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I PRECEDENTI DELL'ARCHEOLOGIA IN GIAPPONE

Durante il periodo della Restaurazione Meiji, l'archeologia viene introdotta nell'arcipelago


alla fine del XIX secolo, grazie soprattutto ad un apporto teorico e metodologico da parte
dell'occidente. Il Giappone è culturalmente legato alla Cina, non a caso il sistema di scrittura
si basa su quello cinese, e soltanto a partire dal VII secolo iniziano a comparire i primi testi
giapponesi facendo iniziare l'epoca storica. Alla scuola dello storicismo cinese e coreano
degli studi Buddhisti, il Giappone aveva affiancato una precoce storiografia che aveva
occasionalmente tenuto conto di monumenti e reperti storici. Nel tentativo di rivendicare la
loro storia e la loro cultura, svincolandosi dalla Cina, che aveva presentato il Giappone
come un remoto e periferico mondo barbarico, il Giappone inaugura, all'inizio dell'VIII
secolo, un'operazione storiografica che si semplifica nei due testi principali, il Kojiki
“Memorie dell'antichità” e il Nihon Shoki “Cronache del Giappone”, entrambe datate
all'inizio del VII secolo, in particolare 710 e 712. I due testi sono un miscuglio di cose, si
rifanno, infatti, ai miti, alle leggende, alle tradizioni popolari e alle tradizioni che ancora
oggi sopravvivano come l'ascendenza divina del Giappone e della casa regnante. In parte
questi testi ricostruiscono le popolazioni presenti nel territorio e ritrovamenti casuali di
oggetti quindi testimonianze del passato giapponese, come le tombe a tumolo che
caratterizzano il paesaggio antico giapponese. Inoltre, i giapponesi nel comporre la
storiografia e nell'illustrare le origini divine della stirpe avevano tenuto conto e cucito tra di
loro anche quanto la storiografia cinese e coreana avevano registrato in merito all'arcipelago
dando anche particolar importanza ad osservazioni etnografiche o di resti "archeologici".
Quest'ultimi avevano fatto parlare di antiche popolazioni, chiamate Tsuchigumo "Ragni
della Terra", rappresentati in maniera filologica come enormi insetti che probabilmente
fanno riferimento alle prime dimore scavate nella roccia. Altro riferimento che troviamo nei
testi è quello relativo ai Kaizuka "cumuli di conchiglie", enormi depositi di scarti
alimentari, principalmente molluschi, tramandati come edificazioni di giganti che avrebbero
alle origini popolato il Giappone. Altra evidenza che viene registrata nel Nihon shoki sono
gli Haniwa, delle strane e piccole statue di terracotta di base cilindrica, “haniwa” significa,
infatti, cilindro di terracotta. Queste si trovano soprattutto su antiche tombe giapponesi e
sono paragonabili alle statue funerarie utilizzate in Cina, chiamate mingqi, considerate
entrambe una forma sostitutiva per i sacrifici cruenti. Sempre a partire dall'VIII secolo, la
letteratura aveva registrato alcuni ritrovamenti nel terreno e aveva tentato di spiegare la
funzione e l'uso di questi oggetti in base al contesto storico, connettendo miti della
fondazione a quello che man mano veniva alla luce. Ad esempio, vengono messi in
relazione utensili di pietra, fra cui punte di frecce o di lance, chiamate “pietre del fulmine” o
manifestazioni dei prodigi celesti, tesori delle divinità del tuono, o resti dell'epoca degli dei
o dei nasuti tengu, i demoni folletti del folclore religioso, con spade ed oggetti di bronzo, in
particolare modo gli specchi. Per altri oggetti invece si fece ricorso a lontane provenienze
oltremare, come i Dotaku, scoperti tra VII e VIII secolo, campane di bronzo prodotte
durante il periodo Yayoi, ottenute con la stampa di due matrici che presentano una sorta di
flange che corre lungo tutto il corpo della campana e termina con un motivo ad U. Secondo
la tradizione culturale buddhista i dotaku furono messi in relazione all'operato di Asoka,
imperatorie indiano, che, nella sua celebrata missione di diffondere il Buddhismo anche
