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IL MUSEO NEL MONDO

CONTEMPORANEO
Museologia
Università degli Studi di Catania
20 pag.

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IL MUSEO NEL MONDO CONTEMPORANEO M.V.M. Clarelli

1. Lo studio del museo


1.1Museologia e museografia
1.1.1. L’origine dei termini
Lo studio del museo ha uno statuto ancora incerto. Si è discusso sul significato da dare ai termini “museologia” e
“museografia”.

La precedenza cronologica spetta al vocabolo “museografia”, utilizzato come titolo del trattato di Caspar Friedrich
Neickel pubblicato nel 1727. Il libro di Neickel contribuisce, inoltre all’affermarsi in Europa del termine museum.
Anche il termine museologia compare per la prima volta in Germania.

Nel 1922 è istituita Brno la prima cattedra di museologia e nel 1924 esce il primo manuale.

1.1.2 Dalla Conferenza di Madrid alla nascita dell’ICOM


Nel 1889 è nata la museum Association of Museums . nel 1926 si costituisce l’Office International des Musées (OIM),
che l’anno seguente inizia a Parigi la pubblicazione di “Museion”.

Nel 1934 l’OIM organizza a Madrid la prima Conferenza internazionale di museografia.

Muséographie. Architecture et Aménagement des Musées d’Art (trattato ampiamente illustrato).

Nel 1946, dalle ceneri dell’OIM, nasce il Consiglio internazionale dei musei (ICOM) . Figura dominante sarà quella del
direttore fino al 1966 di George Henri Rivière.

Durante la conferenza generale dell’ICOM si accende anche l’interesse per la storia dei musei.

1.1.3Il dibattito internazionale e gli orientamenti nazionali


Per quasi un decennio la questione terminologica passa in secondo piano rispetto all’urgenza di rivendicare
l’autonomia di un settore la cui attività era stata considerata secondaria. In Italia è il Primo Congresso di Museologia
tenutosi a Perugia nel 1955, a segnare l’introduzione ufficiale del nuovo termine, che è anche utilizzato come titolo.

Seminario regionale dei musei a Rio (UNESCO)

Distinzione fra :

MUSEOLOGIA: Scienza che ha per fine

lo studio della missione e dell’organizzazione dei musei.

MUSEOGRAFIA: insieme delle tecniche correlate alla museologia

Museologia: “scienza del museo. Essa studia la storia, il ruolo della società, i sistemi specifici di ricerca, di
conservazione, di educazione e di organizzazione, i rapporti con l’ambiente fisico, la tipologia”;

Museografia: “un insieme di tecniche e di pratiche, dedotte dalla museologia o consacrate dall’esperienza, che
concernono il funzionamento del museo”.

Comunque, il tentativo di inserire queste definizioni negli statuti dell’ICOM non va in porto.

In Italia la museografia continuerà a essere intesa il riferimento all’architettura e all’allestimento.

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1.1.4 Le discipline accademiche
Nel 1965 l’ICOM approva una risoluzione che invita a costituire corsi d museologia teorica presso le università.
L’appello dell’ICOM è accolto è accolto alla lettera dall’università di Zagabria, dove Antun Bauer inaugura nel 1967 il
corso post-lauream in museologia.

In Italia il ruolo di pioniere spetta a Carlo Ludovico Ragghianti grazie al quale nel 1967 il Corso di Museologia è
introdotto nella Scuola speciale per storici dell’arte medievale e moderna e per conservatori di opere d’arte
dell’Università di Pisa. Ragghianti riesce a costituire nel 1972 un Centro di Museologia.

Il Centro pubblica dal 1972 al 1985 la rivista “Museologia”, avvia la collana “Musei. Meraviglie d’Italia” e organizza due
convegni di Museologia.

1.2. La museologia come scienza


1.2.1. L a scuola di Brno
Il problema di fondare la museologia come scienza comincia a porsi in Cecoslovacchia.

Musealia e Musealità (Zbynek) sono termini impiegati per definire gli oggetti del museo e il valore di autentiche
testimonianze della realtà, mentre la musealizzazione è il cambiamento di statuto che essi subiscono nella misura in
cui sono isolati dal resto delle cose

1.2.2. La nascita del Comitato dell’ICOM per la Museologia


La sede in cui questo dibattito si svilupperà è il Comitato dell’ICOM per la Museologia, l’ICOFOM, costituito nel 1977.
L’ ICOFOM diviene, fino al 1989, uno dei pochi ambiti di confronto diretto fra museologi dell’Est e dell’Ovest.

 2 tesi:
1. La museologia è una scienza che esamina il rapporto dell’uomo dell’uomo con la realtà e consiste nella
raccolta e conservazione coscienti e sistematiche e nell’uso scientifico, culturale ed educativo di oggetti
inanimati, materiali, mobili che documentano lo sviluppo della natura e della società.
2. La museologia è considerata come scienza generale del museo, è una disciplina scientifica indipendente che
ha i propri obiettivi, oggetto di studi e teoria, campo d’attività e metodo, come pure un proprio sistema. La
molteplicità delle funzioni e degli ambiti delle collezioni fanno della museologia una disciplina del forte
carattere interdisciplinare, che necessita della collaborazione di altre branche scientifiche, facendo
convergere il loro interesse sull’oggetto di studio comune: il museo e le sue attività.

In Europa prevale invece la tesi secondo la quale la museologia è una combinazione di conoscenza,
comprensione, attitudine e mestiere, cui si aggiungono una buona dose di visione, ispirazione, devozione e
pazienza.

Nel 1987 è istituita una Summer School di museologia a Brno.

1.3. Museologia, comunità e territorio


1.3.1. La Nouvelle Muséologie
Anche se la denominazione Nouvelle Muséologie è adottata solo nel 1980 da Andrè Desvallèes , già nel decennio
precedente si rivendica per il museo la “quarta dimensione” quella sociale. Il professionista museale e il visitatore
collaborano alla realizzazione di un museo che non può essere racchiuso in un edificio.

 Si teorizza l’abbandono del “museo degli oggetti” in favore del “museo delle idee”.
 ECO-MUSEO: ingloba intere porzioni di territorio

Tavola rotonda di Rio de Janeiro 1972: il museo deve fornire alla popolazione una visione d’insieme del suo ambiente
culturale e sociale e proporsi come strumento di sviluppo e di azione

 1995 seminario Brazilian Museology and Icom


 1985 Mouvement International pour une Nouvelle Muséologie.

1.3.2. Museologia, territorio, ed eredità culturale


Le arti e le tradizioni popolari, diventano il campo di sperimentazione nel quale si invoca il passaggio dal museo-
collezione al museo-discorso.

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Compaiono i musei della civiltà contadina. In piena svolta linguistica, il termine museologia recede rispetto a quello di
museografia. Il dibattito verte sul rapporto fra museo e territorio.

1.3.3. La critica del museo come istituzione


Un fenomeno parallelo alla Nouvelle muséologie è l’Istitutional Critique, una tendenza che raccoglie artisti i quali fra
gli anni sessanta e settanta mettono in discussione lo statuto dl museo d’arte.

Daniel Buren il museo ha un triplice ruolo:

.Estetico: il museo è cornice, il supporto reale sul quale si compie l’opera.

.Economico: il museo da valore commerciale a ciò che espone.

.Mistico: il museo/galleria conferisce istantaneamente lo status di “arte” a qualsiasi cosa esponga in buona fede.

1.4 La linea postmoderna


1.4.1. Studi museali e studi culturali
Nel 1989 esce a Londra una raccolta di saggi il cui titolo, New Museology di Peter Vergo vuole denunciare “uno
statuto di diffusa insoddisfazione verso la vecchia museologia”. Ciò che è sbagliato nella vecchia museologia è l’essere
rivolta troppo ai metodi del museo e poco alle sue finalità.

Nuova museologia sostenuta dall’Università di Leicester Cultural Studies

1.4.2. Divulgazione e riflessione


Nel corso degli anni novanta, la crescente popolarità del museo crea anche un nuovo pubblico editoriale. Di
conseguenza si rende la storia dei musei divulgabile. La manualistica è stimolata dalla crescente affluenza ai corsi
universitari. Si traducono i manuali e su richiesta del comitato intergovernativo per l’Iraq dell’UNESCO, l’ ICOM
pubblica un manuale di gestione del museo in arabo e inglese.

Spetta al presidente ICOM Peter Van Mensch (presidente dal’89 al ’92) la prima sintesi storica degli studi museologici,
che evidenzia tre linee di tendenza fondamentali: una orientata sugli oggetti, una sul pubblico e una sul museo come
istituzione.

Nel 1993, sotto la presidenza di Martin Scharer, l’ICOFOM incarica un gruppo di lavoro presieduto da André Desvallées
di occuparsi del persistente caos terminologico. Si tenta dapprima di redigere un thesaurus attraverso l’analisi
comparata dei diversi usi linguistici ma, constatata l’impossibilità di imporre per tutti i termini una definizione univoca,
si sceglie infine la formula, non normativa, del dizionario enciclopedico. Il lavoro sta per concludersi e nel 2009 ne
sono stati presentati i primi esiti.

1.5 Gli orientamenti attuali


1.5.1. il “museale”
Oggi si riconosce l’impossibilità di assegnare alla museologia lo statuto di scienza, ma l’eredità teorica della scuola di
Brno è recuperata e sviluppata nella definizione di una categoria che include il museo e lo oltrepassa. È il “museale”
che presuppone:

 La presentazione sensibile;
 La “messa ai margini” della realtà.

Il primo aspetto aiuta a distinguere il museale dal testuale (la capacità di leggere e la conoscenza di una lingua non
sono strettamente necessarie nel museo, del quale anche un analfabeta può fare esperienza).

