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CONTEMPORANEO
Museologia
Università degli Studi di Catania
20 pag.
La precedenza cronologica spetta al vocabolo “museografia”, utilizzato come titolo del trattato di Caspar Friedrich
Neickel pubblicato nel 1727. Il libro di Neickel contribuisce, inoltre all’affermarsi in Europa del termine museum.
Anche il termine museologia compare per la prima volta in Germania.
Nel 1922 è istituita Brno la prima cattedra di museologia e nel 1924 esce il primo manuale.
Nel 1946, dalle ceneri dell’OIM, nasce il Consiglio internazionale dei musei (ICOM) . Figura dominante sarà quella del
direttore fino al 1966 di George Henri Rivière.
Durante la conferenza generale dell’ICOM si accende anche l’interesse per la storia dei musei.
Distinzione fra :
Museologia: “scienza del museo. Essa studia la storia, il ruolo della società, i sistemi specifici di ricerca, di
conservazione, di educazione e di organizzazione, i rapporti con l’ambiente fisico, la tipologia”;
Museografia: “un insieme di tecniche e di pratiche, dedotte dalla museologia o consacrate dall’esperienza, che
concernono il funzionamento del museo”.
Comunque, il tentativo di inserire queste definizioni negli statuti dell’ICOM non va in porto.
In Italia il ruolo di pioniere spetta a Carlo Ludovico Ragghianti grazie al quale nel 1967 il Corso di Museologia è
introdotto nella Scuola speciale per storici dell’arte medievale e moderna e per conservatori di opere d’arte
dell’Università di Pisa. Ragghianti riesce a costituire nel 1972 un Centro di Museologia.
Il Centro pubblica dal 1972 al 1985 la rivista “Museologia”, avvia la collana “Musei. Meraviglie d’Italia” e organizza due
convegni di Museologia.
Musealia e Musealità (Zbynek) sono termini impiegati per definire gli oggetti del museo e il valore di autentiche
testimonianze della realtà, mentre la musealizzazione è il cambiamento di statuto che essi subiscono nella misura in
cui sono isolati dal resto delle cose
2 tesi:
1. La museologia è una scienza che esamina il rapporto dell’uomo dell’uomo con la realtà e consiste nella
raccolta e conservazione coscienti e sistematiche e nell’uso scientifico, culturale ed educativo di oggetti
inanimati, materiali, mobili che documentano lo sviluppo della natura e della società.
2. La museologia è considerata come scienza generale del museo, è una disciplina scientifica indipendente che
ha i propri obiettivi, oggetto di studi e teoria, campo d’attività e metodo, come pure un proprio sistema. La
molteplicità delle funzioni e degli ambiti delle collezioni fanno della museologia una disciplina del forte
carattere interdisciplinare, che necessita della collaborazione di altre branche scientifiche, facendo
convergere il loro interesse sull’oggetto di studio comune: il museo e le sue attività.
In Europa prevale invece la tesi secondo la quale la museologia è una combinazione di conoscenza,
comprensione, attitudine e mestiere, cui si aggiungono una buona dose di visione, ispirazione, devozione e
pazienza.
Si teorizza l’abbandono del “museo degli oggetti” in favore del “museo delle idee”.
ECO-MUSEO: ingloba intere porzioni di territorio
Tavola rotonda di Rio de Janeiro 1972: il museo deve fornire alla popolazione una visione d’insieme del suo ambiente
culturale e sociale e proporsi come strumento di sviluppo e di azione
.Mistico: il museo/galleria conferisce istantaneamente lo status di “arte” a qualsiasi cosa esponga in buona fede.
Spetta al presidente ICOM Peter Van Mensch (presidente dal’89 al ’92) la prima sintesi storica degli studi museologici,
che evidenzia tre linee di tendenza fondamentali: una orientata sugli oggetti, una sul pubblico e una sul museo come
istituzione.
Nel 1993, sotto la presidenza di Martin Scharer, l’ICOFOM incarica un gruppo di lavoro presieduto da André Desvallées
di occuparsi del persistente caos terminologico. Si tenta dapprima di redigere un thesaurus attraverso l’analisi
comparata dei diversi usi linguistici ma, constatata l’impossibilità di imporre per tutti i termini una definizione univoca,
si sceglie infine la formula, non normativa, del dizionario enciclopedico. Il lavoro sta per concludersi e nel 2009 ne
sono stati presentati i primi esiti.
La presentazione sensibile;
La “messa ai margini” della realtà.
Il primo aspetto aiuta a distinguere il museale dal testuale (la capacità di leggere e la conoscenza di una lingua non
sono strettamente necessarie nel museo, del quale anche un analfabeta può fare esperienza).
Il secondo aspetto sottolinea il fatto che il museo esiste separandosi, ossia ponendosi ai margini della realtànella
sua interezza.
Nel ambito del museale si distinguono perciò due funzioni: la funzione documentaria sensibile e la funzione
utopica.
