Sei sulla pagina 1di 16

Reine-Marie Bérard Archeotanatologia….

Paleoantropologia e archeotanatologia: nuovi metodi e approcci


per lo studio delle necropoli magno-greche

L’interesse scientifico per le tombe delle popolazioni del passato sicuramente non è
nuovo; già gli Antiquari del Seicento e del Settecento erano coinvolti nello scavo delle tombe,
e quest’interesse è perdurato fino ai tempi moderni, sempre più forte. Una delle ragioni di tale
attenzione è senza dubbio il fatto che le tombe contenevano oggetti, spesso ben conservati e
anche, non raramente, di pregio. Così per decine di anni, le tombe antiche sono state scavate
quasi esclusivamente per recuperare gli oggetti dei corredi ed eventualmente per studiare
l’architettura funeraria, nel caso delle tombe più monumentali. Il defunto, pur essendo la
ragione d’essere della tomba, era trascurato a tal punto che le ossa erano frequentemente
lasciate sul posto, senza essere sottoposte ad uno studio antropologico. Per “studio
antropologico”, si riferisce qui all’antropologia biologica (anche chiamata antropologia
fisica), cioè la disciplina che ha per oggetto la storia dell’evoluzione e della biologia umana –
secondo l’uso tradizionale del termine “antropologia” in Europa, mentre nella tradizione
anglosassone, riferisce piuttosto all’antropologia sociale e culturale.
Fino agli anni ‘70, gli antropologi biologici si occupavano quasi esclusivamente delle
evoluzioni globali del popolamento umano sul lungo tempo. Una grande parte di loro si
interessava allo studio degli scheletri solo fino alla fine del Paleolitico superiore, nel momento
in cui si fissano i grandi “gruppi umani” cosi come sono conosciuti oggi. Sugli scavi
archeologici relativi a periodi più recenti (come le grande necropoli magno-greche o italiche),
gli scheletri erano lasciati sul posto o, a volte, solamente parzialmente prelevati; spesso
veniva recuperato solo il cranio, essendo considerato la parte privilegiata per gli studi
sull’evoluzione del popolamento umano. In questi rari casi, gli archeologi consegnavano le
ossa agli antropologi o ai medici, senza un obiettivo particolare per la conoscenza del sito
archeologico.

La maggior parte delle grandi necropoli greche sono state scavate in questo periodo,
prima della grande evoluzione che ha condotto a conservare gli scheletri provenienti dagli
scavi archeologici. Sotto questo aspetto, il sito di Paestum è stato quasi vittima della sua
importanza, considerato che è stato scavato già nell’Ottocento 1 . A Nord, la necropoli di
Arcioni è stata esplorata già nel 1805, poi negli anni 1930 e ‘70; la necropoli di Laghetto è
stata indagata principalmente negli anni 1954-1956; la necropoli Andriulo, contigua a quella
di Laghetto, negli anni 1969-1971. Più a Nord, a due chilometri della città, la necropoli di
Gaudo fu largamente indagata tra il 1958 e gli anni 70. A Sud, la necropoli di Licinella è stata
in grande parte saccheggiata nell’Ottocento dal Marchese di Salamanca, poi scavata negli
anni 1967-1968. Per tutti questi scavi, come era solito dappertutto in Europa, pochissimi
scheletri sono stati conservati e, come traspare nei resoconti di scavo, il grandissimo interesse
dei dipinti presenti in un numero elevato nelle tombe e la buona conservazione dei corredi
hanno anche contribuito a trascurare i morti stessi.
La prima necropoli di Paestum in cui i resti umani sono stati presi in considerazione è
quella di Spinazzo, scavata nel 1972-1973. Dal 1976 in poi, l’attenzione per gli scheletri ed i
dati antropologici che essi potevano fornire è diventata usuale. Uno dei campioni scheletrici
più importanti per Paestum è quello fornito dagli scavi di Marina Cipriani nella necropoli
meridionale di Santa Venera effettuati tra il 1979 e il 1984, che ha portato alla luce

1 PONTRANDOLFO, ROUVERET 1992, p. 17‑ 18 per un breve richiamo della storia degli scavi nelle necropoli.

1
Reine-Marie Bérard Archeotanatologia….

249 tombe; le ossa sono state conservate e studiate dal Prof. C. Marmo, della facoltà di
Medicina dell’Università di Napoli2. Importanti scavi sono anche stati eseguiti alla fine degli
anni ’80 e negli anni ’90 nella necropoli extraurbana del Gaudo; lo studio antropologico è
stato effettuato dai Proff. M. et R. Henneberg, del Departement of Anatomical Sciences
dell’Università di Adelaide (Australia)3. Un piccolo gruppo di sepolture è anche stato scavato
negli anni 2000 nella necropoli urbana di Licinella, dando luogo pure lì ad analisi
antropologiche4.

Questo cambiamento a Paestum corrisponde ad un’evoluzione generale della ricerca


nell’ambito dell’archeologica funeraria in Europa negli anni ‘70, con una doppia presa di
coscienza, sia degli antropologi che degli archeologi. I primi hanno compreso l’importanza
della conoscenza del contesto di provenienza delle ossa per capire i processi tafonomici (tutti i
processi antropici o naturali che subiscono la tomba e il corpo nel periodo che intercorre tra la
costituzione della tomba ed il suo scavo); nello stesso tempo, gli archeologi hanno sviluppato
un interesse crescente per i dati antropologici che potevano essere ricavati dalle sepolture. Si è
fatto progressivamente chiaro il fatto che gli scheletri non solo potevano essere usati per
capire l’evoluzione delle popolazioni umane sul lungo tempo, ma potevano anche aiutare a
conoscere le società del passato di diverse epoche, dando informazioni sulla loro morfologia,
il loro stato di salute, le loro patologie ed alcuni aspetti delle loro abitudini.

Da questo momento in poi, è cosi diventato la regola conservare gli scheletri


provenienti dai siti archeologici per sottoporli a diversi tipi di analisi sempre più complesse,
di cui daremo di seguito qualche esempio.

