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ARCHEOLOGIA E STORIA DELL’ARTE ROMANA

Prima unità introduzione all’archeologia.


LEZIONE 1
Archeologia oggi: da caccia ai tesori sepolti a scienza storica
ARCHEOLOGIA: parola composta da due parole greche, l’aggettivo ‘arcayos’=antico e da ‘logos’=discorso,
studio dell’antichità. Oggi con archeologia indichiamo una scienza storica che studia il passato dell’uomo e
le sue interazioni con l’ambiente attraverso la raccolta, la documentazione e lo studio delle tracce materiali
che l’uomo ha lasciato sul terreno. Discorso/indagine sulle cose del passato
Questo termine arcaylogia lo troviamo per la prima volta nell’opera di Tucidide,famoso storico ateniese del
V sec. A.c. Nel primo libro ‘Storie di Tucidide’, dedicate alla guerra del Peloponneso apre l’opera con una
sezione dedicata all’archeologia e tratta la storia della Grecia dalle origini fino all’epoca della guerra del
Peloponneso. Il termine archeologia viene utilizzato con il significato di narrazione di fatti antichi, di
narrazione storica. Allo stesso modo viene usato anche da Platone, filoso del IV sec, che nella sua opera
‘Ippia maggiore’, applica questo termine quando parla dell’attività didattica del sofista Ippia, che insegnava
‘le genealogie di eroi e uomini, le tradizioni riguardanti fondazioni di città avvenuti in tempo remoti e…le
antichità in generale.’ Archeologia come narrazione di cose antiche. (Giuseppe Flavio anche lui usava questi
termini)
Storie di Tucidide, libro I, episodio della ‘purificazione di Deleo’: caso in cui a tutti gli effetti l’evidenza
archeologica viene utilizzata per spiegare dei fatti storici, per comprovare una tesi storica. Si prendono in
considerazione i corredi tombali e le modalità di sepoltura riscontrate nell’isola di Deleo che sono proprio
degli elementi di tipo archeologico. Tucidide racconta che nell’inverno del 426 a.c. quando gli ateniesi
decisero di purificare l’isola di Deleo,isola dell’Egeo che fa parte delle Cicladi e ospita un santuario dedicato
ad Apollo, celebre nell’antichità ( sito patrimonio unesco quello di Deleo),a scopo religioso. Vennero aperte
le tombe presenti nell’isola per asportarne i resti e trasferirli su un’isola vicina, perché nessuno più doveva
nascere e morire sull’isola. Sulla base dei corredi e delle modalità di sepoltura Tucidide dice ‘dall’armatura
e dal modo di seppellire che usa anche oggi’, sulla base di questi elementi archeologici si comprese che
oltre la metà delle persone sepolte erano cari, cioè venivano dalle coste della Turchia, e gli altri erano
Fenici; queste popolazioni dominavano su gran parte delle Cicladi.
Nei secoli avvenire con archeologia si indicò la narrazione di fatti inerenti al passato. Va detto che anche in
secoli più recenti l’archeologia fu avvicinata al collezionismo. Ricordiamo nell’epoca romana che i romani
stessi erano appassionati di collezionismo, soprattutto di oggetti, di opere d’arte e di reperti provenienti
dalla Grecia. Lo sappiamo da Cicerone, un episodio molto significativo ci viene narrato da Strabone : riporta
un episodio dei tempi di Cesare riferito a Corinto. Racconta che quando cesare mandò i suoi veterani,come
coloni, per rifondare la città di Corinto, distrutta nel secolo prima da Lucio Mugno nel 146 a.c. Quando i
coloni incominciarono a sterrare per riavviare la costruzione della città rinvennero una serie di tombe,
misero in luce la necropoli di Corinto e nelle tombe rinvennero una serie di oggetti, di reperti archeologici,
molto preziosi e in particolare rilievi in terracotta e dei bellissimi vasi di bronzo figurati che portarono a
Roma e lì li vendettero a caro prezzo. (primi tombaroli dell’antichità).Un altro personaggio che saccheggiò il
territorio per arricchire la propria collezione è Verre , di cui ci viene narrato da Cicerone proprio nelle
verrine.
Abbiamo anche una vera e propria testimonianza archeologica di questo amore dei romani per il
collezionismo in un sito straordinario la Villa dei Pisoni (o Papiri) a Ercolano, all’interno furono ritrovati
centinaia e centinaia di papiri prevalentemente di carattere filosofico. Questa villa fu distrutta nel corso
dell’eruzione vesuviana del 79 d.c. eall’interno fu trovata una raccolta straordinaria di sculture e statue
prevalentemente di Bronzo, conservate nel museo archeologico Nazionale di Napoli. Nella villa c’era una
galleria di opere che risalivano al I sec a.c ed erano prevalentemente copie che avevano a modello originali
della Grecia classica.
Il collezionismo si è considerato per molto tempo con archeologia, quest’ultima ha significato anche ricerca
di oggetti preziosi o di monumenti straordinari opere d’arte. Ad esempio  Giovanni Battista Belzoni: il
trasporto del busto di Ramses II da Deir al Bahari (1816)/ Howard Carter esamina il sarcofago di
Tutankhamon (1922).
L’idea di scoperta archeologica si è evoluta, passando da questa immagine delle grandi scoperte, spesso
legate al caso o all’intuizione per spostarsi verso quello che noi chiamiamo ‘cultura materiale’,cioè verso gli
oggetti prodotti dall’uomo, quei manufatti che costituiscono l’attività quotidiana dell’uomo. Oggi
l’archeologia prende in considerazione non solo i grandi monumenti o i reperti eccezionali di grande valore
storico/artistico, ma prende in considerazione anche gli oggetti considerarti più umili perché testimoniano
l’attività quotidiana dell’uomo. Nel corso degli ultimi decenni si sono sviluppati molti musei dedicati alla
cultura materiale( Museo della Cultura Materiale di Montepagano Abruzzo).
Nel corso del tempo il concetto di archeologia si è trasformato, l’archeologia è divenuta una disciplina
storica a tutti gli effetti, ma è una disciplina giovane, il punto di svolta lo possiamo individuare nel 700, in
particolare nell’attività di Wincklemann. Quella archeologica è una disciplina che ha un paio di secoli, molto
complessa e variegata. All’interno dell’archeologia possiamo distinguere diversi settori che vanno dalla
paletnologia, all’etruscologia, egittologia, archeologia classica o medievale, sono settori che si distinguono
in ambiti cronologici o geografici. All’interno di questi settori sono andati formandosi degli specialismi come
l’epigrafia, la numismatica, la topografia o la storia dell’arte. Quest’ultima non va più identificata come
parte dell’archeologia, questo lo metteva in luce negli anni 70 il famoso storico dell’arte Ranuccio Bianchi
Bandinelli nel suo libro ‘Introduzione all’archeologia’, lui parlando di storia dell’arte diceva che in alcuni
paesi era definita archeologia Winckelmanniana. Nell’introduzione all’archeologia dice che oggi la storia
dell’arte è un tema collaterale all’archeologia, mentre un tempo appariva quale il più importante. Lo scopo
della storia dell’arte antica è ricostruire la civiltà antica attraverso una delle sue manifestazioni più elevate e
significative, per l’appunto l’arte. Costituisce una parte significativa della ricerca archeologica però non è la
parte preponderante ed esclusiva della ricerca archeologica. L’attenzione degli archeologi si è spostata ai
prodotti e agli oggetti che testimoniano la vita quotidiana dell’uomo; l’archeologia ha iniziato ad
interessarsi della cultura materiale dell’uomo. Archeologia e storia dell’arte sono due discipline che hanno
preso strade diverse e spesso indipendenti. Bandinelli diceva ‘oggi in qualche parte d’Europa vi sono state
esplicite richieste da parte dei giovani di abolire ogni insegnamento storico/artistico, gli storici dell’arte
dell’antichità rappresentano oggi senza dubbio una fauna in via d’estinzione, non posso fare a meno di
considerare tale circostanza come lamentevole’.
Archeologia oggi.
Lo scavo archeologico: l’importanza della cultura materiale
Come lo storico dell’arte per la sua analisi e i suoi studi parte dall’opera d’arte, come per il filologo
ricostruire i testi antichi parte dal patrimonio letterario, l’archeologo parte dal reperto archeologico.
L’archeologia si interessa degli oggetti e in particolare dei manufatti, cioè degli oggetti prodotti
dall’uomo,l’archeologo dedica la maggior parte del suo tempo allo studio dei reperti che vengono messi in
luce durante le ricerche sul campo. Passa il suo tempo oltre che nel ritrovamento dei reperti, anche e
soprattutto nella classificazione e nell’analisi, nella documentazione, nello studio e poi nell’edizione dei
reperti archeologici. Molto importante il lavoro in laboratorio svolto dagli archeologi, su migliaia di reperti
spesso frammentari raccolti durante le ricerche sul campo.
Il principale strumento di ricerca dell’archeologia rimane lo scavo archeologico; in questo gli archeologi
stratigrafi hanno imparato moltissimo dall’archeologia preistorica. I paletnologi non avendo a disposizione
testi scritti, per questo nell’800 il grande epigrafista Monses aveva definito la paletnologia la scienza degli
analfabeti, proprio perché non si poteva basare sui testi scritti, ma proprio per questo loro avevano dovuto
affinare le loro tecniche di ricerca sul campo e perfezionare i metodi relativi all’archeologia stratigrafica. Per
operare correttamente sui reperti archeologici bisogna conoscere molto bene le tecniche archeologiche, le
tecniche di indagine, di raccolta, di studio dei reperti archeologici, perché l’archeologo deve sapere come
indagare correttamente nel terreno e come rinvenire nel modo più appropriato i reperti e sapere come
leggere e interpretare questi oggetti per ricostruire i contesti. L’oggetto di studio dell’archeologia è molto
vasto ed eterogeneo, e proprio per questo l’indagine archeologica si avvale degli strumenti, delle tecniche,
degli specialismi di altre discipline e in particolare di discipline scientifiche, a partire dalla geologia, zoologia,
la botanica, la scienza dell’alimentazione, chimica, fisica …
Proprio riguarda alla geologia in particolare, va detto che l’archeologia stratigrafica deve molto agli studi di
ambito geologico, proprio perché il concetto stesso di stratigrafia nasce nel campo delle scienze geologiche
che si svilupparono soprattutto in Gran Bretagna fra il 19 e 20 secolo e trovarono le prime applicazioni nel
campo della paletnologia.
Va anche detto che fin dalla metà del 700 gli archeologi, sull’esperienza dei geologi che datavano gli strati
geologici attraverso i fossili, avevano incominciato a datare gli starti archeologici, di origine antropica
attraverso i manufatti in essi contenuti. È proprio per questo che dalla geologia derivano molti termini che
vengono utilizzati dall’archeologia come ad esempio strati, interfaccia e soprattutto fossili guida, per
indicare quei reperti che avendo una durata temporale cronologica limitata, essendo caratteristici di
determinati periodi piuttosto limitati nel tempo, sono in grado di darci delle indicazioni cronologiche
piuttosto precise nel momento in cui vogliamo datare strati e contesti archeologici.
Il concetto di stratigrafia fu poi perfezionato nel corso della prima metà del 900 soprattutto in Inghilterra.
Ricordiamo in particolare i nomi di Mortimer Wheeler e Kathleen Kenyon ,che operarono soprattutto fra
gli anni 30 e 50 in Inghilterra, molto importante lo scavo a Maden Castle, presso Dorchester, Dorset,
vennero individuate e numerate le unità stratigrafiche e si mise appunto un metodo di archeologia
stratigrafica che si diffuse in tutta Europa riscuotendo un notevole successo. Tranne che in Italia,
nonostante fin dall’inizio del 900 circolassero in Europa alcuni testi o strumenti bibliografici importanti che
già trattavano le metodologie dello scavo archeologico, di questi ricordiamo il libro di Flinders Petrie
‘Methods and Aims in archeology’ oppure il ‘Manual of technique of archeological excavation’. ( convengo
sugli scavi archeologici tenuti al Cairno nel 37). Nonostante questo alcuni paesi fra cui l’Italia rimasero
arretrati nel campo della ricerca archeologica, soprattutto nell’archeologia di tipo stratigrafico. In italia per
buona parte della prima metà del 900 si preferì continuare a scavare trascurando i principi dell’archeologia
stratigrafica considerando lo scavo come uno sterro, una rimozione indistinta del terreno che serviva solo a
liberare le strutture, i monumenti, gli edifici antichi dal deposito che li riempiva. ( Sterri per la costruzione
della via dell’impero, Roma, periodo fascista). Secondo lo studioso Marcello Barbanera uno dei peggiori
esempi in questo senso è rappresentato dagli scavi di Ostia antica dove lo scavo fu concepito come mero
sterro, vi si applicarono secondo barbanera i metodi dell’archeologia coloniale e si arrivò addirittura a
negare l’esistenza di una stratigrafia.
Anche in italia ci sono alcune eccezioni, molto rare però: fra 800 e 900 ricordiamo il nome di Paolo Orsi,
Nino Lamboglia e Bernabò-Brea. Il primo è un archeologo di origine trentina a cavallo tra 800 e 900 , operò
soprattutto in sicilia e in magna grecia, vi lavorò per oltre 40 anni, fu un ricercatore straordinario, fin dagli
anni 80 dell’800, fin dalle sue prime prove di archeologo militante fra le montagne del trentino iniziò ad
applicare un metodo di scavo che è considerato fra i prodromi dell’archeologia stratigrafica. Ricordiamo gli
scavi di Nino negli anni 30 a Ventimiglia e quelli di Bernabò negli anni 40 alle irene candide, come esempi
virtuosi. Virtuosi perché a fatica nel corso dei decenni, soprattutto nell’ultimo cinquantennio anche in Italia
si è sviluppa l’archeologia stratigrafica, si è emancipata gradualmente dalla geologia e dalla paletnologia, e
anche dall’italia è stato recepito il concetto che lo scavo o è stratigrafico o non è archeologico.
Fare uno scavo stratigrafico  consiste nel procedere con la rimozione degli strati, delle evidenze
archeologiche ,delle unità stratigrafiche nell’ordine inverso a quello in cui si sono format e. Sono stati
fondamentali, hanno costituto delle pietre miliari, nella storia dello sviluppo dell’archeologia stratigrafica in
Europa e in Italia due libri : Philip Barker ‘Tecniche dello scavo archeologico’ e ‘Principi archeologici
stratigrafi’ di Edward C. Harris; che in uno scavo complesso dove doveva solo gestire una enorme quantità
di unità stratigrafiche, circa 10000, ha Winchester,Harris mise appunto un metodo di documentazione delle
u.s. ( unità stratigrafiche) che è valido ancora oggi.
Le unità stratigrafiche, sono la testimonianza di azioni antropiche o naturali lasciate nel terreno. Ne
esistono di vario tipo, perché vi può esser presenza o assenza di materiali, parleremo di u.s. positive o
negative, possono essere orizzontali o verticali, anche loro hanno delle caratteristiche specifiche che vanno
documentate attraverso la compilazione sul campo di apposite schede. Oggi giorno sempre più importanza
ha acquisito l’indagine preliminare, cioè quell’indagine che precede un’eventuale approfondimento della
ricerca tramite scavo, si tratta del survey, o ricognizione di superficie che è regolata da proprie norme, da
una specifica metodologia.
Quando i metodi tradizionali dell’archeologia non sono sufficenti, non ci forniscono dati e infromazioni
esaustive oggi giorni l’archeologia si rivolge alle analisi realizzate con strumenti e metodologie propri delle
discipline scientifiche, cioè alle analisi archeo metriche. Si tratta di analisi condotte attraverso indagini di
laboratorio, ma condotte anche sul campo, nei contesti naturali e rientrano nel settore che viene chiamato
archeometria, che comprende diverse discipline che vanno dalla chimica, alla geologia, biologia … fra i
metodi particolarmente utili nell’ambito dell’archeologia preventiva e delle ricerche preliminari, si ratta di
indagini non distruttive, possiamo collocare le ricerche di tipo geofisico e in particolare che utilizzano il
principio resistività, ovvero la proprietà di condurre corrente elettrica da parte del terreno e
sostanzialmente si tratta di immettere corrente elettrica nel primo sottosuolo e le modalità con cui la
corrente elettrica passa nel terreno ci indicano l’eventuale presenza di materiali sepolti. Con il medesimo
obiettivo ai utilizza anche il georadar, che si basa sulla immissione e la misurazione di impulsi di onde
elettromagnetiche nel terreno. Dei risultati rilevanti ci vengono forniti anche dalle tecniche relative al
telerilevamento, che consistente di leggere a distanza la superficie del terreno tramite misure di radiazione
elettromagnetica; in particolare è molto usata la termografia, cioè l’uso di una termo camera che registra le
immagini a infrarosso e si basa sulla misurazione delle radiazione elettromagnetiche emesse dai corpi con
temperatura superiore allo 0.
Fra i materiali maggiormente studiati e analizzati dagli archeologi vi sono i materiali ceramici, i cosiddetti
cocci. Negli scavi si raccolgono soprattutto frammenti di oggetti un tempo integri,dai quali bisogna
ricostruire le forme e le funzioni degli oggetti. La ceramica costituisce uno dei materiali di più frequente
rinvenimento nel corso degli scavi e il suo studio è importante anche in termini di datazione dei contesti
archeologici. Anche qui può intervenire lo studio archeo metrico, soprattutto con l’analisi di tipo
mineralogico petrografico al microscopio elettronico con luce polarizzata: consiste nel prelevare un
campione nell’assottigliarlo e lucidarlo, incollarlo su vetrino rendendolo quasi trasparente e attraverso il
passaggio della luce polarizzata si può rilevare la presenza di minerali che possono essere molto indicativi
ad esempio per la determinazione delle località di provenienza dei contenitori ceramici.
Utili per determinare la datazione assoluta dei reperti archeologici sono la dendrocronologia, la datazione
degli alberi, si basa sull’analisi degli anelli di accrescimento annuale degli alberi. Perché ogni albero produce
ogni anno un anello di accrescimento che ha delle caratteristiche determinate dall’andamento climatico e
ambientali. Se si confronta la sequenza anulare di un campione con una sequenza di riferimento creata
attraverso la raccolta di tutta una serie di campioni si può arrivare a delle datazioni molto precise. Per la
datazione di materiali organici è usato il metodo del Carbonio 14, un isotopo radioattivo del carbonio che
viene assorbito dagli esseri viventi in uno scambio constante con l’atmosfera, uno scambio che dopo la
morte del soggetto viene meno e la concentrazione del carbonio 14 diminuisce in modo progressivo,
applicando una formula matematica è possibile stabilire la data della morte dell’organism
LEZIONE 2o.

Imago urbis: Roma e la città dell’impero romano


Grandi temi dell’archeologia romana partendo dalle città, sono soggetto di studio dell’urbanistica.
La città perché l’urbanizzazione costituisce il tratto più vistoso della romanizzazione, cioè quel fenomeno di
acculturizzazione conseguente alla politica espansionistica di Roma. La civiltà romana è urbana e ha nella
città il suo fulcro, il nucleo del potere politico ma anche il nucleo dell’attività economica e di quella
religiosa. Nel momento in cui Roma progressivamente ingloba nuovi territori nello stato romano e poi
nell’impero, da una sua importa caratteristica attraverso la fondazione di citta nuove oppure città rifondate.
Le stesse città che entrano a far parte dell’impero romano conoscono bene i vantaggi che comporta la
trasformazione in senso romano della propria fisionomia.
Imperatore Aulo Gellio, Le notti attiche XVI :l’autore fa dire all’imperatore Adriano che le città dell’impero
romano sono simulazioni di Roma, questo vuol dire che le città dell’impero ambiscono a diventare lo
specchio della così tale importano gli aspetti urbanistici e architettonici dalla capitale. In questa prospettiva
però riscontriamo un paradosso Se guardiamo alla città stessa di Roma, perché in realtà Roma non rispetta i
parametri tipici della città Romana, Roma è una città disordinata, caotica ed enorme, disomogenea, le fonti
ci fanno sapere che ha problemi di traffico e inondazioni e incendi, nonostante questo questa città
costituisce il modello, il punto di riferimento per tutte le altre soprattutto per gli edifici pubblici che la
caratterizzano. Dalla sua conformazione capiamo che Roma non rispetta i parametri della città romana a cui
noi siamo abituati.
Cronologia di base :
753-509 a. C. : fondazione di Roma. Roma conosce un’ epoca arcaica/regia fra il 753 509 avanti Cristo,
quando viene la Cacciata dell'ultimo re Tarquinio il Superbo.
Poi abbiamo una lunga fase: epoca repubblicana fra il 509 il 27 avanti Cristo, nel 27 Ottaviano riceve il titolo
di Augusto dopo la presa dell’Egitto con la battaglia di Azio del 31.
Dal 27 in poi abbiamo l’epoca Imperiale, la si fa terminare in Occidente con il 476 dopo Cristo, la
deposizione dell’ultimo imperatore romano Romolo Augusto, però Ricordiamo anche che in realtà il mondo
romano conobbe una lunga fase di tarda Antichità, soprattutto gli ultimi studi in particolare nella città di
Roma e nel sito della cripta Baldi, hanno proprio messo in evidenza e comprovato come vi fu una fase
molto lunga di passaggio tra la tarda età romana e l’alto Medioevo, per l’Italia possiamo considerare le date
delle invasioni longobarde, il 568 dopo Cristo, come il termine della tarda Antichità e per il mondo
mediterraneo è la conquista islamica che segna il punto di rottura e lo spostamento degli assetti economici
e politici dal mondo Mediterraneo all'Europa del Nord e le date più significative sono quelle del 641 dopo
Cristo, la conquista di Alessandria d'Egitto, e il 698 la conquista di Cartagine.
Osservando l’aspetto di Roma arcaica possiamo capire come essa non possa e non abbia potuto nel corso
dei secoli rispecchiare il modello classico della città romana:plastico di Roma arcaica in scala 1:1000, nel
museo della civiltà romana, possiamo notare una città articolata su Colli piuttosto scoscesi, un territorio
accidentato, una città decisamente disomogenea Con aree molto insediate accanto ad aree con pochissime
abitazioni, Comprendiamo subito come la città si sia sviluppata in un punto molto importante che è quello
del Guado del Tevere, un’area che però era paludosa, poi l’area del Palatino e della Valle Murgia con il Circo
Massimo e le Antiche Mura Serviane. Questa città nel corso dei secoli ebbe un grandissimo sviluppo nel
senso della monumentalizzazione, anche peraltro a seguito di continue incendi che necessitavano della
continua ricostruzione e riedificazione degli edifici, però si sviluppò in modo piuttosto caotico, non c'è un
piano urbanistico alla base e lo vediamo anche se osserviamo il plastico di Roma in età Costantiniana, IV
sec d. C. 1:1250, nel Museo della Civiltà Romana. È un plastico che si articola su circa 200 metri quadrati e
ci dà la idea della Dimensione e anche dell’articolazione assolutamente caotica della Roma imperiale, una
città che nella prima età Imperiale raggiungeva un milione di abitanti.
Come si sviluppa Roma nel corso dei secoli? Ci furono sicuramente momenti chiave, dei periodi significativi
dal punto di vista dello sviluppo urbanistico di Roma, uno di questi è costituito dalla fase successiva alla
seconda guerra punica, fra gli ultimi decenni del III secolo e gli inizi del II secolo avanti Cristo. In quest’epoca
Roma si trasforma e anche a contatto con il mondo greco ellenistico diventa davvero una grande capitale
del Mediterraneo, una grande capitale del mondo ellenistico. Ed è poi la fase in cui Roma Incomincia ad
assicurarsi il predominio su tutto il Mediterraneo. L'età ellenistica si fa convenzionalmente iniziare con
il 323 a.C., anno della morte di Alessandro Magno e terminare con la morte dell'ultima sovrana
ellenistica, Cleopatra d'Egitto e con la conquista romana del Regno tolemaico d'Egitto (battaglia di
Azio del 31 a.C.) che porta l'Oriente nell'orbita romana occidentale. Il contatto con il mondo greco è
fondamentale perché Roma fino ad allora non aveva una propria visione formale, ma sostanzialmente
recepisce le forme classiche architettoniche da quel mondo, dice Bianchi Bandinelli che Roma si avvale di
forme plastiche prese in prestito, cioè si avvale dei grandi modelli urbanistici e architettonici e figurativi e
monumentali del mondo greco ellenistico con cui viene a contatto. Guardiamo plastico di Pergamo, città
ellenistica dell’Asia Minore, dove vediamo un’articolazione della città su terrazze organizzate nel rispetto
delle tre funzioni essenziali della città: religiosa, militare politico e residenziale. Ogni terrazza ha una sua
sistemazione speciale, il rapporto con una di queste funzioni. Vediamo come anche un criterio estetico
venga rispettato con la definizione degli spazi attraverso l’articolazione di Portici colonnati che fanno da
cornice ai principali edifici. Anche questo verrà recepito dall’architettura romana.
Roma acquisisce questi modelli, le forme ellenistiche, soprattutto per rivestire l’esterno degli edifici,
mentre va detto che negli interni i romani sono in grado di realizzare degli spazi estremamente complessi
ed estremamente articolati e degli spazi anche enormi in ampiezza e in altezza, in realtà non inventa nulla,
Sono però in grado di valorizzare e di potenziare le strutture ad Arco, Diciamo che riconoscono e
valorizzano mettono a frutto le potenzialità dell'Arco soprattutto con la creazione delle volte a botte. Per il
secondo secolo abbiamo un esempio molto significativo nei Resti della porticus aemilia, un edificio di
carattere commerciale situato a sud dell’isola Tiberina caratterizzato da un susseguirsi di decine di ambienti
voltati, ed è un edificio degli inizi del II secolo avanti Cristo. Con la fine dell’età repubblicana e l’inizio
dell’età Imperiale, verranno portate al massimo le potenzialità della Volta a crociera e della Cupola.
Nel II secolo fanno il loro ingresso a Roma marmi proveniente dalle Cave delle varie regioni affacciate sul
Mediterraneo, arrivano i marmi colorati che sono simbolo di conquista, simbolo dei predominio di Roma sui
paesi del Mediterraneo e quanto usati in ambito privato sono anche mezzo, strumento propagandistico e
segnale della ricchezza e della potenza del proprietario. Accanto ai marmi mi fa il suo ingresso a Roma il
capitello corinzio, simbolo della cultura romana. Gli ordini architettonici del mondo greco vengono usati
moltissimo in ambito Romano, ma soprattutto come abbiamo accennato per la decorazione degli edifici
esterni, usiamo l'espressione di ordine applicato, proprio perché questi ordini vengono utilizzati a scopo
decorativo per rivestire gli edifici.
Gli ordini classici
- Dorico, alla colonna direttamente appoggiata sullo stilobate, un capitello caratterizzato da
un echino e sovrastato da un Abaco a base quadrata, un architrave e fregio metope e
triglifi, le forme dell’architettura Dorica inizialmente pesanti, si fanno più slanciata ed
eleganti.
- Ionico, colonna molto più slanciata, Capitello con volute laterali, e architrave con fregio
continuo decorato a bassorilievo
- Corinzio, ha più successo nell’architettura Romana, si connota per la presenza di un
capitello con foglie d’acanto, forma troncoconica, a forma di kalathos o canestro rivestito
da elementi vegetali.
- Composito, si sviluppa soprattutto nel primo /secondo secolo dopo Cristo, di ordine
architettonico che combina insieme Ionico e corinzio, nel capitello corinzio vengono inserite
le volute laterali tipiche dell’ordine Ionico e, si diffonde in particolare in epoca Flavia e
Severa
- Tuscanico, ordine di origine etrusca, variante dell’ordine dorico ed è caratterizzato da uno
echino molto simile a quello dorico me lo svasato è più schiacciato di spessore con
modanature.
A Roma nel II secolo fanno il loro ingresso questi ordini architettonici importate dal mondo greco
ellenistico, fanno il loro ingresso i marmi, i più grandi costruttore il marmo Forse saranno il primo secolo
avanti Cristo Cesare e Augusto, Augusto si vantava di aver trovato una città in mattone e di averla lasciata di
marmo. Questo uso di marmi sicuramente risponde anche a una volontà e a scelta di carattere politico e
propagandistico. A Roma prima di costruire il marmo si costruiva in tufo, normalmente rivestito di stucco,
per questioni protettive soprattutto ma anche per questioni estetiche il primo tempio che sia noto costruito
in marmo, di cui ci resta sostanzialmente nulla è il tempio di Giove Statore, fu costruito da Cecilio Metello
macedonico dopo il trionfo del 146 avanti Cristo è opera dell’architetto neoattico Ermodoro di Salamina.
Era un tempio greco a tutti gli effetti, tempio periptero, poi in realtà fu sostituito da Augusto con tempio di
tradizione romano-italica, un tempio periptero sine postico. Questo tempio era stato affiancato da un
secondo edificio dedicato a Giunone, sono rimasti i resti della porticus che circondava gli edifici, la porticus
Metelli, che in età Augustea fu sostituita dal portico di Ottavia.
Un altro monumento molto importante per lo sviluppo dell’architettura romana, parliamo della fase
compresa tra la fine del II secolo avanti Cristo e i primi decenni del primo secolo avanti Cristo, fra il 120 e
l’ottanta, quando per l’appunto a Roma si registra un forte impulso autonomo dell’architettura romana.
In questa fase in particolare si nota come prevalga nelle costruzioni l'uso della pietra calcarea, il travertino,
Lapis tiburtinus, che viene usato accanto ai materiali più tradizionali, ma prevale proprio sui materiali più
tradizionali che poi sono sostanzialmente Il tufo è Il peperino. Ne abbiamo un esempio molto significativa in
un edificio di cui oggi rimane relativamente poco è il Tabularium, costituiva all’epoca l’archivio di stato e fu
terminato nel 78 avanti Cristo. Siamo in età sillana. Questo edificio ha una scenografica facciata ad Archi,
che dominava il lato settentrionale del Foro Romano. Questo periodo costituisce una fase molto importante
nella storia di Roma perché sostanzialmente è in questa fase che giunge a compimento la fase
espansionistica di Roma nel Mediterraneo, in particolare la conquista dell’Oriente ellenistico, che
costituisce in buona sostanza la parte più ricca e sviluppata del mondo Mediterraneo. In questa fase
proprio a contatto con il mondo greco ellenistico Roma recepisca molti elementi relativi anche alla
Architettura di provenienza da quell’ambito del Mediterraneo. Adotterà molto rapidamente modelli che
derivano dal pieno, dalle architetture e dalle città sviluppatosi nella piena età e, possiamo averne prova in
una serie di straordinari monumenti architettonici laziali.
Tra il secondo e il primo secolo avanti Cristo infatti si assiste ad un’intesa attività edilizia non soltanto a
Roma, ma anche nel Lazio soprattutto legata al realizzazione o alla edificazione di antichi complessi
santuariali in forma del tutto nuove, magnifiche e solenni che applicano e sperimentano i modelli
provenienti dal mondo ellenistico. Fra Questi monumenti ricordiamo:
- in particolare il Santuario della Fortuna Primigenia a Palestrina, fra la fine del II secolo
avanti Cristo e l’inizio del I secolo avanti Cristo. Abbiamo un plastico ricostruttivo che ci
rende in modo chiaro l’idea dell'impianto scenografico del complesso santuariale, articolato
su sette Terrazze per un dislivello di circa 90 metri e si concludeva con un area di culto a
forma di cavea teatrale, una caratteristica che poi troveremo anche in altri complessi
santuariali laziali e più avanti nel tardo di Pompeo a Roma. Si parla di un’architettura molto
articolata complessa, con una serie di Terrazze che sono collegate fra di loro da rampe e
abbondante uso del portico che riprende la stoà greca e serve per a delimitare e a
strutturare gli spazi. Massimo complessoo architettura tardo-rep. Forma teatrale e
scenografica.
- Vediamo anche il santuario di Giunone a gabii datato al II secolo avanti Cristo, abbiamo
una ricostruzione dove ritroviamo la cavea teatrale, ritroviamo l’uso del portico che
racchiude La Terrazza.
- Abbiamo anche il santuario di Ercole vincitore a Tivoli dal secondo secolo al primo secolo
avanti Cristo, abbiamo una ricostruzione dove ritroviamo gli stessi elementi. Architettura
scenografica della tarda repubblica. Portico a u, tempio decentrato sorgeva su un
basamento periptero sine postico, portico inquadrato in archi con colone doriche.
- Abbiamo anche il santuario di Giove Anxur a Terracina datato al primo secolo avanti
Cristo, con un’impostazione scenografica. Sorge sull’acropoli dell’antica colonia romana,
sostruzione a fornici quindi a volta formata da archi,tempio su basamento pseudoperiptero
con semicolonne appoggiate sul muro della cella,esastilo con sei colonne, cella quadrata.
Decorazioni primo stile
Abbiamo delle nuove realizzazioni che assumono e recepiscono e rielaborano i modelli Greco ellenistici,
però nel mondo romano in realtà soprattutto a partire dal II secolo avanti Cristo interviene una novità: il
calcestruzzo. Un conglomerato costituito da Malta, con pietrisco o frammenti di elementi di cotto. L’opera
cementizia diventa una caratteristica dell’architettura Romana che davvero consentirà agli architetti
romani di realizzare delle opere straordinarie. Fra III-II sec avanti Cristo si sostituisce l'uso della Opus
quadratum, utilizzato per edifici di pregio, e essendo un materiale estremamente versatile, verrà impiegato
con le più svariate funzioni, ma soprattutto per realizzare le strutture murarie e di copertura. Nelle strutture
portanti, ad esempio sottofondazione dell’Arco di tito, verrà ampiamente utilizzato. Viene anche impiegato
per la realizzazione di coperture volte a botte, perché è possibile tramite la Opus caementicium fare un
getto unico sopra una struttura di legno, la cassaforma, che viene poi smontata e asportata una volta
terminata l'opera. Opus cementiceum viene usato nelle murature, cioè va a costituire l’anima, il nucleo dei
muri che possono rapidamente essere rivestiti di piccoli elementi, è una tecnica non richiede
specializzazione, è una tecnica a basso costo che consente un grande Risparmio di manodopera e di tempo
e di denaro. I muri vengono rivestiti con piccoli elementi che si possono replicare all’infinito.
Tipi di strutture murarie : vediamo come si parte con un rivestimento di piccoli elementi di tufo distribuiti
in modo irregolare , opus incertum;fra II e I sec si passa progressivamente a regolarizzare questi paramenti
murari o l'uso di tufelli distribuiti in modo più regolare, opus quasi recitucaltum; se arriva poi è una
struttura regolare l’opus reticulatum;, troviamo anche l’opus mixtum costituito dall’uso di Opus
reticulatum associato a Opus latericium, ammorsature di laterizio agli angoli e mentre l’opus vittatum è
una tecnica utilizzata più tardi, soprattutto in epoca tardo Romano nel IV secolo e consiste nell' alternanza
di corsi di piccoli blocchi di tufo e di laterizi. Un esempio di Opus incertum in uso fra il secondo secolo
avanti Cristo la prima metà del primo secolo avanti Cristo, si vede come il nucleo del muro era costituito da
cementizio e poi i paramenti venivano rivestiti. Nel corso del primo secolo avanti Cristo viene introdotto
nella tecnica edilizia in laterizio l’ Opus testaceum, inizialmente vengono usate tegole smarginate poi
mattoni veri e propri, i mattoni possono costituire un importantissimo elemento di datazione degli edifici,
spesso ma non sempre , quando riportano i bolli di fabbrica, o perché questi laterizi, che venivano prodotti
a livello quasi industriale da fabbriche private ma anche Imperiali, spesso riportano sulla superficie dei
marchi di fabbrica che naturalmente ci possono essere di grandissima utilità per stabilire la datazione
assoluta degli edifici. In mattoni venivano in realtà sezionati per dare luogo a elementi triangolari che
venivano poi inseriti nei paramenti e andavano a costituire i paramenti murari. L’opus mixtum, il reticolato
costituito tufelli con ammorsature di laterizio e poi anche un bel esempio l’opus vittatum con l’alternanza di
blocchetti di tufo e laterizio, una tecnica usata soprattutto in epoca tarda. L’ impiego del cementiceum
associato a materiali come il laterizio garantisce veramente un utilizzo per gli usi più svariati e consente ai
Romani di realizzare delle opere architettoniche anche grandiose, che greci non s furono in grado di
realizzare. L’architettura greca si basa sostanzialmente sul sistema trilitico, Cioè sulla presenza di due
elementi verticali, i piedritti, sopra ai quali è disposto un elemento orizzontale ovvero l’architrave;
l’architettura basata sul sistema trilitico la ritroviamo anche in epoca micenea con la porta dei leoni e in
Sicilia con il tempio greco di Segesta ; modello che può essere replicato all’infinito. Proprio perché utilizza
materiali non artificiali, ma naturali, in legno soprattutto la pietra in realtà ha limitate possibilità
costruttive, soprattutto in altezza Ma anche in ampiezza e in particolare le coperture necessitano di tutta
una serie di strutture a vista, nel momento in cui si fa uso dell’ Opus cementiceum.. I laterizi e la terracotta
sono materiali versatili che si prestano alla costruzione di colonne, Ad esempi l Pompei, Basilica con queste
colonne realizzate attraverso elementi di terracotta, che poi venivano rivestiti di stucco bianco, a imitazione
del Marmo. Le opere più grandiose sono state ottenute nelle coperture, con un unico getto di cementizio
sopra a una struttura di legno chiamata centina si possono veramente ottenere delle coperture grandiose.
La più grandiosa è costituita dal Pantheon, edificato per la prima volta in età Augustea nel Campo Marzio,
la realizzò Agrippa nel 27 25 avanti Cristo e come recita l’epigrafe sull’architrave; dopo un restauro
dell’epoca di Domiziana seguita l’incendio fu completamente rifatto e anche rovesciato di 180° da Adriano
nel primo quarto del secondo secolo dopo Cristo. Il Pantheon è uno dei monumenti meglio conservati
dell’antichità Romana ed è straordinario soprattutto per la sua copertura, è una cupola gigantesca e il
diametro è più di 43 m, per Bianchi Bandinelli e il punto di arrivo della concezione architettonica Romana. Si
caratterizza per 5 ordini di cassettoni concentrici progressivamente più piccoli, ma un elemento che non è
evidente è che non si vede, ma che caratterizza questa straordinaria cupola è il fatto che gli ingegneri
adottarono per la sua realizzazione un sistema di alleggerimento progressivo utilizzando materiale diversi
mano a mano che si avvicinavano alla sommità, dove viene usata la pietra pomice perché è un materiale
più leggero. I Roma nel costruire le coperture facevano spesso uso di materiali che consentissero
l’alleggerimento della struttura come ad esempio gli elementi in terracotta cavi, come le anfore oppure i
tubi Fitti. Un altro esempio straordinario che ci dà la dimensione delle potenzialità costruttive grazie all’uso
di questi materiali artificiali è la Basilica di Massenzio costruita da Massenzio terminata da Costantino sulla
veglia, occupava il sito in cui si trovavano gli ore pipetari, I magazzini del pepe, una grandiosa Basilica
caratterizzata da un ambiente centrale con una copertura caratterizzata da enormi crociere ;sul lato ovest si
apre un abside dove furono trovati resti di una gigantesca statua, un acrolito di Costantino. Aveva due ali
laterali costituite da ambienti comunicanti, sul lato nord si apriva un’altra abside caratterizzata da una serie
di nicchie per statue, nel lato nord abbiamo degli splendidi cassettoni che caratterizzano e ornano le volte.
Un altro tempio dii architettura ardita è il tempio di Minerva medica sull’ esquilino, era verosimilmente un
padiglione appartenente a una villa degli Orti di Cignani, risale al IV secolo dopo Cristo è una costruzione
ardita perché augura pianta decagono realizzata in Opus latericium vittatum, anche dei contrafforti lungo il
suo perimetro, presenta 10 grandi finestre e nicchie sui lati. La cosa interessante è che da questa pianta
decagona si sviluppa una cupola emisferica.
LEZIONE 3
Roma e le colonie
Roma mano a mano che conquista nuovi territori , mano mano che questi vengono a far parte dello stato
romano prima dell’impero, organizza anche questi nuovi territori attraverso tutta una rete di infrastrutture,
una rete stradale. E poi costruisce anche delle città, o Rifondazione di città già esistenti. Roma asporta in
questi nuovi territori un modello che è anche un modello di civiltà e viene presto recepito, viene accettato
da questi nuovi territori perché effettivamente ritenuto più vantaggioso. Sostanzialmente Sono due le
modalità di deduzione Coloniale: Roma fonda colonie romane e colonie latine.
- Le colonie romane sono colonie di diritto romano e sono colonie molto piccole e
prevedono la riduzione di circa 300 cittadini Romani, cittadini a tutti gli effetti e godono del
plenum ius. Sono colonie molto piccole, furono fondate in un territorio piuttosto limitato,
in area centro Italica, sono 7, La prima è Ostia puntata nel 380 avanti Cristo e arrivano
anche una funzione militare, non Ebbero grande successo, questa modalità viene
abbandonata a causa di suoi limiti intrinseci, limiti demografici.
- Ebbero molto più successo le colonie di diritto latino, i cui abitanti godevano del diritto
latino, cioè di diritti inferiori rispetto ai cittadini romani, si trattava di colonie costituite da
alcune migliaia di coloni, normalmente tra le 4000 e le 6 mila unità e questa modalità Embè
un successo straordinario a partire dall’epoca medio tardo-repubblicana, la prima colonia
Latina fondata fu cosa, vicino Ansedonia nella Toscana meridionale, nel 273 avanti Cristo. Si
tratta di una modalità che conobbe grande successo anche in epoca tardo repubblicana e
primo Imperiale soprattutto. Perché sono accetta sicuramente più popolose che avevano
anche una autonomia politica.
Le colonie di nuova fondazione venivano dedotte secondo regole precise dopo che l’autorità politica ne
aveva decretato la fondazione e aveva deciso dove sarebbe stata dedotta la colonia. La fondazione della
città veniva condotta secondo regole precise , secondo degli specifici atti e delle cerimonie religiose, questi
atti erano sostanzialmente due:
- in primo luogo la hospicium, una cerimonia che consisteva nell’ osservazione del volo degli
uccelli per trarne un augurium, cioè si osservava il numero, la disposizione e soprattutto la
provenienza degli uccelli per conoscere e capire la volontà degli Dei nei confronti della
fondazione della città, qualora gli dei fossero propizi, Allora si procedeva alla fondazione In
caso contrario se ne decretava il fallimento e Nazione veniva rimandata
- il secondo atto fondamentale era il sulcus primigenius, una ripetizione dell’atto di Romolo
per la fondazione di Roma. Consisteva nel trainare un aratro con la coppia di buoi, condotti
dall'autorità politica più elevata: abbiamo un esempio proveniente da Aquileia, colonia
romana del 181 avanti Cristo, questo rilievo del primo secolo dopo Cristo ci ricorda la
cerimonia del sulcus, con cui si tracciava il limite della città che corrispondeva poi al
tracciato delle Mura, un limite sacro che divideva lo spazio effettivamente Urbano dal
terreno esterno.La dove ci volevano realizzare degli ingressi e delle porte l'aratro veniva
sollevato.
La città veniva inserita all’interno di un territorio, circondata dal suo Agro, come la città anche il territorio
circostante veniva organizzato è suddiviso secondo una procedura che veniva chiamata limitazio, Noi
chiamiamo centuriazione, perché il territorio veniva suddiviso in centurie cioè quadrati di lato variabile
composti da centro sortes, cioè lotti da attribuire per sorteggio ai coloni. Questi ultimi ricevevano non
soltanto un luogo di abitazione all’interno di un isolato della città, ma avevano diritto anche a un lotto di
terreno nell’agro circostante.
La centuriazione consisteva nella divisione del territorio attraverso una griglia a Maglie quadrate,
un’organizzazione, un modello a scacchiera, normalmente sulla base di un unità di misura che era l’ actus
duplicatus, cioè 35,5 x2,71 m x 35, 240 x 120 piedi romani. Le tracce di questa suddivisione territoriale in
alcuni territori dello Stato Romano sono Molto evidenti, ad esempio notevole tracce sono state messe in
evidenza in Italia del Nord, in pianura padana dove il territorio si presenta quasi come una sorta di
palinsesto, nel quale le tracce dell’antica centuriazione spesso si sono perpetuate nel corso dei secoli,
attraverso la ripetizione, il mantenimento di limiti poderali, di vie e sentieri, di canalizzazioni….
Riconosciamo le tracce di questa suddivisione del territorio a Maglie regolari, ottenute tracciando linee tra
loro ortogonali. Questo veniva ottenuto attraverso uno strumento utilizzato dagli agrimensori egromatici
mensores, ed era appunto la groma, strumento costituito da un’asta che veniva piantata verticalmente nel
terreno e al naso metà presentava braccio che sosteneva a due aste tra loro perpendicolari all’estremità
delle quali vi erano dei fili a piombo. Questo strumento serviva per traguardare i capisaldi e
sostanzialmente per tracciare delle linee rette e fra loro perpendicolari. La forma a scacchiera la troviamo
nella Augusta praetoria, ad Aosta nel 25 avanti Cristo. Le strade stesse Seguivano questo modello, questo
schema, e quelle orientate nord sud Erano chiamate cardini, quelle est-ovest decumani. Il cardine
Maggiore, il cardo Maximus si incrociava in un centro ideale della città, con il decumanus Maxius e di
frequente proprio in questo punto di incrocio di cardo e di decumanus veniva costruito è realizzato il foro.
Il foro lo vediamo ad esempio nella città di Mediolanum, a Verona, lo vediamo in moltissime città
dell’impero romano.
Il foro è uno spazio di fondamentale importanza della città Romana, prendiamo in esempio una veduta del
700 di Giovanni Paolo Pannini , la veduta del Foro Romano campo vaccino. Il foro è uno spazio di tipo
utilitaristico, di fondamentale importanza, Perché vi si affacciano gli edifici pubblici più importanti di
carattere politico-amministrativo, di carattere anche religioso, con funzione commerciale ed economica, e
lo spazio dove ci si incontra e Dove si svolgono cerimonie. Il foro è lo specchio della città e proprio per
questo, è immagine della città assume anche una funzione un significato particolare dal punto di vista
dell'autorappresentazione della città e anche dal punto di vista propagandistico, sia in età repubblicana e
soprattutto tardo-repubblicana, sia poi in età Imperiale. I fori delle città romane vennero per questo
progressivamente monumentalizzati attraverso opere, soprattutto di lastricatura e anche attraverso la
realizzazione di Portici. Vi trovarono progressivamente posto edifici di grande importanza proprio dal punto
di vista amministrativo religioso e commerciale, vediamo la pianta di Roma dove si colloca il Foro Romano
ai piedi del Campidoglio. Vediamo una planimetria che ci mostra come il foro romano rappresenta il
modello per le altre città, dal punto di vista proprio degli edifici che vi si affacciano in realtà, dal punto di
vista dell’aspetto planimetrico vediamo non ha una forma regolare, non è l’esito di progetto unitario, ma di
un progressivo sviluppo e di una progressiva trasformazione. Quello che però ribadiamo è che in ogni caso
costituisce il modello per le altre città proprio per gli edifici che vi si affacciano e in primo luogo la basilica, il
complesso Curia comitium, e i templi. Va detto anche che il foro romano che progressivamente si struttura
nel corso dell’età repubblicana poi subì delle trasformazioni e ben in qualche modo soppiantato, dall’età di
Cesare, da una serie di spazi forensi. Di fondamentale importanza è la presenza della Basilica, che aveva
funzioni di carattere Forense, Vi si tenevano cioè le attività giudiziarie, nel foro romano questo edificio ha
una tale importanza che nel corso delle secondo secolo furono realizzate ben tre basiliche, la Porcia la
Emilia e la sempronia, oggi vediamo solo i resti della Basilica Emilia perché la Sempronio fu poi sostituita
dalla Basilica Iulia. Nel foro romano odierno vediamo alcuni resti della Basilica emilia, la basilica Iulia fu
eretta nel corso del primo secolo avanti Cristo, iniziata da Cesare e poi condotta al termine da Augusto al
posto della sempronia. Se prendiamo la pianta del Foro Romano, e andiamo nella zona nord-occidentale,
troviamo un complesso di grande importanza, il complesso Curia comitium, il comizio Era uno spazio
aperto, una superficie consacrata, nel quale I magistrati tenevano le loro orazioni, era delimitato dai
cosiddetti rostra, Cioè queste tribune ornate da i rostri delle navi nemiche che erano state prelevate dopo
la vittoria di Anzio nel IV secolo. Questo comizio Curia È un'associazione molto importante che poi
ritroveremo le pubblicata in altre colonie E si trova in una zona, quella nord-occiden, quella nord-
occidentale del Foro, una zona particolarmente significativa che fin dall’età arcaica era legata a particolari
credenze tale del Foro, una zona particolarmente significativa che fin dall'età arcaica era legata a particolari
credenze e superstizioni. In questa zona Infatti il prossimità del comizio si trovava un’area chiamata Lapis
Niger, un’area quadrangolare pavimentata di lastri di Pietranera, una serie di lastre verticali la delimitano
per separare quest’area dal piano di calpestìo circostante e ne parla anche di dionigi da litarnasso, che
visitò il foro romano in età augustea, e dice che si riteneva che questi trovasse la tomba di Romolo. Alla fine
dell'800 l'area fu sottoposta indagini ea scavi da Giacomo Boni che vi trovò Tra l'altro un altare è un Cippo
con un iscrizione arcaica che sostanzialmente malediceva chi avesse profanato questo luogo. Tornato alla
ribalta recentemente per nuove indagini della soprintendenza che hanno riportato alla luce un sarcofago
risalente al sesto secolo avanti Cristo
L’area della Curia fu sottoposta a una ristrutturazione e a un rifacimento in epoca cesariana, la Curia o la
Curia senatus, dove si svolgevano le riunioni della pianta Pagi struttura dello Stato Romano,
originariamente detta Curia hostilia, la si faceva risalire all’età regia, fu sostituita da Cesare con un nuovo
edificio chiamato Curia Iulia. Questo edificio nel corso del tempo fu sottoposto a numerosi interventi
architettonici e lo vediamo oggi in una veste che risale in realtà all’epoca tardoantica, ed è uno dei
monumenti di Roma che si sono conservati meglio perché fu trasformata nel sesto secolo in chiesa, e quindi
noi possiamo ancora oggi ammirare tutto lo spazio architettonico.
Ritorniamo a parlare del foro, di una serie di edifici che si affacciano al Foro Romano, questi edifici
rappresentano un modello per le altre città romane, fino all’età Repubblica. Vediamo la pianta del foro di
Cosa è la colonia del 273 avanti Cristo. È interessante notare Come sulla piazza si aprono Da un lato la
basilica e dall’altro l’edificio che ospita Curia comitium, questo spazio che era destinato alle assemblee
popolari, dietro un piccolo tempio tetrastilo. Vediamo anche uno spazio ben strutturato è organizzato. Non
possiamo dire la stessa cosa del Foro civile di Pompei, dove però troviamo grosso modo la medesima
tipologia di edifici, In verità il foro civile di Pompei è l’esito di un progressivo ampliamento di una
successione di costruzioni anche monumentali, la piazza fu dotata di una lastricato di Portici laterali, per
mascherare anche il fatto che l’impianto non corrispondesse a un progetto unitario. Nel foro di Pompei
troviamo gli edifici destinati alle funzioni politico-amministrative, a sud vediamo edifici municipali, quindi
Curia, archivio, il tabularium e la sede dei duoviri. Troviamo poi Affacciati sempre su questa piazza di forma
lunga e stretta, altri edifici che abbiamo già visto nel foro romano, e in particolare la basilica. Accanto
all’edificio destinato all’attività Forense troviamo però diverse costruzioni destinate a svolgere la funzione
religiosa da un lato e quella economica, commerciale dall’altro. Abbiamo ad esempio su un lato Il Tempio di
Apollo, dall’altra parte il santuario dei Lari e il tempio di Vespasiano, questi edifici si aggiungono
progressivamente nel corso dei secoli. Troviamo a nord un edificio per le zone commerciali, ea Sud le
edificio di eumachia che costituiva la borsa di Pompei. La piazza di forma allungata si chiudeva con il
Capitolium, il tempio cittadino per antonomasia, a un certo punto tutte le città che volessero essere
romane si dotavano di Capitolium , che costituisce sostanzialmente il simbolo della presenza di Roma nella
città, perché il Capitolium costituiva a Roma l'edificio di culto più importante, dedicato alla cosiddetta
Triade Capitolina: Giove ottimo Massimo, Giunone e Minerva, costruito verso la fine dell’età regia sotto il
Tarquini, di origine etrusca e fu inaugurato nel 509 avanti Cristo, l’hanno della cacciata dell’Ultimo dei
Tarquini. È un tempio caratterizzato da un alto podio, un profondo pronao ed è il massimo esempio della
tipologia più comune a Roma, cioè quella del tempio Etrusco italico, che nacque Come forma autonoma
destinata ad ospitare la statua di culto della divinità in un edificio coperto.
Per capire meglio come si articola questa tipologia di Tempio: il tempio greco e le sue parti
- abbiamo un edificio circondato da un colonnato, detto peristasi; una cella all'interno che
ospita la statua della divinità, il cosiddetto Naos, che poteva anche terminare con una
adyton, cioè un vano sul retro della Cella; vi erano poi un pronaos, cioè uno spazio davanti
alla cella preceduto da colonne e poteva anche esservi un opistodomo rosso, cioè uno
spazio che si trovava dietro alla Cella.
Tipologie del tempio greco:
Tipologie di templi grechi sulla base della disposizione delle colonne in relazione alla cella: la tholos, il
classico tempio Rotondo; abbiamo la classica cella con le due colonne in antis, ovvero vuol dire a fra le
ante; prostilo significa che ha le colonne in fronte; anfiprostilo le sia in fronte che sul retro; il tempio è
periptero quando come di norma è circondato su tutti i lati da colonne; può essere dittero se c’è un doppio
circuito di colonne; pseudoperiptero quando il colonnato è finto, nel senso che in realtà non si hanno
colonne libere ma si hanno semicolonne addossate alle pareti esterni della Cella.
Abbiamo esempi di templi classici della fine del VI del V secolo avanti Cristo, del mondo greco ad esempio i
templi in Sicilia e in Magna Grecia, il tempio di Atena o di Cerere a Paestum, periptero; il tempio Selinunte
a Trapani periptero esastilo, ha sei colonne in fronte.
Tempio etrusco-italico o tuscanico:
Differenze con quello Greco. La caratteristica fondamentale consiste nella presenza di un alto podio che
sopraeleva, e rende ben visibile l’edificio, cui si accede attraverso una scalinata; l’edificio ha poi un
profondo pronao, e può avere un colonnato su tre lati, mentre il lato di fondo è chiuso in questo caso si
parlerà di periptero sine postico proprio perché non ci sono le colonne sul lato posteriore. Il Capitolium il
tempo dedicato alla Triade Capitolina a Roma, che in una ricostruzione, ci ricorda come le strutture
architettoniche antiche, come anche la statuaria, fossero orecchie di colore, fossero policrome, gli antichi
amavano molto la policromia. Questo tempio era veramente monumentale ed era coronato da un
acroterio, ovvero da un gruppo statuario, una quadriga in terracotta realizzate da artisti di Veio che si
trovava proprio sul culmine del timpano; ha 3 Celle. Questo tempio in origine era realizzato in tufo, poi nel
corso del tempo fu soggetto a diversi rifacimenti, anche a causa di incendi e venne ricostruito in marmo. Mi
rimangono alcuni testimonianze nel museo nuovo capitolino, fra cui resti del basamento di tufo. Questo
edificio di carattere sacro è veramente di grandissima importanza, quando compare nelle città è veramente
il simbolo della presenza di Roma.
- Un esempio fra i tanti di questa presenza di Roma in una colonia attraverso il Capitolium è il
foro di Thugga,o Dougga colonia romana nell'Africa Proconsolare, nel primo secondo
secolo dopo Cristo, dove venne realizzato un Capitolium, di carattere straordinario, nel
1999 è stato dichiarato patrimonio dell'umanità ed è un tempio prostilo, tetrastilo,
caratterizzato da slanciate colonne con capitello corinzio. Abbiamo anche un altro esempio
Romano di templi, che dal punto di vista della conservazione, sono piuttosto rari templi ben
conservati a Roma, prendiamo un esempio il Pantheon.
- Un altro esempio di Tempio di questa tipologia tipica romana è rappresentato dal tempio
di portunus, cioè il dio del Porto Romano, nel Foro Boario. Portunus era stato per molto
tempo denominato Tempio della Fortuna virile, ma in realtà poi si comprese che era stato
dedicato al Dio portunus. Tempio caratterizzato dalla presenza di colonne di ordine Ionico,
tetrastilo perché ha Quattro Colonne in fronte, pseudoperiptero perché sui tre lati ha delle
semicolonne. Si trova su un alto podio molto elevato con una scalinata che consente
l’accesso. Questo edificio fu realizzato con, in epoca repubblicana tra il quarto terzo secolo
avanti Cristo, Travertino, il Lapis tiburtinus e il tufo, le colonne in fronte e quelle agli angoli
della Cella sono realizzate in travertino Mentre le altre sono realizzate in tufo, questo
materiale di origine vulcanica anche poco omogeneo che veniva però rivestito di stucco, sia
con la funzione protettiva che estetica.
- Un esempio molto bello è significativo di questa tipologia di Tempio realizzata su alto podio
con gradinata di accesso, nell'ambito Provinciale, è costituita da un famosissimo con
gradinata di accesso, nell'ambito Provinciale, è costituita da un famosissimo esempio, la
casa quadrata di Nemausus, colonia romana della Gallia narbonensis. Il tempio fu
realizzato in età Augustea, nell’ultimo quarto del primo secolo avanti Cristo da Agrippa,
tempio pseudoperiptero esastilo, perché a sei colonne in fronte e con capitelli Corinzi,
tempio molto famoso anche per la sua decorazione, perché ha una trabeazione con un bel
fregio a girali di acanto, e tra l’altro in fronte la trabeazione portava l’iscrizione con la
dedica ai figli di Agrippa, Gaio e Guccio Cesari, che erano stati adottati dal nonno Augusto,
che avrebbe voluto farne i suoi eredi, ma purtroppo morirono entrambi in giovane età; La
cosa curiosa e che descrizione fu ricostruita sulla base dei Fori lasciati sulla trabeazione
dalle lettere in bronzo che sono attualmente scomparse.
Ritornando a Roma, esaminiamo un esempio di Tempio circolare, tempio Rotondo, dedicato a Ercole
vincitore o olivario, siamo ancora nel Foro Boario a Roma ed è un tempio circolare che riprende il modello
della tholos greca. Questo tempio oltre ad essere ben conservato è anche Il più antico realizzato il marmo
Greco pentelico, ed è ben conservato. Fu costruito intorno all’ultimo quarto del secondo secolo avanti
Cristo, commissionato da un personaggio molto facoltoso, un mercante che fece arrivare dalla Grecia i pezzi
di marmo che poi furono montati per ottenere Questo esempio di edificio templare di età repubblicana.
lezione 4
Edifici per spettacolo
I romani avevano dei ritmi più Blandi rispetto a quella odierna, avevano anche parecchio tempo libero,
soprattutto nelle ore pomeridiane e amavano molto frequentare i luoghi adibiti allo svago e allo spettacolo.
A Roma c’erano di diverse tipologie di teatri, anfiteatri, il circo, lo stadio è proprio perché erano edifici così
importanti per la popolazione, non di rado diventavano uno strumento di propaganda, realizzati con figli di
autopromozione personale.
TEATRO  è un edificio che deriva dal mondo greco, il nome pheatron deriva dal verbo Greco pheaumae,
Che significa vedere, è per antonomasia il luogo di spettacolo nel mondo greco. Un esempio è il teatro di
Siracusa del quinto secolo avanti Cristo, in questo tipo di edificio si diffusero moltissimo in Sicilia e in
Magna Grecia è la caratteristica del teatro greco rispetto a quella che farà invece la caratteristica del Teatro
Romano, è quella di appoggiarsi al pendio naturale, cioè il teatro Greco sfrutta la conformazione del
territorio per appoggiarsi al pendio. Prevalentemente il teatro romano tra un teatro costruito interamente
in muratura, Anche se quando possibile sfrutterà le caratteristiche del territorio, anche ricorrendo a una
tecnica messa, il lavoro degli ingegneri Romani era comunque basato su principi di praticità e di
economicità.
- Teatro greco :Il teatro antico era caratterizzato da un’ampia parte destinata agli spettatori,
questo ti chiamava cavea o kolon, che aveva una forma Cava, si disponeva intorno uno
spazio centrale chiamata orchestra, nel teatro greco era destinata alle evoluzioni del coro,
Infatti il suo nome deriva da orkeumai, che significa danzale, il luogo dove avvenivano
esibizione del coro. Sul fondo del teatro si ritrovava l’edificio scenico chiamato skenè, la
parte antistante era detta proskenion ovvero proscenio. Ci sono due corridoi le parodoi
consentivano l’accesso alla parte interna del teatro.
- Teatro romano: Roma non ebbe un teatro stabile in muratura Fino alla metà del primo
secolo avanti Cristo. Vi erano dei divieti cene storiche divano La costruzione di un teatro
stabile per problemi di ordine sociale, perché era visto come pericoloso un luogo di
assembramento della popolazione. Il primo ad aggirare questi divieti censorie, costruire un
teatro in muratura fu Pompeo Magno, con il teatro di Pompeo e lo costruì nel Campo
Marzio. Lo costruì fra il 55 e il 53 avanti Cristo dopo aver celebrato il suo famoso e
grandioso Trionfo nel 61 avanti Cristo, Trionfo seguito alla sua vittoria su mitridate re del
Ponto ( il trionfo era attribuito ai Generali vittoriosi, era una cerimonia pubblica solenne
durante la quale veniva svolto un corteo Trionfale, che partiva dal Campo Marzio e arrivava
al Campidoglio, per molto tempo fu riservato ai generali vittoriosi e a partire da Augusto
divenne appannaggio del solo Imperatore). Pompeo realizzò questo magnifico edificio in
muratura aggirando i divieti Censori. Considerò la cavea teatrale semplicemente come una
gradinata di fronte al tempio di Venere vincitrice, in realtà era un grandissimo edificio per
spettacoli e aveva un diametro di circa 150 metri e potevo ospitare dai 17 mila ai 20000
posti a sedere. Inoltre dietro l’edificio scenico, c’era un Portico chiamato catostylus, cioè
Portico dalle 100 colonne ed era aperto al pubblico e alla cittadinanza, racchiudeva un area
giardinata con fontane e Boschetti di Platani. Sul fondo recava un edificio chiamato curia di
Pompeo, che è passato alla storia perché nel 44 avanti Cristo qui avvenne l’ assassinio di
Giulio Cesare, i suoi resti sono stati identificati in prossimità dell'area Sacra di largo
Argentina. La scena era molto articolata e decorata da statue, come D’altra parte ne erano
decorati anche i portici retrostanti. Alcune di queste statue, di Apollo e Muse, che
ornavano la cena in diversi Musei, in particolare nei Musei Capitolini e nel Museo
Archeologico Nazionale di Napoli e anche al louvre.
Del teatro in se al giorno d’oggi resta veramente poco, qualcosa è visibile sotto alcuni edifici moderni, Però
come si può notare la forma della cavea teatrale si è perpetuata nel tempo attraverso la morfologia e la
planimetria degli edifici moderni che sono sorti in quell’aria, in particolare lo possiamo notare nella zona
dell’attuale via di Grotta Pinta a Roma. Il teatro di Pompeo però ci è noto grazie a un documento
archeologico molto importante, si tratta di una serie di frammenti appartenenti alla cosiddetta forma Urbis
severiana, è una grande planimetria costituita da lastre di marmo incise, grande 13 metri per 18 e occupava
l’intera parete di un edificio situato nell’area Sud del tempio della Pace, siamo nel foro della Pace a Roma,
nell’area dei Fori Imperiali. La forma Urbis realizzata in epoca severiana la si adatta nel 203 o 211 dopo
Cristo, abbiamo una ricostruzione ipotetica. Di questa pianta sono stati rinvenuti nel corso del tempo a più
riprese diversi frammenti, se ne conservano oltre un migliaio, che coprono una superficie del dieci 15% del
totale. Ciò che era interessante è che vi è raffigurata tutta l’intera pianta di Roma in scala 1 a 240, ciò voleva
dire che un un piede romano corrispondeva a due actus. La disposizione aveva il sud-est in alto, mentre
invece oggi in alto si indica sempre il nord.
- Un altro importante teatro che segui quello di Pompeo a breve distanza è quello di
Marcello, lo troviamo nell’area di Circo Flaminio, cioè l’area situata tra il Campidoglio e il
fiume Tevere, il teatro di Marcello venne iniziato da Giulio Cesare e portato a
compimento da Augusto, Venne infatti inaugurato nel 13-11 avanti Cristo, era nell’area del
Tempio di Apollo e Augusto lo dedicò al suo amatissimo e compianto nipote Marcello, figlio
della sorella di Augusto di Ottavia, E lo diede come marito alla figlia Giulia. Augusto
desiderava che fosse il suo erede, lo aveva ha designato come erede ma lui morì
prematuramente nel 23 avanti Cristo, una sorte molto triste, toccata a tutti i nipoti di
Augusto. È un teatro molto importante perché nel 17, si svolsero i Ludi secularis cioè una
cerimonia grandiosa durata 3 giorni e 3 notti, Che prevedeva spettacoli teatrali, sacrifici e
celebrava il passaggio da un secolo al successivo. Il teatro di Marcello è in parte conservato
perché nel corso del tempo è stato trasformato prima in Fortezza e poi anche in Palazzo
residenziale, si conservano bene i primi due ordini di arcate, con ordine applicati sotto
tuscanico e sopra ionico; la parte superiore invece aveva un attico con paraste corinzie.
Nella planimetria Si può notare che dietro l'edificio scenico si trova una Esedra con due
piccoli edifici accostati, si trattava dei Templi della pietas e di Diana, due dei Templi che
andarono distrutti durante i lavori per la realizzazione di questo teatro, che venne
realizzato nella zona del Circo Flaminio, che venne anche ridotto per l’occasione in una
semplice Piazza, alcuni edifici che si trovavano in quell’area vennero distrutti e poi
ricostruiti, tra questi anche il Tempio di Apollo.
- Prima nella città di Roma, poi troviamo degli edifici di tipo teatrale altrove nell’Italia
meridionale, in particolare Pompei ci offre un ottimo esempio di teatro. Siamo nella zona
meridionale della città, una delle zone più antiche, una delle zone insediative più antiche
della città di Pompei, area destinata a edifici teatrali, si trovava accanto al cosiddetto oro
triangolare dal quale si aveva anche accesso agli edifici per lo spettacolo. Vediamo una
planimetria del Teatro Grande di Pompei, grande perché abbiamo anche il teatro più
piccolo, la sua datazione risale alla fine del secondo secolo avanti Cristo, ed è un teatro di
dimensioni elevate, aveva posto per cinquemila spettatori. La cavea era divisa in tre settori,
un primo settore costituito da quattro gradinate era riservato ai personaggi pubblici, ai
personaggi politici e ai notabili della città, poi vi era un area mediana chiamata media Cava,
la parte bassa era chiamata IMA cavea, la media Cava era costituita da 20 file da destinare
agli spettatori e altre quattro file si trovavano nella parte superiore chiamata Summa
cavea. Nell’edificio di spettacolo Romano si rispecchia precisamente la suddivisione in
classi sociali, che era una suddivisione molto rigida della società romana. Inoltre la forma
del teatro di Pompei è a forma di cavallo, vi erano due forme principali a ferro di cavallo e a
forma di emiciclo, sono due forme che derivano dal teatro greco. In Summa cavea si
trovavano anche dei blocchi di tufo che contenevano i fori di alloggiamento per i pali e
sostenevano il velario, cioè proprio un telone di lino che serviva a riparare gli spettatori dal
sole. La cavea è suddivisa in cunei da scalette che servivano ad agevolare l’accesso da parte
degli spettatori. L’edificio scenico aveva una fronte molto articolata, in origine era ornata
con lastre Marmore, con colonne e statue. Accanto al Teatro Grande di Pompei si trovava
un edificio più piccolo sempre adibito allo spettacolo. Il teatro piccolo, era un teatrum
tochtum, cioè un teatro coperto chiamato anche Odeon, prendeva a modello il
bouleuterion greco, cioè l’edificio destinato alla bulè, cioè alle assemblee pubbliche, in
particolare al consiglio cittadino, era un piccolo teatro coperto destinato prevalentemente
alla recita di componimenti poetici, a rappresentazione musicale e a conferenze, ospitava
all’incirca 1500,2 mila spettatori. Questi edifici si diffusero anche in altri paesi; adeguarsi
all’abitudine romana, allo stile di vita Romano significava anche dotarsi di edifici per lo
svago e per lo spettacolo.
- Uno degli esempi più belli oggi conservati, il teatro di arausio, Orange, in Provenza
costruito nel primo secolo avanti Cristo, ha la caratteristica di sfruttare la conformazione
del territorio appoggiandosi a un pendio naturale, una cosa come abbiamo detto non molto
diffusa nel teatro romano, Ma che quando era possibile forniva un grande vantaggio agli
ingegneri e ai costruttori. Un altro esempio di ottima conservazione è il teatro di aspendos
a panfilia, vicino Antalya in Turchia, risalente al II secolo dopo Cristo e si conserva molto
bene perché fu ad un certo punto fortificato è trasformato in una fortezza; all'interno
abbiamo un Portico, l’edificio scenico con due torri laterali; e due corridoi d’accesso laterali.
realizzato sotto Marco Aurelio.
- Un altro esempio di teatro di ambito provinciale e il teatro di Dougga, in Tunisia risalente
al II secolo, l’Africa romana e in particolare la Africa proconsularis nel corso del tempo si
dotò di edifici pubblici a modello di Roma, e soprattutto nel corso del II secolo dopo Cristo
le città subirono una monumentalizzazione, perché il secondo secolo è un secolo molto
importante per la provincia Africa in quanto questo territorio conosce un boom economico,
è una terra molto fertile è molto ricca di Fondi coltivati e l’Africa era nota soprattutto per la
produzione di olio. Le città si arricchiscono di edifici per lo spettacolo Soprattutto teatri e
anfiteatri.
L’ANFITEATRO  edificio di concezione Romana ed era realizzata per ospitare degli spettacoli romani
spesso molto cruente, non molto apprezzati dalle popolazioni della parte orientale dell’impero, per motivi
di tipo culturale e infatti gli anfiteatri li troviamo prevalentemente in Italia e nelle province occidentali.
- Arena di Verona, anfiteatro a forma di ellisse come quelli del tempo, e consentiva agli
spettatori di avere tutti una visione sul centro, l’Arena. Il termine amphiteatrum lo
troviamo in Vitruvio nel suo d’de Architettura, significa spazio per vedere tutto intorno. Gli
anfiteatri erano degli edifici piuttosto grandi, ingombranti, e proprio per il tipo di spettacoli
che affrontavano, ovvero spettacoli di concezione Romana come i combattimenti tra
gladiatori, ma anche le finte cacce, le cosiddette venaziones fino addirittura alle battaglie
normali. Questi spettacoli richiedevano un grande impiego di mezzi e di uomini, creavano
molto traffico e molta confusione, carri che andavano e venivano, gabbia con belve,
attrezzature; per questo venivano preferibilmente collocati a margine della città, in
prossimità delle Mura.
- Il più antico anfiteatro archeologicamente attestato è l’anfiteatro di Pompei, collocato al
margine orientale della città, è un edificio ben conservato le dimensioni piuttosto
considerevoli poteva ospitare 20000 persone e i pompeiani. Lo chiamavano spectacula,
perché era il luogo degli spettacoli per antonomasia, il termine anfiteatro entro nell' uso
soprattutto dall'epoca di Vitruvio. Un edificio di dimensioni considerevoli, piuttosto ben
conservato a, aveva corridoi d’accesso, gradinate che consentivano una distribuzione
piuttosto controllata e razionale dei flussi degli spettatori. Aveva presso la sommità delle
strutture che consentivano di inserire, di fissare i pali per il velarium, questa tenda di lino
che serviva a riparare gli spettatori dal sole, erano considerati talmente importanti che
nelle iscrizioni pubblicitarie, che servivano a promuovere gli spettacoli gladiatori ,che si
tenevano nell’anfiteatro, che venivano dipinte sui muri e sulle facciate delle case, spesso
queste inserzioni pubblicitarie terminavano con la frase ‘ci sarà il velarium’, a testimonianza
di quanto Era considerato importante. L’area dell’Arena è delimitato da una struttura
muraria, dipinti originariamente ad affresco delle scene di lotte di gladiatori e di
venationes, attualmente scomparsi, sono attestati solo da acquerelli. Recentemente in un
edificio della Regione quinta di Pompei, È stato rinvenuto un bellissimo affresco proprio che
ritrae una scena molto cruenta al termine del combattimento di due gladiatori, sono
ricerche recenti che sono state condotte grazie a un finanziamento straordinario, per il
grande progetto Pompei. Un’altra pittura rinvenuta in una Domus di Pompei ritrae
l'anfiteatro pompeiano durante un episodio storico, che risale al 59 dopo Cristo, ed è la la
zuffa, una sorta di guerriglia urbana scatenata Fra pompeiani e noucerini proprio di fronte
all’anfiteatro. Si può vedere come questi luoghi di assembramento possono diventare
luoghi di tensione e di disordini sociali. In questa pittura viene anche raffigurato il velarium
che doveva riparare gli spettatori.
- Un’altra importantissima testimonianza di questo genere di edifici, probabilmente molto
antica, la dotazione la cronologia di questo edificio non è così chiara, si ha detto inizio del
primo secolo avanti Cristo, potrebbe essere più o meno contemporaneo a quello di
Pompei, forse un pochino anteriore però in prossimità è stata trovata un epigrafe che parla
di rifacimenti dell’epoca di Adriano e di Antonino Pio, parliamo dell’Anfiteatro di Capua, a
Santa Maria di Capua Vetere, enorme ed è secondo soltanto al Colosseo, all’anfiteatro
Flavio di Roma. Era costituito da 4 piani con arcate e con la decorazione costituita da ordine
tuscanico, l’altezza complessiva superava i 45 metri, era un edificio davvero molto
imponente. Le Arcate erano rivestite in travertino e proprio questo fatto ne determinò la
sua comparsa, in quanto fu smontato e fu utilizzato propri dagli abitanti di Capua per la
costruzione di diversi edifici, fu usato come Cava di materiale da costruzione. Ospitava la
scuola dei gladiatori, scuola dalla quale parti la famosa rivolta di Spartaco del 73 che tenne
in scacco Roma per ben due anni.
- L’anfiteatro più famoso, più noto al mondo è l’anfiteatro Flavio, il Colosseo, i cui lavori
furono avviati sotto Vespasiano è concluso i sottotitoli, l'edificio fu Infatti inaugurato nell'80
dopo Cristo. L’anello esterno è alto quasi 50 metri, un edificio enorme, potevo aspettare
dalle 70 e 80.000 persone. Vi si potevano svolgere oltre che combattimenti di gladiatori,
combattimenti con fiere, ma anche ricostruzione di battaglia navale. Il Colosseo venne
edificato nella zona che era occupata originariamente da un laghetto artificiale e faceva
parte della Domus Aurea di Nerone: politica degli Imperatori Flavi quella di restituire al
pubblico degli spazi che prima erano occupati da Dimore private, in particolare dalla grande
dimora di Nerone. L’anello esterno in travertino si conserva soltanto in parte, e fu Infatti
sostanzialmente smontato nel corso dei secoli, soprattutto in epoca medievale, addirittura
si estrassero i perni di ferro, che servivano a tenere insieme i blocchi di Travertino, ed è per
questo che la facciata oggi appare costellata di lacune e di buchi. Questo edificio
presentava tre Arcate ornate da semicolonne, di ordine tuscanico in basso, Jonico, corinzio
in alto, e la parte superiore era invece chiusa, sostanzialmente era un attico che presentava
una serie di finestre e nella parte superiore delle mensole, si trattava di un sistema
funzionale alla copertura dell’edificio tramite un velarium, manovrati da una squadra di
marinai. Oggi internamente il Colosseo è spoglio e privo di gradinate, ciò non trasmette
l’idea di come doveva originariamente presentarsi, ormai è semi crollato, al centro vediamo
I sotterranei che dovevano ospitare tutti i servizi mentre originariamente il tutto era
coperto da un tavolato ligneo che costituiva L’Arena, un tavolato asportabile. Gli spettatori
entravano per prendere posto sulle cretinate da 4 ingressi, sulle Arcate abbiamo ancora
segnati dei numeri progressivi che dovevano corrispondere ai biglietti degli spettatori, cioè
le cosiddette tessere. Questi quattro ingressi erano disposti in corrispondenza degli assi
principali, gli spettatori prendevano posto sulle gradinate, le quali erano suddivise in cinque
settori sovrapposti, chiamati meniana, anche in questo caso come abbiamo già visto per il
teatro i settori erano divisi sulla base della stratificazione sociale, Cioè sulla base delle
diverse classi sociali. L’ultimo settore era occupato dalle donne. E rimangono alcune
testimonianze di carattere epigrafico sui sedili, in particolare si riferiscono le varie categorie
che potevano prendere posto in determinati settori, ad esempio i cavalieri, maestri di
scuola, gli ospiti della città…. Non c’erano nomi personali se non nelle primissime file,
quelle destinate ai notabili Dove ci sono anche nomi erasi più volte e rinnovati. Accanto
all’edificio trovava posto un’enorme statua la statua colossale di Nerone- Helios oggi la sua
posizione è indicata da un riquadro nella pavimentazione stradale. Questa statua di Nerone
Helios in origine si trovava nell’atrio della Domus Aurea, misurava circa 35 metri, spostata
accanto al Colosseo da Adriano Quando costruì il tempio di Venere a Roma, infatti lo costruì
proprio nella zona dell’atrio della Domus Aurea.
- Un altro esempio di anfiteatro lo abbiamo a Verona, L’Arena di Verona, la cui datazione è
stata controversa, adesso ci si è attestati sull’età augustea Tiberiana, nei primi 30 anni del
primo secolo dopo Cristo, questo sarebbe confermato anche dalle analogie. L'associazione
sarebbe anche confermata da un analogo edificio molto ben conservato, l'anfiteatro di
Pola, in Istria che risale alla prima metà del primo secolo dopo Cristo.
- Anche nelle province e soprattutto nella provincia Africa, questo tipo di edificio ha grande
successo, in Africa troviamo circa 20 edifici per questo tipo di spettacoli, alcune città come
Cartagine o come Thysdrus ,l’attuale El Djem .ne hanno addirittura due, qui vediamo
l’anfiteatro di Thysdrus, molto ben conservato è chiamato il Colosseo africano, risale alla
prima metà del III secolo dopo Cristo, intorno a 230. Abbiamo una facciata a tre ordini di
arcate, decorate da colonne e muro di coronamento nella parte superiore. La parte interna
di questo teatro di dimensioni notevoli, nel terzo anfiteatro per dimensioni dopo il
Colosseo e dopo l’anfiteatro di Capua, poteva contenere fino a 30000 spettatori. È
l’espressione del boom economico africano, è l’espressione della ricchezza, della prosperità
di una città come appunto Thysdrum, che è diventata capitale dell’olio.
IL CIRCO  a Roma è rappresentato in particolare dall'enorme struttura del Circo Massimo, fondato in
epoca arcaica, rappresentò il modello per le altre analoghe strutture del mondo romano. Enormi
dimensioni 620 X 140 m, destinato alle corse dei carri come su l’idea dell’ippodromo Greco. Il Circo
Massimo era collocato della Valle Murcia tra il Palatino e l’aventino. Le caratteristiche dell’edificio sono da
un lato e carceres che serviva per racchiudere i carri che poi sarebbero lanciati nella corsa e la spina, una
struttura situata lungo l’asse era una struttura muraria che attraversava l’Arena e ospitava una serie di
monumenti, sia di tipo onorario che ti dico funzionare, statue, obelischi, ma anche le uova e i delfini che
segnavano i giri dei carri; le mete, cioè degli elementi a forma di cono situati alle estremità, indicavano i
punti dove i carri dovevano girare. Questo tipo di edificio ospitava le corse dei carri e le quali con il loro
molto continuo, indicavano simbolicamente il passaggio del tempo, cioè la ripetitività del passaggio del
tempo, questi edifici avevano anche un significato simbolico In più, la presenza dell’obelisco rimandava
all’Egitto, al dio del sole era. Era un edificio dal carattere fortemente simbolico e non per niente di bene
anche un luogo privilegiato in cui L’Imperatore si mostrava, Non per niente il Circo Massimo si trova
accanto al Palatino, dove sorsero le residenze Imperiali.
LO STADIO  ultima tipologia poco diffusa in occidente, costituisce quasi un eccezione lo stadio di
Domiziano, costruito nell’ultimo quarto del primo secolo dopo Cristo, situato a Roma nel Campo Marzio, si
distingueva dal circo per l’assenza degli elementi caratteristici del circo ovvero i carcere e la spina. Però in
più aveva una forma rettangolare allungata con un lato curvo e serviva sostanzialmente per esercizi
sportivi, per gare sportive punto Oggi l’area dello stadio di Domiziano corrisponde a Piazza Navona, che
costituisce uno degli esempi più spettacolari oggi di continuità urbanistica nella città di Roma. Gli edifici
intorno Piazza Navona sorgono sopra le gradinate dello stadio di Domiziano, che in alcuni punti sono ancora
visibili.
LEZIONE 5
LE TERME  simbolo di vita dello stile Romano, una vita intensa rispetto a quella odierna. I romani
potevano dedicare molto tempo ad attività ricreative, allo svago e soprattutto nelle ore pomeridiano,
Perché l'attività lavorativa prevalentemente si svolgerà durante la mattina, nelle ore libere del pomeriggio i
romani amavano recarsi alle terme, Roma era ricca di impianti termali e, soprattutto in età Imperiale. In
questi edifici queste strutture termali i romani si dedicavano in particolare alla cura del corpo, perché non
tutte le case avevano bagni privati, Anzi la maggior parte delle case non era dotata di questi esercizi, solo le
domus più vistose, quelle delle classi sociali benestanti potevano permettersi dei balnea privati. L'acqua era
un elemento importantissimo che veniva concesso a persona, e quindi appunto soltanto Le Dimore più
ricche e più lussuose disponevano di un balneum. Normalmente si andava per queste necessità alle terme
pubbliche, dove poi per la verità non ci si recava soltanto per la cura del corpo, ma si poteva fare molta
tranquillità. Questa attenzione dei romani alla cura del corpo si sviluppa soprattutto con il contatto, con il
mondo greco ellenistico. I romani e dedussero di associare la palestra ai bagni da un particolare edificio
Greco che è il ginnasio, dove avveniva la formazione, l'addestramento dei giovani. Alle terme non ci si
ricava soltanto per lavarsi ma ci si recava anche per una serie di altre attività, Innanzitutto le terme erano
un luogo di incontro importante, si incontravano amici conoscenti e si poteva conversare, si poteva anche
trattare di affari politici e istituzionali. In questi luoghi si potevano fare molte altre cose, c'erano ambiente
date massaggi alla depilazione, si potevano fare diverse attività non solo sportive, ma anche culturali,
c’erano biblioteche. Era un edificio polifunzionale. Nel corso del primo secolo dopo Cristo quello delle
Terme divenne numero di massa, D’altra parte i prezzi di accesso erano molto bassi, ma simbolici, a volte
l’ingresso era gratuito e per cui alle terme si poteva incontrare persone appartenenti a tutte le classi sociali,
da quelle più elevate a quelle meno abbiente.
Le Terme erano costituite da una serie di ambienti adibiti a specifiche funzioni. Se prendiamo la pianta delle
Terme di Ercolano, vediamo gli ambienti essenziali, erano tre locali: il caldarium, tepidarium, frigidarium.
Uno riscaldato, uno di temperatura media e uno freddo. Un altro importante ambiente era lo spogliatoio o
apodyterium, poi c’era la palestra, dove si svolgeva un'attività di carattere sportivo; un altro ambiente
importante era la natatio, cioè la piscina natatoria, un esempio ce lo abbiamo nelle Terme di Diocleziano a
Roma. Un altro elemento importante è la latrina, un ambiente che presentata una serie di sedili, disposto
tutto il giorno lungo le pareti, con una canaletta dove scorreva l’acqua corrente e dove si potevano
intingere degli spugne igieniche.
Nelle Terme si potevano fare varie attività, si poteva iniziare passando dal po’ di Taylor, dagli spogliatoi; si
potevano fare degli esercizi ginnici in palestra; si poteva passare al tepidarium; il caldarium; in alcune
Terme c’era un ambiente con aria calda ,secca a temperatura molto elevata, dopo si poteva passare al
frigidarium; si poteva andare a fare una bella nuotata nella natatio; si poteva passare anche gli altri servizi,
massaggi, depilazione e incontri intime; si poteva andare a prendere i pasti eccetera…
Gli ambienti caldi in particolare il caldarium erano riscaldati attraverso un sistema di riscaldamento
chiamato hypocaustum, consisteva nel riscaldare un ambiente attraverso una pre phormium, in forno che
si trovava sotto il pavimento, che inviava aria calda al di sotto del pavimento e lungo le pareti. Il pavimento
Infatti era costituito da suspensure su pile, quindi l'aria poteva circolare al di sotto e inoltre le pareti
avevano un intercapedine costituita da tubi di terracotta che poi venivano ricoperti dall’intonaco e quindi
l’aria poteva circolare anche lungo le pareti. Era una sorta di riscaldamento antelitteram. Un esempio sono
le terme romane di via Terracina a Napoli, in cui troviamo i pavimenti costituiti da sospensore su pile;
poteva anche essere il caso di pavimenti sopraelevati su archi di laterizi come le Terme Romane di perge
in Turchia. Questi impianti che funzionavano con l’alimentazione di Prefurni , situati sotto il pavimento,
dovevano essere constantemente attivi, venivano alimentati con continuità, perché gli ambienti caldi non
dovevano raffreddarsi, quindi bisognava mantenere costantemente alta la temperatura. Con tutte le decine
di terme e di impianti termali che si trovavano a Roma e nelle città dell’impero, vi era un consumo di
tonnellate e tonnellate di legna. Questo Fu uno dei più importanti motivi di disboscamento dell’epoca
romana. Alcuni degli impianti termali di epoca imperiale, preceduti nell’età augustea dalle famose Terme di
Agrippa in Campo Marzio, in epoca imperiale a partire dal primo secolo dopo Cristo questi edifici
raggiunsero delle dimensioni davvero maestose, a volte colossali
- Terme di Tito a Roma, in epoca Flavia, dedicate nell’80 dopo Cristo e furono realizzate in
quell’area che oggi possiamo identificare a nord-est dell’Anfiteatro Flavio quindi del
Colosseo. L’area che era in precedenza dalla Domus avrei Nerone, può proprio una
caratteristica della politica flavia quello di restituire al pubblico gli spazi che Nerone aveva
destinato la sua dimora privata. Le terme di Tito, inaugurate negli 80 dopo Cristo, andarono
probabilmente a sovrapporsi in parte al padiglione esquilino della Domus Aurea. Una
caratteristica delle Terme Imperiali era la disposizione assiale degli ambienti.
- Terme di Traiano, plastico della Roma imperiale situato nel Museo della Civiltà Romana,
troviamo queste grandi terme inaugurate all’inizio del II secolo dopo Cristo, realizzate da
un architetto famoso, Apollodoro di Damasco. Sono Terme molto imponenti, realizzate
sopra le strutture preesistenti, ad esempio il padiglione esquilino della Domus Aurea di
Nerone. Di questo grande edificio rimane poco oggi, solo la palestra orientale è un abside
del lato Su. Nella planimetria delle Terme di Traiano ci possiamo rendere conto di come le
Terme di Tito prima e le Terme di Traiano poi andavano per l’appunto a sovrapporsi, o
comunque ad affiancare le strutture del Padiglione esquilino della Domus Aurea di Nerone.
L’impianto assiale tipico delle Terme Imperiali al quale si accedeva da nord-est, al
complesso dei bagni che appunto era distribuito in modo assiale, si iniziava con la
natatio ,per passare Poi a un grande frigidarium in posizione centrale, al tepidarium e al
caldarium. Ai lati si trovavano gli apoditherja, cioè gli spogliatoi e le palestre.
- Terme di Caracalla, Roma, Un altro importante centro termale, dette Terme antoniniane,
ne conosciamo la planimetria e la dislocazione topografica. Sono Terme davvero
monumentali, Notiamo la disposizione ancora una volta assiale, a pianta rettangolare,
nell'asse sono distribuite il caldarium e tepidarium e il frigidarium, e la natatio. Troviamo
poi altri ambienti laterali come le palestre in posizione simmetrica ai lati dell'asse. Queste
Terme furono inaugurate su iniziativa di Caracalla nel 216 dopo Cristo. Di questo complesso
monumentale oggi che rimangono ampi e significativi.
- Terme di Diocleziano, Roma, Terme imponenti di cui rimangono resti significativi, vediamo
ancora l’impianto assiale. Questo impianto dedicato inizio del IV secolo a Diocleziano,
aveva un funzione notevole, si estendeva su 13ettari, considerato il più grande impianto
termale di Roma. Poteva ospitare fino a 3000 persone contemporaneamente si trattava di
un impianto di grandi dimensioni. Lo schema è sempre quello delle grandi Terme Imperiali,
con una disposizione assiale dei tre ambienti principali delle Terme, caldarium tepidarium
frigidarium, poi abbiamo la natatio; ai lati palestra, l’area del frigidarium è occupata oggi
dalla basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri.
- Questo modello delle Terme Imperiali ebbe molto successo anche in ambito provinciale,
siamo nella provincia Africa, sono le Terme di Antonino di Cartagine, dove vediamo
replicato anche in questo edificio Provinciale le medesime caratteristiche degli impianti e
delle grandi Terme Imperiali, ricordiamo una costruzione risalente al II secolo dopo Cristo,
molti edifici pubblici nella provincia Africa risalgono a quest'epoca perché questa è l'età
media Imperiale, periodo di grande sviluppo economico della provincia africana e dunque
anche l’epoca della grande monumentalizzazione della città di questa importante provincia
dell’Impero. Per alimentare questi impianti erano necessari enormi quantità, non solo di
legname, ma anche di acqua. Ad esempio le le terme di Antonino ero alimentata
dall’acquedotto di Zaughuan, lungo 135 km circola, in Tunisia. Un acquedotto di cui
restano dei resti imponenti, esteticamente molto belli e alle sorgenti dell’ acquedotto di
Zaughuan vi era un tempio chiamato tempio delle acque che furono adottate da Adriano
nel secondo secolo dopo Cristo, oggi è una meta turistica molto famosa.
Abbiamo visto come la città di Cartagine e in particolare il suo impianto termale fossero alimentati
attraverso un grande acquedotto, l'acquedotto di zaghouan di cui rimangono notevoli resti ancora oggi.
Lungo 132 km, l’acquedotto Infatti capitava l’acqua in una sorgente che è situata a sud di Tunisi, fu
monumentalizzatata in età adrianea, Quando venne edificato un enorme Ninfeo che oggi prende il nome di
tempio delle acque, sempre a Zaughuan in Tunisia. In ambito africano abbiamo un altro esempio di
acquedotto, di cui si conservano ancora ampi tratti che sono stati recentemente rilevati e documentati,
questo acquedotto era lungo circa 11 km, capitava le acque dalla sorgente di Ain El Hammam, per
alimentare la città di Thugga, siamo intorno alla fine del II secolo dopo Cristo.
Ritornando a Roma, abbiamo visto che ha numerosi edifici di carattere termale, soprattutto nella prima età
Imperiale sia arricchi di questi edifici e necessitava di grandi quantità di acqua, l’approvvigionamento idrico
per Roma era assolutamente essenziale. Nel corso del tempo la città si dotò di ben 11 acquedotti: Il
dodicesimo ovvero l’acqua antoniniana era una diramazione dell’Acqua Marcia. Questi acquedotti
capitavano prevalentemente le acque dal bacino dell'aniene e dalle sue fonti, siamo qui di nella zona est,
l'acqua proveniva dalla zona est sud-est rispetto alla città, e in alcuni casi Però anche dalla zona del Lago di
Bracciano, che invece era situato a nord. Questi 11 acquedotti connotano il paesaggio urbano, ma anche il
paesaggio suburbano di roma. I romani però non furono i primi a costruire acquedotti, possiamo ricordare
ad esempio il condotto sotterraneo, scavato nella roccia, che costituiva l’acquedotto detto pythagorion,
sull’isola di Samos nell’egeo, ed è una costruzione che risale al sesto secolo avanti Cristo che lo storico
Erodoto attribuisce a eupalino di Megara, molto antico però un condotto di circa un chilometro scavato
nella roccia e quindi non corrisponde all’immagine che un po’ tutti abbiamo del classico Acquedotto Antico,
soprattutto su arcate. Per avere un acquedotto di questo tipo, con un condotto a tenuta stagna e con una
struttura ad Arcate dobbiamo arrivare all’ acquedotto di Pergamo, siamo in età ellenistica, in Turchia,
prima metà del secondo secolo avanti Cristo, si precede di poco la realizzazione dei grandi acquedotti su
Arcate di roma. I romani erano molto orgogliosi delle loro realizzazioni di ingegneria civile e andavano
davvero molto fieri dei loro acquedotti; Plinio il Vecchio nella sua historia diceva che al mondo non esisterà
qualcosa di più meraviglioso degli acquedotti. Ma forse quello che più esprime questo orgoglio nei
confronti di queste monumentali opere dell’ingegneria romana e Frontino, il curato che nacque all’epoca di
Nerva, era il soprintendente agli acquedotti E scrisse un’opera dedicata a queste straordinarie strutture,
che connotano un po’ tutto il mondo romano. Frontino dice infatti che si può mettere a confronto Un’opera
come quella degli acquedotti con le piramidi degli egizi, o con altre famose opere greche che però sono
inutili, queste opere per quanto grandiose e famose non potranno reggere il paragone con gli acquedotti
romani, la cui costruzione iniziata Nel quarto terzo secolo avanti Cristo, infatti gli acquedotti più antichi
sono l’acqua appia e l’ilanio vetus, che però erano acquedotti sotterranei.
- La prima testimonianza di acquedotti su Arcate, risale al 144 avanti Cristo e si tratta
dell’Acqua Marcia, acquedotto che capitava l’acqua dal bacino dell’aniene, quindi siamo
adesso di Roma.
- Un’altra testimonianza è l’ottavo degli 11 acquedotti costruiti per alimentare la città di
Roma, l’acqua Claudia, costruita sotto il regno dell’imperatore Claudio, di cui abbiamo
delle testimonianze, non soltanto dentro la città di Roma ma anche nel contesto periferico
rispetto alla città.
- Questi acquedotti sono diffusi un po’ in tutto l’impero romano, Dove troviamo numerose
testimonianze, una delle più straordinarie e anche delle più famose e di Maggiore successo
dal punto di vista turistico è costituita dal cosiddetto Pont du Gard, che è un ponte ad
Arcate che sosteneva l'acquedotto di Neem, cioè l'acquedotto che alimentava L'Antica
cittadine di Noun, siamo in Gallia narbonensis, nel primo quarto del primo secolo avanti
Cristo.
- Un altro esempio impressionante di acquedotto romano in ambito Provinciale è costituito
dal acquedotto di Segovia, siamo in Spagna nel primo secolo dopo Cristo. Questi
acquedotti che erano in grado di assicurare alla città un approvvigionamento idrico a volte
paragonabile a quello attuale, cioè la portata di questi acquedotti poteva andare dai 500 ai
1000 litri per abitanti al giorno, portate che potevano anche ridursi nel corso del tempo a
causa degli strati di calcare che si accumulavano lungo le pareti dei Condotti. Il condotto da
cui passava l’acqua era chiamato specus, il quale doveva attraversare un territorio più o
meno ampio, la lunghezza degli acquedotti era variabile, dipendeva da diverse circostanze;
poteva essere scavato nella roccia Oppure poteva attraversare ponti di arcate. Lo specus
doveva mantenere una pendenza leggera e costante, molto variabile, si può andare dai 38
cm al chilometro dell'acquedotto di Neem, ai 16 metri dell'acquedotto di Lione. Il canale
doveva avere una dimensione sufficiente a consentire il passaggio di un uomo e, perché
naturalmente Bisognava anche fare la manutenzione di queste strutture e per questo lungo
il percorso dello specus vi erano dei potei, degli accessi a forma di Pozzo per consentire
l’accesso del personale che eseguiva la manutenzione. Lo specus poteva essere
sotterraneo o passare sopra dei ponti, li dove ci fossero dei dislivelli, quando questi
avvallamenti erano molto ampi e molto profondi talvolta si ricorreva a un sistema detto del
sifone rovescio, questo sistema, che non veniva impiegato molto spesso perché richiedeva
dei costi elevati, si basava sul principio dei vasi comunicanti e consisteva nel far passare
l’acqua da un bacino posto in alto rispetto all’avvallamento, dal quale partivano dei tubi
normalmente realizzati in piombo, materiale malleabile e aveva una bassa temperatura di
fusione e costosa, In sostanza l’acqua passava attraverso questi tubi di scendendo Il pendio,
il dislivello ad un certo punto veniva ridotto attraverso un sistema ad Arcate e poi i tubi
risalivano lungo il pendio portando l’acqua in un’ulteriore serbatoio da cui poi lo specus
proseguiva il suo percorso. L’ingegneria Romana aveva davvero raggiunto un livello molto
alto.
Quando l’acquedotto arrivava in prossimità della città avveniva la distribuzione dell'acqua ai diversi di fichi
e ai diversi impianti cittadini. L'acqua veniva raccolta in una struttura che si chiamava castellum Aquae, ne
vediamo uno a Pompei, si trovava normalmente nel punto più elevato della città e nel caso di Pompei
ripartiva l’acqua in diverse direzioni. Nella parte interna del Castello acque, arrivava l’acqua attraverso lo
specus, si raccoglieva in un bacino, c’era anche un intonaco affrescato di una scena di un Dio fluviale e
ninfe. Dopo veniva filtrata attraverso un sistema di filtri, attraverso una saracinesca e infine passava
attraverso 3 condutture che la portavano in 3 direzioni diverse, cioè da un lato ad alimentare le fontane
pubbliche, dall’altro gli edifici pubblici e infine le case private che avessero la concessione. Questo avveniva
attraverso delle condutture a tenuta stagna, realizzate in piombo, però a volte venivano anche realizzate il
terracotta e a Pompei queste condutture correva normalmente al di sopra del piano pavimentale.
Soprattutto nei territori che soffrivano di un clima particolarmente secco e di lunghi periodi di siccità,
l'acqua veniva raccolta anche in grandi cisterne, che raccogliere l’acqua piovana oppure che erano collegate
agli acquedotti E costituivano sostanzialmente delle riserve idriche per la città, da utilizzare nei momenti di
particolare necessità. Vi sono numerosissimi tempi di cisterne nel mondo romano, sono normalmente
realizzate in opera cementizia:
- Cisternoni, di Albano che risalgono al III secolo dopo Cristo, sono delle cisterne enormi
molto famose. Ancora funzionanti e spesso sono ancora visitabili anche a livello turistico.
- Piscina Mirabilis, di Miseno, scavata nel banco tufaceo, in età augustea.
- Cisterne romane della Maalga, sono quelle più diffuse, soprattutto nell’africa romana,
sono costituite da una serie di serbatoi con volta a botte, qui siamo in Tunisia Precisamente
a Cartagine, Infatti queste cisterne erano collegate alla sua rete idrica. Si va dal I sec d.c. ai
primi decenni del II.
- Cisterna sommersa, una delle cisterne più famose al mondo a Istanbul, a Yerebatan Saray,
con delle camere voltate sostenute da colonne corinzie. Tuttora visitabile, realizzata
all’epoca di Giustiniano, nella prima metà del VI sec d.C.
Lezione 6

