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● la mnemotecnica → Seppur le genti germaniche conoscevano, almeno dagli inizi dell'era cristiana, un

sistema di scrittura (alfabeto runico), la cultura germanica non conosce la scrittura come strumento di
trasmissione del sapere, giacché l’impiego dell’alfabeto runico era relegato solo inizialmente ad alcune
tipologie comunicative. Le rune presentavano composizioni fisse di sostantivo-aggettivo,
aggettivo-preposizione-sostantivo, verbo+sostantivo; sostanzialmente dei sintagmi, che potevano
essere utilizzati come dei veri e propri mattoncini relativi a singoli argomenti. Questo tipo di formule
sono anche attestate ampiamente nella poesia nordica:“La dura vita di rosa”, ad es. La cultura
germanica antica è caratterizzata dall'oralità e ne ripropone i modelli, che si possono riconoscere in
tante altre civiltà, indoeuropee ed extra-indoeuropee. La trasmissione orale si basa sulla mnemotecnica,
cioè sul tramandare a memoria: ovviamente vi sono vari ausili ad esempio un testo in versi, con una
propria metrica ben normata, è più facile da memorizzare; allo stesso modo aiuta la memorizzazione un
testo con un lessico ripetitivo o espressioni formulare. Un altro aspetto della mnemotecnica è l'ambito
performativo: la recitazione o declamazione di un testo poteva essere accompagnata da una particolare
gestualità o accompagnamento musicale (lo strumento utilizzato era per lo più una cetra di piccole
dimensioni).
● ‘variatio testuale’ → con 'variatio' si intende che, di volta in volta, un testo non è mai recitato nello stesso
modo cioè possono mutare piccoli aspetti.
● rapsodia → Questo tipo di narrazione è detta «rapsodica», dal verbo greco antico rhapsodien 'cucire
insieme canzoni', e il recitatore è allora il rhapsoidós "rapsodo'. Le capacità del cantore, perciò, stanno
da un lato nella varietà delle proposte che ha nel proprio repertorio, dall'altro nella sua perizia nel saper
arricchire la vicenda narrata con particolari, altri personaggi e situazioni che egli ricava dal suo bagaglio
di formule espressive, episodi specifici che sa dovutamente rammentare e intrecciare. La letteratura
germanica offre alcuni esempi di questi cantori, che in anglosassone sono chiamati ‘scopas’ (sing. scop)
che ha la stessa radice probabilmente di ‘sceppan’ (significa “creare”, “dare forma”, per esempio anche
per il termine “il creatore” viene usata la stessa radice). Forse il più celebre è il protagonista del
poemetto in inglese antico “Widsith” composto da tre elenchi: il primo dedicato ai re che il poeta avrebbe
conosciuto, il secondo riporta i popoli che avrebbe visitato, e il terzo rammenta gli eroi, miti e leggende
di cui egli è a conoscenza; altro non sono che un ampio elenco di narrazioni (talvolta per noi oggi di
difficile attribuzione) recitati dallo ‘scopo’.
● 'Canto dei Hibelunghi’ → L'oralità aveva soprattutto la funzione di trasmissione delle informazioni,
pertanto è comprensibile come venisse utilizzata anche nei sistemi giuridici; ad esempio l’alpingi che
ogni anno recitava tutta la legge degli Islandesi. Vi sono degli spazi deputati alla narrazione, come ad
esempio la corte di un potente o comunque un luogo in cui gli spettatori fossero consci della materia
trattata e del tecnicismo poetico. Si ricorda a tal proposito la prima strofa del ‘Canto dei Hibelunghi’:
A noi in antiche storie è narrato di meraviglie;
di eroi degni di lode, di grandi sofferenze,
di gioie e di feste, di pianti e di lamenti,
degli scontri di baldi guerrieri vogliate voi ora udir raccontare.

Il verbo 'narrare, raccontare* (ted. sagen) ripetuto due volte (v. 1 e 4) insieme, al v. 4 al verbo 'udire" (ted. hören):
occorre perciò che qualcuno racconti una storia che ci è giunta dal passato.

Questa strofa del Canto dei Hibelunghi, oltre ad essere celeberrima, è rivelatrice di un altro aspetto interessante
legato all'oralità, ovverosia la predisposizione ad ascoltare una narrazione.
il Canto dei Hibelunghi’ permette di capire cosa sia ‘l’oralità secondaria’ = l'oralità convive con la scrittura, il caso
dei cantastorie.
● l’avvento della scrittura → incontro con il mondo medieterraneo greco-latino e con la progressiva
cristianizzazione. Ciò che sappiamo con certezza è che fu l'ambiente culturale ecclesiastico gravitante
su Costantinopoli che diede l'avvio alla scrittura presso i Goti. Lo stesso si può dire per le altre genti
germaniche ma, in questo caso, la lingua utilizzata è il latino: anche nelle periferie europee, quali
l'Inghilterra anglosassone, si formano nel corso del VII sec. dei centri di studio e di trascrizione di opere
ma sempre in latino; imparare questa lingua era importante sia per accedere alla vita comunitaria, ai
testi sacri, alla letteratura ma anche per poter consultare i glossari, rilevanti per i loro elenchi lessicali. A
questi poi si aggiunsero le ‘glosse’ cioè l’interpretazione di una determinata parola con un’altra le quali
venivano scritte ai margini della pagina manoscritta che poteva essere scritta a penna o incisa a secco
sulla pergamena. In realtà i glossari e le gosse si sono sviluppate parallelamente. La vera grande svolta
nella storia della scrittura fu con il regno di Carlomagno: la letteralizzazione delle genti germaniche
avviene a seguito della politica delle prime traduzioni culturali, che sollecitò all'uso delle lingue volgari
sia nelle prediche sia nella traduzione e trasmissione delle preghiere fondamentali dei cristiani. Iniziano,
soprattutto all'interno dei confini del regno (e poi Impero) carolingio, a comparire testi in lingue volgari,
specie in alto tedesco antico. Il mondo anglosassone conosce invece un'importantissima fase di
letterarizzazione proprio al termine dell'età carolingia, agli sgoccioli del secolo IX con la figura di Alfredo
il Grande. Nei territori nordici con l'arrivo del cristianesimo e la connessa cultura del libro, si cominciano
a trascrivere testi poetici e prosastici, in particolare in Islanda.
● i carmi encomiastici presso gli Unni → presenti nell’opera “Storia” del bizantino Prisco di Panion (che si
trovava in contatto con gli Unni di Attilia). Siccome tra i cantori presso gli Unni ve ne erano di stirpe gota,
possiamo dunque dedurre che la tipologia narrativa e la situazione in cui avveniva la ricezione del testo
recitato erano probabilmente molto simili a quelle praticate dalle genti germaniche. La fruizione di questi
carmi è tanto Attila come le persone che partecipano a questa performance, quindi è un momento sia
corale che singolare. Le letture erano sia individuali ma potevano essere anche collettive, accedendo
presso i monasteri. L'altro luogo privilegiato della fruizione del testo è negli spazi in cui sono presenti i
guerrieri, cioè la classe aristocratica: si tratta della sala. A recitare testi non sono soltanto cantori
professionisti, possono essere uomini del seguito, ma difficilmente si tratta di improvvisazione a meno
che non si abbia a che fare con esecutori esperti; in non pochi casi sono le donne a intrattenere il
pubblico con la lettura o il canto di un testo. Quindi già nell’Alto Medioevo, l'oralità, il manoscritto
compare quale fonte della narrazione anche al di fuori degli ambienti ecclesiastici. Si pratica per lo più
una lettura ad alta voce dinanzi a un pubblico, oppure si opta per una recitazione a memoria di singole
porzioni di testo, magari quelle che più interessano un determinato uditorio. I manoscritti, invece,
rivelano l'uso del codice: macchie, usure, ma anche l’inserzione del nome dei proprietari del volume che
denota, in molti casi, un uso più intimo e personale del libro. La lettura, se svolta dinanzi a un pubblico,
può infine essere di varia natura, spaziando in diverse modalità d'interpretazione performativa del testo,
dalla sua lettura melodica a una vera e propria esecuzione cantata. La lettura può essere suddivisa in
più giornate oppure si sceglie un determinato passo e si dà lettura soltanto di quello, e ciò avviene,
solitamente, in occasione di feste, quando si prevede che gli ospiti non si intrattengano più di qualche
giorno. E’ chiaro che questi testi venivano recitati da dei professionisti, che potevano essere gli stessi
autori del testo, ma anche dei chierici vaganti; essi potevano viaggiare accompagnati da uno o più
codici come i manoscritti miscellanei, ovverosia di libri (brevi) con più opere, talvolta anche con
contenuti disparati fra loro, utili per occasioni differenti.
● fuþark (o fuorc) → Ogni grafema è detto runa, termine germanico (germ. *rún) e con esso si intendeva,
verso la fine del IV sec., 'messaggio, insieme di grafemi’. Proprio il fatto che runa non indicasse un
unico grafema ma il testo nel suo insieme ha permesso il paragone con il significato che runa assume in
lingua gotica. Alla parola runa si accompagnano il senso di ‘segretezza' e di 'cosa incomprensibile’. La
spiegazione può derivare dalla tipologia stessa del testo runico: è di uso quasi esclusivamente
epigrafico (su pietra, ma anche su altri materiali quali ossa, monili, oggetti) che richiede pertanto una
particolare perizia tecnica. Allo stesso tempo, il testo può essere destrorso o sinistrorso, infine il grafo
runico può valere per il suo suono ma può assumere anche un valore di tipo acrofonico giacché ogni
runa ha il suo proprio nome. Di conseguenza, anche la composizione del testo necessita di particolari
conoscenze che non sono comuni a tutti; da qui il senso di 'mistero, segreto'. Nel tesoro gotico di
Pietroasa, ora andato perduto, risalente al IV sec., si trovava un monile che riportava il seguente testo
(qui traslitterato): «gutaniowihailag». L'iscrizione, che si legge da sinistra a destra, va così scomposta:
gutani o wih hailag. Come si può confrontare, la H, presente una sola volta, vale però per due parole,
essendo impiegata sia per wih sia per hailag, mentre la O è, unica in tutto il testo, incisa per il suo valore
acrofonico, dato che O sta per germ. *opila, *opala 'bene, proprietà’. L’origine dell’alfabeto runico è
sconosciuto, tuttavia un passo della “Germania” di Tacito rivela che i Germani traevano auspici da
bastoncini sparsi su un telo. L'attestazione più antica rinvenuta risale alla metà del I sec. d.C. (fibula di
Meldorf, Schleswig. Germania settentrionale) seguita, nel secolo successivo, da altre iscrizioni
provenienti dall'area danese. La serie runica più antica, detta fupark germanico, è composta da 24
segni. Si noti la forma rettilinea del tratto, che sicuramente rende più semplice l'incisione rispetto a
forme curvilinee: le rune traggono ispirazione dagli alfabeti in uso nell'area mediterranea, fra cui
l'alfabeto latino, col quale si colgono alcune dirette corrispondenze (come i grafi per R, S, B e, forse, T).
Fino al ritrovamento dell'iscrizione di Meldorf, i sostenitori della teoria di derivazione dal latino si
facevano forza sul fatto che sono noti luoghi di incontro, anche commerciale, fra il mondo latino e quello
dell'area tedesco-settentrionale e danese, già agli inizi dell'era cristiana; ora, l'anticipazione della
datazione di circa un secolo, pone non poche difficoltà a questa proposta, oltre al fatto che non si
capirebbe perché, se il latino è il modello, si sarebbe cambiata la successione alfabetica latina, sebbene
lo si possa giustificare chiamando in causa strategie mnemotecniche.
L'ipotesi più accreditata è che l’alfabeto
runico si ispiri all’alfabeto venico che a sua volta modellato su alfabeti etruschi dell'Italia settentrionale.
In effetti, presso Este, sui colli Euganei (provincia di Padova), era attivo già dal VI sec. a.C. e sino all'età
romana un importante centro religioso dedicato alla dea della fertilità Reitia, particolarmente venerata
dai Veneti. In quel contesto sono stati ritrovati numerosi reperti e iscrizioni in alfabeto venetico i cui tratti
sono simili in maniera piuttosto significativa a quelli runici.

