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Il Museo oggi.

Linee guida per


una museologia
contemporanea
Museologia
Università degli Studi di Palermo
54 pag.

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Il Museo oggi; linee guida per una museologia contemporanea
CAPITOLO 10 : LA MUSEOGRAFIA
10.1 Origini della comunicazione museografica
La museografia si sviluppa nella prima parte del 20° sec., quando ha inizio il processo di
professionalizzazione tecnica delle istituzioni museali. Tra le 2 guerre mondiali, alcuni importanti
congressi pongono le basi per nuove teorie e progettualità, come ad esempio il criterio proposto da
Stein di rendere le esposizioni più selettive, usando dei magazzini o creando dei musei paralleli: uno
per il pubblico generico e l’altro per gli specialisti, dotato di maggiore informazione scientifica.
Nello stesso periodo nasce la necessità di accompagnare ogni oggetto con i corrispondenti
cartellini. Sorge un interesse ad ordinare le esposizioni secondo criteri più culturali, modificando
una precedente organizzazione di tipo storico o legata al tipo di materiale e si inizia a esporre
ricostruendo gli ambienti originali. Dopo la seconda guerra mondiale la situazione muta
completamente, in quanto l’80% dei musei europei viene distrutto o abbandonato. E’ quindi
programmata la loro ricollocazione, cosa che consente di mettere in pratica le nuove teorie e
innovazioni tecniche, come l’illuminazione zenitale o la climatizzazione. Sempre in questo periodo
ha inizio la pratica sistematica delle esposizioni temporanee. In Italia già in alcune realizzazioni del
decennio post-bellico – come il museo di Palazzo Bianco a Genova, la Galleria d’Arte Moderna a
Milano o le Gallerie di Venezia e Palazzo Abatellis a Palermo – si trovano definiti i nuovi principi
museografici. Nell’esposizione l’attenzione viene focalizzata sull’opera d’arte e sul trattamento
moderno dell’architettura del museo e della composizione degli spazi. L’organizzazione dei
percorsi, lo studio con tutti gli elementi devono con correre alla massima percezione visiva delle
opere. È il “giudizio di valore” o “l’intuizione critica” sulle opere d’arte e sull’architettura
dell’edificio a determinare i criteri di collocazione delle opere, l’ordine delle sequenze e
l’articolazione degli spazi. Durante gli anni ‘70 il museo d’arte come spazio espositivo viene quasi
disconosciuto, a favore di esposizioni ed eventi temporanei giudicati più idonei al dibattito artistico.
L’esigenza di esporre al di fuori del museo è da intendersi nel senso della ribellione alla
decontestualizzazione museale dell’arte, anche se in origine tale esigenza è legata all’esistenza di
opere nuove che avevano bisogno di spazi diversi e più aperti. Importantissima è la nascita della
mostra tematica come esposizione di temi e conflitti dell’arte. All’inizio degli anni 80, il ritorno alla
pittura favorisce la ricomposizione della frattura fra arte e museo. In campo museografico le
osservazioni di Minnissi esortano la museografia a uscire dalla fisionomia della collezione e della
riflessione sull’oggetto singolo per raccordare l’oggetto al suo contesto e all’ “insieme”, e a
collegare il patrimonio al territorio di provenienza. Lo stesso autore auspica che in tutti i musei una
parte dello spazio venga adibita a mostre temporanee. La museografia attuale ha una più stretta
connessione con la comunicazione rispetto al passato: la “museografia sensibile” codifica l’utilizzo
delle interfacce video e del sonoro negli allestimenti fisici, rendendo la multimedialità parte
integrante all’interno del museo. Muta anche il concetto di stabilità, che sempre meno appartiene
all’ordinamento odierno nei musei. Le mostre temporanee o itineranti e la sempre più diffusa
rotazione delle collezioni rendono necessaria una reversibilità delle strutture impensabile 3 o 4
decenni fa: la percezione del museo come “organismo vivo” è ormai entrata nel comune modo di
pensare.

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10.2 Il progetto museologico

La definizione di museo lascia già intravedere un orientamento importante ai fini della


formulazione del progetto museologico “al servizio dello sviluppo della società che acquisisce le
testimonianze dell’umanità, le conserva, le comunica e soprattutto le espone”. Questa definizione
impone un’azione improntata verso il visitatore, configurata secondo le finalità di “studio,
educazione, diletto”, mentre il “compiere ricerche sulle testimonianze materiali dell’umanità”
indica una fase operativa che va oltre la collezione esistente e che può generare nuovo materiale per
un progetto museologico in progresso. Le ricerche sono attività collegate con il progetto
museologico in diversi ambiti e determinano la progettualità indirizzata verso grandi esposizioni,
riallestimenti ed indagini scientifiche direzionate, la cui naturale conclusione è l’esposizione
attraverso oggetti ed immagini dei risultati conseguiti. Le azioni del progetto museologico
conservano la caratteristica peculiare del museo, cioè la pluralità di vocazioni. La scelta dei criteri
espositivi si deve valutare diversamente a seconda che si tratti di un museo o di un’esposizione
temporanea. Nel primo caso la differenza riguarda il progetto museologico per un museo già in
essere o per un museo da creare. Il primo caso crea maggiori problemi in quanto l’ideazione non
può prescindere dai contenuti già esistenti che costituiscono la “natura” e la storia dello spazio
espositivo. Nel secondo caso il progetto può generarsi più liberamente.
Per i musei già esistenti il limite posto dalla collezione e dall’edificio già strutturato può essere
superato con l’aiuto del documento sugli standard museali e con un progetto museologico che
preveda di riconvertire alcuni spazi per esposizioni a rotazione di materiale cercando soluzioni
economicamente sostenibili per queste movimentazioni. Il progetto museologico prende
un’impostazione metodologica di base che spesso favorisce la definizione di percorsi cronologico-
tematici o monografici. Un progetto museologico innovativo che rinnova il significato di mostra
tematica, è stato da diverso tempo posto in atto dal MoMA attraverso una serie di 3 mostre di lunga
durata, frutto di interpretazioni dei significati dell’arte moderna e contemporanea: Modern Starts
(1880-1920), Making Choices (1920-1960) e Open Ends (1960-2000). Queste mostre presentano
famosi capolavori in nuovi contesti, accostando opere ormai “familiari” a lavori meno conosciuti.
La novità del progetto museologico, oltre all’intenzionalità degli accostamenti menzionati, è quella
di raccontare non la storia dell’arte ma la storia dell’età contemporanea attraverso le immagini. Il
progetto ha raggiunto l’obiettivo di creare nel visitatore la suggestione di muoversi attraverso il
tempo e lo spazio. Nel caso di un museo da creare ex-novo si può avere come riferimento iniziale
una particolare vocazione del territorio che costituisca un richiamo di identità culturale e che
compaia nello statuto del museo, allargando poi le scelte museologiche e le acquisizioni secondo i
criteri dei responsabili scientifici. Nell’elaborazione museologica sono spiegabili le seguenti linee
guida che devono essere integrate con quelle relative al progetto istituzionale/gestionale del museo:
- Fase concettuale e di verifica ambientale: riguarda il progetto su cui si lavorerà e i suoi obiettivi; il
progetto già in questa fase deve essere confrontato e messo in relazione agli spazi ad esposizione.
Per l’esposizione permanente si tratta della fase più delicata in quanto, una volta messa in atto la
fase progettuale, è difficile apportare modifiche.
- Fase di verifica gestionale: è la fase di adeguamento dell’idea alle risorse finanziarie ed alla
valutazione e pianificazione dell’intervento degli sponsor.
- Fase di sviluppo progettuale: include il progetto museografico, i dettagli dell’esposizione e la fase
di montaggio. Prevede inoltre la preparazione della comunicazione all’interno dello spazio
espositivo e la predisposizione ai laboratori didattici e delle iniziative educative.

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- Fase funzionale: in essa l’esposizione è aperta al pubblico. Durante questa fase si possono attivare
i monitoraggi e le statistiche sui visitatori, sui comportamenti culturali, sulla durata della visita, ecc.
E’ la fase più importante per acquisire i dati sull’impatto del progetto museale sul pubblico.
- Fase valutativa: inizia con l’apertura dell’esposizione e può protrarsi oltre la sua fine. Valuta gli
effetti sui visitatori.
Un’ininterrotta ricerca scientifica nei campi attinenti alle raccolte distingue “istituzione culturale del
museo” dalla “vetrina”.

10.3 La trascrizione museografica


10.3.1 Il progetto, lo spazio, la comunicazione

Il progetto espositivo è in generale relazionato con gli orientamenti museologici, con gli oggetti e
con lo spazio museale, mentre solitamente i problemi di comunicazione sono affrontati nella fase
finale della sua attuazione. L’aspetto spaziale di una mostra riveste una grande importanza anche
nella psicologia dello spettatore. Esiste un insieme di motivazioni iniziali dello spettatore che
possono essere modificate in senso positivo o negativo dal rapporto con gli ambienti, dal binomio
ambiente espositivo-oggetto. L’approccio museografico potrebbe quindi “modulare” il progetto e le
strategie espositive seguendo alcune procedure:
1. Mettere in rapporto l’idea della mostra con la vocazione del museo tracciata nello statuto e con lo
spazio a disposizione.
2. Considerare lo spazio il più possibile come luogo della molteplicità e dell’elaborazione
dell’alterità, e non nell’univocità interpretativa.
3. mettere in relazione gli oggetti tra di loro.
4. Rapportare gli oggetti con lo spazio.
5. Porre in atto il discorso espositivo lavorando sugli elementi dello spazio museale – materiali,
luce, supporti, colori, percorsi – e salvaguardando sempre la percezione degli oggetti e degli
insiemi.
In genere una tipologia di esposizione corrisponde ad un certo atteggiamento culturale, per cui sia i
casi di scelta dell’isolamento dell’oggetto che quelli che evidenziano una relazione precisa tra gli
oggetti esposti corrispondono a precisi modi di vedere l’oggetto musealizzato.
Presentare l’oggetto solo nello spazio vuoto, solo su uno sfondo distante o piatto, senza alcuna
informazione rafforza – secondo alcuni – il vincolo tra l’oggetto e il visitatore tra la sua forma e il
momento della ricezione, ma in realtà l’impatto diretto fra 2 mondi che non sono commensurabili
può produrre una sensazione di disagio. Da questa concezione è derivata in passato la ricerca di uno
sfondo bianco “ideale” per presentare nei musei la maggior parte della pittura del 20° secolo: essa
trova la sua massima espressione nel purismo di Le Corbusier e nella museografia italiana e di
Scarpa, che però la supera con un’intensa vena lirica e con l’uso del colore.
Una progettualità di impronta più razionale appare nella pratica espositiva con l’introduzione del
pensiero scientifico. Un altro tipo di esposizione, peraltro ormai riscontrabile solo in collezioni
antiche, è l’accumulazione. Essa tende a presentare insieme moltissimi oggetti che costituiscono
percettivamente un “insieme”; nell’esposizione per accumulazione si innesca un processo di
saturazione ed eterogeneità. In alcuni atti si attua soltanto il semplice riconoscimento figurale degli
elementi conosciuti che i singoli spettatori riescono a isolare.

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10.3.2 Le metafore della rappresentazione museale: meraviglia, risonanza, razionalità, alterità

Non è possibile esporre un oggetto senza intervenire nella sua presentazione: la mostra è un
“campo” in cui entrano in gioco 3 elementi culturali distinti, cioè le idee, i valori e gli obiettivi della
cultura che ha prodotto l’oggetto, del curatore della mostra e del visitatore. Gli interventi espositivi
e le poetiche museali sono stati idealmente suddivisi in 2 grandi gruppi da Greenblatt:

1) “la risonanza” che organizza gli oggetti creando collegamenti impliciti ed espliciti, in modo da
accentuarne la valenza di testimonianza storica;
2) “la meraviglia” che, come nelle Wunderkammern, pone gli oggetti verso il visitatore con tutto il
loro carico di fascino e significato.

Tale partizione trova un riscontro nella traduzione, nella terminologia della fruizione museale, in
“approccio cognitivo” ed “approccio emotivo”.
Pinna ha ampliato il concetto proposto da Greenblatt distinguendo 3 diverse interpretazioni del
rapporto che si instaura tra l’oggetto e il visitatore:

1) La museologia della meraviglia: si può fare risalire alle collezioni contenenti oggetti e artefatti di
varia natura, come le Kunst und Wunderkammern;
2) La museologia razionale: tipica soprattutto nei musei scientifici, nacque quando l’esposizione
degli oggetti o delle collezioni assunse connotazioni classificatorie e di approfondimento della
conoscenza del mondo naturale o della storia del mondo;
3) La museologia evocativa: prese forma con la nascita di un uso più politico e sociale delle
istituzioni museali, puntando all’evocazione di momenti storici, avvenimenti o personaggi degni di
nota ai fini del loro impatto sulla società. La museologia evocativa è tipica dei musei archeologici e
storici.

Ai fini della funzione della trasmissione culturale del museo si può dire che la museologia della
meraviglia fa perno sullo stupore di fronte all’inusuale o al meravigliosamente bello, la museologia
nazionale suscita la curiosità e la museologia evocativa fa perno sul sentimento.
Le 3 filosofie espositive hanno a volte marciato parallelamente, si sono intersecate e spesso si sono
mescolate nell’ambito di uno stesso museo.
L’ottimizzazione del processo educativo è lo scopo primario che si prefigge un allestimento
museale. Se dunque la museografia può essere considerata l’insieme dei mezzi e delle azioni che
portano alla costruzione dei valori simbolici degli oggetti e delle collezioni, l’allestimento è da
considerarsi riuscito solo se alla comprensione il pubblico assocerà anche il ricordo dei suoi
significati, con il conseguente allargamento della conoscenza per coloro che di quella esperienza si
sono fatti partecipi. Una profonda riflessione sui criteri museografici è inoltre stata impostata dai
musei etnografici. Questi problemi sono venuti alla luce quando alcuni allestimenti sono sembrati
offensivi ai discendenti di culture che per alcuni aspetti erano già entrate a far parte di un processo
di musealizzazione, come è successo per gli indiani d’America o in alcune mostre espositive sulle
culture africane inconsciamente redatte da curatori occidentali in maniera ancora velatamente
colonialista. Il concetto dell’alterità, del museo come rappresentazione dell’altro in senso culturale,
spaziale o temporale è comune a molti progetti museologici.
Il museo archeologico purtroppo sottolinea sempre l’alterità come distanza e molto raramente
evidenzia il contatto, l’affinità o il tramandarsi di antichi riti, consuetudini o altre caratteristiche nel
presente.

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Kirschenblatt-Gimblett distingue invece tra allestimenti “in situ” e “nel contesto”. Gli allestimenti
in situ si pongono come mimesi del mondo esterno per ricreare l’aura della realtà, facendo leva
sulle proprietà intrinseche degli oggetti; secondo questa logica non è necessario creare dei
collegamenti fra gli oggetti e la realtà esterna, perché il mondo dell’esposizione è completamente
autonomo dal resto. Le strategie espositive nel contesto si avvicinano maggiormente alla metafora
della risonanza formulata da Greenblatt: mediante didascalie, diagrammi, mappe, fotografie e
supporti analoghi, tali allestimenti e le strategie che mettono in atto delineano esperienze e
conoscenze non intrinseche alla natura degli oggetti esposti.

10.3.3 Gli allestimenti storici

Il museo italiano ha anche il grosso problema dei contenitori storici, che si unisce a quello degli
allestimenti storici o storicizzati. In alcuni casi la trasformazione di un’esposizione da una filosofia
espositiva ad un’altra è tutt’altro che facile, se non impossibile.
Una soluzione praticabile è quella adottata al Museo Egizio di Torino, dove l’allestimento storico è
immutato, mentre la nuova area Schiapparelli è redatta in maniera più moderna.
Per il rapporto fra allestimenti storici e nuove esigenze espositive, è stata proposta l’idea di un
“codice di fruizione” degli allestimenti storici. Nel codice dovrebbero essere riconosciuti quei
musei con lo status di allestimento storico di qualità.

10.4 Allestimento e psicologia dello spazio museale


10.4.1 Percorsi

Storicamente l’importanza dei percorsi all’interno del museo risale al periodo a cavallo fra il 19 ed
il 20 secolo, come ordinamento e connessione fra le opere stesse. Il più noto di tali schemi è quello
teorico proposto da Clarence Stein, fondato sul principio di destinare i bracci radiali dell’edificio
alle opere più importanti e la corona poligonale che li circonda alle opere di minore interesse. La
parte destinata agli studiosi veniva così separata da quella accessibile al grande pubblico: il
collegamento fra le due parti risultava immediato; con possibilità di passaggio nei due sensi e con
accesso guidato. La disposizione proposta da Stein tendeva a semplificare la circolazione del
pubblico rendendo istantaneo il riconoscimento dei percorsi.
Rilevante è la pratica di dissimulazione dei percorsi operata da Carlo Scarpa, il cui intento era
quello di accompagnare il visitatore senza segnali evidenti e ponendo lungo il tragitto dei
rallentamenti e delle fughe che inducessero ad arrivare in un punto preciso per vedere l’opera
secondo un angolo visuale da lui prestabilito. Accompagnare il visitatore è, infatti, lo scopo di una
buona pratica nell’ambito della progettazione dei percorsi di visita, che si collega alle esigenze della
psicologia ambientale.

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Attualmente nei musei sono diffusi i seguenti tipi di percorsi:

1) Arteriali: sono i più semplici da allestire, ma anche quelli che creano affollamento perché
obbligano a seguire la direzione, senza variazioni;
2) A pettine: i vantaggi sono tipici dei percorsi lineari, ma si hanno gli stessi svantaggi
dell’affollamento;
3) Radiali o anulari: il visitatore sceglie il proprio cammino;
4) A blocchi: non sono propriamente dei percorsi, ma vi è un’assoluta libertà di movimento.

I percorsi si possono anche distinguere in percorsi unidirezionali e bidirezionali.

1. Unidirezionali → con un’entrata e un’uscita; si dividono ulteriormente in:


- unidirezionali obbligati;
- unidirezionali con alcune possibilità di scelta: molto usato nei musei storico-artistici,
questo percorso presenta alcuni pannelli centrali che danno la possibilità di essere aggirati a
destra o a sinistra. Tuttavia non si tratta di un percorso ottimale in quanto spesso il visitatore
si dimentica di guardare le opere sulla parete opposta a quella della prima scelta di direzione
effettuata;
- unidirezionali sdoppiati (percorso e scorrimento veloce): offre il vantaggio di scegliere le
sale o le sezioni senza però risolvere l’unidirezionalità del percorso.
2. Bidirezionali → con un solo varco.
Sono più validi per motivi di sicurezza i percorsi bidirezionali perché richiedono minor personale di
controllo, anche se i percorsi unidirezionali non causano nel visitatore la cosiddetta “crisi del
ritorno”.
Il percorso dovrebbe essere chiaramente indicato per salvaguardare il principio dell’orientamento.
Bisogna però accompagnare e non guidare i visitatori, scegliendo dei segnali, più o meno manifesti
o dissimulati ma percepibili, che costituiscano un riferimento.
Non sono diffusi, anche se molto utili, percorsi appositamente pensati per bambini. Il coraggio della
molteplicità nei percorsi come nei pannelli esplicativi o di supporto è un territorio non ancora
sufficientemente esplorato ma ricco di potenzialità in quanto la pluralità di codici consente di
raggiungere più tipi di pubblico.
La collocazione delle vetrine dovrebbe avvenire in modo tale da consentire al visitatore di girare
intorno agli oggetti ed osservarli secondo una scelta libera, anche se il museografo potrebbe
decidere di accompagnarlo verso un punto di vista preciso.
Per quanto riguarda i quadri, invece, alcuni dovrebbero essere osservati da una certa distanza, sia
per via delle dimensioni e, quindi, del cono ottico, sia per particolarità intrinseche, volute
dall’artista; di ciò si deve tenere conto in fase di allestimento in quanto può capitare che il visitatore
debba arretrare per avere la fruizione completa dell’opera, invadendo lo spazio destinato allo
scorrimento: un caso esemplificativo è una mostra contenente opere di grandi dimensioni di
Caravaggio, che devono essere necessariamente fruite ad una distanza maggiore rispetto ad altre
opere. Per quanto riguarda i percorsi all’interno di un museo situato in un edificio storico, la
situazione è più complessa, in quanto la tendenza attuale è quella di rispettare lo spazio che
accoglie le opere.