L’edilizia residenziale in età romana


Tema importante, non solo perché riguarda la quotidianità, lo stile di vita è il modo di vivere dei romani
antichi, ma anche perché ci dà delle importanti informazioni sugli aspetti sociali mondo romano.
Noi disponiamo di una fonte molto importante, Vitruvio, architetto e autore del de architectura, un’opera
pubblicata negli anni 20 avanti Cristo, dedicata ad Augusto e un’opera che per la verità era un manuale
destinato alla classe dirigente, che conteneva informazioni e suggerimenti anche per gli architetti e per i
manovali. Per coloro che operavano direttamente sul campo, in questo manuale di trucchi e ci parla delle
tecniche edilizie, ci dà delle importanti indicazioni anche sulle dimore, sull'architettura residenziale romana;
in particolare ci parla della articolazione degli spazi domestici, della suddivisione in ambienti della casa
romana, ci dice Quali erano le denominazioni di questi ambienti, ci suggerisce gli orientamenti preferenziali
per le stanze, a volte dà anche l’indicazione di misure, ci dice Qual era la funzione di determinati ambienti e
ci dice anche qual era la connotazione sociale degli spazi della casa romana. Tutto questo vale per un
periodo cronologico abbastanza limitato, che possiamo individuare fra la tarda età romana e la prima età
Imperiale, una fonte così precisa e sistematica su questi aspetti per le altre epoche non l’abbiamo, per le
fasi ulteriori a quella descritta da Vitruvio e per le fasi posteriori ci basiamo Soprattutto sulle fonti
archeologiche, soprattutto sui resti fornitici dall’archeologia; in particolare per l’epoca anteriore 79 dopo
Cristo, l’anno dell’eruzione Vesuviana,abbiamo il grandioso complesso dei centri Campani vesuviane e per
le epoche posteriori, per l’età medio tardo Imperiali ,abbiamo soprattutto l’evidenza archeologica di Ostia
Antica. Abbiamo numerosissime testimonianze nell’ambito provinciale. A Roma non rimane moltissimo,
una città che ha avuto un grande sviluppo, una continuità insediativa che non ha permesso la conservazione
di molte testimonianze in questo senso.
LA CASA ROMANA  partiamo dalle testimonianze che risalgono all’epoca arcaica è alla prima età
repubblicana. Fin dalla fine del secolo sul Palatino a Roma dovevano trovarsi case che rispecchiavano il
modello della casa etrusco-italica, Questo modello lo conosciamo prevalentemente dai centri Etruschi,
come Murlo, Acquarossa, Marzabotto. Questa casa si incentra va su un ambiente che era poi il fulcro
dell’abitazione ovvero l’atrio, che aveva un tetto conformato in modo da permettere che aria, luce e anche
pioggia entrassero in casa; l’atrio attraverso il compluvium, era anche fonte di luce aria e
approvvigionamento idrico per gli abitanti della casa. L’atrio era anche il luogo dove originariamente si
trovava il focolare, infatti dal Grammatico Servio sappiamo che il termine atrium deriva da ater, in latino
vuol dire scuro nero, annerito Probabilmente dal fumo del focolare. All’atrio si accedeva attraverso un
ambiente, una sorta di corridoio chiamato fauces, è sul fondo c’era un tablinum; sul fondo vi era un
ambiente giardinato, l’hortus, che rappresentava anche l’ eredium, cioè il piccolo appezzamento ottenuto è
avuto in eredità, caratteristica delle case più antiche. La casa si articola con vari ambienti intorno all’atrio, il
quale è tradizionalmente la parte più importante e delle Fonti sappiamo che qui si conservavano anche le
immagini degli antenati, cioè le cosiddette immagine maiorum, che erano poi i volti degli antenati, ottenuti
tramite la cera sul volto dei defunti. Da queste maschere di cera si ottenevano delle effigi, che venivano
portate nelle cerimonie pubbliche di carattere funebre. Alcune testimonianze ritroviamo in particolare:
- a Pompei, nella casa del Menandro, trovate nel larario, spazio della casa destinato al
culto domestico, in particolare al culto dei Lari, divinità che proteggevano le attività
domestiche. Nel larario della casa del Menandro sono state trovate delle statue, dei busti,
che si ritiene raffigurino Gli Antenati e si ritiene che all'origine fossero in cera o in legno;
queste teste sono state ottenute tramite il sistema di colare il gesso nelle cavità, lasciate
dentro lo strato di cera indurita dai materiali organici che sono scomparsi, è un sistema che
permette di ottenere dei calchi in gesso e che è stato sperimentato nel corso dell’800,
sistema con cui sono stati realizzati i carichi degli uomini, delle vittime dell’eruzione e anche
di piante o di radici di alberi…
- Un altro esempio lo troviamo in una celebre statua del togato Barberini, del primo secolo
avanti Cristo a Roma, dove vediamo personaggi in toga che regge nelle mani due busti dei
suoi Antenati.
Dalla casa etrusco-italica si sviluppa la casa romana tradizionale, uno degli esempi più antichi testimoniati
archeologicamente è a Pompei la casa del chirurgo, risale al quarto secolo. Costruita in opus quadratum,
prende il nome da una serie di strumenti chirurgici di bronzo e di ferro che si trovano dentro questa
dimora. L'articolazione di questa casa ha un vestibolo che dalla strada porta dentro l'atrio, sul quale si
affaccia una serie di ambienti fra cui dei cubicula, cioè delle stanze da letto;sul fondo abbiamo l’orto,
questo spazio caratteristico destinato ad area giardinata oppure a vero e proprio orto. È una delle
testimonianze più antiche e va detto che poi questa casa romana fu soggetta a importanti trasformazioni
soprattutto fra il III e il II secolo avanti Cristo. Fase molto importante perché Roma viene a diretto contatto
con la cultura dell’oriente ellenistico, viene a contatto con il mondo greco ellenistico, con questa
progressivamente tutta l’area orientale del Mediterraneo e ciò è importante anche dal punto di vista
culturale, perché Roma asimila in questo modo alcuni stili di vita, alcune abitudini e alcuni elementi spazi
architettonici tipici di quel mondo. La società romana si trasforma in questo periodo, il quadro politico
sociale Romano è dominato dalle famiglie aristocratiche appartenenti l’aristocrazia senatoria ed equestre,
sono coloro che gestiscono il potere politico e anche il potere economico basato sulla proprietà terriera.
Proprio in questo periodo storico, a seguito delle conquiste e ha seguito delle campagne militari , alcune
famiglie si arricchiscono enormemente acquisendo progressivamente terreni e creando latifondi,
determinando una massa di diseredati che poi si riversa negli spazi urbani. Ed è proprio in questo periodo
che la gerarchia sociale si evidenzia ancora di più attraverso varie modalità, segni diversi in molti modi, Fra
questi anche attraverso proprio l’edilizia abitativa, che sempre di più risponde a delle esigenze di
rappresentatività e di prestigio che rispondono a una spinta di autoaffermazione personale. Le case si
arricchiscono e si arricchiscono anche di spazi che derivano proprio dall’architettura del mondo greco
ellenistico. Su questo aspetto vitruvio da alle città delle indicazioni molto utili e molto interessanti, lui
consiglia infatti alla classe dirigente di costruire case grandiose, con adeguati spazi anche per il ricevimento,
di dotarli alti vestiboli regali, di giardini ampli e portici di notevole estensioni, lussuosi imponenti;
biblioteche pinacoteche e basiliche la cui magnificenza può competere con quelle dei monumenti pubblici.
Queste residenze magnifiche erano molto utili ai proprietari Per accrescere il proprio prestigio personale, e
per reclutare il propri clientes, i cittadini che si mettono a disposizione di cittadini ricchi, di un patronus, in
cambio di protezione ed elargizione, mettono a disposizione la propria attività e i propri servigi, in
particolare Li sostengono durante le campagne elettorali. Da Vitruvio conosciamo anche il rito della
salutatio matutina: quando questi clienti si ritrovano fuori dal vestibolo di queste case signorili e aspettano
il patronus, seduti sui banconi e appoggiati all’ingresso delle abitazioni. Tutto ciò non serve a quelli che
vengono definiti homines comuni fortuna, come Vitruvio dice, coloro che sono di fortuna modesta, e che
non necessitano di magnifici vestiboli o altro, poiché sono loro a fare visita agli altri per mettersi a
disposizione e non viceversa. Interessante è il fatto che a Pompei siano state trovate bene 26 casseforti,
forzieri che contenevano queste grandi ricchezze spesso venivano messi in bella mostra nelle case dei
Domini, l'ostentazione della ricchezza e del potere avveniva proprio anche attraverso la esposizione dei
forzieri, che venivano sistemati sopra dei blocchi quadrangolari in pietra appoggiati spesso alle pareti
dell’atrio, in modo che i visitatori potessero vederli e restare impressionati dalla ostentazione di questa
ricchezza tutto.
Gli elementi essenziali della casa romana: un ingresso che poteva articolarsi in due parti, faucets e
vestibulum, questa sorta di ampio corridoio in metteva nell’atrio, che rimane nella casa romana anche
dopo l’evoluzione del terzo e secondo secolo, rimane la parte principale è la parte più significativa della
casa, ancora attraverso il sistema del compluvium e impluvium, dove si raccoglie l’acqua piovana che viene
convogliata in una cisterna. Questo non servirà più nel momento in cui alcune di queste case verranno
allacciate alla rete idrica urbana E allora si trasformeranno in vasche ornamentali o Fontane. L’atrio rimane
un elemento di grande importanza e prende aria e luce normalmente da un’apertura ricavata nel tetto, il
cosiddetto compluvium, parliamo di atrio compluviato. La fonte Vitruvio ci descrive alcune variazioni sul
tema,ci dice che l’atrio poteva essere:
- tuscanico, che si sostiene attraverso le travature del tetto; però poteva anche essere
colonnato,
- tetrastilo ovvero con 4 colonne, come la villa di San Marco a Castellammare di Stabia,
sempre nell’area Vesuviana.
- Poteva essere esastilo, quando aveva 6 colonne,
- l’atrio corinzio assomigliava a un peristilio,
- Vitruvio ricordava anche l’atrio displuviato, variazione di quello tuscanico;
- e infine testudinato, cioè chiuso
Dalla Domus , si poteva accedere al tablinum, dal quale si andava direttamente oppure attraverso un
corridoio chiamato andron, al peristilio, uno dei tipici elementi che derivano dall’area greco-ellenistica.
Il peristilio è un area circondata su tutti i lati da colonne, poteva essere un area giardinata con Fontane o
vasche marmari, con una decorazione statuaria; quest’ambiente viene aggiunto alla casa romana,
coniugata alla tradizione dell’atrio con l’innovazione del peristilio, presente in ambito Greco in età
ellenistica, ad esempio nell’isola di Delo, che risalgono nel II secolo avanti Cristo, troviamo diversi esempi
anche in ambito Campano, ad esempio nella casa dei Vetti, poi vediamo anche quello con delle bellissime
aiuole nella casa degli amorini dorati, e inoltre, i giardini di Pompei, che sono stati ricostruiti sulla base di
studi scientifici dell’antichità romana. Grazie calchi gesso è stato possibile ricostruire le varie essenze, gli
alberi da frutto, gli alberi ornamentali e quindi si sono potuti ricostruire gli antichi giardini che ornavano la
casa romana. Nel peristilio potevano trovare posto anche delle Fontane, a volte riccamente ornate con
mosaici policromi e in pasta vitrea, Come l'esempio della casa della fontana grande, a Pompei. Sul peristilio
si affacciano una serie di ambienti per Il ristoro, ambienti destinati al ricevimento e ambienti di
rappresentanza, ambienti da prendere i passi, che avevano spesso nomi greci come eikos o Exedra,
triclinium. Alcuni contemporanei non abitavano nella villa se non avevano niente con nomi greci, tra questi
c'è il triclinium, molto diffuso nelle case più ricche, le quali potevano averne diversi, prende il nome dal
fatto di avere tre klinai, cioè tre letti su cui i romani prendevano i pasti alla maniera dei Greci, prima della
cultura greca ellenistica i romani mangiavano seduti, dopo iniziarono a mangiare sdraiati, un esempio è il
triclinio della Villa dei Misteri
POMPEI
Città dove l’edilizia privata occupa quasi i due terzi dell’area occupata dalla città. In particolare ampie
Domus che erano appannaggio delle classi benestanti, case che avevano un estensione notevole, perché
grosso modo potevano andare dai 150 metri quadrati fino ai 3000 metri quadrati, uno degli esempi più
significativi. Uno degli esempi più significativi è costituito dalla casa del fauno, che occupava
sostanzialmente un’intera insula, La numero 12 della Regio sesta, la quale era una delle regioni di Pompei
con maggiore concentrazione di grandi Domus signorili. Un’altra zona molto ambita era quella situata
nell’area sud-ovest della città, perché era l’area affacciata sulla valle del Sarno e anche affacciata verso il
mare. La casa del fauno prende il nome dalla famosa statuina di bronzo rinvenuta in uno dei due Atri, ora
conservata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, questa Domus che doveva appartenere a una
famiglia aristocratica di origine Sannitica, risale al III secolo avanti Cristo, ma originariamente era più
piccola, nel secondo secolo avanti Cristo fu ampliata e restaurata Anche a scapito di alcune abitazioni
limitrofe, e fu dotata di nuovi ambienti e di nuovi spazi, e in particolare fu mantenuta La Tradizionale casa
ad atrio, Ma all'atrio andò ad aggiungersi anche qualche anche novità proveniente dall'Oriente Greco
ellenistico. Questa casa ha la particolarità di possedere ben due Atri, uno tuscanico e uno tetrastilo più
piccolo, e anche due peristili, uno più piccolo con colonnato Ionico e uno più grande con colonnato dorico.
Immaginiamo una casa molto ampia che sicuramente doveva mostrare all’esterno un’immagine del suo
proprietario, un’immagine di ricchezza e prestigio. L’atrio principale era un asilo di tipo tuscanico e
presentava un impluvium, fatto di Travertino e con una decorazione sul fondo in Opus sectile di pietre
colorate, rivestimenti denominati sectilia, inoltre era stato trasformato in una vasca ornamentale, perché
evidentemente la casa era stata allacciata acquedotto pompeiano. Un atrio di notevole livello che aveva
anche un mosaico molto raffinato, con maschere tragiche, questo tipo di mosaico con delle tessere che
servono proprio i contorni delle figure viene chiamato Opus vermiculatum, proprio perché le tessere di
dimensioni minime si muovono all'interno della figurazione come dei piccoli vermi. All'atrio si accedeva
attraverso un ingresso, affiancato da pilastri in tufo, proprio all’ingresso il proprietario aveva fatto apporre
un mosaico con epigrafe Ave, un saluto in latino e questo doveva essere un ostentazione di cultura del
proprietario, perché a quell’epoca ancora a Pompei si parlava la lingua Osca. Questa Domus con gli
ampliamenti del II secolo avanti Cristo aveva raggiunto i 3000 metri quadrati, e notiamo che intorno
all'atrio si aprivano una serie di ambienti, i cubicoli, le alae, il tablino… tutti questi ambienti erano
riccamente ornati sia dal punto di vista della decorazione parietale, ma soprattutto la casa degna di nota
per i suoi mosaici, ad esempio gli emblemata, delle raffigurazioni a mosaico realizzate in Opus
vermiculatum, ed erano dei riquadri posti al centro dei pavimenti, i temi affrontati in queste composizioni
sono svariati, spesso si tratta di nature morte, come anatre o gatti, e poi il catalogo dei pesci. Il mosaico più
celebre di questa casa ,nel museo archeologico di Napoli ora, si trovava nell’esedra, un ambiente di
soggiorno e di rappresentanza che era collocato fra il peristilio più piccolo è il peristilio più grande, in
questo Esedra fu rinvenuto il famosissimo mosaico di Alessandro e Dario, che raffigura la battaglia di Isso,
che si ritiene sia una copia di un celebre dipinto realizzato da filosseno di eretria. Questo mosaico a circa un
milione e mezzo di tessere, è estremamente raffinato, fu commissionato dal dominus, Forse perché la
famiglia vantava di una lontana parentela con Alessandro Magno, In ogni caso è davvero un’opera
straordinaria. Questa casa del fauno era molto ricca, in cui furono rinvenuti anche numerosi oggetti
preziosi, una casa però, dove il proprietario non disdegnava di dare in affitto gli ambienti che si affacciano
sulla strada A liberti, o schiavi, che erano adibiti probabilmente a botteghe per la vendita dei prodotti
padronali. Nelle case di Pompei Questo succedeva spesso, anche le case più ricche avevano in fronte dei
locali usati come botteghe. Quando questo non succedeva Allora le pareti delle case erano chiuse, erano
dei muri continui che non di rado venivano usati per stendervi e dipingere degli slogan elettorali.
Un’altra casa significativa, la casa dei Vettii, realizzata nel primo secolo avanti Cristo e affittata da una
famiglia di Liberti commercianti, che appunto decorarono la loro dimora con pitture di notevole livello.
Questa Domus presenta due Atri, sono di tipo tuscanico, uno maggiore e uno più piccolo circondato da
locali prevalentemente Destinati alla servitù, tuttavia questa casa non presenta un tablino, presenta una
serie di ambienti intorno all’atrio, ad esempio dei cubico la, 2 Exedra decorate con pitture di quarto stile,
che riportavano anche dei quadri a soggetto mitologico, che traevano spunto da tematiche mitologiche
classiche, raffigurate al centro di edicole della zona mediana della parete. Un esempio è l’affresco delle
Exedra, Ercole bambino strangola i serpenti, soggetto mitologico, all’interno di un’edicola mediana della
parete. Nell’atrio più piccolo si trova anche un esempio ben conservato di larario, una piccola nicchia
affiancata da semicolonne che reggono un timpano triangolare, e all'interno vi è raffigurato il genio del
proprietario nell’atto di compiere un sacrificio, sotto è presente un simbolo portafortuna, il serpente
agathodaimon, una divinità benevola che aveva una funzione apotropaica, allontanava il male e portava
fortuna. Il peristilio della casa dei Vetti era molto Ampio, che presentava anche un arredo molto ricco, con
vasca e Marmore, con una serie di statue Bronze e piante ornamentali.
Abbiamo visto due esempi molto significativi dell’edilizia più signorile, quella cioè destinata nelle classi più
agiate, ma in realtà esistevano anche Dimore più modeste, case destinate ai Ceti medio bassi e bassi, di
queste Vitruvio non ci parla, ci fa sapere che le classi sociali meno agiate non avevano bisogno di Residenze
di alto livello e quindi non ne parla. Abbiamo testimonianza dal punto di vista archeologico, in particolare a
Pompei abbiamo la evidenza archeologica delle cosiddette case a schiera, Pompei l’edilizia residenziale
destinata ai Ceti meno abbienti come metratura andava dai 120 metri quadrati fino ai 350 metri quadrati.
Queste abitazioni erano situate di solito su strade secondarie e erano organizzate come una serie di
appartamenti articolate attorno a una stanza centrale, una specie di atrio chiuso, un atriolo testudinato, la
metratura era circa di 150-160 metri quadrati, gli ambienti prendevano aria e luce da piccole finestre e sul
retro erano dotate anche di un piccolo orto, una scala di legno conduceva poi al piano superiore. Quando
invece l’abitazione coincideva con la bottega e succedeva abbastanza frequentemente, allora la struttura
residenziale si riduceva a una o due ambienti, poteva trattarsi semplicemente della Bottega e del
retrobottega, oppure la bottega aveva un soppalco di legno raggiungibile attraverso una scala. Ma a
Pompei abbiamo molti esempi di botteghe e di Taverne, ad esempio vediamo questo locale per il
fruttivendolo Felix, Taberna pomaria di Felix, a Pompei in via dell’Abbondanza. Ma ce n'erano anche di
diversi, Ad esempio a Pompei troviamo molti bar ristoranti, locali di streetfood, troviamo la taverna, la
pupina, la caupona, il thermopolium, dove si consumavano pasti caldi e veloci, si poteva anche bere
qualcosa. Abbiamo un interessante testimonianza di edilizia Popolare anche Ercolano, qui troviamo la
cosiddetta casa a graticcio, una casa con metratura di circa 180 metri quadrati, di fattura molto semplice
composta da tre o quattro appartamenti che venivano dati in affitto, una residenza plurifamiliare, è un tipo
di struttura realizzata con una tecnica molto semplice, l’ Opus craticium, consisteva nel realizzare dei telai
lignei che formavano dei riquadri che venivano riempiti con pietre e Malta, e poi venivano intonacati, si
tratta di una tecnica a basso costo. La casa a graticcio era dotata anche di balcone, che dopo il terremoto
del 62 dovete essere puntellata con delle colonne di laterizio, Se guardiamo la planimetria, Notiamo che
dalla strada Vi erano 3 ingressi che conducevano uno ha una bottega che si affacciava sulla strada, un altro
ingresso attraverso un corridoio conduceva all’appartamento al piano terra è un terzo accesso dotato di
scala conduceva al piano superiore, che era anche più ampio. Era presente uno spazio con impluvio, dove
sono stati rinvenuti dei resti di un argano di legno, che serviva a prelevare l’acqua da una cisterna. Questo
tipo di struttura è rappresentato dalla casa a graticcio viene considerato parente stretto delle insule di
Roma e di Ostia, che si svilupperanno in particolare nel corso dell'età Imperiale.
Lezione 7
L’edilizia residenziale in età romana
Questo ambito dell’architettura romana subisce delle trasformazioni tra il II e il II sec. A.C. in relazione a una
serie di cambiamenti in atto nella società romana.
A Roma e nei centri maggiori, soprattutto a seguito di quello che fu un fenomeno di riversamento nei centri
urbani di masse e di diseredati a seguito del grande diffondersi dei latifondi nelle campagne, vedremo come
si sviluppo un tipo di edilizia popolare che rispondeva a un mercato speculativo, che estrinseca nella
costruzione di grandi edifici simili ai nostri condomini, perché erano strutturati in appartamenti da dare in
affitto, ed erano edifici a più piani e molto alti. Le leggi augustee imposero un altezza massima di 70 piedi,
ovvero 18 m. circa, con Traiano si portò a 60. Erano edifici piuttosto articolati e di un altezza considerevole,
intorno ai 4/5 piani, simili ai nostri attuali condimini. Si diffusero soprattutto nel corso dell’età imperiale,
vengono definiti insule, le testimonianze maggiori si trovano a Roma e a ostia. Alla base di questi edifici
presentavano delle botteghe aperte sulla strada, sopra poteva esserci un mezzanino che poteva essere
usato come abitazione da chi gestiva questi esercizi commerciali e i vari condomini abitavano sui piani
superiori, dotati di appartamenti con locali che prendevano luce dalla sala perché dotati di finestre e
balconi. Si diffusero talmente tanto che nel IV sec. nell’età costantiniana, una fonte ‘ I cataloghi regionari’,
elenchi di monumenti ed edifici divisi per regione, ci dicono che a Roma le insule avevano raggiunto le
46000 unità mentre le Domus erano 1690. Un esempio di questo tipo di edilizia popolare ci è offerto a
Roma dall’insula dell’Ara Coeli, resti di un edificio situato fra il Vittoriano a la scalinata dell’ Ara Coeli, fu
risparmiamo dai grandi sferri condotti in quest’area negli anni 30; il plastico presente nel Museo della
Civiltà Romana a Roma. Altri interessanti esempi di questo tipo di architettura popolare, sviluppata su più
piani ci è offerto da Ostia, edifici sviluppati in modo particolare dal II sec D.C., Ostia a quell’epoca registra
un forte sviluppo economico e edile. Spesso queste insule che si aprono sulle strade sono raggruppati in
blocchi che vengono chiamati caseggiati,un esempio lo vediamo nel Museo della Civiltà Romana, notiamo
come somigliano ai nostri edifici, caratterizzate da facciate in laterizio,alla base presentano spesso botteghe
e sopra mezzanini, nelle parti superiori si sviluppano questi piccoli appartamenti da dare in affitto, costituiti
da un paio di stanze e collegate tramite corridoi, si affacciano sulla strada tramite finestre o ballatoi che
consentono di prendere anche aria e luce. Un esempio è la Insuale di Ostia antica, in cui gli edifici formano
questi caseggiati, che comprendevano gli spazi abitativi, attività commerciali e anche spazio comuni, si
articolavano intorno a cortili con volte delle fontane, come il Caseggiato di Diana,del II sec. D.C. Un altro
esempio di questo tipo di abitazione articolato in uno spazio comune giardinato è quello delle case a
giardino, un complesso di età Adrianea, intorno agli anni 30 del II sec. D.C., situato in quartiere residenziale
abitato da un ceto benestante, di commercianti e imprenditori che potevano permettersi l’acquisto di
questo tipo di edifici, hanno anche delle decorazioni del interni raffinati. Questi edifici e quelli che formano
le case a giardino, 4 insule: l’insula degli erodule, l’insula delle muse, l’insula delle volte dipinte e quella
delle pareti gialle, presentano delle decorazioni parietali , considerati fra gli esempi più significativi della
pittura parietale dell’età medio-imperiale, dopo il grande contesto della pittura di ambito campano, quello
ostiense è sicuramente il sito più significativo. Nell’età medio tardo imperiale resiste il modello della
domus, che nel III sec. si trasformano, a Roma non di rado queste case vengono costruite su precedenti
abitazioni andate distrutte nel corso dei frequenti incendi, sviluppano un a serie di ambienti molto articolati
come : esedre, aule absidate, aule tricore, aule polilobate, porticati, ninfei; sviluppano anche la decorazione
degli interni, in particolare ritroviamo decorazioni e rivestimenti marmorei sia sulle pareti che sui
pavimenti. Un esempio è la Domus di Amore e Psiche, a Ostia, risalente al IV sec. dove la decorazione
marmorea è ben conservata, il pavimento è un esempio significativo di Opus sectile. La Domus si trasforma,
mutano la loro funzione e il loro significato, nel corso della prima età imperiale l’atrio perde la sua funzione
di rappresentanza e autocelebrazione del dominos, questo perché a partire da Augusto si tende a ridurre il
potere e le prerogative della classe aristocratica e dell’aristocrazia senatoria, elimina il trionfo, ma anche la
possibilità di imprimere motivi e temi familiari sulle monete, impedisce di erigere statue di privati cittadini.
Per Roma un esempio significativo è costituito dalle domus di palazzo Valentini, frammenti di due domus
messe in luce durante degli scavi condotti a 7m sotto il piano stradale ,resti rinvenuti sotto palazzo Valentini
nel cuore di Roma e si tratta di spazi pertinenti ad ambienti balneari, le strutture vanno dal primo al quarto
secolo dopo Cristo, ma le parti relative alle strutture residenziali per domani strumenti significative,
abbiamo dei rivestimenti parietali marmorei policromi, è anche degli splendidi mosaici pavimentali. Ciò che
è più interessante è l’allestimento museale, perché la valorizzazione di questo sito è di questi resti è stata
realizzata per cura di Piero Angela, sono stati applicati una serie di strumenti tecnologici multimediali, per
cui la visita del sito è multimediale, con ricostruzioni 3D che immergono il visitatore dentro gli ambienti e gli
spazi delle Domus antiche, con un effetto di Totals rounding.
LA VILLA ROMANA  siamo in ambito extraurbano, in particolare nelle campagne. Noi troviamo un
modello residenziale che chiamiamo villa,intendiamo un grande è complesso architettonico di ambito
extraurbano dipendente da una proprietà terriera. Col termine villa si indicano diverse tipologie
architettoniche, l’articolazione e le varie espressione della villa romana dipendono dalla posizione
topografica, dalle caratteristiche fisiche e ambientali del sito, dai gusti del proprietario. C’è un tratto
specifico che connota quella che noi intendiamo come la classica villa romana: la compresenza dello spazio
produttivo, quello rustico, e dello spazio residenziale, destinato alla permanenza in villa del padrone.
Chiamiamo la villa con il termine di villa urbano-rustica, termine che deriva da Varrone, modello canonico
della villa romana, quella che poi l’autore latino definiva la villa perfetta. Questa distinzione e compresenza
dei due aspetti, quello produttivo, fructus, e quello residenziale, delectatio, li ritroviamo in tutte le fonti
latine che trattano di agronomia: negli scrittori de rerustica. Questi scrittori ci parlano di come fu costruita
la villa, e ci informano su quelli che erano i quartieri in cui la villa era suddivisa:
- una parte signorile, la pars urbana, destinata al soggiorno dei padroni, dotata di sale di
rappresentanza, da pranzo, cubicula, terme, balnea privati, il tutto decorato con bei
affreschi e rivestimenti parietali e pavimentali. Lo stesso Catone già nel III/II secolo invitava
a decorare gli ambienti ed adottarli di comfort per favorire la presenza del proprietario, in
questo modo lui poteva gestire e sovrintendere alle attività agricole e produttive della villa.
Anche la domina deve sentirsi come si sentirebbe in città, circondata da un certo lusso e da
un arredo appropriato.
- Gli spazi produttivi, la pars rustica,che alcuni dvidiono dalla pars fructuaria, destinata alla
lavorazione dei prodotti. La prima è una parte della villa arredata e realizzata in modo più
semplice ed essenziale e comprende tutti gli spazi per la lavorazione di prodotti, destinati
alla residenza dei servi, spazi adibiti a magazzino o deposito, stalle,granai, e tutti gli
ambienti relativi ai lavori in campagna e anche alla lavorazione e conservazione dei
prodotti agricoli
Questi scrittori danno dei consigli su dove e come costruire la villa. Ci dicono che va costruita possibilmente
su pendio, luogo salubre e lontano da umidità e odori malsani, luogo soleggiato, preferibilmente a sud o a
est. La villa era costruita su terrazzamenti, il corpo su cui la villa veniva fondata lo chiamiamo basis villae,
un basamento artificiale in muratura che si appoggiava al pendio. Possibilmente in prossimità di fonti di
acqua, poiché era un bene prezioso, fiume o corso d’acqua navigabile anche. Molto importante come la
presenza di una strada scorrevole per mettere in comunicazione la villa con i centri commerciali, sia il corso
d’acqua navigabile sia la strada erano utili e indispensabili per la commercializzazione dei prodotti della
villa, piochè la parte produttiva era essenziale. Risultato di uno scavo importante fu quello della villa di
Settefinestre condotto negli anni 70/80, siamo in provincia di Grosseto vicino alla colonia di Cosa e questa
villa molto articolata (ville romane estese a livello planimetrico, si potevano sviluppare su alcune migliaia di
m2) costruita in età tardo-repubblicana.
Questi dati raccolti durante gli scavi, combinati dalle informazioni degli scribtori hanno portato a
considerare che, fra il II sec a.c. e il II sec dc, nell’Italia centro-meridionale dovette svilupparsi un modo di
produzione incentrato sulla villa , che aveva il suo fulcro, un modo di produzione definito schiavistico, si
trattava di un a manifattura rurale che si basava sullo sfruttamento della manodopera servile; gli schiavi
eseguivano i lavori nella proprietà, a volte affiancati da lavoratori stagionali ed erano controllati e
coordinati da un supervisore di norma schiavo chiamato villicus. L’attività produttiva anche nelle ville più
ricche e con le parti residenziali più articolate era fondamentla,e l’importanza dell’aspetto produttivo lo
troviamo nelle ville d'ozium, destinate alla vacanza, ville marittime o affacciate sui bellissimi panorami
lacustri, come le ville di Baia, di Capri, o quelle delle Coste Adriatiche, ma anche nelle ville affacciate sui
laghi come le ville del lago di Garda. Le ville d’ozium di epoca romana più famose:
- sito di Baia, fra le più ambite e apprezzata dalle classi dirigenti romane e anche dagli
imperatori, lo stesso Augusto amava molto questo luogo di vacanza, fra i poeti ricordiamo
Orazio, Marziale, che lo descrivono come il golfo più bello del mondo, anche se invece
Seneca lo considera un ricettacolo di vizi. A partire dal primo secolo avanti Cristo era
divenuto un posto molto alla moda e richiamava ogni anno frotte di turisti e di proprietari
di ville, il museo archeologico delle terme di Baia conserva resti di un impianto termale e
resti di queste splendide ville che si articola vano in modo scenografico, distribuendosi su
terrazzamenti che digradavano verso il mare.
- Un altro sito di grande impatto visivo, immerso in un ambiente paesaggistico straordinario
è quello della Costa dell’Istria, conservato dal punto di vista ambientale paesaggistico,
numerosi i resti di ville romane e in particolare sono significative quelle delle isole Briuni,
una villa romana risalente al primo secolo avanti Cristo che si trova nella Baia di Verige/ Val
catena, una villa molto articolata con numerosi ambienti di ricreazione, di ristoro, di
rappresentanza, ma anche con un importante settore produttivo, che come gran parte di
queste ville affacciate sul mare brutta va anche le Risorse ittiche, gli ambienti pertinenti alla
parte produttiva sono ben separati dagli ambienti Destinati alla residenza del dominus e dei
suoi ospiti.
- Un altro esempio di villa romana con impianto scenografico è quella di Desenzano sul
Garda, una villa in cui il pianto risale alla seconda metà del primo secolo avanti Cristo ma
che ebbe una serie di fasi edilizie, quindi di ristrutturazioni nel corso dei secoli successivi e
quello che vediamo oggi prevalentemente è l'impianto risalente all'epoca tardo-romana. La
villa è famosa anche per i suoi apparati decorativi, in particolare per i rivestimenti musivi.
- Un altro importante luogo è la villa di Stabia, a Castellammare di Stabia, le varie ville che
sono state rinvenute si articola vano sulla collina di Varano, ed erano facciate in modo
scenografico sul mare, disposte su più livelli collegati alla costa attraverso percorsi porticati.
Queste ville sono fra le ville più antiche è più apprezzate in ambito Campano una di queste
è la villa di Arianna, che prende il nome da una pittura murale in cui viene raccontato il
mito di Arianna. Questa è una delle più antiche, il tuo impianto risale al II secolo avanti
Cristo, ed è di notevoli dimensioni, poiché occupa circa 11000 metri quadrati, scavata solo
in parte. Un’altra Villa del territorio di Stabia fra le più grandi ville romane della Campania è
quella di San Marco, prende il nome dalla presenza di una cappella che era situata in
prossimità della villa. È stata fu costruita in età Augustea, nel corso del tempo ampliata e vi
furono aggiunti degli ambienti di rappresentanza, ambiente panoramici, piscina e giardino,
in epoca Claudia. Sono stati rinvenuti dei bolli su tegola, che rimandano a narcysus, un
Liberto dell’imperatore Claudio, per cui si è pensato che questo impianto potesse essere di
sua proprietà.
- Un altro esempio di una villa, nota per le sue decorazioni murali ad affresco è la villa di
Poppea a oplontis, siamo nell’agro pompeiano, una villa che risale al primo secolo avanti
Cristo, ma fu ampliata nel corso dei decenni soprattutto in epoca Claudia, non è stata
scavata completamente perché lo impediscono la presenza di una strada moderna e di un
edificio moderno, scavata solo in parte, sufficiente per vederne una articolazione
veramente straordinaria, con spazi giardinati, Dove sono state studiate anche le essenze
arboree sulla base dei calchi delle radici, si è visto che nel giardino Nord si trovavano Olivi,
Alloro in quello Sud. Nonostante sia una villa con un apparato decorativo di grande qualità,
con un quartiere molto lussuoso di residenza, aveva anche degli ambienti Destinati alla
lavorazione dei prodotti agricoli, in particolare di olio e vino. Si attribuisce questo impianto
architettonico a Poppea Sabina, la seconda moglie dell’imperatore Nerone, Sulla base del
rinvenimento di più iscrizione dipinta su Anfora che porta il nome di un Liberto di Poppea. Il
quartiere residenziale molto sviluppato con esempi di pittura romana di secondo stile,
abbiamo un esempio di una parete con raffigurazioni di strutture architettoniche realizzate
a trompe l’oil, cioè in modo illusionistico.
Il modello della villa non rimane confinata L’Italia centro-meridionale, si diffonde anche in Italia
settentrionale:
- Un esempio, rinvenuto In seguito a scavi della soprintendenza archeologica del Veneto e
dell’università di Padova, è la Villa romana di Via Neroniana di Montegrotto-Terme, si
tratta di un parco archeologico che comprende sia un impianto termale, sia resti di una
grande villa edificata all’inizio del primo secolo dopo Cristo, nel corso del tempo su diverse
modificazioni e adattamenti, in particolare del secondo terzo quarto secolo quando poi
venne abbandonata. Si trovava in un’area termale molto nota all’epoca romana, l’Euganea,
nota come Aquae patavinae. Questa villa di dimensioni considerevoli si articolava in due
spazi residenziali con peristilio e area giardinata.
- Un altro esempio è la villa romana di Isera, scavata dal museo civico di Rovereto insieme
all’Università di Trento, Villa che in Trentino costituisce davvero un unicum, perché è molto
antica visto che il suo impianto risale all’età augustea, ma anche degli apparati decorativi
interessanti. Questa villa si affacciava sulla valle dell’Adige e aveva sua un’impostazione
panoramica e scenografica su un fiume. La parte tuttora in vita è quella appartenente alla
basis villae, e intonaci dipinti ancora presenti sulle pareti, ci sei andati a scavare anche sotto
i livelli pavimentali di un edificio moderno, un asilo infantile che viene demolito per mettere
la costruzione di un antiquarium, di una copertura adeguata per queste strutture, sotto i
pavimenti si è messo in luce i resti murari. Da questa villa provengono numerosissimi
frammenti di intonaco dipinto, in terzo stile pompeiano, siamo proprio alla decorazione
ornamentale tipico dell’età augustea.
Oltre alle Ville realizzate in ambito extraurbano, in campagna, soprattutto a partire dal II secolo avanti cristo
i romani dei Ceti più benestanti amarono edificare ville anche in aree prive di fundus, erano ville eleganti
che non costituivano il fulcro di una proprietà terriera coltivata. Stiamo parlando delle ville suburbane che
erano delle grandi residenze, che riproponeva il modello della villa, ma non in area extraurbano, ma in area
suburbana, di solito alla periferia della città. A Roma queste ville che erano circondati da ampi giardini
venivano chiamate Orti, che ricordavano i veri e propri Orti che in origine i cittadini Romani avevano fuori
dall’area urbana e servivano al sostentamento delle famiglie. Ricordiamo ad esempio gli orti sallustiani, gli
orti di Mecenate, gli orti luculliani, sono distribuiti nell’area suburbana di Roma. Le ville in area suburbana
le conosciamo anche nell’area campana, ad esempio a Pompei La Villa dei Misteri, situata nell’area nord-
ovest a pochi metri dalla città, impiantata nel secondo secolo avanti Cristo, ma che subito delle
trasformazioni importanti Dal punto di vista architettonico e anche funzionale, nel corso del primo secolo
dopo Cristo. È una villa che ha un ingresso, un vestibolo, che immette direttamente nel peristilio e quindi si
entra nell’atrio, è attestata una caratteristica che ci viene trasmessa anche dalle fonti, cioè dell’inversione di
atrio e peristilio, per accordarsi alla moda greca. Dall’atrio si passa poi al tablinum, infine questo impianto
assiale termina poi con un’esedra, era un bel vedere che permetteva la vista, questa villa Infatti si affacciava
verso il golfo di Napoli, permetteva anche una vista panoramica. Questa villa Aveva anche un impianto
produttivo molto sviluppato, magazzini e depositi con attrezzi agricoli e ambienti dotati di torchio per la
produzione di vino, può essere collegato anche a questo il famosissimo dipinto che dà il nome alla villa
stessa, il dipinto dei misteri dionisiaci, con scene tratte dal mito di Dioniso, raffigurato sulle pareti del
triclinio della villa,con figure a grandezza naturale, infatti si parla di megalografie ma con colori e chiaroscuri
sobri, pittore eclettico perché è presente un insieme tra stile classico e tardo ellenico; rosso cinabro e pareti
di marmo illusorie. Un ultimo esempio è quella della villa dei papiri di Ercolano, o Villa dei Pisoni, attribuita
la famiglia dei Pisoni, che viene impiantata nel primo secolo avanti Cristo e distrutta nel 79 dopo Cristo a
seguito dell’eruzione Vesuviana, rimane sepolta sotto una colata di fango spesso diversi vetri. Situata in
una posizione panoramica è scenografica a strapiombo sul mare, molto grande con una lunghezza di più di
250 m e articolata su più livelli. Questa villa era dotata di un peristilio giardinato molto ampio, con la
presenza di una piscina in posizione centrale; in questa struttura vi è stato trovato un grande patrimonio di
opere statuarie, in gran parte di bronzo, Ma anche in marmo, oggi conservata al Museo Archeologico
Nazionale di Napoli e che si rifanno prevalentemente a modelli statuari della Grecia classica, nella villa sono
stati messi in luce 1800 papiri con opere prevalentemente filosofiche e redatte in greco.
LEZIONE 8
Le Ville romane oltre ad essere numerose esprimono con caratteri diversi, ed è molto difficile inquadrare
questa categoria in modo rigido. Abbiamo visto che la caratteristica fondamentale è la competenza di un
settore residenziale e un settore produttivo, abbiamo anche visto esempi di ville con settore residenziale e
di rappresentanza, particolarmente sviluppato. C’erano anche nel mondo romano moltissime ville in cui
prevaleva il settore produttivo, vi erano anche delle piccole aziende gestite da piccoli proprietari e, secondo
Varrone, sono un paupergoli con sua progenie, erano contadini di condizioni modeste che gestivano queste
piccole aziende con la loro famiglia. Alcuni esempi interessanti si trovano in emilia-romagna, infatti
abbiamo visto che il modello della Villa urbano-rustica si diffonde in Italia del Nord, tuttavia c’è chi pensa
che la parcellizzazione fondiaria del territorio, operata con la centuriazione e l’assegnazione di sortes ai
coloni abbia ostacolato nel nord Italia per molto tempo le costituzioni di grandi proprietà fondiarie. In
questo territorio sono numerosi gli esempi di ville rustiche, cioè dove prevale il settore produttivo sul
settore residenziale.
- Un esempio tra i più significativi è costituito dalla villa di Russi, la villa rustica a una ventina
di chilometri da Ravenna, che conobbe il massimo sviluppo tra il I e II sec. D.C., ed era
situata al centro di un ampio podere, c’è chi ritiene che i suoi prodotti servizio
all’approvvigionamento della flotta distanza a classe. Questa villa presenta un quartiere
residenziale, che si connota anche per la presenza di notevole che stellati, cioè pavimenti
musivi. Nella zona meridionale del complesso si sviluppava un ampio quartiere produttivo,
intorno a un cortile con pilastri in laterizio intorno ad esso si dispongono una serie di
ambienti Destinati alla lavorazione dei prodotti, sia anche Probabilmente un piccolo
quartiere destinato alla sovrintendente vilicus o procurator, ci si trovava anche una
fornace, c’era un ambiente con Macine, una cucina; si trattava di una corte rustica con tutti
i locali per la lavorazione la conservazione dei prodotti. Gli scavi nella zona orientale hanno
portato alla luce uno spazio destinato a frutteto.
- Edifici di questo genere definiti ville rustiche, che si trovano anche in abbondanza nel
territorio Campano e in particolare nell’area a nord di Pompei, l’ager pompeianus era un
territorio estremamente fertile e dunque era adeguatamente sfruttato dal punto di vista
agricolo. Sono numerose Le Ville rustiche individuate in questo territorio, però sono poche
quelle cavate con metodi scientifici, fra quelle più note di cui abbiamo anche la
raffigurazione di un plastico nel Museo della Civiltà Romana, è senza dubbio la villa della
pisanella a Boscoreale, sviluppatasi tra il primo secolo avanti Cristo e il primo dopo Cristo.
Era composta da un quartiere residenziale nella zona Nord, vediamo anche l’ingresso, a
nord di esso si sviluppa la zona padronale anche con rivestimenti pittorici, un quartiere
termale, ma senza dubbio la parte destinata al settore produttivo era preponderante, nella
zona meridionale abbiamo particolare una grande cella vinaria nella quale furono rinvenuti
ben 84 dolia defossa, cioè delle Giare di terracotta che erano interrate fino alla spalla. Si
articolano diversi ambienti e in particolare una zona destinata alla produzione di vino, con
dei torcularia, vi erano poi degli ambienti destinati agli alloggi servili, c’era una stalla e
anche un trapetto, cioè un locale adibito alla spremitura delle olive. La Villa della pisanella È
nota anche per il rinvenimento del famoso tesoro di Boscoreale, un vero e proprio Tesoro
perché è costituito da suppellettile, soprattutto argenteria, conservati al museo del Louvre.
- L’unica di queste ville ad essere stata scavata con metodo sistematico, ed è stata anche
restaurata è aperta al pubblico e la villa rustica in contrada Villa Regina. Possiamo notare
come intorno cortile colonnato si articolino una serie di ambienti pertinenti al settore
produttivo, Fra questi c’è un ambiente per Il Torchio, definito turku larium, una cucina, un
granario, un’area è un ambiente che conteneva ancora una volta 18 dolia de fossa, questa
sorta di cantina con questi recipienti interrati.
Un’altra tipologia sono le ville imperiali:
- un esempio è la villa Yovis, La Villa di Tiberio a Capri, passata alla storia perché per 11 anni
da queste sue residenze a Capri Tiberio governò Roma. Questa villa si trova in una
posizione scenografica straordinaria, costruita sulla cima di un promontorio e presenta una
pianta piuttosto articolata. La villa, disposta a Terrazze, raggiungibile nella zona
meridionale attraverso delle rampe, dove si trovava un vestibolo da cui si entrava in un
atrio tetrastilo; sull’asse attraverso una scala doveva essere raggiunto l’ambiente balneare,
abbiamo dei bagni articolati in 5 ambienti. Tutti questi spazi si articolano intorno a un
grande quadrilatero centrale in cui trovavano posto pure le cisterne, perché
l’approvvigionamento idrico sull’isola di Carpi era un problema fondamentale, la villa
quindi si era dotata di ambienti e di cisterne adeguate Per assicurare l’approvvigionamento
di acqua. Il vero e proprio quartiere residenziale si articolava a nord-est, ed era composta
da una grande aula a emiciclo, dove trovavano posto anche una serie di ambienti minori e
l’alloggio Imperiale era situato nella zona Nord con un bell’affacciatoio in posizione
Panoramica sul mare, e si trova proprio sulla zona più elevata del promontorio, si affacciava
a picco sullo scenario.
- Un’altra residenza Imperiale e un sito archeologico celeberrimo entrato nel patrimonio
UNESCO è di pianta molto complessa, si sviluppa a padiglioni, parliamo della Villa Adriana
a Tivoli, dell’imperatore Adriano realizzata nella prima metà del II secolo dopo Cristo. Ci
sono diversi nuclei che formano questo straordinario complesso che valgono funzioni
diverse, residenziali o rappresentanza ec.. Questi edifici si articolano in un’area molto
vasta, di circa 120 ettari, ed era una zona ricca di fonti di acqua, perché la villa fa ampio uso
di acqua anche proprio per impianti scenografici, ninfei, fontane, piscine; era anche una
zona ricca di case, per cui era assicurato l’approvvigionamento di materiali da costruzione
per un complesso così ampio. Dagli studi risulta che il complesso sia stato realizzato sulla
base di una progettazione unitaria, i bolli laterizi indicano la presenza di tre fasi costruttive.
È strutturato attraverso diversi elementi, che secondo le fonti, Adriano intendeva
ricordassero luoghi che lo avevano maggiormente impressionato nei suoi viaggi nelle
province dell’impero, la complessità di questo apparato residenziale però è dovuto a
esigenze diverse, non solo quelle di rappresentanza, non solo quelle residenziali, ma anche
quelle di servizio; si adattavano anche la conformazione fisica del territorio. Un’architettura
molto Ardita in alcuni casi, anche molto innovativa, che rispecchia le idee e la personalità di
questo imperatore molto colto, che in campo architettonico doveva avere delle idee molto
originali e molto innovative. Alcuni degli edifici originali che formavano questo complesso,
il pecile e il teatro Marittimo, sono degli edifici che esprimono dei concetti molto
innovativi, a volte anche molto originali dell'architettura Romana dell’epoca. Il pecile è un
quadriportico che racchiude un giardino con una grande piscina centrale; il teatro
marittimo è una delle costruzioni più originali di Villa Adriana, ma anche una delle prime
costruzioni, poiché questo edificio fu edificato in un’area già precedente occupata da ville e
in particolare c’era una villa di età repubblicana che forse passò nelle proprietà Imperiali
attraverso Vibia Sabina, la moglie di Adriano, questo teatro era stato edificato proprio in
questa zona e forse uno dei nuclei più antichi della Villareale. Questo teatro è una
costruzione a un solo piano, che presentava un Portico circolare, voltato,che si affacciava su
un canale, che delimitava un Isolotto, al cui interno si articolavano una serie di ambienti e
anche un piccolo quartiere termale.
- Un altro esempio, molto particolare , è la villa romana Imperiale di Ventotene, faceva
parte dei possedimenti di Augusto e doveva essere stata concepita originariamente come
Villa d’otium, ovvero destinato alle vacanze. Successivamente fu trasformata in un luogo di
prigionia e di esilio di relegazione, infatti nel 2 avanti Cristo divenne relegata Giulia, L’unica
figlia di Augusto, accusata di adulterio e condannata alla relegatio ad insulam, vi rimase per
5 anni. Usato anche come luogo di confina anche in epoca fascista. Giulia fino a prima di 1
lunga serie di personaggi femminili della corte imperiale esiliati su quest’isola. A Ventotene,
nella punta settentrionale, chiamata punta Eolo, si sviluppa una villa residenziale, a
padiglioni, di cui è stato scavato soprattutto il settore termale con una splendida vista
panoramica sul mare. Un settore termale molto articolato nel quale sono stati rinvenuti,
negli scavi degli anni 90, migliaia di frammenti di intonaco dipinto di straordinaria qualità, e
moltissimi frammenti di stucchi e di decorazioni a rilievo in stucco, che ricoprivano le pareti
e soffitti degli ambienti.
- Un altro esempio di villa romana epoca tarda, del IV secolo, la villa romana del Casale di
Piazza Armerina, nel cuore della Sicilia nella Enna, appartenente a un membro
dell’aristocrazia senatoria romana, forse un funzionario Imperiale di altissimo livello, molto
ampia è molto articolata. Si compone di quattro nuclei principali, vi è un ingresso
monumentale che è seguito da una sorta di cortile sviluppato a forma di ferro di cavallo,
queste costruzioni di epoca medio tardo Imperiale si arricchiscono di ambienti
planimetricamente molto articolati, con una predilezione per le forme curve. Vi è un
quartiere principale, il corpo centrale della Villa, con una corte giardinata; nell’area
meridionale si articola una sala trigora,con tre absidi, preceduta da un peristilio di forma
ovoidale, c’è una notevole fantasia e originalità nel creare forme nuove dal punto di vista
planimetrico e dal punto di vista architettonico. Nella parte orientale il complesso si
conclude con un articolato settore termale. Questa villa è famosa soprattutto per la
straordinaria ricchezza del patrimonio musivo, perché sono stati rinvenuti in mosaici
splendidi è in buono stato di conservazione, si parla di mosaici di scuola africana, si pensa
anche che alcuni artigiani africani siano giunti sul sito per realizzarli, sono policromi i cui
temi sono svariati, legati alla vita quotidiana nelle proprietà di questo signore e vengono
presi in considerazione i vari aspetti delle delizie della vita aristocratica in Campania.