● Questa teoria venica tuttavia decade se consideriamo la distanza


geografica tra l'area euganea e le prime iscrizioni runiche. La serie runica non vanta di un’unica
paternità, ma è piuttosto frutto di sincretismi di diversi sistemi scrittori. È tuttavia certo che il fupark
raggiunse il bacino dei mari del Nord e Baltico prima della diaspora germanica, dato che sia i Goti che
gli Anglosassoni conoscono quel sistema grafico. Anche le rune, come ogni altro oggetto o altro
strumento di comunicazione, possono avere assumere un valore simbolico anche di tipo
sovrannaturale; l'impiego principale delle rune è per brevi iscrizioni che vanno a
marcare il nome di un oggetto, in altri casi identifica il donatore o il possessore di un determinato
oggetto, talvolta con l'uso di formule espressive che invitano a ricavare dal testo il nome. Alcune
iscrizioni vantano una maggiore lunghezza e ricercatezza, come il celebre testo inciso su uno dei due
corni aurei di Gallehus (Danimarca), attribuiti al V sec., ora perduti perché rubati e fusi (fortunatamente
se ne possiedono delle riproduzioni). Con il passaggio al cristianesimo scompare l'uso delle rune
nell'Europa continentale. Per quanto riguarda il caso anglosassone: sull'isola l'uso delle rune si
protrasse nei secoli e non solo in maniera arcaicizzante; ne è prova la successione del fupark
germanico a 24 segni ampliata sino a raggiungere, e talvolta superare, i trenta grafi: in pratica, dopo
l'ultima runa, si aggiungono nuovi caratteri che meglio rappresentano la resa grafo-fonematica
dell'inglese antico; ciò riguarda anche le rune frisoni. Gli Anglosassoni utilizzano la scrittura runica in
forma attiva sino al IX sec. compreso, ma la presenza di iscrizioni sull'isola perdurerà anche nel secolo
successivo a causa della presenza danese. Un oggetto di particolare interesse prodotto in Inghilterra è il
«cofanetto Franks» (dal nome del suo antico proprietario), ora conservato al British Museum di Londra:
si tratta di uno scrigno in osso di balena tutto inciso con scene tratte dalla storia romana, da avvenimenti
biblici e da episodi della tradizione eroica germanica che ruotano intorno alla figura del fabbro Weland
(Völundr per il mondo nordico) e di suo fratello Egill. Si tratta di un oggetto prodotto verosimilmente nel
corso dell' VIII sec. nella Northumbria (sulla base anche dell'attribuzione dialettale del testo
anglosassone, e testimonia in maniera palese la presenza delle rune in un contesto sicuramente colto
(si cita ad esempio la presa di Gerusalemme da parte dell’imperatore Tito) ed ecclesiastico (scena dei
re Magi) ma che mostra la conoscenza del sostrato germanico. Nel corso dell'VIII sec. avviene la
rivisitazione della serie runica a 24 segni in area nordica. Attraverso un progressivo processo di
semplificazione, il fupark nordico verrà limitato a 16 caratteri talvolta subendo anche un cambiamento
dei segni stessi. Il fupark è sopravvissuto nel tempo grazie al suo uso epigrafico: pietra di Rök, nel
Västergötland (Svezia), incisa nel IX sec. Il contenuto di questo testo runico è piuttosto criptico, anche
perché è volutamente usato un sistema cifrato che richiede perizia nel congegnare il testo e altrettanta
capacità nel poterlo decifrare. Pare essere una pietra eretta da un certo Varinn in ricordo del proprio
figlio morto Vérmódr. L'iscrizione è celebre perché reca notizia della figura del re ostrogoto Teodorico
già divenuto personaggio leggendario. Vi sono poi le iscrizioni di Bergen (Norvegia): rinvenute in un
allora quartiere mercantile numerose iscrizioni su legno che talvolta segnalano la proprietà, ed anche i
contratti. Un altro uso delle rune, seppur più limitato, ha interessato la pagina manoscritta: questa
tipologia di testi è raggruppata sotto il nome generale di ‘runica manuscripta’ proprio perché la loro
presenza è all'interno di codici prodotti soprattutto a partire dall'età carolingia; vi sono però anche altri
usi sulla pergamena, quali ad esempio come acrostici o ideogrammi in alcuni testi letterari anglosassoni
cogliendo il lato della decifrazione insito al testo runico che ben si sposa con il gusto nei confronti degli
enigmi particolarmente diffuso negli ambienti culturali altomedievali.
● alfabeto gotico → Il vescovo Ulfila inventò assieme a dei suoi stretti collaboratori, un alfabeto che
potesse rispondere alle esigenze fonematiche della lingua gotica. il nuovo alfabeto si modella, per la
forma del Modello: la maiuscola lettere, alla maiuscola libraria biblica greca (cioè la scrittura in uso
libraria biblica greca nel IV sec. per trascrivere i testi sacri). La stessa forma delle lettere trae ispirazione
dall'alfabeto greco; alcune, poi, sono formate sul modello latino e, in alcuni sporadici casi, su quelle
runiche. Esistevano due varianti di questo alfabeto, una più monumentale e impiegata nei volumi di
particolare prestigio, la seconda, inclinata verso destra, utilizzata per testi di uso più quotidiano.

Il manoscritto più prezioso di lingua gotica è


il ‘Codex Argenteus’ = oggi conservato alla Biblioteca universitaria di Uppsala. che contiene parte dei
testi evangelici vergati su pergamena impreziosita dal color porpora e con inchiostri in oro e argento; si
tratta probabilmente di un volume in uso presso la corte teodericiana e presumibilmente scritto nella
città di Ravenna. Ad un certo punto il testo gotico fu cancellato per far posto alla copiatura di altre opere.
In pratica, ad eccezione del gotico, le lingue germaniche utilizzano sempre l'alfabeto latino, usano la
propria lingua ma la scrittura muta di luogo in luogo e di tempo in tempo. Ad esempio, il “Carme di
Ildebrando” è un testo in alfabeto latino, lingua alto-tedesca antica, scrittura minuscola carolina. In linea
generale, potremmo dire che i centri anglosassoni utilizzano i grafi þ e ð per i suoni fricativi dentali
(spesso i due grafi sono tra loro intercambiabili), mentre in area continentale si preferisce usare il
diagramma th, ma per il sassone si provvede invece ad impiegare lettere latine con segni diacritici a
indicare il suono fricativo (ad esempio b, d).
● lingua insulare anglosassone → Nell’Inghilterra anglosassone, a seguito della spinta missionaria
irlandese, dal VII sec. si diffonde un tipo di scrittura chiamata genericamente ‘insulare anglosassone’
con le sue varianti di minuscola e maiuscola.
● lingua minuscola carolina → Nell'area della Francia va poi formandosi un nuovo tipo di scrittura che ben
presto diventa dominante in gran parte dell'Europa sino al XII sec., grazie a Carlo Magno. La minuscola
carolina è caratterizzata da un modo di tracciare le lettere molto semplice e di facile lettura (cosa che ne
favorisce la diffusione) tanto da restare alla base della nostra attuale scrittura. A differenza delle
scritture precedenti, la minuscola carolina adotta pochi segni di abbreviazione e legature (cioè lettere
che si fondono insieme e talvolta risultano di non agile decifrazione).

● la scrittura gotica → Il progressivo spostamento dei centri culturali dai monasteri alle città, che avviene in
maniera importante a partire dall'XI sec. ma con grande ampiezza dal XII sec., porta alla nascita di
nuove esigenze culturali che passano anche attraverso un nuovo modo di apprendere, in cui le nascenti
università di cui la prima fu Bologna, nel 1088, esercitano un ruolo primario; questa nuova tipologia di
insegnamento e apprendimento necessita di molti più manoscritti ma soprattutto di testi in cui si
possano individuare a colpo d'occhio passi testuali; da qui l'uso di iniziali colorate (tendenzialmente blu
e rosse alternate), segni di punteggiatura, paragrafi, ecc. A questo nuovo sistema di comunicazione
scritta si accompagna una nuova scrittura, detta gotica. A partire dal XII sec. la scrittura gotica
soppianta la minuscola scrittura gotica carolina diffondendosi in tutta Europa, ed è questa la scrittura
che giunge anche nei Paesi nordici, dapprima in Norvegia e poi in Islanda, ed è in Norvegia che
vengono adottati i grafemi in uso in Inghilterra che erano propri della scrittura insulare e che poi sono
stati importati anche in quella gotica; da lì, poi, gli stessi grafi hanno trovato spazio nei manoscritti

vergati in Islanda.
● cultura ecclesiastica → A partire dal XII sec., cioè quando si ha l'affermazione della cultura di corte, è la
Chiesa che detiene gli strumenti della comunicazione scritta. Viene utilizzata la pergamena, in quanto
elemento scrittorio sostitutivo al papiro data la sua superficie per la scrittura nonostante il costo elevato.
Sulle pergamene quindi ci si adoperava nella riscrittura dei testi ritenuti importanti come i testi sacri, la
Bibbia e alcune grammatiche. Nascono i testi ai margini come il poemetto apocalittico alto tedesco
antico “Muspilli”, oppure delle formule magiche di” Merseburg”, oppure ancora della “Preghiera di
Wessobrunn”; ma anche traduzioni di testi evangelici e nasce la letteratura profana (“Beowulf”,...). Per la
fede cristiana, la vita terrena non è altro che un passaggio verso un'altra e più piena dimensione. Di
contro, la prospettiva di molta poesia eroica germanica trasmette un concetto di immanenza, giacché le
azioni dell'eroe, piuttosto che tendere a una dimensione trascendente, sono strettamente legate alla
realtà: lo scontro armato, l'impresa, il risultato immediato. La dottrina cristiana si pone in maniera
contrastiva di fronte a questo tipo di racconti, osteggiandoli contro recitazione apertamente o
denigrandoli. I cantori di corte (‘scop’) invece creano un’arte propria di una specifica classe sociale,
quella aristocralica, che si riconosce nei valori etici portati soprattutto dalla poesia eroica: fedeltà, lealtà,
eroismo in guerra. Sono affascinati da queste storie anche i vescovi, le badesse e gli abati, poiché per
loro è difficile abbandonare i valori che costituiscono il tessuto etico da cui provengono. Nel 797 Alcuino
critica in una sua lettera il vescovo di Lindisfarne il quale preferisce ascoltare le vicende di Ingeld
(personaggio eroico citato anche nel Beowulf) piuttosto che dedicare il proprio tempo alle Sacre
scritture. Accade poi che alcuni testi, che ben si adattano a una nuova interpretazione, vengono copiati,
per proporli come esempi di virtù cristiana, proponendo per essi una lettura di tipo allegorica, che
solleva il testo dal suo senso letterale come il ‘Carme di Ildebrando’ = narra dello scontro tra un padre
tornato da un trentennale esilio e il proprio figlio, che non lo conosce. Una lettura in chiave allegorica
cristiana può vedere nel figlio il peccatore che non riconosce il proprio Padre ed entra con lui in conflitto.
