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Gli HAPAX sono elementi lessicali con scarsissima o nessuna eco nell’epoca in cui conobbero la loro

genesi, ma che riaffiorarono poi in fasi storiche, successive, fino ai giorni nostri, con sviluppi successivi
talvolta imprevisti. Diversi studi, in particolare, recenti e passati hanno sottolineato l’influenza lessicale
dantesca nel processo di formazione della lingua italiana. Proprio a sottolineare il ruolo chiave di
Dante quale padre dell’italiano di oggi lo studioso Ignazio Baldelli nel 1996 creò la formula efficace
“Dante e la lingua italiana> Dante è la lingua italiana”, durante una sua lezione tenuta presso
l’Accademia della Crusca. Molto importanti, inoltre, furono gli interventi dello studioso Tullio De
Mauro, che, analizzando il cosiddetto “vocabolario fondamentale”, cioè le circa 2000 parole che
ricorrono nella nostra lingua molto frequentemente, sia nei testi scritti che parlati di qualsiasi
tipologia, scopre che nel momento in cui Dante comincia a scrivere la Commedia il vocabolario
fondamentale è già costituito al 60%, tuttavia l’opera, integrandolo, lo tramanda alle generazioni
successive fino a noi con il proprio sigillo. Alla fine del Trecento l’attuale vocabolario fondamentale
italiano è configurato e completo all’81,5%. Ben poco è stato aggiunto dai secoli seguenti. Dunque
viene sottolineata un’evidente continuità tra la lingua dantesca, a base fiorentina, e l’italiano modern,
evidente nella stabilità delle strutture fono-morfologiche. Vi sono, però, anche elementi di
discontinuità a livello sintattico. Inoltre sempre De Mauro analizza su base statistica una parte del
lemmario del TLIO, ha scoperto che solo il 31, 86 % del lessico delle origini è sopravvissuto nella lingua
odierna, mentre del lessico presente nella Commedia dantesca ne è rimasto circa tra l’82 e l’84 % a
seconda dell’ampiezza del campione considerato e dei criteri di valutazione delle varianti fono-
morfologiche, due volte e mezzo superiore al restante lessico delle origini. Tuttavia diversi studi hanno
rilevato come molte parole di matrice dantesca usate di frequente nell’italiano di oggi abbiano oggi un
significato diverso da quello originario, avendo subito in diacronia forti riassestamenti semantici. È il
caso di polso s.m. oggi ‘regione anatomica dell’arto superiore’, che ricorre con il significato di ‘arteria’
per la prima volta nella Vita Nova ; oppure di noia (Inferno, 1.76: «Ma tu, perché ritorni a tanta noia»),
spiegato da Serianni 2010, p. 93: «noia ha un significato ben diverso da oggi, perché indica ‘presenza
di sensazioni dolorose, moleste’(anche oggi, del resto, questa accezione sopravvive al plurale: avere
noie con la giustizia, avere noie al fegato)». O anche di gentile, onesta e pare, famosissimo incipit della
lirica stilnovistica, triade di parole che hanno tutt’altro significato oggi rispetto a quello ad esse
attribuito dalla lingua delle origini( GENTILE= NOBILE; ONESTA= SI RIFERISCE AL DECORO ESTERNO;
PARE= NON SIGNIFICA SEMBRA, BENSI’ APPARE NEL SUO ESSERE EVIDENTE). Noi conosciamo gli hapax
danteschi nella forma in cui approdarono all’italiano di oggi grazie ad un’opera che li contiene, GraDIt,
opera lessicografica che documenta in forma estesa e comprensiva la situazione sincronica della
nostra lingua. Il primo problema che si pone a chi voglia isolare le parole dantesche da quelle
trecentesche è l’individuazione dei lessemi da classificare come hapax. Negli anni sono stati pubblicati
numerosi studi volti a riconoscere i veri e propri hapax danteschi, in particolare una ricognizione
sistematica degli hapax dell’intera Commedia è stata recentemente condotta da Viel nel 2018. L’autore
ha avuto il merito di aver chiarito quali strumenti adoperare, quanto considerare sicura la datazione