La decorazione parietale in età romana


I romani amavano circondarsi di colori e raffigurazioni policrome, di pigmenti anche molto vivaci, colori vivi
e brillanti. Gli antichi amavano molto il colore, noi tutt’ora vediamo statue, rilievi, monumenti, architetture
prevalentemente bianchi e privi del pigmento originario perché nel corso del tempo lo hanno perso, ma in
realtà ,in origine,recavano colori anche vivaci, spesso distesi in modo realistico e in alcuni casi sulla base dei
resti di piccole quantità di tracce e di colore sulla superficie, si è riusciti a ricostruire l’intera stesura pittorica
che ricopriva questi monumenti, templi, architetture e statue. Degli esempi sono l’arciere del tempio di
Atena Afaia a Egina, nella gliptoteca di Monaco di Baviera; oppure anche nella villa di prima porta con la
statua di Augusto in gesso. Gli antichi ritenevano la pittura una forma di arte molto elevata, tanto da
apprezzarne i grandi artisti, Plinio Ricorda i nomi di grandi pittori del quinto del quarto secolo avanti Cristo
come Zeusi, Parrasio, Apelle, grandi nomi di pittori che realizzavano pitture di cavalletto, cioè quadri che
venivano eseguiti prevalentemente su tavole lignee, purtroppo proprio per queste non si sono conservate.
Un esempio sono lo straordinario complesso di pitture di età romana, realizzate in gran parte su tavole di
legno e in parte su stoffa, i cosiddetti ritratti del Fayyum, perché probabilmente provengono da questa
parte dell'Egitto, dove il clima particolarmente secco e arido ha favorito la conservazione di questi
straordinarie testimonianze del ritratto Romano. Ritratti che venivano posti sulle mummie e sul viso del
defunto, di un forte realismo e di un uso del colore che evidenzia forti contrasti cromatici. Sono ritratti che
si possono considerare di ambito Popolare, che poco hanno a che fare con le grandi opere dei grandi artisti
Greci, però ci danno un’idea anche delle conquiste dal punto di vista anche cromatico e realistico della
pittura ellenistica. Le conquiste spaziali, della prospettiva e della pittura greca, ci dobbiamo affidare ad altri
supporti, ad esempio alla pittura vascolare oppure alla pittura parietale. Sono molto significativi gli esempi
offerti da una serie di contenitori di vasi chiamati lekythoi, usati soprattutto in ambito funerario, realizzati
nella seconda metà del V sec., avevano la caratteristica di presentare un fondo bianco, simile a un intonaco,
sul quale si potevano fare delle raffigurazioni policrome, a differenza dei vasi a figure rosse o figure nere,
questo tipo di supporto si attiva anche di usare il colore in modo più articolato, anche più realistico. Più rari
esempi di policromia su supporto vascolare ci è offerto da una serie di contenitori, pissidi di Centuripe, sito
della Sicilia in provincia di Enna, sono dei vasi con scene policrome,fra il III e il II secolo avanti Cristo, si può
apprezzare l’uso di una tavolozza di colori molto vari, gli accostamenti cromatici, e anche l’uso delle
sfumature dei diversi toni di colore degli effetti luministici. Questi vasi sono stati oggetto di saccheggi da
parte di scavatori clandestini e si trovano sparsi in diversi musei del mondo. Altre testimonianze pittoriche
si trovano su supporti più resistenti, fra le testimonianze di epoca greca abbiamo la celeberrima tomba del
tuffatore di Paestum, del III secolo avanti Cristo, si tratta di una tomba a cassa, la cui lastra di copertura
recava questa splendida raffigurazione del tuffo simbolico del defunto, che dal mondo dei vivi passa così nel
mondo dei morti. Sulle pareti della tomba, all’interno, erano raffigurate scene di Simposio, motivi decorativi
di tematiche ricorrenti anche sulla pittura vascolare. In ambito Greco una delle testimonianze più
straordinari e più famose è offerta dal sito di Verghina (una necropoli che reca una serie di tombe regali),
Macedonia in Grecia, la tomba di Filippo II, siamo nel secondo secolo avanti Cristo. Si trattava di un ingresso
monumentale sormontato da un fregio policromo che raffigurava scene di caccia, con gruppi di personaggi
a cavallo e a piedi, che danno la caccia a diversi animali, tra Questi personaggi è stato identificato anche il
giovane Alessandro. Quello che possiamo notare la conquista della potenzialità della prospettiva dello
scorcio, una resa molto realistica anche del movimento dei gesti dei calciatori, poi Notiamo anche
l’inserimento di notazioni paesaggistiche sullo sfondo della raffigurazione. Una tomba sempre del sito di
verghina è quella di Persefone, dove viene raffigurato Il rapimento di Persefone da parte di Ade, famosa per
i suoi contrasti e per le sfumature di tonalità diverse del colore, ma anche per la capacità di resa del
movimento di un dinamismo violento, l’uso della prospettiva e lo scorcio, ma anche per la disposizione dei
personaggi con una disposizione sulle diagonali che si incrociano e che simbolicamente rappresentano il
rifiuto della giovane rapita nei confronti del proprio rapitore. È una scena di Forte impatto visivo ma anche
emotivo. Altre tombe di questo tipo, sono state rinvenute sempre in Macedonia anche nel sito di Lefkadia,
detta tomba degli Antemi, ha una facciata a forma di tempio e nel frontone presenta una decorazione in cui
viene raffigurata una coppia di sposi, Ma che probabilmente si identifica con Ade e Persefone, adagiati su
klinai, ovvero letti. Ciò che sorprende colpisce maggiormente è l’uso di una tavolozza di colori
estremamente varia e articolata. Per il tardo ellenismo avanzato abbiamo L’esempio delle tombe di
Alessandria d’Egitto e in particolare della Necropoli di Anfushy, nel secondo secolo avanti Cristo, al gusto
Egizio si combina il gusto ellenistico, e anche le conquiste spaziali e coloristiche della pittura ellenistica. Un
altro sito molto importante dal punto di vista della pittura tardo ellenistica è quello di Delo.
La pittura romana ha testimonianze tutte le province, a Roma, ma soprattutto nell'area Vesuviana, dei
centri colpiti dall'eruzione del 79, Pompei, Ercolano, Sabia e, le ville e residenze intorno al Vesuvio. Quella
della pittura parietale è una caratteristica della Civiltà Romana, mai come in epoca romana questo tipo di
manifestazione pittorica si è diffuso così capillarmente, perché la ritroviamo non solo nelle grandi ville delle
Domus, anche nelle insule ; lo troviamo anche nell’ambiente di secondaria importanza, decorati in modo
molto semplice. Si tratta di una pittura che raccoglie l’eredità della pittura greca ellenistica e la sviluppa, i
romani amavano circondarsi di decorazioni vivaci,policromi ;decoravano le pareti non soltanto in pittura,
ma anche attraverso altre tecniche come lo stucco o il mosaico parietale, la pittura però è la forma di
decorazione degli Interni più usata. La qualità di queste pitture varia Molto, dipende da molti fattori e dalla
qualità stessa delle costruzioni, degli ambienti, dalle disponibilità economiche dei proprietari, la scelta dei
temi degli schemi decorativi Dipende dalle Mode, Oltre che dal gusto dei proprietari. Vitruvio Si sofferma
molto del suo dearchitettura su questi aspetti, ci fa anche capire qual era l’importanza di una corretto
abbinamento, di una coerenza tra l’ambiente che andava rivestito e la sua decorazione. La casa romana
aveva una forte importanza dal punto di vista sociale e non ci sorprende che anche gli ambienti fossero
decorati sulla base di una gerarchia. C’erano ambienti più importanti o meno, lo capiamo anche dal tipo di
decorazione pittorica che li rivestiva, ad esempio dall’ uso intenso della policromia, da l’Impiego di pigmenti
di qualità elevata, come ad esempio il nero, considerato molto elegante e utilizzato per gli ambienti di
rappresentanza ;c’era la marmorizzatura o l’uso di realizzare quadri figurati, spesso raffiguranti questione
mitologiche che riprendevano anche modelli della Grecia classica. La decorazione pittorica era molto
articolata e seguiva una gerarchia degli spazi. Abbiamo fonti letterarie che ci dicono Come venivano
realizzate le pitture murarie, ma abbiamo anche testimonianze archeologiche, da Vitruvio a prendiamo che
la pittura romana era prevalentemente realizzata ad affresco, quando la pittura è estesa sull’intonaco
umido si conserva per l’eternità In questo grazie alla pellicola di carbonato di calcio che viene a crearsi sulla
parete, a seguito di un interazione fra la calce spenta e l’anidride carbonica presente nell’aria. Un esempio
è una Stele del secondo terzo secolo dopo Cristo trovata a Sens in Borgogna, in Francia che raffigura La
bottega dei pittori al lavoro, sulla sinistra abbiamo un soprintendente che ha in mano lo schema pittorico
che andava eseguito e, poi vediamo Un operaio che mescola la calce per farle Malta, un altro operaio
intendo a stendere con frattazzo la malta sulla parete e poi il pittore che esegue la decorazione. Dalle fonti
sappiamo che i decoratori di parete erano considerati come Artigiani, non erano degli Artisti passati di
autonomia creativa, ma degli Artigiani e riproponevano dei modelli. Di questi pittori non si conservano i
nomi, ma sono anonimi, spesso erano liberti oppure addirittura schiavi. Plinio ne parla con disprezzo e dice
che non sono degni di memoria, se non quelli che dipinsero le tavole subito. Da queste testimonianze
archeologiche vediamo sapere come si procedeva nella realizzazione della pittura, Vitruvio in particolare ci
dice che i decoratori, nel migliore dei casi, dovevano realizzare un intonaco costituito da 7 strati
preparatori, prima c’era un rinzaffo,una trullisatio, dal termine trula ovver cazzuola, da questo strumento,
che presenta incisioni a spina di pesce per favorire l’aderenza gli altri strati di intonaco, su questo strato di
base venivano spesi tre strati di calce e sabbia e poi tre strati di intonaco vero e proprio a base di calce e
calcite, che noi chiamiamo arriccio o intonaco, l’ultimo stato viene chiamato intonachino poiché è il più
sottile. Questi pittori procedevano durante il cantiere dall’alto verso il basso, realizzavano prima le parti
alte della parete e poi le parti basse, questo ce lo testimoniano alcune pitture non finite di Pompei come
quella della casa del Scelliaco. Venivano applicati gli ultimi strati di intonaco e si procedeva alla pittura,
stando bene Attenti che l’intonaco non si asciugasse prima, perché sennò i pigmenti lo rimanevano fissati
bene e poi si procedeva con gli strati successivi nelle parti basse. Un altro esempio ci viene sempre da
Pompei, dalle Terme del Sarno, o hanno la parte relativa allo zoccolo non finita. Alcune decorazioni non
finite, le pitture più impegnative, come i quadri centrali della parete erano lasciati a pittori più esperti, che
si potevano realizzare tempo ritocco sul posto, applicando al momento intonachino e realizzando la pittura.
Dall’Edictum de Prezis di Diocleziano, III sec d.c., conosciamo la distinzione tra due figure: il pictor
parietarus, quello che doveva occuparsi degli schemi Generali; e del pictor imaginarius, il pittore delle
immagini, quello che doveva realizzare i soggetti più impegnativi. Erano pagati in modo diverso, però,l’
edictum li classifica tutti e due come operai. Questi pittori Tra le altre cose, per realizzare gli schemi
decorativi, si aiutavano con dei trattati preparatori, realizzati soprattutto Nella prima fase pittorica del
secondo stile, tramite la sinopia, che era la terra di sinope, un’ocra rossa molto pregiata, poteva essere
sostituita dai surrogati, un esempio lo vediamo dalla casa dei pittori al lavoro, a Pompei, proprio perché ci
sono delle opere non finite e ci danno l’idea di come era organizzato e cantiere di pittori. Un tracciato
dipinto con Terra di sinope oppure, il pittore si aiutavano con dei tracciati preparatori incisi con stiletto, con
l’aiuto di stecche, oppure con l’aiuto di cordicelle fissate su due punti, impregnante di colore e battute sulla
parete. Queste tecniche di tracciato preparatorio hanno lasciato delle interessanti tracce sulla superficie
degli intonaci, quando non serviamo più nudo e soprattutto luce radente, possiamo ancora trovare delle
interessanti tracce della cordicella, come quelle che vediamo da un intonaco dipinto della domus di Largo
Arrigo VII a Roma. Oppure quelle lasciate da alcuni intonaci della villa romana di Isera, Dove possiamo
ancora vedere occhio nudo il tracciato lasciato dal compasso, perché motivi circolari erano realizzati in
questo modo, a un attenta osservazione sono ancora visibili sulla superficie.
LEZIONE 9
Nel suo de architectura Vitruvio, ci fa sapere che le prime decorazioni degli interni di età romana imitavano
cruste marmoree, cioè un rivestimento marmoreo attraverso la tecnica del rilievo in stucco, ovvero
intonaco modellato. Nel corso del tempo e in particolare dall’inizio del primo secolo avanti Cristo, si fece
uso della sola pittura, il rilievo in stucco fu soppiantato dalla pittura, attraverso la quale sulle pareti
cominciarono ad articolarsi architetture illusionistiche, sempre più esuberanti, fantastiche e irreali, e
arricchite da un Ornato molto raffinato, spesso calligrafico. La tendenza a decorare le pareti con rilievo in
stucco e pittura giunse a Roma dall’ambito Greco.
La classificazione Canonica della pittura romana si deve a uno studioso tedesco August Mau, che
nell’ultimo quarto dell’800 classificò le pitture di Pompei sulla base degli schemi decorativi e divise in
quattro stili, che si articolano tra le 200 avanti Cristo e il 79 dopo Cristo. La moda di decorare le pareti viene
dal mondo greco dal terzo secolo avanti Cristo e l’inizio del II secolo. Questa suddivisione è ritenuta dalla
maggior parte degli studiosi di pittura Antica, valida tuttora, anche se nel corso del tempo è stata
sottoposta a revisione e approfondimenti, anche dal punto di vista dello sviluppo cronologico, e grazie
anche a nuovi ritrovamenti nel mondo romano, che ci hanno consentito di capire, che questa suddivisione,
fatta sulla base della pittura Pompeiana, in realtà è una suddivisione valida per tutto il mondo romano,
quindi piuttosto che di stili pompeiani si può parlare di stili propriamente romani.
1. Primo Stile a incrostazione o strutturale, imitava attraverso la tecnica del rilievo in stucco
le pareti di edifici pubblici, le pareti esterne, un rivestimento marmoreo. Vitruvio usa
l’espressione cruste Marmore. Imita una parete isodoma a bugnato, troviamo un esempio
nella Basilica di Pompei, in un edificio pubblico, si tratta di un tipo di decorazione che si
può collocare tra il 200 avanti Cristo e i primi decenni del primo secolo avanti Cristo.
Questo tipo di decorazione si trova anche nel mondo greco, deriva proprio da esso, un
esempio sono le domus dell’età tardo ellenistica di Delo, in cui abbiamo pareti decorate
con lo stucco dipinto che imita una serie di ortostati. A Pompei dell’area Vesuviana
troviamo questo tipo di decorazioni nelle grandi Domus del secondo secolo avanti Cristo,
come la casa del Fauno, le cui Fauces hanno un tipo di decorazione molto simile a quella di
Delo, imita lastre marmoree ma consente di arricchirle con altri elementi, vediamo ad
esempio una galleria con colonne oppure anche la realizzazione di cornici di stucco molto
articolate. Anche nell’ultimo periodo di vita di queste abitazioni pompeiane, campane,
quando ormai la moda imponeva le decorazioni del quarto stile, alcuni ambienti di
rappresentanza erano stati lasciati decorati in uno stile, cioè quello più antico, questo
Probabilmente perché questo genere di decorazione veniva considerato consono alla
gravitas romana ed era anche espressione di adesione alla cultura greca. Un altro esempio
di questo tipo lo troviamo a Ercolano della casa Sannitica., decorazione a dentelli e a
cornici in stucco architettoniche che imitano marmi policromi, parete isodoma a bugnato su
un alto zoccolo. Il primo stile in ambito
Campano e nel mondo romano si distingue per alcuni aspetti e particolarità da quello del
mondo greco.
2. Nel corso dei primi decenni del primo secolo avanti Cristo la decorazione si trasforma,
diventa un’espressione propriamente Romana, mentre il primo stile era internazionale,
accumulava tutte le regioni del mondo ellenistico diffondendosi ampiamente non solo in
Grecia, Ma anche in tutto il Mediterraneo, con il secondo stile abbiamo il formarsi di
un'espressione decorativa che è propriamente Romana, che evidentemente fu creata a
Roma, da cui poi si Irradiò. D’ora in poi le mode pittoriche verranno create a Roma e si
diffonderanno in tutti gli altri luoghi di influenza romana. Le testimonianze più antiche di
quello che viene definito secondo stile, lo troviamo a Roma, sul Palatino, casa del Grifi,
abbiamo una parete dove le lastre marmoree, che imitano marmo policromo, si
immaginano proveniente dalle cave del Mediterraneo, che presentano anche di fronte alla
parete,che si Immagina Chiusa, delle colonne su postamenti illusionistici, si cerca di rendere
attraverso la pittura la tridimensionalità delle architetture, proprio per questo il secondo
stile viene definito anche stile architettonico illusionistico, cioè attraverso il solo uso della
pittura si cerca, attraverso chiaroscuri e giochi di luce e trompe l’oeil, di introdurre le
strutture architettoniche abbandonando completamente il realismo del rilievo in stucco.
Questo cambiamento corrisponde a una fase storica precisa, la fase dell’espansionismo di
Roma nel Mediterraneo. Il secondo stile è diviso in due fasi: la prima è fra l’80 a.c. e la
seconda dal 50 a.c. - Nella prima fase vediamo svilupparsi questa tendenza al
illusionismo, con forme sempre più libere e sempre più esuberanti, un esempio a Stabia,
nella villa di Arianna, abbiamo una parete con marmi policromi, colonne e cornici di stucco
finte, molto articolate. Un altro esempio di questo stile pittorico lo abbiamo anche in Italia
settentrionale, a Brescia, del Santuario tardo repubblicano, abbiamo una parete datata al
primo quarto del primo secolo avanti Cristo, chiusa con imitazioni di ortostati in Marmi
policromi, un tendaggio dipinto sullo zoccolo e colonne che cercano di rendere la
tridimensionalità e che corrispondevano a delle vere colonne presenti nell’edificio. Nel
corso della prima fase del secondo stile questa resa pittorica si evolve, lo fa aprendosi
progressivamente e la parete quasi si trasforma in una sorta di diaframma traforato,
attraverso il quale la parete che vedevamo chiusa, si sfonda per andare a vedere aldilà , si
apre su architetture e paesaggi edifici fantastici. Un esempio è il cubicolo 16 della Villa dei
Misteri a Pompei, vediamo come il diaframma traforato consente alla vista di spaziare al di
là della parete per vedere strutture architettoniche e vedute paesaggistiche. Nella fase piu
luminante del secondo stile abbiamo queste architetture eseguite a tromp l’oeil,
ricchissime, esuberanti, con un Ornato prezioso, colonne avvolte da tralci Dr armi
disseminati di finte gemme; queste vedute prospettiche si articolo sulla parete con grande
Libertà, uso dei colori degli accostamenti cromatici estremamente vivaci e brillanti. Si
suppone che questo tipo di raffigurazioni architettoniche e paesaggistiche traggano
l’ispirazione dalla pittura teatrale. Un’altra espressione tipica del secondo stile pompeiano,
è quella della megalografia, l’esempio più famoso è quella del triclino della Villa dei
Misteri, dove troviamo sulle quattro pareti della stanza una megalografia, ovvero una
raffigurazione con personaggi ad altezza quasi naturali, che si muovono su un podio
raffigurato prospetticamente, sono persone che rappresentano una serie di riti e cerimonie
legati ai misteri dionisiaci, i riti misterici erano riti a cui si accedeva per iniziazione. Un’altra
famosa megalografia di II stile è quella della villa di publius fannius synistor, Fannio
Sinistore a Boscoreale, che raffigurava personaggi della Corte macedone, decorazione
ricca del cubicolo.
- Nel corso della seconda parte del secondo stile la pittura si trasforma, Roma costituisce il centro
della lavorazione delle nuove tendenze. Un esempio è la casa di Augusto sul Palatino a Roma, nel
cuore dell’ambiente di corte, da dove dovevano essere lanciate le nuove tendenze, che poi
venivano recepite dalle classi aristocratiche e delle classi medie. Abbiamo esempi di pittura del
secondo stile avanzato nella casa del Palatino, quella di Augusto e di Livia, dove vediamo che
progressivamente e secondo stile perde quell’esuberanza,quella ricchezza che lo caratterizzava,
diventa più Sobrio e le architetture si irrigidiscono e tendono ad appiattirsi, la vista si concentra
sulla parte centrale della parete, dove troviamo quadri mitologici, raffigurazioni liposacrali. Queste
raffigurazioni si arricchiscono di un Ornato molto raffinato, di motivi calligrafici e di architetture
presto molto esili, quasi fantastiche, corrispondono a quelli che Vitruvio definiva il monstra, si
tratta di raffigurazioni di architetture ed elementi che non possono esistere nella realtà, sono
fantastici, le colonne si trasformano quasi in candelabri, si arricchiscono di elementi vegetali e di
particolari che non hanno riscontro nella realtà. Un esempio è la parete della casa di Livia, notiamo
come l’attenzione si concentra sull’ edicola centrale della parete, dove abbiamo una raffigurazione
di quadri mitologici, che tendono al classicismo e che riprendono temi della pittura greca classica.
Nelle case di Livia e Augusto ci troviamo all’incirca negli anni 30 avanti Cristo, queste tendenze che
vediamo delle due case vengono sviluppate in un'altra residenza, che appartiene alla famiglia
augustea, Forse ad Agrippa e Giulia, La casa della Farnesina, dove abbiamo degli straordinari
esempi dell’ultima fase avanzata del secondo stile, con appunto queste colonne che si trasformano
in candelabri, la formazione di un’edicola centrale con un quadro micrologico, figure fantastiche
che decorano la zona superiore della parete, vediamo anche come la parete forma una
tripartizione sia orizzontale che verticale , con registro inferiore lo zoccolo, zona mediana e non
superiore, che poi diventa Canonico e viene mantenuta in tutta la pittura romana, fino all’epoca
medio Imperiale. Alla fine del secondo stile, età Augustea, si sviluppa anche la pittura di giardino,
un esempio lo dobbiamo nella villa di Livia a Prima Porta, a nord di Roma.
3. Nel II sec. a.c. si attua la fase di transizione dal secondo al terzo stile, in questa fase si
verifica un’ulteriore trasformazione dei canoni pittorici, un’ulteriore variazione dell’ambito
dei modelli e delle tendenze. Uno stile in cui vediamo ridursi illusionismo, c’è una forte
irrigidità, un esempio è una parete della villa di Agrippa postumo a Boscotrecase, scavata
agli inizi dell’800 e le pitture sono divise tra il Metropolitan e il Museo Archeologico
Nazionale di Napoli. In questo stile la parete si appiattisce, la tripartizione della parete
diventa Canonica, anche lo zoccolo si appiattisce e le strutture architettoniche perdono
tridimensionalità, lo sguardo si concentra sul quadro mitologico centrale racchiuso in
un’edicola, riprendendo i canoni della Grecia classica; spesso si fanno portatori di messaggi
di carattere politico e propagandistico, questi cambiamenti che si notano nell’arte, ma
anche nell’artigianato artistico non è strana l’opera di Augusto il moralizzatore e grande e
organizzatore della Cultura, il grande restauratore corale. L’ornato in questa pittura è
sempre più importante, tanto che viene definito anche stile ornamentale, gli elementi
architettonici diventano elementi ornamentali, ricchi di motivi decorativi ed i motivi
calligrafici, a volte assumono delle forme leggiadre, arricchite di elementi vegetali. Il primo
esempio di questa pittura lo troviamo nella Piramide Cestia, secondo decennio avanti
Cristo, siamo già in una pittura di terzo stile, dove sebbene lo zoccolo presenti ancora un
impostazione prospettica, abbiamo un chiaro appiattimento della parete, con un a pittura
sobria visto che siamo in ambito tombale. Troviamo una parete paratattica chiusa con degli
elementi architettonici che si sono trasformati in candelabri ornamentali. Raffinatezza e
calligrafismo della decorazione della stanza della villa di Agrippa, composizione raffinata.
Nello stesso tempo abbiamo questo appiattimento anche nella decorazione dei soffitti, fra
i vari schemi utilizzati per ornamentare soffitti e volte Abbiamo quello dei cassettoni, che
hanno perso l’impostazione prospettica e sono lacunari piatti, degli esempi sono la villa di
Isera, la visita di Ventotene e la villa di via neroniana a Montegrotto Terme, sono
diventate delle superfici decorate con elementi geometrici, delimitati da fasce decorative
che tramite i colori imitano i lati induce in ombra, Ma la tridimensionalità è persa. Un altro
esempio è la casa del frutteto, in cui troviamo delle fasi evolutive del terzo stile, dove
progressivamente la parete comincia ad aprirsi e ad articolarsi maggiormente, è un ritorno
alla prospettiva e illusionismo delle strutture architettoniche. Per lo stile finale, abbiamo
un esempio della casa di Lucretius Fronto, con una pittura che ormai si sta avviando verso
il quarto stile, vediamo sempre mantenuta la ripartizione triplica della parete, ma vediamo
anche l’inserzione di elementi architettonici prospettici, e poi un Ornato che si fa
estremamente ricco e variegato, e arricchisce anche di nuovi accostamenti cromatici. Le
pareti del terzo stile dal punto di vista cromatico erano più sobri, con colori scuri alla base
che si alleggeriva verso l’altro, mentre quarto stile abbiamo accostamenti cromatici più
ricchi e più vivaci, soprattutto i gialli e rossi.
4. Il quarto stile, l’ultimo, a Pompei si colloca tra il 45 e il 79 dopo Cristo. È una tendenza
pittorica che si sviluppa a partire dal terzo stile finale, porta a compimento ampliando tutte
le possibilità offerte dal terzo stile. È molto eterogeneo, Molto vario, gli schemi
ornamentali e il repertorio decorativo è molto articolato e variegato, mescola con gusto
classico elementi tradizionali, ma anche elementi innovativi. È un problema il fatto che
rischia la compresenza di numerose varianti diverse, ciò che accomuna le pitture del quarto
stile è sicuramente la scelta di tipo cromatico, la scelta degli accostamenti dei colori,
perché rispetto al terzo stile che amava molto le tinte fredde, questo stile predilige le tinte
calde e gli accostamenti fra colori caldi e vivaci, come il giallo e il rosso. Vi è una ricerca di
effetti atmosferici e luministici, che hanno portato a definire questo stile anche come stile
fantastico. Questa vivacità e predilizione per i colori vivaci si coglie in moltissime di queste
pitture, un esempio sono le pareti che la villa romana di Positano, recentemente sotto
poste a restauro, si colgono tutte le caratteristiche del quartostile: i colori vivaci, la
presenza di architetture fantastiche e anche la predilezione per il giallo/oro nella resa degli
elementi architettonici, mentre all’inizio del quarto stile ancora le colonne, le architetture
vengono rese in bianco-crema, colore preferito nel terzo stile, nel corso del tempo di pasta
all’uso del giallo/oro. Il problema del quarto stile è la sua cronologia, fa discutere la data
iniziale. Alcuni elementi di ancoraggio cronologico, sono in particolare per Pompei il 62,
ovvero l’anno del terremoto, in seguito del quale molto pareti furono rifatte in quarto stile,
anche per questo il vaccino delle pitture quartostile è molto più ampio rispetto alle
testimonianze pittoriche precedenti; poi il 79, anno dell’eruzione Vesuviana; a Roma una
data importantissima è il 64,anno dell’incendio neroniano, a seguito di questo viene
edificata la Domus Aurea, una delle magnifiche espressioni del quarto stile. In realtà ma
Pompei il quarto stile esisteva già prima del 62, perché sono stati trovati frammenti con
pitture di quartostile negli scarichi provenienti da pareti distrutto del terremoto, nel caso di
Roma abbiamo le pitture in quarto stile della domus Transitoria, la prima residenza
neroniana sul Palatino, collegava il Palatino all’esquilino, dimora precedente alla Domus
Aurea. Il quarto stile è precedente al 62 e al 64, tendenzialmente ora gli studiosi iniziano la
data intorno al 45, già Beyen parlava della possibilità che l’inizio del IV stile fosse collocato
fra gli anni finali del regno di Tiberio e i primi anni dell’epoca Claudia, sulla base di una
testimonianza che è quella a Roma del colombarium di Pomponius Hylas, un Sepolcro, nel
quale si nota la presenza di elementi che poi saranno caratteristici del quarto stile, tra cui la
cornice di stucco dipinta a colori caldi e vivaci. Oggi l’inizio del quarto stile Si colloca intorno
alla metà degli anni 40 dopo Cristo. Un altro esempio è la Domus Transitoria, dove
abbiamo testimonianza di elementi dorati, sottoposte ad analisi archeometriche, in queste
residenze Imperiali le tracce di dorature delle pareti non sono rarissime. Un altro tema per
gli studiosi del quarto stile è l’evoluzione e lo sviluppo di questa fase pittorica, perché in
realtà rispetto agli stili precedenti per questo è stato impossibile riuscire a definire uno
sviluppo di tipo stilistico e cronologico, c’è una compresenza di diverse varianti, questo stile
è eclettico e non sembra presentare uno sviluppo, ma c’è un insieme di diversi schemi, non
sembra possibile distinguere tra ciò che è precedente a 62 e ciò che è successivo. Marietta
de Vos ha individuato tre raggruppamenti principali, Ma che sembrano coesistere l’uno
accanto all’altro: in particolare sono molto frequenti le decorazioni dove ampi tappeti e
ampi pannelli si alternano nella zona mediana della parete a scorci architettonici, come
vediamo nella casa dei Vettii a Pompei, esempi iniziali della pittura del quarto stile, in
questi pannelli sono presenti quadri a soggetto mitologico, uno zoccolo di finto marmo e
la tripartizione della parete viene mantenuta. Un altro esempio è quello della casa del
Criptoportico a Pompei, in cui i pannelli della zona mediana, i cosiddetti tappeti
rettangolari, sono strutturati e a volte delimitati da Motivi caratteristici del quarto stile, che
vengono chiamati bordi di tappeto, utili per datare le pitture al quarto stile. Un altro
raggruppamento è quello più semplice, che presenta una sequenza di pannelli nella zona
mediana senza scorci architettonici, possono essere pannelli monocromi o addirittura
Bianchi, Come è il caso della casa del menandro, oppure possono essere alternati i pannelli
colorati a tinta unita. Il terzo raggruppamento a quello che vede ricostruzioni di
architetture illusionistiche, molto libere , Sono delle grandi scenografie fantastiche
all’interno delle quale in muovono personaggi mitologici, oppure statue e figure di vario
tipo. A Roma abbiamo alcuni esempi notevoli del quarto stile, la Domus di Largo Arrigo
VII, casa bellezza, sull’Aventino, Una decorazione a fondo giallo ocra uniforme, con
un’alternanza di edicole e di strutture architettoniche molto esili e molto eleganti, vediamo
la presenza di pannelli definiti da classici bordi di tappeto, all'interno recano dei quadretti a
soggetto paesaggistico o sacrale/idillico. Un altro esempio a Roma è la Domus Aurea di
Nerone, In particolare quelli rinvenuti negli ambienti del Padiglione sull’Oglio, il quale fu
intercettato dalle Terme di Traiano; all’interno di questo padiglione sono stati rinvenuti
numerosissime pitture di quarto stile magnifiche e grandiose. Gran parte degli ambienti
della Domus Aurea erano rivestiti da lastre Marmore, come la famosa sala di Achille a
Sciro, con la scena mitologica che ritrae Achille tra le figlie di licomede, si tratta di un
quadro che ha un raffigurazione che presenta le caratteristiche del quarto stile, con una
pennellata rapida che qualcuno ha definito impressionistica, per l’uso di contrasti di colore
e di lumeggiature.
Dopo il quarto stile abbiamo una progressiva trasformazione, che si può individuare soprattutto in un
progressivo impoverimento dell’apparato decorativo, e degli schemi decorativi, tanto che, al quartostile
non fece mai seguito Quinto stile. Parliamo di pittura dell’età medio- Imperiale, ma non parliamo più di
questo stile, poiché non ci fu più un’innovazione, ma possiamo parlare di una ripresa e di una
rielaborazione degli schemi pittorici precedenti. Le manifestazioni pittoriche del secondo e terzo secolo
dopo cristo a Roma e Ostia, specialmente all’Insula delle Ierodule, vediamo una ripresa di questi schemi
architettonici che attingono dal repertorio del terzo e del quarto stile, Ma talvolta anche del secondo, c’è
una ripresa delle strutture architettoniche che cercano una resa tridimensionale ; pannelli che si
arricchiscono di vignette e di figure mitologiche; predilezione per i colori caldi, come il rosso ocra e il giallo
ocra. Altre importanti pitture dell’epoca le troviamo nel Caseggiato delle pareti Gialle, nell’Insula delle
Muse, Dove troviamo ancora queste caratteristiche, come l’alternanza di pannelli rosso ocra e giallo ocra, e
la presenza di architetture correte illusionistiche tridimensionale a trompe l’oeil. Una testimonianza
importante l’abbiamo a Roma, si tratta di una Domus del secondo secolo in Piazza dei Cinquecento, si sono
salvati alcuni frammenti di decorazione, dove ancora troviamo queste caratteristiche. Un altro esempio è
quello di Villa Negroni, di cui abbiamo la documentazione attraverso tavole, perché fu scoperta nel
Settecento e andò distrutta. Dal III secolo possiamo iniziare a dire che a poco a poco anche il realismo delle
architetture illusionistiche finisce un il disgregarsi,si va disponendo di uno stile lineare che va a
soppiantare il realismo delle composizioni architettoniche, ed è poi questo lo stile che avrà la maggiore
diffusione e il maggiore successo nella decorazione delle strutture catacombali, fra queste abbiamo le
catacombe di San Callisto e le tombe di Priscilla.
LEZIONE 10
Vitruvio ci fornisce delle notizie anche riguardo alla tecnica dello stucco, al cui abbiamo accennato nel
primo stile. Riguardo allo stucco Vitruvio ci ricorda che un complemento essenziale della parete decorata
erano le cornici di stucco Ovvero le corone, andavano applicate alla parete dopo la realizzazione di
pavimento e soffitto. Queste cornici noi le vediamo nelle decorazioni di primo stile applicati alla parete,
sono cornici architettoniche che imitano le vere cornici in marmo, soprattutto quelle che decoravano gli
edifici pubblici, cornici modanate con decorazione a dentelli, un esempio lo abbiamo nella casa Sannitica
Ercolano, queste potevano essere molto pesanti e voluminosi, pericolose perché si potevano staccare dalla
superficie. Alcuni frammenti di cornici vengono dal Palatino e appartengono alle decorazioni di primo stile,
vediamo che sono molto voluminose. Da questo scavo della domus publica troviamo anche cornici più
leggere, di II stile, in effetti nel corso del tempo queste cornici andarono alleggerendosi, Variano in accordo
con l’evoluzione stilistica delle pareti; questi elementi subiscono l’evoluzione E uno sviluppo a partire dal
primo fino al quarto stile e oltre, cambiano dimensioni, fogge e decorazioni. Troviamo alcuni esempi nella
Villa Giulia a Ventotene, troviamo cornici di stucco di terzo stile, quando venivano prevalentemente
lasciate ancora bianche e prive di colore a imitazione delle cornice marmoree, col quartostile in questi
listelli verrà introdotto il colore. Vitruvio scrive in un'epoca in cui le cornici si sono fatte più sottili e più
leggere e ricche di maggiori decorazioni, Ma dice che nelle stanze quelle cornici sono soggette ad
annerimento per presenza di fonti di calore o focolari o stanze riscaldate, suggerisce l’uso di cornici col
modanature lisce, troviamo un frammento sempre nella Villa Giulia, verso la fine del terzo stile, una cornice
modanata di stucco semplice è lasciata priva di colore. Nel quartostile le cornici si arricchiscono di colori,
caratteristica principale, emotivi tratti dal repertorio architettonico con preferenza per quelli vegetali,
floreali, Le Palme, i calici di loto ecc… un esempio lo troviamo nel museo archeologico di Priverno.
Troviamo una cornice a imposto, posizionata all’imposta fra la parete e il soffitto; queste cornici a volte
potevano essere inserite nella zona di passaggio a fra registro mediano e registro superiore, un esempio lo
troviamo nella Domus di Largo Arrigo VII, o casa bellezza, sull’aventino a Roma, una parete di IV stile con
una cornice policroma. Abbiamo anche dei frammenti di cornici di IV provenienti Dalla Villa delle Terme
degli Stucchi dipinti di Tor Vergata, siccome venivano situati in posizione elevata, avevano una forma
particolare, presentavano la superficie inclinata verso chi guardava e quindi erano più spesse nella parte
superiore e più sottili nella parte inferiore.
Queste cornici erano realizzate molto raramente con l’uso del Gesso, Vitruvio lo sconsiglia, dice che
l’operazione deve essere condotta fino alla fine con un marmo scelto di trama omogenea, per timore che il
gesso, asciugando troppo velocemente, impedisca all’insieme di formarsi in modo uniforme. La evidenza
archeologica ci dimostra che normalmente per le cornici veniva usata una malta molto simile a quella che
era usata per l’intonaco parietale, le stesse cornici presentavano normalmente, se ne osserviamo la
sezione, una successione di strati realizzati alla base in calce e sabbia, mentre solo lo strato più superficiale
erano realizzati in calce mescolata a polvere di marmo o calcite, lo strato bianco era quello superficiale che
poi veniva lavorato. Vi erano diversi modi utilizzati per realizzare le cornici, gli antichi non ci dicono Quale
era la tecnica, noi lo deduciamo dalle testimonianze archeologiche. Noi sappiamo da Tertugliano, autore
del secondo terzo secolo dopo Cristo, che l’artigiano che le eseguiva veniva chiamato Albarius Pector,
albarius viene da bianco, poiché la materia che lavorava era appunto di quel colore. Per le cornici, che
fossero lisce/modanate o recanti motivi decorativi multipli, si usavano dei modani di legno, spesso le
cornici presentano dei segni che ci indicano quanto era largo il modano che veniva impresso
progressivamente sulla parete. Se la decorazione doveva essere più complessa, e si articolava su Ampi spazi
come la tutta la parete e si voleva ottenere una decorazione meno stereotipa ma più artistica,
normalmente il rilievo si realizzava a mano, con l’aiuto di strumenti vari, come cazzuole, spatoline o stiletti.
Si partiva da una massa di materiale applicato alla superficie, già preparata e liscia, e poi la si lavorava, un
- esempio lo troviamo nella casa della Farnesina, un complesso dell’età augustea, che
riporta degli Stucchi classicheggianti, acromi(bianchi), di fattura eccezionale. Queste
decorazioni erano suddivise in riquadri delimitati da sottili cornici, che racchiudono
personaggi tratte dall’ambito mitologico, scene complesse idillico/sacrali, le figure
ornamentali sono realizzate con raffinatezza, calligrafismo e sono anche distribuite con
equilibrio nello spazio, motivi spesso di carattere grottesco raffinati come amorini, vittorie,
candelabri, grifi, animali fantastici ecc.. Un esempio lo abbiamo in un frammento di un
riquadro di una scena raffigurata di tipo idillico sacrale, con una tendenza classicistica tipica
dell’età augustea, le figurazioni sono a bassorilievo e molto stilizzate, c’è una predilezione
per il miniaturismo.
- Più incisivi sono i frammenti che provengono dalla Villa Giulia, probabilmente siamo in
epoca siberiana, si nota come il rilievo sia più Marcato e i chiaroscuri sono più significativi, i
motivi andavano a decorare pareti e volte di ambienti termali, in particolare la presenza di
atleti e tipico di questo tipo di spazi balneari, abbiamo anche scene mitologiche, come
Venere con Antheos.
- Un’altra esempio di decorazione in stucco di ampia dimensione, molto complesso, è quello
della Basilica di Porta Maggiore a Roma nella prima metà del primo secolo dopo Cristo, la
funzione di questa struttura ,che è una basilica a tre navate, e un’abside centrale,non è
chiara, probabilmente si tratta di un tempio neopitagorico. Le scene raffigurate sono di
difficile interpretazione, quelle piu piccole sono spesso simboliche; le scene di grandi
dimensioni hanno come soggetto il destino dell’anima, per esempio il mito di Medea o
quello del rapimento di Ganimede, o il mito di Saffo che si getta dalla rupe di Leucade.
Scene che si riferiscono all’aldilài al destino dell’anima, ancora oggetto di dibattito.

- Un altro famosissimo stucco è quello della casa di meleagro di Pompei, dove sono
realizzate a rilievo tutte le architetture, nelle quali vengono inserite delle pitture realizzate
a pittura e in stucco, compare una particolare resa dello stucco, quella della tecnica tipo
Cameo, dove abbiamo delle figure bianche realizzate su sfondi a tinta unita, di solito o
rosso o blu. Questa è una moda che si diffonde molto nell’età neroniana, l’abbiamo anche
nella Domus Aurea, che presenta numerosi esempi di stucco, come nella volta dorata, dove
vediamo un rivestimento che imita un soffitto a cassettoni molto articolato, con riquadri
tondi e figurati, in posizione perimetrale abbiamo una cornice in stucco dipinto policromo.

- Un altro esempio è quello della villa di Positano, troviamo straordinarie accostamenti


cromatici con una composizione complessa, Dopo anni di restauro si può apprezzare
appieno la tecnica dello stucco e questa tecnica mista,stucco e pittura
- Un altro esempio è quello delle Terme stabiane, fra gli Stucchi più famosi in assoluto, siamo
nel reparto maschile ( suddivisione tra reparto maschile e femminile), abbiamo un
rivestimento che imita un soffitto a cassettoni, con scomparti delimitati da sottili e delicate
cornici, con motivi decorativi all’interno, in alcuni casi ancora conservato il colore. Famosi
sono gli Stucchi della palestra, dove abbiamo compresse scene figurate, racchiuse entro un
articolata struttura a finte architetture prospettiche, con all’interno figure umane come
statue di atleti
- Altri esempi sono quelli della tombe della via Latina, nel Sepolcro dei Pancrazi, fine del I
secolo dopo Cristo. Ottima conservazione, decorazione raffinata, con questa tecnica che
ricorda il Cameo, figure bianche su sfondo colorato. Un altro esempio sono I sepolcri dei
Valeri, molto raffinata la decorazione con questi motivi vegetali e floreali stilizzati, tondi
definiti da sottili cornici con vignette al centro.
Alcune testimonianze relative alla tecnica con la quale venivano realizzate gli Stucchi erano i tracciati
preparatori, incisi per la realizzazione delle figure geometriche, ma all’interno degli scomparti geometrici
venivano tracciate con uno stiletto uno schizzo delle figure che poi venivano realizzate, la superficie veniva
che graffiata intenzionalmente, per favorire aderenza dello stucco. La massa dello stucco veniva applicata e
ritagliata intorno per eliminare quello in eccesso, e poi su di esso il decoratore procedeva con la
realizzazione di tutti i particolari.
Un’altra tecnica di rivestimento delle pareti è quella a mosaico, l’intonaco e lo stucco potevano essere
ulteriormente vivacizzati e decorati attraverso materiali diversi, soprattutto tessere di pasta vitrea,
colorate e tessere di calcare colorato, soprattutto nelle ninfee, nelle fontane e negli ambienti balneari le
tessere in pasta vitrea che rilucevano del riflesso dell’acqua erano molto in voga. Su questo tipo di pareti
quello che veniva chiamato l’opus musivu, era quello più apprezzato. Un esempio è quello della casa della
fontana grande di Pompei, dove vi era un uso frequente di conchiglie; oppure la casa dell’Orso ferito, una
fontana Ninfeo, con una rappresentazione di Venere dentro la conchiglia. L’esempio fra i più famosi quello
della casa di Nettuno e Anfitrite a Ercolano, nel triclinio estivo, abbiamo un pannello con la raffigurazione
dei due entro un’edicola, fra motivi a grottesca e il tutto è incorniciato da una serie di conchiglie, sono
mosaici realizzati prevalentemente di tessere in pasta vitrea, come anche la superficie del Ninfeo sul fondo
della parete, che presenta una decorazione a motivi vegetali e floreali, animali fantastici e di caccia.
Infine abbiamo i rivestimenti in marmo, che si diffondono a partire dall’età Imperiale, si affermano in età
medio tardo-imperiale, un esempio la Domus di Amore e Psiche di Ostia, l’incrostazione marmorea sembra
provenisse dal Oriente, Plinio dice ‘Io non so se sia sorto in Caria l’uso di tagliare il marmo in crustae’ da cui
deriva la definizione di incrostazione marmorea. Questi rivestimenti potevano essere costituiti da lastre di
diverse dimensioni, tagliate secondo forme geometriche, oppure potevano essere realizzate in Opus
sectile, cioè una sorta di mosaico, di lastre di marmo ritagliate in forme atte a rendere ogni genere di
figurazione, cioè delle tastiere. Questo tipo di decorazione si diffonde in età tardo Imperiale, un esempio è
la decorazione della Basilica di Giunio basso a Roma, in cui è raffigurato Il ratto di Hylas e le ninfe, oppure
la tigre che assale un vitello.

La decorazione pavimentale in età romana


Il rivestimento pavimentale in epoca romana richiedeva un’accurata preparazione. Vitruvio e Plinio il
Vecchio ci danno precise indicazioni sulla costruzione dei pavimenti, la preparazione pavimentale è
realizzata a strati: sul fondo bisognava stendere uno strato di sassi, grandi come un pugno, lo statumen;
sopra di esso veniva steso un rudus, un altro stato composto di pietre mescolate a calce; sopra si stendeva
il nucleus, composto di calce e cocciopesto; il pavimentum vero e proprio stava al di sopra, di solito
costituito da uno strato di calce e calcite nel quale venivano allettate elementi di decorazione, oppure il
battuto, i più semplici i pavimenti erano costituite da un battuto di calce o di lavatesta o di coccio pesto.
Nello strato superficiale, quando andavano inseriti degli elementi decorativi, ad esempio un mosaico,
veniva realizzato un tracciato preparatorio, poteva essere fatto attraverso il battuto della cordicella oppure
inciso come nell'esempio di Stabia, Dalla Villa di Arianna, dove vediamo in dettaglio di un pavimento e del
suo tracciato preparatorio. Fra i più antichi e più frequenti pavimenti vi erano quelli in battuto, in
cocciopesto soprattutto, che approdano in Italia dall’ ambiente punico, un esempio è un sito di kerkouane
Tunisia, nel terzo secolo avanti Cristo,in questo periodo vengono importati in Italia e poi perfezionati dai
Romani. I romani inseriscono nel pavimento in cocciopesto diversi elementi, possono essere anche delle
tessere che si distribuiscono secondo un ordito regolare, a volte invece sono disposte in modo irregolare, i
romani chiamano questo tipo di pavimenti Opus signinum, questo termine deriva dalla città di Segni, dove
questa tecnica fu messa a punto. Esistono molti esempi di commistione di varie tecniche e, ad esempio lo
scutulatum, con cui intendiamo un pavimento realizzato con scaglie di pietra o di marmo, disposte
irregolarmente nel fondo di battuto in Opus signinum, questa tecnica poteva essere abbinata al Opus
tessellatum, cioè al mosaico. Sono diverse tecniche combinate insieme danno un effetto ibrido.
Un esempio proviene dalla casa del fauno di Pompei, il pavimento è rivestito di scaglie policrome in pietra
calcarea, al cui interno troviamo un riquadro realizzato in mosaico, che raffigura Due colombe all’interno di
una cornice di pietra. Questo tipo di mosaici che si trovavano nella parte centrale dei pavimenti sono detti
emblemata, al plurale; emblema è un termine che deriva da emballo, che significa mettere dentro, sono
degli elementi inseriti nel pavimento, che potevano essere realizzati anche in bottega, dentro una cornice di
marmo di pietra oppure anche dentro una cornice di terracotta. Spesso questi emblemata recano delle
figure molto raffinate e realizzate con la tecnica dell’ Opus vermiculatum, cioè quelle tessere piccolissime
che vengono combinate seguendo i contorni delle figure e ricordano il movimento di piccoli vermicelli.
- Questi emblemata sono piuttosto frequenti in ambito pompeiano, un esempio è nella villa
di Nerone, in cui troviamo una raffigurazione di attori della commedia nuova. Sono riquadri
che hanno richiami alla pittura e hanno dei modelli di origine ellenistica
- Riguardo a ciò ricordiamo il mosaico di Alessandro e Dario, che proviene dalla casa del
Fauno, ora nel museo archeologico, che raffigura la battaglia di Isso; si tratta probabilmente
del dipinto di filosseno di eretria, realizzato con l’opus vermiculatum, dove vengono
impiegati un milione e mezzo di tessere dimensioni piccolissime.
- Sempre parlando di un mosaico di tradizione ellenistica, prendiamo in esempio il mosaico
nilotico di Palestrina, l’antica praeneste. Fu rinvenuto tra il 1500 e il 1600 nella cantina del
vecchio Palazzo Vescovile, questo mosaico rivestiva il pavimento dell’aula absidata del Foro
civile di Preneste. Raffigurava un paesaggio nilotico , dove c’è un’attenzione particolare agli
aspetti ambientali e paesaggistici, vengono raffigurati animali fantastici, Iside e scene
figurate con personaggi umani. È uno dei più grandi e dei più importanti mosaici
ellenistici, che riportano delle iscrizioni in greco, probabilmente questo mosaico fu
realizzato da un artigiano Alessandrino. Uno dei grandi esempi per la finezza
dell’esecuzione e per la ricchezza cromatica e ornamentale che lo caratterizzano.
Con la fine dell’età repubblicana incomincia a svilupparsi una nuova moda, quella del mosaico in bianco e
nero, tipicamente romana. Esistono diversi esempi significativi nella casa dei mosaici geometrici a Pompei,
in bianco e nero, che riempiono tappeti molto ampi con motivi geometrici, e si estendono su tutta la
superficie del pavimento. Questo genere di mosaico ebbe grande fortuna in ambito Romano e si sviluppo
dal punto di vista del geometrismo nell’arco del primo secolo avanti Cristo, con grande successo in età
augustea, che nella loro semplicità si contrappongono alla policromia delle pareti verticali. Nel corso del I
secolo dopo Cristo questi mosaici bianco e nero si arricchiscono di figure e di scene figurate anche da
personaggi, che da una situazione iniziale si passa ad una retta più pittorica, con l’introduzione di colpi di
luce rese attraverso macchie e striautre di colore bianco. Un esempio lo abbiamo nella casa del poeta
tragico di Pompei, soprattutto in età adrianea e poi nel corso del II secolo questi mosaici incominciano a
sviluppare delle decorazioni di tipo vegetale, floreale, arricchendosi moltissimo. Le figurazioni e i
personaggi vengono resi in modo piu naturalistico, con questi colpi di luce bianchi su fondo nero. A
dimostrazione di come del mondo romano Il mosaico bianco e nero ebbe comunque un grande successo e
una lunga evoluzione, anche se poi contemporaneamente a partire dal II secolo ricomincia ad avere
successo e a prendere piede Il mosaico policromo, reso attraverso l’accostamento di tessere di pietra
calcarea colorata.
Tra il II e il IV secolo dopo Cristo si sviluppa una scuola di mosaicisti africani che danno luogo ad alcuni dei
mosaici più belli e famosi del mondo romano, soprattutto nel museo del Bardo di Tunisi. Si sviluppa nella
provincia Africana una scuola di mosaicisti a dei caratteri specifici e peculiari, originali, sia dal punto di
vista stilistico, con l’uso di questa policromia calda e vivace, in sia dal punto di vista tematico: abbiamo ad
esempio mosaici che riprendono temi mitologici o classici, o temi innovativi. Questo sviluppo particolare del
mosaico africano va di pari passo con lo sviluppo economico della provincia Africa, a partire soprattutto dal
II secolo l’Africa si sviluppa molto dal punto di vista economico, esporta in grande quantità i suoi prodotti,
soprattutto grano e olio, raggiunge una prosperità economica notevole che favorisce lo sviluppo delle Arti
e dell’Artigianato artistico. Abbiamo dei temi più tradizionali, ma abbiamo anche questi mosaici geometrici,
con la raffigurazione di personaggi femminili che rappresentano le stagioni oppure le province, all’interno
di Tondi. Abbiamo un esempio della provincia Africa, identificata dal copricapo a forma di protomi
elefantina, cioè la testa dell’elefante. Questi mosaici esprimono un uso del colore veramente straordinario,
molto vivace e caldo, con accostamenti cromatici anche molto raffinati. È una scuola che dà luogo a
prodotti e raffinati che presto raggiungerà anche l’Italia. Fra i
temi che vengono raffigurati in questi mosaici c’è quello che rappresenta la prosperità raggiunta dall’Africa
attraverso l’economia agricola e il sistema latifondistico, imperniato sulle ville, raffigurate spesso nei
mosaici africani, un esempio è quello del museo del Bardo, dove è raffigurata una struttura architettonica
con Torri e Portico. Un’architettura simile la troviamo al museo del Bardo a Tunisi, è uno di quei mosaici
che fa parte del ciclo dei latifondi, è un insieme di mosaici che raffigurano la vita Nella campagna africana;
è proprio l'affermazione economica dell'Africa che viene raccontata in un ciclo di immagini. In questo giochi
di rimandi alla vita campestre i mosaicisti elogiano i piaceri della vita di campagna, quelli che sono i frutti
del sistema latifondistico, c’è una forte autocelebrazione del dominus, rappresentato quasi come una sorta
di piccolo sovrano. Tra i passatempi di svaghi di questi signori i proprietari terrieri vi è anche la caccia,
abbiamo un esempio di uno dei mosaici che Ornano i pavimenti della villa di Piazza Armerina, dove
troviamo scene di caccia, mosaici che richiamano la tradizione della scuola dei mosaicisti africani.
I rivestimenti marmorei, oppure l’opus sectile,è un tipo di rivestimento che viene realizzato impiegando
delle cruste marmore, cioè delle lastre di superficie, spessore, forma molto variabile. Secondo Plinio è
un’arte che deriva a Roma dall’oriente. Un esempio che risale al II-I secolo avanti Cristo, quello che è
definito scutulatum, col quale si può intendere quei pavimenti con scaglie di marmo allettate dentro a un
battuto in cocciopesto. Secondo Plinio con scutulatum Si intende anche un tipo di Opus sectile, composto
da pietre colorate e ritagliate secondo forme geometriche e combinate in modo da suggerire,a chi
guardasse la composizione, dei cubi disposti prospetticamente; un esempio lo troviamo nella casa del
Fauno a Pompei. Questo tipo di decorazioni si sviluppa nel corso del tempo, l’opus sectile soprattutto in età
Imperiale raggiungere i vertici di raffinatezza notevoli, con la combinazione dei Marmi colorati proveniente
da molte provincia dell’Impero, combinazione di lastre marmoree ritagliate in forme geometriche e
combinate fra loro per dare luogo alle combinazioni più svariate.
- Un esempio è un pavimento di età Tiberiana proveniente da Capri, nel corso del primo
secolo dopo Cristo queste decorazioni si sviluppano in forme molto esuberanti, con
l’accostamento di colori contrastanti e molto caldi, a raggiungere delle forme quasi
barocche dal nostro punto fi vista.
- Fra i più raffinati abbiamo degli esempi della prima metà del secondo secolo dopo Cristo,
provenienti dalla Domus Tiberiana sul Palatino a Roma, dove con l’uso della tecnica
dell’opus sectile ( gia vista nella decorazione delle pareti) si dà luogo a decorazioni
complesse, non solo con Motivi geometrici, ma anche floreali.
- Questa tecnica si sviluppa e si arricchisce nel corso di tutta l’epoca Imperiale, un esempio è
il pavimento della Villa Adriana di Tivoli, nel quale troviamo molte espressioni di questo
tipo di decorazione pavimentale.
- Infine abbiamo la Domus di Amore e Psiche di Ostia.
Abbiamo preso in considerazione principalmente esempi provenienti soprattutto da ambienti di un certo
livello, Domus, ville ed ambienti di livello elevato, esitono però pavimenti anche molto più semplici, come i
battuti pavimentali realizzati in vario modo. Oltre ad essi ci sono molti esempi di pavimenti realizzati con
elementi in cotto, cioè di terracotta, come i pavimenti a esagonette, che nei casi di maggiore raffinatezza
erano ornati al centro con una piccola tessera di calcare o di marmo; oppure Opus spicatum, dove gli
elementi erano disposti a spina di pesce anche per evitare rottura del pavimento dovuta al continuo
calpestio. Questo genere di pavimenti con elementi di terracotta sono tipici di ambienti secondari,
vengono anche spesso usati negli spazi aperti; li troviamo impiegati negli edifici di carattere rurale.
Lezione 11

Il ritratto imperiale
Il ritratto imperiale è un tipo di ritratto ufficiale, che ha la funzione di veicolare, una ideologia, un
messaggio politico, e l’immagine ufficiale dell’imperatore, anche nelle province in cui l’imperatore non si
vedrà mai oppure molto raramente. Questo tipo di ritratto Viene creato in situazioni particolari, come può
essere l'incoronazione,il decennale ecc… per questo chi regna per un breve periodo ha pochi ritratti,
mentre gli imperatori che Regnano per periodi molto lunghi hanno diversi tipi di ritratti.
Ad esempio Augusto ne ha un centinaio, lui infatti ha una carriera politica molto lunga, regna per oltre 40
anni e ne conosciamo molti tipi diversi. Abbiamo un ritratto di Ottaviano giovane,ancora 25 enne che si rifà
ai canoni ellenistici del Ritratto patetico,ora ai musei capitolini, che esprime una volontà di
autoaffermazione e potere, un ritratto diverso da quello che poi diventerà quello ufficiale, che sarà sempre
più idealizzato, si rifarà hai modi dell’arte classica secondo gli stilemi del neoatticismo, quindi molto più
Sobrio e dall’espressione pacata è molto rassicurante. I membri della famiglia Imperiale si rifanno ai suoi
canoni estetici, in particolare Notiamo che riprendono una sua caratteristica, la capigliatura di Ottaviano e
di Augusto si caratterizza per la presenza di una ciocca disposta a tenaglia, che poi è una ripresa della
anastolè di Alessandro Magno.
- Nei suoi parenti, che gli aveva disegnato anche come discendenti, a partire da Marcello,
raffigurato in una statua secondo i canoni classici di Ermes; oppure in Gaio e poi in Lucio,
tutti disegnati come suoi eredi e tutti morti in giovane età, tutti questi propongono nei loro
ritratti i tratti tipici di quello Augusteo, non solo con la riproposizione delle sue
caratteristiche fisiche, ma anche un ritratto idealizzato e sobrio.
- Queste caratteristiche le ritroviamo anche nel ritratto femminile delle donne della Corte
augustea e della famiglia Imperiale, a partire da Ottavia la sorella di Augusto e madre di
Marcello, per passare a Giulia la madre di Gaio e Lucio e poi a Livia, terza moglie, che lo
accompagna in tutta la sua carriera e durante tutto il suo regno, e madre del suo
successore Tiberio, che non era un Giulio, ma un Claudio. Notiamo le caratteristiche del
ritratto neoattico, con questa ripresa dei canoni classici, molto Sobrio e idealizzato e
Notiamo anche la proposizione di una moda nella capigliatura, queste donne gettano delle
Mode dal punto di vista dell’acconciatura. I ritratti femminili sono molto diffusi, Perché le
donne della famiglia Imperiale sono coloro che, proprio per i legami di sangue che
rappresentano, sono le garanti della successione dinastica, per questo a loro viene riservato
un posto importante nella ritrattistica ufficiale.
- Il ritratto di Tiberio non presenta Grandi novità, Si colloca Nella linea del Ritratto Augusteo,
Tuttavia è un ritratto meno idealizzato dove anche le caratteristiche fisionomiche sono
specifiche, ti consentono di individuare con precisione il personaggio, mentre per i membri
della famiglia Giulia questo non è sempre così facile, proprio a causa della idealizzazione del
ritratto.
- Ritratti della dinastia giulio-claudia Con Caligola non vi sono delle sostanziali proprietà,
mentre alcune innovazioni Subentrano con il ritratto dell’imperatore Claudio, con lui
vediamo il ritratto di un uomo di età matura, segnato dall'età, che ritorna ai canoni del
Ritratto ellenistico patetico, con delle forme tendenti al barocco e con degli effetti
chiaroscurali molto accentuati. Questo lo vediamo ancora di più nel ritratto di Nerone, che
presenta una chiara innovazione rispetto al ritratto della primissima età Imperiale,
immagine più realistica; si ripropongono dei forti effetti chiaroscurali; gli stilemi del Ritratto
realistico con una tendenza al barocco; il tutto supportato da una modellato morbido e
levigato.
Con Vespasiano cambiano le cose, abbiamo un fenomeno transitorio nel quale da un lato si esaurisce il
classicismo, nello stesso tempo si crea un chiaro dualismo fra il ritratto privato da un lato, realistico, e
dall’altro un ritratto ufficiale, idealizzato. Da un lato un’immagine quasi volgare, con un forte Chiaroscuro e
una sensazione dei tratti realistici, dall’altro invece abbiamo un ritratto molto più levigato e idealizzato, che
è quello ufficiale.
- È un fenomeno transitorio che scompare sul ritratto di Traiano, dove invece possiamo
notare Come vi sia proprio una fusione tra il ritratto ufficiale e quello privato, quella che
era la caratteristica notata nel ritratto di Vespasiano qua viene meno. Traiano è un
grandissimo condottiero, un imperatore che sale al potere per adozione e che nel fondere il
ritratto privato e quello pubblico da luogo a un famoso ritratto, quello del decennale,
quello dei 10 anni dalla sua salita al potere, dove è rappresentato in semi nudità eroica,a
mezzo busto, con un mantello militare è una fibula che lo trattiene e il balteo, cioè la fascia
di cuoio che sosteneva la spada.
- Per l'età traianea vediamo alcuni ritratti femminili: il ritratto di Marciana, la sorella; il
ritratto della moglie Plotina. Notiamo come anche qui i tratti fisiognomici realistici sono
trattati in modo delicato, sono quasi purificati, c’è un chiaroscuro delicato e morbido, e le
acconciature molto complicate, arricchite con elementi posticci e parrucche. Uno dei
ritratti più belli dell’epoca è il Busto Fonseca, che forse ritrae Vibia Matidia, in cui notiamo
queste caratteristiche di età adrianea.
Le cose nel ritratto cambiano ulteriormente, registriamo delle novità importanti, delle nuove tendenze a
partire dall’età di Adriano. Nel corso del secondo secolo dopo Cristo possiamo notare Come si introduca
nella ritrattistica l’abitudine di incidere alcuni particolari, che prima venivano rese attraverso la pittura, ad
esempio quelli degli occhi, l’iride o la pupilla vengono incisi. Un’altra novità è l’uso della barba, i ritratti
dell’imperatore Adriano esprimono una forte elettrizzazione e una forte tendenza al classicismo, la stessa
barba rimanda a un tipo della statuaria classica, ovvero il tipo dell'oratore e del filosofo. Questo elemento è
un’espressione di fine ellenismo, un’espressione che deriva da una forte impronta e significato culturale.
Con l’età adrianea c’è anche un fenomeno atipico, quello della divinizzazione di un personaggio che non
era un membro della famiglia Imperiale, ma membro della Corte, si tratta di Antinoo l’amasio e il
prediletto di Adriano, il giovane che morì In circostanze piuttosto scure allegato del Nilo nel 130 d.c., poi
divinizzato. Ne abbiamo diverse statue, i cui canoni classici sono evidenti, è presentato spesso in nudità o
semi nudità Eroica, e in varie forme come un Dio, ad esempio la statua in cui lo raffigura secondo un
modello apollineo, che rimanda alla scultura greca classica. Le sue statue si collocano precedentemente
negli anni trenta del secondo secolo dopo Cristo. Canoni classici di età adrianea emergono anche nei ritratti
di Vibia Sabina, che abbandona la complessità e la ricchezza delle capigliature elaborate dell’età
precedente e assume un’acconciatura molto più sobria e semplice, si rifà a modelli classici assumendo
un’aria di espressioni Maestosa, ma anche molto rassicurante.
Il classicismo adrianeo perdura, l’uso della barba durerà circa un secolo, anche i suoi successori ne fanno
uso, con Antonino Pio non abbiamo novità rispetto all’immagine raffigurante dell’imperatore e al modello
classico, possiamo notare un accentuazione degli elementi chiaroscurali, ma in una sostanziale morbidezza
delle superfici. Con i busti di Marco Aurelio e Lucio Vero vediamo che si allunga la barba, che insieme alla
capigliatura vengono lavorati con una sensibilità pittorica, diventano degli elementi fortemente
ornamentali, abbiamo un uso sapiente del trapano corrente. Questa sensibilità pittorica che possiamo
riscontrare nella ritrattistica, sono elementi che ritroviamo anche con Maggiore accentuazione nei ritratti
di Commodo, dove vediamo ancora questo perdurare della caratteristica dell’incisione degli occhi.
Vediamo nel ritratto dell’imperatore come Ercole dei chiaroscuri molto accentuati, il paziente uso del
trapano e una decorativismo virtuosissimo dell’acconciatura e della barba, con un gusto che potremmo
definire barocco.
I canoni della scultura dell’età degli Antonini viene portata avanti anche da Settimio Severo, fine del
secondo secolo dopo Cristo, epoca incomincia a presentare dei problemi alle frontiere, quella dei Severi in
particolare sarà un epoca piuttosto travagliata dal punto di vista delle pressioni ai confini, ma anche poi dei
conflitti interni. Se da un lato Settimio Severo si richiama ancora ai canoni classici della statuaria
precedente, Tutto cambia con Caracalla, assume un taglio corto, come la barba, ha uno sguardo torvo e
crudele con una forte carica espressiva, la forte carica Patetica che esprime drammaticità e una forte
tensione nel movimento, si considera un’espressione di tempi di forte crisi politica; dall’altro anche
espressione di un cambiamento delle forme del potere con una tendenza Maggiore verso l’assolutismo.
Ricordiamo come Caracalla, che prende il nome da un tipo di vestiario di origine Gallica, giunse al potere
tramite l’assasinio del fratello Geta, che in un famoso tondo raffigurante Settimio Severo, Julia
Domna(moglie), Caracalla e Geta, viene eraso. Abbiamo un busto di Julia Domna con un’acconciatura
molto elaborata, questa massa di capelli che diventano anche un elemento decorativo e con questa
espressione del volto ieratica, Notiamo anche gli occhi come attraverso questa lavorazione diventano un
elemento di Attrazione magnetica dello sguardo. Questo lo vediamo negli ultimi rappresentanti della
dinastia dei Severi, in particolare del Ritratto di eliogabalo, che era di origine siciliana e fu acclamato dalle
truppe orientali, ma dura in carica soltanto 4 anni e fu assassinato. Venne acclamato dopo una breve
parentesi di Macrino, era sacerdote del dio del sole, nel ritratto eliogabalo possiamo notare questa
situazione molto forte dello sguardo, l'attenzione di chi guarda è concentrata sugli occhi che si
ingrandiscono, diventando intensi e magnetici. Questo tratto lo vediamo nel ritratto di Alessandro Severo,
raffigurato con un taglio molto corto di tipo militare, quando e rapidi tratti incisi a indicare gli elementi della
capigliatura. Con gli anni 30 del terzo secolo inizia un periodo di forte crisi a livello polittico, un’epoca di
Forte tensioni, che alcuni storici hanno definito di anarchia militare, un periodo molto travagliato che dura
circa 50 anni, a partire dal 235 fino all’epoca di Diocleziano del 284, in cui prese il potere ed inizia la
tetrarchia. Gli anni del III secolo sono travagliati, si esprime attraverso il ritratto, che si carica di espressione
di dolore morale, un esempio è il ritratto di Filippo l’Arabo, forte espressionismo ,che esprime un dolore e
un’angoscia, qualcuno l’ha definita l’età dell’angoscia. Lo vediamo anche nel ritratto dell’imperatore Decio
caratterizzato da un forte espressionismo e da questa concentrazione sullo sguardo, con gli occhi ingranditi
oltre la norma, questo disfacimento del rigore formale e del viso conferisce un’espressione Patetica ed
esprime una forte tensione, angoscia del vivere.
Le cose cambiano con Diocleziano, sale al potere nel 284 e si supera la crisi degli Imperatori, che si sono
succeduti acclamati dall’esercito dalle legioni, Oppure dalla guardia pretoriana, invece con lui si riafferma
l’autorità Imperiale, propone un nuovo sistema di governo che è basato sulla tetrarchia e che garantisce
stabilità, si parlava presenza e sulla collaborazioni di 2-augusti e due cesari, li vediamo rappresentati nel
gruppo dei Tetrarchi alla base del campanile di piazza San Marco a Venezia, realizzati in porfido, sono
quattro personaggi volutamente indistinguibili, perché devono simboleggiare unità del potere; anche se
vediamo che i 2 personaggi più vecchi portano la mano sui Cesari, hanno un abito militare con la mano
sull’elsa della spada e hanno una fissità dello sguardo che è proprio la caratteristica di questa fase della
media tarda età Imperiale. La ritroviamo anche nel ritratto di Diocleziano, che esprime nei tratti sofferti
dell’epidermide l’età avanzata, una grande concentrazione e autoritas, la fermezza del l’uomo al comando,
che garantisce la stabilita dell’impero.
Fissità dello sguardo e frontalità, raggiungeranno il massimo con i ritratti di Costantino, ad esempio i
famosi pezzi dell’aaccolito di Costantino, che si trovava nell’abside ovest della Basilica di Massenzio a
Roma, vediamo come imperatore che era seduto in trono come dio, in realtà si fa intermediario fra l’uomo
è Dio. Fissità dello sguardo e degli occhi magnetici sovradimensionati, una rigidità è una frontalita che
indicano il distacco sovrumano dell’imperatore. Riproviamo molti di questi tratti in statua di un imperatore
non ben identificato, del quinto secolo dopo Cristo, in bronzo, alta 5 m, che proviene da Costantinopoli,
esprime una grandissima forza emotiva e una tensione, l’imperatore sempre raffigurato con corazza, il
Globo in una mano e la Lancia nell’altra. È un’immagine forte che esprime l’autoritarismo.
Lezione 12

Il rilievo storico-narrativo
Il rilievo storico narrativo è un espressione della scultura Romana, insieme al ritratto, che all’inizio del 900
fu considerata una creazione originale dell’arte romana. Oggi sappiamo che ebbe dei modelli già in epoca
Greco-ellenistica, sappiamo anche che i romani svilupparono questa forma di arte dando luogo a delle
creazioni del tutto originali: ad esempio i rilievi delle colonne coclidi di Traiano e Marco Aurelio, con rilievo
narrativo che si sviluppa in modo spiraliforme a ricordare la forma di una conchiglia. Il rilievo storico
narrativo è un tipo di rilievo che presenta una narrazione di eventi e fatti, di norma di interesse pubblico,
sono fatti reali oppure ricostruzioni di fatti accaduti, o raffigurazioni simboliche e allegoriche.
Una caratteristica è il fatto che si opera alla base una selezione di eventi e scene, che vengono raffigurate in
una sequenza, che ha una funzione didascalica, il fregio normalmente si sviluppa in modo continuo oppure
paratattico.
I romani sviluppano questa forma artistica in maniera anche molto originale, ma ci sono dei precedenti in
epoca greco-ellenistica :
- ad esempio nell’ultimo quarto del V secolo avanti Cristo Il caso del tempio di Atena Nike,
sull’acropoli di Atene, che in un rilievo nel fregio presenta una scena di battaglia fra greci e
persiani, si riferisce alla battaglia di platea combattuta durante la seconda guerra persiana,
nel 479.
- Un altro esempio di fregio di età ellenistica, è quello dell’altare di Pergamo di Eumene II,
eretto per celebrare la vittoria di attalo sui Galati, il fregio presenta un rilievo di carattere
narrativo, con una serie di episodi e scene dove Telefo, personaggio mitologico a cui a
Pergamo era riservato un culto eroico, diventa il protagonista delle varie dei vari episodi
che si susseguono su questo rilievo.
Non si tratta di un’invenzione e di una creazione romana. Gli episodi realmente avvenuti sono raffigurati
raramente, è più facile trovare in questo tipo di rilievi, delle rappresentazioni simboliche e allegoriche,
anche raffigurate secondo schemi fissi. Questo genere di raffigurazioni non riguarda soltanto le grandi
composizioni, Ma si ritrovano anche in piccolo formato nelle Arti Minori, ad esempio nella toreutica, si
fanno portatori di un messaggio anche polittico, propagandistico e ufficiale:
- un esempio è la Gemma Augustea, in onice, conservata a Vienna, dove viene raffigurata la
glorificazione di Augusto seduto accanto a Roma, Incoronato da Oicumene,
impersonificazione del potere universale, è un’immagine simbolica, che si fa portatrice del
messaggio Imperiale.
- Un altro esempio, in onice, è il cosiddetto grande Cammeo di Francia, c’è una
raffigurazione che possiamo definire generica,è realizzato secondo uno schema fisso, dove
abbiamo nella parte bassa raffigurati i barbari prigionieri, quii abbiamo la grandezza di
Roma, è un'esaltazione della famiglia Imperiale; in alto abbiamo i personaggi divinizzati; al
centro abbiamo un episodio della corte imperiale dove sono raffigurati Tiberio e la madre
Livia.
- Un altro esempio di toreutica è una tazza d’argento del tesoro di Boscoreale con il trionfo
di Tiberio sul carro.
Spesso si usano temi allegorici, e anche raffigurazioni realizzate secondo degli schemi fissi, spesso anche
tratti da modelli originali della Grecia classica o di ambito ellenistico, un esempio importante e tra i più
antichi, risalente anche all’età repubblicana, è il monumento di Lucio Emilio Paolo a Delfi, situato nel
santuario di Apollo, è un fregio con battaglie che celebra la vittoria di Pidna, 168 a.C. Lucio Emilio Paolo
sconfigge i macedoni e secondo Plutarco Il condottiero trasformò un monumento equestre, già predisposto
per il re persio che venne sconfitto, del quale Ne rimangono pochi elementi, Fra Questi il rilievo con la
raffigurazione di una battaglia, fra romani e macedoni; un pilastro sul quale si doveva trovare una statua
equestre; la base del plinto con un cavallo impennato. Sono tutti i modelli tratti dall'ambito greco-
ellenistico e dove il condottiero si raffigura equiparandosi a un sovrano ellenistico.
Secondo l’opinione di Bianchi Bandinelli, un grande esempio di arte Eclettica romana, dove le conquiste
dell’arte ellenistica si combinano con i tratti più tipici e le espressioni più tipiche della romanità si trovano
nella Ara Di Domizio enobarbo, fine del secondo secolo avanti Cristo. Monumento che in realtà
non doveva essere un’ara e non aveva a che fare con la famiglia degli enobarbi, era una base destinata a
sostenere delle statue, Nettuno, Anfitrite, Achille e le Nereidi, ora perdute;la prima del suo genere in
ambito Romano; da questo monumento smembrato, i cui elementi furono rinvenuti nell’area del tempio di
Nettuno, nella zona del circo flaminio, sono quattro le lastre che sono finite in parte a Monaco di Baviera in
parte a Parigi. Questa base era composta su tre lati da un rilievo che si rifà ai canoni stilistici, si tratta di un
rilievo con tiaso Marino, cioè un corteo Marino dove sono presenti le posizione e anfitrite su carro,
preceduti da un corteo di divinità marine, tritoni e Nereidi; è un rilievo che si può definire classicheggiante,
realizzato secondo gli stilemi neoattici. Un quarto lato però raffigura un rilievo che si può definire
pienamente Romano, di carattere storico narrativo, dove compaiono dei magistrati e una processione con
degli animali Condotti al sacrificio, si ritiene che venga qui rappresentato un lustrum censorio, una
cerimonia che concludeva i 5 anni dell’attività dei censori, e realizzavano un sacrificio espiatorio per tutta la
popolazione; alla base c’è un iniezione didascalica è un impostazione narrativa verosimile, caricata in parte
di simbolismo e pienamente romana. La mano che ha eseguito questi rilievi sembra la stessa, c’è una
commistione fra le conquiste ellenistiche e le esigenze dell’arte romana,il messaggio romano, questo dopo
la conquista della Grecia.
Una cosa importante da sottolineare è che molto verosimilmente alla base del rilievo storico narrativo
dovevano esserci le pitture, in particolare quelle trionfali, che purtroppo noi abbiamo perso. Queste pitture
trionfali costituivano genere di pittura che veniva realizzata per le processioni, i cortei E in queste
raffigurazioni venivano ritratte scene di battaglia, luoghi e città conquistati, era una sorta di carta
geografica relativa alle conquiste fatte dall’esercito Romano, questo tipo di pittura influenzò molto il
rilievo storico narrativo.
- Un esempio che si può avvicinare a questo genere di pittura, in un affresco di una tomba
sull’ esquilino terzo secolo avanti Cristo, raffigura una narrazione di fatti verosimilmente
storici, una narrazione su 4 registri, notiamo anche che è priva di ogni azione di tipo
paesaggistico, che poi entreranno Nella pittura romana per influenza del mondo ellenistico,
vi notiamo dei personaggi, un certo Marcus Fabius e Marcus Pagnus, ma non si conosce la
vicenda precisa.
- Un Altro esempio importante che raffigura una scena condotta secondo i criteri del rilievo
storico narrativo, un fregio del Tempio di Apollo Sosiano, nell’area del circo Flaminio
vicino al teatro di Marcello, di cui ne sopravvivono Tre Colonne con capitello corinzio. Dalla
cella di questo tempio proviene un fregio che raffigura una processione Trionfale, si è
pensato al trionfo di Augusto del 29 avanti Cristo, ciò che importa è che si tratta di una
scena di trionfo che ritrae prigionieri e un trofeo, realizzato con uno stile elegante e pulito,
che riflette le tendenze del primo periodo dell'età augustea, e lo sviluppo di questa
tradizione del neoatticismo, con riferimento a un tema Romano, ma con stilemi che si
rifanno all'epoca classica.
- Una delle massime espressioni di questo genere scultoreo è l’Ara Pacis Augustea,
monumento votato Dal Senato nel 13 avanti Cristo e dedicato nel 9. Era un monumento
che celebrava il ritorno di Augusto Dalle campagne e dalle spedizioni militari in Gallia e in
Spagna, e mirava con una serie di messaggi propagandistici a esaltare la chiusura delle
guerre e l’esaltazione dell’instaurazione della pace, la Pax Augustea, l’apertura di una
nuova Età dell’oro, un’epoca di pace e prosperità. Quest’Ara è raffigurata come un recinto
quadrangolare, all’interno Si vede anche il tavolato ligneo sormontato da una serie di
festoni, all’interno vi era l’altare vero e proprio su una serie di gradini e intorno un recinto
con due aperture, raggiungibile attraverso una scalinata. Questo recinto si imposta va su un
alto plinto, un podio, e presentava una ricca decorazione all’esterno. La decorazione interna
del recinto ha un rapporto totalmente estraneo con quella esterna

 in basso c’era uno zoccolo decorato con rilievi i tralci d’acanto, che si dipartono
simmetricamente da un cespo centrale; questi fregi di elementi vegetali sono stati
approfonditamente studiati e si ritengono rappresentare un simbolo di prosperità,
la ricchezza anche vegetale indica prosperità ed è simbolo della ricchezza
raggiunta nell’età Aurea augustea.
 Al di sopra si trovano dei fregi in particolare due fregi lunghi con la
raffigurazione della processione inaugurale e quattro riquadri con scene
mitologiche allegoriche, che si caricano di messaggi politici propagandistici: Enea
che sacrifica ai Penati, il lupercale, la raffigurazione di Tellus ( simbolo di ricchezza
dei frutti della Terra e prosperità) e Roma ( esaltazione della personificazione di
Roma).
 Lungo i lati più lunghi lunghi cortei con i personaggi della famiglia Imperiale : un
esempio è il rilievo del lato Sud con la processione dedicatoria, non è un rilievo
non storico, ma ricostruisce una processione, è narrativo, in cui sono presenti
personaggi che nel 9 non esistevano più, come Agrippa raffigurato al centro del
fregio(spalla destra di Augusto, condottiero e costruttore, secondo marito della
figlia Giulia, padre di Gaio e Lucio), mentre Augusto guidava la processione;
vediamo anche i giovani membri della famiglia Imperiale, oltre ai membri
femminili, garanti della successione Imperiale. Si tratta di una processione
raffigurata in modo molto Sobrio e equilibrato, secondo i canoni classici.
 Due dei quattro rilievi corti che affiancavano le aperture sono di carattere
allegorico simbolico, vediamo la Saturnia Tellus, simbolo di ricchezza e prosperità
dei frutti della Terra; poi abbiamo un rilievo di Enea che sacrifica i Penati
(fondatore di Roma), personaggio significativo nell’esaltazione di Roma e della
casa Imperiale.
Abbiamo progetto portato avanti negli ultimi anni, che nel nuovo spazio museale dedicato all’
Ara Pacis, denominato l’Ara com’era è finalizzato a ricostruire anche i colori originali di queste
pitture, che attualmente sono prive di colori, ma in origine dovevano essere ornate da
pigmenti vivaci.

