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Forme audiovisive della cultura popolare – Giacomo Manzoli

Relazione tra cultura d’èlite e cultura popolare, con particolare interesse alla specificità con cui essa si
manifesta nel contesto delle forme audiovisive. (Spiegazione corso)

La distinzione: Critica sociale del gusto – Pierre Bourdieu

Presentazione: libro dalla scrittura densa e con una pressione riflessiva analitica incalzante, condotta con
l’ausilio di termini specialistici e su materiale empirico non solo esclusivamente francese. Facente parte
della letteratura sociologica internazionale. Le ragioni dell’attenzione prestata a tale testo: sofisticata
indagine sociologica fondata su una sostanziosa massa di dati statistici, una brillante indagine etnografica,
un intrigante esercizio di riflessione e pratica epistemologica, e una pungente critica alla filosofia kantiana
del giudizio estetico. Nello specifico, oggetto del libro è: lo studio della cultura in quanto sistema di pratiche
culturali di consumo. Come oggetti per antonomasia culturali, come sono quelli che popolano i regni
considerati incontaminati (disinteressati, puri, delle arti: dalla pittura, alla musica seria, alla letteratura al
teatro). Una cultura intesa come legittima, secondo la denominazione usata dall’autore, che viene
reintegrata nella cultura intesa in senso ampio, vale a dire nel senso antropologico, di insieme di pratiche
simboliche e materiali che costituiscono un modo di vita socialmente differenziato. L’autore del libro si
propone lo scopo, dunque, di offrire una risposta scientifica alle vecchie questioni, della critica kantiana del
giudizio, cercando nella struttura delle classi sociali, la base dei sistemi di classificazione che strutturano la
percezione del mondo sociale e designano gli oggetti del piacere estetico. Quel piacere puro, che come dice
Kant, deve poter essere provato da ciascun uomo. La dottrina paradigmatica dell’arte, spiegata da Bordeau,
mostra come, in realtà, tutti i bisogni culturali, sono strettamente connessi all’istruzione e all’origine
sociale. Se la classe dominante (alta borghesia) ricerca e valorizza la forma, la classe popolare (ceto medio)
si oppone, nel valorizzare la sostanza e la funzione nella forma. Secondo Bourdieu, i membri della classe
dominante, nati in una posizione sociale, positivamente privilegiata, si distinguono per il semplice fatto che
il loro habitus, in quanto natura socialmente costituita, è immediatamente aggiustato ai requisiti
immanenti del gioco sociale e culturale. È possibile, così per loro, affermare la propria differenza, la propria
unicità, la propria distinzione, senza consapevolmente ricercarla. È semplicemente essendo se stessi, che
essi si distinguono, diversamente dai membri della piccola borghesia, che nello sforzo di apparire qualcosa
che non sono, tradiscono la loro distanza dalla classe dominante. Poiché alla piccola borghesia, manca non
la cultura in quanto tale, ma le strutture sociali incorporate, che consentono a quella cultura di funzionare
secondo gli schemi di percezione, di valutazione, di classificazione, in una parola, secondo l’habitus proprio
della classe dominante. Infatti Bourdieu dice: “ i gusti (cioè le preferenze espresse) rappresentano
l’affermazione pratica di una differenza necessaria”.

