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Conservazione di oggetti, fenomeno antropologico, conservare gli oggetti o le reliquie degli antenati
è un costume già presente nella preistoria. Portare oggetti nell’aldilà significa infatti attribuire ad
essi un valore diverso rispetto ad altri.
Differenziazione e conservazione alla base della civiltà del collezionismo. Accumulo come
fenomeno religioso; templi mesopotamici ed egiziani e greci che possedevano una ricca collezione,
pratica che si protrae fino al Medioevo, ma anche fenomeno oltre che religioso di natura profana,
come il caso dell’esaltazione della potenza di un Dio, di un sovrano, di una città o il lusso di una
monarchia teocratica ( trono del Re, che ha diritti e doni garantitegli dal Dio stesso, legittimazione
alla sovranità assoluta).
Es. spoliazioni di Babilonia, nel XII secolo a.C. da parte degli abitanti di Elam, che esposero gli
oggetti saccheggiati nella loro capitale Susa, come spoliazione bellica
Tesori greci: costituiti in origine, da offerte votive, per le quali venivano costruiti piccoli edifici
omonimi (thesauroi da cui deriva il termine tesoro) all’interno dei santuari, considerati per tempo e
storia come i primi depositi di opere d’arte. Costituiscono una fonte di datazioni storiche, ricavabili
dalle dediche scritte sugli oggetti stessi. Tempio greco, col tempo diventa un vero e proprio tesoro
di accumuli. Si passa da un vano angusto in cui venivano conservati gli xoana (prime statue votive
lignee) ad un autentico spazio espositivo con stele, erme, lapidi, statue, vasi e altre offerte votive
poste nella cella, e nel pronaos, sulla scalinate, sotto gli occhi di tutti. Da Wunderkammer barocca
ad ambiente specializzato in tutti gli aspetti, dalle pinacoteche (pitture) alle calcotheche (acropoli di
Atene), oplotheche (armi), imathiotheche (abiti).
Durante il periodo ellenistico il collezionismo si sviluppa soprattutto concentrandosi nelle mani dei
principi, governatori e ricchi, a differenza dell’età classica in cui le collezioni erano pubbliche.
Ricordiamo anche Attilo I, governatore di Pergamo (II secolo a.C.) in questo senso una delle figure
più importanti dell’Ellenismo, rappresentante del nuovo collezionismo basato sull’integrazione dei
saperi che creò un complesso culturale con una notevole raccolta di opere, il primo di dimensioni
enciclopediche, che conteneva anche un’importante biblioteca. Diretto interessato e assertore
dell’interscambio culturale e intellettuale fondato sul dialogo e la conversazione, gli elementi
strutturali e gli ambienti della cosiddetta macchina del sapere pergamena, dove si riprendono i
complessi monumentali di Efeso, (complesso museale assieme a Delo/pinacoteche pubbliche),
comprendono: collezioni di opere d’arte, biblioteche, giardino e orto botanico.
Inoltre in questo periodo comparvero per la prima volta, la figura del mercante d’arte, incaricato dal
collezionista di trovare le opere, e quella del critico d’arte. Interesse dato, nel mondo ellenistico,
anche alla conservazione degli oggetti, dove si utilizzavano colla di pesce, cubetti d’acqua e olio per
creare un ambiente protettivo e consono alla pittura e i metalli dei depositi museali.
Nell’ambito dell’intero bacino mediterraneo così come nell’Egitto tolemaico, Alessandria occupa
una posizione importante nel campo della letteratura, l’erudizione, la ricerca scientifica. Alcune tra
le istituzioni culturali più famose create dai Tolomei furono: la Biblioteca e il Museo. Tolomeo
Sotere, fondatore della dinastia, organizza intorno al 280 a.C. il Museo con l’intento di offrire a
scienziati e letterati i mezzi per praticare le loro discipline senza doversi preoccupare del
sostentamento: come tentativo di risolvere il problema del rapporto tra potere e intellettuali. Grazie
al binomio Museo-Biblioteca, Alessandria diviene patria della scienza pura ed applicata. (Al suo
interno erano presenti anche una scuola di medicina e un osservatorio, dove compirono ricerche
astronomi e geografi celebri come Aristarco, e matematici come Euclide e Archimede)
Complesso alessandrino: giardino botanico, serraglio, anfiteatro, sale di lavoro e refettorio
Tale focolare culturale non si spense neanche neppure in età Romana, laddove si prese come
riferimento l’istituzione ellenistica soprattutto per i movimenti di pensiero del neoplatonismo e
dello gnosticismo. Da luogo sacro alle Muse ( mouseion) quale definizione primitiva, si passa
all’edificio della scuola filosofica e le istituzioni di formazione superiore specifica in età imperiale.
Pompeo, Cesare, e in precedenza altri consoli, dettero inizio a un costume che divenne ben presto
tipico dell’età imperiale, che si può riassumere con la frase: “Graecia capta cepit victores” per
indicare il collezionismo romano costituito per la maggior parte di oggetti provenienti da bottini di
guerra, come il saccheggio di Siracusa e quello di Corinto. Questi bottini venivano esposti nelle
grandi strade della capitale come simboli di vittoria o sottratti per abuso di potere. Da queste
premesse nasce anche il commercio dell’arte e la replica in copia delle opere. Un’importante figura
nel contesto della rivalutazione dello stato romano e della riqualificazione del territorio e della
cultura, è Marco Agrippa, consigliere di Augusto. Egli si dimostrò personaggio rivoluzionario per
l’epoca in cui visse, in quanto cercò di caldeggiare l’idea che lo stato romano dovesse trasmettere la
cultura e l’arte al popolo trasferendo a Roma, quindi rendendo pubbliche, le collezioni custodite
nelle grandi ville d’otium private.
Sappiamo che l’abitudine di trasportare le sculture greche a Roma per collocarle a ornamento delle
ville, determina il venir meno della loro funzione sacra, e l’affermarsi di quella estetica,
iconografica e simbolica. Dopo il declino dell’impero romano d’Occidente, a Bisanzio, l’imperatore
Costantino VII, appassionato di archeologia, mise assieme nella sua residenza oggetti provenienti
dalla Grecia e da Roma. Tale raccolta era semiprivata, e veniva mostrata al pubblico solo in alcune
occasioni. I primi veri e propri tesori che vennero a crearsi per motivi protettivi, a causa della
sempre più crescente mole di invasioni e guerre, si fanno risalire ai secoli VII e VIII; uno dei più
antichi è quello della cattedrale di Monza, fondato nel VII secolo dalla regina Teodolinda, moglie
cattolica del re ariano/longobardo Agilulfo.
Da questo esplicativo episodio possiamo constatare come: la porta aperta sul museo, la strada
spianata a determinate concezioni culturali, e il nucleo originario del museo è sempre da ricercarsi
nella Chiesa, che è stata la prima vera custode di oggetti, e la prima a dedicare all’allestimento delle
raccolte di reliquie e reperti naturali (che convissero nelle chiese assieme ai reperti archeologici), un
interesse di tipo museografico.