II. Qualche contributo dell’antropologia biologica alla conoscenza delle


popolazioni del passato

Lo studio antropologico degli scheletri umani scoperti sugli scavi archeologici può
essere di grande utilità per la ricostruzione di diversi aspetti della vita delle popolazioni del
passato. Diciamo subito che l’obiettivo principale di questi studi non è soltanto determinare la
causa della morte, com’è di solito negli studi di Forensic Anthropology. Anche se fa parte
delle domande esaminate, è molto raro poter stabilire la causa della morte di un individuo a
partire dal solo esame del suo scheletro: a volte perché gli elementi scheletrici non mostrano
nessun segno particolare; a volte, al contrario, perché dimostrano molteplici traumi, tutti
potenzialmente mortali. Certo, in alcuni casi, si possono fare ipotesi assai solide dall’esame
delle ossa, come per esempio nelle tombe di soldati ritrovate nelle necropoli della colonia
greca siciliana di Imera, dove alcuni individui portavano ancora profondamente ancorate nelle
ossa le punte di frecce o di giavellotti che li avevano uccisi5. Ma questi sono casi eccezionali e
di solito, l’antropologo non ha per obiettivo principale capire come gli individui sono morti,
ma piuttosto come hanno vissuto.
Età alla morte
I primi dati che l’analisi antropologica in laboratorio può fornire è l’età alla morte e la
determinazione del sesso dell’individuo. L’età alla morte è un dato fondamentale per capire la
durata media e le condizioni della vita delle popolazioni del passato. Fino all’invenzione della

2 CIPRIANI 1989 e CIPRIANI 1994 per una presentazione dei risultati preliminari di queste analisi.
3 CIPRIANI 2000.
4 CIPRIANI et al. 2009.
5 VASSALLO 2010.

2
Reine-Marie Bérard Archeotanatologia….

vaccinazione, avvenuta alla fine del Settecento, la mortalità infantile (cioè la percentuale degli
infanti morti prima di aver raggiunto il primo anno di vita) poteva raggiungere il 30-
40 per cento (in Italia oggi è il 2,9 per mille!). Un numero molto elevato di bambini moriva
nei primi anni di vita, ed una delle domande a cui l’antropologia biologica può portare
risposte è il modo in cui venivano trattati questi bambini nelle necropoli secondo la loro età.
Orbene, in un grande numero di necropoli antiche, sia greche che italiche o romane, i bambini
appaiono sottorappresentati rispetto a quello che ci si potrebbe aspettare visto il tasso elevato
della mortalità infantile. Tale sotto-rappresentazione dei bambini, in particolare quelli di età
inferiore ad un anno, è stata per esempio osservata nella necropoli di Pantanello, a
Metaponto6, o – anche se meno marcata – ad Imera7. Ciò consente di ipotizzare che una
grande parte di bambini piccoli era inumata in altri luoghi, forse nell’abitato o in necropoli
specifiche. Ma non era una regola assoluta nelle colonie greche d’Occidente: a Megara
Hyblaea, in Sicilia, la porzione molto elevata di tombe infantili nelle necropoli urbane della
città sembra al contrario suggerire che tutti i bambini morti, anche quelli più piccoli, venivano
sepolti negli stessi luoghi degli adulti.
A Paestum, i dati più importanti sono quelli forniti da M. Cipriani sugli scheletri della
necropoli di Santa Venera. Su 231 individui esaminati, sono stati riconosciuti 130 adulti e 101
subadulti (in questo caso il termine subadulto designa individui di età inferiore ai 20 anni).

Tableau 1: Fascia di età dei defunti nella necropoli di Santa Venera (d'après: Cipriani 1989, p.77)

Fascia di età Numero di


individui
Bambini (0-6 anni) 17
Fanciulli (6/7-12/13 anni) 15
Giovani (12/13-20 anni) 24
Adulti (21-40 anni) 109
Maturi (40-59 anni) 13
Senili (60 e più anni) 9
Non determinata 44
Totale 231

Anche se si dovrà aspettare la pubblicazione integrale dei dati per poter proporre
riflessioni approfondite sul trattamento funerario dei bambini secondo la classi di età, è
notevole il fatto, notato da M. Cipriani, che nella necropoli di Santa Venera, i bambini
venivano trattati come gli adulti, deposti in tombe delle stesse misure (più o meno 1,85-
1,90 m di lunghezza, 0,90 m di larghezza e 0,80-0,90 m di profondità), nello stesso modo.
Solo un caso di fossa piccola è documentato per un “neonato”; una tegola semi-circolare
(kalyptér) copriva questa piccola fossa8.
Sesso

Anche il sesso è un dato fondamentale per l’analisi delle necropoli antiche: la


valutazione di eventuali differenze nel trattamento funerario tra uomini e donne, permette, in
effetti, di riflettere sulla suddivisione del lavoro, delle funzioni e delle rappresentazioni
secondo una logica di genere nella società considerata. È pero importante insistere sul fatto
che il termine “sesso” si riferisce ad una realtà biologica, che può solo essere determinata
dall’analisi antropologica. Nella maggiore parte dei casi, la diagnosi del sesso si basa su
alcuni caratteri morfologici discriminanti dello scheletro: l’esame della morfologia del bacino

6 CARTER 1998, p. 144-145.


7 VASSALLO 2014, p. 259-260.
8 CIPRIANI 1994, p. 172.

3
Reine-Marie Bérard Archeotanatologia….

è il criterio più sicuro, mentre la morfologia del cranio può dare altre indicazioni, tuttavia
molto meno determinanti. I dati osteometrici (misure delle ossa) possono essere utilizzati solo
se esiste una popolazione di riferimento specifica al sito e ben documentata. Considerata la
natura di questi criteri, non è possibile ad oggi determinare il sesso di un bambino se non
tramite l’analisi del DNA.
Il fatto che varie pubblicazioni propongono comunque riflessioni sul trattamento
funerario differenziato dei bambini di sesso maschile o femminile è emblematico di una
confusione ancora frequente nella letteratura archeologica tra sesso e genere. Se il sesso è
biologico, il genere è sociale e può essere espresso in diversi modi nel trattamento funerario:
l’architettura della tomba o gli oggetti del corredo. Fino a poco tempo fa, era comune
determinare il “sesso” dei defunti (in realtà il genere) a partire degli oggetti del corredo: un
individuo con le armi veniva automaticamente decretato uomo, mentre un individuo con
fibule, braccialetti o attrezzi di filatura, veniva categorizzato come donna. Certo, anche senza
analisi antropologiche, si può dire che c’è una grande probabilità che l’individuo della tomba
Santa Venera 109 per esempio, portatore di un cinturone ed accompagnato da punte di lancia,
sia stato un uomo dedicato alle funzioni guerriere. Ma una grande probabilità non è una
certezza, e prendere il genere per il sesso conduce troppo spesso a ragionamenti circolari:
prima si propone l’identificazione del sesso a partire degli oggetti (“sono stati considerati
maschi tutti quelli che avevano le armi”), poi si fanno riflessioni sull’attribuzione degli
oggetti a seconda del sesso (“i maschi erano accompagnati dalla armi”). Si vede bene qui il
rischio di tale pratica, che d’altronde può trascurare casi particolarmente interessanti di
trasgressione di genere: una donna con le armi, un maschio con gli oggetti del mundo
muliebris. Nella necropoli di Santa Venera, le analisi antropologiche hanno per esempio
permesso di dimostrare che gli alabastron di alabastro, spesso considerati oggetti di donna nel
mondo greco e magno-greco, erano distribuiti sia nelle tombe femminili che in quelle
maschili, a volte anche associati con lo strigile. Per questo è molto importante distinguere tra
sesso e genere, e proporre riflessioni riguardanti i dati di cui si dispone.