verso l'Asia Orientale, avrebbe dedicato al Giappone il prezioso cimelio. Al contrario del
mondo cinese, il Giappone conserva nel paesaggio le tracce del suo passato, come per i
Kofun, le “tombe a tumulo”, che, con la loro imponenza sul paesaggio giapponese,
rimanevano nei secoli i monumenti che più mantenevano vivo il legame con il passato. Le
dimensioni di queste tombe variano, le più importanti si trovano nella zona di Osaka,
enormi mausolei a forma di buco di serratura. Inoltre furono oggetti di esplorazione e tutela,
tanto che si può dire che si sviluppò una “archeologia dei kofun”. Tuttavia il rispetto per i
defunti, il senso di intoccabilità dei corredi e degli oggetti chiusi nei sepolcri non
sollecitavano l'archeologia e di conseguenza non incitavano i minuziosi studi con
asportazione di materiali e oggetti. Bisogna considerare che spesso l'archeologia può
rivelare verità diverse, dato che si credeva che queste tombe appartenessero agli imperatori
la limitazione dello studio di queste tombe era utile anche per non rivelare verità scomode
che potessero scalfire la credenza di una dinastia imperiale derivata dal divino. L'antiquaria
in Giappone subisce un accelerata nel periodo Tokugawa (1600-1868), durante l'ultimo
shogunato. Da questo periodo in poi il dibattito sulla ricostruzione della storia antica si fece
sempre più intenso. Venne, infatti, inviata un'indagine sistematica sulle origini e sugli
sviluppi della nazione e della cultura giapponesi, si discusse in particolare sulle origini della
popolazione giapponese, della lingua e dell'impero. Da questi ritrovamenti che segnano
l'antiquaria in Giappone c'è nel 1728 il ritrovamento della stele funeraria di Kibi no
Makibi, tramandato come uno degli inventori del sillabario kana. Oppure, nel 1784,
interesse eccezionale destò il ritrovamento, a Shikanoshima (Fukuoka), di un sigillo d'oro
imperiale della dinastia cinese Han destinato al "re di Na dei Wa", la Cina con l'epiteto di
"Woguo" definiva il Giappone come il "paese dei nani". Il ritrovamento di questo sigillo
testimoniava che prima della fondazione dell'impero Yamato, il Giappone forse era diviso in
vari regni e la Cina degli Han aveva una rapporto padrone-vassallo su almeno uno di questi
regni. Questa scoperta mise in discussione l'autonomia del paese e accese numerose dispute.
L'archeologia vera e propria si fa risalire con l'inizio dei primi scavi scientifici
all'inizio del XIX secolo grazie ad alcuni studiosi occidentali. Il più famoso è E.S.
Morse, zoologo americano che intraprese scavi in Giappone e nel 1877 scoprì il
chiocciolaio di Omori a Tokyo. Lo scavo di questo scarto alimentare costituisce la
rinascita dell'archeologia giapponese e la scoperta della prima cultura preistorica
giapponese. Siamo nel pieno del periodo della restaurazione Meiji (1868-1912) e gli
sforzi degli archeologi occidentali come Morse, Siebold, Munro ebbero un ruolo
decisivo nell'introdurre una metodologia scientifica, anche se, inizialmente, gli
studiosi continuarono a concentrare le ricerche su avvenimenti e popoli citati da testi
giapponesi quali il Kojiki e il Nihon Shoki. Possiamo affermare che il Neolitico
giapponese si basa solo su una conoscenza di resti archeologici, su una datazione in
costante cambiamento, su una divisione geografica diversa, e su una divisione
cronologica in tre periodi. Difatti oltre 150 anni di ricerche hanno portato finora a
una scansione cronologica dell'antichità giapponese in tre grandi periodi che sono il
periodo Jomon, il periodo Yayoi, il periodo Kofun. Questa cronologia di riferimento
è in continuo cambiamento, la nostra conoscenza è basata esclusivamente sui resti
materiali, per questo spesso si trovano nei testi e in altre risorse date diverse. Non
solo la cronologia è in continua oscillazione perché man mano si fanno nuove
scoperte e si migliorano le tecniche ma anche perché l'estensione geografica e la
diffusione di questi orizzonti neolitici sta cambiando continuamente.
LA CULTURA JOMON