Titoli e quarti di nobiltà culturale –

La sociologia assomiglia a una psicoanalisi sociale nel momento in cui si prende come oggetto il gusto: una
delle poste in gioco più decisive nelle lotte che si svolgono nel campo della classe dominante e in quello
della produzione culturale. Soprattutto perché il giudizio di gusto costituisce la manifestazione suprema del
discernimento. È qui che la sociologia si ritrova sul terreno per eccellenza in cui il sociale viene
disconosciuto, non basta che combatta le evidenze fondamentali e che riconduca il gusto alle condizioni
sociali di cui esso costituisce il prodotto, ma occorre anche che essa interroghi questo rapporto, il rapporto
tra il gusto e l’educazione, tra la cultura nel senso di condizione di quel che viene coltivato, e la cultura
come attività del coltivare. Nel momento in cui si cerca di determinare in che modo gli atteggiamenti colti e
le competenze culturali espresse tramite la natura dei beni consumati, ed il modo di consumarli varino a
seconda della diverse categorie di attori sociali ed a seconda degli ambiti a cui vengono applicati, si
appurano due fatti fondamentali: il rapporto che lega le pratiche culturali al capitale scolastico ( titoli di
studio ottenuti) e in via subordinata, all’origine sociale. E il fatto che a parità di capitale scolastico, nel
sistema esplicativo delle pratiche, e delle preferenze, il peso dell’origine sociale aumenta quando ci si
allontana dagli ambiti più legittimi. Capitale scolastico, che definisce, ed è correlato alle conoscenze e alle
preferenze di ogni singola classe sociale.

Titoli di nobiltà culturale –

Dai dati statistici, si può notare come l’esibizione di una cultura musicale, non è uno sfoggio culturale come
gli altri, nella sua definizione sociale, la “cultura musicale” è una cosa diversa dalla semplice somma di
conoscenze e di esperienze, congiunta alla capacità di discuterne. La musica è l’arte pura per eccellenza,
non dice nulla e non ha niente da dire, siccome non ha alcuna funzione espressiva, essa si contrappone al
teatro, che, persino, nelle sue forme più disincarnate, rimane comunque il veicolo di un messaggio sociale,
e può passare solo sulla base di un accordo immediato, e profondo con i valori e le attese del pubblico. La
musica perciò può essere considerata come la forma più radicale e più assoluta di quel discernimento del
mondo, e soprattutto del mondo sociale, che l’ethos borghese si attende da tutte le forme di arte.

L’effetto di titolo –

La tendenza alla generalizzazione, propria di un atteggiamento colto, costituisce solo una delle condizioni
che consentono di intraprendere quell’appropriazione culturale, che si trova inscritta come una esigenza
oggettiva, sia nel fatto di appartenere alla borghesia, sia nei titoli che danno accesso ai diritti e ai doveri
della borghesia. È per questo che occorre innanzitutto soffermarsi su quell’effetto dell’istituzione scolastica
che è senza alcun dubbio, il più nascosto: quello prodotto dall’imposizione di titoli, caso dell’assegnazione
statutaria, positiva (nobilitazione) o negativa (stigmatizzazione), che ogni gruppo produce assegnando gli
individui a classi gerarchizzate. Le nobiltà sono essenzialiste: considerando l’esistenza una emanazione
dell’essenza, esse non valutano di per sé stesse le azioni.

La disposizione estetica –

Qualsiasi analisi di essenza di disposizione estetica, unico modo ritenuto socialmente conveniente, di
affrontare gli oggetti socialmente designati come opere d’arte, cioè tali da esigere e da meritare al tempo
stesso di venir affrontati in base a una intenzione propriamente estetica, in grado di conoscerli e
distinguerli come opere d’arte, è destinata all’insuccesso. Panofsky afferma che è praticamente impossibile
determinare in modo scientifico il momento in cui un oggetto-prodotto diventa un’opera d’arte, cioè qual è
il momento in cui la forma prende il sopravvento sulla funzione: la comprensione e la valutazione dell’opera
dipendono dall’intenzione dello spettatore, che è a sua volta funzione delle norme convenzionali che
regolano il rapporto nei confronti dell’opera d’arte in una determinata situazione storica e sociale, come
pure della disponibilità dello spettatore a conformarsi a queste regole, e quindi sulla sua formazione
artistica. La percezione pura, dunque, di opera d’arte in quanto opera d’arte è il prodotto dell’esplicitazione
e della sistematizzazione dei principi di legittimità propriamente artistica che accompagnano la costituzione
di un campo relativamente autonomo. Ad esempio, l’arte postimpressionistica, è il risultato di
un’intenzione artistica che afferma il principio e il primato assoluto della forma sulla funzione, del modo di
rappresentare, sull’oggetto della rappresentazione, che esige una disposizione puramente estetica, che
l’arte precedente non esige che in forma condizionata. Abbiamo qui l’intenzione dell’esteta capace di
applicare l’intenzione propriamente estetica a qualsiasi oggetto, sia stato prodotto o no secondo
un’intenzione artistica.