Nei concetti chiave dell’ICOM la museografia è definita come “l’insieme delle tecniche sviluppate per adempiere alle
funzioni museali e in particolare quelle che concernono l’allestimento del museo, la conservazione, il restauro, la
sicurezza e l’esposizione” distinguendola dall’architettura museale.
2. Il processo di musealizzazione
2.1. La natura conflittuale del museo
2.1.1. Le relazioni
Il museo pone in relazione tre elementi: un insieme organizzato di oggetti, coloro che li organizzano, e coloro per i
quali sono organizzati.
Nel museo la relazione con li oggetti presuppone che essi siano considerati rappresentativi di una certa cultura e dei
suoi valori passati o presenti; la loro funzione si svolge attraverso la percezione sensibile e diretta.
Bernard Deloche ha definito il museo come “una funzione specifica che può prendere o no la forma di un’istituzione, il
cui obiettivo è assicurare, attraverso l’esperienza sensibile, l’archiviazione, e la trasmissione della cultura intesa come
l’insieme delle acquisizioni che fanno di un essere geneticamente umano un uomo”.
Hannah Arendt afferma che per abitare il mondo l’uomo ha bisogno di cose che durino più dell’attività che le ha
prodotte e anche della vita del loro autore. Durata e importanza sono direttamente proporzionali. Affinché l’oggetto
duri nel tempo, esso deve essere escluso dai processi dell’uso e consumo (separazione).
Per durare, la cosa deve essere sottratta innanzi tutto dal novero delle merci.
La separazione museale, però non lascia le cose immutate; le priva infatti della loro funzione pratica, modificando così
il loro modo di stare al mondo.
La segregazione nel museo implica la scissione dei rapporti che gli oggetti intrattenevano con gli ambiti originali.
Affinché essi possano “tornare a parlare” questi rapporti devono essere ristabiliti anche se in altre forme. Anche la
proprietà delle cose subisce un cambiamento: se il museo è pubblico, passa a un certo ente territoriale, se non lo è
subisce comunque un’attenuazione, non potendo il proprietario disporne a proprio piacimento finché perdura la
musealizzazione.
2.1.2. I conflitti
il museo sottrae al mondo per restituire al mondo. Tutte le sue attività devono conciliare esigenze opposte. Fruizione
vs conservazione. Ne deriva una concezione conflittuale. Se la natura conflittuale del museo non è letta in chiave
positiva è quasi impossibile analizzare questo fenomeno culturale senza condannarlo o fraintenderlo. I futuristi lo
hanno paragonato a un cimitero, a un dormitorio e a un macello, Rainer Maria Rilke a un orfanotrofio, Paul Valéry a un
tumulo di creature congelate, ma anche chi lo ha guardato con ammirazione o interesse ha di solito cercato il senso
della sua funzione altrove. Il conflitto non si risolve una volta per tutte.
Il museo presuppone una delega al giudizio su che cosa si deve o non si deve conservare.
Che cosa accomuna gli oggetti “musealizzabili”? Nella definizione di museo dell’ICOM si insiste sulla loro condizione di
testimonianze dell’umanità e del suo ambiente.
La nozione di bene culturale come testimonianza (Franceschini) fa riferimento all’accezione giuridica che considera la
testimonianza come elemento di prova, sia l’accezione esistenziale. In entrambi i casi ciò che si richiede alla
testimonianza è l’autenticità.
Se si prescinde da questa duplicità la nozione di autenticità diventa inservibile se non addirittura pericolosa. Il duplice
senso dell’autenticità degli oggetti è uno degli ambiti nei quali emerge la natura conflittuale del museo.
La musealizzazione tende a far sì che la funzione di testimonianza assorba tutte quelle che la cosa aveva esercitato
prima; diventa culturale anche la funzione degli elementi naturali. Il processo di musealizzazione inizia con le
procedure d’acquisizione e si formalizza con l’iscrizione nel registro d’ingresso e l’apposizione del numero
d’inventario.
La musealizzazione cambia anche il rapporto delle cose con lo spazio, non solo perché il loro luogo attuale differisce da
quello originario ma anche perché il museo è un luogo altro.
Per attenuare la scomodità e rendere questo “luogo altro” confortevole, si contraddice continuamente la sua alterità.
Rapporto cosa/persona: l’oggetto da museo è trattato sempre con rispetto, dal personale e dal pubblico. Lo spettatore
frappone fra l’oggetto a sé stesso una distanza psicologica, tende a ritrarsene, perché intorno all’oggetto si è creato
uno “spazio spirituale”. Il museo deve anche evitare che l’enfasi sull’allontanamento fisico scoraggi l’avvicinamento al
valore.
Il Ciber-museo, è la banca dati non solo dei musealia ma anche di tutte le altre testimonianze culturali, si tende oggi a
confonderlo con il museo vrtuale. Ciò che però non ha varcato la soglia del museo, conserva ancora i caratteri di una
cosa.
l’esposizione permanente è dove stanno gli oggetti che sono considerati i più meritevoli di interesse nel presente.
Qualcosa che adesso appare di grande importanza potrebbe non sembrarlo più domani e viceversa.
per così dire, si tridimenzionalizza. L’atmosfera nel museo si genera se gli oggetti tornano a essere percepiti anche
come presenze fisiche, come cose.