Hildebrando è un guerriero che viene associato a un guerriero leggendario, che però invece viene fatto
rientrare nell'ambito dell’epopea storica del periodo di Teodorico e dei Goti e del leggendario esilio di
Teodorico per 30 anni alle corti bizantine. Teodorico, di cui apparentemente questo esilio che
evidentemente non ha subito realmente storicamente, si racconta che si era portato con sé i suoi fidati
guerrieri e alla fine di questo esilio ritornano i guerrieri. I guerrieri però si incontrano o si scontrano
eserciti avversari. E tra i guerrieri di questo esercito c'è un giovane che si chiama Haubrando. Da notare
anche l’allitterazione: Hadubrand; Hildebrand, in cui il termine viene composto da due elementi, uno il
brand che ricorre (spada) e l'altro è un componente iniziale con la H, il che significa che in entrambi i
casi vogliono dire battaglia. Anche se questo Hadu è un prestito dal celtico. Questo è il modo in cui i
Germani costruivano i propri nomi all'interno di una famiglia e spesso si tramandava questa modalità
con tutti lo stesso nome o quasi. Hildebrand, figlio di Heribrand e Hildebrand (che fa parte di quel
comitatus che ha seguitp Teodorico) ha un figlio di nome Hadubrand che si trova a fare il militare in
schiere avverse. Hadubrand Non sa che Hildebrand è il padre, e quindi il giovane ardimentoso si vuole
scontrare con Hildebrand e non capisce invece perché Hildebrand non voglia scontrarsi con lui, quasi
fosse pauroso e Hadubrand lo accusa di vigliaccheria. Il padre invece ha riconosciuto il figlio che lui ha
dovuto abbandonare quando era piccolo, appena nato insieme alla madre per andare a seguire il suo
principe Teodorico. E alla fine i due combattono. Il poemetto è frammentario, però da altre versioni di
questo poemetto noi sappiamo che ci sono due finali: 1) è quello più probabile: Hadubrand viene
sconfitto e quindi ucciso da Hildebrand, quindi il figlio muore per mano del padre. Questa è la versione
che verrà tramandata, forse in medio tedesco. 2) un'altra versione, il padre è al posto del figlio. A questa
visione però si accompagna una riflessione sul tempo presente, ritenuto un periodo transitorio verso una
vita ultraterrena. Il concetto di transitorietà della vita umana, delle cose e dello stesso creato permea la
mentalità religiosa altomedievale, ma ad esso si unisce una prospettiva escatologica, ovvero la certezza
di un mondo che va oltre la morte, che l'Apocalisse (21,1) chiama <<un cielo nuovo una terra nuova». E’
un poemetto misto (basso tedesco e alto tedesco). Tanta produzione letteraria anglosassone,
apparentemente profana, come le elegie, è invece imbevuta di questa tensione tra la transitorietà delle
cose e della vita umana e la speranza di una nuova esistenza tra le braccia salde e sicure di Dio: così,
ad esempio, termina l'elegia ‘L'Errante’ che narra di un guerriero, unico sopravvissuto del suo comitatus
che, trovandosi a navigare sulle fredde e tempestose acque marine, da un lato rammenta la gioia della
sua vita precedente presso il suo signore poi, però, constata che tutto nel mondo è transeunte e, perciò,
l'unica certezza risiede nella grazia di Dio che accoglie la navicella della vita umana nel suo sicuro porto
transitorio. Un altro, importante esempio è il lungo poema ‘Beowulf’:anche in questo testo c’è il tema
della transitorietà delle cose umane ed è interpretato in chiave di lettura cristiana rinfocolata da continui
commenti portati dall'autore del testo così come noi lo conosciamo. Ad esempio, alla fine del poema, il
vecchio Beowulf in fin di vita, dopo aver ucciso il drago, chiede che gli venga mostrato il favoloso tesoro
celato nella tana del mostro. Portato all'esterno, esso risulta assolutamente inutile, perché corroso dal
tempo (vv. 3047-3050): 'Gli erano a fianco coppe e boccali, / giacevano piatti e spade preziose / corrose
da ruggine come fossero rimaste / mille inverni in grembo alla terra'. Soltanto con il processo di
laicizzazione della trasmissione culturale la produzione letteraria troverà finalmente una propria linea di
trasmissione sconnessa dallo stretto controllo ecclesiastico aprendo la stagione dei grandi cicli narrativi
della poesia medievale.
● la traduzione → Il prestigio del latino, l'immensa mole di testi scritti in quella lingua e, soprattutto, il fatto
che essa sia stata la predominante lingua liturgica della religione cristiana in Occidente sono tutte le
motivazioni che spiegano perché la lingua d’arrivo è un qualche volgare germanico. Vi è però un’
eccezione: la traduzione in gotico della Bibbia che ha come testo di partenza la versione in lingua greca
da parte di Ulfila. Nella traduzione è chiaro che nel periodo tra tardo-Antico e l’alto medioevo vi erano
delle parole che era difficile tradurre, pertanto si adoperavano calchi, prestiti linguistici, ma anche il
neologismo. In queste fasi iniziali, il rapporto col testo di partenza resta in molti casi piuttosto stretto: si
trovano traduzioni interlineari (parola per parola), oppure con il testo a fronte, ma quest'ultima tipologia
denota ormai una consapevolezza da parte del traduttore del ruolo della lingua d'arrivo, che può essere
accostata alla prestigiosa lingua latina. Nell'Europa occidentale altomedievale, specie a partire dalla
Rinascenza carolingia, si formano anche dei centri culturali in cui la traduzione è atto praticato con
solerzia: ci sono noti, ad esempio, il caso della corte di Alfredo il Grande nel Wessex della fine del IX
sec. Ma perché si traduce? 1) intento didattico: far trasmettere il messaggio crisitano e far comprendere
i testi su cui si poggia la dottrina, ma anche per far comprendere la lingua di partenza; 2) dignità della
lingua d’arrivo; 3) senso di appartenenza a una comunità translinguistica: per quanto riguarda le lingue
germaniche, si tratta di un fenomeno che si sviluppa soprattutto dal X sec., dapprima con casi sporadici,
quali la probabile traduzione di un poema sulla Genesi dall'antico sassone all'inglese antico, tendenza
che esplode alla fine del XII sec. con la traduzione in alto tedesco medio di testi poetici cavallereschi
redatti in lingua francese antica (oitanico).
● glosse → L'allontanarsi nel tempo del dominio dell'Impero romano sull'Occidente europeo e il
progressivo spostamento del baricentro del potere politico dal mar Mediterraneo all'Europa centrale, in
territori che non erano stati province romane, significa anche che, per chi viveva oltre la Manica, al di là
dei grandi fiumi che sfociano nel mare del Nord e al di là delle Alpi, il latino non era una lingua nativa ma
un idioma da apprendere. A metà del VII sec., con la nascita del centro episcopale di Canterbury, si
sviluppa una scuola, grazie al suo primo vescovo, Teodoro di Tarso, retta da Adriano, giunto insieme a
lui sull'isola: entrambi sono originari del Mediterraneo orientale, dunque appartenenti a una cultura
gravitante sul mondo greco. Strumento principe di tale apprendimento è l'impiego di glosse e glossari.
La glossa è un testo scritto con cui si offre la spiegazione, un sinonimo o la traduzione di una parola di
cui si vuole chiarire il significato: la parola oggetto di interesse è detta ‘lemma’, la sua esplicazione
‘interpretamentum’. Si distinguono tre tipologie di glosse: - marginali, se l'’interpretamentum’ è scritto nei
margini della pagina; - interlineari, se la ‘interpretamentum’ è scritto sopra il lemma; - contestuali, se
‘l'interpretamentum’ si trova nel testo stesso e segue il lemma con locuzioni del tipo “quod nos dicimus”
(*che noi diciamo'). Le glosse possono essere vergate con la penna oppure incise a secco sulla
pergamena. Oltre alle glossature sono diffusi anche dei veri e propri testi pensati come una raccolta di
glosse: i glossari che possono essere organizzati in vario modo. Insieme ai missionari anglosassoni si
diffonde sul continente europeo la produzione glossografica che prende ovviamente a modello le
produzioni insulari: in area tedesca, ad esempio, si riscontra l'uso delle glosse grosso medio dalla metà
del VII sec. A quest'epoca è datato dagli studiosi quello che è considerato il primo documento della
letteratura in alto tedesco antico, che prende il nome dal suo primo lemma: “Abrogans”, glossario
pensato come strumento per la comprensione del lessico biblico. Tra le opere soggette a glossatura vi
sono testi che sono considerati opere di base nella formazione degli allievi. A queste poi si aggiungono
altri lavori, specie di argomento grammaticale; riguardano invece una formazione più specialistica
glosse che rinviano a campi semantici tecnici (come quelli medici, compresi gli erbari) o ad opere
letterarie latine. Le glosse, poi (specie quelle inserite nei testi), restituiscono anche numerose
informazioni di tipo linguistico delle lingue germaniche permettendo di seguirne anche l'evoluzione
fonetica o morfologica. Infine, la glossa permette di comprendere il rapporto con la lingua oggetto di
apprendimento nel corso del tempo.
● il testo crisitano → Il cristianesimo è una religione che fonda il proprio credo sulla parola di Dio
trasmessa ai fedeli attraverso i libri della Bibbia. La stessa lectio divina (le letture che si accostano
all'atto eucaristico) è parte fondamentale della liturgia cristiana. La lingua greca permette di diffondere i
testi cristiani al di fuori della Palestina, ma ben presto si procederà, in maniera non sistematica, alla
traduzione in latino. Le prime versioni latine, che sono tutte ricondotte sotto il nome di “Vetus Latina”,
sono man mano soppiantate dalla traduzione operata da Girolamo che prende il nome di “Vulgata” cioè
'divulgata, diffusa' presso le genti. Già prima del VI sec. vi sono traduzioni in siriaco e in copto e, non da
ultimo in gotico, già nel IV sec. La frammentarietà della trasmissione del testo biblico è dovuta a diversi
fattori: 1) il testo biblico non era quasi mai copiato in un unico volume, ma poteva essere scisso in più
tomi (in primis Antico e Nuovo Testamento, possibili delle ulteriori suddivisioni); di conseguenza
potrebbe essere stata trasmessa soltanto una parte di quei volumi. 2) la Bibbia in gotico era sinonimo di
eresia ariana, sebbene la traduzione non contenga riferimenti alla dottrina ariana, l'estirpazione
dell'eresia passò in alcuni casi anche attraverso la distruzione dei manoscritti. 3) presso quelle comunità
ariane che continuano ad usare il testo in gotico (come forse i Longobardi, quando l'arianesimo non è
più praticato e questo avviene, da ultimo, presso i Longobardi verso la fine del VII sec.) i fogli in gotico
sono cancellati per poter essere riutilizzati: questa tecnica produce quello che in paleografia si chiama il
palinsesto. La traduzione quindi manoscritta in gotico sopravvisse fino alla fine del regno ostrogoto in
Italia. Ciò che Ulfila compie è una traduzione che forza quanto più possibile il normale andamento
sintattico del gotico per adeguarlo alla struttura del greco; ne risulta un testo che deve essere stato
piuttosto distante dall'usuale struttura del gotico parlato. Abbiamo poi una versione in alto tedesco
antico dell’”Armonia Evangelica” di Taziano: Taziano, che aveva a sua volta, alla fine del II sec.,
sistemato (non si ha certezza se in siriaco o in greco) i passi evangelici organizzandoli secondo l'ordine
cronologico degli eventi: successivamente ne venne tratta una versione in latino e da cui si tradusse in
alto tedesco. Occorrerà invece attendere la fine del X sec. per avere una traduzione dei Vangeli, e in
forma di glosse interlineari, nell'Inghilterra anglosassone; alla stessa epoca risalgono le versioni in
prosa, quest'ultime prodotte soprattutto in area sud-orientale. La situazione inglese è molto diversa da
quella tedesca e, ancor più, da quella gotica. Già da tempo, almeno dall'epoca di Alfredo, vissuto circa
un secolo prima, la spinta alla traduzione in inglese antico si era divulgata nei centri culturali
anglo-sassoni, ma a quella si accompagnò una forte tendenza glossografica complementare allo studio
della lingua latina che rendeva forse superfluo ricorrere alla completa traduzione del testo biblico. Le
cose mutarono proprio nella seconda metà del X sec., quando anche in Inghilterra prese piede la
riforma benedettina di stampo cluniacense che portò a un più stretto legame tra i monasteri e i centri di
potere che li sostenevano, permettendo così una rinascita degli studi. Già in epoca alfrediana (fine IX
sec.), tuttavia, si era proceduto con la traduzione del Salterio (la collezione di tutti i 150 salmi), opera
fondamentale nella vita liturgica dei monasteri e che i monaci dovevano mandare a memoria quanto
prima. Sempre all'interno della rinascita benedettina anglosassone si pone l'opera di traduzione di Ælfric
di Eynsham. Un’altra opera pseudo-evangelica che incontra un discreto successo all'interno delle
traduzioni è il vangelo apocrifo di Nicodemo, di cui si conoscono due copie manoscritte databili all'XI
sec. La materia del Vangelo di Nicodemo è adattata anche in altre lingue, tra cui il norreno, con la
“Niŏrstigningar saga” (Saga della discesa agli Inferi) ispirata alla seconda parte di quel vangelo apocrifo.
