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ISTITUTO STORICO ITALIANO

PER IL MEDIO EVO


CENTRO DI STUDI ORSINIANI

FONTI E STUDI PER GLI ORSINI DI TARANTO

STUDI

1
ISTITUTO STORICO ITALIANO PER IL MEDIO EVO

CENTRO DI STUDI ORSINIANI

UN PRINCIPATO TERRITORIALE NEL REGNO DI NAPOLI?


GLI ORSINI DEL BALZO PRINCIPI DI TARANTO (1399-1463)

Atti del Convegno di studi


(Lecce, 20-22 ottobre 2009)

a cura di
LUCIANA PETRACCA e BENEDETTO VETERE

ROMA

NELLA SEDE DELL’ISTITUTO

Palazzo Borromini – Piazza dell’Orologio

2013
Fonti e studi per gli Orsini di Taranto
collana diretta da
Benedetto Vetere

Il presente volume è stato realizzato con il contributo dell’Università del


Salento tramite il Rettorato, il Dipartimento dei Beni delle Arti e della
Storia, il Dottorato di Ricerca in “Arti, Storia e Territorio dell’Italia nei
rapporti con l’Europa e i paesi del Mediterraneo” e l’istituto bancario
Monte dei Paschi di Siena.

Comitato scientifico:
Rosario Coluccia
Isa Lori Sanfilippo
Carmela Massaro
Anna Maria Oliva
Francesco Somaini
Giancarlo Vallone
Benedetto Vetere

Centro di studi orsiniani - Lecce

Coordinatore scientifico: Isa Lori Sanfilippo

ISBN 978-88-98079-03-2
Tutti i diritti riservati
Il “potere dello spazio” nella basilica di Santa
Caterina d’Alessandria a Galatina.
Culto delle reliquie e iconografia
nella propaganda del potere degli Orsini del
Balzo

Angelo Maria Monaco

«[…] The French wife of a wealthy local nobleman made sure


its interior contained a mystifying myriad of frescoes […]»
J. Williams, «Ryanair magazine» (56, 2011), p. 103

Questo contributo volto alla definizione di almeno uno degli


aspetti storico-culturali del microcosmo “orsiniano”, prende spunto
da uno studio esemplare di Marcello Fantoni in cui il tema della
“cultura del potere” fiorita nelle corti italiane fra i secoli XV e XVII
è indagato alla luce dell’Architettura(1). Nel denso volume, che tra i
vari meriti conta pure quello di avere ispirato in tempi recenti, tanto
da un punto di vista metodologico quanto nei contenuti, numerosi
interventi di un importante convegno internazionale dedicato alle
“politiche dello spazio”(2), lo storico contribuisce alla formulazione
di «ipotesi esegetiche sulla dimensione architettonica [...] dei regimi
principeschi»(3) cogliendo proprio negli aspetti strutturali di alcuni
edifici di corte, come il palazzo o la cappella palatina, l’intento pro-

(1) 
M. Fantoni, Il potere delle spazio. Principi e città nell’Italia dei secoli
XV-XVII, Roma 2002.
(2) 
M. Fantoni – G. Gorse – M. Smuts, The Politics of Space: European Courts
ca. 1500-1750, Roma 2009. Il volume raccoglie gli atti di un convegno originaria-
mente intitolato The Politic of Space: Courts in Europe and the Mediterranean, ca.
1500-1750, organizzato in collaborazione con il Centro studi “Europa delle corti”,
sponsorizzato dalla Huntington Library in San Marino, California e ivi tenuto tra
il 26-27 gennaio 2007.
(3) 
Fantoni, Il potere cit., p. 11.
590 Angelo Maria Monaco

grammatico, propagandistico e quindi in prospettiva, paradigmatico


dei loro committenti, di visualizzare l’idea di Sovranità incarnata(4).
Le caratteristiche che contribuiscono a dotare gli edifici di un
centro urbano, nel senso di contenitori destinati a ospitare la corte e
necessari allo svolgimento del protocollo rituale sia di tipo civile che
religioso ad essa collegato, dipendono da una serie di rapporti codi-
ficati che Fantoni ha decifrato isolandone i meccanismi di funziona-
mento in alcuni contesti politico territoriali che, per quanto siano stati
effettivamente indipendenti o geograficamente distanti gli uni dagli
altri, egli ha potuto aggregare in virtù di una serie di denominatori
comuni e costanti. Di tali principi, in questa sede, dove proveremo ad
applicare una simile griglia metodologica al principato orsiniano nei
rapporti con la basilica fondata dal capostipite del casato, ne risultano
particolarmente congeniali tre: il primo, sintetizzabile nel rapporto
tra principe e un determinato patronato celeste; il secondo, focaliz-
zato sulla relazione tra principe e gli ordini religiosi; l’ultimo, l’idea
di trasmissione memoriale del casato, che è veicolata dagli edifici
sacri eretti anche con funzione memoriale. Il primo punto si estrin-
secherà nel rapporto privilegiato tra sovrano e la reliquia del Santo.
Il secondo nella definizione dei ruoli nella conduzione dei centri
destinati alle attività di tipo assistenziale per i sudditi e i pellegrini. Il
terzo postulato, cioè l’idea di trasmissione memoriale della dinastia,
sarà indagato alla luce della configurazione architettonica di Santa
Caterina a Galatina, luogo sacro edificato probabilmente in origine
come cappella palatina, ampliato nel tempo in modo tale da divenire
vera e propria “architettura del potere” finalizzata all’affermazione
politica e alla legittimazione regale del casato che la commissionò(5).

(4) 
Di recente sull’idea di “regalità”, strategia e rituali per la sua legittimazione
è intervenuta M. A. Visceglia, Riti di corte e simboli della regalità. I regni d’Europa
e del Mediterraneo dal Medioevo all’età moderna, Roma 2009.
(5) 
Riferimento bibliografico ormai imprescindibile per ogni nuovo contri-
buto sul principato di Taranto, è il poderoso volume edito a cura di A. Cassiano
– B. Vetere, Dal Giglio all’Orso. I Principi d’Angiò e Orsini del Balzo nel Salento,
Galatina 2006 (Storia e Arte in Terra d’Otranto, 2). Della funzione propagandisti-
ca della basilica nel rapporto con l’ascesa del potere del casato si è occupato pure
B. Vetere, I del Balzo Orsini e la basilica di Santa Caterina in Galatina. Manifesto
ideologico della famiglia, in Dal Giglio all’Orso cit., pp. 2-24. In generale sui cantieri
a Galatina negli anni del principato si rimanda al saggio di M. Cazzato, Imprese
costruttive e ristrutturazioni urbanistiche al tempo degli Orsini, in Dal Giglio all’Orso
cit., pp. 307-335.
Culto delle reliquie, iconografia, propaganda 591