- Interessante vedere alcune manifestazioni di questo genere storico narrativo in ambito


Provinciale, siamo nella narbonensis a Glanum, dove in questo mausoleo dei Giuli, in realtà
è un mausoleo che si riferisce a una famiglia che prese la cittadinanza sotto Giulio Cesare,
vengono raffigurate scene di battaglia che sono rese attraverso schemi mitologici e di
derivazione classica.
- Per registrare un cambiamento nell’ambito dell’espressione di tipo stilistico in questo
genere del rilievo storico narrativo, dobbiamo arrivare all’età Flavia, con l’arco di Tito,
molto massiccio, tipo di Arco robusto, le raffigurazioni che ci interessano si trovano dentro
al fornice, in particolare alcuni si riferiscono ad alcuni episodi storici realmente avvenuti,
anche se trasformati e rivisitati con l’introduzione di personaggi allegorici, si tratta però di
episodi reali, abbiamo il rilievo con il trionfo di Tito e a fianco ci si riferisce alla presa di
Gerusalemme,abbiamo le spoglie del tempio di Gerusalemme, qui notiamo la differenza
rispetto ai e rilievi di epoca Augustea, l’abbandono di quegli stilemi del neoatticismo, con
l’introduzione di un altorilievo, ma caratterizzato da forti contrasti chiaroscurali, c’è una
forte ricerca anche dal punto di vista spaziale, una ricerca prospettica e illusionistica, come
il corteo che da quasi l’impressione di uscire, c’è un senso di profondità e una ricerca di
sovrapposizione di piani che da un vivace movimento alla scena. È un rilievo carico di
espressionismo, dove secondo Bandinelli le conquiste ellenistiche si combinano
perfettamente agli stilemi dell’ arte plebea.
- Mentre nel rilievo dell’età di Domiziana, che celebra la partenza e il ritorno di Domiziano
dalla Germania, 83 dopo Cristo, sono i rilievi della cancelleria, in cui abbiamo
un’impostazione classicista e accademica, molto fredda,dove l’episodio presenta
personaggi reali e militari, ma si trovano anche personaggi mitologici e allegorici come
l’impersonificazione di Roma e del Senato, Il genio di Roma. È stato trovato in una bottega
sotto palazzo della cancelleria, non fu mai collocato sul monumento pubblico.
- Un altro esempio straordinario è la colonna Traiana, una rivoluzione una vera creazione
originale Romana, una colonna coclide, Chi fu posta nel tempio di Traiano, dedicatagli nel
113 dopo Cristo, alta 100 piedi, posta su un basamento che poi contiene l’urna d’oro con le
ceneri dell’imperatore. La colonna si impostava su un toro a forma di corona d’alloro e in
origine sosteneva la statua dell'imperatore, nel 500 ci fu posta la statua di San Pietro. sulla
colonna si collocava un bassorilievo a forma di spirale, 200m, che poi doveva essere visto
dal basso, anche se poi intorno c’erano degli edifici che permettevano attraverso le finestre
e Balconi di ammirare anche le parti alte della scultura. Il rilievo aumenta leggermente in
altezza in modo da permettere meglio una lettura dal basso, era anche dipinto; storico
narrativo, opera di un maestro ignoto, per Bandinelli è la più originale espressione del
rilievo storico narrativo Romano, ricco di inventiva e freschezza, presenta le scene delle
guerre Daciche, raffigurate in fasi, con una serie di episodi che si rifanno a diversi momenti:
dalla partenza dell’esercito, alla costruzione di strutture, al discorso della temperatura le
truppe, alle scene di battaglia e conquista, di saccheggio e sottomissione dei nemici. È una
descrizione che si sviluppa in senso cronologico e in senso topografico, ricchissimo di
innovazione, con una decorazione che ti rinnova di volta in volta, un esempio è la scena
dell’ imperatore che arringa l’esercito. Ciò che Bandinelli sottolinea e che l’imperatore
figura spesso ma non è mai ritratto in atteggiamenti di esaltazione, di celebrazione. Inoltre
colpisce anche nelle scene, di battaglia o sottomissione del nemico, una forte carica di
rispetto nei confronti del nemico stesso vinto.
Maestro delle imprese di Traiano --> fregio ad alto rilievo di grandi dimensione. Sono lastre separate l’una
dall’altra, parte di un monumento di cui non si conosce l’esatta collocazione. Seprate vengono inserite
nell’Arco di Costantino, costituito in gran parte da pezzii di recupero, nel fornice, nelle parti laterali
dell’attico dell’arco. Sono scene che celebrano le gesta dell’imperatore traiano, al termine delle guerre
Daciche, mostrano ancora una volta, una sensibilità per la profondità e per il movimento, una grande
capacità espressiva, un grande impeto e una grandiosità di concezione. In facciata troviamo anche dei
rilievi di età adrianea. L’arco si compone di elementi precedenti all’epoca costantiniana, recuperati, che
appartengono all’età di Traiano,Adriano e Marco Aurelio,i cosiddetti imperatori buoni, alla cui tradizione
Costantino ritenevea riferirisi per legittimare il suo potere.
 Rilievi di età adrianea --> Si tratta di otto tondi situati intorno ai due lati dell’ Arco di
Costantino, sopra ai fornici minori, sono medaglioni di grandi dimensioni posti a due a due,
raffiguravano in 4 casi scene di caccia e 4 scene di sacrifico. Per quanto le teste degli
imperatori siano state rielaborate e spesso hanno i tratti di Costantino, dal punto di vista
stilistico questi tondi si adattano all’eta adrianea. In più di una scena compare un
personaggio maschile realizzato secondo il tipo di Antino, questo conferma la datazione
all’epoca adrianea. Lo stile è impostato secondo un classicismo equilibrato, una cura dei
dettagli, rilievo fine e privo di enfasi.
Troviamo una composizione di stampo classicistico, ma una presenza di diversi stili e un linguaggio
figurativo innovativo in un’ opera del 162 d.c., l’epoca di Antonino Pio, la base della colonna
commemorativa retta in campo marzio per Antonino Pio, in porfido e sormontata dalla colonna
dell’imperatore di cui non resta nulla. La base è decorata da rilievi, sul lato opposto all’iscrizione
dedicatoria si trova una composizione di stampo classicheggiante, abbiamo l’apoteosi di Antonino e
Faustina, la coppia imperiale affiancati da aquile, sopra alla personificazione di Aion, il tempo eterno; al di
sotto si ritrovano la personificazione del Campo Marzio, rappresentato dall’ obelisco di Augusto e la
raffigurazione di Roma su una catasta di armi. Una composizione realizzata secondo i canoni classici di
tradizione ellenistica, con qualche novità, con qualche accenno in particolare che evitano l’accademismo,
evitano la raffigurazione classicheggiante e fredda, anzi danno colore e movimento, Notiamo la presenza di
un’ala che esce dalla cornice del dado, un altro esempio è il panneggio della personificazione del Campo
Marzio che supera ed esce fuori dalla cornice della composizione, rompendo lo schema classico. Sui due
lati della base si trovano delle composizioni diverse, molto più originali, che esprimono un gusto artistico
diverso, si tratta di due scene che rappresentano secondo una prospettiva a volo di uccello il carosello dei
cavalieri e pretoriani, la decursio, che erano seguiti dai soldati appiedati. Troviamo gli stilemi tipici del
rilievo narrativo romani, Bandinelli parla di una introduzione dei modi dell’arte plebea nel rilievo di
carattere ufficiale; ha un impostazione innovativa e meno conformista rispetto alla precedente, possiamo
rilevare un gusto per il colore e per il movimento.
In modo più misurato troviamo questo gusto per il movimento e per l’impeto delle figure, per i forti
chiaroscuri, anche in uno dei monumenti più importanti dell’età Antonina, dedicati nelle province, il
monumento di Efeso dedicato a Lucio Vero, oggi a Vienna, dove il rilievo è composto da personaggi a
grandezza naturale, che celebrano la famiglia degli Antonini e racconta a episodi, che vanno dall’adozione
di Antonino Pio fino alle sue vittorie partiche. Si è messo in rilievo il fatto che partendo ancora dalla
tradizione del rilievo ellenistico, raggiungendo un gusto innovativo che ha un senso nuovo e una forte
sensibilità per il movimento e per lo spazio, per la grande espressività delle figure rappresentate.
La vera svolta la raggiungiamo con la colonna coclide di Marco Aurelio, La Colonna Antonina, si trova a
Roma in piazza Colonna dedicata a Marco Aurelio nel Campo Marzio, simile alla colonna traiana, ma è
molto diversa. Vediamo una scultura ad altorilievo, al contrario di quella Traiana, più alta, ha un fregio più
corto, di maggiore altezza e anche lo stile varia. La colonna è costituita da 19 Rocchi è il soggetto è quello
delle Campagne contro le popolazioni di Marcomanni, Sarmati e Quadi, articolati in due momenti
cronologici diversi, anche qui la narrazione si svolge secondo un ordine topografico e cronologico, da un
lato vengono narrate le campagne germaniche fra 171-173 d.C, dall'altro quelle orientali tra il 174-175.
Abbiamo l’introduzione di cene che raffigurano la partenza dell’Esercito e la costruzione di strutture, le
battaglie, spesso compare l’imperatore, però dal punto di vista della composizione c’è meno capacità
creativa e meno innovazione, una semplificazione, una disposizione paratattica delle figure, un pochino più
rigida, una maggiore ripetizione perché gli schemi figurativi sono meno numerosi. Ci sono alcune novità non
solo stilistiche, ma anche dal punto di vista della concezione, che rispecchiano anche il mutare dei tempi, un
esempio sono: il miracolo della pioggia e la decapitazione di prigionieri. Rispetto alla colonna traiana siamo
in una intemperie decisamente diversa, i temi sono diversi, vengono introdotti anche degli elementi
diversi, ad esempio abbiamo una maggiore attenzione per l’elemento soprannaturale, le figure sono in
altorilievo, ma anche messe in evidenza del gusto disegnativo e da un uso maggiore del trapano, l’incisione
di solchi di contorno che mettono in rilievo le figure e un forte chiaroscuro creano una forte tensione e una
forte drammaticità, che esprime l’orrore e l’angoscia dei personaggi, scene di grande espressività e impatto
emotivo.
Nell’attico dell’Arco di Costantino abbiamo anche la presenza di una serie di rilievi sempre risalenti all’età
di Marco Aurelio, Anche qui è evidente la svolta artistica dell’età di Marco Aurelio, abbiamo schemi
iconografici più tradizionali, sulla destra abbiamo una scena di sacrificio. Nel senso del movimento e
nell’uso del forte chiaroscuro, nell’ uso abbondante del trapano c’è un senso dello spazio e del Movimento,
dove vediamo questi personaggi che incidono verso di noi, come se uscissero dal piano, trasmettendo la
confusione del momento, conferendo un aspetto illusionistico, sono delle novità raggiunte dal rilievo in
quest’epoca. Ritroviamo alcuni tratti che avevamo già visto nella colonna antonina, ad esempio la scena
della sottomissione di un capo Barbaro ( testa dell’imperatore sempre rielaborata), con un particolare che
ci illustra davvero le novità di un linguaggio espressivo e normale, che pone l’accento sull’elemento
patetico e l’elemento della sofferenza, dell’angoscia. Attraverso un Maggiore pittoricismo c’è il
raggiungimento di un approfondimento psicologico, dell’espressività e del coinvolgimento patetico nei
confronti dei personaggi raffigurati.
Un’altra novità è rappresentata dall’ Arco di Settimio Severo, classico Arco onorario, caratterizzato da tre
fornici, il maggiore al centro e i minori ai lati. Questo arco è stato dedicato nel 203 a Settimio Severo,
Caracalla e Geta, per celebrare la vittoria sui Parti, presenta un apparato decorativo che attinge al
repertorio classico, ma presenta dei rilievi storici sopra i fornici laterali, che prendono modello le pitture
trionfali e le colonne coclidi. Questi rilievi si articolano secondo dei Registri sovrapposti, dove troviamo la
riproposizione dell’articolazione delle colonne, in questi quattro pannelli, con vicende delle guerre partiche,
in cui vi è una novità di composizione, un nuovo modo espressivo e l’articolazione su registri dal basso
verso l’alto dove si accentua il gusto disegnativo. Sono caratteristiche che noi ritroveremo nell’epoca
tardoantica, un esempio è la base per il decennale della tetrarchia ( formula di governo alla quale
Diocleziano da vita), i festeggiamenti per 10 anni, in origine era un monumento costituito da 5 colonne, di
cui 4 con immagine dei gerarchi e la quinta con la statua di Giove, ma ne rimane solo una base che faceva
parte di una delle colonne dei Cesari, il rilievo storico narra un evento.
L’arco di Costantino dedicato al Senato del 315 dopo cristo per il decennale del regno, celebra la vittoria di
Costantino su Massenzio nella battaglia di Ponte Milvio del 312. Il monumento si compone di elementi di
reimpiego, ma ci sono alcune novità di epoca Costantiniana: sui lati due tondi con il sole e la luna che si
riferiscono all’eternità dell’impero; e poi i fregi che ricorrono sotto i tondi in tutti i lati, con reali
avvenimenti: la partenza da Milano, la sede di Verona, la battaglia di Ponte Milvio, l’ingresso
dell’imperatore a Roma, il discorso nel foro, la liberalitas del 313 ( consegna di donativi). Secondo
Bambinelli è un’arte espressiva in cui l’arte plebea e quella ufficiale si fondono.
Ritroviamo queste caratteristiche nella base dell’obelisco di Teodosio primo della fine del IV secolo, a
Istanbul Costantinopoli, una base costituita da plinto con due iscrizioni, greca e Latina, e due scene di circo,
fra cui la scena dell’innalzamento dell’ Obelisco Tutmosi III. Sopra abbiamo una serie di raffigurazioni
organizzate su due registri: in posizione centrale abbiamo una Loggia con Teodosio affiancato dai figli e dai
militari, sotto abbiamo raffigurati, solo attraverso delle teste, gli spettatori del circo. Abbiamo una posizione
frontale e simmetrica, la disposizione secondo delle proporzioni gerarchiche e la frontalità dell’imperatore
è un elemento caratteristico, di fondo c’è un richiamo al modello classico che ha fatto parlare di rinascenza
Teodosiana.
Lezione 13
MODULO B

Archeologia e fonti letterarie antiche


L’archeologia e le fonti letterarie antiche sono molto importanti, queste fonti scritte ci permettono di
conoscere molti aspetti del mondo antico e classico greco-romano, dell’arte e dell’architettura antic a. Non
ci affidiamo soltanto alle fonti monumentali e archeologiche, cioè a quanto l’uomo ha prodotto e lasciato.
Queste fonti scritte si possono suddividere in due grandi categorie: le fonti letterarie e le fonti epigrafiche.
FONTI LETTERARIE non ci sono giunte tutte quelle dell’antichità, ne sono arrivate soltanto una parte e
molte sono andate perse, oppure arrivate allo stato frammentario. Abbiamo perduto quelle che dovevano
essere le opere degli Artisti, noi sappiamo che pittori scultori architetti scrissero opere riguardanti le loro
stesse creazioni. Vitruvio ad esempio cita anche diversi scrittori che trattarono di architettura, sappiamo
che Parrasio aveva scritto sulla pittura; tra gli scultori sicuramente il più noto per aver scritto un’opera di
questo tipo è Policleto, con il Canon (regola), ed è l’opera su cui si basa la sua scultura più famosa, il
doriforo. Noi sappiamo da diversi autori che quest’opera è andata perduta, soprattutto da Plinio, dicendo
che soltanto a lui tra tutti gli artisti, si riconosce il merito di aver concretizzato e realizzato la sua teoria
artistica in un’opera d’arte. Il doriforo è una statua ispirata al suo Canon, Policleto è uno dei più grandi
artisti e scultori della Grecia classica, opera nel quinto secolo avanti Cristo, con lui arrivano a compimento
tutte le conquiste della scultura delle epoche precedenti, verrà poi superato soltanto da Lisippo nel IV
secolo. Il Canon è un’opera fondamentale perché teorizza le regole dell’Armonia e dell’equilibrio, della
Bellezza statuaria, basata su una serie di regole di simmetria e di proporzioni delle parti del corpo umano.
Conosciamo una lunga citazione a proposito di quest’opera contenuta in uno scritto di Galeno, sulle
opinioni di Ippocrate e Platone, scrive che Crisippo ritiene che la bellezza non consista nella simmetria degli
elementi, ma in quella delle parti, del dito in relazione al dito… dell’avambraccio rispetto al braccio e di tutti
questi rispetto al tutto, secondo quanto descritto nel canone di policleto.’ Stabilisce delle regole che si
basano sui rapporti numerici, la testa corrisponde a un Ottavo dell’insieme, il busto a tre ottavi, le gambe a
quattro ottavi. Nello stesso tempo questo grande artista stabilisce anche un canone relativo all’equilibrio
della statua, da un suggerimento per come conferire armonia ed equilibrio all’opera d’arte attraverso un
ritmo di tipo incrociata, il cosiddetto chiasmo o chiasma, una disposizione delle parti del corpo in modo che
vi sia una corrispondenza fra la parte sinistra e la parte destra, in particolare tra il braccio sinistro e la
gamba destra e fra il braccio destro e la gamba sinistra, in modo che queste parti siano alternativamente in
tensione oppure rilassate. Plinio nella sua opera naturalis historia sostiene che Varrone definisse le statue
di policleto quadrate, e realizzate quasi secondo un unico modello; questa insistenza sulla quadratura la
ritroviamo anche in Vitruvio nel suo de Architectura, questo concetto viene preso anche nel Rinascimento
e venne sviluppato nel famoso uomo vitruviano di Leonardo. Notiamo come questa teoria, che venne
applicata nelle opere d'arte, nel quinto secolo avanti Cristo ebbe un lunghissimo seguito e un lunghissimo
sviluppo nel corso dei secoli.
Le fonti scritte letterarie, le classifichiamo in due principali raggruppamenti: le fonti dirette, quelle primarie,
e le fonti indirette, le fonti secondarie di minore importanza, che ricostruiscono alcuni Patti elaborando
fonti primarie. 1. Fonti dirette
 le più importanti per il campo artistico, architettonico e in generale per il mondo romano, sono: Vitruvio
con il suo de architectura, Plinio il Vecchio con La naturalis Historia e Pausania con la perieghesis tes
hellagos. Opere che appartengono a generi letterari diversi, ma tutte contengono delle importantissime e
numerose informazioni sul mondo classico e sul mondo greco e Romano. Queste fonti letterarie
nell’Ottocento vennero raccolte da uno studioso tedesco Johannes Verbeeck, che scrisse ‘ Le fonti letterarie
antiche per le arti figurative’, dove mise insieme una serie di passi in cui gli autori antichi accennano alle
opere d’arte.
Viitruvio , De Architectura un’opera che Sostanzialmente è un manuale, scritto negli anni 20 del primo
secolo avanti Cristo dedicato all’imperatore Augusto, che all’epoca era il grande riorganizzatore della
Cultura e si apprestava ad intervenire anche nell’ambito dell’architettura pubblica, quasi a rinnovare
l’architettura pubblica di Roma. Un manuale destinato agli architetti e agli ingegneri, a chi operava sul
campo. Realizzata da colui che sul campo operava, poiché lui era un ingegnere del genio militare e
architetto, scrittore. Per scrivere questa opera si basa su una serie di fonti, che egli cita nel suo manuale,
che ebbe un grandissimo successo anche nei secoli successivi, fino ad arrivare al Rinascimento. Con
quest’opera si arriva a una sintesi delle conquiste del settore e dell’architettura del mondo ellenistico,
proprio per questo Vitruvio cita le sue fonti. La sua opera è suddivisa in dieci libri, ognuno di esso è
preceduto da una prefazione, di cui spesso cita le sue stesse fonti, ad esempio il terzo libro è basato
sull’opera di un architetto di età ellenistica vissuto Nel III secolo avanti Cristo, ermogene di Salamina; nella
prefazione al settimo libro lui cita una serie di altre fonti, Come Chersiofrone , Metagene, Teodoro di Samo,
Piteo… Grazie a lui conosciamo nomi di molti autori del passato, di cui le opere non ci sono tutte.
Il testo vitruviano è strutturato per argomenti.
 Vitruvio parte nel libro I con una definizione dell’architettura, dello stesso
mestiere dell’architetto e quali sono i fondamenti dell’architettura
dell’urbanistica. In quest’ambito spiega quali sono le competenze e le funzioni
dell’architetto.
 Nel libro II si va a parlare dell’origine dell’architettura, dei materiali di cui
l’architetto si serve, che possono essere naturali come il legno o la pietra,
artificiali come le malte o i laterizi. Parla delle tecniche edilizie e in particolare
di quelle murarie.
 Molto importanti sono i libri III e IV, poiché si parla degli edifici sacri,
soprattutto dei Templi, delle tipologie Templari; si parla degli ordini
architettonici, in particolare nel terzo si parla del ordine Ionico, nel quarto si
parla della forma del tempio Etrusco- Italico e degli ordini architettonici
corinzio e tuscanico.
 Nel V libro parla degli edifici pubblici, delle varie categorie e delle tipologie
degli edifici di utilità pubblica, a partire da quelli che caratterizzano il moro,
basiliche, teatri, Terme, palestra ecc…
 Con il libro VI si arriva agli edifici privati, in particolare della casa romana, che
è la tipica casa ad atrio, la casa aristocratica dei romani. Tratta gli spazi interni
della casa, Facendoci capire la sua funzione sociale.
 Nel libro VII, molto importante per gli archeologi che si occupano soprattutto
di rivestimenti parietali, di intonaci e di decorazioni della casa romana,
Vitruvio ci parla dei rivestimenti, in particolare parietale, ma anche
pavimentali come i mosaici battuti e opere in marmo ecc… Questo libro è
molto importante per farci capire l’orientamento di Vitruvio, ci rivela un gusto
classicistico e accademico, che condivide con altri autori contemporanei.
Questa sua impostazione classicistica e nostalgica del passato, esaltante le
opere antiche, disprezzato quelle del presente, la esprime scrivendo: ‘
L’immagine pittorica Rappresenta ciò che esiste che può esistere, persone,
edifici, navi ho altri progetti della cui precisa identità corporea riproduciamo
delle copie. Ecco perché gli che dettero inizio alla decorazione parietale
imitano da prima la varietà e la disposizione dei rivestimenti marmorei(primo
stile), la varia distribuzione di colore e figure triangolari e le loro possibili
combinazioni, più tardi cominciarono anche a riprodurre in prospettiva edifici
con colonne e frontoni ( secondo stile), nei luoghi aperti come le vedrei
raffigurano scene di ispirazione tragica, satirica o comica; nelle passeggiate
coperte visto che lo spazio si estendeva in lunghezza dipinsero una serie di
paesaggi ispirati alle varie caratteristiche del luogo….. Mi sono poi alcune
pareti in cui al posto delle star troviamo grandi affreschi con immagini divini o
sequenze di scene mitologiche o della guerra di Troia o delle Peregrinazioni di
Ulisse. Ma questi spunti dalla realtà attuale per il cattivo gusto imperante
( epoca a lui contemporanea) sono tenuti in scarsa considerazione e
apprezzati, anziché rifarsi a immagini della realtà naturale, si preferisce
dipingere l’intonaco ricorrendo a soggetti fuori dall’ordinario, al posto di
colonne troviamo infatti raffigurate calami striati e fregi a foglie crepe, e
viticci al posto dei frontoni, e candelabri con figure di tempietti su cui frontoni
spuntano come dalle radici ( stile a candelabri, fine secondo stile pompeiano),
tra le volute dei teneri fiori che senza giustificazione portano delle statuine
sedute, è ancora steli con mezzo statuine, alcune antropomorfe e altre
teriomorfe. Ora tutto questo non è mai esistito, né mai esisterà…… E se noi
approveremo che venga raffigurato nei dipinti ciò che concretamente non
esiste in realtà, entreremo nel novero di quei cittadini che proprio per questo
sono considerati i stolti.’ La storia non gli diede ragione, poiché queste sono le
immagini più Fantastiche, le grottesche che entrano nel repertorio sviluppato
nel quarto stile pompeiano e Romano della Domus Aurea ,ad esempio. Furono
anche i motivi che vennero poi ripresi nel rinascimento, dopo che Raffaello e i
suoi allievi entrarono nei Resti della Domus Aurea sull’oppio, traendo
ispirazione da quei motivi. Un altro esempio la biblioteca di Castel Sant’Angelo
a Roma che i tra esempio da queste grottesche del quarto stile.
 Nell’ VIII libro Vitruvio si concentra sugli aspetti a livello ingegneristico, con
tutto ciò che riguarda le opere idrauliche e la distribuzione idrica, e sistemi di
smaltimento delle acque, in particolare gli acquedotti e i sistemi fognari.
 Nel IX libro si occupa anche di astronomia e astrologia, molto importante per
l’orientamento degli edifici, anche a proposito della casa. Vitruvio suggerisce
gli orientamenti precisi di alcuni degli ambienti che compongono l’abitazione.
Parla anche dei sistemi di misurazione del tempo dell’epoca Romana, dalle
Meridiane fino agli orologi a d’acqua.
 Con il X libro ed ultimo libro Vitruvio si rivolge alla meccanica e agli
strumenti, alle macchine di tipo idraulico, belliche, per l’edilizia
Plinio il Vecchio, Naturalis Historia  autore vissuto nel primo secolo dopo Cristo, originario di Como.
Fece carriera nella magistratura Romana, divenne il comandante della flotta a distanza a Miseno, E proprio
per questo nel 79 dopo Cristo durante l’eruzione del Vesuvio accorse in soccorso della popolazione e in
quella circostanza a soli 59 anni morì. Conosciamo i fatti dal nipote Plinio il Giovane, il quale ci racconta che
fu la sete di conoscenza e la volontà di vedere e di conoscere il fenomeno da vicino che causò la morte di
Plinio. Si tratta di un personaggio di grande cultura, un personaggio che si dedicò molto agli studi di scienza,
la sua opera principale è ‘la storia naturale’, in 37 libri, nella quale tratta di argomenti diversi, lui non è uno
studioso di professione, non è uno scienziato, non è un intenditore di arte, ma è un erudito e una persona
curiosa, che mira a creare un’opera enciclopedica, un’opera universale che possa essere utile al lettore
partendo dal contesto naturale. Per questo gli argomenti affrontati sono i più svariati, andiamo dalla
cosmologia alla geografia, all’antropologia, alla zoologia, alla Botanica, alla medicina e alla farmacologia,
per arrivare alla mineralogia, arrivando così alla parte che più interessa agli archeologi, che è quella
comprendente i libri dal 33 al 37. Sono libri che trattano tematiche partendo dalla mineralogia e prendono
in considerazione i metalli, le pietre, il marmo, i pigmenti e forniscono informazioni, non solo sulle
caratteristiche di queste materie prime, ma anche sul modo in cui venivano lavorati, trattati e su come
erano utilizzati dagli artisti per la creazione delle loro opere.
 Nel libro 33 si parla di mineralogia e si prendono in considerazione soprattutto
i metalli preziosi, oro e argento. Si tratta la metallurgia, quindi il modo di
lavorare i metalli, la toreutica, la lavorazione dell’argento, dei gioielli e della
numismatica
 Nel libro 34 si prende in considerazione la metallurgia del bronzo e quindi si
parla degli Artisti, in particolare degli scultori che realizzarono opere in bronzo.
 Nel libro 35,si parla della mineralogia, dell’uso della terra e delle
caratteristiche dei pigmenti, del modo in cui erano utilizzati in pittura, Ma si
parla anche di lavorazione della Creta, vicolo plastica, produzione fittile e
laterizia
 Nel libro 36 si prendono in considerazione i materiali lapidei, i vari litotipi, si
parla del marmo e anche della scultura, quindi degli Artisti che utilizzarono il
marmo per realizzare opere scultore, ma si parla anche di architettura. Poi di
argilla, sabbia e vetro
 Nel libro 37 si prendono in considerazione le pietre preziose e semipreziose, il
modo di lavorare le gemme, quindi la glittica e anche il cristallo, l'Ambra, il
diamante, la sardonica e l'onice.
- Agli studiosi di pittura interessano le parti dedicate ai pigmenti e all’uso dei colori, e anche
agli artisti antichi, in questo caso si ricorda che Plinio riporta anche alcuni aneddoti relativi
ai pittori antichi, si rifà a una fonte, Duride, attivo Nel quarto terzo secolo avanti Cristo e
riporta un aneddoto che riguarda i pittori Zeusi e Parrasio, che ci racconta di due grandi
pittori da cavalletto, che i greci e anche i romani apprezzarono, mentre disprezzavano la
pittura parietale.
- Le fonti di Plinio sono un problema, per scrivere quest’opera monumentale dovette
consultare moltissimi volumi, opere e fonti greche, che naturalmente poi integra con
osservazioni e considerazioni, fatte alla sua analisi autoptica di opere che si potevano
vedere a Roma. Il fatto che queste fonti siano diverse ed eterogenee ha comportato la
presenza di affermazioni e punti di vista a volte discordanti e contradditori, questo molto
probabilmente per il fatto che in realtà La naturalis Historia è un’opera incompiuta, Plinio
ancora ci lavorava quando morì e non ebbe il tempo di fare una revisione generale per
eliminare queste discrepanze. L’opera fu pubblicata successivamente da Plinio il Giovane,
che non si preoccupa di procedere a questa cura del testo, Bisogna saper leggere
quest'opera tenendo conto di questo aspetto.
- Un altro punto da tenere in considerazione su quest’opera è la visione e il punto di vista di
Plinio, decisamente classicista, lui afferma che l’arte cessò dopo la 121esim un'altra o
Olimpiade, nel 296 avanti Cristo, ma rinacque dopo la 156° Olimpiadi, 156 avanti Cristo.
Usa un computo Greco, attinge a una fonte greca e quindi da un giudizio molto negativo
sull’arte del secondo secolo avanti Cristo, perché la sua fonte principale è un Grammatico
ateniese, Apollo Doros, il quale è capofila di una corrente nostalgica e classicistica che
esalta l’arte della Grecia classica del quinto quarto secolo avanti Cristo, perché e l’arte della
Grecia libera, dell’epoca in cui aveva autonomia politica, indipendenza economica, ma
anche un Indipendenza culturale, dopo perse questa libertà ad opera dei Macedoni e dei
romani. Per questo la parte posteriore a Lisippo viene considerata un’arte di decadenza,
perché è l’arte della Grecia non più libera. Plinio usa l’opera di Apollodoro, icronicà,
un’opera che prende in considerazione gli avvenimenti della Grecia, dalla guerra di Troia
fino al 140 avanti Cristo, suddivise questa storia in Olimpiadi come metodo per datare
attraverso Esse, che si tenevano ogni 4 anni, la sua posizione e i suoi giudizi dipendano da
queste fonti. Un’altra fonte importante per lui è Xenocrates, vissuto intorno alla metà del
III secolo, il quale considera Lisippo il più grande e il maggiore scultore dell’antichità, che
avviò l’arte ellenistica. La visione di Plinio è mitica ed estetica, che dipende dall’utilizzo di
queste parti classicistiche e nostalgiche.
- Un altro problema nella lettura dell’opera di Plinio è quella del lessico, lui non possiede un
lessico artistico specifico, facendo uso di fonti prevalentemente greche cerca di tradurle
con dei termini romani e non sempre risulta ben comprensibile ciò che vuol dire, a volte fa
una translitterazione, trascrive la parola greca in lingua latina e qui Si risale più facilmente
al significato originario del termine. Nonostante questi problemi l’opera di Plinio è
importante, ci dà molte informazioni di vario tipo e per la storia dell’arte lo stesso. Ci
consente di conoscere le numerose opere greche, un caso emblematico è quello del
gruppo del Laocoonte, che Plinio dice di avere visto nella dimora di Tito. Questo gruppo
statuario fu messo in luce nel 1506 sul Colle Oppio, Dove si trova la residenza di Tito, a
fianco le terme, siamo in corrispondenza del Padiglione della Domus Aurea, ora ai Musei
Vaticani.
- Un altro aspetto importante è quello della pittura, Plinio e Vitruvio danno molte
informazioni sui pigmenti usati dai pittori nell’antichità, sulla natura e sulla provenienza,
sull’impiego di questi materiali, Plinio a volte ci dà anche il valore. Entrambi gli autori
suddividono i colori in naturali e artificiali, Plinio li divide ulteriormente in colori austeri e
floridi. Con floridi si intende colori vivaci, con austeri colori opachi e scuri, con floridi
indicava anche colori più pregiati e più costosi, fra questi il minium e il ceruleum; era il
dominus che doveva fornirli agli artisti. Tra questi colori
occupa un posto di grande rilievo il Minium (rosso Cinabro) applicato su grandi superfici
nella Villa dei Misteri ; veniva usato solo nelle Dimore più prestigiose era usato subito pure
così batte, un esempio è la casa di Livia sul Palatino a Roma, quando veniva esposto alla
luce questo colore si anneriva. Questo colore proveniva dalle miniere di Sisaco in Spagna,
oppure dagli Adricilbiani presso Efeso; materiale costituito da solfuro di mercurio, per
falsificarlo venivano usate anche delle Terre Rosse. L’ocra Rossa veniva usato anche per
campiture di un rosso scuro, accostato al verde (creta viridis), un’altro colore austero è il
giallo ocra. Il verde e il blu erano
colori utilizzati non per arte campiture, si utilizzavano soprattutto per la resa di piccoli
particolari ornamentali, poiché erano costosi, abbiamo un esempio nella villa romana di
Isera, con un frammento di intonaco parietale. Nelle Dimore più ricche anche l’azzurro
poteva essere usato su vaste campiture, il ceruleum è un colore che esisteva in diverse
qualità, Le fonti recitano tre, ma senza dubbio il più usato era il blu egizio, si tratta di
silicato e rame e calcio cristallizzato. ( analisi archeometriche, che hanno analizzato un
campione). Fra i colori austeri, ma che comunque erano
tenuti in grandi considerazione c’è l’ atramentum, il colore nero, ottenuto in vari modi,
perché poteva essere realizzato attraverso l’uso di resina, pece, legno di pino carbonizzato,
feccia del vino, ma si otteneva dalle ossa animali, nero d’Avorio. Veniva utilizzato per stanze
di rappresentanza, per triclini, soprattutto nel terzo stile era molto in voga la monocromia
nera poiché Era considerato molto elegante.
Lezione 14
Pausania, Perieghesis tes hellagos la periegesi della Grecia. Pausania è un autore originario dell’Asia
Minore, scrive un’opera che è dedicata alla Grecia continentale. Il termine Greco ‘perieghesis’ deriva da
perì, che significa intorno, e il verbo ‘eghenoai’, che significa conduco; è un’opera che ci conduce intorno
alla Grecia, è una sorta di itinerario che geograficamente ci conduce in varie regioni della Grecia
continentale, per ogni regione considerata ci fornisce delle notizie di carattere diverso sulle popolazioni che
le abitano, sui siti e sui santuari, soprattutto sui personaggi più importanti, ma anche narrazioni di tipo
storico e mitologico. Queste sue descrizioni dovettero essere supportati dall’osservazione diretta da parte
dell’autore, che con questo tipo di Opera che appartiene al terzo quarto del secondo secolo dopo Cristo, si
colloca in una tradizione della periegetica, un genere letterario che si sviluppa soprattutto nel corso del
tardo ellenismo; genere che mira a raccogliere notizie di tipo topografico, antiquario, storico e artistico,
cercando di dare testimonianza del glorioso passato della Grecia, a recuperare ea trasmettere l’eredità del
passato. Non è un genere che propone di fare una critica storico-artistica, gli autori non danno giudizi di
tipo estetico, ma raccolgono notizie. Queste opere sono andate tutte perdute, sopravvive la perieghesis di
Pausania, che si colloca nel secondo secolo dopo Cristo, ma si accorda bene al movimento di ellenofilia che
si sviluppò nel secondo secolo a partire dall’epoca dell’ Imperatore Adriano e poi nel corso dell’età degli
Imperatori Antonini. Quest’opera e articola in 10 libri, privi di proemio, e probabilmente incompiuta,
perché prende in considerazione solo una buona parte della Grecia continentale, ma non tutte le regioni, i
siti e i santuari.
 Il libro I è dedicato alla regione dell’Attica,
 Nel libro II,l’attenzione dell’autore si sposta, in senso piu o meno orario, alla regione di
Corinto e Argolide
 Nel libro III si scende nell’area meridionale del Peloponneso, con la trattazione della
Laconia
 Nel libro IV si parla del Messania
 Nel libro V-VI si torna verso il nord, siamo in Elide, in cui abbiamo il santuario di Olimpia
 Nel libro VII si prende in considerazione l’ Acaia
 Nel libro VIII si prende in considerazione l’Arcadia, la regione che sta nel cuore del
Peloponneso
 Nel libro IX-X, si risale verso il nord e si parla della Beozia e della Focide
Manca la parte della Grecia più settentrionale, quella insulare e il famoso santuario di Delo.
- La sua è una descrizione parziale, ma Potremmo definirla selettiva, Pausania prende in
considerazione il territorio e i suoi monumenti, con un occhio che privilegia le espressioni
artistiche della Grecia classica o ellenistica, non vengono presi in considerazione i
monumenti romani, le testimonianze del tempo a lui contemporaneo. C’è una selezione
importante alla base, giustificata dal fatto che la Grecia è ormai una terra considerata in
piena decadenza, un territorio e una regione che non ha importanza dal punto di vista
politico economico e strategico, però conserva un patrimonio culturale che appartiene al
suo passato, con uno sguardo nostalgico rivolto ad esso si vuole conservare e descrivere in
contrapposizione con un passato di decadenza. Va sottolineato come raccoglie le sue
formazioni basandosi su altri periegeti anteriori a lui, sicuramente vedendo anche molto e
raccolse molti dati sul campo.
- La sua guida venne usata non solo ai tempi suoi, ma anche nei secoli successivi, in
particolare ne fecero uso nei secoli XVII/XVIII/IX i viaggiatori del Grand Tour, una moda
che si sviluppò ed ebbe un grandissimo successo. In quell’epoca soprattutto i giovani
rampolli delle classi aristocratiche intraprendevano un grande viaggio nei paesi europei,
alla scoperta degli aspetti più svariati della cultura, ma anche della politica, una sorta di
viaggio d’istruzione, che poteva durare per un diverso periodo, li portava a visitare diversi
paesi dell’Europa, in particolare grande successo ebbe l’Italia e con essa la Sicilia e la
Grecia, i paesi più ricchi di monumenti antichi, nei quali i turisti (termine che deriva da
Ground Tour) potevano visitare ed esplorare. Un’importante testimonianza di questo tour è
quella di Goethe, con il suo ‘Viaggio in Italia’, che descrive il suo grandtour realizzata negli
anni Ottanta del Settecento. Ma non erano solo i turisti e viaggiatori dell’epoca che si
muovevano e viaggiavano con Pausania in mano, ma anche i ricercatori, gli storici e chi
studiava le testimonianze del passato, questo perché lui descriveva i monumenti antichi e
né trattava la storia, abbiamo anche l’idea di come i monumenti greci si fossero conservati
all’epoca Romana, nello stesso tempo Pausania impartisce i suoi racconti anche di temi
mitologici e di racconti storici, proprio per questo la sua guida è stata considerata spesso
poco affidabile.
- Nel 1875, l’epoca d’oro dell’Archeologia, si verificò sul campo come in realtà la guida di
Pausania contenesse degli elementi attendibili e che si rivelarono molto utili e significativi
ai fini della ricerca archeologica, si dimostra che per certi versi quella di Pausania era una
guida sicura e utile. Un esempio è quello del Santuario di Olimpia in Elide, dedicato a Zeus
ed Era in cui ogni quattro anni si svolgevano le Olimpiadi, molto esteso e ricco di
monumenti. A partire dall’800 incominciano delle importanti ricerche di carattere
archeologico, e fu un’equipe tedesca ad iniziare degli Scavi tenendo presenti le indicazioni
di Pausania, in questo caso la descrizione dell’autore si rivelarono essenziali, sia per
individuare in un metti sul campo, sia poi per identificarli. Oggi il sito è patrimonio UNESCO,
abbiamo i resti del tempio di Zeus, monumento più importante di tutto il santuario, dorico,
periptero, esastilo, ricco di decorazione scultorea è circondato anche da altre sculture e da
importanti opere di statuaria, famoso anche per la presenza della statua di culto
crisoelefantina di Zeus, realizzata in oro e avorio, opera di Fidia. Straordinarie erano le
sculture dei frontoni, che Pausania dimostra di aver visto poiché le descrive, e quando
durante gli scavi furono ritrovate le rovine del tempio la sua descrizione fu fondamentale
per la ricostruzione. Sappiamo che nel frontone est era raffigurato Zeus al centro che
presiedeva alla gara di Carpi fra Pelope ed Enomao, mentre sul frontone Ovest figurava al
centro Apollo tra i Lapiti e Centauri in battaglia, una raffigurazione simbolica della lotta tra
l’elemento razionale è l’elemento ferino irrazionale. Di queste statue ne abbiamo oggi la
ricostruzione del museo archeologico di Olimpia, sono testimonianze dello stile Severo, si
datano alla prima metà del quinto secolo avanti Cristo, ma Pausania le attribuisce a due
scultori greci Teonios e Alcamenes,ma oggi vengono attribuiti al Maestro di Olimpia. In
quegli anni furono rinvenute due opere scultore: la Nike di Peonio, una vittoria; e Hermes
con Dioniso bambino in braccio, di Prassitele .
- Nel VI secolo si verificano due terremoti che con tutta probabilità furono la causa più
importante del crollo delle strutture.
2. Fonti indirette  fonti secondarie che ci conservano numerose testimonianze, molto interessanti, per la
ricostruzione non solo della storia del mondo antico greco romano, ma anche degli aspetti più legati alla
storia dell’arte, all’architettura e ai siti monumentali. Fra Questi ricordiamo
Tito Livio, Ab Urbe condita  autore del primo secolo avanti Cristo che racconta la storia di Roma dalla
fondazione fino alla morte di Druso, grande condottiero che muore Nel 9 avanti Cristo, fratello del futuro
imperatore Tiberio e figlio di Livia. Quest’opera originariamente era composto di 150 libri, ti rimangono
circa 35 libri e dei riassunti di quelli mancanti, ricchi di informazioni, si descrivono i trionfi, anche con gli
oggetti pertinenti al bottino che veniva portato nel corteo Trionfale.
Cicerone, In Verrem  ci da informazioni sulla mentalità della società romana ed anche sul fenomeno del
collezionismo, sull’amore che i romani avevano nei confronti delle opere greche, che l’autore Cicerone
raccoglieva sul mercato antiquario. Nelle Verrine, le orazioni contro Verre,ci racconta di come in sicilia
Verre aveva saccheggiato i territori per delle opere d’arte. Queste testimonianze le ritroviamo nelle sue
epistole ad Attico.
Quintiliano Istituto oratoria siamo verso la fine del primo secolo dopo Cristo, nell’età Flavia.
Interessante per una serie di informazioni riguardo alle opere nel settore della pittura, della scultura e
dell’architettura, Quintiliano si occupa di arte retorica e di arte oratoria, questa sua opera costituisce una
specie di manuale dell’arte oratoria. In essa l’autore mette a confronto l’arte retorica con altri tipi di arte,
in particolare quella figurativa, fa dei paragoni con opere di architettura, pittura, scultura, cita una serie di
artisti antichi e accenna a problematiche di carattere compositivo e stilistico, ci dà un quadro interessante
delle problematiche e della terminologia riguardante l’arte figurativa del mondo antico.
Svetonio, De vita Caesarum  in questa sua opera ci dà delle informazioni utili a ricostruire aspetti relativi
alla storia dell’arte anche al collezionismo del mondo romano. Nella sua opera sulla vita dei Cesari parte da
Cesare fino a Domiziano, tratta della vita di Cesare e degli 11 imperatori succedutosi a partire da Augusto,
di lui ci racconta un aneddoto molto interessante e significativo anche per la ricostruzione della mentalità
romana e delle abitudini e della moda di raccogliere materiali antichi. Svetonio ci ricorda che Augusto negli
scavi di una delle sue ville a Capri aveva rinvenuto e raccolto dei fossili animali e delle Armi Antiche,
conservate con un’attività di tipo collezionistico.
Augusto, Res Gestae Divi Augusti è un resoconto che Lui scrisse prima della morte nel 14 dopo Cristo. Si
può considerare una memoria autobiografica, in essa l’imperatore ricorda la sua carriera politica, ho uno
stile molto asciutto ed essenziale, lui descrive le sue imprese e le sue opere, gli onori ricevuti e le cariche
religiose e le elargizioni fatte, come i giochi pubblici, è una sorta di memoria pubblica che si intreccia anche
alla memoria privata, il testo principalmente era stato concepito per essere esposto presso il Mausoleo di
Augusto su tavole di bronzo, È stato rinvenuto in forma frammentaria in diverse località, soprattutto nelle
province orientali, il testo Più completo è quello che si conserva sul monumentum ancyranum, il tempio
dedicato al culto Imperiale, di Augusto e della dea Roma, ad Ankara in Turchia. Questa epigrafe ci è giunta
in questa forma in redazione sia greca che Latina. Il testo era stato concepito per è risposto in prossimità
del Mausoleo di Augusto, che aveva un importante significato politico, ideologico e dinastico, era una
struttura che prendeva a modello delle architetture ellenistiche. All’interno di questo grande edificio
Augusto aveva già fatto seppellire diversi membri della sua famiglia, soprattutto gli sventurati nipoti che
erano stati designati alla successione, in particolare parliamo di Marcello, Gaio e Lucio, ma anche Agrippa e
la sorella Ottavia e Druso. Questo testo aveva un valore importantissimo dal punto di vista ideologico e per
questo si può capire come mai il testo sia stato inciso su un tempio che era dedicato al culto Imperiale, e
come mai questa iscrizione sia stata poi replicata in diverse copie che dovevano essere distribuite e diverse
località dell’impero.
Accanto alle fonti latine ricordiamo anche quelle greche :
Polibio, Storie in 40 libri  autore di origine Greca, scrive in lingua greca e arrivo a Roma come ostaggio,
entrando nel circolo degli Scipioni. Le sue storie originariamente comprendevano 40 libri, Noi abbiamo solo
i primi 5, interessante per alcuni spunti, che ci danno la visione di un autore greco sul mondo romano, che
nel II secolo era in piena trasformazione ed espansione.
Strabone, Geografia (Gheografica)  lui vive e opera a cavallo fra il primo secolo avanti Cristo e il primo
dopo Cristo, ci riporta numerose informazioni anche di carattere storico, ad esempio ritornando al
fenomeno collezionismo in ambito romano, l’episodio del saccheggio della Necropoli di Corinto da parte
dei veterani di Cesare, alla distanza da circa un secolo della conquista di Mummio nel 146 a.C, quando nelle
opere di sterro condotte nella città furono intercettate le tombe appartenenti alla necropoli e furono
saccheggiate, il bottino costituito da importanti opere di coroplastica e da vasi di bronzo, fu portato a Roma
e questi oggetti chiamati necrocorinthia furono venduti sul mercato.
Luciano di Samosata È uno scrittore prolifico, scrive nel secondo secolo dopo Cristo, opere numerose di
carattere molto vario. Si è rivelato una fonte molto importante per l’identificazione di alcune opere
scultoree importantissime del mondo classico-greco. In uno dei suoi testi ,‘Philopseudis’ , Luciano parla di
collezionismo e fa cenno ad una statua in particolare, il Discobolo di Mirone, di cui l’originale è scomparso,
e proprio da lui veniamo a sapere che l’originale era il bronzo, quello che conosciamo Oggi sono copie
romane dell’originale della metà del quinto secolo avanti Cristo; accanto Luciano cita anche altre
importanti state che hanno aiutato gli autori moderni e gli storici dell’arte a riconoscere e a ricostruire
queste straordinarie opere dell’arte greca, il Diadumeno di Policleto, l’atleta che si cinge il capo poiché
intorno ha la benda della Vittoria, opera realizzata nella seconda metà del quinto secolo avanti Cristo e che
conosciamo attraverso copie romane. Un’ultima Opera a cui Luciano facendo è quella del Gruppo dei
Tirannicidi, Crizio e Nesiote, di cui conosciamo la copia Romana, mentre l’originale è risalente al V sec a.C.
Cassio Dione, Storia Romana  sempre in lingua greca, divisa in 80 libri, redatta nel terzo secolo, va dal
periodo dell’ Approdo di Enea in Italia fino all’epoca a lui contemporanea, ne rimangono soltanto dei
frammenti dei primi 36 libri, i più interessanti sono gli ultimi ovvero quelli a lui contemporanei. Per le
epoche anteriori da delle notizie molto sintetiche, il racconto diventa più ricco di informazioni mano a
mano che si avvicina alla sua epoca.
Ateneo di Naucrati, Deipnosofisti  cioè i sofisti a banchetto. Ambientano questa opera, molto erudita,
durante un banchetto a cui prendono parte personaggi molto diversi, sono tutti i greci, grammatici, filosofi,
Giuristi, che discutono di argomenti svariati, prendono in considerazione la storiografia e argomenti vari di
erudizione ellenistica, a volte accennano a fatti rari e curiosi. Per noi è interessante il riferimento a episodi
risalenti all’epoca ellenistica, lui scrive nel secondo secolo dopo Cristo, ma grazie all’analisi di fonti
precedenti riporta dei fatti risalenti all’epoca ellenistica, in particolare descrive la tenda da banchetto fatta
realizzare da Tolomeo II Filadelfo Nel III secolo avanti Cristo. Questa tenda viene descritta con tutte le opere
d’arte che lo ornavano, si cita anche di una famosa processione dell’epoca di Tolomeo Filadelfo, l’opera ci
fornisce diversi aspetti che possono fornire un certo interesse per gli studiosi della storia dell’arte antica.
Filostrati, Eikones (immagini)- sono due autori imparentati, Filostrato Il vecchio e il nipote Filostrato il
giovane, autori del II- III secolo dopo Cristo, si tratta di opere di retorica e di esercitazioni retoriche, nelle
quali si descrivono dei quadri, per esercitazione oratoria. Nel descrivere i quadri che dovevano essere
esposti in una villa di Napoli ci Forniscono anche un interessante panorama relativo a modelli pittorici di
opere scomparse, ma ci danno anche un’idea della realtà artistica dell’epoca e delle mentalità circolanti
sul mondo artistico e sulle opere d’arte dell’epoca .
Lezione 15

Storia dell’archeologia
Esamineremo le tappe della storia della disciplina archeologica, dall’epoca rinascimentale per arrivare ai
giorni nostri. Archeologia, termine formato da due parole greche, arkaios,che significa antico e logos Che
significa discorso, ma anche studio e indagine sulle cose antiche. Questo termine già compare nel primo
libro delle storie di Tucidide, dove tratta della storia della Grecia dalle origini per arrivare ai suoi giorni.
Nell’antichità con l’archeologia si intendeva una narrazione storica di fatti antichi. Col tempo abbiamo visto
che il significato è cambiato, abbiamo visto che l’archeologia come la intendiamo oggi è una disciplina
giovane, ha solo un paio di secoli, la svolta nella storia dell’Archeologia si registra nel secolo dei lumi, nel
700. È importante ricordare le tappe che precedono quell’epoca, perché la disciplina archeologica andò
soggetta a diverse trasformazioni nel corso dei secoli. Nel corso del tempo la considerazione del passato e
l’interpretazione delle fonti si è trasformata, in particolare la considerazione delle tracce materiali del
passato è andata soggetta a cambiamenti, è passato molto tempo prima che l’archeologia potesse
diventare una disciplina autonoma, dotata di proprie Teorie e metodologie. Per molto tempo il concetto di
archeologia è coinciso con quello di collezionismo ed antiquaria, anche la nozione stessa di riscoperta
archeologica è mutata, se inizialmente significava ricerca e scoperta dell’ oggetto di pregio, o raro, nel corso
degli ultimi anni del 900 l’indagine del passato ha incominciato a interessarsi anche alle testimonianze
dell’uomo tipiche dell’oridinario oggetti di uso Quotidiano. Archeologia come la intendiamo oggi è una
scienza che studia il passato dell’uomo e le sue interazioni con l’ambiente, a partire dai manufatti e dagli
oggetti, dalle tracce materiali che l’uomo ha lasciato nel corso del tempo.
Parla di questo approfondimento relativi a questa evoluzione della disciplina il testo di Bianchi Bandinelli
‘L’introduzione all’archeologia’. Lui Individua quattro periodi fondamentali nella storia dell’Archeologia,
come disciplina autonoma a partire dal 700, in particolare in primis l’archeologia Winckelmanniana ,
archeologia estetica settecentesca; l’archeologia ottocentesca, quella filologica, che si colloca verso la fine
dell'800 e i primi del 900; l’archeologia storico-artistica, che si colloca tra i due conflitti mondiali; Infine si
parla di archeologia storica, dopo la fine della seconda guerra mondiale in poi.
Noi andiamo a vedere le radici di questa disciplina, focalizzando l’attenzione fin dalla fine del
quattordicesimo secolo, con la nascita dell’Umanesimo e lo sviluppo del Rinascimento, si sviluppò una
visione fra gli uomini colti e gli studiosi, che considerava L’epoca classica come un modello di riferimento
culturale, parallelamente a questa si sviluppa un’attenzione particolare nei confronti del mondo antico e
delle evidenze che rimanevano del mondo stesso, le antiquitates. Studiosi, Dotti e ricchi Signori si
accendono di passione per le antichità, incominciano a raccogliere oggetti e, reperti e a formare dei nuclei
di collezioni archeologiche. Un oggetto emblematico da questo punto di vista, simbolo di questa tendenza
nuova al collezionismo è la tazza Farnese, in realtà è un piatto usato per le libagioni in sardonica, materiale
molto pregiato, è un oggetto di fattura Alessandrina nel II/I SEC. A.C. , prodotto dell’artigianato artistico
ellenistico. Proviene dall’Egitto e forse approdò in Italia con Ottaviano. Questo famoso reperto era in
possesso di Federico II di Svevia, XIII secolo, poi nel 400 fu acquistata da Lorenzo il Magnifico e più tardi
passò nelle collezioni della famiglia Farnese, da qui in fino al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Un oggetto di fattura notevole che rassicura una scena di carattere allegorico, una delle teorie è che si
tratta di una raffigurazione del Nilo e dei suoi benefici, allegoria della fertilità e della ricchezza dei frutti che
porta il Nilo con le sue pieghe. Oggetto molto significativo dal punto di vista del collezionismo che si
sviluppa fin dal XIII- XIV sec.
Nel periodo rinascimentale, a partire dal 400 si conoscono degli appassionati di antichità, che durante i
loro viaggi commerciali, incominciarono a raccogliere oggetti, ma anche testimonianze, e a documentare
attraverso appunti scritti e disegni i monumenti che capitava lo preparo nel corso dei viaggi.
- Un personaggio molto importante da questo punto di vista è Ciriaco D’Ancona, un
mercante, Ma era anche un umanista e un conoscitore delle Fonti
antiche,un’appassionatao di antichità e grande viaggiatore, Atene, Costantinopoli, i suoi
documenti sono molto importanti per gli studiosi attuali punto fu considerato dai
contemporanei Pater antiquitatis, padre delle antichità. Fra i suoi documenti, c’è il disegno
del prospetto del Partenone con delle annotazioni, ad Atene nel 1436, riuscì ad
identificare con esattezza il monumento.
- Un altro importante umanista nello stesso periodo documentò monumenti e
testimonianze antiche a Roma, Flavio Biondo, storico attento, interprete delle Fonti
antiche e osservatore della realtà che lo circondava e dei monumenti, delle Rovine che
emergevano a Roma, di cui si era persa la memoria dell’ identità. Nel Quattrocento
pubblica diverse opere, uno in particolare dedicata a Roma è la Roma instaurata, dove si
occupa di topografia antica e tardoantica, ma osserva anche i monumenti da vicino.
Un’altra opera importante sono le storie in 32 libri, che tracciano una storia dell’Europa di
circa 1000 anni, dal quinto secolo dopo Cristo fino ai giorni suoi, prendendo in
considerazione fonti primarie, per la prima volta con lui si usa il termine Medioevo.
In quell’epoca Roma in particolare era una città molto frequentata, non solo da studiosi appassionati di arte
e collezionisti, Ma anche dagli artisti, i giovani artisti andavano a Roma per vedere i monumenti, una sorta
di formazione, Perché i monumenti antichi erano considerati come normativi, degli esempi e dei modelli da
seguire. In quel periodo viene scoperta la Domus Aurea, casualmente da alcuni curiosi appassionati di
antichità, che nella fine del 400 si calano dall’alto nelle grotte, nelle volte dipinte della domus e ne
osservano le pitture imitandole, diedero inizio alla moda delle grottesche, Raffaello è il capofila di questa
moda. Molti artisti come Pinturicchio, Ghirlandaio, Giovanni da Udine osservarono queste Grotte, alcuni di
essi lasciano la traccia della loro vita e finendo o dipingendo i loro nomi sulle volte della Residenza di
Nerone. Questi artisti documentavano i monumenti, è rimasto un patrimonio inestimabile di disegni e di
rilievi in diverse raccolte, archivi e collezioni, sono documenti che ancora adesso sono utili agli studiosi,
perché spesso riportano lo Stato del monumento all’epoca in cui fu documentato, che a volte il corso nel
tempo sono spariti o deteriorati, questi disegni sono molto importanti per la loro ricostruzione.
Un esempio è il disegno della Basilica Emilia a Roma di Giuliano da Sangallo, di lui va ricordato a proposito
un aneddoto che riguarda il rinvenimento nel 1506 del Gruppo del Laocoonte, e raccontato da Francesco,
suo figlio, quando a seguito di questa scoperta Papa Giulio II mandò Michelangelo e Giuliano, che
lavoravano al tempo in Vaticano, a dare un’occhiata a ciò che era stato scoperto, Francesco che era portato
in spalla dal padre, ricorda che il padre quando vide questo gruppo statuario esclamò ‘Questo è il laocoonte
a cui fa riferimento Plinio il Vecchio’. Interessante perché ci mostra come questi artisti impegnati di cultura
umanistica erano anche molto Preparati sulle fonti antiche, e riconobbero il gruppo statuario del laocoonte
e figli, di cui parlava Plinio il Vecchio, dicendo che lo aveva visto nella Domus di Tito e che attribusce a
Gesandro,Polidoro e Atenodoro. Statua molto importante anche perché costituì parte del primo nucleo per
la formazione dei Musei Vaticani. Il 400 è importante perché è il secolo della nascita di grandi Musei, in
primis i Musei Capitolini, che precedono di alcuni decenni i Musei Vaticani, nel 500, fondati da Giulio II nel
506, ma aperte al pubblico sono nel 700. I Capitolini nel 1471, la sede dei musei nella michelangiolesca
piazza del Campidoglio, nacquero da un nucleo di statue Bronze raccolte da Sisto IV, tra le quali la lupa
Capitolina, e vennero li raccolte.
Fra il XVI e il XVII secolo, parlando di collezionismo Ricordiamo anche una moda sviluppatasi che prendeva
in considerazione gli oggetti curiosi, la moda delle Wundrkammer, le stanze delle meraviglie, dove si
raccoglievano oggetti straordinari e reperti antichi e curiosi, In quell’epoca si sviluppano gli studi di tipo
antiquario, che si concentrano sull’uso di costumi antichi, ricostruzione di fatti storici, mitografia, mentre gli
monumenti antichi vennero considerati più come documento utilizzato per studiare questi aspetti curiosi.
Bianchi Bandinelli ritiene che l’unico merito che si può riconoscere agli antiquari è quello di avere lasciato
una documentazione grafica di un monumenti, Oggi solo parzialmente conservati che possono essere utile
agli studiosi.
Arriviamo al 700, al secolo dei lumi e alla grande svolta nella storia dell’Archeologia, che si deve a Johann
Joachim Winckelmann, considerato il padre dell’ archeologia moderna, intesa come archeologia dell’arte,
cioè storia dell’arte antica, che per la prima volta con le sue opere, prende in considerazione l’archeologia e
le testimonianze archeologiche nel loro contesto storico, dando luogo a una periodizzazione dell’arte
antica, con una definizione di diversi stili artistici, che si pone in netta contrapposizione con gli studi eruditi
che avevano caratterizzato la precedente tradizione antiquaria. Nato a Stendal in Prussia nel 1710 in
condizioni molto modeste e la sua istituzione è prevalentemente autodidatta, si mantenne in studi e riuscì
a entrare nella scuola Latina apprendendo le lingue classiche, si iscrisse all’università di Halle alla facoltà di
teologia, l’unica facoltà aperta a un giovane privo di mezzi, perché non era prevista la tassa, Ma questo gli
consenti di approfondire la tua conoscenza delle lingue antiche, in particolare del Greco. Fu per diversi anni
precettore privato, a detta sua gli anni più bui della sua vita, finchè approdò a Dresda, dove fece il
bibliotecario e grazie a questa sua attività, potè leggere molto e soprattutto di arte, ebbe un’approfondita
preparazione sull’arte fra il 500 e il 700, si accostò alla letteratura del secolo dei lumi, finalmente potè
appagare la sua sete di conoscenza. Qui entra nelle grazie di Monsignor Archinto, si convertì al
cattolicesimo e nel 1755 quando Monsignore divenne segretario di stato del Papa lo seguì a Roma. Prima di
partire pubblicò in sole 50 copie una breve opera, Gedanken uber die Nachahmung der griechischen
Werke in der Malerei und Bildhauerkunst, riflessioni sull’ imitazione delle opere greche nella pittura e
nella scultura, che potremmo dire già contengono parte delle idee e poi lui svilupperà nelle opere
successive e soprattutto nella sua opera Maggiore, La storia dell’arte dell’antichità.
Si trasferì a Roma dove entro in contatto con un ambiente fervido dal punto di vista intellettuale e
culturale, divenne amico di un famoso pittore Anton Raphael Mengs, che fu poi l’autore di un suo famoso
ritratto ora al MET, risalente agli anni in cui lui giunse a Roma. Un altro ritratto famoso di Anton von Maron
fu precedente alla sua morte, in circostanze oscure a Trieste nel 1768. A Roma Winkelmann entro nelle
Grazie del Cardinale Albani, diventandone un protetto, personaggio importante del mondo culturale
Romano dell’epoca, perché era antiquario e collezionista, ma anche Mecenate. Nel 1764 grazie alla fama e
alla notorietà che si era conquistato, grazie all’approfondimento dei suoi studi in questo ambiente così per
fervido culturalmente, venne nominato conservatore delle antichità di Roma.
A quell’epoca risale la sua opera più importante ‘Geschichte der Kunst des Altertums’, che venne tradotta
in Italia come ‘Storia delle Arti e del disegno presso gli antichi’, pubblicata a Dresda del 1764 costituisce
una pietra miliare della storia dell’Archeologia, perché lui in quest’opera emancipa l’archeologia
dall’erudizione e dalla accademismo che avevano caratterizzato fino a poco tempo prima gli studi dell’
archeologia dell’arte classica.
- In quest’opera Winkelmann innalza la sfera della storia dell’arte alla comprensione
dell’opera d’arte in sé, l’opera non viene più studiata come documento per la ricostruzione
di aspetti vari della mitografia o della storia del passato, ma diventa studio dell’opera d’arte
in sé, Infatti il concetto fondamentale che troviamo qua dentro è quello che lui chiama ‘
l’essenza dell’arte’. Secondo Winckelmann bisogna cercare i concetti che stanno alla base
dell’opera d’arte, come dice Bianchi Bandinelli Winckelmann è impegnato in una ricerca di
una estetica assoluta, che si basa a sua volta su una supposta perfezione delle opere d’arte
greche.
- Un altro elemento molto importante che viene preso in considerazione dall’opera di
Winckelmann è quello della cronologia. All’epoca, nel 700, le opere d’arte del mondo
antico costituivano un insieme, Un bacino indistinto, nel cuore non vi era una cognizione di
carattere cronologico, non c’era una prospettiva cronologica e storica, Tra l’altro erano in
maggior parte copie romane di originali Greci, classici e ellenistici, Ma nessun lo sapeva.
Winkelmann in questa prospettiva cronologica inserisce ex-novo il criterio della analisi
stilistica, che consente di considerare l’opera d’arte in una prospettiva cronologica, usando
questo criterio che per noi oggi è una cosa scontata. Winckelmann suddivide la storia
dell’arte antica in 4 periodi principali.
Il contenuto dell’opera ‘Geschichte der Kunst de Altertums’, si articola in 12 libri, c’è una parte più teorica
che tratta di problematiche di carattere estetico; c’è una parte più storica che è una sintesi dell’evoluzione
dell’arte greca.
1) dalle origini dell’arte, dallo stile arcaico e differenze dei diversi popoli; 2) per poi prendere in
considerazione l’arte presso gli Egizi felice persiani; 3) l’arte presso gli etruschi e popoli confinanti;4) l’arte
presso i greci, a definire l’idea del bello rappresentato dall’arte greca; 5) si tratta del bello nelle svariate
espressioni dell’arte greca; 6) si prende in considerazione il panneggio; 7) la tecnica scultorea e pittorica; 8)
si incomincia a delineare una sintesi su quello che è il percorso di progresso e poi di decadenza dell’arte
presso greci e romani; 9) si considera l’arte greca dall'inizio fino ad Alessandro Magno; 10) poi l'arte di
Alessandro Magno fino al dominio Romano in Grecia; 11-12) l’arte greca presso i Romani dalla Repubblica e
la completa decadenza. Quest’ultima parte è considerata un progressivo declino e un processo progressivo
di decadenza.
In questo percorso Winkelmann distingue quattro periodi fondamentali: il periodo antico, quello
precedente il quinto secolo avanti Cristo, l’arte classica, che egli definisce del periodo sublime; il periodo
bello, il periodo della storia dell’arte che vada Prassitele, Lisippo e Apelle, comprende una buona parte
dell’arte ellenistica; il periodo della decadenza, Siamo alla fine dell’età ellenistica, del I secolo avanti Cristo
e età romana. Quello che ci colpisce è che sostanzialmente Winckelmann non parla mai di arte romana, ma
parla sempre di arte greca, anche nel periodo romano.
Nell’analisi dei critici, in particolare Bianchi Bandinelli, pur riconoscendo una grandissima importanza a
questa opera e ai concetti che sono alla base di questa definizione del tutto nuova della storia dell’arte
classica, Tuttavia si riconoscono alcuni concetti erronei, sbagliati, alla base di questa visione e che però
rimasero per molto tempo radicati degli Studi archeologici e soltanto in epoca relativamente recente
l’archeologia e la storia dell’arte antica sono riusciti a liberarsi di questi concetti erronei, che sono dei
pregiudizi.
- Il primo concetto erroneo è quello del mito della perfezione dell’arte greca, poiché nella
sua massima espressione è considerata l’arte del quinto/ quarto secolo avanti Cristo, il
periodo classico che diventa il canone estetico per eccellenza, e porta a vedere ciò che è
prima e ciò che è dopo come imperfetto e come decadente.
- Il secondo aspetto erroneo è quello di vedere la storia dell’arte antica in una prospettiva
evoluzionistica, cioè come una storia dell’arte che a un principio nasce, evolve, raggiunge il
massimo e poi decade, anche questo crea un pregiudizio nei confronti sia dell’arte arcaica
e sia dell’arte ellenistico-romana, visto come un periodo di decadenza.C’è un motivo per
cui Winkelmann ha questa idea, lui studia le fonti antiche, letterarie e noi abbiamo già
avuto modo di vedere come le principali fonti dirette e in particolare Plinio e Pausania
hanno loro stessi un pregiudizio nei confronti delle opere della storia dell’arte antica, tanto
da esaltare le opere d’arte classiche e di trascurare completamente le opere d’arte
dell’epoca uno. Perché loro stessi si basano su fonti precedenti e sui scritti retorici tardo
ellenistici che esaltavano il passato della Grecia libera, dal punto di vista culturale, una
Grecia forte e potente dal punto di vista politico ed economico, paragonandola al periodo
ellenistico dopo la conquista di Alessandro Magno, dopo la sottomissione al potere
Romano; avevano una visione che era nostalgica e rivolta al passato. Questa visione si è
tramandata nel corso dei secoli fino a giungere al 700 ea influenzare l'opera di
Winckelmann.
- Un altro errore alla base dell’opera di questo grande studioso è quella di considerare l’arte
greca come sostanzialmente volta all’idealizzazione del vero, Mentre secondo Bianchi
Bandinelli l’arte greca è sempre stata volta alla ricerca di un realismo, questo attraverso
L’invenzione dello scorcio, della prospettiva e del colore locale, hanno sempre teso a
restituire l’aspetto reale dei soggetti raffigurati. Secondo Winckelmann la caratteristica
dell’arte classica si può sintetizzare così: Nobile semplicità e muta grandezza. Il modello
statuario da lui più apprezzato ed esaltato è rappresentato dall’Apollo del Belvedere, una
statua conservata presso i Musei Vaticani, che però era una copia romana di un originale in
bronzo del IV secolo avanti Cristo. Bandinelli riporta un brano dell’opera di Winckelmann
dove si parla del Apollo del Belvedere, ci rendiamo conto di come dal punto di vista
emotivo le opere arte antiche avevano toccato le corde di Winckelmann.
‘ La statua dell’Apollo del Belvedere è la più sublime tra tutte le opere antiche che fino a noi
si sono conservate, direbbesi che l’artista a qui formato una statua puramente ideale
prendendo dalla materia quel solo che era necessario per esprimere il suo intento e
renderlo visibile. ‘  concetto di idealizzazione.
‘ il complesso delle sue forme
sollevasi sopra l’umana natura e il suo atteggiamento mostra la grandezza divina che lo
investe’. ‘Non vi sono ne tendini ne vene che quel corpo muovano o riscaldino, ma parte
che uno spirito celeste simile a fiume placidissimo, tutti abbiamo formati gli ondeggianti
contorni.’ ‘ mirando questo prodigio dell’arte tutte le altre opere né oblio e sopra di me
stesso mi sollevo per degnamente contemplarlo’  contemplazione dell’arte greca ed
idealizzazione del modello classico, come Bandinelli dice, questa idea e questa visione
pervase per molto tempo gli studi di archeologia, il primo che avvertì gli errori alla base di
questa concezione idealizzata e parabolica dell’arte greca non fu un archeologo ma un
filosofo Schlegel, disse che Winckelmann aveva Peccato di misticismo estetico, proprio
perché aveva idealizzato l'arte classica, con una prospettiva totalmente sbagliata che ebbe
delle conseguenze gravi. Un esempio sono le sculture del
Frontone Ovest del Partenone, I Marmi Elgin, era imposto il sito nel 600, abbiamo un
disegno di Jacques Carrè, al seguito dell’ambasciatore di Luigi XVI a Costantinopoli, vide il
Partenone gli anni Settanta del 300 e disegnò queste opere di Fidia, che sono adesso al
British Museum. Qualche tempo dopo Lord elgin, Siamo alla fine del Settecento, con
un’opera che si può definire di taccheggio ed esfoliazione li prelevò dal Partenone e li
portò in 200 ceste a Londra, chi aveva documentato nel 600 questa straordinaria opera
scultore a, lo aveva fatto prima del terribile episodio del bombardamento del Partenone da
parte di Francesco Morosini il veneziano nel 1677, diventato un deposito di armi dei Turchi,
posteriormente i turchi cominciarono anche a usare i marmi per ottenere calce. Difatti
quello che rimaneva dei Marmi del Partenone fu spogliato da Lord Elgin, Ambasciatore
inglese a Costantinopoli, ottenne il permesso di prelevare, non le statue che erano ancora
in posto, ma ebbe il permesso di prelevare quelle che trovavo durante lo scavo. Lui andò
ben oltre il recupero di materiale da scavo e spogliò il partenone; aveva acquistato una
struttura nei pressi del Partenone che fu demolita per recuperare dei pezzi marmorei che
erano stati riutilizzati per l’edificazione di questa struttura. Questa operazione risale al 1799
e questi Marmi furono spediti in Inghilterra, ma una parte delle ceste che conteneva i
reperti naufragò, approdando nel 1812. Il punto è che gli archeologi di Allora talmente
influenzati da queste idee Winckelmanniane da questa prospettiva neoclassicista non
riconobbero la grandezza dei Marmi del Partenone e addirittura misero in dubbio che
potesse trattarsi dell’Opera del grande Fidia, qualcuno ipotizza che potesse trattarsi di
copie di età romana, la cosa interessante è che fra i primi che riconobbero,grazie ad una
forte sensibilità artistica, La grandezza dello scultore che aveva realizzato queste opere fu
Antonio Canova, il grande scultore rappresentante della corrente neoclassica, il quale si
rifiuta di restaurare queste statue e riconobbe la grandezza. Un fatto analogo
avvenne con le opere di statuaria appartenenti ai frontoni del tempio di Zeus a Olimpia,
rinvenute nel corso degli Scavi dell’equipe tedesca degli anni 70 80 dell’800, questo per
dimostrare quanto questi concetti erano radicati e perdurano negli ambiti degli Studi
storico artistici. Anche Allora queste opere del maestro di Olimpia vennero considerate
opere di una scuola secondaria e addirittura quasi volgari per il fatto che sul frontone est
del tempio di e la raffigurazione di uno stalliere che si tocca un piede, l'immagine che il
mondo degli storici dell'arte e della critica archeologica che si erano fatti era un'immagine
dell'arte greca che non corrispondeva assolutamente alla realtà e ci volle molto tempo
prima che l'archeologia si liberasse da tutti questi pregiudizi.
Lezione 16
Il Settecento ha costituito una tappa fondamentale nella storia dell’Archeologia, molto importante anche
perché il XVIII secolo si effettuarono alcune importantissime scoperte di siti archeologici fondamentali
soprattutto per l’archeologia Romana, un esempio è Ercolano e Pompei, inizio degli scavi di questi dei due
sono 1738 e 1748. Queste ricerche furono avviate nella prima metà del 700 per volere di Carlo III di
Borbone, diventato re del Regno di Napoli nel 1734, era molto interessato all’evoluzione delle ricerche e
delle scoperte in questi siti,che fondò a scopo di valorizzare e gestire il grande patrimonio archeologico e
storico-artistico che veniva mano a mano scoperto e poi per pubblicare ed illustrare i reperti e i monumenti
che venivano scoperti. Istituì un’accademia, la Accademia ercolanese fu fondata nel 1755 proprio con
questo scopo, infatti Nella seconda metà del Settecento l’accademia ercolanese pubblicò otto volumi
dedicate alle antichità di Ercolano. Le collezioni del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, di manufatti
di ogni tipo, ma anche prodotti scultorei di notevole qualità e poi frammenti di affreschi di pittura romana,
confluirono nella raccolta borbonica. Questo museo è confluito nel palazzo del Cinquecento per volere del
figlio di Carlo III di Borbone, Ferdinando IV, il quale riunì in questa sede prestigiosa non soltanto le opere e i
reperti che facevano parte della collezione borbonica e che venivano dai siti vesuviani, ma anche la
collezione Farnese, che era giunta in possesso di Carlo III di Borbone, attraverso Elisabetta Farnese, una
grande collezione di oggetti artistici e di reperti archeologici provenienti da Roma e dal territorio Laziale.
Queste due grandi collezioni insieme a molti altri nuclei collezionistici costituirono la base delle raccolte del
Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dopo l’Unità d’Italia.
Gli scavi archeologici ad Ercolano furono intrapresi per volontà di Carlo III di Borbone qualche decennio
dopo una scoperta fortuita, perché Ercolano fu rinvenuta per puro caso nel 1709. Un contadino scavando
un pozzo per l’irrigazione dei suoi campi Intercetta delle strutture e recuperò dei Marmi, che poi furono
visti da un nobile e un aristocratico del luogo, il quale fece ulteriori ricerche, E sostanzialmente ci si rese
conto che questo scavo aveva intercettato una struttura Antica di età romana che all'epoca venne
identificata con il tempio di Ercole, ma più tardi ci si rese conto che in realtà quello che era stato
intercettato Era una parte della scena del teatro di Ercolano. Qualche tempo dopo, durante i lavori che
precedettero la costruzione della Reggia di Portici, voluta da Carlo III di Borbone, realizzata prima della
Reggia di Caserta, rendendosi necessario la stesura di una mappa della zona un funzionario di Carlo, Roque
Joaquin de Acubierre, incaricato di questo lavoro venne a conoscenza delle scoperte che erano state
realizzate nella vicina Ercolano qualche decennio prima e decise con l’autorizzazione del re di intraprendere
delle nuove ricerche dei nuovi scavi. Proprio nel 1738 le ricerche proseguirono, piuttosto difficoltose
perché sia Ercolano che Pompei erano sepolti a seguito dell’eruzione del Vesuvio nel 79 dopo Cristo,
sepolte però in modo diverso. Ercolano rimase sotto una colata di fango e di materiale piroclastico alta
diverse decine di metri, questo materiale nel corso del tempo si è indurito diventando sostanzialmente un
banco tufaceo, con una certa difficoltà di scavo. Tuttavia per qualche decennio gli scavi di ricerche vennero
portati avanti e si diede luogo anche a una mappatura e alla realizzazione di una planimetria della zona, vi
fu anche una prima pubblicazione 10 anni dopo dell’inizio degli Scavi da parte di uno storico Marcello
venuti, il quale si era conquistato l’apprezzamento del re, che pubblico la descrizione delle prime scoperte
dell’antica città di Ercolano. Nel frattempo Il funzionario Joaquin era stato affiancato da un ingegnere
svizzero Karl Weber, che tra le altre cose nel 1770 mise in luce la splendida Villa dei Pisoni o papiri, ne
redasse una planimetria, fu anche colui che propose di proseguire gli scavi di Ercolano facendone uno scavo
a cielo aperto, perché In quell’epoca gli scavi erano Condotti sostanzialmente facendo dei cunicoli nel
banco tufaceo, scavi molto scomodi, illuminazione era molto scarsa e c’era sempre pericolo di crolli, Weber
aveva proposto di scavare in un luogo diverso e tuttavia negli anni 60 gli scavi si interruppero per la sua
morte. Nel frattempo erano iniziati gli scavi e il sito archeologico di Pompei nel 1748, un sito più facile da
scavare, perché era stata sepolta da una poltre di cenere e lapilli, non comportava nei difficoltà di uno
scavo di un banco così indurito come quello di Ercolano. A più riprese continuarono gli scavi di Ercolano,
come quello di Amedeo Maiuri; le indagini ripresero anche nella seconda metà del Novecento e in
particolare si fece la scoperta di oltre trecento resti di persone ammassate sotto i fornici di una struttura di
sostruzione che si affacciava sul mare, nella quale si tiravano le barche in secca, oppure si faceva la
manutenzione delle imbarcazioni. Quelle persone si erano rifugiate nella speranza di soccorso che non
arrivo, sappiamo da Plinio che il mare era mosso e non consentiva l’attracco.
Tornando al secolo XVIII grande risonanza e successo ebbero gli scavi Condotti nell’antica città di Pompei,
sempre prendono paese iniziativa di Carlo III di Borbone, soprattutto negli anni successivi, fra momenti di
stasi e momenti di ripresa delle indagini, che venne messa in luce buona parte della città, Il Tempio di Iside,
il foro triangolare, la Necropoli di Porta Ercolano, proprio durante il periodo della dominazione francese
che il sito di Pompei raggiunse una grandissima fama, tanto da essere normalmente inserito nel percorso
del Grand Tour. All’epoca fu redatta una mappa degli scavi di Pompei, una città che si articolava su più di
100 ettari, nel 1997 Pompei ed Ercolano e Stabia sono stati inseriti nella lista del patrimonio dell’Unesco.
Pompei è una città la cui fama supera quella di Ercolano, le cui ricerche subiscono un forte impulso Durante
l’epoca delle ricerche di Giuseppe Fiorelli, soprattutto dopo l’Unità d’Italia con una maggiore disponibilità
economica alle ricerche. Fiorelli è archeologo e ispettore della soprintendenza, conduce delle ricerche
anche con metodi innovativi, innanzitutto nel prosieguo delle ricerche, bisogna riconoscere il merito di
avere suddiviso la città in porzioni denominate regione e insule, ancora oggi tutte le evidenze strutturali e
monumentali che sono state E sono messe in luce a Pompei seguono questa suddivisone. Fiorelli Tra l’altro
già prima dell’Unità d’Italia negli anni 50 dell’800 aveva ideato un sistema per la documentazione delle
vittime dell’eruzione che consisteva nel colare nelle cavità dei corpi, lasciate dal materiale organico, del
gesso fluido che poi prendeva quella forma lasciata dai corpi nella cenere. Sono quei calchi tuttora visibili
negli scavi di Pompei. A quell’epoca risale un’importante documentazione, principalmente grafiche che
risalgono al 1860, per gli studi Condotti dei ricercatori moderni, abbiamo molte opere grafiche lasciate da
architetti, pittori e artisti ottocenteschi che si recavano a Pompei e si esercitavano alla documentazione dei
resti architettonici, ma soprattutto di quelli pittorici. Abbiamo moltissime tavole dipinte che riproducono
intonaci affrescati, di cui intere pareti decorate, al giorno d’oggi scomparse, ma importanti per la
ricostruzione. Ad esempio delle tavole dipinte da Vincenzo Loria di terzo e quarto stile, che ci danno
un’idea della vivacità dei colori di questa forte policromia.
Conosciamo due grandi personalità che contribuirono a rilanciare le ricerche nei siti di Ercolano e Pompei,
Vittorio Spinazzola e Amedeo Maiuri, nei primi decenni del 900.
Le varie tappe della storia della disciplina archeologica, abbiamo visto come 700 abbia rappresentato un
momento di svolta fondamentale, abbiamo visto il lavoro di Winckelmann e due importanti scoperte
avvenute nella prima metà del Settecento, Ercolano e Pompei. Abbiamo visto anche l’evoluzione degli studi
e delle ricerche di questi siti archeologici così importanti, soprattutto per la storia dell’Archeologia romana.
Abbiamo anche visto che nel corso dell’800 c’è stata una grande documentazione grafica di evidenze
archeologiche che oggi sono in parte scomparse o conservate in modo parziale.
Abbiamo visto anche come nel corso del tempo sia stata valorizzata la pittura parietale, perché
effettivamente in ambito Romano, i centri vesuviani sono quelli che conservano il più grande patrimonio di
pittura parietale romana, una figura importante è quello di August Mau, uno studioso tedesco che alla fine
dell’800 classifica la pittura parietale Pompeiana nella sua ‘Geschichte der dekorativen Wandmalerei in
Pompeji’, la storia della pittura decorativa parietale a Pompei, nella quale distingue i 4 stili pompeiani che
abbiamo già trattato, importanti perché ancora oggi i suoi interventi e la sua classificazione reggono. La sua
opera è corredata di una serie di tavole a colori che ancora costituiscono un’importante Fonte
documentarie per gli studiosi di pittura antica.
Andando avanti ci soffermiamo nel XIX sec., Bianchi Bandinelli nell’affrontare la storia dell’Archeologia
classica suddivise questa evoluzione della disciplina in una serie di tappe fondamentali, dopo l’archeologia
del 700, detta Winckelmanniana, identificò un momento di grande importanza nell'evoluzione degli studi,
in quella che egli definisce l’archeologia filologica. Essa si colloca nel corso dell’800 fino all'epoca della
Prima Guerra Mondiale circa, che sicuramente una fase dominato dalla scuola tedesca e dall’opera degli
studiosi Ariani. In questa fase della archeologia filologica noi vediamo l’attuarsi di un metodo di studio
dell’arte antica, in particolare della statuaria Antica, il metodo filologico, che riconosce che all’epoca di
Winckelmann non si conoscevano opere originali greche, si studiavano le opere greche su copie romane,
ma non si sapeva che queste fossero delle copie, quindi la archeologia filologica fa un passo in avanti,
riconosce che finora ha studiato su copie romane e Mira a ricostruire gli originali Greci proprio a partire da
queste copie. È definita filologica questa parte dell’Archeologia, perché come la filologia mira a ricostruire i
testi antichi letterari sulla base della loro trasmissione manoscritta, così l’archeologia filologica mira a
ricostruire gli originali Greci sulla base delle copie romane arrivate a noi. Si basa sulla testimonianza
fornita dalle fonti letterarie, molto utili perché spesso citano opere d’arte, le descrivono nel dettaglio e ci
danno anche notizie sugli artisti, i nomi e l’ambiente nel quale agivano. Attraverso la messa a confronto fra
le copie di epoca romana e quella serie di grande artisti tramandati dalle fonti Si cerca di arrivare a un
identificazione delle opere originali. Si può stabilire un avvio degli studi e delle analisi con Winckelmann,
abbiamo alcune pagine dell’opera di Winckelmann ‘Monumenti antichi inediti’ 1767, molto importante per
delle scoperte nella identificazione di opere di statue antiche, una importante suo riconoscimento, che si
deve alla sua grande sensibilità e alla sua capacità intuitiva, preparazione e intelligenza, è quella dell’
Apollo saurochtonos, cioè la pollo che uccide un rettile. Opera citata da Plinio il Vecchio che la attribuisce a
prassitele. Sulla base del confronto tra le fonti antiche e l’evidenza statuaria ,in possesso di Winckelmann,
egli giunge alla identificazione, in particolare lui poteva vedere una statua marmorea che apparteneva alla
collezione Borghese, che oggi si trova al Louvre (In quegli anni il cardinale Albani avevo trovato una copia
fermmentaria di bronzo in una sua Vigna sull'aventino a Roma). Nel 2004 è saltato fuori un’altra statua in
bronzo al museo di Cleveland che si suppone sia l’originale. L’origine di questo bronzo presenta dei punti
oscuri. Winckelmann rappresenta un punto fondamentale per lo sviluppo di questo metodo filologico che
caratterizza gli studi archeologici dell’800. Una delle più importanti e un elemento simbolo nell’ambito del
metodo filologico è quella dell’ Apoxiomenos di Lisippo, copia romana di quella in bronzo che oggi è
conservata ai Musei Vaticani. Questa statua , di colui che si deterge, la raffigurazione di un atleta che si sta
ripulendo con lo strigile dopo l’attività sportiva, fu rinvenuta a Trastevere nel 1849 fra le rovine di una villa
romana, ma sappiamo che l’originale bronzeo era stato portato a Roma da Agrippa, che lo aveva esposto
nelle terme ed era talmente apprezzato anche dai romani , che quando Tiberio cerco di sottrarla alla
fruizione pubblica, per la sua residenza sul Palatino, dovette desistere per le accese proteste della città.
Era una statua famosa di cui ci parlano le fonti antiche e ben riconosciuta da un altro grande studioso della
scuola filologica, Heinrich Brunn, il primo docente di archeologia all’Università di Monaco, autore di
un’opera monumentale ‘Griechinschen Kunstler’, ‘ la storia degli Artisti greci’, dove applica pienamente
quello che è il metodo filologico; applicando il criterio dello studio parallelo Fra la traduzione scritta da una
parte e il patrimonio monumentale dall’altra, procede alla ricostruzione delle opere d’arte e delle singole
personalità artistiche degli autori greci che le avevano create.
Ci si basava sulle fonti letterarie, è d’obbligo citare un’opera fondamentale per questo tipo di studi e di
analisi, che si è rivelata utile strumento per gli studi di questo tipo ancoraggi, l’opera di Johannes Overbeck,
‘ Antiken Schriftquellen zur geschichte der blinden kunste bei den Griechen ’, ‘Le antiche fonti scritte per la
storia delle arti figurative presso i greci’. Lui raccoglie una serie di fonti antiche, citazioni bibliografiche,
nelle quali gli antichi riportano notizie su artisti e opere d’arte, è uno strumento di lavoro molto utile per lo
studio e per la ricostruzione di opere d’arte e di artisti antichi.
La statua dell’ Apoxiomenos, e le altre copie degli originali greci, in quest’epoca ci hanno rivelato alcuni
elementi fondamentali per riconoscere quelle che sono delle copie rispetto agli originali, lui ci insegna che
quando si passa dall’originale bronzo alla copia in marmo ,Proprio perché le due tecniche sono
completamente diverse, il passaggio dall’una all’altra lascia dei segni indelebili. Si riconosce il passaggio
dall’originale alla coppia nell’ incisività con cui vengono Resi i capelli, perché se un artista realizza i capelli
direttamente sul marmo li rende in modo più naturalistico, mentre c'è una maggiore rigidità nella copia, Ma
soprattutto ciò che rivela il passaggio dall'originale a una copia e la presenza di Puntelli, che sono spesso
costituiti da strutture, come colonne o tronchi, ai quali era stato a si deve appoggiare; oppure dalla
presenza di puntelli di raccordo, tra gli arti o tra i diversi elementi della statua. Servono a mantenere in
equilibrio la statua di marmo, perché mentre quella in Pronto si regge da te, mentre l’altra esce dal suo
equilibrio statico non si regge da sola e ha bisogno di alcuni elementi che garantiscano l’appoggio.
Un altro esempio è il doriforo di policleto, abbiamo una copia nel museo di Napoli dell’originale bronzeo,
altra fondamentale opera riconosciuta dagli studiosi della scuola filologica, in particolare da Carl Friedrich,
importante nella storia dell’arte greca, che risolve un problema, riassunto così da Bianchi Bandinelli:
‘ questa statua risolve il problema centrale dell’arte greca nel passaggio dall’età arcaica all’età Classica,
cioè quello di rappresentare la figura virile ignuda e tante, Ben proporzionata, ferma e stante, non
impegnata in una situazione precisa, ma tale da avere la possibilità di movimento’. Il Canon, opera scritta
da Policleto, si occupava delle proporzioni del corpo umano, dava indicazioni sull’equilibrio della figura
umana dal punto di vista dell’analisi della corrispondenza delle parti anatomiche. Proseguendo sull’analisi
di questo periodo dell’Archeologia filologica, nel corso dell’800, furono moltissimi gli studi, soprattutto
nell’ambito della statuaria, si riconobbero moltissime opere greche sulla base delle copie romane, però va
anche detto che in questo modo l'arte greca venne studiata Soprattutto sulle copie romane, questo porta a
trascurare le originali che nel frattempo venivano scoperte, in qualche modo questo Perpetua una visione
accademica e fredda dell’arte greca classica, impedisce di leggere le copie romane nel loro contesto E di
comprendere anche il significato è il valore delle copie nel contesto in cui vennero create. Anche per la
pittura, soprattutto nei grandi quadri che ornavano le pareti delle domus e delle ville dell’età romana, le
cercano di individuare dai modelli greci, e di risalire alla grande pittura da cavalletto Antica attraverso
quelle che si ritenevano delle copie di età romana gli originali Greci o ellenistici. Uno dei casi deriva dalla
Basilica di Ercolano, il soggetto è quello di Eracle che ritrova il figlio telefo allattato da una cerva. Per
queste opere si cercò di risalire agli originali, per alcuni fu possibile risalire a un originale di Apelle,
sicuramente Nella pittura romana ritroviamo molti riferimenti alla pittura Antica greca ellenistica, si
passavano i cartoni nelle botteghe. Successe che si analizza la pittura romana per cercare di ricostruire la
pittura greca trascurando il significato vero della pittura romana nel proprio ambiente e nel proprio
contesto, anche il significato sociale e il messaggio, i soggetti è il significato ideologico…. Importante è
anche la questione del paesaggio, che in queste pitture venne ritenuto un interpolazione romana, il
modello classico doveva essere un modello caratterizzato da equilibrio, linearità, chiarezza, quindi il
paesaggio che veniva considerato qualcosa creato e inventato dai Romani, mentre oggi sappiamo che non è
così, ma risale all’epoca ellenistica. L’ultimo dei grandi rappresentanti di questa corrente è Adolf
Furtwangler,’Meisterwerke der griechischen plastik’, ‘ le grandi opere d’arte della plastica greca’, dove
ancora una volta questo studioso porta al massimo sviluppo il metodo di ricostruzione delle opere antiche
originale attraverso le copie. Studia delle copie di età romana e ancora una volta propone numerose
identificazioni. Secondo Bandinelli i migliori risultati degli Studi delle analisi di questo grande archeologo si
ottennero in opere considerate meno famose, in particolare opera sulle gemme antiche e poi
un’importante opera dedicata alla pittura vascolare.
Lezione 17
L’ 800 è un secolo importantissimo per la formazione del metodo archeologico, Anche perché nel corso di
questo secolo l’archeologia si emancipa e diventa una disciplina autonoma e in questo secolo Bianchi
Bandinelli parla di fase militante dell’ archeologia. (particolare rilievo alle scoperte del mediterraneo) l’800
è un secolo di ricerche che diventano sistematiche e mettono a frutto le prime conquiste dell’ archeologia
stratigrafica, le ricerche e anche le pubblicazioni incominciano ad essere condotte con metodo scientifico,
anche sulla scia dello spirito positivistico del tempo. In quel periodo si moltiplicano le scuole, gli istituti, le
accademie e le pubblicazioni scientifiche dedicate all’archeologia. La rivista Archeloghia nasce nel 1770 è la
rivista Edita dalla Society of antiquaries, nata già a inizio 700, che poi sarà sostituita dall’ antiquaries
Journal. Londra è un centro molto vivace da questo punto di vista, nel 1733 era nata la società dei
Dilettanti, molto importante perché Finanziò di studio e di ricerca archeologica, e l’acquisto da parte del
governo turco di tutta una serie di reperti che poi andarmi ad alimentare le collezioni del British Museum,
nato nel 1753, Grazie all’iniziativa di un medico naturalista, sir HANS , il quale aveva ceduto a re Giorgio le
sue collezioni che andarono a creare il nucleo del Museo Nazionale. Nell’Ottocento queste iniziative si
moltiplicano, in Italia nasce la pontificia Accademia Romana di archeologia nel 1831, poco prima era stato
fondato su iniziativa della archeologo tedesco Gerhard l’istituto di corrispondenza archeologica, nel 1829,
oggi Istituto Archeologico Germanico. Gerhard aveva fondato una rivista, la rivista di scienze
archeologiche, nel 1852, seguita da una sua opera, un compendio di archeologia, nel quale definiva
l’archeologia come quella metà della Scienza universale dell’antichità classica puntata sui monumenti. Da
questa fase in poi il termine archeologia viene impiegato nel senso moderno.
È un’epoca di grandi scoperte e di grandi spedizioni, che procedono parallelamente con la politica
espansionistica coloniale delle grandi potenze europee e, in primis la Francia con la spedizione Napoleonica
in Egitto della fine del 700, una campagna che non ebbe successo dal punto di vista politico e militare, ma
ebbe grande rilevanza è grande risonanza dal punto di vista scientifico culturale archeologico, in particolare
la scoperta del 1799 della Stele di Rosetta, editto tolemaico del II secolo avanti Cristo redatto in geroglifico
demotico e greco antico, che fu studiato da Champollion, il quale passò alla storia per aver decifrato per
primo i geroglifici. In quegli anni si susseguivano in Egitto i viaggi di esplorazione e di studio, da parte di
studiosi e di appassionati dilettanti, Fra Questi ricordiamo Giovanni Battista Belzoni, ingegnere è
appassionato di antichità, pioniere dell’Archeologia, passato alla storia per l’impresa del trasporto di un
busto colossale di Ramses II, dal sito di Luxor deir El bahri, dal Nilo fino a Londra. A qualche anno di distanza
venne effettuata una seconda spedizione, Franco Toscana l’Egitto, formata da studiosi e da scienziati, co
finanziata da Carlo X di Francia e dal Granduca Leopoldo di Toscana. La Grecia conosce una grandissima
stagione di fondamentali scoperte archeologiche, nel corso dell’800, Infatti ricordiamo che i siti archeologici
della Grecia erano tra le mete privilegiate del Grand Tour; Ma le grandi scoperte della Grecia del primo
Ottocento sono legate al nome di un architetto inglese, Charles Robert Crockell, che con il libro di Pausania
in mano, durante il suo Grand Tour effettuato nel 1811, fu l’artefice di alcune importantissime scoperte:
il tempio di Atena aphaia a egina, del quale furono messe in luce le statue frontonali, vendute a Ludovico
di Baviera ed esposte al Museo di Monaco, all'epoca furono restaurate e integrate dallo scultore Danese
Tor valsen. Tempio di Apollo epicurio di figalia basse, Apollo soccorritore della pestilenza, dal quale fu
rinvenuto il fregio e le lastre furono trasferite al British Museum di Londra, lastre con rilievi che raffigurano
amazzonomachia e centauromachia.

