Il progetto espositivo è in generale relazionato con gli orientamenti museologici, con gli oggetti e
con lo spazio museale, mentre solitamente i problemi di comunicazione sono affrontati nella fase
finale della sua attuazione. L’aspetto spaziale di una mostra riveste una grande importanza anche
nella psicologia dello spettatore. Esiste un insieme di motivazioni iniziali dello spettatore che
possono essere modificate in senso positivo o negativo dal rapporto con gli ambienti, dal binomio
ambiente espositivo-oggetto. L’approccio museografico potrebbe quindi “modulare” il progetto e le
strategie espositive seguendo alcune procedure:
1. Mettere in rapporto l’idea della mostra con la vocazione del museo tracciata nello statuto e con lo
spazio a disposizione.
2. Considerare lo spazio il più possibile come luogo della molteplicità e dell’elaborazione
dell’alterità, e non nell’univocità interpretativa.
3. mettere in relazione gli oggetti tra di loro.
4. Rapportare gli oggetti con lo spazio.
5. Porre in atto il discorso espositivo lavorando sugli elementi dello spazio museale – materiali,
luce, supporti, colori, percorsi – e salvaguardando sempre la percezione degli oggetti e degli
insiemi.
In genere una tipologia di esposizione corrisponde ad un certo atteggiamento culturale, per cui sia i
casi di scelta dell’isolamento dell’oggetto che quelli che evidenziano una relazione precisa tra gli
oggetti esposti corrispondono a precisi modi di vedere l’oggetto musealizzato.
Presentare l’oggetto solo nello spazio vuoto, solo su uno sfondo distante o piatto, senza alcuna
informazione rafforza – secondo alcuni – il vincolo tra l’oggetto e il visitatore tra la sua forma e il
momento della ricezione, ma in realtà l’impatto diretto fra 2 mondi che non sono commensurabili
può produrre una sensazione di disagio. Da questa concezione è derivata in passato la ricerca di uno
sfondo bianco “ideale” per presentare nei musei la maggior parte della pittura del 20° secolo: essa
trova la sua massima espressione nel purismo di Le Corbusier e nella museografia italiana e di
Scarpa, che però la supera con un’intensa vena lirica e con l’uso del colore.
Una progettualità di impronta più razionale appare nella pratica espositiva con l’introduzione del
pensiero scientifico. Un altro tipo di esposizione, peraltro ormai riscontrabile solo in collezioni
antiche, è l’accumulazione. Essa tende a presentare insieme moltissimi oggetti che costituiscono
percettivamente un “insieme”; nell’esposizione per accumulazione si innesca un processo di
saturazione ed eterogeneità. In alcuni atti si attua soltanto il semplice riconoscimento figurale degli
elementi conosciuti che i singoli spettatori riescono a isolare.
Non è possibile esporre un oggetto senza intervenire nella sua presentazione: la mostra è un
“campo” in cui entrano in gioco 3 elementi culturali distinti, cioè le idee, i valori e gli obiettivi della
cultura che ha prodotto l’oggetto, del curatore della mostra e del visitatore. Gli interventi espositivi
e le poetiche museali sono stati idealmente suddivisi in 2 grandi gruppi da Greenblatt:
1) “la risonanza” che organizza gli oggetti creando collegamenti impliciti ed espliciti, in modo da
accentuarne la valenza di testimonianza storica;
2) “la meraviglia” che, come nelle Wunderkammern, pone gli oggetti verso il visitatore con tutto il
loro carico di fascino e significato.
Tale partizione trova un riscontro nella traduzione, nella terminologia della fruizione museale, in
“approccio cognitivo” ed “approccio emotivo”.
Pinna ha ampliato il concetto proposto da Greenblatt distinguendo 3 diverse interpretazioni del
rapporto che si instaura tra l’oggetto e il visitatore:
1) La museologia della meraviglia: si può fare risalire alle collezioni contenenti oggetti e artefatti di
varia natura, come le Kunst und Wunderkammern;
2) La museologia razionale: tipica soprattutto nei musei scientifici, nacque quando l’esposizione
degli oggetti o delle collezioni assunse connotazioni classificatorie e di approfondimento della
conoscenza del mondo naturale o della storia del mondo;
3) La museologia evocativa: prese forma con la nascita di un uso più politico e sociale delle
istituzioni museali, puntando all’evocazione di momenti storici, avvenimenti o personaggi degni di
nota ai fini del loro impatto sulla società. La museologia evocativa è tipica dei musei archeologici e
storici.
Ai fini della funzione della trasmissione culturale del museo si può dire che la museologia della
meraviglia fa perno sullo stupore di fronte all’inusuale o al meravigliosamente bello, la museologia
nazionale suscita la curiosità e la museologia evocativa fa perno sul sentimento.
Le 3 filosofie espositive hanno a volte marciato parallelamente, si sono intersecate e spesso si sono
mescolate nell’ambito di uno stesso museo.
L’ottimizzazione del processo educativo è lo scopo primario che si prefigge un allestimento
museale. Se dunque la museografia può essere considerata l’insieme dei mezzi e delle azioni che
portano alla costruzione dei valori simbolici degli oggetti e delle collezioni, l’allestimento è da
considerarsi riuscito solo se alla comprensione il pubblico assocerà anche il ricordo dei suoi
significati, con il conseguente allargamento della conoscenza per coloro che di quella esperienza si
sono fatti partecipi. Una profonda riflessione sui criteri museografici è inoltre stata impostata dai
musei etnografici. Questi problemi sono venuti alla luce quando alcuni allestimenti sono sembrati
offensivi ai discendenti di culture che per alcuni aspetti erano già entrate a far parte di un processo
di musealizzazione, come è successo per gli indiani d’America o in alcune mostre espositive sulle
culture africane inconsciamente redatte da curatori occidentali in maniera ancora velatamente
colonialista. Il concetto dell’alterità, del museo come rappresentazione dell’altro in senso culturale,
spaziale o temporale è comune a molti progetti museologici.
Il museo archeologico purtroppo sottolinea sempre l’alterità come distanza e molto raramente
evidenzia il contatto, l’affinità o il tramandarsi di antichi riti, consuetudini o altre caratteristiche nel
presente.
Il museo italiano ha anche il grosso problema dei contenitori storici, che si unisce a quello degli
allestimenti storici o storicizzati. In alcuni casi la trasformazione di un’esposizione da una filosofia
espositiva ad un’altra è tutt’altro che facile, se non impossibile.
Una soluzione praticabile è quella adottata al Museo Egizio di Torino, dove l’allestimento storico è
immutato, mentre la nuova area Schiapparelli è redatta in maniera più moderna.
Per il rapporto fra allestimenti storici e nuove esigenze espositive, è stata proposta l’idea di un
“codice di fruizione” degli allestimenti storici. Nel codice dovrebbero essere riconosciuti quei
musei con lo status di allestimento storico di qualità.
Storicamente l’importanza dei percorsi all’interno del museo risale al periodo a cavallo fra il 19 ed
il 20 secolo, come ordinamento e connessione fra le opere stesse. Il più noto di tali schemi è quello
teorico proposto da Clarence Stein, fondato sul principio di destinare i bracci radiali dell’edificio
alle opere più importanti e la corona poligonale che li circonda alle opere di minore interesse. La
parte destinata agli studiosi veniva così separata da quella accessibile al grande pubblico: il
collegamento fra le due parti risultava immediato; con possibilità di passaggio nei due sensi e con
accesso guidato. La disposizione proposta da Stein tendeva a semplificare la circolazione del
pubblico rendendo istantaneo il riconoscimento dei percorsi.
Rilevante è la pratica di dissimulazione dei percorsi operata da Carlo Scarpa, il cui intento era
quello di accompagnare il visitatore senza segnali evidenti e ponendo lungo il tragitto dei
rallentamenti e delle fughe che inducessero ad arrivare in un punto preciso per vedere l’opera
secondo un angolo visuale da lui prestabilito. Accompagnare il visitatore è, infatti, lo scopo di una
buona pratica nell’ambito della progettazione dei percorsi di visita, che si collega alle esigenze della
psicologia ambientale.
1) Arteriali: sono i più semplici da allestire, ma anche quelli che creano affollamento perché
obbligano a seguire la direzione, senza variazioni;
2) A pettine: i vantaggi sono tipici dei percorsi lineari, ma si hanno gli stessi svantaggi
dell’affollamento;
3) Radiali o anulari: il visitatore sceglie il proprio cammino;
4) A blocchi: non sono propriamente dei percorsi, ma vi è un’assoluta libertà di movimento.
1. Supporti
La vetrina offre protezione, aiuta a preservare al suo interno un certo microclima vitale per la
conservazione dell’opera, spesso serva da collegamento tra il contesto generale e l’oggetto, aiuta a
ordinare l’esposizione, a porre in relazione gli oggetti. Può anche essere un punto di riferimento per
dividere o guidare il percorso dei visitatori. Le vetrine non devono essere così esteticamente
significative da distrarre dagli oggetti contenuti e devono consentire una visione comoda del pezzo.
Il pericolo della vetrina è l’effetto della riflessione della luce, eliminabile con l’illuminazione
interna. Nel caso delle sculture non di dimensioni ambientali, sovente si usano piedistalli ampi. La
maggior parte delle opere pittoriche si pongono direttamente sulle pareti. Ove possibile va preferita,
per una buona percezione, una sola e medesima altezza per tutti i quadri e una distanza regolare tra
essi. L’altezza alla quale vanno posti è solitamente tale che il centro del quadro si trovi circa a 160
cm, che è più o meno il valore medio del punto di vista dell’osservatore.
2. Pannelli e divisori
I pannelli aumentano la superficie espositiva; possono essere posizionati in accordo con i percorsi e
con l’illuminazione; inoltre creano degli spazi favorevoli all’osservazione dei quadri. Un pannello
appoggiato alla parete agisce percettivamente, per accordo o per contrasto, in rapporto al colore,
alla materia e alla forma dell’oggetto. Per gli oggetti di piccole dimensioni che per esigenza del
percorso devono essere collocati singolarmente, l’obiettivo che raggiunge l’interposizione del
pannello è quello di ridurre il cono ottico e richiamare l’attenzione su un oggetto abbastanza
minuto. Il pannello quindi opera una mediazione dimensionale e psicologica con lo spazio della
sala, in cui l’oggetto di piccole dimensioni si perderebbe.
I divisori possono essere più alti dei pannelli e delimitare lo spazio in maniera più netta. Esistono
divisori di tipo innovativo, curvilinei e dotati di un vero e proprio sedile nella parte inferiore oppure
con dei monitor interattivi incassati all’interno o con didascalie Braille integrate.
3. Colore
Il colore può essere utile per individuare e comunicare i significati del tema trattato. In molti
allestimenti viene scelto un colore-guida per differenziare sezioni o ambiti cronologici diversi. l’uso
del colore come codice semantico è spesso una scelta valida dal punto di vista comunicativo, ma
non deve creare problemi o disturbi percettivi. Rivière sottolineò l’importanza ed influenza della
percezione dei colori nel determinare l’ambiente di una sala espositiva. La monocromia, infatti, può
stancare il visitatore.
4. Didascalie
La posizione dei cartellini delle didascalie deve essere sufficientemente alta perché gli adulti non
debbano chinarsi per leggerli, ma non troppo affinché anche i bambini e i portatori di handicap
riescano a leggerli (1 mt circa). Devono necessariamente essere sempre poste alla stessa altezza da
terra, indipendentemente dalla dimensione delle opere.
Nelle mostre con oggetti bidimensionali e tridimensionali frammisti, i cartellini degli oggetti
tridimensionali ingombranti e poggiati su una base o sul pavimento non devono essere posti in
basso, ma applicati si sostegni mobili a fianco dell’oggetto rispettando l’altezza predefinita.
- La feticizzazione: per cui si attribuisce all’oggetto singolo una sorta di sacralità o di eccezionalità
estetica;
- La prevaricazione del supporto sull’oggetto: oggi fortunatamente in calo per l’uso frequente di
supporti trasparenti in plexiglass;
- L’imbalsamazione, ovvero la volontà di relegare l’oggetto in una situazione di perfezione ed
inamovibilità;
- L’enfatizzazione simbolica: usata spesso nei musei storici come segno di forte identità.