Secondo tale prospettiva, ognuno dei più importanti centri del


potere politico d’Antico Regime è stato connotato dalle costanti cul-
turali citate, il cui riscontro può contribuire efficacemente alla defi-
nizione del processo di legittimazione del potere perseguito da ogni
singola dinastia. Questo perché, come è possibile dedurre da ciò che
asserisce Fantoni, l’affermazione dinastica sembra sia consistita anche
in un più o meno consapevole processo di emulazione di un codice
ben preciso che si ripete nel tempo, cioè quello politico e liturgico di
tipo regale, il cui prototipo va rintracciato nella monarchia a carattere
sacro di Luigi IX come messo in luce da Jaques Le Goff(6).
Sebbene nel caso in esame una riflessione sulla dimora del
Signore e il microcosmo palatino in rapporto con la città e il tes-
suto urbano, che è uno dei punti centrali nel volume di Fantoni,
non risulti agevole data l’esiguità delle fonti relative al palazzo del
principe a Galatina, del quale almeno sappiamo, grazie a Carmela
Massaro(7), essere stato attiguo alla basilica e quindi probabilmente
ad essa collegato tramite un ambiente di raccordo, bene argomenta-
bile appare invece un secondo aspetto indagato a fondo dallo studio-
so citato, cioè il meccanismo che regola il rapporto tra principe e i
“luoghi del sacro”(8) (Fig. 48).
La lapidaria asserzione «Il re cominciò a conoscere che il princi-
pe era un altro re»(9) riferita da Angelo di Costanzo nella sua Istoria
del Regno di Napoli, a proposito del delicato equilibrio che si venne
a creare tra Raimondello Orsini del Balzo e il re di Napoli, pur risa-
lendo ad anni ormai lontani da quelli a cui faceva riferimento (poco

(6) 
Cfr. J. Le Goff, San Luigi, Torino 1996.
(7) 
Cfr. C. Massaro, Potere politico e comunità locali nella Puglia tardomedie-
vale, Galatina 2004 (Università di Lecce, Studi Storici, 65), p. 41, dove la storica
rimarca come la scelta di collocare il palazzo signorile accanto al nuovo polo
religioso di Santa Caterina sia stata «funzionale alla volontà di egemonizzare lo
spazio simbolico della città e di affermare visivamente la protezione della santa e
il prestigio della famiglia sulla comunità».
(8) 
Sul tema della rilevanza politica dei luoghi del sacro si veda appunto il
volume I luoghi del Sacro. Il Sacro e la Città tra Medioevo ed Età Moderna. Atti
del convegno Georgetown University, Center for the Study of Italian History and
Culture (Fiesole, 12-13 giugno 2006), cur. F. Ricciardelli, Firenze 2008, dove si
distingue, per il tema specifico delle strutture di raccordo tra residenza signorile
ed edificio sacro, il saggio di M. Rossi, Corridoi sopraelevati della Toscana grandu-
cale, pp. 161-170.
(9) 
A. di Costanzo, Istoria del Regno di Napoli, in Raccolta dei più rinomati
scrittori dell’Istoria generale del Regno di Napoli, Napoli 1769-1770, II, p. 512.
592 Angelo Maria Monaco

meno di quattro secoli), tuttavia risultava eloquente dell’idea che gli


storiografi si erano fatta di quel periodo storico. Ovvero l’idea di
un’epoca in cui la Corona, oltre che necessitare del generico consen-
so politico della feudalità regnicola, con maggiore urgenza ricercava
il sostegno finanziario e militare di questa, della quale il principe di
Taranto(10), che proprio nulla avrebbe invidiato al sovrano se non
la componente regale del lignaggio, era l’esponente in assoluto più
influente(11).
L’evoluzione del sistema orsiniano sarebbe dunque inquadrabile
in una topica del consenso simile a quella che ha caratterizzato i
processi di affermazione politica e dinastica di molti altri potentati.
Il principato, in pratica, si fa corte. Si dota di strutture consone al
suo ruolo, cioè il palazzo e la chiesa; si dota di un convento. Cioè di
edifici necessari non solo all’espletamento della politica da un lato
e della religione dall’altro, ma, in una crasi indissolubile delle due
sfere, di “spazi politici potenti”, atti alla messa in scena degli aspetti
performativi della Regalità incarnata nella figura del principe gesto-
re, al contempo, tanto della res publica, quanto di quella sacra.
Se è vero che la fondazione della basilica di Santa Caterina è da
ricondurre, tra storia e mito, a ragioni di tipo devozionale e liturgi-
co(12), non va sottovalutata la componente autoreferenziale compresa
nell’atto di mecenatismo, la quale impone «una lettura dei ‘costi’
dell’architettura in senso culturale»(13). Di conseguenza, valutato in
termini architettonici, non è scorretto leggere tra le trame della son-
tuosità dell’edificio e della sua decorazione una manifestazione della
magnificentia del principe. Cioè di quella virtù che avrebbe teorizza-
to per esteso Giovanni Gioviano Pontano solo un secolo più tardi ma
che possiamo riscontrare – come in questo caso – nell’atteggiamento
dei ceti dominanti ben prima della sua codificazione letteraria(14). I

(10) 
Sulla rapida ascesa al potere di Raimondello e l’affermazione del casato,
cfr. B. Vetere, Introduzione. Dal Giglio all’Orso attraverso il leone dei Brienne e la
stella dei del Balzo, in Dal Giglio all’Orso cit., pp. IX- XXXVI.
(11) 
Sul delicato equilibrio politico tra corona e sudditi si veda il saggio di R.
Alaggio, Il ruolo dei principi di Taranto nelle vicende del Regno di Napoli. Il re comin-
ciò a conoscere che il principe era un altro re, in Dal Giglio all’Orso cit., pp. 117-133.
(12) 
Cfr. Vetere, I del Balzo cit., pp. 3-24.
(13) 
Cfr. Fantoni, Il potere cit., p.14.
(14) 
Per il concetto di magnificentia, come buona pratica del governo principe-
sco, si veda l’omonimo trattatello filosofico di G. Pontano De magnificentia ora in
I libri delle virtù sociali, cur. F. Tateo, Roma 1999, pp. 163-219.
Culto delle reliquie, iconografia, propaganda 593

sovrani, attraverso l’edificazione di architetture maestose, doteranno


i sudditi e i loro pari di un metro di valutazione utile a riconoscere
la grandezza del potere dinastico e politico del committente, nonché
la propria sconfinata ricchezza. La fondazione della basilica di Santa
Caterina (1385-90)(15), come ormai storicamente assodato, nata per
espletare più funzioni, in quanto sede liturgica privilegiata della
corte, potrebbe, alla luce di un simile approccio metodologico, esse-
re considerata una ulteriore riprova di quanto lo stesso Fantoni nel
‘92 dimostrava: la connotazione di questo tipo di luoghi come spazi
sacri “potenti”, frutto dell’intreccio tra la sfera politica e religiosa da
una parte, con, dall’altra, una prassi architettonica profondamente
significante e funzionale all’affermazione del potere del committen-
te, alla quale segue, nel tempo, quella della sua dinastia(16).

1.  Il principe, il pellegrinaggio e la reliquia. La costante topica della


fondazione.