Merita un accenno la traduzione della Bibbia in inglese medio operata da John Wycliffe e Nicholas
Hereford, conclusa nel 1382; essa nacque dall’esigenza di far comprendere il testo sacro a più fedeli
possibili, pertanto fu condannata ed osteggiata dalla Chiesa del tempo. Nonostante ciò, ad oggi ne
restano 150 copie dell’opera. Sempre al gruppo delle traduzioni di testi cristiani si possono aggiungere
le due versioni delle preghiere fondamentali, il ‘Pater Noster’ e il ‘Credo’. La loro traduzione trova la sua
spinta propulsiva nella politica culturale di Carlomagno, partita nel 789 con l'’Admonitio generalis’ e
rafforzata da sinodi, concili e capitolari successivi, e pertanto quei testi accompagnano, in area tedesca,
la nascita stessa della letteratura in lingua volgare. Un'altra opera fondamentale nella vita cristiana, in
questo caso monacale, e ovviamente la “Regola monastica”. Con il riordino del monachesimo
occidentale, è la ‘Regola’ benedettina che viene adottata nei cenobi e che auspicabilmente deve essere
appresa a memoria. Allo stesso modo debbono essere imparati nella schola monastica (schola palatina)
i salmi, i cantici biblici, nonché gli inni da cantarsi durante i momenti di preghiera collettivi. L'acquisizione
di questi testi latini passa dunque per le aule monastiche e di conseguenza si introducono strumenti
didattici che ne permettono l'apprendimento, come, ad esempio, le glosse interlineari in volgare.
L'edificazione passa anche attraverso gli esempi virtuosi che si offrono ad imitazione e ispirazione per il
fedele. In questo ambito, l'agiografia gioca un ruolo fondamentale e alcune opere sono tradotte in lingua
volgare. Il caso più emblematico è la traduzione dei “Dialoghi” di Gregorio Magno, operata nell'ambito
del fermento culturale alfrediano da Warferth, vescovo di Worcester, su commissione dello stesso re
Alfredo. Infine, la traduzione tocca, in certi casi singolari, anche opere dei Padri della Chiesa, come
Gregorio Magno (e le traduzioni alfrediane della ‘Regola pastorale’ e dei ‘Dialoghi’ ne sono un'evidente
traccia), ma anche Isidoro di Siviglia incontra i favori dei centri ecclesiastici di età carolingia, grazie al
‘De fide catholica’.
● Alfredo Il Grande → Un aspetto della sua biografia che non va trascurato è il viaggio che, ancora giovane,
lo conduce dapprima a Roma dove, secondo il suo biografo, Asser, sarebbe stato unto da papa Leone
IV, soggiornando per qualche tempo insieme al padre presso la corte di Carlo il Calvo, re dei Franchi. I
contatti con gli ambienti romani e carolingi possono aver influito sulle successive scelte culturali operate
da Alfredo. Egli, infatti, accompagna la sua lotta di difesa dagli assalti vichinghi con un’ampia riforma
culturale che pone al centro l'acquisizione del sapere anche se attraverso l'uso dell'inglese antico. Si
potrebbe sostenere che in una certa misura Alfredo ripercorre le scelte culturali intraprese un secolo
prima da Carlomagno. Così come il re franco, anche Alfredo impianta una scuola palatina in cui i giovani
aristocratici o quelli dotati si sarebbero dovuti formare, dapprima attraverso l'uso della propria lingua
madre, l'inglese antico, poi, per chi proseguiva una carriera ecclesiastica, tramite la conoscenza del
latino. La scelta di utilizzare la lingua volgare come strumento di trasmissione culturale si fonda anche
su ragioni molto pratiche: l'avanzata danese nei decenni precedenti aveva portato gravi danni alla
struttura ecclesiastica, e dunque anche culturale, dell'Inghilterra. Nella seconda metà del IX sec., i
manoscritti prodotti sono di un numero assai inferiore rispetto al secolo precedente e il latino era
conosciuto da poche persone; diventa uno dei testi più importanti in questo periodo la “Regola
pastorale” di Papa Gregorio Magno che venne scritta nel VII sec. per far fronte alla complessa realtà
italiana, conquistata dai Longobardi. Il testo viene tradotto dallo stesso Alfredo (traduzione alfrediana) in
inglese antico: nella sua prefazione, il re, rivolgendosi ai vescovi del suo regno, offre le motivazioni
ideologiche della sua volontà di procedere con la traduzione di testi dal latino all'inglese antico. In quella
prefazione Alfredo lamenta che il clero a sud del fiume Humber (dunque in Wessex e Mercia) non sia
più in grado di svolgere i propri compiti liturgici in inglese, peggio ancora in latino, lingua oramai
sconosciuta; ritiene, poi, che la medesima situazione sia da immaginarsi anche in Northumbria. I toni di
Alfredo sono drammatici. La vocazione, se vogliamo, patriottica di Alfredo si esplica anche nell'unica
opera originale a noi nota, cioè non frutto di traduzione: la “Cronaca anglosassone”. Si tratta di un lavoro
strutturato per annali a partire dall'incursione di Giulio Cesare in Britannia, intorno al 60 a.C., sino ai suoi
giorni. Lo scopo di Alfredo è quello di fornire uno strumento (didattico) di conoscenza della storia inglese
che sia condiviso nel suo regno, tanto che l’opera viene fatta distribuire presso i centri ecclesiastici del
Wessex, con il palese intento di unificare ideologicamente i suoi territori perché attraverso la coesione,
anche patriottica, la lotta contro la minaccia danese sarebbe stata più fruttuosa. Ad Alfredo, però,
interessano alla pari argomenti di natura più spiccatamente filosofica; infatti si ritiene che lui attuò una
traduzione dei “Soliloqui” di Sant’Agostino d'Ippona".
● poesia epico-eroica → Sulla base della tradizione classica greco-latina, il poema epico sarebbe un
componimento di lunga estensione che tratta di episodi - solitamente avvenuti in un lontano passato -
che fanno parte del bagaglio identitario di un gruppo, quasi sempre di un popolo: si collocherebbero,
allora, in questa definizione, i poemi omerici, l'Eneide e la Chanson de Roland. Un poema, però, così
come qualsiasi altro testo letterario, si relaziona con altre tipologie testuali e le sue stesse
caratteristiche, formali e contenutistiche, possono subire influenze e trasformazioni nel tempo a causa di
quelle stesse relazioni e, pertanto, non rispondere più a quei valori e necessità da cui poteva essere
scaturito. Una delle più antiche forme poetiche germaniche è il carme eroico, che trasmesso oralmente,
era caratterizzato dalla brevità, dalla presenza del discorso diretto, dai toni drammatici e, solitamente,
dalla mancanza di riferimenti al presente, la collocazione temporale degli avvenimenti narrati (che non
scavalcano l'età delle migrazioni germaniche; quindi furono scritte fino al VII sec.). Vi è, in questo
genere poetico, un palese distacco dal tempo presente del pubblico: si raccontano vicende e
personaggi in larga misura mitizzati, che appartengono a un mondo precedente, mantenendosi però sul
piano realistico grazie all'ubicazione degli avvenimenti, che rimandano spesso a luoghi geografici
precisi. Ogni storia (o vicenda) è chiusa a se stessa ed infine questa forma poetica mira a fornire
esempi morali per il pubblico, oltre che didattici data la formalità della sua esecuzione. In questi
componimenti compaiono personaggi storici realmente esistiti, ma anche personaggi fittizi. E sono giunti
non più di una cinquantina di carmi eroici, ma il loro numero doveva essere ovviamente molto più
ampio. Abbiamo poi il caso del poema eroico che sarebbe un'evoluzione del carme eroico, la cui
caratteristica principale è la lunghezza, con una struttura formale che lascia spazio anche a riflessioni
morali, ove si sente molto di più la voce narrante dell'autore. Il poema eroico germanico non rimanda a
un unico autore ma documenta una delle tante possibili trasmissioni di un materiale aggregato intorno a
un motivo narrativo principale. Un caso tipico è il poema anglosassone “Beowulf” il quale, oltre ad
alcune vicende legate al protagonista, contiene delle digressioni più o meno autonome rispetto al
racconto principale. Una di queste è la cosiddetta ‘Battaglia di Finnsburg’, che ci è nota, oltre che
attraverso una digressione all'interno del poema, da un altro frammento in inglese antico. Per il mondo
germanico il poema eroico è un prodotto della scrittura: la sua lunghezza non depone a favore di una
sua recitazione mnemonica e la scarsa diffusione di questa tipologia testuale, in confronto al carme
eroico, escluderebbe una tradizione antica e ben sedimentata. Oltre a “Beowulf”, non possediamo altri
poemi eroici in lingue germaniche in età altomedievale perché questo tipo di produzione letteraria non
interessava gli scriptoria monastici o, più genericamente, ecclesiastici. Il caso di Beowulf è esemplare: è
trasmesso all'interno di un manoscritto che non contiene altra materia eroica, ma opere connesse alla
mostruosità e al meraviglioso; poiché Beowulf narra di esseri mostruosi, può essere questa la ragione di
quella copiatura in quel manoscritto. Agli inizi del XII sec. venne trascritto il ‘Canto dei Nibelunghi’
recuperando materiale eroico della tradizione ma rimaneggiato e presentato in un contesto narrativo
cortese. A livello stilistico, la poesia eroica rimanda chiaramente alla sua prima produzione in forma
orale e viene utilizzato una forma metrica detta <verso lungo germanico> o <verso lungo
allitterante> caratterizzato da due semiversi (detti anche emistichi, segnalati solitamente dalle lettere a
/b) divisi da una cesura interna. I due emistichi sono connessi tra loro grazie all'uso dell'allitterazione,
ovvero la ripetizione, all'inizio della sillaba radicale della parola, del medesimo suono consonantico,
mentre le vocali possono allitterarsi. Si tratta di un espediente mnemonico importante: poiché l'unità
sintattica della frase è spesso composta dal secondo emistichio e dal primo emistichio del verso
successivo, formando così una sorta di andamento detto 'a serpentina', il senso dell'enunciato si compie
tra i due versi. In questa maniera il secondo semiverso richiama sintatticamente il primo semiverso
successivo il quale, contenendo obbligatoriamente un’alliterazione governata nel semiverso successivo,
aiuta a rammentarlo.

/x/x || x/x/ schema del verso germanico

/ è l'ictus, cioè il tono principale, l'accento, la sillaba. La X è invece il tempo debole. Il tempo debole è
rappresentato da una o più sillabe atone o debolmente accentate. Il tempo forte è invece rappresentato da una
sillaba lunga accentata oppure da due sillabe brevi di cui una accentata. Quindi il tempo forte è sempre
accentato. Questo significa che il tempo forte possono essere solo sillabe radicali, perché sappiamo che
l’accento cade sulla radice. Le || sono quelle che rappresentano la cesura cioè una pausa. Qui ci sono due tipi di
organizzazione metrica: uno è quella in cui si alterna forte/debole/forte/debole. L'altra invece quella in cui si
alterna debole/forte/debole/forte.
Ma ci sono cinque tipi di verso base, individuate da Sievers nell'Ottocento e Bliss molto più recente, nella metà
del ‘900, hanno individuato i principali tipi di organizzazione dei tempi forti e deboli all'interno del verso. La cosa
interessante è questa: teoricamente nel tempo debole io posso mettere in linea teorica quante sillabe voglio: se
ce ne metto di più, il verso sarà più veloce naturalmente. Se ci metto invece sillabe pesanti, lunghe, singole, il
verso sarà più lento quindi io posso costruire un tipo di verso a fisarmonica in modo da dare l’effetto che io
voglio. Per esempio se avessi necessità di descrivere una battaglia o una corsa o una fuga di qualche sorta, ho
necessità di un tempo concitato, mentre invece se sto facendo una descrizione io avrò normalmente con il primo
tipo di verso (Tipo A), quindi forte-debole/forte-debole, una sorta di andamento tranquillo, normale. Questo tipo di
verso è quindi formato da due emistichi (due tempi forti e due tempi deboli per ogni emistichio) con separazione
e cesura, legati dalla allitterazione cioè la ripetizione dello stesso suono iniziale delle sillabe forti che può stare
nel primo e nel secondo tempo forte, oppure in uno dei due tempi forti, oppure anche in entrambi i tempi forti del
primo emistichio. Ma deve stare obbligatoriamente nel primo emistichio (Tipo B). Questa almeno è la norma per
la maggioranza dei testi questo è quello che si ritiene fosse l’andamento classico della poesia in versi allitteranti
germanica, che è la stragrande maggioranza della poesia germanica. Il quarto tempo forte non è allitterante. In
alcuni tipi di testo però, ad esempio gli incantesimi poetici, a volte si allittera anche il quarto è poi nell'ambito
nordico, che comunque va molto oltre (a partire dal XII secolo in poi, quindi ci sono parecchi secoli di differenza)
anche il 4.º potrà in alcuni tipi di verso, avere l’allitterazione.
