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ANTENOR QUADERNI
Direzione
Irene Favaretto, Francesca Ghedini
Comitato scientifico
Maria Stella Busana, Jacopo Bonetto, Paolo Carafa, Marie Brigitte Carre, Heimo Dolenz, Christof
Flügel, Andrea Raffaele Ghiotto, Stefania Mattioli Pesavento, Mauro Menichetti, Athanasios Rizakis,
Monica Salvadori, Daniela Scagliarini, Alain Schnapp, Gemma Sena Chiesa, Desiderio Vaquerizo Gil,
Paola Zanovello, Norbert Zimmermann
Coordinamento scientifico
Isabella Colpo
Segreteria redazionale
Matteo Annibaletto, Maddalena Bassani
ISBN 978-88-7140-495-0
Tutti i diritti sono riservati. È vietata in tutto o in parte la riproduzione dei testi e delle illustrazioni.
In copertina: Dion, vista aerea dell’area a sud della città, con il teatro ellenistico e i resti del santuario di
Zeus Olympios (da Pandermalis 2000, 44).
Sullo sfondo, mappa della Grecia settentrionale disegnata da G. Delisle e pubblicata nel 1794 da Laurie
and Whittle, London (D’Anville J. B. B., Complete Body of Ancient Geography, Laurie and Whittle,
London 1795).
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universit à degli studi di padova
dipartimento dei B eni C ulturali
Antenor quaderni 25
I SANTUARI
DELLA MACEDONIA ROMANA
Persistenze e cambiamenti del paesaggio sacro
provinciale tra ii secolo a.c. e iv secolo d.c.
di
Giovanna Falezza
edizioni quasar
2012
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sommArio
Premessa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
Introduzione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
Caratteristiche e finalità del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
La romanizzazione indagata attraverso il paesaggio sacro. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
PARTE I. Il paesaggio sacro della Grecia settentrionale nel corso dell’età roma-
na . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 373
Avevo da poco assunto la direzione della Scuola Archeologica Italiana di Atene quando
un gruppo di autorevoli colleghi greci, lamentando da parte della comunità scientifica un certo
ritardo nell’acquisizione di conoscenze archeologiche e storiche sulla Grecia romana, mi incita-
va a promuovere studi approfonditi in quella direzione, anche in virtù di una specie di obbligo
morale che noi Italiani dovremmo avere per un tal genere di ricerche.
Ma se, per fare un solo esempio, sfogliamo l’Annuario della Scuola o la serie della Mono-
grafie, possiamo affermare di avere da questo punto di vista la coscienza a posto. Non siamo,
infatti, negli anni passati, venuti meno all’obbligo di editare monumenti della Grecia Romana
o suscitare discussioni su quella complessa fase storica che, comunque, rimane grandemente
indietro rispetto alla storia dell’Ellade dal Minoico fino all’età Ellenistica.
I problemi sono di varia natura, a mio avviso.
In primis l’appello suonava quasi come un incitamento rivolto a sè medesimi, agli intellet-
tuali greci (ma anche a quelli come noi che coltivano gli studi sulla grecità), di non trascurare
una parte così rilevante della storia ellenica, di non farsi prendere, insomma, dalla sindrome
della Graecia capta da trascurare in favore di epoche ben più ripaganti l’orgoglio di apparte-
nenza allo Hellenikon o il piacere dello studio della irripetibile perfezione dell’età classica. Poi
si trattava, e si tratta, anche di tentare le sintesi (operazione di indiscutibile utilità, secondo il
celebre aforisma di Marc Bloch) senza trascurare le analisi, sempre utili, ma spesso foriere del
pericolo della dispersione in rivoli minuti ed incontrollabili, la cui utilità rischia di non essere
percepita se lasciata al di fuori della sguardo d’insieme.
Ovviamente in tutto ciò non va ravvisato nessun crisma di novità assoluta.
In epoca recente, all’esigenza sacrosanta di studiare la Grecia romana, ha tentato di dare
una risposta il libro di S. Alcock (Graecia capta, Cambridge 1993) che ha goduto e gode di for-
tuna, a dire il vero, esagerata. Ma qui si tratta di punti di vista derivati da diversità di tradizioni
storiografiche, perché noi non possiamo dimenticare il contributo data dalla scienza italiana
allo studio della grande trasformazione dell’Italia romana tra II sec. a.C e II d.C., contributo
che viene sistematicamente ignorato.
È assurdo, quando si parla di Grecia romana, richiedere un mininimo di conoscenze di
Roma e dell’Italia e della immane bibliografia che su questo non trascurabile argomento è stata
prodotta? Tanto per restare in tema, qualche anno fa la Scuola Archeologica Italiana di Atene
ha pubblicato con il K.E.R.A. gli “Atti” di un Convegno su Patrasso colonia di Augusto e le
trasformazioni culturali, politiche ed economiche della Provincia di Acaia agli inizi dell’età im-
periale romana (a cura di M. Hatzopoulos ed E. Greco, “Tripodes” 8, Atene 2009). Rimando al
saggio di apertura (Graecia capta, pp. 11-15) nel quale F. Coarelli spiega perchè la storiografia
di casa nostra non ha molto a che fare con i presupposti della Alcock.
Ben venga ora, per rispondere alla nostra esigenza di disporre di ben ordinate opere di
sintesi, il libro di G. Falezza sui Santuari della Macedonia romana, osservatorio indicatore di
Emanuele Greco
Atene, 19 luglio 2012
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Introduzione
Questo studio costituisce l’evoluzione del mio lavoro di tesi di dottorato redatta al
termine del trienno 2006-2008 presso la Scuola di Dottorato in Studio e Conservazione dei
Beni archeologici e architettonici dell’Università di Padova, discussa nell’aprile 2009.
Il progetto di una ricerca sui santuari greci in età romana è nato e maturato nell’ambito di
un filone di studi sulla Grecia romana portato avanti da diversi anni all’interno del Dipartimento
di Archeologia dello stesso Ateneo, e in particolare sulla scia di altre due tesi di dottorato
di ricerca concluse e pubblicate presso la stessa sede (relative all’architettura domestica e
all’architettura teatrale nella Grecia romana). L’analisi di una particolare realtà quale quella dei
luoghi di culto costituisce inoltre un’evoluzione ed una prosecuzione degli studi condotti da
chi scrive nell’ambito della tesi di laurea, incentrata sull’analisi architettonica e monumentale
dei santuari di Apollo in Grecia, e nel corso della Scuola di Specializzazione di Archeologia con
una ricerca sui santuari greci non urbani nel Peloponneso in età ellenistica.
Il lavoro è costituito da tre ampie sezioni, le prime due di sintesi storico-tematica, la terza
di carattere analitico-descrittivo dei luoghi di culto.
Nella prima parte si è cercato di leggere le dinamiche degli eventi emersi nella storia
dei singoli luoghi di culto in un’ottica unitaria critico-interpretativa, al fine di costruire una
visione d’insieme della trasformazione del paesaggio sacro nell’ambito regionale. Si è impostata
questa sezione secondo un ordine storico-cronologico, che consenta di cogliere specificamente
le persistenze e i cambiamenti avvenuti nel corso dell’età romana, dal primo periodo della
conquista (II-I sec. a.C.) attraverso tutta l’età imperiale e sino alla fine delle frequentazioni dei
luoghi di culto. L’analisi è quindi scandita in tre macrofasi cronologiche (“età della conquista”,
“prima età imperiale” ed “età medio-tardo imperiale”), all’interno delle quali è dapprima
mantenuta una distinzione tra aspetti storico-politici, topografici, architettonici e cultuali, e in
seguito viene delineato un quadro complessivo del paesaggio sacro del periodo in esame con
riferimento più attento alla situazione delle regioni limitrofe, come Tessaglia ed Epiro, e con
sguardo comparativo più sfumato a realtà più lontane.
La seconda parte è dedicata alla trattazione specifica di alcuni temi e problemi di
più ampio respiro delineatisi dallo studio delle aree sacre, i quali richiedevano un’analisi
trasversale che non poteva essere ben inserita nell’esposizione cronologica ed areale. In
relazione al quadro cultuale, si è riflettuto sui principali protagonisti del pantheon divino
della regione in età romana (culti poliadici e con valenza politica, culti di origine pre-ellenica
e locale, culti egizi ed orientali, culti iatrici, culti misterici e iniziatici, culto imperiale) per
focalizzare quali di questi acquisiscano maggiore importanza nella nuova fase storica; sotto
l’aspetto delle celebrazioni, si è tentato di individuare eventuali mutamenti di pratiche rituali
e festive; rispetto all’attività edilizia, si è cercato di studiare la tipologia e il significato degli
interventi realizzati nei diversi periodi della dominazione romana; un capitolo è dedicato
alla frequentazione delle aree sacre e alla consuetudine votiva; infine si sono esaminate
valenze e manifestazioni dello stretto legame che continua ad esistere in età romana tra
luoghi di culto e potere politico.
La terza parte, che costituisce quasi un’appendice catalogica, include l’analisi di tutti i
luoghi di culto individuati nell’area geografica prescelta. Si è reputato fondamentale offrire al
lettore tutti i dati su cui si basa la ricerca, sia per lasciare aperta la possibilità di verificare,
integrare o rivedere le letture proposte, sia poiché si tratta di siti spesso ancora poco conosciuti.
Al fine di effettuare una raccolta il più possibile completa di dati, sono state considerate tutte le
aree sacre ad oggi note, senza limitazioni legate all’ubicazione, alla cronologia o allo stato della
documentazione. Sono dunque compresi:
a) luoghi di culto urbani, periurbani ed extraurbani;
b) luoghi di culto attivi solo in età greca, luoghi di culto attivi sia in età greca che in età romana
e luoghi di culto attivi solo in età romana;
c) luoghi di culto che sono stati oggetto di scavi e luoghi di culto noti solo tramite fonti letterarie
o epigrafiche.
In riferimento al punto b), va tuttavia specificato che – dato l’obiettivo della ricerca – il grado
di approfondimento dell’analisi è differente a seconda della presenza o meno di fasi romane. Dei
luoghi di culto attivi unicamente in età greca si è inserita solo una trattazione molto sintetica,
mirata alla comprensione dei loro aspetti fondamentali (tipo di culto, ubicazione, breve quadro
monumentale, cronologia), utili per individuare cosa cambia dopo la conquista romana. Le aree
sacre attive in età romana (sia nate ex novo in questo periodo, sia dotate di una lunga tradizione
che risale indietro nel tempo) sono state invece esaminate in maniera approfondita, tramite una
trattazione specifica strutturata nel modo che segue:
- due prime sezioni dedicate ad una sintetica presentazione della situazione geografica e
topografica del sito e della storia delle ricerche;
- illustrazione delle evidenze relative alla vita del luogo di culto in età greca, secondo una
suddivisione in periodi che rispecchi la scansione in fasi propria a ciascun sito. Per ogni fase
l’analisi è organizzata in paragrafi riguardati i resti strutturali, i ritrovamenti epigrafici e materiali,
il culto. Per questa parte relativa all’età greca ci si è limitati ad un’esposizione non troppo
analitica, mirata alla valutazione di eventuali cambiamenti sopraggiunti con l’epoca romana.
- trattazione approfondita delle fasi romane, con la descrizione il più possibile di dettaglio degli
interventi edilizi e dei materiali rinvenuti (iscrizioni, monete, arredo scultoreo, oggetti votivi),
ove possibile anch’essa suddivisa in fasi, e con la raccolta di tutte le fonti epigrafiche riguardanti
la vita del santuario durante il periodo romano. Queste sono presentate in forma sintetica
sotto forma di tabella, contenente la descrizione del supporto, l’indicazione del repertorio di
riferimento, il contenuto del testo e la datazione. Una sintetica schedatura è stata effettuata
anche per le statue di culto, alle quali si è ritenuto di dare maggiore attenzione rispetto ad altri
reperti in ragione della loro particolare valenza cultuale e della scarsa attenzione sinora loro
rivolta come parte integrante dell’area sacra.
- fonti bibliografiche e (ove presenti) letterarie. La trattazione di ogni singolo santuario è
corredata, per agevolarne la lettura, dalla propria bibliografia di riferimento, che è stata comunque
riportata anche nella bibliografia generale al termine del volume. Per quanto riguarda le fonti,
sono indicate solo quelle che riguardano in maniera specifica il santuario, e non i testi che citano
in maniera cursoria il sito o una delle sue parti.
- apparato grafico o fotografico. Ciascun luogo di culto è corredato dalla planimetria generale
del sito (se esistente); in caso di piante poco leggibili o prive delle fasi romane si è provveduto
in molti casi ad elaborare una nuova pianta d’insieme delle strutture presenti in età romana.
Dove non è stato possibile recuperare alcuna planimetria edita, si è ricorso ad immagini
fotografiche aeree o panoramiche, che si sono reputate comunque d’aiuto per la comprensione
dell’articolazione monumentale dell’area sacra.
Tale lavoro di analisi ha riguardato un totale di 68 luoghi di culto, di cui 44 con fasi di vita
di età romana. Le trattazioni relative ai singoli santuari sono state ordinate secondo un criterio
geografico, da ovest verso est. La maggior parte dei siti vitali in età romana è stata visionata di
persona da chi scrive, nel corso di diversi soggiorni in Grecia effettuati nel corso del triennio
di dottorato.
A fianco di struttura e obiettivi del lavoro, si ritiene importante spiegare in questa sede i
motivi che hanno condotto alla scelta di studiare la romanizzazione della Macedonia mediante
la chiave di lettura del paesaggio sacro.
Lo studio vuole inserirsi tra gli ormai numerosi contributi di analisi e riflessione relativi
agli esiti politici, economici, sociali e culturali dell’annessione del mondo ellenico all’impero di
Roma. Si tratta, com’è noto, di un ambito di studi sviluppatosi solo in anni recenti, non prima
della fine degli anni Ottanta dello scorso secolo, sebbene si possano ricordare alcuni ben più
datati lavori antesignani della problematica – quali quelli di G. Finlay, A.H.M. Jones, S. Accame
e J.H.O. Larsen1 – che tuttavia rimasero a lungo senza seguito. A partire dal 1986, invece, una
serie di Colloqui ed incontri organizzati da istituzioni di diverse nazionalità2 hanno riportato
1
Finlay 1854; Jones 1940; Accame 1946; Larsen 1938 e Larsen 1958.
2
Nel 1986 il Colloquium dell’Institute of Classical Studies (Walker, Cameron 1989), nel 1987 il Colloquim
promosso dalla Society of Antiquaries of London (Macready, Thompson 1987), nel 1993 le Giornate di Studio su
Atene romana di Cortona (edite in Ostraka, 4.1, 1995).
alla ribalta il tema, sottolineando la necessità di indagini su base archeologica ad integrare gli
studi di matrice storico-letteraria3; nello stesso periodo hanno visto la luce anche alcuni lavori
significativi che sono rimasti a tutt’oggi basilari sull’argomento4, oltre a vari importanti con-
tributi incentrati sul territorio e su singole aree geografiche della penisola ellenica5. Da ricordare,
inoltre, è il ruolo non secondario svolto al contempo dalle indagini di superficie, sviluppatesi
particolarmente in quegli anni, le quali per la prima volta presentavano un approccio rivolto al
lungo periodo, senza privilegiare un particolare ambito cronologico e quindi attente anche alle
fasi romane6. Queste sono state al contrario per lungo tempo poco considerate, in molti scavi
anche relativamente recenti, rispetto alle evidenze relative ai periodi più antichi, generando
non poche difficoltà nell’affrontare lo studio della romanità della Grecia e causando un ritardo
complessivo su tutto questo mondo di studi7.
Ben presto il dibattito si è inserito in riflessioni a più ampio respiro di impostazione an-
tropologica sui processi di romanizzazione in tutto l’Impero, e in generale sui meccanismi de-
gli incontri tra culture (un tema che del resto è divenuto particolarmente attuale negli ultimi
tempi): nello specifico si è capita la necessità di contestualizzare la riflessione sulla Grecia sotto
il dominio romano in un discorso più ampio, comprendente l’intero Impero8, e di concepire
la “romanizzazione”, tanto più in queste regioni di antichissima e pregnante civilizzazione,
non come un processo unilineare condotto dai Romani nei confronti dei popoli da loro sot-
tomessi, ma come “acculturazione” biunivoca, ovvero come incontro tra due culture ciascuna
con le proprie specificità e ciascuna in grado di cedere ma anche di recepire dall’altro segmenti
di conoscenza e caratteri propri9. è in questa accezione che il termine viene ormai impiegato
in tutti gli studi più recenti – ed anche nel nostro – relativi alle diverse aree geografiche facenti
parte dell’Impero di Roma.
Comprese e accolte tutte queste riflessioni, resta tuttavia da non sottovalutare il problema
della specificità della Grecia rispetto alle altre province dell’Impero in termini di irradiazione
di cultura artistica, letteraria, filosofica, ecc., come è stato sottolineato più volte da diversi au-
tori anche in passato10. Se infatti nella maggior parte delle realtà provinciali (Britannia, Gallia,
3
Di tradizione più antica rispetto agli studi di impostazione archeologica. Per quegli stessi anni, si possono
ricordare Gruen 1984 e Sherwin-White 1984.
4
Alcock 1993 (preceduto da alcuni articoli della stessa studiosa: Alcock 1989a e Alcock 1989b); Millar
1993.
5
Cfr. in particolare i lavori di Rizakis (Rizakis 1990; Rizakis 1994; Rizakis 1997) e l’ancor oggi fondamentale
Corinthia 1993.
6
Sulle indagini di superficie (in quegli anni): Fossey 1988 per la Beozia; Paysages d’Achaie 1992 per l’Acaia;
Cavanagh et al. 1996 per la Laconia; Argos et l’Argolide 1998 per l’Argolide.
7
Si possono però citare alcune eccezioni degli stessi primi anni Novanta, come ad esempio Gebhard 1993
(sul santuario di Poseidone a Isthmia nella prima età imperiale), e Stroud 1993 (sul santuario di Demetra e Core
sull’Acrocorinto).
8
A lungo, infatti, il rapporto Greci-Romani è stato inteso unicamente come fenomeno di imperialismo inverso
(di vinti che conquistano i vincitori, sulla base del noto passo di Orazio Ep., 2.1.156), senza considerare i processi in
atto nello stesso momento in tutto il Mediterraneo. Cfr. Alcock 2001, pp. 328-329.
9
MacMullen 1990; Freeman 1993; Woolf 1994; Hoff, Rotroff 1997. Questa critica al concetto di romaniz-
zazione in senso unidirezionale si è sviluppata in particolare nei paesi anglosassoni, probabilmente anche per moti-
vazioni storiche (cfr. Dondin-Payre, Raepsaet-Charlier 2006, V-VI), ed è giunta fino al ripudio, da parte di alcuni
autori, addirittura dello stesso termine, al posto del quale certuni preferiscono usare delle perifrasi. Va del resto
tenuto conto che molti lavori di riflessione ed interpretazione sull’imperialismo romano e sulla romanizzazione sono
un prodotto del momento storico in cui sono stati scritti: lo stesso concetto di romanizzazione è in definitiva un
concetto creato dagli studiosi dell’ultimo secolo, quali Th. Mommsen, H. Pelham e F. Haverfield (Freeman 1997). Si
veda sul problema la chiara riflessione di Bandelli 2009, in part. pp. 29-31.
10
Jones 1940, pp. 60-61; Bowersock 1965, p. 72; Beaujeu 1976 (seppure con un’impostazione ormai superata
radicata nei termini di “evoluzione” e “civilizzazione”); Macready, Thompson 1987, IX-XV; Woolf 1994.
Hispania) i rapporti tra nuovi dominatori e popolazioni indigene può essere ben inquadrato
tramite processi sostanzialmente unilineari11 (sebbene non manchino dibattiti e visioni sfaccet-
tate anche in questi casi), in Grecia la situazione pare decisamente più complessa, e nell’analisi
delle relazioni tra i due sistemi – greco e romano – si deve tener conto di un flusso forte e biuni-
voco di idee, tradizioni, interessi da una parte e dall’altra12.
