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Avanguardie storiche e Neovanguardie

Silvia Evangelisti – 6 cfu

Francesco Casetti e David Joselit – L’Arte al tempo dei media, profili e tendenze della scena artistica
italiana

Ricerche sulla base del Premio Terna, sulla situazione artistica contemporanea in Italia

Linea di tendenza: dall’Artista-Intellettuale all’Artista-Mediatore

Quale idea di fare e di essere artista sta trasformando l’universo dell’arte’

Quali profili d’artista stanno emergendo?

Verso quali modelli non estetici, ma culturali, ci stiamo muovendo?

Il quadro offerto dall’indagine sull’attività artistica italiana presenta delle sottili contraddizioni.

C’è l’addio alla figura romantica dell’artista, ma anche l’enfasi su una vocazione; l’importanza data
all’auto-valutazione, ma anche il desiderio di una legittimazione da parte delle figure che
“contano”; il bisogno di momenti di ricerca, di pause nel proprio fare, ma anche la sottolineatura
degli aspetti quasi materiali della pratica artistica.

E soprattutto una determinata apertura ai media, senza però adottarne sempre fino in fondo la
logica (giusto per non sentirsi tagliati fuori da una rete di comunicazione, ma anche spesso
scegliendo di radicarsi il più possibile in un territorio concreto). Si tratta di contraddizioni ben
diverse da quelle del passato, che vedevano l’artista ad esempio, diviso tra volontà di indipendenza
e presenza di committenti, o tra la volontà di ricerca e l’uso di linguaggi riconoscibili, o tra necessità
di impegno sociale e specificità della sfera artistica.

Queste nuove contraddizioni non creano lacerazioni e conflitti, ma piuttosto una serie di tensioni
tra cui l’artista cerca di “disbrigarsi” e soprattutto esse portano a un nuovo atteggiamento: l’artista,
misurandosi con esse, emerge come una persona pratica ma non cinica, radicata nel locale ma
attento al globale, conscio del proprio ruolo ma volonteroso di dialogo, dedito all’arte ma non
chiuso dentro essa.

La prima tendenza che sembra profilarsi in questo nuovo panorama può allora essere riassunta
dicendo che sembra finita l’epoca dell’artista-intellettuale, e al suo posto si impone piuttosto la
figura dell’artista-mediatore. Colui cioè che invece di parlare dall’alto, in nome di un imperativo,
vive il proprio tempo in tutte le sue contraddizioni. È mediatore perché cerca una soluzione,
misurandosi con quello che trova, e approfittando delle situazioni. Ed è mediatore anche nel senso
che opera con e come i media, e cioè mette in contatto elementi diversi, costruendo una rete di
relazioni e reti di opportunità, in una specie di dialogo aperto con il suo ambiente e il suo tempo.

Linea di tendenza: dall’Artista professionista all’Artista Pro-Am

La seconda tendenza che volevo segnalare emerge da alcune osservazioni di Mariagrazia Franchi,
che ci ricorda, l’emergere nel mondo contemporaneo della figura del Pro-Am. Il termine Amateur
che affianca qui quello di Professional, non è limitativo. Amatore infatti rinvia al coinvolgimento
affettivo nei confronti di quello che si fa, alla disponibilità a lavorare al di fuori dei canoni fissati
istituzionalmente o socialmente, e infine alla capacità di aggregare saperi e pratiche diverse.
Ebbene oggi l’artista sembra passare dallo statuto di Professionista a quello di Pro-Am. Ne è una
riprova il fatto che egli viva la sua attività come un mestiere, ma anche come una vocazione, e in
qualche modo come un destino. Il risultato è quindi, un nuovo profilo che brucia i confini tra
specialista e dilettante, senza rinunciare alla intensità e alla profondità dell’operare artistico
tradizionale.