In ognuno di questi casi viene disattesa l’originaria identità dell’oggetto. Risulta abbastanza facile
recuperare le tracce della funzione originaria in fase di allestimento con disegni esplicativi o
ricostruzioni grafiche o plastiche per oggetti d’uso in un museo archeologico, etnografico o in un
contesto scientifico. Analoga situazione si verifica per pezzi di polittici smembrati. Ciò che può
essere migliorato è l’impatto con opere e oggetti che, oltre una particolare struttura o forma, hanno
assunto nel tempo anche una particolare funzione: ad esempio le statue lignee del Rinascimento
usate per fini devozionali e quindi consunte per il continuo contatto delle mani dei fedeli. I fruitori,
se non adeguatamente indirizzati, non riescono a capire la ragione della consunzione delle statue,
per cui la statua intatta potrebbe indurre ad attribuire ad essa maggior valore rispetto a quella
rovinata.
La museografia archeologica italiana è ancor oggi incapace di esprimersi nel comunicare le
interpretazioni ed applicazioni che un oggetto archeologico presenta. Mancano infatti negli
allestimenti i criteri espositivi che evidenziano i rapporti fra gli oggetti e le relazioni fra la cultura
materiale e la molteplicità di aspetti della società di provenienza.
Secondi studi di rilievo di psicologia ambientale ciò che serve al visitatore nel contesto espositivo
per sentirsi a proprio agio sono:
1. Libertà di movimento: il visitatore ha bisogno di sentirsi libero di poter girare per il museo;
2. Orientamento: il visitatore ha sempre bisogno, con opportuni riferimenti di percorso, di sapere
dove si trova;
3. Comfort: il fruitore ha bisogno di un luogo confortevole in cui ci siano stimoli sensoriali ma i
sensi non vengano aggrediti;
4. Competenza: il visitatore non dovrebbe sentirsi sommerso di cose che non capisce poiché ciò
travalica la sua capacità di adattabilità;
5. Controllo: il visitatore vuole sentirsi sicuro.
Il design e la progettazione possono accelerare questo processo.
Un altro tipo di supporto didattico che ha il fine di stimolare l’immedesimazione del pubblico
nell’ambiente contestuale di cui fanno parte gli oggetti esposti sono le cosiddette period rooms,
ovvero quelle stanze, all’interno di un museo, dove è stato ricostruito a grandezza naturale un
determinato periodo storico. Si tratta di stanze tematiche all’interno delle quali il visitatore può
muoversi liberamente; ciò nel tentativo di superare l’impulso feticistico primordiale del
collezionista e collocare il frammento staccato in un uovo contesto globale, ottenendo così
l’illusione della storia recuperata.
Frequenti soprattutto negli allestimenti anglosassoni e statunitensi, questo tipo di ambientazioni
possono comprendere anche l’utilizzo si manichini debitamente abbigliati oltre che di strumenti
meccanici capaci di conferire movimento alla scena, dotandola quindi di maggiore realismo ed
impatto scenico. Tali operazioni, però, possono incorrere nel rischio di distrarre l’attenzione del
visitatore dalla percezione del singolo oggetto.
Se l’ambientazione, invece di configurarsi come stanza, si riduce a pochi elementi, cioè a una figura
o a uno spazio ristretto, l’espediente museografico diviene mezzo per organizzare percettivamente
e culturalmente gli oggetti esposti e ricollegarli con la loro funzione. Né è un esempio la
ricostruzione di un campo di urne nel Museo Nazionale Archeologico delle Marche di Ancona, in
cui alcuni cinerari ambientati come sul luogo di ritrovamento si collegano ad una grande foto
prospettica del luogo reale della necropoli.
Il confine fra le ambientazioni e le ricostruzioni dovrebbe in teoria essere dato dall’uso o meno di
oggetto originali, ma in pratica dipende dall’estensione spaziale dell’operazione e dai suoi
intendimenti.
Queste operazioni museografiche sono ancora scarsamente usate nei musei italiani. Se le
ambientazioni possono avere dei limiti intrinsechi, i plastici o le ricostruzioni possono integrarsi a
pieno titolo nel contesto museale. Soni utilizzabili ricostruzioni di scene quotidiane di periodi storici
antichi o quelle che mostrano alcuni interni di abitazioni di varie epoche per meglio comprendere
l’ubicazione degli oggetti e l’organizzazione degli spazi. Sempre in ambito storico, sono diffusi i
plastici con le ricostruzioni di famose battaglie.
Le ricostruzioni scenografiche (sagome a grandezza naturale o ricostruzioni sceniche di resti
architettonici) si dividono in ricostruzione di monumenti e di figure. Ricostruzioni sceniche di
rigore filologico ed eccellente valore comunicativo sono state realizzate per le mostre Principi
etruschi tra Mediterraneo ed Europa (Bologna 2000) e Roma. Romolo, Remo e la fondazione della
città (Roma 1999). Le sagome a grandezza naturale di figure umane abbigliate e supportate da
riproduzioni di monili, armi ed oggetti d’uso sono un medium sicuramente corretto ed efficace per
la comunicazione del mondo antico, che mantiene intatto anche il rigore scientifico
dell’esposizione. Esse presentano diversi problemi connesso con il rapporto con il visitatore:
bisogna tenere conto, ad esempio, dell’armonizzazione dei colori dei costumi che, tenendo come
riferimento i colori di uso accertato nel periodo di riferimento, devono essere impiegati in modo tale
da evitare i fenomeni di assimilazione e saturazione di colore e di forma.
Diverse dalle ricostruzione scenografiche sono le scenografie museali, oggi in disuso ma adoperate
nei decenni passati, che si servono di una scena costruita artificialmente intorno ad un oggetto come
medium per suscitare un’emozione nell’osservatore.
10.5.3 Diorami
1) caratteristiche degli oggetti osservati (descrivibili secondo gli studi della Gestaltpsychologie)
2) caratteristiche dell’osservatore;
3) condizioni dell’osservazione.
La visita al museo implica un contatto percettivo con gli ambienti, con gli oggetti, ed un contatto
“immaginativo” con la storia di quest’ultimi. Ancor prima del contatto percettivo con gli oggetti,
tuttavia, si colloca la percezione dello spazio, intesa nel senso del più ampio rapporto con
l’organizzazione interna strutturale e concettuale dell’edificio.
L’esperienza del contatto percettivo è molto articolata, per via delle molteplici connessioni con le
altre aree del funzionamento psichico interessate nei processi psico-percettivi: memoria, emozioni,
motivazioni, comunicazione. Inoltre il contato percettivo visivo nei percorsi plurisensoriali si fonde
con altri eventi sensoriali dando origine ad una percezione più complessa, originata cioè da un
sistema percettivo che può trarre notevoli vantaggi dagli studi sulla sinestesia.
I fenomeni della percezione sono fondamentali anche per le dinamiche della comunicazione,
dell’educazione e della didattica nei musei, sia perché costituiscono il primo impatto con i
contenuti, sia perché sono il primo passo nell’elaborazione dell’esperienza.
Il fenomeno percettivo, infatti, investe non solo il rapporto con gli oggetti e le opere, ma anche ciò
che riguarda l’orientamento, i percorsi e i supporti esplicativi. Le configurazioni percepite
veicolano significati che vanno al di là dei contenuti culturali pertinenti al tipo di oggetto esposto:
sono significati legati alle forme con cui oggetti, allestimenti e ambienti si presentano nel loro
La percezione è quel processo attraverso cui riceviamo dall’ambiente informazioni che vengono
elaborate ed organizzate nel tentativo di attribuire loro un significato.
È ormai riconosciuto che la percezione non è solo un processo di registrazione sensoriale degli
stimoli esterni, ma un’attività di attenzione, riconoscimento,memorizzazione, categorizzazione e
interpretazione delle numerose informazione che ci provengono dall’ambiente.
Per lungo tempo per spiegare tale processo si è ricorsi all’analogia con la macchina fotografica;
tuttavia, se è vero che tra occhio e macchina fotografica ci sono molti punti in comune, è anche vero
che che noi non registriamo una determinata scena nella stessa maniera.
Di una stessa scena ognuno di noi avrà una rappresentazione più o meno diversa; non tutti gli
stimoli presenti saranno analizzati nello stesso modo, ne coglieremo alcuni e ne tralasceremo altri.
Secondo la psicologia cognitiva, l’atto visivo non è una pura registrazione passiva dell’ambiente
fisico esterno, ma una costruzione attiva che implica processi di elaborazione e di riduzione. Infatti
il nostro sistema sensoriale è un sistema a capacità limitata, per cui non possiamo tenere conto di
tutte le innumerevoli informazioni che ci provengono nello stesso momento dall’ambiente.
La valutazione degli effetti di campo individuati dalla Gestalt, unitamente alla previsione dei
disturbi percettivi che si possono verificare, può essere molto utile nella progettazione e nella
comunicazione museale. La psicologia della Gestalt (in italiano il termine può essere tradotto con
“forma”, “schema”) nacque a Berlino e fu la prima scuola che si occupò in maniera approfondita di
percezione visiva. La teoria della Gestalt propone due leggi generali sullo studio dei fenomeni
psichici → i fenomeni psicologici avvengono in un campo;e i processi tendono a rendere lo stato
del campo buono, quando le condizioni lo permettono. Il campo è inteso come un insieme
strutturato di elementi, definito dalla relazione significativa fra le parti: ad esempio, un insieme di
quadri o di oggetti legati da una relazione di posizione, forma, colore o dimensione, possono essere
definiti come campi percettivi. Il primo principio teorico della Gestalt è che “il tutto è più della
Gli psicologi della Gestalt scoprirono le leggi del raggruppamento: sostennero, cioè, che il nostro
sistema visivo organizza o articola le diverse parti che compongono una scena, non in termini di
unità elementari presenti nella configurazione ma in un certo numero di fattori che agevolano
l’unificazione degli elementi in un tutto. il risultato è in genere una riduzione degli elementi che
vengono raggruppati sulla base di alcune caratteristiche condivise. Il risultato finale della nostra
percezione avrebbe a che fare quindi con un tutto che non è semplicemente la somma dei singoli
elementi ma un’organizzazione immediata e unitaria delle diverse parti. Le interazioni nel capo
visivo sono governate dalla legge della semplicità , secondo la quale le forze percettive che lo
costituiscono si organizzano nel pattern (schema) più semplice, più regolare, più simmetrico che le
circostanze consentano.
Il fattore sicuramente più importante di organizzazione percettiva secondo la psicologia della
Gestalt è quello della buona forma o pregnanza, secondo cui esiste una tendenza a percepire forme
buone, cioè semplici, regolari, simmetriche quando le condizioni stimolatorie lo consentono.
All’interno del contesto museo sono importanti alcuni fenomeni percettivi, tra cui le illusioni
ottiche, i fenomeni dell’ambiguità, le alternanza, l’assimilazione, il contrasto, i fenomeni delle
costanze percettive, il completamento, la contraddizione, l’adattamento, la saturazione psichica, il
mascheramento, il risalto, gli aspetti legati alla percezione del movimento e del colore.
Sono quelle particolari condizioni conflittuali in cui si riscontra una discrepanza tra gli aspetti fisici
dello stimolo e la valutazione percettiva, il cui risultato è in genere un’errata interpretazione di
alcune parti della configurazione. Sono state osservate numerose illusioni cosiddette ottico-
geometriche, condizioni in cui elementi lineari e geometrici semplici, se osservati singolarmente
non producono distorsioni percettive, ma se messi in relazione gli uni agli altri vengono percepiti in
L’osservatore può imbattersi in immagini che contraddicono certe sue aspettative divergendo da
alcune tra le sue più radicate abitudini ed esperienze e provocano vissuti di incongruenza,
paradosso, bizzarria, assurdità, stranezza. Gli esempi più chiari sono quelli in cui la contraddizione
riguarda un solo elemento di una configurazione già nota: il naso di Pinocchio (incongruenza di
forma), un edificio che pende da un lato (incongruenza di posizione) ecc. Tali congruenze sono
ascrivibili più in generale alla categoria del conflitto psichico, proprio perché l’immagine non si
allinea, anzi entra in conflitto con gli schemi mentali e le consuetudini percettive dell’osservatore.
Tali incongruenze possono essere colte immediatamente (conflitto evidente) o dopo
un’osservazione prolungata (conflitto latente).
La differenza fra ambiguità e contraddizione è che nel primo caso viene alternativamente scelta
l’una o l’altra configurazione, nel secondo caso il conflitto è permanente.
Le bizzarrie, le incongruità o i paradossi sono spesso presenti nel museo storico-artistico: ne sono
un esempio alcune opere di Dalì, come quelle sul tema del tempo (gli orologi molli) oppure le
inquietanti deformazioni di F. Bacon o le esasperazioni figurali dell’Espressionismo. La pittura
cubista, ad esempio, mostra immediatamente i suoi aspetti di incongruenza (di composizione), come
il disallineamento degli occhi nei ritratti femminili di Picasso. Sull’incongruenza di grandezza si
basano gli oggetti quotidiani (sedie, lampade, apriscatole ecc.) dalle dimensioni gigantesche
dell’artista americano Oldenburg.
