cui si tolgono le parole persiane e arabe e si
sostituiscono spesso con parole europee o di altre lingue). Ma è comunque e sempre difficile
capire quanto effettivamente sia laico questo stato, a livello di non detto.
L’islam che rimane in sottotraccia: i partiti fondamentalisti
Nella Turchia moderna, anche se nel privato la fede rimane, rimane a livello clandestino, specie
nelle confraternite, ad es la NAQSHBANDIYA. La naqshbandiya è sempre stata capace di
sopravvivere in contesti ostili ed ha anche preso le armi (es espansione russa nel Caucaso tra 700 e
800) e anche oggi nel Caucaso contro lo stato islamico continua a svolgere questi ruoli di
resistenza. Il fondamentalismo turco continuerà a fondare partiti regolarmente sciolti dall’esercito,
che era l’incarnazione più importante del kemalismo (l’istituzione militare svolgeva anche un ruolo
pedagogico e rappresentava pubblicamente i valori dello stato laico e secolare). L’ultimo nome è il
partito della “salvezza” ovvero il REFAH, il leader era ERBAKAN, leader storico fondamentalista
con radici nella naqshbandiya.
L’AKP
Inoltre è proprio da questo partito che poi nasce il partito di Erdogan, l’AKP. Il riferimento
all’islam, con l’AKP, si è molto sminuito. L’islam qui e anche in altri partiti (es fratellanza
musulmana) è molto velato come obiettivo e si ripropone l’islam come cultura nazionale. Nell’AKP
c’è questo tipo di approccio. C’è riferimento al passato ma in chiave culturale e di identità
nazionale, infatti si parla di neo-ottomanesimo o neo-ottomanismo rispetto a Erdogan perché lui
dice “non dobbiamo vergognarci del passato ottomano, un grande impero, ma dobbiamo esserne
orgogliosi” ma in modo molto molto sfumato. Qualche osservatore ipotizza che questo potrebbe
essere il futuro dei partiti fondamentalisti: diventare partiti di centro destra in cui l’islam passa
come messaggio culturale e identitario ma abbastanza moderatamente (una specie di DC in chiave
islamica). Così è anche il caso del partito protagonista delle primavera araba in Tunisia: EN-
NAHDA.
Il controllo dello stato sulla religione ha permesso la riusita della modernizzazione
Dobbiamo sempre ricordarci che la caratteristica dello stato turco è sempre stata di un controllo
forte dello Stato sulle strutture religiose. Questo processo storico di secolarizzazione ebbe così
successo in Turchia e solo in Turchia probabilmente proprio per questo: dappertutto tra 800 e 900
nel mondo musulmano si è cercato di secolarizzare ma in tutti gli altri casi la modernizzazione è
stata parziale e in alcuni casi (es Iran) è proprio fallita. Solo in Turchia la cosa ha avuto successo e
proprio grazie al fatto che in Turchia le istituzioni politiche storicamente controllavano tutto,
anche le istituzioni religiose.
Le rivolte nazionaliste fomentate dall’Europa
Altro livello di ambiguità: l’evoluzione nazionalista nelle province arabe dell’impero ottomano.
Anche lì c’è un percorso di secolarizzazione che vede l’emergere del discorso del nazionalismo. Nel
caso delle province arabe c’è un fallimento: quello delle speranze nazionaliste arabe. Qui c’è un
ruolo ambiguo svolto dall’Europa che prima incoraggia le esperienze nazionaliste arabe (nel
Balcani la cosa è stata fatta dalla Russia e negli altri posti da UK e FR). Ci saranno le rivolte di
Lorence d’Arabia (VEDI FILM!) in cui la Uk protegge questi sentimenti nazionalisti arabi e sostiene
questa rivolta facendo credere agli arabi che sarà possibile un grande stato arabo dopo la fine del
WWI.

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Le speranze deluse di una grande nazione araba
Questo non accadrà perché FR e UK hanno altri progetti ed accordi (ricorda trattato di Sykes-
Picot). Questo trattato ha avuto un revival in questi anni perché tanti pensano che questo trattato
sia una delle cause della situazione di oggi. NEL 17 C’è LA DICHIARAZIONE BALFUR per fondare il
focolare ebraico in Palestina, tutte cose che stressavano i sentimenti arabi. Dopo la guerra gli stati
europei intervengono direttamente per stroncare la formazione di un grande stato nazionale
arabo in primo luogo con i protettorati formali e poi anche l’intervenendo diretto. Protagonisti
sono HUSSEIN, i cui figli, come contentino, sono fatti re degli stati disegnati dalle potenze
occidentali in quei territori. Poi uno dei figli, FEYSAL, prova a mettersi a capo di uno stato arabo
con capitale Damasco ma i francesi bombardano e nel 20 (2 anni dopo) si arrende.
Quindi c’è l’ambiguità tra sentimenti nazionalisti arabi che puntano a creare un grande stato arabo
e identità nazionali, fomentate dall’Europa: in un primo momento, quando si tratta di aiutare
questi nazionalismi così da indebolire l’impero ottomano, all’Europa va bene. Quando però questi
pensano di fare un grande stato arabo gli europei si inquietano.
Il panarabismo di Nasser
La speranza nazionalista araba altro non è che la riproposizione in chiave moderna di ricreare una
unità politica, ovvero un califfato. Questo califfato quindi sarebbe arabo (non turco o persiano).
Quindi scompare il califfato ma si ripropone una utopia e questa ambizione rimane molto
importante come idea. Questa idea si scontra con i nazionalismi locali. Quindi c’è questa
contraddizione: nazionalismo-riproposizione del califfato moderno. Questa contraddizione
indebolisce ogni tentativo politico del mondo arabo contemporaneo. Il più grande tentativo di
ricreare questo grande stato: anni 50 con il panarabismo di NASSER. Questa cosa influenzerà
tantissimi regimi, da quello Siriano a quello Egiziano, a Gheddafi in Libia. le élites militari di questi
giovani ufficiali salgono in molti Stati arabi e credono molto nel panarabismo ma la contraddizione
era che era un panarabismo fondato sull’Egitto e questo ruolo dell’Egitto provocava gelosie negli
altri Paesi arabi  si era condannati al fallimento. Che l’Egitto fosse laculla del panarabismo era
normale per la sua gloriosa storia ma non funziona comunque.
Altri tentativi di stato arabo falliti
Possiamo ricordare il patto arabo-sadita del 36, poi nel 45 la lega degli stati arabi (trova stati
fondatori). Poi c’è anche il tentativo fallito della repubblica araba unita nel 58 per creare unità tra
Siria e Egitto (nel 61 fallisce). C’è contraddizione ma è importante ricordare che la fine del califfato
crea un vulnus, un trauma che non si rimargina e rimane un anelito di riunificazione. Questa
volontà di costruire un centro si vede anche nel recente fondamentalismo islamico. Nel 28 nasce il
primo fondamentalismo in Egitto, la fratellanza musulmana, IKHWAN, fondato da HASSAN AL
BANNA, poi in India (ha successo in Pakistan), fondato da MAUDUDI, nasce il JAMA’AT-I-ISLAMI
nel 41. Questi sono i primi due fondamentalisti.
Banna non vuole solo reislamizzare: dice di voler ricreare un centro politico del musulmani.
Quindi tante contraddizioni e tanti rivolgimenti che vedono il mondo musulmano in quache modo
prendere attato di una sconfitta fondamentale non solo politica ma anche ideologica: la modernità
ha vinto facendo breccia nel mondo musulmano, che è cambiato fondamentalmente.