Figure 1: Corredo della tomba Santa Venera 205 (da: Cipriani 1989, fig. 4, p. 79)

Dati sull’età alla morte e il sesso, oltre a dare preziose informazioni sulle variazioni
del trattamento funerario a seconda dell’identità biologica del defunto, permettono anche di
riflettere sulla selezione della popolazione funeraria nelle necropoli ed i suoi criteri. Si è già
detto come spesso i bambini al di sotto di un anno sono sotto-rappresentati nelle necropoli
greche e magno-greche, una sotto-rappresentazione spesso interpretata come il segno della
loro incompleta integrazione nella comunità. Ma possono anche esserci variazioni della
popolazione funeraria determinate dal sesso del defunto. Nella piccola necropoli di Ponte di
Ferro, sita ad 850 metri a nord-ovest delle mura di Paestum, le analisi antropologiche condotte
da M. et R. Henneberg hanno messo in evidenza una sex ratio fortemente sbilanciata a favore

4
Reine-Marie Bérard Archeotanatologia….

del sesso femminile (le donne sono il doppi degli uomini) 9 . Questa situazione trova un
parallelo nella necropoli di Pantanello a Metaponto 10 . Cercando spiegazioni, J. Coleman
Carter aveva evocato la possibilità di una elevata mortalità in guerra degli uomini –
riconoscendo pero che implicherebbe di suppore uno stato di guerra quasi ininterrotto di tre
secoli. Un'altra ipotesi proposta da Carter è che la necropoli di Pantanello fosse dedicata agli
addetti di un culto particolare, nel quale le donne avrebbero un ruolo predominante (forse
quello di Iside). Per quanto riguarda la necropoli pestana di Ponte di Ferro, solitamente
considerata come necropoli di persone subalterne, addirittura anche schiavi (vede infra),
potrebbe essere significativo dell’organizzazione della società e dell’inclusione selettiva di
donne, forse allogene, nella comunità. Studiare il “reclutamento” degli insiemi funerari
secondo criteri di sesso ed età consente così di riflettere sull’organizzazione delle necropoli e
il “rapporto difficile”11 tra società dei vivi e comunità dei morti.
Attività e stato di salute

Un altro apporto importante delle analisi antropologiche alla conoscenza delle


popolazioni del passato viene dal fatto che permettono di cogliere aspetti delle condizioni di
vita di queste popolazioni, il loro stato di salute e alcune delle loro abitudini. In effetti,
l’esame degli scheletri può rivelare “indicatori di attività”, cioè variazioni nella forma o nelle
dimensioni delle ossa, patologiche o no, che sono generalmente interpretate come la
conseguenza di forti sollecitazioni biomeccaniche legate ad un’attività fisica pesante o
ripetuta. Portare carichi pesanti, rimanere accovacciato a lungo o usare sempre gli stessi
attrezzi nella stessa postura, porta alla modificazione delle ossa sollecitate: possono per
esempio apparire sulle ossa faccette articolari accessorie, o entesopatie, cioè escrescenze o al
contrario lacune in corrispondenza dei siti di inserzione dei muscoli, dei tendini e dei
legamenti sollecitati. L’interpretazione di questi dati deve comunque tener conto anche delle
evidenze archeologiche. Nella tomba 136 della necropoli del Gaudo per esempio, si è potuto
notare sullo scheletro dell’inumato, una “marcata asimmetria non patologica dell’omero
destro, prodotta verosimilmente da un prolungato esercizio del braccio attraverso allenamenti
condotti sin dall’età molto giovanile” 12 . Considerando che si trattava di un uomo circa
trentenne, sepolto con un cinturone ed una corazza bivalve a tre dischi, tipici dell’armamento
del guerriero sannitico, si può ipotizzare che quest’asimmetria dell’omero destro sia una
conseguenza della sua pratica del maneggio delle armi. Così, nello stesso modo in cui le
analisi antropologiche permettono di confrontare la rappresentazione sociale del genere con la
realtà biologica del sesso, permettono di dire che le armi trovate in questa tomba non sono
solamente simbolo di status e dell’appartenenza di quest’uomo al gruppo elitario dei guerrieri,
ma corrispondono ad una pratica effettiva del mestiere delle armi.

9 HENNEBERG, HENNEBERG 1995; CONTURSI 2016, p. 29.


10 CARTER 1998, p. 145-146.
11 Prendo qui in prestito il titolo di un articolo fondamentale di Bruno d’Agostino sulle difficoltà

dell’interpretazione delle necropoli antiche. D’AGOSTINO 1985.


12 CIPRIANI 2000, p. 207-208.

5
Reine-Marie Bérard Archeotanatologia….

Figure 2: La tomba 136 della necropoli del Gaudo in corso di scavo (daa: Cipriani 2000, fig. 10, p. 204)

La presenza di indicatori correlati ad attività fisiche pesanti è peraltro spesso


interpretata come un’indicazione dello stato subalterno dell’individuo che le dimostra,
soprattutto se presenta anche alterazioni scheletriche legate a problemi di salute. Patologie
traumatiche come fratture, alcune malattie infettive o carenze (come l’anemia o il rachitismo)
ma anche disturbi nella crescita e degenerazioni articolari possono lasciare tracce più o meno
marcate sulle ossa, dandoci importanti informazioni sullo stato di salute delle popolazioni
antiche. Numerosi casi di anemie e infezioni sistemiche sono stati registrati tra i defunti della
piccola necropoli di Ponte di Ferro. È stato così delineato un quadro di generalizzata
malnutrizione e un elevato tasso di mortalità giovanile per gli occupanti di questa necropoli,
“rafforzando l’idea che Ponte di Ferro costituisca l’area di sepoltura di una parte della società
poseidoniate di condizione subalterna, se non addirittura servile”13. È interessante sottolineare
però che quest’interpretazione non deriva solo dai dati antropologici, ma dal loro confronto
con i dati archeologici. In effetti, la necropoli di Ponte di Ferro si distingue anche delle altre
necropoli di Paestum per il fatto che le tombe sembrano molto umili14. Sono state scavate nel
banco sabbioso e non nella roccia, a volte semplici fosse, altre volte cassette di terracotta o
tombe alla cappuccina realizzate con scarti di fornace o tegole deformate, di nessun valore
economico. Molto scarsi erano pure gli oggetti deposti nelle tombe, tranne nelle tombe di
bambini. È dunque dal confronto tra i dati archeologici ed antropologici che l’ipotesi di una
necropoli riservata a strati inferiori della popolazione prende consistenza.