L’assimilazione è un disturbo percettivo per cui l’elemento definito inducente fa s’ che un altro
elemento detto indotto modifichi percettivamente le sue qualità in modo da attenuare le proprie
caratteristiche.
Per assimilazione simultanea, detta anche uguagliamento, che si verifica con la presenza simultanea
dei due elementi, si intende invece una riduzione delle differenze fra due o più elementi dovuta a
fattori percettivi e non quali esperienze, ricordi pregressi o altro.
Ai processi di assimilazione sono collegabili anche alcuni tipi di configurazioni percettive come
l’anamorfosi: il processo in cui un oggetto noto viene fortemente deformato.
Ecco alcuni casi di fenomeni di assimilazione spesso riscontrabili nei musei:
→ L’assimilazione di forma si può verificare nei lapidari dei musei archeologici in cui gli elementi
lapidei con iscrizioni sono messi in lunghe sequenze sulle pareti;
→ Oggetti e manufatti in pietra eterogenei poggiati su una parete di identico materiale producono
vari fenomeni di disturbo percettivo, fra cui l’assimilazione di colore e la saturazione di
eterogeneità;
→ Le esposizioni nei musei geo-mineralogici possono causare fenomeni di assimilazione
→ Il percolo di assimilazione riguarda anche le mostre d’arte a a carattere fortemente tematico o di
ambito cronologico ristretto (ad esempio i paesaggi nella pittura impressionista);
L’assimilazione di forma è una costante nei musei tematici (ad esempio, il museo della carrozza)
Il risalto può essere considerato una forma di contrasto. Esso è il contrario del mascheramento, in
quanto qui la configurazione acquista valore percettivo, la figura si distinguerà dallo sfondo e da
altre figure simili fino ad assumere maggiore importanza psicologica.
Metzeger affermò che quando si asserva una scena non tutte le parti hanno lo stesso risalto. Ciò che
assume rilevanza psicologica, importanza agli occhi del percipiente, viene chiamata figura, il resto
è sfondo. Quest’ultimo assume il ruolo di schema di riferimento, quindi è l’ambiente nel quale la
figura occupa una determinata posizione.
Nel museo condizioni di risalto possono essere usate con vantaggio nell’allestimento, ad esempio
inserendo in vetrine oggetti di piccole dimensioni che altrimenti rischierebbero di passare
inosservati oppure per dare maggiore rilevanza ad alcuni oggetti più significativi; ad esempio in
un’esposizione storica di quadri di uno stesso periodo di artisti operanti in una stessa regione, il
risalto può aiutare il visitatore a comprendere quali sono gli artisti di maggior rilievo.
Noi non vediamo quasi mai gli oggetti nella loro interezza: vediamo parti di essi, da cui deduciamo
la globalità dell’oggetto che abbiamo di fronte. Siamo quindi protagonisti di un effetto di
completamento, quando ci sembra di intuire percettivamente superfici e volumi retrostanti, che non
sono per noi effettivamente visibili. La presenza di indici di incompletezza di un’immagine
attiverebbe in noi quella esigenza di forme regolari, chiuse, complete, postulata dagli psicologi
gestaltisti. Il completamento è in relazione con le aspettative e i bisogni, cioè consolida gli schemi
mentali del percipiente, impegna alcuni suoi bisogni conoscitivi di congruenza e di regolarità.
Elenchiamo una serie di situazioni museali in cui il completamento risulta di fondamentale
importanza per la percezione degli oggetti:
➢ In alcuni casi il completamento ha una funzione positiva nel museo, in quanto facilita i
processi di integrazione o ricostruzione mentale di immagini ed oggetti;
➢ Il completamento amodale (o coperto) può facilitare la comprensione degli affreschi
restaurati;
➢ È di considerevole importanza nel museo archeologico, ricco di elementi allo stato
frammentario. Spesso infatti, se non sono accompagnati da un abbozzo di ricostruzione,
molti reperti rimangono elementi ambigui;
➢ A volte il completamento non viene favorito nel modo giusto: un esempio è la ricostruzione
dei frontoni dei templi etrusco-italici;
➢ In alcuni casi, la naturale tendenza al completamento può essere bloccata dal tipo di
supporto adottato: ad esempio, frammento di terracotta montati su legno troppo nodoso o
rustico, o supporti per reperti paleontologici troppo simili all’oggetto possono confondere e
inibire il completamento. In tali casi si innesca un fenomeno di ambiguità che non permette
di distinguere il reperto dal supporto. Carlo Scarpa, alcuni decenni fa, scelse il ferro non
verniciato per realizzare i supporti di statue antiche, in modo che fosse il materiale stesso a
dare il messaggio di alterità o non contemporaneità con il reperto. Di recente sono state
adottate soluzioni ricostruttive per monumenti antichi con supporti moderni che favoriscono
il completamento escludendo ogni possibile ambiguità;
L’adattamento è un processo graduale, più lento della saturazione, che si manifesta con la
progressiva attenuazione delle caratteristiche inizialmente salienti dell’immagine, per cui a
un’osservazione prolungata emergono particolari meno evidenti o piccole incongruenze.
Questo fenomeno porta l’osservatore a cogliere stimoli prima non visualizzati e a discriminare con
più facilità la differenza visiva tra la figura e lo sfondo.
In condizioni di protratta monotonia, il soggetto non solo diviene più analitico, ma può tendere a
sviluppare in maniera sempre maggiore l’interesse verso una realtà alternativa, fino a produrre delle
vere e proprie inversioni di contenuti e a dar corpo ad allucinazioni e malesseri come nel caso della
sindrome di Stendhal (vertigine, stato confusionale, senso di irrealtà in soggetti posti al cospetto di
opere d’arte di particolare bellezza).
Nel museo si verificano varie forme di adattamento, connesse per la maggior parte dei casi con le
variazioni di intensità luminosa.
Un tipo di adattamento, ad esempio, è quello che avviene durante l’osservazione di un dipinto: in
questo caso il campo visivo dell’occhio è catturato dall’area più luminosa della superficie
d’esposizione. Le pareti bianche di sfondo, altamente riflettenti, rendono difficile all’occhio la
messa a fuoco di porzioni meno brillanti di quadri scuri. Questo inconveniente può essere eliminato
con la riduzione del contrasto cromatico tra parete e dipinto, che facilita e sveltisce il processo di
adattamento. Se la visita museale è effettuata in ore notturne, alcuni dipinti possono apparire più
luminosi se lo sfondo è più scuro.
Nell’ambito museale si parla di adattamento anche per quanto riguarda l’illuminazione delle sale. Il
problema è di ordine fisiologico con risvolti psicologici, ma spesso si somma all’adattamento
percettivo nel passaggio da uno spazio ad un altro con diversi livelli di intensità luminosa. È
necessario dare all’occhio umano il tempo necessario per adattarsi all’effetto di spazi illumonati in
modo diverso e tale tempo è tanto maggiore quanto più forte è la riduzione della luminanza media
degli ambienti.
Un fenomeno di adattamento fisiologico con forti valenze psicologiche siverifica nelle sale del
museo che, per esigenze conservative ( nelle mostre, ad esempio, la tecnica dell’acquerello su
carta,soggetta al degrado causato dalla luce, necessita un calo di illuminazione) sono quasi
totalmente buie; nel museo o nella mostra storico-artistica o archeologica a volte oggetti nella stessa
vetrina sono illuminati in modo differente. Queste situazioni possono generare sensazioni spiacevoli
di non-familiarità oppure errate attribuzioni di significato: oggetto/stanza meno illuminato =
oggetto/stanza meno importante.
La saturazione è connessa con diversi fenomeni psichici come le alternanze percettive, le ambiguità
e l’adattamento. Esistono due tipi di saturazione: la saturazione di omogeneità e quella di
eterogeneità.
La saturazione di omogeneità è stata verificata nell’osservazione di una superficie isoilluminante.
Essa provoca un desiderio di eterogeneità e di frammentazione e, in alcuni casi, una tendenza a
cogliere i particolari. La saturazione di eterogeneità è il caso contrario della saturazione di
omogeneità: se veniamo bombardati da immagini in maniera incessante e anche violenta, le soglie
percettive di alzano (sindrome di Stendhal).
Nel museo dunque bisogna evitare sia condizioni di monotonia intesa come percezione uniforme e
ripetitiva, sia condizioni di sovraccarico di varietà dell’esperienza.
Situazioni favorevoli all’insorgenza di fenomeni di omogeneità e adattamento si hanno in caso di
fitte file di oggetti della stessa tipologia. E’ il disturbo in assoluto più semplice da eliminare: basta
adottare un coraggioso criterio selettivo, a volte di difficile applicazione nel museo italiano. Inoltre
si può aggirare tale inconveniente mantenendo distanze maggiori e riducendo il numero di elementi
uguali nel caso in cui si presentino oggetti rinvenuti in serie.
Per oggetti da esporre in vetrina, invece, si può pensare a forme eterogenee di supporti. Questo,
oltre a conferire originalità all’allestimento, consente di non incorrere nella saturazione di forme per
quando riguarda sia i supporti che gli oggetti esposti. Anche il percorso dell’osservatore deve
variare durante la fruizione: sono da evitare quindi lunghi corridoi espositivi, mentre è consigliato
l’uso di tinte non uniformi.
La saturazione di eterogeneità nel museo si verifica nel caso di esposizioni troppo lunghe ed
articolate che producono confusione e, nei casi peggiori, rigetto.
I fenomeni di mascheramento sono tutti quei fenomeni per cui una qualsiasi configurazione o
immagine può perdere la propria identità se si trova ad essere assorbita da un altro contesto che
risulta percettivamente più significativo. L’elemento che subisce il mascheramento è definito
elemento indotto, mentre il contesto che maschera è l’inducente. Si può parlare di mascheramento
come di una forma estrema di assimilazione. In natura il fenomeno del mimetismo è un’evidente
forma di mascheramento. Nel museo storico-artistico possono essere presenti oggetti di correnti
artistiche che usano contaminazioni fra generi. Tali oggetti risultano “mascherati” a molti tipi di
pubblico, ma decifrabili per altri che abbiano le giuste chiavi di lettura o, in termini percettivi, i
necessari schemi di riferimento.
11.3.11 Dagli strumenti tecnici all’arte cinetica: la percezione del movimento nel museo
Il movimento è l’azione di un corpo che agisce seguendo una direzione con un velocità.
Nel museo si verificano diversi casi di percezione del movimento:
➢ Il movimento è un fenomeno molto frequente nel museo della scienza e della tecnica.
L’accortezza espositiva consiste nel non riunire in uno stesso spazio troppi oggetti in
movimento;
➢ La pittura e la scultura futurista sono espressione pittorica del movimento in corso e
pertanto, dal punto di vista espositivo, necessitano di un intervallo di spazio maggiore dalle
Per distinguere un oggetto il nostro sistema nervoso deve innanzitutto analizzarlo in rapporto al suo
sfondo. La parete, in un contesto museale, funge da sfondo e può influenzare il colore e la
percezione degli oggetti. L’importanza dello sfondo diventa chiara se si analizzano gli esperimenti
fatti in un campo di colore uniforme e senza figure strutturate. In questa condizione, se si cambia il
colore dello sfondo, pur mantenendo costante l’illuminazione, gli oggetti tendono a cambiare
colore: un oggetto bianco può divenire rosa pallido o verde chiaro a seconda dello sfondo su cui
viene osservato. Inoltre, oggetti che riflettono luce di identica lunghezza d’onda possono sembrare
di colore completamente diverso se proiettati su sfondi diversi. la percezione del colore, quindi,
deriverebbe dalla discriminazione della differenza tra la lunghezza d’onda della luce riflessa da un
oggetto e quella della luce riflessa dallo sfondo in cui tale oggetto si inserisce.
Nel museo il problema della percezione dello spazio che applichiamo ai campi visivi delle sale si
sta allargando alla percezione della realtà virtuale, poiché si sta intensificando la multimedialità del
museo, sempre meno confinata in apposite aree e più integrata negli ambienti.
La percezione della tridimensionalità può avvenire grazie a degli indici pittorici che ci possono
fornire dati sulla profondità dello spazio e sulla distanza degli oggetti, come:
➢ Sovrapposizione: la figura posta anteriormente rispetto ad un’altra appare più vicina. Gli
oggetti retroposti ottengono una regolarizzazione della loro forma grazie al completamento
amodale;
Nella percezione, il risultato essenziale si gioca tutto nel modo con cui lo spettatore entra in contatto
con la figura-stimolo.
I significati percettivi vengono contestualizzati secondo una relazione biunivoca: il contesto
modifica il significato e il significato modifica il contesto. Ad esempio un nudo può essere
considerato accettabile in un museo ma inaccettabile in altri contesti.