Il secondo aspetto sottolinea il fatto che il museo esiste separandosi, ossia ponendosi ai margini della realtànella
sua interezza.

Nel ambito del museale si distinguono perciò due funzioni: la funzione documentaria sensibile e la funzione
utopica.

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1.5.2 Museografia e architettura museale
Si riconsidera anche il ruolo dell’architetto del museo. Solo in Italia, oggi, la museografia è considerata una disciplina
prevalentemente architettonica. In Francia invece si sono coniati nuoci termini Expographie ed Expographe.

Nei concetti chiave dell’ICOM la museografia è definita come “l’insieme delle tecniche sviluppate per adempiere alle
funzioni museali e in particolare quelle che concernono l’allestimento del museo, la conservazione, il restauro, la
sicurezza e l’esposizione” distinguendola dall’architettura museale.

1.5.3 Fra interdisciplinarità e sistemazione


La vocazione interdisciplinare della museologia rende l’ambito molto più complesso da governare anche se
entusiasmante da esplorare. La linea dei Museum Studies, è in definitiva più multidisciplinare che davvero
interdisciplinare. Il museo sarebbe poco importante se non interessasse anche la filosofia, la sociologia, l’antropologia,
la semiotica, la teoria delle comunicazioni e le altre scienze che se ne sono occupate, mentre la museologia sarebbe
ottusa se non tenesse conto delle loro riflessioni.

2. Il processo di musealizzazione
2.1. La natura conflittuale del museo
2.1.1. Le relazioni
Il museo pone in relazione tre elementi: un insieme organizzato di oggetti, coloro che li organizzano, e coloro per i
quali sono organizzati.

Nel museo la relazione con li oggetti presuppone che essi siano considerati rappresentativi di una certa cultura e dei
suoi valori passati o presenti; la loro funzione si svolge attraverso la percezione sensibile e diretta.

Bernard Deloche ha definito il museo come “una funzione specifica che può prendere o no la forma di un’istituzione, il
cui obiettivo è assicurare, attraverso l’esperienza sensibile, l’archiviazione, e la trasmissione della cultura intesa come
l’insieme delle acquisizioni che fanno di un essere geneticamente umano un uomo”.

Hannah Arendt afferma che per abitare il mondo l’uomo ha bisogno di cose che durino più dell’attività che le ha
prodotte e anche della vita del loro autore. Durata e importanza sono direttamente proporzionali. Affinché l’oggetto
duri nel tempo, esso deve essere escluso dai processi dell’uso e consumo (separazione).

Per durare, la cosa deve essere sottratta innanzi tutto dal novero delle merci.

La separazione museale, però non lascia le cose immutate; le priva infatti della loro funzione pratica, modificando così
il loro modo di stare al mondo.

La segregazione nel museo implica la scissione dei rapporti che gli oggetti intrattenevano con gli ambiti originali.
Affinché essi possano “tornare a parlare” questi rapporti devono essere ristabiliti anche se in altre forme. Anche la
proprietà delle cose subisce un cambiamento: se il museo è pubblico, passa a un certo ente territoriale, se non lo è
subisce comunque un’attenuazione, non potendo il proprietario disporne a proprio piacimento finché perdura la
musealizzazione.

2.1.2. I conflitti
il museo sottrae al mondo per restituire al mondo. Tutte le sue attività devono conciliare esigenze opposte. Fruizione
vs conservazione. Ne deriva una concezione conflittuale. Se la natura conflittuale del museo non è letta in chiave
positiva è quasi impossibile analizzare questo fenomeno culturale senza condannarlo o fraintenderlo. I futuristi lo
hanno paragonato a un cimitero, a un dormitorio e a un macello, Rainer Maria Rilke a un orfanotrofio, Paul Valéry a un
tumulo di creature congelate, ma anche chi lo ha guardato con ammirazione o interesse ha di solito cercato il senso
della sua funzione altrove. Il conflitto non si risolve una volta per tutte.

2.2 La fase di separazione


2.2.1. Dalla cosa all’”oggetto del museo”
Ogni cosa che entra nel museo è sottoposta al processo di musealizzazione, che è diviso in 3 fasi: separazione,
ricomposizione, esposizione.

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Per effetto della separazione le cose sono trasformate in oggetti da museo, in musealia. La nozione di “oggetto” può
essere estesa anche ai beni immateriali o invisibili, così come sono stati definiti dalla Convenzione UNESCO 2003 sulla
salvaguardia del patrimonio culturale immateriale. Chi sostiene che nel museo l’oggetto diventa “astratto o morto”
arriva inevitabilmente alla conclusione che qui si trovino soltanto dei “sostituti”. La musealizzazione non è costitutiva
del valore culturale ma lo riconosce.

Hannah Arendt affinità tra giudizio estetico di Kant e giudizio politico.

Tanto in estetica come in politica giudicando si prende una decisione

Il museo presuppone una delega al giudizio su che cosa si deve o non si deve conservare.

Che cosa accomuna gli oggetti “musealizzabili”? Nella definizione di museo dell’ICOM si insiste sulla loro condizione di
testimonianze dell’umanità e del suo ambiente.

La nozione di bene culturale come testimonianza (Franceschini) fa riferimento all’accezione giuridica che considera la
testimonianza come elemento di prova, sia l’accezione esistenziale. In entrambi i casi ciò che si richiede alla
testimonianza è l’autenticità.

Se si prescinde da questa duplicità la nozione di autenticità diventa inservibile se non addirittura pericolosa. Il duplice
senso dell’autenticità degli oggetti è uno degli ambiti nei quali emerge la natura conflittuale del museo.

AUTENTICO non equivale automaticamente ad ORIGINALE.

La musealizzazione tende a far sì che la funzione di testimonianza assorba tutte quelle che la cosa aveva esercitato
prima; diventa culturale anche la funzione degli elementi naturali. Il processo di musealizzazione inizia con le
procedure d’acquisizione e si formalizza con l’iscrizione nel registro d’ingresso e l’apposizione del numero
d’inventario.

2.2.3. Un nuovo sistema di relazioni


Il processo di musealizzazione dura finché l’oggetto permane all’interno del museo. Cambia in primo luogo, la
relazione col tempo. Quelle che diventano oggetti da museo, acquisiscono una sorta di diritto alla sopravvivenza. La
materialità degli oggetti dunque è proiettata verso il futuro, mentre il loro significato viene posto in rapporto con il
passato, il presente è affidato ai visitatori.

La musealizzazione cambia anche il rapporto delle cose con lo spazio, non solo perché il loro luogo attuale differisce da
quello originario ma anche perché il museo è un luogo altro.

Per attenuare la scomodità e rendere questo “luogo altro” confortevole, si contraddice continuamente la sua alterità.

Rapporto cosa/persona: l’oggetto da museo è trattato sempre con rispetto, dal personale e dal pubblico. Lo spettatore
frappone fra l’oggetto a sé stesso una distanza psicologica, tende a ritrarsene, perché intorno all’oggetto si è creato
uno “spazio spirituale”. Il museo deve anche evitare che l’enfasi sull’allontanamento fisico scoraggi l’avvicinamento al
valore.

2.3 La fase di ricomposizione


2.3.1. Oggetto e collezione museale
Attraverso la musealizzazione la cosa entra a far parte sia si una categoria astratta, quella dei museali, sia di un
insieme concreto e organizzato, la specifica collezione o raccolta museale. Al suo interno gli oggetti condividono un
destino comune; eppure qualcosa resta della reciproca estraneità. Il museo deve cercare di rendere armonica la
compagnia forzata che esso stesso ha provocato. Questo complesso di testimonianze continua ad essere alimentato
dalle scoperte archeologiche ecc. fra ciò che si trova al di qua e al di là della soglia del museo vi è una continuità ma
anche una cesura. La continuità dipende dal fatto che le cose soggette a un regime di salvaguardia nei loro siti di
origine o comunque in quelli diversi dal museo, attraverso le diverse forme di tutela che le legislazioni dei vari paesi
hanno loro accordato, subiscono una sorta di pre-musealizzazione. Sono beni immobili e mobili dei quali è stata
evidenziata la funzione culturale, rispetto alla quale le altre non sono state annullate ma comunque sono state
ristrette.

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Nel museo immaginario (di André Malraux la continuità fra interno ed esterno diventa assoluta, perché tutte le cose
musealizzabili lo diventano attraverso un loro sostituto: la riproduzione fotografica.

Il Ciber-museo, è la banca dati non solo dei musealia ma anche di tutte le altre testimonianze culturali, si tende oggi a
confonderlo con il museo vrtuale. Ciò che però non ha varcato la soglia del museo, conserva ancora i caratteri di una
cosa.

 I musei oggi devono difendersi dalla loro estensione incontrollata.

2.3.2 Contesto museale e contesto originario


la natura conflittuale del museo deriva anche dal suo essere sempre in qualche modo una rappresentazione del
mondo, dalla quale questa rappresentazione è continuamente messa in crisi. Le cose nella loro concretezza,
oppongono resistenza ai procedimenti attraverso i quali si cerca di ricondurle entro uno schema astratto. L’oggetto
musealizzato continua a essere non solo una testimonianza ma anche una traccia. Le tracce hanno un rapporto
indiziario con il contesto di provenienza, che può essere ricostruito solo in modo ipotetico.

2.3.3. Collezione e pubblico


La collezione museale non è fine a sé stessa: è sempre per il pubblico. La nozione di pubblico non comprende solo la
generazione presente, ma anche quella futura. Nell’interporsi tra gli oggetti e il pubblico di oggi, il museo opera non
solo passivamente, come contesto, ma anche attivamente, come mediatore. Invece il rapporto fra gli oggetti e il
pubblico di domani va lasciato quanto più libero possibile, aperto e indeterminato.