2.4.2. L’esplicazione
Nell’esplicazione l’accento si sposta dagli oggetti alle idee, dalla scena al racconto (linguaggio verbale)
Quando la comunicazione continua ad avvalersi prevalentemente delle immagini, si aumenta il grado di artificialità
La relazione che si crea fra coloro che nel museo predispongono gli apparati esplicativi e i visitatori ai quali sono
destinati si può definire, in termini di comunicazione, come una trasmissione di messaggi di tipo lineare e
unidirezionale, perché il destinatario non può interagire col mittente in sua assenza. Il visitatore in tutto questo ha un
ruolo attivo.
2.3.4 L’implicazione
L’oggetto da museo ci è stato trasmesso non solo fisicamente ma è stato pensato, detto, scritto nel corso del tempo e
continua a rinnovarsi nel processo dell’interpretazione. L’apparato esplicativo è l’insieme degli strumenti che il museo
può usare per indurre la partecipazione del fruitore.
L’esposizione, infine, è essa stessa un’opera da interpretare. L’interpretazione e l’esperienza del visitatore riguardano
anche l’insieme costituto dall’ostensione e dall’esplicazione.
“Il museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al
pubblico, che acquisisce, conserva, ricerca, comunica ed espone il patrimonio materiale e immateriale dell’umanità
e del suo ambiente per fini di educazione, di studio e di diletto”.
È inoltre utile il confronto con la formulazione del 1974: “il museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al
servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che compie ricerche sulle testimonianze materiali
dell’uomo e del suo ambiente: le acquisisce, le conserva, le comunica, e soprattutto le espone, ai fini di studio,
educazione e diletto”.
Per indicare l’oggetto delle attività del museo l’accento si è spostato dalla pluralità delle “testimonianze” alla
collettività del “patrimonio”.
Si include anche quello “immateriale”
A tutti i compiti è attribuito il medesimo valore.
Nelle versioni inglese e francese del 1974, un punto divideva la definizione in due sezioni. Il requisito dell’apertura
al pubblico si trovava così, nella seconda parte, che comprendeva i compiti e i fini del museo.
La permanenza delle collezioni è espressamente affermata nel titolo del punto 2.18 del Codice etico dell’ICOM: “Il
museo è tenuto a stabilire ed applicare politiche tali da garantire che le collezioni e le informazioni associate,
correttamente registrate, siano disponibili per l’uso corrente e siano trasmesse alle generazioni future nelle migliori
condizioni possibili, tenuto conto delle conoscenze e delle risorse disponibili”. La stabilità nel tempo dell’istituzione
garantisce dunque quella della raccolta museale, ma permette anche che “le sue attività e l’intenzione che le presiede
siano al di fuori delle contingenze temporali”.
Tuttavia la permanenza non è automaticamente garantita. Il singolo istituto “deve lottare per la sua permanenza e non
smettere di svolgere quelle funzioni”. Ne consegue che, per garantire la propria sopravvivenza, il museo può e deve
cambiare, adattandosi alle circostanze storiche, come in effetti è finora avvenuto. Per questo è stato definito
un’istituzione plastica e malleabile.
L’assenza dello scopo di lucro mira a sottrarre la collezione del museo all’uso commerciale e preservare l’istituzione
dalla pressione degli interessi economici. La distinzione che si tende oggi a proporre fra non-profit e non-for-profit
indica che esistono delle sfumature. Secondo alcuni autori, il solo fatto che la maggior parte dei musei introiti i ricavi
dei biglietti d’ingresso, escluderebbe di per sé il carattere non lucrativo. Se invece si guarda allo scopo, allora il non
perseguimento del profitto può intendersi come la modalità specifica attraverso la quale si svolge il ruolo economico
del museo, che deve essere visto come direttamente connesso al suo ruolo sociale.
Un grande museo, esercita anche un impatto economico diretto non irrilevante. Gli introiti delle biglietterie rifluiscono
all’esterno o ritornano agli enti pubblici ai quali i musei dipendono. Le strutture museali, però sono costose da
mantenere a livello di edifici, impianti e personale stabile, mentre l’occupazione giovanile a tempo determinato che
sono in grado di generare stenta a consolidarsi, e in alcuni paesi, come l’Italia, socia speso nel precariato.
Il mercato del museo è quello del tempo libero. Sarebbe non solo erroneo ma anche illusorio ritenere che il museo
possa generare introiti tali da garantirgli l’autosufficienza: la sua è un’intrinseca e insanabile situazione di non
profittabilità.
I crescenti vincoli di risorse economiche imposte da politiche di bilancio pubblico più rigorose e dalla
competizione con altri settori non-profit.
L’evoluzione deli stili di consumo e l concorrenza esercitata nei confronti delle istituzioni culturali.
L’evoluzione degli stili di consumo e la concorrenza esercitata nei confronti delle istituzioni di mediazione
culturale dalla disponibilità di conoscenza e socializzazione a “costo zero” consentita dalla rete informatica.