Questo è un semiverso che dovrebbe provenire dalla battaglia di Brunanbur(g)h: “fæge to gefeohte“ → abbiamo
detto che l’allitterazione sta nella sillaba iniziale, ma del tempo forte. “Ge-” è un prefisso atono e non può essere
quindi allitterante. Invece qui vediamo dove sta l’allitterazione: il tempo forte è fæ, ge to ge fa da tempo debole,
feo secondo tempo forte e hte secondo tempo debole. “fæge to gefeohte“. Ma potremmo avere anche altre
organizzazioni all’interno del verso. Notate appunto che l’allitterazione non va quasi mai sulle particelle: sulle
preposizioni oppure anche spesso verbi al modo finito generalmente non possono allitterare. Allitterano quasi
sempre gli aggettivi e i sostantivi e a volte anche gli oggetti o i verbi all'infinito. Queste sono le categorie principali
che troviamo allitterate.
Esempio tratto dal ‘Beowulf’ (vv. 702b-703); in corsivo l’unità sintattica e in grassetto l’alliterazione: “Cōm on
wanre niht/ scrīðan sceadugenga scēotend swæfon” = “Venne nella notte buia/ il camminatore nell'ombra; i
combattenti dormivano”. Infine, ogni semiverso presenta due accenti ritmici, mentre le sillabe non portatrici
d'accento possono essere in numero variabile. Quindi cos’è il testo eroico? Per comprenderlo, dobbiamo prima
capire chi è l’eroe: colui che, per le sue azioni - materiali e/o morali - è considerata un punto di riferimento degno
di emulazione da parte di una determinata comunità e ne incarna i valori in un determinato periodo storico. Nel
mondo germanico, l’eroe risponde - nella fase della trasmissione orale - ai valori della società
aristocratico-guerriera: centrale è l'impegno militare o delle armi. L'eroismo, perciò, riguarda un gruppo ristretto di
uomini all'interno del più ampio gruppo della società germanica. La poesia eroica deve spingere all'emulazione
dei comportamenti e l'adesione ai principi morali che animano quel tipo di comunità aristocratica. “Il Carme di
Ildebrando”: è stato vergato su fogli di guardia di un manoscritto teologico dell'abbazia di Fulda negli anni Trenta
del IX sec.; poiché tracce interne evidenziano come il carme sia stato copiato da un'altra fonte scritta, si presume
che possa essere approdato alla scrittura almeno nel corso della seconda metà dell'VIII sec. La lingua del carme
lascia invece intravedere una tradizione, forse orale, che ha unito tratti linguistici tedeschi superiori con altri
basso tedeschi. L'origine più probabile del carme dovrebbe essere l'area alpina e racconta un episodio
marginale, ovvero lo scontro tra Ildebrando, comandante degli uomini di Teoderico, e Adubrando, il comandante
dell'esercito di Odoacre. Si verrà a sapere che Ildebrando è il padre di Adubrando, lasciato in patria,
probabilmente l'Italia, per poter seguire Teoderico nel suo esilio presso gli Unni. Il carme racconta la tensione,
dapprima verbale, e poi lo scontro armato, tra padre e figlio; il testo si interrompe durante il duello. Al centro di
questo carme si pone la conflittualità tra due rapporti giuridici non sempre coincidenti: il legame di sangue e il
legame nei confronti del proprio signore e dei propri compagni d'arme. Il tono drammatico della narrazione
prevede la morte di uno dei due contendenti; grazie a testimonianze successive (che denotano la fortuna del
carme che deve aver circolato per lungo tempo in forma orale) sappiamo che il padre ucciderà il figlio. Il “Carme
di Ildebrando” è l'unica testimonianza di poesia eroica alto-tedesca antica e la sua sopravvivenza è dovuta al
contesto stesso in cui il carme è stato copiato, un manoscritto teologico. “La Battaglia di Maldon": ascritto al
genere eroico con più difficoltà rispetto ai precedenti; composta sicuramente dopo il 991, anno in cui avvenne lo
scontro a contatto, in cui il nobile Byrhtnoð insieme ai suoi uomini fronteggiae celebra la sua gloria e dei suoi
richiamando tutte le virtù eroiche e i valori propri di quella società guerriera. Corrisponde al tipo di narrazione
eroica il tenore della narrazione, la presenza del discorso indiretto, l'uso del verso lungo allitterante. Nonostante
la lunghezza del testo (composto da 325 versi) il ritmo è incalzante. E’ inoltre reperibile un’intenzione celebrativa
dato che gli impavidi combattenti anglosassoni, al di là del loro rango sociale, sono presentati con piccoli cammei
narrativi il cui scopo è indubbiamente di tipo patriottico. I massimi rappresentanti del poema eroico di netta
appartenenza alla cultura germanica tradizionale rinviante a una prima trasmissione orale sono indubbiamente,
seppur anch'essi non privi di contaminazioni, il “Beowulf” e il “Canto dei Nibelunghi”.
★ canto dei Nibelunghi → un carme unico in cui si narra la storia di una tragedia che è quella del popolo dei
Nibelunghi. E’ un nome che probabilmente rimanda ad una tragedia storica realmente avvenuta, quella
dei Burgundi, cioè lo sterminio di questa stirpe che è una popolazione affine ai confini del germanico
orientale. Per la storia dei Burgundi, comprende Sigfrido e Crimilde. Sigfrido già da giovanissimo si
innamora perdutamente di questa giovane Crimilde, la quale ricambia assolutamente. Però ci sono tutta
una serie di cose contrastanti perché a un certo momento proprio dopo coloro che si sono sposati in
sostanza, tradiscono degli amici, tradiscono Sigfrido, che loro fanno uccidere per impossessarsi di un
grande tesoro che è il tesoro dei Nibelunghi è un tesoro che era in realtà di un nano magico che era
stato sconfitto a suo tempo da Sigfrido. Però questo tesoro era stato maledetto perché il nano essendo
stato in qualche modo sconfitto e anche poi successivamente ucciso, naturalmente manda maledizioni a
tutti quelli che entreranno in possesso di questo tesoro, e in particolare di questo anello magico. Quindi
Sigfrido viene ucciso, Crimilde si trasforma da fanciulla felice, poi sposa innamorata a improvviso
demonio, che riuscirà a ordire una trama talmente complessa per recuperare potere, perché sapete, che
comunque le donne non avevano potere solo per il tramite dell'uomo che si sposava. Lei sposa Attila, è
qui si unisce Il mito della leggenda relativa agli Unni, dei Nibelunghi e quindi anche dei Goti infatti sono
citati anche Teodorico, Attila ecc. in questo poema. E a questo punto riesce a recuperare potere e forza,
si fa un gruppo di fidati amici che organizzano questa vendetta in modo da poter ammazzare, di
vendicarsi di tutte le persone che avevano tradito il suo amato. Fra queste persone c'è anche Brunilde,
che invece era una regina cosiddetta di ghiaccio che avevano amato per prima, anche se a distanza,
forse c'è qualche cosa che aveva legato per prima Sigfrido. Quindi Brunilde odiava Crimilde perché si
riteneva tradita anche da Sigfrido. È tutto merito di Brunilde se questa cosa è finita in tragedia.
Comunque sostanzialmente, adesso però l'ho messa un po’ in maniera scherzosa, però si tratta
veramente di un poema molto bello e interessante, di cui esistono diverse versioni. Una in cui per
esempio c'è un maggiore interesse verso la figura di Crimilde. Ci sono delle differenti versioni tanto che,
alle volte, è difficile riuscire a prenderne una completa.
● poesia encomiastica → Quella dell'elogio (panegirico) è un'arte sia prosastica che poetica comune a
molte civiltà, compresa quella classica: Ennodio, vescovo di Pavia, recitò un panegirico in onore di
Teoderico re degli Ostrogoti innanzi al sovrano stesso nell'anno 507. Si è perciò ritenuto che una delle
prime forme di arte poetica fosse connessa all'encomio. In generale la poesia encomiastica, a differenza
di quella eroica, è tesa alla celebrazione di un personaggio vivente le cui gesta e virtù sono narrate. Un
esempio celebre è il “Canto di Ludovico”: componimento in alto tedesco antico che celebra la vittoria del
re dei Franchi occidentali sui Normanni a Saucourt-en-Vimeu, scontro avvenuto il 3 agosto 881
(Ludovico morirà l'anno successivo). Nel poemetto il re è indicato come vivente, perciò il testo viene
composto in un periodo immediatamente successivo allo scontro probabilmente da un chierico; sono
adottati i versi lunghi con rima finale interna, la quale è tipica della poesia religiosa alto-tedesca e si
spiega grazie al suo uso negli inni latini da cui trae ispirazione stilistica anche la produzione poetica in
volgare. Il poemetto “La Battaglia di Brunanburh”, tramandato all'interno della Cronaca anglosassone.
Anche in questo caso abbiamo a che fare con uno scontro, avvenuto nel 937 presso Brunanburh, in cui
re Æpelstan sconfisse una coalizione di scozzesi e vichinghi. La forma metrica è quella del carme
eroico (verso lungo germanico) ma il tenore del testo è encomiastico. Il re Æpelstan e la battaglia di
Brunanburh sono anche ricordati nella Saga di Egill, che segue la biografia di Egill Skallagrímsson,
uomo islandese di famiglia prestigiosa, celebrato per le sue grandi capacità poetiche. La poesia
encomiastica trova diffusione anche nella produzione letteraria alto-tedesca media. Il sorgere della
società cortese porta alla formazione, presso più sedi aristocratiche ed ecclesiastiche, di maggiore o
minore prestigio e potere, di centri culturali ove si adottano politiche di mecenatismo nei confronti di
letterati e poeti i quali si pongono a servizio del signore per diverse mansioni, per lo più di segreteria,
ma anche imprese militari, a cui accompagnano l'arte poetica, al fine di intrattenere e lodare la corte che
li ospita. A differenza della poesia scaldica, questo tipo di produzione nasce invece in forma scritta, per
poter essere poi recitata o cantata dinanzi alla corte. Un esempio celebre è il “Fürstenlob” (Lode del
principe) scritto alla metà del XIII sec.: viene narrata la sfida fra 6 poeti i quali, dinanzi alla corte del
margravio Hermann di Turingia, cantano le lodi del rispettivo signore. Non si sa se questa storia sia
vera, tuttavia ciò di cui siamo certi è che Hermann di Turingia ospita agli inizi del XIII sec., uno dei centri
culturali più attivi sul suolo tedesco e diviene perciò per antonomasia simbolo stesso del mecenatismo
cortese. Un’altro esempio è la lirica di Walter von der Vogelweide (XIII sec.): i versi di Walther sembrano
avere come contrappunto quelli di un ignoto poeta anglosassone che si nomina Deor, in cui lamenta
come uno ‘scop’ più bravo di lui, di nome Heorrenda, sia entrato nelle grazie del suo signore ricevendo
così in dono il suo feudo.