Il deposito del museo è il passato destinato al futuro ;

l’esposizione permanente è dove stanno gli oggetti che sono considerati i più meritevoli di interesse nel presente.

Qualcosa che adesso appare di grande importanza potrebbe non sembrarlo più domani e viceversa.

2.4 La fase di esposizione


2.4.1 L’ostensione
L’esposizione è la principale modalità di mediazione fra la collezione e il pubblico di oggi. Nel museo l’esposizione può
essere schematicamente suddivisa in tre livelli ostensione, esplicazione e implicazione .

È il mostrare È il modo in cui il È la fase di


considerato per museo avvia il esposizione
processo di interamente
interpretazione affidata al
visitatore.
Intorno agli oggetti deve prodursi l’ “atmosfera”, grazie al quale
l’esperienza,

per così dire, si tridimenzionalizza. L’atmosfera nel museo si genera se gli oggetti tornano a essere percepiti anche
come presenze fisiche, come cose.

2.4.2. L’esplicazione
Nell’esplicazione l’accento si sposta dagli oggetti alle idee, dalla scena al racconto (linguaggio verbale)

Quando la comunicazione continua ad avvalersi prevalentemente delle immagini, si aumenta il grado di artificialità

La relazione che si crea fra coloro che nel museo predispongono gli apparati esplicativi e i visitatori ai quali sono
destinati si può definire, in termini di comunicazione, come una trasmissione di messaggi di tipo lineare e
unidirezionale, perché il destinatario non può interagire col mittente in sua assenza. Il visitatore in tutto questo ha un
ruolo attivo.

2.3.4 L’implicazione
L’oggetto da museo ci è stato trasmesso non solo fisicamente ma è stato pensato, detto, scritto nel corso del tempo e
continua a rinnovarsi nel processo dell’interpretazione. L’apparato esplicativo è l’insieme degli strumenti che il museo
può usare per indurre la partecipazione del fruitore.

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Quell’apparato contiene inevitabilmente l’interpretazione degli operatori del museo, che non possono sottrarsi a
questa responsabilità. Il museo è tenuto a mediare fra gli oggetti e le persone ma, ovviamente può farlo in modo più o
meno partecipativo. La mediazione del museo dovrebbe consistere nel permettere che le persone entrino in dialogo
con gli oggetti, che si pongano le domande con le quali inizia sempre il processo di interpretazione. Per essere attivo il
visitatore deve anche assumere un certo grado di responsabilità e disponibilità.

L’esposizione, infine, è essa stessa un’opera da interpretare. L’interpretazione e l’esperienza del visitatore riguardano
anche l’insieme costituto dall’ostensione e dall’esplicazione.

Proviamo quindi a definire il museo come il sistema di relazioni stabilito fra:

 Un insieme di oggetti culturali


 Coloro che li organizzano
 Coloro per i quali sono organizzati

3. Il museo come istituzione


3.1. Le definizioni
3.1.1. La definizione dell’ICOM
La definizione del museo come istituzione è stata fornita dall’ICOM che l’ha riformulata nel 2007.

“Il museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al
pubblico, che acquisisce, conserva, ricerca, comunica ed espone il patrimonio materiale e immateriale dell’umanità
e del suo ambiente per fini di educazione, di studio e di diletto”.

È inoltre utile il confronto con la formulazione del 1974: “il museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al
servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che compie ricerche sulle testimonianze materiali
dell’uomo e del suo ambiente: le acquisisce, le conserva, le comunica, e soprattutto le espone, ai fini di studio,
educazione e diletto”.

Le differenze fondamentali sono tre:

 Per indicare l’oggetto delle attività del museo l’accento si è spostato dalla pluralità delle “testimonianze” alla
collettività del “patrimonio”.
 Si include anche quello “immateriale”
 A tutti i compiti è attribuito il medesimo valore.

Nelle versioni inglese e francese del 1974, un punto divideva la definizione in due sezioni. Il requisito dell’apertura
al pubblico si trovava così, nella seconda parte, che comprendeva i compiti e i fini del museo.

3.1.2 La definizione del Codice dei Beni Culturali e del paesaggio


In Italia la definizione vigente di museo è contenuta nell’articolo 101 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, in
cui si afferma che è “un’istituzione permanente destinata alla pubblica fruizione, e che espleta un pubblico servizio, che
acquisisce, conserva, ordina e espone beni culturali per finalità di educazione e di studio”. Qui è omesso il riferimento
all’assenza dello scopo di lucro, la nozione di “pubblico servizio” sostituisce quella di “servizio alla società”; si ricorre
alla locuzione “beni culturali” e non si menziona il compito di ricerca o di studio. Infine, si omette lo scopo del “diletto”
perché lo si considera compreso nel concetto di fruizione.

3.1.3. Il rapporto con il Codice etico per i musei


Ciò che distingue principalmente il Codice del 2001 è la predominanza della condotta istituzionale rispetto alla
deontologia professionale. Questa evoluzione si spiega con la crescente importanza assunta dalla “questione etica”
negli ultimi vent’anni. Il Codice individua, oltre agli obblighi comuni a tutte le istituzioni culturali anche gli obblighi
specifici del museo:

 Il dovere di attrarre nuove e più ampie fasce di pubblico;

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 La garanzia di acceso ai visitatori con un orario adeguato;
 L’obbligo di conservare le collezioni e di comunicarle;
 I limiti nei rapporti con gli sponsor;
 La coerenza con la missione dell’istituzione degli oggetti venduti nei negozi del museo e l’equità del loro
prezzo;
 La trasparenza della politica di acquisizione delle opere e la sua coerenza con la propria missione;
 Il divieto di acquisire oggetti di provenienza illecita e di favorire scavi clandestini;
 La restituzione degli oggetti acquisiti indebitamente;
 La disponibilità alla cooperazione con altri musei; il rifiuto di donazioni con clausole che ledano l’autonomia
scientifica dell’istituzione;
 La presunzione di inalienabilità delle collezioni;
 Le regole per l’alienazione quando è ammissibile.

3.1.4 La nozione di istituzione applicata al museo


Il museo, secondo la definizione dell’ICOM, è un’istituzione, ossia un organismo dotato di compiti e scopi definiti. Non
tutti condividono questa impostazione. Chi la critica sottolinea il rischio di rendere statico, cristallizzandolo in una
configurazione giuridica, un fenomeno che è in divenire. Chi la sostiene, invece sottolinea la necessità di prendere atto
dell’esistente senza prefigurare già ciò che ancora non esiste. Come istituzione, il museo è inevitabilmente soggetto a
pressioni politiche. Fin dalla sua creazione, è stato spesso usato come simbolo di prestigio anche in senso
nazionalistico, come canale di raccolta del consenso, veicolo di una propaganda, perfino come strumento di
sopraffazione di una nazione o di un’area socioculturale rispetto a un’altra. Tuttavia, i grandi investimenti in materia di
musei pubblici sono possibili solo se ad attivarli è una forte volontà politica. È un’ambivalenza legata alla natura del
museo come struttura educativa, come simbolo dell’identità nazionale o locale, come generatore di modifiche negli
equilibri sociali legati alla pianificazione e gestione del territorio.
Poiché il museo è uno dei luoghi nei quali si esercita il diritto alla cultura, la garanzia che questo esercizio sia effettivo
deve essere un fine sempre presente.
L’interesse pubblico che il museo persegue non comporta che debba essere necessariamente pubblicistico il modello
organizzativo e gestionale dell’istituzione.
3.2 La permanenza nel tempo
3.2.1. Durata e mobilità
la definizione dell’ICOM insiste sul carattere permanente dell’istituzione-museo. L’ICOM ha tenuto a specificarlo
perché la sua definizione deve valere in qualsiasi tipo di regime politico.

La permanenza delle collezioni è espressamente affermata nel titolo del punto 2.18 del Codice etico dell’ICOM: “Il
museo è tenuto a stabilire ed applicare politiche tali da garantire che le collezioni e le informazioni associate,
correttamente registrate, siano disponibili per l’uso corrente e siano trasmesse alle generazioni future nelle migliori
condizioni possibili, tenuto conto delle conoscenze e delle risorse disponibili”. La stabilità nel tempo dell’istituzione
garantisce dunque quella della raccolta museale, ma permette anche che “le sue attività e l’intenzione che le presiede
siano al di fuori delle contingenze temporali”.

Tuttavia la permanenza non è automaticamente garantita. Il singolo istituto “deve lottare per la sua permanenza e non
smettere di svolgere quelle funzioni”. Ne consegue che, per garantire la propria sopravvivenza, il museo può e deve
cambiare, adattandosi alle circostanze storiche, come in effetti è finora avvenuto. Per questo è stato definito
un’istituzione plastica e malleabile.

3.2.2 La sede e le risorse


Correlata ala permanenza nel tempo è la necessità di una sede. Il termine museo designa anche la struttura fisica. Nel
caso del museo la relazione fra l’ente e la sua sede acquista un’importanza particolare, perché investe le sue funzioni
caratteristiche, quella conservativa e quella espositiva, che presuppongono entrambe un luogo attrezzato. Anche un
ciber-museo implica un sito in cui la sua banca dati possa essere conservata e resa accessibile. Dal requisito della
stabilità discende anche la necessità che al museo siano garantite risorse finanziare adeguate. La permanenza nel
tempo dell’istituzione determina, quindi, l’assunzione di responsabilità non irrilevanti da parte del soggetto, pubblico
o privato che decide di creare un nuovo museo. Non basta l’investimento iniziale a garantirne la sopravvivenza. Il
riconoscimento del requisito della permanenza non è una promessa di eternità. Il cambio di assetto organizzativo che
hanno subito e continuano a subire i musei in molti pasi della vecchia Europa prova che non è solo il singolo istituto,
ma anche l’istituzione nel suo complesso a doversi periodicamente aggiornare.