Nella tradizione relativa alla fondazione della basilica è possibile


rintracciare alcune costanti topiche che consentono di apparentare il
caso orsiniano, inserito in una prospettiva storica, ad altri potentati
territoriali.
In un recente contributo dedicato alla centralità del ruolo delle
reliquie gerosolimitane nella propaganda politica dei Gonzaga a
Mantova(17), è stato enfatizzato come «l’interesse per la Città Santa
e l’esaltazione, a fini religiosi e insieme politici, del possesso di
reliquie [...], hanno origini antiche e non si discostano da una tradi-
zione “simbolica” che coinvolge molti [...] centri italiani ed europei

(15) 
Per la cronologia della chiesa e del convento cfr. C. D. Poso, La fondazione
di Santa Caterina: scelta devozionale e committenza artistica di Raimondo Orsini del
Balzo, in Dal Giglio all’Orso cit., pp. 195-223: 195 e nota 3.
(16) 
L’intento politico e autoreferenziale sotteso alla fondazione del sito è enfa-
tizzato anche da Cosimo Damiano Poso quando asserisce: «l’impulso religioso
non deve far perdere però di vista la grande rilevanza politica della fondazione [ e
cioè ] dietro la mossa strategica di straordinario significato religioso [...] la volontà
dell’Orsini di costituire un centro di coesione del lignaggio e di memoria della
famiglia» cfr. Ibid., p. 207.
(17) 
Cfr. S. L’Occaso, Mantova, i Gonzaga, le reliquie di Gerusalemme, «Atti
dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Rendiconti della classe di scienze morali», Ser.
IX, 19/4 (2008), pp. 695-726.
594 Angelo Maria Monaco

dal Medioevo al Rinascimento»(18). Tale tradizione, sintetizzabile


nell’idea di identificazione simbolica di una città con Gerusalemme,
è stata manifestata concretamente nella conformazione di edifici
sacri sul modello della basilica gerosolimitana del Santo Sepolcro.
Il fenomeno della riproduzione del modello gerosolimitano, ovve-
ro della “copia del Santo Sepolcro”, in architetture sacre rese così
capaci di provvedere i pellegrini con i medesimi benefici spirituali
conseguibili a Gerusalemme, sebbene amplificatosi per sopperire
alla pericolosità del viaggio in Terra Santa, durò ben al di là dei flussi
storici di pellegrinaggio. Questo fenomeno, che è possibile rilevare
anche in Puglia nei due casi di Brindisi e Molfetta risalenti all’XI
secolo, e in quello di Otranto databile entro il 1711(19), caricato di
ulteriori valori tra i quali sicuramente quello propagandistico della
dinastia, fu riproposto sino a tutto il secolo decimo ottavo. Tale
assunto è valido, per citare alcuni degli esempi più clamorosi, per
i Medici, per i Savoia, per i Gonzaga. Si consideri, pertanto, il caso
– non a caso non sfuggito a Fantoni –, indagato da Massimiliano
Rossi da una pluralità di prospettive (genealogica, museologica,
propagandistica) dei Granduchi di Toscana. La discendenza da
Goffredo di Buglione, il liberatore di Gerusalemme nella gloriosa
crociata già messa in versi dal Tasso, certifica l’eccezionalità del
lignaggio. La commissione del cappellone dei principi nella basilica
di San Lorenzo, destinato ad accogliere il vero sepolcro di Cristo già
a Gerusalemme(20), concretizza l’indefesso impegno del casato nella

(18) 
Ibid., pp. 696-697.
(19) 
Si veda Verso Gerusalemme. Pellegrini, Santuari, Crociati, tra X e XV secolo,
cur. F. Cardini – R. Salvarani – M. Piccirillo, Gorle 2000, pp. 9-73, in particolare p.
32 ss. Per quanto riguarda il caso idruntino si rimanda al volume di chi scrive, La
“Gerusalemme celeste” di Otranto. Il mito degli ottocento martiri nelle sue riconfigu-
razioni memoriali, Galatina 2004 (Dipartimento di Beni Arti e Storia, Università
degli Studi di Lecce. Saggi e Testi, 21); e inoltre al più recente saggio dello stesso
«Qui sunt et unde venerunt?» Topoi iconografici per il consenso agiografico nel culto
degli ottocento Martiri di Otranto, in La conquista turca di Otranto (1480) tra “storia
e mito”. Atti del convegno internazionale di studio (Otranto – Muro Leccese, 28-31
Marzo 2007), cur. H. Houben, II, Galatina 2008, pp. 157-195 (Dipartimento di
Beni Arti e Storia, Università degli Studi di Lecce. Saggi e Testi, 41-42).
(20) 
Fantoni in Il potere cit., p. 246, fa riferimento a M. Rossi quando riman-
da al progetto del Granduca Ferdinando I di traslocare il Santo Sepolcro dalla
rotonda dell’Anàstasis a Gerusalemme, nel cappellone dei principi edificato in San
Lorenzo a Firenze, al fine di dotare il casato di un mausoleo clamorosamente por-
tentoso da un punto di vista soteriologico così come propagandistico. Ma cfr. M.
Rossi, Emuli di Goffredo: epica granducale e propaganda figurativa, in E. Fumagalli
Culto delle reliquie, iconografia, propaganda 595

difesa della Cristianità. Il patrocinio del culto della croce sancisce


la missione quasi “apostolica” della stirpe(21). È ancora l’esempio dei
Savoia, soprattutto negli anni di Carlo Emanuele I, quando la Sacra
Sindone diviene vero e proprio palladio dinastico(22). Del resto, le
reliquie di Cristo erano state da sempre appannaggio esclusivo dei
sovrani. Tra il 1239 e il 1242, Luigi IX di Francia entrando in posses-
so delle reliquie della Passione «[si era imposto] alla Cristianità»(23).
Per la custodia di tale corredo liturgico eccezionale, aveva fatto
erigere la Sainte-Chapelle: un edificio modellato concettualmente
sull’archetipo della città celeste e concepito strutturalmente come un
prezioso reliquiario “a misura d’uomo”(24). Adiacente alla residenza
del sovrano e ad essa collegata tramite un passaggio probabilmente
sopraelevato, la cappella santa espletava la privilegiata funzione di
cappella palatina. Nel tempo, l’accumulo di reliquie e la dotazione
di canonici per servire la cappella divennero tali da essere definiti
da Carlo V, atti di «conservation du royaume»(25).
Nel 1328 i Gonzaga, a Mantova, entrarono in possesso di
una eredità estremamente potente da un punto di vista liturgico.
Acquisendo il dominio di un vasto nucleo territoriale che estende-
va il suo controllo anche sulla antica chiesa di Sant’Andrea (quella
ristrutturata poi dall’Alberti), i Marchesi diventarono de iure custodi
/ detentori della preziosissima reliquia del sangue di Gesù Cristo che
era stata portata e nascosta a Mantova da Longino. Essa, contenuta
in un’ampolla rinvenuta nell’804, dichiarata autentica da Leone X,
era stata custodita in città sin dalla fondazione della chiesa medesi-
ma voluta come ex voto da Beatrice di Canossa in ringraziamento del
“felicissimo parto” della figlia Matilde(26). La devozione per le reli-