Di qui la necessità che i musei siano in grado di mettere a fuoco il loro valore, di orientarsi maggiormente verso il
pubblico e che siano predisposti al cambiamento. D’altro canto, è stato messo in luce il rischio di scarsa relazione
con il contesto sociale che corre il museo-rentier, cosiddetto perché vive di finanziamenti pubblici.
Il rischio principale del modello di finanziamento pubblico a copertura di deficit risiede nel pericolo di allontanare
il museo dalla sua domanda potenziale, in quanto il museo non ha bisogno di trovare le fonti di sostentamento
attuando una strategia di relazioni e scambio “servizi offerti/finanziamento” con le diverse componenti della
società. Si giunge quindi al paradosso che il finanziamento pubblico del museo rischia di produrre un
allontanamento e un distacco da questi.
Poiché la collezione è un bene anche patrimoniale di tutta la collettività, la sua gestione non può non avere una
valenza economica; mentre la fruizione, essendo direttamente connessa ai fini dello studio, dell’educazione e del
diletto, non può non avere una valenza culturale. È difficile trovare forme di equilibrio.
coesistono
Il servizio della società va inteso in senso ampio, perché i beni dei quali il museo ha la cura sono aperti a una fruizione
universale: il museo infatti è meno condizionato dalle barriere linguistiche di altre istituzioni ed è aperto a tutti. Il
rapporto con il contesto immediato riguarda non solo i singoli cittadini, ma anche i diversi interlocutori che oggi si
definiscono stakeholders. Storicamente la percezione dell’incidenza sociale del museo, è stata più profonda nei paesi
anglosassoni. Il pragmatismo americano realizza istituzioni museali basate sulla centralità del pubblico: questa è la
grande differenza tra il museo italiano e quello americano. Il sistema museale europeo produce un effetto endogeno
di esclusione di alcune fasce sociali, quello statunitense rischia di trasformare il museo in un luogo di mero
intrattenimento.
“Garantire più libertà ai cittadini, ma al contempo responsabilizzarli di più per l conseguenze dei loro comportamenti
privati; garantire più autonomia alle sfere sociali intermedie, ma al contempo orientarle al bene comune; garantire più
sicurezza sociale ma evitare la burocratizzazione della società; garantire più uguaglianza sociale, ma anche più rispetto
delle differenze; rispondere alle esigenze dei singoli individui, ma anche favorire la solidarietà tra le persone; aprirsi
alla globalizzazione, ma anche rispondere alle esigenze locali.”
Questi dilemmi possono essere risolti nei termini seguenti: estendere l’accessibilità, ma al tempo stesso
responsabilizzare maggiormente i cittadini nei confronti della salvaguardia del patrimonio culturale; aprire la gestione
alla partecipazione della comunità sociale di riferimento senza sacrificare la propria autorevolezza scientifica;
rispettare le esigenze di conservazione del patrimonio senza precludere la sua fruizione; non discriminare fra le fasce
d’utenza, ma al tempo stesso tener conto delle diverse esigenze dei “pubblici”; rendere compatibile l’accesso di massa
con la qualità dell’esperienza individuale; aprirsi al confronto e al dialogo fra le culture senza perdere la propria
identità.
Un altro nodo cruciale con l quale il museo deve necessariamente misurarsi oggi è quello della vivibilità della terra; il
museo può giocare un ruolo attivo nelle politiche di recupero del degrado urbano, rivitalizzazione del territorio ecc.
È però essenziale ricordare che il museo espleta la propria funzione sociale principalmente garantendo l’esercizio del
diritto alla cultura.
Il pagamento del biglietto è stato la prima garanzia che l’ingresso fosse concesso a chiunque e anche il primo
riconoscimento che si trattava di un servizio reso al cittadino. Oggi la gratuità e il pagamento rappresentano un
elemento qualificante della relazione con il visitatore.
Oggi al visitatore si riconosce un ruolo centrale. Il pubblico è un insieme che oltrepassa quello dei visitatori reali,
potenziali e remoti e che, possiede virtualmente un’estensione illimitata. Il museo parla principalmente con il
linguaggio virtualmente universale delle immagini.
La sua apertura a un’utenza indifferenziata è inestricabilmente connessa al suo essere una delle forme nelle quali
si esercita, pur con tutti i limiti, la democrazia; ma richiede che i pubblici siano distinti e la comunicazione
articolata di conseguenza. Inoltre, il pubblico va inteso anche in senso diacronico: è quello presente, ed è quello
futuro, per il quale gli stessi oggetti sono conservati. Ne consegue anche la difficoltà di rendere il rapporto dei
visitatori con gli oggetti abbastanza rispettoso da scongiurare i possibili danni e abbastanza diretto da favorire
l’apprendimento e il piacere.
La prima forma di garanzia dell’accesso temporale consiste comunque nel comunicare l’orario di visita comprese le
sue variazioni, sia mediante il sito internet, sia attraverso gli organi di stampa sia, quando è possibile, in spazi
appropriati all’interno dell’edificio.