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3.3 L’assenza dello scopo di lucro
3.3.1. Non-profit e not-for-profit
Il secondo requisite dell’istituzione-museo nella definizione dell’ICOM è l’assenza dello scopo di lucro. Nel glossario
del Codice etico l’organizzazione non-profit o not-for-profit, è definita come segue: “Soggetto istituzionale previsto
dalla normativa nazionale competente i cui redditi siano destinati per restauro esclusivamente a beneficio
dell’organismo stesso, al conseguimento dei suoi obiettivi e al suo funzionamento”.

L’assenza dello scopo di lucro mira a sottrarre la collezione del museo all’uso commerciale e preservare l’istituzione
dalla pressione degli interessi economici. La distinzione che si tende oggi a proporre fra non-profit e non-for-profit
indica che esistono delle sfumature. Secondo alcuni autori, il solo fatto che la maggior parte dei musei introiti i ricavi
dei biglietti d’ingresso, escluderebbe di per sé il carattere non lucrativo. Se invece si guarda allo scopo, allora il non
perseguimento del profitto può intendersi come la modalità specifica attraverso la quale si svolge il ruolo economico
del museo, che deve essere visto come direttamente connesso al suo ruolo sociale.

I musei hanno un impatto di tipo:

indiretto indotto derivato

Un grande museo, esercita anche un impatto economico diretto non irrilevante. Gli introiti delle biglietterie rifluiscono
all’esterno o ritornano agli enti pubblici ai quali i musei dipendono. Le strutture museali, però sono costose da
mantenere a livello di edifici, impianti e personale stabile, mentre l’occupazione giovanile a tempo determinato che
sono in grado di generare stenta a consolidarsi, e in alcuni paesi, come l’Italia, socia speso nel precariato.

Il mercato del museo è quello del tempo libero. Sarebbe non solo erroneo ma anche illusorio ritenere che il museo
possa generare introiti tali da garantirgli l’autosufficienza: la sua è un’intrinseca e insanabile situazione di non
profittabilità.

3.3.2. La sostenibilità economica del museo


Il sostegno pubblico richiede oggi di essere giustificato, data la presenza di alcuni fattori che, anche in Italia, stanno
modificando lo scenario socio economico in cui i musei si muovono; Stefano Baia Curioni ha raggruppato tali fattori in
tre categorie principali:

 I crescenti vincoli di risorse economiche imposte da politiche di bilancio pubblico più rigorose e dalla
competizione con altri settori non-profit.
 L’evoluzione deli stili di consumo e l concorrenza esercitata nei confronti delle istituzioni culturali.
 L’evoluzione degli stili di consumo e la concorrenza esercitata nei confronti delle istituzioni di mediazione
culturale dalla disponibilità di conoscenza e socializzazione a “costo zero” consentita dalla rete informatica.

Di qui la necessità che i musei siano in grado di mettere a fuoco il loro valore, di orientarsi maggiormente verso il
pubblico e che siano predisposti al cambiamento. D’altro canto, è stato messo in luce il rischio di scarsa relazione
con il contesto sociale che corre il museo-rentier, cosiddetto perché vive di finanziamenti pubblici.

Il rischio principale del modello di finanziamento pubblico a copertura di deficit risiede nel pericolo di allontanare
il museo dalla sua domanda potenziale, in quanto il museo non ha bisogno di trovare le fonti di sostentamento
attuando una strategia di relazioni e scambio “servizi offerti/finanziamento” con le diverse componenti della
società. Si giunge quindi al paradosso che il finanziamento pubblico del museo rischia di produrre un
allontanamento e un distacco da questi.

Poiché la collezione è un bene anche patrimoniale di tutta la collettività, la sua gestione non può non avere una
valenza economica; mentre la fruizione, essendo direttamente connessa ai fini dello studio, dell’educazione e del
diletto, non può non avere una valenza culturale. È difficile trovare forme di equilibrio.

Valore culturale Valore economico

coesistono

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3.4. Il servizio alla società
3.4.1. Il ruolo sociale del museo
Il terzo requisito che la definizione dell’ICOM attribuisce all’istituzione-museo è la sua destinazione “al servizio della
società e del suo sviluppo”. Questa espressione tiene conto dell’indeterminatezza del concetto di utilità sociale che
acquista consistenza e concretezza solo in rapporto alle circostanze storiche, politiche, economiche.

Il servizio della società va inteso in senso ampio, perché i beni dei quali il museo ha la cura sono aperti a una fruizione
universale: il museo infatti è meno condizionato dalle barriere linguistiche di altre istituzioni ed è aperto a tutti. Il
rapporto con il contesto immediato riguarda non solo i singoli cittadini, ma anche i diversi interlocutori che oggi si
definiscono stakeholders. Storicamente la percezione dell’incidenza sociale del museo, è stata più profonda nei paesi
anglosassoni. Il pragmatismo americano realizza istituzioni museali basate sulla centralità del pubblico: questa è la
grande differenza tra il museo italiano e quello americano. Il sistema museale europeo produce un effetto endogeno
di esclusione di alcune fasce sociali, quello statunitense rischia di trasformare il museo in un luogo di mero
intrattenimento.

3.4.2 Consenso sociale e responsabilità


Dagli anni ottanta del Novecento la popolarità dei musei ha continuato a crescere nel mondo occidentale. Il risorgere
del consenso sociale è stato spigato come il concorso di diversi fattori: la crescita del tempo libero e quella del reddito
pro-capite; l’aumento del grado medio di scolarizzazione; la riscoperta del passato da parte delle società occidentali
contemporanee, dovuta anche alla crescente incertezza sul proprio futuro; l’inserimento della cultura fra gli status-
symbols indicativi dell’elevazione dello stile di vita; l’interesse per il mercato delle immagini per le potenzialità del
museo come produttore e consumatore. Questo rafforzamento del ruolo sociale pone il museo di fronte ai dilemmi
della società post-industriale.

“Garantire più libertà ai cittadini, ma al contempo responsabilizzarli di più per l conseguenze dei loro comportamenti
privati; garantire più autonomia alle sfere sociali intermedie, ma al contempo orientarle al bene comune; garantire più
sicurezza sociale ma evitare la burocratizzazione della società; garantire più uguaglianza sociale, ma anche più rispetto
delle differenze; rispondere alle esigenze dei singoli individui, ma anche favorire la solidarietà tra le persone; aprirsi
alla globalizzazione, ma anche rispondere alle esigenze locali.”

Questi dilemmi possono essere risolti nei termini seguenti: estendere l’accessibilità, ma al tempo stesso
responsabilizzare maggiormente i cittadini nei confronti della salvaguardia del patrimonio culturale; aprire la gestione
alla partecipazione della comunità sociale di riferimento senza sacrificare la propria autorevolezza scientifica;
rispettare le esigenze di conservazione del patrimonio senza precludere la sua fruizione; non discriminare fra le fasce
d’utenza, ma al tempo stesso tener conto delle diverse esigenze dei “pubblici”; rendere compatibile l’accesso di massa
con la qualità dell’esperienza individuale; aprirsi al confronto e al dialogo fra le culture senza perdere la propria
identità.

Un altro nodo cruciale con l quale il museo deve necessariamente misurarsi oggi è quello della vivibilità della terra; il
museo può giocare un ruolo attivo nelle politiche di recupero del degrado urbano, rivitalizzazione del territorio ecc.

È però essenziale ricordare che il museo espleta la propria funzione sociale principalmente garantendo l’esercizio del
diritto alla cultura.

4. Il museo come servizio


4.1 L’apertura al pubblico
4.1.1. Accesso, inclusione e relazione
Nella definizione dell’ICOM il requisito dell’apertura al pubblico è essenziale affinché un museo possa dirsi tale.

Il pagamento del biglietto è stato la prima garanzia che l’ingresso fosse concesso a chiunque e anche il primo
riconoscimento che si trattava di un servizio reso al cittadino. Oggi la gratuità e il pagamento rappresentano un
elemento qualificante della relazione con il visitatore.

Fasi della relazione fra museo e visitatore:

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 1°, l’attenzione del museo si concentra sulle élites intellettuali e sociali: gli studiosi, li artisti e gli strati elevati
della popolazione
 2°, il pubblico è inteso come massa da educare, sia nel comportamento sia nel modo di apprendere. Il muso
trasmette il proprio messaggio a tutti.
 3°, il pubblico acquisisce un peso rilevante.

Oggi al visitatore si riconosce un ruolo centrale. Il pubblico è un insieme che oltrepassa quello dei visitatori reali,
potenziali e remoti e che, possiede virtualmente un’estensione illimitata. Il museo parla principalmente con il
linguaggio virtualmente universale delle immagini.

La sua apertura a un’utenza indifferenziata è inestricabilmente connessa al suo essere una delle forme nelle quali
si esercita, pur con tutti i limiti, la democrazia; ma richiede che i pubblici siano distinti e la comunicazione
articolata di conseguenza. Inoltre, il pubblico va inteso anche in senso diacronico: è quello presente, ed è quello
futuro, per il quale gli stessi oggetti sono conservati. Ne consegue anche la difficoltà di rendere il rapporto dei
visitatori con gli oggetti abbastanza rispettoso da scongiurare i possibili danni e abbastanza diretto da favorire
l’apprendimento e il piacere.

L’accessibilità al museo, ai suoi diversi livelli, resta però la condizione di base.