– M. Rossi – R. Spinelli, L’arme e gli amori. La poesia di Ariosto, Tasso e Guarini


nell’arte fiorentina del Seicento, Firenze 2001, pp. 40 ss.
(21) 
Cfr. M. Rossi, Francesco Bracciolini, Cosimo Merlini e il culto mediceo della
croce. Ricostruzioni genealogiche, figurative, architettoniche, «Studi secenteschi», 42
(2001), pp. 211-276.
(22) 
Cfr. S. Mamino, Culto delle reliquie e architettura sacra negli anni di Carlo
Emanuele I, in A. Griseri – R. Roccia, Torino. I percorsi della religiosità, Torino
1998, pp. 53-100.
(23) 
Cfr. Le Goff, San Luigi cit., p. 103.
(24) 
Cfr. Le trésor de la Sainte-Chapelle, catalogo della mostra, cur. J. Durand –
M. P. Lafitte – D. Giovannoni, Paris 2001.
(25) 
Cfr. E. Bozóky, La politique des reliques de Constantin à Saint Louis.
Protection collective et légitimation du pouvoir, Paris 2007, p. 169.
(26) 
Cfr. L’Occaso, Mantova cit., p. 698.
596 Angelo Maria Monaco

quie gerosolimitane influenzerà per diversi aspetti la maggioranza


delle corti italiane d’Antico Regime. Tre episodi relativi ai Gonzaga
appaiono particolarmente significativi e utili a contestualizzare il
microcosmo orsiniano nelle dinamiche storico culturali qui messe a
fuoco: l’imitatio di San Luigi da parte di Gian Francesco; la fortuna
di un preciso soggetto iconografico al tempo di Federico I; l’arrivo
di reliquie dal Sinai nel 1531. Gian Francesco Gonzaga, I marchese
di Mantova nel 1433, già intorno al 1420 fece costruire una chiesa
palatina dedicata alla Santa Croce sul modello della Sainte-Chapelle,
quindi a due piani, per custodire, su quello superiore, così come si
faceva a Parigi, la “collezione” di reliquie. Tra il 1482/83, l’arrivo di
alcune reliquie a Mantova, tra le quali un frammento della rarissima
pietra dell’Unzione, comportò l’elaborazione di una nuova iconogra-
fia cristologica. Nella Madonna col Bambino di Francesco Bonsignori
(Fig. 49), e nel Cristo morto di Andrea Mantegna (Fig. 50), il Salvatore
giace su una superficie marmorea rossastra. Tale superficie, in virtù
delle sue caratteristiche cromatiche, che sono simili a quelle proprie
della pietra dell’Unzione, deve essere intesa come riferimento visi-
vo alla reliquia medesima, e quindi entrambi i dipinti, diventano
un documento della concreta acquisizione dell’oggetto miracoloso
all’interno dei tesori dinastici.
La devozione per le reliquie gerosolimitane a Mantova sarà
incrementata dall’arrivo di alcuni frammenti inviati il 20 agosto
1531 dal guardiano generale del monastero sul monte Sinai, frate
Leonardo da Crema. Questi, oltre a provvedere il marchese con «un
poco de legno di sua Santissima Crose», spedì a Mantova «un poco
de olio over licore stilla’ del venerabile corpo de santa Caterina»(27).
Fantoni asserisce che «proprio in questo quadro si determina il
diffondersi di reliquie, santi e immagini come fissatori di maiestas
per i principi cristiani il cui agire architettonico è via per la “visibi-
lità” del sacro»(28).

(27) 
ASMn, AG, b. 2516, n. 739; il documento, trascritto in A. Luzio, L’ Archivio
Gonzaga di Mantova. La corrispondenza familiare, amministrativa e diplomatica dei
Gonzaga, Verona 1922 (Accademia Nazionale Virgiliana, Mantova 1993), p. 71, è
riproposto in L’Occaso, Mantova cit., pp. 712-713.
(28) 
Fantoni, Il potere cit., p. 176. Inoltre, sul medesimo tema si rimanda agli
studi di Bozóky, La politique cit., specialmente il terzo capitolo: Les reliques dans la
sacralisation et la légitimation du pouvoir royal en occident, pp. 119-169; e anche S.
Boesch Gajano, Reliques et pouvoirs, in Les reliques. Objets, cultes, symboles. Actes
Culto delle reliquie, iconografia, propaganda 597

Peccato che la lettera inviata a Mantova nel 1531 non abbia spe-
cificato se la mano della Santa fosse stata mutila di un dito. Ovvero
di quel frammento «fundatoris dentibus ab eius manu in monte Sina
avulso»(29) che è per l’appunto alla base della fondazione storica /
mitica della basilica di Santa Caterina a Galatina. La basilica fu voluta
da Raimondo Orsini del Balzo come ex voto, di ritorno da un pel-
legrinaggio e affinché potesse trovare una degna dimora la reliquia
del dito della Santa, bottino di un vero e proprio furtum sacrum, alla
quale se ne unirono nel tempo numerose altre non necessariamente
trafugate(30). Dal monastero di Santa Caterina sul Sinai, Raimondello
portò via con sé anche un altro oggetto straordinario, cioè l’Imago
pietatis: l’immagine del Cristo dolente realizzata in un micro-mosaico
degno delle maestranze bizantine più raffinate. Un oggetto prezioso
che intorno al 1380 il principe donò al pontefice a Roma (Urbano
VI), dove ancora oggi si conserva nella basilica di Santa Croce in
Gerusalemme inserito in un prezioso reliquiario, non prima però di
aver fatto riprodurre nella pietra la medesima effigie da uno scultore
di Galatina e che volle, infine, incastonata sulla sommità del portale
centrale della sua basilica(31). L’episodio dell’acquisizione furtiva del
dito della Santa, così come la sua rocambolesca traslazione «ut aiunt»
nascosto nella ricca capigliatura del principe, si diffonde precoce-
mente ed è trasmesso nella storiografia locale e in quella francesca-
na(32). Così attesta Antonio de Ferraris nel De situ Japigiae dove, nel

du colloque international de l’Université du Littoral-Côte d’Opale, éd. E. Bozóky


– A. M. Helvétius, Turnhout 1999, pp. 255-269.
(29) 
Il passo è riportato da P. Corsi, I francescani osservanti della Vicaria di
Bosnia in Puglia, in Dal Giglio all’Orso cit., pp. 237-249: 246, già tratto da un
inventario delle reliquie custodite presso la basilica e convento di Santa Caterina
riportato da F. Gonzaga, nel De Origine Seraphicae Religionis Francescana eiusque
progressibus de Regularis, Roma 1587, p. 400.
(30) 
Sul tema dei furta sacra si rimanda allo storico contributo di P. J. Geary,
Furta sacra. Thefts of Relics in the Central Middle Ages, Princeton 1978.
(31) 
Una breve scheda sull’oggetto – recentemente esposto in una mostra
dedicata al culto delle reliquie nel Medioevo al British Museum dove è stato pos-
sibile osservarlo da una distanza estremamente ravvicinata che ha consentito di
apprezzarne l’elevatissima qualità della manifattura – è nel catalogo Treasures of
Heaven. Saints, Relics, and Devotion in Medieval Europe, catalogue of the exihibi-
tion (Cleveland – Baltimore – London 2010-2011), cur. M. Bagnoli – H. A. Klein
– C. Griffith Mann – J. Robinson, Yale University Press – New Haven – London
2011, scheda di catalogo 116.
(32) 
Com’è noto il racconto del sacro furto del dito si radica nella letteratura
francescana, oltre che ad essere riportato dal già citato Gonzaga (per cui cfr. la
598 Angelo Maria Monaco