Lezione 18
Paolo Orsi
Conterraneo di Federico Halbherr, grande ricercatore, pioniere, archeologo militante, un archeologo che
operò sempre sul campo con grande passione e determinazione, a volte con grande ostinazione . Un
archeologo che qui vediamo ritratto in modo molto diverso, sa un lato molto formale, dall’altro lato un
Paolo Orsi che lavorava sul terreno.
Paolo Orsi era nato, come Federico Halbherr, a Rovereto, questa piccola cittadina dell’impero austro-
ungarico a due anni di distanza dal conterraneo Halbherr, fu non solo suo collega ma anche suo amico. In
questi mesi stiamo esaminando un ampio archivio acquisito da Rovereto, al Museo Civico, un archivio di
circa 8 mila lettere ricevute da Paolo Orsi nel corso della sua vita e tra queste ce ne sono molte da parte del
suo amico e collega Federico Halbherr. Si forma a Roveredo, i primi hanno della sua formazione nell’ambito
dell’archeologia e della storia antica, i suoi primi passi nella disciplina si devono a un amico di famiglia,
Fortunato Zeni, che era un archeologo dilettante, appassionato collezionista, studioso di numismatica
soprattutto, ma anche di scienze naturali ed era fra i fondatori del locale Museo Civico, dove portò Paolo
Orsi e dove Paolo Orsi compì i primi passi, nello studio delle antichità. Nel Museo Civico Orsi respirò
sicuramente lo spirito positivista che animava i fondatori di questa istituzione, tra l’altro sperimentò
l’integrazione fra le due anime di questo museo, da un lato quella storico-archeologica e dall’altro quella
più legata alle scienze naturali, diciamo che la valvolizzazione del contributo delle scienze naturali
all’archeologia fu un’impronta molto importante negli studi di Paolo Orsi. Pensiamo che viene cooptato
nella società del Museo Civico di Rovereto giovanissimo, a soli sedici anni. Affiancò il maestro Zeni nella
catalogazione delle monete, nello studio dell’epigrafia, i primi interessi e i primi scritti (iniziò a pubblicare
molto giovane) riguardano le evidenze archeologiche romane del Trentino ed è proprio in quegli anni che
Paolo Orsi comincia a prendere appunti sui suoi famosi taccuini. In quegli anni inizia, nel 1867, a
frequentare l’Università di Vienna, poi si trasferirà a Padova, poi ancora a Roma, dove sarà fondamentale
l’incontro con Pigorini, nel ’79, morto il maestro Zeni, prenderà il suo posto come conservatore della
sezione archeologica del museo, un incarico che non abbandonerà mai, ma che terrà sempre fino alla fine
dei suoi giorni, perché nonostante i periodi lontani dalla città natale, manterrà sempre i contatti con
parenti. In quegli anni iniziò a prendere appunti sui suoi famosi taccuini, a Rovereto ne possediamo uno, il
primo, gli altri si trovano a Siracusa e costituiscono un inestimabile patrimonio di dati e di conoscenze,
eprchè Paolo Orsi fin da giovanissimo iniziò a esplorare il territorio con metodo di ricognizione, facendo
delle escursioni che lo portavano a esplorare, ad esaminare e osservare il terreno palmo a palmo e ciò che
osservava lo appuntava sui suoi taccuini.
Paolo Orsi era un amante dell’escursionismo, era iscritto alla società degli alpinisti tridentini, il fratello che
qui vediamo rappresentato, era un valente alpinista, ma possiamo immaginare che Paolo Orsi non fosse da
meno, infatti si faceva spesso accompagnare da fratelli e amici per fare escursioni in montagna e
approfittava di questo per fare le sue osservazioni di carattere archeologico.
Fu fondamentale l’incontro con Luigi Pigorini a Roma. Paolo Orsi si recò a Roma per seguire le lezioni di
Pigorini, grande paletnologo italiano, primo ordinario di paletnologia all’università di Roma, fondatore del
Museo Preistorico ed Etnografico di Roma, grande maestro di Paolo Orsi e suo consigliere per gran parte
della sua vita. Fino ad allora paolo Orsi si era interessato prevalentemente all’archeologia romana, alla
topografia, all’epigrafia, alla numismatica, aveva già scritto molti articoli in questo settore e dopo l’incontro
con Pigorini, nei primi anni ’80, cominciò a dedicarsi alle indagini in campo preistorico, fu autore di diversi
scavi archeologici in Trentino e ciò che è interessante è notare che fin dai primi interventi di scavo, Paolo
Orsi applica un metodo di scavo che si colloca fra i prodromi dell’archeologia stratigrafica e lo vediamo
anche dalle sezioni pubblicate in questo suo articolo sulla stazione litica, sulla stazione preistorica del
Colombo di Mori, un sito preistorico dell’età del Bronzo. Colpisce tra l’altro il rigore metodologico di questo
giovanissimo archeologo, soprattutto nella documentazione dei reperti e il fatto che non trascura di
documentare e far disegnare anche i reperti zoologici, si tratta di studi archeo-zoologici, dove Paolo Orsi
valorizza il contributo delle scienze naturali all’archeologica, questo senza trascurare la documentazione
precisa e accurata di altri reperti come i reperti ceramici.
La svolta per Paolo Orsi avviene nel 1888-1889. Orsi partecipa a un concorso per la cattedra di archeologia
all’Università di Roma, non lo supera, vince Emanuel Loewy, insigne studioso, intellettuale di grande
levatura, uno studioso orientato più nel campo della storia dell’arte, mentre Paolo Orsi rappresentava un
altro genere di archeologo, uno studioso impegnato nella ricerca sul campo, un archeologo militante, oltre
ad essere molto giovane. Forse l’Università italiana non era ancora pronta per una figura di questo genere
che potesse occupare la cattedra di Archeologia classica. Nel frattempo, Paolo Orsi vince un concorso come
ispettore degli scavi e dei musei a Siracusa e si trasferisce in Sicilia, dove inizia anche le sue indagini sul
campo immediatamente. Pochi anni dopo, nel 1881, diventerà direttore del Museo Archeologico di
Siracusa, che oggi porta il suo nome e Siracusa e il suo museo diventeranno la sede, ma anche la base di
riferimento, di tutte le sue immagini, di tutte le sue ricerche e grandi scoperte in Sicilia ma anche in Magna
Grecia, nel corso di una carriera durata quasi 45 anni. Lo vediamo ritratto ormai in età avanzata, alle soglie
della pensione alla fine degli anni ’20-’30 a Lipari, sempre attorniato dia suoi collaboratori e dai suoi operai,
abbiamo numerose fotografie d’epoca che lo ritraggono sempre insieme ai suoi collaboratori, eprchè Paolo
Orsi era sempre il più possibile presente sul campo, conduceva le indagini in prima persona, con
ostinazione, su terreni aspri, accidentati e sfidando anche le avversità climatiche e atmosferiche.
Fin dall’inizio, appena arrivato in Sicilia, diede avvio a una lunga e importantissima stagione di ricerche e
scoperte che gli meritarono una fama a livello internazionale, incominciò a esplorare l’area dei monti iblei,
nella zona sud-orientale della Sicilia. Qui mise in evidenza una serie di siti pre e protostorici, ricordiamo per
esempio gli scavi dell’insediamento di Tapsos, la straordinaria necropoli di Pantalica, che oggi è un parco
archeologico di interesse straordinario e immerso in un contesto paesaggistico davvero meraviglioso. Nello
tesso tempo Paolo Orsi avviò ricerche anche nelle città di fondazione greca, ricordiamo che Paolo Orsi fin
dall’inizio, ma per tutta la sua vita, fu un archeologo a 360°, le sue ricerche non conoscono limiti
cronologici, si occupò di archeologia a partire dall’epoca preistorica per arrivare all’epoca medievale. Un
particolare interesse, un particolare focus, fu dedicato da un lato alle origini di Siculi e Sicani, quindi alle
civiltà preelleniche, ma un altro importante oggetto del suo interesse furono el colonie greche, fra le prime
esplorate quella di Naxos e quella di Megara Hyblea, oggi siti straordinari, sul quale continuarono nel corso
del tempo le ricerche.
In quegli stessi anni, nel 1889, all’indomani dell’inizio delle indagini sul campo in Sicilia, Paolo Orsi condusse
anche un’importante ricerca in Calabria e a Locri Epizefiri mise in luce i resti di un tempio ionico, in località
Marasà, di cui restava davvero poco, restavano il basamento e alcune statue frammentarie, marmoree,
appartenenti al gruppo dei Dioscuri. Vediamo lo stesso Paolo Orsi raffigurato nell’89 con una di queste
statue, gruppo statuario oggi conservato nel museo di Reggio Calabria, gruppo che doveva decorare
probabilmente il frontone del tempio o forse si tratta di statue acroteriali. Qui vedimao il basamento del
tempio esplorato da Paolo orsi.
Nel frattempo in Sicilia continuarono negli anni ’80-’90 gli scavi nei siti preistorici, ad esempio nel villaggio
neolitico di Stentinello, nell’abitato dell’età del bronzo di Castelluccio, nella necropoli di Cozzo del Pantano,
ma nello stesso tempo el indagini nelle colonie greche, in particolare individuò l’antica Heloros, una sub-
colonia di Siracusa, importantissima anche la scoperta della grande colonia di Gela, fondata da coloni
provenienti da Rodi e da Creta sulla costa meridionale della Sicilia. Altra importante sub-colonia di Siracusa,
sempre sulla costa meridionale, è quella di Camarina.
Paolo Orsi scrive la storia, scrive l’archeologia ex novo quasi della Sicilia e della Magna Grecia, soprattutto in
Calabria. Nel 1907 fu incaricato di organizzare la soprintendenza archeologica della Calabria con sede a
Reggio, diede un contributo fondamentale alla nascita del Museo Nazionale della Magna Grecia, in Reggio
Calabria e nel frattempo proseguirono gli scavi in numerosi siti della Calabria, a partire dalla stessa Reggio,
per passare poi a Locri, nell’area di Crotone. Vediamo alcune immagini dei più significativi siti scavati da
Orsi in Calabria, quelli dell’attuale Vibo Valentia, l’antica Hipponion, colonia di Locri, poi importantissimi
anche quelli dell’antica colonia di Medma, nell’area di Rosarno, siti archeologici tra l’altro in cui ancora oggi
proseguono le ricerche, diciamo quindi che paolo Orsi è stato un pioniere che ha aperto la via a una lunga
stagione di ricerche sul campo, di scavi archeologici che proseguono fino ad oggi. Altro sito molto celebre è
quello di Capo Colonna, siamo in provincia di Crotone, dove si trovava un importante santuario e il tempio
dedicato a Hera Lacinia.
Ultimo suo importante scavo fu quello del Santuario di Apollo Aleo a Cirò Marina, nella località di Punta
Alice, in provincia di Crotone. Qui Paolo Orsi identificò il santuario di Apollo Aleo, il protettore dei naviganti,
mettendo in luce degli straordinari reperti, cioè le parti marmoree (in particolare una splendida testa) di un
acrolito di Apollo. Questi reperti sono oggi conservati nel Museo Archeologico di Reggio Calabria e furono
rinvenuti nel corso degli scavi avviati a Punta Alice nel 1924. L’ultimo grande scavo, dopo che nel 1920
Paolo Orsi aveva fondato, insieme a Umberto Zanotti Bianco, la società Magna Grecia destinata a sostenere
e finanziare el ricerche e gli scavi archeologici in Magna Grecia, fondata da Orsi con questo grande
intellettuale e filantropo, perseguitato dal fascismo e poi in seguito, negli anni ’50, nominato senatore a
vita. Lo stesso Paolo Orsi era stato nominato nel 1924 Senatore del Regno, dopo che nel 1923 era diventato
soprintendente di Siracusa, dunque una lunga carriera, una grande attività sul campo. Paolo Orsi non
dimenticò mai Rovereto, tornò nella sua città natale dopo il pensionamento e vi morì nel 1935. Donò
generosamente alla città, tramite lascito testamentario, una importante collezione che venne esposta nel
locale Museo Civico, una collezione estremamente composita, con centinaia e centinaia di monete di
zecche magno greche, reperti di coroplastica, esemplari di pittura vascolare e via dicendo, è davvero una
collezione molto ricca e composita, formata da migliaia di reperti. Qui vedimao le famose testine della
collezione di coroplastica della collezione Orsi. Questa collezione venne esposta nel 1942 nel locale Museo
Civico, che all’epoca aveva sede nel Palazzo Sichadt, recentemente ristrutturato dal comune di Rovereto e
che oggi è sede del museo della città.

Il contributo di questi ricercatori militanti, di questi instancabili esploratori, è stato molto importante per
l’evolversi e il formarsi della disciplina archeologica in Italia. Hanno lasciato una grande eredità, che è non è
solo materiale, eprchè naturalmente consiste anche in migliaia di reperti archeologici in siti archeologici di
grandissima importanza su cui le ricerche si sono poi sviluppate, hanno continuato, si sono perpetuate nel
corso dei decenni, un’eredità che è quindi non solo materiale, ma senza dubbio anche scientifica, perché
questi studiosi ci hanno lasciato una messe enorme di dati, di informazioni, il frutto delle loro riflessioni,
delle loro osservazioni sul campo, ed è anche una eredità metodologica, perché la loro attività sul campo ha
gettato le basi per lo sviluppo del metodo, per lo sviluppo delle tecniche della moderna archeologia in Italia,
poi più in generale la loro eredità è di tipo culturale in senso più ampio, questi studiosi hanno dato un
contributo fondamentale al pensiero, a un nuovo modo di esaminare, di considerare e di ricostruire il
nostro passato. Concludiamo questa excursus sulle grandi scoperte e sulle grandi personalità
dell’archeologia italiana approdando nel cuore di Roma, nell’area dei fori imperiali, quello che era stato
denominato il Campo Vaccino, perché era divenuto luogo di pascolo e anche di mercato non che, come
spesso accade per i siti archeologici abbandonati, anche cava di materiali da costruzione. Qui vediamo il
Campo Vaccino in una incisione id Piranesi della metà del Settecento. Ma soprattutto con la prima metà
dell’Ottocento ritorna un interesse per l’esplorazione, un’esplorazione più puntuale, sempre più sistematica
e sempre più scientifica dei monumenti e delle emergenze archeologiche nella città di Roma. Prima
dell’intervento di Lanciani, che vedremo, importanti esplorazioni a Roma e in particolare nel Foro Romano
erano state portate avanti dall’abate Carlo Fea, un collezionista e appassionato di archeologia, fu infatti
direttore dei Musei Capitolini, fu commissario alle Antichità di Roma. Tra l’altro dobbiamo attribuirgli la
scoperta del Discobolo nel 1781 sull’Esquilino (img. Del Discobolo Lancillotti, oggi conservato al Museo
Nazionale Romano). Si tratta id una copia romana del II secolo d.C. della famosa statua in bronzo di Mirone.
Carlo Fea aveva anche il merito di aver tradotto l’opera di Winckelmann.
Accanto a Carlo Fea ricordiamo per i suoi studi sui contesti archeologici e architettonici monumentali di
Roma, Luigi Canina, che fu architetto e archeologo. Anche Canina è nominato commissario alle Antichità di
Roma e il suo principale merito fu quello di illustrare, di disegnare gli antichi monumenti, era un
disegnatore eccezionale, fece un enorme lavoro di documentazione e di ricostruzioni grafiche die
monumenti antichi e pubblicò anche numerose raccolte dei suoi disegni. Tra le altre cose, gli furono affidati
gli scavi e la sistemazione della Via Appia Antica nel 1848. Vediamo qui un’immagine che si riferisce alla
sistemazione di questa via, con i monumenti ai lati della strada, risalente a pochi decenni dopo.
Una personalità di grandissimo rilievo per gli studi e per la documentazione soprattutto delle evidenze
archeologiche della Roma antica è quella di Rodolfo Lanciani, che era ingegnere e fu un grande topografo,
ebbe anche la cattedra di topografia a Roma e concentrò la sua attività sulla documentazione dei
monumenti antichi di Roma. Lanciani in particolare ebbe il merito di documentare anche le scoperte e i
ritrovamenti casuali, le scoperte fatte durante gli scavi di recupero nel corso dei grandi lavori per Roma
Capitale, che seguirono il 1871, si verificarono infatti numerosi espropri, lavori di ricostruzione e
naturalmente in quell’epoca anche numerose scoperte. Lanciani pubblicò questa sua grande
documentazione fra gli anni ’90 e l’inizio del Novecento con il titolo di Forma Urbis Romae, che presentava
una serie di 46 tavole con la documentazione dei monumenti di Roma.
Abbiamo testimonianza di questa grande attività seguita ai lavori per Roma Capitale nella quale vennero
messi in luce anche numerosi monumenti, frammenti e testimonianze di carattere archeologico.
Ma la maggiore personalità nell’ambito delle ricerche nella capitale fra la fine dell’Ottocento e i primi del
Novecento, in particolare nel Foro Romano, è quella di Giacomo Boni. Giacomo Boni è l’autore dei primi
scavi di tipo stratigrafico nel foro romano e più in generale a Roma a partire dal 1898. Giacomo Boni era id
origine veneziana, era nato a Venezia nel 1859, di formazione era architetto, si era infatti formato in
architettura presso l’Accademia di Belle Arti, ma aveva lasciato molto presto Venezia trasferendosi a Roma,
dove raggiunse l’apice della carriera, fu nominato ispettore ai monumenti della Direzione Generale delle
Antichità e Belle Arti, fu poi direttore dell’Ufficio Regionale dei Monumenti di Roma e infine, dal 1898 fino al
1925, fu il direttore degli scavi nel Foro Romano, cui poi andarono aggiungersi anche quelli del Palatino.
Svolse la gran parte della sua carriera e della sua attività archeologica nel cuore di Roma, tornò
saltuariamente a Venezia (vediamo un’immagine dell’epoca degli scavi al Foro Romano di Giacomo Boni,
con in primo piano i resti della Basilica Emilia) e in particolare in occasione del crollo del Campanile di San
Marco, crollo strutturale avvenuto nel 1902 a seguito di una serie di lavori che erano stati fatti sulle
murature del campanile, l’anno successivo al crollo Boni fu chiamato e condusse anche uno scavo
archeologico che mise in evidenza la presenza di strutture romane in corrispondenza delle fondamenta del
campanile di San Marco di Venezia.
Torniamo agli scavi del Foro Romano di Giacomo Boni per mettere in evidenza come fra i meriti di questo
personaggio vi sia quello di essere stato fra i primi ad applicare a scavi che sono poi su ampia superficie, i
metodi dello scavo stratigrafico. In particolare, Giacomo Boni fu fra i primi a focalizzare il tema della
correlazione fra i reperti e gli strati di provenienza, dunque per Boni c’è testimonianza scritta
dell’attenzione nei confronti del contesto stratigrafico, eprchè è fondamentale la relazione fra i reperti
mobili e gli strati di provenienza per la datazione e la ricostruzione di interpretazione dei contesti
archeologici. Abbiamo qui alcune immagini di sezioni stratigrafiche relative agli scavi di Boni nell’area del
Comizio del Foro Romano e alla base della Colonna Traiana. Va poi messa in rilievo la sua particolare
attenzione e cura nella documentazione sia fotografica e grafica, cioè il disegno dei reperti archeologici e
poi va anche messa in evidenza la sua attenzione anche nei confronti dei rinvenimenti di materiali
medievali, perché purtroppo, in quel periodo veniva dato maggiore rilievo ai contesti di età classica, mentre
vi era una tendenza a trascurare, quando a non cancellare del tutto, i contesti di età medievale. Già Orsi,
come abbiamo visto, dava pari dignità ai contesti medievali rispetto a quelli più antichi.
Giacomo Boni, fra le altre cose, nel Foro Romano mise in luce il sepolcreto arcaico, del IX – VII secolo a.C.,
ma forse è ancora più noto per i rinvenimenti effettuati nell’area del Lapis Niger, l’area del Foro Romano di
cui abbiamo parlato. Ricordiamo che fu questo grande archeologo di fine Ottocento – inizio Novecento che
nel 1899 mise in luce al di sotto di quella pavimentazione che viene definita Lapis Niger un’area sacra di età
riconducibile al Vi secolo a.C., un’area sacra sottostante che comprendeva (img. Frammenti della
pavimentazione del Lapis Niger costituita da lastre di colore nero) un altare e affiancato da una base
tronco-conica e da un cippo tronco-piramidale recante un’iscrizione arcaica che è considerata una delle più
antiche testimonianze scritte in lingua latina, un’area archeologica che recentemente negli ultimi anni la
soprintendenza ha voluto nuovamente documentare, vi si sono svolte recentemente nuove ricerche,
documentazioni con tecniche avanzate per rendere fruibile al pubblico più vasto questa importantissima
area situata nel cuore dell’antica Roma.
Concludiamo ricordando come accanto ad una nuova fase dell’archeologia militante tra la fine
dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, vi sia stata una nuova fase di ricerche di carattere teorico riguardo
alle arti figurative e riguardo alla storia dell’arte classica. Abbiamo già accennato alla figura di Emanuel
Loewy, un grande studioso di storia dell’arte classica che vinse la cattedra id archeologia classica
all’università di Roma e si occupò in particolare id studi di carattere storico artistico. Ricordiamo una sua
importante opera ancora oggi strumento imprescindibile, che sono le iscrizioni degli scultori greci
Inschriften griechischer Bilhauer, ma Bianchi Bandinelli lo ricorda in particolare per la sua ricerca intorno a
delle tematiche chiave, dei temi fondamentali relativi al mondo formale dell’arte greca e alle sue riflessioni
sull’essenza dell’arte classica. In particolare, Bianchi Bandinelli fa riferimento a due opere di Emanuel
Loewy, cioè la Natura dell’arte greca più antica e le Migrazioni Tipologiche; in queste opere, ricorda Bianchi
Bandinelli, Emanuel Loewy affronta due fondamentali argomenti inerenti la storia dell’arte antica, in primo
luogo il rapporto fra l’arte greca e il vero di natura, ricordiamo infatti che ci volle molto tempo prima id
riconoscere che l’arte greca è fortemente e profondamente naturalistica, dunque rapporto fra arte greca e
vero di natura, ovvero come l’immagine naturale viene lavorata e si trasforma nell’immagine artistica, poi
l’altro grande tema è quello delle migrazioni tipologiche, cioè della persistenza iconografica nell’arte greca,
la persistenza degli schemi figurativi. In particolare, una grande conquista in questo settore degli studi
riguarda il superamento di una concezione deterministica dello sviluppo dell’arte greca, in particolare
Loewy ha il merito di avere superato l’idea dell’arte arcaica come un fase quasi preparatoria dell’arte
classica e il suo merito è anche quello di avere collegato nel suo contesto l’arte arcaica. I suoi studi di
carattere storico-artistico così importanti e alcuni dei temi da lui affrontati furono poi ripresi dal suo allievo
Alessandro Della Seta, che in particolare si occupò del problema del superamento della legge della
frontalità nell’arte greca. Egli affrontò queste problematiche in particolare prendendo in esame la
conoscenza dell’anatomia nel mondo greco e proprio nella sua opera intitolata Il nudo nell’arte, fa una
lunga e articolata rassegna della scultura greca che viene proprio esaminata dal punto di vista della
conoscenza e della conquiste dal punto di vista dell’anatomia e forse in questo Bianchi Bandinelli individua
un limite delle riflessioni e degli studi di Alessandro della Seta.
Lezione 19

La storia dell’arte romana


Abbiamo visto quelli che sono stati i momenti fondamentali delle grandi scoperte dell’archeologia nell’Italia
e il mediterraneo a cavallo tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, abbiamo visto i grandi
protagonisti di queste ricerche a volte avventurose, abbiamo anche accennato agli studi teorici relativi
all’archeologia intesa come storia dell’arte antica. Una delle tappe fondamentali in questo ambito è
rappresentato dalla squola di Vienna, la Wiener Schule der Kunst Geschichte, la Scuola Viennese della
Storia dell’Arte, una scuola fondamentale soprattutto per gli studi nell’ambito dell’arte romana, possiamo
dire anzi che alla scuola di Vienna dobbiamo proprio la scoperta dell’arte romana. Due i personaggi
fondamentali per questo tipo di studi: Alois Riegl e Franz Wickhoff, due studiosi che furono conservatori in
ambito museale, furono poi anche docenti in prestigiosi istituti universitari di Vienna, ma soprattutto
furono degli studiosi nel campo della storia dell’arte medievale e moderna e questo è sì sorprendente,
perché due storici dell’arte medievale e moderna si occuparono di arte romana, soprattutto tardo-antica,
proprio per affrontare e risolvere problemi relativi all’arte medievale e comprendere i rapporti tra l’arte
medievale e l’arte che l’aveva preceduta.
Riegl è in particolare autore di due opere molto significative, la prima si intitola Stilfragen, cioè questioni di
stile, in cui procede a una classificazione tipologica e genetica, cioè si occupa della nascita e dello sviluppo
dei motivi ornamentali nell’arte classica, indaga le leggi che stanno alla base della nascita dei motivi
ornamentali. La sua opera più importante è però la Spärömische Kunstindustrie nach den Funden in
Österreich, cioè industria artistica tardo-romana. Si tratta di una riflessione a tutto tondo sulle opere d’arte
romana, sulla cultura figurativa romana, che ricordiamo fino a quel momento era considerata
sostanzialmente dall’accademismo ottocentesco il punto di arrivo di una lunga decadenza, l’accademismo
archeologico ottocentesco infatti privilegiava nettamente la cultura greca classica del V – IV secolo a.C.
Dunque, è molto importante il fatto che finalmente si faccia una riflessione stilistica sulle opere d’arte
dell’epoca romana e in questo ambito Riegl introduce un concetto fondamentale, che è quello di
Kunstwollen, cioè volontà d’arte, che noi potremmo tradurre con gusto. È un orientamento individuale e
collettivo che influenza, che indirizza l’espressione artistica e nella creazione di questo concetto Riegl
sottolinea come ogni epoca sia caratterizzata da un proprio Kunstwollen e non è corretto giudicare la
cultura figurativa di una determinata epoca attraverso i criteri che sono propri di un’epoca diversa e che
magari vengono considerati esemplari. Dunque, è una vera innovazione, che porta sostanzialmente ad una
revisione generale della cultura figurativa romana, dell’architettura, della scultura e della pittura di epoca
soprattutto tardo-romana, perché Riegl è soprattutto interessato all’epoca posteriore al II secolo d.C.,
epoca considerata di piena decadenza. Fra le altre cose, nel delineare un percorso evolutivo, uno sviluppo
dell’arte antica, Riegl introduce altri tre concetti nel giudicare le tappe di sviluppo dell’arte antica, sostiene
che l’arte arcaica, quella egizia per esempio, sia optisch Nahsicht, cioè tattile ravvicinata, quella classica la
definisce optisch Naturalsicht, cioè tattile a distanza normale, mentre quella romana è definita optisch
Fernsicht, cioè presbite, ottico illusionista. Questo ci indica come il suo studio sia fortemente influenzata da
una concezione deterministica e questo è sicuramente uno dei punti deboli della sua trattazione e
certamente uno dei punti che sono stati superati dagli studi successivi.
Importante è anche l’opera di Franz Wickhoff, che studia in particolare le miniature di un codice della
Genesi, il cosiddetto Wiener Genesis, la genesi di Vienna e le sue idee vengono raccolte nell’introduzione
all’edizione delle miniature del codice. Questa introduzione verrà poi pubblicata a parte con il titolo di
Römische Kunst, cioè arte romana. È così importante eprchè nell’analizzare le miniature, le raffigurazioni
ornamentali di questo codice che era considerato un codice tardoantico del IV secolo e di fattura campana,
invece è più tardo e probabilmente di origine alessandrina, ma ciò che è importante è che nell’esaminare
queste raffigurazioni, Wickhoff affronta il problema dello sviluppo della pittura e facendo questo traccia
anche una sintesi dello sviluppo, dello svolgimento dell’arte romana, con un’ottica nuova, perché considera
l’arte romana per la prima volta in modo autonomo, ma vede l’arte romana come portatrice di elementi
innovativi, di elementi nuovi e originali, quindi riconosce all’arte romana un contributo innovativo all’arte
antica. Gli elementi più originali della pittura romana li individua nell’uso del colore, nella tecnica
impressionistica per così dire dell’uso del colore, poi nella resa dello spazio e in particolare della prospettiva
e infine nell’introduzione di elementi paesaggistici, cioè il paesaggio sarebbe una creazione del tutto
romana. In realtà oggi noi sappiamo che tutte queste conquiste della pittura sono in realtà conquiste già
presenti in epoca ellenistica, anzi sono degli apporti ellenistici all’arte romana. Tuttavia, è importante che
Wickhoff abbia riconosciuto una sua originalità all’arte romana, tra l’altro individua proprio nella cultura
figurativa romana altri due apporti originali: secondo lui sono caratteristici dell’arte romana da un lato il
ritratto realistico e dell’atro quello che definisce la narrazione continuata, cioè il rilievo storico narrativo .
Abbiamo messo in rilievo come in realtà questi due aspetti artistici fossero già presenti nel mondo greco-
ellenistico, quindi anche in questo caso non si tratta di creazioni specifiche e originali dell’arte romana,
l’arte romana attinge a piene mani al mondo greco e soprattutto al mondo ellenistico. Fatto sta che la
visione di Wickhoff era molto probabilmente influenzata dai pregiudizi in un certo senso che stavano alla
base della visione dell’arte espressa dalle fonti antiche, che come abbiamo già visto, non prendevano in
considerazione gli apporti dell’arte ellenistica. In ogni caso Wickhoff ha sicuramente il merito di avere
svincolato l’arte romana dall’arte greca e soprattutto dal concetto di decadenza. Inoltre, a partire da allora,
incomincia a prendere corpo anche l’idea che attraverso l’analisi, l’osservazione della forma artistica, si
possa arrivare a definire anche il contesto cronologico, dunque l datazione dell’opera d’arte e si possa
anche giungere a delle considerazioni, die giudizi critici che si discostano, quando non sono proprio
discordanti, dalle fonti antiche.
Dunque, grande e significativo apporto quello della Scuola di Vienna, una scuola dai vivaci fermenti culturali
che vennero travolti dal disastro della Prima guerra mondiale, travolti ma comunque sopravvissero anche
dopo i conflitti mondiali fino a toccare le riflessioni sulla storia dell’arte della seconda metà del Novecento,
soprattutto attraverso gli studi del mondo anglosassone. In Italia la lezione della scuola viennese in un certo
senso fu portata avanti e sviluppata da un grande storico dell’arte, Ranuccio Bianchi Bandinelli, la cui
attività si sviluppa nell’arco di ben quattro decenni a cavallo della metà del Novecento e soprattutto poi
nella seconda metà del secolo.
Prima di parlare dell’opera di Bianchi Bandinelli dobbiamo passare attraverso il periodo fascista. In Italia, a
partire dagli anni Venti, trionferà la retorica nazionalista e fascista e non di rado l’archeologia, la ricerca
archeologica verrà asservita al trionfalismo e alla propaganda fascista, alcuni degli intellettuali e degli
archeologi di cui abbiamo parlato aderirono al fascismo, chi più chi meno convinto, altri furono invece
perseguitati dal regime, sicuramente fra i più tiepidi sostenitori del fascismo collochiamo Paolo Orsi, che
era tra l’altro grande amico e sodale di Umberto Zanotti Bianco, intellettuale anti-fascista e che dal regime
venne perseguitato; più convinto fascista fu invece Giacomo Boni, altri invece intellettuali vennero
perseguitati, vennero allontanati dalle loro cattedre, dai loro ruoli di responsabilità, come Alessandro della
Seta, a seguito delle leggi razziali, altri intellettuali ancora, come Ranucci Bianchi Bandinelli, molto giovane,
pur essendo anti-fascista ammette lui stesso di avere svolto ob torto collo il ruolo di guida durante la visita
di Hitler a Roma nel ’38, non ebbe la forza di opporsi a questo, ma ebbe la forza e il coraggio quello stesso
anno di rifiutarsi di subentrare a della Seta, che era stato allontanato a causa delle leggi razziali, nella
prestigiosa direzione della Scuola Archeologica Italiana d’Atene. Quello del ventennio fascista è un periodo
molto difficile da giudicare in quanto ha alle scelte personali, alle posizioni e all’ideologia di molti
intellettuali e archeologi che vissero e operarono in questo periodo, un periodo molto complesso.
Trionferà la retorica nazionalista, le tendenze propagandistiche, si creerà un mito della Roma antica, questo
con lo scopo di costruire un’identità italiana e anche con lo scopo di giustificare le aspirazioni colonialiste e
la politica colonialista del regime. L’archeologia non di rado verrà usata, strumentalizzata, verrà asservita
alle necessità di tipo propagandistico, di tipo trionfalistico del regime e purtroppo, come ha messo in
evidenza anche un grande studioso come Torelli, la classe accademica che egli definisce retriva, non si
sottrasse, a parte qualche eccezione, a questo, si piegò spesso a questi toni trionfalistici e retorici e
purtroppo in quegli anni fu impermeabile alle novità che invece cominciavano a diffondersi soprattutto
nell’Europa del nord, in particolare nel mondo anglosassone, cioè quelle novità che riguardavano in
particolare le tecniche di indagine, le metodologie di ricerca stratigrafica, lo scavo stratigrafico che si stava
sviluppando soprattutto nel mondo anglosassone. Le ricerche archeologiche dal punto di vista
metodologico rimasero per molti anni ferme, non vi fu un’evoluzione, un’innovazione, anzi per certi versi si
fecero diversi passi indietro. In questo periodo fra la seconda metà degli anni Venti e in particolare gli anni
Trenta iniziarono molti lavori, soprattutto nel cuore di Roma, molti lavori di demolizione, di ricostruzione e
molte delle demolizioni videro la presenza di Mussolini, che come ci testimoniano numerose immagini
fotografiche e riprese dell’Istituto Luce, in modo decisamente propagandistico era presente sugli scavi
armato di piccone, in posa sui tetti delle case circondato spesso dagli operai. Questi interventi, queste
attività di demolizione e di scavo furono una occasione mancata per la conoscenza scientifica dei
monumenti e dei contesti archeologici di Roma, furono anche un’occasione non solo di ricerca mancata, ma
anche un’occasione mancata di sviluppo di adeguate metodologie di scavo.
Di questi anni e di questo contesto parla un libro intitolato Il piccone del regime, che prende in
considerazione tra le altre cose proprio questi aspetti della ricerca degli anni del fascismo. Per accennare ad
alcuni die più importanti cantieri che si svolsero in quegli anni, vediamo le immagini dei lavori nell’Area
Sacra di Largo Argentina, a Roma, che si verificarono negli anni ’20 del Novecento, qui un’immagine dello
stesso Mussolini che si reca a visitare gli scavi, ma senza dubbio i lavori più noti, più conosciuti e che
rimangono anche impressi nella memoria sono quelli realizzati all’inizio degli anni ’30 per la costruzione
della Via dell’Impero, lavori diretti in particolare da Corrado Ricci e Antonio Maria Colini, lavori che
portarono con un enorme attività di sterro alla demolizione e alla distruzione di un intero quartiere di
epoca medievale, per cui si scavò per raggiungere gli strati, i livelli dell’epoca imperiale o tardo
repubblicana, demolendo, asportando e distruggendo un’enorme quantità di informazioni e di dati,
riguardanti le fasi più tarde della romanità e poi le fasi pertinenti alla frequentazione medievale del centro
di Roma, dunque una perdita di dati archeologici incalcolabile e un gravissimo danno per la ricerca e per la
ricostruzione del passato di Roma. Questa Via dell’Impero doveva essere la grande via che collegava Piazza
Venezia al Colosseo e così fu. Vediamo qui un’immagine dello scavo che distrusse gran parte della Velia, che
collegava Palatino ed Esquilino. Qui un’immagine che si riferisce agli sterri nell’area del Foro di Traiano e poi
un’immagine degli anni ’40 che ci mostra la famosa Via dell’Impero, Via dei Fori imperiali, che tagliò
trasversalmente tutta la parte relativa ai fori imperiali.
Lavori, grandi sterri, demolizioni, ricostruzioni, svolte con finalità propagandistiche, in particolare
ricordiamo per l’anno 1938 la grande mostra augustea della romanità che doveva celebrare il bimillenario
della nascita di Augusto, grande mostra che si tenne al Palazzo delle esposizioni, di quell’anno è anche la
realizzazione della teca dell’Ara Pacis, i lavori per gli abbattimenti dell’area circostante il Mausoleo di
Augusto erano iniziati nel ’32, qui vedimao la teca terminata nel ’38 a opera dell’architetto Morpurgo e che
oggi è stata sostituita dallo spazio museale opera dell’architetto Richard Meier, che ha sollevato polemiche
fra gli studiosi e gli esperti del settore.
In quegli anni altri importanti scavi sterri furono quelli condotti nel sito di Ostia Antica. Marcello Barbanera,
che ha scritto molto sulla storia dell’archeologia classica e sulle tappe dell’archeologia degli Italiani, ecco
Marcello Barbanera giudica questi grandi sterri nell’area di Ostia uno dei peggiori esempi di scavo della
prima metà del Novecento, proprio perché là dove in altri paesi si stavano sviluppando e perfezionando le
metodologie relative allo scavo stratigrafico, qui invece vennero applicati i tipici metodi degli scavi
dell’archeologia coloniale e viene negata l’esistenza di una stratigrafia. Questi scavi condotti fra gli anni ’38
e ’42 vennero condotti da Guido Calza, che mise in luce la monumentale necropoli dell’Isola Sacra.
Dopo la Seconda guerra mondiale, dopo la parentesi del fascismo, la personalità più significativa
nell’ambito degli studi di archeologia e soprattutto di storia dell’arte classica e romana in particolare è
quella di Ranuccio Bianchi Bandinelli, considerato da Torelli il più geniale e attento storico dell’arte romana
dei nostri tempi, autore di numerosissimi saggi e libri che sono diventati dei manuali, libri su cui hanno
studiato e studiano ancora generazioni di archeologi. A Bianchi Bandinelli va dato il merito di aver creato
una scuola possiamo dire, perché fra i suoi allievi si registrano alcuni dei maggiori studiosi e archeologi
italiani. Vediamo qui elencate alcune delle sue più importanti opere. Con Bianchi Bandinelli viene raccolta
l’eredità di quel fermento anche culturali, scientifico, rappresentato dalla scuola id Vienna, con Bianchi
Bandinelli si supera poi definitivamente l’antitesi fra arte greca e arte romana, sono diversi gli elementi, i
soggetti e i temi che Bianchi Bandinelli prende in considerazione, uno di questi è l’approfondimento
sull’influsso determinante che l’arte ellenistica ebbe sull’arte romana. Altro aspetto che Bianchi Bandinelli
approfondì è quello del contestualizzazione dell’opera d’arte, del contesto cioè storico, politico e sociale nel
quale l’opera d’arte è collocata, l’atmosfera culturale di cui l’opera è espressione, quindi l’importanza di
come l’opera d’arte vada inserita e interpretata nel contesto culturale e della civiltà artistica del suo proprio
tempo. Altro aspetto molto significativo della sua opera è quello della individuazione di un fondamentale
bipolarismo all’interno dell’arte romana, che si manifesta e si esprime in modi diversi, un bipolarismo
strutturale, che innanzitutto si esprime, si rivela nel contrasto fra forma greca da un lato e esigenze
espressive, artistiche, di tipo nazionale, locale, con tutto quello che è un grande retaggio di manifestazioni
artistiche dei municipi e delle province, da un lato arte del centro del potere, cioè arte ed espressione della
classe dominante, dall’altro lato arte dei municipi, delle province, arte plebea. Altra polarità che viene
espressa dal punto di vista di Bianchi Bandinelli nell’arte romana è quella fra l’espressione organica,
naturalistica della forma artistica e forma astratta, una caratteristica in qualche modo irrazionale, che
emerge nella produzione periferica del mondo antico. Tanti gli aspetti affrontati da Bianchi Bandinelli nei
suoi studi, abbiamo accennato ad alcuni, ma Bianchi Bandinelli ha anche il merito di avere dato avvio, di
avere promosso dei lavori di redazione importanti, per esempio quella dei volumi dell’Enciclopedia dell’arte
antica classica e orientale, ha fondato una rivista, un periodico dal titolo Dialoghi di Archeologia.
Dopo la fine del secondo conflitto mondiale la ricerca archeologica sia stata rivoluzionata soprattutto sul
campo. Nel periodo fascista vi è stata una stasi, quasi una involuzione soprattutto nell’ambito
dell’archeologia militante, dell’archeologia condotta sul campo, sul terreno, dal punto di vista anche delle
tecniche e delle metodologie di indagine. Nella seconda metà del Novecento, invece, anche l’archeologia
italiana si caratterizza per delle importanti conquiste proprio dal punto di vista metodologico e tecnico. Fra
gli aspetti più importanti vi è quello della attenzione attribuita ala cultura materiale, lo studio quindi della
cultura materiale e dei modi di produzione. Questo ha portato a raccogliere davvero moltissime
informazioni, moltissimi dati anche sui modi di produzione, sugli scambi, sui commerci, sulle manifatture,
sull’economia del mondo antico e del mondo romano in particolare. Altra importante conquista è quella
della diffusione su ampia scala dei metodi dell’archeologia stratigrafica, l’applicazione delle regole, di una
metodologia precisa nello scavo stratigrafico, una metodologia che permette di mettere in relazione reperti
mobili, strati, i depositi stratigrafici, le strutture, el mette in correlazione e permette la corretta
determinazione cronologica di reperti e di contesti archeologici. Accanto al metodo stratigrafico ha avuto
grande sviluppo nella seconda metà del Novecento la riflessione anche teorica, e poi l’applicazione sul
campo, dei metodi della ricognizione sistematica, che rientra più in generale in quella che è definita
l’archeologia dei paesaggi, ricognizione sistematica che ha sostituito i rinvenimenti fortuiti, quelli
occasionali e si basa proprio su una precisa metodologia e su indagini programmatiche di superficie, che
permetto di raccogliere molti dati sugli insediamenti, sullo sviluppo e la cronologia degli insediamenti, sui
contesti degli insediamenti umani, sulle strategia insediative naturalmente e anche proprio sul mutamento
dei paesaggi nel corso del tempo.
Altro aspetto molto importante è quello dello sviluppo dell’archeometria, cioè dell’insieme delle discipline,
delle ricerche scientifiche e delle analisi di laboratorio applicate ai reperti archeologici e ai loro contesti.
Tutti questi contesti sono fra loro legati e caratterizzano la moderna ricerca archeologica sul terreno, ricerca
che naturalmente parte dai reperti archeologici che possono essere manufatti o anche ecofatti, cioè
manufatti di oggetti prodotti dall’uomo, che possono andare da quelli preistorici come le asce neolitiche al
vasellame fine di epoca romana, alle monete, ai reperti in osso, in metallo ecc., manufatti sono anche quelli
architettonici, cioè i reperti non mobili per lo più, poi ci sono anche gli ecofatti, cioè i reperti di carattere
naturalistico, da quelli di tipo archeo-zoologico a quelli di tipo archeo-paleobotanico.
Tappe della ricerca archeologia:
- Progetto di ricerca archeologica
- Raccolta dei dati
- Organizzazione dei dati
- Interpretazione
Tutto questo partendo dall’indagine del terreno, che si svolge in due modi fondamentali: la ricognizione di
superficie, il survey, e lo scavo archeologico.

Lezione 20

Le fonti archeologiche
In un percorso ideale le tappe della ricerca archeologica dovrebbero presentare una serie di punti, che però
non è detto debbano essere sempre presenti. È sicuramente importante partire da un progetto di ricerca,
perché fissa le ipotesi di partenza e circoscrive anche l’oggetto dell’indagine, in più prende in
considerazione i modi attraverso cui si intende procedere, tra l’altro prende anche in considerazione i mezzi
economici con cui si intende affrontare la ricerca. Si passa poi alla raccolta dei dati, fondamentale,
solitamente si può procedere con metodi non distruttivi o con metodi distruttivi, quelli non distruttivi sono
quelli più legati alla ricerca topografica, alla ricerca di superficie, quelli distruttivi sono quelli relativi allo
scavo archeologico, l’attività sul campo è fondamentale, ma in un progetto di ricerca archeologico potrebbe
anche mancare, pensiamo per esempio ai progetti di ricerca riguardo le collezioni museali.
Altro passo importante nella ricerca archeologia è l’organizzazione dei dati, che consiste nella
classificazione dei dati raccolti, dei reperti che vanno analizzati, vanno suddivisi, vanno schedati, vanno
documentati con dei metodi ben precisi e vanno infine interpretati. Il termine di questo percorso è proprio
l’interpretazione dei dati archeologici raccolti. L’ultimo step di tutto questo sviluppo della ricerca deve
essere la pubblicazione dei dati, che è fondamentale, bisogna sempre mirare alla pubblicazione, che sia
scientifica o divulgativa, ma ovviamente la ricerca ha valore nel momento in cui noi siamo in grado di
rendere pubblici i risultati della nostra indagine.
Andiamo a vedere più da vicino quelli che sono i metodi più diffusi per la raccolta dei dati, quindi lavoro sul
terreno. Partiamo con l’indagine topografica, con il cosiddetto survey, la ricognizione archeologica. Prima di
questo naturalmente lo studioso, prima di procedere alla ricerca sul campo, farà bene a raccogliere tutta
una serie di dati nel momento in cui sceglie un sito, un’area di indagine, deve raccogliere tutte le notizie, di
tipo cartografico, o di tipo documentario, fonti storiche e archivistiche, fonti anche id carattere
toponomastico… si può poi procedere ad una ricognizione di superficie, che può essere un’immagine fine a
sé stessa, autonoma, o può anche essere un’immagine di tipo propedeutico, perché è in grado di fornire
importanti informazioni sulle potenzialità archeologiche e stratigrafiche di un determinato territorio, quindi
in base alla potenzialità archeologica può orientale l’indagine attraverso lo scavo, quindi può essere
propedeutica allo scavo archeologico. L’indagine topografica ci rivela le caratteristiche dei paesaggi antichi,
ci dà indicazione per esempio sui siti presenti sul terreno, che possono essere degli insediamenti, degli
abitati, ma anche necropoli, strade, infrastrutture e via di seguito. Quelle che vengono individuate
attraverso l’indagine topografica vengono definite unità tipografiche e le ricerche tramite survey ci aiutano
a individuarne la natura, l’estensione, la datazione e quindi ci aiutano a ricostruire il paesaggio, infatti
l’indagine di superficie, la ricognizione archeologica è considerata uno strumento dell’archeologia dei
paesaggi ed è uno strumento che possiamo considerare prevalentemente non distruttivo, anche se non è
così fino in fondo.
Questo metodo di indagine del territorio, che ha una storia molto lunga, abbiamo visto che parte da molto
lontano, comincia a perfezionarsi nel corso dell’ottocento a partire dalle escursioni e dalle passeggiate di
archeologi ottocenteschi come paolo Orsi, già nell’Ottocento la ricognizione di superficie diventa un
importante strumento di indagine che spesso affianca l’indagine attraverso scavo archeologico e nel
Novecento si potenzia anche perché nel Novecento, con lo sviluppo industriale, le nuove tecniche, le
arature profonde, si intaccano e si mettono a repentaglio anche siti profondamente sepolti sotto il terreno,
quindi al ricerca sul terreno diventa particolarmente importante anche a livello di salvaguardia dei siti
archeologici.
In cosa consiste questo metodo di ricerca? Consiste nell’analisi autottica, nell’analisi diretta di una porzione
di territorio, normalmente oggi viene applicato il metodo della ricognizione estensiva, detta anche
ricognizione sistematica, che consiste, una volta individuata l’area sulla quale si vuole svolgere la ricerca,
nella suddivisione di questa area in unità che sono individuabili sulla carta. Su queste unità gli archeologi, i
ricognitori, camminano organizzati per file parallele (questo metodo si chiama anche field walking), si
cammina lungo questo terreno, distribuiti su file parallele a distanze regolari e i ricognitori osservano il
terreno e raccolgono quei manufatti e quegli elementi che ritengono significativi; si raccolgono
sostanzialmente reperti archeologici, che spesso sono stati portati in superficie attraverso le arature, ci
sono infatti stagioni in cui vale davvero la pena di percorrere i campi, ma vale la pena anche ripetere
progressivamente le ricognizioni, tornare anche in stagioni e momenti diversi, è per questo che questo
metodo è considerato non distruttivo, ma fino a un certo punto, perché si raccolgono manufatti e in questo
modo i siti si trasformano nel corso del tempo. Bisognerà registrare il tempo, il numero dei ricognitori, la
distanza mantenuta tra un ricognitore e un altro, l’intensità della ricerca, i ricognitori possono procedere
più o meno vicini, devono avere comunque la possibilità di coprire un campo visivo sufficiente a individuare
i reperti. In questo modo i ricognitori individueranno dei siti archeologici, che nell’ambito della ricognizione
vengono considerati tali nel momento in cui c’è una concentrazione di rinvenimenti archeologici. Laddove
la concentrazione è maggiore si parlerà di siti e laddove invece la concentrazione è minore si parlerà di
extra sito, cioè di una sorta di distribuzione di reperti meno concentrata che costituisce quasi una sorta di
rumore di fondo rispetto ai cosiddetti siti.
Nel momento in cui i ricognitori pensano di aver individuato un sito, cioè una particolare concentrazione di
materiali o anche delle evidenze archeologiche monumentali, come è capitato all’équipe dell’Università di
Trento, che per anni ha fatto ricognizione nel territorio dell’antica Duca (?), ha individuato siti che sono
anche siti caratterizzati da evidenze monumentali, più o meno visibili in superficie. Una volta che si
individuano i cosiddetti siti, ci si ferma, si osservano i reperti raccolti, si compilano delle apposite schede per
registrate quanto si è osservato e quanto si è raccolto e possibilmente poi si documenta il sito attraverso
diversi strumenti, eprchè poi questi siti vanno registrati e inseriti in carte archeologiche, si può procedere
con la stazione totale per il rilievo che può essere semplicemente il rilievo dei limiti dell’area di
concentrazione dei siti, oppure il rilievo vero e proprio di eventuali strutture individuate. Altro strumento,
molto utile, è il GPS. Queste informazioni andranno poi a costituire la base per la costruzione di carte
archeologiche.
Molto utili nell’ambito della ricerca di superficie e soprattutto metodi considerati non distruttivi, quel tipo
di indagini definite indagini geognostiche infrasito, per questo tipo di ricerca, molto utili sono le
strumentazioni pertinenti all’ambito della geofisica, che possono aiutare ad approfondire la raccolta dei
dati, approfondire le conoscenze anche sulla eventuale esistenza di strutture, di elementi non visibili in
superficie. Fra i metodi più utilizzati in questo campo vi sono quelli che vengono normalmente impiegati in
ambito geofisico per l’individuazione di strutture sepolte, sono strumenti che poi tra l’altro possono essere
naturalmente propedeutici anche a uno scavo archeologico e sono soprattutto quelli relativi alla
magnetometria, è molto usato in archeologia il magnetometro, che è in grado di localizzare dei corpi sepolti
sia dotati di magnetizzazione, cioè metalli, ma anche reperti di terracotta, per esempio fornaci, muri di
laterizi, quindi quantità di terracotta perché i minerali che costituiscono l’argilla, quando sottoposti ad alte
temperature si magnetizzano. Quindi il magnetometro è molto usato nell’ambito di queste ricerche
infrasito. Altri strumenti usati sono il resistivimetro e il georadar, che si basa sull’elettromagnetismo. Tutte
queste strumentazioni si basano sulla misurazione di determinate proprietà fisiche del sottosuolo. La
resistività invece si basa sulla registrazione delle differenze nella capacità di condurre corrente elettrica da
parte del sottosuolo. La presenza di discontinuità e anomalie segnala l’esistenza nel sottosuolo di elementi,
che si possono poi ulteriormente indagare attraverso l’analisi distruttiva, cioè attraverso lo scavo
archeologico. Altri importanti strumenti e metodi di analisi dei siti, della superficie nella quale possono
eventualmente essere individuati siti e strutture archeologiche, altri metodi sono quello della fotografia
aerea, usato da molto tempo e si basa sostanzialmente sull’osservazione delle variazioni di colore della
vegetazione, che soprattutto in pianura danno dei buoni risultati, in Francia questo metodo è stato usato
molto diffusamente, si basa sulla osservazione della variazione del colore della vegetazione, che
naturalmente cresce più rigogliosa, quindi più scura, laddove c’è molta umidità, mentre cresce più rada
dove invece l’umidità è scarsa perché per esempio al di sotto ci sono strutture murarie.
Un passo avanti si è fatto con le tecniche del telerilevamento, sono tecniche che registrano l’emissione
spontanea di radiazione elettromagnetiche da corpi remoti, eprchè queste documentazioni si fanno da
piattaforme terrestri o aeree, in particolare registrano le radiazioni elettromagnetiche che dipendono dalla
temperatura die corpi analizzati, molto usata è la termografia, che fa uso di termocamere, che acquisiscono
immagini all’infrarosso. Questi sono i principali strumenti di cui l’archeologia si avvale per l’indagine
topografica, che può essere un’indagine autonoma, oppure può essere un’indagine preventiva e
propedeutica allo scavo archeologico, che è un tipo di indagine distruttiva, perché ovviamente i contesti che
vengono scavati, una volta scavati non si possono ricostruire e proprio per questo è fondamentale
procedere negli scavi con una metodologia assolutamente rigorosa e precisa. È fondamentale nel momento
in cui si individua il sito da scavare e si procede con lo scavo, è fondamentale individuare decidere la
strategia con la quale si andrà a operare e poi la procedura. Le strategie di scavo sono diverse, soprattutto
nel passato sono state utilizzate, ma anche oggi negli scavi di emergenza, sono stati utilizzati i metodi per
esempio per trincee (vediamo qui alcuni esempi), c’è poi lo scavo attraverso saggio isolato, utile nel
momento in cui si vogliano raccogliere rapidamente dei dati archeologici, possono poi essere propedeutici
a uno scavo di maggiori dimensioni, lo scavo per saggi viene usato spesso nell’archeologia preventiva o
negli scavi di emergenza, soprattutto a livello urbano, laddove evidentemente non si può procedere a scavi
su ampie aree. La moltiplicazione dei saggi di scavo porta allo scavo per quadrati, quello usato da Mortimer
Wheeler al Maiden Castle, un tipo di scavo usato ancora oggi, anche se non p consigliabile, eprchè necessita
il risparmio di terra fra saggio e saggio, che per qualcuno garantiscono la registrazione progressiva in
sezione, eprchè ci sono saggi sulle cui preti si leggono le sezioni, per alcuni garantiscono la possibilità di
leggere progressivamente le sezioni e quindi di avere un maggiore dettaglio di quanto via via viene
asportato, tuttavia è uno scavo piuttosto complicato, i diversi archeologi che scavano nei diversi saggi si
trovano ad avere situazioni diverse e poi queste situazioni diverse vanno ricomposte a tavolino, insomma è
un tipo di scavo piuttosto complicato.
La strategia più consigliabile quando possibile, questo si può fare negli scavi di ricerca, cioè non negli scavi
di emergenza, come ad esempio lo scavo di ricerca dell’Università statale di Milano, nel sito di
Bedriacum/Calvatone, dove si ha la possibilità di procedere con una metodologia che è quello dello scavo
stratigrafico e con una strategia che prevede lo scavo per grandi aree, che consente id raccoglier ei dati,
certo necessita anche di tempo, di avere una possibilità di programmare uno scavo su un tempo ampio,
perché naturalmente richiede una quantità non solo di mano d’opera, ma anche di tempo per permettere
di asportare via via gli strati dal più superficiale a quello meno superficiale, per esaurire progressivamente il
deposito archeologico.
Dal punto di vista della procedura non c’è molto da dire, lo scavo è arbitrario o archeologico, cioè
stratigrafico. Ricordiamo i grandi sterri nell’area dei Fori Imperiali, che hanno sventrato il centro di Roma,
scavi con sterri si sono purtroppo perpetuati nel tempo in molti siti, specialmente in Italia, prima che si
fondesse su larga scala il metodo dello scavo stratigrafico. Ci sono degli scavi che apparentemente sono
stratigrafici ma in realtà non lo sono, sono gli scavi cosiddetti per “plana”, cioè per tagli predeterminati, un
tipo di scavo molto usato ancora in Germania, ma è paragonabile allo scavo arbitrario, eprchè nel momento
in cui si asporta il terreno per tagli predeterminati e non si segue la stratificazione del terreno si perdono
tutte le caratteristiche e i rapporti stratigrafici veri e propri tra, appunto, le unità stratigrafiche.
L’unica metodologia di scavo che può essere considerata archeologica è quella dello scavo stratigrafico, e
come hanno sottolineato Mannoni e Giannichetta, lo scavo o è stratigrafico o non è archeologico.
Dobbiamo molto agli inglesi in questo campo, eprchè il concetto di stratigrafia fu perfezionata nella prima
metà del Novecento grazie alle attività sul campo di Mortimer Wheeler e Kathleen Kenyon e dalla seconda
metà del Novecento questo metodo si è diffuso su larga scala anche in Italia e viene regolarmente
impiegato negli scavi archeologici.

Il concetto di stratigrafia deriva all’archeologia dalle scienze geologiche, che si svilupparono in particolare in
Gran Bretagna nel XIX secolo e soprattutto nell’ambito della paletnologia, un po’ più tardi nell’ambito
dell’archeologia classica. Come i geologi datavano gli strati geologici attraverso i fossili, così gli archeologi
pensarono di poter usare i reperti archeologici per poter datare gli strati archeologici. La stratigraficazione
archeologica, al successione stratigrafica, si forma attraverso l’apporto antropico ma anche naturale e si
forma per cicli per periodi di maggiore o minore attività e di pausa e questa attività lascia una traccia nel
terreno che è costituita dagli strati e dalle loro interfacce, cioè gli strati rappresentano i momenti più o
meno lunghi di attività, le loro interfacce rappresentano i momenti di pausa. Naturalmente ci può essere
anche una interazione, anzi, normalmente c’è una interazione l’azione antropica, cioè le attività umane, e i
processi naturali. Questi cicli di attività e pausa lasciano sul terreno la traccia attraverso gli strati elee loro
interfacce. Cosa intendiamo dunque noi per strati? Sono una qualsiasi entità omogenea di materiale che
deriva da un processo genetico unitario. Ma quali sono le caratteristiche degli strati archeologici? Lo
vediamo qui schematicamente: hanno una superficie, un’interfaccia, un contorno, un rilievo, perché lo
strato ha anche un suo spessore e una sua forma, ha un suo volume, poi ha una posizione stratigrafica, cioè
la posizione dello strato nell’ambito del contesto, della successione stratigrafica, dunque è importante
anche il rapporto tra uno strato e gli altri. Lo strato ha una posizione topografica, cioè una sua reale
posizione all’interno del terreno, poi una posizione stratigrafica, cioè una posizione che è in rapporto alle
altre unità stratigrafiche. Lo strato ha poi una sua cronologia. Come otteniamo la cronologia? Lo strato ha
una cronologia relativa che dipende dalla sua relazione rispetto agli altri strati, può essere anteriore o
posteriore, ma lo strato avrà anche una cronologia assoluta, che si ricava in primis dai reperti contenuti
dallo strato, in particolare il reperto che data lo strato è il più recente in esso contenuto e che non sia un
reperto intruso o un reperto residuale. Questa è una regola da tenere ben presente, accenniamo al
concetto di terminus post quem, cioè il reperto più recente rinvenuto in uno strato rappresenta per la
datazione di quello strato il terminus post quem. Poniamo di trovare in uno strato una moneta del 200 d.C.,
è evidente che quello strato si è formato dopo il 200 d.C., non può essersi formato prima di quella data.
Oltre agli strati, nella successione stratigrafica noi troviamo anche quelle che vengono definite strati e
superfici in sé, cioè troviamo sia strati che indicano presenza di materiale, sia superfici in sé, che invece
rappresentano l’assenza di materiale. Le superfici in sé sono sostanzialmente delle lacune, indicano assenza
di materiale, possono essere delle fosse, possono essere delle buche, possono essere determinate da azioni
di espoliazione, le superfici in sé vanno però documentate e trattate alla pari di quelle entità omogenee che
rappresentano una presenza di materiali, dunque gli strati e le cosiddette superfici in sé, sono tutte unità
stratigrafiche, noi le definiamo così. Possono essere positive o negative, cioè quando indicano presenza id
materiale sono unità stratigrafiche positive, quando denotano assenza di materiali sono unità stratigrafiche
negative, poi possono essere orizzontali, verticali ecc.
Lo scavo stratigrafico consiste nel rimuovere progressivamente il deposito archeologico seguendo però una
regola ben precisa, cioè bisogna farlo nell’ordine inverso rispetto a quello in cui le unità stratigrafiche si
sono formate, quindi non è esattamente corretto dire che ciò che sta più in alto è più recente e ciò che sta
più in basso è più antico, perché non è detto che può essere così. Scavare correttamente significa
rimuovere, asportare per prima l’unità stratigrafica che non è coperta da altre US, questo significa che
bisogna essere molto attenti e avere anche una certa esperienza nel campo, eprchè bisogna individuare il
cosiddetto piano di distinguibilità, cioè l’interfaccia tra uno strato e un altro. Mentre a volte gli strati hanno
un passaggio abrupto, cioè un passaggio netto da uno all’altro, bisogna sempre osservare il colore, la
composizione e la consistenza degli strati e sulla base di questo capire quando termina uno strato e quando
ne inizia un altro, ma a volte non è così semplice perché il passaggio da uno strato e un altro può essere
sfumato, allora lì l’esperienza dell’archeologo è fondamentale, l’archeologo deve osservare bene lo strato e
riconoscerne le caratteristiche, il colore, la composizione e la consistenza. La composizione è
importantissima, nello strato noi distinguiamo tendenzialmente tra una matrice, che può essere sabbiosa,
terrosa o limosa, poi lo scheletro, cioè gli inclusi dello strato, che possono esser ei più diversi, bisogna
osservarli bene, osservarne la disposizione, osservarne la natura ecc. e sulla base di tutte queste
osservazioni si possono distinguere i diversi strati, quindi capire anche come scavarli, in che ordine, in che
successione scavarli. Le relazioni fra le unità stratigrafiche sono infatti molto diverse, la relazione più
semplice è quella di copertura, cioè una us può coprire o essere coperta da un’altra us, vi è poi quella di
taglio, qui parliamo di us negative, che possono tagliare o un us può essere tagliato da un us negativa, poi ci
sono le relazioni di appoggio, spesso queste le riscontriamo negli alzati, nelle strutture murarie. Poi ci sono
anche i rapporti di contemporaneità.
Tutti questi rapporti, al termine dello scavo di tutto il deposito stratigrafico, noi potremo procedere alla
realizzazione di un diagramma stratigrafico, il cosiddetto matrix. Il diagramma stratigrafico serve
sostanzialmente a visualizzare in una forma bidimensionale la complessità tridimensionale del deposito
stratigrafico, è in poche parola la rappresentazione globale, sintetica e sistematica id tutto lo scavo e che
serve da base un po’ a tutte le ricerche e in particolare alla periodizzazione del deposito stratigrafico.
Abbiamo parlato di unità stratigrafiche, abbiamo parlato dell’importanza di distinguere le diverse unità
stratigrafiche e di registrarle, eprchè le unità stratigrafiche vanno riconosciute, ognuna deve avere la
propria identità, viene quindi numerata e poi per ogni us bisogna realizzare una scheda. Il ministero ha
provveduto a pubblicare delle schede di us che vengono normalmente utilizzate sullo scavo, bisogna
riempire i vari settori che corrispondono alle diverse caratteristiche delle us scavate, quindi si richiede di
descrivere le us e di esplicitare i rapporti stratigrafici fra l’us scavata e le us con cui essa aveva relazione. È
molto importante sullo scavo al documentazione fotografica e grafica, quella fotografica è la più semplice,
la più immediata, la realizziamo con un semplice apparecchio fotografico, normalmente con lavagnetta,
freccia del nord, ma possibilmente procediamo anche ad una documentazione fotogrammetrica, più
precisa, oggi abbiamo a disposizione molti sistemi. Qui vediamo una ripresa fotografica da pallone,
realizzata con doppia camera per avere la possibilità di realizzare immagini tridimensionali. La fotografia da
drone è ormai molto usata. Ma ancora la documentazione grafica sul campo, quindi il rilievo con i sistemi
tradizionali, sia molto importante (rilievo a mano). Anche la documentazione grafica fatta a mano sul posto
va integrata, quando possibile, con i metodi più attuali, più tecnologicamente avanzati, come il
laserscanner, soprattutto per le strutture architettoniche.

I reperti archeologici
Veniamo ai reperti mobili, che rappresentano ciò che rimane della produzione dell’uso di un oggetto . I
reperti sono l’elemento chiave della ricerca archeologica, ci forniscono le informazioni più svariate su
materiali, produzioni, contesti, tecniche, poi ci forniscono anche la datazione, oltre che le informazioni sulla
natura e sulla funzione dei contesti archeologici, quindi è fondamentale registrare con precisione la
provenienza del reperto archeologico, perché è indispensabile avere esatta cognizione del rapporto tea il
reperto mobile e il suo contesto di provenienza. I reperti vengono recuperati su uno scavo in vario modo, si
possono usare bisturi e pennellino, lo strumento maggiormente in uso è la cazzuola inglese a manico fuso,
ma non di rado si utilizzano piccone e pala, è importante sempre setacciare il terreno e magari, almeno per
campionatura, usare il bidone della flottazione o il setaccio ad acqua per raccogliere i reperti più piccoli, per
esempio nel sito di Sant’Andrea di Loppio, sono stati raccolti migliaia di ecofatti, reperti di tipo
archeobotanico proprio grazie al setaccio ad acqua, a maglie sottili, che ha permesso anche id raccogliere
per esempio ossi di pesce, di micromammiferi, insomma, anche i reperti faunistici di dimensioni molto
piccole.
Vediamo da questa immagine quanto è importante il reperto per la datazione degli strati e die contesti di
provenienza, perché più un reperto ha una vita breve, cioè è stato usato per poco tempo, più il suo
significato cronologico è importante diventa un reperto che è stato prodotto e utilizzato in un breve lasso di
tempo, può allora diventare un fossile guida, che può datare in modo molto preciso gli strati, eprchè strati e
contesti hanno reperti specifici, vediamo qui per esempio vasi a bocca quadrata che non potremo trovare in
un contesto archeologico romano, a meno che non siano frammenti residuali, eprchè provengono da un
contesto di età precedente rispetto a quello in cui sono stati trovati, mentre in basso vediamo una tipica
ceramica di epoca id prima età imperiale romana. Vicino abbiamo il cartellino, perché va sempre inserito
nel sacchetto dei reperti sullo scavo, perché è sostanzialmente la carta di identità del reperto. Il reperto
senza cartellino, di cui non si conosce la provenienza esatta, è un reperto che perde quasi completamente il
suo valore documentario. È ancora importantissimo procedere alla documentazione grafica die reperti, che
vanno poi documentati. La gran parte del lavoro dell’archeologo si svolge in laboratorio con la
documentazione grafica dei reperti, soprattutto reperti ceramici, perché sono i reperti più diffusi, più
frequenti nei siti archeologici, soprattutto negli insediamenti umani e sono anche quelli che ci forniscono le
maggiori indicazioni dal punto di vista dell’uso della funzione, della destinazione d’uso e della natura dei
contesti, ma anche le maggiori informazioni dal punto di vista cronologico. La ceramica, soprattutto certe
classi ceramiche, sono in grado di fornirci indicazioni cronologiche molto precise, più precise delle monete,
che sono in realtà un tipo di reperto che dal punto di vista della cronologia vanno prese un po’ con cautela.
Le monete nell’antichità potevano avere una circolazione che durava per secoli, a volte venivano tolte e poi
rimesse in uso, dunque bisogna fare molto attenzione.
Il ministero ha predisposto anche delle schede per il catalogo dei reperti archeologici, le cosiddette schede
ra, per raccogliere tutte le informazioni riguardo i reperti. Vediamo qui le principali classi ceramiche che
possiamo rinvenire in uno scavo di epoca romana, a partire quelle considerate le ceramiche fini da mensa, a
quelle di uso comune per arrivare alle anfore e alle lucerne. Queste classi di reperti vengono suddivise in
tipi, sottotipi, varianti ecc., tra le più antiche della ceramica fine vi è la ceramica a vernice nera, un tipo di
ceramica costituita da argilla cotta in atmosfera riducente, per questo diventa nera. È un tipo di ceramica
già presente in ambito greco nel V – IV secolo a.C., nel IV secolo viene prodotta anche in Italia, si diffonde in
tutto il mediterraneo fino al I secolo a.C., quando viene progressivamente sostituita dalla cosiddetta terra
sigillata, un tipo di ceramica caratterizzato dalla cosiddetta vernice id colore rosso, all’inizio un bel rosso
corallo, è una classe di vasellame nuova, originariamente prodotta in area centro-italica, Arezzo è il
maggiore centro di produzione, una vernice rossa, brillante, corallina, la superficie è caratterizzata da
decorazioni a rilievo spesso, si ritiene che il termine “terra sigillata” derivi da sigillum nel senso di rilievo, il
rilievo della decorazione, secondo altri invece deriva dai marchi di fabbrica spesso impressi sul fondo di
questi vasi. La produzione aretina si colloca tra il I a.C. e il I d.C., poi si sviluppa una produzione di area
padana, nel frattempo sorgono nuove fabbriche di terra sigillata, anche nelle province d’oltralpe, in
particolare in ambito gallico, la terra sigillata gallica avrà grande sviluppo, poi a partire dal II secolo d.C.
l’Africa, la ceramica africana, che si caratterizza per un colore più aranciato e anche per forme particolari e
soprattutto senza le decorazioni complesse che caratterizzavano invece la terra sigillata italica e gallica, e
fabbriche nord africane che avranno un lunghissimo sviluppo perché queste produzioni termineranno
soltanto nel VII secolo a.C.
Altra ceramica fine importante è quella cosiddetta “a pareti sottili”, un termine convenzionale perché
effettivamente, soprattutto le prime produzione, presentano pareti sottili, a volte a guscio d’uovo; questa
produzione di contenitori soprattutto potori, cioè per il bere, o comunque destinati a contenere liquidi,
inizia verso la seconda metà del II secolo a.C., perdura nella prima età imperiale con produzioni che si fanno
più pesanti e grossolane fra il II e il III secolo a.C., è caratterizzata da una decorazione che si definisce alla
barbottine, che consiste in finissima argilla polverizzata mescolata ad acqua.
Vediamo qui invece la classe della ceramica invetriata, cioè ceramica caratterizzata da un’invetriatura, cioè
da un rivestimento che imita il vasellame metallico, un rivestimento impermeabilizzate, a base silicea, cioè
a base di quarzo, ma a cui si aggiungono altri fondenti. In epoca romana questo è un tipo di ceramica che
avrà successo anche in epoca medievale, in epoca romana solitamente si usa l’ossido di piombo, quindi è
una vetrina di tipo piombifero, che alla base un aspetto vetroso e di qui la denominazione. Inizia già nel I
secolo d.C., ma ha successo soprattutto in epoca tardo-romana.
Vi è poi la ceramica comune, che distinguiamo in ceramica comune da fuoco, quella più grezza, quella
depurata usata più per la mena e la dispensa, poi vediamo anche la classe delle anfore, che sono dei
contenitori da trasporto per derrate alimentari prevalentemente, destinate al trasporto trans-marino
soprattutto, anfore che in ambito italico si sviluppano già nel IV – III secolo con l’anfora greco-italica,
seguita poi dalla prima vera e propria anfora romana, che è la Dressel 1. Usiamo questa terminologia
perché vediamo qui a sx la tavola di Dressel, studioso tedesco che alla fine dell’Ottocento corredò il suo
studio dei bolli anforici nel Corpus incriptionum latinarum, la corredò con questa tavola che è rimasta alla
base della classificazione delle anfore romane.
Concludiamo con una tavola delle lucerne, questi strumenti da illuminazione, che cambiano molto foggia e
tipologia nel corso dell’età romana, a partire dall’età repubblicana fino alla tarda età imperiale, la cui foggia
ovviamente cambiando ci dà indicazioni molto precise in termini cronologici. Tutti questi studi sulle
ceramiche sono resi possibili dall’esistenza oggi di repertori tipologici sempre più precisi e dettagliati, che si
aggiornano continuamente e allo studio sulla ceramica vanno aggiunti anche gli studi di tipo archeometrico,
in particolare le analisi su sezione sottile a microscopio elettronico, che ci consentono di individuare le varie
componenti dei minerali presenti nelle argille dei prodotti in terracotta e che ci aiutano a determinare non
solo il luogo di provenienza dei manufatti, ma anche le tecniche di fabbricazione.
Lezione 21