Il prezzo del biglietto dovrebbe essere proporzionato all’offerta del museo ma anche graduato in modo che per alcuni
non sia un elemento discriminatorio. Finché i finanziamenti pubblici esistono, la gratuità, per quanto modulata, deve
essere prevista. L’accessibilità dei contenuti comprende non solo la disponibilità delle informazioni sugli oggetti e degli
apparati esplicativi, ma anche la comprensibilità del linguaggio e la leggibilità dei supporti grafici. La forma espositiva
troppo specialistica è una barriera culturale, l’uso della sola lingua del paese dove il museo ha sede una barriera
linguistica, il ricorso a caratteri troppo piccoli negli apparati informativi una barriera sensoriale. Affinché un contenuto
Nelle politiche di accesso rientrano anche quelle che stimolano il senso si appartenenza da parte delle comunità di
riferimento. A volte le iniziative possono essere molto semplici ma immediatamente efficaci, come quella della
National Gallery of Ontario a Toronto che, con annunci sui giornali e via internet ha chiesto a tutti i cittadini di inviare
una loro fototessera da esporre in una mostra, ottenendo un’adesione impressionante.
Ancora oggi i diritti culturali tendono a essere considerati di secondaria importanza rispetto a quelli civici, politici e
sociali.
La classificazione fatta da Stànsky suddivide le attività in tre categorie fondamentali: selezione, tesaurizzazione e
presentazione.
Più nota è la suddivisione adottata fin dal 1982 dalla Reinwardt Accademie di Amsterdam, che è riassunta dalla sigla
PRC: Preservare, Ricercare, Comunicare.
Comprende tutte le
Include anche attività che sono
l’acquisizione e la Comprende scavi dirette dal pubblico
registrazione ed è archeologici,
applicabile anche ai catalogazione, fino agli
musei tradizionali. studi museologici e
quelli che riguardano la
conservazione
Le 5 classi di attività che considerate qualificanti sono tutte orientate verso gli oggetti, ma le tre finalità che
concludono la definizione dell’ICOM le orientano verso il pubblico: lo studio, l’educazione, il diletto. Questi tre fini
sono le giustificazioni sociali del museo di oggi.
L’articolo 3.3. aggiunge che “i professionisti museali sono tenuti a condividere le loro conoscenze ed esperienze con i
colleghi, studiosi e studenti nei settori di loro competenza” .
Gli oggetti dovrebbero, dunque, essere sempre accessibili per il fine di studio. La disponibilità a condividere
l’informazione non significa negare agli studiosi interni il diritto morale di pubblicare per primi ciò che hanno scoperto
o elaborato, ma frena la tendenza, purtroppo non rara, a rendere a lungo indisponibili fonti e dati sui quali non si sta
ancora lavorando con la scusa che prima o poi s’intende farlo.
Il contesto museale può favorire quella che Edgar Morin ha definito la “conoscenza pertinente”.
Il contesto museale stimola la “mentalità di studio” come richiamo al voler conoscere e comprendere, che è un
prerequisito per la formazione globale della persona.
Al fruitore si offre e si richiede: la visita è sempre un impegno, che comporta un lavoro intellettuale, anche se il museo
deve assicurare le condizioni idonee a svolgerlo nel modo più stimolante e meno faticoso. D’altra parte, la
partecipazione del visitatore va stimolata. Nel museo si educa anche alla coscienza civile, alla cittadinanza. Oltre al
rispetto per il patrimonio culturale, si dovrebbe apprendere qui la comprensione dell’alterità e della diversità. Nei
musei che ospitano testimonianze provenienti da altre civiltà o culture, il problema della diversità culturale si pone in
termini espliciti.
O quest’istituzione riesce a mediare fra le tensioni culturali che stanno lacerando lo scenario internazionale, o finirà
per accentuarle.
Il fine del diletto, non solo è compatibile con quelli dello studio e dell’educazione, ma non può essere eliminato senza
che gli altri due ne risentano.
5. L’organizzazione e la gestione
5.1. Gli standard di qualità del museo
5.1.1 l’esperienza internazionale
La consapevolezza che il museo debba rendere conto della propria attività alla società ha spinto la stessa comunità
museale a individuare le modalità per poter valutare come questa istituzione svolge i propri compiti. Ad avviare il
processo sono state infatti le associazioni professionali.
La sperimentazione è iniziata nella seconda metà degli anni Sessanta del Novecento con il Museum Assistance
Program della Nova Scotia (Canada) e si è sviluppata negli Stati Uniti con il Museum Assessment Program e il Museum
Accreditation Program del 1971. In Europa ha avuto inizio con il Registration Scheme britannico, avviato nel 1988 e
revisionato l’ultima volta nel 2004. Dal modello britannico, che affida la valutazione a un organismo indipendente e
prevede una revisione periodica del rispetto degli standard, hanno tratto spunto i Paesi Bassi, dell’Irlanda e della
comunità fiamminga del Belgio, mentre in Spagna, Italia, Francia e Portogallo sono stati emanati leggi o decreti che
affidano il controllo ai ministeri della cultura. In tutti questi sistemi la fase iniziale consiste in un’auto-valutazione.