PERSIA

La posizione geografica della Persia


RISPETTO all’impero ottomano la Persia era relativamente nell’entroterra e anche abbastanza
isolata perché montagnosa. La posizione della Persia rispetto all’impero ottomano ha molto
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influito. La Turchia è sempre stata aperto verso il mediterraneo (anche e molto da un punto id
vista bellico): solo alla fine l’impero ottomano si è isolato rispetto all’Europa, ma prima ci sono
sempre stati contatti (l’impero ottomano si affaccia sull’Europa). La Persia invece è sempre stata
piuttosto isolata. Dobbiamo considerare anche che la Persia era un paese duro da un punto di vista
geologico: è arido, con vaste parti desertiche, pochi fiumi e laghi, poche precipitazioni. Tutta la
zona centrale della Persia è un deserto circondato da catene montuose. Questo è importante
perché c’è forte tendenza alla frammentazione e all’isolamento delle varie comunità l’una
dall’altra.
Una popolazione nomade
Inoltre c’è un grande fenomeno di dinamismo. Ogni stato che ha cerato di imporsi in Persia ha
sempre dovuto cercare un modo per gestire questi nomadi. In Persia nell’800 c’era solo il 50%
delle persone che viveva nei villaggi. Il 20 % degli abitanti vivevano nelle città, che erano poche (80
mi sembra) ma le città erano, a parte Teheran, poco popolose. Città importanti: ISFAHAN e
TABREZ. La componente tribale era molto forte. 25% della popolazione nell’800 era nomade con
16 gruppi tribali maggiori. Certi sovrani tenteranno di forzare questi nomadi a sedentarizzarsi. I
villaggi inoltre erano in genere autosufficienti. Abbiamo questo panorama di com’era la persia
nell’800 grazie a viaggiatori, ma contatti c’erano già nel 600. i contatti, però, sono scarsi fino ad
arrivare fino al 19°-20° secolo.
Una popolazione frammentata
Questa frammentazione è anche etnica e religiosa: la Persia era ed è ancora in parte un mosaico di
comunità etniche e religiose. Esistevano in Persia minoranze arabe, circasse, turkmene, baluci (o
vualuci?). c’erano i musulmani, sunniti, sciiti, cristiani, ebrei, zoroastriani. Insomma un panorama
variegato. L’elemento tribale ha svolto un ruolo importantissimo nella formazione di stati perché
molto spesso le migrazioni tribali hanno portato alla formazioni di stati e paradossalmente molto
spesso andavano al potere potenze straniere. Dal 600 fino al 20° secolo la persia è stata governata
da dinastie straniere e solo recentemente da locali.
La nascita della Persia moderna: da dove sbucano i safavidi
La persia moderna nasce all’inizio nel 500, nel 1501. È una evoluzione che ha a che fare con un
quadro confuso dell’islam: la dinastia che si forma in persia nel 1501, cioè quella dei Safavidi,
prima di diventare una dinastia regnante, era una confraternita sufi che risiedeva in Anatolia (che
era sotto gli ottomani). nasce nel 1200-1300 come confraternita sufi, né sciita né sunnita. Infatti
per capire cos’è dovremmo riferirci al panorama sincretistico in Anatolia in quell’epoca. Infatti in
Anatolia in quel periodo ci sono diversi culti popolari. Non c’è una scia colta, c’è un panorama
vagamente sunnita ma che vede culti molto forti legati alla devozione del profeta e dei suoi
discendenti (ali, Hassan, Hussein…). Quindi ci sono culti religiosi piuttosto diversi molto spesso di
natura popolare. I safavidi nascono qui. Non è un islam colto, istituzionalizzato.
Quello che accade è che le società musulmane, dopo le invasioni mongole, si ricostruiscono a
partire dalle confraternite sufi. Da confraternita diventano un movimento politico- culturale che
inizia a controllare un territorio e ad espandersi verso la Persia dall’Anatolia. e piano piano si
centralizzano. Il fondatore dei safavidi è SHAIK SAFIUDDIN.
Il primo shah: shah Ismail
Poi, nel 1501 lo SHAH ISMAIL si proclama shah di Persia, cioè sovrano della persia. Quando ciò
avviene, il movimento però è ancora piuttosto confuso. Infatti non è uno stato unitario ma una
confraternita che si è messa alla sommità di vari gruppi tribali che giurano fedeltà. Da un punto di
vista religioso è una cosa u po’ confusa, infatti ci sono elementi sunniti, sciiti e addirittura non
musulmani. La rivoluzione da un punto di vista religioso si ha con shah ismail perché lui mette in
ordine le cose e si dichiara sciita duodecimano (la scia colta e istituzionalizzata dei duodecimani).
Questo shah, per rafforzare le sue credenziali islamiche, non solo la dichiara la religione dello stato

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ma proclama di essere lui stesso reincarnazione di Ali, e essendo lui il 7° della dinastia dei safavidi
dice di essere il 7° discendente di Ali. Questa decisone dà alla dinastia safavide forza pazzesca.
Quindi questa dinastia, in un panorama così complicato, dà allo stato la possibilità di essere forte
di generazione in generazione. Questo ismail però continua furbamente a strizzare l’occhio alle
altre fonti di legittimazioni religiose. Per esempio usa molto il simbolo del fuoco, che nello
zoroastrismo rappresenta il bene. Dice pure di essere la reincarnazione di Gesù cristo. Sto qua
cerca di essere tutto: sufi, leader politico, leader religioso un po’ di tutto.
Come creare uno stato forte: l’esercito safavide e la schiavitù militare
I safavidi, concretamente, dovrebbero capire come fare a mantenere il potere in una situazione in
cui ci sono molti poteri semi-autonomi. I safavidi gettano quindi le basi del primo esercito
moderno in Persia. Questi stati infatti hanno sempre il problema del tribalismo, in cui si è fedeli al
capo tribù più che al sovrano. Quindi molto spesso i safavidi usano soldati stranieri, facendo anche
molto affidamento alla schiavitù militare, per slegarsi da queste tribù , e questo succede con i
discendenti di ismail nel 500-600.
L’ostilità tra safavidi e musulmani
Un’altra caratteristica loro è la costante situazione di ostilità e guerra con gli ottomani. C’era molta
competizione per la zona transcaucasica (tra mar nero e mar caspio). Ma questa cosa si trasferisce
anche sul piano religioso: ottomani-sunniti vs persiani sciiti. Questa rivalità durerà per secoli e in
questo processo si stabiliscono i confini moderni tra sunniti e sciiti perché il confine tra questi due
stati è anche confine religioso.
I safavidi e l’Europa
I safavidi dovranno anche gestire i contatti tra Europa e mondo safavide. Infatti ci sono i primi
contatti tra fine 500 e inizio 600 con protagonista soprattutto UK. In quell’epoca i commerci
europei verso oriente sono dominati da ES e Porto. I paesi protestati, però, che volevano
comunque arrivare alle spezie, e cercavano rotte via terra, perché i portoghesi dominavano sul
mare. Gli inglesi che arrivano in Persia ci arrivano per terra. La prima compagnia inglese si chiama
LEVANT COMPANY e negli anni 90 dal 500 manda una spedizione in Persia. Dal 1600 con lo
scioglimento della levant company e la scelta di abbandonare le rotte di terra per quelle di mare, si
fonda la EAST INDIAN COMPANY, che prosegue i contatti con la persia e acquisisce tramite
accordo con i safavidi il diritto di commerciare in Persia. Questi primi contatti con l’Europa poi
vedranno gradualmente la persia scivolare sotto influenza britannica. La Persia sarà controllata
dall’esterno da un punto di vista storico e politico.
L’imam occultato e il rapporto dinastia-ulama
Sappiamo che l’imam è entrato in occultamento  gli ulama sarebbero in contatto mistico con
l’Imam e questo fa esaltare moltissimo la posizione degli ulama. Gli ulama non dovrebbero
accettare un re perché spetterebbe all’imam governare. Inoltre dovrebbero gestire loro il potere,
quindi non sono inclini ad accettare lo shah, dovrebbero respingerlo e dirgli: governiamo noi.
Però nella realtà l’esistenza dell’imam occultato dà vita a due atteggiamenti diversi, usati a
seconda delle situazioni:
1) un atteggiamento attivo, in cui si dice “un potere politico laico –cioè un sovrano- non è
legittimo e cerchiamo di abbatterlo.
2) Un secondo atteggiamento, più cauto e passivo, che porta a dire : “ dato che l’imam è
occultato dobbiamo attendere il suo ritorno e quando tornerà sarà lui eventualmente a
decidere di fare jihad contro il potere esistenze”.
La politica degli ulama di prevenzione del danno
Quindi ci sono queste 2 tendenze. Se prevaleva la visione più attendista (quella passiva) gli ulama
poteva assumere una condizione in cui si tenevano lontani dallo Stato: lo stato diventa irrilevante
e loro amministrano le proprie istituzioni (moschee, madrase ecc.) e ci si teneva lontani dallo stato