13 CONTURSI 2016
14 Sulla necropoli di Ponte di Ferro, cf. : AVAGLIANO 1985 ; ESPOSITO, POLLINI 2013 ; CONTURSI 2016.

6
Reine-Marie Bérard Archeotanatologia….

Figure 3: Tombe scavate nella sabbia nella necropoli di Ponte di Ferro (da: CONTURSI 2016, fig. 1, p. 28)

Infine, lo studio paleopatologico degli scheletri antichi non da solo informazioni sulle
patologie di cui soffrivano gli antichi abitanti della Magna Grecia, ma offre anche indicazioni
su alcuni dei mezzi che erano messi in opera per curarli. Diversi casi di trapanazione cranica
sono per esempio noti dalle necropoli arcaiche e classiche di colonie greche d’Occidente
come Camarina, Imera e Megara Iblea. Il numero elevato di crani che presentano tracce di
cicatrizzazione dimostra che c’era un tasso di sopravvivenza a questa pesante operazione
vicino agli 70 % nell’Antichità.
Parentela, lignaggio e migrazioni

Le analisi antropologiche possono finalmente permettere di comprendere certe


relazioni di parentela e di lignaggio tra gli individui di uno stesso gruppo funerario, in
particolare grazie ai progressi della paleogenetica. In effetti, frammenti del DNA presente
nelle ossa e nei denti (o nei capelli e nei tessuti mummificati quando sono presenti) possono
essere conservati per centinaia, anche migliaia di anni. Se gli scheletri sono stati manipolati
accuratamente e con adeguate precauzioni per limitare i rischi di contaminazione con il DNA
recente (per esempio quello dell’archeologo che ha scavato o quello dell’antropologo che fa
lo studio !), è possibile recuperare segmenti del DNA antico. Il metodo chiamato PCR
(Polymerase Chain Reaction) permette oggi di amplificare le sequenze del DNA grazie ad un
enzima che effettua la polimerizzazione a catena a partire da una minima quantità di DNA.
Questo metodo consente per esempio di ricercare gli agenti patogeni infettivi che lasciano
tracce genetiche come la peste, la tubercolosi o la lebbra, e di capire meglio le malattie che
sono all’origine delle grandi epidemie dell’Antichità frequentemente chiamate genericamente
“peste”. Ma la paleogenetica consente anche di affrontare certe relazioni di parentela tra
individui di uno stesso insieme funerario. Ad oggi tuttavia, è soltanto possibile comprendere il
lignaggio materno, considerato che il DNA sul quale sono fatte la maggior parte delle analisi
oggi è quello mitocondriale, cioè quello della madre. Prove sono anche state fatte da
J. Coleman Carter a Metaponto per ipotizzare relazioni di parentele tra individui, adulti e

7
Reine-Marie Bérard Archeotanatologia….

bambini, di gruppi di tombe vicine, comparando il loro gruppo sanguigno 15 . Il gruppo


sanguigno di un bambino dipende, in effetti, da quello dei suoi genitori; può dunque dare
indicazioni di compatibilità o incompatibilità familiare tra diversi individui. Carter ha pure
preso in considerazione i caratteri epigenetici, variazioni anatomiche ereditabili di cui alcune
sono visibili sullo scheletro (come per esempio il metopismo, cioè la persistenza della sutura
mediana dell’osso frontale dopo l’età di 4-5 anni, molto frequente nella necropoli di
Pantanello). Basandosi sulla compatibilità sanguina tra bambini e adulti, sulle variazioni
epigenetiche, sul sesso e l’età degli individui, ma anche sulla localizzazione delle tombe e la
loro datazione data dagli oggetti del corredo o della stratigrafia, Carter propone ipotesi sulle
relazioni tra i diversi defunti dei gruppi funerari. Anche se i risultati di tale studio restano
molto ipotetici – come bene lo sottolinea anche Carter – essi dimostrano comunque una delle
tante possibilità aperte oggi dalle analisi DNA. Come per ogni tipo di analisi però, prima di
intraprenderle, bisogna sempre focalizzare l’attenzione su cosa si sta cercando ed essere
coscienti dei limiti di queste promettenti analisi.

Le stesse osservazioni si possono fare per un nuovo tipo di analisi che va molto di
moda in questi ultimi anni, l’analisi degli isotopi dello stronzio. Lo stronzio è un elemento
chimico della famiglia dei metalli; si trova in abbondanza nella natura sotto forma minerale,
in particolare nei sedimenti vulcanici; quando questi sedimenti si erodono, si diffondono
nell’acqua e si ritrovano in diversi tipi di risorse alimentari. Lo stronzio è contenuto in queste
risorse ed è successivamente assorbito dall’organismo che l’incorpora nei tessuti ossei (come
succede con il calcio) e nello smalto dentario. Orbene, il rapporto degli isotopi dello stronzio
varia a seconda delle regioni geografiche: di conseguenza, l’analisi del rapporto degli isotopi
dello stronzio contenuto nelle ossa di un individuo può dare indicazione sulla sua regione di
provenienza. Visto che lo smalto dentario si forma nei primi anni di vita dell’individuo e non
si rinnova più, il rapporto degli isotopi dello stronzio nello smalto corrisponde alla geologia
dell´area in cui l’individuo ha trascorso la sua infanzia. Al contrario, le ossa sono fatte di
tessuto organico vivo, che si rinnova regolarmente – più o meno ogni dieci anni – a misura
che l’individuo cresce e invecchia. Il rapporto degli isotopi dello stronzio nelle ossa rivela
dunque la regione in cui una persona ha passato gli ultimi anni della sua vita. Confrontando il
rapporto degli isotopi delle ossa e quello degli isotopi dei denti, diventa così possibile sapere
se un individuo è morto dove era cresciuto; confrontando i denti di due individui, si può anche
capire se uno viene di un'altra regione dell’altro. Si possono così cogliere movimenti di
popolazione a grande scala, non da un villaggio o a un altro ma, per esempio, della Grecia
all’Italia.
Appare ovvio l’interesse di tali analisi per evidenziare i fenomeni di colonizzazione
greca in Occidente. Per questa ragione sono stati intrapresi analisi dello stronzio su scheletri
provenienti dalla necropoli di Pithekoussai, da Melania Gigante e Luca Bondioli. I primi
risultati16 sembrano incoraggianti, mostrando una più grande mobilità degli individui maschi
rispetto alle femmine. Non si deve dimenticare però che questo tipo di analisi funziona solo
per la prima generazione di coloni, mentre già dalla seconda generazione di convivenza, la
condivisione dell’ambiente e del regime alimentario esclude la possibilità di trovare
differenze tra Greci e indigeni usando questo metodo. Le notevoli potenzialità di questo
metodo restano ancora in grande parte da esplorare.

15CARTER 1998, p. 149-154.


16Sono stati presentati alla 7th Conference of Italian Archaeology in Galway (Irlanda), nel Aprile del 2016.
Dovrebbero essere pubblicati tra poco.