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10.4.2 Collocazione delle opere

1. Supporti
La vetrina offre protezione, aiuta a preservare al suo interno un certo microclima vitale per la
conservazione dell’opera, spesso serva da collegamento tra il contesto generale e l’oggetto, aiuta a
ordinare l’esposizione, a porre in relazione gli oggetti. Può anche essere un punto di riferimento per
dividere o guidare il percorso dei visitatori. Le vetrine non devono essere così esteticamente
significative da distrarre dagli oggetti contenuti e devono consentire una visione comoda del pezzo.
Il pericolo della vetrina è l’effetto della riflessione della luce, eliminabile con l’illuminazione
interna. Nel caso delle sculture non di dimensioni ambientali, sovente si usano piedistalli ampi. La
maggior parte delle opere pittoriche si pongono direttamente sulle pareti. Ove possibile va preferita,
per una buona percezione, una sola e medesima altezza per tutti i quadri e una distanza regolare tra
essi. L’altezza alla quale vanno posti è solitamente tale che il centro del quadro si trovi circa a 160
cm, che è più o meno il valore medio del punto di vista dell’osservatore.
2. Pannelli e divisori
I pannelli aumentano la superficie espositiva; possono essere posizionati in accordo con i percorsi e
con l’illuminazione; inoltre creano degli spazi favorevoli all’osservazione dei quadri. Un pannello
appoggiato alla parete agisce percettivamente, per accordo o per contrasto, in rapporto al colore,
alla materia e alla forma dell’oggetto. Per gli oggetti di piccole dimensioni che per esigenza del
percorso devono essere collocati singolarmente, l’obiettivo che raggiunge l’interposizione del
pannello è quello di ridurre il cono ottico e richiamare l’attenzione su un oggetto abbastanza
minuto. Il pannello quindi opera una mediazione dimensionale e psicologica con lo spazio della
sala, in cui l’oggetto di piccole dimensioni si perderebbe.
I divisori possono essere più alti dei pannelli e delimitare lo spazio in maniera più netta. Esistono
divisori di tipo innovativo, curvilinei e dotati di un vero e proprio sedile nella parte inferiore oppure
con dei monitor interattivi incassati all’interno o con didascalie Braille integrate.

3. Colore
Il colore può essere utile per individuare e comunicare i significati del tema trattato. In molti
allestimenti viene scelto un colore-guida per differenziare sezioni o ambiti cronologici diversi. l’uso
del colore come codice semantico è spesso una scelta valida dal punto di vista comunicativo, ma
non deve creare problemi o disturbi percettivi. Rivière sottolineò l’importanza ed influenza della
percezione dei colori nel determinare l’ambiente di una sala espositiva. La monocromia, infatti, può
stancare il visitatore.

4. Didascalie

La posizione dei cartellini delle didascalie deve essere sufficientemente alta perché gli adulti non
debbano chinarsi per leggerli, ma non troppo affinché anche i bambini e i portatori di handicap
riescano a leggerli (1 mt circa). Devono necessariamente essere sempre poste alla stessa altezza da
terra, indipendentemente dalla dimensione delle opere.
Nelle mostre con oggetti bidimensionali e tridimensionali frammisti, i cartellini degli oggetti
tridimensionali ingombranti e poggiati su una base o sul pavimento non devono essere posti in
basso, ma applicati si sostegni mobili a fianco dell’oggetto rispettando l’altezza predefinita.

10.4.3 Pannelli e didascalie

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I diversi modi di redigere i testo che accompagnano gli oggetti o i contesti inseriti nelle vetrine può
condizionare il modo di vedere l’oggetto da parte dei pubblici. Le informazioni dovrebbero essere
scritte in colore scuro su fondo chiaro. Oltre le informazioni principali (titolo dell’opera, tecniche e
materiali, collezione, provenienza, anno di esecuzione ecc.) devono esserci brevi notazioni sull’uso
originale, il significato del soggetto, i dati sui personaggi rappresentati ecc.
Nell’elaborazione di questi testi bisogna:
➢ Usare un linguaggio semplice;
➢ Fa coincidere la fine della linea con la fine della frase;
➢ Usare linee di circa 45 lettere e testi spezzati in piccoli paragrafi di quattro o cinque righe;
➢ Usare la forma attiva dei verbi;
➢ Evirate: forme subordinate, costrutti complicati, avverbi inutili, parole composte ecc.

10.4.4 Forma, funzione e relazioni dell’oggetto

La musealizzazione porta allo straniamento degli oggetti, alla loro decontestualizzazione.


Focalizzando l’attenzione sull’esposizione del singolo oggetto, Forti ha descritto alcune modalità
frequenti di collocazione di quest’ultimo, fra cui:

- La feticizzazione: per cui si attribuisce all’oggetto singolo una sorta di sacralità o di eccezionalità
estetica;
- La prevaricazione del supporto sull’oggetto: oggi fortunatamente in calo per l’uso frequente di
supporti trasparenti in plexiglass;
- L’imbalsamazione, ovvero la volontà di relegare l’oggetto in una situazione di perfezione ed
inamovibilità;
- L’enfatizzazione simbolica: usata spesso nei musei storici come segno di forte identità.

In ognuno di questi casi viene disattesa l’originaria identità dell’oggetto. Risulta abbastanza facile
recuperare le tracce della funzione originaria in fase di allestimento con disegni esplicativi o
ricostruzioni grafiche o plastiche per oggetti d’uso in un museo archeologico, etnografico o in un
contesto scientifico. Analoga situazione si verifica per pezzi di polittici smembrati. Ciò che può
essere migliorato è l’impatto con opere e oggetti che, oltre una particolare struttura o forma, hanno
assunto nel tempo anche una particolare funzione: ad esempio le statue lignee del Rinascimento
usate per fini devozionali e quindi consunte per il continuo contatto delle mani dei fedeli. I fruitori,
se non adeguatamente indirizzati, non riescono a capire la ragione della consunzione delle statue,
per cui la statua intatta potrebbe indurre ad attribuire ad essa maggior valore rispetto a quella
rovinata.
La museografia archeologica italiana è ancor oggi incapace di esprimersi nel comunicare le
interpretazioni ed applicazioni che un oggetto archeologico presenta. Mancano infatti negli
allestimenti i criteri espositivi che evidenziano i rapporti fra gli oggetti e le relazioni fra la cultura
materiale e la molteplicità di aspetti della società di provenienza.

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10.4.5 Allestimento e psicologia dello spazio museale

Secondi studi di rilievo di psicologia ambientale ciò che serve al visitatore nel contesto espositivo
per sentirsi a proprio agio sono:

1. Libertà di movimento: il visitatore ha bisogno di sentirsi libero di poter girare per il museo;
2. Orientamento: il visitatore ha sempre bisogno, con opportuni riferimenti di percorso, di sapere
dove si trova;
3. Comfort: il fruitore ha bisogno di un luogo confortevole in cui ci siano stimoli sensoriali ma i
sensi non vengano aggrediti;
4. Competenza: il visitatore non dovrebbe sentirsi sommerso di cose che non capisce poiché ciò
travalica la sua capacità di adattabilità;
5. Controllo: il visitatore vuole sentirsi sicuro.
Il design e la progettazione possono accelerare questo processo.

10.5 Museografia e comunicazione


10.5.1 Ambientazioni

Un altro tipo di supporto didattico che ha il fine di stimolare l’immedesimazione del pubblico
nell’ambiente contestuale di cui fanno parte gli oggetti esposti sono le cosiddette period rooms,
ovvero quelle stanze, all’interno di un museo, dove è stato ricostruito a grandezza naturale un
determinato periodo storico. Si tratta di stanze tematiche all’interno delle quali il visitatore può
muoversi liberamente; ciò nel tentativo di superare l’impulso feticistico primordiale del
collezionista e collocare il frammento staccato in un uovo contesto globale, ottenendo così
l’illusione della storia recuperata.
Frequenti soprattutto negli allestimenti anglosassoni e statunitensi, questo tipo di ambientazioni
possono comprendere anche l’utilizzo si manichini debitamente abbigliati oltre che di strumenti
meccanici capaci di conferire movimento alla scena, dotandola quindi di maggiore realismo ed
impatto scenico. Tali operazioni, però, possono incorrere nel rischio di distrarre l’attenzione del
visitatore dalla percezione del singolo oggetto.
Se l’ambientazione, invece di configurarsi come stanza, si riduce a pochi elementi, cioè a una figura
o a uno spazio ristretto, l’espediente museografico diviene mezzo per organizzare percettivamente
e culturalmente gli oggetti esposti e ricollegarli con la loro funzione. Né è un esempio la
ricostruzione di un campo di urne nel Museo Nazionale Archeologico delle Marche di Ancona, in
cui alcuni cinerari ambientati come sul luogo di ritrovamento si collegano ad una grande foto
prospettica del luogo reale della necropoli.
Il confine fra le ambientazioni e le ricostruzioni dovrebbe in teoria essere dato dall’uso o meno di
oggetto originali, ma in pratica dipende dall’estensione spaziale dell’operazione e dai suoi
intendimenti.

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10.5.2 Ricostruzioni, plastici e scenografie

Queste operazioni museografiche sono ancora scarsamente usate nei musei italiani. Se le
ambientazioni possono avere dei limiti intrinsechi, i plastici o le ricostruzioni possono integrarsi a
pieno titolo nel contesto museale. Soni utilizzabili ricostruzioni di scene quotidiane di periodi storici
antichi o quelle che mostrano alcuni interni di abitazioni di varie epoche per meglio comprendere
l’ubicazione degli oggetti e l’organizzazione degli spazi. Sempre in ambito storico, sono diffusi i
plastici con le ricostruzioni di famose battaglie.
Le ricostruzioni scenografiche (sagome a grandezza naturale o ricostruzioni sceniche di resti
architettonici) si dividono in ricostruzione di monumenti e di figure. Ricostruzioni sceniche di
rigore filologico ed eccellente valore comunicativo sono state realizzate per le mostre Principi
etruschi tra Mediterraneo ed Europa (Bologna 2000) e Roma. Romolo, Remo e la fondazione della
città (Roma 1999). Le sagome a grandezza naturale di figure umane abbigliate e supportate da
riproduzioni di monili, armi ed oggetti d’uso sono un medium sicuramente corretto ed efficace per
la comunicazione del mondo antico, che mantiene intatto anche il rigore scientifico
dell’esposizione. Esse presentano diversi problemi connesso con il rapporto con il visitatore:
bisogna tenere conto, ad esempio, dell’armonizzazione dei colori dei costumi che, tenendo come
riferimento i colori di uso accertato nel periodo di riferimento, devono essere impiegati in modo tale
da evitare i fenomeni di assimilazione e saturazione di colore e di forma.
Diverse dalle ricostruzione scenografiche sono le scenografie museali, oggi in disuso ma adoperate
nei decenni passati, che si servono di una scena costruita artificialmente intorno ad un oggetto come
medium per suscitare un’emozione nell’osservatore.

10.5.3 Diorami

Il termine diorama indica la visione fedelmente ricostruita di un certo scenario. Utilizzato


soprattutto nel teatro, il diorama era una sorta di fondale dipinto con l’aiuto della camera oscura, sul
quale venivano proiettati luci e colori di intensità diversa in modo da creare effetti molto particolari.
L’uso del diorama propriamente detto fu assai limitato nel tempo, ma il termine ebbe una certa
fortuna passando ad indicare, per estensione, un qualsiasi panorama artificiale che appaia mediante
l’uso di particolari lenti. Attualmente i diorami sono usati soprattutto nei musei di storia naturale, i
quali offrono al visitatore la possibilità di vedere, ricostruito tridimensionalmente, un contesto
ambientale con la sua flora e la sua fauna.
Il diorama dunque è un supporto museale che attraverso l’illusione percettiva è capace di trasportare
lo spettatore all’interno della scena ricostruita. La costruzione di diorami è stata una delle soluzioni
proposte per ovviare alla decontestualizzazione, in quanto il rifacimento, all’interno del museo, di
alcuni degli elementi caratterizzanti l’ambito da cui l’oggetto proviene, permette di restituire
quest’ultimo al proprio ambiente in modo tale da comprendere più facilmente le funzioni e i
rapporti con tutto ciò che lo circonda.
Il diorama offre dunque il pregio di consentire un approccio sia emozionale sia razionale con quanto
viene raccontato nell’esposizione museale, oltre alla possibilità di rappresentare realtà non più
esistenti o di focalizzare l’attenzione su situazioni specifiche ingrandendone i particolari.

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CAPITOLO 11: LA PERCEZIONE NEL CONTESTO MUSEALE

11.1 Vedere e pensare nel museo

La percezione visiva è un’attività conoscitiva e fondamento della comunicazione. Essa è frutto di


un’interazione tra aree diverse del funzionamento fisico e psichico:
1. La percezione fisiologica, che dipende dall’occhio e dalla natura delle radiazioni luminose;
2. L’elaborazione neurologica dell’immagine retinica;
3. Gli aspetti psicologici della percezione.
Lo studio della percezione nell’ambiente del museo ha i seguenti scopi:
1. Comprensione della percezione nel sistema- museo e delle sue relazioni con altri aspetti della
dinamica della fruizione;
2. Comprensione e previsione dei fenomeni percettivi più comuni nell’ambito di allestimenti già
esistenti;
3. Individuazione o previsione di fenomeni o disturbi percettivi nella progettazione di allestimenti
ed ambientazioni;
4. Valutazione del peso delle componenti psico-percettive nella fruizione museale, in termini di
rapporto con gli oggetti, con il contenitore e con i percorsi interni;
5. Valutazione delle condizioni ottimali di percezione.

Bartoli ha diviso il campo della percezione museale in tre ambiti:

1) caratteristiche degli oggetti osservati (descrivibili secondo gli studi della Gestaltpsychologie)
2) caratteristiche dell’osservatore;
3) condizioni dell’osservazione.

La visita al museo implica un contatto percettivo con gli ambienti, con gli oggetti, ed un contatto
“immaginativo” con la storia di quest’ultimi. Ancor prima del contatto percettivo con gli oggetti,
tuttavia, si colloca la percezione dello spazio, intesa nel senso del più ampio rapporto con
l’organizzazione interna strutturale e concettuale dell’edificio.
L’esperienza del contatto percettivo è molto articolata, per via delle molteplici connessioni con le
altre aree del funzionamento psichico interessate nei processi psico-percettivi: memoria, emozioni,
motivazioni, comunicazione. Inoltre il contato percettivo visivo nei percorsi plurisensoriali si fonde
con altri eventi sensoriali dando origine ad una percezione più complessa, originata cioè da un
sistema percettivo che può trarre notevoli vantaggi dagli studi sulla sinestesia.
I fenomeni della percezione sono fondamentali anche per le dinamiche della comunicazione,
dell’educazione e della didattica nei musei, sia perché costituiscono il primo impatto con i
contenuti, sia perché sono il primo passo nell’elaborazione dell’esperienza.
Il fenomeno percettivo, infatti, investe non solo il rapporto con gli oggetti e le opere, ma anche ciò
che riguarda l’orientamento, i percorsi e i supporti esplicativi. Le configurazioni percepite
veicolano significati che vanno al di là dei contenuti culturali pertinenti al tipo di oggetto esposto:
sono significati legati alle forme con cui oggetti, allestimenti e ambienti si presentano nel loro

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insieme; legati anche alle emozioni e agli atteggiamenti che in corrispondenza si attivano nel
visitatore.
Un posto di rilievo sicuramente è assunto dal colore. L’essenzialità e il minimalismo cromatico
degli allestimenti in molte esposizioni recenti hanno mostrato come l’assenza di colore non sia
sempre la soluzione migliore per valorizzare la fruizione delle opere d’arte da parte di diversi
pubblici. La memoria dell’esperienza percettiva può riflettersi sull’esperienza del fruitore anche in
seguito, dopo la visita, nelle sue riflessioni, negli atteggiamenti culturali e nelle scelte.
Sono dunque da considerare gli effetti a lungo termine che la percezione in ambito museale può
provocare a carico dell’attività immaginativa, insieme all’archiviazione selettiva dell’esperienza
museale nella memoria.
L’esistenza di relazioni psicologiche fra individuo e ambiente è un dato ormai acquisito da tempo.
Forme, colori, qualità globali dell’ambiente esercitano la loro influenza sulla persone: in particolare,
l’orientamento ha un ruolo fondamentale nel museo come in tutte le percezioni dello spazio.
Non è infatti da sottovalutare questa prima fase del “dialogo percettivo” fra il fruitore e il
contenitore: il problema dell’approccio iniziale, dell’ingresso. Nello spazio di accoglienza interno,
in cui si concentrano l’impatto con lo spazio e con le strutture dei percorsi, che se non
adeguatamente recepiti possono causare spaesamento o senso di inadeguatezza.

11.2 Teorie della percezione ed applicazioni nell’ambito museale


11.2.1 Psicologia della percezione

La percezione è quel processo attraverso cui riceviamo dall’ambiente informazioni che vengono
elaborate ed organizzate nel tentativo di attribuire loro un significato.
È ormai riconosciuto che la percezione non è solo un processo di registrazione sensoriale degli
stimoli esterni, ma un’attività di attenzione, riconoscimento,memorizzazione, categorizzazione e
interpretazione delle numerose informazione che ci provengono dall’ambiente.
Per lungo tempo per spiegare tale processo si è ricorsi all’analogia con la macchina fotografica;
tuttavia, se è vero che tra occhio e macchina fotografica ci sono molti punti in comune, è anche vero
che che noi non registriamo una determinata scena nella stessa maniera.
Di una stessa scena ognuno di noi avrà una rappresentazione più o meno diversa; non tutti gli
stimoli presenti saranno analizzati nello stesso modo, ne coglieremo alcuni e ne tralasceremo altri.
Secondo la psicologia cognitiva, l’atto visivo non è una pura registrazione passiva dell’ambiente
fisico esterno, ma una costruzione attiva che implica processi di elaborazione e di riduzione. Infatti
il nostro sistema sensoriale è un sistema a capacità limitata, per cui non possiamo tenere conto di
tutte le innumerevoli informazioni che ci provengono nello stesso momento dall’ambiente.

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11.2.2 I processi cognitivi ed i risvolti nel museo

I processi cognitivi più importanti sono:


1. Categorizzazione: quel processo che tende a semplificare la conoscenza del mondo.

2. Schema: consente di modulare la nostra attenzione attraverso la conoscenza pregressa, la verifica


della situazione esistente e le aspettative e gli scopi che abbiamo per il futuro.
3. Riconoscimento: le ipotesi del riconoscimento percettivo possono essere riconducibili a tre:
a) confronto di sagome, b) analisi delle caratteristiche, c) relazioni strutturali; Secondo la psicologia
della Gestalt, il riconoscimento sarebbe il risultato di una singola elaborazione, mentre, secondo il
modello cognitivista, il riconoscimento avverrebbe mediante un confronto fra un oggetto e la
rappresentazione precedentemente depositata in memoria di tale oggetto. Alcuni esperimenti
sembrerebbero confermare la teoria del riconoscimento seriale (secondo cui il riconoscimento
sarebbe dovuto al confronto, caratteristica per caratteristica, di tutti i tratti distintivi) ed evidenziano
che è necessario più tempo per riconoscere oggetti più complessi; tale ipotesi è quindi contraria a
quella della Gestalt, anche se non si può disconoscere che percepiamo immediatamente unità
primarie. Il riconoscimento nel museo è un processo percettivo e psicologico, ma anche collegato
alle conoscenze pregresse, al background culturale del fruitore.
4. Attenzione, percezione e automatismo: alcuni studi hanno evidenziato come si possa prestare
facilmente attenzione ad un interlocutore anche in un luogo affollato nonostante il rumore di fondo
possa essere elevato. Da questa situazione di può dedurre che l’attenzione opera selettivamente pur
mantenendo aperti dei canali “preattentivi” che sono rivolti all’elaborazione di informazioni
secondo una modalità di tipo automatico, quando cioè non è richiesta un’attenzione cosciente e
quando essa non interferisce con altre attività mentali.
5. Attenzione visiva: non possiamo prendere in considerazione tutto ciò che abbiamo di fronte,
dobbiamo effettuare una selezione. La nostra percezione opera una riduzione della complessità
ambientale attraverso un processo di attenzione visiva. Essa è attratta dagli oggetti presenti in un
campo: si avrà dunque una condizione articolatoria di figura e sfondo. Nel museo l’attenzione è
condizionata da fattori di vario genere: strutturazione dei campi visivi dovuti alla configurazione
delle sale, delle pareti e dei percorsi, agli oggetti contenuti ed alle loro relazioni spaziali, a fattori
quali luce, rumore, affollamento, esistenza o meno di comfort ambientale e di orientamento.

11.2.3 Il problema dell’organizzazione percettiva: la psicologia della Gestalt

La valutazione degli effetti di campo individuati dalla Gestalt, unitamente alla previsione dei
disturbi percettivi che si possono verificare, può essere molto utile nella progettazione e nella
comunicazione museale. La psicologia della Gestalt (in italiano il termine può essere tradotto con
“forma”, “schema”) nacque a Berlino e fu la prima scuola che si occupò in maniera approfondita di
percezione visiva. La teoria della Gestalt propone due leggi generali sullo studio dei fenomeni
psichici → i fenomeni psicologici avvengono in un campo;e i processi tendono a rendere lo stato
del campo buono, quando le condizioni lo permettono. Il campo è inteso come un insieme
strutturato di elementi, definito dalla relazione significativa fra le parti: ad esempio, un insieme di
quadri o di oggetti legati da una relazione di posizione, forma, colore o dimensione, possono essere
definiti come campi percettivi. Il primo principio teorico della Gestalt è che “il tutto è più della

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somma delle parti”: una stessa immagine assume caratteristiche diverse se osservata nel suo
insieme o nei suoi singoli particolari.