I reperti archeologici sappiamo che in epoca medievale, venivano usati, nella maggior parte dei casi
come riserve di materiale pronto ad essere reimpiegato a scopi edilizi. Abbiamo ad esempio nelle
chiese, colonne, capitelli e frammenti di età classica che portò all’annullamento della loro funzione
estetica in favore di quella sacra, anche se estranea al reperto specifico. Jean de Berry, Ciriaco
d’Ancona etc, furono invece, i principali protagonisti delle prime raccolte in ambito laico: dove si
conservavano le opere e gli oggetti preziosi in un luogo privato, antenato degli studioli
quattrocenteschi, e ognuna era accompagnata da un inventario esemplare, compilato dal duca
stesso, e rappresentativo della sua volontà collezionistica. C. d’Ancona, fu il primo mercante
d’arte/archeologo, che girò il mondo acquistando codici antichi, sculture e medaglie e trascrivendo
epigrafi. Collezione che viene descritta nei Commentari in sei volumi, della biblioteca andata
distrutta nel 1514, di Alessandro e Costanza Sforza a Pesaro.
Studiolo: uno dei primi studioli, forse situato ad Aquisgrana, era appartenuto a Carlo Magno, che vi
affiancò una cappella e una biblioteca, l’ambiente segreto e privato così ricreato prendeva il nome
di Sacellum. Luogo appartato e destinato alla meditazione in ambienti monastico-cristiani prima, e
umanistico-laici dopo, inizialmente voluti come privati o accessibili a pochi eletti, essi costituirono
una tappa fondamentale nel fenomeno del collezionismo e nella sua storia, poiché è da qui che si
svilupparono le prime forme di museo privato. A differenza poi delle collezioni enciclopediche e
delle Wunderkammern, gli studioli erano direttamente collegati al loro committente dal programma
iconografico, spesso deciso a priori. La decorazione degli spazi era spesso difficile da interpretare e
decifrare per gli estranei, es. programma iconografico del Palazzo Ducale a Urbino di Federico da
Montefeltro, che prevedeva la celebrazione delle virtù politiche e degli interessi umanistici del
duca: in esso si mirava a riprodurre, mediante la decorazione uno spazio unitario tutto illusorio.
Fine cinquecento: volontà da parte dei collezionisti di esporre le raccolte ad un pubblico più ampio
e in luoghi meno appartati, che consentissero una presentazione delle opere di maggior effetto, nello
stesso periodo si esaurisce in Italia il fenomeno degli studioli, il cui spazio veniva avvertito come
angusto e limitato sia fisicamente che concettualmente. La galleria affonda le sue radici nel mondo
classico ed è più adatta all’approccio con il pubblico e al bisogno di celebrazione dei committenti.
Le gallerie italiane divennero così il luogo ideale per una buona esposizione e per la celebrazione
della potenza del principe, tanto da diventare una delle caratteristiche obbligate delle case nobiliari.
Ricordiamo che però, inizialmente le gallerie non avevano funzioni espositive, ma solo di
collegamento fra parti tra loro distanti dei grandi palazzi. A Roma, sappiamo che la galleria trova un
uso decisamente più scenografico grazie all’abbinamento con l’estetica barocca. A Milano abbiamo
la galleria Visconti, concepito come ambiente prediletto e adatto all’esposizione, che aprirà la strada
al museo moderno vero e proprio. Alla fine del XVIII secolo, grazie all’intervento urbanistico di
Vasari, vennero utilizzate sistematicamente per l’installazione della collezione medicea.
In Italia ci furono delle differenze a livello regionale nel rapporto che si venne a creare con l’antico,
visibile soprattutto nei centri urbani e nei luoghi del potere: si va dal museo privato del Nord, al
museo ideale della città di Firenze.
Gli oggetti antichi diventano per gli umanisti fiorentini, che studiavano la civiltà greca attraverso i
testi e i resti archeologici vari tramandatici dal tempo, un sussidio didattico allo studio approfondito
del mondo classico, e per artisti e nobili ebbero anche un valore estetico. Un caso importante è la
raccolta di opere antiche della famiglia Medici, che usava queste come strumento per ottenere
consenso della città e per affermare il proprio prestigio sociale. Lorenzo il Magnifico era particolare
intenditore della glittica classica, e allestì anche una sorta di museo all’aperto nel giardino di San
Marco, riservato ai giovani artisti per completare gli studi sui modelli antichi e moderni, dove si
formerà anche Michelangelo. La famiglia Medici proseguì la sua opera protezionistica, iniziata da
Lorenzo il Magnifico, con la costituzione nel 1563 dell’Accademia delle Arti del Disegno, per
rafforzare la cultura locale e salvare dalla dispersione le sue opere più importanti. Francesco I, figlio
di Cosimo, a favore del collezionismo privato, trovò le due fonderie di Palazzo Vecchio, e allestì lui
stesso un grande laboratorio-fucina nel Casino di San Marco, i cui prodotti confluirono in parte
nello studiolo. Egli ordinò, dopo la morte del padre, le collezioni in spazi più ampi, riordinando le
raccolte all’interno degli Uffizi, per offrire al pubblico un panorama di tutto lo scibile in un museo,
con finalità didattiche e rappresentative. Il Rinascimento italiano, perfeziona così, il concetto di
museo e di collezione, in un’ottica antropocentrica. E tale esempio lo seguirono anche altre nazioni,
come Austria e Francia.
Il progetto di Paolo Giovio. Il nuovo luogo delle muse: Paolo Giovio tentò un recupero
dell’antico facendo costruire nel 1543 a Borgo Vico, sul lago di Como, una villa composta di vari
ambienti fra cui giardini, portici, e cortili per predisporre le proprie collezioni. Una delle sale della
villa, nella quale si trovava una collezione di ritratti di uomini insigni, da lui stesso illustrata, venne
fatta decorare con immagini delle Muse: da qui, la riscoperta del termine Museo, che prevedeva un
programma iconografico e una complesso architettonico monumentale, punto di riferimento di una
larga cerchia di persone. Uno dei meriti di Giovio è stato quello di comprendere la necessità della
costruzione di ambienti che andassero predisposti per luoghi differenti e per diversi tipi di raccolte,
dimostrando così una precisa attenzione per la fruizione da parte del pubblico di queste strutture.
Una dimensione molto diversa ma costruita secondo l’impostazione gioviana fu quella del museo
del Cardinale Federico Borromeo a Milano, che fondò la Biblioteca Ambrosiana (1609) e
l’Accademia (1612), allo scopo di rafforzare la difesa della religione cristiana attraverso pratiche
culturali.
Nel XVIII secolo si cominciò a considerare la divulgazione del sapere come una responsabilità
pubblica: molti sovrani sin convinsero di tale idea, e si persuasero che la trasmissione del sapere
fosse necessaria ed essenziale al progresso. Città come Bologna e Basilea, furono tra le prime a
fondare musei e biblioteche pubbliche. In Francia, il Jardin des Plantes a Parigi rientrò in questa
nuova valutazione del valore istruttivo del museo: fatto realizzare nel 1640 da Luigi XIII per
l’esercitazione degli studenti di Medicina e per la coltivazione delle piante medicinali, nel 1739
diventa un vero e proprio sistema didattico, con musei, padiglioni e laboratori, e venne aperto al
pubblico, trasformandosi in Museo Nazionale di Storia Naturale.