4.1.2. Accessibilità temporale


L’accesso al museo ha anzitutto una dimensione temporale: il calendario e l’orario di apertura. La settimana museale
è inevitabilmente diversa da quella lavorativa, perché la frequentazione si concentra nel tempo libero e dunque
include giorni festivi. Un giorno di chiusura settimanale è comunque necessario. Dagli anni settanta del Novecento
l’estensione dell’orario è stata fra i principali obiettivi delle politiche di sviluppo dell’accesso e anche di distribuzione
dei flussi nei musei molto frequentati. Aperture notturne o nei cosiddetti giorni super festivi continuano a essere
proposte come forme di incentivo anche in Italia.

La prima forma di garanzia dell’accesso temporale consiste comunque nel comunicare l’orario di visita comprese le
sue variazioni, sia mediante il sito internet, sia attraverso gli organi di stampa sia, quando è possibile, in spazi
appropriati all’interno dell’edificio.

4.1.3. Accessibilità spaziale


La dimensione spaziale dell’accesso al museo riguarda la raggiungibilità della sede e la sua praticabilità. Negli ultimi
anni si è molto insistito sula rimozione delle barriere architettoniche per ospitare le sedie a rotelle o i passeggini. Non
è sempre possibile garantire la compatibilità estetica di rampe, scivoli, pedane elevatrici e monta-persone che non
erano stati previsti nel progetto architettonico originario; tuttavia sarebbe contrario ai principi dell’accessibilità. In
termini di garanzia dell’accesso, è probabilmente preferibile ridurre il tempo e aumentare lo spazio. Un altro tema
complesso rispetto all’accessibilità spaziale è la fila di visitatori che si forma all’ingresso quando la capacità di
accoglienza dell’edificio è sproporzionata all’afflusso. Simbolo per alcuni dell’apertura alle masse e per altri del
degradarsi della visita propriamente culturale, la coda è comunque un problema e come tale va affrontata.

4.1.4. Accessibilità economica


Di norma l’ingresso nei musei è a pagamento e questo comporta una barriera economica. In Italia, il pagamento del
biglietto d’ingresso risale a poco dopo l’unità nazionale. Nei paesi anglosassoni la gratuità è ancora considerata un
diritto generale, mentre all’interno dell’Unione europea sono esenti dal pagamento del biglietto i minorenni e coloro
che hanno superato i 65 anni; a queste categorie si sono aggiunti poi i diversamene abili e i loro accompagnatori. Molti
paesi inoltre consento a tutti l’accesso gratuito almeno una volta l’anno. In Italia da oltre 20 anni vige la Settimana
della cultura mentre negli Stati aderenti al Consiglio d’Europa sono state istituite per questo scopo le Giornate
Europee del patrimonio. Il prezzo del biglietto dovrebbe essere proporzionato all’offerta del museo, ma anche
graduato in modo che per alcuni non sia un elemento discriminante.

Il prezzo del biglietto dovrebbe essere proporzionato all’offerta del museo ma anche graduato in modo che per alcuni
non sia un elemento discriminatorio. Finché i finanziamenti pubblici esistono, la gratuità, per quanto modulata, deve
essere prevista. L’accessibilità dei contenuti comprende non solo la disponibilità delle informazioni sugli oggetti e degli
apparati esplicativi, ma anche la comprensibilità del linguaggio e la leggibilità dei supporti grafici. La forma espositiva
troppo specialistica è una barriera culturale, l’uso della sola lingua del paese dove il museo ha sede una barriera
linguistica, il ricorso a caratteri troppo piccoli negli apparati informativi una barriera sensoriale. Affinché un contenuto

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sia accessibile, non è necessario che sia banalizzato. Nessuno deve sentirsi mortificato di fronte a un’interminabile
sequenza di nomi in lingue morte dei quali mai è spiegato il significato. La comunicazione culturale è una delle attività
più delicate del museo e quella che meglio mostra il livello di sensibilità del suo staff al rapporto col pubblico.

4.1.6. Inclusione e relazione


Gli ostacoli all’accesso in qualche caso non possono essere completamente rimossi, ma se ne può ridurre l’incidenza. È
il caso delle disabilità che riguardano la vista, per le quali si prevedono modalità di fruizione alternative. Se possibile,
tuttavia, va evitata la segregazione de diversamente abili in quanto “pubblici speciali” ai quali sono riservati percorsi
diversi. Presso la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma è stato attivato un percorso multisensoriale, che coinvolge
tutti i visitatori.

Nelle politiche di accesso rientrano anche quelle che stimolano il senso si appartenenza da parte delle comunità di
riferimento. A volte le iniziative possono essere molto semplici ma immediatamente efficaci, come quella della
National Gallery of Ontario a Toronto che, con annunci sui giornali e via internet ha chiesto a tutti i cittadini di inviare
una loro fototessera da esporre in una mostra, ottenendo un’adesione impressionante.

Ancora oggi i diritti culturali tendono a essere considerati di secondaria importanza rispetto a quelli civici, politici e
sociali.

4.2. I compiti e i fini del museo


4.2.1. La classificazione dei compiti
La seconda parte della definizione dell’ICOM elenca i compiti, affermando che il museo acquisisce, conserva, ricerca,
comunica, ed espone il patrimonio materiale e immateriale dell’umanità e del suo ambiente.

La classificazione fatta da Stànsky suddivide le attività in tre categorie fondamentali: selezione, tesaurizzazione e
presentazione.

Più nota è la suddivisione adottata fin dal 1982 dalla Reinwardt Accademie di Amsterdam, che è riassunta dalla sigla
PRC: Preservare, Ricercare, Comunicare.

Comprende tutte le
Include anche attività che sono
l’acquisizione e la Comprende scavi dirette dal pubblico
registrazione ed è archeologici,
applicabile anche ai catalogazione, fino agli
musei tradizionali. studi museologici e
quelli che riguardano la
conservazione

Nella definizione dell’ICOM si è preferito mantenere la comunicazione distinta dall’esposizione.

Le 5 classi di attività che considerate qualificanti sono tutte orientate verso gli oggetti, ma le tre finalità che
concludono la definizione dell’ICOM le orientano verso il pubblico: lo studio, l’educazione, il diletto. Questi tre fini
sono le giustificazioni sociali del museo di oggi.

4.2.2. Il fine dello studio


Lo studio è un diritto della collettività. Gli oggetti del museo, insieme con l’informazione che li riguarda e che il museo
ha conservato o creato, devono essere anzitutto disponibili, come ribadisce l’articolo 3.2. del Codice etico dell’ICOM.

L’articolo 3.3. aggiunge che “i professionisti museali sono tenuti a condividere le loro conoscenze ed esperienze con i
colleghi, studiosi e studenti nei settori di loro competenza” .

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Il collega, lo studioso e lo studente, dunque non sono utenti privilegiati perché appartengono alla stessa “casta”, ma
perché sono titolari di una sorta di diritto/dovere.

Gli oggetti dovrebbero, dunque, essere sempre accessibili per il fine di studio. La disponibilità a condividere
l’informazione non significa negare agli studiosi interni il diritto morale di pubblicare per primi ciò che hanno scoperto
o elaborato, ma frena la tendenza, purtroppo non rara, a rendere a lungo indisponibili fonti e dati sui quali non si sta
ancora lavorando con la scusa che prima o poi s’intende farlo.

Il contesto museale può favorire quella che Edgar Morin ha definito la “conoscenza pertinente”.

Il contesto museale stimola la “mentalità di studio” come richiamo al voler conoscere e comprendere, che è un
prerequisito per la formazione globale della persona.

4.2.3. Il fine dell’educazione


L’educazione non è un compito ma un fine del museo. Come allo studioso, anche allo studente va riconosciuto uno
speciale “diritto/dovere al museo”. È dunque necessario che si attivino programmi specifici per le scuole e che si
forniscano strumenti gratuiti agli insegnanti per potersi aggiornare. Il museo, però, opera nella prospettiva del Lifelong
Learning, dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita. Ciò che distingue il fine dell’educazione da quello dello
studio, è appunto, il suo essere rivolto alla persona, nella sua dimensione di continua maturazione individuale e
sociale. Nei concetti chiave della museologia elaborati dall’ICOFOM, l’educazione museale è definita come “un
insieme di valori, concetti, saperi e pratiche il cui scopo è la crescita del visitatore”.

Al fruitore si offre e si richiede: la visita è sempre un impegno, che comporta un lavoro intellettuale, anche se il museo
deve assicurare le condizioni idonee a svolgerlo nel modo più stimolante e meno faticoso. D’altra parte, la
partecipazione del visitatore va stimolata. Nel museo si educa anche alla coscienza civile, alla cittadinanza. Oltre al
rispetto per il patrimonio culturale, si dovrebbe apprendere qui la comprensione dell’alterità e della diversità. Nei
musei che ospitano testimonianze provenienti da altre civiltà o culture, il problema della diversità culturale si pone in
termini espliciti.

O quest’istituzione riesce a mediare fra le tensioni culturali che stanno lacerando lo scenario internazionale, o finirà
per accentuarle.

4.2.4. Il fine del diletto


La terza finalità è il diletto. Esso ha oggi un significato relativamente circoscritto rispetto a quello più usuale di piacere.
L’esperienza estetica è parte di quella del museo. La meraviglia, la curiosità, l’evocazione, hanno da sempre aleggiato
intorno alle collezioni scientifiche e/o esotiche e gli stessi allestimenti museali hanno cercato solitamente di
preservare questa suggestione.

Il fine del diletto, non solo è compatibile con quelli dello studio e dell’educazione, ma non può essere eliminato senza
che gli altri due ne risentano.