11.2.4 L’articolazione del campo visivo: le leggi del raggruppamento

Gli psicologi della Gestalt scoprirono le leggi del raggruppamento: sostennero, cioè, che il nostro
sistema visivo organizza o articola le diverse parti che compongono una scena, non in termini di
unità elementari presenti nella configurazione ma in un certo numero di fattori che agevolano
l’unificazione degli elementi in un tutto. il risultato è in genere una riduzione degli elementi che
vengono raggruppati sulla base di alcune caratteristiche condivise. Il risultato finale della nostra
percezione avrebbe a che fare quindi con un tutto che non è semplicemente la somma dei singoli
elementi ma un’organizzazione immediata e unitaria delle diverse parti. Le interazioni nel capo
visivo sono governate dalla legge della semplicità , secondo la quale le forze percettive che lo
costituiscono si organizzano nel pattern (schema) più semplice, più regolare, più simmetrico che le
circostanze consentano.
Il fattore sicuramente più importante di organizzazione percettiva secondo la psicologia della
Gestalt è quello della buona forma o pregnanza, secondo cui esiste una tendenza a percepire forme
buone, cioè semplici, regolari, simmetriche quando le condizioni stimolatorie lo consentono.

11.2.5 Le applicazione del campo gestaltico nell’ambito museale

Le applicazione del campo gestaltico nell’ambito museale riguardano le modalità di strutturazione


della percezione negli ambienti. L’oggetto sarà sempre osservato in base alla posizione spaziale
bidimensionale che assumerà in base al contesto di riferimento.
Nel museo la parete è un vero e proprio campo percettivo. Spesso nelle mostre, soprattutto in quelle
temporanee, si devono fare i conti con le opere che devono essere esposte e lo spazio disponibile, e
sovente molte opere perdono il loro diritto ad una buona fruibilità perché l’effetto globale di campo
non è soddisfacente. L’ambiguità del concetto di buona forma è proprio quello che andrebbe
approfondito nel museo, riflettendo sui casi espositivi in cui la buona forma esiste ma non coincide
con la simmetria. Un esempio è l’esposizione in un museo archeologico di vasi all’interno di una
vetrina: se si tratta di reperti sporadici che devono stare tutti in una vetrina, bisognerà far sì che
l’armonia e l’equilibrio prevalgano sulla regolarità geometrica dell’insieme.

11.3 Fenomeni e disturbi visivo-percettivi nel museo

All’interno del contesto museo sono importanti alcuni fenomeni percettivi, tra cui le illusioni
ottiche, i fenomeni dell’ambiguità, le alternanza, l’assimilazione, il contrasto, i fenomeni delle
costanze percettive, il completamento, la contraddizione, l’adattamento, la saturazione psichica, il
mascheramento, il risalto, gli aspetti legati alla percezione del movimento e del colore.

11.3.1 Le illusioni ottiche

Sono quelle particolari condizioni conflittuali in cui si riscontra una discrepanza tra gli aspetti fisici
dello stimolo e la valutazione percettiva, il cui risultato è in genere un’errata interpretazione di
alcune parti della configurazione. Sono state osservate numerose illusioni cosiddette ottico-
geometriche, condizioni in cui elementi lineari e geometrici semplici, se osservati singolarmente
non producono distorsioni percettive, ma se messi in relazione gli uni agli altri vengono percepiti in

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maniera distorta e ingannevole. Il museo può essere luogo, se non di illusioni, quantomeno di dubbi
percettivi. Lo studio delle illusioni ha contribuito ad indagare le leggi della percezione ed ad
analizzare le esigenze dell’osservatore.

11.3.2 Aspetti di ambiguità nel museo

Il fenomeno dell’ambiguità si manifesta tramite configurazioni che si prestano ad essere


riorganizzate dal percipiente in modi opposti. Le alternanze percettive, così come le ambiguità, sono
eventi che si verificano in successione temporale e sono un modo per prevenire eventuali conflitti
psichici poiché, quando viene visualizzata un’opzione visiva, l’altra scompare. Le figure che si
prestano a tale fenomeno sono note come figure ambigue (come le opere di Arcimboldi).
Tali immagini sono suscettibili di più interpretazioni perché gli elementi che le compongono non
forniscono al cervello informazioni esatte e univoche.
Calando il fenomeno dell’ambiguità nel contesto del museo si possono riscontrare diverse situazioni
in cui esso si verifica, ad esempio i casi di frammenti di reperti archeologici di non chiara forma o
funzione, o di oggetti di varie epoche che non si sa da che lato guardare. Per il museo storico-
artistico, invece, bisogna ricordare che gli artisti hanno molto spesso intenzionalmente usato
l’ambiguità ed in tal sulla parete dell’esposizione va lasciato all’opera il giusto spazio di fruizione
in modo che il visitatore non cada nel fenomeno più forte dell’incongruenza, che si può verificare se
il quadro ambiguo è “soffocato” da altri dipinti contigui.
Aspetti di ambiguità e polivalenza dell’immagine complessiva e dell’esposizione o
dell’allestimento, se non troppo esagerati (e quindi fonte di disturbi percettivi), possono essere visti
anche nel ruolo di una comunicazione per enigmi, che attira, invita ad esplorare, a risolvere o
ripropone riattivando il senso di mistero.

11.3.3 Fenomeni ed elementi di incongruenza

L’osservatore può imbattersi in immagini che contraddicono certe sue aspettative divergendo da
alcune tra le sue più radicate abitudini ed esperienze e provocano vissuti di incongruenza,
paradosso, bizzarria, assurdità, stranezza. Gli esempi più chiari sono quelli in cui la contraddizione
riguarda un solo elemento di una configurazione già nota: il naso di Pinocchio (incongruenza di
forma), un edificio che pende da un lato (incongruenza di posizione) ecc. Tali congruenze sono
ascrivibili più in generale alla categoria del conflitto psichico, proprio perché l’immagine non si
allinea, anzi entra in conflitto con gli schemi mentali e le consuetudini percettive dell’osservatore.
Tali incongruenze possono essere colte immediatamente (conflitto evidente) o dopo
un’osservazione prolungata (conflitto latente).
La differenza fra ambiguità e contraddizione è che nel primo caso viene alternativamente scelta
l’una o l’altra configurazione, nel secondo caso il conflitto è permanente.
Le bizzarrie, le incongruità o i paradossi sono spesso presenti nel museo storico-artistico: ne sono
un esempio alcune opere di Dalì, come quelle sul tema del tempo (gli orologi molli) oppure le
inquietanti deformazioni di F. Bacon o le esasperazioni figurali dell’Espressionismo. La pittura
cubista, ad esempio, mostra immediatamente i suoi aspetti di incongruenza (di composizione), come
il disallineamento degli occhi nei ritratti femminili di Picasso. Sull’incongruenza di grandezza si
basano gli oggetti quotidiani (sedie, lampade, apriscatole ecc.) dalle dimensioni gigantesche
dell’artista americano Oldenburg.

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Nella pratica dell’allestimento bisogna fare in modo che vengano prese tutte le misure necessarie
per non aggiungere elementi di interferenza o disturbo percettivo ad opere di per sé contenenti forti
elementi di contraddizione (come la pittura surrealista o metafisica): ad esempio attuando un
allestimento con opere ben distanziate ed a intervalli regolari.
In ambito scientifico, invece, ad esempio nel museo paleontologico si va incontro a fenomeni di
incongruenza quando lo scheletro o la porzione di esso conservata è incongruente rispetto alla
struttura degli animali attuali.

11.3.4 Effetti di assimilazione

L’assimilazione è un disturbo percettivo per cui l’elemento definito inducente fa s’ che un altro
elemento detto indotto modifichi percettivamente le sue qualità in modo da attenuare le proprie
caratteristiche.
Per assimilazione simultanea, detta anche uguagliamento, che si verifica con la presenza simultanea
dei due elementi, si intende invece una riduzione delle differenze fra due o più elementi dovuta a
fattori percettivi e non quali esperienze, ricordi pregressi o altro.
Ai processi di assimilazione sono collegabili anche alcuni tipi di configurazioni percettive come
l’anamorfosi: il processo in cui un oggetto noto viene fortemente deformato.
Ecco alcuni casi di fenomeni di assimilazione spesso riscontrabili nei musei:

→ L’assimilazione di forma si può verificare nei lapidari dei musei archeologici in cui gli elementi
lapidei con iscrizioni sono messi in lunghe sequenze sulle pareti;
→ Oggetti e manufatti in pietra eterogenei poggiati su una parete di identico materiale producono
vari fenomeni di disturbo percettivo, fra cui l’assimilazione di colore e la saturazione di
eterogeneità;
→ Le esposizioni nei musei geo-mineralogici possono causare fenomeni di assimilazione
→ Il percolo di assimilazione riguarda anche le mostre d’arte a a carattere fortemente tematico o di
ambito cronologico ristretto (ad esempio i paesaggi nella pittura impressionista);
L’assimilazione di forma è una costante nei musei tematici (ad esempio, il museo della carrozza)

11.3.5 Effetti di contrasto

Nel fenomeno percettivo inverso, il contrasto, l’elemento indotto si modifica in modo da


differenziarsi maggiormente rispetto all’inducente. Nell’ambito museale importanti sono le
condizioni per le quali si verifica il contrasto: le superficie coinvolte devono essere a contatto o gli
elementi devono appartenere alla stessa configurazione; entrambi i casi riguardano il rapporto degli
oggetti o dei quadri con la parete su cui sono allestiti.
In una situazione di forte contrasto si può avere la cosiddetta protesta percettiva, per cui le anomalie
percettive vengono evidenziate maggiormente rispetto agli schemi mentali consolidati.
Spesso il contrasto può anche accentuare la presenza di eventuali somiglianze: ad esempio, la
mostra tenutasi a Palazzo Fiori a Verona, Maleviche e le sacre icone russe, che presentava antiche
icone ortodosse e quadri del famoso artista russo, padre dell’astrattismo.
Il contrasto di forma progettato nell’allestimento (simultaneo in quanto le opere erano presentate a
coppia, icone e quadro di Malevich) evidenziava maggiormente le analogie sotterranee di forma e le
affinità spirituali.

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11.3.6 Applicazione del fenomeno del risalto nelle esposizioni museali

Il risalto può essere considerato una forma di contrasto. Esso è il contrario del mascheramento, in
quanto qui la configurazione acquista valore percettivo, la figura si distinguerà dallo sfondo e da
altre figure simili fino ad assumere maggiore importanza psicologica.
Metzeger affermò che quando si asserva una scena non tutte le parti hanno lo stesso risalto. Ciò che
assume rilevanza psicologica, importanza agli occhi del percipiente, viene chiamata figura, il resto
è sfondo. Quest’ultimo assume il ruolo di schema di riferimento, quindi è l’ambiente nel quale la
figura occupa una determinata posizione.
Nel museo condizioni di risalto possono essere usate con vantaggio nell’allestimento, ad esempio
inserendo in vetrine oggetti di piccole dimensioni che altrimenti rischierebbero di passare
inosservati oppure per dare maggiore rilevanza ad alcuni oggetti più significativi; ad esempio in
un’esposizione storica di quadri di uno stesso periodo di artisti operanti in una stessa regione, il
risalto può aiutare il visitatore a comprendere quali sono gli artisti di maggior rilievo.

11.3.7 Il completamento nel museo: fenomeni frequenti e casi di agevolazione dell’effetto

Noi non vediamo quasi mai gli oggetti nella loro interezza: vediamo parti di essi, da cui deduciamo
la globalità dell’oggetto che abbiamo di fronte. Siamo quindi protagonisti di un effetto di
completamento, quando ci sembra di intuire percettivamente superfici e volumi retrostanti, che non
sono per noi effettivamente visibili. La presenza di indici di incompletezza di un’immagine
attiverebbe in noi quella esigenza di forme regolari, chiuse, complete, postulata dagli psicologi
gestaltisti. Il completamento è in relazione con le aspettative e i bisogni, cioè consolida gli schemi
mentali del percipiente, impegna alcuni suoi bisogni conoscitivi di congruenza e di regolarità.
Elenchiamo una serie di situazioni museali in cui il completamento risulta di fondamentale
importanza per la percezione degli oggetti:

➢ In alcuni casi il completamento ha una funzione positiva nel museo, in quanto facilita i
processi di integrazione o ricostruzione mentale di immagini ed oggetti;
➢ Il completamento amodale (o coperto) può facilitare la comprensione degli affreschi
restaurati;
➢ È di considerevole importanza nel museo archeologico, ricco di elementi allo stato
frammentario. Spesso infatti, se non sono accompagnati da un abbozzo di ricostruzione,
molti reperti rimangono elementi ambigui;
➢ A volte il completamento non viene favorito nel modo giusto: un esempio è la ricostruzione
dei frontoni dei templi etrusco-italici;
➢ In alcuni casi, la naturale tendenza al completamento può essere bloccata dal tipo di
supporto adottato: ad esempio, frammento di terracotta montati su legno troppo nodoso o
rustico, o supporti per reperti paleontologici troppo simili all’oggetto possono confondere e
inibire il completamento. In tali casi si innesca un fenomeno di ambiguità che non permette
di distinguere il reperto dal supporto. Carlo Scarpa, alcuni decenni fa, scelse il ferro non
verniciato per realizzare i supporti di statue antiche, in modo che fosse il materiale stesso a
dare il messaggio di alterità o non contemporaneità con il reperto. Di recente sono state
adottate soluzioni ricostruttive per monumenti antichi con supporti moderni che favoriscono
il completamento escludendo ogni possibile ambiguità;

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➢ il completamento è un fenomeno che si verifica nei diorami, che sono scenari artificiali
costruiti con l’espediente di strati sovrapposti o parzialmente sovrapposti che danno, oltre
all’effetto di completamento analogo a quello dei fondali teatrali, anche un senso di
profondità molto maggiore rispetto a quella effettiva (completamento amodale).

11.3.8 Fenomeni connessi con l’adattamento

L’adattamento è un processo graduale, più lento della saturazione, che si manifesta con la
progressiva attenuazione delle caratteristiche inizialmente salienti dell’immagine, per cui a
un’osservazione prolungata emergono particolari meno evidenti o piccole incongruenze.
Questo fenomeno porta l’osservatore a cogliere stimoli prima non visualizzati e a discriminare con
più facilità la differenza visiva tra la figura e lo sfondo.
In condizioni di protratta monotonia, il soggetto non solo diviene più analitico, ma può tendere a
sviluppare in maniera sempre maggiore l’interesse verso una realtà alternativa, fino a produrre delle
vere e proprie inversioni di contenuti e a dar corpo ad allucinazioni e malesseri come nel caso della
sindrome di Stendhal (vertigine, stato confusionale, senso di irrealtà in soggetti posti al cospetto di
opere d’arte di particolare bellezza).
Nel museo si verificano varie forme di adattamento, connesse per la maggior parte dei casi con le
variazioni di intensità luminosa.
Un tipo di adattamento, ad esempio, è quello che avviene durante l’osservazione di un dipinto: in
questo caso il campo visivo dell’occhio è catturato dall’area più luminosa della superficie
d’esposizione. Le pareti bianche di sfondo, altamente riflettenti, rendono difficile all’occhio la
messa a fuoco di porzioni meno brillanti di quadri scuri. Questo inconveniente può essere eliminato
con la riduzione del contrasto cromatico tra parete e dipinto, che facilita e sveltisce il processo di
adattamento. Se la visita museale è effettuata in ore notturne, alcuni dipinti possono apparire più
luminosi se lo sfondo è più scuro.
Nell’ambito museale si parla di adattamento anche per quanto riguarda l’illuminazione delle sale. Il
problema è di ordine fisiologico con risvolti psicologici, ma spesso si somma all’adattamento
percettivo nel passaggio da uno spazio ad un altro con diversi livelli di intensità luminosa. È
necessario dare all’occhio umano il tempo necessario per adattarsi all’effetto di spazi illumonati in
modo diverso e tale tempo è tanto maggiore quanto più forte è la riduzione della luminanza media
degli ambienti.
Un fenomeno di adattamento fisiologico con forti valenze psicologiche siverifica nelle sale del
museo che, per esigenze conservative ( nelle mostre, ad esempio, la tecnica dell’acquerello su
carta,soggetta al degrado causato dalla luce, necessita un calo di illuminazione) sono quasi
totalmente buie; nel museo o nella mostra storico-artistica o archeologica a volte oggetti nella stessa
vetrina sono illuminati in modo differente. Queste situazioni possono generare sensazioni spiacevoli
di non-familiarità oppure errate attribuzioni di significato: oggetto/stanza meno illuminato =
oggetto/stanza meno importante.

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11.3.9 Fenomeni di saturazione di omogeneità e di eterogeneità

La saturazione è connessa con diversi fenomeni psichici come le alternanze percettive, le ambiguità
e l’adattamento. Esistono due tipi di saturazione: la saturazione di omogeneità e quella di
eterogeneità.
La saturazione di omogeneità è stata verificata nell’osservazione di una superficie isoilluminante.
Essa provoca un desiderio di eterogeneità e di frammentazione e, in alcuni casi, una tendenza a
cogliere i particolari. La saturazione di eterogeneità è il caso contrario della saturazione di
omogeneità: se veniamo bombardati da immagini in maniera incessante e anche violenta, le soglie
percettive di alzano (sindrome di Stendhal).
Nel museo dunque bisogna evitare sia condizioni di monotonia intesa come percezione uniforme e
ripetitiva, sia condizioni di sovraccarico di varietà dell’esperienza.
Situazioni favorevoli all’insorgenza di fenomeni di omogeneità e adattamento si hanno in caso di
fitte file di oggetti della stessa tipologia. E’ il disturbo in assoluto più semplice da eliminare: basta
adottare un coraggioso criterio selettivo, a volte di difficile applicazione nel museo italiano. Inoltre
si può aggirare tale inconveniente mantenendo distanze maggiori e riducendo il numero di elementi
uguali nel caso in cui si presentino oggetti rinvenuti in serie.
Per oggetti da esporre in vetrina, invece, si può pensare a forme eterogenee di supporti. Questo,
oltre a conferire originalità all’allestimento, consente di non incorrere nella saturazione di forme per
quando riguarda sia i supporti che gli oggetti esposti. Anche il percorso dell’osservatore deve
variare durante la fruizione: sono da evitare quindi lunghi corridoi espositivi, mentre è consigliato
l’uso di tinte non uniformi.
La saturazione di eterogeneità nel museo si verifica nel caso di esposizioni troppo lunghe ed
articolate che producono confusione e, nei casi peggiori, rigetto.

11.3.10 Il mascheramento nel museo

I fenomeni di mascheramento sono tutti quei fenomeni per cui una qualsiasi configurazione o
immagine può perdere la propria identità se si trova ad essere assorbita da un altro contesto che
risulta percettivamente più significativo. L’elemento che subisce il mascheramento è definito
elemento indotto, mentre il contesto che maschera è l’inducente. Si può parlare di mascheramento
come di una forma estrema di assimilazione. In natura il fenomeno del mimetismo è un’evidente
forma di mascheramento. Nel museo storico-artistico possono essere presenti oggetti di correnti
artistiche che usano contaminazioni fra generi. Tali oggetti risultano “mascherati” a molti tipi di
pubblico, ma decifrabili per altri che abbiano le giuste chiavi di lettura o, in termini percettivi, i
necessari schemi di riferimento.

11.3.11 Dagli strumenti tecnici all’arte cinetica: la percezione del movimento nel museo

Il movimento è l’azione di un corpo che agisce seguendo una direzione con un velocità.
Nel museo si verificano diversi casi di percezione del movimento:

➢ Il movimento è un fenomeno molto frequente nel museo della scienza e della tecnica.
L’accortezza espositiva consiste nel non riunire in uno stesso spazio troppi oggetti in
movimento;
➢ La pittura e la scultura futurista sono espressione pittorica del movimento in corso e
pertanto, dal punto di vista espositivo, necessitano di un intervallo di spazio maggiore dalle

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opere adiacenti per non innescare fenomeni che si mescolino ed interferiscano con gli effetti
voluti dagli artisti;
➢ Casi di movimento apparente si verificano in tutte le opere della Optical Art;
➢ Gli esponenti della cosiddetta Arte Cinetica, producendo oggetti e installazioni dotati di
movimento reale o apparente e di caratteristiche sonore, hanno fatto sì che il museo si sia
arricchito del movimento e del suono;

11.3.12 Fenomeni fisiologici di disturbo percettivo

Esistono disturbi o malattie , come il daltonismo o l’acromatopsia per compensare le quali il


soggetto ricava informazioni da altre fonti. L’acromatopsia è una malattia per cui non si percepisce
il colore e quindi si devono ricavare informazioni da altri aspetti del mondo visivo, cogliendo indizi
che in assenza del colore assumono importanza relativa maggiore.
L’astenopia è invece una condizione di affaticamento degli occhi che si verifica quando un oggetto
è illuminato in maniera insufficiente o inadeguata.
In alcuni musei, dove l’impianto di illuminazione on raggiunge l’intensità di lux necessaria ad una
corretta visione non è raro che si verifichi questo disturbo. L’astenopia p associata anche al
fenomeno dell’abbagliamento e ai casi in cui la luce illumina i quadri in modo eccessivo.