Mentre in passato le collezioni private di principi e nobili, pur avendo una funzione culturale molto
importante in quanto oggetto di studio da parte di artisti e studiosi, si rivolgevano a un pubblico
ristretto e selezionato, con l’apertura al pubblico di questi musei, nata con finalità didattiche, la
figura del collezionista perse man mano importanza e il controllo e la gestione delle raccolte
passarono alle istituzioni, Accademie e Università. Nello stesso periodo si colloca l’opera di Caspar
Friedrich Neickel, sulla Museografia, nel quadro della riflessione generale intorno al museo, che per
la prima volta, descriveva e analizzava le forme esistenti di museo, con attenzione particolare ai
suoi elementi costitutivi e ai suoi contenuti. Il testo è un vero e proprio gioiello della Museografia,
ossia un viaggio/analisi descrittivi attraverso i musei del tempo, intendendo il termine in
un’accezione diversa da quella attuale.
Rivoluzione francese e musei: nel 1789, con la Rivoluzione francese iniziò il processo di confisca
dei beni, considerati beni nazionali, requisiti dallo Stato inizialmente al clero, e successivamente
agli aristocratici e alla Corona. Ci furono anche però, episodi di forte contraddizione, da un lato
abbiamo l’impeto rivoluzionario con vandalismo e distruzione nei riguardi di tutto ciò che era
legato all’Ancien Regime, dall’altro si impose il rispetto legislativo per la conservazione delle
vestigia e dei monumenti storici, ai quali venne riconosciuto un valore storico e artistico, sganciato
dal significato politico e religioso. Il museo fu quindi utilizzato sia per sancire il carattere di
proprietà collettiva e il controllo da parte della Repubblica, sia perché luogo atemporale che
neutralizzava la simbologia di opere e oggetti. Tutti i beni che si trovavano nelle dimore reali, così
come in quelle degli emigrati, e degli ordini monastici soppressi furono trasportati al Louvre, che
divenne subito il simbolo della posizione del governo rivoluzionario, che intendeva affermare la sua
superiorità rispetto alle precedenti formazioni di potere. Il nuovo Museo, rivela a differenza delle
raccolte private dei principi, con sensibilità e gusto personale del collezionista, un forte senso
didattico. Concepito come archivio universale, con il fine di rappresentare un’immagine del mondo
universalmente valida e attendibile, e fornire anche un sapere enciclopedico sulla base di una logica
classificatoria positivista, tipica del XIX secolo anche.
Sappiamo così che durante la Rivoluzione Francese, ma più scopertamente con Napoleone il museo
diviene un affare di Stato, un istituzione di indubbia utilità. E anche le opere che durante la
Restaurazione post Napoleone vennero restituite ai proprietari d’origine e ai Paesi d’origine, non
potendo più essere patrimonio di collezionisti privati, passano in ogni caso in raccolte di nuovi
musei appositamente creati.
Dibattito architettonico e interesse per l’archeologia: All’inizio del 1800 il museo subisce una
profonda trasformazione sia nel suo significato che nella sua fisionomia, si afferma il concetto di
museo come monumento, con funzione di contenitore delle collezioni artistiche; l’istituzione
museale, inserita nel contesto urbano, diventa punto focale e di aggregazione urbanistica.
Prime nazioni sviluppate su tali principi sono la Germania, l’Inghilterra e gli Stati Uniti, dove si
definiscono i modelli per l’architettura del museo: il Tempio Greco, la Cupola del Pantheon
romano, le Ville rinascimentali palladiane. Si delinea anche in questo periodo, quella forma
architettonica del museo la cui solennità, amplificata spesso dalla presenza di una scalinata
d’accesso, contribuirà nel tempo a tracciare la distanza dell’istituzione museale dal pubblico: si
comincia a configurare il concetto della “soglia” delineato da Adalgisa Lugli, che ancora oggi è
considerato insuperabile.
Lo sviluppo dei grandi musei, in tale periodo, è legato all’interesse per l’archeologia e per le
vestigia storiche, diffusosi dalla metà del XVIII secolo, e rafforzatosi tra il 1798 e il 1799, dopo le
campagne napoleoniche in Egitto, che contribuirono a far catalizzare l’interesse sulla civiltà
egiziana, inizialmente e dopo su quelle sumeriche, babilonesi e assire. Con il Romanticismo poi si
arriva all’interesse diretto per l’archeologia locale, per le origini del proprio paese o città
(nazionalismo), amplificato dall’affermarsi delle identità nazionali, e dal fermento rivoluzionario.
Ludwig I, futuro re di Baviera, nel 1814, indisse un concorso d’architettura a Monaco, per la
costruzione di una gliptoteca (glittoteca: collezione di pietre dure incise/statue) per la sua
collezione. Il progetto, che avrebbe dovuto ispirarsi al Pantheon di Atene, doveva tradursi in un
edificio in stile greco con un porticato di otto colonne doriche scanalate, fu vinto da Leo Von
Klenze. La gliptoteca però fu costruita secondo altre premesse e criteri di esposizione: portico
ottastilo, con colonne ioniche e non doriche, non scanalate, le pareti a destra e sinistra del portico
erano prive di finestre e con edicole vuote, di derivazione classicamente rinascimentale e non greca,
utilizzate per esporre le statue.
Le sale furono divise per periodi, e le sculture disposte secondo una sequenza cronologica, che
partiva dall’arte dell’antico Egitto, intesa come fondamento della scultura greca, e proseguiva con la
nascita e il fiorire dell’arte Greca, l’evoluzione di quella Romana, per terminare con sale dedicate ai
moderni Canova, Thorwaldsen, Schadow, etc. La realizzazione si concluse nel 1830.
Tra il 1825 e il 1830, venne istituito poi in Germania il Museo Reale di Berlino, su progetto
dell’architetto Karl Friederich Schinkel, dopo rinominato Altes Museum. A conoscenza dei nuovi
modelli dell’architettura museografica (Roma, Parigi, Londra). Schinkel prese ispirazione da questi
per la realizzazione della sua opera. Venne edificato di fronte al castello barocco, rivolto verso la
piazza, il portico presenta 18 colonne ioniche scanalate tra due pilastri quadrati agli angoli estremi.
Nell’interno del museo troviamo la ripresa della sala rotonda del Pantheon, fulcro dell’edificio,
nella zona centrale. L’architetto definiva questa come il santuario dell’edificio, e la considerava lo
spazio della contemplazione, idoneo a preparare spiritualmente lo spettatore alla visita del museo.
In sintonia con la tendenza del Romanticismo all’elevazione dell’arte a una sfera quasi religiosa.
Schinkel trasse ispirazione dalla sala rotonda del Museo Pio Clementino, e in seguito questo fu un
motivo molto impiegato nei progetti museali. La rotonda simboleggiava la nuova visione del museo
come tempio dell’arte, e non costituiva una vera e propria sala di esposizione, le statue collocate tra
le colonne corinzie si integravano al contesto architettonico. SPAZIO circolare = simbologia sacra
(presente sia nella Gliptoteca di Klenze che nell’Altes di Schinkel)
Differenze: Klenze aveva celebrato e glorificato l’arte greca, Schinkel propose una visione dell’arte
in senso storico: come processo continuo proiettato al futuro, con un allestimento secondo “scuole”
in cui l’apice della disposizione doveva essere costituito dal Rinascimento.