● poesia scaldica → in norreno con ‘skáld’ si intende il poeta che presta servizio presso un signore ed ha
corrispettivo nell’alto tedesco antico ‘skopf’. Lo ‘skald’ non è un vero e proprio professionista, eppure
tale figura necessita pur sempre una particolare attitudine e addestramento per esercitare tale forma
poetica. Questo genere poetico è in auge tra il IX e il XIV sec., dapprima nell'area nordica occidentale,
poi, dal XI sec., è praticata dagli Islandesi; pertanto possiamo affermare che è una poesia trasmessa
oralmente, e poi messa per iscritto (a differenza degli altri generi poetici, gli autori non sono anonimi). Lo
scardo più antico è il norvegese Erpr lútandi, vissuto nel secolo VIII, ma la tradizione scaldica matura si
fa iniziare con Bragi Boddason (IX sec.). Essere scaldo significa padroneggiare diversi metri, gli
strumenti retorici oltre a un'amplissima sicurezza della lingua e del suo lessico, anche arcaico; ma
anche vasta conoscenza del materiale mitologico e di altri contenuti culturali. Il metro: versi strutturati
per strofe di otto versi interrotte da una cesura dopo il quarto verso, formando così due semistrofe
ognuna delle quali è formalmente e sintatticamente conclusa. Ogni strofa deve poi rispondere al metro
adottato; ogni verso finisce con un trocheo (sillaba accentata seguita da una non accentata), ogni
coppia di versi è unita da un'allitterazione. Vi sono diversi tipi di versi, ma il più praticato è quello
chiamato dróttkvœtt (metro di corte). Il verso scaldico contempla anche degli artifici retorici: i più
importanti sono ‘heiti’ (nome, denominazione) e ‘kenning’, che sono utilizzati per indicare un nome,
proprio o comune, ricorrendo ad altri nomi che ad esso fanno in un qualche modo riferimento; con la
‘kenning’’, inoltre, si chiede anche il riconoscimento del nome cui ci si riferisce attraverso una sorta di
struttura a enigma. È un tipo di figura retorica molto definita che è presente nell'ambito germanico, ma in
particolare nell'ambito dell’antico inglese e soprattutto antico nordico. Questo tipo di figura prevede un
composto di membri (inizialmente nell'ambito nordico può essere anche articolato in più membri),
oppure un sintagma formato sempre da due membri in cui c'è un determinante e un determinato. Il
determinato è il termine base, diciamo una parola base che viene poi qualificato determinato da un altro
determinante, cioè qualche cosa che gli dà una caratteristica. Allora, prendiamo per esempio questa
citazione: “sǽ hengest”, dove sǽ è il mare e hengest è lo stallone. Sǽ hengest significa quindi il cavallo
del mare. Ma il cavallo del mare non è affatto un cavallo, bensì è la nave; altro esempio: “Hwæla rád”.
La base è la via. “Rád” sarebbe “road”, “strada”. La via, non la via normale, ma la via dove sta la balena.
Quindi il mare, l’oceano. A dispetto della sua complessità, si tratta di una poesia nata e fruita oralmente;
da qui l'ampia capacità dei poeti scaldici nel creare alquanto rapidamente dei testi; potevano anche
esservi momenti di improvvisazione non particolarmente complessi. L'esempio più celebre è la poesia
nominata “Höfudlausn” (Riscatto della testa) di Egill Skallagrímsson (che significa ‘figlio di Grimm) il
quale, per aver salva la vita, deve comporre in una notte un encomio di 20 strofe in onore di Eiríkr Ascia
Insanguinata che lo ha fatto prigioniero: si tratta di una delle liriche più celebri di tutta la produzione
nordica. La conversione al cristianesimo influì anche questa produzione letteraria: lo scaldo Hallfredr
Óttarsson Vandradaskáld ricorda di come componeva dei versi per i suoi dèi ma che se lo facesse ora,
sarebbe considerato eresia. La poesia scaldica tende all’elogio, ma anche alla descrizione di oggetti (in
particolare scudi) ed esiste anche una variante amorosa, e più raramente di carattere eroico. A
differenza di altre tradizioni poetiche europee medievali non esistono canzonieri di poesia scaldica.
● poesia mitologica → non ci sono testimonianze di un patrimonio mitologico che ha caratterizzato la
cultura germanica dato che probabilmente sia stata trasmessa oralmente, l’avvento della scrittura
coincide con la cristianizzazione; solo nel XIII sec. nell’area norrena, ritorna in auge l’argomento
mitologico, e questo trova una trasmissione scritta, seppur parziale. Questi componimenti sono detti
‘eddici’ dato che fanno parte della raccolta ‘Edda’ (detta ‘poetica’) titolo attribuibile nel secolo XVII
dall'erudito Bryjólfur Sveinsson. Si tratta di un insieme di carmi, trasmessi tutti (ad eccezione di uno) in
un unico manoscritto, il celeberrimo “Codex Regius”, oggi conservato a Reykjavík. Il “Codex Regius” è
il risultato della copiatura, effettuata da un unico amanuense, di materiale che aveva avuto per le mani
già in forma scritta, non sappiamo se già in un unico codice o, piuttosto, se egli abbia avuto materiali da
più fonti. E’ probabile che sia databile alla seconda metà del XIII sec., quindi in un periodo successivo
alla produzione dell'”Edda” di Snorri, da cui avrebbe tratto anche parte delle motivazioni per la sua
esistenza, condividendone il gusto antiquario e di salvataggio della memoria. I primi dieci carmi
dell’”Edda poetica” sono di argomento mitologico, mentre i successivi diciannove sono di argomento
eroico. La struttura metrica della poesia mitologica è il ‘fornyrðislag’ cioè il 'metro delle antiche storie':
ogni strofa è formata perlopiù da 4 versi lunghi allitteranti la strofa è poi a sua volta divisa in due parti
che hanno in sé un'unità sintattica. Il verso, come quello lungo germanico, è diviso in due emistichi con
l'allitterazione principale nel secondo semiverso. Viene utilizzato un altro metro detto ‘ljóðaháttr’ (metro
strofico o del carme) che contempla una strofa di sei versi brevi legati fra loro sempre con il sistema
allitterativo. Abbiamo poi il carme cosmogonico “Völuspá” (Profezia della veggente) a cui segue un
gruppo di poesie che hanno al centro della propria narrazione il dio Odino; anche il carme “la Canzone
dell'eccelso” che ha come protagonista sempre il dio Odino. La stessa composizione di questi poemetti
è piuttosto disomogenea, spaziando fra il IX sec. e la seconda metà del XI sec., dunque sarebbero stati
composti in un’età in cui il cristianesimo si stava diffondendo nei territori nordici occidentali (Norvegia,
Islanda). Ne “la Profezia della veggente” la voce narrante è una profetessa, sollecitata probabilmente
da Odino stesso nel racconto della creazione di mondi e della successiva distruzione e rinascita in
seguito ai ragnarŏk (nella mitologia norrena indica una serie di eventi catastrofici tra cui spicca la
battaglia finale tra le potenze della luce e quella delle tenebre). Il tenore del carme lascia supporre una
plausibile influenza cristiana, seppur indiretta, e perciò attribuita, come composizione, alla fine del X
sec. e probabilmente all'Islanda come luogo di produzione. Il poeta della “Profezia della veggente”
guarda al destino degli uomini e degli dei come una sorta di processo naturale di evoluzione e
susseguente distruzione, non lontano dai toni apocalittici cristiani. Dunque, i carmi mitologici non
rappresentano tanto la trasmissione di una religiosità strutturata ma sono soprattutto racconti di vicende
in cui sono coinvolti gli dèi senza alcun fine educativo e senza una rappresentazione di culti o costumi
religiosi.
● poesia cristiana → nella seconda metà del VII sec., è composto il più antico testo poetico di carattere
cristiano in una lingua germanica a noi giunto, cioè “l’inno sulla creazione” di Cædmon: inno in nove
versi scritto in lingua inglese antica, composti usando il metro lungo allitterante (poesia eroica). Beda
ritiene che l’autore, un semplice bovaro al servizio di un padrone, riceve in sogno l'ordine di cantare un
inno sulla creazione;egli, pur schernendosi in quanto incapace di comporre versi, recita il testo poetico
che, il giorno dopo, verrà proposto alla badessa di Whitby. La bellezza della poesia spinge la badessa a
chiedere a Cædmon di prendere la veste monacale per essere istruito sui testi sacri e per poi riproporli
in forma poetica. Cædmon così, dapprima ascoltava i racconti dei suoi maestri e poi li tramutava in testi
poetici in lingua inglese antica. Mattia Flacio Illirico invece, ritrova la figura di Cædmon in un’opera:
ricorda di aver avuto per le mani una copia del poema di oltre seimila versi in sassone antico sulla vita di
Cristo (opera oggi conosciuta col nome di Heliand) da cui si evinceva, in un componimento in versi lì
compreso, che l'autore fosse un contadino, chiamato in sogno da Dio affinché cantasse la storia della
salvezza nella propria lingua. In realtà l’ipotesi più accreditata riguarda il fatto che l’autore dell’Heliand
non sia un contadino bensì un ecclasiastico, giacchè per creare una composizione logica in volgare, si
necessitava di esperti che non potevano essere improvvisatori. Anche qui il legame con l’oralità è molto
forte, nella poesia cristiana riversata in un un sistema ideologico portato dalla cristianizzazione. Le due
opere, l'”Inno” e “Heliand”, permettono anche di mettere a fuoco i temi principali su cui si concentra la
poesia religiosa: da un lato testi connessi all'Antico Testamento, in particolar modo alla Genesi e, più in
generale, al Pentateuco, dall'altro la vita di Cristo. A questi due temi principali si accompagnano testi
dedicati a sante e santi. Il fil rouge tra queste opere è il tema dell’eroismo, sia esso di Cristo, che lotta
contro i suoi persecutori, o degli angeli che lottano coi demoni, o dei santi dinanzi ai loro patimenti e
martiri. Abbiamo poi il poemetto anglosassone “Il sogno della croce" facente parte del “Vercelli Book”,
manoscritto copiato nel X sec., ma il testo è probabilmente precedente. Si tratta di un poemetto
strutturalmente tripartito in cui nella prima sezione il poeta sogna una croce impreziosita da gemme e
metalli preziosi, mentre nella seconda è la croce stessa che narra, in prima persona, la propria vicenda,
da quando era albero nel bosco sino al momento in cui portò su di sé il corpo giustiziato di Cristo per poi
essere sepolta, dimenticata e, infine, rinvenuta, concludendo il suo discorso con un invito alla sua
venerazione in attesa del giudizio finale; qui Cristo viene rappresentato come un vero e proprio eroe che
anela ad ascendere il legno della croce, un dio che è un signore (dryhten), un principe (œðeling), un
giovane eroe (geong hœleð), addirittura un giovane guerriero (beorn). I compagni di Gesù sono allora
'compagni di scontro' (hilderincas), i suoi uomini (weorod) lo piangono con un canto funebre. La terza
parte, infine, è di nuovo il poeta che riprende la narrazione auspicando il ricongiungimento nella casa
del Padre. La struttura del poemetto a due voci narranti in forma di discorso diretto rimanda alla
tradizione dei carmi e poemi eroici germanici. Il "Sogno della croce" è una forma mista tra poesia eroica
e poesia cristiana, che rappresenta forse meglio di tanti altri testi la presenza di due culture. Riguardo
l’”Heliand”, esso è un lungo poema anglosassone antico che utilizza il verso lungo germanico
allitterante. Fu scritto nel IX sec., da un autore anonimo; si ritiene con una certa plausibilità che il poema
provenga dalla Germania centro-settentrionale. La struttura stessa del poema è complessa: a seconda
di come si dividono le parti del testo, al centro del componimento si troverebbero o l'episodio della
Trasfigurazione (divinità di Cristo) oppure quello delle Beatitudini (discorso della montagna) che
raccoglie in sé gli elementi fondanti della fede cristiana. Colui che ha composto i versi doveva essere un
poeta di grandi capacità e competenze retorico-stilistiche, che ben conosceva la produzione eroica
tradizionale di cui riversa nel suo testo lessico, formule espressive, immagini, metafore; si postula
l’esistenza, inoltre, di più persone. Il testo raccolse ampio successo, trattandosi di uno dei pochissimi
esempi di testi altomedievali in lingua germanica giunto a noi in più copie manoscritte. L’”Heiland” è un
testo complesso, composto in un ambiente culturalmente avanzato, come quello ecclasiastico dato la
presenza di una biblioteca e validi studiosi e teologi. Il “Libro dei Vangeli”: composto Otfrid von
Weissenburg in alto tedesco antico, probabilmente terminato tra l’863 e l’871. La dignità dell'alto
tedesco antico come lingua capace di trasmettere il messaggio cristiano è il tema centrale nella sua
opera; inoltre viene utilizzata la rima baciata, che non era propria della tradizione germanica ma che
viene impiegata sulla scia degli esempi testuali in latino. Altri poemi cristologici a noi pervenuti furono
scritti da Cynewulf, che deve essere vissuto tra la fine dell'VIII secolo e gli inizi del secolo successivo o,
come vogliono altri, tra IX e X secolo. Esistono poi altri componimenti che si rifanno a episodi salienti
dell'Antico Testamento quali, in inglese antico, l'Esodo, oppure incentrati su alcuni personaggi biblici
quali Giuditta o il profeta Daniele, di cui si sottolinea l'eroismo. Significative anche le produzioni poetiche
che traggono ispirazione dalle opere ispirate dal libro dell'Apocalisse. Si incontra una produzione che
spazia dall’inglese antico (Il giorno del Giudizio), al frisone (I quindici segni del Giudizio Universale) sino
all’alto tedesco antico, che ha lasciato un poemetto alquanto complesso linguisticamente ma altrettanto
interessante per i suoi contenuti: la critica lo ha chiamato “Muspilli” (nel poemetto tedesco sta ad
indicare probabilmente la fine dei tempi e che viene accostato al Muspellheimr della tradizione norrena,
luogo posto a meridione e da cui giungerà la nave che porta gli avversari degli dèi), parola che ricorre
nel poemetto. Il testo, copiato forse dal giovane Ludovico il Germanico, si concentra sulla lotta tra le
forze del Bene quelle del Male alla fine dei tempi, mettendo in campo fra gli eroi cristiani il profeta Elia e
l'arcangelo Michele, contro i quali si schierano gli esseri demoniaci: il drago e l'Anticristo. Anche il
componimento poetico tedesco conosciuto come “Wessobrunner Geber” di Wessobrunn (Preghiera di
Wessobrunn)” richiamerebbe, con la sua elencazione per negazioni, a indicare il vuoto precedente la
creazione stessa. Meritano considerazione anche tre componimenti in inglese antico contenuti
nell'”Exeter Book” e ispirati al “Fisiologo”, opera che conobbe un'ampia circolazione nell'Europa
medievale offrendo una lettura allegorica degli usi e costumi degli animali interpretandoli in chiave
cristiana. Sono stati tramandati in forma poetica la Balena, la Pantera e la Pernice; parte della critica ha
ritenuto che la trasmissione sia stata frammentaria, poiché di tutto il Fisiologo sarebbero stati trasmessi
solo i capitoli relativi a questi tre animali. Il Fisiologo trova diffusione anche nelle altre lingue volgari: in
alto tedesco antico e norreno, ma entrambe sono opere in prosa.