Questa tendenza trova conferma in un altro tratto sottolineato da M. Franchi, ossia la crisi di quel
modello verticale che ha caratterizzato a lungo l’industria, compresa quella culturale. Al posto di
una netta distinzione tra fasi e ruoli produttivi, si stanno affermando oggi prassi diversificate e
fluide, in cui produzione e consumo si mescolano, con il consumatore che riprende il prodotto, lo
rilavora per adattarlo alle proprie esigenze, spesso ne sforza i limiti, fino ad attribuirgli nuove
funzionalità.

Si tratta di un modello che non caso viene chiamato “produsage”, a sottolineare la coesistenza di
production e usage. Ebbene i nostri artisti, quelli contemporanei, dei giorni nostri, sembrano
sempre più muoversi verso questo orizzonte. Non è un caso che spesso le loro opere nascano da un
rimescolamento e da una riattivazione di materiali precedenti, o da forme di collaborazione con
sapere tecnici diversificati. E soprattutto non è un caso che gli artisti accettino le logiche del mondo
dell’arte ma nel contempo rifiutino ogni forma di gerarchia.

Il modello di “produsage”, così come la figura del Pro-Am, quindi, trovano il loro terreno di coltura
nelle pratiche grassroots, che oggi caratterizzano molta della produzione intellettuale. Si tratta di
pratiche che vedono i consumatori di beni e servizi intervenire creativamente su ciò che offre loro il
mercato, e che vanno dal semplice uso di un device al di fuori dalle regole fissate dal libretto delle
istruzioni, fino alla vera e propria invenzione di nuovi oggetti, basati spesso sul rimontaggio e la
combinazione di oggetti precedenti.

In questo, possiamo dire che la nuova figura dell’artista Pro-Am partecipa di una trasformazione del
lavoro intellettuale più ampia, che ha nel campo dei media, la sua palestra più evidente.

Linea di tendenza: dall’Artista Radicato all’Artista Glocal


La terza tendenza riguarda il territorio - geografico, sociale, linguistico e istituzionale - entro cui i
nostri artisti si muovono. Ricordiamo che viviamo in una società che ha fatto proprio il tipo di una
cultura vernacolare. Tratto tipico di questa cultura, è la forte commistione di alto e basso, di proprio
e improprio: il vernacolare è un linguaggio fortemente sincretico, pieno di contaminazioni, e
tendenzialmente idiosincratico. La sua adozione nel campo dell’arte ha un duplice effetto: da un
lato, porta ad opere che dialogano tendenzialmente con le pratiche comunicative e culturali
quotidiane, anche le meno legittimate, dall’altro, porta ad un indebolimento del campo dell’arte,
non più circoscritto e circoscrivibile entro un recinto fatto di stili e di modelli ben consolidati.

Il vernacolare, insomma, fa lievitare forme espressive spesso impure, sia pur sempre molto
personali, e nello stesso tempo dissolve i tradizionali territori dell’arte, a favore di una continua
circolarità e intercambiabilità di modelli.

Per quanto riguarda una serie di evidenze che emergono soprattutto nella parte qualitativa,
possiamo dire che troviamo delle contraddizioni in cui i nostri artisti sembrano spesso presi, quella,
in primis, tra il voler essere se stessi e la necessità di una appartenenza. Di qui una tensione tra
l’isolamento e il bisogno di immersione, tra la volontà di distacco e la ricerca di nuovi contatti.

Possiamo forse riassumere questa condizione dell’artista contemporaneo, pronto a mescolare


linguaggi diversi per formare il proprio (il vernacolare) e nello stesso tempo pronto ad evadere dal
proprio territorio più prossimo, senza però rinunciare all’idea di abitare da qualche parte, dicendo
che quello che qui matura, è la dimensione “glocale”. L’artista non è più confinabile in un territorio
ben preciso, si tratti di una regione o di una scuola, di una nazione o di uno stile. Attraversa territori
come un nomade. Ma a differenza del nomade, in questo attraversamento costruisce un posto che
può considerare suo; appunto pratica la globalità.

Lo stato dell’Arte: uno sguardo sulla quotidianità in Italia

Why do people think artists are special?

It’s just another job.