Roma: il centro del potere


Il Foro Romano
Il Foro Romano si trova nella valle compresa fra il Campidoglio e il Palatino, la Velia, che è sostanzialmente
un’altura che collegava il Palatino con l’Esquilino, o meglio con l’Oppio, una propaggine dell’Esquilino.
Secondo le fonti antiche, quest’area, dove si sviluppò il Foro Romano, era originariamente un’area paludosa
e inospitale, ma oggi è un grande museo all’aperto ricchissimo di testimonianze e di monumenti. Vediamo
in fondo il Colosseo, a sx dell’img. Si trova l’area dei fori imperiali e sulla dx le testimonianze relative al
Palatino.
Quest’area in epoca arcaica non si presentava certo così, non doveva essere molto ospitale, le fonti ci fanno
sapere che era un’area paludosa, infatti tra il X – IX secolo a.C. e l’VIII – VII secolo a.C. fu utilizzata
soprattutto a scopo cimiteriale, era una necropoli che a partire dal VII secolo fu riservata soprattutto alla
sepoltura dei bambini, il che significa che a partire da quell’epoca piano piano l’abitato che prima occupava
le parti alte e le pendici soprattutto del Palatino e in particolare anche del Campidoglio, area sacra per
eccellenza, l’abitato comincia ad usare anche la valle, poi dal VII secolo la necropoli si sposterà
sull’Esquilino. Infatti, a partire dalla fine del VII secolo, le fonti attribuiscono a Tarquinio Prisco un’opera di
bonifica, volta a drenare il fondo paludoso della valle, in particolare a Tarquinio Prisco si attribuisce la
costruzione di una rete fognaria, ancora oggi è funzionante la più grande fognatura di Roma, la Cloaca
Maxima, realizzata fra la fine del VII e l’inizio del VI secolo, quando cioè viene bonificata l’area e la zona
della valle del foro diventa una zona abitabile. Da quel momento l’area si trasforma e cominciano ad essere
costruiti i primi edifici. È in questo periodo che già prende forma il Foro Romano, che già in questa fase
comincia a prendere la sua connotazione con una sostanziale suddivisione in due parti, più a nord l’area
politico istituzionale e più a sud l’area commerciale che aveva funzione di mercato. Noteremo anche, da
questa immagine, come il Foro Romano abbia una struttura molto irregolare dal punto di vista urbanistico,
cioè non è connotato da quella regolarità che per esempio caratterizza altri complessi forensi nelle colonie.
Evidentemente non è l’esito di un progetto unitario, tuttavia costituirà il modello di riferimento per altre
città, per altre colonie, soprattutto per gli edifici che ospita, edifici di carattere pubblico e politico, come la
Curia, le basiliche, edifici di carattere sacro-religioso, come i tempi, di carattere commerciale, monumento
onorari ecc. Il Foro Romano, fino all’età augustea, fu anche sede degli spettacoli gladiatori , doveva avere
una struttura in legno provvisoria per questo genere di manifestazioni, poi con l’età augustea questi
spettacoli furono spostati dal foro a una struttura situata nel Campo Marzio. Dunque, un’area centrale,
significativa per la vita di Roma fin dall’età arcaica, in particolare a partire dal Vi secolo, il foro era il centro
politico di Roma e infatti qui ricordiamo che era situato il Comitium, che originariamente altro non era che
un templum, cioè uno spazio consacrato, una superficie aperta consacrata dagli auguri, orientata secondo i
punti cardinali. Il Comitium, a forma circolare, verso sud culminava con i Rostra, che erano una sorta di
tribuna da cui i magistrati tenevano le orazioni, il Comitium era il luogo delle adunanze popolari. I Rostra
erano chiamati in questo modo perché questa struttura era stata decorata con le prue delle navi
conquistate da parte dei Romani, strappate ai nemici Volsci e Latini, durante la battaglia di Anzio (non Azio),
avvenuta nel 338 a.C. Poi il Comizio, nell’età di Cesare e poi di Augusto, fu sostanzialmente cancellato con la
nuova strutturazione dell’area da parte di Cesare e la realizzazione verso nord del foro di Cesare.
In prossimità del Comizio si trovava un’area quadrata definita Lapis Niger, lo sappiamo da un passo dello
scrittore Festo, area chiamata così perché era pavimentata con pietra nera, circondata da una sorta di
balaustra, da lastre di marmo bianco infisse verticalmente nel terreno, quindi un’area distinta rispetto al
resto della pavimentazione del foro, che risale alla fine del VII inizio VI secolo, quando fu bonificata l’area.
Questa zona del Lapis Niger si distingueva dalla parte restante della pavimentazione e secondo gli autori
antichi, lo sappiamo anche da Dionigi di Alicarnasso, era legata a delle credenze superstiziose, era
considerato un luogo funesto, dove probabilmente aveva trovato la morte lo stesso Romolo o comunque
qualche personaggio legato alla storia più antica di Roma. Nella ricostruzione che possiamo trarre da questa
fonte, Dionigi di Alicarnasso, vi si trovava proprio la tomba di Romolo. Sotto a quest’area Giacomo Boni, a
fine Ottocento, rinvenne un piccolo santuario costituito da un altare a forma di U e una base per una
colonna o una statua più probabilmente, e un cippo con un’iscrizione arcaica, un’iscrizione che doveva
contenere una formula di maledizione nei confronti di chi avesse violato il sito. Sito sacro, che secondo
alcuni autori potrebbe essere identificato con la Volcana, cioè il santuario dedicato a Vulcano, presso cui
avrebbe trovato la morte il primo re di Roma.
Ma anche altri monumenti si trovavano in prossimità del comizio, in particolare la Curia. Il comizio doveva
culminare verso nord con la Curia, il luogo di unione del senato, al più alta magistratura di Roma con potere
legislativo. Proprio la curia, che originariamente era chiamata Curia Ostilia, perché la sua costruzione era
attribuita al re Tullio Ostilio; questa importante struttura a un certo punto prese fuoco, fu distrutta da un
incendio in età tardo-repubblicana e venne ricostruita da Cesare, d’altra parte faceva parte del suo nuovo
piano di ristrutturazione di tutta questa nuova parte del foro. Fu ricostruita nella sede attuale, ma venne
inaugurata soltanto più tardi, da Ottaviano, nel 29 a.C., poi subì varie trasformazioni nel corso del tempo e
ci è giunta nella sua forma più tarda, molto ben conservata, perché nel VII secolo fu trasformata in chiesa,
la Chiesa di Sant’Adriano al Foro; è una delle strutture del foro in migliore stato di conservazione. Venne tra
l’altro ulteriormente ristrutturata nel Seicento e poi negli anni ’20 del Novecento la si riportò al suo stato
architettonico di età tardo-antica.
Un altro monumento importante che si trovava in prossimità dei Rostri era la cosiddetta colonna rostrata o
colonna di Gaio Duilio, una colonna voluta nel 260 a.C. Non ne resta quasi nulle e venne anche spostata in
età tardo repubblicana, quando vennero spostati anche i rostri, una colonna commemorativa realizzata nel
260 a.C. con le ancore e i rostri prelevati dalle navi cartaginesi, perché questa colonna commemorava la
battaglia di Milazzo, un’importante battaglia combattuta durante la prima guerra punica. Vediamo dunque
che ben presto l’area del Foro romano si arricchì non soltanto di edifici di carattere funzionale, politico,
amministrativo, religioso anche, con funzioni forensi, commerciali ecc., ma anche proprio di monumenti
onorari e commemorativi, come questo.
Ricordiamo che nello spazio aperto del Foro si trovava anche il Lacus Curtius, che era una zona recintata,
dove Boni rinvenne la base di un pozzo e due incassi, probabilmente destinati ad ospitare degli altari, e
questo monumento secondo la leggenda rappresentava il punto dove una voragine si aprì per inghiottire
Metius Curtius, che era il condottiero dei Sabini, quindi per commemorare questo momento di vittoria sui
nemici, fu realizzato questo monumento. Questo secondo la tradizione, secondo Livio invece questa
struttura altro non sarebbe che un recinto nel quale si trovava il punto dove sarebbe caduto un fulmine,
sempre un segno divino, considerato di grande importanza, e il Lacus Curtius prenderebbe semplicemente
il nome dal console che nel 445 a.C. avrebbe strutturato e delimitato l’area dove era caduto il fulmine.
Nel momento in cui vediamo che il Foro romano ospita delle strutture che hanno un grande valore dal
punto di vista sacro, commemorativo e religioso, è importante ricordare come sul lato opposto rispetto alla
zona del comizio si trovasse un altro monumento molto importante, cioè la Regia, che è un edificio dalla
forma piuttosto irregolare, che si riteneva essere la residenza del re Numa Pompilio. Questa residenza è
importante perché Numa Pompilio era il re che aveva dato luogo ad una forma di tipo politico e religioso e
aveva gettato i fondamenti della religione romana, quindi un luogo di grande importante dal punto di vista
cultuale, un luogo dove evidentemente si svolgevano culti importanti, questa Regia a un certo punto fu
anche distrutta dal fuoco, ricostruita alla fine del Vi secolo, ma venne anche mantenuta e ristrutturata nel
corso del tempo, durante tutta l’età imperiale, aveva dunque una forte connotazione religiosa e qui
dovevano svolgersi le funzioni del rex sacrorum e del pontifex maximus che aveva poi la sua abitazione
nella domus pubblica. Questa parte della Regia dovrebbe costituire il settore della originaria abitazione del
re. In prossimità della Regia iv era un’ulteriore area sacra molto importante e molto antica, quella dedicata
a Vesta ed era composta dal tempio di Vesta e dalla casa delle Vestali. Le Vestali sono un collegio
sacerdotale, l’unico collegio sacerdotale femminile di Roma. Il tempio di Vesta, che doveva essere presente
nel Foro fin dal IV secolo a.C., era un tempio di forma circolare, si elevava su un alto podio, andò soggetto a
molte ristrutturazioni e rifacimenti nel corso dell’età imperiale, l’aspetto in cui lo vediamo oggi corrisponde
alla fine del II secolo d.C., cioè alla fase severiana, che comunque nel corso del tempo (l’aspetto) non
dovette cambiare molto. Era un tempio circolare su alto podio e su questo podio si elevavano venti colonne
scanalate di tipo corinzio che circondavano la cella, cella che non conteneva la statua cultuale, si ritiene che
la statua di vesta si trovasse in un’edicola in prossimità della casa delle vestali. Il tempio di Vesta e la cada
delle Vestali costituivano un complesso unitario e si ritiene che nel podio del tempio di Vesta si trovasse il
cosiddetto Paenus Vestae, che era costituito da una serie di oggetti di grande valore simbolico, cultuale e
religioso, che erano gli oggetti portati da Enea, fuggito da Troia. Fra questi, in particolare, si trovava il
Palladium, che era un arcaico simulacro di Minerva. Dunque, luogo simbolo, luogo di grande valore dal
punto di vista cultuale e religioso, un luogo che faceva parte integrante di un complesso unitario chiamato
Atrium Vestae, composto appunto dal tempio di Vesta e dalla casa delle vestali. In origine non era altro che
un’area scoperta, all’aperto, presente fin dal II secolo a.C. e occupava l’area compresa fra la regia, la Domus
Publica, sede del pontifex maximus, e le pendici del Palatino. Poi Augusto nel 12 a.C. donò alle Vestali
proprio la Domus Publica. Questo insieme venne ristrutturato più volte, anche soprattutto in seguito
all’incendio neroniano del 64 d.C., il complesso venne ristrutturato e assunse una nuova articolazione
planimetrica, in particolare noi ne conosciamo l’aspetto più recente, un’importante ristrutturazione risale
alla fine del II secolo a.C. e fu voluta da Iulia Domna. La casa delle vestali presentava un ampio cortile
centrale, con all’interno una serie di tre bacini situati in asse e circondato da un peristilio. Nella zona
orientale si trovava un grande ambiente, impropriamente definito tablino, ed era affiancato da sei stanze,
che si ritiene siano da mettere in relazione con il numero delle vestali, che erano infatti sei. Il complesso
oggi non è perfettamente conservato, infatti non rimane molto delle strutture, ma è molto ben leggibile
nella sua planimetria, nella sua articolazione, il portico era ornato da una serie di statue delle vestali che in
parte sono state ricollocate, nell’area meridionale, che poi è quella conservata meglio, del complesso si
trovavano una serie di edifici di carattere funzionale affacciati su un corridoio. La struttura probabilmente
era a più piani, doveva avere almeno due piani.
Vediamo chela zona del Foro Romano, fin dall’età più antica, aveva una connotazione non solo politica,
importante dal punto di vista anche religioso e vedremo quali sono i più significativi e antichi templi
presenti nell’area.
Abbiamo visto come a partire soprattutto dai primi anni dell’età repubblicana il foro si sia progressivamente
arricchito di strutture e monumenti di grande importanza da vari punti di vista. Il Foro era il punto di
riferimento della comunità e proprio per questo ricordiamo che nel Foro vennero affisse anche le leggi delle
dodici tavole, cioè quel corpus di leggi scritte a metà del V secolo circa, che per un lungo periodo costituì la
base del diritto romano. Il Foro era anche un punto di riferimento anche dal punto di vista cultuale e
religioso, proprio per questo all’inizio del V secolo a.C. qui trovano posto due importanti santuari, dedicati
uno a saturno e l’altro ai Castori.
In questa immagine possiamo vedere l’articolazione planimetrica e la posizione dei due templi, li vediamo
ai lati della Basilica Sempronia, poi Basilica Giulia, che è posteriore. La realizzazione di questi templi
incomincia a strutturare l’area del Foro Romano e il primo ad essere realizzato è il tempio di Saturno,
inaugurato nel 498 a.C., è quindi posteriore soltanto al grande tempio della triade capitolina, dunque un
tempio ionico, anche se quello che vediamo oggi non sono i resti del tempio originario, perché questo
monumento fu soggetto a diverse ristrutturazioni in età repubblicana e in età imperiale, ma è uno dei più
antichi templi di Roma, anche perché Saturno è una divinità antichissima, la possiamo definire una divinità
pre-urbana. Questo tempio, per questo motivo, è uno dei più importanti della città di Roma, nel 42 fu
ricostruito da Munazio Planco, fu poi ristrutturato dopo il grande incendio del 283 d.C., il grande incendio di
Carino, fu ricostruito nel III secolo con materiale di reimpiego. La facciata che noi vediamo è quella
dell’ultima fase, realizzata con materiale di recupero, restano in piedi queste otto colonne ioniche e una
parte del frontone. Vediamo qui un’altra immagine che ci mostra lo stato del podio, in realtà il podio era
molto grande e molto capiente e, come vediamo anche dalla ristrutturazione, un podio molto alto, con una
ripida scalinata che conduceva al tempio e negli spazi ricavati nel podio sembra avesse sede l’erario, cioè il
luogo dove si conservava il tesoro dello stato, quindi possiamo immaginare la grande importanza e il grande
significato di questo edificio, intorno al quale, tra l’altro, avevano sede gli uffici dei cambia valute.
L’altro tempio di questa prima età repubblicana, risalente al V secolo, è il tempio dei Castori, un tempio
particolarmente significativo, perché quello dei Castori è in realtà un culto importato dal mondo greco e
rappresenta l’ingresso di un culto greco in un’età molto antica, d’altra parte ciò ci è confermato dal
rinvenimento a Lavinio di una lamina con un’iscrizione arcaica del VI secolo con la dedica alle due divinità.
Probabilmente si tratta di un culto importato in Lazio dalla Magna Grecia, forse dall’area di Taranto. I
castori in effetti sono la versione latina dei Dioscuri, Castore e Polluce, figli di Zeus e di Leda. Il tempio fu
votato nel 499 a.C., ma venne poi realizzato e quindi dedicato più tardi, nel 484, quindi il tempio è
posteriore rispetto al tempio di Saturno. Poi anch’esso andò soggetto a varie ristrutturazioni e rifacimenti,
sia in epoca repubblicana che in epoca imperiale. Fu votato perché in base alla leggenda durante la guerra
dei Romani contro le popolazioni del Lazio che si erano alleate con Tarquinio il Superbo, cacciato da Roma,
durante lo svolgimento dell’importante battaglia del lago Regillo, apparvero questi due cavalieri, subito
identificati con i Dioscuri, i castori, e questi due giovani annunciarono la prossima vittoria dei Romani. A
queste due divinità, che poi tra l’altro erano preposte, erano i protettori della cavalleria, fu dedicato questo
tempio, che rimane un punto di riferimento per i cavalieri e la cavalleria. Anche in questo caso non ci
rimane sostanzialmente nulla del tempio originario, perché venne rifatto per ben due volte, una prima volta
nel secondo secolo a.C., da parte di Cecilio Metello Dalmatico e una seconda volta da Verre nel 73 a.C.
Inoltre, venne poi ristrutturato e rifatto da Tiberio, che non era ancora imperatore, perché siamo sotto
Augusto, nel 6 a.C., quindi quello che oggi vediamo del tempio dei Castori risale, in buona parte, al
rifacimento di epoca tiberiana.
Vediamo qui un’immagine di questo edificio che si presentava come un tempio ottastilo periptero.
Altro importante santuario del Foro Romano realizzato nel IV secolo a.C. era il tempio della Concordia, che
si trovava proprio ai piedi del Campidoglio, vediamo la sua planimetria, risalente però all’epoca tiberiana, lo
rivediamo con la sua pianta con cella trasversa, appoggiato alle pendici del Campidoglio, in prossimità del
sentiero che sale verso il campidoglio. Questo tempio della Concordia, di cui rimane poco e nulla, rimane
poco del podio e qualcosa dell’ingresso della cella, ma rimane davvero poco, lo vediamo qui appoggiato alle
pendici del Campidoglio. Questo tempio si attribuisce a Lucio Furio Camillo, sarebbe stato realizzato nel 367
a.C. per celebrare la concordia, la pace fra patrizi e plebei e poi venne restaurato nel 121 a.C. da Lucio
Opimio e infine da Tiberio fra il 7 e il 10 d.C. e a Tiberio si deve questa conformazione particolare dovuta
verosimilmente proprio alle condizioni spaziali, le condizioni che non permettevano uno sviluppo della
cella, cella trasversa, più larga che profonda e caratterizzato da queste sei colonne in facciata. Vale la pena
ricordare che questo importante tempio fu trasformato da Tiberio in un vero e proprio museo, perché
innanzitutto fu decorato da ricchi marmi e ornamenti architettonici, di cui rimangono testimonianze nel
vicino Tabularium e nell’Antiquarium del Foro, vediamo qui per esempio una parte della ricca trabeazione e
un capitello corinzio con coppie di montoni, dunque una decorazione davvero molto ricca, ma non soltanto,
Tiberio trasformò questo tempio in una sorta di museo, è Plinio che ci ricorda che all’interno della struttura
templare erano state raccolte tutta una serie di sculture greche, soprattutto del periodo post lisippeo,
perché Tiberio era un grande amante dell’arte ellenistica.
Altra cosa importante da ricordare riguardo alle trasformazioni progressive del Foro Romano è la presenza
di edifici adibiti a varie attività, come le attività finanziarie, le attività commerciali, le vendite all’asta,
soprattutto l’attività giudiziaria e di tipo forense, questi edifici sono le basiliche. La basilica è un edificio il cui
nome deriva dall’ambito greco, evidentemente si tratta di una tipologia architettonica che deriva dal
mondo greco, compare in ambito romano nel III – II secolo a.C., dunque ha un’origine greco-ellenistica, il
nome che è sostanzialmente “sala regia”, forse deriva dalla stoà basileios dell’agorà di Atene, era un
edificio la cui funzione originaria era quella di ospitare le funzioni che si svolgevano normalmente nel Foro
all’area aperta, di ospitarle in uno spazio chiuso durante la stagione invernale, o comunque quando le
condizioni atmosferiche non permettevano lo svolgimento di queste funzioni all’area aperta, proprio per
questo l’edificio della basilica era costituito semplicemente da una copertura sostenuta da file di colonne
che formavano delle navate. La necessità di illuminazione era assolta da finestre, infatti di norma questi
edifici avevano un’aula rettangolare interna più ampia, vediamo qui le varie basiliche di cui sono
sopravvissute oggi nel Foro Romano, la Basilica Emilia e la Basilica Iulia, comunque queste basiliche erano
suddivise in navate, avevano un’aula rettangolare centrale di solito più ampia e più alta anche. Nella parte
più alta erano ricavate delle finestre che servivano all’illuminazione. Edifici, dunque, dal carattere
funzionale, di carattere utilitaristico molto importante, talmente importante che fra gli anni ’80 e ’70 del II
secolo a.C. nel Foro ci si dotò di ben tre basiliche, una successiva all’altra, la Basilica Porcia, la Basilica Emilia
e la Basilica Sempronia, realizzate rispettivamente nel 184 a.C., da parte di Marco Porcio Catone, nel 179 la
Basilica Emilia, in realtà Fulvia Emilia in origine, poi la Sempronia nel 170. La Basilica Emilia è la più
grande di queste basiliche primigenie, ed è l’unica conservata, la Sempronia fu sostituita in età augustea
dalla basilica Iulia dedicata a gaio e Lucio. La Sempronia fu realizzata nel 170 nell’area dove si trovava la
Domus di Scipione l’Africano e fu realizzata da Tito Sempronio Gracco, padre dei Gracchi, ed era anche
genero di Scipione l’Africano. Questa fu poi sostituita dalla Basilica Giulia. La Basilica Porcia è la più piccola,
era stata realizzata da Marco Porcio Catone e fu la prima a scomparire. Di lì a qualche decennio, nel 121
a.C., a queste basiliche si aggiunse anche basilica, la un’altra piccola Basilica Opimia, che fu realizzata da
Lucio Opimio quando realizzò anche il tempio della Concordia. Poi la Basilica Opimia probabilmente fu in
gran parte distrutta nel momento in cui Tiberio ristrutturò il tempio della Concordia e lo ampliò con la cella
trasversa come abbiamo visto.
Img. Resti attuali della basilica emilia, aperta al pubblico.
La realizzazione di queste basiliche comporta anche una strutturazione via via maggiore del Foro Romano
che in questo modo incomincia a raggiungere una certa regolarità, un maggiore ordine dal punto di vista
planimetrico e una forma più chiusa e regolare. La strutturazione in epoca repubblicana, la strutturazione e
la regolarizzazione di questa area così importante del centro di Roma possiamo considerarla conclusa nel
momento in cui viene realizzato negli anni ’70 il Tabularium, che viene costruito lungo le pendici del
Campidoglio e che viene a costituire una sorta di quinta scenografica che chiude il Foro Romano a nord-
ovest, con una facciata proprio scenografica nella quale viene applicato lo schema del cosiddetto
Theatermotiv, con questa successione di archi inquadrati da ordini applicati.

Lezione 22

Il Foro Romano in età giulio-claudia


Vediamo le trasformazioni in età giulio-claudia. Va detto che il Foro Romano progressivamente, cambiando
nel tempo il ruolo politico di Roma sempre più determinante nell’ambito del mediterraneo, il Foro Roano,
così com’era nella tarda repubblica, non era più considerato adeguato al nuovo ruolo di Roma, quindi le sue
funzioni politiche e amministrative, ma anche di rappresentanza, necessitavano un ampliamento.
Cesare raccolse questa esigenza di ampliare il Foro e si mise al lavoro, iniziando fin dal 54 a.C. a
ristrutturarlo, ma anche ad ampliarlo, in realtà la sua idea era quella di ridisegnare un po’ tutto il centro di
Roma monumentalizzandolo. Iniziò la realizzazione di un nuovo Foro, a nord del Foro Romano, che doveva
essere concepito come un ampliamento del Foro Romano, costituì il primo di una lunga serie di piazze
forensi che si svilupparono nel corso dell’età imperiale, fu sostanzialmente il modello di riferimento per gli
altri fori imperiali.
La costruzione del Foro di Cesare determinò la distruzione di alcuni edifici, il rifacimento e la
ristrutturazione di altri, in particolare scomparve il Comitium, vennero spostati i Rostra, venne demolita la
Basilica Porcia, la Curia venne spostata e venne collocata poco distante, in una nuova posizione, e fungeva
quasi da elemento di raccordo fra il Foro Romano verso sud e il Foro di Cesare verso nord. Tra le altre cose
Cesare realizzò anche una serie di gallerie sotterranee nel Foro Romano, perché il Foro serviva, in quel
periodo, anche per gli spettacoli gladiatori e per le venationes, la caccia agli animali feroci, dunque questi
corridoi servivano proprio per far giungere le belve nel luogo dove si trovava la struttura provvisoria che
serviva per svolgere questi spettacoli, che però non vennero usati poi tanto perché Augusto spostò poi
questi spettacoli nel Campo Marzio. Nello stesso periodo venne ristrutturata anche la Basilica emilia, venne
rifatta la Basilica Sempronia, che fu sostituita da un nuovo edificio imponente, la Basilica Giulia. Dicevamo
che in realtà Cesare inaugurò questa sua realizzazione nel 46 a.C., ma per la verità i lavori non erano
terminati e vennero infatti presi in carico questi suoi progetti e portati a termine da Ottaviano, in quanto
suo erede. Ottaviano, all’indomani dell’assassinio di Cesare infatti, non soltanto iniziò la progressiva
eliminazione degli avversari politici, all’eliminazione di quei membri delle famiglie aristocratiche che si
erano opposti a Cesare prima e a Ottaviano stesso dopo, poi nel futuro progressivamente eliminerà anche
tutta una serie di prerogative della classe senatoria, anche con lo scopo di autopromuoversi, con uno scopo
propagandistico, riprese in mano e portò a termine i progetti di Giulio Cesare, fra questi progetti molto
importante era quello relativo alla Basilica Giulia, grande edifico a cinque navate, che venne a porsi fra il
tempio di Saturno e il tempio dei Castori, ai lati presentava due vie molto importanti, il Vicus Iugarius e il
Vicus Tuscus, davanti vi era la sacra via, una posizione quindi molto importante, perché chiudeva a sud la
piazza, quindi si inizia in questo modo a dare una strutturazione più regolare al Foro Romano.
Questa basilica, di cui vediamo qui i resti, oggi visitabili nel parco all’aperto del Foro Romano, iniziata da
Cesare e portata a termine da Ottaviano, venne distrutta nel 12 a.C. da un incendio e venne quindi
ricostruita da Augusto e venne dedicata ai suoi due nipoti prediletti, nonché figli adottivi, gaio e Lucio, che
erano infatti gli eredi designati di Augusto, dopo che Marcello, il nipote prediletto, figlio della sorella di
Augusto, Ottavia, nonché primo marito di Giulia in giovanissima età, unica figlia di Augusto, dopo che
Marcello era morto prematuramente, a soli 19 anni, nel 23 a.C., a Baia, per un’improvvisa malattia di cui
non si sa nulla. Gli stessi Gaio e Lucio morirono molto giovani, le loro ceneri raggiunsero quelle di Marcello
nel mausoleo di Augusto nel 2 e nel 4 d.C., morirono molto giovani, Gaio a 24 anni e Lucio a 23, anche loro
per malattie improvvise, Gaio in realtà aveva i postumi di una vecchia ferita e morì nell’attuale Turchia, in
Asia Minore, Lucio a Marsiglia, tutti lontani da Roma e improvvisamente, sono delle morti sospette, gli
stessi storici romani avanzano dei sospetti su queste morti poco chiare. D’altra parte l’età augustea è
costellata di episodi di questo genere, morti improvvise, sospette, avvelenamenti, condanne a morte o
condanne all’esilio, la gens Giulia viene decimata nel corso dei decenni, le fonti avanzano anche i sospetti
che dietro ad alcune di queste morti possa esserci la mano della terza moglie, sua inseparabile compagna,
fino alla fine di Augusto, Livia, che d’altra parte lavorò per gran parte della sua vita al fine di portare al
potere il figlio Tiberio e ci riuscì. Tacito giudica Livia una donna potentissima e ne ricaviamo anche l’idea di
un personaggio privo di scrupoli.
Img. Planimetria Basilica Iulia. Caratterizzata da 5 navate, con due portici concentrici, verso sud era
fiancheggiata da una serie di taverne. Doveva presentarsi a tre piani, con un’aula centrale lussuosa e
sopraelevata e all’esterno, sul lato che si affacciava al Foro, doveva presentare due piani di arcate. Img.
ricostruttiva di come poteva presentarsi l’ampia e ariosa aula centrale. Una cosa curiosa è che sulle
gradinate settentrionali della basilica probabilmente i perdigiorno, coloro che bighellonavano nella piazza,
di tanto in tanto si fermavano e giocavano a giochi da tavolo che erano incisi nella pietra, sono tabule
lusoriae, e vi sono anche dei graffiti, degli schizzi che forse rappresentano delle statue che erano visibili da
questo punto.
Abbiamo già parlato della Curia, che qui vediamo sullo sfondo dell’immagine, mentre in primo piano
vediamo i resti dell’altra basilica che chiudeva il lato del Foro Romano verso nord ed è la Basilica emilia,
risalente al II secolo a.C., realizzata da Marco Emilio Lepido e Marco Fulvio Nobiliore, infatti originariamente
era chiamata Fulvia Aemilia, poi solo Aemilia, basilica che fu restaurata più volte, dunque conobbe diverse
fasi edilizie. Era una basilica a due piani, con una grande sala centrale circondata da una serie di colonne in
marmo africano, che proveniva in realtà dalle cave dell’Asia Minore, presso Smirne, era un marmo
policromo molto bello, perché aveva venatura che andavano dal rosso al grigio chiaro o grigio scuro. Verso
sud la basilica si presentava con una facciata a due ordini di arcate, inquadrate da semicolonne e ancora
una volta era preceduta da un portico dedicato a Gaio e Lucio Cesari sul fondo del quale si trovavano una
serie di botteghe, non dimentichiamo infatti che il Foro aveva infatti un’importante funzione commerciale,
le stesse basiliche avevano anche una funzione commerciale significativa, oltre che una funzione
naturalmente forense.
Abbiamo visto il lato sud e il lato nord della piazza. Sul lato est anche fu realizzato un nuovo edificio che
venne a chiudere su questo fronte la piazza del Foro Romano, un nuovo edificio che quindi concluse in
qualche modo la strutturazione della piazza, che assunse una planimetria anche più regolare e ordinata,
stiamo parlando del tempio dedicato al Divo Giulio, cioè a Giulio Cesare divinizzato. Questo tempio, che
come vedimao ha una pianta piuttosto compresa, con una cella molto ridotta nel senso della profondità;
questo tempio fu deliberato nel 42 e fu fortemente voluto anche da Ottaviano per onorare il padre
adottivo, Cesare appunto, nel luogo in cui era stato cremato, non ucciso, perché Giulio Cesare fu
assassinato nella Curia di Pompeo, il suo corpo fu poi portato nell’area della Regia, perché Giulio Cesare era
pontifex maximus, e lì fu cremato. Il tempio venne elevato anche con lo scopo di incanalare in un culto
istituzionale, ufficiale, quello che era subito diventato un culto popolare e Cesare era molto amato dal
popolo romano. Qui vediamo ciò che resta di questo tempio, cioè molto poco, in realtà sono i resti, molto
compromessi, del podio del tempio, un podio molto alto. Il tempio, qui vediamo una ricostruzione, si
elevava su un podio ed era raggiungibile da scalinate laterali, il che determinava anche un’ulteriore
impressione di altezza della struttura templare, che così si staccava anche quasi simbolicamente, infatti
Giulio Cesare è il primo politico romano, a parte Romolo, ad essere divinizzato post mortem, poi è il primo
di una lunga serie naturalmente. Fu divinizzato dopo che, così dice la tradizione, comparve nel cielo una
cometa, simbolo appunto della sua divinizzazione, il Sidus Iulium, stella che poi compare sul frontone del
tempio stesso, dunque un tempio dedicato per la prima volta con una procedura, che è innanzitutto un atto
politico, perché la divinizzazione viene deliberato dal senato, ma che si rifà a un costume che era orientale,
costume che fino ad allora a Roma era sconosciuto. Vedimao la struttura di questo tempio, con una forma
anche innovativa, perché il podio presenta una forma molto particolare, vi è un emiciclo, che racchiude un
altare di forma circolare. Poi questo emiciclo verrà chiuso da un muro. Tra le altre cose si riteneva che nel
podio vi fossero i rostri strappati alle navi di Antonio e Cleopatra nella Battaglia di Azio, in realtà, sulla base
di ricostruzioni attendibili, i Rostra ad Divi Iuli erano un monumento indipendente che si ritiene raffigurato
su un rilievo con le imprese di Traiano, uno dei due rilievi cosiddetti traianei, esposti proprio nella Curia. Sul
lato di sx di questa transenna sono raffigurati rostri di Cesare, vediamo qui anche l’arco di Augusto e poi il
tempio dei Castori e la Basilica Giulia. Ai lati di questo tempio furono poi realizzati degli archi, in primis fu
dedicato un arco trionfale a tre fornici, il cosiddetto Arco di Augusto, che commemorava prima la battaglia
di Nauloco, su Sesto Pompeo, quindi fu dedicato una prima volta per ricordare la battaglia Nauloco, poi fu
ridedicato come Arco Aziaco, perché doveva commemorare la Battaglia di Azio, infine fu dedicato come
Arco Partico, perché da ultimo commemorò la riconsegna delle insegne che erano state perse da Crasso
nella battaglia di Carre, quindi un arco che celebra le plurime vittorie di Ottaviano Augusto. Poi fece da
pendant più tardi a questo arco l’arco dedicato a Tiberio sul lato opposto del tempio del Divo Giulio. L’arco
di Augusto, tra le altre cose, costituiva un elemento di raccordo rispetto al tempio dei castori, che si trovava
accanto. Ricordiamo che in età augustea venne rifatto, si caratterizza per un podio gigantesco, molto
elevato, con una grande scalinata che conduce al tempio, davanti vi era un’altra tribuna rostrata, fu rifatto
in età augustea dopo l’incendio del 12 a.C. e venne dedicato da Tiberio nel 6 d.C. (Tiberio non ancora
imperatore). D’altra parte il tempio dei castori, i due Dioscuri, era una chiara allusione a Tiberio e a suo
fratello Druso, entrambi valenti condottieri militari.
Qui vediamo ciò che rimane oggi del tempio dei Castori nel rifacimento dell’epoca augustea.
Ricordiamo un altro monumento molto importante dal punto di vista simbolico, nella zona accanto al
tempio di Saturno, Augusto fece erigere un monumento, chiamato Miliarium Aureum, che poi altro non era
che una colonna rivestita di bronzo dorato. Questa colonna venne eretta nel 20 a.C., quando Augusto
divenne curator viarum, perché era la colonna, il punto di riferimento da cui si prendevano le misure delle
strade che si dipartivano da Roma, era quindi un monumento di grande significato politico, simbolico,
propagandistico. Di questa struttura oggi rimane poco o nulla, una base in muratura su cui si trova un
rocchio di colonna.

Il Foro Romano in età Flavia


Abbiamo visto come il Foro si trasforma nell’età giulio-claudia, vediamo ora alcuni dei più significativi
interventi della successiva età Flavia. In primo luogo vediamo quello che è il tempio di Vespasiano, il tempio
del Divo Vespasiano, dedicato in realtà a Vespasiano e Tito, si tratta infatti di un edificio templare, situato
nell’area occidentale del Foro Romano, la cui struttura si appoggia al Campidoglio, quindi diciamo che il
basamento del tempio si appoggia alle sostruzioni del Tabularium. Questo tempio fu dedicato in primis a
Vespasiano divinizzato dall’imperatore Tito, poi, dopo la morte di Tito, fu completato da Domiziano, che
quindi lo dedicò anche al suo predecessore. Di questo tempio non rimane molto, vediamo le tre colonne di
tipo corinzio, che sostengono un frammento di architrave con un’iscrizione parziale, dunque questa
iscrizione in realtà la consociamo da un documento scritto, il cosiddetto Anonimo di Einsiedeln, perché un
pellegrino che visitò Roma nell’età carolingia, siamo nell’VIII secolo d.C. trascrisse l’iscrizione in una sua
descrizione di un itinerario nella città di Roma, trascrisse l’iscrizione che è probabilmente nell’VIII secolo era
ancora in posto, sostanzialmente integra, come l’intero edificio templare. Dell’originaria decorazione non
rimane molto, oltre al frammento di iscrizione vi è parte di un fregio decorato con un bassorilievo che
raffigura degli strumenti sacrificali. Questo tempio, che qui vedimao ancora emergere dagli strati
accumulatesi nel tempo, con il frammento della sua iscrizione, raffigurato in un’incisione di Piranesi, questo
tempio, che si appoggiava alle sostruzioni del Tabularium, al Campidoglio, era un tempio su podio con una
cella preceduta da sei colonne in fronte e all’interno della cella, che era un ambiente piuttosto ampio,
doveva trovare posto un basamento per le statue dei due imperatori divinizzati, quindi vedimao una
ricostruzione che ci dà chiaramente l’idea di come doveva presentarsi questo tempio prostilo esastilo.
Per l’età Flavia ricordiamo anche un altro monumento, che ci viene ricordato dalle fonti, in particolare ne
parla il poeta Stazio, un monumento di cui sostanzialmente non rimane più nulla, anche a seguito della
damnatio memoriae del suo artefice, cioè l’imperatore Domiziano, che eresse nel Foro Romano una
grandiosa statua equestre, che doveva raggiungere nell’insieme i 12 m, che ci è ricordata, oltre che dalle
fonti letterarie, anche da testimonianze di tipo numismatico, vediamo qui una moneta che raffigura una
statua equestre, infatti era una statua equestre quella eretta da Domiziano nel Foro Romano, statua che
doveva celebrare le sue vittorie conseguite in Germania, infatti sotto gli zoccoli del cavallo era raffigurato un
nemico germanico vinto. Questa statua, che era chiamata Equus Domitiani, il cavallo di Domiziano, è stata
cancellata in seguito alla damnatio memoriae, se ne riconoscono le scarse tracce nel Foro, solo tre blocchi
di travertino legati a un nucleo in opera cementizia, in cui si sono notati dei fori che si pensa potessero
servire per inserire i perni che dovevano poi sostenere la statua, comunque è un monumento che è stato
sostanzialmente cancellato.
Ancora a Domiziano ricordiamo di attribuire un importante monumento, che in realtà non si trova
propriamente nel Foro Romano, ma a lato, nell’area est del Foro Romano, ed è l’Arco di Tito, l’arco
dedicato all’imperatore Tito divinizzato, alle sue imprese militari, ricordiamo in particolar la presa di
Gerusalemme e il trionfo, abbiamo parlato dei rilievi che ornano questo monumento quando abbiamo
parlato del rilievo storico narrativo. Ricordiamo che questo arco di trionfo ha un solo fornice, fu dedicato a
Tito in epoca domizianea e quello che vediamo oggi è solo in parte l’arco originario, infatti in età medievale
l’Arco di Tito fu integrato in altri edifici, in particolare fu incorporato nella fortezza dei Frangipane, questi
successivi interventi edilizi ne determinarono la parziale distruzione e il restauro si deve a un architetto
ottocentesco, Giuseppe Valadier, che integrò la parte originaria, che è quella centrale, con delle strutture
laterali in travertino, restituendo all’arco la sua forma originaria. Questo arco si trova a cavallo della via
sacra, quindi si trova topograficamente fra l’area del Colosseo e il Foro Romano.
Vediamo qui una planimetria del Foro Romano e delle aree immediatamente adiacenti nell’epoca
imperiale, nel suo sviluppo risalente all’epoca imperiale, in particolare notiamo come buona parte dell’area
a oriente del Foro Romano, sia occupata da un enorme edificio – L’Anfiteatro Flavio (Colosseo) si trova
all’esterno di questa planimetria, sarebbe qui grossomodo a dx della pianta –. Portiamo l’attenzione su
questo grandioso edificio che è il tempio di venere e Roma. Siamo in età adrianea, questo è il tempio più
grandioso realizzato a Roma, che toglie il primato al tempio della triade capitolina. Il tempio fu voluto
dall’imperatore Adriano ed è il meno romano fra i templi di Roma, tra l’altro le fonti ci trasmettono che fu
criticato da Apollodoro di damasco, il grande architetto di Traiano, e sembra che queste sue critiche gli
costarono addirittura la vita. Questo grande tempio fu realizzato in un’area che era occupata da una grande
piattaforma artificiale, così la vediamo oggi, con le sue massicce e imponenti sostruzioni in cementizio,
vediamo una piattaforma molto ampia, del tempio vero e proprio rimangono oggi scarsi resti. Questa
piattaforma artificiale fu riutilizzata da Adriano, perché in realtà corrispondeva all’atrio della Domus Aurea.
Vediamo qui una ricostruzione di come poteva presentarsi questa parte della Domus di Nerone, un atrio
enorme circondato da portici, entro il quale si trovava la statua colossale di Nerone, che per l’appunto, in
occasione della realizzazione del tempio, Adriano fece spostare in prossimità dell’Anfiteatro Flavio e cambiò
i connotati alla statua, che fu trasformata in una effige di Helios. Questa statua enorme era alta circa 35 m.
Adriano si trova quindi a disposizione un enorme podio di una grandezza di circa 145 x 100 m, quindi
davvero grande, e ne usufruì per costruire questo enorme tempio, dedicato a due divinità, Venere e Roma
e proprio per questo il tempio, in pianta, presenta una conformazione assai originale, d’altra parte abbiamo
già avuto modo di sottolineare le caratteristiche innovative e spesso molto originali dell’architettura di età
adrianea. Questo tempio di caratterizza in particolare per la presenza di due celle adiacenti, sono orientate
in senso opposto e le pareti di fondo delle absidi si toccano, sono adiacenti. In origine in realtà la copertura
delle celle era piana, erano coperte da travature piane e si deve a una ricostruzione, a un restauro di
Massenzio, seguita, come spesso succede, a un incendio, nel 307 d.C., che poi ricoprì le absidi con
cassettoni stuccati. Il tempio di Venere e Roma fu dedicato nel 135 d.C., ma in realtà non era ancora
compiuto e fu terminato soltanto nel 141 dal successore Antonino Pio.
A proposito di Antonino Pio, torniamo nel Foro Romano e proprio ai limiti della planimetria individuiamo un
altro tempio molto famoso e molto ben conservato, perché trasformato in chiesa, che è il tempio di
Antonino e Faustina, cioè il tempio dedicato ad Antonino e alla moglie. In realtà fu eretto da Antonino Pio
nel 141 dopo la morte e la divinizzazione della consorte, poi dopo la morte di Antonino Pio nel 161 fu
dedicato anche a lui, dunque fu aggiunta una riga all’epigrafe dedicatoria. Questo tempio di è ben
conservato, proprio perché i suoi resti furono inglobati nella Chiesa di San Lorenzo in Miranda, che si
affaccia sul limite nord-est del Foro Romano. Il tempio di Antonino e Faustina era di tipo italico su alto
podio, la scalinata in laterizi è stata rifatta e ingloba l’altare in laterizio, che stava davanti il tempio, un
tempio prostilo esastilo, il basamento e la cella sono in opera quadrata di blocchi di tufo, che poi dovevano
essere rivestiti in materiale più pregiato. Della decorazione si conserva ancora molto. Le colonne erano in
marmo cipollino, cioè marmo di Caristo, proveniente dal Peloponneso, è un marmo di colore verde, ha
delle venature molto evidenti, e doveva costituire un bel contrasto cromatico con le basi, i capitelli e la
trabeazione di marmo bianco. Sulla trabeazione vediamo anche il rilievo, con questa decorazione che
presenta dei grifi affrontati, sono grifi disposti in senso araldico ai lati di tripodi e motivi vegetali. Questi
sono i resti del tempio che ha rischiato di venire smantellato. Notiamo innanzitutto la presenza di fori nel
basamento e anche in parte sulla cella, sono fori che sono stati praticati per asportare le grappe metalliche
che tenevano saldamente uniti i blocchi, poi c’è da notare la presenza di questi solchi trasversali sulle
colonne, solchi che erano stati praticati per alloggiare le corde che dovevano servire proprio per asportare,
per far crollare le colonne, che invece evidentemente dovettero resistere, dunque è quasi un caso fortuito
che il tempio si sia conservato.
Dall’altra parte del Foro (siamo all’inizio del III secolo d.C.) un ulteriore monumento, cioè l’Arco di Settimio
Severo, realizzato nel 203 d.C. Vediamo qui un’immagine panoramica che ci mostra dal Campidoglio, in
primo piano, l’arco di Settimio Severo, sul fondo invece vediamo l’Arco di Tito. Questo importante
monumento, che noi abbiamo considerato per la presenza di rilievi di carattere storico-narrativo molto
originali, inseriti sopra ai fornici minori, dedicato dal senato a Settimio Severo, Caracalla e Geta per le
vittorie sui Parti del 195 e del 197/8 d.C., lo abbiamo ricordato quindi per questo originali rilievi che
prendono spunto dai modelli delle pitture trionfali.
Concludiamo questo excursus sulle principali trasformazioni e i principali monumenti del Foro Romano e
delle aree immediatamente adiacenti in epoca imperiale (img. panoramica da sud-est), vediamo per ultimo,
l’ultimo grande intervento fatto in questa area dall’ultimo imperatore che dovette risiedere a Roma, cioè
Massenzio, si tratta appunto della Basilica di Massenzio, iniziata da Massenzio e terminata da Costantino
(siamo all’inizio del IV secolo), vedimao un edificio enorme, gigantesco, che si discosta dal modello delle
basiliche precedenti, sappiamo che venne edificato in un’area dove la forma a urbis colloca dei magazzini
del pepe. Questo edificio di età tarda è gigantesco, è alto ben 35 m, per lo meno la navata centrale, era
coperta da potenti volte a crociera e l’ingresso principale, originariamente, era concepito sul lato breve a
est e infatti sul fondo vi era una grande abside che doveva contenere la statua dell’imperatore. Ai lati si
trovavano due ali minori con tre ambienti comunicanti. Costantino fece poi aprire l’ingresso sulla Via Sacra,
quindi sul lato lungo sud, a cui corrispondeva, nella parte centrale dell’ala settentrionale un grande
ambiente con abside, dotata di nicchie per statue, che è poi la parte che oggi si conserva (oggi abbiamo
conservato circa 1/3 dell’edificio originario), la statua però fu lasciata nell’abside occidentale.
Qui vediamo quello che si conserva oggi di questo gigantesco edificio, corrisponde a questa ala laterale, con
bellissime volte a cassettoni e nel XV secolo, nell’abside, furono rinvenuti i resti della statua, un acrolito che
presenta i tratti di Costantino (originariamente doveva essere la statua di Massenzio), una statua costituita
probabilmente d auna struttura lignea, ricoperta di materiali vari, bronzo, stoffa ecc., e solo le parti
scoperte, quindi la testa, le braccia, eventualmente le gambe, erano realizzate in marmo. Vediamo qui le
parti che furono rinvenute nel XV secolo e furono esposte a Palazzo dei Conservatori. La statua è
gigantesca, solo la testa misura circa due metri ed è molto indicativa di quello che era diventato il
significato anche divino, la natura divina dell’imperatore, che costituiva il trait d’union fra gli uomini, fra il
popolo e la divinità. Fra l’altro abbiamo già parlato del ritratto di questa epoca, con la fissità dello sguardo,
al frontalità e l’accentuazione di questi grandi occhi fissi che esprimono la distanza divina dell’imperatore,
ormai davvero quasi un dio in vita.
Altro elemento superstite della basilica di Massenzio è la colonna che Papa Paolo V nel XVII secolo fece
apporre di fronte alla Basilica di Santa Maria Maggiore e che proviene dall’aula centrale della basilica.
Img. conclusiva dove vediamo Basilica di Massenzio, che si torva in realtà alle pendici della Velia, quella
altura che si trovava al limite dell’Esquilino, fra l’Esquilino e il Palatino.

Lezione 23
I fori imperiali
Nel corso del tempo si avvertì la necessità di ampliare la zona forense, perché non era più considerata
adatta ad una città che era diventata una vera e propria capitale, quindi necessitava di spazi più articolati e
complessi, per questo vennero realizzate una serie di piazze monumentali, si procedette proprio alla
monumentalizzazione di questi spazi in un periodo compreso fra la metà del I secolo a.C. circa e i primi
decenni del II secolo d.C. Stiamo parlando dell’area dei Fori imperiali che si trova grossomodo a nord del
Foro Romano, che fu tagliata da quella che adesso è la Via dei Fori Imperiali, in epoca fascista doveva essere
la Via dell’Impero, la vai trionfale che conduceva da Piazza Venezia al Colosseo. Qui vennero condotte
opere di sterro per liberare quest’area nei primi anni ’30 del Novecento e portarono alla demolizione
indiscriminata a uno sterro gigantesco, che determinò il deposito stratigrafico accumulatosi in centinaia di
anni.
Img. Più recente della Via dei Fori Imperiali, che va da Piazza Venezia fino all’Anfiteatro Flavio, tagliando
l’area dei Fori Imperiali, mentre sulla dx vediamo l’area del Foro Romano e poi del Palatino.
I Fori Imperiali sono una serie di piazze che comprendono anche una serie di edifici al proprio interno,
edifici monumentali, non che statue e monumenti onorari, una serie di ampi spazi che progressivamente
vanno ad aggiungersi uno all’altro nel corso del tempo. Il primo ad essere realizzato è il Foro di Cesare, che
fu realizzato da Cesare secondo un progetto che sicuramente fu concepito già negli anni Cinquanta a.C. Al
Foro di Cesare fece seguito il Foro di Augusto, perché il Foro di Cesare, pur essendo inaugurato nel 46 a.C.,
non era terminato e Augusto portò a termine i progetti di Cesare, ma realizzò poi anche un proprio Foro, il
Foro di Augusto, recante sul lato terminale il tempio di Marte Eutore. A questi due Fori fece seguito poi il
cosiddetto Tempio della Pace. In realtà è uno spazio realizzato dall’imperatore Vespasiano, uno spazio che
non venne subito considerato un vero e proprio Foro, porta infatti il nome di Templum Pacis, ed era anche
staccato dai Fori precedenti di Cesare e di Augusto e costituiva sostanzialmente un grande elemento di
raccordo fra il Foro Romano a sud e il quartiere popolare della suburra a nord. Più tardi lo spazio, in origine
piuttosto irregolare, che era compreso fra i Fori di Cesare e Augusto da un lato e il Tempio della Pace
dall’altra, fu occupato da un nuovo Foro cominciato da Domiziano, ma concluso poi da Nerva, ed era
chiamato Foro Transitorio, proprio perché regolarizzava questa zona dei Fori e costituiva un regolare
collegamento fra la zona del Foro Romano e il retrostante quartiere della suburra. Conclude questa serie di
grandi piazze monumentali il Foro di Traiano, Foro davvero enorme, monumentale, che fu realizzato
tagliando, con un enorme lavoro di sterro, la sella che univa il Campidoglio al Quirinale e determinò anche
una serie di trasformazioni nell’area del Foro di Cesare.

Il Foro di Cesare
Il Foro di Cesare costituiva una piazza di forma rettangolare allungata, una piazza che era chiusa sul lato
minore nord-occidentale da un tempio dedicato a Venere Genitrice, cioè a Venere madre di Enea e
considerata la progenitrice della gens Iulia. Questo tempio e questo Foro furono scavati nei primi anni ’30,
durante i grandi lavori di sterro per la realizzazione della Via dell’Impero, nuovi scavi però sono stati
condotti (i cosiddetti “scavi giubilari”) a partire dal 2000, dalla Soprintendenza ai Beni Culturali del Comune
di Roma e hanno messo in luce soprattutto la parte relativa all’ingresso del Foro di Cesare, riportando nuovi
dati significativi.
Img. verde chiaro Foro di Nerva; giallo Foro Traianeo; verde stagno Foro di Cesare
Il Foro di Cesare era circondato da un portico con doppio colonnato e recante sul lato minore sud-
occidentale il tempio in marmo di Venere genitrice. Questo tempio fu concepito e fu poi costruito in seguito
a un voto fatto da Cesare prima della Battaglia di Farsalo contro Sesto Pompeo, battaglia in cui cesare
risultò vittorioso nel 48 a.C. e possiamo anche dire che molto probabilmente questo tempio era un po’ una
risposta al tempio di Venere Vincitrice che Pompeo aveva realizzato nel teatro, a coronamento della cavea
del teatro di Pompeo. Una risposta, dunque, che voleva essere chiaramente un segno importante dal punto
di vista politico, un chiaro segno di autoaffermazione e anche un atto propagandistico molto evidente e
molto chiaro. In ogni caso l’idea del Foro era precedente, sappiamo infatti che Cesare, che nel 54 era ancora
in Gallia, aveva affidato a Cicerone, e Cicerone lo scrive in una lettera all’amico Attico, gli aveva affidato il
compito di individuare alcune aree destinate alla realizzazione di una piazza e di acquistarle. Le fonti
parlano di una cifra enorme che vanno dai 60 milioni di sesterzi fino ai 100 milioni di sesterzi, dunque un
grandissimo investimento personale da parte di Cesare, con un chiaro intento autocelebrativo. Questa
nuova piazza incluse anche successivamente, quasi come una dependance, la Curia.
La piazza si concludeva con il tempio di Venere Genitrice, abbiamo detto che l’inaugurazione avvenne nel
46, ma l’opera non era terminata e venne conclusa da Ottaviano, oggi di questo tempio vediamo soltanto
tre colonne con parte della trabeazione, relativi alla parte sud-occidentale, che sono state rialzate a seguito
degli scavi degli anni ’30.
Andiamo a vedere la conformazione di questo spazio cittadino, che poi costituì il modello per tutti gli altri
Fori Imperiali. È evidentemente un progetto unitario, in sé concluso, è costituito da un porticato con doppio
colonnato che racchiude la piazza all’interno della quale vi era una statua equestre di Cesare che montava
un cavallo le cui zampe anteriori avevano la forma di piedi umani e questa era la caratteristica del cavallo di
Alessandro Magno, Bucefalo, quindi emerge ancora una volta la volontà di autoaffermazione, una volontà
anche autocelebrativa di Cesare, che opera una sorta di imitatio Alexandri, paragonandosi a questo grande
condottiero. Sappiamo che poi in questa piazza vennero col tempo disposte altre importanti statue e altri
importanti monumenti celebrativi, in particolare le fonti ricordano una statua colossale di Tiberio,
dedicatagli da 14 città dell’Asia Minore, per ringraziarlo a seguito degli aiuti che l’imperatore aveva dato a
queste città dopo una serie di terremoti che avevano pesantemente colpito questi centri nella prima metà
del I secolo d.C.
Una piazza di forma rettangolare allungata, con un’impostazione assiale molto accentuata e focalizzata
chiaramente sul tempio, il tempio dedicato alla progenitrice della gens Iulia, la Venus Genetrix, un tempio
che presentava sul fondo un’abside nella quale era situata la statua cultuale, che quindi costituiva proprio il
punto terminale di tutto lo svolgimento della piazza, aveva quindi una posizione, se vogliamo, scenografica
e questa posizione richiama la posizione delle statue dei sovrani ellenistici, quindi probabilmente si rifà a un
modello ellenistico e ancora una volta questo ci dà un’idea di quelle che erano le intenzioni dinastiche di
Cesare, che tra l’altro, sappiamo da Svetonio, un giorno volle incontrare il Senato proprio all’interno di
questo tempio, seduto in trono quasi come una divinità vivente, questo contro ogni protocollo del sistema
repubblicano, quindi si può ben capire come i conservatori non potessero accettare questi atteggiamenti
con i quali Cesare si poneva quasi come una divinità vivente. Di fronte a questo tempio vi era l’ingresso alla
pizza, ingresso che si affacciava sull’Argiletum, che era la strada che collegava l’area del Foro Romano al
quartiere della suburra e poi con la costruzione del Foro di Nerva il colonnato fu inglobato nel muro di
recinsione del nuovo complesso.
Torniamo al tempio di Venere. Qui lo vediamo in un disegno ricostruttivo. Questo tempio si presentava
come un tempio octastilo, un tempio periptero sine postico, perché vediamo che ha il lato di fondo cieco . Il
tempio si poteva raggiungere attraverso due scalinate laterali e in fronte presentava anche bacini per le
fontane, un ampio pronaos poi conduceva alla cella absidata. Qui è la prima volta che abbiamo un tempio
con abside, che invece poi sarà un modello molto diffuso in seguito. In questo tempio, sappiamo dalle fonti,
dovevano essere contenute tutta una serie di importanti opere d’arte, la stessa statua di culto era opera di
uno scultore neoattico, Arcesilao, e all’interno si trovavano per esempio quadri di Timomaco di Bisanzio,
sappiamo anche di una statua in bronzo dorato che raffigurava Cleopatra, era un tempio riccamente ornato
e spesso questi templi si trasformavano quasi in una sorta di museo. A proposito del colonnato del tempio,
notiamo come sia un colonnato piuttosto fitto, con le colonne molto ravvicinate, secondo il tipo che
Vitruvio definisce picnostilo, cioè gli spazi delle colonne sono molto ravvicinati, perché grossomodo questa
distanza fra le colonne corrisponde ad un diametro e mezzo del fusto delle colonne. Un tempio che era
riccamente ornato all’interno ma che aveva anche una ricca decorazione marmorea, tuttavia quello che ci
rimane risale ad epoca posteriore. Vediamo qui le tre colonne di cui abbiamo parlato, l’architrave con una
raffinata decorazione. Questi elementi strutturali e architettonici risalgono però al rifacimento del tempio
avvenuto in età traianea, quando cioè Traiano, per realizzare il suo Foro, tagliò quella parte di rilievo che
congiungeva il Campidoglio e il Quirinale, cioè c’era una sella che congiungeva i due colli, venne fatto un
grande taglio che portò anche al rifacimento di una parte del tempio di Venus Genetrix e del Foro di cesare.
In particolare, a questo periodo risalgono alcune notevoli decorazioni della parte esterna del tempio, che
sono raccolte oggi nel Museo dei Fori Imperiali, nei mercati di Traiano, qui vediamo per esempio dei
pannelli con amorini che reggono ghirlande e sacrificavano tori, poi una lesena decorata con tralci di vite,
qui vediamo ancora un rilievo con amorini e un frammento di una cornice con mensole decorata con delfini
a code intrecciate su tripodi, alternate a cespi di acanto nascenti da conchiglie, che rimandano
naturalmente la mito della nascita di Venere dalla spuma marina, quindi sono un elemento simbolico di
riferimento alla progenitrice della famiglia Giulia. Vedimao poi un pannello in parte ricostruito con questi
amorini che uccidono i tori, gli amorini tauroctoni.
vediamo il lato occidentale del Foro, che fu il più soggetto a un intervento di ristrutturazione, di rifacimento
in epoca traianea, infatti qui vennero aperte una serie di botteghe, che si aprivano sul Clivus Argentarius,
che era questa via che saliva sul campidoglio, poi in fronte fu aggiunta una struttura realizzata in blocchi di
tufo, che viene normalmente identificata come la basilica argentaria riportata dalle fonti, vennero anche in
parte ristrutturati i portici laterali e le taverne che si affacciavano sul portico sud-ovest (fin dall’età di Cesare
su questo lato si aprivano delle botteghe). Erano botteghe a due piani, sormontate da piattebande, in parte
quelle relative al secondo piano in epoca traianea furono murate per motivi statici e poi vennero anche
rialzate con una nuova serie di botteghe che si dovevano aprire sul Clivo Argentario. Un ulteriore
rifacimento che riguardò la parte relativa al portico si ebbe anche in epoca dioclezianea, infatti vi fu una
ristrutturazione a seguito del famoso incendio di Carino del 283 d.C. Le colonne vennero sostituite anche
con elementi di reimpiego, vennero impiegati fusti di colonna di granito rialzate su podi e questi piedistalli
andarono a rialzare le colonne e sostituirono il colonnato originario, ma sotto questi elementi sono stati
rinvenute tracce del colonnato originario, che aveva una disposizione leggermente diversa.
Concludiamo con quella che è stata identificata come la Basilica Argentaria, un edificio che si trova sul lato
occidentale rispetto al tempio e che ha una forma a L, una struttura che oggi si presenta in questo modo
(img.), è una struttura realizzata in laterizi, leggermente sopraelevata rispetto ai portici laterali della piazza
e che per l’appunto, trovandosi sul lato del tempio e formando un angolo, va a strutturare quella parte
dell’angolo della piazza che fu interessata in modo particolare dallo smantellamento della sella presente fra
Campidoglio e Quirinale.

60.Il Foro di Augusto


Ottaviano aveva concepito l’idea di questa nuova area forense in seguito a un voto fatto prima della
battaglia di Filippi del 42 a.C., nella quale egli combatté contro i Cesaricidi, Bruto e Cassio, e nella sua
autobiografia dice che questa piazza che si concludeva, come d’altra parte il foro di Cesare, con uno spazio
templare, fu realizzata ex manubiis, cioè con il ricavato della preda bellica, infatti un tempio concludeva la
piazza, un tempio dedicato a Mars Untor, cioè Marte Untore, un Marte vendicatore e questo era un chiaro
riferimento alla vendetta nei confronti dei Cesaricidi. Tuttavia, questo tempio fu dedicato soltanto
quarant’anni dopo, dopo il voto di Ottaviano, infatti la dedica risale al 2 a.C., questo significa che nel
momento in cui il tempio e il Foro furono dedicati, erano ormai passati quarant’anni da quella vicenda, che
era ormai molto lontana, quindi il tempio di Marte Untore venne a rappresentare non più la divinità
vendicatrice nei confronti dei Cesaricidi, ma più in generale nei confronti dei nemici di Roma ed è per
questo che a un certo punto il tempio di Marte Untore ospitò le insegne recuperate da Augusto, in seguito
a una serie di trattative nel 20 a.C., recuperate presso Frate IV re dei Parti, erano le insegne sottratte a
Crasso nel 53 a.C., anno della disastrosa battaglia di Carre e si diede anche molto rilievo dal punto di vista
propagandistico a questo atto che consentì di riportare a Roma le insegne. Queste insegne vennero poi
deposte nel sancta sanctorum del tempio, che quindi venne ad assumere un significato del tutto particolare
dal punto di vista militare. Augusto realizzò questo nuovo spazio monumentale in un’area acquistata presso
privati, era un’area non così grande come avrebbe voluto, ma d’altra parte non volle procedere ad espropri
forzati, quindi realizzò questa nuova piazza provvista di portici e di tempio su questo spazio acquistato, su
terreni in precedenza di proprietà privata.
Di questo spazio noi possiamo oggi vedere i resti soltanto del settore nord-orientale, in quanto la gran parte
della piazza rimane sepolta sotto la Via dei Fori Imperiali, dunque non possiamo ammirare l’intera
estensione della piazza, che era notevole, perché l’area era 125x18 m. La piazza era divisa sul lato di fondo
dal quartiere retrostante, la suburra, attraverso un alto muro, un muro che superava i 30 m, un muro in
opus quadratum in blocchi di tufo. Ai lati del tempio vi erano due accessi che permettevano di passare
all’area del quartiere retrostante, erano accessi che si trovavano alla base di scalinate, che servivano a
superare il dislivello e qui trovarono posto due archi, un arco dedicato da Tiberio al figlio Druso Minore e un
arco dedicato a colui che era il nipote di Tiberio, ovvero Germanico, il figlio di Druso Maggiore, fratello di
Tiberio. Questa grande piazza era dotata di portici. Vediamo qui una ricostruzione: abbiamo visto che sul
fondo si trovava il tempio di Marco Untore, appoggiato a questo alto muro che lo divideva dalla suburra, ai
lati della piazza vi erano dei portici corinzi piuttosto larghi e profondi, che presentavano in facciata una
lunga serie di colonne di marmo cipollino, colonne che appoggiavano su una crepidine di tre gradini. La
piazza era pavimentata in marmo bianco, era quindi un’area monumentale molto ricca di rivestimenti e
decorazioni marmoree, infatti i portici erano decorati nella parte superiore, nell’attico, con cariatidi
alternate a scudi, che erano sostanzialmente imagines clipeates, cioè scudi che recavano al centro teste di
divinità, in particolare fra queste figurava Giove-Ammone. Erano degli scudi (img. ricostruzione) che si
riferivano alle Province che dopo la conquista erano entrate a far parte dell’impero e in particolare vi era un
chiaro riferimento all’ultima conquista e all’ultima annessione di Augusto, cioè a quella dell’Egitto, che era
divenuta sostanzialmente una sorta di proprietà privata dell’imperatore. Vediamo qui il modello a cui le
Cariatidi si ispiravano, un modello classico, sono le cariatidi che ornavano l’Eretteo, un monumento che si
trovava sull’acropoli di Atene. Vediamo qui una ricomposizione di una partitura dell’attico dei portici del
Foro di Augusto, che è stata ricostruita attraverso elementi frammentari nel Museo dei Fori Imperiali, che si
trova all’interno dei Mercati Traianei a Roma, quindi a poca distanza dal Foro di Augusto.
Una particolarità architettonica di questo nuovo spazio destinato alle attività tipiche del Foro, quindi uno
spazio polifunzionale, perché era destinato da un lato ad attività di tipo commerciale, dall’altro
all’amministrazione della giustizia, poi naturalmente anche a funzioni di tipo cultuale, un’altra particolarità
era la presenza di due esedre semicircolari, che costituivano una sorta di dilatazione dei portici e queste
due esedre avevano anche una specifica funzione, perché costituivano due ambienti, due spazi che
ospitavano i tribunali del pretor urbanus e del pretor peregrino, cioè qui venivano giudicato da un lato i
cittadini romani, dall’altro lato coloro che non avevano la cittadinanza romana. Questi due spazi che
avevano questa particolare conformazione ad esedra, probabilmente avevano come modello una soluzione
architettonica che ancora una volta proviene dal mondo greco e che si può ritrovare nel Santuario di Delfi.
A lato della Via Sacra del santuario vi erano infatti due emicicli che ospitavano le effigi dei re e degli epigoni
di Delfi, dunque probabilmente l’architetto che realizzò il Foro di Augusto, e di cui non conosciamo il nome,
prese ancora una volta spunto da un importante santuario del mondo greco, queste esedre ospitavano
infatti anch’esse una serie di sculture che rispondevano a un ben preciso programma figurativo. Il muro di
fondo delle esedre presentava infatti delle nicchie quadrangolari inquadrate da semicolonne di cipollino e
all’interno ospitavano una serie di statue marmoree. Queste statue marmoree rispondevano a un ben
preciso programma figurativo, un programma statuario che intendeva presentare una sorta di storia
romana figurata, la storia romana ricostruita attraverso i suoi personaggi più importanti, a partire dai
fondatori di Roma per passare poi attraverso le personalità, gli uomini che avevano fatto grande Roma. Si
trattava di una serie di statue, di cui in parte conosciamo l’identità, perché alla base di ogni statua vi era
apposto un titulus, mentre una targa sottostante riportava l’elogium, quindi ogni statua era dotata di due
iscrizioni, titulus ed elogium, il titulus riportava le cariche, mentre l’elogium riportava le imprese; al di sopra
dovevano invece trovarsi elementi decorativi, probabilmente dei trofei. Ecco come doveva presentarsi una
delle esedre, (img. esedra nord) dove uno spazio particolarmente di rilievo era lo spazio centrale, dove era
collocato il gruppo statuario più importante, questo sia da una parte sia, specularmente, dall’altra. A nord si
doveva trovare il gruppo statuario che raffigurava Enea, in fuga da Troia, che portava sulle spalle il vecchio
padre Anchise e per mano conduceva Ascanio. Dall’altra parte faceva pandan a questo gruppo statuario il
gruppo di Romolo, fondatore di Roma, raffigurato in abito militare, mentre porta sulle spalle Acrone, il re
dei Celiniensi da lui battuto. Riconosciamo ben 25 di questi personaggi sulla base in parte delle iscrizioni ma
anche in parte dalle fonti che ce ne parlano. Il gruppo di Enea era affiancato poi da Iulo, il figlio, fondatore
della dinastia dei Giuli, della famiglia della gens e poi dinastia dei Giuli, poi i re di Alba Longa, mentre
dall’altra parte affiancavano Romolo i summi viri, cioè le grandi personalità del passato che avevano fatto
grande Roma. Queste statue si dispiegavano poi sul muro di fondo della galleria dei portici.
Il programma scultoreo era dunque molto ricco e articolato, si presentava come una sorta di galleria di
imagines maiorum e il programma scultoreo si doveva concludere al centro della piazza, oggi non visibile,
dove doveva trovarsi la raffigurazione di Augusto stesso rappresentato su un carro trionfale, dunque tutto il
programma decorativo e scultoreo andava a concludersi incentrandosi proprio sulla statua di Augusto , in
modo decisamente simbolico, era come dire che la storia di Roma, che era poi la storia della Repubblica
Romana, trovava il suo più alto e logico compimento nella figura di Augusto. Tra l’altro, si identificava la
storia di Roma con la storia della gens Iulia.
Altro elemento molto significativo era rappresentato da questo ambiente molto grande di forma quadrata
che concludeva il portico di sx sul fondo, era un’ampia sala quadrata che presso la parete di fondo recava
un basamento in cui sono state rinvenute impronte di piedi, perché doveva sostenere una grande statua,
una statua che possiamo definire colossale, infatti questa sala viene chiamata aula del colosso, una statua
colossale quindi di un personaggio di cui rimane pochissimo, negli spazi del Museo dei Fori Imperiali si
conservano infatti alcuni frammenti di quello che evidentemente doveva essere un acrolito, cioè una statua
che presenta soltanto le parti nude di marmo. Era un acrolito appartenente ad una statua per cui si è
proposta un’identificazione con il Genius Augusti, cioè il genio protettore dell’imperatore Augusto, sono
delle parti in marmo greco, in marmo pario, che era poi il marmo in cui era realizzata anche la statua di
Augusto di Prima Porta, e accanto a questi frammenti sono stati rinvenuti anche alcuni pezzi di lastre di
marmo bianco, che presentano però evidenti tracce di pittura, erano quindi lastre dipinte in colori molto
pregiati, perché la decorazione era realizzata in ceruleo, rosso e oro, e queste lastre andavano a comporre
un rivestimento parietale, che doveva trovarsi sull’area di fondo dell’aula del colosso, che attraverso la
pittura raffigurava una sorta di tessuto decorato, con motivi decorativi tratti dal repertorio classico, che
rassomigliano anche a bordure di tappeti e di tessuti. Su questo sfondo doveva trovarsi la statua del Genius
Augusti, vediamo qui una proposta ricostruttiva, mentre le pareti laterali erano in parte prive di
rivestimento, cioè presentavano delle nicchie poco profonde, nelle quali, anche sulla base della
testimonianza delle fonti, si ritiene potessero trovare collocazione una serie di quadri, quadri del famoso
pittore Apelle, che dovevano raffigurare Alessandro Magno e qui ancora una volta abbiamo il riferimento a
questo grande condottiero, questo grande personaggio della storia passata, con cui gli imperatori spesso
miravano a identificarsi.
Dunque, da tutto questo programma decorativo, questo programma statuario, emerge chiaramente il
significato propagandistico e autocelebrativo di Augusto, che però con grande acume e intelligenza svolse
una politica molto cauta, una politica che non mirò mai a esaltare in modo diretto ed esplicito la propria
figura di monarca, mentre era l’errore che aveva fatto Cesare, che aveva reso espliciti i suoi intenti
monarchici, addirittura rivelando un’idea potenziale di divinizzazione del dittatore, una cosa a quei tempi
ancora inaccettabile, soprattutto dalla parte più conservatrice dell’aristocrazia senatoria, Augusto invece
molto intelligentemente recupera la tradizione, fa una sorta di compromesso fra tradizione e innovazione e
però velatamente, senza dirlo in modo troppo esplicito, egli identifica la storia di Roma con la storia della
famiglia Giulia, dunque velatamente inserisce questa idea che la logica conclusione della storia
repubblicana di Roma possa essere il principato. Che in realtà Augusto fin dall’inizio, almeno a partire dalla
conquista dell’Egitto, avesse maturato degli intenti dinastici in realtà è molto chiaro, se solo pensiamo alla
costruzione del mausoleo nel 28 a.C., mausoleo che richiama modelli ellenistici, che era destinato a
ospitare le ceneri dei suoi famigliari, quindi proprio con intenti dinastici, oppure se pensiamo sempre nel 28
a.C. la dedicazione del tempio di Apollo sul Palatino, tempio che era direttamente collegato alla casa privata
di Augusto, dunque questa idea di essere il capostipite di una dinastia traspare da una serie di iniziative da
parte di Ottaviano, quando none ra ancora Augusto (il titolo gli fu conferito dal Senato nel 27 a.C.).
Ricordiamo poi come questo Foro di Augusto fosse molto ricco dal punto di vista decorativo, aveva
decorazioni scultoree e rivestimenti in marmi pregiati che provenivano da diverse parti dell’impero,
l’accostamento di marmi diversi non ha soltanto uno scopo ornamentale e decorativo, ma ha anche spesso
un significato politico in senso lato, nel senso che la grandezza dell’impero si richiama dalla ricchezza e dalla
varietà delle province che fanno parte dell’impero, perché i marmi provengono dalle varie province del
mediterraneo, quindi passeggiare all’interno di uno spazio così ricco di marmi provenienti da paesi lontani,
equivale quasi a passeggiare in mezzo alle province dell’impero. Il tutto poi concentrato sull’esaltazione, il
tutto converge sull’esaltazione della figura dell’imperatore, che troneggia all’interno della piazza sul suo
carro, non dimentichiamo che proprio nell’anno in cui fu inaugurato il Foro, il 2 a.C., Augusto era stato
nominato Pater Patriae, padre della patria.

Lezione 24
Abbiamo iniziato a vedere il tempio di Marte Untore nel Foro di Augusto, tempio che nel corso del tempo
assume sempre di più la funzione di punto di riferimento per la ritualità legata all’ambito militare. Fu
realizzato in seguito a un voto fatto da Augusto prima della battaglia di Filippi e fu inaugurato solo
quarant’anni dopo, nel 2 a.C. Nel frattempo, essendo dedicato a Marte vendicatore, che divenne il dio
vendicatore dei nemici di Roma, venne ad assumere un’importanza particolare da questo punto di vista,
tanto che qui, nel tempio di Marte Untore, si svolgevano alcuni dei momenti più significativi nell’ambito
della ritualità legata alla guerra, in particolare ad esempio le dichiarazioni di guerra, ma anche l’investitura
dei generali per esempio, qui si accoglievano e si facevano le audizioni dei messi, in più vi si svolgeva una
cerimonia molto importante, che era quella destinata agli adolescenti che nel passaggio all’età adulta
doveva indossare la toga virilis, diventando così cittadini romani a pieno diritto, dunque un tempio davvero
molto importante dal punto di vista politico e dal punto di vista simbolico. Questo tempio, come già nel
Foro di Cesare, occupava il lato breve, di fondo, della piazza, il tempio di Marte Untore è però più ampio del
tempio di Venere Genitrice, è un tempio di tipo italico (img. resti attuali del monumento), si elevava su un
alto podio realizzato in opera quadrata di tufo, ma originariamente rivestito di marmo bianco, la scalinata di
accesso al tempio era rivestita di marmo lunense, al suo interno racchiudeva anche un altare, di cui
vediamo qui il nucleo in opera cementizia, e in marmo bianco lunense erano anche le colonne. Il tempio
aveva un profondo pronao e in fronte presentava otto colonne, anche ai lati otto, era dunque un tempio
octastilo, periptero, ma sine postico, un tempio cioè che presentava il lato di fondo cieco. Un tempio che
nella parte esterna, in particolare nel pronao, presentava questo bel candore delle colonne corinzie in
marmo lunense, vediamo qui i capitelli delle colonne. Questa successione di elementi portanti circondava e
racchiudeva una cella caratterizzata dalla presenza in prossimità delle pareti laterali di colonne libere,
colonne che davano l’impressione di uno spazio maggiore, aumentavano l’impressione del volume della
cella e vi erano poi delle lesene retrostanti. Questa cella era caratterizzata, rispetto al pronao che
immetteva nello spazio sacro, questa cella era caratterizzata da maggiore policromia, in particolare era
policromo il marmo che ne rivestiva il pavimento, alcuni frammenti della cella e della decorazione scultorea
e architettonica del tempio sono oggi conservati nel Museo dei Fori Imperiali all’interno degli spazi dei
Mercati Traianei, in particolare possiamo qui ammirare la raffinatezza di un capitello di lesena
corinzieggiante, ornato da cavalli alati, vediamo il Pegaso, che ornava questo esemplare di capitello
proveniente dalla cella del tempio di Mars Untor.
Una cella, abbiamo detto, che doveva essere riccamente ornata, con marmi policromi, presentava
un’abside sul lato di fondo e oltre a questa, in prossimità di questa, una ampia base per un gruppo
statuario. È una base larga circa 9 m che in base alle ricostruzioni doveva portare un gruppo statuario,
dunque non vi era soltanto l’effige di Marte, in veste naturalmente militare, ma sulla base di una serie di
fonti si può affermare che la statua di Marte fosse affiancata da un lato dalla statua di Venere,
accompagnata da Eros, e dall’altro lato dalla statua del Divo Giulio. Lo sappiamo da una serie di copie che
possiamo interpretare come copie di questo gruppo scultoreo, ma in particolare vi è un rilievo del Museo di
Algeri, che molto probabilmente raffigura proprio il gruppo con al centro la statua probabilmente colossale
di Marte, barbato e vestito di abiti militari, accanto Venere vestita di chitone e accanto anche l’effige del
Divo Giulio. Vi è chi ritiene che anche una statua colossale di Marte rinvenuta nel Foro Transitorio possa
essere una copia del Marte di questo gruppo statuario che si trovava nella cella del tempio di Marte
Untore. Questa statua oggi si trova nei Musei Capitolini.
Statue analoghe, con soggetti analoghi, doveva decorare anche il frontone del tempio. Vediamo qui una
ricostruzione del gruppo statuario situato nel frontone del tempio, dove vediamo una successione di statue
che culmina con la presenza sempre di Marte al centro, ai lati troviamo la personificazione del palatino,
semisdraiata, segue l’immagine di Romolo, seduto, di profilo, che volge lo sguardo verso l’alto perché segue
il volo degli uccelli, è presente poi Venere accompagnata ancora una volta da Eros, al centro Marte, accanto
la personificazione della Fortuna, segue poi Roma, seduta e in armi e infine, semisdraiata, che fa da
pendant alla personificazione del Palatino, la personificazione del fiume Tevere. Questa non è una
ricostruzione fantasiosa, si basa su una testimonianza scultorea molto importante, si tratta di un rilievo che
venne dedicato dal Senato nel 22 per la salute di Livia e in realtà venne poi consacrato dall’imperatore
Claudio soltanto nel 43 d.C. Si tratta della cosiddetta Ara Pietatis Augustae. Sull’Ara Pietatis Augustae è
raffigurata una scena di sacrifico e accanto ad essa compare proprio la facciata del tempio di Marte Untore
e vediamo che è raffigurato anche piuttosto chiaramente il gruppo statuario che ornava il frontone, quindi
riconosciamo per l’appunto i personaggi che abbiamo appena visto.
Il tempio di Marte Untore ebbe un destino purtroppo di smantellamento e di distruzione piuttosto rapido,
perché le fonti archeologiche, l’evidenza archeologica anche, sembrano dimostrare che già in epoca tardo
romana, cioè a partire dal V secolo d.C., questo tempio cominciò ad essere spogliato. Infatti, in epoca tarda
la città di Roma subì molte trasformazioni, accenniamo giusto al fatto che lo spazio urbano subì
progressivamente una trasformazione, nel senso di una ruralizzazione degli spazi della città e la città
incominciò anche a spopolarsi, tanto che dai 500 mila e un milione di abitanti, cifra raggiunta nella prima
età imperiale, arrivò nel V – VI secolo a poche decine di migliaia di abitanti, inoltre le necropoli
cominciarono a invadere le città, nel VI secolo si diffusero anche le chiese nel centro dello spazio urbano,
ma va anche detto che dalle fonti sappiamo che nel VI – VII secolo molti monumenti dell’antichità erano
ancora in piedi, numerosi di essi erano ancora funzionanti, per esempio fonti come quella di Procopio di
Cesarea, nel suo De Bello Gotico del VI secolo d.C., elogia i Romani, perché ancora mantengono in vita e
salvaguardano le testimonianze del loro passato, un’altra fonte più tarda, del VII secolo, Venanzio
Fortunato, ci ricorda che nel Foro di Traiano avvenivano ancora delle manifestazioni e in particolare delle
letture di componimenti poetici, dunque alcuni degli spazi anche forensi dei monumenti principali del cuore
di Roma, nel VI – VI – VII secolo erano ancora in piedi, ma non solo, erano ancora funzionanti. Questa però
non dovette essere la sorte del Foro di Augusto e in particolare del tempio di Marte Untore, che cominciò
ad essere smantellato e utilizzato come cava di materiali alla fine del V secolo o all’inizio del VI secolo.
Infatti, nel corso degli ultimi venti/trent’anni si sono fatti numerosi passi avanti nella ricerca archeologica
relativa anche alle ultime fasi dell’antichità romana, quindi al passaggio fra la tarda età romana e l’alto
medioevo, in parte scavando nell’ambito dei Fori Imperiali dei lembi di stratigrafia che erano stati
risparmiati durante i grandi sterri indiscriminati degli anni ’30, dall’altro lato, approfondendo anche lo
studio delle fonti letterarie e documentarie, reinterpretando anche criticamente le testimonianze e le
notizie raccolte durante i lavori, durante gli scavi del passato. Così si è riusciti a ricostruire, anche se in
modo molto frammentario e parziale, anche una parte della storia di questi monumenti nella fase più tarda
dell’antichità romana e questo vale anche per il Foro di Augusto, che segue il destino di una serie di edifici
che caddero in disuso e furono trasformati in cave. In effetti, nell’area del tempio di Marte Untore, dove il
piano di calpestio nel V e nel VI secolo doveva essere rimasto grossomodo quello dell’età antica, è stato
rinvenuto un rocchio di colonna recante un’iscrizione, “pat Deci”, un’iscrizione al genitivo, patrici Deci.
Presenta dei caratteri connotati in modo molto specifico e in particolare la A la caratteristica della barretta
angolata, caratteristica dell’età tardo antica. Questo è il nome di un patrizio, Decius, al genitivo, perché con
questo tipo di iscrizioni al genitivo si connotavano i materiali provenienti dalle cave, cioè sui materiali che
provenivano dalle cave venivano incisi i nomi dei proprietari delle cave al genitivo.
Sulla base della ricerca toponomastica senatoriale tardo antica, questo Decius doveva essere un importante
personaggio, probabilmente vissuto o verso la fine del V secolo o i primi decenni del VI, perché in realtà
l’onomastica senatoriale di questa epoca ci fa conoscere due patrizi con il nome Decius. In ogni caso, questa
iscrizione testimonia molto chiaramente come l’area del tempio di Marte Untore, e questo rocchio di
colonna proviene proprio dal pronao del tempio, come fosse stato trasformato in cava. D’altra parte noi
sappiamo dalle fonti che vi era una legge di Marciano della metà del V secolo d.C. che permetteva ai privati
di acquistare delle aree occupate da monumenti pubblici che erano caduti in disuso e poi di disporne a
proprio piacimento e questo doveva essere stato il destino del tempio di Marte Untore, destino che
quest’area dei Fori condivide con numerosi altri monumenti caduti in disuso, ad esempio il Colosseo, dove è
stata trovata su un arco interno una iscrizione molto simile che fa riferimento a Geronti Viri Spectabili: è un
riferimento a un certo Gerontius che evidentemente era un patrizio, o comunque un personaggio che aveva
acquistato il monumento per trasformarlo in cava, per estrarre cioè materiali da costruzione.
Questa è dunque la sorte del Foro di Augusto e del tempio di Marte Untore nella tarda antichità.