La tradizione culturale, che occupa l'arco temporale compreso tra la comparsa della
ceramica, oltre 13.000 anni fa, e la piena affermazione dell'agricoltura, risalente al
periodo Yayoi (circa 400 a.C. - 300 d.C.), fu già scoperta alla fine dell’Ottocento.
Morse, infatti, definì la ceramica rinvenuta a Omori "decorata a cordicella" e la
traduzione giapponese di questo termine, Jōmon, fu usata per denominare l'età della
Pietra nell'arcipelago giapponese. Inizialmente il periodo Jōmon fu attribuito a una
popolazione pre-giapponese come gli Ainu, o i Korpokunkur nani delle leggende
Ainu e si credeva che il popolo Jōmon fosse poi stato sostituito dalla "razza Yamato”.
Il nome deriva dalle decorazioni sul vasellame ritrovato, queste decorazioni sono
formate premendo sull'argilla ancora fresca delle cordicelle o asticelle in legno che
lasciavano impronte sul vasellame. La scoperta di questa cultura è stata discussa, si
indagava su quali popolazioni fossero le proprietarie di questi oggetti. Sugao
Yamanouchi è un archeologo giapponese che negli anni '30 condusse dettagliati studi
tipologici sull'evoluzione della ceramica Jomon ignorando la problematica questione
dell'identità etnica dei gruppi che la produssero. Il suo maggior risultato di ricerca fu
il conseguimento di un sistema cronologico per la preistoria giapponese basato sulla
classificazione e la tipologia della ceramica Jomon. Il lungo periodo della cultura
Jomon viene suddiviso in più fasi: la fase antica, o incipiente, (11000-8000 a.c), la
fase iniziale (5000-2500 a.c), la fase media (2500-1500 a.c), il tardo Jomon (1500-
1000 a.c) e l'ultima fase (1000-350 a.c). Queste fasi sono rappresentate in modo
variabile, con differenze tra loro. Da una fase antica, in cui si ha un vasellame di
forma conica caratterizzato da un motivo a corda, si ha un cambiamento significativo
durante il medio e tardo periodo Jomon, emerge, infatti, un vasellame
completamente diverso dal precedente poiché caratterizzato da elementi scultorei
sulla bocca del vaso, vasi che vengono spesso trovati in associazione con un primo
esempio di iconoclastica Dogu, statuine in argilla probabilmente collegate al senso
religioso dell’epoca. Le popolazioni Jomon erano formate da cacciatori, pescatori e
"agricoltori", vi erano forme di allevamento primordiale e gli insediamenti erano
formati da piccoli villaggi, in cui troviamo piccole capanne. La maggior parte dei
villaggi era di dimensioni ridotte, comprendente quattro o cinque strutture
domestiche. Il caratteristico villaggio Jomon presentava una piazza centrale,
contenente sepolture, delimitate da strutture disposte a cerchio, circondate a loro
volte da un'area adibita a deposito di rifiuti. Il periodo Jomon è, inoltre, caratterizzato
da una sorprendente quantità di manufatti, scritture e tratti rituali. I resti lignei
sono quelli meno documentati, anche se grandi pali sono stati scoperti nei siti di
Chikamori e Yoneizumi, nella prefettura di Ishikawa. Risale alla fase antica del sito
di Mawaki un palo di legno parzialmente scolpito che giaceva in un deposito di crani
di delfini. Molte delle strutture semirialzate potrebbero essere rituali, inoltre erano
comuni, soprattutto nella fase tarda e finale, i "circoli di pietre", vasti circoli di
ciottoli di fiume e pavimenti di pietra di dimensioni minori. Anche le ceramiche fini
dalle decorazioni complesse erano probabilmente utilizzate in feste rituali e in altre
attività connesse. Il cambiamento della ceramica e di queste basi economiche della
cultura segna il nuovo orizzonte culturale: la cultura Yayoi.
LA CULTURA EPI-JOMON