La visita al museo equivale ad un contatto percettivo con gli ambienti e con gli oggetti e ad un
contatto immaginativo con la storia di questi ultimi. L’esperienza del contatto percettivo è molto
complessa per via delle numerose connessioni con le altre aree del funzionamento psichico che la
percezione coinvolge: emozioni, motivazioni, memoria, pensiero creativo, comunicazione.
Le configurazioni percepite veicolano significati legati alle forme con cui oggetti, allestimenti e
ambienti si presentano nel loro insieme e alle emozioni e agli atteggiamenti che in corrispondenza si
attivano nel visitatore. Il contatto percettivo ed il legame immaginativo con gli oggetti e la loro
storia può avere ripercussioni sul fruitore non solo nel momento della visita, ma anche in seguito,
nelle sue riflessioni e negli atteggiamenti culturali.
Gli elementi e i processi coinvolti nella percezione partono dalla percezione e dal riconoscimento di
un oggetto. Gli stimoli che ci arrivano sono numerosissimi e poiché siamo dotati di un sistema a
capacità limitata dobbiamo necessariamente operare un certo tipo di selezione attentiva delle
informazioni in arrivo, tramite il processo dell’attenzione.
Con l’esperienza e l’interazione continua con l’ambiente, siamo in grado di apprendere cose di
estrema importanza per la comprensione del mondo, mentre grazie alla memoria siamo in grado di
trattenere l’informazione e depositarla in un magazzino cui accediamo quando abbiamo bisogno di
recuperarla. Con i processi di categorizzazione possiamo ridurre il numero degli attributi di diversi
oggetti a una tipologia media a cui facciamo ricorso quando dobbiamo parlare di un oggetto
specifico, mentre con il pensiero proviamo a risolvere i numerosi problemi che continuamente ci si
pongono. La motivazione costituisce una spinta propulsiva all’agire secondo diverse modalità, ma si
relaziona in seguito anche con le qualità fenomeniche dell’oggetto, mentre l’emozione tiene conto
di tutte le modificazioni inerenti alla sfera affettiva anche in riferimento al significato affettivo,
espressivo ed estetico che gli oggetti possiedono e in qualche modo ci comunicano.
Fanno parte dell’attività mentale anche i processi che conducono a cogliere le qualità fenomeniche
attribuibili alla relazione fra un agente e il percipiente. Queste qualità sono affini a quelle
espressive, ma per esse è più marcato l’aspetto relazionale: sono le cosiddette qualità-ponte, come
quelle cui alludono gli aggettivi rassicurante, divertente, attraente, oppure allarmante, minaccioso,
repulsivo. Due esempi possono essere le opere di Francis Bacon contenenti le inconfondibili
deformazioni esasperate della figura umana o uno strumento di tortura in perfetto stato di
conservazione. Il museologo dovrà preoccuparsi non solo della corretta esposizione e
comunicazione ma anche dell’attuazione di strategie per alleggerire le configurazioni percettive
indubbiamente non attraenti. Alcuni studiosi hanno evidenziato processi cognitivi ampiamente
applicabili al museo: la sensibilizzazione selettiva (gli stimoli accettabili vengono percepiti con più
facilità), la difesa percettiva (gli stimoli non accettabili non vengono percepiti facilmente), la
risonanza di valore (gli stimoli che riflettono il proprio sistema di valori vengono percepiti più
volentieri).
È noto il caso, accaduto in un museo americano, di una signora che rimproverò un altro visitatore di
aver interrotto con lo squillo del cellulare una sua intensa estasi divenuta vero e proprio godimento
mentre guardava un’opera di Pollock. Probabilmente il ricordo che serbiamo, pur a distanza di molti
anni, di un oggetto o di un’opera d’arte visti in un museo è legato non solo ai processi della
memoria vera e propria, ma al fatto che in quel momento distante nel tempo si sia attuata
un’esperienza estetica gratificante.
L’esperienza estetica si può avere durante l’osservazione di una rappresentazione percettiva o anche
durante la contemplazione di una rappresentazione immaginativa. L’esperienza estetica si
accompagna parallelamente al rilievo di valenze o qualità-ponte altamente positive dell’immagine,
dell’oggetto o dell’evento con cui tale esperienza è vista in relazione. Tale immagine si presenta
molto attraente e polarizza l’attenzione dell’osservatore. Essa sembra accompagnarsi a volte ad una
sorta di distanziazione psichica, di filtraggio, di distacco della realtà contemplata. Sovente
l’esperienza estetica risulta accompagnarsi ad un’impressione di sospensione del tempo; durante
l’esperienza estetica l’attenzione viene completamente assorbita dall’oggetto o dall’evento
piacevole. Essa è filtrata dall’universo interno del soggetto che fa rivivere dentro di sé l’oggetto o
l’opera d’arte che reinventa insieme all’autore o all’artista: l’osservatore rivive e proietta sulla
figura esterna i suoi contenuti interni.
Marazzi sostiene che è la cultura, piuttosto che il dato oggettivo della percezione, a delimitare la
gamma di variazioni delle nostre reazioni alle immagini, ai colori, alle forme. Nell’uomo, anche la
percezione sensoriale diventerebbe, secondo Marazzi, un’operazione culturalmente determinata:
essa è solo uno strumento fisiologico che ogni comunità umana apprende e sfrutta nelle sue
potenzialità, operando scelte che permettono di organizzare la propria percezione in base a
differenti patrimoni culturali, alle esperienze del mondo e alle realtà psicologiche e culturali ad essi
collegate.
La luce è ingrediente essenziale nell’atto del vedere: senza di essa l’occhio non vede la forma, lo
spazio, il movimento. Se si vuole comprendere un’opera d’arte bisogna innanzitutto vedere l’opera
nella sua globalità e nel suo rapporto di luce con lo spettatore. Dal punto di vista percettivo sono
molti gli aspetti che condizionano la visione di un’opera d’arte: la forma ed il colore influenzano il
peso degli elementi dell’immagine.
Con una particolare modulazione della luce si possono immergere le opere in un non-tempo e in un
luogo diverso, isolandole e al tempo stesso offrendole alla visione secondo traiettorie inedite. La
luce allora diviene un mezzo di comunicazione, un veicolo culturale.
Questi brevi esempi aiutano a capire l’importanza della valutazione scientifica delle componenti
luminose, fenomeni ormai imprescindibili nella fruizione estetica e nella visione delle opere
artistiche. Il criterio fondamentale dell’illuminazione rimane ancora quello di isolare ogni oggetto in
un ambiente neutro e di limitarsi a sottolineare quelle, fra le condizioni ambientali originarie, che
hanno intimamente influito sulla scelta della tecnica e dei mezzi espressivi.
Il problema della luce nello spazio museale è stato nel tempo oggetto di dibattiti, discussioni e
contrasti: l’impiego dell’illuminazione zenitale, il progressivo utilizzo della luce artificiale e le
soluzioni di miscelare i due tipi di illuminazione, i problemi di conservazione sono argomenti che si
sono affiancati alle considerazioni di carattere storico-artistico, filologiche e scientifiche.
Per quadro illuminato bene si intende un’opera illuminata in modo ben visibile. Nelle superfici
prevalentemente piane è richiesta l’uniformità dell’illuminamento. Bisogna inoltre ottenere una
percezione del quadro in maniera distinta rispetto alla parete e la possibilità di osservarlo da vicino
senza provocare ombre portate. Al Musée d’Orsay, la galleria dell’Impressionismo successivo al
1870 e del Neoimpressionismo è posta all’ultimo piano per ricevere la luce naturale zenitale simile
a quella naturale esterna, avallando l’interpretazione storica secondo cui gli artisti impressionisti
avevano dipinto i loro paesaggi en plein air. È chiaro pertanto che vanno cercate le intensioni
dell’artista: assecondare l’opera illuminandola nella misura che essa richiede e, possibilmente, dallo
stesso lato da cui proviene la sua luce interna (es. opere di Caravaggio). Le opere commissionate ed
eseguite per le chiese, come le pale d’altare in origine erano progettate per essere visibili in un
determinato ambiente del quale l’artista conosceva i fasci luminosi provenienti da vetrate, rosoni o
lucernari e la disposizione delle altre fonti luminose.
Illuminare la scultura è un problema che consta di due aspetti, uno essenzialmente illumino-tecnico
e l’altro storico-artistico. Dal punto di vista dell’illuminotecnica, bisogna tener presente che la
componente più importante degli oggetti tridimensionali è la loro massa la quale, secondo la loro
illuminazione, assume particolari effetti plastici e mette in risalto la trama di superficie: bisogna
illuminare mediamente la scultura, senza eccedere con luci troppo marcate o blande che generano
chiaroscuri, effetti indesiderati. Per la scultura bisogna evitare ombre troppo marcate, utilizzando se
è necessario più fonti di luce. Le ombre scure vanno infatti a interferire in maniera invasiva nei
La configurazione spaziale dei musei è diventata materia non solo degli addetti ai lavori, curatori o
progettisti, ma anche del settore specialistico dell’illuminotecnica. L’odierna illuminazione museale
è frutto di una lunga evoluzione del pensiero storico sulla qualità della luce, sul modo in cui è
impiegata e sulle ipotesi di impiego complementare fra luce naturale e luce artificiale.
Ci sono 4 criteri che garantiscono in linea di massima una corretta illuminazione museale:
1. Conservazione delle opere: lo stato di conservazione delle opere in condizioni di illuminazione
naturale e artificiale;
2. Fruibilità: consentire all’osservatore di distinguere e riconoscere le opere d’arte;
3. Fruibilità dell’ambiente espositivo: consentire che gli osservatori possano circolare nell’ambiente
in ottimali condizioni di visibilità;
4. Minima intrusività dell’impianto d’illuminazione: progettare l’impianto di illuminazione
completamente nascosto e integrato nell’architettura dell’ambiente.
Oltre alla conoscenza delle opere da illuminare e dei materiali utilizzati bisogna tener presente
anche lo spazio espositivo a disposizione. Il tipo di illuminazione impiegata, oltre a essere in
relazione con l’opera, dovrà integrarsi in maniera non invasiva con l’allestimento e l’architettura
dell’ambiente. Per quanto riguarda le opere esposte sono fondamentali:
1. una fedele percezione delle luminanze che caratterizzano l’opera;
2. una resa cromatica ottica, specialmente nell’illuminazione di oggetti policromi;
3. l’assenza d’abbagliamento diretto o riflesso in tutte le posizioni d’osservazione previste.
La luce naturale viene in genere preferita perché riproduce le condizioni in cui gli artisti hanno
operato e per la resa dell’aspetto materico delle superfici degli oggetti. Una tematica da tenere in
considerazione è la pericolosità delle radiazioni luminose naturali (parallelamente a quelle emesse
da lampade fluorescenti) e i danni che i raggi ultravioletti possono causare alle opere d’arte.
Nel caso dell’illuminazione degli spazi espositivi d’arte la luce naturale ha effetti benefici sulla
fisiologia del visitatore, migliora la percezione cromatica degli oggetti restituendo all’osservatore
una migliore comprensione della tecnica dell’artista. Uno dei più antichi sistemi di illuminazione è
il lucernario, un’apertura vetrata nella parte superiore di uno spazio attraverso la quale viene
convogliata la luce naturale, che per la direzione verticale si definisce zenitale.
Il flusso luminoso emesso dalle fonti artificiali presenta due limiti di grande rilevanza:
1. La staticità nella visione agli occhi dell’osservatore;
2. La pericolosità del fascio luminoso per la conservazione del materiale esposto.
La luce artificiale può essere controllata direttamente e si può intervenire su alcuni valori, quali
l’intensità e la resa cromatica del fascio luminoso, rispetto all’imprevedibilità della luce del sole.
L’uso della luce naturale o artificiale è un aspetto centrale del dibattito sulla progettazione degli
ambienti espositivi. Dall’inevitabile conflitto tra esposizione e conservazione, sembra che prevalga
la preferenza verso la sorgente artificiale, sicuramente di più facile gestione.
Eppure l’affiancamento della luce naturale da parte di sorgenti artificiali si verifica sempre più
frequentemente per problematiche di conservazione legate alle esigenze crescenti di fruizione del
museo: l’apertura durante fasce orarie e periodi dell’anno con poca luce diurna.