Andyn Warhol, 1975

Uno degli obiettivi di questa ricerca è stato cercare di andare al di là dell’impostazione riduttiva che
vede l’artista come un genio individuale, che opera in solitudine, e tentare di restituire la
complessità dei mondi dell’arte, riprendendo il felice titolo dell’opera di Becker a essi dedicata. Per
studiare lo “stato dell’arte”, quindi ci si è rivolti non tanto ai soli artisti famosi, ma all’insieme di
persone che hanno partecipato a diverse edizioni del Premio Terna. Seguendo le domande di Bain,
si è artisti se si è conseguito un certo titolo di studio? O dipende dal numero di ore lavorate come
artista e bisognerebbe allora definire il lavorare come artista? O ancora dipende dalle opinioni e
valutazioni dei critici d’arte? Nel corso della ricerca il centro dell’attenzione si baserà su quanti
hanno pensato di definire arte la propria opera, e deciso di farla valutare da una giuria.
Becker, 2004:

“Le persone che fanno arte non sono diverse da noi in maniera significativa. Sono persone
altamente qualificate in un’attività specialistica, ma ciò è vero anche per i calciatori che guardiamo
in televisione e i dentisti che curano i nostri denti.”

Riflessioni sulla ricerca:

“Gli artisti parlano volentieri di sé e delle loro opere”, e parziale riprova di quello che dice Casetti, si
può citare una dato: nessuno degli artisti del Premio Terna ha lasciato uno spazio in bianco nelle
domande a risposta aperta, più del 50% si è profuso in spiegazioni e chiarimenti che quasi mai
vengono rilasciati nei questionari cartacei.

Formazione, attività professionale e ambiente: tre aspetti strettamente legati che esercitano
influenze diverse e differenti rispetto agli artisti intervistati.

Se la precoce vocazione all’arte è un aspetto comune a gran parte del campione, il modo in cui la si
asseconda varia, una metà informalmente quindi da autodidatta, l’altra metà frequentando dei
corsi. Il 63% degli intervistati circa poi, svolge un’altra professione, e di questi solo un terzo circa la
considera integrata con la propria attività artistica: così si presta a una doppia lettura. Da una parte
può essere una via di fuga, un ripiego, ma dall’altra può essere un modo per essere liberi. Come
scriveva Adler, “un’occupazione salariata libera l’artista dalle costrizioni materiali, e gli offre la
possibilità di concentrarsi sulla “ricerca pura” senza aver bisogno di compromettersi per cercare di
sopravvivere. Un aspetto unificante il nostro campione, riguarda il modo di essere artisti: la
maggioranza, circa il 52%, dichiara di lavorare a casa, e l’89% di non aver assistenti. Ciò non significa
di riproporre il cliché dell’artista solitario e maledetto, da lungo tempo ormai abbandonato da studi
sociologici e dell’arte: quasi tutti, il 90%, mantengono legami con altri artisti, una buona parte, il
43%, frequenta o fa parte di qualche associazione di artisti, espone con una certa regolarità; aspetti
confermati dall’indice di radicamento sul territorio, che vede due terzi circa del campione su valori
medio-alti.

È infine importante analizzare il ruolo degli intermediari tra il lavoro degli artisti e il più ampio
contesto nel quale sono situati: mecenati, collezionisti, commercianti, critici, associazioni,
istituzioni, e come ricordava Bourdieu, “un prodotto culturale, quadro d’avanguardia, programma
politico, o giornale d’opinione, rappresenta un gusto costituito, un gusto che è stato portato da uno
stato di vaga semi-esistenza, alla realtà piena del prodotto compiuto, grazie ad un lavoro di
oggettivazione che, nella nostra situazione, spetta quasi sempre a dei professionisti appositi”.

In particolare si può notare come il ruolo dei vari gatekeepers, è sempre più messo in discussione
dalle nuove “tecniche comunicative”: i blog, i siti personali, etc. rendono infatti sempre più possibile
gestire autonomamente la propria presenza sul mercato e raggiungere così il proprio potenziale
pubblico.