Esposizione così formata: Fondatori delle varie tendenze; maestri principali; ottenere un’idea
completa dei grandi maestri degni di nota; mostrare i pittori nazionali che fossero anche artisti nel
modo più completo possibile; moderare l’esposizione di maestri dalla individualità limitata;
rappresentare solo uno o due esempi di maestri di minore importanza. Esempio di perfezione
stilistica-artistica. Raffaello, per Schinkel e Waagen, storico dell’arte e direttore del museo.
Scopo principale del museo Altes: favorire la formazione spirituale di una nazione attraverso la
contemplazione del bello. Altri progetti di Klenze sono: l’Alte Pinakothek, sempre sulla base, come
l’Altes, delle opere del Rinascimento, rispetto a quelle greco-romane; Ermitage, a San Pietroburgo,
tra il 1839 e il 1851, in stile greco-romano, con collezioni di diverso genere.
Stati Uniti: Il museo come istituzione e bene comune si colloca negli Stati Uniti nella seconda metà
dell’Ottocento, da collezioni private. Il desiderio di affermazione della nazione si concretizza sia
attraverso le donazioni di diverse collezioni da parte dei privati che le ritenevano sempre più spesso
un bene comune da offrire all’ammirazione pubblica, sia attraverso l’acquisto di opere d’arte,
avvenuto tramite canali non proprio ufficiali. Vennero fondati il Metropolitan Museum of Art di
New York, per iniziativa di una cinquantina di industriali e collezionisti, il Museo delle belle Arti di
Boston, i musei di Philadelphia e di Chicago, e successivamente i musei di provincia. I primi musei
americani si ispiravano al modello Europeo, ma a differenza di questi, non erano strumento della
rivoluzione o dell’Imperialismo, ma erano istituzioni con un netto orientamento didattico,
soprattutto manifestazione dell’iniziativa privata di magnati dell’industria, interessati al
collezionismo, come forma di investimento, e come forma di prestigio sociale. (capitalismo museale
alla base della nascita dei musei in America) definibili come imprese-museo, cioè un luogo di
cultura da gestire come un’attività imprenditoriale he svolge un ruolo attivo di orientamento del
gusto del pubblico imponendo, attraverso i canali dell’industria culturale, pressioni e mode. Tale
modello diverrà basilare per i musei mondiali nel secolo successivo, XX e tutt’ora continua a
presentarsi come tale.
Il quartiere venne arricchito con anfiteatro, biblioteca e scuola d’arte. Il nuovo edificio, rinominato
Victoria and Albert Museum, è un edificio singolo, dominante, con una fronte lunga 213 metri, una
torre ottagonale al centro e dei padiglioni lunghi 60 mentri fiancheggiati da torri a cupola. Lo stile
della facciata mescola motivi rinascimentali con motivi franco-fiamminghi e a differenza degli
edifici medio-vittoriani è poco ornato. Presenta inoltre un’enorme entrata sotto la cupola e tre piani
di gallerie illuminate ai lati, adibite all’esposizione.
1800 = grande secolo del museo pubblico. L’arte non è più collezionismo ma luogo del consumo
collettivo, tutti i cittadini vengono chiamati a partecipare al nuovo rito e a formare il ruolo indistinto
di pubblico del “conoscere organizzato”. Museo al servizio dell’istruzione e della divulgazione.
Il museo contemporaneo: Museo come custode del passato, ma anche fautore del progresso. La
stessa cosa non si può dire per il museo d’arte: che diventa luogo per l’esposizione delle opere degli
artisti passati e non contemporanei. Nel corso del XIX secolo il museo aveva avuto il compito di
diffondere anche le opere degli artisti contemporanei, tanto che pittori e scultori come Rodin,
d’Angers, Turner, Moreau, effettuarono lasciti e donazioni per garantire l’ingresso delle proprie
opere. Dunque divario tra fine Ottocento e inizio Novecento nella concezione del museo. Questo
perché si diffonde l’idea che il museo sia prima di tutto luogo della salvaguardia dei valori del
passato e della tradizione, così le opere degli impressionisti e post-impressionisti saranno ignorate.
Come conseguenza di questa situazione nasce il museo d’arte moderna. Nel 1919 il giornalista e
disegnatore Andry-Farcy assume la direzione del primo museo d’arte moderna, istituito in Francia,
a Grenoble, che accoglierà per prime le opere di Matisse, Picasso e Marcel Sembat, diventando per
eccellenza il museo che si rivolge agli artisti contemporanei. Nel 1929 poi, si costituisce il primo
nucleo del MoMA (Museum of Modern Art) a New York, ad opera di ricchi collezionisti e cultori
d’arte che organizzano, grazie al primo direttore, Alfred Barr, una serie di mostre contemporanee
consacrando artisti come Cezanne, Gauguin, Seurat e Van Gogh, come padri dell’arte moderna.
Mentre fino ad allora i musei americani non si erano distaccati molto dagli esempi europei, ebbero
l’occasione con il museo d’arte moderna di scoprire qualcosa di nuovo, senza storia o tracciato da
seguire. Per Alfred Barr, la funzione educativa del museo era essenziale, quindi il museo non
doveva solamente documentare, ma avrebbe dovuto svolgere un ruolo attivo nel sollecitare un
dibattito critico in tutti i campi di sua competenza. E non doveva limitarsi a considerare le discipline
tradizionali, ma doveva accogliere fotografia, architettura, disegno industriale e film, ovvero l’intera
gamma della cultura visiva contemporanea. Sulla base di tali premesse si fondano tutti i musei
mondiali contemporanei.
Trasformazioni: Le trasformazioni del ruolo del museo si leggono anche sul piano progettuale;
l’architettura abbandona definitivamente l’idea del museo-monumento, e per quanto riguarda le
pratiche museografiche, gli allestimenti, sotto l’influenza del Bauhaus, (scuola fondata da Gropius
nel 1919) tendono alla semplificazione per valorizzare gli oggetti esposti, gli sfondi diventano
neutri, e si studiano le più idonee condizioni di illuminazione. Vengono creati depositi e gallerie per
la custodia dei quadri e oggetti non esposti e l’organizzazione delle mostre temporanee diventa
sempre più frequente, perché non appare più opportuna l’esposizione di tutti i pezzi delle collezioni,
in quanto il compito del museo NON è più quello di fornire una materia di studio il più esaustiva
possibile, almeno al visitatore non specialista. Tra il 1920 e il 1936 si collocano gli esperimenti
museografici di Alexander Dorner, storico dell’arte berlinese e direttore dal 1923 del
Landesmuseum di Hannover. Partito dagli insegnamenti di Riegl, vicino al Bauhaus e amico di
Gropius, egli crede sia impensabile organizzare un museo su idee e categorie immutabili, proprio
perché ciò che contiene, l’arte, è sempre in continua evoluzione. E di conseguenza il museo di arte
contemporanea non potrà assumere forme definite, come l’arte stessa che accoglie, e dovrà
assecondare le dinamiche che quell’arte stessa esprime. Sono suoi i primi veri esperimenti di
allestimento moderno con: “Gabinetto astratto” in collaborazione con El Lissitskij ad Hannover e il
progetto per la “Sala del nostro tempo” con Moholy Nagy, del 1925.