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che poteva corrompere il credente. Si propendeva ad una visione chiamata “prevenzione del
danno” nel senso che si accettava il potere politico per prevenire un danno maggiore, proveniente
dal fatto di contestare il potere politico. Infatti senza un potere politico non ci sarebbe stato il
capo. Era meglio collaborare con il principe, anche se non legittimo, per prevenire un danno
ancora maggiore. Prevaleva questa posizione, che si avvicinava alla posizione degli imam sunniti. Il
caos è una posizione sempre peggiore.
Un precario equilibrio tra autorità religiosa e autorità dello stato
La risultanza di queste 2 possibili interpretazioni dava vita ad ambiguità non solo da parte degli
ulama ma anche della popolazione. A seconda delle situazioni prevaleva l’una o l’altra posizione.
Infatti ci ricordiamo che la dissimulazione, la taquiya, era ammessa. Quindi l’equilibrio autorità
politica-autorità religiosa era precario e veniva spesso messo in discussione: si decideva volta per
volta. Nei casi in cui lo shah aveva forte status religioso e in più il suo governo rientrava negli
interessi degli ulama (era amichevole con le istituzioni, li finanziava, li proteggeva, era uno stato
che proteggeva la shia da influenze esterne) allora tenevano una posizione quietista. Ma se la
dinastia cambiava e non era tanto legittimata religiosamente o era ostile o non riusciva a difendere
la patria della shia dall’Europa (come nel caso dei cagiari, cioè la diastia dopo i safavidi), allora
contestano il potere politico. In persia gli ulama sono stati flessibili e decidevano a seconda di chi
era al potere come comportarsi.
Da dove arrivano gli ulama sciiti
I safavidi erano molto legittimati: avevano creato la shia di Persia e la avevano proclamata
religione ufficiale. La persia a inizio 1500 non era un paese sciita, ma anzi era in gran parte sunnita.
Quindi di ulama sciiti in persia ce n’erano pochissimi. Quindi i Safavidi gli ulama li fanno venire da
fuori, specie dalla penisola arabica, di solito dal sud (Bahrein, Oman) e in parte dalla Siria. Durante
il periodo safavide (200 anni di durata) questo ha conseguenze importanti: nel periodo safavide gli
ulama erano stranieri e non avevano radicamento. Poi si radicano ma nei primi 100-200 anni non
avevano base politica, sociale e economica. Dipendevano dallo stato, che li finanziava. Questo era
un importante elemento che contribuiva a farli stare tranquilli. Questo finirà con i safavidi e con
l’ascesa dei CAGIARI (o QAJAR non italianizzato) che il rimpiazzano. Sotto i cagiari non
giocheranno un ruolo così.
Il rapporto safavidi-ulama: punti su cui gli ulama cedono e i privilegi
Nel periodo safavide la situazione è tale per cui gli ulama accettano cose che non avrebbero
dovuto accettare, cioè ad es questa posizione semidivina dello shah. Lo shah in periodo safavide si
dichiara ZILL-ALLAH, cioè ombra di Dio, ovvero una via di mezzo tra uno shah e un imam. Questa
era una pretesa che faceva a pugni con la teologia sciita.
A proposito di questa tendenza dei safavidi a blindare la loro posizione, vengono create prassi che
diventeranno poi tipiche della shia duodecimana. I safavidi estendono una serie di privilegi agli
ulama che saranno mantenute nelle epoche successive; questi privilegi saranno importantissimi
quando gli ulama entreranno in contrasto col potere.
A) in questo periodo gli ulama sono autonomi da un punto di vista economico, ma non solo:
sono loro a gestire la Zakat, quindi sono molto molto autonomi. Poi comunque la zakat
veniva ripartita ma si tenevano una parte molto importante della zakat.
B) Altra cosa importante è l’extraterritorialità delle moschee e delle scuole e addirittura delle
case degli ulama (se un ladro si rifugia in una mosche la polizia non può entrare salva
autorizzazione degli ulama). Questa cosa sarà importantissima nel 20° secolo quando ci
saranno i conflitti e specie nelle 2 grandi rivoluzioni:
- la rivoluzione del 1905-1906
- La rivoluzione khomeinista del 79

82
In questi 2 casi gli ulama si ribellano allo stato e possono rifugiarsi nelle moschee e lì fare anche
propaganda.
Questi privilegi, una volta assegnati, non vengono più tolti.

La i grandi riti safavidi


I safavidi inoltre creano delle grandi cerimonie pubbliche con delle liturgie in cui i safavidi si
appropriano della religione, vogliono sottolineare che i safavidi sono custodi della scia. In questa
fase gli sciiti si allontanano da questo sincretismo e le altre forme di religione vengono meno
tutelate. Lo shah avrà la consuetudine di offendere ritualmente il simbolo dell’islam sunnita. Si
insultavano ritualmente soprattutto i primi 3 califfi perché erano gli impostori di Ali. Questa cosa
diventa abituale ma prima non c’era. Si voleva anche occupare tutto lo spazio religioso e quindi
scacciare i sunniti dalla Persia. La shia doveva quindi creare forme religiose che sostituissero le
analoghe forme sunnite. Dato che nel sunnismo c’è il culto dei santi, formalmente vietato dalla
shia, gli sciiti creano il culto dell’imam. Si creano i pellegrinaggi e i culti alle tombe degli imam.
Attorno a queste tombe si creano dei cenotafi (simulacri) che diventano luoghi di pellegrinaggio. Si
chiamano IMAMBARAH, sono lapidi o cose simili e lo stato incoraggia i fedeli a venerarli. Si
incoraggia il culto dei fedeli discendenti degli imam cioè gli IMAMZADEH. Questa roba per
sostituire il culto dei santi sufi e riempire tutto lo spazio sacro. Questa tendenza porta anche
aspetti brutti: tra 500 e 600 ci sono ondate di persecuzione dei cristiani con conversioni forzate,
cosa molto rara, specie in epoca moderna.
Inoltre le caratteristiche processioni con le persone che si fustigano che ricordano il martirio di
Hussein, la martirologia sciita, nasce in questo periodo. C’era il culto anche prima ma la
celebrazione e la prassi nasce con i safavidi.
Questi elementi aiutano a spiegare perché i safavidi sono così legittimati.
La crisi
Poi i safavidi entrano in crisi tra fine 17° inizio 18° secolo. C’è un indebolimento dell’impero A)
all’interno a causa delle tribù semiautonome e B) all’esterno con l’intensificarsi della pressione
ottomana e di quella russa. Infatti russi e ottomani a inizio 700 prendono e si spartiscono la
transcaucasica (Russi mar caspio e ottomani Armenia e parte dell’Azerbaijan). Questo apre la
strada a una crisi che nel 1736 porta alla deposizione dello shah da parte di un leader tribale.
Segue una lotta che porta alla dinastia cagiara, che tiene il potere fino agli anni 20 del 900 con i
Pahlevi.
I cagiari: ascesa al potere e rapporto con gli ulama
Questo passaggio cosa rappresenta? La ridefinizione dei rapporti stato cagiato-potere degli ulama.
I cagiari non godevano dello status religioso dei safavidi quindi il rapporto con il potere inizia a
essere rivisto (in realtà la tendenza inizia già nel periodo di decadenza dei safavidi). Gli ulama
iniziano a dire che solo l’imam può governare in terra. Questo cambio di rapporti è determinato
dallo stato dei cagiari, che non si dichiarano discendenti degli imam e quindi non hanno
legittimazione. Inoltre, mentre prima gli ulama vivevano in territorio persiano, nel 700 molti ulama
si erano spostati a vivere dalla persia alle città che avevano valenza religiosa nell’attuale Iraq.
Quindi vivevano in questi territori sacri e erano lontani quindi più indipendenti.
I cagiari e l’influenza straniera
Inoltre sotto i cagiari c’è molta influenza straniera sulla Persia. La cosa inizia già nel 700 con la
pressione russa e ottomana. Nell’800 la cosa si sposta sul rapporto Russia-UK. Infatti la Russia
guardava all’Asia e voleva l’Iran per arrivare ai mari caldi. Dall’altra parte c’è l’interesse UK che
vuole Iran per proteggere il proprio impero in India. Già nel 700 sta usando l’Afghanistan per fare
lo stato-cuscinetto e vorrebbe fare dell’Iran un altro stato cuscinetto per proteggersi dalla Russia.
Nel 700 l’Iran vive una situazione simile all’Afghanistan e si trova in mezzo al “great game” tra