delle opere, e che considerazione attribuire alle varianti non accolte a testo dell’opera esaminata. Viel
considerava in particolare il Corpus OVI (la maggiore base di dati oggi disponibile riguardante la lingua
italiana anteriore al 1400. È articolato in due versioni, una più estesa, tendente all’esaustività, l’altra
lemmatizzata: la prima è il Corpus OVI dell’italiano antico; la seconda è il Corpus TLIO per il
vocabolario, cioè la parte lemmatizzata che serve di base al vocabolario. Entrambi sono implementati
in GATTO, in una versione di rete locale sulla quale viene sviluppata la lemmatizzazione; entrambi sono
quindi resi interrogabili in rete mediante GattoWeb tramite la funzione “lemmi
muti”. )«prevalentemente un formario, solo parzialmente lemmatizzato». In realtà il Corpus OVI,
costituito da testi editi in edizioni filologicamente affidabili, distribuiti in diacronia per tutto l’arco
temporale che va dalle origini alla fine del sec. xiv e dislocati diatopicamente in tutte le varietà
linguistiche peninsulari attestate, nel siciliano e nel corso, nella sua veste attuale non è lemmatizzato,
ma include un nucleo di testi che nel Corpus TLIO è lemmatizzato esaustivamente nelle sue singole
forme grafiche, anche se non in tutte le occorrenze di tali forme; contiene poi anche altri testi non
presenti nel Corpus TLIO. Ci sono, tuttavia, ancora poche forme non associate a lemmi precisi, dunque
forse irrilevanti. E’ difficile, inoltre, dire quali parole siano per certo hapax di matrice dantesca.
In particolare grazie al software GATTO, che isola singoli sottocorpora e ricava automaticamente i
relativi lemmari e formari esclusivi, si è definito un sottocorpus costituito da tutte le opere volgari di
Dante e dai commenti alla Commedia, ricavando il lemmario esclusivo. Sono stati inclusi I commenti,
in questa analisi, in essi spesso è riportato il testo dantesco (quello che i commentatori leggevano,
naturalmente) e talvolta questi autori riprendono gli hapax danteschi per spiegarli. Inoltre essendo la
lemmatizzazione del Corpus TLIO esaustiva sulle forme ma non sulle occorrenze, è stata necessaria
una verifica sull’intero Corpus OVI (tramite la già citata funzione “lemmi muti”) per accertare l’effettiva
esclusività dantesca dei lessemi isolati meccanicamente dal software GATTO.
Il testo di base della Commedia sul quale è stata condotto questa indagine è quello redato da
Petrocchi, senza tener conto delle altre edizioni del poema. Nel testo di riferimento sono stati trovati
lemmi di varie tipologie, attestati nelle opere dantesche, ma che poi caddero nel dimenticatoio nel
Trecento; un esempio è il latinismo MANSUESCERE. Gli studi in materia di opera dantesca Omnia ha
permesso di scoprire la straordinaria abilità linguistica e l’inventiva dantesca: tra I neologismi
danteschi ci sono I parasinteti verbali. Produttivi sono i prefissi ad-, di-, dis-, s-, tra(n)s- e soprattutto
in-. La formazione delle nuove parole avviene secondo un modello presente in latino e attivo in
volgare già nei decenni precedent a cui Dante si rifà. Alcuni di questi sono:
1)S’AMMUSA(Purgatorio, 26-35 <<s’ammusa l’una con l’altra formica>>). L’unica altra occorrenza
trecentesca nel Corpus OVI è la citazione testuale con glossa nel commento di Francesco da Buti.
Escludendo citazioni collegabili alla Commedia, il termine ritorna ad essere diffuso nell’uso lessicale
italiano solo nella seconda metà del sec. xvii(1 ricomparsa: nel testo di Daniello Bartoli, La Ricreazione
del savio (1659). Segue una fitta serie di attestazioni di autori di 1800/1900(tra cui Pascoli e Pirandello)
e addirittura nel dialogo tra Totò e Ninetto Davoli, padre e figlio, che si svolge all’inizio del pasoliniano4
Uccellacci e uccellini (1966) .
VOCE DEL GRADIT:
-AMMUSARSI=1) toccarsi muso con muso(detto di animali); 2) tosc. imbronciarsi
- AMMUSARE= 1) stare muso a muso; 2)tr. toccare con il muso