Così il museo si trasforma sia nell’ambito della fruizione delle opere e degli spazi ma anche nelle
modalità diverse di rapportarsi al pubblico. Si cerca sempre più di sollecitare la partecipazione
attiva dello spettatore/visitatore all’interno del museo, soprattutto studiando i suoi comportamenti,
dove ad esempio, in America negli anni Venti, si realizzano reportage fotografici sull’affaticamento
del visitatore di fronte l’opera d’arte.
Fondazione dell’ICOM:
Già nel 1926, a causa dell’interesse per i problemi inerenti il museo, la conservazione e il restauro
delle opere, sotto l’egida della Società delle Nazioni, viene fondato l’Office International des
Musees (OIM), che pubblica la rivista Mouseion.
La prima riunione internazionale del 1927 verte sulla pedagogia del museo. Nel 1934 viene
organizzato a Madrid il secondo incontro dell’OIM, che fu la prima conferenza internazionale di
Museografia; gli interventi dei relatori saranno poi pubblicati in due volumi dal titolo
Museographie, Architecture et Amenagement des Musees d’Art, che costituiscono il primo manuale
di museografia applicata, ripreso e aggiornato dall’UNESCO alla fine degli anni Cinquanta. Come
sappiamo, nella prima metà del Novecento il museo viene ferocemente avversato dalle avanguardie,
nella seconda, un complesso recupero di valori ne fa una delle istituzioni centrali del mondo
occidentale. Tant’è che per la prima volta nella storia si crea un organismo internazionale, l’ICOM
(International Council of Museums), per il coordinamento internazionale tra i musei nell’ambito
dell’UNESCO. Direzione affidata dal 1948 al 1966 a Georges-Henri Riviere, fondatore in Francia
del Museo delle Arti e Tradizioni Popolari e fervido sostenitore di una nuova Museologia, dove il
museo è attivo nell’incremento dello sviluppo sociale, non avendo più solo un ruolo tradizionale di
custode del passato.
Problematica fondamentale dibattuta nel corso del XX secolo: ruolo della struttura architettonica del
museo; fino a che punto cioè l’architettura debba mantenersi neutra al fine di favorire il contenuto,
oppure svolgere un ruolo centrale per attrarre il pubblico. Tale situazione ha portato allo sviluppo di
due concezioni architettoniche antitetiche: quella a cui fa capo Van der Rohe e l’estetica di Frank
Lloyd Wright. Analisi delle due correnti: Van Der Rohe; ritiene che il museo debba essere un
Semplice Contenitore, senza interferire con le opere presenti all’interno. Museo definito come
Museo Vuoto, senza architettura, in cui viene proposto un ambiente flessibile e neutro che permette
di articolare al meglio gli spazi. Frank Lloyd Wright; all’estremo opposto di Der Rohe, secondo
egli, l’edificio deve essere al centro dell’attenzione. Il Guggenheim Museum ad esempio, sua opera,
è uno dei musei più importanti di New York, progettato nel 1943 e costruito tra il 1956 e il 1959. La
monumentale forma scultorea, lo pone sempre al centro della scena. All’interno la galleria
d’esposizione è costituita da una rampa spiraliforme che costringe il visitatore ad un itinerario
prestabilito. Il motivo a spirale non deriva da edifici museali ma molto probabilmente è stato
ispirato dal padiglione dell’Esposizione Universale di New York del 1939. Il museo è concepito in
maniera che sia visibile contemporaneamente su tre livelli la superficie di esposizione attraverso il
vuoto centrale dell’edificio. Ma nonostante tutti questi pregi, il Guggenheim rappresenta anche
quello che non dovrebbe essere un museo: la vera attrazione è l’architettura, o meglio l’arte
dell’architettura e non più il contenuto visuale dell’edificio, che da qui diventa vero e proprio
protagonista dell’esperienza visiva del visitatore.
Alcune caratteristiche intese come difetti congeniti all’architettura sono: i muri e il piano del
progetto inclinato, infatti sappiamo che i quadri appesi ai muri si osservano con qualche difficoltà, e
la struttura inclinata a spirale impedisce qualsiasi movimento trasversale. Susciterà molte critiche
anche da artisti come Daniel Buren, che nel 1971 installa al centro del museo una tela smisurata
come gesto principale per troncare la percezione generale dello spazio circostante (quello
dell’edificio). Gli effetti che il contesto museale può esercitare sulle opere, come l’architettura e
l’organizzazione dello spazio che interferiscono sulla percezione delle stesse, è tuttora dibattito
acceso. Esempi di musei e progetti museali antitetici al Guggenheim sono la National-Galerie di
Berlino, di Mies Van der Rohe (1962-1968) e il Museo di Arte Occidentale a Tokyo, di Le
Corbusier iniziato nel 1957. Il ruolo che ha l’Italia nel contesto del ripensamento del dispositivo
museale, sarà piuttosto tardivo, poiché i musei costruiti ex novo sono molto pochi rispetto a quelli
ricavati da trasformazioni e riconversioni di vecchi edifici preesistenti (monumentali in ogni caso).
Il ricorso a questo secondo tipo di museo è proprio di istanza Italiana, definito come Museo Interno:
i vecchi edifici come conventi o palazzi principeschi venivano trasformati in musei, e questa è una
vecchia consuetudine in Italia, usata per lo più sia per conservare questi edifici-monumenti, spesso
opere d’arte in sé, sia per preservare l’antico spazio urbano. Correlazione quindi tra territorio spazio
urbano e museo che si prefigura come parte integrante del contesto urbanistico e architettonico. Gli
edifici storici adibiti a museo si diffondono dal dopoguerra e in particolare dagli anni Cinquanta,
esempi di Musealizzazione Interpretativa non solo del contenuto ma anche del contenitore sono i
progetti di Carlo Scarpa, come quello a Castelvecchio di Verona, (1957), che ha trasformato
un’antica fortezza scaligera, già museo, in una musealizzazione complessa, che comprende così le
collezioni comunali d’arte, l’edificio stesso e una parte importante del tessuto urbanistico storico
della città di Verona. A partire, poi, dagli anni 60, per l’eposizione delle opere gli artisti si
rivolgono anche ad altri ambienti non convenzionali, come strade, parchi pubblici e garage e altri
luoghi dimessi, con l’intento di trovare un equilibrio tra architettura scultura e pittura affinché l’una
non prevalga sull’altra. Es. mostre di Spoleto (1962) e San Gimignano e Londra per parchi e
marciapiedi pubblici.