capitolo dedicato alla città di Galatina, si sofferma a descrivere il bel


tempio di Santa Caterina colà eretto per devozione di Raimondello
sul modello di quello dedicato alla stessa santa sul monte Sinai, per-
tanto, a Galatina «Templum habet pulcherrimun divae Catherinae a
Raimundo principe Tarentino dicatum, cum xenodochio et castellis
non nullis ditatum, constructum, ut aiunt, ad exemplum templi divae
Catherinae, quod est in Sina monte, ubi vir religiosissimus et insignis
pietate votum fecit de edificando templo. In quo monumenta sunt
Ursinorum familiae, quae ibi multis annis dominate est»(33).
Di certo resta la reliquia che ancora oggi si conserva a Galatina,
custodita all’interno di un prezioso reliquiario anatomico tardogo-
tico probabilmente realizzato da maestranze orafe tarantine (Fig.
51), musealizzata in un’anonima teca e pertanto depauperata della
funzione liturgica originaria(34).
È necessario attestare che tale tradizione consente l’inserimento
anche del caso orsiniano all’interno di una topica consolidata, di
lunga durata, relativa alla fondazione di uno spazio sacro di impor-
tanza politica, propagandistica, dinastica, comunque strategica per il
“principe” che se ne è fatto promotore, a seguito e in virtù dell’acqui-
sizione di una reliquia proveniente dalla Terra Santa.

nota 29), si riscontra in S. Mezio, Epistola ad Abb. Generalem Olivetanum, riportato


in I viaggi pugliesi dell’Abate Pacichelli (1680-87), introduzione, note e indici cur.
M. Paone, Galatina 1993, pp. 236-237; ancora, si ritrova in Padre Bonaventura da
Lama, Cronica dei Minori Osservanti Riformati della Provincia di S. Nicolò, Lecce
1724, II, p. 103. Le medesime fonti cita anche Sofia Di Sciascio nel suo studio inti-
tolato Reliquie e reliquiari in Puglia fra IX e XV secolo, Galatina 2009 (Università
degli studi di Bari. Dottorato di ricerca. Storia dell’arte comparata, civiltà e culture
dei paesi del Mediterraneo, 1), p. 206, nota 97.
(33) 
Cfr. A. De Ferraris, La Iapigia. Liber de situ Iapygiae, prefazione di F.
Tateo, introduzione, testo, traduzione e note cur. D. Defilippis, Galatina 2005 (La
letteratura e le arti, 3), p. 76; il passo è riportato anche da Poso, in La fondazione
cit., p. 205, n. 20.
(34) 
Sul reliquiario, la sua datazione e probabile origine e sulle altre reliquie
raccolte da Raimondello, molte delle quali sono esposte oggi nel museo della basili-
ca, cfr. Di Sciascio, Reliquie cit., pp. 206-209. Sulla tipologia specifica dei reliquiari
anatomici si veda il contributo di C. Hahn, The Spectacle of the Charismatic Body.
Patrons, Artists, and Body-Part Reliquaries, in Treasures of Heaven. Saints cit., pp. 163-
172. Utile, inoltre, sul medesimo argomento è il saggio di B. Reudenbach, Visualizing
Holy Bodies. Observations on Body-Part Reliquaries, in Romanesque. Art and Thought
in the Twelfth Century. Essays in Honor of Walter Cahn, cur. C. Hourihane,
Princeton 2008 (Index of Christian Art Department of Art & Acheology Princeton
University in association with Penn State University Press), pp. 95-106.
Culto delle reliquie, iconografia, propaganda 599

3.  Imitatio atque Humanitas

Come già messo a fuoco da Benedetto Vetere e Cosimo


Damiano Poso(35), l’atto di mecenatismo di Raimondello sotteso
alla fondazione della basilica, va inserito nel più ampio processo
di latinizzazione dell’area geografica salentina, in quel tempo
ancora fortemente ancorata, anche nella liturgia, alla cultura
greco-bizantina. La scelta del Santo titolare diviene funzionale
alle esigenze liturgiche e politiche del luogo e come ha dimostrato
ancora una volta Fantoni, le virtù praticate dal Santo, attraverso
un processo osmotico, diventano prerogativa del Signore che a
questi si è votato. Nel caso specifico del principato orsiniano
essendoci a monte esigenze politiche di conversione liturgica e
lotta alle eresie dilaganti(36) la scelta sarebbe ricaduta su Santa
Caterina in quanto, secondo l’agiografia, era questa protettrice
dei filosofi impegnati a sconfessare le false credenze, era dotta,
saggia e di conseguenza una virtuosa dell’ortodossia. In pratica,
la Principessa di Alessandria non solo sarebbe stata la dedicataria
più adeguata di una fondazione religiosa nata con una specifica
missione liturgica, appunto quella finalizzata alla latinizzazione di
un’ampia area geografica, ma inoltre, sulla scorta delle sue vicende
biografiche che l’avevano vista paladina dell’ortodossia, avrebbe
evocato il medesimo impegno profuso dal casato dal quale era
stata scelta come protettrice. Secondo tale prospettiva cogliamo
elementi ancora una volta fedeli a un cliché persuasivo. Come
in un gioco delle parti, la Santa manifesta attraverso le proprie
virtù, quelle del suo primo fedele, cioè il principe che l’ha eletta

(35) 
Per questi aspetti si rimanda ai saggi di Vetere, I del Balzo cit., e Poso, La
fondazione cit.
(36) 
Cfr. Vetere, I del Balzo cit., in particolare pp. 21-23. Una delle questioni più
spinose era la contestazione al dogma trinitario alla quale si reagisce con la molti-
plicazione delle rappresentazioni iconografiche del dogma al fine di enfatizzarne
il culto. In proposito si rimanda agli interventi di S. Calò Mariani, Rappresentare
il mistero. Immagini della Trinità in Puglia fra Medioevo e Rinascimento, in
Tolleranza e convivenza tra Cristianità e Islam. L’Ordine dei Trinitari (1198-1998).
Atti del convegno di Studi per gli ottocento anni di Fondazione, Lecce 30-32 gen-
naio 1999, Galatina 1999, pp. 9-27, e di M. Falla Castelfranchi, La teologia trini-
taria: aspetti iconologici e iconografici: Le origini e il suo sviluppo in area bizantina,
Bari 1999, più incentrato sulla diffusione del medesimo soggetto iconografico in
ambito bizantino.
600 Angelo Maria Monaco