Il gusto puro e il gusto barbarico –

Basta leggere Ortega Y Gasset, per capire che l’ideologia carismatica del dono, trova nell’arte impopolare
per essenza, anzi antipopolare, ovvero l’arte moderna, un effetto sociologico che essa produce dividendo il
pubblico in due caste antagoniste, quelli che la capiscono e quelli che non la capiscono, ciò, secondo
Ortega, implica il fatto che gli uni posseggano un organo di comprensione con ciò stesso negato agli altri,
che si tratti di due versioni del genere umano. La nuova arte non è affatto per tutti. Come lo era l’arte
romantica, ma invece, è destinata ad una minoranza particolarmente dotata. Ed egli imputa all’umiliazione
e al senso di inferiorità ispirato da quest’arte di privilegio, di nobiltà di nervi, di aristocrazia istintiva,
l’irritazione che essa suscita tra la massa, indegna dei sacramenti artistici. La giovane arte fa si che i migliori
si conoscano e si riconoscano nel grigiore della moltitudine ed imparino la propria missione, che è quella di
essere in pochi e di dover combattere contro la moltitudine.

L’estetica popolare –

È proprio come se l’estetica popolare si fondasse sull’affermazione della continuità tra arte e vita, che
implica la subordinazione della forma alla funzione, o sul rifiuto di quel rifiuto che costituisce il principio
stesso dell’estetica colta, di quel taglio che separa nettamente le abitudini ordinarie dell’atteggiamento
estetico in senso proprio. L’ostilità delle classi popolari e delle frazioni meno ricche di capitale culturale
delle classi medie nei confronti di qualsiasi tipo di ricerca formale si fa valere tanto in campo teatrale, che in
materia di pittura, o in maniera più netta, per il loro basso grado di legittimità, in fotografia e cinema.

Questo perché: a teatro, come al cinema, il pubblico popolare si appassiona agli intrecci logicamente e
cronologicamente indirizzati verso un happy end e si riconosce di più nelle situazioni e nei personaggi
disegnati in modo semplice, che non nelle azioni e nelle figure ambigue e simboliche. Il ceto popolare così
tende ad escludere i giochi tematici alla Beckett o alla Pinter, perché essenzialmente, richiede capacità
critica e di giudizio, quindi, di conseguenza, non c’è solo mancanza di familiarità, ma anche una profonda
attesa di partecipazione, che la ricerca formale sistematicamente delude, soprattutto quando, rifiutando di
prestarsi alle seduzioni volgari di un’arte che si basa sull’illusione, la finzione teatrale denuncia se stessa,
come accade con tutte le forme di meta teatro. La frattura culturale che destina ogni genere di opera al suo
pubblico, fa si che non sia facile ottenere un giudizio veramente sentito sulle ricerche dell’arte moderna, da
parte dei membri della classe popolare. La ricerca formale, che in letteratura o nel teatro porta all’oscurità,
rappresenta agli occhi del pubblico popolare uno degli indici di ciò che a volte viene percepita come volontà
di tenere a distanza il non iniziato, o di qualcosa “sopra le teste del pubblico”.