5. L’organizzazione e la gestione
5.1. Gli standard di qualità del museo
5.1.1 l’esperienza internazionale
La consapevolezza che il museo debba rendere conto della propria attività alla società ha spinto la stessa comunità
museale a individuare le modalità per poter valutare come questa istituzione svolge i propri compiti. Ad avviare il
processo sono state infatti le associazioni professionali.

La sperimentazione è iniziata nella seconda metà degli anni Sessanta del Novecento con il Museum Assistance
Program della Nova Scotia (Canada) e si è sviluppata negli Stati Uniti con il Museum Assessment Program e il Museum
Accreditation Program del 1971. In Europa ha avuto inizio con il Registration Scheme britannico, avviato nel 1988 e
revisionato l’ultima volta nel 2004. Dal modello britannico, che affida la valutazione a un organismo indipendente e
prevede una revisione periodica del rispetto degli standard, hanno tratto spunto i Paesi Bassi, dell’Irlanda e della
comunità fiamminga del Belgio, mentre in Spagna, Italia, Francia e Portogallo sono stati emanati leggi o decreti che
affidano il controllo ai ministeri della cultura. In tutti questi sistemi la fase iniziale consiste in un’auto-valutazione.
Inoltre il museo, acquista così una migliore visione d’insieme e una maggiore coesione interna. La valutazione da parte
di un ente esterno invece, può essere finalizzata all’inserimento in un circuito di eccellenza, all’attribuzione di un

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marchio di qualità, e/o alla concessione di finanziamenti aggiuntivi. Nel tempo gli standard di qualità si sono avvicinati
e ora non sembra impossibile immaginare uno schema condiviso a livello internazionale. Questa tendenza può essere
letta anche come un effetto della proliferazione di nuovi musei.

5.1.2. Gli standard di qualità in Italia


In Italia il problema degli standards dei musei si è posto con il D.Lgs 31marzo 1998 n. 112 che nell’articolo 150, nel
prevedere il trasferimento di competenze in materia di beni e attività culturali dallo Stato ad altri enti territoriali,
richiedeva da parte del Ministero competente la definizione di criteri tecnico-scientifici e di standard minimi da
osservare nell’esercizio delle attività trasferite. Sul tema fu organizzato un convegno a Firenze nel 1999 e nel
settembre di quell’anno la Conferenza delle Regioni approvò un primo documento dal titolo Standard per i musei
italiani, a seguito del quale fu istituita una Commissione paritetica fra Ministero per i beni e le attività culturali, regioni
e autonomie locali.

Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e gli standard di funzionamento e di sviluppo dei musei 10 maggio 2001.

Individua:

L’assetto finanziario, lo status giuridico, le strutture, il


personale, la sicurezza, la gestione delle collezioni, i
rapporti con il pubblico e i rapporti con il territorio.

Qui gli standard obbligatori sono definiti “norme tecniche” e quelli volontari “linee guida”

5.2. I modelli organizzativi


5.2.1. Il dibattito sul rapporto pubblico/privato
Alla fine degli anni settanta il Centre Georges Pompidou di Parigi è stato istituito come ente pubblico indipendente
dalla Direzione dei musei di Francia, con un’ampia autonomia gestionale. Negli anni novanta questo modello è stato
esteso anche al Louvre e alla Reggia di Versailles. Dal 2002 è in atto una politica di decentramento. Anche in Spagna il
Centro de Arte Reina Sofìa, è stato creato nel 1991 con una forma giuridica diversa da quella degli altri musei statali,
anche se oggi l’unica struttura che gode effettivamente di una piena autonomia è il Museo del Prado . In Germania i
principali musei di Berlino dipendono da una fondazione a prevalente partecipazione pubblica, la Stiftung Preussicher
KulturBesitz.

5.2.2. Il modello pubblicistico


La dipendenza da un’amministrazione pubblica è la situazione di gran lunga più frequente in Italia. I musei statali
dipendono dalle Soprintendenze. Il modello del museo-ufficio dipende dalla prevalenza in Italia della tutela territoriale
del patrimonio archeologico e storico-artistico che si sviluppa come un processo in cui il museo è la tappa finale. Il
dilemma è come mantenere questo stretto rapporto con il territorio, dotando i singoli musei dell’autonomia
necessaria non solo per valorizzare le raccolte, ma anche per pianificare e attuare tempestivamente gli interventi di
manutenzione ordinaria che sono rallentati se non impediti, dal modello pubblicistico vigente. Con l’istituzione dei poli
museali, Soprintendenze sociali, si è cercato di superare la difficoltà raccordando gli uffici in un sistema; ma questa
esperienza è durata solo 5 anni. Molto più dinamica è stata negli ultimi due decenni la situazione dei musei dipendenti
dalle Regioni e dagli enti locali.

5.2.3. I modelli privatistici


Fra i modelli privatistici, i tre prevalenti sono: la società dei capitali, l’istituzione e la fondazione. La società dei capitali
è difficilmente adattabile alla natura non-profit del museo. La società per le azioni implica la compartecipazione di altri
soci pubblici o privati, scelti da questi ultimi attraverso procedure selettive che mirano a individuare non tanto la
maggiore convenienza economica, quanto la maggiore affinità d’intenti e di interessi.

L’istituzione è invece un ente strumentale di cui l’ente locale si serve soprattutto nell’erogazione di servizi di tipo
sociale. Il modello della fondazione al momento riscuote anche in Italia il maggior successo, implica l’assenza dello
scopo di lucro e consente un maggior controllo da parte dell’autorità pubblica; l’esperienza si è poi estesa ai musei

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dello stato, poiché dal 1998 il Ministero per i beni e le attività culturali può costituire fondazioni o parteciparvi. Il
Codice dei beni culturali e del paesaggio consente anche il conferimento dei beni patrimoniali a titolo di uso gratuito.

La fondazione opera a favore dei soggetti diversi da quelli che li hanno costituita. Nella sua forma classica, l’attività
economica è legata soprattutto alla gestione del patrimonio, ma, nella forma cosiddetta “di partecipazione”, questo
organismo può avvalersi anche di contributi pubblici e privati, ed essere aperto all’adesione di soggetti diversi dai
fondatori. In questo secondo modello, il più usato in Italia, il controllo e il finanziamento, per il momento, sono
prevalentemente o interamente pubblici. Si tratta dunque di una privatizzazione formale.

5.2.4. La concessione dei servizi


Una formula intermedia è la gestione in concessione di determinati servizi; tale modello è normalmente adottato dai
musei statali. A partire dalla legge 4/1993 che per prima ha consentito l’esternalizzazione dei cosiddetti “servizi
aggiuntivi”, lo strumento della concessione si è esteso anche ad attività più tipiche del museo, quali i servizi educativi e
l’organizzazione di mostre. Il bilancio di questa esperienza presenta luci e ombre. Da un lato si è trattato di una tappa
necessaria nel processo di modernizzazione dei musei italiani; dall’altro si è dimostrata eccessivamente ottimistica la
previsione iniziale che in questo modo sarebbero cresciuti gli introiti dei musei e si sarebbe rapidamente sviluppato un
mercato dei servizi museali capace anche di creare occupazione; inoltre sono rimaste inalterate le difficoltà di
armonizzare gli obiettivi del museo con quelli del concessionario.

Inoltre, gli economisti per primi hanno osservato che se si separa la gestione dei processi di tutela da quella dei
processi di valorizzazione, si cade in una schizofrenia.

5.2.5 La prospettiva relazionale


Il recupero di efficienza sul piano gestionale dei musei, secondo Stefano Baia Curioni, dovrebbe accompagnarsi
anziché a una crescente esternalizzazione, al recupero della sovranità. i vertici delle istituzioni museali assieme alla
responsabilità di gestire relazioni complesse con attori e pubblici diversi, dovranno recuperare le leve che influiscono
sulla qualità della relazione stessa. Questo implicherà una modificazione possibile della logica dei rapporti di
concessione e delle relazioni tra pubblico e privato.

L’altra implicazione organizzativa è a suo avviso la fissazione di un principio di centralità e indipendenza della
progettazione culturale. I musei sono ed è importante che restino istituzioni culturali.

Il museo dovrebbe attrezzarsi, adeguando il proprio modello organizzativo e acquisendo i saperi e le risorse umane
necessarie, per gestire tutte le attività che riguardano i rapporti con il pubblico e in genere con gli interlocutori sociali.

Ancora non è stata individuata una forma organizzativa che permetta la partecipazione della società civile. Il dialogo
prevalente oggi è tra Stato e mercato con un apporto limitato del terzo settore, quello del cosiddetto privato sociale.

5.3. La gestione
5.3.1 Musei e management
La gestione dei musei secondo logiche “manageriali” è oggi sempre più spesso invocata, nella convinzione che il
museo debba operare come un’ “impresa culturale”. Si propone così l’applicazione dei modelli già in uso per settore
non-profit, guardando soprattutto a esperienze europee come il service management. In questa prospettiva, il cliente
entra nella produzione del servizio ma solo per orientarlo verso la propria soddisfazione. Il museo può trarre molti
spunti dalla logica manageriale nelle sue forme più evolute, per quanto riguarda la gestione delle risorse, la
pianificazione, programmazione e progettazione, il budget di previsione e consuntivo, la valutazione dei risultati.

Le difficoltà non si risolvono sostituendo il direttore del museo con un manager puro, o ponendo sotto il proprio
controllo il secondo. L’economista Luca Zan ha messo in guardia contro la “retorica del management”.

5.3.2. Marketing culturale ed etica museale


Il marketing è stato da tempo applicato nei musei negli Stati Uniti. Si tratta di un sistema che creato in funzione del
mercato, si è rivelato applicabile anche all’ambito delle organizzazioni non-profit.