Il Foro di Vespasiano e il Tempio della Pace


Il Tempio della Pace (Templum Pacis) non fu considerato subito come un vero e proprio Foro, era piuttosto
un’area giardinata cin al proprio interno il tempio della pace e fu realizzato da Vespasiano, dopo una stasi
nell’ambito delle costruzioni dei Fori durata alcuni decenni, perché dopo il Foro di Augusto, per avere un
altro spazio, che sarà uno spazio forense, dobbiamo aspettare l’epoca Flavia. Con Vespasiano viene
realizzato questo nuovo monumento, Vespasiano nel 70 d.C. venne acclamato imperatore, si trovava in
Egitto, partì subito alla volta della capitale per reclamare il trono e mandò Tito, suo figlio, a Gerusalemme.
Dopo la conquista di Gerusalemme, di cui abbiamo già parlato a proposito dell’Arco di Tito, fra il 71 e il 75
d.C. Vespasiano volle dedicare il Templum Pacis nell’area in cui precedentemente vi era il macellum, dove
volle anche esporre una parte degli oggetti, dei tesori del tempio di Gerusalemme.
Era un’area molto simile a un Foro, ma in realtà era un’area giardinata provvista di fontane, decorata e
ornata da sculture di pregio.
Quindi, questo nuovo spazio fu realizzato tra il 71 e il 75 d.C., nel 70 Vespasiano era stato acclamato
imperatore, Tito aveva conquistato Gerusalemme e anche per esporre i più importanti oggetti facenti parte
del bottino fu realizzato questo spazio giardinato, prese solo in epoca tarda il nome di Forum Pacis, era uno
spazio giardinato con fontane allungate, circondato da un quadriportico nel quale erano esposte opere
artistiche e opere scultoree in particolare. Oltre a parte del bottino di guerra, come il candelabro a sette
braccia, le trombe d’argento, provenienti da Gerusalemme, vi erano anche statue che provenivano dalla
Domus Aurea, dalla residenza neroniana e che Nerone aveva sottratto ai luoghi di origine, in particolare
Grecia e Asia Minore, vi erano le statue dei Galati provenienti da Pergamo, statue di Fidia, di Policleto, di
Leocares, vi era proprio una volontà da parte di Vespasiano di restituire al pubblico romano quelle opere
d’arte che erano state private al popolo romano dalla residenza privata di Nerone. Il Tempio della Pace si
presentava come una grande piazza circondata da portici e sul fondo presentava lo spazio sacro, lo spazio
templare dedicato appunto alla Pace, si presentava semplicemente come una grande aula absidata che era
preceduta da un imponente colonnato, erano sei colonne colossali di granito rosa, fra le più grandi mai
usate negli edifici pubblici di Roma, dunque una grande esedra con la statua di culto che in fronte doveva
essere segnalata da un frontone. L’area giardinata era molto vasta, si tratta di 135x110 m circa e nei portici
erano esposte numerose opere d’arte. In una delle due sale adiacenti al tempio, era esposta la pianta
marmorea di Roma. Ricordiamo che questo santuario andò distrutto nell’età di Commodo, nel 192 d.C., a
seguito di un incendio e venne ristrutturato da Settimio Severo fra il 203 e il 211 e proprio a Settimio Severo
dobbiamo anche la nuova pianta marmorea, la Forma Urbis, che venne collocata in un’aula accanto al
tempio. Si tratta di una pianta di Roma incisa in lastre marmoree che era orientata con il sud-est in alto ed
era in scala 240, cioè un piede romano corrispondeva a due actus. Oggi di questa pianta di rimangono più di
mille frammenti che sono stati utilissimi a ricostruire la posizione originaria di molti monumenti della Roma
antica, fra cui lo stesso Tempio della Pace, lo stesso Foro di Vespasiano. La pianta era molto grande, era
applicata su una parete e misurava 18x13 m.
Oggi di questo spazio, che fu poi definito Foro, rimane davvero poco, perché lo spazio è tagliato da Via dei
Fori Imperiali, ma rimane parte del portico di una delle esedre, perché il portico era affiancato da esedre,
oggi se ne conserva una sotto una torre medievale, che è la Torre dei Conti, si conserva molto poco di
questo spazio, in particolare si conserva una sezione delle aule laterali del tempio.
Vediamo qui una parte del colonnato e molto interessante è, sulla parte a dx del tempio, l’aula nella quale
era applicata la Forma Urbis, si conserva oggi una parete recante le tracce dell’applicazione delle grappe
che servivano per l’affissione della Forma Urbis. Vediamo qui una ricostruzione, un’area di 18x13 m
abbiamo detto, sulla quale erano applicate in 11 filari delle lastre marmoree incise e recanti la pianta della
città. Era questa l’aula laterale (quadrato a dx), probabilmente affiancata da una biblioteca e questo spazio
laterale rispetto al tempio fu a un certo punto occupato da una chiesa dedicata ai santi Cosma e Damiano,
una chiesa tutt’ora esistente, occupa sostanzialmente due ambienti fra quelli che affiancavano il tempio sul
lato di fondo del giardino e a questa struttura andò ad appoggiarsi sul lato rivolto verso il Foro Romano un
edificio a pianta circolare con una facciata concava. Questo è il cosiddetto Tempio di Romolo, che secondo
una tradizione medievale era stato dedicato da Massenzio al figlio Valerio Romolo. Vediamo questo edificio
a pianta circolare con la facciata curva e con un ingresso affiancato da colonne di porfido con capitelli di
marmo bianco, vediamo qui un’ulteriore immagine della facciata. Questo edificio è soggetto a varie
interpretazioni, c’è chi lo ha considerato semplicemente il vestibolo del Foro di Vespasiano, altri lo hanno
identificato con il tempio dei Penati, Coarelli lo ha identificato con il tempio di Giove Statore, è un tempi in
laterizi che si affaccia sulla Via Sacra, quindi si affaccia sul Foro Romano, è un elemento di raccordo fra
quello che è il Foro Romano e il Foro di Vespasiano. Questo spazio, nel momento in cui l’angolo sud-
orientale del Templum Pacis fu trasformato in chiesa, questo edificio circolare venne inglobato in questa
costruzione e venne usato come vestibolo della chiesa.

Il Foro di Nerva
Il Templum Pacis fu realizzato in un’area che era staccata rispetto al Foro di Augusto e al Foro di Cesare, in
mezzo vi era l’Argiletum, una strada che conduceva dall’area del Foro Romano verso la suburra. In età
domizianea venne realizzato un nuovo spazio forense, che fu dedicato poi nel 97 e quindi inaugurato dopo
Nerva, appunto il Foro di Nerva, questo spazio venne ad avere la funzione di raccordo fra il Foro di Cesare e
Augusto da un lato e il Foro di Vespasiano dall’altro. Un Foro che si collocava in uno spazio molto ristretto e
proprio per questo ha questa particolare pianta, una pianta molto allungata, che occupa uno spazio di
120x45 m, dunque una pianta lunga e stretta. Sul fondo presenta, come di norma, un tempio, si tratta di un
tempio dedicato a Minerva, che era una divinità a cui era particolarmente devoto l’imperatore Domiziano.
Chiaramente lo spazio è molto contenuto e quindi questo non permise la realizzazione di un vero e proprio
porticato, infatti fu realizzato un colonnato che era molto ravvicinato, realizzato a breve distanza dai muri di
fondo, muri in blocchi di peperino, che presentavano anche tutta una serie di aperture per permettere il
passaggio da un’area all’altra, vi erano quindi accessi su tutti i lati, anche un accesso per consentire il
passaggio al Foro Romano e un accesso anche sulla parte retrostante, dove si trovava un’esedra porticata a
forma di ferro di cavallo, una struttura che ci è nota dalle fonti come Porticus Absidata, infatti è nominata
dai cataloghi regionali del IV secolo, tra l’altro è raffigurata in uno dei frammenti della Forma Urbis.
Con questo porticato molto ravvicinato rispetto ai muri di fondo, per creare illusionisticamente l’idea di uno
spazio maggiore l’architetto ha pensato di presentare l’arrotondamento dei lati brevi, cioè i lati brevi sono
leggermente curvi. Notiamo poi come ai lati del tempio vi fossero dei setti murari un po’ per mascherare
soprattutto la presenza del Foro di Augusto. Da questi muri fuoriusciva, con il suo pronao, la struttura
templare, mentre il porticato presentava una trabeazione sporgente con un andamento spezzato.
Ricordiamo però che si conservavano ampi resti del tempio fino al XVII secolo, quando fu smantellato nel
1606 da Papa Paolo V per ricavarne dei materiali da costruzione, per cui oggi di questo tempio rimane
pochissimo, lo vediamo in questa immagine dell’ingombro del tempio tagliato dalla Via dei Fori Imperiali,
vediamo che si conserva a sx dell’img. il nucleo del podio del tempio, vediamo l’esedra del Foro di Augusto,
dietro si trovava la Porticus Absidata, la parte maggiore che si è conservata si trova in prossimità del Foro
Romano, a dx dell’img.
Sopra al colonnato correva una trabeazione con andamento spezzato e la trabeazione ricava un fregio che
ricordava il mito di Aracne e probabilmente altri miti legati alla figura di Minerva. Sopra il fregio, l’attico era
decorato da ulteriori rilievi, questa è una parte che si è conservata e che viene definita “colonnacce”, sono
due colonne aggettanti con una porzione anche della trabeazione e al di sopra vediamo il rilievo di una
figura femminile armata nella quale si è riconosciuta Minerva. Vediamo qui una img. del fregio conservato
al di sopra delle cosiddette colonnacce. Altri frammenti di rilievi con personaggi femminili, forse
personificazioni delle Province si trovano nel Museo dei Fori Imperiali.
Del Foro di Nerva, detto Foro Transitorio, proprio perché aveva questa importante funzione di
collegamento, ricordiamo come a partire dagli anni ‘90 in queste aree dei Fori Imperiali siano state
realizzate nuove e importanti ricerche, che non soltanto hanno riguardato dei lembi del deposito
stratigrafico, che si erano conservati dopo gli sterri degli anni ’30, ricordiamo tra l’altro che i lavori per la
realizzazione della Via dell’Impero sono lavori eseguiti in tutta fretta, perché la via trionfale doveva essere
pronta per il decennale della marcia su Roma, quindi i lavori furono condotti anche in maniera un po’
affrettata, di conseguenza si sono anche conservate alcune parti della stratigrafia, che altrimenti è stata
completamente asportata e distrutta, un deposito che va dall’età tardo romana fino all’epoca
rinascimentale, in ogni caso ricordiamo che a partire dagli anni ’90 si sono fatti nuovi scavi che sono andati
a indagare proprio questa parte più recente della storia di Roma e inoltre si sono anche presi ulteriormente
in considerazione, c’è stato tutto un approfondimento anche su quelli che sono i dati d’archivio, in
particolare i diari di scavo degli assistenti agli scavi dell’epoca. Cosa si è ricavato da queste nuove ricerche: il
piano di calpestio per esempio in questa area del Foro Transitorio rimase il medesimo per molto tempo,
anche se con alcune variazioni di percorso, comunque fino all’VIII – IX secolo d.C., poi si è notato che nel IX
secolo il piano di calpestio venne rialzato con un riporto di terreno da coltivazione, un terreno molto grasso,
di circa 50 cm, e fu realizzato anche un nuovo percorso sopra questo nuovo piano di calpestio, inoltre
furono realizzati una serie di edifici a pianta rettangolare, che vengono realizzati con blocchi di tufo di
reimpiego. Vediamo una ricostruzione di come doveva presentarsi nel IX secolo il Foro Transitorio, che
presentava ancora in gran parte il suo muro di recinzione, con il suo colonnato e il tempio sul fondo, ma la
cui area si era trasformata in senso rurale ed erano stati realizzati alcuni edifici, affiancati da aree recintate,
utilizzate come orti e come recinti per gli animali, queste strutture abitative hanno in particolare questa
struttura dotata di portico, quindi una domus porticata, è anche dotata di secondo piano e, sembrerà
strano pensando alla Roma monumentale, ma si tratta di un tipo di edificio aristocratico, cioè appartenente
alla classe elevata della gerarchia sociale in epoca Alto Medievale. Vedimao quindi anche la trasformazione
nella prima età medievale di uno spazio come quello del Foro, d’altra parte ricordiamo che le più recenti
ricerche hanno messo in luce e studiato, analizzato anche le evidenze archeologiche relative proprio a
questi “secoli bui”, che hanno messo in evidenza la presenza di strutture abitative e strutture anche
abitative, come officine e botteghe, non solo in questa parte dei Fori Imperiali, ma ad esempio anche nel
Foro Romano, nelle aree della Basilica emilia e della Basilica Iulia.

Lezione 25

Il Foro di Traiano
Il Foro di Traiano è posizionato nell’area nord-ovest dei Fori di Cesare e di Augusto. Si tratta del Foro più
grande, che occupa quasi 1/3 dell’intera area dei Fori Imperiali, dunque una costruzione davvero
monumentale, realizzata tagliando la sella che univa il Campidoglio al Quirinale. Questo grande complesso
fu costruito a partire dal 107 d.C., fu inaugurato nel 112 e se ne attribuisce la realizzazione al grande
architetto di Traiano, Apollodoro di Damasco. Traiano contava molto su Apollodoro di Damasco, aveva
grande fiducia in lui e gli affidò la realizzazione di numerose opere e anche grandiose, tra queste ricordiamo
per esempio il porto di Traiano, le terme di Traiano, ma anche il pinte sul Danubio, che è raffigurato sulla
colonna traiana, infatti Apollodoro di Damasco aveva accompagnato l’imperatore in Dacia e tutto il Foro di
Traiano in effetti è una celebrazione proprio delle sue vittorie sui Daci, infatti la costruzione inizia nel 107,
cioè dopo il termine delle guerre daciche, che si datano al 101 – 102 e 105 – 106, a cui farà riferimento
anche la colonna traiana, che si aggiunge poi a questa realizzazione monumentale nel 113 d.C. Apollodoro
di Damasco, grande architetto di Traiano, ma non altrettanto amato da Adriano, sembra che abbia pagato
con la morte la sua contrarietà, le sue affermazioni critiche nei confronti delle scelte architettoniche di
Adriano, in particolare in relazione al Tempio di Venere e Roma. Apollodoro di Damasco realizza questa
grande opera monumentale, l’ultima delle grandi piazze dei Fori Imperiali e fu costruita, come da
tradizione, con il bottino di guerra, con il ricavato della preda bellica, cioè ex manubiis, una tradizione che
risaliva all’età repubblicana, quella in base alla quale il generale trionfatore doveva destinare una parte del
ricavato del bottino proprio alla realizzazione di un monumento che ricordasse e commemorasse la sua
vittoria e questo era avvenuto nel caso di Cesare e anche nel caso del Foro di Augusto.
Il Foro di Traiano, sappiamo dalle fonti, era ancora ben conservato nella tarda età romana, nel IV secolo d.C.
abbiamo la testimonianza di Amminao Marcellino, che ci racconta come durante la visita dell’imperatore
Costanzo II, dopo la metà del IV secolo, a Roma e in particolare al Foro di Traiano, l’imperatore rimase
molto colpito dallo splendore e dalla bellezza del Foro, in particolare dalla statua equestre che troneggiava
in mezzo alla piazza. Anche tra le altre fonti è particolarmente significativa quella di Venanzio Fortunato,
che per il VII secolo attesta ancora la lettura di componimenti, quindi le esecuzioni di letture all’interno del
Foro di Traiano, che quindi era ancora utilizzato, poi il Foro probabilmente subì gravi danni a seguito del
terremoto dell’inizio del IX secolo, poi sembra che le fonti tacciano a questo proposito, tra l’altro abbiamo
visto che durante l’Alto medioevo ci fu una grande trasformazione dell’assetto urbano della città e le aree
corrispondenti ai Fori subirono delle trasformazioni profonde in senso di ruralizzazione del paesaggio, con
anche la realizzazione di nuovi edifici realizzati utilizzando materiale di riuso, di spoglio, quindi
smantellando gli edifici antichi, e abbiamo visto come già a partire probabilmente dalla fine del V secolo –
inizio VI alcune aree monumentali fossero usate come aree per estrarre materiale edilizio.
Torniamo al Foro di Traiano. Vediamo due planimetrie, in quanto questa piazza monumentale è oggetto di
numerosi dubbi e ancora oggi di controversie, è aperto ancora il dibattito, insomma, relativamente alla sua
articolazione. Se guardiamo alla planimetria del Foro di Traiano che era la pianta ufficiale fino a pochi
decenni fa, fino alla fine del secolo scorso, possiamo notare la presenza di un tempio in posizione assiale
sulla parte terminale del Foro, nell’area nord-occidentale, e la presenza di un arco trionfale a quello che si
riteneva essere l’ingresso dalla parte del Foro di Augusto. Se guardiamo la planimetria più recente, che è
divenuta la planimetria ufficiale, notiamo delle differenze notevoli, specialmente relativamente al lato
nord-ovest, con la scomparsa del tempio e anche sul lato sud-est, dove non troviamo più l’arco trionfale.
Dunque, nel corso degli ultimi venti/trent’anni sono stati eseguiti nuovi scavi e si sono realizzate nuove
ricerche e riflessioni, che hanno portato anche a nuove ipotesi ricostruttive e a nuove proposte, d’altra
parte teniamo presente che la planimetria realizzata all’indomani degli sterri degli anni ’30 si basava su
pochissimi elementi, all’inizio degli anni ’30 si fecero grandi lavori di scavo che distrussero tutto il quartiere
medievale e rinascimentale di questa area, ma questi lavori non portarono ad una documentazione precisa
e puntuale di questo veniva rinvenuto, in quest’area, nell’area dove veniva ricostruito il tempio, in realtà le
evidenze erano davvero poche, il tempio era sostanzialmente un’ipotesi ricostruttiva per cui mancava una
vera e propria verifica archeologica.
Partiamo dagli elementi più certi. Noi possiamo innanzitutto constatare la presenza di una piazza, una
piazza molto ampia, perché si tratta di un’area di circa 110x85 m, dunque una piazza decisamente grande,
l’intera area del Foro raggiunge i 300x180 m e questa piazza era fiancheggiata sui lati lunghi da due
profondi portici colonnati. La piazza stessa era pavimentata con lastre di marmo lunense, di cui non si è
trovato quasi nulla, solo due lastre sono sopravvissute. Ai lati due profondi portici, con due grandi esedre,
due grandi spazi a forma di emiciclo. La piazza era chiusa a nord dall’amplissimo spazio della Basilica Ulpia,
questo enorme spazio coperto, la basilica più grande realizzata a Roma, tra l’altro disposta in modo molto
originale, perché disposta trasversalmente rispetto alla piazza, tanto che per attraversare la piazza e
passare da un lato all’altro si doveva attraversare la basilica. Dietro la basilica era presente un ulteriore
spazio, un cortile quadrangolare dove trovò posto la colonna coclide e ai lati due ambienti gemelli
interpretati come biblioteche.
Originariamente si riteneva che l’accesso dalla parte del Foro di Augusto fosse segnato dalla presenza di un
arco trionfale, perché questa idea si basava sulla raffigurazione effettivamente di un arco, accompagnato
dalla dicitura Forum Traiani, su un’emissione monetale dell’epoca di Traiano. Anche su un’altra moneta
compare la famosa statua equestre, l’Equus Traiani, che doveva troneggiare al centro della piazza ed è una
statua equestre di cui in scavi recenti si sono rinvenuti i resti del basamento, ma della statua naturalmente
non è rimasto nulla.
Vediamo il portico. Abbiamo qui un’immagine che ci mostra il portico orientale con la comparte dell’esedra
e qui una ricostruzione di come doveva presentarsi questo profondo portico che presentava al di sopra del
colonnato, colonnato corinzio, un attico ornato da statue di Daci prigionieri, i prigionieri Daci vengono
raffigurati in atteggiamento di sottomissione, con la funzione di Cariatidi, quasi a voler sottolineare, a voler
trasmettere l’idea simbolicamente della potenza dell’impero che si fonda sulla conquista e sulla
sottomissione dei nemici. Accanto alle statue, a queste realizzazioni scultoree, abbiamo imagines clipeate,
cioè gli scudi che recano al centro busti e una parte di questa decorazione scultorea è oggi conservata negli
spazi del Museo dei Fori Imperiali presso i Mercati Traianei. Vediamo qui alcuni elementi frammentari di
statue di Daci, una bella testa di dace e alcuni frammenti delle imagines clipeate.
Altro elemento che possiamo ritenere sicuro è quello della basilica, una realizzazione monumentale,
l’edificio fu inaugurato nel 112 d.C., un grande edificio destinato a svolgere un ruolo dal punto di vista
giuridico, lo possiamo considerare un immenso tribunale, dunque vi si svolgevano i processi e la sua
importanza dal punto di vista delle funzioni giuridiche è proprio sottolineata dalla grandiosità
dell’architettura, era infatti una struttura a cinque navate, l’altezza doveva raggiungere circa i 40 m, noi
consociamo la planimetria anche grazie ad alcuni frammenti della Forma Urbis severiana, che riporta parte
anche di uno degli ambienti gemini di cui abbiamo parlato. Vediamo qui la planimetria dell’insieme, la
basilica e poi gli spazi retrostanti, basilica a 5 navate con 4 navate laterali minori, che misurano 6 m di
profondità, e una grande navata centrale di 25 m di larghezza. Ai lati si trovavano due ampie strutture ad
emiciclo e si ritiene che proprio qui avessero sede i tribunali, tra l’altro nella basilica dovevano anche essere
conservati gli archivi relativi proprio ai processi, quindi tutta una documentazione relativa ai processi che
qui si svolgevano. L’interno di questa struttura era molto lussuoso, anche in scavi recenti, dei primi anni
2000, sono stati rinvenuti parti del pavimento, un pavimento realizzato in marmi policromi. Vediamo
un’immagine ricostruttiva di come poteva presentarsi la parte interna della basilica, con due paini, un piano
superiore che permetteva di seguire i processi e le attività che vi si svolgevano dall’alto, prendeva l’edifico
anche luce dalla parte alta, vi si trovavano colonne in granito grigio provenienti dall’Egitto e in marmo
cipollino, le colonne in granito grigio erano proprio tipiche di questo Foro di Traiano, tanto che poi i lapicidi
di epoca rinascimentale chiamarono il granito grigio egizio di questo tipo “granito del Foro di Traiano”,
proprio perché era molto frequente il rinvenimento in questa area. Non mancavano poi i marmi policromi,
quindi doveva essere un edificio non solo grandioso, non solo dall’architettura grandiosa, ma anche molto
lussuoso e decorato all’interno con grande dispendio di marmi.
Vediamo un’immagine dei resti della Basilica Ulpia, con le colonne di granito grigio, vediamo anche sul
fondo la colonna coclide. All’esterno ci fornisce un’immagine di come si doveva presentare la facciata
un’altra moneta, un sesterzio di Traiano, dove vediamo la facciata della basilica suddivisa in tre settori
verticalmente, che dovevano corrispondere ai tre ingressi che caratterizzavano la facciata, inoltre sull’attico
doveva essere presente un grande fregio ad alto rilievo. Secondo Filippo Coarelli non è da escludere che il
grande fregio traianeo che oggi si trova scomposto in quattro pannelli sull’arco di Costantino, non è da
escludere che provenisse proprio dalla Basilica Ulpia, così chiamata dalla gens Ulpia, cioè la famiglia
dell’imperatore Traiano, d’altra parte lo stesso Foro, chiamato Forum Traiani, più tardi venne chiamato
anche Forum Ulpium. Quindi, una facciata con un fregio e sopra all’attico doveva essere presente una
quadriga frontale affiancata da trofei. Vediamo qui una ricostruzione di come poteva presentarsi la facciata.
La particolarità di questo Foro tra le altre cose era che la basilica si trovava disposta trasversalmente sul
fondo della piazza. C’è chi ha messo in evidenza come questa posizione insolita si possa ricondurre a uno
schema che sarebbe quello dei principia, cioè le piazze centrali degli accampamenti militari, infatti negli
accampamenti militari la parte frontale era chiusa proprio da una basilica, inoltre, anche sulla posizione
delle due biblioteche (per lo meno questa è l’interpretazione più recente e più accreditata), due edifici
rivestiti di marmo e muniti di nicchie, in cui si sono riconosciuti gli spazi per gli scaffali che dovevano
contenere i documenti relativi agli archivi di stato, tornando all’interpretazione secondo la quale questa
planimetria, questa organizzazione degli spazi corrisponderebbe a quella dei principia, al posizione delle
due biblioteche sarebbe proprio analoga a quella dove di norma erano disposti gli archivi militari. Inoltre,
un’altra particolare e analogia è il fatto che il cortile dove fu posizionata la colonna coclide era in posizione
mediana e si trovava dove di norma, negli accampamenti militari, trovavano posto le insegne legionarie,
quindi sulla base di questa interpretazione, la piazza di Traiano richiamerebbe proprio le piazze centrali
degli accampamenti militari nell’ottica di una celebrazione complessiva dell’esercito romano,
dell’imperatore anche naturalmente, condottiero, imperatore vittorioso, e della potenza militare
dell’impero.
I due ambienti gemini dietro la Basilica si trovano ai lati di un cortile porticato, una corte, all’interno della
quale fu situata la colonna traiana, colonna che fu dedicata nel 113 insieme al nuovo tempio di Venere
Genitrice, che venne appunto rifatto, perché i lavori per la costruzione del Foro di Traiano, per la
sistemazione dell’area, gli sterri dovuti all’eliminazione della sella presente fra Campidoglio e quirinale,
avevano necessitano il rifacimento delle strutture e in particolare del tempio del Foro di Cesare. La colonna
coclide di Traiano è un monumento del tutto originale, il primo nel suo genere, si tratta di un monumento
innalzato alla gloria dell’imperatore e dell’esercito romano, perché è caratterizzato da un rilievo di carattere
storico-narrativo che si svolge per quasi 200 m sul fusto della colonna e fa riferimento ad episodi delle
guerre daciche, combattute da Traiano in Dacia fra il 101 – 102, 105 – 106. Questa colonna, alta 100 piedi,
doveva essere in origine colorata, un monumento policromo, e si elevava poggiando su un toro a forma di
corona di alloro, fa naturalmente riferimento al tema della vittoria e del trionfo; questo toro a sua volta
poggiava su un basamento a forma di parallelepipedo, decorato con cataste di armi, Vittorie, aquile che
sorreggevano festoni, recava un’iscrizione dedicatoria, una porta immetteva a un ambiente interno e a una
scala, che conduceva alla sommità della colonna, sommità sulla quale troneggiava la statua dell’imperatore,
una statua che poi nel XVI secolo fu sostituita dalla statua di San Pietro. All’interno di questo monumento
sappiamo che trovò poi posto l’urna con le ceneri dell’imperatore e della moglie Plotina.
Fin qui abbiamo visto gli elementi che sono ben noti e che si conoscono con una relativa certezza, elementi
su cui si hanno delle certezze. Nel campo dell’incertezza rimane tutta l’articolazione dell’area del Foro di
Traiano a nord della colonna traiana. Ce ne rendiamo conto osservando quella che è la planimetria ufficiale
di quello che è il Foro di Traiano, nella quale notiamo in particolare l’assenza di un edificio templare sul
fondo della piazza. Ricordiamo che il tempio sul lato di fondo caratterizza tutte le altre piazze monumentali
dei Fori imperiali e in effetti fino alla fine del secolo scorso, la planimetria comunemente utilizzata, quella
accettata dagli studiosi, prevedeva proprio la presenza di un tempio sul fondo, racchiuso entro una
struttura a ferro di cavallo, un grande tempio octastilo, dedicato al Divo Traiano e a sua moglie Plotina.
Questo tempio era stato ipotizzato già a partire dagli sterri degli anni ’30, anche se per la verità questa
ricostruzione non poggiava su una evidenza archeologica certa, però si riteneva che di norma i Fori
terminano sul lato di fondo con un tempio, quindi avrebbe fatto specie l’assenza di un tempio in questo
caso proprio nel Foro più grande, ed è poi vero che nell’area della colonna traiana e nell’area a nord di essa
si erano verificati a partire dal Cinquecento una serie di ritrovamenti di fusti di colonne monumentali, fusti
di colonne di granito grigio proveniente dalle cave egizie, che si riteneva giustamente dovessero far parte di
una struttura monumentale, si era quindi pensato al tempio del Divo Traiano e di Plotina, tempio che
Adriano aveva dedicato post mortem “parentibus suis”, cioè ai suoi genitori, naturalmente adottivi. Questo
tempio è per altro testimoniato dalle fonti letterarie, in particolare dai cataloghi regionali del IV secolo e
anche dagli istoria augusta, che ci fanno sapere che questo sarebbe l’unico edificio sul quale Adriano
avrebbe apposto il proprio nome, infatti possediamo testimonianza di questo in un frammento di epigrafe,
conservata ai Musei Vaticani, dove appare il nome di Adriano e la dedica ai Parentibus suis, quindi vi è la
testimonianza di questo tempio, ma la certezza su dove fosse, quella non l’abbiamo. Negli anni ’30 si
propose questa ricostruzione, questo è il grande plastico di Cismondi del Museo della Civiltà Romana,
vediamo che si ipotizzava questo grande tempio octastilo sul fondo della piazza, che si ispirava a
testimonianze di tipo numismatico e questa ricostruzione fu accettata per molti decenni, fino a che, verso la
fine del secolo scorso, negli anni ’90, vennero eseguiti degli scavi archeologici nell’area a nord della colonna
traiana, cioè nell’area di un grande palazzo, Palazzo Valentini, che come vediamo ha un orientamento
leggermente divergente rispetto all’asse e all’orientamento del Foro di Traiano. Nei sotterranei di Palazzo
Valentini, questi scavi misero in evidenza la presenza di alcune strutture attribuibili a edifici abitativi, che
furono poi identificati con due domus, chiamate domus A e domus B, con fasi che vanno dal I al V secolo
d.C., di cui abbiamo già parlato per le interessanti soluzioni di musealizzazione. Edifici abitativi quindi, e
proprio per questo, in particolare l’archeologo che aveva seguito queste indagini, Roberto Meneghini,
escluse che in questa area potesse trovarsi il monumentale tempio che era stato ipotizzato fino ad allora,
dunque in alternativa alla presenza di un tempio, attribuì le evidenze archeologiche raccolte fino ad allora e
in particolare queste grandiose colonne di granito, il cui diametro si aggira intorno all’1,9 m, attribuì queste
evidenze alla presenza di un grande portico, una specie di gigantesco pronao che doveva essere un portico
monumentale, posto all’ingresso nord del Foro e che doveva consentire l’accesso al Foro di Traiano dalla
parte del Campo Marzio. Questa è la versione che per il momento si ritiene quella più accreditata, la
versione ortodossa per così dire, che troviamo anche sul sito della Soprintendenza. A quell’epoca Roberto
Meneghini, ipotizzando la presenza di questo grande portico di ingresso, che poi tra l’altro, a suo parere,
doveva corrispondere a duna struttura chiamata Platea Traiani, testimoniata da una fonte tarda, non
essendoci il tempio su questo lato nord, Meneghini ipotizzò che il tempio potesse eventualmente trovarsi
sul lato sud. Ricordiamo che fino ad allora il lato sud del Foro di Traiano non era ben conosciuto e si
ipotizzava l’esistenza di un lato di fondo di Forma curvilinea. Fra il 1998 e il 2000 vennero eseguiti nuovi
scavi dalla soprintendenza capitolina e questi scavi riservarono delle sorprese, perché innanzitutto
permisero di constatare che il lato di fondo della piazza non era una struttura curvilinea, bensì una struttura
trisegmentata, riccamente ornata di marmi, presentava in facciata una serie di colonne monolitiche,
realizzate con marmi diversi e colorati, ricordiamo che qui c’è un’abbondanza, quasi un dispendio dell’uso
dei marmi colorati, che vanno dal pavonazzetto, dal cipollino, il giallo antico, marmo proveniente dalle cave
dell’attuale Tunisia, quindi ricchezza di marmi. Alle spalle di questa struttura di fondo, anziché trovare un
tempio, si rinvenne una struttura molto particolare, la cui funzione non è ancora ben nota, si tratta di un
ambiente scoperto, una sorta di corte circondata su tre lati da portici, una corte dunque porticata che
faceva sostanzialmente da pendant rispetto alla corte dove si trovava la colonna traiana, anche questo uno
spazio riccamente ornato di marmi, ma che non doveva costituire l’ingresso principale, era comunque un
elemento di collegamento fra il Foro di Traiano e il Foro di Augusto. Vediamo un disegno ricostruttivo di
questa struttura, il lato di fondo della piazza trisegmentata, vediamo la ricostruzione di questa corte
porticata, poi un’immagine ricostruttiva della facciata, una facciata monumentale, ornata in modo
estremante ricco, una facciata che doveva essere coronata da una statua dell’imperatore vittorioso su carro
trionfale, comunque tutta una serie di elementi che non ci si aspettava di rinvenire e che comunque
mettevano in evidenza l’assenza di un tempio dedicato a Traiano sul lato sud. Di conseguenza bisognava
capire dove potesse trovarsi questo tempio, che è comunque testimoniato dalle fonti. Meneghini avanzò
l’ipotesi che i due edifici normalmente identificati con delle biblioteche, potessero rappresentare invece
due tempi dedicati a Traiano e a Plotina. Un illustre archeologo, Eugenio La Rocca, ipotizzò addirittura che il
tempio si potesse identificare con l’area porticata, dove si trovava la colonna traiana, o addirittura con tutto
lo spazio del Foro di Traiano, perché con templum in latino si intende non uno spazio costruito, non
necessariamente un edificio coperto, ma semplicemente lo spazio consacrato dall’augure, quindi
eventualmente anche uno spazio scoperto. In realtà va anche detto che proprio il fatto di non avere
rinvenuto evidenze relative a un tempio sul lato sud, cominciò a riportare in auge l’ipotesi che il tempio
potesse trovarsi proprio sul lato nord, anche se per la verità la versione ufficiale per il momento non accetta
questa ipotesi, nel sito della Soprintendenza vediamo la ricostruzione di un grande tempio a nord della
colonna traiana che viene definito “il tempio che non c’è”, si dice infatti nel sito della Soprintendenza che
nel Foro di Traiano il tempio mancava. Altri archeologi invece non la pensano così e proprio negli ultimi anni
è ritornata in auge l’ipotesi dell’esistenza di un tempio situato a nord della colonna, dedicato in epoca
adriane a Traiano e Plotina.
Accenniamo all’ipotesi avanzata nel 2007 da Amanda Clardige, che al momento però sembra del tutto
superata. Questa studiosa aveva ipotizzato, osservando proprio la planimetria di Palazzo Valentini, che il
tempio più piccolo rispetto a quello ipotizzato fino ad allora (ipotizzava un tempio esastilo) potesse trovarsi
proprio in corrispondenza del cortile del Palazzo Valentini e che questo palazzo potesse riprenderne la
planimetria, in modo che la sua ricostruzione proponeva un tempio con un orientamento leggermente
divergente rispetto all’orientamento delle strutture del Foro di Traiano, quindi un tempio disassato, cioè
non in asse rispetto al Foro di Traiano. Questo sembrerebbe un’ipotesi ormai superata, perché in realtà si è
constatato che le strutture appartenenti alle domus rinvenute sotto Palazzo Valentini doveva
probabilmente proprio proseguire nell’area che la studiosa aveva ipotizzato dovesse essere occupata da
questo tempio disassato. Più convincenti sembrerebbero le proposte avanzate da Paola Baldassarri dopo
un’altra serie di campagne di scavo svoltesi fra il 2005 e il 2010, promosse dall’amministrazione provinciale,
sempre nei sotterranei di Palazzo Valentini, ma negli spazi che erano occupati dalla ex mensa provinciale,
sono degli spazi nei quali furono rinvenuti una serie di strutture murarie appartenenti a un sistema di
sostruzioni voltate importate su ambienti accoppiati, disposti su un asse nord-sud che corrisponde
esattamente all’asse del Foro di Traiano, dunque secondo la studiosa questi ambienti voltati potrebbero
costituire le sostruzioni di un grande edificio, in particolare di un tempio elevato su grande podio ed elevato
in epoca adrianea, perché i bolli laterizi rinvenuti in queste strutture rimandano proprio all’età di Adriano,
al 121 d.C., dunque Paola Baldassarri propone la presenza di un tempio sul fondo quindi del Foro di Traiano,
un tempio octastilo, periptero, sine postico, realizzato su un podio in muratura che originariamente doveva
essere rivestito di marmo e il cui colonnato sarebbe stato costituito proprio da quelle colonne monumentali
gigantesche di granito grigio rinvenute a più riprese nell’area. Questo podio dovrebbe essere impostato su
una sostruzione costituita da ambienti a volta accoppiati.

Lezione 26

Mercati di Traiano
Una strada lastricata in basalto separava l’emiciclo del lato orientale del Foro di Traiano da un complesso
architettonico monumentale, che viene considerato un capolavoro dal punto di vista dell’ingegneria
romana, quello chiamato Mercati Traianei, un complesso realizzato in laterizio, o meglio in cementizio
rivestito di mattoni.
Si tratta di un complesso articolato sul versante sud-orientale del Quirinale, e fu realizzato proprio per
contenere e rivestire il taglio a gradoni di questa parte del colle a seguito del grande sbancamento che fu
preliminare alla realizzazione del Foro di Traiano, uno sbancamento notevole, la cui altezza è
sostanzialmente pari a quella della colonna traiana, la cui iscrizione ricorda proprio quest’opera di taglio
della sella fra Campidoglio e Quirinale. I Mercati di Traiano si articolano lungo il versante tagliato a gradoni
adattandosi agli spazi disponibili e ai dislivelli creati attraverso questa opera di taglio. Il nome “mercati di
Traiano” fu attribuito a questo settore negli anni ’30, a seguito degli sterri e della scoperta di queste
strutture, si pensava infatti che la funzione dei Mercati di Traiano fosse quella di fornire ambienti e spazi
per lo stoccaggio di derrate alimentari e allo stesso tempo anche ambienti funzionali alle pratiche di tipo
commerciale. Oggi non si pensa più così, c’è stata una revisione di tutto il complesso e di quelle che erano
le interpretazioni dei vari settori, dei vari ambienti di questo complesso monumentale, si pensa piuttosto
che gli spazi fossero adibiti ad uffici e archivi che dovevano svolgere attività di tipo amministrativo anche in
relazione alle attività giudiziarie che si svolgevano nei Fori.
Riguardo la paternità di questo complesso e alla committenza, vi sono alcune incertezze, perché è chiaro
che questo complesso fu realizzato a nord-est dell’area che doveva essere occupata dal Foro di Traiano,
probabilmente subito o poco prima della costruzione del Foro e si è sempre pensato che questo complesso
chiamato Mercati di Traiano dovesse essere compreso nel progetto del Foro fin dall’inizio e che i lavori per
la sua realizzazione fossero iniziati già nel I decennio d.C. Per la verità sono stati rinvenuti dei bolli laterizi
che rimandano ad un’epoca leggermente anteriore, cioè all’epoca di Domiziano e finora si è pensato che
questi laterizi bollati potessero appartenere ad un grande stoccaggio di materiale laterizio risalente a
quell’epoca e usato poi in epoca successiva. Tuttavia, anche a seguito degli scavi degli anni 2000, si ritiene
che sia possibile che i lavori siano stati iniziati già sotto il regno di Domiziano, cioè che in quel periodo si
siano intraprese le opere propedeutiche, che dovettero precedere la realizzazione vera e propria del
complesso architettonico, cioè è possibile che il V foro dei cosiddetti Fori Imperiali fosse stato concepito da
Domiziano, forse accantonato da Nerva e poi ripreso da Traiano.
Questo grande complesso, dunque, si articola su più piani, adattandosi al taglio a gradoni del versante. Il
piano terra si apre verso il Foro con una grande esedra che circoscrive quella orientale del Foro di Traiano e
abbiamo visto che fra i due emicicli passava una strada basolata. Su questo spazio curvo si aprivano una
serie di botteghe, vediamo un’immagine di questo grande emiciclo che circoscrive quello del lato orientale
del Foro e vediamo la planimetria che ci mostra tutta una serie di ambienti aperti verso l’area del Foro,
ambienti interpretati come taverne e fiancheggiati da due aule, chiamate aule di testa. Al di sopra delle
taverne, che erano fiancheggiate da stipiti e presentavano architravi di travertino, al di sopra di queste si
trovava un corridoio voltato a botte, che presentava una sequenza di finestre ad arco, situate fra lesene e
sormontate da frontoni in laterizio. Questo complesso si articola a diversi livelli e al di sopra di questo
primo livello si trovava una terrazza, percorsa da una via, su cui si aprivano una serie di botteghe, che ora
sono rase al suolo, che si aprivano in senso opposto rispetto a quelle sottostanti. Della via, pure basolata, ci
rimane anche il nome, perché il nome si è perpetuato in epoca Medievale, si chiama Via Biberatica e
probabilmente questo nome antico deriva dal fatto che qui si aprivano botteghe destinate alla vendita di
bevande. Questa strada, in questo punto, presenta un andamento curvilineo, che si adatta e si sovrappone
a quello dell’emiciclo sottostante, aveva nella parte settentrionale però un andamento più rettilineo,
vediamo che su questa via si affacciano tutta una serie di ambienti interpretati come botteghe.
Da questa via, la Via Biberatica, partiva una ripida scala che conduceva a un grande ambiente, a una grande
aula, che poi era una grande sala a due piani coperta da crociere, una grande aula che sicuramente aveva
una funzione importante, poteva essere considerata il fulcro del complesso, da cui si passava poi, verso sud,
ad una serie di ambienti su più piani, che costituivano il corpo centrale. Questa è un’immagine della Grande
Aula, ora destinata a sede espositiva nell’ambito del Museo dei Fori Imperiali, che si articola in diversi spazi
dei Mercati Traianei.
Vediamo poi la planimetria della Grande Aula e gli ambienti del corpo centrale, che si ritiene potessero
essere adibiti a funzione di uffici per la direzione di tutto questo complesso e all’interno di questi spazi in
particolare sono distribuiti una serie di materiali rinvenuti nei Fori Imperiali, che qui trovano dal 2007 degli
spazi ostensivi particolarmente ben organizzati, si tratta sostanzialmente di un museo destinato
all’architettura antica, organizzato in cinque spazi in particolare, distribuiti all’interno di vari ambienti del
complesso, e questi spazi raccolgono soprattutto frammenti della decorazione architettonica e scultorea dei
Fori Imperiali, frammenti che sono in parte originali, in parte calchi, in parte vengono integrati per cercare
di ricomporre e ricostruire alcune partiture della decorazione architettonica dei Fori. Dunque una scelta
museografica molto apprezzabile, perché ci dà la possibilità di osservare gli oggetti rinvenuti nelle ricerche
nell’area dei Fori Imperiali, ma anche di vedere delle ricostruzioni che ci danno un’idea di come dovevano
presentarsi le architetture e le decorazioni architettoniche, nonché le decorazioni statuarie di questi Fori di
Roma.
Tornando al corpo centrale, si è ipotizzato che la sua funzione fosse quella non di spazi di tipo commerciale,
secondo l’interpretazione tradizionale, ma in base ad una rilettura più recente, si è pensato ad uno spazio di
carattere amministrativo, questo soprattutto sulla base del rinvenimento di un frammento di epigrafe, che
vediamo qui (img.), rinvenuto nell’area della Torre delle Milizie, epigrafe molto significativa, perché porta il
nome di un procurator che si chiamava Horatius Rogatus, un procurator del Forum divi Traiani, un’epigrafe
porta su un architrave, riutilizzato poi nell’area della Torre delle Milizie, che fa riferimento alla
restaurazione operata nell’area dei Fori Imperiali in seguito a un incendio nel III secolo e questo fa pensare
che il corpo centrale, o per lo meno una parte del corpo centrale dei Mercati Traianei, fosse proprio la sede
del Procurator Forum divi Traiani, cioè di chi amministrava il Foro, do conseguenza è possibile che gli
ambienti situati al piano terra potessero avere delle funzioni direttamente collegate alle attività che si
svolgevano nel Foro, mentre gli ambienti che si trovavano nella parte superiore avessero invece delle
funzioni di tipo gestionale e amministrativo. In questi termini, questo complesso dei Mercai Traianei si
presenta come una sorta di centro polifunzionale, viene quindi abbandonata quella interpretazione
tradizionale in chiave commerciale, il fatto che ci siano delle botteghe non significa necessariamente che la
funzione fosse commerciale, piuttosto si pensa ad attività pubbliche di tipo amministrativo e gestionale. Il
complesso fu soggetto a vari interventi nel corso del tempo, un intervento significativo si ebbe in
particolare in epoca severiana, si conoscono anche fasi edilizie relative all’epoca tarda, IV secolo e anche
oltre, soprattutto in una zona occupata da un’insula e poi, anche nel Medioevo il complesso, soprattutto
sull’area superiore, fu interessato da diversi interventi, in particolare oggi rimane testimonianza delle
strutture di epoca medievale, nella Torre delle Milizie, che vediamo troneggiare alle spalle dei Mercati
Traianei, torre risalente al XIII secolo, in quell’epoca fra il XII e il XIV secolo, quindi in epoca medievale,
quest’area fu interessata dalla realizzazione di una fortezza. Poi nel Cinquecento queste strutture vennero
inglobate in un convento, il convento di santa Caterina da Siena, le strutture vennero poi smantellate nei
primi decenni del Novecento e poi ricordiamo la riscoperta dei mercati Traianei e i lavori di restauro fine
anni ’20 – inizio anni ’30 a opera di Corrado Ricci.
Ricordiamo che gran parte dell’area dei Fori Imperiali con il Foro Romano fino grossomodo all’altezza
dell’Arco di Tito e del tempio di Venere Roma, facevano parte, a partire dall’età augustea, della Regio VIII
della città, perché Augusto, verso la fine del I secolo a.C., aveva suddiviso la città in XIV regioni, cioè era
passato dalle quattro originarie a quattordici, aveva anche istituito una Regio a Trastevere. Quattordici
regiones quindi che conosciamo in particolare grazie ad una fonte, quella dei cataloghi regionali, che ci è
giunta in due redazioni. Sappiamo che la Regio VIII comprendeva buona parte dei Fori Imperiali, il Foro
Romano, il Capitolium, ed era chiamata Regio octava Forum Romanum Magnum. Invece, il Tempio della
Pace rientrava nella Regio IV, Templum Pacis, nella quale era inserita anche la Velia e la valle fra Esquilino e
Viminale, compreso anche il quartiere della suburra.

Il Capitolium
Dell’VIII Regio faceva parte anche il Capitolium, che era già occupato da un abitato fin dalla media età del
bronzo, in epoca romana vi si trovava il tempio più importante della città, cioè il tempio di Giove Ottimo
Massimo, dedicato in realtà alla triade capitolina, dunque Giove, Giunone e Minerva, un tempio che è qui
presente fin dal VI secolo a.C., era stato iniziato da Tarquinio Prisco e terminato da Tarquinio il Superbo,
inaugurato nel 509 a.C. Di questo tempio oggi rimane pochissimo, alcune evidenze riguardano parti delle
fondazioni e del podio, realizzati in opera quadrata di tufo cappellaccio (?), se ne trovano in prossimità
nell’area di Palazzo Caffarelli e nell’area dei Musei Capitolini. Questi tratti strutturali hanno permesso agli
studiosi di ricostruire la planimetria di questo grande tempio, che era un tempio tuscanico, periptero sine
postico, esastilo, colonne correvano anche sui lati, vi erano poi due file di colonne dietro a quelle della
facciata che si dislocavano e si articolavano nel profondo pronao e anteriormente rispetto alle tre celle, che
dovevano ospitare le statue di culto delle tre divinità, che originariamente erano in terracotta e abbiamo
anche il nome di uno scultore, Vulca di Veio. Ad artisti di Veio è attribuita anche il grande gruppo statuario,
la quadriga, in terracotta, che doveva trovarsi sopra il frontone e decorare quindi la facciata del tempio.
Vediamo qui una possibile ricostruzione, un tempio in stile tuscanico, che si eleva su alto podio preceduto
da una scalinata che immette nel pronao. Questo grande tempio si affacciava su uno spazio molto alto, su
una sorta di piazza antistante, nella quale dovevano trovarsi secondo le fonti anche altri edifici cultuali
minori, oltre a statue e trofei, quindi un’area importantissima dal punto di vista cultuale e un punto di
riferimento fondamentale dal punto di vista religioso per Roma.
Il fastigio era ornato da questa grande statua in terracotta, che poi fu sostituita da una statua bronzea nel
296 a.C., quindi all’inizio del III secolo. Il tempio rimase grossomodo inalterato per gran parte dell’età
repubblicana, fino alla tarda età repubblicana, fu colpito e distrutto da un incendio nell’83 a.C. e poi anche
nel I secolo d.C., nel 69 e nell’80. Fu quindi rifatto in marmo, ma per motivi di conservatorismo religioso, se
ne ripropose la pianta e la struttura si perpetuò sempre uguale. Sappiamo che il tempio era ancora
ammirato per il suo splendore nel corso del IV secolo d.C.

Il Palatino e le residenze imperiali


Ci trasferiamo nella zona dove Roma fu fondata, dove anche per la tradizione Roma venne fondata da parte
di Romolo, nel 753 a.C., il luogo dove Romolo tracciò il solco primigenio e dove cinse il primo nucleo della
città con un muro e un fossato. Stiamo parlando del palatino, che corrisponde alla decima delle regiones
augustee, coincidente con l’area del monte Palatino, che costituisce il cuore della città di Roma. Il Palatino,
insieme al Campidoglio, hanno una posizione particolare, perché si trovano in prossimità del Tevere, in una
posizione ben protetta, sopraelevata rispetto alle zone pianeggianti circostanti che nella prima fase si
presentavano paludose, la posizione sopra al Tevere consentiva anche di avere il controllo sul fiume,
dunque una posizione particolarmente favorevole all’insediamento umano. Il Palatino era poi circondato da
una serie di ampie aree che lo separavano dalle alture circostanti, in particolare la valle del Velabro lo
separava dal Campidoglio, la Valle Murgia dall’Aventino, qui trovò poi posto il Circo Massimo, mentre a
nord trovò posto il Foro Romano, verso est invece si trovava l’Esquilino e una valle di cui non conosciamo il
nome antico, separava il Palatino dall’Oppio, dalle pendici dell’Esquilino. Un’altura, una sorta di sella, Velia,
collegava poi il Palatino all’Esquilino.
Questo colle ebbe un’importanza particolare dal punto di vista insediativo, perché fin dalle origini ospitò un
abitato. Mentre il Campidoglio fu destinato in particolare alle funzioni sacre e religiose, il Palatino fu
destinato invece alla funzione prevalentemente abitativa, per l’appunto trovò qui il primo nucleo della città,
poi vi si sviluppò in età repubblicana un quartiere abitativo, aristocratico, nella tarda età repubblicana
sappiamo dalle fonti che qui avevano la loro residenza i personaggi politici più in vista della città, poi in
epoca imperiale il Palatino venne occupato dalle residenze degli imperatori, tanto che il termine palazzo
deriva dal nome di questo colle.
Quindi, una serie di fasi edilizie si succedettero nel corso dei secoli e una serie di edifici da questa posizione
dominavano dall’alto la città e dominavano dall’alto la parte più importante della città, quella appunto dei
Fori, delle aree pubbliche della città, una posizione poi molto ben protetta e sopraelevata rispetto al
fondovalle. Della Roma primigenia rimane oggi molto poco, perché il Palatino nel corso dei secoli fu sede di
una continua attività edilizia, di una sovrapposizione di edifici e palazzi, che nel corso del tempo andarono
anche a cancellare le tracce precedenti, soprattutto le tracce delle abitazioni precedenti. Qualcosa però è
rimasto, in particolare sono stati trovati alcuni piccoli nuclei che si possono riferire ad un insediamento, a
un abitato che trovò posto sul palatino nel corso dell’età del ferro. Va anche detto che oggi l’area del
Palatino, che vediamo in questa img., si presenta come un grande parco archeologico, aperto, visitabile,
attivo all’area del Foro Romano, una grande area dove sono presenti le rovine di molti edifici, ed è proprio
guardando questa immagine che possiamo renderci conto dell’articolazione e della sovrapposizione di tutti
questi edifici. Una condizione particolare permise a molte di queste strutture di conservarsi, anche se in
uno stato fortemente degradato, in uno stato di cattiva conservazione, ma fatto sta che nel corso dei secoli,
posteriori all’antichità, il palatino non fu oggetto di urbanizzazione continua, anzi restò al di fuori delle
attività di urbanizzazione di epoca medievale e moderna, quindi molto si conservò nonostante i crolli, le
espoliazioni, il degrado, a un certo punto gli edifici presenti sul Palatino furono usati come cava, per
procurarsi materiali da costruzione, poi qui sorsero nel corso dei secoli edifici religiosi, in particolare chiese,
oratori, monasteri, molte aree furono trasformate in aree agricole, quindi vi trovarono posto orti, vigne,
giardini, nel Cinquecento gli orti Farnesiani andarono ad occupare l’area della domus tiberiana, poi
iniziarono le attività di scavo, di cui abbiamo notizia fin dal XVI secolo e che poi nel corso del tempo si
susseguirono in questo colle. Qui sono stati scoperti alcuni nuclei relativi al primo impianto dell’abitato, in
particolare nell’area situata a sud-ovest del colle, l’area che veniva chiamata Germalus o Cermalus, ed era la
zona del colle Palatino degradante verso il Tevere. Vediamo qui un plastico che abbiamo già incontrato, il
plastico dell’abitato arcaico, lo vediamo qui sul palatino, in particolare nell’angolo sud-occidentale,
affacciato sul Tevere, vi è il Germalus. Qui la leggenda pone l’origine della città ed effettivamente scavi
archeologici, in particolare condotti negli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale,
scavi archeologici hanno messo in luce le evidenze archeologiche relative a tre edifici, che si possono
attribuire all’abitato sorto fra il X e l’VIII secolo, cioè nell’età del ferro. Questi edifici sono stati rinvenuti
nell’area prossima al tempio della Magna Mater. Poco distante, nella zona vicina alla casa di Livia, è anche
stata trovata una tomba risalente al X secolo. In cosa consistono queste evidenze archeologiche che
possiamo attribuire alle prime abitazioni del Palatino? Consistono sostanzialmente in una serie di buche di
palo, praticate nel banco tufaceo del colle, il banco spianato e levigato, sopra a questa base spianata
vennero edificate una serie di capanne, realizzate con materiali deperibili, come legno, canne, paglia,
argilla, delle capanne di forma prevalentemente ovale, vediamo qui il modellino realizzato negli anni ’50,
che ci mostra dei pali lignei disposti sul perimetro dell’abitazione, che costituiscono proprio l’ossatura della
capanna, coperta poi da un tetto di paglia. Vi era poi una sorta di piccolo portico prossimo all’ingresso, al
centro un palo particolarmente robusto doveva sostenere il tetto, dentro la capanna trovava posto il
focolare. Questa è la ricostruzione della cosiddetta capanna A, la cui ricostruzione tra l’altro è stata resa
possibile anche da una serie di confronti tratti dalle urne cinerarie dell’età del ferro dette proprio urne a
capanna, delle urne che ripropongono nella loro forma proprio gli elementi strutturali delle capanne
dell’epoca. Sulla base di queste evidenze e di questi confronti è stato possibile realizzare anche un plastico
ricostruttivo e un disegno anche ricostruttivo di questo primo abitato. Come possiamo notare, intorno alle
case venivano scavati dei solchi, delle sorte di canalette per raccogliere l’acqua. Questo è il primo
agglomerato urbano di Roma, era posizionato sopra il fiume e possiamo identificare con questo primo
abitato il nucleo urbano da cui si formò la cosiddetta Roma quadrata, così chiamata perché realizzata sulla
sommità del colle Palatino, che aveva una forma trapezoidale, cioè il Palatino ha una struttura
quadrangolare e una sommità pianeggiante, che era particolarmente favorevole, adatta all’insediamento,
ad ospitare edifici.
Vediamo la posizione di queste evidenze in prossimità del tempio della Magna Mater (img.). Tra l’altro
questa zona, che si affaccia verso sud sul Foro Boario, è una zona particolarmente ben protetta, è una
posizione che aveva poche zone di accesso. Come vediamo in questa immagine, nella quale sono riportate
tutte le evidenze relative al Palatino, ma possiamo renderci bene conto di questa forma quadrangolare
della superficie del colle, vediamo che none erano molti gli accessi a quest’area della sommità, in
particolare vi era una via di accesso carrabile, il cosiddetto Clivus Palatinus, il clivo Palatino, nome dato in
epoca moderna a questa via che saliva verso la sommità del colle. Un altro accesso pedonale (le pendici di
questa zona erano piuttosto scoscese) era costituito dalle scale Caci, che ricordano Caco, un personaggio
mitologico che rubò i buoi e gli armenti ad Ercole e con lui si scontrò. Di queste scale rimane molto poco
oggi, ma è un accesso pedonale molto importante perché metteva in comunicazione l’area delle capanne
con la zona del Foro Boario, ai piedi del Palatino. Ai piedi della scala doveva trovarsi anche la grotta del
Lupercale, dove Romolo e Remo sarebbero stati, secondo la tradizione, allattati dalla lupa. Questa è quindi
la parte più antica dell’insediamento di Roma, che era riconosciuta come tale anche dalla tradizione.
Probabilmente nella zona dove sono state rinvenute le evidenze archeologiche delle prime capanne,
doveva probabilmente trovarsi anche la casa di Romolo, o Aedes Romuli, perché sappiamo dalle fonti che
sul Germalo aveva sede proprio la casa del fondatore di Roma, la casa di Romolo, che nel corso dei secoli fu
danneggiata, ma anche più volte restaurata, conservata con cura e riproposta per almeno cinque secoli,
perché doveva esistere ancora nel I secolo a.C. Quindi, questo angolo sud-occidentale del Palatino era ricco
di significati per i Romani, proprio perché conservava le testimonianze della fondazione della città, un luogo
quindi assolutamente importante dal punto di vista simbolico e anche dal punto di vista cultuale.
In questa zona (cerchio rosso dell’img.), in prossimità dell’area dove sono stati trovati i resti delle capanne,
fra la zona delle capanne e quella che poi sarà l’area della Domus tiberiana, fu realizzato a cavallo fra il III e
il II secolo a.C., fu realizzato un importante tempio, il tempio dedicato alla Magna Mater, realizzato fra il
204 e il 191 a.C. Il tempio della Magna Mater è un tempio molto significativo, perché fu dedicato alla
grande madre Cibele, una divinità il cui culto era praticato a Pessinunte, in Asia Minore, in particolare era
un culto aniconico, questa dea veniva adorata sottoforma di una pietra nera e nel 204 a.C., sulla base di un
responso contenuto nei libri sibillini (ricordiamo che i libri sibillini, che erano una raccolta di responsi
oracolari, erano conservati nel tempio di Giove Capitolino, sul Campidoglio), sulla base di un responso
oracolare dei libri sibillini, nel 204 a.C. i Romani introdussero questo culto a Roma, cioè portarono la pietra
nera dal regno di Pergamo a Roma e lo conservarono per un breve periodo nel tempio della Vittoria, un
tempio che era stato edificato da Lucio Postumio Megello all’inizio del III secolo e pochi anni dopo, nel 191
a.C., il culto di Cibele fu trasferito poi in un tempio apposito. Questo tempio fu poi, nel corso dei secoli,
sottoposto a diverse ristrutturazioni, rifacimenti, ma è un tempio particolarmente importante e significativo
perché venne innanzitutto introdotto a Roma in una fase particolare, nella fase di espansionismo di Roma
nel mediterraneo, va poi detto che si tratta di un culto straniero, introdotto all’interno del pomerio,
evidentemente i Romani però non lo consideravano veramente straniero, questo perché innanzitutto
Cibele era considerata protettrice di Enea, che è legato alle origini di Roma, poi proveniva dalla Troade e i
Romani identificavano proprio nella Troade le origini della città di Roma, era sostanzialmente la mitica
patria originaria di Roma. Di questo tempio oggi rimane davvero poco, vediamo qui il nucleo in cementizio,
doveva però essere un tempio probabilmente esastilo, pseudo-periptero, con un podio molto elevato, una
grande scalinata di fronte, una scalinata imponente, perché sappiamo dalle fonti che dovette essere usata
come cavea per ospitare i fedeli che assistevano ai ludi megalenses, cioè i ludi organizzati in onore della
Magna Mater. Conosciamo, si pensa, la facciata di questo tempio da un rilievo in marmo di epoca claudia
conservato a Villa Medici a Roma. Dall’area del tempio proviene poi una statua acefala della Magna Mater
in trono che oggi è conservata al Museo Palatino.

Lezione 27

La Casa di Augusto e la casa di Livia


Nell’area sud-occidentale del Palatino abbiamo visto che si trovava il tempio della Magna Mater e una serie
di evidenze sono state messe in luce in relazione alla storia più antica della città di Roma e anche al mito
della sua fondazione.
A est del tempio dedicato a Cibele, troviamo oggi i resti di una serie di abitazioni, di dimore di età tardo
repubblicana, che non furono mai distrutte dalla costruzione dei palazzi imperiali. Vediamo a est l’ampio
complesso della Domus Augustiana, mentre a nord il complesso degli orti farnesiani, che andò ad occupare
l’area della Domus Tiberiana. Accanto al Tempio della Magna Mater si trovano i resti di residenze di età
tardo repubblicana, in particolare le residenze attribuite a Ottaviano, poi Augusto, e alla coniuge, la terza
moglie di Ottaviano, Livia Drusilla. Sappiamo in effetti dalle fonti che Ottaviano risiedeva nella zona del Foro
Romano, in un primo tempo, in prossimità della Velia e nel 42 decide di trasferirsi sulla sommità del
Palatino, in particolare nell’area che era chiamata Ad Capita Bubula, cioè alle teste di bue, che poi in realtà
era l’area dove egli stesso era noto. Per fare ciò, nel 42 a.C. acquistò una domus già esistente, una domus
che era appartenuta a un famoso oratore, Quinto Ortensio Ortalo. Le fonti ci dicono che questa casa era
una domus piuttosto modesta, non era riccamente ornata di marmi e di decori particolarmente pregiati e
sappiamo anche che Ottaviano molto presto decise di ampliare questa dimora e nel 36 a.C. decise di
acquistare una serie di dimore circostanti, in particolare la casa di Quinto Lutazio Catulo, per dare il via ad
una serie di lavori di ampliamento della sua dimora, in particolare intendeva raddoppiare lo spazio relativo
al cortile, fare sostanzialmente una casa a due peristili. Della sua casa rimane una sola parte, anche perché
la zona più vicina alle pendici verso l’area del Tevere ha subito dei crolli e dei danneggiamenti, quindi oggi è
visibile, e visitabile, solo in parte. Nel 36 Ottaviano, quindi, acquisisce una serie di altre strutture per
ampliare la sua casa, ma nello stesso anno avvenne un fatto, ritenuto prodigioso, cioè un fulmine colpì la
casa di Ottaviano. Questo fatto venne interpretato come un segno fausto, il segno che la divinità Apollo
intendeva stabilirsi in quel punto e proprio in quel punto Ottaviano decise di innalzare un tempio al dio
Apollo, cosa per altro piuttosto inconsueta, perché realizzava un edificio templare, sacro, in prossimità della
propria abitazione, anzi, questo tempio divenne proprio parte integrante della propria abitazione. D’altra
parte, teniamo presente che la scelta di venire ad abitare in questa parte del Palatino non dovette essere
casuale, sappiamo infatti che in questo angolo sud-occidentale del Palatino vi fossero le testimonianze più
antiche, anche mitiche, della fondazione di Roma, con l’Aedes Romuli, la casa di Romolo, e il Lupercale,
dunque una scelta non casuale per uno che intendeva presentarsi come novello Romolo, il fondatore della
città. Nel 36 evidentemente i lavori per l’ampliamento della dimora di Ottaviano dovettero subire una
battuta d’arresto e i progetti subirono delle modifiche, delle trasformazioni proprio orientate alla
costruzione del tempio dedicato ad Apollo, tempio che poi venne dedicato nel 28 a.C., celebrando così
anche la battaglia di Azio e la vittoria di Ottaviano su Antonio.
Questa dimora augustea comprende sostanzialmente due nuclei. Più a sud si trova il nucleo denominato
Casa di Augusto, mentre più a nord si trova quella che viene chiamata Casa di Livia, perché effettivamente
al suo interno sono state trovate delle fistule plumbee, cioè delle condutture che recano proprio il nome di
Livia. Vediamo la planimetria della cosiddetta casa di Livia, notiamo la presenza di un atrio su cui si
affacciano una serie di ambienti, nelle quali sono state rinvenute alcune delle testimonianze più
significative della pittura parietale romana, in particolare riferibile al II stile. Tutta quest’aura è stata
sottoposta a un’impegnativa opera di restauro ed è stata poi aperta al pubblico. Andiamo a vedere i tre
ambienti che si aprono sul fondo dell’atrio, quello al centro tablino, e ai lati le ale. Vediamo tre ambienti
voltati dove sono state ricollocate in parte le pitture dopo l’opera di restauro. Queste pitture sono riferibili
a una fase avanzata del cosiddetto II stile pittorico (pompeiano). Fino a qualche tempo fa venivano datate
intorno al 30 a.C., poi in seguito a nuove scoperte archeologiche in questa area grazie a due studiose, Irene
Iacopi e Giovanna Tedone, le interpretazioni e anche le idee relative alla datazione di queste pitture sono
leggermente cambiate, sono state retrodatate di alcuni anni, quindi tendenzialmente questo insieme di
pitture del II stile avanzato, non viene più datato agli anni intorno al 30, ma viene retrodatato di alcuni anni,
fra il 40 e il 36 a.C.
Vediamo la pittura del tablinum, come è tipico per questa fase, vediamo che su un podio, ancora
prospettico, ma piuttosto appiattito, si elevano una serie di elementi portanti a trompe l’œil, cioè
illusionistici, sono colonne che racchiudono edicole con quadri mitologici dall’impostazione molto
classicheggiante, con una distribuzione molto equilibrata su un fondo molto chiaro e circondati da elementi
talora egittizzanti e talora sono mostri o figure alate, mostri marini, figure che nascono o si sviluppano in
tralci vegetali. Nel tablino, tra l’altro, vengono considerate anche le fistule plumbee rinvenute in questo sito
e che fanno riferimento al nome di Livia. Anche nelle ale abbiamo la raffigurazione di architetture
prospettiche, qui in particolare vediamo di nuovo il registro inferiore occupato da un podio molto
schiacciato, dove l’illusione prospettica si perde, davanti, in primo piano, abbiamo una serie di colonne
caratterizzate dalla presenza di elementi vegetali sul fusto, esse sostengono un ricco festone con elementi
sospesi e nel registro superiore abbiamo delle figure desinenti in tralci, delle figure mostruose, sono quelle
che Vitruvio definisce i monstra, quelle figure che nella realtà non esistono, quindi l’architetto non
apprezza, l’architetto non ama la pittura dei suoi tempi. Vediamo poi il triclinio, che si apre lateralmente
rispetto all’atrio, con un podio ancora una volta quasi bidimensionale, ha perso quell’impressione di
tridimensionalità, con colonne che inquadrano al centro un quadro idillico sacrale su fondo chiaro, sono
pitture che si inquadrano bene nella moda neoattica, imperante nel periodo proto-augusteo e augusteo.
A sud rispetto alla casa di Livia si articolano i resti della Casa di Augusto, in particolare oggi è visitabile una
serie di ambienti pertinenti in parte al settore privato della dimora e in parte al settore pubblico, che è poi
quello situato in prossimità del tempio di Apollo. Questi ambienti si aprivano su un’area porticata, su un
peristilio andato in gran parte perduto e conservano anch’essi delle bellissime testimonianze di pittura
parietale, oltre che mosaici molto raffinati, realizzati in tessere bianche e nere, che con la loro semplicità, la
loro eleganza, contrastano con la vivacità dei colori che si articolano sulle pareti. Questa dimora augustea
doveva articolarsi su più piani, quello che rimane visibile oggi è situato a una terrazza inferiore, inferiore
anche rispetto al livello dove si trovava il tempio della Magna Mater, una terrazza dunque inferiore di circa
9 m, vi si affacciano una serie di ambienti e va anche detto che all’interno di questo grande edificio
ampliato a partire dal 36 a.C., Augusto ricavò la sua nuova abitazione che doveva essere pronta nel 28,
perché è nel 28 che viene poi inaugurato il tempio di Apollo. Vedremo che questa decisione di realizzare il
tempio dovette portare a delle grosse trasformazioni nel paino originario di ampliamento della cosa. Una
serie di ambienti si affacciavano su uno spazio aperto, in gran parte perduto, pitture in particolare si
trovano negli ambienti numerati con i numeri 3 e 4, qui in particolare si trova la famosa stanza delle
maschera e la sala dei festoni di pino, si attribuisce questo settore all’area più privata della casa, mentre
spostandoci verso il tempio di Apollo, andiamo a vedere quella che probabilmente era la parte pubblica
della casa di Augusto. Anche qui troviamo delle belle pitture, qui doveva trovarsi un tablino affiancato da
due ale e nella n.7 troviamo in particolare resti notevoli di pittura, tutte pitture che anche in questo caso si
datano alla fase avanzata del II stile. Altre decorazioni interessanti si trovano in questa parte, dove
troviamo in particolare un oecus tetrastilo, affiancato da un cubicolo, detto cubicolo inferiore, poi da un
ambiente, segnato con il n.10, che immette ad una scala che sale al piano superiore. Nel paino superiore si
sono rinvenuti i resti di un solo ambiente, affrescato con pitture di livello elevatissimo, pitture con motivi
egittizzanti e questo studiolo, detto cubicolo superiore, sembrerebbe corrispondere a quello che Augusto
chiamava “la mia Siracusa”, cioè uno spazio privato, che come Siracusa si trova nell’area orientale,
marginale rispetto alla Sicilia, così questo cubicolo superiore si trovava in questa posizione un po’ ritirata
rispetto alla dimora augustea. Questi ambienti, appartenenti alla terrazza inferiore della dimora, secondo
gli scavi più recenti di Iacopi e Tedone, vennero a un certo punto, nella prospettiva della realizzazione del
tempio, interrati, vennero quindi smantellati, colmati di macerie e il piano di calpestio venne rialzato di ben
7 m. Questa parte fu poi tagliata da una serie di pilastri in reticolato e laterizio e da una fondazione
continua in opera cementizia, quindi tutta questa parte venne obliterata. Ciò significa che la datazione delle
pitture di questa parte della casa, tradizionalmente datate alla fase inoltrata del II stile intorno al 30 a.C.,
devono essere retrodatate, devono essere anteriori al 36 a.C., quindi si collocano fra la fine degli anni 40 e il
36 a.C.
Questa è la famosa sala delle maschere, con una raffigurazione che sembra quasi un fronte scena, una
raffigurazione con uno sfondo architettonico che, all’interno di un’edicola centrale, raccoglie ancora una
volta un paesaggio su fondo chiaro, un paesaggio connotato da un forte equilibrio, una simmetria,
all’interno compare un paesaggio di tipo idillico sacrale, perché vi compare un betilo, cioè una
raffigurazione aniconica di una divinità, in questo caso si riferisce ad Apollo. Sala delle maschere, perché
come vedimao vi è un riferimento alla scena teatrale con queste maschere teatrali. Vicino si trova la
cosiddetta sala dei festoni di pino, dove troviamo raffigurato un portico con una serie di pilastri che
sostengono ghirlande composte da elementi di pino, una decorazione molto semplice, ma anche di grande
effetto, che richiama ancora una volta le tipiche pitture con architetture illusionistiche del II stile, ma rese in
modo quasi bidimensionale, in modo schiacciato e anche un po’ schematico, tipico della fase più avanzata
di questo stile pittorico.
Vi era poi un nucleo di ambienti con un probabile tablino e due aree laterali, qui troviamo ancora una volta
una decorazione architettonica, di tipo prospettico a trompe l’œil, e invece il grande oecus si presenta più
ricco di colori, realizzato in colori vivaci, prevale il rosso cinabro, colore che insieme al ceruleo è uno dei
colori più costosi e pregiati dell’antichità. Vediamo anche qui una serie di architetture con anche motivi
cornici, fasce ornamentali decorate da elementi miniaturistici, molto ricchi e complessi. Vedimao poi il
cubicolo inferiore con ancora una volta un podio su cui si elevano colonne corinzie che inquadrano quadri
di tipo mitologico o idillico-sacrale. Vediamo poi l’ambiente con la rampa che conduce la piano superiore e
vediamo un ambiente con uno splendido soffitto a cassettoni prospettici, resi illusionisticamente a vari
colori, soffitto policromo riccamente decorato e che poi conduce al piano dove si trovava la Siracusa di
Ottaviano Augusto, la Siracusa decorata con una ricca ornamentazione sempre in II stile avanzato, vediamo
ormai l’appiattimento molo forte degli elementi prospettici, vediamo di nuovo la caratteristica della
tripartizione della parete, con registro inferiore, mediano e superiore, la presenza che sarà poi tipica del III
stile. Qui ci avviciniamo alla transizione far il II e il III stile, vediamo la presenza dell’immancabile edicola
centrale con il quadro racchiuso all’interno e troviamo ancora una volta motivi egittizzanti, come le corone,
che fanno sicuramente riferimento all’Egitto e alla sconfitta di Antonio e Cleopatra. Si è detto che proprio a
seguito delle nuove datazioni date almeno a parte di queste pitture, probabilmente il cubicolo superiore
presenta effettivamente una fase più avanzata del II stile, ad ogni modo in generale queste revisioni
cronologiche hanno portato a pensare che l’egittomania, questa diffusione massiccia di motivi ornamentali,
di elementi tratti dal repertorio dell’Egitto nelle espressioni di arte e artigianato artistico di Roma, in
particolare nella fase proto-augustea e augustea, si pensa che questa egittomania abbia avuto inizio in
realtà negli anni 40, quando Cleopatra e la sua corte furono ospiti di Cesare, fra il 46 e il 44 a.C., ma
comunque sia è sicuramente vero che poi gli elementi egittizzanti rientrarono a piene mani nel nuovo
vocabolario simbolico e propagandistico di Augusto, soprattutto a partire dal 30, a seguito della vittoria di
Ottaviano su Antonio e Cleopatra. Negli anni 20 cominciò a diffondersi in modo massiccio questa moda,
troviamo già nel 28 a.C. per esempio la presenza della raffigurazione di una corona egittizzante nel
Mausoleo di Augusto, poi comunque in pittura e nelle espressioni dell’artigianato artistico questi elementi
sono molto frequenti. Soprattutto, si fa riferimento all’immaginario isiaco, d’altra parte Iside è sorella e
moglie di Osiride, madre di Horus, il dio egizio garante della successione dinastica, ed evidentemente
Ottaviano Augusto fin dall’inizio aveva questa idea in mente, Horus si identifica anche con il dio solare
Apollo, un altro elemento di collegamento con la residenza di Augusto, e Apollo, che poi va a identificarsi
con il trionfatore della battaglia di Azio, Horus nello stesso tempo si identifica con Ottaviano stesso, in
quanto vendicatore della morte del padre. Vediamo quanti elementi simbolici si possono racchiudere in
piccoli elementi ornamentali, che sembrano a primo sguardo avere soltanto una funzione decorativa, ma
invece si caricano di molti significati simbolici, politici e propagandistici.
Ricordiamo che gli scavi archeologici in questa area furono condotti in particolare fra la seconda metà
dell’Ottocento e la seconda metà del Novecento, in particolare la Casa di Livia, ma anche parte dell’area del
tempio di Apollo, fu indagata da Pietro Rosa, archeologo e topografo che condusse questi lavori per volontà
di Napoleone III, che nel frattempo aveva acquisito gli orti farnesiani, poi le esplorazioni più significative
nell’area della casa di Augusto furono condotte da Gianfilippo Carettoni negli anni ’50 – ’60 del Novecento.
Ricordiamo comunque che quella di Rosa è un’importante figura di archeologo, sicuramente uno dei
maggiori studiosi del Palatino nell’Ottocento, insieme poi a Giacomo Boni. L’esplorazione di tutta
quest’area con anche le strutture e ciò che rimane del tempio di Apollo si deve a questi archeologi.
Ricordiamo anche che comunque la Soprintendenza, anche in temi recenti, ha portato avanti nuove
esplorazioni e nuove indagini in questa area così importante e significativa, anche per rendere questa zona
fruibile nel migliore dei modi al pubblico, anche investendo delle risorse economiche e umane davvero
notevoli.

Il tempio di Apollo
Un edificio templare, sacro, che venne a fare parte integrante della residenza di Ottaviano Augusto. Questo
tempio fu votato da Ottaviano nel 36 a.C. in seguito alla vittoria su Sesto Pompeo, nella battaglia di
Nauloco, e in particolare in seguito al fatto prodigioso della caduta di un fulmine proprio nell’area della sua
domus palatina, fulmine che si ritenne indicasse proprio il punto in cui era volontà del dio che fosse
identificato il suo tempo. Questo tempio, i cui lavori iniziarono nel 36 a.C., furono terminati nel 28. Il
tempio fu dunque terminato nel 28 a.C. e a quell’epoca evidentemente doveva anche essere terminata la
stessa domus di Augusto, per la quale erano stati condotti grossi e imponenti lavori per il rialzamento del
livello pavimentale che portò tale livello alla stessa altezza del piano su cui sorse il tempio, cancellando così
gli edifici e le strutture della terrazza inferiore della domus di Ottaviano; d’altra parte, sappiamo dalle fonti
che il 27 a.C. il Senato votò la disposizione, la dislocazione di due laurei e della corona civica proprio
all’ingresso della domus di Ottaviano Augusto. Quella della corona civica, in particolare, era un’importante
onorificenza che veniva attribuita a coloro che avevano salvato un cittadino romano o più cittadini romani,
qui si intende addirittura tutto il popolo romano, dunque un’onorificenza che possiamo considerare proprio
il simbolo del nascente principato.
Il tempio di Apollo fu dunque edificato nell’ambito della domus palatina di Ottaviano. Oggi di queste
costruzioni rimane molto poco, in particolare il nucleo è stato spogliato di tutti i suoi rivestimenti marmorei,
in marmo lunense, addirittura anche del rivestimento in blocchi di tufo, il tempio doveva essere realizzato
con ampio dispendio di marmo di Luni e viene oggi ricostruito come un tempio esastilo, vediamo che
presenta sei colonne in fronte, di cui rimane davvero poco, qualche frammento dei fusti e delle colonne,
rimane anche qualche frammento del rivestimento pavimentale, e poi era un tempio probabilmente
pseudo periptero, all’interno dovevano trovarsi le statue di culto, non si trattava soltanto di Apollo, ma la
statua di Apollo doveva essere affiancata da quella di Latona e di Diana e secondo le fonti, Plinio in
particolare, queste statue dovevano essere opera di artisti greci, quindi statue classiche, come Skopas,
Kephisodotos e Timoteos. Nel podio del tempio dovevano trovarsi degli ambienti in cui le fonti ci
trasmettono che tra le altre cose Augusto fece trasferire i libri sibillini, che come sappiamo erano una
raccolta di responsi oracolari che prima si trovavano nel tempio di Giove Capitolino.
Il tempio doveva ospitare questo gruppo statuario, si ritiene che una statua, la cosiddetta statua dell’Apollo
Barberini (vediamo qui statua conservata nella gliptoteca di Monaco di Baviera), si ritiene che questa statua
rappresenti forse una copia della statua culturale che si conservava nella cella del tempio di Apollo palatino,
un tempio coronato sulla sommità da un acroterio che raffigurava la quadriga di Apollo, la quadriga del sole
sostanzialmente. La statua di Apollo doveva essere affiancata da quelle della madre Latona e della sorella
Diana e questo gruppo statuario si ritiene possa essere ricordato da un rilievo presente sulla cosiddetta
Base di Sorrento, che presenta questa triade rappresentata da un Apollo che regge la cetra, quindi un
Apollo citaredo, che nella posa ricorda da vicino quella dell’Apollo Barberini ed è affiancato da altri due
personaggi femminili. Gli stessi personaggi sono presenti su un’ulteriore rilievo di età augustea che raffigura
una scena sacrificale dove ritroviamo queste tre divinità precedute proprio dalla figura dell’Apollo citaredo.
Vediamo una ricostruzione nella quale possiamo vedere come poteva presentarsi il tempio dedicato ad
Apollo, questa è la ricostruzione seguita dall’équipe di Andre Carandini, che ha esaminato nel complesso
tutta l’articolazione delle strutture che dovevano essere situate su questa parte del Palatino, chiamata
Germalus, e vediamo un disegno ricostruttivo dove viene raffigurata dietro la Domus Augusti, dunque la
Casa di Augusto, che secondo gli autori doveva comprendere anche la cosiddetta Casa di Livia e accanto ad
essa e strettamente legata alla residenza di Augusto vi era il tempio e il tempio si affacciava su una terrazza,
che corrisponde a quello che doveva essere il portico delle Danaidi, che fu però inaugurato qualche anno
dopo, nel 25 a.C., cioè il tempio era preceduto da una terrazza circondata da un portico riccamente ornato,
dove si ritiene di collocare anche un tempietto, forse identificabile con il tetrastilum Augusti. Il portico era
ornato con le statue in marmo nero e rosso delle figlie di Danao, appunto le Danaidi, le cinquanta figlie di
Danao, secondo la leggenda si trattava delle figlie del re di Lidia, che furono date in moglie ai figli del
fratello di Danao, Egitto. Danao ed Egitto avevano un rapporto di conflittualità e proprio per sancire la pace
avevano concordato questo matrimonio, solo che su istigazione di Danao, le Danaidi uccidono i propri
mariti, tutte tranne una, Ipermestra. È probabile che nel portico delle Danaidi, accanto alle statue delle
figure femminili è probabile che ci fossero anche le statue dei 50 mariti, su cui però si hanno poche
informazioni. Il significato simbolico di questo gruppo statuario è molto importante, perché con molta
probabilità si fa riferimento alle guerre civili, vediamo come gli elementi simbolici e anche propagandistici, i
riferimenti alle vicende recenti delle guerre civili siano molto presenti in questo contesto, probabilmente
questo mito e la sua rappresentazione attraverso queste realizzazioni statuarie doveva rimandare alle
vicende della guerra civile, del conflitto fra Antonio e Ottaviano e alla vittoria di Ottaviano su Antonio e
Cleopatra.
Raffigurazioni molto ricche, realizzate però su terracotta sono state rinvenute sempre sull’area del tempio
di Apollo, sono una serie di lastre di terracotta, originariamente dipinte, perché ancora adesso recano in
alcuni casi tracce della pittura originaria che le ricopriva, si tratta di lastre fittili chiamate lastre Campana,
nome che deriva dall’originario collezionista, Giampietro Campana, che nel corso dell’Ottocento raccolse
un’ampia raccolta di queste lastre in terracotta, decorate con scene mitologiche, in uno stile spesso
arcaizzante, stile che rientra nella tradizione del neoatticismo, che si sviluppa tra l’età proto-augustea e
l’età augustea, lastre che furono raccolte in una ricca collezione e che poi vennero vendute e disperse in
varie sedi museali. Ne vediamo qui in particolare una, sempre rinvenuta nell’area del tempio di Apollo, che
raffigura da un lato Apollo e dall’altro Ercole, affrontati ai lati del tripode, nell’atto di contesa del tripode
apollineo, simbolo di Apollo, e ancora una volta in questi due personaggi affrontati possiamo riconoscere
un rimando simbolico al conflitto fra Ottaviano e Antonio. Queste lastre Campana sono una produzione
tipica del periodo che si colloca fra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., le migliori realizzazioni sono quelle di età
augustea e di età augustea-tiberiana. Queste lastre rimandano a scene mitologiche e simboliche, ancora
conservano spesso i colori, specie i colori di fondo che le decoravano, vediamo qui per esempio una scena
con due personaggi affrontati ai lati di un betilus, che è una rappresentazione aniconica di una divinità e
quindi è il simbolo di una divinità, un oggetto con cui la divinità si identifica. Il betilo è di origine orientale,
infatti il termine deriva dall’ebraico e significa “casa di dio”. Apollo in particolare si identificava con un
betilo che spesso viene rivestito di simboli che ricordano Apollo. Questo tipo di raffigurazioni sono state
rinvenute nell’area della Casa di Augusto e del Aedes Apollinis, tra le altre cose ricordiamo anche il
rinvenimento a poca distanza, nell’area delle scale Caci di un bel frammento di intonaco affrescato che ci
restituisce l’immagine di Apollo citaredo con faretra, in trono, che si appoggia all’umbilicus, cioè l’onfalos,
l’ombelico di Delfi, coperto qui da un drappo purpureo. L’onfalos, cioè il centro del mondo, rimanda al
santuario di Apollo a Delfi e fa riferimento al simbolo del luogo di culto di Apollo, quasi come il centro del
mondo. Apollo, d’altra parte, divinità garante dell’equilibrio e dell’ordine, non a caso viene scelto da
Augusto come sua divinità protettrice, divinità con cui l’imperatore istituisce un rapporto diretto.
In questa immagine ricostruttiva dell’insieme dell’area della Casa di Augusto e del Tempio di Apollo, una
restituzione realizzata dall’équipe di Andre Carandini, dove vedimao la Casa di Augusto, il tempio di Apollo,
specularmente rispetto alla casa di Augusto si ritiene che potesse avere sede la domus pubblica che nel 12
a.C. era stata trasferita da Augusto in quest’area, nella parte antistante rispetto al tempio vi era il portico
delle Danaidi, dove tra l’altro i fedeli potevano assistere ai sacrifici qui realizzati in prossimità dell’altare e
sulla dx verso est vediamo la struttura della biblioteca, dove in età imperiale spesso si radunava anche il
senato e in fronte si immagina la presenza di un’ulteriore struttura terrazzata, realizzata su più piani, perché
qui abbiamo la pendice del Palatino verso il Tevere, una pendice terrazzata e si propone la presenza di
un’ulteriore terrazza che troverebbe testimonianza in un frammento della Forma Urbis che rimanda all’area
Apollinis. Al di là della ricostruzione ipotetica, la cosa importante da notare in questo insieme di costruzioni
è il fatto che in un unico complesso architettonico monumentale Augusto abbia voluto unire in modo
indissolubile le funzioni residenziali, le funzioni religiose e cultuali e le funzioni anche pubbliche politiche , è
la prima volta che questo viene realizzato in un unico monumento questo insieme, questa unione di tutte
queste funzioni che diventano complementari, d’ora in poi il Palatino diventa la sede degli imperatori e
proprio per questo il termine palazzo, derivante proprio da palatium, designerà la sede monumentale dei
palazzi.