come patrona. Ne segue, così, l’immagine di un principe alter ego


della stessa santa, a sua volta capace delle medesime virtù, quindi,
dotto, saggio e filosofo e difensore dell’ortodossia.
Nel processo di formazione di una propaganda principesca,
ancora una volta Fantoni individua il topos classico dell’humanitas
come virtù distintiva dell’animo del sovrano. Attraverso essa egli
agisce nella direzione di un interesse collettivo e non personale ed
è coinvolto nella cura della salus pubblica, intesa non solo nell’acce-
zione di retta moralità dei suoi sudditi, ma anche di vero e proprio
benessere sociale misurabile attraverso l’elargizione della propria
ricchezza materiale. Pertanto, in tale contesto, riveste un ruolo di
primaria importanza l’attenzione rivolta dal signore alle sedi della
sacralità civica verso le quali, una volta conseguita l’egemonia
politica, egli avvia un’azione “di conquista”(37). In questa categoria
rientrano quei luoghi pubblici in cui il principe può dar prova tan-
gibile dell’effettiva cura che presta ai sudditi fornendo loro attività
assistenziali e strutture necessarie. La ricaduta benefica collettiva
di tale importante aspetto dell’esercizio del potere si concretizza ad
esempio nella fondazione dell’Ospedale Maggiore su progetto di
Filarete nella Milano di Francesco Sforza, in quella dell’ospedale
di Sant’Anna commissionato da Lionello d’Este a Ferrara, nella
edificazione degli ospedali per i pellegrini sorti in prossimità degli
imbarchi per la Terra Santa o nei pressi delle mete di pellegrinag-
gio più visitate.
L’ascesa strategica del polo galatinese che sancisce la supremazia
politica territoriale della città, è legittimata dall’emanazione di alcu-
ne bolle papali. Nel 1385, Urbano VI autorizza la fondazione della
basilica di Santa Caterina insieme con l’annesso convento-ospedale
affidandone la gestione ai francescani(38). Nel 1391 Bonifacio IX
(Pietro Tomacelli nato a Casarano, non distante da Galatina) attesta
la destinazione d’uso della fondazione, nella quale rientra anche
quella di ospizio per gli stranieri che, come attesterà il Galateo
chiamandolo alla greca xenodochio, sarà ancora attivo alla fine del

(37) 
Cfr. Fantoni, Il potere cit., in particolare le pp. 189 et segg. dove lo storico
affronta il tema specifico delle dinamiche di controllo politico del sacro attraverso
l’edificazione e fondazione pianificate e quindi strategiche di chiese e monasteri
nei potentati territoriali.
(38) 
Per la cronologia dei lavori di costruzione del convento cfr. Cazzato,
Imprese costruttive cit., pp. 307-335: 307ss.
Culto delle reliquie, iconografia, propaganda 601

XV secolo(39). Nel 1392 una bolla papale sancisce il prezioso rico-


noscimento del potere salvifico dello spazio galatinese attraverso
l’inserimento della medesima basilica all’interno del circuito delle
“perdonanze”, cioè di quei siti capaci di concedere «illam indul-
gentiam et remissionem peccatorum»(40) ai fedeli che vi si fossero
recati in pellegrinaggio(41). Nel 1403 lo stesso pontefice esenta il
vicario e i frati del convento dalla giurisdizione dell’arcivescovo di
Otranto, annettendo la proprietà e la gestione dell’intero sistema
locale direttamente alla sede apostolica. Contestualmente, viene
conferito a Raimondello e ai suoi eredi lo ius patronatus che arroga
loro il diritto di proposta dei candidati alle maggiori cariche del
convento, secondo una prassi smaccatamente tesa all’accentramento
del potere(42). Il quadro delineato risulta assolutamente coerente con
un modello di gestione territoriale che procede per aggregazione
di funzioni, diffuso nei principati di Antico Regime. L’enfasi sul
potenziale soteriologico dei luoghi dinastici è in buona sostanza una
ulteriore costante topica del rapporto tra principe e sfera del sacro
nel processo di affermazione identitaria e poi dinastica. Come per
una reazione a catena, l’amplificazione della potenza del luogo sacro,
reso capace di concedere l’indulgenza, esalta, alla fine, il prestigio
del signore del luogo.

3.  Araldica atque Pietas.

Le iconografie scelte per decorare gli spazi architettonici diven-


tano veicolo non solo propagandistico, ma anche documento visivo

(39) 
Cfr. supra, nel testo e nota 33 per il passo tratto dal De situ Japigiae.
Nella bolla del 1391 di Bonifacio IX Annuere consuevit inoltre si dichiara che
Raimondello aveva realizzato «pro divini cultus augumentu et usu et habitatione
pauperum et infirmorum quandam ecclesiam cum hospitali pauperum in honorem
et sub vocabulo S. Catherine», il passo citato sta in B. F. Perrone, Neofeudalesimo
e civiche Università di Terra d’Otranto, I, Galatina 1978, p. 163.
(40) 
Riportato da G. Vallone, Una nuova bolla di Santa Caterina in Galatina,
«Bollettino Storico di Terra d’Otranto», 2 (1992), pp. 193-194: 193.
(41) 
I vantaggi derivanti dall’emanazione della bolla, sia in termini di incre-
mento dell’afflusso di pellegrini di rito latino e di consolidamento del medesimo
a Galatina, che di funzione coadiutrice dell’opera in costruzione non sfuggivano
allo stesso Vallone, cfr. ibid., p. 194.
(42) 
Cfr. Corsi, I francescani osservanti della Vicaria cit., pp. 237-249.
602 Angelo Maria Monaco

del rapporto privilegiato che si instaura tra il committente e il santo


protettore. La replica esasperata delle credenziali terrene di nobil-
tà, espresse dagli stemmi del casato, trasformeranno, secondo una
felice definizione di Fantoni, le stesse chiese in “succursali della
corte”. Anche questo avviene in Santa Caterina dove si giungerà alla
rappresentazione di un teatro araldico in cui gli stemmi moltiplica-
ti, sovrapposti, sgraffiati e ridipinti, «al limite dell’ossessione»(43),
dichiareranno dall’alto dei loro sedicesimi, ottavi o quarti di nobiltà,
a regola d’arte inquartati, oltre all’ovvia paternità della committenza
degli affreschi o degli arredi su cui sono impressi, i nuovi assi di
alleanza delle famiglie notabili locali. Nella scelta dei titolari degli
altari ci si voterà a quei santi prediletti dai singoli benefattori di
turno. Alcuni saranno santi molto noti, spesso eponimi dei ram-
polli, altri figureranno poiché legati alle vicende particolari o alle
tradizioni culturali di singole famiglie. Altri ancora saranno talmente
sconosciuti da risultare irreperibili nelle fonti agiografiche ufficiali.
Anche questo, ad esempio, avviene a Santa Caterina, dove un tale San
Solomo è un impavido cavaliere guerriero immortalato in un ampio
affresco a ribadire il rispetto e la devozione di cui godeva da parte
di alcuni esponenti dell’antico casato Maremonti, che là lo vollero
effigiato(44). Così, anche la specificità dei miracoli operati da Cristo
o dai santi rappresentati, può essere intesa come indicazione allego-
rica che àncora i testi sacri alla realtà. Oltre alle storie dell’Antico e
del Nuovo Testamento, è probabile che nel programma iconografico
della basilica, sia la più generale enfasi sull’Apocalisse attraverso una
raffigurazione straordinaria della visione giovannea, che la rappresen-
tazione, nel ciclo della vita della Santa, di episodi ben precisi come
quello della disputa tra i dottori, ancora una volta, debbano essere
intesi come evocativi dell’impegno militante e pedagogico profuso
dal casato principesco nella difesa dell’ortodossia (Figg. 52, 53).
Lo spazio sacro di famiglia, palcoscenico per il protocollo ceri-
moniale di corte, aspetto del quale in verità ben poco conosciamo