L’abbagliamento è una condizione della visione durante la quale si verifica un danno o una
riduzione della capacità di distinguere i dettagli di un oggetto a causa di una ripartizione non
favorevole delle luminanze. L’abbagliamento proviene da fonti luminose cge, oltre a illuminare
l’opera, colpiscono involontariamente o di rimando anche lo sguardo dello spettatore: si tratta
dell’abbagliamento indiretto che può essere causato dalle riflessioni d’emissione dei proiettori
posizionati per illuminare le opere. Il fenomeno dell’abbagliamento indiretto avviene quando il
centro luminoso e la superficie lucida sono posizionati in modo tale che gli occhi dell’osservatore
vengono colpiti dalla cuspide della luce riflessa, causando la visione nella tela di una macchia
luminosa che attenua e annulla i contrasti cromatici del dipinto e ne rende difficile la lettura.
Il controllo dell’abbagliamento indiretto è di fondamentale importanza per le opere bidimensionali
con superfici lucide come le pitture a olio e per opere protette da lastra di vetro.
La comunicazione dell’arte o della scienza può assumere varie forme, così come diversi possono
essere i modelli comunicativi applicabili in ambito museologico. Se il ruolo attuale del museo è
quello di essere un servizio al pubblico, esso deve essere rivolto a tutta la comunità e quindi
comunicare con essa. Riconoscere la portata sociale e culturale del museo significa aprire il campo
alla ricerca di strategie che assicurino la realizzazione dei fini di “studio, educazione e diletto”
definiti dall’ICOM (International Council of Museum). È questo interesse verso la funzione sociale
ed educativa che distingue il dibattito estero sui musei da quelli italiani; nel nostro Paese si è
tradizionalmente più impegnati nel campo della conservazione; ad una corretta tutela va fatta
seguire un’operazione di diffusione della cultura artistica e scientifica, affinché si crei un’intesa
profonda fra il museo e i suoi fruitori. Dall’affermarsi delle tendenze democratiche i musei sono
sempre stati accessibili al grande pubblico, sono perciò prodotti del contesto sociale, ma è tuttavia
pericoloso dare per scontato che sia loro garantito, senza un’evoluzione adeguata, un posto nella
società del futuro; se il loro scopo è quello di rendere un servizio alla società risulta fondamentale la
loro sintonia con l’ambiente che li circonda. L’effettiva funzione del museo è costituita dalla
comunicazione; tuttavia gli elementi fondamentali del processo comunicativo sono stati applicati
nel museo solo di recente.
Molteplici sono gli approcci allo studio del processo comunicativo; essi hanno dato vita a diversi
modelli interpretativi che, applicati al museo, consentono di delineare i principali orientamenti della
comunicazione verso il fruitore.
Shannon e Weaver formularono la teoria matematica della comunicazione che si fondava sulle
seguenti variabili: sorgente dell’informazione, emittente, canale di comunicazione, sorgente di
disturbo, messaggio, ricevente. Nelle mostre, l’oggetto viene comunicato secondo l’impronta del
curatore; nella fase di approccio ad esso intervengono fattori di disturbo non previsti che
condizionano il messaggio, la sua ricezione e l’elaborazione interpretativa. L’elemento
fondamentale per una valida trasmissione di informazioni è l’area di coincidenza (la
sovrapposizione tra il bagaglio culturale, emotivo dell’emittente e quello del ricevente)
nell’attribuzione dei significati da parte dei due attori della comunicazione. Alla comunicazione
come processo di trasmissione sono state mosse molte critiche, in quanto è un approccio molto
limitato.
Un approccio di tipo sociologico considera la comunicazione come realtà culturale anziché come
processo di trasmissione. In tale ottica la comunicazione diviene simile a un qualsiasi scambio di
valori sociali. I processi comunicativi sono quindi parte integrante della cultura, che diviene un
concreto sistema di significazione, per cui gli aspetti della vita sociale contribuiscono alla
costruzione del significato. I sociolinguisti inoltre sostengono che il pubblico museale dovrebbe
essere considerato come coautore, in quanto le risorse cui attinge definiscono anche ciò che esso
comprende: nel recepire i messaggi delle mostre il pubblico è creativo almeno quanto lo sono i
curatori nell’elaborare i messaggi stessi.
Da tutto ciò si comprende come il problema dei codici di comunicazione e dei codici linguistici sia
percepito in termini differenti dagli orientamenti teorici analizzati.
All’interno del museo si intersecano forme sempre mutevoli di interazione, non solo fra gli oggetti e
il contesto di allestimento, ma anche fra gli oggetti e i media impiegati.
McLuhan ha suddiviso i media in caldi e freddi, secondo la tipologia e l’intensità di coinvolgimento
del fruitore.
I media caldi esigono un forte impegno iniziale nella scelta dell’attività e dopo l’accesso offrono
condizioni ottimali per la partecipazione ed il coinvolgimento del fruitore (es. decidere di andare al
cinema o al museo). I messaggi devono essere ben chiari all’inizio (titolo del film, informazioni sui
contenuti del museo ecc.).
I media freddi, invece, sono quelli in cui l’accesso è molto facile (radio, televisione e, nel museo, la
visita guidata) e durante l’utilizzo richiedono particolari strategie rivolte a mantenere desta
l’attenzione e la partecipazione dell’utente.
➢ Una finestra sull’esperienza che ci fa osservare liberamente ciò che accade, senza interferire;
➢ Un interprete che spiega e da senso ad eventi altrimenti frammentari;
➢ Una piattaforma per informazioni e opinioni;
➢ Un legame interattivo che pone in relazione emittenti e riceventi tramite feedback;
➢ Un segnale diretto in una direzione con la funzione di guida o istruzione;
➢ Un filtro che selezione solo alcune parti dell’esistenza;
➢ Uno specchio che riflette sulla realtà un’immagine di sé stessa, con qualche distorsione;
➢ Uno schermo che nasconde la verità a scopo di propaganda o fuga dalla realtà.
Se l’effetto finestra o interprete sono positivi, l’effetto filtro, specchio o schermo sono
estremamente negativi; nel museo, ad esempio, possono essere ritenuti affini a questa categoria
l’insieme dei mezzi posti in atto nelle vecchie mostre etnografiche di matrice occidentale.
I mezzi, infatti, condizionano la concezione del mondo indipendentemente dai messaggi da essi
veicolati.
Nel museo, la comunicazione culturale può essere suddivisa in quattro differenti categorie. Le
prime due si avvalgono dei mezzi comunicativi tradizionali, mentre le ultime due ricorrono
all’ausilio delle nuove tecnologie:
1) la comunicazione simbolica: mappe illustrate, sistemi segnaletici, segni e icone (omini, scale,
porte ecc). Questo tipo di comunicazione organizza gli ambienti creando una corrispondenza tra
icone e luoghi;
2) la comunicazione scritta: si avvale di ausili informativi quali schede, guide, opuscoli, pannelli
ecc. Essa comprende:
- la comunicazione peritestuale, cioè gli apparati didascalici posti nelle immediate vicinanze
degli oggetti, utili per far sapere al fruitore il nome dell’oggetto, dell’autore, l’epoca di
realizzazione, le caratteristiche fisiche dell’oggetto;
- la comunicazione paratestuale, che include tutti i supporti comunicativi inerenti all’oggetto,
come i pannelli didascalici o anche gli elementi informativi fisicamente lontani, come libri,
filmati, CD-ROM. Si distinguono:
a) i pannelli didascalici;
b) le schede informative mobili che consentono una maggiore autonomia nella visita in
quanto, se disposte in numero adeguato all’ingresso di ogni sala, possono essere usate con
tempi e modalità individuali;
c) le brochures e le guide che illustrano tutte le caratteristiche dell’esposizione.
Le scelte riguardanti la comunicazione diventano fondamentali e devono oscillare tra due livelli
paralleli, uno per il pubblico non preparato, l’altro per coloro che non necessitano un’introdizione
generica. In base alle strategie comunicative, una mostra può essere:
➢ Oggettuale: basata sulla forza dell’oggetto e sulla trasmissione delle sue qualità intrinseche;
➢ Tematica: basata su un approccio per associazioni e comparazioni;
➢ Concettuale: gli oggetti vanno utilizzati per trasmettere idee.
Parlare di comunicazione e di ruolo sociale del museo nel nostro Paese comincia solo adesso ad
assumere una connotazione di vera e propria innovazione. Molti direttori museali restano ancora
attaccati al modello classico, sono riluttanti a metodi sperimentali e innovativi e reputano il museo
una sorta di contenitore espositivo: non è stato ancora introdotto il concetto di museo come luogo,
oltre che culturale, di divertimento.
Il problema centrale del circuito comunicativo è costituito dalla diversa ricettività concettuale dei
vari tipi di pubblico. La prima sfida che il museo deve vincere con il pubblico è quella di
contrastare il senso di inadeguatezza che coglie il visitatore. Approfondendo e allargando le proprie
funzioni, i musei possono sviluppare rapporti creativi e innovativi con i loro pubblici.
Lo scopo principale delle indagini sul pubblico dovrebbe essere quello di individuarne le specifiche
identità per poter poi valorizzare adeguatamente le singole necessità e proporre modelli ad hoc
anche in materia di comunicazione. Il museo può così diventare sempre più parte attiva del sociale
ed aprirsi all’intrattenimento e al tempo libero, valorizzando la flessibilità della comunicazione
anche con un’apertura nei confronti dei nuovi metodi narrativi, plurisensoriali o multimediali, in
quanto il suo pubblico diventa sempre più ampio, vario ed esigente.
Per una mostra allestita secondo un orientamento costruttivista, in base al quale ciascun visitatore
deve poter costruire liberamente la propria conoscenza all’interno del museo, si dovrebbero seguire
i seguenti principi:
Il museo può anche scegliere di privilegiare l’organizzazione di mostre non necessariamente legate
alle collezioni permanenti.
In entrambi i casi, si tratta di esposizioni la cui gestione organizzativa è strategica per il museo, in
particolare perché lo caratterizza come museo dinamico e aperto verso il pubblico. In genere, infatti,
le mostre temporanee dei musei sono ben accolte dal pubblico che accorre più numeroso ed è
stimolato dal fatto di trovarsi di fronte ad un evevento irripetibile.
L’educazione museale fa parte di un ambito più vasto che si può definire esperienza museale. Il
primo elemento dell’esperienza museale è il varcare la soglia e afforntare il rapporto percettivo con
gli ambienti e con gli oggetti, con cui si instaura il rapporto comunicativo. Esso avviene attraverso
diverse modalità: quella spontanea, che parte dall’oggetto stesso, e quella mediata dai comunicatori
del museo.
Il museo è un’istituzione permanente aperta al pubblico che compie ricerche sulle testimonianze
materiali e immateriali dell’uomo, le comunica e soprattutto le espone a fini di studio, di educazione
e di diletto. L’educazione è quindi una finalità.
La finalità dell’educazione museale è che il patrimonio venga interiorizzato dal pubblico come
valore. Maggiore è oggi l’importanza del ruolo dell’educazione nel dare forma alla mission e agli
intendimenti statutari dei musei. In quest’ottica una riflessione analitica sulle teorie
dell’apprendimento e sugli approcci comunicativi è stata condotta dalla museologia anglosassone.
L’evidenza più importante che emerge è l’attenzione ai visitatori, o meglio, ai pubblici, e al
significato che essi attribuiscono alla propria esperienza ed al loro comprendere e capire.
L’azione educativa al museo non consiste solo nella comunicazione dei contenuti culturali e
simbolici del museo, o nell’insieme di azioni ed eventi per attuare e consolidare un rapporto diretto
con il pubblico e la struttura museale; in tempi più recenti è stato riconosciuto anche il valore
educativo del museo come riscoperta delle radici di una comunità.
Greenhill ha paragonato l’intero territorio museale ad uno spazio educativo, sottraendo questo ruolo
alla localizzazione laboratoriale; questo comporta un’accentuazione del ruolo di responsabilità
sociale del museo, in cui sono coinvolti direttori, curatori, insegnanti, associazioni che gravitano
attorno a questa istituzione.
L’educazione museale ha quindi dovuto rivolgersi anche a teorie sull’apprendimento ed alla
sociologia. Secondo Greenhill attualmente il ruolo educativo del museo consiste in una “pedagogia
critica applicata al museo”, ossia un approccio che rivede e sviluppa i propri metodi, le proprie
strategie con riferimento all’eccellenza educativa, intesa non solo come qualità ma anche come
apertura effettiva alla collettività.
Non si può parlare di comunicazione ed educazione museale senza prima conoscere a grandi linee
le teorie dell’apprendimento. Esso è l’acquisizione di una o più cognizioni di ordine teorico o
pratico, è un processo psichico mediante cui l’esperienza modifica il comportamento animale o
umano. Le teorie e i modelli cognitivi cercano di spiegare e definire come si riesce ad apprendere. I
modelli cognitivi sono basati su due componenti principali: le teorie sulla conoscenza, che studiano
la natura di cosa apprendiamo, e le teorie sull’apprendimento, che studiano come apprendiamo.