I nuovi aspetti del museo alla fine del XX secolo. Spazio e contenuti:
Nel 1977 a Parigi viene inaugurato il Centre Pompidou, voluto dal presidente omonimo, e
progettato e costruito da Renzo Piano e Richard Rogers, su Plateau Beaubourg. Tale struttura può
essere considerata come il manifesto di una nuova corrente architettonica, l’high tech, in cui viene
lasciata a vista la struttura in acciaio con la sua combinazione di elementi portanti verticali e
orizzontali, mensole e controventature diagonali, con il risultato di un’estetica che rimanda a quella
di Sant’Elia. Il nuovo centro non sarebbe stato diviso in sezioni poiché l’intento era quello di creare
un complesso interdisciplinare; il museo doveva offrire la massima flessibilità per l’esposizione
delle opere e per questo motivo vengono create vaste superfici libere e aperte. Volutamente aperto
sullo spazio urbano, come collegamento alla città. Il Centre Pompidou si distingue anche per le
scelte espositive dei curatori, non solo per l’innovazione tecnica e stilistica del progetto dunque,
laddove è stato il primo museo ad adottare prospettive multiple per i propri contenuti, con
un’inversione rispetto al MoMA, che ha sempre privilegiato la narrazione monolineare. Anche in
questo caso però, la vera attrazione non è l’arte ma l’architettura. Nel Centre Pompidou si
sperimenta anche per la prima volta una Struttura concepita come Guscio infinitamente adattabile
alle nuove esigenze di artisti e curatori, ma si renderanno presto necessarie anche delle modifiche,
perché la sua architettura celebrava il mito della flessibilità totale ma non l’arte che doveva
accogliere. Vent’anni dopo è stata (la struttura portante) sottoposta a un restauro totale, anche
perché bisogna sempre stare al passo con i cambiamenti del pensiero museologico, per cui gli
edifici invecchiano più in fretta e sia gli spazi sia le dotazioni tecniche diventano obsoleti. In
Europa comunque sappiamo che viene rivisitata l’usanza italiana del museo interno, con musei
come il Musee Pablo Picasso aperto nel 1985, in un palazzo seicentesco nel quartiere del Marais a
Parigi, il Musee d’Orsay, a Parigi sempre, allestito nella stazione omonima del 1900, o
l’ampliamento della Tate Gallery, dove si traduce la volontà di rispettare le architetture originali,
volte ad integrarle nel contesto urbano ereditato dal passato. Minore innovazione invece si è
verificata negli spazi espositivi, (obiettivo primario del progetto museale).
Il museo come centro polifunzionale: sulla scia dell’idea della Biblioteca d’Alessandria
Il museo contemporaneo non è più solo un contenitore per la conservazione e per l’esposizione di
opere, ma un’Istituzione dichiaratamente didattica, che deve rispondere a molte funzioni nuove, e
svolgere numerose attività, pertanto deve possedere spazi adeguati. Il programma museografico
deve il più delle volte, corrispondere Esattamente all’architettura nel progetto di un nuovo edificio,
ed essere considerato fondamentale nel caso di adattamenti o ampliamenti di un museo. Si può fare
una distinzione tra Spazi Serviti e Spazi che Servono in tale maniera: i primi, sono accessibili al
pubblico, e dedicati alle mostre, alle conferenze, alle biblioteche pubbliche, ai banchi vendita; gli
altri, secondari, ne rendono semplicemente possibile il funzionamento, come gli uffici, i centri di
ricerca, documentazione e restauro delle opere, le officine e i depositi. Esiste anche un terzo tipo di
spazio definito: accessorio vale a dire; che ha un ruolo sociale, come bar, ristoranti e negozi etc.
Il museo del nuovo millennio: Mentre in passato, il museo era soprattutto centro espositivo che
andava avanti senza troppe spiegazioni, in modo autorevole e passivo quasi, oggi, il museo cerca
più di ogni altra istituzione di coinvolgere il visitatore, che sarà dunque elemento attivo nella
elaborazione e interpretazione delle opere. La visione di Barr, che individua nel museo un
laboratorio nel quale il visitatore avrebbe dovuto avere una parte attiva, è quella a cui più si
avvicina la contemporaneità museale. A differenza di altre istituzioni culturali, come il teatro
d’opera, il rapporto tra museo e visitatori è neutrale: questi sono invisibili gli uni agli altri, e sono
liberi di scegliere ciò che più interessa loro. L’obiettivo dell’edilizia museale deve essere questo:
creare un’architettura al servizio dell’opera d’arte, come involucro il più naturale possibile; nella
determinazione di un progetto architettonico, l’architettura dovrebbe coniugarsi con la funzione di
rappresentazione.
Trasformazioni II. : La più grande trasformazione dei musei negli ultimi anni, riguarda gli
allestimenti, soprattutto nei musei d’arte moderna e contemporanea. Ai modelli di allestimento
statici si sono sostituiti quelli dinamici, sottoposti a continue revisioni. Gli oggetti non sono più
presentati secondo quadri classificatori o pannelli didascalici, che li inquadra in un unico contesto di
riferimento, ma sono presenti quadri di riferimento molteplici.
Mentre prima gli allestimenti erano di ordine storico-cronologico, imitando il modello del MoMA,
oggi, le due tendenze prevalenti, sono: Allestimento di carattere Astorico e Monografico. Quello
Astorico cerca di mettere in evidenza affinità estetiche di manufatti radicalmente diversi tra loro,
rivolgendosi ad un élite il più delle volte, dando per scontata la competenza del visitatore, nella
comprensione di questo modello museografico, disorientando e disinformando gli altri; quello
Monografico, è il più diffuso, e si è sostituito agli allestimenti basati su cronologia, nazionalità,
stile, scuola e tipologia. In altri contesti museali poi, le tecniche museografiche, si sono arricchite di
una vasta gamma di tecnologie di comunicazione informatica e multimediale. Più diffusi sono
attualmente i musei tematici, e nuove forme museali nate intorno ad un evento o ad una storia
particolare, come il Museo Joyce di Trieste.
Da museo aperto al pubblico a museo del pubblico, ossia, fruibile da pubblici diversi per bagaglio
culturale, etnico e non diviso per fasce d’età.
Uno dei tratti salienti della cultura Italiana è l’integrazione tra musei e territorio. André Chastel
definisce l’Italia come “Luogo per eccellenza del museo naturale”, grande museo a cielo aperto
quindi. È importante sapere che, il documento ministeriale sugli standard museali, dedichi un
ambito, l’ottavo, proprio a questo tema, che affonda le sue radici nel riconoscimento del territorio
come matrice dell’identità dei popoli, del luogo, del sistema culturale insito nei processi stratificati
nel tempo e soprattutto come opportunità creativa per nuove interpretazioni. Il museo in questo
contesto, diventa attivo, ossia un Contenitore che racconta quel luogo con la sua storia e le sue
peculiarità, il Trait d’Union tra tradizione dei luoghi e la conoscenza degli stessi, snodo centrale del
processo di valorizzazione dei beni culturali e delle altre risorse del territorio. In Francia, esempi
utili per capire il concetto sono: il museo Dauphinois, soggetto attivo nella pianificazione del
territorio attraverso l’esplicazione di un ruolo di consulenza, valutazione e assistenza presso il
Conseil General de l’Isere dei Comuni, in particolare quelli riguardanti il ruolo del patrimonio
regionale nella fruizione sociale.
Il primo provvedimento sulla tutela dei beni culturali attraverso il processo di decentramento di
competenze nel settore suddetto, è stata la legge 59 del 1997 detta anche Bassanini 1, una delle
riforme più incisive dell’amministrazione pubblica italiana, con la quale il Parlamento promosse un
ampio trasferimento di funzioni e compiti amministrativi fino ad allora svolti dallo Stato alle
Regioni e alle autonomie locali, in questa sede quindi allo Stato si riserva solo la funzione di tutela
dei beni culturali. Nel 1998 con il decreto legislativo 112, si definisce per la prima volta il termine
di tutela, valorizzazione e gestione dei b.c., formulando anche un nuovo quadro di competenze
basate sul decentramento dei compiti e attività dallo Stato agli enti territoriali. Tutto poi confluisce
nel decreto ministeriale emanato il 10 maggio 2001 con il titolo di Atto di indirizzo sui criteri
tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo del museo (art.. 150).