11.4 La percezione dello spazio nel museo


11.4.1 Il rapporto figura-sfondo

L’articolazione figura-sfondo è uno degli aspetti più importanti e primitivi dell’organizzazione


percettiva ed è un primo momento di articolazione del nostro campo visivo. La famosa immagine
della coppa formata dai due profili umani, in cui si percepiscono alternativamente i due profili o la
coppa è un’immagine ambigua attraverso la quale si possono spiegare le caratteristiche del compito
percettivo. Una caratteristica è che, dopo un certo periodo di osservazione dell’immagine, avviene
un’inversione di articolazione del rapporto figura-sfondo.
Kanizsa sostiene che il rapporto figura-sfondo è il primo fenomeno di completamento, poiché
completiamo lo sfondo dietro alla figura. Il rapporto figura-sfondo è fondamentale soprattutto nel
museo d’arte in quanto si instaura una relazione complessa fra il quadro e la cornice, la cornice e lo
sfondo ed infine fra il quadro e lo sfondo.

11.4.2 Le relazioni figura-sfondo-colore

Per distinguere un oggetto il nostro sistema nervoso deve innanzitutto analizzarlo in rapporto al suo
sfondo. La parete, in un contesto museale, funge da sfondo e può influenzare il colore e la
percezione degli oggetti. L’importanza dello sfondo diventa chiara se si analizzano gli esperimenti
fatti in un campo di colore uniforme e senza figure strutturate. In questa condizione, se si cambia il
colore dello sfondo, pur mantenendo costante l’illuminazione, gli oggetti tendono a cambiare
colore: un oggetto bianco può divenire rosa pallido o verde chiaro a seconda dello sfondo su cui
viene osservato. Inoltre, oggetti che riflettono luce di identica lunghezza d’onda possono sembrare
di colore completamente diverso se proiettati su sfondi diversi. la percezione del colore, quindi,
deriverebbe dalla discriminazione della differenza tra la lunghezza d’onda della luce riflessa da un
oggetto e quella della luce riflessa dallo sfondo in cui tale oggetto si inserisce.

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11.4.3 Gli sfondi neutri sono i migliori possibili per un allestimento? Il rapporto figura-sfondo
nel museo in relazione al colore

Nell’analisi del rapporto figura-sfondo all’interno di un’esposizione bisogna sottolineare


l’importanza che il colore della parete di fondo riveste per un più efficace allestimento, così da
raggiungere lo scopo del museo che è quello di comunicare nel miglior modo possibile.
La scelta del colore della parete che funge da sfondo e del panneggio delle teche avviene in
funzione del colore dell’oggetto da esporre. Tuttavia questa scelta non è così semplice da compiere,
dato che le opere d’arte sono prevalentemente policrome e in un contesto museale, soprattutto nelle
sale espositive che ospitano mostre temporanee, bisogna tenere presente la varietà degli oggetti
esposti. Per questo motivo di opta per un colore ritenuto neutro, capace di accogliere qualsiasi tipo
di opera. Ma questo tipo di soluzione può ritenersi efficace?
In caso di forme semplici rispetto ad uno sfondo neutro, si possono verificare due fenomeni
fondamentali: il contrasto simultaneo ( se due quadrati grigi ritagliati dallo stesso cartone sono
posti rispettivamente su campo nero e su campo bianco abbiamo l’impressione che i due quadrati
presentino tonalità di grigio differenti) e l’assimilazione cromatica (a differenza del fenomeno
precedente, se su uno stesso cartone grigio si disseminano da una parte dei corpuscoli neri e
dall’altra dei corpuscoli bianchi, si ottiene rispettivamente un generale inscurimento e un generale
schiarimento).
Se da un lato la scelta di colori neutri può risultare ideale perché ben si conciliano con un mapio
ventaglio di opere eterogenee, gli stessi colori neutri, come il bianco o il beige, non sempre sono
idonei per un allestimento perché, in alcuni casi, possono appiattire le forme e dilatare lo spazio
delineato di un’opera. Inoltre le pareti bianche di sfondo, altamente riflettenti, possono ostacolare
l’occhio nella messa a fuoco si porzioni meno brillanti di quadri scuri.
Un allestimento accurato è garantito dalla scelta appropriata del colore della parete che funge da
sfondo, della qualità del muro, dal colore del panneggio delle teche, dai materiali utilizzati per i
supporti o per il rivestimento degli stessi. In recenti esposizioni, come la mostra su Canaletto a
Roma, sono stati usati sfondi azzurri per porre in risalto l’uso del colore oro poiché le lunghezze
d’onda dei due colori sono nettamente distinte, tanto da creare percettivamente un contrasto
cromatico; anche la luce dovrebbe, come tutti gli elementi che compongono l’allestimento, creare le
migliori condizioni di percezione dell’oggetto, sottolineare particolari, suscitare emozioni. Il
procedere cadenzato di luci, colori e forme alternati ad una semi-oscurità, determinata dal
posizionamento delle luci, potrebbe inoltre agevolare il fruitore nell’accogliere gli stimoli
provenienti dall’opera successiva, avendo quindi una funzione di pausa ottica.

11.4.4 La percezione dello spazio

Nel museo il problema della percezione dello spazio che applichiamo ai campi visivi delle sale si
sta allargando alla percezione della realtà virtuale, poiché si sta intensificando la multimedialità del
museo, sempre meno confinata in apposite aree e più integrata negli ambienti.
La percezione della tridimensionalità può avvenire grazie a degli indici pittorici che ci possono
fornire dati sulla profondità dello spazio e sulla distanza degli oggetti, come:

➢ Sovrapposizione: la figura posta anteriormente rispetto ad un’altra appare più vicina. Gli
oggetti retroposti ottengono una regolarizzazione della loro forma grazie al completamento
amodale;

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➢ Altezza del campo visivo: tendono ad essere percepite come più lontane le immagini che
compaiono nelle zone superiori del campo visivo rispetto a quelle collocate nelle zone
inferiori;
➢ Chiaroscuro: supporta un ulteriore elemento di spazialità all’immagine perché fornisce un
effetto di rilievo;
➢ Grandezza relativa ovvero prospettiva dimensionale:è il fenomeno per cui gli oggetti di
forma uguale ma di differenti dimensioni risultano identici ma dislocati a distanze differenti;
➢ Prospettica cromatica o aerea: gli oggetti maggiormente contrastanti con lo sfondo appaiono
più vicini rispetto a quelli meno contrastanti.

11.5 Interazioni psico-percettive nell’ambiente museale: la relazione con gli oggetti


11.5.1 La relazione oggetto-contesto e i processi cognitivi coinvolti

Nella percezione, il risultato essenziale si gioca tutto nel modo con cui lo spettatore entra in contatto
con la figura-stimolo.
I significati percettivi vengono contestualizzati secondo una relazione biunivoca: il contesto
modifica il significato e il significato modifica il contesto. Ad esempio un nudo può essere
considerato accettabile in un museo ma inaccettabile in altri contesti.
La visita al museo equivale ad un contatto percettivo con gli ambienti e con gli oggetti e ad un
contatto immaginativo con la storia di questi ultimi. L’esperienza del contatto percettivo è molto
complessa per via delle numerose connessioni con le altre aree del funzionamento psichico che la
percezione coinvolge: emozioni, motivazioni, memoria, pensiero creativo, comunicazione.
Le configurazioni percepite veicolano significati legati alle forme con cui oggetti, allestimenti e
ambienti si presentano nel loro insieme e alle emozioni e agli atteggiamenti che in corrispondenza si
attivano nel visitatore. Il contatto percettivo ed il legame immaginativo con gli oggetti e la loro
storia può avere ripercussioni sul fruitore non solo nel momento della visita, ma anche in seguito,
nelle sue riflessioni e negli atteggiamenti culturali.
Gli elementi e i processi coinvolti nella percezione partono dalla percezione e dal riconoscimento di
un oggetto. Gli stimoli che ci arrivano sono numerosissimi e poiché siamo dotati di un sistema a
capacità limitata dobbiamo necessariamente operare un certo tipo di selezione attentiva delle
informazioni in arrivo, tramite il processo dell’attenzione.
Con l’esperienza e l’interazione continua con l’ambiente, siamo in grado di apprendere cose di
estrema importanza per la comprensione del mondo, mentre grazie alla memoria siamo in grado di
trattenere l’informazione e depositarla in un magazzino cui accediamo quando abbiamo bisogno di
recuperarla. Con i processi di categorizzazione possiamo ridurre il numero degli attributi di diversi
oggetti a una tipologia media a cui facciamo ricorso quando dobbiamo parlare di un oggetto
specifico, mentre con il pensiero proviamo a risolvere i numerosi problemi che continuamente ci si
pongono. La motivazione costituisce una spinta propulsiva all’agire secondo diverse modalità, ma si
relaziona in seguito anche con le qualità fenomeniche dell’oggetto, mentre l’emozione tiene conto
di tutte le modificazioni inerenti alla sfera affettiva anche in riferimento al significato affettivo,
espressivo ed estetico che gli oggetti possiedono e in qualche modo ci comunicano.

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11.5.2 Le qualità-ponte

Fanno parte dell’attività mentale anche i processi che conducono a cogliere le qualità fenomeniche
attribuibili alla relazione fra un agente e il percipiente. Queste qualità sono affini a quelle
espressive, ma per esse è più marcato l’aspetto relazionale: sono le cosiddette qualità-ponte, come
quelle cui alludono gli aggettivi rassicurante, divertente, attraente, oppure allarmante, minaccioso,
repulsivo. Due esempi possono essere le opere di Francis Bacon contenenti le inconfondibili
deformazioni esasperate della figura umana o uno strumento di tortura in perfetto stato di
conservazione. Il museologo dovrà preoccuparsi non solo della corretta esposizione e
comunicazione ma anche dell’attuazione di strategie per alleggerire le configurazioni percettive
indubbiamente non attraenti. Alcuni studiosi hanno evidenziato processi cognitivi ampiamente
applicabili al museo: la sensibilizzazione selettiva (gli stimoli accettabili vengono percepiti con più
facilità), la difesa percettiva (gli stimoli non accettabili non vengono percepiti facilmente), la
risonanza di valore (gli stimoli che riflettono il proprio sistema di valori vengono percepiti più
volentieri).

11.5.3 L’esperienza estetica

È noto il caso, accaduto in un museo americano, di una signora che rimproverò un altro visitatore di
aver interrotto con lo squillo del cellulare una sua intensa estasi divenuta vero e proprio godimento
mentre guardava un’opera di Pollock. Probabilmente il ricordo che serbiamo, pur a distanza di molti
anni, di un oggetto o di un’opera d’arte visti in un museo è legato non solo ai processi della
memoria vera e propria, ma al fatto che in quel momento distante nel tempo si sia attuata
un’esperienza estetica gratificante.
L’esperienza estetica si può avere durante l’osservazione di una rappresentazione percettiva o anche
durante la contemplazione di una rappresentazione immaginativa. L’esperienza estetica si
accompagna parallelamente al rilievo di valenze o qualità-ponte altamente positive dell’immagine,
dell’oggetto o dell’evento con cui tale esperienza è vista in relazione. Tale immagine si presenta
molto attraente e polarizza l’attenzione dell’osservatore. Essa sembra accompagnarsi a volte ad una
sorta di distanziazione psichica, di filtraggio, di distacco della realtà contemplata. Sovente
l’esperienza estetica risulta accompagnarsi ad un’impressione di sospensione del tempo; durante
l’esperienza estetica l’attenzione viene completamente assorbita dall’oggetto o dall’evento
piacevole. Essa è filtrata dall’universo interno del soggetto che fa rivivere dentro di sé l’oggetto o
l’opera d’arte che reinventa insieme all’autore o all’artista: l’osservatore rivive e proietta sulla
figura esterna i suoi contenuti interni.
Marazzi sostiene che è la cultura, piuttosto che il dato oggettivo della percezione, a delimitare la
gamma di variazioni delle nostre reazioni alle immagini, ai colori, alle forme. Nell’uomo, anche la
percezione sensoriale diventerebbe, secondo Marazzi, un’operazione culturalmente determinata:
essa è solo uno strumento fisiologico che ogni comunità umana apprende e sfrutta nelle sue
potenzialità, operando scelte che permettono di organizzare la propria percezione in base a
differenti patrimoni culturali, alle esperienze del mondo e alle realtà psicologiche e culturali ad essi
collegate.

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CAPITOLO 12: IL RUOLO DELL’ILLUMINAZIONE NEL MUSEO
12.1 La luce e il museo

La luce è ingrediente essenziale nell’atto del vedere: senza di essa l’occhio non vede la forma, lo
spazio, il movimento. Se si vuole comprendere un’opera d’arte bisogna innanzitutto vedere l’opera
nella sua globalità e nel suo rapporto di luce con lo spettatore. Dal punto di vista percettivo sono
molti gli aspetti che condizionano la visione di un’opera d’arte: la forma ed il colore influenzano il
peso degli elementi dell’immagine.
Con una particolare modulazione della luce si possono immergere le opere in un non-tempo e in un
luogo diverso, isolandole e al tempo stesso offrendole alla visione secondo traiettorie inedite. La
luce allora diviene un mezzo di comunicazione, un veicolo culturale.
Questi brevi esempi aiutano a capire l’importanza della valutazione scientifica delle componenti
luminose, fenomeni ormai imprescindibili nella fruizione estetica e nella visione delle opere
artistiche. Il criterio fondamentale dell’illuminazione rimane ancora quello di isolare ogni oggetto in
un ambiente neutro e di limitarsi a sottolineare quelle, fra le condizioni ambientali originarie, che
hanno intimamente influito sulla scelta della tecnica e dei mezzi espressivi.
Il problema della luce nello spazio museale è stato nel tempo oggetto di dibattiti, discussioni e
contrasti: l’impiego dell’illuminazione zenitale, il progressivo utilizzo della luce artificiale e le
soluzioni di miscelare i due tipi di illuminazione, i problemi di conservazione sono argomenti che si
sono affiancati alle considerazioni di carattere storico-artistico, filologiche e scientifiche.

12.2 Illuminare la pittura

Per quadro illuminato bene si intende un’opera illuminata in modo ben visibile. Nelle superfici
prevalentemente piane è richiesta l’uniformità dell’illuminamento. Bisogna inoltre ottenere una
percezione del quadro in maniera distinta rispetto alla parete e la possibilità di osservarlo da vicino
senza provocare ombre portate. Al Musée d’Orsay, la galleria dell’Impressionismo successivo al
1870 e del Neoimpressionismo è posta all’ultimo piano per ricevere la luce naturale zenitale simile
a quella naturale esterna, avallando l’interpretazione storica secondo cui gli artisti impressionisti
avevano dipinto i loro paesaggi en plein air. È chiaro pertanto che vanno cercate le intensioni
dell’artista: assecondare l’opera illuminandola nella misura che essa richiede e, possibilmente, dallo
stesso lato da cui proviene la sua luce interna (es. opere di Caravaggio). Le opere commissionate ed
eseguite per le chiese, come le pale d’altare in origine erano progettate per essere visibili in un
determinato ambiente del quale l’artista conosceva i fasci luminosi provenienti da vetrate, rosoni o
lucernari e la disposizione delle altre fonti luminose.

12.3 Illuminare la scultura

Illuminare la scultura è un problema che consta di due aspetti, uno essenzialmente illumino-tecnico
e l’altro storico-artistico. Dal punto di vista dell’illuminotecnica, bisogna tener presente che la
componente più importante degli oggetti tridimensionali è la loro massa la quale, secondo la loro
illuminazione, assume particolari effetti plastici e mette in risalto la trama di superficie: bisogna
illuminare mediamente la scultura, senza eccedere con luci troppo marcate o blande che generano
chiaroscuri, effetti indesiderati. Per la scultura bisogna evitare ombre troppo marcate, utilizzando se
è necessario più fonti di luce. Le ombre scure vanno infatti a interferire in maniera invasiva nei

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confronti dell’opera distruggendo la forma, nascondendo le parti importanti e interrompendo la
continuità delle linee. Nel caso di grandi oggetti posti in ampi spazi espositivi, la sorgente luminosa
dovrà essere diretta verticalmente dall’alto verso il basso in modo da evitare disturbi visivi al
visitatore; l’illuminazione dal basso verso l’alto è possibile a condizione che la superficie dell’opera
in prossimità della sorgente non sia eccessivamente illuminata producendo l’effetto di ombre
proiettate verso l’alto. Se la fonte luminosa colpisce l’oggetto frontalmente in maniera diretta, i
dettagli plastici rischiano di essere sminuiti. In molti casi una buona soluzione consiste nel collocare
l’opera ad una certa distanza da una sorgente di luce naturale con un cono luminoso ampio.
Importante è la valutazione dell’originaria collocazione che era stata pensata per le opere: ad
esempio i bassorilievi egizi provenienti da contesti funerari devono essere illuminati con luce
radente, com’era quella delle torce che, in origine, ne consentivano la visione nel buio delle tombe.
Per quanto riguarda le sculture progettate per spazi aperti che per ragioni di conservazione vengono
in seguito poste all’interno di ambienti espositivi, è bene collocarle vicino a finestre o sotto
lucernari per simulare l’effetto della posizione originaria, in cui la variazione della luce era una
componete essenziale. La scultura fortemente modellata non può essere immersa in una luce
diffusa, che annulla o attenua l’effetto di chiaroscuro voluto dall’artista.
Per offrire allo spettatore la massima fruibilità e comprensione della scultura è opportuno eliminare
nella visione della stessa ogni forma di ambiguità. L’illuminazione delle gallerie d’arte deve essere
gestita da persone non solo dotate di competenze tecniche, ma che abbiamo anche una conoscenza
approfondita della storia dell’arte.

12. 4 Cenni di illuminotecnica

La configurazione spaziale dei musei è diventata materia non solo degli addetti ai lavori, curatori o
progettisti, ma anche del settore specialistico dell’illuminotecnica. L’odierna illuminazione museale
è frutto di una lunga evoluzione del pensiero storico sulla qualità della luce, sul modo in cui è
impiegata e sulle ipotesi di impiego complementare fra luce naturale e luce artificiale.
Ci sono 4 criteri che garantiscono in linea di massima una corretta illuminazione museale:
1. Conservazione delle opere: lo stato di conservazione delle opere in condizioni di illuminazione
naturale e artificiale;
2. Fruibilità: consentire all’osservatore di distinguere e riconoscere le opere d’arte;
3. Fruibilità dell’ambiente espositivo: consentire che gli osservatori possano circolare nell’ambiente
in ottimali condizioni di visibilità;
4. Minima intrusività dell’impianto d’illuminazione: progettare l’impianto di illuminazione
completamente nascosto e integrato nell’architettura dell’ambiente.

Oltre alla conoscenza delle opere da illuminare e dei materiali utilizzati bisogna tener presente
anche lo spazio espositivo a disposizione. Il tipo di illuminazione impiegata, oltre a essere in
relazione con l’opera, dovrà integrarsi in maniera non invasiva con l’allestimento e l’architettura
dell’ambiente. Per quanto riguarda le opere esposte sono fondamentali:
1. una fedele percezione delle luminanze che caratterizzano l’opera;
2. una resa cromatica ottica, specialmente nell’illuminazione di oggetti policromi;
3. l’assenza d’abbagliamento diretto o riflesso in tutte le posizioni d’osservazione previste.

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Per la sua capacità di plasmare superfici, modellare volumi, strutturare e delimitare spazi, la luce
diventa un mezzo costruttivo. Oltre a una valenza fisica, essa ha anche un potere emotivo. I
fenomeni fisici del colore, la pigmentazione e la luminosità possono essere studiati e razionalizzati,
ma è molto difficile trovare le leggi generali che spieghino il riflesso emotivo che persone diverse
hanno di fronte alla stessa realtà visiva. In questo l’arte gioca un ruolo importante in quanto la luce
ha avuto un peso notevole nelle diverse correnti artistiche. Esiste dunque un evoluzione del
linguaggio luminoso che diventa comunicazione attraverso la percezione visiva.