8
Reine-Marie Bérard Archeotanatologia….

III. “Antropologia di campo” e archeologia della gestualità funeraria

Dagli anni ‘70 in poi, l’antropologia biologica applicata allo studio delle necropoli
storiche si è molto sviluppata, proponendo analisi sempre più numerose e elaborate per capire
le origini, relazioni, condizioni di vita, stato di salute, e abitudini degli antichi abitanti della
Magna Grecia. Tutte queste analisi si sviluppavano però all’interno delle pareti dei laboratori,
subito dopo lo scavo o anche, a volte, molto più tardi – alcuni degli studi recenti presentati
sono stati fatti su scavi vecchi, il che resta possibile purché le ossa siano state conservate. Ma
un altro tipo di approccio ha cominciato ad emergere all’inizio degli anni ‘80, un approccio
che dava un’importanza fondamentale allo studio degli scheletri direttamente sul campo.

La volontà di migliorare i metodi di scavo dei resti umani in contesti archeologici si è


sviluppata dalla fine degli anni ’70 in poi nel contesto più largo di una riflessione sui metodi
di scavo in generale, sui principi della stratigrafia e sui modi per preservare al meglio le
informazioni che si potevano ricavare dal terreno 17 . Ma sono i lavori di Henri Duday in
Francia a partire della fine degli anni ‘70 a segnare una svolta radicale per lo studio delle
sepolture antiche. Formato sia all’archeologia che alla medicina, è uno dei primi ad avere
affermato la necessità per gli antropologi di uscire dai laboratori per andare a scavare le
sepolture direttamente sul campo. Così è nato un nuovo approccio per lo scavo delle sepolture
e degli insiemi funerari, una nuova disciplina presto chiamata “antropologia di campo”.
Chiara nell’ambiente dell’archeologia francese, quest’espressione apparve però fonte
di possibili confusioni visto che gli antropologi “sociali” e “culturali” (secondo l’uso di
tradizione anglosassone del termine antropologia) andavano pure sul “terreno”, ma un terreno
e un’antropologia tutti diversi da quelli dell’antropologo biologico sul terreno archeologico.
Così Bruno Boulestin e Henri Duday hanno proposto per la prima volta nel 1998 il termine di
“archeotanatologia” per chiamare questo nuovo approccio, basato sui metodi della cosiddetta
antropologia di campo ma aprendo anche nuove vie per un approccio molto più largo, una
riflessione globale sulla Morte e i morti nelle società del passato a partire di una messa in
perspettiva storica, sociale e culturale dei dati archeologici e antropologici18.

All’origine dell’archeotanaologia, c’è la constatazione di una “aberrazione


epistemologica” nello studio delle sepolture antiche: spesso, le tombe erano studiate per il
materiale che contenevano senza che il ragionamento archeologico prendesse in
considerazione il defunto. Eppure “Il morto costituisce di fatto la ragion d’essere della tomba
e l’elemento centrale intorno al quale, in funzione del quale, si sono susseguiti i gesti che
l’archeologia funeraria aspira a ricostruire. La scelta metodologica dell’antropologia di
campo, dell’archeotanatologia, consiste semplicemente nel porre il defunto al centro
dell’interesse in merito alla sepoltura” 19.
In tale prospettiva, l’analisi archeotanatologica da un’importanza centrale allo studio
dei resti ossei nel contesto e si fonda su un insieme di metodi specifici per lo scavo delle
sepolture, integrando i metodi sia dell’archeologia (in particolare l’applicazione della
stratigrafia anche all’interno della tomba) che dell’antropologia biologica (conoscenza
approfondita dell’osteologia umana e dei processi di trasformazione del corpo umano privo di
vita, dallo stato di cadavere a quello di scheletro). L’analisi dell’ordine delle dislocazioni
articolari durante la decomposizione del corpo costituisce uno degli elementi fondamentali
della riflessione, dando informazioni preziose sui vari processi tafonomici che si sono

17 A proposito della storia della ricerca in archeologia e antropologia della morte, in Italia e nel mondo
anglo-sassone, cf. il monumentale lavoro di : NIZZO 2015.
18 Per una presentazione dettagliata di questo metodo, cf. : DUDAY 2006.
19 DUDAY 2006, p. 27.

9
Reine-Marie Bérard Archeotanatologia….

sviluppati all’interno della tomba ed intorno ad essa. Per “processi tafonomici”, si intende qui
tutti i processi naturali o antropici, intenzionali o no, che hanno potuto influire sull’aspetto e
la composizione del contesto funerario dal momento dalla chiusura dalla tomba fino al suo
scavo
A partire dell’osservazione della posizione relativa delle ossa, del materiale, del loro stato di
conservazione, della stratigrafia della tomba e dei diversi elementi che hanno potuto turbare il
deposito, l’antropologia di campo cerca a distinguere tra quello che risulta da processi naturali
o antropici casuali (perturbazione delle tombe a causa di lavori agricoli o industriali,
terremoti, infiltrazione d’acqua, passaggio di piccoli animali, etc.) dai processi invece
antropici e volontari che rilevano della “gestualità funeraria”, cioè le varie pratiche funerarie
che sono state eseguite intorno al cadavere e alla tomba. “Affinché sia possibile mettere in
relazione un’osservazione di scavo ed un fatto rituale, bisogna essere capaci di mostrare che il
fatto deriva da un gesto intenzionale da parte delle persone che hanno costituito il deposito
funerario” 20. A volte, la dimensione rituale può essere molto chiara, sia dell’osservazione
della tomba stessa, sia perché si dispone di altri fonti (storiche, letterarie, iconografiche) che
documentano le pratiche funerarie della popolazione studiata – com’è il caso per il mondo
greco e, in minori proporzioni, magno-greco. Quando non si dispone di altri fonti pero, si
deve sempre rimanere molto attenti nell’interpretazione dei dati archeologici. In effetti, esiste
oggi una tendenza a considerare come “rituale” tutto quello che appare strano o inusuale. Al
contrario, davanti ad una situazione inusuale nella tomba, bisogna verificare se la situazione si
rileva anche in altre sepolture dello stesso contesto cronologico e culturale. Se questa
situazione è ripetuta, la probabilità che sia intenzionale, e quindi rituale appare probabile.

Tenendo sempre conto di queste precauzioni, così l’antropologia di campo mira a


restituire i processi ante-deposizionali, deposizionali e post-deposizionali che hanno
contribuito a costituire il deposito archeologico come appare al momento dello scavo.
Presenteremo adesso qualche esempio delle conoscenze che può offrire lo studio dei resti
scheletrici direttamente sul campo.