La conseguenza principale è l’orientamento verso il “cliente”, che nel caso del museo è il visitatore. Per questo il
marketing consiste in primo luogo nel conoscere il proprio pubblico e i suoi bisogni, l’ambiente di interazione e i
possibili concorrenti. I metodi del marketing sono stati applicati con l’obiettivo di conoscere e possibilmente

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aumentare il pubblico; ma in molti casi, in ambiti come quelli del prodotto esistente, del prodotto nuovo, dei servizi,
dell’immagine e dell’identità di marca, del prezzo del biglietto, del fund raising e delle sponsorizzazioni.

Anche nel manuale che l’ICOM ha dedicato alla gestione dei musei, un capitolo riguarda il marketing. Qui, nel
considerare il cosiddetto marketing mix, si è cercato di applicare ai musei le quattro P del marketing: prodotto, prezzo,
promozione e posto.

I prodotti del museo sono molti: l’esposizione permanente, le mostre, i servizi educativi, le pubblicazioni, l’oggettistica.
Va però considerato anche il rischio che l’orientamento del museo verso il visitatore, se basato sulla soddisfazione dei
suoi bisogni, riduca la capacità di sperimentazione e innovazione.

Il problema del prezzo riguarda soprattutto il biglietto d’ingresso, ma riguarda anche la gratuità o meno di attività
culturali, quali le conferenze e le visite guidate, le tariffe delle guide a stampa e dei cataloghi, del caffè e dei ristoranti.

Nella politica dei prezzi di un museo non può non entrare anche una componente di gratuità. Per esempio,
l’incremento dei giorni e delle fasce orarie a ingresso gratuito attuato in Italia dal Ministero per i beni e le attività
culturali del 2010 ha compensato gli effetti della crisi sulle presenze dei visitatori nei musei statali.

La promozione consiste nell’offrire incentivi sul breve periodo per stimolare l’accesso al museo e/o aumentare le
vendite nei suoi spazi commerciali. L iniziative devono essere adeguatamente comunicate e riferirsi a un arco
temporale definito. Le tecniche di promozione sono usate da alcuni musei molto visitati per gestire meglio i flussi dei
visitatori, proponendo tariffe più favorevoli negli orari o nei giorni di minor frequentazione o rendendo gratuiti i
biglietti prenotati.

Il posto o posizione, nel caso del museo, indica soprattutto la raggiungibilità, l’accessibilità e anche il maggiore o
minore collegamento con gli altri musei. Di solito la concentrazione di più strutture in un certa area urbana favorisce
quasi tutte le istituzioni coinvolte e in alcuni casi l’affluenza è stata è stata favorita dall’attivazione di mezzi di
trasporto speciali. In conclusione, il ricorso al marketing può essere molto utile ma va valutato operando le singole
scelte alla luce dell’equilibrio fra i tre scopi del museo: studio, educazione e diletto.

5.3.3. I servizi e i prodotti a pagamento


I servizi a pagamento sono quelli che fungono da complemento alla visita: l’editoria e la vendita, la produzione di
oggettistica, la caffetteria. Questi servizi “aggiuntivi” sono stati istituiti nei musei statali italiani dalla legge 14 gennaio
1993 n.4 con la concessione a un gestore privato selezionato attraverso una gara. L’aspetto che qui interessa è l’etica
del rapporto che si stabilisce con il pubblico quando il servizio è reso anche in una prospettiva commerciale.
Mantenere un equilibrio è difficile perché come ha rivelato Franco Purini, le aree a pagamento che si trovano ormai in
tutti i musei “non si limitano a essere semplici pubblici servizi per i visitatori ma interagiscono con essi immergendoli in
un’ambigua circolarità tra le sue opere e le sue riverberazioni consumistiche,

la qualità deve essere garantita. Anche la parte dei servizi educativi va progettata, monitorata e valutata in continuo
rapporto con il gestore, e il museo deve fornire tutti i supporti necessari alla formazione del personale che la svolge,
per quanto riguarda la conoscenza della sua storia e delle sue collezioni e anche del tipo di metodo da usare. Anzi è
questo il servizio che dovrebbe essere più seguito. Al museo spetta anche il compito di salvaguardare i diritti
dell’utenza alla parte gratuita dei servizi di visita guidata e di rendere accessibili anche ai visitatori con minore
disponibilità economica almeno i prodotti di base. È auspicabile che la libreria o il ristorante di un museo acquisiscano
una clientela esterna, ma occorre evitare che ciò avvenga a totale discapito dei visitatori.

5.3.4. Il fund raising


Il fund raising può essere inteso in senso ampio, come il reperimento di tutte le risorse che possono servire allo
svolgimento dell’attività di un certo ente, e in senso ristretto, come il reperimento delle sole risorse finanziarie. Nel
fund raising si determina un “circolo virtuoso” che permette a tutti e tre i soggetti coinvolti di diventare beneficiari
(prestatori, collettività, istituzione).

Normalmente l’elargizione di queste risorse è assistita da forme di incentivazione fiscale, che anche in Italia sono
previste per legge. Una politica efficace di fund raising implica che le attività siano programmate e monitorate.

Uno dei casi che ha avuto più risalto mediatico di recente è stata la colletta promossa dal Louvre per ottenere dalla
società civile quanto mancava alle risorse pubbliche disponibili per acquistare un dipinto di Cranach. Il termine

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sponsor è un anglolatinismo che in ambito angloamericano non distingue la finalità commerciale da quella liberale. In
italiano nel secondo caso si parla di mecenatismo e solo nel primo di sponsorizzazione. Le sponsorizzazioni possono
essere di tipo finanziario o tecnico e prevedono sempre una controprestazione. La sponsorizzazione è essenzialmente
un’attività di comunicazione che, nell’ambito culturale, è di solito motivata dalla ricerca di un miglioramento
d’immagine. Tra il museo e lo sponsor si stabilisce un rapporto contrattuale nel quale il museo deve specificare i
benefici che potrà concedere a fronte del contributo erogato o dal servizio fornito.

Per poter negoziare efficacemente deve essere proposto un progetto chiaro e completo. Il rapporto con lo sponsor
deve essere mantenuto sia durante lo svolgimento delle attività sia dopo la conclusione, fornendogli in tempo i dati e
la rassegna stampa sui quali misurare la corrispondenza fra i risultati attesi e quelli raggiunti. È infine importante
ricevere un feed-back da cui risultino i motivi di soddisfazione e insoddisfazione. Dunque prima di stabilire il contatto o
di accettarlo occorre essere informati sullo scopo e sulla costituzione dell’azienda. Lo sponsor può però anche cercare
di orientare il contenuto dell’attività che finanzia in un senso non gradito al museo. Inoltre non tutte le aziende
svolgono attività che il museo può ritenere compatibili con i propri fini o si trovano in situazioni eticamente accettabili.
Non è raro che siano proprio quelle che devono riabilitare la propria immagine a formulare le offerte più vantaggiose.
Un’altra modalità di autofinanziamento è la ricerca di contributi pubblici attraverso le procedure di gara che
comportano la presentazione di progetti, i quali vengono giudicati in base alla loro qualità, fattibilità e sostenibilità
finanziaria. Alcuni di questi bandi sono anche lanciati da fondazioni private, e con questa modalità sono erogati quasi
tutti i finanziamenti dell’Unione Europea nel settore culturale. I programmi di membership sono invece diretti a
soggetti che possono sostenere l’attività del museo. La forma più diffusa è quella dell’Associazione degli amici del
museo.

5.3.5. La gestione dei diritti d’autore e dei diritti di riproduzione


Negli ultimi anni del XX secolo la new economy ha spostato l’interesse dei beni materiali a quelli immateriali, fra i quali
hanno subito assunto rilevanza i diritti d’autore. Per i musei, soprattutto quelli d’arte, la gestione di questi diritti, può
essere fonte di introiti o di spese. Il diritto d’autore protegge le opere. All’autore spettano oltre ai diritti morali, alcuni
diritti esclusivi di natura economica che riguardano in particolare la riproduzione e la pubblicazione, la diffusione e
comunicazione al pubblico, la conversione delle immagini che riproducono le opere in differenti formati e la loro
diffusione su internet, il prestito o il noleggio delle opere. La tutela è stata connessa anche ai cosiddetti diritti connessi
che sono protetti per una durata di tempo inferiore e in forma meno intensa, ma assicurano comunque ai loro titolari
determinate difficoltà di sfruttamento economico per periodi che variano a seconda dei casi.

Nell’ambito dell’Unione Europea, la durata dei diritti primari è di 70 anni dalla morte dell’autore o dalla data in cui
l’opera è messa a disposizione del pubblico in forma lecita, e quella dei diritti connessi di 50. Alcune utilizzazioni da
parte di terzi sono libere (studio, ricerca…).

Il museo deve pagare i diritti agli autori dei testi e quelli dei fotografi. I musei che acquistano opere di artisti viventi
sono proprietari del supporto ma non dell’opera, e dunque non sono titolari dei diritti ad essi collegati. Pertanto
l’artista continua ad esercitare, per esempio, i diritto di riproduzione sulle fotografie delle sue opere, e il fotografo che
le ha scattate continua ad esercitare il diritto connesso. In Italia la legge Ronchey ha attribuito ai musei la possibilità di
sfruttare economicamente i diritti di riproduzione degli oggetti che hanno in consegna in base a tariffari che possono
stabilire autonomamente secondo determinati criteri.

A prescindere dall’eventuale gratuità, la pubblicazione deve comunque essere autorizzata. Questa facoltà si estende
anche agli oggetti ispirati alle opere del museo. Le potenzialità del mercato dei diritti non sono al momento
pienamente sfruttate, e il web ha moltiplicato le occasioni di contravvenire alle norme sulla riproduzione delle
immagini rendendo per molti musei economicamente insostenibile un controllo efficace.