La presa di distanza estetica –

Ci troviamo all’estremo opposto del distacco dell’esteta il quale, come vediamo, ogni volta che egli si
appropria di un oggetto del gusto popolare, western o fumetto, introduce una distanza, uno scarto, che è
misura della sua distaccata distinzione, nei confronti della percezione “di primo grado” e questo spostando
l’interesse dal contenuto, alla forma, agli effetti propriamente artistici che non si possono apprezzare se
non in relazione, attraverso un confronto con altre opere che esclude completamente l’immersione nelle
caratteristiche particolare dell’opera in quanto tale. Distacco, indifferenza, unico modo per riconoscere
l’opera d’arte per quello che è, autonoma, al punto che si finisce per dimenticare che significano veramente
disinvestimento, distacco, indifferenza, vale a dire rifiuto di investire e di prenderla sul serio. Il rifiuto di
qualsiasi forma di coinvolgimento, di adesione ingenua, di abbandono volgare, alla facile seduzione, e al
trasporto collettivo, non si vede mai tanto chiaramente quanto nelle reazioni di fronte alla pittura. In
funzione del livello di istruzione, noi vediamo determinate classi sociali, scartare dei tipi prestabiliti di
oggetti-prodotti, perché ritenuti “volgari, brutti, un po’ stupidi”, o troppo “umani”, come i comuni oggetti
dell’ammirazione popolare. Scarto tra classe sociale dominante e ceto popolare, inevitabile, seguendo il
sistema della distinzione d’istruzione, di conoscenze pregresse e capitale sociale.

Non c’è nulla che distingua maggiormente le diverse classi dalla disposizione oggettivamente richiesta dal
consumo legittimo delle opere legittime, cioè della capacità di adottare un punto di vista propriamente
estetico su oggetti già costituiti in forma estetica e quindi designati per coloro che hanno imparato a
riconoscere i segni di ciò che è degno di ammirazione. E cosa ancora più rara, della capacità di costituire in
forma estetica oggetti qualsiasi o addirittura volgari, o di applicare i principi di un’estetica pura nelle scelte
più ordinarie.

Un’estetica antikantiana –

Quando si cerca di ricostruire la logica dell’estetica popolare, essa si presenta come il rovescio negativo
dell’estetica kantiana e l’ethos popolare si contrappone a ogni proposizione dell’analitica del Bello. Kant per
spiegare le caratteristiche del giudizio estetico, distingueva ciò che piace, da ciò che fa piacere, e in modo
generico, discerneva il disinteresse, dall’interesse dei sensi, che definisce il Piacevole, e dall’interesse della
Ragione, che definisce il Bene, i membri della classe popolare, i quali si aspettano che da ogni immagine ne
risulti una funzione, anche solo quella di segno.

Questa estetica, che subordina la forma e l’esistenza stessa dell’immagine alla sua funzione, è
inevitabilmente pluralista e condizionale, perché ricercare una funzione e una classe sociale per ogni
prodotto culturale, come la fotografia, o il teatro, dimostra come si cerchi di continuo di respingere l’idea
che ad esempio una fotografia abbia una forma e una funzione universali, e che quindi possa piacere, a
tutti, universalmente, senza distinzioni di contenuto, forma, funzione, condizione sociale e capitale
culturale. Dunque, si misura il valore il valore, di una fotografia in base all’interesse per l’informazione di cui
essa è tramite, ed in base alla chiarezza con cui essa adempie a questa funzione di comunicazione, cioè in
base alla sua leggibilità.

Il fondamento del gusto barbarico, è la sottomissione della forma, alla funzione, forma che deve essere
quanto più realistica, umile,fatta di oggetti designati per la loro bellezza o per la loro importanza sociale. In
altre parole l’antitesi dell’estetica dominante. L’opera d’arte appare giustificata solo se adempie alla sua
funzione di rappresentazione.

Estetica, etica ed estetismo –

Messi di fronte alle opere d’arte legittime, coloro che sono sprovvisti di competenza specifica, applicano
loro gli schemi dell’ethos, gli stessi che strutturano la loro percezione ordinaria dell’esperienza ordinaria e
che generano prodotti di una sistematicità involontaria ed inconsapevole di sé. Ne risulta così una riduzione
delle cose dell’arte alle cose della vita. Una messa tra parentesi della forma a vantaggio del contenuto
umano, che dal punto di vista dell’estetica pura, rappresenta un barbarismo per eccellenza. È come se la
forma potesse arrivare in primo piano solo al prezzo di una neutralizzazione del tipo di interesse affettivo o
etico per l’oggetto di rappresentazione. La legittimità dell’atteggiamento puro trova un riconoscimento
talmente completo, che non serve ricordare che la definizione dell’arte, e attraverso questa, dell’arte di
vivere, costituisce una posta in gioco nella lotta tra le classi. L’estetica piccolo-borghese, rivolgendoci a
Proudhon (filosofo, saggista e anarchico e teorico dell’anarchismo francese), subordina l’arte ai valori
fondamentali dell’arte di vivere, scorge nella perversione cinica dell’arte di vivere dell’artista, il principio del
primato assoluto attribuito alla forma. Depravazione quindi, del cuore e dissolutezza dello spirito. Ciò che
viene condannato è l’autonomia della forma, ed il diritto dell’artista alla ricerca formale con cui esso si
arroga il controllo di ciò che dovrebbe essere una MERA ESECUZIONE.