La Cultura Epi-Jomon, conosciuta anche come Zoku-Jomon, documenta il perdurare delle


tradizioni Jomon nelle regioni più settentrionali del Giappone, quali l'Hokkaido e l'estremità
settentrionale dell'Honshu. È databile tra il IV secolo a.C e il VII secolo d.C, nel periodo in
cui si stava svillupando la cultura Yayoi nel resto del Giappone. Le case Epi-Jomon avevano
pianta generalmente ovoidale, il tetto era sostenuto da pali eretti a 50 cm dall'orlo del
pavimento. Nel vasellame fittile compaiono forme dotate di fori di sospensione, con
decorazione composta da file di punzonature sulla parte superiore del vaso e sul'orlo.
Nell'industria littica sono presenti proiettili di forma allungata, un particolare coltello
litico "a scarpa", grattatoi e macine.

LA CULTURA YAYOI

Il secondo orizzonte culturale giapponese è la cultura Yayoi, anche in questo caso la


definizione di questa cultura è preceduta da scoperte casuali, avvenute nel periodo
Tokugawa, quando nei diversi siti nei pressi di Fukuoka furono ritrovati alcuni oggetti
databili al periodo a cavallo dell'era cristiana, era volgare, che presupponevano
l'introduzione dell'archeologia nell'arcipelago. Sono stati trovati una serie di oggetti
importati dalla Cina e Corea che presupponevano dei contatti con il continente, sopratutto
tramite la Corea. Tra questi oggetti troviamo specchi dell'epoca Han, bronzi, vetro coreani.
Il termine “yayoi” fu adottato nel 1884, quando nel chiocciolaio di Mukugaoka, nel
quartiere di Yayoi, presso l'università di Tokyo, fu rinvenuto un tipo di ceramica diverso da
quella Jomon, apparentemente questa ceramica è più semplice del vasellame di Jomon, sono
più sobrie e la decorazione è quasi assente, ma in realtà presuppongono un livello
tecnologico più avanzato perché sono ottenute attraverso l'uso del tornio che era sconosciuto
agli artigiani di epoca Jomon. Da una parte abbiamo un vasellame modellato a mano,
dall'altro un vasellame con dei difetti ma che presenta una forma più agevole e prodotto
attraverso il tornio. La cultura Yayoi è solitamente divisa in 3 fasi: Antica (350/300-100
a.C), Media (100 a.C- 100 d.C) e Tarda (100- 300 d.C), questi secoli gettarono le basi della
civiltà giapponese. La fase antica fu caratterizzata dalla coltivazione del riso, metallurgia del
bronzo e del ferro e dai contatti crescenti con la Cina e la Corea. Proprio la coltivazione del
riso desta problemi, in quanto, si sa che verso la fine del II millennio si era diffusa nella
Corea fino a raggiungere il Giappone, tuttavia non è ancora chiaro se la risicultura sia stata
introdotta nel Kyushu da ondate migratorie o se abbia raggiunto in forma più graduale i
contesti sociali Jomon. L'età media della cultura Yayoi fu caratterizzata da un'espansione
verso l'Honshu, le fasi iniziali dell'espansione Yayoi furono molto rapide, caratteristica
frequente delle espansioni agricole. Per quanto riguarda la fase recente del periodo Yayoi
diverse notizie storiche e culturali provengono da un testo storico cinese, il Weizhi,
"Cronaca di Wei" redatto intorno al 297 d.C, dove si narra che le popolazioni giapponesi del
III secolo d.C possedevano una gerarchia sociale con "capi-sciamani" di sesso femminile,
viene inoltre citata la leggendaria Himiko, che viveva in un palazzo, il Yamatai, posto sotto
stretta sorveglianza. Il testo documenta l'esistenza di sistemi legali e divinatori che
seguivano il modello cinese di interpretazione delle spaccature generate su ossa esposte al
calore, piromanzia o scapulomanzia. Tra il 238 e 240 d.C Himiko inviò ambasciatori in
Cina e ricevette dall'imperatore Wei un sigillo d'oro. Le risaie Yayoi sono evidenza di un
complesso sistema di coltivazione che, probabilmente fu l'adozione di un metodo già
consolidato. L'adozione della risicultura fu accompagnata da innovazioni in campo
tecnologico, cambiarono, infatti, tecniche decorative e si diffuse un ridotto set di ceramiche,
composto da giare di immagazzinamento, vasi da cottura, piatti da portata e piatti sul
piedistallo. Anche la forma degli oggetti litici cambiò, portando alla comparsa di coltelli di
pietra polita di forma ovale o semilunata per la mietitura. Con la cultura Yayoi apparvero,
quindi, lance, alabarde, spade, specchi e campane di bronzo. La campana Yayoi, era un
traguardo nella lavorazione del bronzo che presentava scene decorative e, nell'esemplare più
grande, un'altezza di 1.35 m. Ciò che caratterizza questo periodo rispetto al precedente è
l'avanzamento tecnologico, inizia infatti la metallurgia usata sia per la produzione di oggetti
"rituali" ma anche per oggetti come armi e attrezzi agricoli, viene introdotta l'agricoltura e
l'allevamento di animali. Le popolazioni sono più sedentarie, i villaggi sono molto più
grandi, ci sono depositi alimentari, c'è una differenziazione tra le abitazioni e le tombe,
difatti alcune sono più grandi e altre più piccole. Immaginiamo che nel periodo Yayoi c'è già
una popolazione gerarchizzata o con un sistema di suddivisione dei ruoli più avanzato dei
precedenti. Nella storiografia questo periodo viene messo in relazione con l'avanzata del
regno di Yamato che da il nome al primo impero giapponese.