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Russia a Uk. Si trova piuttosto male in questa rivalità. In certi momenti cerca di giocare nello
scacchiere, ma nel complesso la Persia è sempre più controllata dal gioco di queste potenze
europee. Seconda metà dell’800 c’è grande penetrazione europea economica: gli UK hanno le
“concessioni” economiche e soprattutto di risorse : nel 1872 la persia garantiva formalmente ad
un privato cittadino britannico (BARONE DE REUTER) il monopolio per la costruzione di una
ferrovia, più diritti bancari e minerari e poi nel 1879 la concessione alle autorità britanniche del
diritto di fondare la banca centrale di Persia. Poi 1890 la famosa concessione del monopolio del
tabacco ad una ditta inglese (concessione simbolica per eccellenza perché a questa concessione gli
ulama persiani si oppongono lasciano la fatwa contro il tabacco cercano cioè di dire agli iraniani di
non usare più il tabacco). Queste concessioni saranno la rappresentazione del potere economico.
Come fanno i cagiari a sopravvivere per 200 anni?
Ma sti cagiari, così deboli, come fanno a tenere il potere per 200 anni? Per capire dobbiamo
riflettere sulla composizione del potere in Persia. In primo luogo dobbiamo ricordare che questi
erano una tribù turca che si era spostata dall’impero ottomano verso la persia ed aveva aiutato i
safavidi a prendere il potere. In periodo safavide lo shah aveva cercato di allontanare il pericolo di
questo tipo di componenti: avevano iniziato a frammentare e spostare in diverse regioni questi
gruppi (politica del divide et impera). Poi nei primi 20 ani del 700 con l’indebolimento dei safavidi i
cagiari si impongono e creano la loro dinastia. Con i cagiari ci sarà un tentativo di fondare uno
stato che fosse continuatore delle basi e delle tradizioni costruite dai safavidi, cioè esercito e
burocrazia stabile. Ma in periodo cagiaro le comunità locali diventano sempre più indipendenti e si
va verso una frammentazione della società, delle strutture statali e persino di quello che era stato
il glorioso esercito safavide, che torna sotto il controllo delle tribù. Fu per questo che nel 1779 i
safavidi fondarono la BRIGATA COSACCA, forza militare di élite con comandanti russi. Era una
brigata mercenaria che era l’unico corpo che rispondeva allo shah. Sarà da questa brigata che
verranno i PALHEVI, che faranno il colpo di stato negli anni 20. Questa era composta solo da circa
1000 soldati. Spesso quindi lo shah era ostaggio delle tribù, che avevano una forza militare alle
volte quasi superiore allo shah.
Come fanno quindi a resistere? Col dividi et impera, sfruttando le rivalità tra i vari gruppi etnici e
battendo in ritirata davanti ad ogni opposizione forte. Questo consentirà ai cagiari di resistere.
La popolarità dei cagiari minata dall’espansione occidentale
Un aspetto interessante è dato dall’espansione occidentale. Infatti dovranno subire questa
espansione. Questo aspetto, affiancato all’incapacità di opporre resistenza a questa penetrazione
politica ed economica, finisce per delegittimare i cagiari, specie agli occhi degli ulama e della
popolazione. Quindi abbiamo russi e inglesi, ma quello che accade è simile a quello che accade
all’impero ottomano. Subisce sconfitte militari sia dalle Ru che degli UK. Cosa provoca questo? Il
desiderio di emulare la superiorità tecnologica dell’occidente. Anche in Persia quindi vediamo
questa idea di carpire il segreto occidentale e riprodurlo in patria per resistere alla pressione
dell’occidente.
Il senso di identità persiano basato sulla scia
Altro tema è questo: questa pressione delle potenze ostili (ottomani sunniti, cristiani russi e uk)
farà sorgere un senso di identità persiano che si alimenta A con il fatto di essere la patria della scia
duodecimana e B con il glorioso passato persiano (tutto lo aspetto dell’essere la patria dello
sciismo ed anche il passato sassanide preislamico) questa doppia gloria della persia preislamica e
della persia sciita crea un senso di identità che la pressione delle potenze straniere finisce per
consolidare. È importante capire che nella società persiana la situazione di accerchiamento che la
Persia vive crea un senso di appartenenza. L’islam sciita diventa parte di una tradizione di cui tutta
la società persiana si sente parte, non solo gli ulama. Lo sciismo duodecimano diventa elemento
fondante della società e questo senso di identità, in uno stato così frammentato, è l’unico aspetto

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che dà un senso di appartenenza generale. Anche le persone laiche vedono nello sciismo un forte
elemento identitario e distintivo, perché era questo che li distingueva da russi, inglesi e ottomani.
Gli ulama a questo punto erano diventati popolarissimi e rafforzarono molto la loro identità nel
mondo del bazar, infatti saranno chiamati bazarì. Ci saranno forti connessioni di questo mondo
con gli ulama. Quindi questo aspetto di saper diventare una figura di connessione con il mondo
popolare e questa loro importanza religiosa dà la possibilità a questi ulama di essere molto più di
leader religiosi: diventano leader popolari e guidano rivolte, talvolta verso gli europei, talvolta
verso lo stato, debole di fronte all’Europa. Questi aspetti diventano importantissimi tra 19° e 20°
secolo.
Una modernizzazione parziale
i cagiari cercheranno di modernizzare ma non avranno successo come nell’Impero ottomano. La
strategia è la stessa: centralizzazione. Questa centrlizzazione prevede
- Scuole tecniche e militari: la modernizzazione parte dalle scuole tecniche nell’800 si
fondano scuole per gli ufficiali dell’esercito. Nella seconda metà dell’800 si accolgono
consiglieri militari (paradossalmente spesso sono russi) per modernizzare i reparti militari
persiani. Naturalmente questa politica è anche diretta a diminuire il ruolo dei leader
tradizionali.
- Gradualmente viene ridotto il ruolo delle figure di mediazione che tradizionalmente
collegavano potere e società (capi di villaggio, di gilde, di confraternite, di tribù…); questi
sono indeboliti per accentrare il potere.
- Importante sarà la politica educativa, che importa il modello europeo a spese del modello
tradizionale. Da questo punto di vista, un ruolo importante di iniziativa lo ebbero scuole
occidentali fondate su iniziative private: nell’800 lo shah permette a minoranze non
musulmane di costruire istituzioni educative (es istituzioni persiani es. la scuola
presbiteriana americana) queste scuole cristiane insegnavano materie moderne (storia,
filosofia, lingue…). Queste scuole inizialmente avevano come destinatarie le minoranze
cristiane, ma col tempo queste scuole aprono le porte anche a musulmani e si diffonde il
sapere occidentale in Persia (gli insegnanti erano europei).
Una modernizzazione discontinua
Bisogna anche dire che lo shah si faceva parte attiva della modernizzazione ma la sua politica sarà
meno energica di quella ottomana e molto meno decisa e incisiva, per evitare opposizioni. Infatti
lo shah aveva paura che la modernizzazione aprisse ancora di più le porte all’occidente. Un
esempio di questo carattere discontinuo delle riforme si vede nel caso della riforma del sapere
medico. In Persia la medicina europea va di pari passo con le missioni europee in Persia. A inizio
800 molti di questi medici europei si fermavano e lo shah chiedeva di continuare a lavorare lì. Ad
es i medici inglesi nel 1811-1812 introducono le prime vaccinazioni. Queste vaccinazioni
incontrarono grandissima opposizione degli ulama. Nella seconda metà dell’800 c’è il grande tema
delle epidemie e la quarantena provoca rivolte. Queste pratiche infatti erano considerate contrarie
all’Islam.
I problemi di queste riforme
Le riforme cagiare non riusciranno mai ad essere efficaci some lo sono state nell’impero ottomano:
non si riesce a fare un buon esercito e nemmeno un sistema amministrativo buono, nemmeno il
sistema fiscale funziona tanto. Contemporaneamente gli ulama si fanno sentire. Prima ancora
delle concessioni, già negli anni 40 dell’800, il tentativo di diminuire il potere degli ulama porta allo
scoppio di rivolte in diverse città, (una grossa nel 1840). Spesso lo stato in queste rivolte cede. Le
minacce al ruolo degli ulama erano determinate dal tentativo di diminuire la rigidità di
applicazione della sharia (si cerca di secolarizzare il diritto e di introdurre una riforma di stampo
europeo della legge). Si cerca di fare un codice nell’800, pur mantenendo la sharia.

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Le 2 forze che si oppongono al regime
Tutto questo processo non solo non ha successo ma finisce per portare alla caduta del regime dei
cagiari e questo per l’emergere di ben 2 forze di opposizione che si coalizzano.
1) Gli ulama che canalizzano la protesta popolare
2) L’emergere dell’intellighenzia occidentalizzata. In Persia, nonostante le riforme fossero
state inefficaci, si era formata una intellighenzia di giovani ufficiali, burocrati, gente che si
era diplomata in queste scuole occidentali. queste persone sono di formazione liberale e
guardano molto alla separazione dei poteri francese. A un certo punto questa élite dice che
l’assolutismo non va più bene: l’educazione all’occidentale deve essere affiancata dai diritti
politici. Vogliono il parlamento
Tra gli anni 80 dell’800 e l’inizio del 900 si crea un potenziale rivoluzionario basato su settori molto
distanti tra loro: un settore tradizionale, gli ulama sciiti, molto radicati soprattutto nel mondo del
bazar, del commercio tradizionale e molto rappresentativo, e gli occidentalizzati. Sono diversissimi
come identità ma vogliono entrambi far cedere il potere allo shah. La rivoluzione costituzionale del
1905-6 e anche quella khomeinista nasce da queste due basi di opposizione. La storia di entrambe
le rivoluzioni è la stessa: nascono dall’alleanza di questi due fronti. Poi questa alleanza sconfigge il
potere ma poi si spezza. questo accade sia nel 05-06, che negli ani 70. L’alleanza quindi rovescia il
potere ma poi non riesce a fondare assieme una nuova fonte di potere.