Posizione originale e trattamento del defunto

Uno dei primi dati che l’osservazione degli scheletri sul campo consente di ottenere è
il tipo di giacitura del defunto nella tomba. A Paestum, le tombe d’epoca arcaica e classica
sono sempre deposizioni singole: ogni tomba era dedicata ad un unico defunto. La
disposizione delle ossa mostra che di norma 21 era praticata l’inumazione primaria, cioè la
deposizione del cadavere “fresco” senza riorganizzazione dei resti dopo l’inizio della
decomposizione del corpo. Ciò è attestato, osservando le fotografie di scavo, dal
mantenimento delle connessioni articolari anche quelle più labili (quelle che si deteriorano
prima, generalmente già qualche settimana dopo la morte), come quelle delle mani o dei
piedi.
Questa situazione è quella più semplice che si può affrontare in archeologia funeraria.
Al contrario, la comprensione della sepoltura diventa molto più complicata quando ci sono
più defunti deposti nella stessa struttura funeraria, sia che siano stati deposti simultaneamente
(si parla allora di sepoltura multipla), sia in tempi diversi (si parla allora di sepoltura
collettiva). A Paestum, solo nella necropoli eneolitica del Gaudo, scavata nel 1943, sono state
trovate tombe collettive « a grotticella » di cui alcune contenevano più defunti, alcuni in

20DUDAY 2006, p. 44.


21Ci sono pero qualche caso di incinerazioni, sia della fine VI-inizio V secolo a. C. (CIPRIANI 2000, p. 198)
che del III-II secolo a. C. (CIPRIANI et al. 2009).

10
Reine-Marie Bérard Archeotanatologia….

giacitura primaria, altri in giacitura secondaria: quando si doveva far posto per deporre un
nuovo defunto, i resti ed i corredi delle precedenti deposizioni erano spostati lungo le pareti
(in questo caso si parla di “riduzione” del cadavere o dello scheletro)22. Quando le deposizioni
sono numerose nella stessa struttura, l’analisi archeotanatologica secondo i metodi
dell’antropologia di campo permette di affrontare l’ordine cronologico delle deposizioni,
mentre l’analisi antropologica in laboratorio consente di determinare il numero minimo di
individui (NMI), a volte molto più elevato di quanto si sarebbe potuto immaginare dal solo
esame generico dalla tomba da un archeologo. Nelle necropoli greche arcaiche di Megara
Iblea e Siracusa per esempio è frequente la pratica delle deposizioni successive con
“riduzione” dei resti umani relativi alle deposizioni antecedenti. Se in alcuni casi il numero
degli inumati si poteva facilmente ricavare dal numero dei crani ben riconoscibili nella tomba,
in altri casi è stato possibile dedurlo solo dal conteggio delle rocche petrose (piccole parti
dell’osso temporale) che si è potuto individuare la presenza di nove defunti, quando
l’osservazione non antropologica ne dava solo uno23.

A Paestum, nella grande maggioranza dei casi, il defunto era inumato in posizione
supina, con le braccia lungo i fianchi. M. Cipriani ha registrato però la presenza nella
necropoli di Santa Venera di sei individui inumati in posizione supina-rattratta, secondo un
costume frequente nella zona apula e in alcuni centri del Vallo di Diano. Questo dato è molto
importante perché dimostra l’esistenza di una tradizione funeraria allogena coabitante con la
tradizione pestana nella necropoli. Come sottolinea M. Cipriani: “Forte sarebbe la suggestione
di considerare queste tombe il segno di un sistema di relazioni tra Poseidoniati e gruppi
allogeni, concretizzato con l’ingresso di elementi indigeni nella compagine sociale, che ne
accetta e ne perpetua la diversità etnico-culturale” 24. Questa posizione sembrerebbe dunque
indicare la presenza di individui allogeni nella necropoli.
Dall’osservazione delle fotografie effettuate sullo scavo, si può anche dire che i corpi
si sono decomposti in spazi vuoti – il che conferma che le tombe erano chiuse dalle lastre di
copertura senza essere riempite di terra prima. Ciò è testimoniato dall’apertura totale delle
ossa del bacino e dall’appiattimento della gabbia toracica .

22.AURINO 2014, p. 441.


23 Cf. le pubblicazioni di Paolo Orsi sulle necropoli di Megara Iblea e Siracusa nelle Notizie degli Scavi di
Antichità. Su le tombe plurime di Megara Iblea, cf. anche : BÉRARD 2017.
24 CIPRIANI 1994, p. 173-174.

11
Reine-Marie Bérard Archeotanatologia….

Figure 4: Necropoli del Gaudo, tomba 197 in corso di scavo (da Cipriani 2000, fig. 15, p. 209)

L’osservazione della disposizione delle ossa e degli oggetti del corredo fornisce anche
informazioni sul modo di deporre gli oggetti e forse anche il loro significato. Spesso nella
necropoli di Santa Venera, l’alabastron di alabastro, frequente nelle tombe sia di donna che di
uomo, era di solito tenuto nella mano, cosi come lo strigile, generalmente impugnato nella
mano destra25. Nella necropoli del Gaudo, appare anche chiaro che il cinturone e la corazza
composta di tre dischi erano di norma indossati dal defunto nel momento dell’inumazione.
Strutture funerarie deperibili

I metodi dell’antropologia di campo possono anche contribuire a definire il tipo di


struttura tombale a seconda che la decomposizione del cadavere sia avvenuta in uno spazio
vuoto o colmato, mettendo in evidenza l’effetto di eventuali contenitori, morbidi o solidi, in
base alla disposizione finale delle ossa.
A Paestum, l’esame delle foto e dei rilievi di scavo permette di dire che i defunti non
erano avvolti in sudari(le clavicole non sono verticalizzate). La presenza di fori quadrati o
circolari incavati regolarmente ai quattro angoli in un grande numero di tombe ha consentito
agli archeologi di proporre l’ipotesi che il defunto fosse stato deposto nella tomba su un letto
funebre di legno, i cui piedi sarebbero stati posti nei fori. La diposizione delle ossa visibile
sulle fotografie e sui disegni di scavo mostra però una buona conservazione dell’ordine
anatomico dello scheletro, che sarebbe stato invece molto turbato se lo scheletro fosse caduto
da un letto alto dopo la macerazione del legno. Si potrebbe dunque fare l’ipotesi che il letto di
legno era molto basso, con i piedi forse dall’altezza uguale – o poco più alta – alla profondità
dei fori. Quest’ipotesi sembra anche confermata dalla disposizione degli oggetti del corredo,
come si osserva nella foto della tomba 197 presentata sopra. In effetti, si vede che il foro
nell’angolo superiore destro sulla foto è coperto da diversi vasi interi: indica pertanto che i
vasi erano deposti sulla piattaforma di legno, ma che non si sono rotti quando essa si è
decomposta. Significa allora necessariamente che non sono caduti dall’alto, e pertanto che il
“letto” funerario, se esisteva, era molto basso.