Hein ha efficacemente riassunto in un diagramma queste teorie, ponendo sulle ascisse le teorie
sull'apprendimento e sulle ordinate quelle sulla conoscenza, per giungere a delineare i modi in cui
esse si combinano nel contesto del museo e influiscono sull’apprendimento dei visitatori.
15.2.2 Il comportamentismo
Nel 1913 Watson introdusse la nozione di comportamentismo. Far apprendere qualcosa a qualcuno
significa indurre in lui un comportamento desiderato, tramite il condizionamento operante.
Skinner parla di rinforzo positivo quando l’insegnante ottiene che lo studente si comporti secondo
un determinato criterio dandogli degli stimoli; la gratificazione che lo studente ottiene dopo la sua
risposta esatta lo incoraggia a ripetere il comportamento che l’ha generato. Lo studente, quindi,
impara a comportarsi in un certo modo perché inconsciamente ha il desiderio di ottenere il rinforzo.
La critica più frequente mossa al comportamentismo è quella di trascurare le cause interiori del
comportamento. In questo modello tutti gli obiettivi didattici sono imposti dall’insegnante. Non c’è
interesse per la motivazione del singolo né attenzione per le differenze nei modi di apprendere
individuali.
15.2.4 Il costruttivismo
L’attività organizzatrice della mente si avvale di schemi in cui si collocano i nuovi dati e che da
essi vengono continuamente trasformati. Viene dunque superata la visione dell’apprendimento
come un trasferimento di conoscenze dall’insegnante alla mente dello studente. L’allievo diviene il
centro del processo: è lui che interagisce con oggetto ed eventi e da questa interazione impara le
loro caratteristiche. Viene incoraggiato lo studio autonomo e la libera iniziativa.
Per i musei questo si traduce nel focalizzare l’attenzione sul visitatore, non sul contenuto del museo.
L’apprendimento viene visto come un’attività collaborativa, in cui si costruisce il significato dei
nuovi concetti attraverso il confronto con prospettive differenti.
Approccio costruttivista sostiene che sia la conoscenza che il modo in cui essa è acquisita
dipendono dalla mente del discente. Si costruiscono la conoscenza a mano a mano che imparano e
riorganizzano costantemente ciò che è stato appreso.
15.2.7 Tipologie di museo organizzato sulle linee-guida delle diverse teorie cognitive
Nel secondo dopoguerra si diffonde, in ambito internazionale, una nuova sensibilità volta a
promuovere la conoscenza dei musei presso il grande pubblico. Nel 1951 si svolge a Parigi una
riunione congiunta UNESCO e ICOM che apre il dibattito sulla funzione educativa del museo.
Giulio Carlo Argan sottolinea la necessità di sviluppare sul piano locale, nazionale e internazionale
la funzione educativa del museo, da realizzarsi in cooperazione con il mondo della scuola.
Nel Convegno UNESCO svoltosi a Brooklyn nel 1952 e in quello del 1954 ad Atene viene ribadita
l’importanza del ruolo educativo del museo: conservazione, ricerca ed educazione vanno collocate
sullo stesso piano. Negli anni ‘70 si fa strada una maggiore consapevolezza dell’esigenza di una
pratica educativa mirata da parte dei musei; nel 1971, nel corso del convegno Il museo come
esperienza sociale, si studiano i mezzi più adatti per avvicinare il museo al pubblico a fronte della
profonda trasformazione delle strutture sociali e della massificazione della cultura. Nell’arco di
alcuni anni vengono costituite sezioni didattiche nei più importanti musei italiani, ma, salvo poche
eccezioni, la didattica museale non assume il giusto rilievo all’interno delle istituzioni.
Il museo italiano ha maggiormente rivolto le sue proposte didattiche al mondo della scuola, con
l’appoggio di approfonditi studi pedagogici che utilizzano diversi indirizzi metodologici in linea di
massima afferenti a due diversi orientamenti, uno prevalentemente più nozionistico e l’altro più
ludico. Al primo orientamento si ricollegano gli approcci di tipo storico o tecnico-pratico, mentre al
secondo tutte quelle esperienze che, partendo dall’opera, approdano ad attività creativo-espressive.
Il dibattito sulla didattica in Italia, però, risente di una difficoltà intrinseca nella collaborazione
operativa fra gli ambienti teorici della pedagogia e della didattica da un lato e il mondo dei musei
all’altro, nella pratica della strutturazione di programmi, di azioni e proposte educative. Alla
difficile comunicazione fra i due ambiti si aggiunge spesso, a livello territoriale, la mancanza di
condivisione di intenti, strategie operative o esperienza fra i musei della medesima area geografica.
A parte alcuni esempi, in diversi casi è difficile riscontrare un coordinamento a livello locale fra
istituzioni o sistemi museali sul territorio.
Analizziamo ora i più significativi approcci pedagogici alla didattica museale:
Vertecchi sottolinea che l’intento prioritario della didattica museale deve essere quello di favorire la
formazione di prerequisiti il cui valore possa esercitarsi in qualsiasi contesto museale. I prerequisiti
possono essere utile al fruitore per un approccio futuro a vari tipi di musei. Bisogna far si che
l’esperienza museale si traduca in un’attività ratificante per chi l’ha compiuta, nonché in una
modalità che qualifichi il comportamento individuale. Vertecchi inoltre distingue la divulgazione,
che attrae indifferentemente diverse fasce di pubblico, dalla proposta didattica, che partendo da
prerequisiti individuali giunge ad obiettivi precisi e verificati a posteriori.
Secondo Ermanno Mazza, basandosi su riferimenti teorici solidi si devono individuare procedure
metodologiche serie e impegnative, ma anche coinvolgenti; strategie che non vedano i ragazzi solo
o prevalentemente come destinatari dell’azione didattica, ma come partners; un’azione che veda
valorizzato il patrimonio cognitivo dei ragazzi e miri a farlo evolvere.
Nardi, invece, afferma che il compito della didattica è consentire il passaggio concettuale
dall’eterogeneità del museo come Wunderkammer, luogo affascinante ma al di là delle possibilità
cognitive dell’allievo, al museo come sineddoche, ossia come un percorso opportunamente
ritagliato, quanto ai contenuti e quanto al metodo, sugli obiettivi che ci si propone di raggiungere.
In ambito americano ed anglosassone sono stati da tempo elaborati dei modelli di apprendimento
museale che spiegano i processi in un’ottica prevalentemente sociale.
Un approccio complesso ma sicuramente efficace è quello proposto da Falk e Dierking, che vedono
l’apprendimento nel museo al centro di un processo che si articola intorno a tre dimensioni che si
intersecano continuamente: contesto personale, contesto fisico e contesto socio-culturale.
Il contesto personale si basa su tutte le esperienze che il visitatore porta con sé al museo, le quali
fingono da tramite per capire le cose nuove; esso comprende le emozioni, l’interesse e le aspettative
che vanno soddisfatte tramite la visita.
Il contesto socio-culturale sottolinea l’importanza dell’interazione del visitatore con altre persone,
che possono appartenere al gruppo con cui effettua la visita, ma comprende anche il rapporto che si
stabilisce con l’esperto o la guida. L’apprendimento collaborativo è fondamentale poiché influisce
in maniera positiva sull’esperienza personale.
Nel museo costruttivista il significato non è trasmesso dallo specialista al non specialista attraverso
metodi di insegnamento lineari: il metodo costruttivista offre al visitatore l’apprendimento a scelta
libera (free-choice learning). Da studi effettuati in America emerge il fatto che alcuni tipi di
visitatori preferiscono le mostre con ambienti organizzati, altri prediligono le situazioni di scelta
libera, ma ciò dipende anche dalle ragioni per cui vanno al museo ed in compagnia di chi vanno.
Secondo Hein:
Perry indica che una soddisfacente visita al museo, in grado di produrre apprendimento, dipende da
sei fattori:
Il museo è stato denominato luogo di mediazione culturale, in quanto funge da ponte tra gli oggetti
in esso contenuti e i visitatori. Questa mediazione avviene in primo luogo tramite il bene culturale,
in quanto esso è comunicatore di sé stesso, in secondo luogo per mezzo di tutto ciò che concerne
l’allestimento; infine la mediazione passa attraverso l’educatore museale.
Il significato del termine educatore varia se è riferito a un contesto formale piuttosto che informale.
Nell’educazione formale il processo educativo è guidato dalla persona che insegna, è programmato
certificato e obbligatorio.
Nell’educazione informale, invece, il processo di apprendimento è auto-condotto da chi apprende;
sue sono le scelte dei modi e dei tempi, le offerte sono debolmente strutturate o non strutturate.
Nell’apprendimento informale quindi l’educatore deve assumere il ruolo di mediatore e non di
insegnante.
È fondamentale avere all’interno dei musei delle figure che si prendano cura del pubblico, i
cosiddetti audience advocates, che si trasformano in facilitatori, capaci di far nascere nel visitatore
quesiti e insieme aprire un dialogo seguendo non la propria logica ma quella dell’altro. L’educatore
ha il ruolo di facilitare l’esperienza incoraggiando il pubblico ad un coinvolgimento attivo
nell’attività museale. Queste guide non conducono i visitatori attraverso il museo ma sono
disponibili nelle gallerie delle mostre per coloro che vogliono fare domande o iniziare un dialogo
con e sulle opere. Questo servizio mira a incoraggiare le persone a considerare l’arte dal proprio
punto di vista piuttosto che effettuale un convenzionale percorso attraverso il museo. La
conversazione personale con la “giuda per la discussione”, rispetto alla visita guidata, è molto più
alla pari fin dal principio, simile a qualunque discussione fra individui; essa può aiutare attivamente
i visitatori a fare uso delle proprie esperienze e delle proprie conoscenze. Un fenomeno negativo
L’oggetto esposto, se collegato strettamente alla sfera emotiva oltre che a quella cognitiva del
visitatore, attiverà in quest’ultimo un processo che si svilupperà sul piano più intimo e
personalizzato del riconoscimento. Tale fenomeno è un vero e proprio imprinting, in quanto, come
una sorta di flash, riordina immediatamente in una serie coerente e significativa una zona nebulosa
della nostra conoscenza. Quindi si può dire che la didattica museale e il museo contribuiscono a
creare un’identità culturale, a patto che si trovi un equilibrio fra le componenti emozionali e
cognitive proprie della visita al museo. Nel progettare un percorso educativo all’interno del museo
si dovrebbe partire sempre dall’approccio emotivo, soprattutto quando il pubblico a cui ci si rivolge
è composto da bambini, in quanto la loro sete di conoscenza scaturisce dalla curiosità per le cose
nuove.
1) domande chiuse, ovvero quesiti con cui rispondere con un semplice sì o no;
2) domande aperte, che richiedono da parte del visitatore l’attivazione di un processo di riflessione e
l’uso di capacità critiche, immaginazione, emozione e l’attenta osservazione dell’oggetto. Questo
tipo di domande danno la possibilità di reagire , pensare e usare la propria capacità per capire
l’oggetto preso in esame, ascoltare le nuove informazioni ed essere coinvolto. Le domande aperte
incoraggiano ad esprimere opinioni personali e a utilizzare conoscenze già acquisite.
Bisogna abbandonare il radicato approccio informativo, il riversare sul visitatore informazioni
erudite e nozionistiche considerandolo un contenitore vuoto, per guardarlo come interlocutore .
Il comunicatore-educatore museale deve dunque fornire gli strumenti per favorire
un’interpretazione personale, deve negoziare tra i significati elaborati dai visitatori e i significati
elaborati dai musei.
Esistono diverse tipologie di pubblico. Questo riconoscimento è avvenuto prima nelle società di
ascendenza coloniale, tradizionalmente multietniche, che inglobano minoranze di culture religiose e
sociali differenti. La tipologia museale che ha accelerato tale scoperta è sicuramente il museo
etnografico che ha evidenziato la difficoltà di esporre secondo categorie mentali “occidentali”
oggetti di culture diverse. Le etnie, le consuetudini sociali e le religioni non costituiscono tuttavia i
soli parametri di differenziazione dei pubblici. Le tradizionali categorie in cui vengono suddivisi i
visitatori (bambini in età scolare, adolescenti, adulti) sono frammentate in più sottogruppi: anziani,
visitatori, diversamente abili, famiglie.
I bambini e gli adolescenti sono da considerare pubblici diversi se sono in visita con la scolaresca o
con i genitori; gli stessi adulti hanno un approccio differente a seconda di con chi vanno al museo.