2) S’IMBESTIO’ ne le ’MBESTIATE schegge(canto 26, Purgatorio)-> Dante scrive di Pasifae ‘quella


che si fece bestia cioè che prese l’aspetto di una vacca entrando nella vacca di legno costruitale da
Dedalo.
2 hapax: IMBESTIARSI/ IMBESTIATO.
Siamo nel canto dei lussuriosi. Guido Guinizzelli sta spiegando il peccato suo e delle altre anime della
cornice, che seguirono l’istinto e non la ragione, facendo ricorso per tre volte – come bestie,
s’imbestiò, imbestiate – alla parola bestia e ai suoi denominali, creati da Dante in obbrobrio di questi
peccatori.
Questi hapax ricorrono solo nei commenti alla Commedia trecenteschi.
Nell’usare queste parole c’è una forte associazione ai miti minoici, con riferimento alla nascita del
Minotauro. Il significato dantesco dell’espressione “imbestiarsi”, cioè farsi bestia, si ritrova a partire da
Tasso per poi ricorrere, successivamente, anche in D’Annunzio e Pavese. Con il passare del tempo si
sviluppa il significato traslato ‘comportarsi da bestia’ e quindi, anche in senso morale, ‘abbrutirsi,
ridursi a estrema abiezione’, significato registrato continuativamente nel corso dei secoli. Inoltre il
verbo assume poi anche il significato di ‘infuriarsi, abbandonarsi all’ira’ a partire da Pallavicino(XVII
secolo) fino ad oggi. Vale ‘inferocirsi / fare infuriare’ nel racconto dell’intervista di Camilla Cederna ad
Adriano Celentano del 29 settembre 1963. Attualmente sono molti e diversi I contesti d’uso e le
sfumature di significato di questi hapax, di cui è stato attestato l’uso recente anche in rete( s’imbestia):
lo strumento viene umanizzato e ‘s’inferocisce’, con l’effetto di andare in tilt. Il significato originale
‘rendere bestia’, ‘diventare bestia’ si ritrova più volte nelle presentazioni di differenti allestimenti
teatrali della Fedra di Seneca. Si trova meno diffuso, inoltre, l’aggettivo “imbestiato” rispetto al verbo.
VOCE GRADIT:
- IMBESTIARE= 1)trasformare in bestia; 2) fig., abbruttire;
- IMBESTIARSI= 1) trasformarsi in bestia o diventare simile a una bestia, spec. con riferimento a
personaggi mitologici. 2) fig., degradarsi, abbrutirsi;
- IMBESTIATO= 1) part. Pass. Da “imbestiare/imbestiarsi”. 2) furibondo, furioso.

3) SI DIROCCIA(Inf. 14.115): Dante e Virgilio s’imbattono nel Flegetonte e il secondo dei due ne spiega
l’origine: le lacrime che gocciano dal Veglio di Creta forano la roccia e si raccolgono in una corrente
fluviale che si diroccia ‘scende di roccia in roccia’, ‘ precipita’, fino a formare i fiumi infernali. Si tratta
probabilmente di un francesismo. Il lemma, inoltre, risulta glossato nel corpus OVI da due
commentatori antichi , come anche nel Boccaccio. Ulteriori citazioni del testo dantesco compaiono nei
commentatori e negli esegeti dei secoli successive, quali Giovanni Bertoldi da Serravalle. Senza
richiami espliciti alla originaria matrice dantesca, il verbo ricorre in ambito letterario, sia in riferimento
alla caduta dell’acqua(Leopardi), sia allo spostamento precipitoso verso il basso di un edificio(Pascoli),
sia al protendersi di un leggero alito di vento(Montale). Oggi si trova ancora in testi con ambizioni
poetiche o comunque culturali, spesso con sfumature che deviano o innovano rispetto al valore
semantico iniziale: una recensione e un testo teatrale.
VOCE GRADIT:
- DIROCCIARE= dirocciarsi;
-DIROCCIARSI= precipitare di roccia in roccia