25 CIPRIANI 1989, p. 79.

12
Reine-Marie Bérard Archeotanatologia….

Deposizioni entro cassa lignea, a volte arricchita da borchie di bronzo, sono anche
attestate in vari casi, in particolare nella necropoli del Gaudo26, o nella necropoli di Licinella,
scavata nel 200027: effetti di “delimitazione lineare”, cioè di allineamento delle ossa o del
corredo all’interno della fossa senza ragione apparente suggeriscono effettivamente la
presenza all’origine di una parete poi sparita, fatta di materiale deperibile, probabilmente di
legno. Alcune tombe a casse di legno dello stesso periodo sono state conservate grazie a un
tasso d’umidità particolarmente alto nelle necropoli greche della colonia siciliana di Himera28.

Se questi tipi di strutture funerarie, letto o cassa, lasciano tracce assai facili da
individuare dalle foto o dai rilievi di scavo anche se lo studio antropologico non è stato fatto
direttamente sul campo, altri tipi di strutture deperibili sarebbero rimaste completamente
sconosciute se non fosse per la messa in opera dei metodi dell’antropologia di campo
direttamente sul terreno. Nelle necropoli di Cuma per esempio, per la fase pre-ellenica del IX
secolo a. C., Henri Duday ha potuto mettere in evidenza l’uso di bare monoxile a forma di U,
una forma molto particolare che ha provocato la dislocazione dello scheletro in un modo del
tutto originale. È solo per l’analisi molto acuta della disposizione delle ossa nelle tombe che è
stato possibile ipotizzare l’utilizzo di questo tipo di sepolture fino ad allora sconosciuto a
Cuma29.
Pratiche cerimoniali posteriori alla deposizione del defunto

L’attenzione sempre più grande rivolta ai resti scheletrici ed organici ha anche


permesso di individuare altre pratiche rituali originali. Nella necropoli del Gaudo per esempio
sono stati trovati più volte gusci di uova, alcuni all’interno di crateri attici. Erano
probabilmente deposti come simbolo di rigenerazione ed, in un certo modo, di eternità – la
stessa interpretazione viene solitamente data dall’uovo rappresentato nella mano di un
commensale sulla scena del banchetto della tomba del Tuffatore. In diverse tombe della stessa
necropoli sono state trovate ossa di montone e di pecore adulti deposte in una coppa a vernice
nera, poggiata ai piedi o sulle gambe del defunto30. Anche se l’uso d’un vaso potorio appare
una scelta originale per servire la carne, questo tipo di deposizione potrebbe attestare la
pratica del banchetto funerario in prossimità della tomba e la partecipazione simbolica del
defunto alla festa. L’importanza del recupero delle ossa di animali, come di quelle umane,
appare ovvia in questo caso: se non fossero state conservate, l’uso di coppe da bere come
piatti per il cibo sarebbe, anch’esso, restato sconosciuto.

Infine, uno degli apporti importanti dell’approccio archeotanatologico è l’aver esteso


l’attenzione dell’archeologo all’intera necropoli, non confinando lo scavo stratigrafico solo
all’interno delle tombe, ma prendendo in considerazione anche la parte superficiale delle
tombe e della necropoli stessa, il piano di calpestio, dove si sviluppavano le cerimonie rituali
dopo la chiusura della tomba e regolarmente dopo. Già nei suoi scavi degli anni ’80,
M. Cipriani aveva notato la presenza di un numero considerevole di frammenti di vasi fuori
delle tombe nella necropoli di Santa Venera, vasi che potevano essere interamente ricomposti,
il che suggeriva una frammentazione intenzionale e rituale 31 . Tra altri vasi, ha potuto
individuare ben 50 crateri (che non compaiono mai fra gli elementi del corredo funebre a

26 CIPRIANI 2000, p. 209.


27 CIPRIANI et al. 2009, p. 225.
28 VASSALLO 2014, p. 277, fig. 19.
29 DUDAY 2011.
30 CIPRIANI 2000, p. 200.
31 CIPRIANI 1989, p. 76.

13
Reine-Marie Bérard Archeotanatologia….

Santa Venera), un centinaio di coppe e skyphoi, la maggior parte degli quali con il fondo
forato intenzionalmente e circa 80 anfore da trasporto. M. Cipriani interpretava pertanto
questi vasi come evidenza del consumo del vino sulle tombe per libagioni durante i funerali o
cerimonie successive.
Ha mostrato pratiche simili intorno alla tomba delle Palmette 32 , scoperta nella
necropoli sita appena fuori della mura a nord-ovest di Paestum. Insieme a un’altra sepoltura
dell’inizio del V secolo a. C., la tomba delle Palmette era inclusa in uno spazio quadrangolare
delimitato da una trincea cavata nella roccia. Questa trincea era anch’essa piena di frammenti
di vasi potori, crateri attici a figure nere, coppe e anfore da trasporto, volontariamente rotti.
Questa trincea sembra avere funzionato contemporaneamente alle due tombe, ma non più
dopo, indicando qui un limite cronologico delle cerimonie cultuale effettuate sulle tombe
dopo la loro chiusura.
Il recupero delle ossa animali e l’attenzione rinnovata per la stratigrafia generale della
necropoli hanno pure permesso di documentare altre pratiche originali nelle necropoli
pestane. Nella necropoli di Licinella, scavi recenti del 2000 hanno permesso di portare alla
luce i resti di un animale sacrificato deposto sopra una tomba del IV secolo a. C. con una
kylix completamente esposta all’azione del fuoco33. M. Cipriani indica anche il caso molto
particolare di un piccolo skyphos miniaturistico deposto capovolto sulla copertura della tomba
181 di Santa Venera dove copriva i resti di un piccolo rogo, anche se il vaso stesso non
portava tracce di bruciato34. Queste pratiche trovano riscontri nelle necropoli di Imera, dove
piccoli depositi di ossa di animali e oggetti combusti sono stati trovati in diversi posti, o
direttamente sopra una tomba, alla cui erano ovviamente legati, o in posti più centrali, in
mezzo a diverse tombe, suggerendo l’esistenza di diversi tipi di pratiche, o per un defunto in
particolare, o per un gruppo di defunti. Cosi, dal lavoro congiunto degli archeologi, degli
antropologi e degli archeozoologi è possibile documentare sullo scavo alcune delle pratiche
funerarie che si tenevano dopo la chiusura della tomba nelle colonie magno-greche e delle
quale a Paestum, fino a molto recentemente, si aveva conoscenza solo dalle scene dipinte
sulle pareti delle tombe.