Altre nuove comunità di visitatori soo attualmente prese in considerazione dai programmi educativi
di alcuni musei, come ad esempio il visitatore che non ha molto tempo a disposizione per il quale si
studiano percorsi specifici in cui viene indicata anche la durata del percorso.
Negli studi sui visitatori di matrice anglosassone sono stati usati negli anni metodi di osservazione
diversi: analisi dei tragitti effettuati e tempo impiegato, questionari, interviste, focus groups, studio
delle dinamiche interne al gruppo familiare che si reca al museo. L’analisi delle motivazioni della
visita e il resoconto sulla percezione complessiva del museo sono punti imprescindibili del lavoro di
monitoraggio. Nonostante tutto, il servizio educativo nei musei italiani, fatta eccezione per alcuni
esempi, offre un’ampia gamma di opportunità soltanto al pubblico scolastico. Il compito del museo
è, invece, quello di supportare e incoraggiare differenti categorie di fruitori e per ciascuna di queste
categorie ha il dovere di rendere le sue collezioni comprensibili e interessanti. L’istituto museale
deve essere considerato come luogo dove sono garantite pari opportunità che consentono un diritto
d’accesso per tutti.
Si può operare una nuova distinzione e raggruppare le varie categorie di fruitori in due insiemi:
utenza scolastica e utenza non scolastica. Nel primo caso l’attenzione viene focalizzata su un
gruppo omogeneo, la classe. L’utenza scolastica comprende un’ampia fascia di età che va dai 4 ai
18 anni e le problematiche si differenziano a seconda del livello di scuola con il quale si va ad
interagire. Nel caso dei bambini, in cui la voglia di mettersi in gioco e l’intraprendenza sono doti
innate, il principale ostacolo da superare è quello di far abbandonare il metodo scolastico
tradizionale, specificando che nella discussione non esistono risposte giuste o risposte sbagliate.
Il pubblico adolescenziale rappresenta la fascia critica di fruitori museali in quanto lo sviluppo
interiore che i ragazzi stanno vivendo si traduce in ansia, timidezza, senso di non appartenenza ad
un gruppo, inadeguatezza; questi stati d’animo diventano una sorta di ostacolo per gli operatori
museali. Nel momento dell’approccio diretto con l’oggetto museale è opportuno cercare di
incoraggiare la discussione. I processi di rielaborazione e verbalizzazione delle emozioni messi in
atto nei musei si indirizzano, nelle persone di giovane età, verso un processo di consapevolezza e
costruzione dell’identità.
L’utenza non scolastica comprende una vasta gamma di persone di ogni età. In questa fascia rientra
quella tipologia di pubblico che in Italia, fatta eccezione per alcuni musei, viene un po’ trascurata:
la famiglia. Il più delle volte essa è composta da due adulti e uno o due bambini e il mediatore
principale tra il bambino e l’opera diviene il genitore o comunque una figura con la quale vi è un
rapporto di fiducia e stima. L’importanza della famiglia come gruppo di utenti del museo è invece
sottolineata n Gran Bretagna. Rispetto a questa tipologia di fruitore sorgono problemi in relazione
I contenuti e i messaggi del museo possono essere interpretati come storie e narrative che devono
essere lette e capite dai visitatori. Procedimenti di tipo narrativo possono essere considerati quelli
seguiti in alcuni musei mediante percorsi tematici o gli “itinerari fuori dal museo”, in cui si
stabilisce una relazione narrativa fra gli oggetti del museo e gli elementi architettonici e urbanistici.
15.5.2 I laboratori
Diversi studi hanno evidenziato che i bambini di ogni età beneficiano di attività ed esperienze tattili;
più che fornire una quantità di nozioni bisogna aiutare il bambino a comprendere l’oggetto esposto
al museo nei termini che più si avvicinano al suo mondo. I laboratori vengono spesso utilizzati
nell’ambito di una visita scolastica perché tendono a trasformare la visita museale in un’esperienza
coinvolgente, dove gli alunni diventano protagonisti dell’azione educativa tramite delle attività
didattiche badate sul saper fare e sul poter fare.
Per essere ben organizzato il laboratorio deve munirsi di materiali e strumenti che è difficile trovare
in un’aula scolastica, perché deve essere vissuto come qualcosa di diverso da una semplice lezione
di educazione artistica. In un laboratorio didattico di un museo il bambino o ragazzo viene messo a
contatto diretto con un fenomeno e viene supportato nei suoi spontanei, liberi e giocosi processi di
apprendimento. Nei laboratori si creano ambienti ricchi di installazioni che stimolano attività
manuali (hands-on) e allo stesso tempo costituiscono opportunità di riflessione (mind-on) di
aggregazione a livello scolastico e comunitario.
In Italia il panorama nazionale delle attività laboratoriali è estremamente ricco e variegato e sta
colmando il divario rispetto a ciò che accade nel resto d’Europa, con una combinazione interessante
di creatività e rigore scientifico, fantasia e intuizione. Dal confronto con i partner stranieri si evince
che le esperienze italiane in ambito di didattica museale non hanno nulla da invidiare a quelle dei
musei stranieri da un punto di vista della ricerca scientifica e della produzione editoriale
sull’argomento. Esiste però una reale differenza relativamente alle strutture e alla tecnologia
disponibile.
L’azione teatrale è un valido strumento per valorizzare, vivacizzare e rendere attraenti le esposizioni
di un museo e per creare un modo diverso di vivere gli spazi espositivi.
Le modalità teatrali adottate sono di vario tipo, dalla performance realizzata da un singolo attpre che
veste i panni di un grande scienziato nei musei scientifici, oppure l’interpretazione del personaggio
principale di un quadro, fino a quella più complessa in cui molti attori danno vita a veri e propri
eventi storici. Lo scopo che questo tipo di supporto didattico vuole raggiungere è quello di aiutare la
mediazione tra oggetto esposto e pubblico: l’azione teatrale o il gioco di ruolo suscita curiosità,
attira l’attenzione su ciò che si vuole mostrare instaurando un rapporto di scambio e fungendo da
interprete. A suscitare i maggiori dubbi circa il buon esito di tali iniziative è il loro aspetto ludico; di
teme infatti che il diletto possa prendere il sopravvento sulle funzioni educative soverchiando lo
scopo didattico. La sperimentazione sul campo, però, conferma che quello dell’azione teatrale
applicata al museo è un ottimo metodo per incentivare e migliorare il rapporto tra il pubblico e le
esposizioni.
Negli ultimi anni si sono sviluppate numerose strategie comunicative e didattiche che hanno portato
sempre più spesso ad interventi artistici all’interno degli science centres. In Italia, la Città della
Scienza a Napoli riconosce all’arte un ruolo primario nel dialogo tra arte e scena , assicurando uno
scambio continuo fra i due campi.
15.7 L’educazione museale negli standard e il concetto di qualità nella pratica educativa
In alcuni paesi sono diventati oggetto di discussione requisiti o standard specifici, nonché sistemi di
programmazione e autovalutazione per l’accesso, la didattica e le attività educative all’interno
dell'istituzione museale. In Gran Bretagna esistono diversi sistemi di accreditamento in seno ai quali
son delineati standard e conseguenti parametri di autovalutazione. Lo standard più completo è il
cosiddetto inspiring learning, che prevede quattro principi-chiave:
Per quanto riguarda l’educazione, a livello internazionale non esiste uno standard di qualità
specifico, ma essa è considerata nel documento sugli standard dell’ICOM e dell’Ambito VII
dell’Atto di indirizzo italiano. I diversi orientamenti operativi partono da presupposti teorici
differenti e non da principi interamente condivisi, come si verifica, ad esempio, per gli standard di
sicurezza. Un primo elemento a cui si devono applicare i modelli di valutazione della qualità nella
realtà museale è l’organizzazione delle azioni didattiche: l’esempio di base è il monitoraggio di un
progetto educativo, ribadendo che la didattica si occupa della ricerca dei metodi e degli strumenti
per conoscere e interpretare l’oggetto e l’opera d’arte, mentre l’educazione si preoccupa di creare
un legame tra oggetto e visitatore che possa durare nel tempo.
destinatari dei servizi educativi l’istituzione museale deve specificare quali pubblici
intende raggiungere
requisiti obbligatori per quanto riguarda l’sttività educativo-didattica, al museo viene
richiesti di predisporre un piano di attività annuali che consideri:
- a quale pubblico si rivolge;
- con quali iniziative;
- con quali risorse;
- se privilegiare modalità di apprendimento formale o informale
➢ obiettivi di qualità per garantire una qualità del servizio didattico-educativo è importante
che la programmazione dell’attività preveda le seguenti fasi:
- fase preliminare, che prevede l’individualizzazione e l’analisi dell’utenza;
- pianificazione e definizione degli interventi;
- svolgimento degli interventi;
- valutazione/autovalutazione.
La Regione Lombardia ha individuato e configurato più precisamente la figura del responsabile dei
servizi educativi. Egli:
L’uso della multimedialità in ambito museale ha avuto in un Primo tempo come unico scopo quello
di catalogare e ordinare l’immenso numero di reperti, manufatti artistici e architettonici del
patrimonio culturale. In seguito sono state meglio conosciute e praticate le sue immense potenzialità
nel campo della divulgazione della comunicazione culturale, dell’educazione e del coinvolgimento
dei pubblici diversamente abili.
L’introduzione di queste nuove tecnologie mette in luce le potenzialità di una fruizione differenziata
ed efficace di un esteso patrimonio culturale. La presenza in rete di un museo, il museo online ad
esempio, può costituire un’occasione promozionale straordinaria.
La tecnologia non deve essere separata dalle pratiche tradizionali del museo, bensì integrata ad esse,
così come è accaduto per il Centre Pompidou, che ha creato una delle più aggiornate e importanti
collezioni di videoarte.
Il pubblico è pronto ad accogliere l’offerta museale online, ma non sempre i musei sono pronti a
comunicare attraverso internet. Per attirare l’attenzione dei visitatori occorrono ipertesti e percorsi
virtuali appositamente studiati. Il sito internet di un museo reale viene consultato da tre principali
categorie di utenti:
- il turista/frequentatore occasionale cerca sia una presentazione dei contenuti del museo
che lo aiuti a decidere se programmare una visita, sia informazioni pratiche per organizzarla
(orari di apertura, costi dei biglietti);
- lo studioso cerca servizi qualificati (riproduzioni fotografiche digitali di buon livello,
informazioni storico-artistiche e museografiche);
- il pubblico in età scolare può imparare a conoscere l’arte mediante basi di dati e
immagini, a fianco delle classiche gite di istruzione.
Il sito internet museale perfetto è quello che tiene conto di questi tre livelli di utenza e dedica spazio
a ciascuno di essi. Quindi per la stesura di un sito museale e delle pagine relative alle opere è
opportuna la collaborazione tra diverse professionalità: storici dell’arte, esperti di comunicazione
ipertestuale, informatici.
➢ Le tecnologie utilizzate La maggior parte dei siti si basa su tecnologie web standard, con
immagini in formato Jpeg che comportano un degrado della qualità spesso intollerabile per
una fruizione soddisfacente di opere visive. Molto diffuse sono le metafore di navigazione
del sito basate su mappe sensibili, utilizzate oer rappresentare la topologia del museo reale.
Siti più co,plessi adottano sistemi di catalogazione delle collezioni basati su database e
sperimentano soluzioni di realtà virtuale come VRML.
➢ Vantaggi dell’ipertesto l’ipertesto è un sistema di organizzazione delle informazioni che
permette un collegamento ad altri documenti consimili. Una struttura molto ricorrente
all’interno dei siti internet dei musei è quella dedicata al forum, che costituisce una
straordinaria opportunità didattica e la possibilità, per ogni museo, di avere un punto di vista
esterno rispetto a collezioni e pubblico. Proprio dallo sconto di punti di vista può mettersi in
moto il confronto di idee senza il quale si cadrebbe inevitabilmente in una sorta di
omologazione.
La realtà virtuale è la forma più avanzata delle tecnologie interattive basate sull’immagine. Il su
obiettivo è la simulazione di ambienti e oggetti che risultino, all’esperienza del fruitore,
indistinguibili dalle esperienze reali. Negroponte asserisce che l’idea che sta alla base della realtà
virtuale è quella di dare la sensazione di essere sul posto, presentando alla vista tutto ciò che si
vedrebbe realmente e modificando la scena istantaneamente quando cambia il punto di
osservazione. Il risultato finale, se la realizzazione è ben effettuata, è che l’utente può muoversi a
piacimento e visitare l’ambiente virtuale provando sensazioni percettive analoghe a quelle che
proverebbe se visitasse un ambiente reale.
Quando ciò che si vuole far vedere, mostrare, spiegare è degradato per qualche motivo o ne restano
pochi frammenti, si utilizzano delle applicazioni della realtà virtuale: la restituzione o la
ricostruzione.