12.4.1 Luce naturale

La luce naturale viene in genere preferita perché riproduce le condizioni in cui gli artisti hanno
operato e per la resa dell’aspetto materico delle superfici degli oggetti. Una tematica da tenere in
considerazione è la pericolosità delle radiazioni luminose naturali (parallelamente a quelle emesse
da lampade fluorescenti) e i danni che i raggi ultravioletti possono causare alle opere d’arte.
Nel caso dell’illuminazione degli spazi espositivi d’arte la luce naturale ha effetti benefici sulla
fisiologia del visitatore, migliora la percezione cromatica degli oggetti restituendo all’osservatore
una migliore comprensione della tecnica dell’artista. Uno dei più antichi sistemi di illuminazione è
il lucernario, un’apertura vetrata nella parte superiore di uno spazio attraverso la quale viene
convogliata la luce naturale, che per la direzione verticale si definisce zenitale.

12.4.2 Luce artificiale

Il flusso luminoso emesso dalle fonti artificiali presenta due limiti di grande rilevanza:
1. La staticità nella visione agli occhi dell’osservatore;
2. La pericolosità del fascio luminoso per la conservazione del materiale esposto.
La luce artificiale può essere controllata direttamente e si può intervenire su alcuni valori, quali
l’intensità e la resa cromatica del fascio luminoso, rispetto all’imprevedibilità della luce del sole.
L’uso della luce naturale o artificiale è un aspetto centrale del dibattito sulla progettazione degli
ambienti espositivi. Dall’inevitabile conflitto tra esposizione e conservazione, sembra che prevalga
la preferenza verso la sorgente artificiale, sicuramente di più facile gestione.
Eppure l’affiancamento della luce naturale da parte di sorgenti artificiali si verifica sempre più
frequentemente per problematiche di conservazione legate alle esigenze crescenti di fruizione del
museo: l’apertura durante fasce orarie e periodi dell’anno con poca luce diurna.

12.4.3 Il fenomeno dell’abbagliamento

L’abbagliamento è una condizione della visione durante la quale si verifica un danno o una
riduzione della capacità di distinguere i dettagli di un oggetto a causa di una ripartizione non
favorevole delle luminanze. L’abbagliamento proviene da fonti luminose cge, oltre a illuminare
l’opera, colpiscono involontariamente o di rimando anche lo sguardo dello spettatore: si tratta
dell’abbagliamento indiretto che può essere causato dalle riflessioni d’emissione dei proiettori
posizionati per illuminare le opere. Il fenomeno dell’abbagliamento indiretto avviene quando il
centro luminoso e la superficie lucida sono posizionati in modo tale che gli occhi dell’osservatore
vengono colpiti dalla cuspide della luce riflessa, causando la visione nella tela di una macchia
luminosa che attenua e annulla i contrasti cromatici del dipinto e ne rende difficile la lettura.
Il controllo dell’abbagliamento indiretto è di fondamentale importanza per le opere bidimensionali
con superfici lucide come le pitture a olio e per opere protette da lastra di vetro.

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CAPITOLO 14 : LA COMUNICAZIONE MUSEALE
14.1 Il ruolo comunicativo del museo

La comunicazione dell’arte o della scienza può assumere varie forme, così come diversi possono
essere i modelli comunicativi applicabili in ambito museologico. Se il ruolo attuale del museo è
quello di essere un servizio al pubblico, esso deve essere rivolto a tutta la comunità e quindi
comunicare con essa. Riconoscere la portata sociale e culturale del museo significa aprire il campo
alla ricerca di strategie che assicurino la realizzazione dei fini di “studio, educazione e diletto”
definiti dall’ICOM (International Council of Museum). È questo interesse verso la funzione sociale
ed educativa che distingue il dibattito estero sui musei da quelli italiani; nel nostro Paese si è
tradizionalmente più impegnati nel campo della conservazione; ad una corretta tutela va fatta
seguire un’operazione di diffusione della cultura artistica e scientifica, affinché si crei un’intesa
profonda fra il museo e i suoi fruitori. Dall’affermarsi delle tendenze democratiche i musei sono
sempre stati accessibili al grande pubblico, sono perciò prodotti del contesto sociale, ma è tuttavia
pericoloso dare per scontato che sia loro garantito, senza un’evoluzione adeguata, un posto nella
società del futuro; se il loro scopo è quello di rendere un servizio alla società risulta fondamentale la
loro sintonia con l’ambiente che li circonda. L’effettiva funzione del museo è costituita dalla
comunicazione; tuttavia gli elementi fondamentali del processo comunicativo sono stati applicati
nel museo solo di recente.

14.2 Il processo della comunicazione: i modelli e le applicazioni al museo

Molteplici sono gli approcci allo studio del processo comunicativo; essi hanno dato vita a diversi
modelli interpretativi che, applicati al museo, consentono di delineare i principali orientamenti della
comunicazione verso il fruitore.

14.2.1 L’approccio semiologico

La comunicazione nell’approccio semiologico è il processo di significazione sotto il profilo


sintattico, semantico e pragmatico. Per de Saussure il segno è l’unione indissolubile di un
significante e di un significato, pertanto la comunicazione non si limita a trasmettere una serie di
dati fisici, ma con essi viene trasmesso un senso. Pensando a una lettura semiologica delle
esposizioni museali notiamo che nella comunicazione non è importante solo il segno, cioè l’oggetto
esposto, ma la sintassi, ossia la posizione di un reperto in una vetrina o su uno sfondo e l’intreccio
di relazioni fra gli oggetti. In un segno vi sono due livelli di significazione: la denotazione e la
connotazione. Prendiamo la parola colomba: la denotazione consiste nell’animale a cui si riferisce,
mentre la connotazione è quell’insieme di significati e valori aggiunti di cui il segno è portatore in
una determinata cultura, come il significato di pace. Il concetto di semiotica connotativa va tenuta
in considerazione in ambito museale in quanto diversi pubblici, in possesso di differenti codici
interpretativi, possono non comprendere allo stesso modo un oggetto o un’immagine. Comunicare,
dunque, non significa unicamente far arrivare un dato da una fonte a un destinatario, ma far arrivare
un senso.

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14.2.2 Il contributo della teoria dell’informazione

Shannon e Weaver formularono la teoria matematica della comunicazione che si fondava sulle
seguenti variabili: sorgente dell’informazione, emittente, canale di comunicazione, sorgente di
disturbo, messaggio, ricevente. Nelle mostre, l’oggetto viene comunicato secondo l’impronta del
curatore; nella fase di approccio ad esso intervengono fattori di disturbo non previsti che
condizionano il messaggio, la sua ricezione e l’elaborazione interpretativa. L’elemento
fondamentale per una valida trasmissione di informazioni è l’area di coincidenza (la
sovrapposizione tra il bagaglio culturale, emotivo dell’emittente e quello del ricevente)
nell’attribuzione dei significati da parte dei due attori della comunicazione. Alla comunicazione
come processo di trasmissione sono state mosse molte critiche, in quanto è un approccio molto
limitato.

14.2.3 L’approccio sociologico

Un approccio di tipo sociologico considera la comunicazione come realtà culturale anziché come
processo di trasmissione. In tale ottica la comunicazione diviene simile a un qualsiasi scambio di
valori sociali. I processi comunicativi sono quindi parte integrante della cultura, che diviene un
concreto sistema di significazione, per cui gli aspetti della vita sociale contribuiscono alla
costruzione del significato. I sociolinguisti inoltre sostengono che il pubblico museale dovrebbe
essere considerato come coautore, in quanto le risorse cui attinge definiscono anche ciò che esso
comprende: nel recepire i messaggi delle mostre il pubblico è creativo almeno quanto lo sono i
curatori nell’elaborare i messaggi stessi.
Da tutto ciò si comprende come il problema dei codici di comunicazione e dei codici linguistici sia
percepito in termini differenti dagli orientamenti teorici analizzati.

14.3 I media e il museo

14.3.1 L’uso dei mezzi di comunicazione: esperienza diretta ed esperienza mediata

Nel museo possiamo distinguere due livelli di comunicazione:

➢ comunicazione di orientamento o immediata: per orientare l’utente all’interno del museo;


➢ comunicazione culturale o mediata: per trasmettere i contenuti.

All’interno del museo si intersecano forme sempre mutevoli di interazione, non solo fra gli oggetti e
il contesto di allestimento, ma anche fra gli oggetti e i media impiegati.
McLuhan ha suddiviso i media in caldi e freddi, secondo la tipologia e l’intensità di coinvolgimento
del fruitore.
I media caldi esigono un forte impegno iniziale nella scelta dell’attività e dopo l’accesso offrono
condizioni ottimali per la partecipazione ed il coinvolgimento del fruitore (es. decidere di andare al
cinema o al museo). I messaggi devono essere ben chiari all’inizio (titolo del film, informazioni sui
contenuti del museo ecc.).
I media freddi, invece, sono quelli in cui l’accesso è molto facile (radio, televisione e, nel museo, la
visita guidata) e durante l’utilizzo richiedono particolari strategie rivolte a mantenere desta
l’attenzione e la partecipazione dell’utente.

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McQuail ha individuato otto modi in cui i media mettono in relazione l’uomo con la realtà:

➢ Una finestra sull’esperienza che ci fa osservare liberamente ciò che accade, senza interferire;
➢ Un interprete che spiega e da senso ad eventi altrimenti frammentari;
➢ Una piattaforma per informazioni e opinioni;
➢ Un legame interattivo che pone in relazione emittenti e riceventi tramite feedback;
➢ Un segnale diretto in una direzione con la funzione di guida o istruzione;
➢ Un filtro che selezione solo alcune parti dell’esistenza;
➢ Uno specchio che riflette sulla realtà un’immagine di sé stessa, con qualche distorsione;
➢ Uno schermo che nasconde la verità a scopo di propaganda o fuga dalla realtà.

Se l’effetto finestra o interprete sono positivi, l’effetto filtro, specchio o schermo sono
estremamente negativi; nel museo, ad esempio, possono essere ritenuti affini a questa categoria
l’insieme dei mezzi posti in atto nelle vecchie mostre etnografiche di matrice occidentale.
I mezzi, infatti, condizionano la concezione del mondo indipendentemente dai messaggi da essi
veicolati.

14.3.2 Tipologie di comunicazione nel museo

Nel museo, la comunicazione culturale può essere suddivisa in quattro differenti categorie. Le
prime due si avvalgono dei mezzi comunicativi tradizionali, mentre le ultime due ricorrono
all’ausilio delle nuove tecnologie:

1) la comunicazione simbolica: mappe illustrate, sistemi segnaletici, segni e icone (omini, scale,
porte ecc). Questo tipo di comunicazione organizza gli ambienti creando una corrispondenza tra
icone e luoghi;
2) la comunicazione scritta: si avvale di ausili informativi quali schede, guide, opuscoli, pannelli
ecc. Essa comprende:
- la comunicazione peritestuale, cioè gli apparati didascalici posti nelle immediate vicinanze
degli oggetti, utili per far sapere al fruitore il nome dell’oggetto, dell’autore, l’epoca di
realizzazione, le caratteristiche fisiche dell’oggetto;
- la comunicazione paratestuale, che include tutti i supporti comunicativi inerenti all’oggetto,
come i pannelli didascalici o anche gli elementi informativi fisicamente lontani, come libri,
filmati, CD-ROM. Si distinguono:
a) i pannelli didascalici;
b) le schede informative mobili che consentono una maggiore autonomia nella visita in
quanto, se disposte in numero adeguato all’ingresso di ogni sala, possono essere usate con
tempi e modalità individuali;
c) le brochures e le guide che illustrano tutte le caratteristiche dell’esposizione.

3) La comunicazione elettronica: audioguide, videoproiettori, lettori DVD e tutti quei dispositivi


attualmente usati per lo più a scopo esplicativo;
4) La comunicazione informatica: postazioni multimediali come info-points, work-stations, siti
internet.

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14.3.3 Codifica dei messaggi e contestualizzazione

Le scelte riguardanti la comunicazione diventano fondamentali e devono oscillare tra due livelli
paralleli, uno per il pubblico non preparato, l’altro per coloro che non necessitano un’introdizione
generica. In base alle strategie comunicative, una mostra può essere:

➢ Oggettuale: basata sulla forza dell’oggetto e sulla trasmissione delle sue qualità intrinseche;
➢ Tematica: basata su un approccio per associazioni e comparazioni;
➢ Concettuale: gli oggetti vanno utilizzati per trasmettere idee.

Alcuni esempi di buone pratiche comunicative sono:

➢ L’attuazione di percorsi tematici più semplici all’interno di una mostra di forte


caratterizzazione scientifica, con opportuni segnali ed icone sul percorso;
➢ L’attuazione di mostre tematiche trasversali e pluridisciplinari;
➢ Maggior attenzione nel far apprendere valori, atteggiamenti culturali estetici e il messaggio
generale della mostra piuttosto che i contenuti specifici;

Se i contenuti non vengono espressi chiaramente, le persone di basano su criteri di associazione


basati sulla soggettività e sulla percezione visiva e l’effetto percepito dal pubblico può non
corrispondere alle intenzioni dell’organizzatore.
Nel museo archeologico o paleontologico va operata una ricontestualizzazione degli oggetti,
attraverso scenografie o ambientazioni, per creare indizi e suggestioni che stimolino il fenomeno
dell’insight affinché ciascun fruitore possa avere una percezione immaginativa dei luoghi antichi in
cui si trovavano gli oggetti esposti nel museo.

14.3.4 Comunicazione e percezione nel museo: l’insight e il riconoscimento

Di particolare rilievo nell’ottica museale è l’insight, ossia la capacità di appercezione (processo di


inserimento delle percezioni umane nel complesso delle esperienze precedenti) con cui elementi o
informazioni singole si ricompongono e definiscono un nuovo campo di significato. Esso è quel
tipo di intuizione che consente di legare gli elementi percepiti in un significato di livello superiore.
Nel museo la fissità e l’abitudine sono ostacoli a questa ricerca di nuovi apprendimenti e nuove
soluzioni. Spesso il forte impatto di formalità, unito alla difficoltà di comunicazione per assenza di
intersezione di repertori o mondi culturali, non favorisce un rapporto positivo con i pubblici: la
Pietà di Michelangelo ha un grosso impatto forntale positivo, ma già per la Pietà Rondanini, in
qualche modo più concettuale, deve essere valutata la componente di minore comunicabilità.
Il tema del riconoscimento è un altro codice comunicativo di estrema importanza in ambito
museale. Il fenomeno, di matrice cognitivo-emotiva, è costituito dall’impressione di familiarità che
a volte le persone trovano in un oggetto e che fornisce un appiglio per continuare il percorso con
uno stato d’animo positivo. Su questa falsariga va letto il crescente consento che si sta creando
attorno ad esposizioni che, offrendo una chiave di lettura dell’antico in termini di vissuto
quotidiano, consentono ad ogni tipo di pubblico di avvicinarsi con sufficiente soddisfazione ai
contenuti conoscitivi proposti. Il fenomeno del riconoscimento è reputato significativo anche in
ambito costruttivista: si sottolinea l’importanza per il visitatore di essere in grado di associare la
situazione educativa con la propria esperienza pregressa. Secondo Hein è molto difficile riuscire ad

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imparare qualcosa se non si riesce ad associarlo a categorie familiari per cui le mostre dovrebbero
esporre, almeno nella fase introduttiva, oggetti riconoscibili per forma o funzione.

14.4 La comunicazione nel museo contemporaneo


14.4.1 Aspetti della comunicazione museale

Greenhill ha ribadito la necessità di guardare la comunicazione museale in una visione d’insieme,


considerando gli elementi e le azioni che incidono sull’immagine esterna del museo e
sull’esperienza museale. Questi includono l’edificio, i suoi caratteri interni ed esterni, l’impronta
gestionale, l’attenzione data al comfort e quella rivolta all’esperienza di visita. Importante, oltre alla
comunicazione sul posto (on site), è anche quella al di fuori del museo (off site) che include le
relazioni stabili con i media locali e nazionali e la attività all’esterno del museo (outreach).

14.4.2 Il museo relazionale e il circuito comunicativo: l’approccio al pubblico

Parlare di comunicazione e di ruolo sociale del museo nel nostro Paese comincia solo adesso ad
assumere una connotazione di vera e propria innovazione. Molti direttori museali restano ancora
attaccati al modello classico, sono riluttanti a metodi sperimentali e innovativi e reputano il museo
una sorta di contenitore espositivo: non è stato ancora introdotto il concetto di museo come luogo,
oltre che culturale, di divertimento.
Il problema centrale del circuito comunicativo è costituito dalla diversa ricettività concettuale dei
vari tipi di pubblico. La prima sfida che il museo deve vincere con il pubblico è quella di
contrastare il senso di inadeguatezza che coglie il visitatore. Approfondendo e allargando le proprie
funzioni, i musei possono sviluppare rapporti creativi e innovativi con i loro pubblici.
Lo scopo principale delle indagini sul pubblico dovrebbe essere quello di individuarne le specifiche
identità per poter poi valorizzare adeguatamente le singole necessità e proporre modelli ad hoc
anche in materia di comunicazione. Il museo può così diventare sempre più parte attiva del sociale
ed aprirsi all’intrattenimento e al tempo libero, valorizzando la flessibilità della comunicazione
anche con un’apertura nei confronti dei nuovi metodi narrativi, plurisensoriali o multimediali, in
quanto il suo pubblico diventa sempre più ampio, vario ed esigente.

14.4.3 L’approccio costruttivista alla comunicazione museale

Per una mostra allestita secondo un orientamento costruttivista, in base al quale ciascun visitatore
deve poter costruire liberamente la propria conoscenza all’interno del museo, si dovrebbero seguire
i seguenti principi:

➢ Mettere i visitatori a proprio agio;


➢ Fornire una vasta gamma di modi di apprendimento;
➢ Stratificare l’informazione secondo diversi livelli;
➢ Integrare nuovi paradigmi comunicativi (la comunicazione mediata dalla tecnologia) con
quelli narrativi;
➢ Non sovraccaricare i visitatori, ma distribuire le informazioni i modo equilibrato;
➢ Potenziare gli strumenti per la fruizione individuale.

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14.4.4 Dinamiche innovative della fruizione: l’approccio pluri-sensoriale

L’approccio plurisensoriale, poco diffuso in Italia, costituisce un’opportunità unica di progresso.


Le visualizzazioni didattiche attraverso scenografie ed ambientazioni servono a creare indizi e
suggestioni affinché ciascun fruitore possa avere una percezione immaginativa, ad esempio, dei
luoghi antichi. L’introduzione di elementi olfattivi e sonori anche con tecniche interattive ha
incrementato questo tipo di fruizione emotiva. Per quanto riguarda l’esplorazione tattile, mentre in
America e in diverse nazioni europee sono presenti nei musei sezioni o intere esposizioni tattili, in
Italia l’antico divieto di toccare le opere d’arte esiste ancora, anche se si sta lentamente facendo
strada una visione più flessibile (esempi sono il Museo Tattile Statale Omero di Ancona o i
percorsi tattili del Museo Egizio di Torino).

14.4.5 Esposizioni museali ed esposizioni temporanee

Nell’ambito dell’attività di comunicazione del museo rientra l’organizzazione di mostre


temporanee, supporto fondamentale per adempiere alla funzione educativa e valido strumento di
ricerca.La sala de museo è un ambito delicato in cui la comunicazione si confronta continuamente
con il problema dell’allestimento, per cui è fondamentale l’interazione fra varie professionalità
museali nelle fasi di progettazione generale e di organizzazione degli spazi: si tratta di un momento
importante, che può condizionare l’immagine non solo comunicativa ma anche educativa del
museo.
L’efficace coordinamento permette di far arrivare il messaggio sul territorio favorendo la
conoscenza dell’evento e la visita al museo che ospita la mostra. A differenza di altre nazioni
europee e degli Stati Uniti, dove è del tutto normale che le mostre nascano per valorizzare le
collezioni, in Italia le mostre-evento si sono moltiplicate a partire dagli anni Ottanta, in netta
separazione dall’istituzione museale. La situazione nel tempo si è andata evolvendo e anche in Italia
sono state organizzate mostre strettamente legate alle collezioni del museo, in alcuni casi
particolarmente efficaci sia per l’importanza della ricerca che per la capacità di attrarre un pubblico
diverso: ricordiamo, ad esempio, l’esposizione su Raffaello della Galleria Borghese di Roma che,
esaltando il restauro della Deposizione, ha costruito una mostra che ha avuto una risonanza
internazionale. Organizzare una mostra legata alle collezioni del museo può valorizzare:
➢ Una o più opere confrontandole con altre dello stesso autore o con disegni preparatori;
➢ Un dipinto dopo il restauro, evidenziandone tutte le fasi;
➢ Un’opera in genere conservata nei depositi.