Un altro problema emerso sin dai primi studi sulla romanizzazione riguarda la modalità
con cui indagare i cambiamenti delle aree venute a contatto con i nuovi dominatori, ovvero la
scelta degli indicatori che segnalino l’acquisizione di elementi di “romanità”, di volta in volta
individuati nelle tecniche, nell’architettura, nell’urbanizzazione, nell’organizzazione del terri-
torio, ecc. (nell’insieme designati come “Roman material culture”), o anche in elementi non ma-
teriali come l’onomastica, le forme politiche e i sistemi economici13. La scelta di tali indicatori
comporta infatti il rischio di investire singoli fenomeni di un significato generale, culturale ed
ideologico che essi potrebbero non aver avuto: ad esempio, si è compreso che l’adozione di nomi
romani da parte dei membri delle élites provinciali non significa necessariamente l’acquisizione
di un’identità culturale romana14. Secondo alcuni autori, anzi, gli elementi che costituiscono
essenzialmente l’identità di popolo di Greci e Romani (lingua, cultura, religione e tradizioni
per i primi, aspetti tecnici e strutturali/infrastrutturali per i secondi) non coincidono, e quindi
la presenza della cultura materiale romana nel mondo greco non sarebbe indice di una fusione
culturale tra i due popoli, ma solo di una loro pacifica coesistenza15.
L’impostazione scelta nel presente studio si propone di affrontare in una nuova ottica
i diversi ordini di problemi finora esposti. Si è scelto come campo d’indagine una realtà (il
santuario) e una sfera (quella religiosa) proprie del mondo greco e fortemente rappresentative
dell’identità nazionale: poiché la religione greca è una religione sociale, civica, con una forte di-
mensione comunitaria, estranea a concetti di dogma o rivelazione, i luoghi di culto rivestono un
ruolo fondamentale nell’articolare le diverse relazioni all’interno della società (nel nostro caso,
provinciale) tra individui e città, tra città e territorio e tra città e potere imperiale16. Nel paesag-
gio sacro, in altre parole, si riflettono le circostanze storiche, politiche, economiche, sociali e
culturali della realtà circostante, ed esso diventa per noi un luogo privilegiato dove compren-
dere come avviene l’ingresso nel mondo greco da parte di Roma e cosa esso comporta. Si adotta
così una prospettiva “grecocentrica” e si osservano semplicemente cambiamenti e persistenze,
senza adottare chiavi di lettura precostituite17.
11
MacMullen, ad esempio (MacMullen 1990, 56-66), riassume le diverse dinamiche di acculturazione tra Ro-
mani e popoli sottomessi nelle tre forme di “costrizione, capacità ricettiva e scelta di accoglienza”, ovvero: la forzata
sottomissione, con obblighi (ad esempio, di tassazione) che gli indigeni furono costretti ad accettare; la capacità di
sostenere un cambiamento culturale, tramite le risorse (economiche, tecniche, ecc.) possedute; infine la libera scelta
di appartenere all’impero, generalmente su motivazioni di convenienza.
12
Cfr. anche Alcock 1997b.
13
Con questa impostazione MacMullen 2004; Salmieri, Raggi, Baroni 2004 (si veda in part. pp. 314-316).
14
Kremydi-Sicilianou 2005, p. 95. Fondamentale sul problema Freeman 1993; si veda anche Mattingly 1997.
15
Woolf 1994; Gleason 2006.
16
Questa concezione della religione e dei santuari greci si è raggiunta grazie a lavori fondamentali quali de Po-
lignac 1984, Edlund 1987, Sourvinou-Inwood 1988 e 1990. A proporne l’applicazione anche alla Grecia romana
è Alcock 1993, in part. pp. 237-241, 278-281.
17
Il ruolo della religione come mezzo di integrazione tra romani e popoli conquistati e specchio dei cambia-
menti avvenuti con la conquista romana era stato già compreso da J. Toutain (Toutain 1905-1920). Un simile lavoro
sulla religione, o meglio sullo sviluppo dei santuari nel corso dell’età romana, ha portato significativi risultati per
Gallia, Britannia e Africa: Fincker, Tassaux 1992, Fauduet 1993, 120-121, Derks 1995 (per la Gallia); Whittaker
1995 (per l’Africa); Blagg 1986 (per la Britannia). Si veda anche il recente Dondin-Payre, Raepsaet-Charlier 2006,
soprattutto per l’impostazione metodologica. Sul ruolo della religione nel processo di romanizzazione cfr. inoltre
Whittaker 1997.
Vanno specificate a questo punto alcune precisazioni e limiti del lavoro. Esso innanzittutto
verte sui luoghi di culto, ovvero su spazi fisici consacrati alla divinità (e dunque sia semplici edi-
fici templari, sia temene – porzioni di terra “ritagliate” al dominio pubblico e assegnate al dio22,
anche di dimensioni minime e prive di articolazione monumentale –, sia complessi santuariali
più ampi, costituiti da un insieme organico e consistente di edifici). L’obiettivo è infatti quello
di indagare le dinamiche che si svolgono all’interno di tali spazi e inoltre le ragioni della loro
stessa esistenza e dislocazione nel territorio; esula invece dalle finalità del lavoro l’analisi comples-
siva dei culti presenti nella regione in età romana, che condurrebbe ad una ricerca di carattere
specificamente storico-religioso.
Al fine di basare lo studio su di un bacino il più completo possibile di dati, si sono esamina-
ti tutti i luoghi di culto fino ad oggi individuati nel territorio scelto per l’indagine (ovvero l’area
della Macedonia), tra cui anche le aree sacre solo localizzate sul campo (tramite rinvenimenti
sporadici, fonti epigrafiche o indagini di superficie) e non interessate da scavi archeologici. Ne
consegue una inevitabile disparità di documentazione tra i diversi siti – del resto presente anche
tra i luoghi di culto scavati, a seconda della qualità e del periodo in cui sono stati condotti i
lavori23 – della quale è necessario essere consapevoli in sede di interpretazione degli stessi dati.
Questo limite si evidenzia in particolare qualora si basino le osservazioni sull’argumentum ex
silentio, e si desuma ad esempio, nel nostro caso, il termine della frequentazione o la scarsa vi-
talità di un santuario dall’assenza di dati ad esso relativi: va da sé che il prosieguo delle indagini
o la pubblicazione di nuove ricerche finora inedite potrà in futuro confutare, modificare o av-
valorare le ipotesi avanzate in questa sede.
18
Gillot 2006, p. 25.
19
Alcock 1993, p. 239; Frankfurter 2006, pp. 546-547.
20
Fauduet 1995, pp. 120-121; Derks 1995 (sui santuari gallo-romani). In particolare sul valore dei votivi cfr.
Schörner 2003, pp. 211-218. Un esempio di studio di un santuario greco (Olimpia) in età romana attraverso l’analisi
del suo sviluppo monumentale è Lo Monaco 2003.
21
Alcock 1993, pp. 276-281 e passim; Kremydi-Sicilianou 2005; Frankfurter 2006 (in generale sui culti
nell’Impero romano).
22
Guerrini 1966.
23
Il problema è stato ribadito anche di recente in Scheid 2006, p. 439: l’autore sottolinea come spesso pure i più
famosi santuari antichi siano stati scavati ormai molto tempo fa, secondo criteri scientifici diversi dagli attuali, il che
rende difficile interpretare la pur ricca documentazione disponibile. Inoltre, alcuni siti e regioni sono più prodighi di
rinvenimenti rispetto ad altri, a seconda delle vicende storiche da loro vissute nel corso dei secoli.
Nel complesso, il problema della qualità della documentazione costituisce uno dei mag-
giori limiti del presente lavoro, poiché di fatto, come già denunciava S. Alcock, “abbiamo finora
studiato soltanto la punta dell’iceberg”24. Di conseguenza, non in tutti i casi possiamo com-
prendere i motivi e i meccanismi dei cambiamenti del paesaggio sacro che riscontriamo, spesso
relazionati ad una complessità di fattori davvero difficile da districare; tuttavia l’incrocio di
diversi ordini di dati (storici, architettonici, urbanistici, geografici, cultuali, come sopra indi-
cato) nello specchio dei luoghi di culto consente spesso di individuare quantomeno delle linee
di tendenza all’interno del nuovo sistema impostosi con l’arrivo dei Romani.
Nonostante la qualità della documentazione non sia sempre eccellente, i luoghi di culto
forniscono per la loro stessa natura “complessa” una grande quantità di materiale di studio,
dagli aspetti architettonici all’arredo scultoreo, ai documenti epigrafici e numismatici, agli og-
getti votivi ecc. Per evidenti motivi di sintesi e di competenza di chi scrive, l’analisi non è stata
condotta in modo ugualmente approfondito per ciascuna delle categorie di dati, privilegiando
maggiormente, ad esempio, l’ambito architettonico rispetto a quello storico-artistico e non
sfruttando forse appieno le potenzialità interpretative fornite dal dato materiale o numisma-
tico. È chiaro che quella prescelta è soltanto una delle possibili impostazioni di uno studio sui
luoghi di culto, che tuttavia ha cercato, con la raccolta completa dei dati di ciascun santuario
presentata nella Parte III, di lasciare spazio ad altre eventuali letture comprensive degli aspetti
da me trascurati in questa sede.
Da ultimo, è necessario sottolineare come l’area geografica oggetto di analisi – la Mace-
donia – presenti alcune peculiarità che la differenziano dal più noto e studiato settore centro-
meridionale (in particolare Attica e Peloponneso), a cominciare dalla diversità del suo sistema
istituzionale: al posto delle poleis autonome ed indipendenti, il governo qui era storicamente in
mano ad un’entità sovracittadina – il regno macedone – che, sebbene lasciasse un certo grado
di libertà alle città nella propria auto-amministrazione, rappresentava un potere superiore per
alcuni aspetti non troppo diverso da quello imperiale romano25. Di questi aspetti è essenziale
tener conto nell’esaminare sia le caratteristiche del paesaggio sacro della Macedonia sia le dina-
miche e gli equilibri che si innescarono con la conquista da parte di Roma.
Al termine di questo corposo e stimolante lavoro sono molte le persone che debbo ringra-
ziare per i consigli, il sostegno e le opportunità di crescita che mi hanno offerto. La prima men-
zione va al prof. J. Bonetto, figura di riferimento e di confronto durante tutta la durata della
ricerca, e alla prof. F. Ghedini, che nelle scelte di metodo e nell’impostazione della ricerca mi
ha sempre riservato una particolare attenzione. Non avrei potuto condurre questa ricerca senza
l’ospitalità della Scuola Archeologica Italiana di Atene, dove ho soggiornato nel febbraio 2007,
nel gennaio 2008, nel luglio 2008 e nel giugno 2010 e dove ho potuto notevolmente ampliare
le mie letture e recuperare testi non disponibili in Italia. Nel corso di questi periodi ho inol-
tre avuto modo di conoscere e confrontarmi con il prof. E. Greco, la dott. M.C. Monaco e il
prof. A. Rizakis ai quali vanno i miei ringraziamenti per i numerosi consigli e suggerimenti che
hanno migliorato il mio lavoro. Un grazie particolare va al prof. A. Buonopane per il prezioso
aiuto in ambito epigrafico e alla prof. Ghedini per lo studio delle statue di culto. Ultimo ma
non meno importante, un pensiero ad Emanuele e alla mia famiglia, da sempre i miei più fedeli
sostenitori.
24
Alcock 1993, p. 241.
25
Kremydi-Sicilianou 2005, p. 101; Hatzopoulos 2011.
Si segnala al lettore che sono posti in corsivo senza accentazione solo i termini traslitterati
dal greco e dal latino; compaiono invece in tondo i nomi propri di persone e località e le epiclesi
divine.
Gli autori greci e latini sono citati secondo le abbreviazioni proposte dal Thesaurus Lin-
guae Latinae per gli autori latini e dal Greek-English Lexicon di H.G. Liddel e R. Scott per gli
autori greci.
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PARTE I
Il paesaggio sacro della Grecia settentrionale
nel corso dell’età romana
1
Un contatto tra la Grecia e Roma, com’è noto, si era stabilito già da tempo in termini di scambi commerciali e
culturali e interessi politici; tuttavia la nostra indagine prende avvio dal momento dell’annessione territoriale in poi,
quando possiamo iniziare a rintracciare i segni concreti, materiali del dominio romano in Grecia. Uno degli obiettivi
dello studio, del resto, è quello di valutare se la creazione della provincia costituisca o meno uno spartiacque nella
storia dei rapporti tra i due mondi. Una prima riflessione sul problema è in Falezza 2011.
2
Plb. 18; Liv. 31-33.
3
Liv. 45.17-18, 45.29-30, 45.32-33; D.S. 31.8; Giust. 33.2.7; cfr. Campanile 1998, pp. 839-841. La riapertura delle
miniere si colloca nel 158 a.C.
4
Papazoglou 1979a, p. 305.
5
Sul problema della data della costituzione in provincia v. Papazoglou 1979a, pp. 306-307.
Fig. I.1 - La Macedonia tra il 167 e il 148 a.C. (da Sismanidis 2008, p. 6, fig. 4).
provincia dipendono dai governatori inviati da Roma, impegnati contro le incursioni di tribù
traciche che tormentano la regione fino al secolo successivo: nell’87 a.C. la Macedonia viene
occupata da Mitridate, nell’84 a.C. da Skordiski, Medi e Dardani, nel 77-76 a.C. da Medi ed
Odrisi, e nuove razzie di barbari si registrano nel 57 a.C., durante il governo di Lucio Calpur-
nio Pisone. Pochi anni dopo, durante la guerra civile tra Cesare e Pompeo6, la Macedonia vede
stanziarsi le truppe del secondo; dopo la battaglia di Farsalo (49 a.C.) passa sotto il controllo di
Cesare e quindi, nel 44 a.C., sotto la giurisdizione di Marco Antonio. In seguito alla battaglia
di Azio (fino alla riorganizzazione delle due province, nel 27 a.C.) la Macedonia e la Grecia
rimangono per qualche tempo sotto l’autorità di un unico governatore, M. Licinio Crasso, cui
si devono alcune vittorie contro Geti, Mesi e Traci.
La conquista romana comporta in sintesi per la Macedonia un deciso cambiamento dal
punto di vista politico e amministrativo, con l’imposizione di precise limitazioni alla propria
autonomia (nonostante l’iniziale proclamazione di libertà7). Inoltre, questo primo periodo della
dominazione romana è segnato da continue invasioni delle popolazioni barbariche che depre-
dano i territori della nuova provincia e ne aggravano la condizione di crisi8. Il quadro così de-
lineato trova riscontro nei dati raccolti per il paesaggio sacro, che vede per questa fase un netto
mutamento rispetto alla prima età ellenistica, con la fine della frequentazione di non pochi
luoghi di culto (tab. 1 e fig. I.3).
Focalizzando l’attenzione dapprima sul dato negativo, si osserva che non sono documen-
tate fasi di vita di età romana9 in 16 luoghi di culto dei 33 che risultano attivi alla fine dell’età
ellenistica.
6
Le vicende di questi anni sono narrate nel terzo libro del De bello civili di Cesare, in App., B.C. II, 38-82, e in
Cass. Dio., XLI, 10-12, 44-52.
7
Su cui si vedano Ferrary 1988, pp. 133-209, e Giovannini 1998, pp. 749-760.
8
Adam-Veleni 1993, p. 24.
9
Si intende come inizio dell’“età romana”, qui come in seguito, la metà del II sec. a.C., ovvero il momento della
creazione della provincia Macedonia. La schematizzazione è d’obbligo per esigenze di sintesi, ma naturalmente non
sempre è possibile stabilire con certezza l’esatto momento della cessazione della frequentazione di un santuario.
In alcuni casi cessano di vivere piccoli santuari rurali, ubicati in aree extraurbane. Il Nym-
phaion di Mieza, non lontano da Beroia, dove Plutarco ricorda fu educato Alessandro da Ari-
stotele10, e il santuario di Profiti Lankada, tra il lago di Koroneia e il lago di Volvi, non presen-
tano tracce di frequentazione successiva all’età ellenistica; così pure il santuario di Demetra
a Lete (una dozzina di km a nord di Salonicco) ha restituito solo materiali di età classica ed
ellenistica.
Tale scomparsa o declino dei santuari rurali tra l’età ellenistica e la prima età romana costi-
tuisce un fenomeno ben noto per il paesaggio sacro della provincia Acaia11. Grazie a numerosi
progetti di survey condotti in Acaia, Argolide, Eubea, Laconia e Beozia12, si dispone per queste
aree di una cospicua mole di dati relativi all’insediamento dall’età arcaica all’età tardo antica,
sulla base dei quali si è potuta mettere in relazione (seppure con la dovuta cautela) la sparizione
di molti piccoli culti di campagna nei primi secoli della dominazione romana con il contempora-
neo diradamento degli insediamenti nel territorio (determinato da diversi fattori, quali l’attività
bellica, la perdita d’interesse politico per determinate zone, la diffusione del latifondo, l’aumen-
to di terre destinate alla pastorizia13). L’assenza di estese indagini di superficie per la Macedonia
non consente allo stato attuale di dare una simile interpretazione del fenomeno della scomparsa
dei siti sacri rurali, tuttavia non va esclusa la possibilità che anche nel nord della Grecia, così
come più a sud, il cambiamento del paesaggio sacro costituisca lo specchio di una nuova orga-
nizzazione del territorio oppure dello sviluppo di alcune aree a scapito di altre. Si tratta in ogni
caso di un mutamento di natura complessa, che non può essere spiegato semplicisticamente con
Fig. I.2 - La provincia romana di Macedonia (da Sismanidis 2008, p. 7, fig. 5).
10
Plut., Alex. VII. Pare che il territorio di Mieza in età romana sia stato annesso a quello di Beroia (Papazoglou
1988, pp. 119-120).
11
Alcock 1993, pp. 265-276; Alcock 1994. Per una critica alla visione della Alcock sul problema, v. Jameson
2004, pp. 156-158; Rousset 2004.
12
Paysages d’Achaie 1992 per l’Acaia; Argos et l’Argolide 1998 per l’Argolide; Keller 1985 per l’Eubea; Cava-
nagh et al. 1996 e Cavanagh et al. 2002 per la Laconia; Fossey 1988 per la Beozia.
13
Alcock 1993, pp. 63-138.
Tab. 1 - Macedonia, tabella cronologica dei luoghi di culto. In grigio chiaro sono indicate le cronologie desunte dai soli dati epigrafici; le caselle barrate
segnalano i periodi di abbandono delle aree sacre.
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1. l’età della conquista
l’abbandono delle campagne14: lo si osserva bene ad esempio in Calcidica, dove cessa di vivere un
centro di culto di tradizione antichissima, come il santuario di Poseidon a Posidi, sul promon-
torio ad ovest di Mende (nel quale sono documentati resti sacrificali risalenti fino all’VIII sec.
a.C. ed una stratificazione di strutture che copre tutta l’età arcaica, classica ed ellenistica, mentre
in età romana l’area sacra viene soppiantata da un’officina ceramica) e continua invece ad essere
frequentato il non lontano santuario di Aphytis, sede dei culti di Dioniso e Zeus Ammon.
Spia di un diverso mutamento è invece la scomparsa di alcune aree sacre ubicate in centri
urbani. Il santuario della Madre degli Dei ad Aigai, situato presso l’agora, viene annientato da
un incendio intorno alla metà del II sec. a.C. e non sarà più ricostruito; il Thesmophorion di
Pella, nel settore nord-orientale della città, cessa di essere frequentato verso la fine del II sec.
a.C., e sorte simile vive il santuario di Darron, a sud-ovest del centro urbano; il tempio di Atena
sull’acropoli di Oisyme viene distrutto nel II sec. a.C., così come il santuario situato sull’acro-
poli di un’ancora ignota città individuata a Kastri, nel nomos di Grevena. Un quadro simile ri-
troviamo nella città di Thasos, dove alla fine dell’età ellenistica si registra il termine dell’attività
dei santuari di Dioniso, Pan e Demetra, oltre ad un periodo di abbandono dell’Artemision.
Nella fine di questi luoghi di culto dobbiamo probabilmente leggere il riflesso del periodo
di forte crisi che seguì l’annessione territoriale all’Impero di Roma, dovuto sia alla ribellione
ai nuovi dominatori (Andriskos), sia alle incursioni delle tribù limitrofe. è il caso di Pella, che
dopo la battaglia di Pidna viene saccheggiata dalle truppe romane, anche se in seguito continua
a rivestire un ruolo di primo piano come capitale della terza meris almeno fino alla fine del I sec.
a.C., quando è distrutta da un terremoto15.