Mercoledì 14 dicembre ’16


Oggi parleremo di Persia/Iran
La teologia della liberazione
Il 900 in Persia vede susseguirsi 2 moti rivoluzionari, che si spiegano con la presenza dell’influente
gruppo degli ulama, gruppo coeso, organizzato che dispone di una “teologia della liberazione”,
tendenzialmente eversiva, dell’imam occultato, che in teoria è l’unico preposto a governare.
Ricordiamo che questo aspetto gli ulama lo hanno tirato fuori solo in alcune fasi storiche. A partire
dal declino dello stato persiano (tra Safavidi e Cagiari) gli Ulama iniziano a fare riferimento a
questa teologia di mancanza di legittimazione del potere politico e quindi della teorica
impossibilità per lo shah di governare.
Gli occidentalizzati
Accanto a questo clero così attivo c’è anche il gruppo degli occidentalizzati, frutto delle riforme
moderne introdotte in periodo cagiari. Assistiamo da questo punto di vista a un fenomeno simile a
quello ottomano: nasce una intellighenzia favorevole alle riforme moderne, che dovrebbero
essere accompagnate da una modernizzazione politica. Sia nel 1905 che nel 1906 (che nel 79)
vengono allo scoperto questi 2 gruppi che si alleano e formano un blocco di contestazione. Questa
allenaza è sempre stata di breve durata a causa della eterogeneità dei 2 gruppi.
Le cause della rivoluzione del 05-06
Rivoluzione del 05-06:
sono coinvolti gli ulama, il clero, collegati al gruppo dei mercanti tradizionali del bazar. Dall’altra
parte ci sono gli intellettuali radicali che guardavano all’Europa, specie al modello francese. Va
sottolineato il ruolo delle masse sia nella rivoluzione del 05 che in quella del 79. Non sono state
solo rivoluzioni di élite (che certamente hanno “mosso” le masse, ma le rivoluzioni sono state
partecipate a livello popolare). Sono entrambe nate dalle città (Teheran ad es) e all’inizio hanno
avuto cause di natura economica. Nel 1905 le cause scatenanti saranno:
- le conseguenze del cattivo raccolto
- Le conseguenze economiche della guerra russo –giapponese
Nella rivoluzione del 79 la scintilla economica è la crisi petrolifera (il prezzo del petrolio oscilla
tantissimo).

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Entrambe le cause della rivoluzione del 1905 provocano scarsità di prodotti alimentari e aumento
assurdo del prezzo dei beni (la farina aumenta del 90% e lo zucchero del 30%). Tutto questo si
insinua in un clima di già scarsa fiducia di mercanti e clero.
La rabbia verso l’occidente
Si prendeva a simbolo l’occidentalizzazione del mercato persiano (lo stato persiano aveva aperto i
mercati all’occidente). Si contestavano soprattutto i privilegi dei mercanti russi. Gli ulama
sacralizzeranno questa protesta. Evento molto simbolico: durante il ramadan del 05 ci sarà
esplosione della protesta associata al discorso di un dotto che durante il sermone protestò perché
la banca russa aveva acquistato un edificio, che era però una moschea con annesso cimitero. Si
prende questo episodio e un imam lo rende simbolico e ci fa un sermone sopra. La folla inferocita
uscita dalla moschea inizia ad assaltare le attività commerciali europee che erano nella zona. Negli
anni successivi ci sarà un forte processo di individuazione delle attività europee in Persia come
simbolo del potere europeo sulla Persia. I luoghi religiosi diventeranno un luogo di raccolta e
anche di rifugio grazie alla extraterritorialità.
Reazione del governo e controreazione
La polizia a queste proteste reagisce con una repressione, spesso verso i commercianti del bazar (li
incolpano anche di essere stati loro ad aver aumentato i prezzi) e vengono bastonati
pubblicamente. Ovviamente la protesta si intensifica ancor più. I 2 gruppi coinvolti protestano
entrambi ma su strade diverse, seppur parallele: gli ulama mettono al centro della protesta i luoghi
religiosi e per sfuggire alla repressione si barricano nelle moschee e alle volte anche in una città
santa fuori teheran: QOM. Da qui gli ulama proclamano uno sciopero delle attività religiose:
avrebbero lasciato senza guida religiosa la comunità dei fedeli fino a quando il governo non avesse
fatto riforme che avessero messo fine alla penetrazione europea e che modernizzassero il sistema
politico. I modernizzati invece si rifugiano nella legazione britannica e mandarono una delegazione
a chiedere allo shah un parlamento (MAJLIS, assemblea) e una costituzione.
La costituzione e la successione al trono
Cominciò un braccio di ferro in cui il governo sembrava voler fare concessioni ma poi si rimangiava
la parola. Dopo mesi di protesta lo shah MUZAFARUDDIN (stava pure morendo) nel dicembre del
06 concede la costituzione. I problemi sembravano finiti, ma il successore, MUHAMMAD ALI
SHAH, appena subentrato, cercò di ostacolare nuovamente le riforme (cercò di impedire le
elezioni) e questo provocò nuove ondate di scioperi che costrinsero lo shah a cedere. Nel 07 viene
convocata una assemblea costituente e da lì verrà eletta la prima assemblea nazionale.
Apparentemente la rivoluzione aveva successo e la monarchia era diventata una monarchia
costituzionale.
Il ruolo della corte dopo la rivoluzione del 06
Ma tra il 06 e il 09 si capì che i problemi non erano affatto finiti: non c’era solo lo shah da una
parte e gli oppositori dall’altra. Infatti c’erano molti gruppi della società persiana che erano legati
allo shah per il loro sostentamento (persone che erano legate allo shah e alla corte per
sopravvivere). Questo gruppo era molto eterogeneo, c’erano molti tipi di persone:
- alcuni ulama, che magari avevano anche gli allievi
- famiglie aristocratiche,
- grandi mercanti (che avevano paura che la rivoluzione portasse alla requisizione dei
patrimoni),
- piccoli impiegati e artigiani che lavoravano per la corte
- harem dello shah (mogli e persone che lavoravano lì)
c’era quindi una vasta economia di corte che voleva che la corte continuasse ad esserci. Avevano
paura che venisse istituita la repubblica e la corte fosse rovesciata. Tutto questo è importante

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perché c’è un potenziale di opposizione alla rivoluzione. All’inizio tutti questi erano stati buoni ma
poi iniziano ad avere paura che la monarchia sia abbattuta.
I primi provvedimenti della majlis
I primi provvedimenti che la majlis assunse fecero capire che i timori non erano infondati:
- istituì una banca di Persia (molti proprietari terrieri non si fidarono e vi si opposero).
- Altro provvedimento: approvò una legge di bilancio che tagliava molto i costi della corte.
Nel 07 nascono manifestazioni di piazza contro la rivoluzione.

Il primo screzio tra ulama e laici


Inoltre emergono le spaccature del fronte di opposizione allo shah (tra ulama e occidentalizzati):
nel 07 gli ulama chiedono di limitare l’attività legislativa: chiedono di formare una corte legislativa
scelta di ulama che controllassero l’operato legislativo del parlamento. Da un punto di vista
dell’islam questo non fa una grinza perché se c’è un parlamento c’è il rischio che venga infranta la
sharia, quindi ha molto senso che venga creato un organo che verifichi che le leggi siano
compatibili con la sharia. Gli intellettuali laici ovviamente reagiscono male e pubblicano dei panflet
con toni sarcastici in cui si diceva che le richieste erano anacronistiche e medievali e che quindi
qualunque settore della società avrebbe potuto chiedere di avere una propria corte suprema.
Le pretese delle minoranze e delle donne
Su questa falsa riga nacquero altre contestazioni perché tutti vogliono delle rappresentanze nelle
strutture dello stato, specie le minoranze religiose e le donne. È un problema perché donne e non
musulmani non potrebbero avere posizioni di governo sui musulmani. Questo è un principio
shariatico al quale spesso si è venuti meno nel corso della storia. Ma gli ulama dicono che non si
può. In particolare ce l’hanno con i zoroastriani (i parsi). Gli ulama dicono che questi non possono
avere posizioni di governo. Inoltre nella legge bisogna tenere una distinzione musulmani-non
musulmani (non ci può essere uguaglianza di fronte alla legge secondo gli ulama). Ovviamente
invece gli occidentalizzati la pensano al contrario e si schierano a favore degli zoroastriani. Dicono
che l’islam è una religione di eguaglianza e non si possono discriminare dei cittadini persiani di
fronte alla legge. Altro problema è delle donne: a un certo punto delle donne si costituiscono
gruppo politico e gli ulama definiscono questa associazione anti-islamica. I laici invece difesero
questa associazione.
Gli ulama che “forse si stava meglio quando si stava peggio”
Tutte queste controversie non fecero bene alla rivoluzione. Conseguenza: alcuni ulama sciiti
iniziano a pensare che alla fine forse si stava meglio col regime assoluto dello shah. Infatti con
questa rivoluzione stanno arrivando cose che cambiano la natura del sistema politico persiano.
Quindi alcuni ulama (tra cui alcuni leader della rivoluzione del 06) ruppero con gli occidentalizzati.
Alcuni si chiusero nelle proprie moschee, altri formarono delle associazioni apertamente ostili ai
laici. Inoltre fanno un manifesto in cui dicono che:
- vogliono la sharia più applicata
- chiedono che siano eliminate tutte le leggi che discordavano con la sharia
- chiedono ai parlamentari laici di stare lontani da parole e terminologie europee, specie
francesi (come nichilismo, egualitarismo…).
L’influenza francese sulla Persia
L’influenza francese era profondissima: risale ad ancora prima delle riforme cagiare. I legami
Persia-Francia risalgono addirittura al 1700. Questo legame non era solo dovuto al fatto che la
modernizzazione si era ispirata alla Francia, ma anche al fatto che l’illuminismo francese guardava
alla persia cercando un luogo immaginario dove proiettare determinate utopie che sfuggissero alle
monarchie europee. In FR nasce una moda persiana tipica illuminista che guarda alla persia di