Il museo può anche scegliere di privilegiare l’organizzazione di mostre non necessariamente legate
alle collezioni permanenti.
In entrambi i casi, si tratta di esposizioni la cui gestione organizzativa è strategica per il museo, in
particolare perché lo caratterizza come museo dinamico e aperto verso il pubblico. In genere, infatti,
le mostre temporanee dei musei sono ben accolte dal pubblico che accorre più numeroso ed è
stimolato dal fatto di trovarsi di fronte ad un evevento irripetibile.

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CAPITOLO 15: L’EDUCAZIONE MUSEALE
15.1 Il ruolo educativo del museo

L’educazione museale fa parte di un ambito più vasto che si può definire esperienza museale. Il
primo elemento dell’esperienza museale è il varcare la soglia e afforntare il rapporto percettivo con
gli ambienti e con gli oggetti, con cui si instaura il rapporto comunicativo. Esso avviene attraverso
diverse modalità: quella spontanea, che parte dall’oggetto stesso, e quella mediata dai comunicatori
del museo.
Il museo è un’istituzione permanente aperta al pubblico che compie ricerche sulle testimonianze
materiali e immateriali dell’uomo, le comunica e soprattutto le espone a fini di studio, di educazione
e di diletto. L’educazione è quindi una finalità.
La finalità dell’educazione museale è che il patrimonio venga interiorizzato dal pubblico come
valore. Maggiore è oggi l’importanza del ruolo dell’educazione nel dare forma alla mission e agli
intendimenti statutari dei musei. In quest’ottica una riflessione analitica sulle teorie
dell’apprendimento e sugli approcci comunicativi è stata condotta dalla museologia anglosassone.
L’evidenza più importante che emerge è l’attenzione ai visitatori, o meglio, ai pubblici, e al
significato che essi attribuiscono alla propria esperienza ed al loro comprendere e capire.
L’azione educativa al museo non consiste solo nella comunicazione dei contenuti culturali e
simbolici del museo, o nell’insieme di azioni ed eventi per attuare e consolidare un rapporto diretto
con il pubblico e la struttura museale; in tempi più recenti è stato riconosciuto anche il valore
educativo del museo come riscoperta delle radici di una comunità.
Greenhill ha paragonato l’intero territorio museale ad uno spazio educativo, sottraendo questo ruolo
alla localizzazione laboratoriale; questo comporta un’accentuazione del ruolo di responsabilità
sociale del museo, in cui sono coinvolti direttori, curatori, insegnanti, associazioni che gravitano
attorno a questa istituzione.
L’educazione museale ha quindi dovuto rivolgersi anche a teorie sull’apprendimento ed alla
sociologia. Secondo Greenhill attualmente il ruolo educativo del museo consiste in una “pedagogia
critica applicata al museo”, ossia un approccio che rivede e sviluppa i propri metodi, le proprie
strategie con riferimento all’eccellenza educativa, intesa non solo come qualità ma anche come
apertura effettiva alla collettività.

15.2 Educazione e apprendimento nel museo: teorie e modelli cognitivi


15.2.1 Teorie e modelli cognitivi

Non si può parlare di comunicazione ed educazione museale senza prima conoscere a grandi linee
le teorie dell’apprendimento. Esso è l’acquisizione di una o più cognizioni di ordine teorico o
pratico, è un processo psichico mediante cui l’esperienza modifica il comportamento animale o
umano. Le teorie e i modelli cognitivi cercano di spiegare e definire come si riesce ad apprendere. I
modelli cognitivi sono basati su due componenti principali: le teorie sulla conoscenza, che studiano
la natura di cosa apprendiamo, e le teorie sull’apprendimento, che studiano come apprendiamo.
Hein ha efficacemente riassunto in un diagramma queste teorie, ponendo sulle ascisse le teorie
sull'apprendimento e sulle ordinate quelle sulla conoscenza, per giungere a delineare i modi in cui
esse si combinano nel contesto del museo e influiscono sull’apprendimento dei visitatori.

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Le teorie sulla conoscenza sono ordinate rispetto al grado di oggettività: dallle idee di ascendenza
platonica, rappresentazione della conoscenza a priori e oggettiva, fino alle linee di pensiero che
negano l’esistenza di nozioni e concetti oggettivi.
Le teorie sull’apprendimento si differenziano rispetto a quanto considerano il discente una figura
attiva nel processo: dall’apprendimento visto come aggiunta di nozioni ad una mente inizialmente
tabula rasa in cui il discente è totalmente passivo fino alla teorizzazione dell’autonoma costruzione
del significato delle nozioni apprese da parte dello studente.
Nel diagramma di Hein compaiono, all’interno dei quadranti, i modelli cognitivi come interseziini
possibili delle teorie sull’apprendimento e sulla conoscenza:

15.2.2 Il comportamentismo

Nel 1913 Watson introdusse la nozione di comportamentismo. Far apprendere qualcosa a qualcuno
significa indurre in lui un comportamento desiderato, tramite il condizionamento operante.
Skinner parla di rinforzo positivo quando l’insegnante ottiene che lo studente si comporti secondo
un determinato criterio dandogli degli stimoli; la gratificazione che lo studente ottiene dopo la sua
risposta esatta lo incoraggia a ripetere il comportamento che l’ha generato. Lo studente, quindi,
impara a comportarsi in un certo modo perché inconsciamente ha il desiderio di ottenere il rinforzo.
La critica più frequente mossa al comportamentismo è quella di trascurare le cause interiori del
comportamento. In questo modello tutti gli obiettivi didattici sono imposti dall’insegnante. Non c’è
interesse per la motivazione del singolo né attenzione per le differenze nei modi di apprendere
individuali.

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15.2.3 Il cognitivismo

Nella prospettiva cognitivista l’acquisizione della conoscenza ha carattere costruttivo,


l’informazione viene connessa a informazioni già presenti nella memoria a lungo termine e la
costruzione è influenzata dal modo in cui la costruzione precedente è strutturata. L’apprendimento
perciò è costruzione attiva da parte del soggetto.
Nell’ottica cognitivista l’apprendimento attraverso l’esperienza museale si realizza attraverso la
possibilità di scegliere, fra un ventaglio di strategie e percorsi, quello più opportuno al compito che
ci si è prefissi. Il cognitivismo inoltre riconosce il legame fra apprendimento e memoria: in questa
prospettiva, le esposizioni museali che, nel presentare una nuova informazione, evocano
associazioni alla memoria a lungo termine, possono ottenere il risultato cha la nuova informazione
sia più ricca di significato.

15.2.4 Il costruttivismo

L’attività organizzatrice della mente si avvale di schemi in cui si collocano i nuovi dati e che da
essi vengono continuamente trasformati. Viene dunque superata la visione dell’apprendimento
come un trasferimento di conoscenze dall’insegnante alla mente dello studente. L’allievo diviene il
centro del processo: è lui che interagisce con oggetto ed eventi e da questa interazione impara le
loro caratteristiche. Viene incoraggiato lo studio autonomo e la libera iniziativa.
Per i musei questo si traduce nel focalizzare l’attenzione sul visitatore, non sul contenuto del museo.
L’apprendimento viene visto come un’attività collaborativa, in cui si costruisce il significato dei
nuovi concetti attraverso il confronto con prospettive differenti.

15.2.5 Le teorie dell’educazione secondo i quadrati dei Hein

Lezione tradizionale  l’insegnante ha due responsabilità: deve comprendere la struttura


dell’argomento che deve essere insegnato e deve presentarlo in modo adeguato, affinché lo studente
possa imparare. L’insegnante presenta il materiale in una sequenza logica, cominciando dagli
elementi più semplici e procedendo verso i più complessi finché tutto il campo viene coperto.

Apprendimento per scoperta  le persone costruiscono da sé la conoscenza e giungono a realizzare


concetti ed idee in maniera progressiva utilizzando connessioni personali. Per poter apprendere essi
devono fare e vedere anziché stare a sentire.

Posizione comportamentista  è basata sulla convinzione che la conoscenza si acquisisce per


accumulo, attraverso risposte agli stimoli.

Approccio costruttivista sostiene che sia la conoscenza che il modo in cui essa è acquisita
dipendono dalla mente del discente. Si costruiscono la conoscenza a mano a mano che imparano e
riorganizzano costantemente ciò che è stato appreso.

15.2.6 La teoria delle intelligenze multiple

Un orientamento di ricerca sull’apprendimento sempre più utilizzato in ambito museale è la teoria


delle intelligenze multiple, elaborata da Gardner, che individua, oltre all’intelligenza logico-
matematica e al linguaggio, altre sei tipologie intellettive: l’intelligenza spaziale, musicale,
cinestetica, interpersonale, intrapersonale e naturalistica.

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Il museologo, applicando gli studi di Gardner, dovrebbe il più possibile cercare di costruire una rosa
di opportunità espositive che non trascuri nessuna delle possibili categorie di apprendimento: ciò
implica una personalizzazione dell’insegnamento.
Se ogni fruitore ha un particolare schema di apprendimento, esperienze di mostre multisensoriali
potrebbero facilitare un’ampia gamma si esperienze educative.

15.2.7 Tipologie di museo organizzato sulle linee-guida delle diverse teorie cognitive

 Museo organizzato secondo le linee di apprendimento didattico tradizionale  l’esposizione è


consequenziale, con un inizio e una fine ben chiari e un ordine stabilito; le componenti didattiche
(pannelli, didascalie) descrivono i contenuti da apprendere; programmi educativi con specifici
obiettivi determinati dal contenuto che deve essere appreso.

 Museo organizzato secondo le linee di apprendimento comportamentista  l’esposizione è


consequenziale, con un inizio e una fine ben chiari e un ordine stabilito; le componenti didattiche
(pannelli, didascalie) descrivono i contenuti da apprendere; le mostre possono avere delle
componenti di rinforzo che inducono nel visitatore la risposta appropriata.

 Museo organizzato secondo le linee di apprendimento per scoperta  esposizioni che


incoraggiano l’esplorazione; vasta gamma di modi attivi di apprendimento; mostre non lineari.

 Museo organizzato secondo le linee di apprendimento costruttivista richiede la partecipazione


attiva dei discenti e include momenti per interagire con il mondo, per manipolarlo, per
sperimentare ed incrementare la conoscenza; stabilire percorsi e proporre tracce di attività che
abbiano attinenza con i percorsi intellettuali del fruitore, con le sue motivazioni, i suoi interessi e
le linee di studio.

15.3 Educazione ed apprendimento nel museo: gli orientamenti della ricerca

Nel secondo dopoguerra si diffonde, in ambito internazionale, una nuova sensibilità volta a
promuovere la conoscenza dei musei presso il grande pubblico. Nel 1951 si svolge a Parigi una
riunione congiunta UNESCO e ICOM che apre il dibattito sulla funzione educativa del museo.
Giulio Carlo Argan sottolinea la necessità di sviluppare sul piano locale, nazionale e internazionale
la funzione educativa del museo, da realizzarsi in cooperazione con il mondo della scuola.
Nel Convegno UNESCO svoltosi a Brooklyn nel 1952 e in quello del 1954 ad Atene viene ribadita
l’importanza del ruolo educativo del museo: conservazione, ricerca ed educazione vanno collocate
sullo stesso piano. Negli anni ‘70 si fa strada una maggiore consapevolezza dell’esigenza di una
pratica educativa mirata da parte dei musei; nel 1971, nel corso del convegno Il museo come
esperienza sociale, si studiano i mezzi più adatti per avvicinare il museo al pubblico a fronte della
profonda trasformazione delle strutture sociali e della massificazione della cultura. Nell’arco di
alcuni anni vengono costituite sezioni didattiche nei più importanti musei italiani, ma, salvo poche
eccezioni, la didattica museale non assume il giusto rilievo all’interno delle istituzioni.

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15.3.1 La prospettiva italiana

Il museo italiano ha maggiormente rivolto le sue proposte didattiche al mondo della scuola, con
l’appoggio di approfonditi studi pedagogici che utilizzano diversi indirizzi metodologici in linea di
massima afferenti a due diversi orientamenti, uno prevalentemente più nozionistico e l’altro più
ludico. Al primo orientamento si ricollegano gli approcci di tipo storico o tecnico-pratico, mentre al
secondo tutte quelle esperienze che, partendo dall’opera, approdano ad attività creativo-espressive.
Il dibattito sulla didattica in Italia, però, risente di una difficoltà intrinseca nella collaborazione
operativa fra gli ambienti teorici della pedagogia e della didattica da un lato e il mondo dei musei
all’altro, nella pratica della strutturazione di programmi, di azioni e proposte educative. Alla
difficile comunicazione fra i due ambiti si aggiunge spesso, a livello territoriale, la mancanza di
condivisione di intenti, strategie operative o esperienza fra i musei della medesima area geografica.
A parte alcuni esempi, in diversi casi è difficile riscontrare un coordinamento a livello locale fra
istituzioni o sistemi museali sul territorio.
Analizziamo ora i più significativi approcci pedagogici alla didattica museale:
Vertecchi sottolinea che l’intento prioritario della didattica museale deve essere quello di favorire la
formazione di prerequisiti il cui valore possa esercitarsi in qualsiasi contesto museale. I prerequisiti
possono essere utile al fruitore per un approccio futuro a vari tipi di musei. Bisogna far si che
l’esperienza museale si traduca in un’attività ratificante per chi l’ha compiuta, nonché in una
modalità che qualifichi il comportamento individuale. Vertecchi inoltre distingue la divulgazione,
che attrae indifferentemente diverse fasce di pubblico, dalla proposta didattica, che partendo da
prerequisiti individuali giunge ad obiettivi precisi e verificati a posteriori.
Secondo Ermanno Mazza, basandosi su riferimenti teorici solidi si devono individuare procedure
metodologiche serie e impegnative, ma anche coinvolgenti; strategie che non vedano i ragazzi solo
o prevalentemente come destinatari dell’azione didattica, ma come partners; un’azione che veda
valorizzato il patrimonio cognitivo dei ragazzi e miri a farlo evolvere.
Nardi, invece, afferma che il compito della didattica è consentire il passaggio concettuale
dall’eterogeneità del museo come Wunderkammer, luogo affascinante ma al di là delle possibilità
cognitive dell’allievo, al museo come sineddoche, ossia come un percorso opportunamente
ritagliato, quanto ai contenuti e quanto al metodo, sugli obiettivi che ci si propone di raggiungere.

15.3.2 L’approccio anglosassone: il modello contestuale di apprendimento

In ambito americano ed anglosassone sono stati da tempo elaborati dei modelli di apprendimento
museale che spiegano i processi in un’ottica prevalentemente sociale.
Un approccio complesso ma sicuramente efficace è quello proposto da Falk e Dierking, che vedono
l’apprendimento nel museo al centro di un processo che si articola intorno a tre dimensioni che si
intersecano continuamente: contesto personale, contesto fisico e contesto socio-culturale.
Il contesto personale si basa su tutte le esperienze che il visitatore porta con sé al museo, le quali
fingono da tramite per capire le cose nuove; esso comprende le emozioni, l’interesse e le aspettative
che vanno soddisfatte tramite la visita.
Il contesto socio-culturale sottolinea l’importanza dell’interazione del visitatore con altre persone,
che possono appartenere al gruppo con cui effettua la visita, ma comprende anche il rapporto che si
stabilisce con l’esperto o la guida. L’apprendimento collaborativo è fondamentale poiché influisce
in maniera positiva sull’esperienza personale.

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I primi due aspetti del contesto fisico (la segnaletica ed orientamento e l’allestimento) servono a
mettere a proprio agio il visitatore, determinando l’esito finale della visita: ad esempio una
segnaletica confusa all’interno del museo rischia di scoraggiarlo nel proseguire. Studi effettuati
dagli autori evidenziano come le persone apprendano meglio quando si sentono a proprio agio
nell’ambiente. Il terzo aspetto del contesto fisico, l’esperienza, è l’elemento più importante; spesso
è difficile dire esattamente che cosa una persona ha imparato in un museo.
I due ricercatori offrono esempi di individui che, settimane dopo la visita, vedono una cosa per
strada e sanno come funziona perché l’hanno vista all’interno del museo; ciò produce in loro un
impatto diverso che aggiunge nuova esperienza e conoscenza a quella già acquisita.
Che il museo abbia un compito educativo nei confronti di chi lo visita è ormai un concetto
ampiamente recepito.
Questa funzione, però, anche se mediata attraverso un’opportuna selezione del materiale ed
accorgimenti espositivi, rientra sempre in una sfera di soggettività, nel senso che, stabilendosi un
rapporto diretto tra il visitatore e le opere, ciò che esse trasmettono diventa esclusivamente
personale.
Falk e Dierking forniscono inoltre suggerimenti sul miglioramento dell’esperienza museale e nuovi
indirizzi di ricerca sull’insegnamento e l’apprendimento dell’arte: ritengono che l’apprendimento
possa avvenire ovunque e sempre. Secondo i due ricercatori, l’esperienza museale interattiva
consiste nella sovrapposizione di contesto personale, fisico e sociale che produce la nutrita varietà
di esperienze dei visitatori.

Secondo Falk e Dierking i fattori che favoriscono l’apprendimento sono:

➢ una motivazione forte;

➢ l’appagamento delle nostre aspettative;

➢ l’aggiunta di una conoscenza e un’esperienza nuove a quelle già acquisite;

➢ la possibilità di realizzare qualcosa e la coscienza della sua fattibilità;

➢ l’assenza di paura o preoccupazioni;

➢ la possibilità di scegliere delle attività e di poterle controllare.

15.3.3 Educazione ed apprendimento museale di tipo costruttivista: il concetto di free-choice


learning

Nel museo costruttivista il significato non è trasmesso dallo specialista al non specialista attraverso
metodi di insegnamento lineari: il metodo costruttivista offre al visitatore l’apprendimento a scelta
libera (free-choice learning). Da studi effettuati in America emerge il fatto che alcuni tipi di
visitatori preferiscono le mostre con ambienti organizzati, altri prediligono le situazioni di scelta
libera, ma ciò dipende anche dalle ragioni per cui vanno al museo ed in compagnia di chi vanno.

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15.3.4 Interpretazioni dell’apprendimento museale

Secondo Hein:

➢ le esposizioni complesse e difficili incutono timore e rispetto nel visitatore, ma non


comprensione del significato;
➢ i diversi stili di mostre inducono diversi modi di rispondere e gli adulti e i bambini
rispondono in modi diversi;
➢ le mostre funzionano meglio quando sono correlate agli interessi prioritari dei visitatori.

Perry indica che una soddisfacente visita al museo, in grado di produrre apprendimento, dipende da
sei fattori:

1) curiosità: il visitatore è sorpreso e intrigato;


2) confidenza: il visitatore ha un senso di competenza;
3) sfida: il visitatore percepisce che c’è qualcosa con cui confrontarsi;
4) controllo: il visitatore mantiene la consapevolezza della propria persona;
5) gioco: il visitatore sperimenta i piaceri dei sensi e del gioco;
6) comunicazione: il visitatore si addentra in interazioni sociali ricche di significati.

15.4 Educazione e comunicazione nel museo


15.4.1 Il museo come luogo di mediazione

Il museo è stato denominato luogo di mediazione culturale, in quanto funge da ponte tra gli oggetti
in esso contenuti e i visitatori. Questa mediazione avviene in primo luogo tramite il bene culturale,
in quanto esso è comunicatore di sé stesso, in secondo luogo per mezzo di tutto ciò che concerne
l’allestimento; infine la mediazione passa attraverso l’educatore museale.
Il significato del termine educatore varia se è riferito a un contesto formale piuttosto che informale.
Nell’educazione formale il processo educativo è guidato dalla persona che insegna, è programmato
certificato e obbligatorio.
Nell’educazione informale, invece, il processo di apprendimento è auto-condotto da chi apprende;
sue sono le scelte dei modi e dei tempi, le offerte sono debolmente strutturate o non strutturate.
Nell’apprendimento informale quindi l’educatore deve assumere il ruolo di mediatore e non di
insegnante.
È fondamentale avere all’interno dei musei delle figure che si prendano cura del pubblico, i
cosiddetti audience advocates, che si trasformano in facilitatori, capaci di far nascere nel visitatore
quesiti e insieme aprire un dialogo seguendo non la propria logica ma quella dell’altro. L’educatore
ha il ruolo di facilitare l’esperienza incoraggiando il pubblico ad un coinvolgimento attivo
nell’attività museale. Queste guide non conducono i visitatori attraverso il museo ma sono
disponibili nelle gallerie delle mostre per coloro che vogliono fare domande o iniziare un dialogo
con e sulle opere. Questo servizio mira a incoraggiare le persone a considerare l’arte dal proprio
punto di vista piuttosto che effettuale un convenzionale percorso attraverso il museo. La
conversazione personale con la “giuda per la discussione”, rispetto alla visita guidata, è molto più
alla pari fin dal principio, simile a qualunque discussione fra individui; essa può aiutare attivamente
i visitatori a fare uso delle proprie esperienze e delle proprie conoscenze. Un fenomeno negativo

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che si può verificare è che l‘animatore, o per un’organizzazione troppo rigida delle visite e dei
laboratori o per mancanza di formazione, adotti uno stile troppo didattico. Questo è da evitare
perché non permette al visitatore di scegliere e poi seguire liberamente il proprio itinerario basato
sulle proprie curiosità e invece lo forza a seguire l’itinerario dell’animatore.