Inoltre il museo, acquista così una migliore visione d’insieme e una maggiore coesione interna. La valutazione da parte
di un ente esterno invece, può essere finalizzata all’inserimento in un circuito di eccellenza, all’attribuzione di un
Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e gli standard di funzionamento e di sviluppo dei musei 10 maggio 2001.
Individua:
Qui gli standard obbligatori sono definiti “norme tecniche” e quelli volontari “linee guida”
L’istituzione è invece un ente strumentale di cui l’ente locale si serve soprattutto nell’erogazione di servizi di tipo
sociale. Il modello della fondazione al momento riscuote anche in Italia il maggior successo, implica l’assenza dello
scopo di lucro e consente un maggior controllo da parte dell’autorità pubblica; l’esperienza si è poi estesa ai musei
La fondazione opera a favore dei soggetti diversi da quelli che li hanno costituita. Nella sua forma classica, l’attività
economica è legata soprattutto alla gestione del patrimonio, ma, nella forma cosiddetta “di partecipazione”, questo
organismo può avvalersi anche di contributi pubblici e privati, ed essere aperto all’adesione di soggetti diversi dai
fondatori. In questo secondo modello, il più usato in Italia, il controllo e il finanziamento, per il momento, sono
prevalentemente o interamente pubblici. Si tratta dunque di una privatizzazione formale.
Inoltre, gli economisti per primi hanno osservato che se si separa la gestione dei processi di tutela da quella dei
processi di valorizzazione, si cade in una schizofrenia.
L’altra implicazione organizzativa è a suo avviso la fissazione di un principio di centralità e indipendenza della
progettazione culturale. I musei sono ed è importante che restino istituzioni culturali.
Il museo dovrebbe attrezzarsi, adeguando il proprio modello organizzativo e acquisendo i saperi e le risorse umane
necessarie, per gestire tutte le attività che riguardano i rapporti con il pubblico e in genere con gli interlocutori sociali.
Ancora non è stata individuata una forma organizzativa che permetta la partecipazione della società civile. Il dialogo
prevalente oggi è tra Stato e mercato con un apporto limitato del terzo settore, quello del cosiddetto privato sociale.
5.3. La gestione
5.3.1 Musei e management
La gestione dei musei secondo logiche “manageriali” è oggi sempre più spesso invocata, nella convinzione che il
museo debba operare come un’ “impresa culturale”. Si propone così l’applicazione dei modelli già in uso per settore
non-profit, guardando soprattutto a esperienze europee come il service management. In questa prospettiva, il cliente
entra nella produzione del servizio ma solo per orientarlo verso la propria soddisfazione. Il museo può trarre molti
spunti dalla logica manageriale nelle sue forme più evolute, per quanto riguarda la gestione delle risorse, la
pianificazione, programmazione e progettazione, il budget di previsione e consuntivo, la valutazione dei risultati.
Le difficoltà non si risolvono sostituendo il direttore del museo con un manager puro, o ponendo sotto il proprio
controllo il secondo. L’economista Luca Zan ha messo in guardia contro la “retorica del management”.
La conseguenza principale è l’orientamento verso il “cliente”, che nel caso del museo è il visitatore. Per questo il
marketing consiste in primo luogo nel conoscere il proprio pubblico e i suoi bisogni, l’ambiente di interazione e i
possibili concorrenti. I metodi del marketing sono stati applicati con l’obiettivo di conoscere e possibilmente
Anche nel manuale che l’ICOM ha dedicato alla gestione dei musei, un capitolo riguarda il marketing. Qui, nel
considerare il cosiddetto marketing mix, si è cercato di applicare ai musei le quattro P del marketing: prodotto, prezzo,
promozione e posto.
I prodotti del museo sono molti: l’esposizione permanente, le mostre, i servizi educativi, le pubblicazioni, l’oggettistica.
Va però considerato anche il rischio che l’orientamento del museo verso il visitatore, se basato sulla soddisfazione dei
suoi bisogni, riduca la capacità di sperimentazione e innovazione.
Il problema del prezzo riguarda soprattutto il biglietto d’ingresso, ma riguarda anche la gratuità o meno di attività
culturali, quali le conferenze e le visite guidate, le tariffe delle guide a stampa e dei cataloghi, del caffè e dei ristoranti.
Nella politica dei prezzi di un museo non può non entrare anche una componente di gratuità. Per esempio,
l’incremento dei giorni e delle fasce orarie a ingresso gratuito attuato in Italia dal Ministero per i beni e le attività
culturali del 2010 ha compensato gli effetti della crisi sulle presenze dei visitatori nei musei statali.
La promozione consiste nell’offrire incentivi sul breve periodo per stimolare l’accesso al museo e/o aumentare le
vendite nei suoi spazi commerciali. L iniziative devono essere adeguatamente comunicate e riferirsi a un arco
temporale definito. Le tecniche di promozione sono usate da alcuni musei molto visitati per gestire meglio i flussi dei
visitatori, proponendo tariffe più favorevoli negli orari o nei giorni di minor frequentazione o rendendo gratuiti i
biglietti prenotati.