(43) 
Cfr. Cazzato, Imprese costruttive cit., p. 322. Sui cicli iconografici nella
basilica si rimanda a La parola si fa immagine. Storia e restauro della basilica orsinia-
na di Santa Caterina a Galatina, cur. F. Russo, Venezia 2005.
(44) 
Per la corretta identificazione del soggetto iconografico e l’agganciamento
di questi alla committenza Maremonti, cfr. S. Ortese, Una committenza Maremonti
nella chiesa di Santa Caterina d’Alessandria in Galatina, in Dal Giglio all’Orso cit.,
pp. 403-415.
Culto delle reliquie, iconografia, propaganda 603

nello specifico microcosmo orsiniano, sarà completato dall’erede di


Raimondo, Giovanni Antonio. Questi, aggiungendo una tribuna otta-
gonale all’impianto basilicale, doterà l’edificio di un corpo architettoni-
co la cui pianta è carica di una valenza simbolica complessa, ancora una
volta riconducibile al modello gerosolimitano(45). Inoltre, accogliendo
i cenotafi del padre (morto nell’assedio di Taranto il 17 gennaio 1406)
e predisponendo il proprio, Giovanni Antonio conferirà all’edificio la
funzione di mausoleo dinastico sebbene solo in via memoriale.
I due cenotafi(46)(Figg. 54-56) che da un punto di vista tipolo-
gico sono derivazioni tarde (e in ritardo di un paio di secoli) dei
sepolcri nobiliari realizzati nella capitale del regno da maestranze
influenzate, se non dirette, dallo scultore senese Tino di Camaino,
vanno ascritti a maestranze locali – si è pensato a Nuzzo Barba – (47).
Entrambi i cenotafi appaiono oggi mutilati e pesantemente rimaneg-
giati, pertanto una loro analisi non può che risultare parziale.
Se quello di Giovanni Antonio è collocato, plausibilmente
secondo il progetto originario, in posizione preminente ovvero al
centro della cappella ottagonale che costituisce la zona presbiteriale
della basilica, quello di Raimondello è addossato, ormai mutilo e
probabilmente ricollocato, alla parete sinistra della navata centrale
subito prima del transetto. Nel primo caso, quattro agili colonne a
decori geometrici, poggianti su leoni stilofori, culminanti in capitelli
elegantemente elaborati in foglie arricciate, sostengono un catafalco

(45) 
Per le implicazioni simboliche sottese all’impiego della pianta ottagonale
in un edificio sacro e la sua connessione col prototipo gerosolimitano rimando
al mio studio, La Gerusalemme cit., in particolare si confrontino le pp. 104-132 e
bibliografia indicata.
(46) 
Non è stata ancora chiarita la questione delle effettive sepolture dei due
principi il cui approfondimento porterebbe troppo al di là dei limiti editoriali
suggeriti per questo intervento.
(47) 
Un esemplare evocativo, per quanto caratterizzato da elementi architet-
tonici più elaborati rispetto ai due cenotafi in Santa Caterina, è il monumento
sepolcrale a ciborio di Caterina d’Austria (1324), consorte di Carlo di Calabria, rea-
lizzato da Tino di Camaino in San Lorenzo Maggiore a Napoli. Per il monumento
citato e un utile saggio sulle sepolture nobiliari partenopee nel XIV secolo si veda
F. Aceto, Status e immagine nella scultura funeraria del Trecento a Napoli: le sepol-
ture dei nobili, in Medioevo: immagini e ideologie. Atti del convegno internazionale
di studi (Parma, 23-27 settembre 2002), cur. A. C. Quintavalle, Milano 2005, pp.
597-607. L’attribuzione a Nuzzo Barba, scultore galatinese attivo tra i secoli XV e
XVI, è riportata in M. Paone, Arte e cultura alla corte di Giovanni Antonio del Balzo
Orsini, in Studi di storia pugliese in onore di Giuseppe Chiarelli, cur. M. Paone, II,
Galatina 1973, pp. 59-101, in particolare p. 73 nota 55.
604 Angelo Maria Monaco

ribaltato preceduto da due angeli reggicortina (un elemento tipolo-


gico caro già ad Arnolfo e a Nicola Pisano, per cui in questo senso
è una tipologia medievale). Qui giace la salma del principe in gisant
vestita del saio francescano, a piedi nudi, con le braccia incrociate sul
petto e la testa posata su un cuscino che ripete come in un ricamo
il pattern della stella Orsini. Al di sopra, una struttura rimaneggiata
nel ‘500, culminante in un timpano dove due angeli reggono lo stem-
ma Orsini Del Balzo, serviva ad accogliere la statua a tutto tondo
– ormai perduta – del principe pleurant ovvero della sua “effigie
inginocchiata”: un elemento questo piuttosto “moderno” e che anzi
proprio nel XVI secolo conoscerà la massima diffusione soprattutto
in ambito francese negli straordinari monumenti funerari dei Valois
a Saint-Denis, dei quali quello del sovrano Carlo VIII, noto solo in
disegno poiché andato distrutto dalla foga rivoluzionaria, è indivi-
duato da Erwin Panofsky come l’archetipo ideale della serie dinasti-
ca(48). Tipologicamente affine al primo, ma ridotto nelle dimensioni e
ormai privo della copertura a ciborio timpanato (di cui resta memo-
ria in un disegno ottocentesco realizzato a penna dal disegnatore
galatinese Pietro Cavoti – Fig. 54), il cenotafio di Raimondello appa-
re adesso composto da due sole colonne che sotengono il catafalco
ribaltato. Nella parte anteriore, fedele alla tipologia del precedente,
due angeli reggicortina mostrano – oppure sono in atto di celare
? – la salma del principe vestita dell’umile saio francescano. Sulla
sommità del baldacchino resta ancora posato il simulacro a tutto
tondo del defunto, ritratto genuflesso e in preghiera e vestito di una
sontuosa cappa rossa dalle cui maniche sbuca la fodera di ermellino,
che è un noto attributo regale. Entrambe le strutture monumen-
tali in virtù della loro impaginazione iconografica, che prevede la
raffigurazione del corpo morto e del corpo vivo, ricadono ancora
una volta nelle costanti topiche individuate da Fantoni nel caso di
sepolture principesche o regali che vedono il loro significato ampli-
ficato dalla sua combinazione con altri elementi a forte connotazione
simbolica quali il sito dell’edificio, il suo carattere “gestionale”, la sua