15.4.2 Approccio cognitivo ed approccio emotivo

La mente umana apprende attraverso due tipi di approccio:

➢ approccio cognitivo, in cui l’informazione viene assimilata intellettualmente,


concatenandosi con la serie di cognizioni acquisite precedentemente;
➢ approccio emotivo, che fa leva sui ricordi, sentimenti, esperienze vissuti in passato.

L’oggetto esposto, se collegato strettamente alla sfera emotiva oltre che a quella cognitiva del
visitatore, attiverà in quest’ultimo un processo che si svilupperà sul piano più intimo e
personalizzato del riconoscimento. Tale fenomeno è un vero e proprio imprinting, in quanto, come
una sorta di flash, riordina immediatamente in una serie coerente e significativa una zona nebulosa
della nostra conoscenza. Quindi si può dire che la didattica museale e il museo contribuiscono a
creare un’identità culturale, a patto che si trovi un equilibrio fra le componenti emozionali e
cognitive proprie della visita al museo. Nel progettare un percorso educativo all’interno del museo
si dovrebbe partire sempre dall’approccio emotivo, soprattutto quando il pubblico a cui ci si rivolge
è composto da bambini, in quanto la loro sete di conoscenza scaturisce dalla curiosità per le cose
nuove.

15.4.3 La visita guidata e la comunicazione verbale

Nella comunicazione ed educazione museale un ruolo importantissimo è la figura della guida e il


suo tradizionale operato: la visita guidata. Per cercare di rendere la visita guidata educativa bisogna
percepirla come un processo di comunicazione attiva tra chi trasmette (il museo) e chi riceve (il
visitatore), quindi il compito della guida consiste nel delineare esperienze educative sia in base al
contesto in cui tali esperienze hanno luogo, sia stimolando la partecipazione attiva adottare uno stile
troppo didattico, cioè troppo vicino a quello di una lezione scolastica.
Bisogna coinvolgere l’utente nella discussione dell’oggetto tramite un dialogo fatto di domande e
risposte. Le domande possono essere concepite in due modi:

1) domande chiuse, ovvero quesiti con cui rispondere con un semplice sì o no;

2) domande aperte, che richiedono da parte del visitatore l’attivazione di un processo di riflessione e
l’uso di capacità critiche, immaginazione, emozione e l’attenta osservazione dell’oggetto. Questo
tipo di domande danno la possibilità di reagire , pensare e usare la propria capacità per capire
l’oggetto preso in esame, ascoltare le nuove informazioni ed essere coinvolto. Le domande aperte
incoraggiano ad esprimere opinioni personali e a utilizzare conoscenze già acquisite.
Bisogna abbandonare il radicato approccio informativo, il riversare sul visitatore informazioni
erudite e nozionistiche considerandolo un contenitore vuoto, per guardarlo come interlocutore .
Il comunicatore-educatore museale deve dunque fornire gli strumenti per favorire
un’interpretazione personale, deve negoziare tra i significati elaborati dai visitatori e i significati
elaborati dai musei.

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15.4.4 I pubblici

Esistono diverse tipologie di pubblico. Questo riconoscimento è avvenuto prima nelle società di
ascendenza coloniale, tradizionalmente multietniche, che inglobano minoranze di culture religiose e
sociali differenti. La tipologia museale che ha accelerato tale scoperta è sicuramente il museo
etnografico che ha evidenziato la difficoltà di esporre secondo categorie mentali “occidentali”
oggetti di culture diverse. Le etnie, le consuetudini sociali e le religioni non costituiscono tuttavia i
soli parametri di differenziazione dei pubblici. Le tradizionali categorie in cui vengono suddivisi i
visitatori (bambini in età scolare, adolescenti, adulti) sono frammentate in più sottogruppi: anziani,
visitatori, diversamente abili, famiglie.
I bambini e gli adolescenti sono da considerare pubblici diversi se sono in visita con la scolaresca o
con i genitori; gli stessi adulti hanno un approccio differente a seconda di con chi vanno al museo.
Altre nuove comunità di visitatori soo attualmente prese in considerazione dai programmi educativi
di alcuni musei, come ad esempio il visitatore che non ha molto tempo a disposizione per il quale si
studiano percorsi specifici in cui viene indicata anche la durata del percorso.
Negli studi sui visitatori di matrice anglosassone sono stati usati negli anni metodi di osservazione
diversi: analisi dei tragitti effettuati e tempo impiegato, questionari, interviste, focus groups, studio
delle dinamiche interne al gruppo familiare che si reca al museo. L’analisi delle motivazioni della
visita e il resoconto sulla percezione complessiva del museo sono punti imprescindibili del lavoro di
monitoraggio. Nonostante tutto, il servizio educativo nei musei italiani, fatta eccezione per alcuni
esempi, offre un’ampia gamma di opportunità soltanto al pubblico scolastico. Il compito del museo
è, invece, quello di supportare e incoraggiare differenti categorie di fruitori e per ciascuna di queste
categorie ha il dovere di rendere le sue collezioni comprensibili e interessanti. L’istituto museale
deve essere considerato come luogo dove sono garantite pari opportunità che consentono un diritto
d’accesso per tutti.
Si può operare una nuova distinzione e raggruppare le varie categorie di fruitori in due insiemi:
utenza scolastica e utenza non scolastica. Nel primo caso l’attenzione viene focalizzata su un
gruppo omogeneo, la classe. L’utenza scolastica comprende un’ampia fascia di età che va dai 4 ai
18 anni e le problematiche si differenziano a seconda del livello di scuola con il quale si va ad
interagire. Nel caso dei bambini, in cui la voglia di mettersi in gioco e l’intraprendenza sono doti
innate, il principale ostacolo da superare è quello di far abbandonare il metodo scolastico
tradizionale, specificando che nella discussione non esistono risposte giuste o risposte sbagliate.
Il pubblico adolescenziale rappresenta la fascia critica di fruitori museali in quanto lo sviluppo
interiore che i ragazzi stanno vivendo si traduce in ansia, timidezza, senso di non appartenenza ad
un gruppo, inadeguatezza; questi stati d’animo diventano una sorta di ostacolo per gli operatori
museali. Nel momento dell’approccio diretto con l’oggetto museale è opportuno cercare di
incoraggiare la discussione. I processi di rielaborazione e verbalizzazione delle emozioni messi in
atto nei musei si indirizzano, nelle persone di giovane età, verso un processo di consapevolezza e
costruzione dell’identità.
L’utenza non scolastica comprende una vasta gamma di persone di ogni età. In questa fascia rientra
quella tipologia di pubblico che in Italia, fatta eccezione per alcuni musei, viene un po’ trascurata:
la famiglia. Il più delle volte essa è composta da due adulti e uno o due bambini e il mediatore
principale tra il bambino e l’opera diviene il genitore o comunque una figura con la quale vi è un
rapporto di fiducia e stima. L’importanza della famiglia come gruppo di utenti del museo è invece
sottolineata n Gran Bretagna. Rispetto a questa tipologia di fruitore sorgono problemi in relazione

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alla qualità e quantità di servizi educativi che vengono offerti: se è vero che il gruppo familiare
potrà sicuramente avvalersi di supporti come pannelli e indicazioni di percorsi tematici, non potrà
invece beneficiare di un progetto comune da realizzare e condividere insieme.
Un’altra categoria di pubblico sono gli adulti che (tralasciando l'individuo che lo fa per passione)
vanno al museo per accompagnare un giovane o per un’uscita di gruppo. Rispetto alle categorie
prese in esame precedentemente, gli adulti sono già formati, quindi si avvicinano al museo con
modalità di apprendimento già ben strutturate. Dal momento che ogni singola persona è diversa
dall’altra, il museo non può offrire la medesima attività a tutti, ma deve identificare i target più
significativi ai quali proporre diversi tipi di attività. Il museo deve creare un’atmosfera informale,
capace di stimolare e facilitare l’apprendimento free-choice learning, un’accoglienza amichevole,
orari flessibili. Le attività presenti all’interno dell’istituto devono offrire più di un modo di
imparare, coinvolgere vari sensi fisici assieme e devono fare riferimento alla vita di oggi.

15.5 Procedure di mediazione educativa


15.5.1 Le narrative museali

I contenuti e i messaggi del museo possono essere interpretati come storie e narrative che devono
essere lette e capite dai visitatori. Procedimenti di tipo narrativo possono essere considerati quelli
seguiti in alcuni musei mediante percorsi tematici o gli “itinerari fuori dal museo”, in cui si
stabilisce una relazione narrativa fra gli oggetti del museo e gli elementi architettonici e urbanistici.

15.5.2 I laboratori

Diversi studi hanno evidenziato che i bambini di ogni età beneficiano di attività ed esperienze tattili;
più che fornire una quantità di nozioni bisogna aiutare il bambino a comprendere l’oggetto esposto
al museo nei termini che più si avvicinano al suo mondo. I laboratori vengono spesso utilizzati
nell’ambito di una visita scolastica perché tendono a trasformare la visita museale in un’esperienza
coinvolgente, dove gli alunni diventano protagonisti dell’azione educativa tramite delle attività
didattiche badate sul saper fare e sul poter fare.
Per essere ben organizzato il laboratorio deve munirsi di materiali e strumenti che è difficile trovare
in un’aula scolastica, perché deve essere vissuto come qualcosa di diverso da una semplice lezione
di educazione artistica. In un laboratorio didattico di un museo il bambino o ragazzo viene messo a
contatto diretto con un fenomeno e viene supportato nei suoi spontanei, liberi e giocosi processi di
apprendimento. Nei laboratori si creano ambienti ricchi di installazioni che stimolano attività
manuali (hands-on) e allo stesso tempo costituiscono opportunità di riflessione (mind-on) di
aggregazione a livello scolastico e comunitario.
In Italia il panorama nazionale delle attività laboratoriali è estremamente ricco e variegato e sta
colmando il divario rispetto a ciò che accade nel resto d’Europa, con una combinazione interessante
di creatività e rigore scientifico, fantasia e intuizione. Dal confronto con i partner stranieri si evince
che le esperienze italiane in ambito di didattica museale non hanno nulla da invidiare a quelle dei
musei stranieri da un punto di vista della ricerca scientifica e della produzione editoriale
sull’argomento. Esiste però una reale differenza relativamente alle strutture e alla tecnologia
disponibile.

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12.5.3 Le drammatizzazioni

L’azione teatrale è un valido strumento per valorizzare, vivacizzare e rendere attraenti le esposizioni
di un museo e per creare un modo diverso di vivere gli spazi espositivi.
Le modalità teatrali adottate sono di vario tipo, dalla performance realizzata da un singolo attpre che
veste i panni di un grande scienziato nei musei scientifici, oppure l’interpretazione del personaggio
principale di un quadro, fino a quella più complessa in cui molti attori danno vita a veri e propri
eventi storici. Lo scopo che questo tipo di supporto didattico vuole raggiungere è quello di aiutare la
mediazione tra oggetto esposto e pubblico: l’azione teatrale o il gioco di ruolo suscita curiosità,
attira l’attenzione su ciò che si vuole mostrare instaurando un rapporto di scambio e fungendo da
interprete. A suscitare i maggiori dubbi circa il buon esito di tali iniziative è il loro aspetto ludico; di
teme infatti che il diletto possa prendere il sopravvento sulle funzioni educative soverchiando lo
scopo didattico. La sperimentazione sul campo, però, conferma che quello dell’azione teatrale
applicata al museo è un ottimo metodo per incentivare e migliorare il rapporto tra il pubblico e le
esposizioni.

15.5.4 Arte e scienza nel museo contemporaneo

Negli ultimi anni si sono sviluppate numerose strategie comunicative e didattiche che hanno portato
sempre più spesso ad interventi artistici all’interno degli science centres. In Italia, la Città della
Scienza a Napoli riconosce all’arte un ruolo primario nel dialogo tra arte e scena , assicurando uno
scambio continuo fra i due campi.

15.7 L’educazione museale negli standard e il concetto di qualità nella pratica educativa

In alcuni paesi sono diventati oggetto di discussione requisiti o standard specifici, nonché sistemi di
programmazione e autovalutazione per l’accesso, la didattica e le attività educative all’interno
dell'istituzione museale. In Gran Bretagna esistono diversi sistemi di accreditamento in seno ai quali
son delineati standard e conseguenti parametri di autovalutazione. Lo standard più completo è il
cosiddetto inspiring learning, che prevede quattro principi-chiave:

1) fornire opportunità di apprendimento più efficaci;

2) creare condizioni di accessibilità e un ambiente che stimoli i processi di apprendimento;

3) costruire rapporti di collaborazione e partenariati di apprendimento creativi;

4) collocare l’apprendimento al centro della propria attività.

Per quanto riguarda l’educazione, a livello internazionale non esiste uno standard di qualità
specifico, ma essa è considerata nel documento sugli standard dell’ICOM e dell’Ambito VII
dell’Atto di indirizzo italiano. I diversi orientamenti operativi partono da presupposti teorici
differenti e non da principi interamente condivisi, come si verifica, ad esempio, per gli standard di
sicurezza. Un primo elemento a cui si devono applicare i modelli di valutazione della qualità nella
realtà museale è l’organizzazione delle azioni didattiche: l’esempio di base è il monitoraggio di un
progetto educativo, ribadendo che la didattica si occupa della ricerca dei metodi e degli strumenti
per conoscere e interpretare l’oggetto e l’opera d’arte, mentre l’educazione si preoccupa di creare
un legame tra oggetto e visitatore che possa durare nel tempo.

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Una seconda area di verifica per la definizione degli standard educativi riguarda il personale
impiegato in quest’ambito. Bisogna mettere a confronto ed istituire elementi di dialogo tra i due
sistemi professionali attivi nel mondo museale: quello dei conservatori delle opere e quello dei
mediatori culturali. In Italia il più delle volte i musei non sono in grado di trasmettere la propria
cultura perché gli operatori didattici sovente non fanno parte della comunità scientifica
dell’istituzione. Un terzo ambito di definizione per gli standard riguarda i destinatari dei servizi
educativi, cioè i pubblici. Il concetto della qualità deve andare oltre rispetto agli studi statistici sulla
quantità tipici dei musei (numero di biglietti staccati, numero di visitatori ecc), per fermarsi sulla
qualità dei servizi offerti e sul gradimento da parte del pubblico.
Con la definizione e l'applicazione degli standard da parte delle Regioni si sta tentando di superare i
problemi dei diversi orientamenti teorici cercando di trovare un modus operandi riconoscibile da
tutti i musei. In alcune regioni come l’Emilia Romagna si è proceduto alla configurazione di
standard minimi per l’educazione con le seguenti linee essenziali:

 destinatari dei servizi educativi l’istituzione museale deve specificare quali pubblici
intende raggiungere
 requisiti obbligatori per quanto riguarda l’sttività educativo-didattica, al museo viene
richiesti di predisporre un piano di attività annuali che consideri:
- a quale pubblico si rivolge;
- con quali iniziative;
- con quali risorse;
- se privilegiare modalità di apprendimento formale o informale
➢ obiettivi di qualità  per garantire una qualità del servizio didattico-educativo è importante
che la programmazione dell’attività preveda le seguenti fasi:
- fase preliminare, che prevede l’individualizzazione e l’analisi dell’utenza;
- pianificazione e definizione degli interventi;
- svolgimento degli interventi;
- valutazione/autovalutazione.

La Regione Lombardia ha individuato e configurato più precisamente la figura del responsabile dei
servizi educativi. Egli:

- svolge attività di ricerca;


- progetta e propone i contenuti della comunicazione ai visitatori del museo;
- progetta le iniziative e le attività più consone a rispondere ai bisogni del pubblico;
- coordina le attività degli operatori didattici;
- è il referente privilegiato per il mondo della scuola e per gli altri soggetti che usufruiscono di
servizi e attività educative;
- si occupa della documentazione, della verifica e della valutazione delle attività di settore.

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CAPITOLO 16 : I NEW MEDIA E IL MUSEO
16.1 Le nuove tecnologie e i loro possibili obiettivi

L’uso della multimedialità in ambito museale ha avuto in un Primo tempo come unico scopo quello
di catalogare e ordinare l’immenso numero di reperti, manufatti artistici e architettonici del
patrimonio culturale. In seguito sono state meglio conosciute e praticate le sue immense potenzialità
nel campo della divulgazione della comunicazione culturale, dell’educazione e del coinvolgimento
dei pubblici diversamente abili.
L’introduzione di queste nuove tecnologie mette in luce le potenzialità di una fruizione differenziata
ed efficace di un esteso patrimonio culturale. La presenza in rete di un museo, il museo online ad
esempio, può costituire un’occasione promozionale straordinaria.
La tecnologia non deve essere separata dalle pratiche tradizionali del museo, bensì integrata ad esse,
così come è accaduto per il Centre Pompidou, che ha creato una delle più aggiornate e importanti
collezioni di videoarte.

16.2 Il museo e i new media

Le tecnologie interattive e ipermediali attualmente presenti sul mercato forniscono l'opportunità di


aiutare i visitatori ad assumere un miglior controllo del processo di apprendimento; tuttavia i musei
devono essere pronti a sviluppare applicazioni specifiche, commisurate alle necessità del loro
pubblico. Le nuove tecnologie basate sull’uso di computer costituiscono un potenziale ancora
maggiore per un futuro adeguamento delle visite e delle esigenze individuali.

16.2.1 Dispositivi informatici all’interno del museo

Un impiego delle tecnologie multimediali utilizzabili all’interno del contesto museale è


rappresentato dagli info-points e dalle work-stations.
Gli info-points sono quei sistemi, in genere collocati in luoghi di pubblica utilità, basati su personal
computer che consentono al visitatore che li utilizza di ricevere informazioni e servizi su
determinate opere o su mostre e venti straordinari a carattere temporaneo.
Le work-stations rappresentano quei sistemi computerizzati che consentono l’accesso alle
informazioni relative ai materiali espositivi, ai contenuti degli archivi
In genere nei musei le postazioni informatiche sono inserite in ambienti distinti da quelli espositivi.
Gli info-points dovrebero essere sparsi lungo il percorso, mentre postazioni con supporti più
specifici (simulazioni di ricostruzioni o restauri) andrebbero collocate in prossimità delle opere cui
si riferiscono.
Molti altri tipi di contenuti possono trovare una collocazione ideale invece alla fine del percorso,
consentendo di rivedere o ripercorrere ciò che è stato fatto. Questo accorgimento permette anche di
mantenere una percorribilità fluida e una distribuzione del flusso di visitatori, dato che un sistema
multimediale interattivo in sala crea distrazione, blocco del flusso e difficoltà di accesso.

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16.2.2 Dispositivi informatici con cui il museo comunica all’esterno

Il pubblico è pronto ad accogliere l’offerta museale online, ma non sempre i musei sono pronti a
comunicare attraverso internet. Per attirare l’attenzione dei visitatori occorrono ipertesti e percorsi
virtuali appositamente studiati. Il sito internet di un museo reale viene consultato da tre principali
categorie di utenti:

- il turista/frequentatore occasionale cerca sia una presentazione dei contenuti del museo
che lo aiuti a decidere se programmare una visita, sia informazioni pratiche per organizzarla
(orari di apertura, costi dei biglietti);
- lo studioso cerca servizi qualificati (riproduzioni fotografiche digitali di buon livello,
informazioni storico-artistiche e museografiche);
- il pubblico in età scolare può imparare a conoscere l’arte mediante basi di dati e
immagini, a fianco delle classiche gite di istruzione.

Il sito internet museale perfetto è quello che tiene conto di questi tre livelli di utenza e dedica spazio
a ciascuno di essi. Quindi per la stesura di un sito museale e delle pagine relative alle opere è
opportuna la collaborazione tra diverse professionalità: storici dell’arte, esperti di comunicazione
ipertestuale, informatici.

16.2.3 Caratteristiche dei dispositivi informatici

➢ Le tecnologie utilizzate  La maggior parte dei siti si basa su tecnologie web standard, con
immagini in formato Jpeg che comportano un degrado della qualità spesso intollerabile per
una fruizione soddisfacente di opere visive. Molto diffuse sono le metafore di navigazione
del sito basate su mappe sensibili, utilizzate oer rappresentare la topologia del museo reale.
Siti più co,plessi adottano sistemi di catalogazione delle collezioni basati su database e
sperimentano soluzioni di realtà virtuale come VRML.
➢ Vantaggi dell’ipertesto  l’ipertesto è un sistema di organizzazione delle informazioni che
permette un collegamento ad altri documenti consimili. Una struttura molto ricorrente
all’interno dei siti internet dei musei è quella dedicata al forum, che costituisce una
straordinaria opportunità didattica e la possibilità, per ogni museo, di avere un punto di vista
esterno rispetto a collezioni e pubblico. Proprio dallo sconto di punti di vista può mettersi in
moto il confronto di idee senza il quale si cadrebbe inevitabilmente in una sorta di
omologazione.