Poco si sa invece di Aigai, l’antica capitale del regno macedone (ma già sostituita nel 400 a.C.
circa da Pella), per la quale possediamo scarsissimi indizi relativi all’età romana, ma che sembra
aver perso la sua indipendenza16 e forse diventa una kome di Beroia17: la fine dell’attività del san-
tuario della madre degli Dei, cui va affiancata la distruzione di cui è oggetto tra la seconda metà del
II sec. a.C. e l’inizio del I sec. a.C. il santuario di Eukleia (poi ricostruito), suggeriscono però an-
che in questo caso che la città abbia subito forti danni materiali durante i primi anni della neonata
provincia. Per quanto riguarda nello specifico il santuario di Eukleia, tuttavia, le ragioni della fase
di crisi vanno forse ricercate anche in motivazioni di carattere ideologico: la posizione dell’area
sacra nell’assetto urbanistico della città18 e le dediche rinvenute al suo interno19 documentano
come essa fosse strettamente legata alla famiglia reale macedone, una connotazione politica certo
non gradita ai Romani, che ai sovrani macedoni venivano a sostituirsi, e che potrebbe aver deter-
minato la rovina o quantomeno il momentaneo abbandono del santuario (similmente a quanto
vedremo tra breve per il santuario di Zeus Olympios a Dion).
Alla luce di quanto avviene a Pella e Aigai si può tentare di interpretare la situazione di
Anfipoli, dove non sopravvivono in età romana (argumentum ex silentio) né il Thesmophorion
(o Nymphaion) a nord della cinta muraria né il santuario di Klio a nord-ovest, mentre continua
14
Come sottolinaeato negli studi più recenti e già dalla Alcock: Alcock 1993, pp. 259, 265-275.
15
Chrysostomou 2004, pp. 147-148.
16
Cfr. Papazoglou 1988, p. 134, e Tataki 1988, p. 43.
17
Hatzopoulos, Loukopoulou 1987, pp. 40-41. Sulle sorti di Aigai dopo la conquista romana si veda anche il
recente contributo di Drogou 2009.
18
Il santuario si trova circa 80 m più a valle del teatro, situato al di sotto della terrazza del palazzo reale e for-
mante con questo, secondo gli scavatori, un complesso unitario. Una strada collega lungo il pendio i tre monumenti,
che intrattengono evidemente un significativo legame topografico e simbolico.
19
Euridice Sirra, moglie di Aminta III e madre di Filippo II, nel santuario offre due dediche (cfr. Saatsoglou-
Paliadeli 1987; Saatsoglou-Paliadeli 1990). è probabile che la regina abbia svolto un ruolo di primo piano nella
monumentalizzazione del santuario e nella costruzione del tempio della dea. Sulla presenza reale nel santuario si
vedano Saatsoglou-Paliadeli 2000 e Saatsoglou-Paliadeli 2011.
20
Strab. VII, 47; Plin., NH, IV, 38.
21
Cfr. Plin., NH, IV, 38: Amphipolis liberum.
22
Papazoglou 1988, pp. 393-394.
23
Anche se non rientra nel territorio della Macedonia, si è inserita anche Thasos nello studio in virtù degli stretti
rapporti che hanno sempre legato l’isola all’entroterra nel corso della sua storia.
24
Dunant, Pouilloux 1958, pp. 5-10.
25
Picard 1989, 174; ma su Thasos in età imperiale v. infra (p. 346).
26
Salviat 1959; v. infra, Parte III, Thasos.
27
Dunant, Pouilloux 1958, pp. 35-37, n. 173. L’iscrizione, come altri testi ufficiali di corrispondenza tra Tha-
sos e Roma (che attestano gli stretti legami sempre intercorsi tra le due), è incisa sulla parete interna dell’edificio a
paraskenia nell’agora.
28
Nell’80 a.C. Thasos venne ricompensata della sua fedeltà durante l’assedio di Mitridate con la restituzione dei
territori già in suo possesso nel continente e l’annessione delle isole di Skiathos e Peparethos (v. il Senatus consultum
Alla documentazione al negativo delle aree sacre che vedono la fine delle frequentazioni
va affiancata quella in positivo della continuità di vita di non pochi luoghi di culto (a Skydra,
Agios Nikolaos, Beroia, Dion, Morrylos, Salonicco, Aphytis, Anfipoli, Pangaion, Thasos) e in
qualche caso della nascita di nuovi santuari (di Zeus Hypsistos a Edessa e, come già accennato,
di Attis ad Anfipoli).
Di particolare interesse sono i casi di Salonicco e Dion, entrambe centri politici di primo
piano in età ellenistica e quindi diventate l’una (Salonicco) capitale di meris e poi civitas libera
(dopo il 42 a.C.29), l’altra colonia romana (Dion, in età augustea30).
A Salonicco vive uno straordinario sviluppo nel I sec. a.C. (e in particolare nella seconda
metà del secolo) il Serapeion, un ampio complesso sacro scavato solo in parte il cui primo im-
pianto risale all’età ellenistica. In alcune delle numerose testimonianze epigrafiche rinvenute
in situ, di cui 11 dedicate proprio nel corso del I sec. a.C., si ricorda infatti la consacrazione di
diverse strutture sacre nel temenos, quali un Osireion con peristilio ed un edificio denominato
didymaphorion nel 39-38 a.C.31, un hydreon (probabilmente un serbatoio con funzioni ritua-
li) nel 37-36 a.C.32, un sekos e bomoi ad Iside Lochia tra il 23 e il 2 a.C.33. Tale intensa attività
edilizia dimostra lo sviluppo senza soluzione di continuità del santuario, che godeva di ampio
prestigio anche nei secoli precedenti, come dimostrano le numerose iscrizioni dedicate nel III,
II e I sec. a.C.34 e in particolare un altro fondamentale documento epigrafico, il diagramma di
Filippo V, dal quale si desume sia che il sovrano protesse (se non addirittura favorì) il culto,
sia che la situazione economica del santuario era notevolmente florida35. La conquista romana
non sembra dunque lasciare segni di crisi in uno dei più importanti luoghi di culto della città,
la quale del resto godette fin da subito del favore dei nuovi dominatori (probabilmente inten-
zionati a promuoverne lo sviluppo a scapito di Pella, l’antica capitale del regno macedone36): ne
sono indizi lo stanziamento di negotiatores italici nel I sec. a.C.37, la nascita di un circolo poetico
cittadino proprio nella seconda metà del I sec. a.C.38 e diversi interventi edilizi condotti tra il II
e il I sec. a.C., quali la costruzione di abitazioni e la realizzazione di un balaneion nel settore
sud-orientale dell’area in seguito occupata dal foro39. Ma il particolare sviluppo del Serapeion
di Silla: Dunant, Pouilloux 1958, pp. 37-44, n. 174, e la lettera di Dolabella: Dunant, Pouilloux 1958, pp. 45-54,
n. 175); di nuovo, dopo le guerre civili, le furono resi i possedimenti territoriali da Augusto (Dunant, Pouilloux
1958, pp. 64-65).
29
Papazoglou 1988, pp. 206-207.
30
Plin. IV, 35; Ptol. III, 12, 12.
31
IG X, II.1, 109.
32
IG X, II.1, 83.
33
IG X, II.1, 97.
34
In ordine cronologico: IG X, II.1, 75 (fine III sec. a.C., a Serapide, Iside, Dioniso); IG X, II.1, 94 (fine III
sec. a.C., a Iside) ; IG X, II.1, 76 (II sec. a.C., a Serapide e forse Iside); IG X, II.1, 77 (II-I sec. a.C., a Serapide, Iside,
Anoubis e theoi sunnaoi); IG X, II.1, 78 (II-I sec. a.C., a Serapide, Iside, Anoubis e theoi sunnaoi); IG X, II.1, 79 (II-I
sec. a.C., a Serapide, Iside, Anoubis); IG X, II.1, 80 (II-I sec. a.C., a Serapide, Iside, Anoubis e theoi sunnaoi); IG X,
II.1, 81 (II-I sec. a.C., a Iside e Arpocrate); IG X, II.1, 82 (II-I sec. a.C., a Serapide e Iside Nike); IG X, II.1, 95 (II-I
sec. a.C., a Iside Tyche); IG X, II.1, 96 (II-I a.C., sec. a Iside Tyche); IG X, II.1, 107 (metà del II sec. a.C., a Osiride);
IG X, II.1, 108 (seconda metà del II sec. a.C., a Osiride). Alla fine del III sec. a.C. si data anche la costruzione del
primo tempio di Serapide (Pelekidis 1934, p. 4).
35
Pelekides 1934, pp. 5-23; Welles in AJA, XLII, 1938, pp. 249-251; Vidman 1969, n. 108; Tzavanari 2003, p.
241, fig. 39, e p. 243. Si tratta di un atto legislativo datato al 187 a.C. in cui il sovrano impone un controllo delle fi-
nanze del Serapeion attraverso funzionari reali per proteggere il culto egizio e le rendite del santuario. V. infra, Parte
III, 3.1, Salonicco - Serapeion (p. 266). Sul carattere ufficiale del culto delle divinità egizie a Salonicco i pareri sono
comunque discordi: contra, vom Brocke 2001, p. 133; a favore, Campanelli 2007, p. 127.
36
Adam-Veleni 2003, p. 135.
37
Rizakis 1986 e Rizakis 2002, pp. 118-120.
38
Allamani-Souri 2003a, pp. 83-84.
39
Adam-Veleni 1997; Adam-Veleni et A. 1998; Adam-Veleni 2003, pp. 137-143.
proprio nella seconda metà del I sec. a.C. va verosimilmente connesso all’ampia affluenza in
questo periodo di negotiatores, che si trasferirono a Salonicco dopo il declino definitivo di
Delo (avvenuto appunto intorno al 50 a.C.40) portando con sé i culti nilotici ai quali essi erano
tradizionalmente devoti41. Vi è in definitiva un insieme di dati che segnala lo sviluppo senza
soluzione di continuità di Salonicco dall’età ellenistica all’età romana, con elementi significativi
anche per l’età repubblicana, altrove connotata invece, come abbiamo visto, da abbandoni e
distruzioni.
Il caso di Dion presenta maggiori difficoltà di interpretazione, a causa della scarsità di dati
archeologici (i suoi santuari sono stati indagati infatti solo in anni recenti e i lavori sono editi
solo in forma preliminare), in parte tuttavia compensata dai rinvenimenti epigrafici e dalle noti-
zie delle fonti letterarie42. Il ricco paesaggio sacro della città ai piedi dell’Olimpo in età greca (il
famoso e antico santuario di Zeus Olympios, ma anche i luoghi di culto di Demetra, Asclepio
e Artemide/Iside) non sembra mutare dopo la conquista romana: non sono state individuate
tracce di distruzioni, e tutte le aree sacre (con l’eccezione del santuario dell’Olympios, che
analizzeremo tra breve) presentano fasi di vita o forti segni di frequentazione fino alla piena
età imperiale. Un quadro che combacia con ciò che sappiamo della Dion romana, che Livio
descrive come urbs non magna ma con ricchi edifici pubblici, statue e una magnifica cinta di
mura43; come attestato dalle monete44 e dalle fonti45, in età augustea essa diventerà colonia con
il nome di Iulia Augusta Diensis, e godrà di ius Italicum46. Se tuttavia copiosi sono i dati a no-
stra disposizione per l’età imperiale, per il periodo immediatamente successivo all’ingresso di
Roma in Macedonia gli unici indizi riguardano il temenos di Zeus Olympios e ci sono forniti
dagli autori antichi: Tito Livio racconta che quando i Romani penetrarono in Macedonia nel
169 a.C. e giunsero a Dion, il console M. Philippus ordinò di fissare l’accampamento sub ipso
templo, ne quid sacro in loco violaretur47; pochi anni dopo fu però sottratta al santuario e portata
a Roma una delle più celebri opere d’arte in esso consacrate, il gruppo statuario dei cavalieri
caduti al Granico, commissionato da Alessandro Magno a Lisippo48, che venne fatto sfilare du-
rante il trionfo di Metello nel 146 a.C. e fu poi collocato nella porticus Metelli, davanti ai templi
di Giove Statore e Giunone Regina49. Abbiamo dunque testimonianza di un cambiamento nel
comportamento dei conquistatori, che prima assumono un atteggiamento di rispetto per l’area
sacra, ma poco dopo commettono un atto di saccheggio dal forte valore simbolico: ad essere
rubata è infatti l’opera d’arte che celebra il più grande sovrano macedone, in un santuario dove
tradizionalmente l’autorità politica festeggiava le sue vittorie con impressionanti sacrifici a Zeus
e alle Muse ed indicendo giochi olimpici50. A fianco delle testimonianze letterarie, del resto, le
40
Bruneau 1968, pp. 671-709.
41
Il carattere cosmopolita dei culti egizi aveva attirato già a Delo la devozione dei negotiatores (cfr. Baslez 1977,
pp. 151, 181-183); dopo il declino del porto franco, essi trasferiscono le loro attività in varie città portuali del Me-
diterraneo, dove continuano a praticare il culto (Rizakis 2002, p. 120, con bibl.). La grande fioritura del culto delle
divinità egizie nella città è stata messa in relazione anche con l’influenza esercitata da Antonio e Cleopatra dopo la
vittoria del secondo triumvirato contro gli assassini di Cesare a Filippi (42 a.C.): Tzavanari 2003, p. 244.
42
Sui santuari di Dion tra età greca ed età romana cfr. Falezza 2008.
43
Liv. XLIV, 7.3.
44
Kremydi-Sicilianou 1996, pp. 103-105.
45
Plin. IV, 35; Ptol. III, 12, 12.
46
Paul., Dig. L 15, 8, 8.
47
Liv. 44, 7. 2.
48
Vell. Pat. I, 11, 3-4; Plin., NH, XXXIV, 19, 64.
49
Cfr. Calcani 1989, pp. 21-30.
50
Raccontano i festeggiamenti di Filippo e Alessandro D.S. XVI, 55, 1; D.S. XVII, 16, 3-4; D. Chr. 1, 313. Sul
ruolo politico di primo piano del santuario in età ellenistica v. Mari 2002, pp. 51-60; sulla valenza simbolica di sotto-
missione e sconfitta dell’avversario del saccheggio di opere d’arte nei santuari cfr. Alcock 1993, p. 245.
1.2 La distribuzione dei luoghi di culto: il delinearsi di una nuova geografia politica
Dalla semplice analisi statistica (pur rischiosa, in un ambito in cui l’assenza dei dati può
essere dovuta ad una lacuna documentaria) dell’ubicazione dei luoghi di culto che presentano
continuità di vita e di quelli che sembrano sparire, pare evidenziarsi nel passaggio dall’età greca
all’età romana un trend negativo soprattutto per le aree sacre situate in ambito urbano. è il caso
già citato dei santuari di Kastri, Pella, Aigai, Oisyme, Anfipoli e Thasos, la cui scomparsa va
forse messa in relazione con le vicende politiche e militari del primo periodo della dominazione
romana. Si registra la fine della frequentazione anche di alcuni santuari extraurbani (Mieza,
Lete, Mende), ma la continuità di vita di diversi altri (Agios Nikolaos, Aphytis, Pangaion) in-
dica che la conquista da parte di Roma non determinò ovunque l’abbandono dei siti rurali e la
perdita di interesse per le campagne, come sostenuto in passato in forma del tutto generalizzata
e incondizionata. Un quadro di vitalità senza cesure è stato del resto individuato anche negli
studi sugli insediamenti nella Macedonia romana, che sono risultati per lo più attivi continuati-
vamente dall’età ellenistica fino all’epoca bizantina52.
Lo studio della distribuzione territoriale dei luoghi di culto può allora essere utile per ri-
costruire la geografia politica della provincia appena creata, indicando il grado di sviluppo delle
diverse zone, le aree che acquisirono maggiore rilievo o che al contrario persero importanza
all’indomani della conquista romana.
La carta della distribuzione delle aree sacre attive tra la metà del II e l’ultimo trentennio del
I sec. a.C. (fig. I.4) mostra una loro significativa concentrazione nella fertile pianura affacciata
sul golfo termaico, solcata dai fiumi Haliakmon, Loudias, Axios ed Echeidoros. Si tratta del
nucleo più antico dello stato macedone53, dove sorgono i maggiori centri urbani (Dion, Aigai,
Beroia, Edessa, Pella, Salonicco); un’area che conserva dunque il suo ruolo centrale anche dopo
la conquista romana, nonostante le alterne fortune subite, come si è visto, nei decenni successivi
alla creazione della provincia, a causa delle vicende belliche e delle invasioni di tribù barbariche.
Ma si tratta anche di un’area strategicamente importante dal punto di vista politico ed econo-
mico/commerciale per la sua posizione di snodo tra diverse vie di comunicazione terrestri (in
primis la Via Egnatia) e marittime (con il porto di Salonicco); non è forse un caso che i luoghi di
culto attivi in questo periodo siano situati proprio lungo le principali direttrici stradali, princi-
palmente in ambito urbano. Anfipoli, Salonicco, Pella, Edessa sorgono infatti sulla Via Egnatia,
mentre Skydra, Beroia, Aigai e Dion si situano lungo la via meridionale che segue le pendici dei
monti della Pieria fino alla costa e da qui raggiunge la Tessaglia. Tali linee di transito esistevano
51
Comunque probabile: l’ultima citazione delle feste Olympia si trova in un’iscrizione proveniente da Kassan-
dreia datata intorno al 100 a.C. (SEG 14, 1957, 478), e l’unico intervento edilizio sinora collocabile in età romana è
la costruzione del teatro nel II sec. d.C. (su cui v. infra).
52
V. ad esempio, sulla Macedonia occidentale, Samsari 1989, in part. pp. 210-213.
53
La Pieria e la Bottiea costituivano l’originario regno degli Argeadi. Cfr. Vokotopoulou 1993, con bibl. pre-
cedente.
già molto prima dell’arrivo dei Romani, ma questi seppero valorizzarle e potenziarle fino a far-
ne una componente strutturale fondamentale per l’affermazione e il mantenimento del proprio
dominio, facendone veicolo di trasmissione, oltre che di truppe e di merci, di idee e di cultura.
La Via Egnatia occupa certo il primo posto in questo sistema di comunicazione. Realizzata
da Cn. Egnatius C. F., proconsul Anthypatos Romaion54, in un periodo probabilmente compre-
so tra il 148 e il 118 a.C.55, la strada ricalca una via più antica che in età macedone si estendeva
almeno da Herakleia ad Anfipoli56, e che il proconsole governatore provvide a ricostruire dopo
la redactio in formam provinciae della Macedonia. Come suggerisce M. Fasolo, è possibile che
nel primo periodo della dominazione romana, all’indomani della battaglia di Pidna, la funzio-
nalità della strada macedone abbia subito le conseguenze delle pesanti condizioni imposte al
commercio delle quattro merides (ovvero la chiusura delle miniere d’argento e i divieti di taglio
delle foreste, di importazione del sale, di commercium e di connubium inter merides), e che solo
alcuni decenni più tardi, dopo la costituzione della provincia, l’intervento di Cn. Egnatius abbia
ripristinato la fondamentale infrastruttura57. Le città che sorgono sulla strada potrebbero allora
aver vissuto le medesime vicende: una prima fase di crisi (che abbiamo visto sopra testimoniata
dalla scomparsa o da episodi di distruzione nel paesaggio sacro di Anfipoli e Pella) seguita da
una decisa ripresa e anzi dallo straordinario sviluppo dei centri ubicati lungo il percorso strada-
le (evidente soprattutto a Salonicco)58.
Più difficili da stabilire sono il tracciato e la cronologia degli altri percorsi stradali nel set-
tore meridionale della pianura di Bottiea e Pieria. Sembra comunque ormai accertata l’esistenza
di una via di collegamento tra i centri pedemontani della Pieria (Dion, Pydna, Aigai) e quelli ai
piedi dei monti Vermion e Nitze (Beroia, Mieza, Skydra, Edessa), risalente probabilmente ad
età classica e rimasta in uso nel periodo ellenistico e romano59; in un’epoca successiva (e forse
per iniziativa di Archelao o di Filippo II) viene creata una strada tra Pella e Beroia, che con-
giunge la direttrice ovest-est (la futura Via Egnazia) con l’antica via meridionale60. Una vera e
propria rete di comunicazione, dunque, ancora attiva e anzi potenziata in epoca romana, che
certo contribuisce allo sviluppo dei centri urbani tra loro collegati: non può non saltare agli
occhi come le città che sorgono lungo le due direttrici stradali descritte (Skydra, Beroia, Aigai,
Dion) siano proprio quelli dove si trovano i santuari che continuano ad essere frequentati.