Conclusione: dalla gestualità funeraria all’archeologia del rito

Il recente emergere di un vero e proprio interesse per i resti umani trovati in contesti
archeologici permette oggi di cogliere nuovi aspetti della vita e della morte delle
popolazioni della Magna Grecia. Grazie all’antropologia biologica applicata ai resti
scheletrici in laboratorio, possiamo così approfondire tutta una parte della vita sociale
degli individui, le loro condizioni di vita, il loro stato di salute, oltre ad alcuni aspetti
della loro demografia. L’analisi archeotanatologica, d’altro canto, consente di
esplorarealcuni aspetti delle cerimonie e della gestualità funeraria che si sviluppava
intorno al cadavere ma anche vicino alla tomba dopo la deposizione del defunto ed
anche molto più tardi, durante le cerimonie che non mancavano di ripetersi
regolarmente nella necropoli. È importante sottolineare però che questo approccio
permette essenzialmente di cogliere gesti e pratiche: “Quando non si dispone di fonti di
informazione atte a completare le nostre informazioni di scavo, è possibile fare solo
un’archeologia dei gesti, e non dei riti, che derivano invece dall’interazione di gesti e di

32 CIPRIANI 2016.
33 CIPRIANI et al. 2009, p. 225.
34 CIPRIANI 1989, p. 77.

14
Reine-Marie Bérard Archeotanatologia….

pensieri” 35. Per interpretare questi “gesti” come “riti”, è necessario fare appello non solo
all’archeologia ed all’antropologia biologica, ma anche ad altre fonti come le fonti scritte,
storiche o letterarie (numerose per il mondo greco ma molto meno per il mondo italico).
Nel caso di Paestum, i numerosi dipinti trovati all’interno delle tombe costituiscono
ovviamente una fonte straordinaria e di un interesse considerevole per capire le
cerimonie ed i riti che si sviluppavano attorno ai morti ed alle tombe.
L’archeotanatologia si sforza, da questo punto di vista, di collocare lo studio dei gesti
funerari nel quadro di una riflessione più ampia sulle pratiche funerarie e non intorno ai
resti umani, sull’organizzazione delle necropoli e sui rapporti fra società dei vivi e
comunità dei morti, incrociando i dati archeologici ed antropologici, ma integrando
anche quelli storici, iconografici e dell’antropologia culturale. È dunque nella stretta
collaborazione tra archeologi, antropologi, storici e storici dell’arte che risiede il futuro
della ricerca e la speranza di cogliere sempre meglio sia la struttura sociale ed i modi di
vita delle popolazioni, sia la loro ideologia funeraria, vale a dire la considerazione
accordata alla Morte ed ai morti nelle società greche ed italiche dell’Italia meridionale e
della Sicilia.

Bibliografia
D’AGOSTINO 1985
B. D’AGOSTINO, « Società dei vivi, comunità dei morti: un rapporto difficile », Dialoghi di Archeologia, 3, 1,
1985, p. 47‑ 58.

AURINO 2014
P. AURINO, « La necropoli eneolitica del Gaudo (Paestum) tra scoperta e riscoperte », dans
A. GUIDI (éd.), 150 anni di preistoria e protostoria in Italia (Studi di preistoria e
protostoria, 1), Firenze, 2014, p. 437‑ 444.

AVAGLIANO 1985
G. AVAGLIANO, « Necropoli di Ponte di Ferro », Rassegna Storica Salernitana, II, 1985,
p. 261‑ 268.

BÉRARD 2017
R.-M. BÉRARD, Mégara Hyblaea 6. La nécropole méridionale de la cité archaïque. 2.
Archéologie et histoire sociale des rituels funéraires, Rome, 2017.

CARTER 1998
J. C. CARTER, The Chora of Metaponto: the Necropoleis, Austin, 1998.

CIPRIANI 1989
M. CIPRIANI, « Morire a Poseidonia nel V secolo. Qualche riflessione a proposito della
necropoli meridionale », Dialoghi di Archeologia, 2, 1989, p. 71‑ 91.

2016
M. CIPRIANI, « La tomba delle Palmette », Forma Urbis, XXI, 11, 2016, p. 20‑ 21.

CIPRIANI, DE FERO, RIZZO, SANTORIELLO 2009


M. CIPRIANI, A. DE FERO, M. RIZZO, A. SANTORIELLO, « Una rilettura delle necropoli pestane: i
contesti di Andriuolo e Licinella », dans R. BONAUDO, L. CERCHIAI, C. PELLEGRINO (éd.), Tra

35 DUDAY 2005, p. 54.

15
Reine-Marie Bérard Archeotanatologia….

Etruria, Lazio e Magna Grecia: indagini sulle necropoli, Incontro di Studio (Tekmeria,
9)2009, p. 209‑ 232.

CONTURSI 2016
P. CONTURSI, « Ponte di Ferro: una necropoli di schiavi? », Forma Urbis, XXI, 11, 2016,
p. 28‑ 31.

DUDAY 2006
H. DUDAY, Lezioni di archeotanatologia, archeologia funeraria e antropologia di campo,
Arti grafiche Mangarelli, Rome, 2006.

2011
H. DUDAY, « L’Archéothanatologie et ses incidences sur la compréhension des pratiques
funéraires. Quelques applications relatives à des nécropoles protohistoriques et
historiques de l’Italie méridionale et de la Sicile », dans V. NIZZO (éd.), Dalla nascita alla
morte: antropologia e archeologia a confronto. Atti dell’Incontro Internazionale di studi in
onore di Claude Lévi-Strauss, Roma, Museo preistorico etnografico « Luigi Pigorini, » 21
maggio 2010, Rome, 2011, p. 419‑ 430.

ESPOSITO, POLLINI 2013


A. ESPOSITO, A. POLLINI, « La visibilité des classes subalternes dans les sources
archéologiques », Ktéma, 38, 2013, p. 117‑ 134.

HENNEBERG, HENNEBERG 1995


M. HENNEBERG, R.J. HENNEBERG, « A preliminary palaeodemographic evaluation of the
skeletal material from the necropolis of Ponte di Ferro, Paestum, Italy (6th-5th c. B.C »,
Journal of Anatomy, 188, 1995, p. 4

NIZZO 2015
V. NIZZO (éd.), Archeologia e antropologia della morte: storia di un’idea. La semiologia e
l’ideologia funeraria delle società di livello protostorico nella riflessione teorica tra
antropologia e archeologia (Bibliotheca archaeologica, 36), Bari, 2015.

PONTRANDOLFO, ROUVERET 1992


A. PONTRANDOLFO, A. ROUVERET, Le tombe dipinte di Paestum, Modène, 1992.

VASSALLO 2010
S. VASSALLO, « Le battaglie di Himera alla luce degli scavi nella necropoli occidentale e alle
fortificazioni. I luoghi, i protagonisti », Sicilia Antiqua, 7, 2010, p. 17‑ 38.

2014
S. VASSALLO, « Le sepolture dei bambini nelle necropoli di Himera », dans C. TERRANOVA
(éd.), La presenza dei bambini nelle religioni del Mediterraneo antico. La vita e la morte, i
rituali e i culti tra archeologia, antropologia e storia delle religioni, Rome, 2014,
p. 257‑ 290.

16

Potrebbero piacerti anche