La neutralizzazione e l’universo dei possibili –

A differenza della percezione non specifica, la percezione propriamente estetica dell’opera d’arte è dotata
di un principio di pertinenza socialmente costituito ed acquisito: questo principio selettivo le consente di
reperire e di trattenere, tra i vari elementi offerti allo sguardo, tutti e solo i tratti stilistici, che ricollocati
nell’universo delle possibilità statistiche, contraddistinguono una maniera particolare di trattare gli
elementi selezionati. Le mostre dedicate a tutta l’opera di un pittore o ad un genere, rappresentano la
realizzazione oggettiva di questo campo di possibilità stilistiche sostituibili, che vengono passate in rassegna
ogni volta che si riconosce l’individualità dello stile peculiare di un’opera d’arte. La disposizione estetica
come capacità di percepire e di decifrare le caratteristiche stilistiche è quindi inseparabile dalla competenza
artistica, acquisita attraverso un apprendimento esplicito o attraverso la semplice frequentazione delle
opere. Soprattutto quelle raccolte nei musei, che per la stessa diversità delle loro funzioni originarie,
esigono l’interesse puro per la forma, questa padronanza pratica consente di collocare ogni elemento di un
universo di rappresentazioni artistiche in una classe definita in relazione alla classe costituita da tutte le
rappresentazioni artistiche consapevolmente o inconsapevolmente escluse.

La distanza dal bisogno –

Per spiegare come mai con il capitale scolastico aumentino la propensione o la pretesa di apprezzare
un’opera indipendentemente dal suo contenuto, come affermano i soggetti con maggiori ambizioni
culturali e più in generale, la propensione a quegli investimenti gratuiti e disinteressati, che le opere d’arte
legittime richiedono, non basta invocare il fatto che l’apprendimento scolastico fornisce gli strumenti
linguistici ed i riferimenti che permettono di esprimere l’esperienza estetica, e di costituirla esprimendola.
Ciò che si va avanti in questo rapporto è l’indipendenza della disposizione estetica dalle condizioni materiali
di esistenza, passate e presenti. Ogni opera culturale legittima tende di fatto ad imporre le norme della sua
percezione e definisce tacitamente come unico modo legittimo di percezione quello che mette in gioco una
certa disposizione ed una certa competenza. Essa presuppone la distanza dal mondo, distanza dal ruolo,
che sta alla base dell’esperienza borghese del mondo. Contrariamente a ciò che può indurre a credere una
rappresentazione meccanicistica, l’azione pedagogica della famiglia, e della scuola, persino nella sua
dimensione più artistica, si esercita mediante le condizioni economiche e sociali che costituiscono le
condizioni del suo esercizio. Il potere economico, è innanzitutto possibilità di tenere a distanza il bisogno
economico. Il consumo materiale o simbolico dell’opera d’arte costituisce una delle manifestazioni
supreme dell’agio, sia nel senso di condizione che nel senso di atteggiamento disinvolto. Il distacco dello
sguardo puro non può venir dissociato da una predisposizione generale per il gratuito e per il
disinteressato, risultato paradossale di un condizionamento economico negativo, che grazie a facilitazioni, e
libertà, produce la distanza rispetto al bisogno. Per questo motivo, anche l’atteggiamento estetico, si
definisce oggettivamente e soggettivamente attraverso il rapporto con gli altri atteggiamenti.