In sintesi, pare evidente come le aree sacre che si mantengono vitali nell’arco di tempo qui
considerato siano situate nei centri urbani che in questa fase, anche in virtù della loro posizio-
ne, mantengono un ruolo di primo piano nel nuovo panorama provinciale. Continuano così ad
essere frequentati alcuni luoghi di culto di Anfipoli, Salonicco e Pella, rispettivamente capitali
della prima, seconda e terza meris, e in seguito, dopo la costituzione della Macedonia in provin-
cia, divenute le prime due civitates liberae (Anfipoli e Salonicco)61 e Pella colonia62. Dell’attività
senza cesure del Serapeion di Salonicco si è già parlato, ma pure il santuario di Afrodite e Cibele
54
Romiopoulou 1974; Collart 1976, p. 197, n. 1.
55
Per una sintesi delle diverse ipotesi sulla cronologia della costruzione della strada cfr. da ultimo Fasolo 2005,
pp. 103-108.
56
Fasolo 2005, pp. 122-123. è possibile che la strada macedone ricalcasse a sua volta una precedente via carova-
niera corinzia che metteva in comunicazione l’Adriatico e il Mar Nero: Fasolo 2005, pp. 120-122.
57
Fasolo 2005, p. 125.
58
Del medesimo parere è Vitti 2001, p. 476.
59
Hatzopoulos, Loukopoulou 1987, p. 52; cfr. anche Edson 1955, p. 182 (il quale tuttavia datava questa strada
ad età ellenistica).
60
Hatzopoulos, Loukopoulou 1987, p. 53; sul tracciato di questa via v. anche Chrysostomou 1989, pp. 106-
107.
61
Anfipoli: Plin., NH, IV, 38. Salonicco diventa civitas libera solo dopo la battaglia di Filippi, come documenta-
no le emissioni monetali: cfr. Touratsoglou 1988, pp. 6-7, nota 10, e Papazoglou 1988, pp. 206-207.
62
Papazoglou 1988, pp. 136-137.
a Pella seguita a vivere fino al terremoto della fine del I sec. a.C.63, e ad Anfipoli prosegue immu-
tatamente la sua attività il santuario della Tauropolos e nasce ex novo il santuario di Attis64.
Meno si conosce della storia degli altri centri urbani della Macedonia in età repubblicana,
tuttavia un ruolo di rilievo rivestivano certamente Edessa (sulla cui acropoli almeno dal I sec. a.C.
è venerato Zeus Hypsistos) e Beroia (dove nella seconda metà del II sec. a.C. vengono dedicati
nuovi edifici nel santuario di Apollo, e le iscrizioni indicano nel II-I sec. a.C. una vivace attività
cultuale del santuario di Eracle Kynagidas): entrambe le città sono nominate da Livio tra le nobiles
urbes della terza meris65, e in ambedue le iscrizioni attestano l’insediamento di un cospicuo nume-
ro di romani e italici66. Infine, pur nelle alterne vicende belliche (causa forse, come proposto, della
scomparsa di diversi luoghi di culto), mantiene inalterato il proprio predominio commerciale la
città di Thasos67, il cui santuario di Artemide è oggetto di restauri e ricostruzioni nel I sec. a.C.68.
In sintonia con un paesaggio sacro in fase di progressiva regressione, tra la metà del II e la
fine del I sec. a.C. si registrano interventi edilizi solo in un ristretto numero di luoghi di culto
della Macedonia: nel santuario di Asclepio a Beroia, nel Serapeion di Salonicco, nel santuario di
Attis ad Anfipoli e nell’Artemision di Thasos.
Le strutture del santuario di Attis ad Anfipoli possono essere datate solo genericamente
al II-I sec. a.C. sulla base dei materiali rinve-
nuti nello scavo. L’area sacra è a cielo aperto
e si presenta come una struttura a forma di PI
greco, rivolta ad est; circa al centro dello spa-
zio interno, lastricato in ciottoli, si trova un
focolare di forma circolare (fig. I.5)69.
Con maggiore precisione si può colloca-
re un intervento realizzato all’interno del san-
tuario di Apollo a Beroia, dove un’iscrizione
ricorda la dedica ad Apollo, Asclepio e Igea
di un enkoimeterion (edificio legato all’incu-
bazione cultuale) e di un’esedra nell’anno 18
dell’era macedone (131-130 a.C.)70. Insieme
ad un’altra iscrizione di età imperiale71, l’epi-
grafe costituisce sinora l’unica testimonianza Fig. I.5 - Anfipoli, santuario di Attis (da Lazaridis 2003,
dell’organizzazione monumentale dell’Askle- p. 46, fig. 25).
63
Il Thesmophorion e il santuario di Darron rimangono attivi fino almeno alla fine del II sec. a.C. (v. infra, Parte
III, Pella, pp. 192-193): la loro scomparsa non è quindi immediatamente conseguente alla conquista romana, ed essi
continuano ad essere frequentati quantomeno durante il periodo delle quattro repubbliche.
64
Non è noto il momento dell’abbandono del Thesmophorion/Nymphaion e del santuario di Klio; forse,
come ipotizzato più sopra, esso viene decretato dalle invasioni traciche della metà del I sec. a.C. (cfr. Parte III,
Anfipoli, pp. 312-314).
65
Liv. XLV, 30, 5.
66
Per Beroia, EKM I, 59; per Edessa, v. Papazoglou 1988, p. 129, nota 24.
67
V. supra e Dunant, Pouilloux 1958, pp. 5-10.
68
Parte III, Thasos - Artemision, pp. 350-359.
69
Lazaridis 1983.
70
EKM I, 18; ABSA, 18, 1911-12, pp. 144-146.
71
EKM I, Beroia 41.
pieion, che altri documenti indicano di grande rilevanza politica nella città già in epoca elleni-
stica72 e che evidentemente continuava ad essere in piena attività nei primi decenni di vita della
provincia.
L’esempio di maggior fervore costruttivo è però costituito dal Serapeion di Salonicco: nel
corso dell’ultimo terzo del I sec. a.C. l’area sacra vede l’erezione di un Osireion con peristilio e
di un edificio indicato come didymaphorion (39-38 a.C.)73, di un serbatoio con funzioni rituali
(37-36 a.C.)74, di un sekos e di bomoi ad Iside Lochia (tra il 23 e il 2 a.C.)75. Della realizzazione
di tali edifici abbiamo testimonianza solo tramite le fonti epigrafiche; purtroppo la lacunosità
dei dati sulle strutture del complesso sacro, indagato in seguito ad un devastante incendio del
1917 e mai compiutamente pubblicato, non consente di collocare se non genericamente in età
romana la realizzazione dei due templi, della stoa e degli altri edifici individuati negli scavi76.
Tuttavia, le numerose dediche votive trovate risalenti al II-I sec. a.C.77 non lasciano dubbi sulla
vivace attività del santuario in questo periodo. Lungi dal risentire negativamente della conqui-
sta romana, il Serapeion sembra anzi essere protagonista di uno sviluppo senza soluzione di
continuità dall’età ellenistica fino, come vedremo, all’epoca imperiale, con il progressivo am-
pliamento ed arricchimento delle sue strutture: ad un primo tempietto della fine del III sec. a.C.
si aggiungono via via sempre nuovi edifici legati al culto degli dei entemenioi.
Infine, si inserisce in questa sezione l’attività edilizia documentata da un’iscrizione all’in-
terno dell’Artemision di Thasos, per la quale tuttavia, non essendo possibile una datazione pre-
cisa, si oscilla tra l’età repubblicana e l’età augustea. Una stele con quattro decreti in onore di
Epìe, figlia di Dionysios, ricorda infatti come la ricca cittadina abbia restaurato ed abbellito nel
I sec. a.C. il propileo di accesso alla terrazza inferiore del temenos, caduto in rovina forse, come
abbiamo suggerito, in un momento di crisi da collocarsi nel corso del II sec. a.C.78. Sempre nel
corso del I sec. a.C. va inoltre ricordata la consacrazione nella terrazza superiore del santuario
delle statue di alcune nobili donne di Thasos (di Aré, figlia di Néon, di Kodis, figlia di Diony-
sodoros, e di Chrysé, figlia di Cleandrides)79, testimonianza di una decisa ripresa dell’area sacra
dopo la fase di crisi del secolo precedente (fig. I.6)80.
Nelle altre aree sacre della Macedonia l’attività edilizia in questo periodo sembra assolu-
tamente tacere. In qualche caso possediamo anzi evidenze al negativo: a Dion, come si è visto,
l’antichissimo santuario di Zeus viene rispettato nel 169 a.C., ma vent’anni più tardi, quando
il dominio romano è ormai cosa consolidata e la Macedonia è diventata provincia, è oggetto di
un’azione di saccheggio dal forte valore simbolico (la sottrazione del gruppo dei cavalieri ca-
duti al Granico, opera di Lisippo dedicata da Alessandro Magno)81. Se a queste testimonianze
72
Hatzopoulos 1996, II, pp. 108-110, n. 93; Hatzopoulos 1996, II, pp. 84-85, n. 62. Cfr. infra, Parte III, Beroia
- Santuario di Asclepio, pp. 266 e ss.
73
IG X, II.1, 109.
74
IG X, II.1, 83.
75
IG X, II.1, 97.
76
Wild 1984; v. infra, Parte III, Salonicco - Serapeion, pp. 201-202.
77
Oltre a quelle appena citate, IG X, II.1, 108; IG X, II.1, 84; IG X, II.1, 113; IG X, II.1, 85; IG X, II.1, 116; IG
X, II.1, 122.
78
V. supra e Salviat 1959. L’autore ipotizza che il restauro del santuario finanziato da Epìe possa verosimilmen-
te essere avvenuto in un periodo di ricchezza; propone quindi di situare l’intervento della benefattrice o nei decenni
successivi al Senatus Consultus di Silla, che concedette alla città uno statuto privilegiato, oppure in età augustea, in
cui la città sembra aver goduto di una certa prosperità.
79
IG XII, Suppl., 382; IG XII, Suppl., 383; IG XII, Suppl., 385; Reinach 1912; Salviat 1959, p. 379.
80
è opportuno ricordare che nel I sec. a.C. è oggetto di una grossa risistemazione anche l’agora di Thasos (su
cui cfr. Marc 2001).
81
Sul rispetto del santuario da parte delle truppe romane: Liv. 44, 7. 2. Sulla sottrazione del gruppo di Lisippo:
Vell. Pat. I, 11, 3-4; Plin., NH, XXXIV, 19, 64.
si aggiunge che l’ultima citazione delle feste Olympia, che fino all’età ellenistica costituivano
l’avvenimento più importante e famoso della vita cultuale del santuario82, risale al 100 a.C.83, e
che il teatro ellenistico, sede delle rappresentazioni teatrali che erano parte fondamentale degli
Olympia, viene distrutto dalle truppe romane e non sarà più ricostruito84, emerge senza dubbio
un quadro di declino (se non di abbandono) dell’area sacra, che durerà almeno fino all’epoca
imperiale.
Parimenti, nel santuario di Eukleia ad Aigai sono state individuate le tracce di una distru-
zione databile su base stratigrafica tra la seconda metà del II e il I sec. a.C.85: le strutture sacre
verranno poi ricostruite solo in seguito, in un momento non precisabile ma che gli scavatori
propendono a collocare nella prima età imperiale86.
Dall’analisi degli interventi edilizi realizzati nei luoghi di culto durante il primo periodo
della dominazione romana pare in sintesi possibile tratteggiare il quadro che segue. Il II sec. a.C.
segna una fase di generale inattività, con l’unica eccezione del santuario di Attis ad Anfipoli e,
nella seconda metà del secolo, dell’Asklepieion di Beroia; in alcuni casi è documentata con cer-
tezza una fase di crisi (come a Dion, a Aigai e nell’Artemision di Thasos), ma per lo più le aree
sacre che non vengono definitivamente abbandonate continuano a vivere “in silenzio”(come
ad esempio quelle di Pella e Skydra), senza tracce di distruzioni ma nemmeno di attività edi-
lizia o di grande vitalità cultuale documentata da dediche o ex voto. Solo dal I sec. a.C., e più
precisamente dalla seconda metà del secolo, riconosciamo qualche avvisaglia di ripresa, con le
realizzazioni monumentali del Serapeion di Salonicco e forse nell’Artemision di Thasos, e con
la probabile nascita del santuario di Zeus Hypsistos a Edessa; ma la vera “rinascita” dei luoghi
di culto avverrà poi, come vedremo, in età augustea.
82
Sulla storia, il significato e lo svolgimento degli Olympia si vedano Mari 1998 e Mari 2002, pp. 51-50.
83
SEG 14, 1957, 478.
84
Karadedos 1986, p. 339.
85
Saatsoglou-Paliadeli 1993, p. 53.
86
Saatsoglou-Paliadeli 1994, p. 116.
87
Data cui risale la più antica dedica rinvenuta nell’area: SEG 40, 537. Cfr. infra, Parte III, Edessa - Santuario di
Zeus Hypsistos, pp. 185-186.
88
Le dediche più antiche in Macedonia all’Hypsistos risalgono alla metà del II sec. a.C.: un’iscrizione da Kozani
(Rizakis, Touratsoglou 1985, p. 21, n. 3, fig. 2), una da Akrini di Eordea (Rizakis, Touratsoglou 1985, pp. 89-90,
n. 90, fig. 32) ed una da Anthemonte (Hatzopoulos, Loukopoulou 1992, pp. 50-51, A5, fig. XI, 1-2). Sul culto di
Zeus Hypsistos in Macedonia e Tessaglia si veda Chrysostomou 1989-1991, pp. 30-68.
89
Per una recente sintesi sul culto dell’Hypsistos v. Mitchell 1999.
90
Poiché Theus Hypsistos è il nome con cui anche gli ebrei chiamano il loro dio, è stata avanzata l’ipotesi che la
diffusione del culto sia da attribuirsi agli ebrei della Diaspora, che l’avrebbero trasmesso alle comunità pagane a loro
vicine (Schürer 1986, III.1, p. 166). Il Mitchell osserva però che le prime evidenze del culto dell’Hypsistos, risalenti
almeno al II sec. a.C., si registrano non solo presso gli ebrei di Israele ma anche in Egitto e nell’area egea, e ritiene
perciò che il culto dell’Hypsistos in Grecia e in Macedonia si sviluppi da radici locali (Mitchell 1999, pp. 126-127).
è quindi probabile una vicinanza e forse una reciproca influenza tra fedeli di Zeus Hypsistos e comunità ebraiche,
ma non una diretta derivazione o la conversione degli uni alla fede degli altri.
91
Cfr. da ultimo Pingiatoglou 2006, pp. 577-578.
92
Il dio e il suo santuario sono infatti nominati in due decreti della prima metà del II sec. a.C. (Hatzopoulos,
Loukopoulou 1989, pp. 17-18, l. 5-6, e p. 42, ll. 11-12) e forse in una lastra votiva databile al IV sec. a.C. (Hatzo-
poulos, Loukopoulou 1989, p. 64).
93
SEG 39, 610.
94
Melfi 2007a, pp. 504, 519.
95
Ch. Bakirtzes in AErgoMak, 2, 1988, p. 433; cfr. anche Gočeva 2002, p. 772.
96
Koukouli-Chrysanthaki 1983; Koukouli-Chrysanthaki 1985; Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou
1989; Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1990.
97
Venedikov 1963; Gočeva 1983, p. 243.
98
Sul culto del Cavaliere trace si vedano da ultimo Gočeva 2002; Gočeva 2005; Gočeva 2007. Iscrizioni votive
dedicate all’eroe Auloneites sono state rinvenute in tutta la Macedonia orientale: a Salonicco (ADelt, 24, B, 1969, 300.
3); a Serrai, nella zona di Krenidai (Vitasta) (SEG 30, 594; non datata); ad Abdera (BCH, VIII, 1884, p. 49); a Paradeisou
(G. Bakalakis, Paranevstioi arcaiovthte~, in Qrakikav, H’, 1936, p. 17); a Vitastas di Sirris (oggi Seres) (N. Kuparisia-
dou, Serraikav gravmmata, 51-52, 1962, p. 38, e ADelt, 26, Chron., B2, 1971, p. 416); a Filippi (SEG 30, 594).
99
Plut. Arist. 20.5-6; Hampe 1971, pp. 82-83, fig. 115, tav. 78.
100
Saatsoglou-Paliadeli 1987, pp. 741-742.
101
Diverse testimonianze di associazioni di culto private provengono dal Pireo (Lancellotti 2002, p. 73,
nota 65).
102
Cibele e Attis 2002, p. 261.
Grecia, dove giunge direttamente dalla Frigia per mezzo dei Greci d’Asia103; il culto della dea è
attestato in Calcidica e in Macedonia orientale già da età classica, e dal III sec. a.C. in Macedonia
centrale e occidentale104. In quanto madre di uomini, dei e di ogni forma di vita, la dea attende
alla riproduzione e quindi viene equiparata talvolta ad Afrodite105, altre volte a Demetra106. La
straordinaria diffusione del suo culto in età imperiale è tuttavia dovuta, come per Attis, al tra-
mite di Roma, dove Cibele arriva nel 204 a.C.107.
Di origine orientale, e più specificamente siriana, è anche il culto di Syria Parthenos, atte-
stato in un santuario frequentato dall’età ellenistica alla piena età imperiale ad Agios Nikolaos,
presso la riva occidentale del lago Loudias e lungo la strada che collegava Beroia a Pella108. La
dea, conosciuta anche con numerosi altri nomi (come Atargatis, Parthenos, Parthenos Bamb-
ykia, ecc.) e talora assimilata ad Afrodite, Artemide o Era, è originaria dell’area mesopotamica
e si diffonde dall’età ellenistica in Egitto, nelle isole dell’Egeo e in tutta la Grecia109; protettrice
della fecondità dell’uomo e di tutte le specie viventi, è venerata per lo più in forme non ufficiali,
nei thiasoi, e talvolta con riti misterici110.
Da ultimo, ad Aphytis e a Salonicco è documentato per l’età repubblicana il culto di di-
vinità egizie. Zeus Ammon presiede il santuario di Aphytis almeno dal V sec. a.C.; l’area sacra
conosce due fasi di forte sviluppo, prima durante l’Ellenismo (come testimoniano le realizza-
zioni edilizie e gli autori antichi111) e quindi, come vedremo, in età imperiale. A Salonicco alla
fioritura ellenistica del Serapeion, di cui è indizio il già citato diagramma di Filippo V, segue
senza soluzione, come si è detto, una fase di vivace attività nel I sec. a.C., forse connessa allo
stanziamento in città di negotiatores italici trasferitisi da Delo112. I culti egizi penetrano dunque
precocemente in area macedone, vi si diffondono gradualmente in età ellenistica (oltre ai due
santuari di cui si è parlato, si possono ricordare alcune testimonianze da Anfipoli, Dion e forse
Filippi113) e più ampiamente in età imperiale, periodo in cui vedremo nascere o ampliarsi i san-
tuari di Nicea, Dion, Salonicco, Aphytis e Filippi114.
103
Il culto della Grande Madre in Grecia è probabilmente frutto dell’incontro tra una tradizione locale minoico-
micenea con un culto derivante dalla Frigia. Una “Madre divina” compare nelle tavolette in lineare B di Pilo (PY Fr
1202); l’elemento anatolico invece è evidente nel nome Kybele/Kybebe. Kubaba è il nome, risalente all’età del bron-
zo, della dea della città di Karkemish sull’Eufrate, diffusosi poi nella prima età del ferro in Anatolia centrale e dunque
in Frigia, dove assunse particolare importanza, soprattutto sotto il regno di Mida (Burkert 2003, pp. 345-347).
104
Blanchaud 1986, p. 85.
105
Charon FGrHist 262 fr. 5.
106
Melanippides PMG fr. 764; Eur. Hel. 1301-1368.
107
La Grande Madre viene introdotta a Roma nella forma di una pietra direttamente dalla frigia Pessinunte
(senza passare per la Grecia) il 4 aprile del 204 a.C., ed è insediata sul Palatino il 12 aprile (Liv. XXIX, 10, 4-11, 8; cfr.