Il posto o posizione, nel caso del museo, indica soprattutto la raggiungibilità, l’accessibilità e anche il maggiore o
minore collegamento con gli altri musei. Di solito la concentrazione di più strutture in un certa area urbana favorisce
quasi tutte le istituzioni coinvolte e in alcuni casi l’affluenza è stata è stata favorita dall’attivazione di mezzi di
trasporto speciali. In conclusione, il ricorso al marketing può essere molto utile ma va valutato operando le singole
scelte alla luce dell’equilibrio fra i tre scopi del museo: studio, educazione e diletto.
la qualità deve essere garantita. Anche la parte dei servizi educativi va progettata, monitorata e valutata in continuo
rapporto con il gestore, e il museo deve fornire tutti i supporti necessari alla formazione del personale che la svolge,
per quanto riguarda la conoscenza della sua storia e delle sue collezioni e anche del tipo di metodo da usare. Anzi è
questo il servizio che dovrebbe essere più seguito. Al museo spetta anche il compito di salvaguardare i diritti
dell’utenza alla parte gratuita dei servizi di visita guidata e di rendere accessibili anche ai visitatori con minore
disponibilità economica almeno i prodotti di base. È auspicabile che la libreria o il ristorante di un museo acquisiscano
una clientela esterna, ma occorre evitare che ciò avvenga a totale discapito dei visitatori.
Normalmente l’elargizione di queste risorse è assistita da forme di incentivazione fiscale, che anche in Italia sono
previste per legge. Una politica efficace di fund raising implica che le attività siano programmate e monitorate.
Uno dei casi che ha avuto più risalto mediatico di recente è stata la colletta promossa dal Louvre per ottenere dalla
società civile quanto mancava alle risorse pubbliche disponibili per acquistare un dipinto di Cranach. Il termine
Per poter negoziare efficacemente deve essere proposto un progetto chiaro e completo. Il rapporto con lo sponsor
deve essere mantenuto sia durante lo svolgimento delle attività sia dopo la conclusione, fornendogli in tempo i dati e
la rassegna stampa sui quali misurare la corrispondenza fra i risultati attesi e quelli raggiunti. È infine importante
ricevere un feed-back da cui risultino i motivi di soddisfazione e insoddisfazione. Dunque prima di stabilire il contatto o
di accettarlo occorre essere informati sullo scopo e sulla costituzione dell’azienda. Lo sponsor può però anche cercare
di orientare il contenuto dell’attività che finanzia in un senso non gradito al museo. Inoltre non tutte le aziende
svolgono attività che il museo può ritenere compatibili con i propri fini o si trovano in situazioni eticamente accettabili.
Non è raro che siano proprio quelle che devono riabilitare la propria immagine a formulare le offerte più vantaggiose.
Un’altra modalità di autofinanziamento è la ricerca di contributi pubblici attraverso le procedure di gara che
comportano la presentazione di progetti, i quali vengono giudicati in base alla loro qualità, fattibilità e sostenibilità
finanziaria. Alcuni di questi bandi sono anche lanciati da fondazioni private, e con questa modalità sono erogati quasi
tutti i finanziamenti dell’Unione Europea nel settore culturale. I programmi di membership sono invece diretti a
soggetti che possono sostenere l’attività del museo. La forma più diffusa è quella dell’Associazione degli amici del
museo.
Nell’ambito dell’Unione Europea, la durata dei diritti primari è di 70 anni dalla morte dell’autore o dalla data in cui
l’opera è messa a disposizione del pubblico in forma lecita, e quella dei diritti connessi di 50. Alcune utilizzazioni da
parte di terzi sono libere (studio, ricerca…).
Il museo deve pagare i diritti agli autori dei testi e quelli dei fotografi. I musei che acquistano opere di artisti viventi
sono proprietari del supporto ma non dell’opera, e dunque non sono titolari dei diritti ad essi collegati. Pertanto
l’artista continua ad esercitare, per esempio, i diritto di riproduzione sulle fotografie delle sue opere, e il fotografo che
le ha scattate continua ad esercitare il diritto connesso. In Italia la legge Ronchey ha attribuito ai musei la possibilità di
sfruttare economicamente i diritti di riproduzione degli oggetti che hanno in consegna in base a tariffari che possono
stabilire autonomamente secondo determinati criteri.
A prescindere dall’eventuale gratuità, la pubblicazione deve comunque essere autorizzata. Questa facoltà si estende
anche agli oggetti ispirati alle opere del museo. Le potenzialità del mercato dei diritti non sono al momento
pienamente sfruttate, e il web ha moltiplicato le occasioni di contravvenire alle norme sulla riproduzione delle
immagini rendendo per molti musei economicamente insostenibile un controllo efficace.
Il comitato dell’ICOM per la formazione del personale ha elaborato le Guidelines for Museum Professional
Development, documento riveduto nel 2008.