Il 2001 viene considerato come l’anno di svolta per i musei italiani: l’8 marzo il Parlamento
approva il testo di modifica del Titolo V della parte II della Costituzione, convertito in legge
costituzionale 3/2001 con la quale viene riformato il sistema delle autonomie locali e dei rapporti
con lo Stato. Il nuovo quadro costituzionale può essere definito in maniera sintetica così: Tassatività
delle competenze esclusive dello Stato in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema, e dei beni
culturali, competenza concorrente regionale, per tutto quello che riguarda la valorizzazione dei
suddetti, nuova allocazione delle funzioni amministrative, possibilità della delega della potestà
regolamentare alle Regioni di materie di esclusiva competenza statale, utilizzo delle intese per le
attività di tutela.
Tipologie di musei:
Musei d’arte, musei di storia e archeologia, di storia e scienze naturali, della scienza e della
tecnica, di etnografia ed antropologia
Musei specializzati, interessati alla ricerca
Musei territoriali, interessati all’entità storica e culturale e talvolta anche etnica economica e
sociale le cui collezioni si riferiscono più a un territorio specifico che a un tema o soggetto
singolo come i precedenti
Musei generali, che possiedono collezioni miste e non sono classificabili come in un solo
ambito principale
Altri musei
Monumenti storici e aree archeologiche
Giardini zoologici, orti botanici, acquari, riserve naturali
Per museologia si intende una scienza sociale che, sulla base di conoscenze specialistiche circa la
natura degli oggetti del museo, ne studia i contenuti e la storia individuando le modalità di
trasmissione di tale sapere all’esterno, in stretto rapporto con i responsabili museografici; per
museografia si intende in maniera complementare, il complesso di azioni che garantiscono la
progettazione degli spazi espositivi del museo e il legame logico e semantico tra l’architettura del
museo e il suo contenuto. Con museotecnica si fa riferimento a: la serie di attività e conoscenze
pratiche di ogni aspetto del museo che ne consentono il pieno svolgimento e che riguardano le
scelte tecniche espositive. La museotecnica è strettamente correlata alla museografia. Dunque,
l’intreccio tra museologo e museografo sarebbe la chiave di volta per realizzare nuovi musei e per
progettare nuovi allestimenti e si basa sul rapporto tra chi conosce le collezioni e chi, in genere
l’architetto, riesce a tradurre in un sistema espositivo adeguato il messaggio di storia e simbolismo
che gli oggetti trasmettono al pubblico. È importante, soprattutto in Italia, a fronte delle innovazioni
degli ultimi decenni, riflettere sul binomio museografia-museologia, che è l’unica che può garantire
una progettazione di qualità e una valorizzazione consona degli oggetti e delle opere esposte nel
museo.
Storia della museografia: la suddivisione in tre discipline è di recente trasmissione, come sappiamo,
tempo fa i vocaboli erano sinonimi, il termine museografia era in voga in particolare nel XVIII
secolo, poi nel secondo dopoguerra è stato scalzato dal vocabolo museologia. Il termine
museografia nacque con Caspar Friedrich Neickel, autore del trattato ad essa dedicato pubblicato
nel 1727, in un periodo in cui il museo si stava affermando nella sua dimensione evocativa e
pubblica. Dunque da considerarsi come pioniere dell’aspetto educativo e strutturale del nuovo
museo, egli intendeva una descrizione di musei, gallerie, gabinetti, e degli oggetti in essi contenuti
suddivisi in Naturalia et artificialia, come forme di collezionismo aperto al pubblico colto europeo e
da lui visitate e descritte nel trattato in oggetto. Con l’apertura al pubblico tra XVIII e XIX secolo,
la museografia come Neickel la intendeva, cede il posto a nuove istanze, rappresentate dal rapporto
del museo con i visitatori, prima mai considerato. Ma la museologia invece, che eredita tutte le
caratteristiche dalla museografia, come disciplina, trova la sua affermazione nel pieno dopoguerra,
quando il Museo diviene Istituzione pubblica, e genera, in quanto tale, nella civiltà di massa
un’immagine di sé totalmente differente.
il progetto espositivo è in generale relazionato con gli orientamenti museologici, con gli oggetti e
con lo spazio museale, mentre i problemi di comunicazione sono affrontati nella fase finale della
sua attuazione. Sappiamo che però, l’aspetto spaziale di una mostra, riveste grande importanza nella
psicologia dello spettatore. È accertato che le motivazioni iniziali del visitatore possono essere
modificate in positivo o negativo dal rapporto con gli ambienti, quindi dal binomio ambiente
espositivo-oggetto. L’approccio museografico così, in considerazione di tali elementi, attua e
modula della precise strategie espositive, secondo alcune procedure come:
mettere in rapporto l’idea della mostra con gli intendimenti e la vocazione del museo
tracciati nello statuto; mettere in rapporto l’idea della mostra con lo spazio a disposizione;
considerare lo spazio il più possibile come luogo della molteplicità e dell’elaborazione delle
alterità, e NON della univocità espositiva ed interpretativa;
mettere in relazione gli oggetti fra di loro;
porre in atto il discorso espositivo, lavorando sugli elementi dello spazio museale (materiali,
luce, supporto, colori, percorsi), salvaguardando sempre la percezione degli oggetti e degli
insiemi.
In genere, una tipologia di esposizione corrisponde ad un certo atteggiamento culturale, per cui sia i
casi di scelta dell’isolamento dell’oggetto che quelli che evidenziano una relazione precisa tra gli
oggetti esposti, corrispondono a precisi modi di vedere l’oggetto musealizzato. Presentare l’oggetto
solo negli spazi vuoti, su uno sfondo distante o piatto, senza alcuna informazione, rafforza il vincolo
tra oggetti e visitatore, tra la sua forma e il momento della ricezione, ma potrebbe creare anche
condizioni di disagio, per disparità di cultura del pubblico. Da tale concezione è derivata in passato
la ricerca di uno sfondo bianco ideale per presentare nei musei la maggior parte dell’arte del XX
secolo. Essa trova la massima espressione nel purismo di Le Corbusier e nella museografia italiana
del gruppo BBPR, di Albini, di Helg e di Scarpa (più colorato però). Una progettualità
maggiormente razionale appare nella pratica espositiva, con l’introduzione del pensiero scientifico e
deriva dall’ordine che il passaggio da camera delle meraviglie a museo ha imposto, in primis al
museo scientifico poi a quello storico-artistico.
Partendo dalla premessa che non è possibile esporre un oggetto arbitrariamente nella sua
presentazione, la mostra è un campo in cui entrano in gioco tre elementi culturali distinti e
autonomi, ovvero le idee, i valori e gli obiettivi della cultura che ha prodotto l’oggetto, del curatore
della mostra e del visitatore.
Le mostre e gli interventi espositivi sono quindi suddivisi in due grandi gruppi ideali, da S.