Cibele e Attis 2002, p. 261).
108
Cfr. infra, Parte III, Agios Nikolaos, p. 199. Più in generale, sul culto della dea, Chrysostomou 1989.
109
In Grecia settentrionale, oltre ad Agios Nikolaos, il culto della dea è attestato anche a Beroia (EKM, I, n. 51:
239 d.C.; EKM, I, n. 52: 261 d.C.), Edessa (iscrizione inedita riportata in Chrysostomou 1989, 104, nota 8, datata al
II sec. d.C.) ed Exokis in Eordea (EAM, A’, 100, n. 102: metà del III sec. d.C.).
110
Ad esempio in Acaia e a Messene: Paus. VII, 26.7 e IV, 31.2.
111
Plut., Lys., 20, 4; Paus. III, 18.3. Cfr. infra, Parte III, Aphytis, p. 294 e ss.
112
Rizakis 2002, pp. 120-122.
113
Da Anfipoli proviene una statua in marmo dedicata da Filippo V a Serapide ed Iside (Fraser 1960, p. 39); da
Dion, un’epigrafe votiva dedicata a Serapide, Iside e Anoubis datata al II sec. a.C. (Pandermalis 1982, p. 19); per
Filippi, cfr. Collart 1937, pp. 444-454, e Tsohos 2002, p. 83.
114
Sul culto delle divinità egizie in Macedonia si vedano i contributi (ormai datati, per le numerose testimo-
nianze epigrafiche ed archeologiche rinvenute negli ultimi anni) di Witt 1970 e Blanchaud 1986. Sulla frequente
presenza di culti “stranieri” (soprattutto orientali) nelle città costiere in epoca ellenistica e romana cfr. anche Alcock
1993, p. 247.
è in sintesi evidente come nella maggior parte dei casi le divinità che presiedono i luoghi
di culto rimasti vitali nel periodo compreso tra la conquista romana e l’età augustea non siano
quelle principali del pantheon greco fino all’età ellenistica (Zeus, Hera, Atena, Apollo), ma
figure divine strettamente legate alla tradizione del singolo santuario, oppure arrivate dall’area
orientale o egizia non prima del III-II sec. a.C. Tale dato è indice da un lato dell’evoluzione in
età romana repubblicana di un processo innescatosi con l’Ellenismo, ovvero della graduale pe-
netrazione ed affermazione in Grecia (come nel resto del Mediterraneo) di culti alloctoni, che
giungeranno a creare insieme alle divinità tradizionali una complessa e variegata koine cultuale
comune all’intero Impero; d’altro lato, va sottolineato come la pratica religiosa dei santuari in
questo periodo di forte cambiamento politico sia prevalentemente slegata da aspetti di ufficiali-
tà e sia invece rivolta al mondo personale dei fedeli, con prerogative di protezione della persona
(Asclepio, l’eroe Aulonites) e dei momenti fondamentali della vita umana (la Grande Madre ed
Eukleia).
In conclusione, possiamo affermare che il periodo che va dalle guerre macedoniche alla
fine del I sec. a.C. riveste un significato pregnante nello studio di come avvenne e cosa compor-
tò nel quadro cultuale santuariale l’incontro tra la cultura greca e romana, poiché in questo arco
di tempo si esplicò la conquista territoriale dell’area ellenica e si avviò il processo di contatto/
integrazione tra i due mondi.
Tentando di confrontare quanto osservato in Macedonia con le altre regioni della Gre-
cia settentrionale, ovvero Tessaglia ed Epiro, si vedrà che diversi aspetti del mutamento del
paesaggio sacro tra II e I sec. a.C. si ritrovano in tutte e tre le regioni, a comporre un quadro
sostanzialmente unitario ed omogeneo che comprende, pur con sfumature regionali, tutta l’area
ellenica settentrionale.
Seguendo in ordine cronologico gli avvenimenti che riguardano i luoghi di culto in quella che
abbiamo denominato “età della conquista”, ciò che è risultato immediatamente evidente nell’area
macedone è la cesura netta che l’assoggettamento a Roma segna immediatamente nella storia delle
aree sacre115. Anche nelle due regioni confinanti un numero consistente di santuari finisce di essere
frequentato con l’età ellenistica (fig. I.8): in Tessaglia, il tempio di Atena116 e il tempio di Asclepio117
a Gonnoi, i santuari di Atena Polias e di Apollo Kerdoo a Larisa118, il tempio di Apollo a Metropo-
lis119, il santuario di Enodia e Zeus Thaulios e il recinto sacro di Enodia a Pherai120, il tempio di Atena
115
Volendo riassumere: cessano di essere frequentati in Macedonia il Nymphaion di Mieza, il santuario della Ma-
dre degli Dei ad Aigai, il Thesmophorion e il santuario di Darron a Pella, il santuario di ignota dedicazione a Pidna,
forse il santuario di Zeus Olympios a Dion, il Nymphaion di Salonicco, il santuario di Demetra a Lete, il santuario
di Dioniso a Mende, il Thesmophorion/Nymphaion ad Anfipoli, il tempio di Atena a Oisyme, il Dionysion, forse
l’Herakleion, il santuario di Pan e il Thesmophorion di Thasos.
116
Le dediche più tarde ad Atena rinvenute nell’area sacra sull’acropoli non oltrepassano il I sec. a.C.: Prakt.,
1911, pp. 315-317; Helly 1973, I, pp. 147-148.
117
Dal santuario provengono materiali non più recenti del II sec. a.C.: Prakt., 1914, pp. 209-210; Helly 1973,
I, p. 149; Helly 1973, II, nn. 197-200.
118
Per entrambi i santuari la documentazione disponibile non oltrepassa il II sec. a.C.: cfr. Tziafalias 1994;
Rakatsanis, Tziafalias 1997, p. 20.
119
La ceramica nei livelli di distruzione dell’edificio colloca il suo abbandono nel II sec. a.C.: ADelt, 49, 1994, B1, pp.
331-333, pl. 107b-108a-b; ADelt, 50, 1995, B1, pp. 375-376; ADelt, 51, 1996, B1, pp. 347-348; Intzesiloglou 2002.
120
Sul santuario di Zeus Thaulios ed Enodia, frequentato fino al III-II sec. a.C., cfr. Ostby 1990; Ostby 1992;
Ostby 1994; Chrysostomou 1994; Chrysostomou 1998a. Sul santuario di En(n)odia presso la necropoli occidentale,
attivo fino alla tarda età ellenistica, Apostolopoulou-Kakabogianni 1990; Chrysostomou 1994.
Fig. I.8 - Carta di distribuzione dei luoghi di culto della Grecia settentrionale abbandonati o devastati con la con-
quista romana.
Polias a Tebe Ftie121 e l’Asklepieion di Skopelos122; in Epiro, tutti i luoghi di culto di Apollonia123,
i santuari di Corcira124 e il tempio di Apollo Pizio ad Ambracia125. Numerosi altri, seppure
rimasti in vita, recano nelle loro strutture le tracce delle devastazioni (che in Macedonia abbia-
mo visto nel santuario di Eukleia ad Aigai e nell’Artemision di Thasos): particolarmente estese
sono le distruzioni perpetrate in Epiro, ricordate da vari autori antichi126 e visibili nei santuari
di Passaron e Dodona127.
121
L’ultimo intervento condotto nel tempio sembra essere un rifacimento del tetto in età ellenistica: Prakt., 1908,
pp. 163-164; Vlad Borrelli 1966.
122
I ritrovamenti materiali (tra cui alcune iscrizioni dedicate al dio) testimoniano la frequentazione dell’area
sacra fino ad età ellenistica: Doulgheri-Intzesiloglou 2006.
123
Il tempio dedicato forse ad Artemide sulla collina 104 viene abbandonato tra II e I sec. a.C. (cfr. Dimo, Len-
hardy, Quantin 2007, con bibl. prec.); non hanno restituito tracce di vita in età romana il tempio sulla collina di
Shtyllas (Lenhardt, Quantin 2007), il “tempio” di Kryegjata e un complesso cultuale situato nella piana occidentale
di Apollonia, forse dedicato a Demetra e Kore (cfr. Anamali 1992).
124
La bibliografia sui santuari di Corcira è piuttosto datata: cfr. Schleif, Rhomaios, Klaffenbach 1940 sul
tempio di Artemide, Spetsieri-Choremi 1980 sul santuario di Apollo Pythaios, Dinsmoor-Bell 1973 sul tempio di
Kardaki, Kalligas 1969 sull’Heraion.
125
Vocotopoulou 1969.
126
Furono ridotti in schiavitù 150.000 Epiroti e 70 oppida di Molossia, Tesprozia e Kassiopaia furono saccheg-
giate, incendiate e rase al suolo: Liv. 45, 34. 6; Strab., 7.7.3; Plut., Aem., 29.5.
127
Del saccheggio di Dodona, ricordato anche da Strabone (Strab. 7.7.9), sono state rinvenute le tracce archeolo-
giche negli scavi del teatro e del Pritaneo: nel primo, uno strato di residui di un grosso incendio individuato nell’area
Si delinea quindi un panorama di reale ed estesa mutazione, che talvolta è la diretta con-
seguenza dell’azione distruttiva delle truppe romane, altre volte vede un declino progressivo
ma inarrestabile dell’area sacra nel corso di alcuni anni. Il dato riveste un grande rilievo, poiché
indica come nell’ambito religioso, a differenza di quanto è stato osservato in altri aspetti della
società greca (ad esempio nella vita domestica o nell’architettura teatrale128), la conquista roma-
na produca effetti immediati su una componente fondamentale della vita delle popolazioni qual
è quella cultuale, con un rapporto tra causa ed effetto decisamente diretto e visibile.
Dall’esame dei culti praticati nei santuari di Macedonia, Tessaglia ed Epiro emerge che
i santuari che subiscono forme di recessione con la conquista romana sono spesso dedicati a
divinità poliadiche o a figure divine che impersonano la storia e l’identità stessa dei centri in
cui l’area sacra sorge: Atena a Oisyme, Gonnoi, Larisa e Tebe Ftie, Apollo a Larisa, Metropolis
e Ambracia, ma anche Eracle a Thasos, En(n)odia a Pherai, Artemide ad Apollonia. In questo
quadro è difficile non scorgere l’ombra di un preciso intento della nuova autorità governante,
che venendo a sostituirsi ad un assetto politico fortemente incardinato attorno alle poleis cerca
di annullare quei culti che costituiscono l’elemento fondante dell’identità civica del popolo
che vuole sottomettere. Lo stesso si nota per i centri di culto legati ad altre forme istituziona-
li, laddove il sistema politico non sia quello della polis ma dell’ethnos, come in Epiro, o della
basileia, come in Macedonia: evidentissimi sono i casi sopra analizzati del santuario di Zeus
Olympios a Dion (dove i sovrani macedoni festeggiavano le loro vittorie militari con impres-
sionanti sacrifici e grandiosi giochi, e che i Romani riescono a depotenziare, se non ad annullare
completamente, tramite un’abile strategia non distruttiva) e del santuario di Eukleia ad Aigai
(strettamente legato alla famiglia reale macedone, una connotazione politica che ne determinò
la rovina o quantomeno il momentaneo abbandono). Non dissimili sono in Epiro il caso del
santuario di Zeus a Passaron, dove prestavano giuramento i re e il popolo dei Molossi129 e che
dopo la distruzione romana perse ogni funzione politica, e in Tessaglia il caso di Larisa, dove
furono abbandonati i santuari poliadici esistenti e venne istituito un nuovo culto a Zeus Eleu-
therios in occasione della liberazione della Tessaglia da parte dei Romani130.
è chiaro dunque che i nuovi dominatori, ben consapevoli dell’importanza (anche politica)
rivestita dalla religione nel mondo greco, non trascurano di attuare fin da subito alcuni cambia-
menti significativi nel paesaggio sacro, intervenendo talvolta in modo impositivo e distruttivo,
talvolta con gesti di più sottile strategia.
Questo pianificato depotenziamento dei culti poliadici e, più in generale, delle divinità
olimpiche che rappresentano più di ogni altra cosa l’identità propria dei Greci131, comporta,
come abbiamo visto in Macedonia, lo sviluppo di una devozione rivolta a figure divine non
legate all’ufficialità ma alla vita quotidiana, spesso con forti radici locali oppure provenienti dal
mondo orientale ed egiziano. Zeus Hypsistos, Iside e Serapide, Cibele e Attis, Syria Parthenos
conoscono un’ampia diffusione già da età ellenistica, che continua indisturbata dopo l’arrivo
dei Romani; lo stesso si può dire in Tessaglia per Pasikrata, venerata a Demetrias132, Apollo Ko-
della scena e della parodos occidentale, con all’interno 22 monete bronzee del Koinon degli Epiroti databili tra 234
e 168 a.C. (Dakaris 1960, pp. 32-34); nel secondo, le macerie della distruzione presenti nella stratigrafia della corte
colonnata (Dakaris, Tzouvara-Souli, Vlachopoulou-Oikonomou 1999, p. 156 con rif. nota 43). Similmente il
tempio di Zeus a Passaron, centro di culto ufficiale del regno dei Molossi, fu incendiato nel 167, come indicano le
tracce di bruciature e di calcificazione di numerosi elementi architettonici e lo strato di elementi di calcare frantumati
rinvenuto intorno all’edificio (Evangelidis 1952, p. 311).
128
Bonini 2006, pp. 184-185; Bressan 2009, pp. 295, 349-350.
129
Plut., Pyrrh., 5.5.
130
Tziafalias 1994, pp. 169-173.
131
Sull’importanza della religione nella definizione dell’identità greca nel periodo della romanizzazione cfr.
Woolf 1994; Whittaker 1997; Gleason 2006, pp. 228, 230.
132
Papakhatzis 1958.
ropaios, che presiede il santuario oracolare di Koropi133, ed Eracle a Pyra134, che rappresentano
cultualità radicate nella località del singolo santuario, la cui pratica generalmente risale molto
indietro nel tempo ed è legata agli aspetti oscuri dell’esistenza (i momenti di passaggio, la morte
e il mondo infero, l’oracolo). Tra le divinità del pantheon olimpico, si prediligono quelle le cui
funzioni forniscono una risposta immediata agli interrogativi e ai bisogni concreti del fedele,
come Asclepio, venerato in Macedonia nei santuari di Beroia, Morrylos e Dion. Sembra così
che di fronte agli sconvolgimenti della realtà sociale e istituzionale, scardinata dall’ingresso di
una nuova potenza, si risponda con un raccoglimento nel privato e verso divinità che proteggo-
no l’individuo di fronte ai mali della vita.
In Macedonia si è osservato, tuttavia, come alcuni selezionati centri di culto, quali ad
esempio il Serapeion di Salonicco, mantengano senza soluzione di continuità il ruolo religioso
di primo piano che detenevano in passato. Casi analoghi sono documentati anche in Epiro e in
Tessaglia: Dodona, sede dell’Alleanza e poi della Lega epirota, dopo la distruzione da parte del-
le truppe di Roma torna intorno alla metà del II sec. a.C. ad essere la sede del rifondato koinon
degli Epiroti135; l’Asklepieion di Butrinto mantiene un ruolo di rilievo all’interno del koinon dei
Prasaiboi fino alla fine del I sec. a.C.136; il santuario di Atena Itonia a Karditsa, centro federale
dei Tessali fin dall’età arcaica, continua ad essere luogo di esposizione dei decreti del koinon tes-
salico anche dopo che la confederazione viene restaurata dai Romani con centro a Larissa, nel
santuario di Zeus Eleutherios137. Le particolari sorti di questo ristretto numero di santuari se-
gnala come i nuovi dominatori non vogliano sempre sostituirsi in modo radicale alle istituzioni
vigenti prima del loro arrivo, ma cerchino piuttosto di inserirsi sottilmente nella realtà politica
greca, lasciandola formalmente il più possibile inalterata ed operando invece “in sordina” alcuni
cambiamenti sostanziali138.
Nel complesso, il II sec. a.C. appare dunque un periodo di forte mutamento, segnalato
anche dalla quasi totale assenza di interventi edilizi in tutte le aree sacre, dal quale emerge lenta-
mente un sistema nuovo, profondamente trasformato non solo, com’è ovvio, nella struttura di
governo, ma anche nella realtà sociale ed economica. La distribuzione geografica dei luoghi di
culto che restano attivi in questo periodo contribuisce a far capire quali sono le aree che meno
risentono dei rivolgimenti politici in atto e che acquisiranno un ruolo di primo piano nella pro-
vincia romana: in Macedonia, le città situate lungo le principali direttrici stradali e nella pianura
di Pieria e Bottiea, affacciata sul golfo termaico; in Tessaglia, la regione di Larisa, capitale del
nuovo koinon Tessalico; in Epiro, la zona di Butrinto, che emerge a scapito di Corcira.
è in queste zone che si manifestano, nel I sec. a.C. (e più specificamente nella seconda
metà del secolo), le prime avvisaglie di una ripresa dopo il trauma costituito dall’annessione
allo Stato romano. Nell’area macedone la città protagonista appare in questa fase Salonicco, di-
venuta civitas libera dopo la battaglia di Filippi; il benessere della città, che meno di altre aveva
133
Robert 1948; Papakhatzis 1960.
134
ADelt 1919, pp. 25-33; BCH, 44, 1920, pp. 392-393; BCH, 45, 1921, pp. 523-524; BCH, 46, 1922, pp. 513-514,
BCH, 47, 1923, p. 522.
135
Il Pritaneo viene completamente ricostruito (cfr. Dakaris, Tzouvara-Souli, Vlachopoulou-Oikonomou
1999); emissioni monetali con legenda APEIRWTAN (raffiguranti la testa di Zeus e la quercia sacra) riappaiono dopo
il 146 a.C. fino alla seconda metà del I sec. a.C. (Cabanes 1997, p. 120).
136
Cabanes, Drini 2007, pp. 242-248, con bibl. prec.
137
Dal sito dove sorgeva il santuario (su cui v. Intzesiloglou 2006) provengono infatti due decreti del koinon,
l’uno (SEG 25, 652, il cui contenuto non è ricostruibile) datato alla fine del II sec. a.C., l’altro (SEG 25, 653, relativo
ad una questione con Ambracia) al 179-165 a.C. Il santuario è inoltre nominato in una stele rinvenuta a Larisa (SEG
34, 558, ll. 63-64) in quanto luogo dove avrebbero dovuto essere collocate le statue equestri dedicate dal synedrion in
onore dei fratelli Timasiteos e Diotimos (che furono strateghi tra il 140 e il 130 a.C.).
138
Come afferma Gruen, “i Greci non furono travolti da un sistema loro imposto dai Romani, bensì fornirono
un quadro di riferimento che i Romani poterono poi adattare ai propri scopi” (Gruen 1998, p. 801).
risentito delle conseguenze della conquista romana e dove ora si insediano stabilmente gruppi
di negotiatores italici139, si riflette nel fervore dell’attività edilizia all’interno del Serapeion. La
capitale della provincia diviene ora il principale polo commerciale ed economico, sostituendosi
all’ormai abbandonata Delo140. Anche a Larisa, sede delle autorità federali tessaliche e del culto
di Zeus Eleutherios, il numero degli italici aumenta in modo consistente nel I sec. a.C.141. Infine
in Epiro i coloni romani si insediano nella regione di Butrinto, il cui Asklepieion, come si dice-
va, rimane ininterrottamente vitale.
Si tratta comunque di sintomi ancora sporadici di una “rinascita” che avverrà realmente
solo in età augustea, quando la ristabilita pax e la politica del nuovo imperatore costituiranno,
come si vedrà tra breve, il sostrato ideale per l’avvio di più profondi processi di integrazione e
ricostruzione.
139
Rizakis 1986; Rizakis 2002. L’emigrazione di Italici in Macedonia ha inizio più tardi rispetto al resto della
Grecia, ovvero dal I sec. a.C., probabilmente a causa dei disordini interni e delle invasioni di tribù barbariche che
avevano reso fino a questo momento poco sicuro lo stanziamento.