Citando sempre Bourdieu:

“La professione di scrittore, o di artista, è in effetti una delle meno codificate tra quelle esistenti,
malgrado tutti gli sforzi fatti da tutte le “società degli autori” e gli altri “Pen Clubs”; essa è anche
una di quelle meno capaci di definire completamente coloro che ne menano vanto e che molto
spesso possono svolgere la funzione che ritengono principale alla sola condizione di avere una
seconda professione da cui trarre il loro reddito principale. Ma si comprendono bene i vantaggi
soggettivi che offre questo duplice status, l’identità proclamata che consente per esempio di
accontentarsi di tutti i piccoli mestieri detti alimentari, offerti dalla professione stessa come quello
di lettore o correttore nelle case editrici, e dalle istituzioni collegate, nel giornalismo, nella
televisione, radio ecc. Questi lavori, comportano il vantaggio di porre i loro occupanti al cuore
dell’ambiente, laddove circolano le informazioni che fanno parte delle competenze specifiche dello
scrittore e dell’artista, laddove si conquistano posizioni di potere specifico, che possono servire ad
accrescere il capitale specifico.”

Creatività convergente: l’arte in Italia tra istanze Top Down e Bottom Up

Il Pro-Am: fra Predestinazione e Disciplina

La maturazione della vocazione per l’arte e la definizione della propria identità professionale
vengono presentate come iniziative autonome, gestite indipendentemente dalle agenzie e dalle
istituzioni preposte a formare i nuovi quadri artistici e culturali, e in alcuni casi, a dispetto di esse.
Gli artisti che hanno partecipato alla ricerca dichiarano di coltivare il proprio talento attraverso
mezzi non convenzionali, con l’obiettivo non tanto di apprendere le tecniche, quanto di organizzare
un pensiero. Per il resto, la formazione passa attraverso lo studio personale, un percorso sincretico,
che include testi e riviste di settore e appartenenti alle più diverse discipline.

La valorizzazione del tratto personale del percorso formativo trova la sua espressione più piena nel
racconto dell’agnizione, del momento cioè in cui l’artista prende consapevolezza della sua
“vocazione”. Il carattere aspettuale, improvviso, spesso fortuito, della presa di coscienza ratifica
l’irrilevanza dei percorsi formativi istituzionali, che prevedono una temporalità teleologica e
progressiva, riportando la vocazione artistica a una dimensione naturale, persino biologica. Non
stupisce che tra gli artefici dell’agnizioni, figuri spesso la famiglia, sia come humus in cui germoglia
la vocazione, sia come “specchio caldo”, che consente di riconoscersi e di riconoscere ciò a cui si è
chiamati, più raramente come polo dialettico che sollecita per contrasto, ad affermare la propria
identità.

In tutti i casi, il racconto dell’agnizione presenta un tono fatalistico, quasi di predestinazione, che
serve sia a valorizzare la profondità della propria vocazione, presentata come resa a una forza
superiore; sia a sottolineare l’unicità del proprio percorso biografico, e per estensione, della propria
produzione artistica.
Relazioni interrotte: il medium come strumento di incomunicabilità

Far circolare significati, attraverso relazioni autentiche, in nome di quella “forza della chiamata”,
che Mariagrazia Fanchi attribuisce alla genealogia dell’identità di molti artisti coinvolti nella ricerca.
Ma come far circolare questi significati? Con quali strumenti? Con quali media? Non tutti e non
sempre gli artisti sono accessibili direttamente. L’opera d’arte e i suoi significati circolano e devono
circolare al di là del suo autore. Qui entra in scena uno degli aspetti più critici dell’esperienza
artistica nella fruizione contemporanea: il medium o mediatore, che sia una persona o un biglietto
di carta attaccato alla parete che illustri l’opera. La ricerca Terna rivela un indebolimento delle
istituzioni tradizionalmente deputate a far da interfaccia fra società e arte: la perplessità che molti
artisti esprimono nei confronti dei sistemi tradizionali di formazione, a partire dalle Accademie, e
nei confronti dei soggetti chiamati a interpretare le opere, come la critica e le riviste specializzate,
sono segnali di un cambiamento in corso. A questo fenomeno se ne aggiunge un altro, ed è
l’emergere di uno scollamento tra pubblico e artisti rispetto agli strumenti di cui dotarsi di fronte a
un’opera d’arte per farne piena esperienza: il pubblico ancora dichiara di avere bisogno di acquisire
conoscenze storico-artistiche, di incamerare dati, date, correnti, di incasellare l’opera entro una
cornice nota, gli artisti ci ricordano invece, che ciò che più conta è lasciarsi andare, ripensando alle
proprie esperienze per mettersi in gioco di fronte alle opere. Un disallineamento che è evidente
sintomo di una trasformazione in atto.