● poesia elegiaca → genere anglosassone; si tratta di opere che prendono spunti e immagini da diverse
tradizioni letterarie, e trattano tutte il tema della transitorietà delle cose e dell'esistenza umana; l'uomo,
di conseguenza, può trarre rifugio e speranza soltanto nella fede e nella protezione benevola di Dio.
Nessuna elegia anglosassone è platealmente di argomento cristiano. Un aspetto che condivide con
l’elegia classica è quella della partecipazione, della natura al sentimento, cosa che invece nell'ambito
della poesia eroica non c'è molto facilmente.Solo un po’ nel Beowulf. Tra queste elegie in antico inglese
c’è “L'errante”, che viene spesso chiamato “Wanderer”, un poeta che vaga di corte in corte perché è
stato cacciato dal suo principe e il suo posto è stato preso da un altro (evidentemente non erano
contenti). Anche lui in qualche modo rimpiange i bei tempi e ricorda tutte le cose che lui aveva scritto e
composto. Un'altra elegia importante è “Wife’s Lament” (“wife” in ai. significa “donna”). È quindi un
lamento di una donna, che sembra essere stata abbandonata (non sappiamo bene se si trova in uno
stato o luogo apparentemente isolato o addirittura possa essere sottoterra), che parla del suo amato
(uomo) che sta lontano o che potrebbe anche essere morto (quindi tutta una cosa del tutto enigmatica),
insieme con un altro poemetto a cui viene spesso associato, vale a dire “Wulf and Eadwacer”. “Wulf”
forse potrebbe essere un piccolo figlio (in realtà non lo sappiamo) di una donna che anche qui sembra
lamentarsi, oppure semplicemente potrebbe essere l’amato di questa donna, anch’essa in una
situazione drammatica. Pare che la famiglia l'abbia in qualche modo ostracizzato o addirittura bandito
direttamente questo “wulf” e lei è sotto una tutela di un “eadwacer” cioè praticamente un guardiano del
bene ed è che in qualche modo è legato appunto alla tutela e al “bund” di cui abbiamo parlato la scorsa
volta.
● poesia profana → i generi legati alla tradizione orale sono la poesia scaldica e quella eroica; quella di
carattere religioso o profana è invece legata alla tradizione scritta. La poetica profana si sviluppa a
partire dal XII secolo, in area tedesca; è un periodo in cui si è di fronte a una laicizzazione dei centri di
potere che divengono anche luoghi della produzione letteraria, pensata anche per l'intrattenimento della
corte signorile ove, però, non è in secondo piano anche l'obiettivo moraleggiante o palesemente
religioso dei testi prodotti. Questo tipo di letteratura trova origine al di fuori della Germania. Con il XII
sec. si espande infatti nell'area tedesca l'influenza culturale francese. Le linee di penetrazione sono due:
1) attraverso la Lotaringia verso il bacino renano medio e superiore; 2) dalla Picardia (regione
settentrionale della Francia) attraverso le Fiandre e il Brabante al bacino renano inferiore. Questa
influenza la si ha dapprima nell’area della lingua nederlandese media e poi nell’area tedesca. Dalla
Francia arrivano principalmente tre materie narrative: quella di Bretagna (ciclo arturiano), quella di
materia antica (ciclo di Alessandro) e quella che riguarda la figura di Carlo Magno. La Germania inizia
una sorta di tipizzazione dei modelli di corte che provenivano dalla Francia: prendono allora piede, dalla
metà del secolo XI, i cosiddetti ‘romanzi in versi’, solitamente lunghi poemi che traggono la loro
narrazione da vicende della classicità o dalla forte coloritura epica e cavalleresca. Le narrazioni sono
portate da un esecutore vagante, chiamato in tedesco ‘Spielmann’, che racconta, recita, canta opere
poetiche che ha appreso e che, in certi casi, ha egli stesso elaborato o trasformato. In questi poemi
prevalgono gli elementi favolosi, talvolta esotici, racconti di vicende amorose poco spirituali e assai
concrete. Vi erano anche i ‘chierici vaganti’ cioè studenti che frequentano le scuole universitarie o
monaci che si sono allontanati dal loro convento per dedicarsi, il più delle volte, allo studio. Sono
persone che si muovono da una città all'altra, per seguire questo o quell'altro insegnamento, ma anche
per godere, seppur in forma grama, dei piaceri della vita, come rivelano i “Carmina Burana” cioè brevi
testi goliardici in lingua latina e tedesca che sono spesso irridenti nei confronti della morale ufficiale.
Legata alla sfera del piacere è anche la poesia che nasce in Francia ma che attraverso l’Italia
settentrionale giunge in area austro-danubiana e prende il nome di ‘Minnesang’ (canto d’amore). La
Minnesang richiama l’amore spirituale piuttosto che quello carnale, però l’origine della poesia si basa sul
risvolto sessuale; è caratterizzato da 1) composizione breve, racchiusa in pochi versi strofici; 2) lirica
autoriale (sappiamo chi sono gli autori). poiché ai cavalieri di corte vivono cavalieri celibi al servizio del
signore, e quindi occorre uno strumento letterario che abbia il fine di trasmettere loro valori e
comportamenti cui ispirarsi nella vita quotidiana di corte, specie nei confronti delle nobildonne. Il
Minnesang è perciò una poesia maschile, che parla ai cavalieri. Ben presto, però, il contenuto di
moralità di queste composizioni viene deviato su percorsi più sobri e consoni alla morale che un giovane
cavaliere deve tenere nei confronti delle dame, ove l'attrazione amorosa è sublimata non tanto in una
relazione carnale, piuttosto in un servizio nei confronti della donna con cui l'uomo suggella il proprio
amore in una relazione spirituale da cui è bandita la soddisfazione erotico-sessuale. Quindi nel
Minnesang si combinano l’amore inteso come ‘caritas’ (amore verso il prossimo), ‘fraternitas’ (la
concordia), ‘amor’ (amore verso Dio e i due sessi). Nella prima fase di questa produzione, la voce
narrante era la donna però successivamente la voce femminile scompare, la donna diviene
irraggiungibile e l'uomo si dice a lei sottomesso. Abbiamo poi il caso della poesia della ‘pastorella’ in cui
la libertà sessuale non è mai tralasciata: è un genere in cui il cavaliere incontra la pastorella (giovane
donna di rango inferiore) e con lei può dare soddisfazione ai propri impulsi carnali. Il Minnesang e la
poesia della pastorella sono in effetti due facce della stessa medaglia, volte al controllo sociale dei
cavalieri. Il poeta più importante della prima fase del ‘Minnesang’ è Der Kürenberg (seconda metà del
XII sec.), ma anche Walther von der Vogelweide il quale scrisse l’”Under der linden, an der heide” (sotto
il tiglio, sul prato), in cui la voce narrante è quella della donna. Walther amplia pure la gamma degli
argomenti della sua voce lirica contemplando anche temi di politica, moraleggianti e meditativi. Dopo la
morte di Federico II di Svevia nel 1250, la lirica si orienta verso la spiritualità e la religione, e quindi alla
nascita del ‘Minnesang’. Le opere degli autori di questo genere sono condensate nel “Codex Manesse”:
prezioso manoscritto prodotto agli inizi del XIV sec. per l'importante famiglia patrizia zurighese da cui il
codice prende il nome, corredato da splendide miniature a piena pagina. La poesia cortese non si
estende oltre all’area tedesca giacché nel corso del XIV sec. il mondo cortese è ormai tramontato in
Europa. Nel XIII sec., oltre al minnesang si diffonde anche la ‘poesia sentenziosa’ (Sprachdichtung): i
poeti sono di rango inferiore rispetto a quelli del minnesang, e cercano un riconoscimento sociale. I temi
sono molteplici, e spicca soprattutto quelli che riguardano la praticità della vita, ma anche riguardano il
commento di fatti accaduti realmente: questi ultimi si diffondono anche oltre la Germania, un esempio è
la “Canzone dell’eccelso” che suggerisce i modelli di comportamento in diverse occasioni (banchetto,
amici,...).
● poesia comica → lirica anonima del XIII sec., “il gufo e l’usignolo” che unisce temi moraleggianti,
naturalistici, ma anche comici e satirici: dove il gufo rappresenta la seriosità del clero mentre l'usignolo
incarna la vezzosità e superficialità della vita cortese, dando vita a un gustoso alterco fra i due uccelli.
● prosa: omiletica e agiografia → Nel X sec. in Inghilterra avviene la riforma benedettina scaturita dal
monastero di Cluny, in Francia che ha lo scopo di avvicinare il fedele ai princìpi cristiani e pertanto si
inizia tradurre dal latino all’inglese antico. Dalla seconda metà del secolo X, è attivo l’abate Ælfric di
Eynsham che è considerato il primo rilevante scrittore di letteratura monastica in volgare. Egli adotta
strategie retorico-linguistiche per tenere desta l'attenzione del pubblico, quali l'allitterazione (il fine era di
leggere le opere in un auditorio). Nelle sue opere vi è una predilezione per i santi guerrieri, per creare
quell’immagine ideale per trasmettere a chi ascolta la forza del messaggio e delle virtù cristiane.
Contemporaneo di Ælfric è il vescovo Wulfstan, che ha retto le sedi di Londra, Worcester e, infine, York.
Le sue omelie privilegiano scopi esortativi piuttosto che educativi e sono spesso di argomento
apocalittico; particolarmente celebre è il ‘Sermone agli Angli’ in cui pone la decadenza dei costumi degli
inglesi e la conseguente invasione vichinga come meritata punizione divina. Sono composte in epoca
precedente, ma copiate durante la riforma benedettina, altre omelie, anonime, che si concentrano
anch'esse su temi connessi alla fine dei tempi, come le “Omelie” di Blickling: diciotto sermoni, pensate
come omelie rivolte ad un pubblico laico e con lo scopo di essere utilizzate durante la celebrazione della
messa. Anche il "Vercelli Book” presenta diverse omelie,ovvero ventitré, in cui prevalgono (come nei
casi precedenti) un linguaggio retorico e ricco di figure retoriche, e la ripetizione. Abbiamo un’altro
esempio di prosa omiletica però in area nordica, ovvero il “Homilíubók” (Libro delle Omelie) uno in
islandese e l’altro in antico norvegese. In merito alla produzione agiografica, sulla spinta degli esempi in
lingua latina, si scrivono vite di santi, sempre latino, ma di figure locali, anche importanti, quali sovrani,
scelta che va a consolidare i rapporti fra la Chiesa e il potere regale.