In Italia una prima formulazione dei bisogni e delle specializzazioni è stata proposta nell’ambito della comunità
museale, che si è dotata della Carta nazionale delle professioni museali, approvata il 25 ottobre 2005 a Milano dalla
Conferenza nazionale dei musei. È un insieme di profili professionali articolati secondo tre livelli:
Anche per chi svolge funzioni di ricerca e curatela nella Carta nazionale delle professioni si richiede un curriculum
formativo di tipo specialistico. Le ragioni che impongono la conoscenza di un settore specifico sono ancora quelle
esposte da Giovanni Pinna: “Questa conoscenza va intesa come l’inserimento del personale dei musei nei circuiti attivi
della ricerca, nel partecipare cioè dall’interno ai movimenti culturali”; “Per un’intelligenza museologica sono
indispensabili alcune capacità d’attenzione culturale e di sintesi: la capacità d’assorbimento culturale, la capacità di
inserire il particolare nel generale, la capacità di rielaborazione culturale e la capacità di trasmissione culturale”.
Questo insieme di attitudini dovrebbe essere valutato e stimolato nel momento del percorso formativo che dovrebbe
segnare il passaggio dagli studi accademici a quella dell’attività lavorativa.
6.2. La direzione
Il direttore è il custode dell’identità e della missione del museo, è responsabile della gestione del museo nel suo
complesso, nonché dell’attuazione e dello sviluppo del suo progetto culturale e scientifico. È responsabile ultimo
dell’insieme dei processi gestionali. È garante dell’attività del museo. Il direttore quindi ha tre livelli di competenza:
scientifico, culturale e manageriale. Nei musei statali italiani questa figura non è formalizzata. Nei musei locali invece
l’autonomia è maggiore. Quali requisiti d’accesso, la Carta nazionale prevede la competenza specialistica in
museologia e nelle discipline attinenti alle specificità del museo, la laurea in una di quelle discipline, l’esperienza
pluriennale in ambito museali pubblico o privato o in istituti affini, la conoscenza almeno della lingua inglese.
Il catalogatore svolge attività d’inventariazione e catalogazione del patrimonio museale, sotto il coordinamento del
conservatore.
Il registrar assicura la relativa documentazione e le procedure che le regolano. Nella sua sfera di competenze ricadono
le procedure di acquisizione delle opere, l’assistenza all’attività di ordinamento e allestimento, la gestione dei prestiti
in uscita e in entrata ecc.
L’educatore museale realizza gli interventi educativi adeguandoli alle caratteristiche e alle esigenze dei diversi
destinatari. È la figura che conduce attività, percorsi e laboratori in relazione alle collezioni permanenti e alle
esposizioni temporanee, collabora all’elaborazione di tesi e materiali specifici, e segnala esigenze e problematiche
proponendo anche nuove iniziative.
Il coordinatore dei servizi di custodia e accoglienza del museo garantisce la vigilanza del patrimonio museale
all’interno dei locali espositivi e nelle aree di pertinenza del museo.
L’operatore dei servizi di custodia e accoglienza al pubblico è preposto alla vigilanza museale all’interno dei locali
espositivi e nelle aree di pertinenza del museo; accoglie il pubblico e fornisce la prima informazione.
Il responsabile della biblioteca del museo cura lo svolgimento di tutte le funzioni di base della biblioteca, con
particolare riguardo agli interventi di acquisizione, catalogazione, gestione e valorizzazione delle raccolte librarie,
considerando la specificità dell’istituzione in cui opera.
Il responsabile dell’ufficio stampa e delle relazioni pubbliche garantisce le relazioni pubbliche del museo e la corretta
e adeguata diffusione della missione, del patrimonio e delle attività del museo tramite opportune modalità di
comunicazione e appositi materiali informativi.
Il responsabile per lo sviluppo, fund raising, promozione e marketing gestisce, con diretto riferimento al direttore. Le
attività di marketing, promozione e fund raising del museo, le strategie di sviluppo dei sistemi di finanziamento in
rapporto con le strutture produttive del territorio, nonché lo sviluppo e la promozione del volontariato.
Il responsabile del sito web progetta e gestisce il sito web del museo e ne garantisce l’aggiornamento, mantiene
rapporti con i fornitori dei servizi web.
Il progettista degli allestimenti degli spazi museali e delle mostre temporanee è un architetto che cura gli allestimenti
permanenti e temporali del museo, predisponendo gli spazi e assicurando le modalità ottimali di presentazione e
conservazione delle opere.
7. Acquisizione e conservazione
7.1. le politiche di acquisizione
7.1.1. Le norme
Le collezioni dei musei sono destinate a crescere. Normalmente l’incremento è fisiologico. Il Codice etico dell’ICOM
richiede che il museo adotti e renda pubblica la propria politica di acquisizione e che vi si attenga, giustificando le
eventuali eccezioni. Questa forma di autoregolamentazione e trasparenza non esaurisce però le implicazioni etiche del
processo di acquisizione. La prima è il rispetto delle norme che tutelano le testimonianze dell’uomo e dell’ambiente
in base alle legislazioni nazionali e internazionali vigenti nel paese il cui il museo ha sede