4) S’INNOLTRA(Par. 21.94, «però che sì s’innoltra ne lo abisso»). E’ l’unica volt ache Dante usa questa
parola, che non ricorrerà nemmeno fuori corpus in tutto il Trecento. E’ considerato “verbo
informativo” e viene glossato ‘se delunga’ e ‘passa oltre’. Questa parola sembra, tuttavia, ricomparire
nel XVI secolo( la prima attestazione è nelle novelle di Pietro Fortini), ma soprattutto nel 1600 conosce
diffusione in diversi autori, quali, ad esempio, Leopardi e Manzoni. Il verbo è tutt’ora comunemente
adoperato, sia nella forma riflessiva che in quella transitiva attiva , persiste anche il participio passato
con valore di aggettivo “inoltrato” nel senso di ‘avanzato’ e non di ‘evoluto’).
VOCE GRADIT:
- INOLTRARE=1) presentare e trasmettere per via gerarchica o attraverso le usuali forme buro cratiche.
2) estens., avviare a destinazione. 3) milit. destinare a un determinato corpo, reparto e sim.
- INOLTRARSI= 1) addentrarsi, avanzare in un luogo; fig., di periodo di tempo, stagione e sim.,
procedere verso il culmine. 2 fig., iniziare un’attività uno studio e sim., o procedere in uno studio, in
un’attività già iniziata, spec. impegnativa
- INOLTRATO= 1) agg./p. pass. > inoltrare, inoltrarsi. 2)agg. avanti nel tempo, avanzato.

5) TRASCOLOR/TRASCOLORAR(canto 27 Par.): all’inizio del canto 27 del Paradiso, nel cielo delle Stelle
Fisse, san Pietro prorompe in una veemente invettiva contro il suo corrotto successore Bonifacio VIII,
mutando apparenza come se fosse Giove che si tramuta in Marte(vv. 19-21, «Se io mi trascoloro, / non
ti maravigliar, ché, dicend’io, / vedrai trascolorar tutti costoro»). Non si trovano altre attestazioni del
verbo nel 1300, se non nei commenti di Jacopo della Lana, dell’Ottimo e di Francesco da Buti . I
concetti che si intrecciano sono, comunque, quelli di ‘mutamento (di colore)’ e quello della causa di
tale cambiamento: l’ira, il desiderio di giustizia. Esclusi questi uso, il verbo riappare solo nel secolo
successivo, nella forma transcolorare nel Timone di Matteo Maria Boiardo, con il significato di
‘impallidire’ («De la paura ancor mi transcoloro»), significato che prevale nelle attestazioni rilevabili
dal xvii sec. in poi. L’uso è prevalentemente riflessivo o intransitivo, ma non mancano esempi con
valore transitivo. Nel TB è registrato il deverbale trascoloramento e nel GDLI anche i participi con
valore aggettivale trascolorante e trascolorato. Gabriele D’Annunzio adopera poi il metaplasmatico
trascolorire . La forza vitale di questo verbo risiede nella sua moderna poeticità, nella sua valenza
simbolica e nella forza evocativa del prefisso TRAS-, che richiama verbi come “trasmutare”.
VOCE GRADIT:
- TRASCOLORARE= 1)cambiare colore. 2) impallidire, spec. per l’emozione; 3)fig., trasformarsi. 4) far
cambiare colore.
- TRASCOLORARSI= 1) cambiare colore. 2) impallidire. 3) cambiare, trasformarsi.
-TRASCOLORAMENTO= il trascolorare e il suo risultato.

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