L'ARCHEOLOGIA DEL PERIODO KOFUN

L'arco cronologico che va dal 400 a.C al 700 d.C, che coincide, quindi, con lo sviluppo
economico e sociale che portò alla comparsa di una società agricola e statalizzata, è divso in
due periodi, Yayoi e Kofun, anche chiamato "periodo delle Antiche Tombe a Tumulo".
Questo periodo è caratterizzato dalla presenza di queste tombe, soprattutto nella regione di
Kyoto – Nara – Osaka, e si tratta di granti tumuli sepolcrali, vere e proprie colline artificiali
spesso circondate da un fossato che ricorda la toppa di una vecchia serratura. La tradizione
ritiene che queste fossero le sepolture dei più antichi sovrani di Yamato, il primo stato
giapponese.

L'ARCHEOLOGIA MODERNA

Finita l'epoca della restaurazione Meiji, tra la prima e la seconda guerra mondiale,
l'archeologia giapponese continua ad essere un campo di studi attivo e appoggiato
anche a livello governativo per tutta la prima metà del 1900, continua ad esserlo
nonostante il clima politico dell'epoca, che impone un carattere nazionalistico alle
ricerca, facendole concentrare sempre sul fronte preistorico. Difatti il clima politico
nazionalistico fu d'intralcio a molte ricerche, scoraggiando le indagini e gli studi
suscettibili di confutare la tradizione storiografica tradizionale. Troviamo quindi un
conflitto tra fonti testuali e fonti archeologiche. In particolare, fu messa al riparo tutta
la tradizione imperiale, con i miti riproposti della discendenza solare della dinastia
regnante, ed un assoluto riserbo circondò i tumuli funerari ed in specie i goryō, le
“auguste tombe”, identificati come i mausolei “imperiali” dei primi periodi storici. In
essi relativamente poche ricerche furono autorizzate e con tutte le precauzioni che la
delicatezza del caso sembrava richiedere affinché non si creassero pericolose
smagliature nel tessuto della storiografia ufficiale progressivamente rispolverata
dall’era Meiji.
Mentre l'archeologia in Giappone veniva, in qualche modo, soffocata dal pervicace
nazionalismo e dogmatismo degli anni Trenta e Quaranta, importanti orizzonti
provenivano dall’archeologia oltremare che, seppure indirettamente, indicava come il
Giappone fosse coinvolto con l’Asia nella sua vicenda culturale e non potesse essere
studiato come un mondo a sé, concluso nella sua insularità, fra cielo e mare.
L’archeologia sul continente, se da un lato rappresentò un rifugio ed un alibi politico
per molti studiosi, dall’altro fu anche uno degli elementi su cui seriamente puntò il
regime giapponese per il proprio prestigio. In Corea, dopo i primi studi condotti da
europei e, in particolare, francesi, tra fine Ottocento e inizi Novecento, i Giapponesi
finirono con il monopolizzare le ricerche col passaggio della penisola sotto la loro
sfera di influenza politica.
Nel 1904 Sekino Tadashi (1867-1935) pubblicava, ad esempio, una monumentale
ricognizione dei monumenti coreani, a cui seguirono numerose pubblicazioni fino
alla fine della Seconda guerra mondiale. L’uso del giapponese, uno degli aspetti
colonialistici dell’impresa, dettato anche dal progetto di far assurgere questa lingua a
idioma della “Grande Asia Orientale” sotto la leadership nipponica, ebbe , come
conseguenza, la difficoltà a immettere i dati in un ambito di più ampio respiro.