Lezione 28

Le strutture abitative sul Palatino


Sappiamo sia dalle testimonianze archeologiche sia dalle fonti che questa zona di Roma fin dalla nascita
della città fu destinata a ospitare un quartiere abitativo molto popoloso, tuttavia i resti e le testimonianze
archeologiche di queste residenze non sono molto frequenti, anzi sono piuttosto scarse e questo è dovuto
soprattutto al fatto che nel corso dei secoli le strutture si sovrapposero l’una all’altra, le strutture antiche
vennero obliterate soprattutto dai grandi lavori per la realizzazione dei palazzi imperiali, dunque di tutto
quello che riguarda le abitazioni più antiche rimane poco, ma quel poco che è stato scoperto, e in parte oggi
è anche visibile al pubblico, è molto significativo e conserva ancora delle testimonianze di rivestimenti
parietali e pavimentali di grande interesse, in particolare parleremo di alcune evidenze relative ad
abitazioni dell’età tardo repubblicana conservati in parte sotto al grande complesso del Palazzo Flavio, in
particolare nella parte occidentale del palazzo, detta Domus Flavia, al di sotto di due ambienti sono stati
ritrovati i resti di abitazioni più antiche, per l’appunto abitazioni di epoca tardo repubblicana, una è
denominata Aula Isiaca e l’altra è denominata casa dei Grifi. Un’altra significativa testimonianza di
un’abitazione di epoca tardo repubblicana è invece situata lungo la Via Sacra, siamo in corrispondenza delle
pendici settentrionali del Palatino e si tratta della domus di Emilio Scauro. D’altra parte questa zona, cioè il
fronte settentrionale del Palatino, che si affacciava su un’area importantissima, l’area occupata dal Foro
Romano, molto ambita dalla classe egemone, e poi sappiamo dalle fonti che in epoca tardo repubblicana
proprio in questa zona avevano le loro abitazioni alcuni die personaggi politici più importanti di Roma,
come Cicerone, suo fratello Quinto, il suo antagonista politico Clodio e molti altri. Dunque, un quartiere
abitativo quello situato fra il cosiddetto Clivo Palatino e la Sacra Via, un quartiere abitativo di grande
importanza.
In questa zona, lungo la Via Sacra, gli scavi dell’équipe di Andre Carandini degli anni ’80 – ’90 del secolo
scorso hanno messo in luce una serie di evidenze fra le più antiche relative alle abitazioni presenti sul
Palatino, si tratta infatti dei resti di almeno quattro abitazioni ad atrio, abitazioni che erano delimitate da
muratura in opera quadrata, presentavano pavimenti in coccio pesto con inserti calcarei e sono delle
testimonianze importanti di quello che doveva essere un popoloso quartiere abitativo di datazione fra il III e
il II secolo a.C., che si trovava sul versante settentrionale del Palatino. Qualche frammentaria testimonianza
di abitazioni è stata trovata anche sul ciglio meridionale del Palatino e qualcosa anche sul versante
occidentale. Queste sono le testimonianze più significative, ma ancora più importanti, anche visitabili,
aperti al pubblico, sono i resti di età tardo repubblicana relativi alla cosiddetta Aula Isiaca e alla Casa dei
Grifi.
L’Aula Isiaca è stata messa in luce al di sotto di un ambiente della Domus Flavia, chiamata basilica, e si tratta
di una stanza parzialmente conservata, voltata, sulle cui pareti rimangono in parte le decorazioni in II stile,
un II stile di fase avanzata che viene datata all’età augustea. D’altra parte questa struttura denominata Aula
Isiaca si ritiene, per lo meno da parte di numerosi studiosi, che facesse parte proprio della residenza
augustea sul Palatino. Una datazione che si può grossomodo collocare intorno al 30 a.C. e che presenta
molte affinità rispetto ad altre pitture dell’età augustea, come quelle da un lato della Casa di Livia dall’altro
della casa della Farnesina, ad ogni modo viene chiamata Aula Isiaca perché in questa decorazione pittorica
sono presenti tutta una serie di simboli Isiaci, cioè simboli che rimandano al culto di Iside . Iside è una delle
divinità più importanti del pantheon dell’antico Egitto, divinità femminile, simbolo di fertilità e di maternità,
ma anche simbolo della regalità, simbolo del trono, associata all’idea id regalità, d’altra parte Iside è la
sorella e moglie di Osiride. Iside e Osiride compongono la coppia più famosa della religione egizia e sono
insieme proprio il simbolo della regalità, il simbolo del potere faraonico e tra l’altro Iside è anche madre di
Horus, che è il vendicatore della morte del padre Osiride ed è proprio il garante del potere dinastico,
dunque vediamo quanti significati anche politici si nascondono dietro a dei simboli che vengono usati
nell’ambito della decorazione come elementi ornamentali, ma dietro all’uso quali ornamenti si nascondono
molti significati di carattere ideologico, politico e anche propagandistico.
Vediamo che come di norma in questa fase del II stile abbiamo una parete tripartita sia in orizzontale sia in
verticale, con un’edicola centrale, gli spazi pittorici sono occupati dalla raffigurazione id paesaggi mitologici,
idillico-sacrali, c’è anche una scena nilotica, ma ciò che dà il nome alla struttura è questa decorazione che
riporta simboli riferibili e Iside e in particolare la corona di rose, la ghirlanda di rose un simbolo isiaco molto
frequente, ci sono poi i vasi sacrificali, il fiore di loto, il cobra, il serpente, in particolare l’ureo, è un simbolo
faraonico importante eprchè il cobra è simbolo del potere, della regalità, il cobra figurava spesso sul
copricapo del faraone. Il cobra è l’ureus, quel simbolo presente sul copricapo dei faraoni, spesso associato
al disco solare, simbolo della regalità faraonica. Vediamo dunque quanti di questi elementi decorativi
facciano riferimento all’immaginario isiaco e religioso da un lato, ma anche a quello della regalità, del
potere dinastico ecc.
Questo insieme si colloca molto bene in quel fenomeno che è il fenomeno della egittomania, che pervase
anche le forme di artigianato artistico di Roma fra l’età di Cesare e l’età di Augusto.
Vediamo ora l’altra importante testimonianza di domus tardo repubblicana, poco distante, si tratta della
cosiddetta Casa dei Grifi, è un complesso che si è conservato relativamente ad alcune stanze, vediamo la
planimetria sulla sx della slide, prende il nome da uno di questi ambienti che conserva una lunetta con una
splendida decorazione in stucco, a rilievo, su fondo rosso, un rilievo che raffigura dei grifi affrontati con una
decorazione di tipo vegetale, a racemi. Vediamo una ipotesi di ricostruzione di quella che doveva essere
una struttura abitativa, una casa ad atrio, vediamo le stanze messe in luce, sono stanze che erano disposte
in realtà su due livelli, c’era anche una scala che conduceva dal piano superiore al piano inferiore. Vediamo
poi una ricostruzione della pittura con i grifi affrontati nella lunetta e vediamo poi alcune pitture
conservatesi in questi ambienti. Queste strutture della casa dei grifi vengono datate verso la fine del II
secolo a.C., quindi viene considerata questa una delle testimonianze più antiche delle domus presenti sul
Palatino, a parte quella serie di strutture più antiche, che si collocano fra il III e il II a.C., che sono state
individuate sul versante settentrionale a cui abbiamo accennato. Questa Casa dei Grifi però presenta delle
decorazioni parietali fra le più significative del II stile nella città di Roma, qui ad esempio vediamo un
bellissimo esempio e anche molto ben conservato di II stile a parete chiusa, quindi siamo nella prima fase
del II stile, vediamo come la decorazione è realizzata in quello che si dice il trompe l’oeil, l’illusionismo, è
una raffigurazione illusionistica, con prospettive architettoniche, in particolare vedimao una sorta id portico
con colonne scanalate, capitelli corinzi, che poggiano su una base, è retrostante una parete dove gli spazi, la
zona mediana è scandita da lastre, lastre marmoree, cioè lastre in finto marmo, con anche una decorazione
a cubi prospettici, il cosiddetto scutulatum e al di sotto vediamo una decorazione che richiama le transenne.
Al di sopra una serie di lastre di bugnato. Vedimao ancora una volta la tripartizione della parete che va
configurandosi nel corso del II stile e, come abbiamo già detto, diverrà poi tipica caratteristica anche del III
stile.
Img. di una stanza della Casa dei Grifi, con uno zoccolo a cubi prospettici, colonne bugnate che si
impostano su postamenti, vediamo come viene raffigurata illusionisticamente la prospettiva, ancora delle
lastre e ortostati in finto marmo, che rimandano a questi marmi colorati, la policromia è molto sviluppata
insomma, e contrasta con un pavimento in mosaico in bianco e nero che ha al centro un emblema
costituito ancora una volta da questo motivo in opus sectile che definiamo scutulatum.
Questo che vediamo è il plastico costruttivo della domus di Scauro, casa di Emilio Scauro (in realtà questa è
una costruzione dell’elevato, che non si è conservato). Gli scavi hanno messo in luce le strutture
sotterranee, costituite da una serie piuttosto complessa di ambienti, che sostenevano quello che si ritiene
fosse il settore relativo all’atrio della casa. Questa casa era molto famosa, ne parlano anche le fonti, in
particolare queste ci fanno sapere che nel 58 a.C. Emilio Scauro aveva fatto portare nella sua domus quattro
colonne di marmo nero per ornare il suo splendido atrio tetrastilo, quindi era una casa particolarmente
famosa e poi posizionata sulla via sacra, in prossimità del Foro Romano. Al di sotto sono stati trovati
ambienti, proprio delle piccole stanze tutte in serie, interpretate come alloggi per la servitù, sono poi stati
messi in luce anche i resti di un larario e di un impianto balneare, quindi sostanzialmente delle terme
private. Questa è una delle rare testimonianze, ma proprio per questo molto importante, di quello che era
un quartiere molto popolato già dall’età arcaica e dalla prima fase repubblicana e poi anche nel corso
dell’età imperiale.
Un altro importante quartiere residenziale è stato rinvenuto in epoca recente in una zona chiamata Vigna
Barberini, in particolare all’interno dell’area che vediamo cerchiata in verde. Gli scavi della Vigna Barberini,
che si trova a nord rispetto al palazzo Flavio, è un’area chiamata vigna fin dal Cinquecento/Seicento,
appunto perché era destinata a orto o comunque ad attività agricole, qui si trova anche la Chiesa di San
Sebastiano, che in parte si sovrappone al basamento del tempio di Elagabalo, qui realizzato nel III secolo. Il
quartiere abitativo qui scavato dalla scuola francese ha messo in luce i resti di una o forse due domus di età
tardo repubblicana – augustea, poi utilizzata anche nel corso dell’età giulio-claudia. È un quartiere abitativo
molto importante, ha una storia molto complessa. Vediamo l’area della Vigna Barberini, i settori di scavo
della scuola francese e nei settori di scavo sono state messe in luce le strutture relative a due blocchi che
forse facevano parte della stessa abitazione. Qui sono stati messi in luce in situ alcune pareti con intonaco
dipinto di II stile, vediamo qui un II stile piuttosto avanzato, con un podio, lastre di finto marmo, colonne a
cui erano appese ghirlande con oggetti appesi.
È stato ricostruito un peristilio decorato, con pavimenti marmorei, un peristilio molto ricco e da questa
zona provengono intonaci dipinti di età augustea, che possiamo collocare in una fase di transizione tra al
fine del II stile e l’inizio del III stile, vediamo dei candelabri decorati con finte gemme e delle bordure,
pensiamo che nel momento del ritrovamento è stato notato che su queste bordure erano presenti ancora
dei rivestimenti di foglia d’oro, dunque erano delle decorazioni di altissima qualità, si pensa che queste
strutture dovessero essere abitate da un personaggio importante, un notabile vicino alla corte augustea.
Tra le altre cose vediamo che raffigurano ancora una volta simboli egittizzanti, simboli isiaci, simboli del
potere faraonico, una mano che regge un fiore di loto, la ghirlanda di rose che rimanda a Iside, degli urei e
probabilmente l’immagine di un personaggio faraonico. Sono tutti elementi che ancora una volta
rimandano all’Egitto e che probabilmente risalgono a una fase posteriore alla Battaglia di Azio e alla
conquista dell’Egitto da parte di Ottaviano.
Questa residenza a un certo punto dovette entrare all’interno del complesso architettonico della Domus
Aurea, cioè ci sono evidenze archeologiche per cui questa residenza dovette entrare a far parte della
Domus Aurea. Degli scavi molto recenti tra l’altro, nel settore nord della Vigna Barberini da parte della
scuola francese, sembrano avere identificato una struttura a pianta circolare che gli studiosi interpretano
come la cenatio rotunda, cioè una sala da pranzo circolare, con una volta rotante, da cui poi si spandevano
profumi e petali di rose e di cui ci parlano le fonti, quindi è possibile che qui si trovasse questa importante
struttura, considerata una sorta di follia megalomane neroniana. Le strutture di questo quartiere abitativo,
che erano state realizzate forse badando più alla forma che alla sostanza, perché presentavano
rivestimenti, intonaci, rivestimenti marmorei di grande lusso e livello, ma realizzati probabilmente su un
terreno piuttosto instabile e infatti, probabilmente proprio verso la fine dell’età neroniana, a seguito di uno
smottamento del terreno, la casa crollò e in parte andò distrutta, per cui fu smantellata e interrata. In
epoca Flavia l’area fu trasformata in un’area giardinata. Secondo gli studiosi di questo settore, quelli che in
epoca Flavia dovevano essere le più importanti aree giardinate del complesso palaziale che qui trovò la sua
sede, alcuni studiosi hanno voluto collocare nell’area che chiamiamo Vigan Barberini fin dal XVII secolo, in
questa area hanno voluto collocare quelli che sono testimoniati anche da alcuni frammenti della Forma
Urbis severiana come Adonaea, cioè erano dei giardini dedicati ad Adone, dei giardini realizzati
dall’imperatore Domiziano e che ci vengono ricordati da un passo di Filostrato. In quest’area più tardi
venne edificato il tempio di Elagabalo, vediamo il basamento del tempio, ci troviamo nel primo quarto del
III secolo d.C., vediamo una ricostruzione ipotetica anche degli alzati e del contesto santuariale di questo
tempio, che venne dedicato al dio Sol in victus, una divinità di origine siriana, di cui l’imperatore Eliogabalo
era gran sacerdote.

La Domus Tiberiana
Possiamo considerarlo il primo vero e proprio palazzo imperiale, perché è un palazzo architettonicamente
unitario, anche se fu sottoposto a tutta una serie di rifacimenti, ristrutturazioni, aggiunte, quindi presenta
tutta una serie di fasi architettoniche successive, ma nel complesso è un palazzo unitario, cosa che non
possiamo dire della Casa di Augusto, che in realtà è una residenza che deriva anche dall’accorpamento di
diverse domus, un accorpamento di strutture in qualche modo piuttosto disorganico.
La Domus Tiberiana, che occupa gran parte dell’angolo nord-occidentale del Palatino e si affaccia sul Foro
Romano, infatti al sua grandiosa facciata con arcate è proprio ben visibile dall’area del Foro Romano e le
sue strutture verso nord si elevano per un’altezza di circa 20 m, questa residenza, che è l’esito di diversi
interventi edilizi, fu ricoperta, i resti di questa residenza furono ricoperti nel corso del Cinquecento dagli
Orti Farnesiani, cioè da un’ampia area giardinata, che a partire dalla prima metà del XVI secolo venne
acquistata dal cardinale Alessandro farnese e poi nel corso del Seicento vi furono condotti dei lavori di
trasformazione, con l’aggiunta di ninfei, i scalee e di uccelliere che ne fecero una splendida area giardinata,
che poi nell’Ottocento venne acquisita da Napoleone III. Questa area si situa al di sopra dei resti della
Domus Tiberiana e nel corso dell’Ottocento questa area venne sottoposta a scavo, a ricerche id tipo
archeologico da parte di Pietro Rosa, che andò in particolare a indagare le strutture relative al fronte
settentrionale, il fronte orientale e quello meridionale che invece è situato di fronte all’area del tempio
della Magna Mater. Vedimao la planimetria dei resti della Domus Tiberiana, mentre a dx vediamo la
planimetria degli Horti Farnesiani del XVI – XVII secolo. La Domus Tiberiana è quindi stata sottoposta a
indagini, a partire soprattutto dall’Ottocento, indagini sistematiche con l’archeologo Rosa, ma anche
recentemente, dopo il 2000, è stata di nuovo indagata attraverso dei sondaggi archeologici da parte della
soprintendenza, che ha effettivamente verificato come questo palazzo nel suo primo progetto, nel suo
progetto originario, dovette essere concepito dall’imperatore Tiberio. D’altra parte noi sappiamo dalle fonti
storiche e letterarie, in particolare da Svetonio, che Tiberio aveva proprio una sua abitazione, una sua
residenza sul palatino e da essa si affacciava sul Foro Romano e sul Campidoglio. È d’altra parte molto
probabile che l’imperatore avesse voluto installare la propria residenza su quella che era la sua casa
paterna. Tiberio infatti, successore di Augusto, non era figlio naturale di Augusto, era figlio della moglie di
Augusto Livia e in particolare era nato dal matrimonio precedente di Livia con Tiberio Claudio Nerone e il
figlio Tiberio venne poi adottato da Augusto e fu il suo successore sostanzialmente perché tutti i nipoti di
Augusto, a partire da Marcello, per passare da Gaio e Lucio e arrivando ad Agrippa Postumo, tutti morirono
prematuramente, dunque la casa paterna id Tiberio si trovava sul Palatino e si ritiene che, almeno in parte,
la Domus Tiberiana dovesse impostarsi proprio sui resti di questa dimora, d’altra parte gli scavi hanno
dimostrato che la Domus Tiberiana si impostava su strutture abitative di età tardo repubblicana e
relativamente alla parte centrale, che è la parte meno conosciuta del complesso, alcuni studiosi hanno
anche avanzato l’ipotesi che questa parte del palazzo potesse sfruttare, come base e come sostruzioni, i
resti di una domus precedente, forse identificabile con la domus di Clodios, che era infatti caratterizzata
dalla presenza di un megalomane peristilio e nell’area centrale della domus tiberiana sono stati messi in
evidenza alcuni resti che permettono di ricostruire la presenza di un’area giardinata con peristilio, in cui
forse doveva essere presente anche una vasca rivestita di marmo, spazio sul quale dovevano aprirsi,
almeno su tre bracci, tutta una serie di ambienti. Ma la parte centrale di questa residenza è la meno
conosciuta, sono più note e indagate dal punto di vista archeologico l parti periferiche, soprattutto l’area
settentrionale.
Img. del fronte settentrionale della dimora di Tiberio, fronte settentrionale che doveva affacciarsi, almeno
nel progetto originario, su una via in pendenza identificata con il Clivus Victoriae, poi però questa struttura
fu sottoposta a tutta una serie id interventi anche successivi e gli interventi successivi in particolare
portarono il fronte settentrionale, lo fecero avanzare fino a portarlo dall’originaria posizione sul fronte del
Clivus Victoriae fino alla Via Nova, in particolare degli impegnativi interventi su questa parte settentrionale
della Domus Tiberiana vennero realizzati da Domiziano, quando costruì il suo palazzo nella parte
meridionale, sud-orientale del Palatino, tanto che questa Domus Tiberiana divenne sostanzialmente una
sorta di appendice settentrionale del suo palazzo, in particolare la struttura venne rifatta in epoca
domizianea con la costruzione di una loggia, d’altra parte la Domus Tiberiana venne pesantemente
danneggiata da ben due incendi, quello del 64 e quello dell’80 d.C. Ci fu poi un intervento in epoca
adrianea, quando il palazzo venne ampliato e la facciata settentrionale venne prolungata e portata lungo la
Via Nova, anche con una serie di strutture di grandi arcate che andarono a scavalcare il Clivus Victoriae.
Vediamo una planimetria che ci mostra i vari livelli della Domus Tiberiana e le strutture che sono note e
documentate e, come vedimao, quella meno conosciuta in assoluto è proprio la parte centrale del palazzo.
Abbiamo un’immagine della Via Nova, su cui andò ad affacciarsi il fronte settentrionale del palazzo.
Vediamo poi una recente immagine con il rilievo eseguito in recenti lavori di studio, condotti su questo
complesso residenziale e vediamo proprio l’articolazione del fronte settentrionale della Domus Tiberiana
lungo la Via Nova. Vedimao che sono stati riconosciuti diversi nuclei, in particolare è stato identificato e
sottoposto ad analisi l’ampliamento adrianeo della struttura e sono state anche identificate e rilevate una
serie di rampe che consentivano di accedere alla parte alta del complesso.
Sul lato orientale della Domus Tiberiana è stata messa in luce una struttura a forma id criptoportico, che è
una lunga struttura di circa 130 m, che viene attribuita all’età neroniana, infatti va detto che fra le varie fasi
edilizie che si sono riconosciute nel complesso della Domus Tiberiana, vi sono sicuramente degli importanti
eventi di età neroniana, ma probabilmente intervenne, come una ristrutturazione, già Claudio, mentre
Caligola sembra non risedesse nell’area della primigenia Domus Tiberiana, ma avesse preferito un
ampiamento sul lato prospicente il Foro Romano. Alla fase neroniana doveva appartenere questo lungo
criptoportico, che sostanzialmente conduceva dalla zona del Clivo Palatino fino alla zona dove si trovano la
casa di Livia e di Augusto, proprio perché probabilmente in quella zona a est dell’area della Casa di Augusto
doveva trovarsi la residenza neroniana. In questo criptoportico, che prendeva luce da finestre a bocca di
lupo, sono stati ritrovati dei resti importanti di rivestimento sia pavimentale che parietale e in particolare
dei bellissimi resti di stucco, dello stucco che ricopriva la volta (img. di una copia, stucco originario è stato
staccato), era un rivestimento a finti cassettoni, cioè con dei riquadri recanti figurazioni al centro e un
riquadro con amorini, decorato tutt’intorno da tralci e da motivi vegetali e floreali. Questi motivi, come
abbiamo già avuto modo di vedere, si sviluppano molto in epoca neroniana e, come vedremo,
caratterizzano anche le decorazioni della Domus Aurea. Nerone realizzò una domus, cosiddetta Transitoria,
sul Palatino. Dentro al cripto portico la Sovrintendenza ha condotto un esperimento di realtà immersiva e
con i mezzo che la tecnologia oggi ci offre, ha fatto questa esperienza di realtà immersiva dove sulle pareti
vengono proiettate le pitture delle domus circostanti, vedimao per esempio una delle pitture della Casa di
Livia, una realtà immersiva che consente al visitatore di fare una sorta di viaggio virtuale attraverso la
pittura dell’epoca romana.

La Domus Transitoria, Domus Aurea


Sul Palatino e in particolare nell’area a est della Domus di Augusto sono stati messi in luce alcuni resti
attribuiti alla Domus Transitoria, che è sostanzialmente la prima residenza neroniana sul Palatino. Era detta
“Transitoria” perché permetteva di transitare dai possedimenti situati sul palatino a quelli situati
sull’Esquilino. Di questa prima residenza rimangono alcuni lacerti, in particolare di rivestimenti pavimentali
e parietali di altissimo livello, vedimao per esempio qui il rivestimento in opus sectile del pavimento, con
anche un plinto di marmi colorati con uno splendido effetto policromo, sono rivestimenti davvero di livello
molto alto, vediamo poi una ricostruzione di quello che è stato interpretato come un ninfeo. Questi resti
sono stati messi in luce ancora una volta al di sotto della residenza realizzata poi da Domiziano. Questa è la
ricostruzione del ninfeo che, come vediamo, era caratterizzata da una facciata molto articolata che
ricordava una quinta scenica, una quinta teatrale. Altre ricostruzioni riguardano altri spazi di questa domus
che doveva essere splendidamente arredata a rivestita di marmi policromi. Oltre ai marmi rimangono
anche testimonianze di affreschi risalenti a una prima fase del IV stile pittorico, vedimao qui il rivestimento
di una volta, ricordiamo che questi affreschi furono staccati negli anni ’50, sono visibili ed esposti nel Museo
Palatino e, come possiamo notare, sono caratterizzati dalla presenza di una serie di riquadri figurati, sono
riquadri che raffigurano gli eroi della tradizione omerica, i quadri sono incorniciati da complesse bordure
ancora una volta a motivi geometrici, vegetali e floreali. Abbiamo la testimonianza di Svetonio, il quale ci
racconta che nella residenza di Nerone sul Palatino tutto era ricoperto di oro, infatti alcune analisi di tipo
archeometrico condotte su alcuni campioni di queste pitture hanno dimostrato la presenza di tracce di
foglia d’oro; la fonte ci fa sapere che tutto era rivestito di oro, ma anche ornato con pietre preziose e madre
perla e in effetti nella decorazione di questa residenza, la Domus Transitoria, sono stati messi in luce
nell’intonaco anche degli inserti di pasta vitrea e pietre dure, dunque era una decorazione estremamente
ricca ed articolata. Vediamo qui alcuni particolari della decorazione. La Domus Transitoria dovette essere
fortemente danneggiata dall’incendio neroniano del 64 d.C., incendio a cui seguì una completa
ristrutturazione dell’area sulla base id un nuovo piano urbanistico, un piano urbanistico che fu affidato agli
architetti di Nerone, che passarono alla storia, Severo e Celere, al quale possiamo attribuire tutto il grande
complesso della Domus Aurea, che venne a inglobare anche le strutture presenti sul Palatino,
naturalmente dopo un’opportuna fase di ristrutturazioni. Qui vedimao un disegno ricostruttivo, una
ricostruzione ipotetica anche degli alzati e dello sviluppo della Domus Aurea, ma basato chiaramente sulle
evidenze archeologiche. In questa ricostruzione possiamo notare come una serie di settori architettonici
diversi si articoli intorno a quello che era chiamato lo stanium, il lago dove poi in epoca Flavia, quando gran
parte delle aree della Domus Aurea vennero restituite al pubblico, qui venne realizzato poi l’Anfiteatro
Flavio. La Domus Aurea si articola in diversi settori, il cui centro ordinatore è rappresentato proprio da
questo lago artificiale, questo stanium, uno specchio di acqua, intorno a cui si articolano le varie strutture,
vediamo qui il grande atrio della domus aurea con il colosso di Nerone, che fu poi spostato nella zona
dell’Anfiteatro Flavio, che proprio dal colosso di Nerone prese il nome di Colosseo, vedimao poi le residenze
del Palatino, con l’ipotesi ricostruttiva della Domus Tiberiana e la zona della Domus Augusti, poi la residenza
neroniana e poi, dalla parte opposta, vediamo verso oriente il ninfeo del Celio e infine il padiglione
dell’Oppio. Questo era il padiglione privato, che oggi è identificato con la Domus Aurea ed è il padiglione
particolarmente famoso per le straordinarie testimonianze id pittura parietale trovate al suo interno.
Ricordiamo che qui la gran parte delle decorazioni pittoriche sono attribuibili alla fase neroniana, quindi
posteriore all’incendio del 64 d.C., si tratta id un IV stile molto ricco e caratterizzato da queste esili,
fantastiche architetture che si accompagnano a raffigurazioni, a quadri mitologici, a raffigurazioni di vario
tipo e a motivi di tipo geometrico, floreale e vegetale, con animali e figurine fantastici, che hanno poi
ispirato i motivi a grottesca.

Lezione 29

Realizzazioni di epoca Flavia sul colle Palatino


In epoca Flavia si diede avvio a una attività edilizia davvero eccezionale, con la costruzione di un nuovo
grande palazzo, che sostanzialmente andava a riprendere e in parte a integrare e a sovrapporsi alla
residenza neroniana, ma possiamo dire che in questa fase, anche poi a seguito degli interventi sulla Domus
Tiberiana, possiamo dire che in questa fase palazzo e palatium vengono a coincidere e in particolare la
residenza imperiale viene a occupare quasi tutto il Palatino, dunque il colle Palatino si trasforma in un
grande palazzo destinato alla residenza degli imperatori. In particolare Domiziano cominciò una serie di
interventi e di ristrutturazioni nell’area precedentemente occupata da residenze di età tardo repubblicana,
poi dalla residenza neroniana e realizzò un grande palazzo, davvero di notevole estensione, perché
parliamo di circa 49 mila mq di estensione e di un palazzo che in facciata (img. facciata del palazzo) si
presenta molto articolata, una facciata che oggi si conserva per un’altezza di circa 15 m, ma che in origine
doveva essere alta circa il doppio. L’imperatore Domiziano affidò questa impresa architettonica
all’architetto Ravirius, che passò ala storia per le sue realizzazioni, qui vediamo una ipotesi ricostruttiva
anche dell’alzato di questo palazzo, che tradizionalmente viene suddiviso in tre parti, la Domus Flavia, la
Domus Augustana al centro e verso est un’area giardinata che viene chiamata Stadio Palatino.
Domiziano inizia la costruzione del nuovo palazzo a partire dall’81 d.C., si ritiene che i lavori ufficialmente
dovessero essere terminati nel 92, ma in realtà sappiamo che il lavoro dovette proseguire, per lo meno così
si ricava anche dai bolli laterizi, fino alla morte dell’imperatore nel 96 d.C., almeno relativamente all’ultima
parte. Tre parti distinte tradizionalmente, ma in realtà poi nel corso dei secoli, con il termine Domus
Augustana o Augustiana si intese tutto il palazzo.
Abbiamo detto che il settore situato a occidente è identificato come Domus Flavia, il primo settore ad
essere edificato e questa struttura viene considerata la parte pubblica, la parte dotata di ambienti ufficiali,
degli ambienti dove l’imperatore, tra l’altro, riceveva e dava udienza. Questa parte cominciò a essere
sottoposta a scavi già nel XVIII secolo. Come vediamo dalla planimetria, questa struttura si articolava
intorno a un’area centrale, che è il cuore della struttura, si tratta di un’area scoperta, dotata di peristilio,
composto da colonne di marmo numidico (?), di cui rimangono soltanto frammenti delle basi e dei fusti e
all’interno di questo ambiente porticato si trovava una fontana ottagonale, nella quale alcuni setti murari
erano disposti a disegnare un labirinto, che oggi in realtà è in gran parte di ricostruzione moderna.
img. restituzione del complesso del palazzo domizianeo, una ricostruzione con una vista da nord e vediamo
la parte nord-occidentale, con questo peristilio di cui abbiamo parlato, la fontana ottagonale al centro e a
nord di questo ambiente scoperto si trovava un’enorme sala, che in origine doveva superare i 20 m di
altezza, una grande sala riccamente ornata che gli scavatori del Settecento chiamarono Aula Regia. Questa
Aula Regia era probabilmente per le udienze dell’imperatore, era durata di una struttura absidata sul fondo,
dove l’imperatore probabilmente doveva presentarsi ai presenti come dominus et deus ed era un
ambiente, quindi un ambiente di rappresentanza dotato alle pareti di nicchie che dovevano essere ornate
di statue monumentali. Vediamo qui come poteva presentarsi in un disegno ricostruttivo, con un’abside sul
fondo dove, quasi come una divinità, doveva apparire l’imperatore e grandi nicchie alle pareti in cui erano
racchiuse delle statue. Si ritiene che fra queste statue dovessero esservi anche le due bellissime
realizzazioni scultoree che oggi si trovano nella Galleria Nazionale di Parma, questo perché gli scavi del XVIII
secolo furono voluti dal Duca di Parma, che recuperò queste due statue di Ercole e di Dioniso, sono due
statue in basanite, una pietra molto dura, dalle sfumature grigio-verdi, una pietra che veniva dall’Egitto.
Sono conservate a Parma, fanno parte della collezione Farnese. Sono due statue colossali e vediamo la
ricchezza della decorazione scultorea di questa parte della residenza imperiale. La sala probabilmente
destinata alle udienze e ra affiancata da altri due grandi ambienti, a cui fu dato il nome di basilica e di
larario, in realtà probabilmente si tratta di una sala adibita ad auditorium, forse per il consiglio
dell’imperatore, mentre quella definita larario è possibile che ospitasse il corpo di guardia dell’imperatore.
Sono due spazi al di sotto dei quali furono rinvenuti i resti di abitazioni tardo repubblicane, in particolare la
Casa dei Grifi e la Aula Isiaca. Dalla parte invece opposta rispetto alla basilica e al larario si trovava una
enorme sala, identificata come un triclinio e forse con quella che veniva definita dalle fonti la Cenatio Iovis,
cioè una grandiosa sala da pranzo con una funzione di rappresentanza, anche questa doveva presentare dei
rivestimenti di altissimo livello, soprattutto rivestimenti marmorei, che però risalgono a interventi anche
successivi, perché questo palazzo rimase sempre la residenza dell’imperatore, è la residenza imperiale per
eccellenza, dunque nel corso del tempo fu anche sottoposta a diversi interventi edilizi e diverse
trasformazioni. Dicevamo quindi uno spazio tricliniare, probabilmente identificabile con la Cenatio Iovis, a
fianco a questa sala è stato messo in luce un ambiente dotato di una fontana ovale e proprio al di sotto di
questo spazio sono stati messi in luce i resti che abbiamo visto del ninfeo neroniano e in questa area sono
stati messi in luce diverse parti relative alla domus transitoria, fra cui i bellissimi affreschi parietali che
abbiamo già modo di vedere. Dunque, questa è la struttura che si identifica con la Domus Flavia. Accanto
alla Domus Flavia, verso est, si trovava una struttura più estesa e anche più articolata, che è stata
identificata con la vera e propria Domus Augustana o Augustiana, cioè doveva essere, secondo
l’interpretazione degli studiosi, la parte privata dell’imperatore, cioè effettivamente la parte nella quale
l’imperatore risiedeva. La zona più settentrionale di questo settore è conservata piuttosto malamente, la si
può ricostruire come uno spazio la cui parte principale era occupata ancora una volta da un ambiente
scoperto, un ambiente porticato che doveva recare al suo interno uno specchio d’acqua, all’interno del
quale si trovava una sorta di isolotto, che recava una piccola struttura, forse interpretabile come un
tempietto dedicato a Minerva, perché come abbiamo avuto modo di vedere l’imperatore era
particolarmente devoto proprio a Minerva, dunque un bacino ornamentale recante un piccolo tempio che
era accessibile attraverso un ponticello. Intorno a questo spazio si articolavano poi altri ambienti di difficile
costruzione. La parte conservata meglio è quella inferiore, cioè la parte meridionale, ma anche inferiore nel
senso che era stata realizzata su una terrazza posta a un livello inferiore, perché in questo punto era stato
realizzato un taglio del colle, cioè un taglio verticale che aveva regolarizzato la collina, quindi questa parte
del Palazzo era andato ad appoggiarsi al colle e in parte era anche realizzato nella roccia del colle. È uno
spazio assai articolato, si sviluppa ancora una volto intorno a un bacino ornamentale, in particolare al
centro si trova una grande fontana monumentale che era ornata con un motivo a pelte. Img. di questa
struttura di questo bacino con le pelte, cioè degli scudi sostanzialmente. Questi spazi palaziali sono molto
ricchi di aree giardinati e di specchi d’acqua e bacini ornamentali. Un’altra caratteristica è la presenza di una
struttura curva, una esedra, una grande esedra che si apriva sul fronte verso il Circo Massimo. Questa viene
ritenuta da alcuni la parte più privata dell’imperatore, la vera e propria parte residenziale. Possiamo notare
che intorno alla zona con la fontana ornamentale abbiamo una pianta particolarmente articolata e
complessa, con tutta una serie di ambienti di svariate funzioni. La terza parte è quella chiamata Stadio
Palatino, che è costituito da una struttura molto allungata che si appoggia verso oriente alla struttura
palaziale, anche questa si trova a un livello di alcuni metri inferiore rispetto al corpo principale del Palazzo,
è un edificio, una struttura che è molto allungata, ha una lunghezza di oltre 160 m, presenta il lato
meridionale curvo, doveva essere un’area giardinata, circondata da un portico a due piani. Aveva poi la
particolarità di presentare sul lato est una struttura semicircolare, sostanzialmente un emiciclo. Questo
cosiddetto stadio in realtà era un’area giardinata, un hortus, un grande giardino che tra l’altro doveva
anche essere molto ricco di elementi ornamentali, vegetazione, aiuole, ma anche statue, cioè si doveva
presentare quasi come una galleria d’arte ed era sostanzialmente una sorta di area per lo svago, dove si
potevano fare delle passeggiate in mezzo a una vegetazione ricca, lussureggiante e in mezzo a opere d’arte.
Vediamo un’altra immagine, qui vediamo l’esedra, questa struttura che molto probabilmente doveva
essere un ninfeo oppure un triclinio estivo. Queste strutture furono ristrutturate, subirono anche degli
interventi nel corso del tempo, in particolare da questa zona probabilmente provengono anche numerose
delle statue che oggi si trovano al Museo Palatino, all’Antiquarium del Palatino realizzato sul colle. Qui
vedimao la facciata della struttura verso il Circo Massimo, una facciata della struttura che come possiamo
vedere è molto articolata, in particolare adesso andiamo a vedere l’ultimo settore del palazzo, quello
proprio situato nell’angolo sud-orientale, perché, probabilmente già nel progetto iniziale domizianeo,
doveva essere occupata anche l’area corrispondente a questo angolo, però le strutture presenti in questo
angolo vengono chiamate Domus Severiana, in realtà impropriamente perché questa non è una domus
indipendente rispetto alla Domus Augustiana, in realtà è parte integrante del palazzo, però è un settore in
realtà relativamente poco conservato, se ne conservano soprattutto le imponenti sostruzioni in laterizio,
sono sostruzioni voltate, costituite da arcate su pilastri in laterizio e queste sostruzioni imponenti doveva
sostenere una piattaforma artificiale la cui funzione era quella di estendere le costruzioni relative al palazzo
anche oltre l’area della collina, che era ormai interamente occupata da costruzioni. Sicuramente nell’epoca
di Settimio Severo questa area del Palatino fu soggetta a diversi interventi di carattere edilizio, parliamo di
interventi realizzati fra il II e III secolo d.C. Oggi quello che vediamo sono i resti delle sostruzioni e nell’area
sottostante l’emiciclo dell’area del Palatino vedimao una serie di resti architettonici attribuiti alle terme
imperiali, perché in questa area doveva anche esserci un impianto termale molto articolato, che oggi si
torva all’interno delle sostruzioni. Sono comunque strutture che furono fatte costruire già all’epoca di
Domiziano e nel corso dei secoli poi subirono interventi successivi ed erano terme alimentate con un ramo
dell’acqua Claudia, quindi dell’acquedotto Claudio.
In epoca severiana questa area fu soggetta a diversi interventi e lungo la facciata, zona orientale,
ricordiamo anche la presenza di quello che è chiamato il septizodium, di epoca severiana appunto, che era
un’imponente facciata-ninfeo, cioè un grande ninfeo, una grande fontana che fungeva da facciata, era
costituita da un colonnato su più livelli, quasi fosse una scena teatrale, con giochi d’acqua e si trovava sula
facciata che guardava verso la Via Appia. Questo secondo le fonti, perché da quella via dovevano provenire
gli ospiti africani di Settimio Severo e la sua intenzione era proprio di impressionare i visitatori con una
facciata monumentale del palazzo imperiale. I resti di questa monumentale fontana vennero distrutti per
volontà di Sisto V nel XVI secolo e per questo i resti di questa struttura ci sono noti soltanto da disegni di
epoca Rinascimentale.
Le mura
Le prime mura della città si fanno risalire al momento in cui Romolo traccia il solco con l’aratro, solco che
definisce per la prima volta il pomerio, da post merium, post murum, cioè un’area prossima alle mura ,
un’area sacra nella quale non si poteva edificare, non si poteva abitare o coltivare, una sorta di confine
sacro e inviolabile della città, una specie di recinto sacro che definiva per l’appunto il limite dell’urbs. A
questa sorta di difesa di tipo sacro della città si fanno risalire anche le prime mura, il primo circuito murario
che si ritiene dovesse cingere alla base proprio il Palatino.
Vediamo l’immagine del rilievo aquileiese che ci ricorda l’atto del solco primigenio.
A questa fase della fondazione della città si attribuiscono le prime mura di fortificazione del Palatino e si
ritiene di aver identificato alcuni resti di questa prima struttura proprio alle pendici settentrionali del
Palatino, dove negli anni ’80 – ’90 del secolo scorso hanno condotto delle ricerche l’équipe di Andrea
Carandini e qui si ritiene di aver identificato una struttura interpretabile come un primo muro, alla metà
dell’VIII secolo, in cui le capanne qui presenti vengono distrutte proprio per permettere la creazione di un
muraglione realizzato con terra, pietre e legno, sostanzialmente una fossa di fondazione riempita di terra,
blocchi e scaglie di pietra, su cui è realizzato un muraglione a base di argilla con una palizzata lignea. Questa
sarebbe la prima struttura, datata intorno alla metà dell’VIII secolo, a cui poi sarebbero seguite diverse fasi
di ristrutturazione nel 700, nel 600 a.C. e fino alla metà del VI secolo a.C., quando poi questa area
sembrerebbe destinata a una serie di interventi di urbanizzazione e sarebbe stata occupata da domus
aristocratiche. Tuttavia, le prime evidenze significative, certe di una vera e propria cinta urbana di Roma
risalgono al VI secolo a.C. e si tratta delle Mura Serviane, attribuite al re di Roma Servio Tullio. Queste Mura
Serviane, ben più estese delle prime strutture identificate con le Mura Romulee, ha lasciato nella città di
Roma diverse tracce ancora oggi individuabili, anche perché in realtà la prima cinta muraria risalente al VI
secolo era realizzata in tufo cappellaccio, un tufo astratto nell’area prossima a Roma, un tufo di colore
grigio. Questa prima cinta in realtà fu poi ripresa e in gran parte sostituita nel IV secolo, dopo l’invasione e
l’occupazione, il sacco da parte dei Galli nel 390 a.C. Questa ristrutturazione ha lasciato maggiori tracce e fu
realizzata con un materiale diverso, sempre blocchi di tufo, ma blocchi di tufo di grotta oscura, che è un
tufo di colore giallastro e che proviene dall’area di Veio, conquistata nel 396 e, per questa ristrutturazione
delle mura che seguì la realizzazione delle Mura Serviane, fu utilizzato questo tufo di grotta oscura.
Le due fasi sono quindi riconoscibili in alzato, a livello archeologico, proprio perché nel primo caso si hanno
blocchi di tufo granulare grigio, più piccoli, mentre nella seconda fase abbiamo blocchi di tufo più grandi di
colore giallo.
Questa cinta muraria è molto più ampia di quella primigenia ipotizzata per l’VIII secolo a.C. e il circuito è
lungo circa 11 chilometri e racchiude un’area di 426 ettari. All’interno di questa cinta muraria si aprono
diverse porte: a nord troviamo la Porta Collina, poi seguono una serie di porte ulteriori, la Porta Viminalis in
corrispondenza del Viminale, la Porta Esquilina fino ad arrivare alla Porta Quirinalis. Alcune evidenze
rimangono di queste porte e notevoli evidenze delle mura rimangono soprattutto proprio nei quartieri
Viminale ed Esquilino e, più a sud, anche nel quartiere dell’Aventino.
(img. documentazione di alcune delle porte, in particolare qui vediamo un’incisione settecentesca della
Porta Collina, che poi nell’Ottocento fu demolita; img. resti in una documentazione fotografica d’epoca
della Porta Viminalis messa in luce nell’area di Stazione Termini; img. area dove sorgeva la Porta Esquilina e
dove poi Augusto fece edificare un arco in blocchi di travertino, arco che poi venne ripreso e dedicato a
Gallieno).
Le caratteristiche di questa struttura muraria erano il fatto che si trattasse id una struttura difensiva
realizzata in blocchi di tufo, ma accompagnata anche da una struttura chiamata agger, cioè un terrapieno
retrostante, e da un ampio fossato che si trovava davanti le mura-. Di queste mura si conservano die tratti
ancora oggi visibili, in particolare vediamo qui img. di un segmento piuttosto consistente messo in luce
presso Stazione Termini. Img. un tratto ulteriore di mura messo in luce in Via Carlo Alberto; altra img. di
tufo di grotta oscura, caratterizzati da questo colore tendenzialmente giallo e ancora in Largo Leopardi. Altri
tratti si conservano in particolare sull’Aventino.
Le Mura Serviane nel corso dei secoli persero la loro funzione, in particolare con Augusto, nell’epoca
augustea, questo circuito murario che era andato sostanzialmente a comprendere all’interno del proprio
perimetro la città dei Sette Colli non ebbe quasi più motivo di essere, quindi perse importanza, soprattutto
fra la tarda repubblica e in particolare l’età augustea, tanto che a cavallo di vari tratti di queste mura
vennero realizzati edifici e orti. Invece, la necessità di una nuova cinta muraria fu avvertita più tardi, in
particolare nel corso del III secolo d.C., quando nell’Impero Romano si verificò una grave crisi economica,
ma anche una grave crisi di tipo politico e militare, che mise chiaramente in luce la debolezza dell’impero.
In particolare, nel 271 popolazioni germaniche dilagarono in pianura padana e quindi oltrepassarono i
confini dell’impero, siamo all’epoca dell’imperatore Aureliano, che in quel periodo però era impegnato
contro i Vandali nei Balcani, dunque è un periodo molto critico in cui le popolazioni ai confini dell’impero
premono sui confini e necessitano di un continuo impegno dell’esercito in queste zone di confine. Aureliano
rientra rapidamente in Italia, viene prima sconfitto in prossimità di Piacenza, ma riesce a fermare i Germani
in prossimità di Fano e poi li sconfigge verso Pavia. Questo però mette in evidenza come l’impero e Roma
stessa siano esposte al pericolo di invasioni e si sente perciò la necessità di costruire una nuova cinta
muraria, più ampia della precedente, una nuova cinta muraria in tutta fretta, a partire dal 271 da
maestranze civili, anziché militari, perché l’esercito è impegnato fuori Italia, una attività costruttiva svolta
velocemente, in pochi anni, è probabile che questa nuova cinta fosse già pressoché terminata nel 275,
quando Aureliano viene assassinato in seguito a una congiura e tuttavia l’opera viene condotta a termine da
Probo nel 279 d.C. Si tratta di una cinta il cui perimetro raggiunge i 19 km, le mura sono spesse 3,5 m,
l’altezza è di circa 6 m e sono realizzate questa volta con un nucleo in cementizio rivestito di laterizi. Questo
circuito murario si articola a una distanza variabile, dai 300 m al km e mezzo rispetto al circuito precedente
delle mura e anche in questo caso vi era un fossato in prossimità delle mura, mura caratterizzate dalla
presenza di torri a pianta quadrata alla distanza di circa 100 piedi una dall’altra. Naturalmente in questa
cinta muraria si aprivano anche delle porte, vediamo qui un tratto delle mura aureliane fra la Porta Appia e
la Porta Ardeatina, poi un tratto dove si vede molto bene la tecnica costruttiva, con il nucleo in cementizio
rivestito di laterizi e poi una img. delle mura in corrispondenza dei Castra Praetoria, eprchè è un’opera
realizzata in tutta fretta che ingloba tutto quello che incontra sulla sua via, per esempio i Castra Praetoria
per l’appunto, la porta chiamata Porta Maggiore, m anche la Piramide Cestia, ingloba tutte queste strutture
e presenta lungo il suo perimetro una serie di 17 porte principali e 20 porte secondarie. Questo circuito
murario fu poi nel corso del tempo sottoposto a diversi interventi di ristrutturazione, di rifacimento, di
modifica, in particolare vi furono degli interventi significativi nel IV secolo, con Massenzio, all’inizio del V
secolo con Onorio e Arcadio, ma anche nel corso del VI secolo, tanto che l’Anonimo di Einsiedeln descrive
questa struttura e ci dice che era caratterizzata da 383 torri, 7020 merli, 5 posterne, cioè porte minori, 116
latrine e 2066 grandi finestre affacciate all’esterno. Dunque, ancora nell’VIII – IX secolo d.C. questa
struttura era ben visibile e doveva ancora conservare il suo aspetto maestoso e monumentale. Vediamo in
questa planimetria i Castra Praetoria, che sono inglobati all’interno delle mura, e vediamo anche la serie
delle porte che si aprono lungo questa cortina muraria. Le mura, tra l’altro, vanno anche a inglobare
un’area al di là del Tevere.
Vediamo le principali porte che si aprivano nelle Mura Aureliane. Molte di queste porte vennero rinominate
nel corso del tempo, per esempio Porta Flaminia fu rinominata Porta del Popolo e d’altra parte venne
ricostruita nel XVI secolo. Fu ricostruita anche, ma precedentemente, con ristrutturazioni che risalgono
probabilmente al V secolo, anche la Porta Pinciana, naturalmente in corrispondenza di queste porte spesso
partono strade importantissime, per esempio nel punto della Porta Flaminia ha inizio l’importantissima Via
Flaminia. Altra porta che è stata rimossa (img. anteriore al restauro Ottocentesco) è la Porta Salaria, anche
questa in corrispondenza di un’importantissima via, la Via Salaria. Qui abbiamo la Porta Nomentana, che è
stata murata perché anche nel corso del tempo, ma già fin dalla tarda epoca romana, numerose porte
furono ristrutturate e a volte anche chiuse, quindi murate e questo è un esempio. Stesso destino quello
della Porta Pretoriana, che sembra essere stata murata già in epoca costantiniana. Altra porta chiusa è la
Porta Clausa, che qui vediamo in una immagine del XIX secolo, che venne però chiusa in un’epoca
imprecisata. Altra porta molto importante è la Porta Tiburtina, chiamata Porta San Lorenzo in epoca Alto
Medievale, nell’VIII secolo. Questa porta ingloba un arco di età augustea, questo è ricordato anche da una
testimonianza epigrafica, un arco realizzato in età augustea, eprchè qui convergevano ben tre acquedotti,
l’Acqua Marcia, l’Acqua Iulia e l’Acqua Tepula. Poi anche qui vi furono diverse trasformazioni, diversi
interventi, iscrizioni ricordano interventi di Tito e di Caracalla, poi la struttura venne inglobata all’interno
delle Mura Aureliane. Altra porta famosissima è la Porta Maggiore, Porta Prenestina-Labicana, una porta
molto importante eprchè in realtà si trattava in origine di un arco monumentale fatto realizzare
dall’imperatore Claudio per il passaggio di due acquedotti, l’acquedotto Claudio e l’Agno Novus, in
travertino e con due archi sormontati da un attico tripartito con iscrizione commemorative per Claudio.
Archi entro nicchie fra semicolonne corinzie concluse da timpani e poste su un basamento. Le semicolonne
e i pilastri sono in bugnato grezzo,di sapore ellenistico, che comprova il movimento verso la rinascita del
barocco iniziato nell’età di Claudio. In prossimità della Porta Maggiore vi è anche il sepolcro di Eurisace e
della moglie Atistia, che era un panettiere, infatti è un sepolcro molto particolare, rivestito in travertino,
perché nella struttura appaiono questi elementi cilindrici che ricordano le impastatrici utilizzate dal fornaio.
Vediamo poi un’img. della Porta Prenestina-Labicana, da cui avevano inizio proprio la Via Prenestina e la Via
Labicana, poi vediamo il plastico ricostruttivo di come si doveva presentare questa struttura in epoca
romana. È una delle tante strutture poi inglobate dalle Mura Aureliane. Vediamo infine la Porta Asinaria, da
cui aveva inizio la vecchia Via Asinaria, una porta ormai inutilizzata. La Porta Metronia, murata e in parte
anche interrata. La Porta Latina, da cui aveva inizio la Via Latina. Dalla Porta Appia, ora chiamata Porta San
Sebastiano, prendeva inizio la Via Appia antica. La Porta Ardeatina è probabilmente semplicemente una
posterula. Molto importante è la Porta Ostiense, ora chiamata Porta San Paolo, da cui aveva inizio la Via
Ostiense e si trova in prossimità di questo famoso monumento sepolcrale, che è la Piramide Cestia.
Le porte della cinta muraria situate al di là del Tevere furono in gran parte demolite o ricostruite,
comunque andarono soggette ad una ristrutturazione molto incisiva nel corso del XVII secolo, quando
vennero chiuse le Mura Gianicolensi e si tratta in particolare della Porta Portuense, la Porta Aurelia e la
Porta Settimiana.

Lezione 30

Le strade di Roma
Le porte delle mura, in primis le porte delle Mura Serviane, andavano a collocarsi sul percorso di strade più
antiche, che poi durante l’età medio repubblicana e poi a più riprese in seguito vennero regolarizzate,
vennero lastricate, cioè rivestite di nuove pavimentazioni, poi le Mura Aureliane andarono anch’esse a
collocare le proprie porte sulle medesime vie a una distanza che abbiamo visto essere variabile,
grossomodo dai 300 m a quasi un km e mezzo, cioè un miglio dalla cinta muraria precedente. Noi tutti
sappiamo che i Romani furono grandi costruttori di strade, soprattutto organizzarono e potenziarono la rete
viaria a partire dal III secolo a.C. in particolare, questo per collegare Roma alle colonie, dunque per motivi
strategico-militari, ma anche per motivi commerciali, per favorire gli scambi commerciali, dunque per
motivi economici.
Le caratteristiche delle strade romane sono soprattutto quelle dell’essere dritte, cioè i Romani preferiscono
il rettifilo quando possibile, cioè quando le condizioni orografiche lo permettono, perché i Romani
comunque si adattano anche alle condizioni orografiche del terreno che incontrano. Oltre ad essere
tendenzialmente dritte, le strade romane sono anche larghe, cioè sono fatte per permettere il passaggio dei
mezzi di trasporto nei due sensi di marcia. Per quanto riguarda il rivestimento, nella maggior parte dei casi
si possono presentare lastricate oppure glareate, ovvero nel primo caso rivestite con blocchi di pietra
oppure semplicemente di ghiaia battuta. Per realizzare le strade erano necessarie delle conoscenze
tecniche e ingegneristiche di notevole livello e queste infrastrutture erano realizzate dall’esercito. La
progettazione e la direzione dei lavori venivano affidate a un architectus, cioè a un ingegnere che faceva
parte del genio militare ed era naturalmente affiancato da una serie di tecnici come agrimensori, geometri
ecc. Vediamo qui la rete stradale che parte da Roma. All’interno della città il nome generico per indicare la
strada in latino era vicus, poi esistevano anche altre denominazioni, per esempio se la strada aveva una
particolare pendenza, si usava il termine clivus, se la strada era stretta si usava il termine semita. Il termina
via era utilizzato soprattutto per indicare le strade in entrata e uscita dalla città, oppure quelle vie che
avevano delle caratteristiche particolari, per esempio a Roma la Via Sacra, la Via Nova, veniva definita la via
tecta la via coperta, o via fornicata, la via che era dotata di archi, insomma, le vie che avevano delle
caratteristiche particolari erano denominate in questo modo.
Vediamo quelle che erano le vie più importanti, che uscivano dalla città di Roma. Potremmo partire dalla
parte meridionale per ricordare quella che è considerata la regina delle vie romane, cioè la Via Appia, che fu
costruita dal console Appio Claudio nel 312 a.C. e, partendo dalla Porta Capena a Roma, andava verso
Capua e poi da Capua proseguiva verso Benevento e verso Brindisi. Altra via molto importante che sempre
si dipartiva dalla Via Capena era la Via Latina, che si dirigeva verso Frosinone e Capua, passando dai Monti
Lepini. Vediamo poi tutta un’altra serie di vie tra cui molto importante era anche la Prenestina, che portava
verso Preneste, l’attuale Palestrina, ma fra le vie più importanti vi era sicuramente la Via Tiburtina Valeria,
che passava per Tivoli e portava poi a Pescara, l’antica Aternum. Proseguendo verso nord troviamo poi la
Via Salaria, che prendeva il nome dal sale, perché su questa via per molti secoli si svolse il commercio del
sale. Ricordiamo che normalmente le vie prendevano il nome dal loro realizzatore, cioè dal magistrato che
le aveva realizzate e poi dall’imperatore, ma a volte, come in questo caso, potevano prendere nome da
motivi particolari o anche dai territori che raggiungevano. Proseguendo poi verso nord un’altra via
importante era la Via Flaminia, che andava verso Rimini. A questo proposito va ricordato che soprattutto fra
la fine del III secolo e il II secolo a.C. fu molto potenziata la rete stradale che congiungeva Roma alle colonie
del nord Italia, in questo caso le colonie del centro nord-est, dunque la Via Flaminia portava fino a Rimini e
poi nel II secolo vennero poi realizzate la Via Emilia e la Via Postumia, che consentivano il collegamento
ulteriore verso le colonie del nord Italia. Dopo la Via Flaminia possiamo ricordare la Via Cassia, che si
dirigeva a nord-ovest, verso i territori dell’area etrusca, la Via Cassia infatti portava verso Firenze e Lucca,
poi andava a congiungersi a nord alla Via Aurelia. Ricordiamo la Via Clodia, che pure conduceva nel
territorio etrusco ed era una via a vocazione più commerciale, quindi era una via a corto raggio rispetto a
quelle nominate finora, che sono poi le vie che avevano maggiore importanza perché erano strade a lungo
raggio usate anche per fini strategico-militare. Infine altra via importante era la Via Aurelia, una via costiera
che saliva verso nord-ovest, passava attraverso l’attuale Pisa per arrivare fino a Genova.
Vediamo anche lo sviluppo di questa rete stradale principale nella penisola italica. Ricordiamo come tratti
stradali particolarmente importanti, come la Via Appia antica, fu realizzato a un certo punto da Traiano un
ulteriore ramo, una strada che si dipartiva da Benevento e raggiungeva Brindisi attraverso l’Appennino, era
una specie di scorciatoia, permetteva di raggiungere Brindisi in temi più brevi. Altra via importante che si
dipartiva dall’Appia a Capua era la Via Popilia Lenate, dal nome del magistrato, che raggiungeva il centro di
Reggio. C’era un’altra Via Popilia a nord, che era la via che partendo da Rimini conduceva fino alle colonie di
Aquileia e Trieste (Tergeste). Molto importanti erano anche nell’area dell’Italia settentrionale la Via Emilia e
la Via Postumia. La Via Emilia metteva in comunicazione Ariminum e Placentia (Rimini e Piacenza), mentre
la Postumia andava da Genova fino ad Aquileia, quindi sono due strade di fondamentale importanza,
realizzate nel II secolo a.C., proprio per fini strategico-militari di controllo del territorio. Non dimentichiamo
che a queste funzioni era sempre collegata anche la funzione commerciale, perché quella economica era
una funzione estremamente importante.
Andiamo a vedere dal punto di vista tecnico e costruttivo come venivano realizzate le strade, quello che
conosciamo dalle fonti. Dalle fonti possiamo ricavare che innanzitutto i Romani, sempre in modo molto
pratico e intelligente sfruttavano le caratteristiche del territorio, dunque se il terreno era terreno
abbastanza solido, resistente, i Romani non perdevano tempo a realizzare delle fondazioni particolarmente
spesse e robuste, però laddove il terreno magari era poco stabile, argilloso e paludoso, allora ricorrevano a
fondazioni molto più solide, più spesse, più resistenti, si ricorreva in alcuni casi, specialmente laddove il
terreno era paludoso, anche a palificate lignee. Dalle fonti sappiamo che la strada quando era fatta bene
doveva prevedere alla base una massicciata di pietre di grandi dimensioni, una massicciata che poteva
variare in spessore da 30 a 60 cm, era chiamata statumen, sopra il quale poteva essere steso anche un
rudus, uno strato meno spesso, dai 25 ai 30 cm, fatto di materiali di minori dimensioni, poi c’era uno strato
intermedio chiamato nucleus, sempre fatto di materiale più fine, qui vi era sabbia, pietrisco, ghiaia ecc.,
questo strato veniva livellato attraverso il passaggio di rulli, poi al di sopra si realizzava il rivestimento
chiamato pavimentum, che poteva essere fatto in diverso modo, allora le strade, soprattutto all’interno
delle città, rivestite di grosse lastre, dette anche basoli, cioè queste lastre di pietra fatte di roccia resistente,
roccia vulcanica o roccia calcarea, erano costituite da questi massi, spesso di forma poligonale, accostati
uno all’altro e allettati in un letto di sabbia. Queste strade erano chiamate vie lapidibus strate, cioè vie stese
con le pietre. Il nome strada infatti deriva dal participio passato del verbo sternere, che vuol dire stendere,
lo stratum è il participio passato, quindi la strada è un elemento steso, dove si stendono per l’appunto
questi elementi di rivestimento. Abbiamo quindi detto che potevano essere rivestite di elementi di pietra,
potevano essere anche semplicemente rivestite di ghiaia, allora venivano chiamate vie glareate, erano vie
semplicemente inghiaiate.
Img. della Via Appia antica, oggi un parco nella periferia di Roma, un parco bellissimo che si può percorrere
a piedi, ai lati della via si possono visitare tutta una serie di monumenti antichi, ci sono anche delle ville
moderne. Vediamo qui la strada basolata, con la pavimentazione in basoli, ma come dicevamo la strada
poteva essere semplicemente inghiaiata, vediamo qui un esempio da Bologna, ma i Romani potevano
anche semplicemente sfruttare il fondo naturale, che poteva essere di terra battuta o, come in questi
esempi dell’Alto Adige, siamo qui a Fortezza, limite nord dell’Italia settentrionale, dove abbiamo questi
esempi di strade romane realizzate sfruttando semplicemente il fondo roccioso, quindi la base naturale
nella quale venivano anche tracciati dei solchi, quindi questi non sono solchi che si sono creati a seguito del
continuo passaggio dei carri, questi erano solchi che venivano tracciate direttamente nella roccia, che
servivano quasi da rotaie, che dovevano favorire lo scorrimento delle ruote dei carri e dei mezzi di
trasporto. Esistevano delle norme precise riguardo le dimensioni e la larghezza delle strade romane,
normalmente la larghezza oscillava tra i 4 e i 6 m, la caratteristica era in particolare, se possibile, quella del
rettifilio, ma poi per raggiungere i vari centri abitati c’erano deviazioni, vie laterali che di solito erano
realizzate ad angolo retto, preferibilmente i Romani realizzavano le strade in luoghi sopraelevati rispetto al
territorio circostante, perché questo garantiva buona visibilità da un lato, maggiore sicurezza rispetto a
eventuali imboscate e poi questo limitava i danni in caso di forti piogge, inondazioni ecc. A questo
proposito ricordiamo che il rivestimento della strada normalmente aveva una sezione leggermente curva,
più elevata verso il centro, meno ai lati, proprio per permettere lo scorrimento delle acque nelle canalette
poste ai lati della strada. La strada era poi definita da un cosiddetto umbo, cioè un bordo solitamente fatto
di pietre inserite verticalmente nel terreno, poi ai lati si trovavano anche dei marciapiedi, chiamati
crepidines, dal nome dei sandali, le crepide, quindi erano le zone di spessore e di larghezza variabile dove si
poteva camminare, anche queste rivestite. Che sulle strade ci fossero delle norme specifiche lo sappiamo,
sappiamo che già nelle leggi delle 12 tavole, quindi siamo nel V secolo a.C., già esistevano delle norme che
regolamentavano la larghezza delle strade, lì si dice che le strade dovevano essere larghe da 8 a 16 piedi (il
piede romano è 29,6 cm, quasi 30), poi altre leggi in seguito andarono a regolamentare orari di circolazione,
eventuali restrizioni della circolazione nei centri abitati, gli appalti relativi ai parcheggi, perché anche quello
dei parcheggi già in epoca romana poteva essere un importante aspetto da risolvere, vi erano poi norme
che regolamentavano l’entità del carico, il numero dei passeggeri, poi il numero dei passeggeri dei mezzi di
trasporto, queste strade erano frequentate giorno e notte, a tutte le ore, da viaggiatori a piedi, a cavallo, a
dorso di mulo, spesso su mezzi di trasporto a due o a quattro ruote, prevalentemente a trazione animale,
tra i mezzi più in uso vi era una specie di carro, chiamato carruca e si è calcolato che mediamente questo
poteva compiere 5 miglia all’ora, che vuol dire circa 7 km e mezzo all’ora.
Questa straordinaria, vasta e complessa rete stradale romana la conosciamo nelle sue linee generali e la
conosciamo attraverso tutta una serie di fonti, fonti archeologiche, fonti epigrafiche, fonti letterarie ma
anche fonti cartografiche. Fra le fonti più importanti abbiamo quelle costituite dalle pietre miliari, che sono
dei cippi iscritti, cippi dalla forma varia, solitamente hanno una forma di colonnetta, sono cippi iscritti che
solitamente riportano il nome del costruttore e poi vengono detti miliari perché riportano anche le miglia,
le distanze, di solito la distanza o dalla città di partenza o rispetto alla città di arrivo. Quello che vediamo qui
è una copia del cippo miliare, il primo miliare della Via Appia antica. Si presentano come dei cippi di forma
cilindrica, vediamo qui due miliari trovati a Rablà presso Merano e a Cesiomaggiore presso al Valle del
Piave, sono due cippi dell’epoca dell’imperatore Claudio, che si riferiscono alla Claudia Augusta, cioè
Claudio evidentemente fece delle opere di sistemazione e ristrutturazione di questa via, che come recita
l’epigrafe incisa su questi esemplari è una via realizzata da Tiberio e Druso durante el guerre eretiche, e
recitano “Alpibus bello patefactis”, cioè dopo avere spalancato le Alpi con la guerra. Queste epigrafi fanno
riferimento anche al territorio di partenza e di arrivo della Via Claudia Augusta e dicono “A flumine Pado ad
flumen Danubio”, cioè dal fiume Po all’area danubiana, infatti la strada andava dal territorio di Altino fino al
territorio di Augusta a Vindeli, sul limes danubiano (?).
Questo è un altro cippo miliare, uno della via Popilia, conservato al Museo di Adria e ricorda il nome del
console Popilius, che appunto realizzò nel II secolo a.C. la via.
Altre importanti fonti sono le fonti cartografiche, cioè gli itineraria, che possono essere itineraria picta, cioè
dipinti, scripta o adnotata, questo è un itinerario pictu, è la più famosa carta stradale dell’età romana, si
chiama Tabula Peutingeriana, prende il nome da Peutinger, il detentore di questa carta. In realtà è una
pergamena di età medievale che però riprende, è una copia sostanzialmente, una carta stradale di età
medio-tardo romana, al cui datazione oscilla tra il III secolo e il IV-V secolo d.C. Questa lunga carta stradale
riporta proprio le strade dell’impero, i centri maggiori, le città, ma anche i fiumi, i corsi d’acqua, poi anche i
nomi delle stationes, cioè di quei centri che si trovavano lungo le strade, centri dove i viaggiatori potevano
sostare, dormire, prendere un pasto, cambiare i cavalli, erano stazioni di posta sostanzialmente, fare
rifornimento di viveri ecc. accanto agli itineraria picta, vi erano gli itineraria adnotata. Questo che vediamo
che è il famoso itinerario Antonini, che prende il nome dall’imperatore Caracalla e giuntoci in copia
medievale, ma da un originale datato al III secolo d.C. e anche questo è molto importante perché riporta
una serie di stazioni lungo le strade dell’impero.
Altra testimonianza molto particolare è quella del cosiddetto Itinerarium Gaditanum, sono le cosiddette
coppe di Gadice o bicchieri di Vicarello. Sono stati scoperti in prossimità del lago di Bracciano e sono dei
vasetti cilindrici di argento del IV secolo d.C. che riportano un itinerario, sulla superficie sono incise i nomi
delle stationes con le distanze del percorso da Cadice a Roma, per questo viene detto Itinerarium
Gaditanum.

I ponti di Roma
Vedremo alcune delle principali testimonianze dei ponti dell’antica Roma. Prima parliamo però delle
tecniche costruttive di questi importanti monumenti dell’ingegneria romana. I Romani, nel momento in cui
costruivano un ponte, avevano bisogno di creare delle fondazioni particolarmente robuste e resistenti che
dovevano sostenere la spinta di tutta la struttura, cioè doveva realizzare dei piedritti, che costituivano
sostanzialmente i sostegni del ponte. Per creare le fondazioni potevano deviare il corso del fiume con
sistemi di palizzate, di dighe, oppure, soprattutto a partire dall’entrata nell’uso dell’opera cementizia, si
usavano cassoni, casseformi che venivano riempite di una malta idraulica a base di pozzolana, oppure
venivano riempiti di sabbia e pietre. Queste casseforme venivano realizzate riempiendole di materiale che
poteva essere un cementizio a base di pozzolana, che è un materiale di origine vulcanica, che ha delle
proprietà idrauliche, cioè mescolata a calce e acqua dà luogo a un tipo di malta che è in grado di fare presa
anche in presenza di acqua, come il cemento idraulico, dunque questo tipo di cassaforma, che viene
definita cassaforma allagata, si poteva gettare la basa utilizzando appunto questa malta pozzolanica,
altrimenti si poteva usare un tipo di cassaforma stagna nella quale venivano invece gettate pietre e sabbie,
in questo caso si svuotava prima la cassaforma dell’acqua e questo si utilizzava in mancanza di pozzolana.
Di queste strutture e di queste tecniche ci parla Vitruvio, che dedica spazio alla descrizione delle fondazioni
immerse nell’acqua, che fosse acqua di mare o acqua di fiume. Fondazioni fatte in ambiente umido, in
presenza di acqua, grazie all’uso di malta idraulica a base di pozzolana. Fatto questo, si realizzavano le
spalle di sostegno della struttura. Ricordiamo che in origine i ponti romani erano realizzati in legno, lo
sappiamo anche dalle fonti, poi nel corso dell’età repubblicana si iniziò a costruirli in muratura, in
particolare facendo uso di conci, cioè di blocchi tagliati, blocchi squadrati di forma regolare, che venivano
sollevati e messi in opera tramite l’uso di quelle che venivano chiamate machine tractoriae, erano
sostanzialmente delle gru che permettevano il sollevamento di pesi. In questo disegno ricostruttivo
vediamo anche un altro aspetto, cioè l’uso di centine lignee per la costruzione delle arcate, cioè i Romani
costruivano delle strutture di legno a forma di arco, che una volta realizzata la struttura venivano rimosse e
queste impalcature di legno hanno il nome di céntine. Una volta rimosse la struttura era pronta. Gli archi si
basavano sul principio della distribuzione delle spinte a partire da un elemento centrale, un cuneo che
svolgeva la funzione di chiave di volta, sappiamo che la struttura dell’arco funzione per compressione, cioè
dalla parte mediana dove è situato il cuneo, dove è situata la chiave di volta, la spinta si propaga
lateralmente fino a raggiungere i sostegni laterali, cioè i piloni che erano poi quelli che effettivamente
sostenevano la spinta e il peso di tutta la struttura. Proprio per questo più ampie erano le arcate e più
robusti dovevano essere i piloni.
I primi ponti di epoca romana erano realizzati in legno, lo sappiamo dalle fonti che la struttura più antica è il
Ponte Sublicio. Ce ne parla Tito Livio e ci fa sapere che questo ponte, realizzato in legno, risale all’epoca
regia, doveva essere stato costruito in un’area che doveva collegare la zona del Foro Boario con la zona
Trans Tiberim, al di là del Tevere un ponte realizzato nel VII secolo e che probabilmente doveva essere
anche amovibile, cioè essendo in legno, nel momento del pericolo, in caso di necessità, poteva anche
essere smontato per poi essere rimontato. Questo era il ponte più antico, di cui non rimane traccia. Rimane
invece traccia del primo ponte in muratura, realizzato poco a nord del precedente, il primo ponte in
muratura di Roma, detto Ponte Rotto, corrispondente al Ponte Emilio. Di questo ponte in realtà rimane solo
un troncone, fu più volte restaurato, anche in epoche relativamente recenti, nel corso del Cinquecento fu
più volte ristrutturato. Sempre da Tito Livio veniamo a sapere che fu costruito intorno al 241 da Manlio
Emilio Lepido, probabilmente fu realizzato in relazione alla costruzione della via Aurelia, fu però poi rifatto
nel 179 a.C. da Marco Emilio Lepido e Marco Fulvio Nobiliore. I ponti venivano spesso rifatti o comunque
ristrutturati, perché le piene del Tevere potevano essere anche molto distruttive. Anche Augusto mise
mano a questo ponte ristrutturandolo nel 12 a.C., poi abbiamo visto che nel corso della storia fu più volte
ristrutturato fino ad essere abbandonato e oggi ne rimane solo un troncone. Il ponte che possiamo
considerare il meglio conservato dell’antichità romana nell’urbe è il Ponte Fabricio, che per la verità non era
un ponte che scavalcava tutto il Tevere, ma consentiva il collegamento fra la sponda sx del Tevere, cioè
l’area del Campo Marzio, e l’isola Tiberina, dove si trovava un importante tempio dedicato ad Esculapio
(Asclepio). Consociamo il nome del costruttore di questo ponte e conosciamo anche la data, il 62 a.C.
Vediamo che presenta due arcate a sesto leggermente ribassato e nella parte mediana, in corrispondenza
del pilone, presenta un’ulteriore apertura, il cosiddetto arco di piena, che consentiva il rapido reflusso di
acqua in caso di piena. Presentava un nucleo di tufo e un rivestimento di travertino, poi vediamo che in
epoca successiva fu più volte restaurato e presenta delle cortine di laterizio che sono probabilmente
attribuibili al XVII secolo. Di questo ponte si conosce bene l’artefice abbiamo detto, che è Lucio Fabricio e lo
conosciamo in particolare dalla testimonianza epigrafica proprio sul ponte: sulle ghiere degli archi è
presente il nome di questo magistrato, che era un curator viarum ed egli appose il proprio nome su tutte le
ghiere degli archi, quindi il suo nome compare quattro volte e dice “Lucius Fabricius Gai Filius Curator
Viarum Faciundum Curavit”, cioè curò che fosse fatto, quindi è Lucio Fabricio che fa realizzare questo
ponte. Troviamo poi la traccia della sua opera anche nell’arco di piena. Questo ponte fu poi restaurato,
perché abbiamo un’altra iscrizione che ci ricorda che fu ristrutturato dai consoli del 21 a.C.
Dalla parte opposta rispetto al Ponte Fabricio, si trova il Ponte Cestio, che faceva da pendant rispetto al
precedente e collegava la sponda dx del Tevere all’Isola Tiberina. Probabilmente è un po’ più recente del
Ponte Fabricio, ma è quasi contemporaneo, lo si può probabilmente attribuire al pretore del 44-43 a.C. e fu
dunque realizzato intorno alla metà del I secolo a.C., anche se lo si è conosciuto per molto tempo nella sua
forma definitiva, risalente al IV secolo d.C. In realtà questo ponte fu restaurato, fu restaurato dalle fonti alla
metà del II secolo d.C., poi più volte vi si mise mano nel corso del IV secolo d.C., ma poi alcuni interventi di
restaurazione si conobbero anche nel Quattrocento e nel Seicento, fu danneggiato nel corso dell’Ottocento,
ma a un certo punto venne completamente demolito. Lo vediamo qui in un’img. dell’Ottocento, proprio
prima della demolizione, e vediamo anche come era realizzato, quali erano le caratteristiche della sua
struttura, questo era l’aspetto originario del ponte prima della demolizione, con un’arcata molto ampia al
centro e due archi minori ai lati. Fu infatti demolito a fine Ottocento, quando vennero rifatti gli argini del
Tevere e questo è il suo aspetto oggi. Va detto che furono recuperati dalla vecchia struttura diversi elementi
che poi furono reimpiegati nel rifacimento, nei lavori di rifacimento di questo manufatto, in particolare i
vecchi materiali da costruzione sono concentrati nell’area dell’arcata centrale.
Ricordiamo un altro importante ponte di epoca romana, uno dei ponti più antichi, anch’esso ricordato da
Tito Livio, ed è il Ponte Milvio, che era situato nell’area settentrionale della città di Roma. Qui lo vediamo
raffigurato in questa planimetria. Il Ponte Milvio è uno dei ponti più antichi di Roma e anche uno dei più
belli, è ricordato da Tito Livio in relazione a fatti avvenuti nel 207 a.C., è però soprattutto ricordato per
l’importante avvenimento risalente al 312 a.C., cioè la famosa battaglia del Ponte Milvio combattuta da
Costantino e da Massenzio, dunque il Ponte Milvio è passato alla storia proprio per questo importante
avvenimento di carattere storico. È uno dei più antichi ponti di Roma, al di sopra di esso nel 27 a.C. era
stato anche realizzato un arco con una statua dedicata ad Augusto, è un ponte di grande effetto, sul quale
poi si conservano strutture di età medievale. È costituito da una serie di sei arcate, quelle mediane sono di
dimensioni maggiori rispetto alle laterali, e presenta 5 robusti piloni con dei frangiflutti a pianta triangolare,
al di sopra dei quali si aprono i cosiddetti archi di piena. Questo ponte era realizzato in tufo di grotta oscura
e travertino per il rivestimento, è un ponte particolarmente importante perché consentiva
l’attraversamento del Tevere nella parte nord della città di Roma, sostanzialmente dove passava la Via
Flaminia, in prossimità poi del ponte si diramavano altre importanti direttrici, fra cui la Via Cassia. Nel
Medioevo il Ponte Milvio costituì la principale via di accesso e di uscita da e per Roma, fu naturalmente più
volte, anche per la sua importanza, più volte restaurato nel corso dei secoli, fino all’Ottocento in
particolare, si ricordano importanti interventi di restauro.

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