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La tradizione culturale, che occupa l'arco temporale compreso tra la comparsa della
ceramica, oltre 13.000 anni fa, e la piena affermazione dell'agricoltura, risalente al
periodo Yayoi (circa 400 a.C. - 300 d.C.), fu già scoperta alla fine dell’Ottocento.
Morse, infatti, definì la ceramica rinvenuta a Omori "decorata a cordicella" e la
traduzione giapponese di questo termine, Jōmon, fu usata per denominare l'età della
Pietra nell'arcipelago giapponese. Inizialmente il periodo Jōmon fu attribuito a una
popolazione pre-giapponese come gli Ainu, o i Korpokunkur nani delle leggende
Ainu e si credeva che il popolo Jōmon fosse poi stato sostituito dalla "razza Yamato”.
Il nome deriva dalle decorazioni sul vasellame ritrovato, queste decorazioni sono
formate premendo sull'argilla ancora fresca delle cordicelle o asticelle in legno che
lasciavano impronte sul vasellame. La scoperta di questa cultura è stata discussa, si
indagava su quali popolazioni fossero le proprietarie di questi oggetti. Sugao
Yamanouchi è un archeologo giapponese che negli anni '30 condusse dettagliati studi
tipologici sull'evoluzione della ceramica Jomon ignorando la problematica questione
dell'identità etnica dei gruppi che la produssero. Il suo maggior risultato di ricerca fu
il conseguimento di un sistema cronologico per la preistoria giapponese basato sulla
classificazione e la tipologia della ceramica Jomon. Il lungo periodo della cultura
Jomon viene suddiviso in più fasi: la fase antica, o incipiente, (11000-8000 a.c), la
fase iniziale (5000-2500 a.c), la fase media (2500-1500 a.c), il tardo Jomon (1500-
1000 a.c) e l'ultima fase (1000-350 a.c). Queste fasi sono rappresentate in modo
variabile, con differenze tra loro. Da una fase antica, in cui si ha un vasellame di
forma conica caratterizzato da un motivo a corda, si ha un cambiamento significativo
durante il medio e tardo periodo Jomon, emerge, infatti, un vasellame
completamente diverso dal precedente poiché caratterizzato da elementi scultorei
sulla bocca del vaso, vasi che vengono spesso trovati in associazione con un primo
esempio di iconoclastica Dogu, statuine in argilla probabilmente collegate al senso
religioso dell’epoca. Le popolazioni Jomon erano formate da cacciatori, pescatori e
"agricoltori", vi erano forme di allevamento primordiale e gli insediamenti erano
formati da piccoli villaggi, in cui troviamo piccole capanne. La maggior parte dei
villaggi era di dimensioni ridotte, comprendente quattro o cinque strutture
domestiche. Il caratteristico villaggio Jomon presentava una piazza centrale,
contenente sepolture, delimitate da strutture disposte a cerchio, circondate a loro
volte da un'area adibita a deposito di rifiuti. Il periodo Jomon è, inoltre, caratterizzato
da una sorprendente quantità di manufatti, scritture e tratti rituali. I resti lignei
sono quelli meno documentati, anche se grandi pali sono stati scoperti nei siti di
Chikamori e Yoneizumi, nella prefettura di Ishikawa. Risale alla fase antica del sito
di Mawaki un palo di legno parzialmente scolpito che giaceva in un deposito di crani
di delfini. Molte delle strutture semirialzate potrebbero essere rituali, inoltre erano
comuni, soprattutto nella fase tarda e finale, i "circoli di pietre", vasti circoli di
ciottoli di fiume e pavimenti di pietra di dimensioni minori. Anche le ceramiche fini
dalle decorazioni complesse erano probabilmente utilizzate in feste rituali e in altre
attività connesse. Il cambiamento della ceramica e di queste basi economiche della
cultura segna il nuovo orizzonte culturale: la cultura Yayoi.
LA CULTURA EPI-JOMON
LA CULTURA YAYOI
L'arco cronologico che va dal 400 a.C al 700 d.C, che coincide, quindi, con lo sviluppo
economico e sociale che portò alla comparsa di una società agricola e statalizzata, è divso in
due periodi, Yayoi e Kofun, anche chiamato "periodo delle Antiche Tombe a Tumulo".
Questo periodo è caratterizzato dalla presenza di queste tombe, soprattutto nella regione di
Kyoto – Nara – Osaka, e si tratta di granti tumuli sepolcrali, vere e proprie colline artificiali
spesso circondate da un fossato che ricorda la toppa di una vecchia serratura. La tradizione
ritiene che queste fossero le sepolture dei più antichi sovrani di Yamato, il primo stato
giapponese.
L'ARCHEOLOGIA MODERNA
Finita l'epoca della restaurazione Meiji, tra la prima e la seconda guerra mondiale,
l'archeologia giapponese continua ad essere un campo di studi attivo e appoggiato
anche a livello governativo per tutta la prima metà del 1900, continua ad esserlo
nonostante il clima politico dell'epoca, che impone un carattere nazionalistico alle
ricerca, facendole concentrare sempre sul fronte preistorico. Difatti il clima politico
nazionalistico fu d'intralcio a molte ricerche, scoraggiando le indagini e gli studi
suscettibili di confutare la tradizione storiografica tradizionale. Troviamo quindi un
conflitto tra fonti testuali e fonti archeologiche. In particolare, fu messa al riparo tutta
la tradizione imperiale, con i miti riproposti della discendenza solare della dinastia
regnante, ed un assoluto riserbo circondò i tumuli funerari ed in specie i goryō, le
“auguste tombe”, identificati come i mausolei “imperiali” dei primi periodi storici. In
essi relativamente poche ricerche furono autorizzate e con tutte le precauzioni che la
delicatezza del caso sembrava richiedere affinché non si creassero pericolose
smagliature nel tessuto della storiografia ufficiale progressivamente rispolverata
dall’era Meiji.
Mentre l'archeologia in Giappone veniva, in qualche modo, soffocata dal pervicace
nazionalismo e dogmatismo degli anni Trenta e Quaranta, importanti orizzonti
provenivano dall’archeologia oltremare che, seppure indirettamente, indicava come il
Giappone fosse coinvolto con l’Asia nella sua vicenda culturale e non potesse essere
studiato come un mondo a sé, concluso nella sua insularità, fra cielo e mare.
L’archeologia sul continente, se da un lato rappresentò un rifugio ed un alibi politico
per molti studiosi, dall’altro fu anche uno degli elementi su cui seriamente puntò il
regime giapponese per il proprio prestigio. In Corea, dopo i primi studi condotti da
europei e, in particolare, francesi, tra fine Ottocento e inizi Novecento, i Giapponesi
finirono con il monopolizzare le ricerche col passaggio della penisola sotto la loro
sfera di influenza politica.
Nel 1904 Sekino Tadashi (1867-1935) pubblicava, ad esempio, una monumentale
ricognizione dei monumenti coreani, a cui seguirono numerose pubblicazioni fino
alla fine della Seconda guerra mondiale. L’uso del giapponese, uno degli aspetti
colonialistici dell’impresa, dettato anche dal progetto di far assurgere questa lingua a
idioma della “Grande Asia Orientale” sotto la leadership nipponica, ebbe , come
conseguenza, la difficoltà a immettere i dati in un ambito di più ampio respiro.