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zoroastriana come una religione di razionalità e libero pensiero (gli islamici invece non gli stavano
simpatici). Nello zoroastrismo i francesi vedevano il lume della ragione, Zoroastro era considerato
una figura bellissima. AVESTA viene tradotto in francese. Con la scusa di parlare della persia i
francesi criticavano indirettamente la monarchia francese. L’esistenza di questa moda francese è
interessante perché getta le basi culturali del ponte tra Francia e persia. Quindi lo stesso
nazionalismo persiano sarà molto francesizzato e avrà grande simpatia.
La restaurazione dei poteri dello shah
Tutto questo spiega perché tra intellettuali laici e ulama si crea così tanta incompatibilità. Sulla
scena interna si crea una opposizione monarchica, che trae forza dal fatto che molte persone in
Persia si rendono conto che la situazione economica non era tanto migliorata con la rivoluzione
(infatti molti di questi laici pensavano al lassez faire come principio economico). Quindi scoppia
una nuova guerra civile tra monarchici e antimonarchici tra 1907-08 che consente allo shah di
approfittare della situa: grazie alla brigata cosacca (Palhevi fu tra loro) fondata nel 1879.
Nell’estate dell’08 questi intervengono e rinstaurano il potere assoluto dello shah. Molti leader
della rivoluzione vengono uccisi o cacciati, ma fuori dalla capitale si resiste  c’è caos.
Il ruolo dell’occidente nella crisi
Le potenze occidentali non stanno a guardare. Infatti se finora per Russia e UK la persia era
importante strategicamente, ora, nell’08 viene scoperto il petrolio in Persia, tra l’altro da un
cittadino britannico, D’ARCY. Quindi tutti cercheranno ancor più la Persia. Quindi UK e RU non
vedono altra soluzione se non dividersi la persia stabilendo 2 zone di influenza (zona
settentrionale, tra cui Teheran e Isbahan sotto la Russia) e una zona a sud-sudest sotto controllo
UK. Il resto della zona meridionale neutrale. Tra il 9 e l’11 a causa del peggiorare della situazione,
saranno occupate militarmente, perché inglesi e russi manderanno le truppe a controllare la
situazione.
La sorte della Persia con la WWI
La situazione era tale per cui le dinamiche interne e internazionali si combinavano. Le ansie
europee per le sorti politiche della persia tendono a diventare ancora più forti con l’inizio della
prima guerra mondiale: durante la WW1 uk e ru strinsero il loro controllo sulla Persia. La brigata
cosacca avrà 10.000 uomini, e UK aveva una brigata, che formalmente era persiana ma di fatto
inglese, che controllava il sud. Alla fine del conflitto mondiale il territorio persiano sfugge
completamente al controllo dello stato. Con la rivoluzione russa del 17 ci sarà un vuoto colmato
dalla uk, che diventa padrona assoluta della situa. Il controllo britannico sulla Persia era tale che a
Versailles nel 19 la UK riuscì ad impedire che la Persia presentasse una richiesta danni per i danni
subiti in guerra. La delegazione persiana cercò di contattare gli USA per risolvere la cosa ma Wilson
non ce la fece. Pur non essendo formalmente colonizzata, la Persia è completamente sotto
controllo UK. Un controllo diretto però era considerato non realizzabile perché ormai tutti
vedevano male il colonialismo. Non si poteva nemmeno fare un protettorato.
Il colpo di stato
Si era anche pensato ad una sorta di cambiamento interno alla dinastia formalmente regnante
(con una abdicazione), ma alla fine si decide per il colpo di stato del 21 della brigata cosacca. Fu un
colpo di stato nel quale la presenza inglese, seppur non dichiarata, fu chiarissima. Nel 21 il
comandante della brigata cosacca (nato in Persia ma di origini giordane), ovvero REZA KHAN, poi
noto come REZA SHAH, si insedia inizialmente come ministro della difesa, poi nel 26 si fa nominare
shah della Persia con il titolo, inventato di REZA PAHLEVI (infatti non era persiano e non lo era
neanche il corpo che comanda) (palhevi era il nome di una importante famiglia ed era come si
chiamava la lingua persiana colta). Rimarrà fino al 79. Cosa comportò tutto questo?
Lo stato che si impone sulla società

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Intanto ricorda innanzitutto che, sin dall’inizio, la Persia era caratterizzata da stato debole e
società forte. Il regime Pahlavi (ci sono 2 sovrani prima ci sarà Reza Khan, poi cederà il potere al
figlio Muhammad reza costituisce il primo caso in cui lo stato prova a imporsi davvero sulla società
in modo laico e con un fortissimo nazionalismo persiano. Cerca addirittura di rifondare le basi
Dello tato: doveva essere il passato della monarchia persiana e non l’islam. Si arriva a cambiare il
calendario, non più quello islamico, ma che partiva da 1000 anni prima perché questi si pensavano
come continuatori della monarchia persiana. Questo per scavalcare l’islam e rifarsi allo stato
persiano. Questo era anche per diminuire l’importanza degli ulama. Lo stato viene riformato in
questo senso e nel 30 Pahlavi dichiara che da oggi ci si chiama Iran, termine che si rifaceva a una
dimensione geografica-linguistica-etnica. Si cerca di provocare discontinuità. Queste sono state le
caratteristiche fondamentali.
L’abdicazione e la sucessione di Muhammad Reza
C’è molta differenza tra il pre e post 1941 (anno in cui Reza Khan abdica a favore di Muhammad
Reza). Lui vuole mostrarsi come un baluardo come l’influenza europea, difensore della dignità,
dell’identità persiana e persino delle istituzioni religiose sciite – lo shah cerca di farsi vedere per
esempio mentre si reca verso luoghi religiosi o va in pellegrinaggio, con contrapposizione diretta
contro gli imam.
dopo l’ascesa al trono reza khan fonda il proprio potere su tre pilastri
1 esercito
2 burocrazia
3 corte
escludendo i religiosi dai settori dello stato, la politica del regime segue intenti nazionalisti con la
celebrazione dell’Iran e della sua tradizione monarchica. Sono passati 1500 anni dalla monarchia
persiana. In secondo luogo fa forte modernizzazione economica e centralizzazione dello stato e
occidentalizzazione culturale del Paese.
- L’esercito è importantissimo nel programma dei Palhevi per entrambi i monarchi. In pochi
anni l’esercito iraniano diventa il più importante del Medioriente. Prima lo costituiscono
con l’aiuto inglese e poi con l’aiuto USA. Fino al 46 il bilancio dell’esercito aumenta di 10
volte. Si introduce la circoscrizione obbligatoria e si passa da 40.000 a 100.000 unità.
- Riforma anche della scuola, che diventa laica. Le istituzioni religiose vengono sempre più
marginalizzate. Nasce l’università di Teheran che ha solo insegnanti o occidentali o persiani
che si sono laureati in occidente. Riforma amministrativa persiana. Vengono introdotti i
codici di diritto europeo che sostituiscono la legge islamica. Nel 36 si stabilisce che i giudici
devono aver preso la laurea a Teheran o in occidente  ulama del tutto estromessi. Quindi
c’è questa grande modernizzazione (che in parte si ispira molto a quella di Ataturk in
turchia, infatti tra l’altro i 2 si conoscono).
- La persia occidentalizza anche i costumi. Divieto del velo per le donne e obbligo di vestirsi
all’occidentale. Si vedranno scene di poliziotti che strappano il velo alle donne (con
Khomeini sarà il perfetto contrario).
La sottovalutazione della forza della religione
Questo processo però è forzato e imposto dall’alto. Le stesse caratteristiche di modernizzazione
sono seguite da reza pahlevi. Questo non capirà quanto la società facesse fatica ad adattarsi
questa cosa. In occidente la cosa viene decantata tantissimo ma l’occidente commette il grave
errore di sottovalutare quanto la tradizione religiosa fosse radicata nella società iraniana e di come
prima o poi per forza la reazione sarebbe giunta. Nel caso turco le élite religiose avevano poco
spazio di azione, invece qui le figura religiose avevano una posizione sociale e una autonomia che
permetterà di produrre delle reazioni. Bisogna stare però attenti a non dare una lettura
semplicistica di questo percorso: come vedremo il clero sciita non è coeso contro lo shah. Tra gli