L’archeologia giapponese in Cina nasce con la missione Otani.


Le ricognizioni nella Cina settentrionale durante gli anni dell’invasione giapponese
(1937- 1945)

Col dopoguerra, l’archeologia giapponese conosceva un profondo mutamento.


L’evacuazione dai territori occupati oltremare, in Cina e in Corea, interrompeva le
attività di ricerca sul continente e sulle isole e gli studi in corso potevano continuare
solo con il materiale che era stato portato nell’arcipelago. Tuttavia oggi il Giappone è
ancora attivo in campo archeologico su tutta l’Asia buddista. Nel paese, l’opera di
ricostruzione di città, cantieri, fabbriche, strade ferrate e vie di comunicazione, era un
immediato incentivo per ricognizioni e ricerche nei terreni dove sconvolgimenti o
scavi mettevano in luce antiche fondazioni, tombe e reperti vari. Il rientro di tecnici e
archeologi, precedentemente impegnati in missioni all’estero, assicurava abbondanza
di personale ora al servizio in patria. Oltre ad una ricostruzione territoriale è in corso
anche un’opera di ricostruzione delle identità nazionali che dovevano fare i conti con
l’esperienza traumatica della guerra. Il Giappone riesce a riprendersi in modo
eccezionale attraverso un programma di recupero economico unico nella storia
mondiale. Questo porta a far si che l'archeologia sia una disciplina estremamente
attiva poiché sono continui gli scavi e i ritrovamenti che arricchiscono il quadro
dell'archeologia in Giappone e che presuppongono un'attività sul campo estesa. Al
contrario di quando avviene in Cina e da noi, il dipartimento di beni culturali dipende
direttamente dal ministero dell'istruzione. Nel 1948 viene fondata l'associazione
archeologica del Giappone, Niho Kōkogaku Kyōkai, che ancora oggi è la principale
per quanto riguarda l'archeologia. Nel 1950 viene stabilita la Commissione per la
protezione dei beni culturali, sostituita dal 1968 dall’Agenzia per i beni culturali.
• Organi decentralizzati a livello prefettizio e municipale: Ufficio dei beni culturali
Bunkatei e la Commissione del patrimonio culturale Bunkazai
• Personale volontario: studenti universitari e, persino, di scuole superiori che
istituivano sezioni archeologiche, con la partecipazione di allievi e docenti interessati
alla ricerca sul terreno e all’apprendimento di tecniche di restauro, compilazione di
carte archeologiche ecc.

Il mecenatismo industriale metteva a disposizione apparecchiature per sofisticate


tecniche di prospezione e datazione, esami di composizione del suolo, di manufatti
ecc. (radiocarbonio e termo-luminiscenza, fotogrammetria area e archeologia
subacquea) Anche in Giappone lo stato deve monitorare le opere pubbliche man
mano di ciò che emerge dal terreno. Lo stato può intervenire comprando i terreni in
cui vi sono resti archeologici interessanti o può obbligare le imprese edili a
finanziare le indagini archeologiche durante i cantieri. C'è una grossa coscienza del
patrimonio culturale e agli archeologi statali si affiancano lavoratori e associazioni
volontarie che li assistono, l'archeologia viene insegnata nei licei, assistono lo stato
nel portare alla luce reperti e siti archeologici.