Greenblatt: gli schemi ideali proposti sono; “Risonanza”, che organizza gli oggetti creando
collegamenti impliciti ed espliciti, in modo da accentuarne la valenza di testimonianza storica, e la
“Meraviglia”, che come nelle antiche Wunderkammern, pone gli oggetti verso il visitatore con tutto
il carico di stupore, fascino e significati. Tale partizione ha ottenuto un enorme successo
configurandosi come criterio in cui potevano essere collocate tutte le esposizioni, trovando poi un
riscontro nella traduzione, nella terminologia della fruizione museale, in approccio cognitivo e
approccio emotivo. La museologia della meraviglia, attualmente molto diffusa nelle pinacoteche, si
fa risalire ai gabinetti di curiosità, e alle collezioni contenenti oggetti e artefatti di varia natura,
( Kunst und Wunderkammern). La museologia razionale, tipica soprattutto dei musei scientifici,
nacque nel momento dell’esposizione classificatoria degli oggetti e delle collezioni, come
approfondimento della conoscenza del mondo naturale e della storia del mondo. Pinna, invece,
definisce la museologia evocativa come quella che “prese forma con la nascita di un uso più
profondamente politico e sociale delle istituzioni museali, puntando all’evocazione di momenti
storici, avvenimenti o personaggi in qualche modo degni di nota fino all’impatto sulla società.
L’ottimizzazione, poi, del processo comunicativo, è certamente il primo scopo che si prefigge un
allestimento museale. Come la museologia è da considerarsi come un insieme di mezzi e azioni che
portano alla costruzione di valori simbolici degli oggetti e delle collezioni, l’esposizione è da
considerarsi veramente riuscito solo se alla comprensione il pubblico assocerà anche il ricordo dei
suoi significati, con il conseguente allargamento della conoscenza per coloro che di quella
esperienza si sono fatti partecipi. Questa attenzione al pubblico, come valore attivo di riferimento
nel circuito comunicativo dell’allestimento museale, è un’eredità della cultura americana ed
anglosassone che per prima ha utilizzato il museo come scuola, non solo per l’arte.
Il concetto di alterità, del museo come rappresentazione dell’altro, in senso culturale, spaziale, o
temporale, è comune a molti progetti museologici ed è spesso insanabilmente rafforzato dalla
trascrizione museografica. Il museo archeologico, a differenza di quello etnografico, sottolinea
l’alterità come distanza e non come punto di contatto, l’affinità o il tramandarsi di antichi riti o
usanze, sicuramente questa scelta si traduce come ostinazione a rimarcare la distanza tra antico e
contemporaneo nelle esposizioni archeologiche e storiche, soprattutto in Italia.
Percorsi - L’importanza dei percorsi all’interno del museo risale al periodo a cavallo tra il XIX e il
XX secolo, come schematizzazioni grafiche, e ordinamento e connessioni fra le opere stesse. Il più
noto di tali schemi è quello teorico proposto da Clarence Stein, fondato sul principio di destinare i
bracci radiali dell’edificio alle opere più importanti del museo e la corona poligonale che li recinge
alle opere di minore interesse. La parte destinata agli studiosi veniva così separata da quella
accessibile al grande pubblico, il collegamento delle due parti era immediato, con possibilità di
passaggi nei due sensi e con accesso guidato. Saltando molte altre esperienze ed arrivando a tempi
più recenti, è bene menzionare la pratica di dissimulazione dei percorsi operata da Carlo Scarpa, il
cui intento era quello di accompagnare il visitatore all’interno della mostra senza troppi segnali
evidenti e ponendo lungo il tragitto, dei RALLENTAMENTI E DELLE FUGHE a detta di Forster,
(2000), che inducessero ad arrivare in un punto preciso per vedere l’opera secondo un angolo
visuale da lui prestabilito. Operazione questa, comunque troppo poetica e non pratica, o di puro
allestimento, della quale sono però sempre condivisibili ed attuabili gli orientamenti teorici.
Accompagnare il visitatore secondo una visuale tipica del curatore, sarà considerata infatti, come
una buona pratica nell’ambito della progettazione dei percorsi di visita. Che si collega anche alle
esigenze della psicologia ambientale. Attualmente nei musei sono diffusi questi tipi di percorsi:
percorsi arteriali; che sono semplici da allestire ma che creano affollamento poiché c’è
solo una direzione da seguire, senza variazioni
percorsi a pettine; con vantaggi tipici dei percorsi lineari, ma anche con gli stessi svantaggi
dell’affollamento. Di conseguenza non sono consigliabili per le esposizioni che seguono un
ordine storico, scientifico o sequenziale, in senso stretto. La cosa migliore in generale è non
imporre percorsi troppo rigidi
percorsi radiali o anulari ( a stella o ventaglio); non gerarchici ed estremamente chiari, il
visitatore sceglie il proprio cammino, e sono in linea con le ipotesi costruttiviste
sull’apprendimento museale
percorsi a blocchi; non sono propriamente dei percorsi, vi è un’assoluta libertà di
movimento
Supporti – collocazione delle opere: La vetrina offre protezione, aiuta a preservare al suo interno
un certo microclima vitale per la conservazione delle opere, spesso serve da collegamento tra
contesto generale e l’oggetto, aiuta a ordinare l’esposizione, i corridoi e a porre in relazione gli
oggetti. Può anche essere un punto di riferimento per dividere e/o guidare i visitatori.
Inoltre, non devono essere esteticamente significative da distrarre dagli oggetti contenuti e devono
consentire una visione comoda del pezzo. Il pericolo insito nell’uso della vetrina è l’effetto di
riflessione della luce, eliminabile con l’illuminazione interna. Questo per i dipinti, quadri in
generale. Per le sculture invece, non di dimensioni ambientali, sovente si usano piedistalli ampi.
la feticizzazione: per cui si attribuisce all’oggetto una certa sacralità o una eccezionalità
estetica;
la prevaricazione del supporto sull’oggetto: oggi in calo per fortuna per l’utilizzo di
supporti trasparenti in metacrilato
l’imbalsamazione; come volontà di relegare l’oggetto in una situazione di perfezione ed
inamovibilità;
l’enfatizzazione simbolica: usata sovente nei musei storici come sintomo di forte identità
In ognuno di questi casi, viene disattesa la originaria identità dell’oggetto.
1. cosa serve al visitatore dello spazio espositivo per sentirsi a proprio agio:
Libertà di movimento: il visitatore ha bisogno di sentirsi libero di girare per il museo;
Orientamento: il visitatore, durante la permanenza nel museo, ha sempre bisogno di
sapere dove si trova, con opportuni riferimenti di percorso;
Comfort: il fruitore, ha bisogno di un luogo ambientalmente confortevole, in cui ci
siano stimoli sensoriali ma i sensi non siano aggrediti;
Competenza: il visitatore non dovrebbe sentirsi sommerso di cose che non capisce
poiché ciò travalica la sua capacità di adattabilità;
Controllo: il visitatore vuole sentirsi sicuro, stare con le spalle rivolte a uno spazio
aperto non è naturale per le attività umane, ma è spesso richiesto in un museo
Il design e la progettazione museale degli spazi possono spesso agevolare questo processo (secondo
A. Olds) quando la realizzazione degli ambienti combina la libertà di movimento con il comfort e la
presentazione degli oggetti infonde una sensazione di competenza e di controllo, in modo che il
visitatore possa fare in modo che gli oggetti e gli eventi siano in sintonia con la propria persona.