Le tecnologie associate alle realtà virtuale, in particolare la ricostruzione permettono di riprodurre
esattamente la topografia degli ambienti, dando la possibilità al fruitore di vederli com’erano
presumibilmente allo stato originario. Esse però richiedono ingenti investimenti sia economici che
temporali e necessitano, inoltre, di strumentazioni hardware ad altissima potenza.
L’utilizzo della realtà virtuale a scopo documentativo consente all’utente di esaminare la varie fasi
del restauro che vanno dalla diagnosi del tipo di degrado subito dal bene alle operazioni dirette sul
reperto ed eventualmente confrontare le operazioni, i metodi di diagnostica e le opere restaurate.
Ciò che Antinucci definisce conservazione virtuale consente di uscire dal dilemma di come
conciliare il contrasto tra l’esigenza di conservare inalterata l’autenticità dell’opera deteriorata e
quella di renderla comprensibile e fruibile esteticamente. La prima delle due esigenze infatti mira a
toccare il meno possibile l’originale, la seconda tende invece a ricostruire il più possibile per
rendere l’opera perfettamente leggibile. La fruizione virtuale fa sì che l’istanza conservativa possa
liberamente perseguire la sua strada mirando solo alla preservazione dell’originale, mentre la copia
virtuale permette di spingere a piacimento la restituzione senza il timore di intaccare l’autenticità
dell’originale.
Per museo virtuale si intende un sito che cerca di far vivere al visitatore l’emozione d iessere dentro
il museo reale; esso è un processo di duplicazione dello stesso e dei suoi oggetti museali reso
possibile dalle tecnologie informatiche. Sotto questa denominazione vengono riuniti progetti di
diversa realizzazione e fine: i siti ufficiali dei musei, i siti dedicati a singole personalità del mondo
artistico, le ricostruzioni virtuali di monumenti perduti o non visitabili ecc.
Nel museo virtuale, le informazioni di tipo testuale e iconografico vengono rese disponibili in
formato digitale dai curatori e sono suddivise gerarchicamente:
- al primo livello vi sono le singole schede che identificano i vari pezzi. Corrisponde
concettualmente alla targhetta, ma ha in più la rappresentazione dell’oggetto;
- a livello intermedio vi sono pagine ipertestuali di collegamento nelle quali vi sono
collegamenti alle schede previste per il primo livello. In esse viene inserito il contesto
storico-artistico al quale appartengono gli oggetti. Il parallelo concettuale è da ricercarsi
nelle tradizionali teche o vetrine espositive che contengono gli elementi da esporre;
- a livello superiore troviamo altre pagine ipertestuali che si collegano a quelle di livello
intermedio tramite un ipertesto che delinea un periodo più ampio. Nel museo tradizionale
corrisponderebbero alle sale espositive.
- musei tradizionali virtuali, così chiamati per chiarire la realtà inizialmente critica seguita da
virtuale nella versione virtuale di un museo realmente esistente è possibile presentare gli
oggetti secondo criteri alternativi a quelli previsti in un’esposizione reale. Il percorso di
conoscenza non è più quindi quello originale, né si rispetta l’ordine delle collezioni; esso
diventa individuale e procede per associazioni di idee. Un esempio in ambito statunitense ci è
fornito dal sito unificato dei musei della Guggenheim Foundation, che permette di accedere
alle sezioni dedicate a tutti i musei che fanno capo alla fondazione. I musei tradizionali
virtuali sono per la maggior parte in 2D, essendo la riproduzione digitale di una collezione già
esistente e proprio per questo la loro fruizione è principalmente usata per ottenere
informazioni;
- musei virtuali che rappresentano un’estensione dei musei reali alcuni siti potrebbero essere
considerati estensione del museo reale, per quel che concerne la conoscenza del patrimonio
artistico. Troviamo infatti sezioni dedicate ad artisti di qualsiasi epoca, a riviste d’arte,al
restauro, ai progetti di livello nazionale ed internazionale nell’ambito dei beni culturali;
- musei realmente virtuali, che materialmente non sono fisicamente visitabili in quanto non sono
tangibilmente reali il museo in questo caso diventa una sorta di non-luogo, dove trovare ciò
che non è possibile trovare in un museo reale. Il museo virtuale, pur trattando tematiche
rapportabili ad opere e a reperti museali, non si basa su modelli fisici collezionistici
preesistenti ma sull’esistenza nella ricerca di moduli iperconnettivi: testuali, audiovisivi, atti
ad illustrare percorsi educativi e stimolanti intellettualmente e culturalmente. È teso a
intraprendere percorsi di collegamento con altri musei, altre opere, altri luoghi ed eventi.
- rendono la progettazione del museo reale più semplice poiché si possono valutare con
anticipo la distribuzione degli spazi, la collocazione degli elementi espositivi, il colore delle
pareti e dei pavimenti, la disposizione dei punti illuminanti ecc.
- facilitano la comprensione del progetto che si andrà a sviluppare per committenti o
finanziatori.
- al costo della produzione e dell’aggiornamento, sia dal punto di vista tecnologico sia dal
punto di vista contenutistico;
- all’eccesso di informazioni, che può condurre alla neutralizzazione o alla saturazione;
- all’uso eccessivo di tecnologie troppo avanzate e invadenti, i cui effetti negativi più comuni
sono principalmente l’allontanamento immediato di chi non è molto esperto di nuove
tecnologie e il disinteresse causato da una virtualità eccessiva.
L’utilizzo della multimedialità applicata ai beni culturali va vista come un’opportunità di estendere
la fruibilità superando i confini geografici per arrivare alle ricchezze dell’arte laddove non si
potrebbe arrivare con i canali tradizionali.
Il museo virtuale non si pone assolutamente come alternativa al museo reale, del quale non si può
sostituire le funzioni di raccolta, conservazione ed educazione. Va immaginato, piuttosto, come
realtà complementare che affianca le tradizionali istituzioni museali nello svolgimento dei loro
compiti didattici ed espositivi, oltre che come un mezzo di promozione del museo stesso.
Il museo si confronta oltre che con la nascita di percorsi totalmente virtuali anche con l’avvento di
nuove forme d’arte completamente basate sulla tecnologia e sull’interattività. Fra le diverse
sperimentazioni ricordiamo:
Il problema fondamentale che si pone in relazione alle nuove esigenze degli artisti che usano i new
media è la mancanza di personale tecnico qualificato.
I siti museali realizzati dalle istituzioni del nostro Paese, oltre ad essere poco numerosi, non brillano
per qualità della comunicazione e per livello delle soluzioni tecnologiche adottate. In genere un
museo online dovrebbe essere composto dalle seguenti aree:
- informazioni pratiche relative all’accesso, alla collocazione, agli orari e ai servizi in loco;
- informazioni relative al museo stesso, sia dal punto di vista storiografico, sia da quello
istituzionale, sia da quello logistico e spaziale;
- informazioni relative alle collezioni permanenti, costituite in genere da cataloghi e inventari
tematici delle opere e dei reperti;
- informazioni relative alle mostre non permanenti;
- strumenti didattici che aiutano a comprendere un’opera o un reperto o ad effettuare
un’analisi approfondita;
- sezioni dedicate ad attività di merchandising;
- sezioni dedicate agli studiosi con link a cataloghi di biblioteche o archivi museali, servizi
specifici di riproduzione fotografica delle opere ecc;
- sezioni dedicate al rapporto con il pubblico (indirizzi email dello staff, questionari, raccolta
reclami e proposte).
L’obiettivo primario del marketing per un museo è quello di raccordare il proprio sistema di offerta
con le esigenze e le aspettative della domanda. La sfida per il museo, oggi, è di essere sempre più
affascinante, accessibile e ricco di significati per i diversi pubblici, il cui riconoscimento ha
sviluppato nuovi orientamenti di ricerca nel marketing museale grazie alle figure degli exhibition
developers, che hanno il compito di pianificare le mostre sulla varie fasce di pubblico, o allo studio
e ricezione delle aspettative e dei giudizio dei visitatori con questionari di autovalutazione.
Il museo, nello sviluppo delle azioni di marketing, deve essere interpretato come un sistema
integrato di conoscenze e deve calibrare in maniera attenta ed equilibrata le leve informative a
propria disposizione per stabilire e sviluppare nel tempo un contatto con i propri visitatori.
L’introduzione dei principi e delle tecniche di marketing nei musei è avvenuta, in maniera
sistematica, a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso nei Paesi anglosassoni per soddisfare
due sfide:
Il solo possesso dei beni culturali non metteva il museo completamente al riparo da fenomeni
concorrenziali. L’attività di un museo può dipendere infatti da tre insieme di variabili:
Al pari degli imprenditori, i curatori devono essere consapevoli del prodotto che stanno offrendo e
chiedersi sempre se questo prodotto sia al passo con le mutevoli esigenza del loro mercato.
Le attività vere e proprie del marketing sono precedute dall’individuazione, tramite il marketing
strategico, dei fattori critici di successo e del sistema di minacce-oppportunità entro il quale si
muove l’organizzazione museale. È necessario analizzare:
- le caratteristiche della domanda, ovvero i fabbisogni dei vari gruppi che interagiscono con il
museo;
- il grado di attrattività del mercato di riferimento;
- le dinamiche competitive.
L’analisi della domanda riguarda la conoscenza e comprensione delle motivazioni dei vari insiemi
di soggetti in merito al processo decisionale di acquistare o meno un servizio museale. La domanda
del museo è formata da un insieme più ampio di relazioni che comprende una pluralità di soggetti
(stakeholders) che esprimono un qualche tipo di interesse nei confronti del museo, stabilendo con
esso dei rapporti di scambio, ovvero:
- i proprietari;
- i dipendenti;
- i fornitori di beni e servizi;
- i visitatori;
- la comunità scientifica;
- la comunità locale, cioè il contesto socio-economico in cui il museo è calato;
- i finanziatori;
- la comunità politica
tutte queste categorie di soggetti entrano, in vario modo e con diverse gradazioni d’intensità, a
contatto con il museo. Tra queste, le categorie su cui attualmente si concentra di più l’interesse dei
musei è quello dei visitatori. Un’attenzione particolare andrebbe inoltre rivolta a coloro che
lavorano dentro il museo, poiché costituiscono il nucleo portante dell’attività museale: dalla loro
capacità e motivazione dipende la qualità del messaggio e del rapporto intessuto con l’utenza
esterna, e di conseguenza la successiva soddisfazione per la visita. Risulta fondamentale da parte
del museo attivare capacità e professionalità in grado di ideare , per ogni tipo di pubblico, un’offerta
culturale capace di essere attrattiva e competitiva, cercando il più possibile di instaurare un rapporto
di fidelizzazione. Tutto questo è possibile se i responsabili del museo riconoscono come primaria
l’esistenza di una comunicazione a doppio senso tra operatori e visitatori.
- caratteristiche della domanda: per cercare di identificare gli stili di vita e le abitudini di
consumo culturale di chi visita i musei, ma prendendo in considerazione anche quella dei
non- visitatori;
- processo decisionale di acquisto dei visitatori: per cercare di comprendere quali siano i
fattori che spingono un soggetto a considerare la possibilità di impiegare delle risorse nella
visita ad un museo;
- informazioni quantitative sui visitatori : la conoscenza del numero di visitatori può fornire
una misura della capacità di attrazione di un museo o per identificare le differenti categorie
di soggetti che lo visitano;
- informazioni qualitative sui visitatori: attraverso la rilevazione sul campo (ad esempio
tramite questionari) è possibile identificare un profilo preciso di un campione di
frequentatori del museo e raccogliere indicazioni puntuali sulle motivazioni che hanno
portato alla decisione di acquisto del servizio museale e il livello di soddisfazione raggiunto
attraverso la visita;
Per mettere in campo attività di attrazione è necessario conoscere lo scenario competitivo e quindi i
vari livelli di concorrenza con i quali il museo si confronta.
In particolare sono quattro le tipologie di alternative che vanno tenute presenti per valutare la
concorrenza della visita al museo:
Sulla base dei risultati ottenuti dalle valutazioni in merito all’analisi della domanda, dell’attrattività
e della competitività, e sulla base dei vincoli finanziari cui il museo è sottoposto, possono essere
attuate le seguenti azioni:
Ai fini dell’aumento della visibilità del museo e della sua fruibilità risulta fondamentale la
collaborazione e il partnernariato con l’industria urbana o locale del turismo. Su questo fronte i
partner del museo sono diversi: le aziende di promozione turistica, gli operatori turistici, le agenzie
di viaggio, gli operatori del settore alberghiero e della ristorazione, i centri congressi, i taxisti ecc.