Il Giappone si è dotato di tecnologie all'avanguardia per quanto riguarda l'archeologia. Nel


1987, ad esempio, sono stati condotti in Giappone 21.755 scavi, costati circa 400 milioni di
dollari. Due anni prima, è stato calcolato che fossero stati pubblicati 1910 rapporti
archeologici. Questi dati fanno dell’archeologia giapponese una disciplina estremamente
vitale e produttiva, non solo nell’arcipelago, ma anche in Vicino oriente, Afghanistan, Perù e
altri paesi. Da un lato la nostra conoscenza è ampliata tuttavia la conservazione e la
registrazione archeologica Giapponese non è delle migliori, manca lo spazio in cui
conservare i reperti di fatto esistono associazioni no profit che assistono
nell'immagazzinamento dei reperti i quali, anche in Cina, vengono classificati. In un
processo lineare, seppure lento, le nuove cognizioni archeologiche sono servite, fra l’altro, a
svincolare la storia antica dalle impostazioni legate a miti e leggende della tradizione
nazionale. Le controversie sui libri di testo, che dovevano in qualche modo seguire una
storiografia considerata, ufficiale, hanno segnato la misura del diffuso timore di come la
storia antica del Giappone, una volta calata nel terreno archeologico, potesse smentire la
tradizione imperiale o confermare insidiose diagnosi materialiste. E ciò in un paese in cui il
marxismo era stato il credo di un’importante scuola intellettuale e storica Tuttavia,
l’interesse comune nel raccogliere dati al di là delle singole ideologie, è stato implicitamente
favorevole all’archeologia che non ha conosciuto in Giappone il disagio sperimentato
altrove, a causa della sufficienza o addirittura della diffidenza riservatele dai tradizionali
cultori delle discipline strettamente storiografiche. Almeno nelle sue prime fasi,
l’archeologia giapponese si concentrò sul periodo preistorico e non fu particolarmente
interessata a quello storico, studiato nel contesto di altre discipline accademiche, quali la
filologia, la storia antica e la storia dell'arte e dell'architettura, che si avvalevano delle sole
antiche fonti scritte. La necessità di integrare queste ultime con dati desumibili dai resti
della cultura materiale produsse, però, particolarmente dopo la fine della seconda guerra
mondiale, un interesse sempre maggiore per l'archeologia storica. L'integrazione tra fonti
documentarie e dati archeologici è oggi una prassi cui l'archeologia giapponese dedica
particolare attenzione e risorse. Inizialmente l'ambito di ricerca dell'archeologia storica si
limitò a indagare la sfera religiosa (ad esempio, l'archeologia dei templi buddhisti, associata
allo studio delle iscrizioni su monumenti e stele di pietra), per estendersi in seguito ad altri
settori e periodi. I principali temi sono stati per lungo tempo rappresentati dallo studio delle
antiche capitali, delle sedi amministrative dei feudi rurali e dei templi buddhisti;
progressivamente le ricerche si sono estese all'archeologia medievale e pre-moderna.
Tra i primi scavi vi è quello di Heijo del 1963, prima capitale antica capitale nel
1963, la prima capitale stabile giapponese. Altri ritrovamenti come la tomba di O no
Yasumaro, considerato uno dei primi autori del Kojiki, scoperta nel 1979 e i Templi
buddisti come lo Yakushiji, uno dei primi della storia giapponese. Questo boom
dell'archeologia giapponese continua ancora oggi e si fonde con un interesse della
popolazione verso il patrimonio culturale. Mentre in Italia tutto quello che è portato
alla luce è proprietà dello stato, in Giappone nel 1899 è stata emanata una legge:
Legge sulla proprietà perduta, incorporata come Articolo 54 della Legge del 1954 per
la Protezione del patrimonio culturale secondo cui “tutto ciò che è conservato nel
sottosuolo, deve, qualora sia possibile, essere restituito ai proprietari (o ai
discendenti)”. Esistono alcuni problemi come lo studio dell'archeologia funeraria e
quindi l'inviolabilità delle tombe imperiali che è ancora limitata e il problema della
lingua ovvero i giapponesi pubblicano quasi sempre e solo gli studi archeologici in
giapponese. Quindi a meno che non si conosca il giapponese gli studi archeologici
sono spesso inaccessibili.

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