● testi d’uso e scientifici → In questo gruppo rientrano ad esempio tutti quei testi adoperati come ausili per
la cura di persone ed animali, quindi libri di medicina: erbari, esempio l’ “Erbario anglosassone”,
traduzione dal latino dell'erbario dello Pseudo Apuleio (VI sec.), il “Lœcebōc” (Libro sulla medicina) che
contiene rimedi e descrizioni delle malattie; libri di incantesimi, esempio “Lacnuga” (rimedi), o “il Libro
della Medicina”; per quanto riguarda la formula degli incantesimi, essi possono essere preceduti da una
‘historia’ ovvero di un episodio che sarebbe accaduto a una figura oggetto di venerazione, cui segue la
similitudine della situazione contingente con quella della historia e, infine, al recita dell'incantesimo che,
in epoca cristiana,si chiude con preghiere. Altre volte, invece, viene riportata solo la formula
dell'incantesimo, che riguarda sovente anche invocazioni. Gli incantesimi sono un’unione tra fede
religiosa (sia essa pagana o cristiana) e vita quotidiana, dunque si tratta di una religiosità utilitaristica
che si mescola con i rimedi pratici per la cura della persona e, ovviamente, con la superstizione. Un
altro ambito di letteratura d'uso è quello grammaticale: con la sempre maggiore estensione nell'uso del
volgare all'interno dei luoghi di produzione del sapere, come i monasteri, compaiono anche testi in
volgare dal contenuto grammaticale, dapprima sempre rivolti all'apprendimento del latino. Ad esempio la
“Grammatica” di Ælfric, prima grammatica scritta in una lingua volgare nell'Europa occidentale per la
conoscenza del latino, e strutturata in tre parti: grammatica, glossario e colloquio (tra maestro e
scolaro); “Le Conversazioni antico-tedesche”, cioè un’insieme di glosse e un frasario, utile per chi vuole
imparare la lingua tedesca. Notker III di San Gallo, maestro della scuola monachorum del monastero
alemanno, visse tra il X e il XI sec. e tradusse vari temi di carattere filosofico, intervallando la traduzione
dal latino all’alto tedesco ai suoi commenti; Notker scisse anche il primo trattato musicale “La Musica” in
lingua tedesca. Egli tenta di standardizzare la lingua tedesca tramite le sue opere e parallelamente
accade lo stesso in area islandese in cui vengono tradotte opere dal latino alla lingua norrena tra il XII e
il XIV sec., come ad esempio i “Trattati grammaticali” che illustrano le regole, fonetiche, fonologiche,
sintattiche sul corretto utilizzo della lingua islandese, prendendo come spunto il latino. In tutta l’area
germanica medievale si diffondono anche dei testi dal carattere antropologico e geografico che trattano
la descrizione di mondi lontani, come le “Meraviglie d’Oriente” e le “lettere di Alessandro ad Aristotele"
(opera diffusa in diverse lingue nell’Occidente meridionale) in cui il condottiero macedone, una volta
giunto in Oriente, avrebbe informato il suo maestro delle stranezze presenti in India.
● le saghe nordiche → ‘saga’ (plurale sögur) è un termine chiaramente legato alla sfera del raccontare (i
verbi ‘to say’ in inglese e ‘sagen’ in tedesco, dire); dunque la saga è qualcosa che viene detto,
raccontato; con questa parola, si richiama il fatto che l'origine stessa di questa tipologia narrativa deve
collocarsi nella fase dell'oralità. Si tratta di un genere letterario che incontra immensa fortuna in Islanda,
ma che trova esempi anche in Norvegia. Le saghe sono narrazioni in cui la veridicità storica dei
personaggi è improbabile; tuttavia gli storici si dividono in quelli che credono in una correlazione tra
queste narrazioni e la realtà storica, mentre altri ritengono che siano racconti inventati. Possiamo però
provare ad unire queste due prospettive opposte e considerare le saghe come narrazioni fantastiche
che rimandano però a dei fatti storici realmente accaduti, in tal modo la saga è considerata come
un’opera creata per liberare gli impulsi creativi degli autori. La religione pagana era connessa
all'esercizio dell'autorità; quando il cristianesimo diviene la religione dell'Islanda, ecco allora che nasce
una stretta alleanza fra la nuova fede e il vecchio potere. Nel XII sec. cominciano a essere redatte opere
dal contenuto storiografico, che si aggregano alle vite dei santi che già avevano iniziato a circolare, se
non altro in lingua latina. L'interesse inizialmente è verso la storia della Norvegia e dei suoi sovrani, ma
già nei primi decenni del secolo XII dovrebbe essere stata prodotta una storia dell'Islanda da parte di Ari
Porgilsson (1067-1148) che scrive il "Libro degli Islandesi” che riporta la storia dell'isola dal periodo della
colonizzazione ai suoi giorni; vi è anche il “Libro dell’insediamento” in cui si narrano le storie dei primi
colonizzatori dell'Islanda. Si tratta di opere scritte in norreno. Trovano spazio anche narrazioni che
riguardano la storia degli altri: Troiani, Romani, Britanni, Ebrei. Le saghe nascono con lo scopo di
narrare vicende di alcuni personaggi importanti, come il re di Norvegia. Le saghe includono diversi
sottogeneri: 1) “Heilagramanna sögur” (saghe degli uomini santi, IX sec.); 2) “Konungasögur” (saghe dei
re, metà del XII sec.); 3) “Íslendingasögur” (saghe degli islandesi, dal XIII al XV sec.; riguarda le storie
dei clan islandesi dopo la cristianizzazione); 4) “Samtíðarsögur” (saghe dell’età contemporanea, dal XII
al XIII sec.; sono saghe trascritte nella raccolta che prende il nome di “Sturlunga saga” cioè saga degli
Sturlunghi); 5) “Biskupasögur” (saghe dei vescovi, sottogenere del Samtíðarsögur); 6) “Fornaldarsögur”
(saghe del tempo antico, età vichinga quindi prima della colonizzazione in Islanda): 7) “Riddarasögur”
(saghe dei cavalieri, traggono principalmente origine dai poemi cavallereschi di area per lo più francese;
XIV e XV sec.). Bisogna specificare che spesso il confine tra questi sottogeneri è labile. Le saghe sono
anonime, a differenza della prestigiosa poesia scaldica. Una ragione plausibile si può riscontrare nel
fatto che esse traggono parte dei propri contenuti narrazioni precedenti probabilmente circolate in forma
orale da un ‘sagamaðr’ cioè ‘uomo-saga’. ll pubblico di queste narrazioni può rintracciarsi in
quell'oligarchia familiare islandese che richiede sia opere d’intrattenimento sia opere che accrescano il
prestigio del clan familiare (saghe islandesi). Quest’ultima tipologia di saga è stata analizzata
strutturalmente da Theodore Andersson ed altri che individuano diverse fasi narrative: colonizzazione,
prima espansione del clan, primi dissidi di poco conto con elementi esterni al clan, climax ascendente
delle conflittualità che porta al momento di rottura segnato dalla morte violenta di uno dei protagonisti,
successiva serie di vendette, ricomposizione del conflitto con la conseguente riappacificazione e, in
chiusura, un accenno ai discendenti. Molte saghe, poi, contengono parti in versi, soprattutto strofe
scaldiche che ci sono talvolta note solo grazie a questa trasmissione. Si può allora sostenere che la
saga è in molti casi un prosìmetro. La saga si contraddistingue per uno stile asciutto e dall’intervento
nullo da parte dell’’uomo-saga’. Accanto alle saghe si sviluppa un'altra tipologia testuale denominata
‘þáttr’ (plur. þœttir),che significa letteralmente ‘refolo’ ma si traduce come 'racconto breve, episodio’. Si
tratta di narrazioni cui l'aspetto aneddotico è rilevante, che vanno ad ampliare le caratteristiche del
personaggio, o in altri casi, cercano attinenze, seppur esili,con quanto narrato nella saga. Questi due
generi in realtà vengono copiati anche oltre l’avvento della stampa, fino al XIX sec. Le ragioni, anche in
questo caso, sono molteplici, legate alla situazione geografica ed economica dell'isola (isolamento delle
comunità, rari centri di stampa, ecc.), ma non va dimenticato il forte senso identitario che la saga ha
sempre esercitato sulla comunità islandese sulla sua memoria collettiva.
● l’”Edda” di Snorri → la cultura norrena è stata in grado di trasmettere un gruppo di componimenti di
carattere mitologico ed eroico che gli studiosi hanno riunito sotto la formula di «testi eddici». Motivi della
scrittura dell’”Edda” (in prosa: serviva per i preti ≠ Edda poetica): 1) salvataggio della memoria culturale;
nel XIII sec. l’Islanda stava subendo un processo di colonizzazione. 2) nel XIII sec. si assiste ad un
declino dell’ambiente cortigiano, dunque Snorri Sturluson potrebbe aver scritto quest’opera come guida
per la comprensione dei versi scaldici. L’autore in realtà non specifica il significato del titolo dell’opera;
tuttavia in un altro componimento pare che il significato sia di ‘bisnonna, ava’, ed è pertanto un
riferimento a quegli antenati che possedevano le conoscenze lì trasmesse. ‘Edda’ secondo altre fonti
può rinviare al toponimo Oddi, luogo in cui Snorri passò i suoi primi anni, oppure al nome ‘óðr’ (poesia,
eccitazione poetica'). L’opera è strutturata in 4 parti: - una prefazione ; - Gylfaginning (Inganno di Gylfi):
trattato di argomento mitologico in cui vengono presentate delle narrazioni particolarmente importanti
per l’interpretazione dei versi scaldici. Queste narrazioni si sviluppano sul domanda-risposta tanto in
voga nella letteratura medievale, in particolare qui abbiamo il dialogo tra il re Gylfi e una triade intenti ad
una disputa sapienziale. L'Inganno di Gylfi si può considerare la prima raccolta antologica di versi
mitologici del patrimonio culturale nordico ; - Skáldskaparmál (Dialogo sull'arte poetica): Il significato del
nome è questo: “mál”, “lingua”, “discorso”, quindi il discorso sulla “skáld”, che è lo scaldo, quindi il poeta.
Poi abbiamo “skáldskap”, al genitivo, laddove “-skap” è lo “-schaft”, per esempio, del tedesco
(esempio“Meisterschaft”, “campionato”), oppure “-ship” nell'inglese un suffisso che serve a indicare,
diciamo, un sostantivo astratto. Quindi la qualità, la capacità, l'arte, il discorso sull’arte della poesia;
fornisce ai suoi lettori le chiavi interpretative di molti heiti e kenningar, delle quali molte di esse
resterebbero oscure a livello di significato; - Háttatal (Computo metrico o ‘lista di metri’): un encomio in
102 strofe che presenta le tipologie di metri poetici che erano stati utilizzati dagli scaldi. Purtroppo, della
tradizione poetica eddica abbiamo tracce soltanto in area islandese, e le ragioni possono essere
ricondotte da un lato a una tardiva evangelizzazione degli Islandesi rispetto agli abitanti della Norvegia e
della Danimarca, dall'altro al contesto politico-sociale proprio dell'Islanda che in quel patrimonio dava
forma, così come con le opere storiografiche sulla colonizzazione dell'isola, al proprio senso identitario.
● Snorri Sturluson → grandissimo personaggio della cultura germanica e soprattutto nordica del XIII
secolo. Lui è islandese, fa parte di un’importante famiglia nobiliare ed è anche molto impegnato in
politica è stato anche “Lǫgsǫgumaður”: “Lǫg” significa “legge”. “Sǫgu”, la stessa radice del verbo “Dire”,
“sage” (in tedesco). Invece “maður” è “mann”, “uomo” in cui la doppia /n/ si è sviluppata in questa /ð/ in
islandese. Quindi il Lǫgsǫgumaður è un uomo, una figura politica che ogni anno è chiamato a recitare
una parte, un terzo della legge islandese per ricordare tutti vari aspetti della legge, in questo caso,
islandese, e che viene chiamato in causa quando c'è necessità di ripetere qual è la legge. Quindi è la
memoria storica della legge. E questa funzione viene ricoperta tra l’altro come incarico molto prestigioso
per vari anni.

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