140
Cfr. ancora Rizakis 2002, pp. 116, 118. Va inoltre ricordato un altro episodio: durante la seconda guerra civile,
nel 49-48 a.C., l’avvicinamento di Cesare a Roma provoca l’esodo in massa di numerosi senatori e cavalieri pom-
peiani, che si rifugiano a Salonicco (al seguito di Pompeo) e trasformano la città in una “novella Roma” (Cass. Dio,
XLI, 18, 6 e 19; Plut., Pomp. 64, 3; Papazoglou 1979a, p. 321). Tutti i fattori descritti, ovvero il tramonto di Delo, la
conseguente affluenza di negotiatores italici (con i loro culti egizi) a Salonicco, l’arrivo in città di Romani filopom-
peiani, hanno certamente contribuito allo straordinario sviluppo del centro a partire dal periodo immediatamente
successivo alla battaglia di Filippi.
141
Helly 1983, p. 363; Bouchon 2007, pp. 268-276.
Con la battaglia di Azio si chiude un’epoca che nei rapporti tra Roma e la Grecia aveva
visto, come si è osservato, il trauma dell’annessione territoriale ma anche l’inizio di un reale
contatto tra le due culture; dopo il 31 a.C. e la definitiva istituzione del principato, la stabilità
politica, la pace e il conseguente benessere economico costituiscono il terreno fertile dove ma-
tureranno i frutti di tale complicato processo di integrazione.
Dal punto di vista amministrativo, la Macedonia e la Grecia rimangono ancora per qualche
tempo riunite sotto l’autorità di uno stesso governatore (M. Licinio Crasso), il quale respinge
le incursioni di Geti, Mesi e Traci consolidando il dominio romano nella regione compresa tra i
Balcani e il Danubio; all’inizio del principato un’immensa provincia comprende dunque tutta la
parte centrale della penisola balcanica, dal Tenaro a sud fino al Danubio a nord, dall’Adriatico al
Mar Nero. In seguito, con la ridistribuzione delle province tra Augusto e il Senato nel 27 a.C., la
Macedonia viene affidata a quest’ultimo e il suo territorio è ridimensionato ai confini più anti-
chi: i territori più a sud vengono separati ed organizzati in una provincia a parte (l’Achaia), alla
quale vengono annesse anche la Tessaglia, la Perrebia e l’Epiro, mentre l’area illirica meridionale
rimane unita alla provincia macedone1 (fig. I.9).
Il governo della provincia in età imperiale è basato sulle città, che possiedono una larga
autonomia locale. Grande libertà è garantita alle quattro colonie romane (Filippi, Kassandreia,
Dion e Pella); tre sono le civitates liberae (Salonicco, Anfipoli e Skotousa), mentre le restanti
città perdono l’indipendenza, ma mantengono formalmente le proprie antiche istituzioni, ek-
klesia, boule e arconti locali. Dalla fine del I sec. d.C. una confederazione (Koinon) unisce le
varie comunità macedoni principalmente nell’osservanza del culto imperiale, con quartier ge-
nerale a Beroia, emissione propria di moneta e celebrazione di giochi annuali in onore dell’im-
peratore2.
Il I e II sec. d.C. costituiscono in complesso un periodo di pace e prosperità, testimoniato,
come si vedrà tra breve, dall’incremento degli insediamenti, soprattutto in pianura; scarsi sono
gli episodi bellici, dovuti ad interventi difensivi contro i barbari che minacciano i confini set-
tentrionali.
Le vicende che si registrano in questo periodo nella storia dei luoghi di culto della regione
corrispondono al quadro generale sopra descritto: la prima età imperiale non vede infatti l’ab-
1
Papazoglou 1979a, pp. 325, nota 105, e 328.
2
Adam-Veleni 1993, pp. 25-26. La menzione di un koinon Makedonon prima della conquista romana è attestata
una sola volta sotto Filippo V (IG XI, 4, 1102); sul significato e l’evoluzione di questa confederazione cfr. Papazo-
glou 1979a, pp. 351-354.
bandono di alcun luogo di culto3 (tab. 1, p. 24), ma al contrario la nascita di nuovi santuari e il
rilancio dell’attività edilizia in numerosi siti.
Nel panorama globale di ripresa, è possibile notare come i segnali più evidenti provengano
dalle aree sacre situate nelle città che hanno acquisito nell’Impero un ruolo politico di primo
piano, tra cui principalmente le colonie (ad eccezione di Pella) e, tra le civitates liberae, Salo-
nicco.
Dion, come attestato dalle monete4 e dalle fonti5, in età augustea diventa colonia con
il nome di Iulia Augusta Diensis, e gode di ius Italicum6. Tra tutti i santuari che rendevano
famosa la città come centro cultuale – e che, come si è visto, furono rispettati dalle truppe
romane ma vennero trascurati per i primi due secoli dalla conquista – è oggetto di un nuovo
interesse in questo periodo quello di Demetra, il più antico della perioche ton hieron a sud
della città7. Qui vengono condotti alcuni interventi edilizi nel nucleo centrale dell’area sacra,
che analizzeremo nel dettaglio tra breve, e viene ampliato il temenos verso sud con la costru-
zione di un edificio di servizio.
3
Con l’unica eccezione del santuario di Afrodite e Cibele a Pella, la cui scomparsa è dovuta al trasferimento della
popolazione nella nuova città romana Colonia Pellensis, poco più ad ovest del centro urbano antico, fondata intorno
al 30 a.C. sulla via Egnatia (e localizzata nel sito dell’odierna Nea Pella).
4
Kremydi-Sicilianou 1996, pp. 103-105.
5
Plin. IV, 35; Ptol. III, 12, 12.
6
Paul., Dig. L 15, 8, 8.
7
Da qui provengono infatti gli ex voto più antichi (figurine fittili femminili di età tardo-arcaica). Negli altri
santuari le strutture e i materiali rinvenuti non risalgono oltre l’età tardo-classica ed ellenistica. Tuttavia va ricordato
che il santuario di Zeus a Dion era considerato il più antico della Macedonia, come attesta un papiro di Ossirinco
che lo cita come fondato da Deucalione (POxy 4306 fr. I, col. i, l. 19-29); sull’alta antichità del santuario concordano
anche gli autori latini (cfr. Giustino 24.2.8).
A Filippi, fondata da Filippo II intorno alla metà del IV sec. a.C., si stanziano i veterani
congedati da Marco Antonio, alla fine del 42 a.C., e nuovi coloni nel 30, dopo la battaglia di
Azio8. La colonia possiede base economica essenzialmente rurale9 e le strutture urbane portate
alla luce (tra cui anche gli edifici di culto) risalgono per lo più ad una fase successiva, ovvero
prevalentemente alla piena età imperiale (II-III secolo) e alla prima epoca cristiana; si deve
tuttavia citare la possibile esistenza già in questo periodo di un edificio dedicato al culto impe-
riale, indiziata da un’iscrizione in onore dell’imperatore Claudio e di suo padre Druso trovata
nelle fondazioni del tempio orientale del foro di II secolo10. La presenza nel paesaggio sacro
della neofondata Filippi nel periodo in esame si ritrova inoltre in un santuario del territorio, a
Pangaion, dove nel cosiddetto Edificio I sono state rinvenute le fondazioni di alcuni seggi con i
nomi dei curatores della colonia romana (trasportati al Museo di Kavala nel 196811). Pur nell’as-
senza di qualsiasi altro dato, la collocazione in un contesto sacro privo (per quanto sappiamo)
di valenza ufficiale dei seggi di personaggi politici (probabilmente dei residenti benestanti che
si assumevano alcuni oneri finanziari della colonia12) sembrerebbe indicare il ruolo pubblico
assunto in questa fase dal santuario, oppure, almeno, l’intento della nuova classe sociale do-
minante di far sentire la propria voce e il proprio ruolo anche in un ambito non strettamente
politico ma fortemente simbolico quale quello religioso.
Delle altre due colonie istituite in territorio macedone molto poco è ad oggi noto. Pella
viene rifondata poco più ad ovest (nel sito dell’odierna Nea Pella), ma l’estrema scarsità di resti
di età imperiale e le notizie delle fonti13 indicano che la città ha definitivamente perso la mo-
numentalità e il ruolo politico che possedeva in passato. Di Kassandreia le fonti letterarie ed
epigrafiche ricordano che godeva di ius Italicum14 e che i suoi cittadini erano iscritti forse nella
tribù Papiria15, ma la città non è stata scavata16.
Nel territorio di quest’ultima si trova l’antico santuario di Zeus Ammon (attivo fin
dall’età classica nei pressi di un ancor più antico santuario di Dioniso), il quale è oggetto
nella prima età imperiale di una serie di interventi edilizi volti a risistemare il nucleo centrale
del temenos. Il forte legame tra il santuario e la città è testimoniato dalla raffigurazione di
Zeus Ammon (con la legenda HAMMON) sulle monete di Kassandreia17: in una di queste,
in particolare, l’iscrizione al rovescio Hort(ensius) col(oniam) d(eduxit) (o colonia deducta, o
coloniae deductor) testimonia che la colonia fu dedotta da Q. Hortensius Hortalus nel 44-42
a.C. sotto la tutela di Giove Ammone18. Il rinnovato interesse di cui è oggetto il santuario
di Aphytis può allora facilmente essere spiegato in relazione alla rifondazione promossa dai
Romani, che sarebbe stata completata e celebrata da una nuova rinascita anche nella sfera
religiosa.
La ripresa edilizia di prima età imperiale nel santuario di Zeus Ammon può essere letta
anche in un’altra maniera. è noto che Alessandro Magno era stato dichiarato figlio di Zeus Am-
8
Collart 1937, pp. 224-227; Papazoglou 1988, pp. 405-407.
9
Sull’estensione e l’organizzazione del territorio di Filippi cfr. Papazoglou 1982 e Papazoglou 1988, pp. 407-
413.
10
Sève 2004, pp. 37-38, 411-412, fig. 1.
11
Koukouli-Chrysanthaki 1985, p. 264.
12
Galsterer 1997.
13
Dio Chr., XXXIII, 402; cfr. Papazoglou 1988, pp. 137-138.
14
Dig. L, 15, 8, 8.
15
CIL, 1324 e 2316, 40.
16
Samsaris 1987. Degli edifici della città è nota per via epigrafica l’esistenza di un ginnasio, costruito alla fine
del I sec. d.C. da A. Kornifivkio~ Taranti'no~ (BCH, 71-72, 1947-1948, p. 438), evidentemente un italico stanziatosi
nella colonia.
17
Papazoglou 1979a, p. 357, n. 248; Gaebler 1935, III, p. 139, n° 28.
18
Grant 1946, p. 272.
19
Strab. XVII, 1, 43; Plut., Alex. XXVII, 5-8. Sul legame Alessandro Magno-Zeus Ammon si vedano Parke
1967, pp. 222-229 e Bosworth 1977.
20
Cresci Marrone 1993, p. 30. Sulla politica augustea di imitatio Alexandri cfr. anche Alejandro Magno 1990 e
Casari 2004 (in part. pp. 21-22, nota 43).
21
Plutarco (Plut., Lisandros, 20, 4), narrando dell’assedio di Aphytis da parte di Lisandro (404-403 a.C.), raccon-
ta che il generale sciolse l’assedio su ordine dello stesso Zeus Ammon, apparsogli in sogno, e quindi comandò agli
abitanti della città di venerare il dio; Pausania (Paus. III, 18.3), ricordando lo stesso episodio, aggiunge che gli abitanti
di Aphytis onorarono da allora il dio non meno dei Libici; Stefano di Bisanzio (St. Byz., s.v. Aphytis), infine, parla
dell’esistenza ad Aphytis di un oracolo di Zeus Ammon. Per l’attività edilizia nel corso della storia del santuario cfr.
infra, Parte III, Aphytis, p. 294 e ss.
22
Un altro motivo dello sviluppo del santuario in questo periodo, secondo S. Kremydi-Sicilianou, va ricercato
nella particolare devozione degli italici ai culti egizi (di cui si è parlato nel precedente capitolo a proposito di Salo-
nicco): Kremydi-Sicilianou 2005, p. 103.
23
Adam-Veleni 2003, pp. 146-148.
24
Cfr. AA 1926, p. 430; BCH, 45, 1921, pp. 540-541; Wild 1984, p. 1825.
25
Oltre alle già citate iscrizioni IG X, II.1, 97 e IG X, II.1, 113 (datate al 23-22 a.C.), è dedicata nel 15-14 a.C. IG
X II, 1, 85; risalgono al I a.C./I d.C. IG X, II.1, 86-98-99, e al I d.C. IG X, II.1, 87-88 e IG X II,1, 255.
26
Vocotopoulou 1995, 1065 (Ottaviano-Augusto), 2467-2468 (Claudio-Tiberio), 1527/9 (Adriano), 1528 (to-
gato), 1526 (Roma).
27
Un’iscrizione, oggi perduta, che ricorda la presenza a Salonicco di un naos Kaisaros dedicato a Giulio Cesare
(IG X, II.1, 31; Voutyras 1999, p. 1339, nota 55); una moneta recante la testa di Ottaviano al dritto e la testa di Cesare
con la legenda Qeov~ al rovescio (Weinstock 1971, p. 404, nota 2, pl. 30, 1-2).
età augustea e rimasto in uso almeno fino al II sec. d.C. Rimandando al paragrafo sull’attività
cultuale la trattazione del significato e dell’importanza della presenza del culto dell’imperato-
re a Salonicco sin dalla prima età imperiale, varrà però la pena di sottolineare fin d’ora come,
così, la città agisca in modo da acquistare rilievo nel panorama provinciale, assicurandosi la
benevolenza della nuova autorità regnante ed inserendosi in un sistema politico-diplomatico di
rapporti tra centro e periferia (forse in competizione con Beroia, che diventerà sede del koinon
macedone e neokoros dall’età di Nerva28).
Salonicco non è tuttavia l’unico centro ad ospitare fin dall’inizio del principato il culto
dell’imperatore. Forse ancora prima di essa, infatti, la non lontana città di Kalindoia si dota già
alla fine del I sec. a.C. di un Sebasteion, che viene ulteriormente ingrandito intorno alla metà
del I sec. d.C. (come si vedrà nello specifico tra breve); nel complesso sacro fin dalla sua crea-
zione hanno luogo celebrazioni mensili di sacrifici, banchetti sacri, panegyreis e agoni in onore
di Zeus e dell’imperatore, come ricorda un importante documento epigrafico rinvenuto al suo
interno29. Va sottolineato che se, come è probabile, nel Serapeion era effettivamente collocato
un torso corazzato di Augusto rinvenuto nel sito nel 1961, prima dell’inizio degli scavi, quello
di Kalindoia risulta essere uno dei primi templi dedicati al culto imperiale in tutto l’Impero (il
torso infatti viene datato all’ultimo ventennio del I sec. a.C.30).
La rapida diffusione del culto imperiale a Salonicco e a Kalindoia, unitamente agli altri
segnali di ripresa osservati più sopra (non privi, come si è detto, di valenza politico-ideologi-
ca, nei casi di Aphytis e Pangaion), indicano come la Macedonia non si trovi affatto ai margini
dell’ampio processo di creazione dell’Impero di Roma che investe in questo periodo tutto
il Mediterraneo. Alcune città sembrano anzi ben decise ad inserirsi pienamente nel nuovo
sistema istituzionale, e vedono per tutta l’età imperiale un incremento delle proprie poten-
zialità economiche e delle stesse loro strutture urbane. Oltre a Salonicco, è questo il caso di
Thasos, che viene gratificata da Augusto e dalla famiglia imperiale con la restituzione degli
antichi privilegi e dei possedimenti sul continente; inoltre, nel 56 d.C. la città accetta, in se-
guito al testamento di Caninius Rebilus, la donazione di terre coltivate a grano nella regione
di Filippi31, e sotto il regno di Vespasiano (60-70 d.C.), beneficiando di un arbitraggio favo-
revole nel conflitto che l’opponeva a Filippi, ottiene di non assumere l’incarico della posta
imperiale al di fuori del territorio di sua pertinenza e soldati imperiali a sorvegliarne i limiti32.
Non a caso proprio in questo periodo favorevole l’Artemision, che abbiamo visto caduto in
rovina nel primo periodo della dominazione romana, è oggetto di una serie di interventi di
risistemazione nella terrazza inferiore, che completano i lavori già intrapresi nella tarda età
repubblicana.
Il generale movimento di ripresa investe anche un’area sacra situata in una città che in età
romana non possiede ormai più il ruolo politico che deteneva in passato: ad Aigai (che, come
28
Come suggeriscono Allamani-Souri 2003c, pp. 99-100, e Burrell 2004, p. 279. è possibile infatti che all’ini-
zio dell’età imperiale, prima che Beroia ottenesse la neokoria, le due città si contendessero tra loro l’onore: Salonicco
realizza quanto prima un Sebasteion e onora con statue Augusto, Claudio/Tiberio e Tito (Allamani-Souri 2003c, p.
107 e figg. 37, 40, 43), Beroia erige monumenti a Claudio e a Tito (Tataki 1988, p. 447).
29
Sismanidis 1983.
30
Karanastasi 1995, pp. 215-221. Viene spontaneo domandarsi il motivo per cui un centro periferico quale Ka-
lindoia si doti così precocemente di un Sebasteion; è necessario tener conto di possibili lacune documentarie relative
ad altre eventuali attestazioni del culto imperiale contemporanee nella provincia.
31
Dunant, Pouilloux 1985, p. 185.
32
Dunant, Pouilloux 1985, p. 186. Sulla possibilità che a Thasos sia concessa la libertas da Augusto (come
sembra indicare Plinio, NH, IV, 73) cfr. Dunant, Pouilloux 1958, pp. 57-61 e passim. L’importanza dell’isola in
età imperiale, come documenta un altro documento epigrafico, pare legata alle forniture di grano per Roma e al
suo ruolo di intermediaria nei commerci con la Tracia e l’Egeo settentrionale (Dunant, Pouilloux 1958, p. 66,
n. 179).
già accennato, ha perso la sua indipendenza ed è diventata una kome di Beroia) il santuario di
Eukleia, distrutto nel periodo della conquista, riceve ora una nuova sistemazione monumenta-
le, in parte riutilizzando e in parte modificando le strutture già esistenti33.
Non in tutti i luoghi di culto sono però presenti segni evidenti di un cambiamento in posi-
tivo rispetto al periodo precedente. Certo non sono documentate tracce di distruzioni e abban-
doni, a differenza di quanto si è osservato diffusamente per l’età della conquista, ma in diversi
casi le aree sacre proseguono nella loro attività senza alcun rinnovamento a livello strutturale
o cultuale (almeno stando ai dati fino ad oggi disponibili): così accade nel santuario di Zeus
Hypsistos sull’acropoli di Edessa, nel tempio di Skydra, nel santuario di Syria Parthenos ad Ag.
Nikolaos, nei santuari di Iside e Asclepio a Dion, nell’Asklepieion di Morrylos e nel santuario
di Apollo ad Aliki (Thasos). In altri casi ancora, invece, i segnali di una rinascita si manifestano
più avanti, in età claudia, come si verifica a Stuberra (città forse di fondazione romana, lungo la
strada tra Eraclea e Stobi34), dove intorno alla metà del I sec. d.C. viene costruito un santuario
dedicato ad Agathe Thyche.
In conclusione, l’avvento del principato di Augusto segna senza dubbio l’inizio di una fase
prolungata di pace e benessere, rispecchiata nel paesaggio sacro dalla completa assenza di tracce
“al negativo”, ma della quale sembrano godere principalmente i nuovi organi amministrativi
della provincia, ovvero Salonicco (sede del governatore), Beroia (sede del Koinon) e le fonda-
zioni coloniali.
La fondazione delle colonie romane costituisce uno dei più incisivi fattori della riorganiz-
zazione amministrativa e territoriale della provincia all’inizio del principato. Lo stanziamento
dei primi coloni in Macedonia risale in realtà all’epoca del triumvirato (nel 43 o 42 a.C. a Kas-
sandreia e a Dion35, verso la fine del 42 a.C. a Filippi36, tra il 40 e il 30 a.C. a Pella37), ma dopo la
battaglia di Azio, per ordine di Ottaviano, le colonie già esistenti vengono “rifondate” (come
dimostra la legenda Iulia Augusta sulle monete di Kassandreia, Dion38 e Pella39).