(48) 
Cfr. E. Panofsky, Tomb Sculpture. Its Changing Aspects from Ancient Egypt
to Bernini, London 1964, pubblicato in italiano con una bella introduzione di
Pietro Conte per cui cfr. Panofsky, La scultura funeraria dall’antico Egitto a Bernini,
Torino 2011; per il disegno della sepoltura di Carlo VIII si cfr. la fig. 237 e in gene-
rale il capitolo IV. Il Rinascimento per lo studio delle sepolture a Saint-Denis, ma
in particolare per “l’effigie inginocchiata” le pp. 129-130.
Culto delle reliquie, iconografia, propaganda 605

dimensione cenobitica, il suo protettore celeste, l’importanza delle


reliquie possedute.
«La doppia raffigurazione del principe (mortale e immortale)
leggibile in sé come trasposizione figurativa della doppia natura (fisi-
ca e mistica) del sovrano, acquista ancor più pregnanza semantica se
posta in relazione con gli altri elementi che ne connotano la sepol-
tura, vale a dire la scelta di complessi monastici e l’accostamento a
resti santi e reliquie. [Questo conferisce al sepolto una] perpetua
certificazione della natura divina di un potere che [a lui è disceso]
dalla “grazia” di Dio»(49).
In conclusione, da un punto di vista tipologico, i monumenti
funerari degli Orsini sono degni di un sovrano e progettati per veico-
lare un’immagine di regalità conquistata; rientrano a pieno titolo in
quella tipologia di strutture “semiofore” destinate a proiettare un’im-
magine “potente” nel tempo. Risulta qui adeguata l’asciutta ma altis-
sima intuizione di Johann Jakob Bachofen per la quale «il simbolo fu
ideato nelle tombe e colà mantenuto il più a lungo possibile»(50).

In apertura ai lavori di questa assise, Benedetto Vetere ha enfa-


tizzato come due virtù peculiari abbiano caratterizzato non solo la
personalità di Raimondello, ma anche quella di Giovanni Antonio: la
magnificenza e la non comune generosità. Entrambe calcolate, come
fanno fede i lunghi inventari a nostra disposizione riscoperti dallo
storico, in termini di capacità di spesa, di disponibilità di approvvi-

(49) 
Fantoni, Il potere cit., p. 213-214. Sul topos e sulla funzione simbolica del
doppio corpo del sovrano si rimanda al classico studio di E. H. Kantorowicz, The
king’s two bodies. A study in medieval political theology, Princeton 1957, e a quello
di G. Ricci, Il principe e la morte, Bologna 1998; e di S. Bertelli, Il corpo del re.
Sacralità e potere politico nell’Europa medievale e moderna, Firenze 1990. Per la
tipologia di monumento sepolcrale caratterizzato dalla doppia raffigurazione del
defunto si rimanda oltre al precedente di Panofsky citato, ai classici studi di I.
Hercklotz, Sepulcra e Monumenta nel Medioevo. Studi sull’arte sepolcrale in Italia,
Roma 1990, questo soprattutto per la figura del defunto in gisant rivelato dagli
angeli reggi cortina, e inoltre, K. Cohen, Metamorphosis of a Death Symbol. The
Transi Tomb in the Late Middle Ages and the Renaissance, Los Angeles – London
1973. Per le sepulture dei Valois a Saint Denis si rimanda, inoltre, a J. P. Babelon,
Le Roi, la sculpture et la mort. Gisants et tombeaux de la basilique de Saint-Denis,
«La Renaissance, Bulletin des archives départementales de la Seine-Saint-Denis»,
5 (1976), pp. 31-45.
(50) 
J. J. Bachofen, Diritto e Storia. Scritti sul matriarcato, l’antichità e l’Ottocen-
to, cur. M. Ghelardi – A. Cesana, Venezia 1990, p. 25.
606 Angelo Maria Monaco

gionamenti, di beni suntuari, di ricaduta positiva e benessere diffuso


a corte, le due virtù contribuiscono a profilare la dignità principesca
del casato(51). Pertanto, lungo la scia di tale riflessione, non appare
una forzatura introdurre la seguente suggestione conclusiva.
Qualora un umanista di corte, negli anni in cui si definiva il
potere degli Orsini del Balzo e prendeva forma la magnifica basilica,
avesse voluto mettere in versi per lodarle, le gesta di Raimondello,
signore talmente potente da sembrare un re al re, di certo non
avrebbe mancato di celebrare, secondo il codice dell’encomio, la
virtù della pietas del suo signore. Questa virtù che rende il principe
pellegrino, di volta in volta ladro, mecenate, difensore del sacro e
primo devoto tra i primi, sebbene contribuisca piuttosto alla caratte-
rizzazione epica della biografia di Raimondelo che a quella storica,
può essere considerata tuttavia come la chiave di volta necessaria al
sostegno dell’edificio galatinese. La pietas principesca è innesco del
“sistema” Santa Caterina come centro assistenziale per la comunità
dei fedeli e per i pellegrini e fulcro teologico per la promozione
dell’ortodossia. La basilica medesima, intesa come centro aggregante
di valori simbolici cultuali e di propaganda politica, in questo senso
“spazio potente”, consente di profilare il microcosmo genealogico
“orsiniano” come un nucleo dinastico che aveva incominciato a
rappresentarsi, sebbene nella breve parentesi di due generazioni,
secondo un protocollo codificato di tipo smaccatamente regale.

(51) 
Sulla circolazione di beni materiali, anche suntuari, così come sulla
dotazione monetaria del principato, si rimanda al recente contributo di Luciana
Petracca sulla zecca di Lecce attiva nel XV secolo, per cui cfr. Quaterno de spese et
pagamenti fatti in la cecca de Leze (1461/62), cur. L. Petracca, Roma 2010 (Istituto
Storico Italiano per il Medioevo. Fonti e Studi per gli Orsini di Taranto. Fonti,
2).
48. Galatina, basilica di Santa Caterina d’Alessandria (affreschi della na-
vata centrale sec. XV; sullo sfondo il cenotafio di Giovanni Antonio del
Balzo Orsini, prima metà del sec. XVI).
49 50

51

49. Francesco Bonsignori, Ma-


donna col Bambino, anni ’80
del XV sec., olio su tavola. Ve-
rona, Museo di Castelvecchio.
50. Andrea Mantegna, Cristo mor-
to, c. 1490, tempera su tela.
Milano, Pinacoteca di Brera.
51. Maestranze orafe tarantine
del sec. XV, reliquiario del
dito di Santa Caterina. Gala-
tina, Museo diocesano.
52. Maestranze anonime del sec. XV, Le armate celesti condotte dal Messia,
particolare degli affreschi dal ciclo dell’Apocalisse, Galatina, basilica di
Santa Caterina d’Alessandria.
53
53. Maestranze anonime
del sec. XV, Angeli
guerrieri, particola-
re degli affreschi dal
ciclo dell’Apocalisse.
Galatina, basilica di
Santa Caterina d’Ales-
sandria.
54. Pietro Cavoti, Dise-
gno del cenotafio di
Raimondello del Balzo
Orsini.
55. Maestranze anonime
del XV secolo, Iscri-
zione commemorativa
a Raimondello del bal-
zo Orsini. Galatina,
basilica di Santa Cate-
rina d’Alessandria.

54 55

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