Poi, l’autoreferenzialità dell’arte contemporanea, la sua chiusura estetica, semantica e sociale, non
è cosa nuova, è ciò che più caratterizza il sistema dell’arte e che in qualche modo lo ha anche
salvaguardato dalla stroncatura grossolana o dal pubblico vilipendio. È una protezione che
comunque risulta comprensibile ma che viene messa in discussione dalla maggioranza degli artisti
di oggi: il dover conoscere in maniera storico-scientifica un linguaggio visivo per entrarvi in
relazione e capirlo. Si tratta certo di una possibile chiave d’accesso, ma di quella meno adeguata a
sostenere quella relazione profonda, quel cercare ciò che ci riguarda, che gli artisti considerano la
cifra ideale nel rapporto fra pubblico e opera d’arte: una relazione di com-passione, basata
sull’intelligenza emotiva, estetica e fisica, che muove da altri centri propulsori, dove il manuale cede
il passo all’esperienza.

Produrre senso per esportare significati

Nella ricerca di Terna, “lo strumento ideale di promozione sembra essere quello capace di
raccontare l’opera, di dispiegare il senso, e di renderne così apprezzabile il valore”, scrive M. Fanchi.

Casetti ci sottolinea quanto “il culmine del lavoro artistico coincide con il momento in cui si progetta
l’opera, con il momento dell’ideazione rispetto a quello della realizzazione”.

Perché non raccontare quindi, al visitatore, il momento clou per l’artista? Perché non immaginarlo,
andando al di là della cornice storicistica in cui è inserito?

La critica si occupa del risultato e della somma di diversi risultati, nel tempo: la filosofia a volte,
invece, va al di là di questo, prova a narrare un processo, il farsi e disfarsi dell’idea creativa e,
attraverso il racconto, trasforma un risultato in una storia di incontri, legami, relazioni. Se pensiamo
allo straordinario saggio di Gilles Deleuze, su Francis Bacon, si può vedere il pensiero approdare sul
gesto creativo di Bacon, e indagare le intenzioni, la volontà creatrice, ciò che ha fatto la differenza
nell’opera di Bacon. Andare oltre, portare l’immaginazione oltre l’immagine, per creare significati
che sfuggono a ogni manuale, ma che, per questo, possono dare vita a un reale valore dell’arte
all’interno della vita quotidiana di ognuno di noi. Su questo dovrebbero concentrarsi musei,
Biennali ed esposizioni, per valorizzare quel patrimonio simbolico che, invece di essere di coloro che
già sanno, dovrebbe diventare di chi non sa ancora.

Artista e il suo ruolo nel mondo globalizzato:

Nella nostra situazione attuale in cui disponiamo di tecnologie digitali, che rendono possibile
replicare e trasmettere immagini virtualmente senza grandi sforzi, e in questo nostro periodo di
globalizzazione che aumenta esponenzialmente i canali di comunicazione trans-culturale, gli artisti
contemporanei agiscono come aggregatori, come filtri, o addirittura motori di ricerca
antropomorfici, il cui obiettivo è analizzare e mediare il contenuto esistente. In altre parole, devono
cristallizzare il loro lavoro da enormi masse di immagini già in circolazione in opposizione
all’inventare contenuti totalmente nuovi. Ciò significa che gli artisti, sono diventati gli antropologi,
gli etnologi, e gli esperti tecnologici della cultura visiva piuttosto che il tipo di genio indipendente
suggerito dai Romantici degli inizi del XIX secolo.

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