L’impatto della deductio di colonie, in particolare in età augustea, può essere valutato in
ordine a due principali fattori: da un lato la creazione di poli amministrativi di grandi dimen-
sioni, ai quali sono annessi vasti territori (sfruttati per l’agricoltura e il pascolo) e i vari centri
urbani vicini, che ne diventano semplici attributi (komai, privi di autonomia rispetto alla co-
lonia40); d’altro lato, la forte connessione che si stabilisce tra Roma e le nuove fondazioni, che
33
Cfr. infra. L’ultima fase edilizia del santuario è descritta in Saatsoglou-Paliadeli 1993; su Aigai in età roma-
na si veda anche il recente contributo di Drogou 2009.
34
Il nome della città si trova infatti nei testi epigrafici e letterari solo a partire dall’età romana: IG X, 8, 206
(fine I a.C.-inizi I d.C.); Polibio (Plb. XXVIII, 8, 8), Strabone (Strab. VII, 7, 9: “Stumbara”), Tito Livio (31, 39, 4:
“Stubera”).
35
Sulla base delle emissioni monetali, le due colonie sono fondate da Q. Hortensius Hortalus per ordine di
Bruto: cfr. Papazoglou 1979a, pp. 357-358, nota 248.
36
Il primo stanziamento di veterani è opera di Marco Antonio, subito dopo la sconfitta degli uccisori di Cesare:
Collart 1937, pp. 224-227.
37
Papazoglou 1988, pp. 136-137.
38
Papazoglou 1979a, p. 358.
39
Gaebler 1935, p. 99, nn. 30-36.
40
Rizakis 1997, pp. 32-33. La struttura e l’organizzazione territoriale del territorium coloniale non è però identi-
ca in tutta la Grecia: si veda ad esempio Doukellis 1994 per Corinto; Rizakis 1990 e Rizakis 1994 per il Peloponneso;
Gerov 1973 per la Tracia.
diventano un canale privilegiato di trasmissione di idee e cultura, dove risiedono genti italiche
e viene a crearsi una nuova classe dirigente aristocratica41. In altre parole, nascono dei veri e
propri “colossi” economici e culturali, principali protagonisti dello sviluppo della provincia,
sui quali si basa un radicale riordinamento dei territori della regione; territori che, nel caso
delle colonie di ius Italicum (ovvero Filippi, Kassandreia, Dion e Stobi42), vengono comple-
tamente equiparati sul piano giuridico al suolo italico (e possono dunque essere oggetto di
proprietà quiritaria e di esenzione dal tributum). Le altre città sono inevitabilmente relegate
ad un ruolo gerarchicamente inferiore, con l’eccezione delle civitates liberae (in Macedonia,
Anfipoli e Salonicco)43.
Tale cambiamento nella suddivisione e gestione dei terreni della provincia trova un chiaro
riscontro nella dislocazione nel territorio dei luoghi di culto (fig. I.10), dimostrando la stretta
interrelazione esistente tra paesaggio civico-provinciale e paesaggio sacro44. Si è già anticipato
come le aree sacre più attive nel corso della prima età imperiale siano non a caso situate in
area urbana o nella chora dei centri che hanno acquisito un ruolo amministrativo di primo
piano: Salonicco, capitale di provincia e sede del governatore, civitas libera e maggiore polo
catalizzatore dell’emigrazione di Italici45, con il Serapeion e il tempio dedicato al culto impe-
riale; le colonie di ius Italicum Dion (con i santuari di Demetra, Iside e Asclepio), Filippi (con
il santuario di Pangaion e forse un primo tempio per il culto imperiale) e Kassandreia (con
il santuario di Aphytis). Ma estremamente interessante è anche il confronto tra la carta della
distribuzione dei luoghi di culto della prima età imperiale ed una carta indicante la diffusione
delle comunità romano-italiche in Macedonia (fig. I.11): gli stanziamenti di italici, attestati in
casi isolati già dalla fine dell’età repubblicana e moltiplicatisi con il principato in tutta l’area
macedone46, costituiscono evidentemente un indizio della vivacità commerciale ed economica
dei centri urbani che diventano catalizzatori dei maggiori rinnovamenti del paesaggio sacro.
Negotiatores o famiglie provenienti dall’Italia sono infatti presenti a Salonicco47, Edessa48, Stu-
berra49, Kalindoia50, Beroia51 e Anfipoli52, oltre che, naturalmente, nelle colonie; e precisamente
in questi siti (come nelle colonie) sono situate le aree sacre vitali nella prima età imperiale (a
Edessa, il santuario di Zeus Hypsistos; a Stuberra, il tempio di Agathe Tyche; a Kalindoia, il
Sebasteion; nel territorio di Beroia, il santuario di Eukleia; ad Anfipoli, i santuari di Attis e
della Tauropolos).
La maggior parte dei santuari attivi nel periodo in esame si trova, come abbiamo visto, in
ambito urbano; nel territorium coloniale sono situati solo i temene di Pangaion, Aphytis e Agios
41
Trasformando la città in una “piccola Roma”, come scrive Aulo Gellio (Notes Atticae, XVI, 13, 9): quae ta-
men condicio, cum sit magis obnexia et minus libera, potior tamen et praestabilior existimitaur propter amplitudinem
maiestatemque populi Romani cuius istae coloniae quasi effigies parvae simulacraque esse quaedam videntur. Cfr.
Sartre 2001, pp. 135, 141; Rizakis 2003a; Sartre 2004, p. 314.
42
Dig., 50, 15, 6-8. Sembra invece esserne esclusa la colonia di Pella. Lo ius Italicum era un privilegio giuridico
molto ambito dalle colonie: Sartre 2001, p. 136.
43
La cui libertà è però spesso solo nominale: anche se non sono obbligate ad elargire tributi fissi, infatti, alle
civitaes liberae vengono non di rado richieste contribuzioni straordinarie (come quelle di cui riferisce Strabone per
Sparta: Strab. VIII, 5.5). Cfr. Larsen 1938, pp. 457-459.
44
Alcock 1993, p. 279 e passim.
45
Cfr. supra e Rizakis 2002, p. 118.
46
Rizakis 2002, pp. 116-117.
47
IG X, II.1, 32-33; Rizakis 1986; Velenis 1996.
48
Dove la cronologia è incerta: cfr. Papazoglou 1988, p. 129 (inizi del II sec. a.C.); Tataki 1994, p. 66 (II-III
d.C.); Rizakis 2002, p. 117, nota 29 (I sec. d.C.).
49
N. Vulic in RA, 1934.2, p. 285, n. 215.
50
Hatzopoulos, Loukopoulou 1992, pp. 51-52, 117-118.
51
EKM I, Beroia 59; Tataki 1988, pp. 437-447.
52
SEG 36, 587 (inizi del I sec. d.C.); ILGR 231 = AE 1946, 230 (III sec. d.C.). Cfr. Rizakis 2002, pp. 110, 123.
Fig. I.10 - I luoghi di culto attivi in Macedonia nella prima età imperiale.
Nikolaos, relativi rispettivamente a Filippi, Kassandreia e Pella. La loro vitalità (e importanza, nel
caso di Aphytis) costituisce un indicatore dello sviluppo in questa fase anche di alcune aree rurali,
ovvero quelle che nel sistema delle colonie diventano un fondamentale bacino di risorse per la cit-
tà53 (a differenza dei territori non colonizzati54): se poco si sa allo stato attuale dell’organizzazione
del territorio di Pella, ben nota è l’estensione e la capillare strutturazione delle terre appartenenti
a Filippi55, e a Kassandreia sono state individuate anche tracce di centuriazione56.
53
Rizakis 1997, pp. 28-32; Sartre 2001, pp. 132-134.
54
è infatti ben noto come il paesaggio rurale di prima età imperiale (in particolare in Acaia) appaia invece spesso
spopolato, a causa del mutato regime agricolo, della preferenza per la “residenza nucleata”, della diffusione del lati-
fondo e della pastorizia: Alcock 1993, pp. 63-138.
55
Collart 1937, pp. 285-912; Rostovtzeff 1957, p. 206; Papazoglou 1982; Santoriello, Vitti 1999. La strut-
tura del territorio di Filippi sembra essere stata un unicum nelle province greche: attorno ad un centro urbano di mo-
deste dimensioni, il vasto territorio era suddiviso in villiaggi (vici), gerarchicamente inferiori alla colonia ma dotati di
una propria organizzazione amministrativa e spesso abitati da popolazione mista greco-romana.
56
Chevallier 1972.
Fig. I.11 - La diffusione delle comunità romano-italiche in Macedonia (da Rizakis 2002, p. 111, fig. 1).
Nell’ambito degli interventi edilizi che, come si è visto, investono principalmente le aree
sacre delle colonie, le prime attività ad essere promosse, immediatamente dopo l’affermazione
del principato, sono relative alla realizzazione di strutture per il culto imperiale.
Il primo cantiere intrapreso è quello di Kalindoia, dove già alla fine del I sec. a.C. sono
costruiti almeno tre lussuosi ambienti (A, B ed E, fig. I.12) decorati da eleganti intonaci, stucchi
e rivestimenti marmorei, destinati al culto di Zeus, della dea Roma e dell’imperatore – come
testimoniano l’apprestamento interno delle stanze, con basamenti per le statue di culto, i fram-
menti di statue rinvenuti durante lo scavo57 e soprattutto il testo di una delibera onorifica dell’1
d.C. scoperta nel sito già negli anni ’7058.
57
Cfr. infra, Parte III, Kalindoia - Sebasteion, p. 300 e ss. Si ricordano in particolare i frammenti di una statua
di Ottaviano Augusto ed un frammento con le dita di una mano che stringono un oggetto cilindrico con fori alle
estremità, interpretato come fulmine originariamente rivestito di lastre metalliche e riferito ad una statua di Zeus o
dell’imperatore in veste di Zeus (Sismanidis 2003, p. 148).
58
Sismanidis 1983, pp. 78-79.
Non molti anni dopo, sempre nella prima età imperiale (sebbene i limiti dello scavo ur-
bano non abbiano reso possibile una datazione più precisa59), anche Salonicco decide di do-
tarsi di un edificio dove rendere omaggio alla nuova suprema autorità governativa, e dà avvio
alla costruzione di un monumentale tempio periptero in marmo, con crepidine a 5 gradini, 6
colonne sulla fronte e pronaos distilo in antis (fig. I.13). Non si tratta tuttavia della semplice
costruzione di un edificio di culto, ma di un’operazione ben più ricca di significato ideologico-
politico. Lo studio architettonico degli elementi costitutivi del tempio ha infatti chiarito come
esso sia stato realizzato nel I sec. d.C. assemblando ed integrando parti di stilobate, colonne ed
epistilio provenienti da due distinti naoi di età arcaica. Si è proposto di identificare uno di que-
sti con l’antico tempio di Afrodite di Aineia, una località situata a sud di Salonicco sul golfo
Termaico: esso sarebbe stato smontato, trasportato nel cuore della città e ridedicato a Cesare,
venerato così con la sua mitica progenitrice60.
Sia volendo credere a questa tesi, sia conside-
rando unicamente i dati certi (il reimpiego nel
tempio di elementi architettonici arcaici e la
sua dedicazione al culto imperiale), è eviden-
te il forte impatto dell’iniziativa, ovvero la
ri-consacrazione di un tempio antico all’im-
peratore: un procedimento ben attestato in
questo periodo anche in altre parti dell’Impe-
ro (in primis ad Atene, dove si progetta di ter-
minare l’Olympieion e ri-consacrarlo al genio
di Augusto, e si trasferisce il tempio di Ares Fig. I.13 - Salonicco, ricostruzione ipotetica del tempio
dal demo di Acharnai all’agora61), attraverso dedicato al culto imperiale (da Karadedos 2006, p. 330,
il quale, ospitando il culto del Divus Iulius fig. 10).
59
La datazione si basa sull’analisi delle lettere alfabetiche incise al momento della costruzione sui blocchi dello
stilobate, sulle basi di colonne e su vari altri pezzi architettonici. Cfr. infra, Parte III, Salonicco - Tempio dell’impe-
ratore, pp. 280-289.
60
Tiverios 1998; Voutyras 1999. A sostegno dell’ipotesi vanno citate anche l’iscrizione IG X, II.1, 31 (vista nel
1874 tra i resti delle mura orientali della città, ora perduta), datata tra il 27 a.C. e il 14 d.C. e citante un naovn Kaiv-
saro", e una moneta di Salonicco recante la testa di Ottaviano al dritto e la testa di Cesare con la legenda Qeov~ al
rovescio (Weinstock 1971, p. 404, nota 2, pl. 30, 1-2).
61
Su entrambe le operazioni si veda da ultimo Kantiréa 2007a, pp. 104-109 e 110-113, con tutti i riferimenti
bibliografici.
(o più in generale del princeps) in un edificio tardo arcaico, viene associata la nuova potenza
imperiale al glorioso passato del mondo greco.
Se a Salonicco si sceglie di dedicare al culto imperiale un edificio appartenente in tutto alla
tradizione architettonica greca (anzi, potremmo dire “un originale”), a Kalindoia, come si è
visto più sopra, viene costruito ex novo un complesso (non ancora completamente scavato) di
tipo completamente diverso. La struttura di quest’ultimo, per quanto è sinora noto, è simile a
quella di altri Sebasteia della Grecia, tra cui ad esempio quello di Messene, situato nel santuario
poliadico di Asclepio e costituito anch’esso da diversi ambienti adiacenti destinati al culto e alla
celebrazione di banchetti sacri62.
Nel Sebasteion di Kalindoia, risistemato ed ampliato intorno alla metà del I sec. d.C. e ar-
ricchito ancora di nuove strutture verso la fine del secolo, si evidenzia anche un altro aspetto di
primaria importanza nella diffusione del culto imperiale in Grecia, costituito dal ruolo del élites
locali. Grazie ai dati di scavo e ai rinvenimenti epigrafici sappiamo infatti che nel 48 d.C. Flavia
Mysta e sua figlia eressero “dalle fondamenta” (“ejk qemelivwn”) a proprie spese il naos di Ka-
lindoia (probabilmente gli ambienti G e D, con la funzione rispettivamente di sala per il culto
e di sala da banchetti), e che nella stessa occasione – o qualche tempo dopo – furono risistemati
il vano A (con un’ampliamento del basamento destinato a sorreggere le statue degli imperatori)
e il vano E (trasformato in sala di adunanza della boule, con la costruzione di banchine lungo i
muri perimetrali)63. Un’iscrizione ricorda inoltre che nell’88 d.C. Arridaios e Kotys, figli di So-
patros, insieme al figlio del secondo, promossero la costruzione nel santuario di un’esedra, del
Bouleuterion (identificato con il vano E) e di una stoa64. Ma già dal primo periodo di vita del Se-
basteion si era segnalato un altro illustre cittadino di Kalindoia, Apollonios figlio di Apollonios
figlio di Kertimos, sacerdote di Zeus, Roma e Cesare Augusto, responsabile dell’organizzazione
di processioni, sacrifici, banchetti sacri e agoni in onore di Zeus e dell’imperatore65. Anche nei
centri della Macedonia dunque, esattamente come accade nel resto della Grecia e dell’Impero,
si segnala una classe aristocratica locale che diventa la principale recettrice del culto dell’impe-
ratore, attraverso il quale essa cerca di mettersi in luce nell’ambito cittadino (con la costruzione
di edifici o l’organizzazione di sontuose celebrazioni), consolida la sua immagine pubblica e
tenta l’ascesa nella nuova realtà sociale provinciale66. Com’è noto, tale stretto legame che viene
a crearsi tra l’imperatore e i ceti superiori delle città delle provinciae da un lato costituisce un
forte vettore di acculturazione tra centro e periferia, dall’altro funge da intermediario tra potere
supremo e realtà locale, e diventa così uno strumento di controllo sociale e politico e, allo stesso
tempo, un attore determinante nell’incontro tra il mondo greco e il mondo romano67.
Oltre ai meglio noti casi di Salonicco e Kalindoia, siamo a conoscenza dell’esistenza anche
in altri centri della provincia di edifici per il culto degli Augusti realizzati già nella prima età
62
Sul Sebasteion di Messene cfr. da ultimo Kantiréa 2007a, pp. 132-133 (con bibl.) e pl. XX. La diversità tra
gli edifici di Salonicco e di Kalindoia non deve meravigliare: i termini Kaisareion e Sebasteion sono infatti applicati
di volta in volta a santuari, recinti sacri, templi, basiliche, portici o anche solo altari, ed indicano semplicemente la
dedica al culto imperiale di un edificio o monumento, la cui struttura e dimensioni possono variare a seconda dello
spazio e dei mezzi disponibili (sul problema si vedano Tuchelt 1981 e Price 1984, pp. 133-169).
63
Parte III, Kalindoia - Sebasteion, pp. 300-312. Per l’iscrizione di dedica di Flavia Mysta: Sismanidis 2004, p.
217. La stessa Flavia Mysta dedica nel Sebasteion anche un altare: ADelt, 17, 1961-62, Chron., p. 207 (cfr. Sismanidis
2004, p. 218).
64
Sismanidis 2008, pp. 164-165, n. 23.
65
Sismanidis 1983, pp. 78-79.
66
Price 1984, pp. 100, 126-132; Alcock 1993, pp. 263-264; Allamani-Souri 2003b, pp. 95-97; Kantiréa 2007a,
p. 196.
67
Price 1984, p. 65.
imperiale, dei quali tuttavia non ci sono note le strutture. Un Kaisareion sorgeva indubbiamen-
te a Beroia, che sotto il regno di Nerva ottenne la neokoria, ovvero il privilegio di vigilare sui
templi degli Augusti e sulle celebrazioni del loro culto68; non è però ancora stato individuato
con certezza il sito del tempio, che Brocas-Deflassieux propone di collocare nel settore meri-
dionale della città (isolati 83-87), dove sono stati rinvenuti resti architettonici appartenenti ad
un edificio di pregio (colonne doriche, mosaici, strutture murarie di notevole potenza)69. Da
questa zona provengono anche alcune basi di statue con dediche a diversi imperatori, tra cui
una a Claudio ed una a Vespasiano70 che collocherebbero l’inizio della venerazione della casata
imperiale in un periodo ben precedente all’età di Nerva. Come già indicato, inoltre, è possibile
che un tempio dedicato agli Augusti esistesse già nel I sec. d.C. anche a Filippi, secondo la testi-
monianza di un’iscrizione con la dedica a Claudio e al padre Druso rinvenuta nelle fondazioni
del tempio orientale del foro di II secolo71: questo primo Sebasteion sarebbe stato realizzato
68
EKM I, Beroia 1177.
69
Brocas-Deflassieux 1999, p. 82.
70
EKM I, Beroia 60-61.
71
Sève 2004, pp. 37-38, 411-412, fig. 1.
in occasione della prima costruzione del complesso forense in età claudia, forse nel medesimo
sito del tempio successivo. Più evanescente è invece la documentazione relativa a Dion e An-
fipoli72.
Alla prima epoca imperiale risalgono interventi di non modesta scala anche in altri luoghi
di culto – sebbene i dati cronologici relativi alle opere di ricostruzione o rinnovamento nelle
aree sacre non siano così precisi da consentire una valutazione puntuale di ciò che accada in età
augustea o poi in età giulio-claudia.
Il santuario di Eukleia nella ormai decaduta città di Aigai è sede di uno dei primi cantieri
realizzati dopo l’instaurazione del principato, da collocarsi probabilmente all’inizio del I sec.
d.C. (fig. I.14). Con l’erezione di strutture murarie73 a sud, ad est e a nord l’area sacra viene
trasformata in un cortile rettangolare, a cielo aperto, con accesso chiuso da una porta a nord; il
muro che ne segna il limite orientale, sormontando l’altare di IV sec. a.C. e le due basi di marmo
subito a sud di esso, ne dimostra la definitiva defunzionalizzazione, mentre la base più a sud,
recante la dedica di “Euridice Sirra a Eukleia” (fig. I.15), sembra in qualche modo preservata,
e viene circondata da una sorta di balaustra aperta ad ovest. Delle altre modifiche realizzate in
questo periodo ci sfugge il significato: dinanzi al pronaos del tempio di Zeus, a nord, viene co-
struito forse un recinto, e nella cella del tempio di Eukleia viene collocato un blocco in arenaria
sul lato orientale della base della statua di culto. Infine, risale a questa fase la piccola edicola in
poros che si insedia sull’angolo nord-occidentale del piccolo tempio, al di sopra di una delle
basi marmoree di IV sec. a.C. (fig. I.16)74.