6. Le professioni nel museo


6.1. La carta nazionale delle professioni museali
Le professioni che operano nel museo concorrono tutte a mediare fra la collezione e il pubblico, stabilendo un dialogo
che, da soli gli oggetti, non possono avviare, fornendo ai visitatori gli elementi per interpretarli. Al tempo stesso, la
distribuzione dei compiti deve garantire lo svolgimento delle attività che riguardano più direttamente la collezione e i
servizi da prestare al pubblico, nonché naturalmente, i compiti di carattere amministrativo che attengono al
funzionamento della struttura. La progressiva specializzazione ha determinato il delinearsi di alcune figure

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professionali. La professione dei musei non ha ancora un nome generalmente accettato: il termine museologo indica
anche chi si occupa della scienza del museo a livello teorico e di insegnamento.

Il comitato dell’ICOM per la formazione del personale ha elaborato le Guidelines for Museum Professional
Development, documento riveduto nel 2008.

In Italia una prima formulazione dei bisogni e delle specializzazioni è stata proposta nell’ambito della comunità
museale, che si è dotata della Carta nazionale delle professioni museali, approvata il 25 ottobre 2005 a Milano dalla
Conferenza nazionale dei musei. È un insieme di profili professionali articolati secondo tre livelli:

 Responsabilità, ambiti e compiti;


 Requisiti per l’accesso all’incarico;
 Modalità d’incarico.

I profili sono a loro volta raggruppati in quattro aree:

 Ricerca, cura e gestione delle collezioni;


 Servizi e rapporti con il pubblico;
 Amministrazione, finanze, gestione e relazioni pubbliche;
 Strutture, allestimenti e sicurezza.

6.1.2. Museologi o professionisti dei musei?


Si è allungo discusso se sia opportuno prevedere nel museo figure professionali qualificabili come museologi. Oggi con
questo termine si identificano piuttosto gli studiosi di museologia, a prescindere dal fatto che operino o meno
all’interno dell’istituzione, e si preferisce parlare di professionisti del museo per tutti coloro che vi lavorano.

Anche per chi svolge funzioni di ricerca e curatela nella Carta nazionale delle professioni si richiede un curriculum
formativo di tipo specialistico. Le ragioni che impongono la conoscenza di un settore specifico sono ancora quelle
esposte da Giovanni Pinna: “Questa conoscenza va intesa come l’inserimento del personale dei musei nei circuiti attivi
della ricerca, nel partecipare cioè dall’interno ai movimenti culturali”; “Per un’intelligenza museologica sono
indispensabili alcune capacità d’attenzione culturale e di sintesi: la capacità d’assorbimento culturale, la capacità di
inserire il particolare nel generale, la capacità di rielaborazione culturale e la capacità di trasmissione culturale”.

Questo insieme di attitudini dovrebbe essere valutato e stimolato nel momento del percorso formativo che dovrebbe
segnare il passaggio dagli studi accademici a quella dell’attività lavorativa.

6.2. La direzione
Il direttore è il custode dell’identità e della missione del museo, è responsabile della gestione del museo nel suo
complesso, nonché dell’attuazione e dello sviluppo del suo progetto culturale e scientifico. È responsabile ultimo
dell’insieme dei processi gestionali. È garante dell’attività del museo. Il direttore quindi ha tre livelli di competenza:
scientifico, culturale e manageriale. Nei musei statali italiani questa figura non è formalizzata. Nei musei locali invece
l’autonomia è maggiore. Quali requisiti d’accesso, la Carta nazionale prevede la competenza specialistica in
museologia e nelle discipline attinenti alle specificità del museo, la laurea in una di quelle discipline, l’esperienza
pluriennale in ambito museali pubblico o privato o in istituti affini, la conoscenza almeno della lingua inglese.

6.3. L’ambito della ricerca, cura e gestione delle collezioni


Il conservatore responsabile della conservazione, della sicurezza, della gestione e della valorizzazione delle collezioni a
lui affidate. È responsabile dell’identità e della missione del museo.

(curatore/conservatore; conservatore territoriale)

Il catalogatore svolge attività d’inventariazione e catalogazione del patrimonio museale, sotto il coordinamento del
conservatore.

Il registrar assicura la relativa documentazione e le procedure che le regolano. Nella sua sfera di competenze ricadono
le procedure di acquisizione delle opere, l’assistenza all’attività di ordinamento e allestimento, la gestione dei prestiti
in uscita e in entrata ecc.

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Il restauratore è un professionista in grado di limitare i processi di degradazione dei materiali costitutivi dei beni
culturali, e assicurare la loro conservazione.

6.4. Ambito dei servizi e rapporti con il pubblico


Il responsabile dei servizi educativi elabora i progetti educativi e ne coordina la realizzazione, individuando le
modalità comunicative e di mediazione, utilizzando strumenti adeguati e funzionali per i diversi destinatari dell’azione
educativa. Cura i rapport con scuola, università e istituti di ricerca.

L’educatore museale realizza gli interventi educativi adeguandoli alle caratteristiche e alle esigenze dei diversi
destinatari. È la figura che conduce attività, percorsi e laboratori in relazione alle collezioni permanenti e alle
esposizioni temporanee, collabora all’elaborazione di tesi e materiali specifici, e segnala esigenze e problematiche
proponendo anche nuove iniziative.

Il coordinatore dei servizi di custodia e accoglienza del museo garantisce la vigilanza del patrimonio museale
all’interno dei locali espositivi e nelle aree di pertinenza del museo.

L’operatore dei servizi di custodia e accoglienza al pubblico è preposto alla vigilanza museale all’interno dei locali
espositivi e nelle aree di pertinenza del museo; accoglie il pubblico e fornisce la prima informazione.

Il responsabile dei servizi di documentazione è un archivista/documentalista preposta all’ordinamento, alla


conservazione, gestione e valorizzazione del patrimonio storico-documentale di proprietà o in deposito presso il
museo. È questa anche la figura che ricerca, acquisisce e organizza il materiale documentario sulla storia del museo e
sule collezioni, nonché sull’attività passata e presente dei servizi del museo.

Il responsabile della biblioteca del museo cura lo svolgimento di tutte le funzioni di base della biblioteca, con
particolare riguardo agli interventi di acquisizione, catalogazione, gestione e valorizzazione delle raccolte librarie,
considerando la specificità dell’istituzione in cui opera.

6.5. Ambito dell’amministrazione, gestione e relazioni pubbliche


Il responsabile amministrativo e finanziario è responsabile della gestione amministrativa del museo, della gestione
delle risorse finanziarie e umane, delle procedure legali e del funzionamento ordinario. Garantisce il controllo di
gestione in ambito amministrativo e finanziario del museo, nonché la gestione del personale.

Il responsabile di segreteria cura l’attività di segreteria del direttore e dei responsabili.

Il responsabile dell’ufficio stampa e delle relazioni pubbliche garantisce le relazioni pubbliche del museo e la corretta
e adeguata diffusione della missione, del patrimonio e delle attività del museo tramite opportune modalità di
comunicazione e appositi materiali informativi.

Il responsabile per lo sviluppo, fund raising, promozione e marketing gestisce, con diretto riferimento al direttore. Le
attività di marketing, promozione e fund raising del museo, le strategie di sviluppo dei sistemi di finanziamento in
rapporto con le strutture produttive del territorio, nonché lo sviluppo e la promozione del volontariato.

Il responsabile del sito web progetta e gestisce il sito web del museo e ne garantisce l’aggiornamento, mantiene
rapporti con i fornitori dei servizi web.

6.6. Ambito delle strutture, allestimenti e sicurezza


Anche professioni non caratteristiche, come il responsabile delle strutture e dell’impiantistica e il responsabile addetto
alla sicurezza sono indispensabili se la struttura è di dimensioni medio-grandi. Lo stesso vale per il responsabile del
sistema informatico.

Il progettista degli allestimenti degli spazi museali e delle mostre temporanee è un architetto che cura gli allestimenti
permanenti e temporali del museo, predisponendo gli spazi e assicurando le modalità ottimali di presentazione e
conservazione delle opere.

6.7. I rapporti interni ed esterni


da ciò si evince che l’attività prevede continue forme di collaborazione. Le tensioni fra le professioni sono dinamiche
comuni a tutte le tipologie di museo. Poiché l’esposizione permanente e le mostre sono i settori più visibili, e dunque
più ambiti, si è sviluppata soprattutto nei musei d’arte una reazione contro il predominio del conservatore/curatore.

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Il personale del museo lavora principalmente dietro le quinte, anche se, nelle istituzioni più importanti e soprattutto in
quelle d’arte, il direttore ha frequentemente un risalto mediatico. In realtà è sempre più evidente che quasi tutte le
decisioni rilevanti relative alla collezione o ai rapporti con il pubblico richiedono il concorso, o almeno la consultazione,
di più professionisti.

7. Acquisizione e conservazione
7.1. le politiche di acquisizione
7.1.1. Le norme
Le collezioni dei musei sono destinate a crescere. Normalmente l’incremento è fisiologico. Il Codice etico dell’ICOM
richiede che il museo adotti e renda pubblica la propria politica di acquisizione e che vi si attenga, giustificando le
eventuali eccezioni. Questa forma di autoregolamentazione e trasparenza non esaurisce però le implicazioni etiche del
processo di acquisizione. La prima è il rispetto delle norme che tutelano le testimonianze dell’uomo e dell’ambiente
in base alle legislazioni nazionali e internazionali vigenti nel paese il cui il museo ha sede

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