Il senso estetico come senso della distinzione –


L’atteggiamento estetico, è, pertanto una dimensione di un rapporto di distanza, ma ben assicurato al
mondo ed agli altri, che presuppone la distanza oggettiva e la sicurezza necessaria. Ma esso è anche una
espressione distintiva, di una posizione privilegiata nello spazio sociale, il cui valore distintivo si determina
oggettivamente nel rapporto con altre espressioni, risultanti da condizioni diverse. Come ogni altra specie
di gusto, esso unisce e separa: dato che è il risultato dei condizionamenti connessi ad una classe particolare
di condizioni di esistenza, unisce tutti coloro che sono il prodotto di condizioni analoghe, e viceversa, separa
coloro che non sono il frutto delle stesse condizioni sociali. Le prese di posizione oggettivamente e
soggettivamente estetiche, costituiscono altrettante occasioni di affermare o provare la posizione che si
occupa nello spazio sociale come rango da conservare o distanza da mantenere. Si può anche affermare che
spesso, l’onnipotenza dello sguardo estetico, derivi più dall’intenzione di distinguersi, che da un autentico
universalismo estetico.

Quarti di nobiltà culturale –

Anche se le variazioni di capitale scolastico, sono sempre legate, alle variazioni della competenza, anche in
ambiti che non rientrano nel campo dell’istituzione scolastica, resta comunque il fatto, che a parità di
capitale scolastico, le differenze di origine sociale, si accompagnano a differenze molto consistenti. Il peso
relativo del capitale scolastico nel sistema dei fattori esplicativi, può anche essere molto più ridotto del
peso dell’origine sociale, quando si chiede agli intervistati di esprimere una familiarità statutaria con la
cultura legittima o in via di legittimazione, rapporto paradossale, composto da quel miscuglio di sicurezza e
di ignoranza, in cui si fanno valere, gli autentici diritti della borghesia, che si misurano in base all’anzianità di
appartenenza alla classe.

Le maniere e il modo di acquisizione –

La competenza culturale, o linguistica, acquisita nel rapporto con un determinato campo, che funziona al
tempo stesso come istanza di inculcazione e come mercato, rimane definita dalle condizioni della sua
acquisizione, le quali perpetuandosi, nel modo in cui essa viene utilizzata, cioè in un determinato rapporto
con la cultura o con la lingua, funzionano come una specie di marchio di origine, e abbinandole ad un
determinato mercato, contribuiscono anche a definire il valore dei loro prodotti sui diversi mercati. Sono
quindi anche, dei modi di produzione dell’habitus colto, principi di differenziazione non solo tra le
competenze acquisite, ma anche tra le maniere di farle funzionare. La competenza del connaisseur,
padronanza inconsapevole degli strumenti di appropriazione che è il risultato di una lenta familiarizzazione
e su cui si basa la familiarità con le opere, è un’arte, una maestria pratica, che come l’arte di vivere, non
può trasmettersi solo attraverso precetti e prescrizioni, ed il cui apprendimento presuppone un qualcosa di
simile al contatto prolungato tra allievo e maestro nell’insegnamento tradizionale. Ossia il contatto ripetuto
con le opere culturali e le persone colte.