16.3 La realtà virtuale

La realtà virtuale è la forma più avanzata delle tecnologie interattive basate sull’immagine. Il su
obiettivo è la simulazione di ambienti e oggetti che risultino, all’esperienza del fruitore,
indistinguibili dalle esperienze reali. Negroponte asserisce che l’idea che sta alla base della realtà
virtuale è quella di dare la sensazione di essere sul posto, presentando alla vista tutto ciò che si
vedrebbe realmente e modificando la scena istantaneamente quando cambia il punto di
osservazione. Il risultato finale, se la realizzazione è ben effettuata, è che l’utente può muoversi a
piacimento e visitare l’ambiente virtuale provando sensazioni percettive analoghe a quelle che
proverebbe se visitasse un ambiente reale.

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I dispositivi immersivi hanno il vantaggio di consentire un coinvolgimento sensoriale molto elevato.
Gli stessi, però, molto spesso favoriscono l’insorgere di sensazioni di nausea provocate dalla non
puntuale coordinazione della stimolazione sensoriale.
I dispositivi non immersivi, detti dispositivi desktop, dall’altro lato spesso non sono in grado di
coinvolgere in modo sufficiente l’utente così da creare una sensazione di partecipazione agli eventi
del mondo virtuale. Questo è dovuto in parte all’impossibilità di eliminare gli stimoli distraenti
proveniente dall’esterno ed in parte alla difficoltà tecnica di produrre un senso di tridimensionalità
sulla specifica tipologia di schermo utilizzato.
Per questo motivo negli ultimi anni si stanno sempre pù sviluppando dispositivi semi-immersivi,
caratterizzati da schermi di proiezione con differenti forme e gravi di convessità.

16.3.1 Realtà virtuale come ricostruzione

Quando ciò che si vuole far vedere, mostrare, spiegare è degradato per qualche motivo o ne restano
pochi frammenti, si utilizzano delle applicazioni della realtà virtuale: la restituzione o la
ricostruzione.
Le tecnologie associate alle realtà virtuale, in particolare la ricostruzione permettono di riprodurre
esattamente la topografia degli ambienti, dando la possibilità al fruitore di vederli com’erano
presumibilmente allo stato originario. Esse però richiedono ingenti investimenti sia economici che
temporali e necessitano, inoltre, di strumentazioni hardware ad altissima potenza.

16.3.2 Realtà virtuale come documentazione

L’utilizzo della realtà virtuale a scopo documentativo consente all’utente di esaminare la varie fasi
del restauro che vanno dalla diagnosi del tipo di degrado subito dal bene alle operazioni dirette sul
reperto ed eventualmente confrontare le operazioni, i metodi di diagnostica e le opere restaurate.

16.3.3 Realtà virtuale come conservazione

Ciò che Antinucci definisce conservazione virtuale consente di uscire dal dilemma di come
conciliare il contrasto tra l’esigenza di conservare inalterata l’autenticità dell’opera deteriorata e
quella di renderla comprensibile e fruibile esteticamente. La prima delle due esigenze infatti mira a
toccare il meno possibile l’originale, la seconda tende invece a ricostruire il più possibile per
rendere l’opera perfettamente leggibile. La fruizione virtuale fa sì che l’istanza conservativa possa
liberamente perseguire la sua strada mirando solo alla preservazione dell’originale, mentre la copia
virtuale permette di spingere a piacimento la restituzione senza il timore di intaccare l’autenticità
dell’originale.

16.4 Il museo virtuale

Per museo virtuale si intende un sito che cerca di far vivere al visitatore l’emozione d iessere dentro
il museo reale; esso è un processo di duplicazione dello stesso e dei suoi oggetti museali reso
possibile dalle tecnologie informatiche. Sotto questa denominazione vengono riuniti progetti di
diversa realizzazione e fine: i siti ufficiali dei musei, i siti dedicati a singole personalità del mondo
artistico, le ricostruzioni virtuali di monumenti perduti o non visitabili ecc.

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16.4.1 Struttura del museo virtuale

Nel museo virtuale, le informazioni di tipo testuale e iconografico vengono rese disponibili in
formato digitale dai curatori e sono suddivise gerarchicamente:

- al primo livello vi sono le singole schede che identificano i vari pezzi. Corrisponde
concettualmente alla targhetta, ma ha in più la rappresentazione dell’oggetto;
- a livello intermedio vi sono pagine ipertestuali di collegamento nelle quali vi sono
collegamenti alle schede previste per il primo livello. In esse viene inserito il contesto
storico-artistico al quale appartengono gli oggetti. Il parallelo concettuale è da ricercarsi
nelle tradizionali teche o vetrine espositive che contengono gli elementi da esporre;
- a livello superiore troviamo altre pagine ipertestuali che si collegano a quelle di livello
intermedio tramite un ipertesto che delinea un periodo più ampio. Nel museo tradizionale
corrisponderebbero alle sale espositive.

16.4.2 Il museo virtuale: replica, estensione o realtà alternativa

I musei virtuali possono essere la riproduzione digitale in forma multimediale di un museo


realmente esistente o la creazione ex novo di un’architettura museale che non esiste nella realtà
oggettiva. In merito a ciò, bisogna distinguere in musei virtuali in:

- musei tradizionali virtuali, così chiamati per chiarire la realtà inizialmente critica seguita da
virtuale  nella versione virtuale di un museo realmente esistente è possibile presentare gli
oggetti secondo criteri alternativi a quelli previsti in un’esposizione reale. Il percorso di
conoscenza non è più quindi quello originale, né si rispetta l’ordine delle collezioni; esso
diventa individuale e procede per associazioni di idee. Un esempio in ambito statunitense ci è
fornito dal sito unificato dei musei della Guggenheim Foundation, che permette di accedere
alle sezioni dedicate a tutti i musei che fanno capo alla fondazione. I musei tradizionali
virtuali sono per la maggior parte in 2D, essendo la riproduzione digitale di una collezione già
esistente e proprio per questo la loro fruizione è principalmente usata per ottenere
informazioni;

- musei virtuali che rappresentano un’estensione dei musei reali  alcuni siti potrebbero essere
considerati estensione del museo reale, per quel che concerne la conoscenza del patrimonio
artistico. Troviamo infatti sezioni dedicate ad artisti di qualsiasi epoca, a riviste d’arte,al
restauro, ai progetti di livello nazionale ed internazionale nell’ambito dei beni culturali;

- musei realmente virtuali, che materialmente non sono fisicamente visitabili in quanto non sono
tangibilmente reali il museo in questo caso diventa una sorta di non-luogo, dove trovare ciò
che non è possibile trovare in un museo reale. Il museo virtuale, pur trattando tematiche
rapportabili ad opere e a reperti museali, non si basa su modelli fisici collezionistici
preesistenti ma sull’esistenza nella ricerca di moduli iperconnettivi: testuali, audiovisivi, atti
ad illustrare percorsi educativi e stimolanti intellettualmente e culturalmente. È teso a
intraprendere percorsi di collegamento con altri musei, altre opere, altri luoghi ed eventi.

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16.4.3 Esempi di comunicazione innovativa

Un esempio di comunicazione innovative in Italia è il PEAM (Pescara Electonic Artists Meeting)


che costituisce un luogo di incontro e sperimentazione sulle relazioni fra arte, pensiero e tecnologia.
Esempio di applicazione delle nuove tecnologie interattive al settore dei musei e delle gallerie sono:

- La Città di Giotto, in cui è stata riprodotta virtualmente la Basilica Superiore di San


Francesco ad Assisi con il suo splendido ciclo di affreschi di Giotto;
- Le basiliche di San Pietro, in cui sono state ricostruite l’attuale basilica di San Pietro in
Vaticano e l’antica Basilica costruita nel IV secolo dall’imperatore Costantino;
- La Tomba di Nefertari, chiusa al pubblico per problemi di deterioramento. La ricostruzione
virtuale è l’unico modo per poterla visitare nella sua interezza, ma è anche possibile visitare
la tomba nello stato in cui si trovava al momento della scoperta. È così possibile rendersi
conto percettivamente dei processi di deterioramento che hanno portato allo stato attuale.

16.4.4 Caratteristiche dei percorsi e delle progettazioni virtuali

La realizzazione di percorsi virtuali tridimensionali determinano alcuni vantaggi:

- rendono la progettazione del museo reale più semplice poiché si possono valutare con
anticipo la distribuzione degli spazi, la collocazione degli elementi espositivi, il colore delle
pareti e dei pavimenti, la disposizione dei punti illuminanti ecc.
- facilitano la comprensione del progetto che si andrà a sviluppare per committenti o
finanziatori.

Per i percorsi virtuali gli svantaggi possono essere legati:

- al costo della produzione e dell’aggiornamento, sia dal punto di vista tecnologico sia dal
punto di vista contenutistico;
- all’eccesso di informazioni, che può condurre alla neutralizzazione o alla saturazione;
- all’uso eccessivo di tecnologie troppo avanzate e invadenti, i cui effetti negativi più comuni
sono principalmente l’allontanamento immediato di chi non è molto esperto di nuove
tecnologie e il disinteresse causato da una virtualità eccessiva.

16.4.5 La missione del museo virtuale

L’utilizzo della multimedialità applicata ai beni culturali va vista come un’opportunità di estendere
la fruibilità superando i confini geografici per arrivare alle ricchezze dell’arte laddove non si
potrebbe arrivare con i canali tradizionali.

16.4.6 Fruizione diretta e interattiva

Il museo virtuale non si pone assolutamente come alternativa al museo reale, del quale non si può
sostituire le funzioni di raccolta, conservazione ed educazione. Va immaginato, piuttosto, come
realtà complementare che affianca le tradizionali istituzioni museali nello svolgimento dei loro
compiti didattici ed espositivi, oltre che come un mezzo di promozione del museo stesso.

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Una differenza considerevole tra le due realtà, fisica e virtuale, è il rapporto del fruitore con il
museo: il visitatore fisico ha un contatto diretto con le opere, mentre quello virtuale ha un contatto
interattivo. Un contatto indiretto prima di quello diretto potrebbe essere una preparazione ad una
visita già decisa. Invertire l’ordine appena citato, invece, potrebbe diventare una rielaborazione in
seguito ad una visita già effettuata. In quest’ottica il sito è uno strumento di ausilio alla visita. Il
contatto indiretto resta comunque un’ulteriore forma di fruizione aggiuntiva o complementare,
poiché il contatto diretto è insostituibile. Le visite virtuali non possono che invogliare la visita di
mostre e musei facilitando la prenotazione e la vendita di biglietti.

16.5 Arte e tecnologie comunicative: le nuove forme d’arte nel museo

Il museo si confronta oltre che con la nascita di percorsi totalmente virtuali anche con l’avvento di
nuove forme d’arte completamente basate sulla tecnologia e sull’interattività. Fra le diverse
sperimentazioni ricordiamo:

- l’arte interattiva, in cui il fare artistico è un’esperienza mutevole-mutanteed è in grado di


interagire continuamente agli stimoli dati dal fruitore;
- la net art e la web art, che prevedono l’uso delle tecnologie di rete;
- la video art, in cui la videocamera è un dispositivo analogico o digitale che ha un rapporto
immediato con la realtà;
- la computer art, o cosiddetta arte digitale, cioè un metodo espressivo di impronta
tecnologica in grado, attraverso operazioni computazionali, di esprimere la creatività
dell’artista.

Il problema fondamentale che si pone in relazione alle nuove esigenze degli artisti che usano i new
media è la mancanza di personale tecnico qualificato.

16.6 Standard di qualità per il web del museo

I siti museali realizzati dalle istituzioni del nostro Paese, oltre ad essere poco numerosi, non brillano
per qualità della comunicazione e per livello delle soluzioni tecnologiche adottate. In genere un
museo online dovrebbe essere composto dalle seguenti aree:

- informazioni pratiche relative all’accesso, alla collocazione, agli orari e ai servizi in loco;
- informazioni relative al museo stesso, sia dal punto di vista storiografico, sia da quello
istituzionale, sia da quello logistico e spaziale;
- informazioni relative alle collezioni permanenti, costituite in genere da cataloghi e inventari
tematici delle opere e dei reperti;
- informazioni relative alle mostre non permanenti;
- strumenti didattici che aiutano a comprendere un’opera o un reperto o ad effettuare
un’analisi approfondita;
- sezioni dedicate ad attività di merchandising;
- sezioni dedicate agli studiosi con link a cataloghi di biblioteche o archivi museali, servizi
specifici di riproduzione fotografica delle opere ecc;
- sezioni dedicate al rapporto con il pubblico (indirizzi email dello staff, questionari, raccolta
reclami e proposte).

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Per venire incontro alle esigenze dei musei che si accingono a realizzare un sito web è stato
progettato Museo&Web; si tratta di un prodotto destinato a un museo medio-piccolo, che si basa
sulla constatazione che in Italia, e in genere in Europa, i musei locali e territoriali sono molto
diffusi, ma spesso sono privi di siti internet propri. Museo&Web può essere utilizzato dai musei sia
come guida nella progettazione dell’architettura del sito web, sia nella realizzazione pratica,
sfruttando i modelli messi a disposizione online, che potranno essere personalizzati con adeguati
interventi di carattere grafico.

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CAPITOLO 19: STRATEGIE E STRUMENTI PER LO SVILUPPO DEL
MUSEO: IL MARKETING
19.1 Marketing del museo

L’obiettivo primario del marketing per un museo è quello di raccordare il proprio sistema di offerta
con le esigenze e le aspettative della domanda. La sfida per il museo, oggi, è di essere sempre più
affascinante, accessibile e ricco di significati per i diversi pubblici, il cui riconoscimento ha
sviluppato nuovi orientamenti di ricerca nel marketing museale grazie alle figure degli exhibition
developers, che hanno il compito di pianificare le mostre sulla varie fasce di pubblico, o allo studio
e ricezione delle aspettative e dei giudizio dei visitatori con questionari di autovalutazione.
Il museo, nello sviluppo delle azioni di marketing, deve essere interpretato come un sistema
integrato di conoscenze e deve calibrare in maniera attenta ed equilibrata le leve informative a
propria disposizione per stabilire e sviluppare nel tempo un contatto con i propri visitatori.
L’introduzione dei principi e delle tecniche di marketing nei musei è avvenuta, in maniera
sistematica, a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso nei Paesi anglosassoni per soddisfare
due sfide:

- la crescente pressione all’attivazione di nuove fonti di finanziamento;


- la sempre più incalzante concorrenza di forme alternative di utilizzo del tempo libero.

Il solo possesso dei beni culturali non metteva il museo completamente al riparo da fenomeni
concorrenziali. L’attività di un museo può dipendere infatti da tre insieme di variabili:

1) la dotazione di beni culturali;


2) la qualità e la quantità delle azioni attivate nel processo di valorizzazione e nelle politiche di
promozione;
3) la struttura e il livello dei prezzi.

Al pari degli imprenditori, i curatori devono essere consapevoli del prodotto che stanno offrendo e
chiedersi sempre se questo prodotto sia al passo con le mutevoli esigenza del loro mercato.

19.2 Le attività del marketing strategico

Le attività vere e proprie del marketing sono precedute dall’individuazione, tramite il marketing
strategico, dei fattori critici di successo e del sistema di minacce-oppportunità entro il quale si
muove l’organizzazione museale. È necessario analizzare:

- le caratteristiche della domanda, ovvero i fabbisogni dei vari gruppi che interagiscono con il
museo;
- il grado di attrattività del mercato di riferimento;
- le dinamiche competitive.

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19.3 Domanda e destinatari del servizi del museo

L’analisi della domanda riguarda la conoscenza e comprensione delle motivazioni dei vari insiemi
di soggetti in merito al processo decisionale di acquistare o meno un servizio museale. La domanda
del museo è formata da un insieme più ampio di relazioni che comprende una pluralità di soggetti
(stakeholders) che esprimono un qualche tipo di interesse nei confronti del museo, stabilendo con
esso dei rapporti di scambio, ovvero:

- i proprietari;
- i dipendenti;
- i fornitori di beni e servizi;
- i visitatori;
- la comunità scientifica;
- la comunità locale, cioè il contesto socio-economico in cui il museo è calato;
- i finanziatori;
- la comunità politica

tutte queste categorie di soggetti entrano, in vario modo e con diverse gradazioni d’intensità, a
contatto con il museo. Tra queste, le categorie su cui attualmente si concentra di più l’interesse dei
musei è quello dei visitatori. Un’attenzione particolare andrebbe inoltre rivolta a coloro che
lavorano dentro il museo, poiché costituiscono il nucleo portante dell’attività museale: dalla loro
capacità e motivazione dipende la qualità del messaggio e del rapporto intessuto con l’utenza
esterna, e di conseguenza la successiva soddisfazione per la visita. Risulta fondamentale da parte
del museo attivare capacità e professionalità in grado di ideare , per ogni tipo di pubblico, un’offerta
culturale capace di essere attrattiva e competitiva, cercando il più possibile di instaurare un rapporto
di fidelizzazione. Tutto questo è possibile se i responsabili del museo riconoscono come primaria
l’esistenza di una comunicazione a doppio senso tra operatori e visitatori.

19.4 L’analisi dell’attrattività di un museo

In genere le analisi del grado di attrattività di un museo vertono su cinque aspetti:

- caratteristiche della domanda: per cercare di identificare gli stili di vita e le abitudini di
consumo culturale di chi visita i musei, ma prendendo in considerazione anche quella dei
non- visitatori;
- processo decisionale di acquisto dei visitatori: per cercare di comprendere quali siano i
fattori che spingono un soggetto a considerare la possibilità di impiegare delle risorse nella
visita ad un museo;
- informazioni quantitative sui visitatori : la conoscenza del numero di visitatori può fornire
una misura della capacità di attrazione di un museo o per identificare le differenti categorie
di soggetti che lo visitano;
- informazioni qualitative sui visitatori: attraverso la rilevazione sul campo (ad esempio
tramite questionari) è possibile identificare un profilo preciso di un campione di
frequentatori del museo e raccogliere indicazioni puntuali sulle motivazioni che hanno
portato alla decisione di acquisto del servizio museale e il livello di soddisfazione raggiunto
attraverso la visita;

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- modalità di consumo: attraverso procedure di osservazione si cerca di comprendere il tipo di
reazione che il visitatore ha durante il processo di fruizione al fine di raccogliere indicazioni
indirette sul livello di soddisfazione della visita e sull’impatto che il museo ha prodotto sul
sistema di conoscenze degli individui.

19.5 I concorrenti del museo

Per mettere in campo attività di attrazione è necessario conoscere lo scenario competitivo e quindi i
vari livelli di concorrenza con i quali il museo si confronta.
In particolare sono quattro le tipologie di alternative che vanno tenute presenti per valutare la
concorrenza della visita al museo:

- la prima tipologia riguarda il comportamento casalingo, ovvero la propensione a guardare la


televisione, navigare in Internet, ascoltare la musica ecc;
- il secondo tipo di consumo alternativo è dato da attività quali il cinema, le escursioni
naturalistiche, la pratica di sport ecc;
- la terza tipologia consiste nella partecipazione ad attività culturali diverse dal museo: teatro,
concerti, biblioteche.
- la quarta alternativa è la concorrenza diretta, ovvero la visita di altri musei.

È necessario puntare l’attenzione su quelle componenti dell’offerta che diversificano e qualificano il


museo rispetto ai concorrenti diretti, grazie a sistematiche operazioni di benchmarking che possano
offrire una valutazione comparativa rigorosa tra il proprio sistema di offerta e quello della
concorrenza.

19.6 Proposte finali

Sulla base dei risultati ottenuti dalle valutazioni in merito all’analisi della domanda, dell’attrattività
e della competitività, e sulla base dei vincoli finanziari cui il museo è sottoposto, possono essere
attuate le seguenti azioni:

- consolidamento della propria posizione competitiva, favorendo ad esempio, la nascita di


club di amici del museo per fidelizzare il cliente per un lungo periodo;
- modifica e innovazione dei rapporti con il pubblico , anche tramite nuove iniziative
(esponendo, ad esempio, opere conservate nei depositi);
- perseguimento dell’espansione della domanda, focalizzando l’attenzione su nuovi target e
sviluppando appositamente progetti o percorsi innovativi (ad esempio un nuovo percorso
tattile per i non vedenti)

19.7 Il museo e i rapporti con gli operatori del turismo

Ai fini dell’aumento della visibilità del museo e della sua fruibilità risulta fondamentale la
collaborazione e il partnernariato con l’industria urbana o locale del turismo. Su questo fronte i
partner del museo sono diversi: le aziende di promozione turistica, gli operatori turistici, le agenzie
di viaggio, gli operatori del settore alberghiero e della ristorazione, i centri congressi, i taxisti ecc.

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