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ulama più anziani c’era chi pensava che il regime dello shah poteva comunque essere conveniente,
perché non impediva agli ulama di fare il loro mestiere e permetteva ai credenti di credere e
praticare. Alcuni ulama tra l’altro pensavano che lo shah potesse essere un baluardo contro il
comunismo male ancora peggiore.
Khomeini, Khamenei e Rafsanjani
L’opposizione allo shah non emergerà dagli ulama più prestigiosi, ma una schiera secondaria di
ulama (tra cui Khomeini) allora giovani e rivoluzionari (alcuni poi saranno famosi perché saranno
l’élite rivoluzionaria: KHOMEINI, KHAMENEI, RAFSANJANI. I più anziani invece si mantenevano
piuttosto neutri. Ricorda che il clero iraniano è molto verticistico, quindi chi era più in alto doveva
essere obbedito. Mano a mano che lo stato avanza la sua offensiva nella società, di pari passo il
clero si radicalizza: quelle che all’inizio erano le idee radicali di quel gruppo di giovani ulama
diventano sempre più condivise.
Il neopatrimonialismo
Quindi anni 20 e 30 riforme che trasformano l’amministrazione statale iraniana in una élite
amministrativa e burocratica occidentalizzata. La lo shah era furbo e cooptava tutta una serie di
persone: proprietari terrieri, latifondisti, grandi mercanti, industriali. Con tutto questo si
diffondono vitalizi da parte della corte. L’Iran in questo periodo è ciò che oggi chiameremmo
NEOPATRIMONIALISMO. Questo si applica bene a diversi stati del Medioriente che godono di
risorse (ad es attraverso il petrolio), di cui lo stato si appropria e poi lo stato le redistribuisce
dandole a categorie che è importante avere dalla propria parte. Questo modello si collega a fonti
di finanziamento e risorse economiche indipendenti rispetto al consenso della società (lo stato può
fare a meno della leva fiscale per mantenersi  non ha bisogno del sostegno della società per
mantenersi  li tratta come vuole perché i soldi arrivano da altre parti e può non democratizzarsi.
Qui non vale no taxation without rappresentation. Qui questa cosa c’è A perché hai gli usa che ti
finanziano in chiave anti-russa B perché hai il petrolio). Molti Stati del golfo e l’arabia saudita sono
stati chiamati così.
Alcune novità con Muhammad Reza
Le istituzioni democratiche rimanevano formalmente vigenti (c’erano la costituzione e il
parlamento) quindi formalmente era una monarchia costituzionale. C’era un governo, ma era
nominato dallo stato senza consultare il parlamento. Forte controllo su stampa e messa fuori legge
dei partiti di opposizione. Vengono anche sottomesse le tribù più riottose. Viene portata avanti la
politica di sedentarizzazione forzata delle tribù. Di fronte a una sfida del genere, gli ulama non
sono coesi: molti cercano di evitare lo scontro diretto con il regime. Ci sono episodi di consenso
aperto <3. Ci fu uno scontro verbale quando lo shah andò in visita pubblica a KOMM (?) e un alim
lo insultò per le riforme e anche la moglie che era senza velo. Lo shah lo colpì fisicamente.
Uno spiraglio deluso di opposizione all’occidente
C’era l’idea che lo shah potesse essere un baluardo contro l’influenza straniera. Si pensava che lo
stato, essendo forte, potesse difendersi dall’ingerenza straniera. Es. aveva abolito la giurisdizione
extraterritoriale di cui godevano gli occidentali. Abolisce anche il diritto UK sulla compagnia
telegrafica, il diritto di battere moneta e altri diritti, come quello di girare per l’Iran senza
permesso. Ricorda anche che UK si sta indebolendo e USA sta ascendendo. Ma non appena lo shah
cerca di abolire la concessione, sotto mano britannica, alla compagnia petrolifera inglese è la
ANGLO-IRANIAN OIL COMPANY. Quando nel 33 lo stato cerca di abolire questa concessione
compare una flotta uk al largo della costa. Lo shah cede e firma un accordo in cui viene aumentata
la quota degli introiti che spettava all’Iran e viene rinnovato l’accordo per altri 30 anni. Si
prevedeva anche che l’Iran non potesse modificare l’accordo unilateralmente (senza consultare
uk).
Perché il regime entra in cirisi?

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1) Una reazione da parte della società, specie i settori tradizionali
2) Ingerenza europea e americana: hanno paura che l’autoritarismo e il crescere del
malcontento verso di esso, alla vigilia della WWII portasse a destabilizzazione e al controllo
da parte di forze antioccidentali e filogermaniche del Paese. La persia diventa di nuovo
strategicamente di grande importanza: dopo l’attacco tedesco alla Russia nel 41, l’Iran
diventa essenziale come corridoio strategico per mantenere e sostentare la Russia (
l’Iran non poteva cadere in mano DE). Una influenza DE in Iran c’era dagli anni 20-30
perché avevano aiutato a modernizzare. Allo scoppio WWII c’erano ancora dei tedeschi,
che erano tecnici, in Iran. E si aveva paura che i tedeschi potessero tentare un colpo di
stato in Iran per imporre un regime filo-tedesco. Oggi sappiamo che la DE mise in campo
una attività spionistica molto intensa nei paesi arabi, sfruttando i sentimenti antieuropei.
Qual era la strategia degli alleati? Fare pressione sullo shah perché espellesse i cittadini
tedeschi e perché facesse usare le infrastrutture iraniane (Iran era rimasto neutrale) per le
esigenze militari occidentali. Ma lo shah si oppone e non vuole né espellere i tedeschi né
lasciar usare le ferrovie ai militari.
Nel 41 c’è l’abdicazione forzata
Le potenze alleate allora considerano varie opzioni. Si volevano evitare colpi di stato e si voleva
evitare che il malcontento facesse cedere il territorio a mani sbagliate. Nel 41 c’è il culmine:
avanzata tedesca nel Caucaso spinge le potenze alleate a dare un ultimatum a dare uno shah. Lo
shah si oppone dicendo che l’Iran è neutrale. quindi gli europei occupano l’Iran: sovietici a nord e
usa e uk a sud (credo, verifica). All’inizio pensano addirittura di richiamare un cagiari. Invece alla
fine si fa abdicare reza e al suo posto sale il figlio, molto più docile, MUHAMMAD REZA. Il cambio
al vertice dà la speranza per una democratizzazione d’Iran. All’inizio infatti fa pensare che la
rivoluzione potesse essere evitata e che si potesse avere una svolta democratica.
Muhammad palhevi all’inizio è moderato: la figura di Mossadeq
All’inizio anche il padre aveva iniziato il suo mandato in modo moderato. Anche il figlio, dal 41 al
53, Muhammad è un sovrano costituzionale, che cerca rapporti positivi con il mondo religioso
specie con il MARJA-E-TAQLID, allora era l’AYATOLLAH BURUJERDI. Bisogna dire che di finora
c’era stato sempre più di un marja e invece ora ce n’è solo uno. Perché? Perché più lo stato si
centralizzava e organizzava, più gli ulama volevano anche loro riorganizzarsi e essere ok pure loro.
Questo primo periodo sarà seguito dal 53 al 79 da una nuova centralizzazione statale e dalla
modernizzazione del paese che riprendeva le mosse autoritarie dal padre. Quello che fa
precipitare la sita è il rapporto Iran-paesi stranieri. In particolare nel 1951 c’è il problema della
nazionalizzazione delle risorse petrolifere. Infatti nel 51, in un clima di apertura democratica,
nomina primo ministro il capo del partito nazionalista laico un leader di nome MOSSADEQ, che
guida un governo di coalizione. Questi decidono di nazionalizzare la anglo-iranian company dietro
risarcimento. La reazione occidentale inizia con il boicottaggio, il congelamento dei conti iraniani
all’estero. Cause  collasso finanziario e chiusura diplomatica on UK. Ma soprattutto nel 53 UK e
USA (specie cia) decidono di scatenare un colpo di stato interno militare, utilizzando l’opposizione
interna dell’esercito iraniano. MOSSADEQ viene rovesciato e viene ristabilito il potere assoluto
dello shah. Nel 54 viene national iranian oil company che è insieme di potenze occidentali.
Lo shah ha di nuovo potere autoritario e assoluto
Conseguenze: dal 53 lo shah governa in modo molto autoritario. Lo shah passò da autoritarismo a
semi-totalitarismo costituendo una sorta di sacralizzazione dello shah- quindi si va allo scontro
aperto con gli ulama. Quindi shah e il ceto medio –sia quello moderno, che temeva l’autoritarismo,
che tradizionale di ulama e bazar che si sentono minacciati dall’occidentalizzazione-. Questa
situazione mette in difficoltà anche tutta quella parte del clero che finora era stata incline a
difendere lo shah. Questa nuova svolta autoritaria isola i moderati e spinge l’opposizione verso