I dotti e gli uomini di mondo –

Le differenze nel campo delle maniere, in cui si esprimono delle differenze nel modo di acquisizione, cioè
per anzianità di ingresso nella classe dominante, sono portate a contrassegnare le differenze in seno alla
classe dominante, esattamente come le differenze di capitale culturale contrassegnano le differenze tra le
varie classi. Non a caso, in tutte le epoche la contrapposizione tra lo scolastico, e il mondano si ritrova al
centro delle discussioni sul gusto e sulla cultura, essa designa in modo molto chiaro, attraverso due modi di
produrre o di apprezzare le opere culturali, due modi di acquisizione contrapposti, e per lo meno, al giorno
d’oggi, due diversi rapporti con la istituzione scolastica. La precocità è un effetto dell’anzianità, la nobiltà è
la forma per eccellenza della precocità, giacché non è altro che l’anzianità che i discendenti delle antiche
famiglie posseggono per nascita. Ed il capitale statutario di origine si ritrova raddoppiato grazie ai vantaggi,
che in materia di apprendimento culturale, si traggono da una precoce acquisizione della cultura legittima;
il capitale incorporato delle generazioni precedenti funziona come una specie di anticipo, che fornendogli
subito l’esempio della cultura realizzata in modelli familiari, consente al nuovo venuto di cominciare dal
principio, cioè dalla maniera più inconsapevole e inavvertibile, l’acquisizione degli elementi fondamentali
della cultura legittima e di risparmiarsi il lavoro di decondizionamento, di riorientamento, e di correzione,
indispensabile per ovviare agli effetti delle forme di apprendimento improprie.

L’esperienza e il sapere –

L’ideologia è un’illusione interessata, ma non priva di fondamenti, coloro che invocano l’esperienza contro
il sapere, hanno dalla loro parte tutta la verità della contrapposizione tra apprendimento familiare e
l’apprendimento scolastico della cultura. La cultura borghese ed il rapporto del borghese con la cultura
sono debitori del loro carattere inimitabile al fatto che, si tratta di cose che si acquisiscono prima del
discorso, attraverso l’inserimento precoce in un mondo di persone, di pratiche e oggetti colti. Quando
Roland Barthes, costituendo in estetica un rapporto particolare con la musica, quello che risulta da una
conoscenza precoce, familiare, pratica, descrive il godimento estetico come una specie di comunicazione
immediata tra il corpo dell’ascoltatore ed il corpo interno dell’interprete, quella che di fatto evoca, è la
contrapposizione tra due modi di apprendimento.

Il mondo natale –

Non esiste eredità materiale, che non sia anche un’eredità culturale, ed i beni di famiglia hanno la funzione
non solo di attestare fisicamente l’antichità e la continuità del lignaggio, e di consacrare quindi la propria
identità sociale, ma anche di contribuire alla sua produzione morale, cioè alla trasmissione di valori, delle
virtù e delle competenze su cui si basa l’appartenenza legittima, alle dinastie borghesi. Se è possibile
leggere tutto lo stile di vita di un gruppo nello stile del suo mobilio e del suo abbigliamento, non è solo
perché sono queste, proprietà di oggettivazione delle necessità economiche e culturali che ne hanno
determinato la selezione, ma è anche perché i rapporti sociali oggettivati negli oggetti familiari, sia nel loro
lusso che nella loro povertà, sia nella loro distinzione che nella loro volgarità, si impongono attraverso
esperienze corporee inconscie. Dunque, sappiamo che l’effetto del modo di acquisizione non è mai così
forte come nelle scelte più ordinarie dell’esistenza quotidiana: il mobilio l’arredamento, etc. sono
particolarmente rivelatrici di atteggiamenti profondi e radicati, perché collocandosi al di fuori del campo di
intervento dell’istituzione scolastica, devono venir affrontate, dal nudo gusto. Così ad esempio, il modo di
acquisizione dei mobili, dipende dall’origine sociale almeno tanto quanto dal livello di istruzione.

Lo spazio sociale e le sue trasformazioni –

Il duplice senso del termine gusto, che in genere serve ad indicare l’illusione di una generazione spontanea,
che tende a produrre questa disposizione colta, presentandosi nelle vesti di una disposizione innata, deve
servire, una volta tanto, a ricordarci che il gusto come facoltà di giudizio dei valori estetici in modo
immediato ed intuitivo è indissociabile dalla capacità di discernere i sapori delle cose che mangiamo, che ci
porta a preferirne alcuni rispetto ad altri. L’astrazione che porta a isolare le disposizioni relative ai beni
culturali legittimi implica infatti un’altra astrazione a livello del sistema dei fattori esplicativi, che pur
essendo sempre presente ed operante, si presta all’osservazione solo tramite quegli elementi che sono
all’origine della sua efficacia nel campo preso in esame.

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