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elementi più radicali, che stavano facendo aperto dissenso verso lo shah. Ricordiamo che c’era
anche una opposizione laica. Nel 40 era nato un partito comunista, detto TUDEH. Attenzione, dagli
anni 50, l’Iran, con l’esercito più potente del Medioriente, diventa la chiave più importante per gli
USA in Asia durante la guerra fredda: infatti in Medioriente il panorama era piuttosto sfavorevole
per gli usa (molti erano comunisti o non allineati). Quindi per gli Usa è importantissimo l’Iran nella
guerra fredda. 55 central trade organizazion Iran con turchia pakistan inghilterra e un altro che
non ho capito che usa creano per fare un cordone in Asia. Questo processo autoritario ma anche
di profonda riforma totalitaria, vede negli anni 60 l’inizio della rivoluzione bianca, che, seppur
ispirata negli usa, dove si voleva democratizzare il paese, si traduce in un processo ancora più
autoritario del regime. Infatti si toccano certi gangli, specie nel commercio tradizionale, che
provoca rottura tra stato e società. Si parla quasi di culto della personalità. Questo è interessante
perché il processo di centralizzazione del regime vede la formazione di un culto della personalità.
A un certo punto lo shah crea il partito della rinascita, dando vita ad un sistema monopartitico, e in
un libro che si chiama la filosofia della rivoluzione dell’iran, questo partito detto luce della razza
ariana aveva sradicato il concetto di classe e risolto definitivamente ogni conflitto di classe. Veniva
affermato che lo shah non era solo leader politico, ma anche spirituale, un vero e proprio culto
della personalità. Una simile offensiva crea una ancora più forte reazione da parte del settore
religioso.
Una modernizzazione ineguale, l’autoritarismo e il malcontento
A questo punto, tra anni 50 e 60, esisteva un malessere diffuso in diversi settori, malessere che
tende a vedere nell’islam, negli ulama, i principali portavoce. Non c’era soltanto questa (c’era
anche un fronte marxista). In particolare c’era un altro leader laico che emerge e esercita la sua
influenza: è un ideologo importantissimo, che si chiama ALI SHARIATI, che era un teorico di una
rivoluzione in Iran che combinava socialismo e islam sciita. Un personaggio eterogeneo che aveva
studiato sociologia in Francia che portava idee di rivoluzione tra il socialismo e lo sciismo. Queste
idee si diffondono molto in Iran negli anni 60 e aiutano la rivoluzione. La scintilla che porta alla
rivoluzione è la rapida modernizzazione economica degli anni 60 e 70 determinata in gran parte
dall’aumento del prezzo del petrolio (nel 73 triplica il prezzo). Questo flusso di denaro che entra
nelle casse dello stato porta una modernizzazione molto forte ma molto disordinata e ineguale:
1) i giovani immigrati provenienti dalle campagne (che fromeranno un sottoproletariato
urbano e che poi sarà bacino principale della rivoluzione khomeinista) e
2) il ceto medio tradizionale e del bazar che godevano solo marginalmente della crescita
economica. Invece ne godevano molto le nuove élite moderne legate alla corte dello shah.
Queste 2 categorie non condividevano l’ideologia dello shah e guardavano agli ulama sciiti.
I 3 orientamenti degli ulama
In che fasi gli ulama si mobilitano in senso rivoluzionario? Tra gli anni 60 e 70 c’erano 3 diversi
orientamenti di opinione tra gli ulama:
1) Gruppo moderato apolitico che pensava che gli ulama dovessero pensare solo al lato
spirituale e non occuparsi della politica
2) Opposizione moderata, rappresentata da ulama anziani e influenti, che risiedevano a QOM,
uno di questi era SHARIAT-MADARI. Questi qui volevano la monarchia perché avevano
paura che se cadeva il regime potesse succedere qualcosa di ancora peggiore (es regime
del tutto laico)
3) Una opposizione radicale, guidata da Khomeini e i suoi compagni. Questa corrente
estremista voleva rovesciare gli shah e Khomeini pensava addirittura (tanti ulama non
condividevano questa cosa) che lo shah dovesse essere sostituito dalla “tutela del giurista”
ovvero VILAYAT-E-FAQUIH (da fiqh) cioè un sistema in cui ci sia un giurista, che conosce
profondamente le leggi, che ha il possesso dell’essenza mistica delle leggi e che attraverso

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questa conoscenza effettua una supervisione sull’intero sistema. È una visione parecchio
estremista, a cui si opponevano molti ulama, che continuano a opporsi anche dopo la
rivoluzione (Khomeini ne incarcera alcuni).
L’ambiguità di Khomeini
Cosa interessante: Khomeini fa capire le sue idee a spizzichi e bocconi. Infatti prima del 79 non
dice bene che governo vuole fare dopo l’espulsione dello shah. E Khomeini colpì di sorpresa gli
osservatori occidentali: infatti in occidente c’era una visione molto miope dell’Iran di quel periodo
(interviste recenti dicono che negli anni 70 non c’erano persone che sapevano il persiano nelle
ambasciate occidentali). Queste idee di Khomeini lui le aveva esposte in alcune lezioni
universitarie poi raccolte in un libro ma era scritto in persiano e in occidente non lo legge nessuno.
Grazie a questa ambiguità Khomeini raccoglie attorno a se molte persone. Questa ambiguità e
l’uso di un messaggio politico molto vago gli permettono di mettere in piedi una alleanza di ulama
attivi e laici. Crea un fronte contro lo shah riuscendo a svelare le vere intenzioni solo dopo il 79, a
rivoluzione avvenuta. Così mette nel sacco anche i laici che lo avevano aiutato a cacciare lo shah.
Khomeini sceglie l’esilio, prima in Turchia, poi in Iraq poi in Francia. Aveva questo profilo di leader
radicale nelle sue scelte. La sua abilità era variare il tono del discorso a seconda dell’uditorio. Nei
discorsi pubblici di anni 60 e 70 riesce a rimanere su toni molto generali, attaccando anche
violentemente il governo per aver lasciato entrare l’occidente e per aver lasciato che gli iraniani
andassero contro gli arabi. Nelle interviste che però arrivavano a molte persone, al pubblico vasto,
non diceva di voler applicare il VILAYAT-E-FAQUIH, di quello parlava solo agli studenti di teologia. A
un certo punto inizia a Parlare dei “diseredati” che sono gli iraniani a cui è stata tolta la loro
legittima eredità. Fino alla fine lui non proponeva un programma islamico ma un messaggio
populista antitotalitario e vago che si batte per la democrazia senza spiegare davvero cosa voleva
fare.
La crisi petrolifera e la rivoluzione del 79
La svolta c’è a metà anni 70 a causa dello sbalzo del prezzo del petrolio. Con il calo dei tassi di
crescita, lo shah mette in atto una repressione che colpisce molto quelli del bazar. Poi con Carter
che vince nel 76 si sottolineano molto i diritti umani e c’era pressione internazionale sull’Iran. Nel
78 il giornale di Teheran pubblica un articolo molto duro di Khomeini, che era ancora a Parigi. Era
un articolo molto offensivo (si insinuava fosse omosessuale). Questo articolo provoca proteste che
provocano scontri sanguinosi con la polizia. A questo punto si ebbe islamizzazione della protesta:
le moschee diventarono centro di mobilitazione della protesta. Nel mese di muharram del 78, su
invito di Khomeini dall’estero (registrava i sermoni su cassette audio diffuse clandestinamente),
quindi dicevamo a dicembre 78 gli abitanti di Teheran vanno contro il coprifuoco per protestare
contro lo shah e usano tutta la ritualità del martirio di Hussein per fare la protesta. Nel 79 a
gennaio il regime torna. Lo shah è già all’estero per curarsi e lì rimane. Il crollo del regime si ha
quando l’esercito si schiera dalla parte della folla. Poi Khomeini arriva in air france da parigi.
La seconda fase della rivoluzione
Per concludere l’aspetto importante è che questa è solo la prima fase della rivoluzione: la seconda
fase è dal 79 n poi e prevede tra il 79 e l’80 l’islamizzazione del Paese. Gli esponenti laici della
rivoluzione vengono emarginati e fatti fuggire in esilio. Viene introdotta una sorta di islamizzazione
strisciante della rivoluzione. Questo processo, molto abile, lascia che siano i suoi attivisti, specie gli
estremisti, i pasdarham grafiaaa, a chiedere con proteste di piazza l’introduzione del sistema
islamico del VILAYAT-E-FAQUIH. Sarà una islamizzazione strisciante dal basso, lui si piazza a Qom e
“riceve” queste richieste. I negozi di beni non islamici vengono chiusi, le donne vengono fatte
coprire. Nel marzo del 79 viene fatto referendum in cui si chiede se le persone sono favorevoli alla
creazione di una repubblica islamica (vince al 98%). C’è questo aspetto misterioso e ambiguo per
cui una rivoluzione di popolo, di massa e che non era stata solo islamica ma anche laica e

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socialista, diventa una rivoluzione islamica. Le stesse donne avevano partecipato alla rivoluzione
del 79 pubblicamente. Le attiviste scendevano in piazza contro lo shah per esempio, ma saranno
poi oppresse in 4 e quattr’otto. Molti affermeranno che la rivoluzione è stata tradita. Ci sono
aspetti eterogenei combinati al VILAYAT-E-FAQUIH: c’è sovrapposizione della “guida del giurista”
che si sovrappone a una repubblica parlamentare. Le istituzioni precedenti rimangono, ma al di
sopra di tutto c’è la figura dalla guida, del RAHBAR, che fu Khomeini fino a quando morì. Dopo fu
nominato KHAMENEI, che sta sopra le istituzioni e ha il potere di cambiare le decisioni di
parlamento, primo ministro ecc. quindi questa figura controlla tutto. Questa eterogeneità
conferma il modo strano in cui si è arrivati alla rivoluzione.

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