La grave scarsità di dati disponibili sulle sorti di Aigai in età romana rende ben difficile capi-
re in che modo il santuario di Eukleia abbia portato avanti la sua attività in questo periodo75. Pare
comunque significativo che nella nuova sistemazione un certo rilievo (quasi una “protezione”)
sia conferito alla base iscritta che sosteneva la statua di Euridice Sirra, moglie di Aminta III, ma-
dre di Filippo II e principale benefattrice del santuario in età classica, la cui presenza nel temenos,
72
Secondo il Pandermalis era dedicato al culto imperiale l’edificio prospiciente il foro di Dion, ma i dati a so-
stegno di questa ipotesi sono attualmente insufficienti (Pandermalis 1983, p. 210); ad Anfipoli l’esistenza del culto
imperiale è attestata da un’iscrizione della seconda metà del I sec. d.C. (Papazoglou 1988, p. 395).
73
I resti della fase romana si distinguono chiaramente dalle strutture precedenti per la diversa tecnica edilizia,
in piccole pietre grezze e grossi pezzi di poros o marmo di riutilizzo, senza legante tenace; i muri non presentano
fondazione oppure sfruttano come fondamenta i resti delle strutture già esistenti (Saatsoglou-Paliadeli 1993).
74
Ergon, 1982, fig. 25.
75
Sul problema cfr. anche Drogou 2009.
76
Sulla memoria del passato dei Greci in età romana si vedano in part. Gascò 1998 e Alcock 2001.
77
Cfr. supra e Salviat 1959.
78
Il vano viene interpretato come atelier di pittura sulla base dei materiali rinvenuti all’interno (vasi contenenti
pigmenti colorati, un barattolo di piombo con resti di polvere d’oro, pesi e misure in piombo, stampi a conchiglia),
collocabili cronologicamente all’inizio del III secolo e quindi relativi all’ultimo periodo di vita del complesso; non è
noto se la stanza abbia mantenuto sempre la medesima funzione.
79
Lo scavo dell’intero complesso (denominato “maison aux amphores”) è descritto da A. Jacquemin in BCH,
107, 1983, pp. 869-875.
80
Su un blocco di marmo trovato nelle vicinanze e in origine incluso nel muro di fondo del portico nord-
orientale è stata infatti rinvenuta un’iscrizione di dedica da parte di una nobile di Taso, Kômis, sacerdotessa di Livia,
in onore della famiglia imperiale: BCH, 95, 1971, p. 777; Grandjean, Salviat 2000, p. 60.
di una stoa81 e del monumento alla famiglia di Augusto nell’agora82, e dell’esedra commissionata
da Tiberio Claudio Cadmos allo scultore Limendas presso l’odeon in onore dei membri della sua
famiglia83. Accanto a questi interventi, i lavori all’Artemision sembrano dunque indicare il ruolo di
primo piano rivestito in questo periodo dal santuario, del quale però ci sfuggono completamente
le motivazioni e il significato.
81
Nota dall’iscrizione di dedica da parte di due notabili della città: Dunant, Pouilloux 1958, n. 192; Gran-
djean, Salviat 2000, p. 63.
82
Dunant, Pouilloux 1958, pp. 61-62, 178; Grandjean, Salviat 2000, p. 73. Sul culto imperiale a Thasos si
tornerà più avanti (Parte II, pp. 118-121).
83
Grandjean, Salviat 2000, pp. 78 e 81, figg. 35-36.
Infine, ad un momento di poco successivo (metà/fine del I sec. d.C.) sembrano risalire
gli interventi realizzati nel santuario di Demetra a Dion e nel santuario di Aphytis. A Dion, la
vivace attività cultuale del temenos è documentata da alcune tracce nel nucleo centrale dell’area
sacra (fig. I.18), tra cui spicca la costruzione a nord di un nuovo altare (non in pianta), ad ovest
del quale è un’eschara rettangolare ad esso contemporanea, il cui riempimento è ricco di tracce
di combustione84. A sud dell’altare ellenistico, di fronte al tempio più a nord, si trova inoltre
un’altra eschara rivestita di argilla, in uso sulla base dei materiali rinvenuti al suo interno (ossi,
frammenti di lucerne e di statuette fittili, una fibbia di cintura in bronzo, monete tra cui una
di Tiberio) fino alla metà del I sec. d.C.85. Nei settori orientale e meridionale vengono invece
erette alcune strutture ausiliarie, quali un portico (non in pianta) lungo il limite est del temenos,
il muro di peribolo occidentale (che corre al di sopra del muro occidentale del tempio classico
più a sud e della stoa meridionale di età ellenistica), e ancora più a sud una stoa orientata in senso
nord-sud, nella cui porzione meridionale viene annessa, in un momento successivo non meglio
precisato, una latrina86.
Anche ad Aphytis la prima età imperiale vede la realizzazione di diversi interventi nel
cuore cultuale del santuario (fig. I.19). Il lungo altare a sud del tempio (risalente alla fine del
V sec. a.C.) viene defunzionalizzato e coperto di sabbia, e al di sopra si realizza un nuovo
altare di minori dimensioni, all’interno e intorno al quale è stata rinvenuta una grande quan-
tità di cenere e ossa di animali di grossa taglia. Ai due lati del nuovo altare, ad est e ad ovest,
vengono costruiti con materiale di reimpiego (elementi architettonici in pietra di stile ionico
e dorico) due grandi avancorpi che prolungano a sud i due lati lunghi dell’edificio templare.
Infine, a nord del tempio, nel sito della stoa ellenistica distrutta e abbandonata sin dal III sec.
a.C., sono realizzati 4 ambienti, i cui scarsi resti non consentono però di comprenderne la
destinazione funzionale87.
In entrambi i luoghi di culto l’attività edilizia si esplica dunque attorno alla struttura fon-
damentale del culto, ovvero l’altare, un dato che sottolinea come la “rinascita” del santuario
dopo circa due secoli di silenzio riguardi in primo luogo la sfera rituale: nelle due aree sacre
si continua a sacrificare così come avveniva nelle loro più antiche fasi di vita. Al contempo, la
costruzione di stoai e ambienti di servizio alla periferia dei temene indica anche l’intento di or-
ganizzare in maniera più razionale lo spazio sacro, fornendo ai fedeli strutture adatte alle loro
necessità.
Dal quadro complessivo degli interventi edilizi documentati nelle aree sacre durante la
prima età imperiale emerge in sintesi l’impressione di una vera e propria rifioritura, con il ripri-
stino di strutture essenziali per il culto (altari, templi) o di edifici ausiliari non di rado ricostruiti
nel sito dove sorgevano in antico fabbricati con le medesime funzioni, poi distrutti. L’intento
sembra quindi per lo più quello di riportare i luoghi di culto all’antico splendore dopo un lungo
periodo di abbandono, senza però modificare se non limitatamente l’organizzazione interna
dei temenoi e conservando quanto più possibile delle vestigia del glorioso passato, diventate
simbolo, come ad Aigai, della propria cultura ed identità. A lato di questa tendenza al conser-
vatorismo nei santuari tradizionali, le opere monumentali realizzate ex novo sono tutte rivolte
alla celebrazione della nuova figura divina che viene ad inserirsi nel pantheon civico, ovvero
l’imperatore.
84
Pingiatoglou 1996, p. 229.
85
Pingiatoglou 1992, p. 225.
86
Cfr. infra, Parte III, Dion - Santuario di Demetra (pp. 232-244), e Pingiatoglou 2003.
87
Cfr. infra, Parte III, Aphytis - Santuario di Zeus Ammon, pp. 294-299.
Fig. I.19 - Aphytis, santuario di Zeus Ammon, pianta dell’area del tempio. 1: naos; 2, 3: avancorpi di prima età impe-
riale; 4: altare di età classica; 5: altare di età romana (da Giouri 1971, p. 356).
L’apparizione (precoce, come si è visto) del culto imperiale in Macedonia costituisce dun-
que la maggiore novità nel paesaggio sacro primo-imperiale88. Si tratta di un evento “politico” –
che abbiamo visto investire le élites locali, creare un canale privilegiato di dialogo tra Roma e
le città provinciali, trasmettere un forte messaggio ideologico-propagandistico in tutto l’Impe-
ro – ma anche di un evento religioso, poiché l’Augusto viene di fatto (e non solo formalmente)
integrato nel pantheon e nello spazio sacro delle città89. I due casi meglio noti di Kalindoia e
Salonicco, oltre ai documenti relativi a Beroia e Filippi, indicano come la Macedonia sia piena-
mente coinvolta in una dinamica che interessa, sia pure in forme diverse, le province orientali
come quelle occidentali, e ci forniscono d’altro canto tutti gli elementi essenziali per compren-
derne la genesi e l’affermazione in questo specifico settore dell’Impero90.
Come ha dimostrato il Price, le origini del culto imperiale in Oriente affondano le radici
nella venerazione rivolta nel mondo ellenistico alle singole figure reali, alle dinastie regnanti
ed a benefattori ed evergeti, pur differenziandosene per le forme e l’ampiezza91. Da questo
punto di vista la Macedonia vive una situazione del tutto assimilabile a quella dell’Asia Mino-
88
Sulle modalità di introduzione e le manifestazioni del culto imperiale in Macedonia cfr. anche infra, Parte II,
pp. 118-121.
89
Price 1984, pp. 117-121; Kantiréa 2007a, pp. 15, 196-197. Si ricordi che il culto imperiale nel mondo greco
viene percepito in modo diverso che in quello romano, dove l’imperatore solo dopo la morte diviene divus e quindi
può essere oggetto di venerazione (cfr. Price 1984, pp. 75-77).
90
Sul culto imperiale nella parte orientale dell’Impero i contributi più significativi sono Price 1984 (Asia Mi-
nore); Baldassarri 1988, Baldassarri 2001, Lozano 2002 (Atene); Kantiréa 2007a (Achaia); Burrell 2004 (nello
specifico sulla neokoria). Manca ancora uno studio di sintesi sul culto imperiale in Macedonia e più in generale nel
nord della Grecia.
91
I re ellenistici venivano infatti venerati per le loro azioni benefiche nei confronti delle città, mentre l’impe-
ratore riceve il culto in assoluto, in modo slegato dal suo operato, e a livello sovra-cittadino: Price 1984, pp. 23-56;
Sartre 1991, pp. 105-106. Millar 1984, pp. 53-54, nega invece la derivazione del culto imperiale da quello dei re
ellenistici.
re, e possiede nella sua storia un precedente di rilievo nel culto tributato ad Alessandro Ma-
gno dopo la sua morte92. Tuttavia anche qui, come nella provincia Acaia93, l’introduzione della
figura dell’imperatore come dio passa attraverso la sua iniziale assimilazione ad una divinità
tradizionale quale Zeus: a Kalindoia, in accordo con la delibera onorifica rinvenuta nel sito del
Sebasteion, in una prima fase esso è dedicato al culto di Zeus, della dea Roma e dell’imperatore,
il quale si autorappresenta proprio come il padre degli dei, come indica il frammento di statua
rinvenuto nel vano A94. L’identificazione tra le due figure risponde ad evidenti intenti ideologici
(operando un’esplicita comparazione tra l’egemonia mondiale di Roma e la sovranità celeste
del re degli dei) e si basa sulla connotazione tradizionale di Zeus come divinità politica, sovra-
no supremo e salvatore95. Bastano pochi anni, però, perché di tale assimilazione non ci sia più
bisogno: intorno alla metà del I sec. d.C. il Sebasteion di Kalindoia viene rifatto e ingrandito,
e la statua di Ottaviano Augusto rinvenuta nel nuovo ambiente G indica come ora il culto sia
rivolto principalmente, se non esclusivamente, all’imperatore, che per giustificare la propria
divinizzazione non deve più avvicinare la sua figura a quella del padre degli dei.
Le due manifestazioni fondamentali del culto imperiale in tutte le province sono costituite
dall’erezione di monumenti e dalla celebrazione di feste. Entrambi gli aspetti sono presenti
in Macedonia: imponenti edifici (esaminati nel precedente paragrafo) sono stati individuati a
Kalindoia e a Salonicco, e celebrazioni festive sono documentate ancora a Kalindoia e a Be-
roia. Il testo della già citata delibera onorifica di Kalindoia dell’1 d.C. fa infatti riferimento a
sacrifici mensili (kata; mh'na Dii; kai; kaivsari Sebastw'i qusiva~), a banchetti sacri (eJstivasin
kai; eujwcivan) organizzati dal sacerdote per i cittadini e a panhguvrei~ e agoni in onore di Zeus
e dell’imperatore96; nello stesso Sebasteion intorno alla metà del I sec. d.C. viene realizzato un
grande ambiente (D) destinato proprio allo svolgimento di lussuosi banchetti. A Beroia, l’esi-
stenza di concorsi atletici e musicali (ed anche di qhriomaciva~ e combattimenti di gladiatori) in
onore dell’imperatore è testimoniata da un’iscrizione datata alla fine del I sec. d.C.97.
Tali rituali festivi periodici, manifestazioni chiave dell’azione cultuale in onore dell’impera-
tore e composti allo stesso modo delle feste greche (ovvero da processione, sacrificio, banchetto
e agoni), sono organizzati dalla città (in qualche caso, come abbiamo visto a Kalindoia, con il
concorso di individui facoltosi), e diventano, come il culto stesso, parte integrante della vita
cittadina, a cui partecipa l’intera popolazione98. La loro funzione è quella di istituzionalizzare
l’autorità carismatica della figura dell’imperatore (che altrimenti sarebbe destinata a sparire con
la sua morte), sicché gradualmente il culto individuale diventa culto collettivo dei Sebastoi99;
con un procedimento parallelo, i Sebasteia si riempiono via via di statue dei diversi imperatori
(come accade probabilmente a Salonicco100), a sottolineare la natura dinastica dell’Impero.
92
Su cui gli studi principali sono Goukowski 1978 e Goukowski 1981; cfr. anche Virgilio 1999, pp. 29-43.
93
Kantiréa 2007a, p. 195.
94
Cfr. supra e Sismanidis 2003, p. 148.
95
Sulla teologia gioviana nell’ideologia augustea esiste un’ampia bibliografia, di cui si citano qui solo i contributi
principali: Fears 1984; Zanker 1989, pp. 245-254; Cresci Marrone 1993, passim; Kantiréa 2007a, pp. 104-109,
195.
96
Sismanidis 1983, pp. 78-79.
97
EKM I, Beroia 117. Cfr. anche Tataki 1988, pp. 259-261, n. 1114b e Papazoglou 1988, p. 144, nota 23.
98
Price 1984, 103-104. Spesso l’imperatore è venerato in stretta relazione con le divinità della città, e a volte
le feste della divinità antica diventano feste imperiali (come ad esempio a Samo, dove gli Heraea diventano Sebasta
Heraea).
99
Price 1984, pp. 58-59.
100
Nel tempio di Salonicco erano probabilmente esposte, oltre alla statua di Augusto, le statue di Claudio e
Adriano rinvenute nei dintorni (cfr. infra, Parte III, Salonicco - Tempio dell’imperatore, pp. 280 e ss.). Un esempio
lampante di questo processo è costituito dal Metroon di Olimpia.
Oltre a questa importante novità nel panorama cultuale, va detto che i culti principali
delle città rimangono quelli praticati prima dell’instaurazione dell’impero, e non vi è dunque
un’imposizione della propria religiosità da parte della nuova classe dirigente romana104. Come
si è detto, in molti casi i santuari di più antica tradizione vengono anzi rinnovati (il santuario di
Demetra a Dion, il santuario di Eukleia ad Aigai), talvolta caricandoli di un nuovo significato
ideologico (come il santuario di Aphytis). Tuttavia le aree sacre che detenevano una più forte
connotazione poliadica e identitaria, che abbiamo visto in molti casi distrutte e abbandona-
te oppure programmaticamente depotenziate nell’età della conquista (si ricordi ad esempio il
santuario di Zeus Olympios a Dion), sembrano aver perso definitivamente il ruolo che posse-
devano in età greca, sostituite forse nelle funzioni ufficiali dai nuovi luoghi di culto dedicati
all’imperatore. Le divinità i cui santuari continuano a vivere – e in diversi casi in questo periodo
rifioriscono – operano invece generalmente nella sfera privata (tab. 3), con prerogative di pro-
tezione del fedele e dei momenti fondamentali dell’esistenza umana: Asclepio (a Beroia, a Dion
e a Morrylos), figure divine che personificano entità positive (Agathe Tyche a Stuberra, Eukleia
ad Aigai), divinità di origine orientale (Zeus Hypsistos ad Edessa, Syria Parthenos ad Agios
Nikolaos, Iside a Dion, gli Dei Egizi a Salonicco), ed infine divinità che vigilano sui momenti di
passaggio e di cambiamento della vita (Demetra a Dion, Artemide a Anfipoli e a Thasos, l’eroe
Aulonites a Pangaion).
località dedicazione
Stuberra Agathe Tyche
Edessa Zeus Hypsistos
Aigai Eukleia
Agios Nikolaos Syria Parthenos
Beroia Asclepio
Dion Demetra
Iside
Asclepio
Morrylos Asclepio
101
Price 1984, p. 235.
102
Millar 1977, p. 617; Hidalgo de la Vega 1998, pp. 1015-1018.
103
EKM I, Beroia 117. Sulla neokoria si veda principalmente Burrell 2004; si tratta di un titolo concesso
dall’imperatore e ratificato dal Senato su domanda delle stesse città (cfr. anche Price 1984, pp. 64-75). è significativo
sottolineare come di rado sia l’imperatore stesso a promuovere il proprio culto (o meglio, quello dei suoi antenati –
anche se può accadere che le città inizino ad onorare l’imperatore ancora vivente) e invece quasi sempre siano le città
a volersene attribuire l’onore e onere. Per capire quanto il titolo di neokoros fosse ambito, si può ricordare come in
Asia Minore secondo un’iscrizione almeno 11 città si contendevano la costruzione di un tempio di Tiberio, di Livia
e del Senato (Price 1984, p. 258, n. 45).
104
Cfr. Sartre 2001, p. 143; Gleason 2006, p. 230.
Dopo circa due secoli di guerre e instabilità legate alla sottomissione alla nuova potenza
straniera impostasi sulla scena internazionale, con l’età augustea ha inizio per la Grecia un
periodo di pace nel quale cominciano a svilupparsi con intensità tutti i processi derivati di in-
tegrazione, coesistenza o scontro tra le due culture venute a contatto. Da quanto osservato in
Macedonia, sembrano evidenziarsi tre punti fondamentali intorno ai quali si incardinano i più
fecondi processi di cambiamento della realtà politica e sociale greca: la fondazione delle colo-
niae, l’emergere (conseguente) di nuove élites cittadine, l’introduzione (con diverse modalità e
diversi esiti) della figura dell’imperatore.
La fondazione delle colonie costituisce forse il maggiore rivolgimento dell’epoca cesariana
e augustea, con la profonda modifica che essa comporta degli equilibri di potere esistenti tra le
città greche105. Alle citate operazioni di deductio condotte a Pella, Dion, Filippi e Kassandreia
vanno affiancate quelle realizzate a Dyme, Patras, Corinto, Dyrrachion, Butrinto e Photike e la
creazione della nuova città di Nicopoli; operazioni che, non serve sottolinearlo, ebbero un po-
tente impatto sulla distribuzione demografica e la geografia politica dei territori ellenici. Dopo
un primo periodo di iniziative misurate e controllate dal punto di vista strategico, Roma inter-
viene ora in modo sistematico e incisivo per determinare la nuova carta geopolitica di Acaia e
Macedonia (come pure del resto delle province). Le nuove fondazioni significativamente bor-
dano le due principali direttrici di percorrenza della penisola – una nord-sud, lungo le coste oc-
cidentali, e l’altra ovest-est, ovvero la via Egnazia –, impongono una nuova gerarchia tra i centri
urbani e determinano la riorganizzazione non solo della rete urbana, ma anche dello spazio
rurale. La presenza delle colonie dà inoltre ulteriore impulso al trasferimento di italici nell’area
greca, permettendo l’avvio di una reale fusione etnico-culturale tra dominatori e dominati.
Contestualmente, la prima età imperiale vede lo sviluppo e l’affermazione di una nuova
classe aristocratica di romani e di esponenti locali vicini al potere romano106, che di fatto costi-
tuisce il tramite tra potere centrale e realtà provinciali e rappresenta il primo passo verso l’in-
tegrazione tra due mondi e due culture107. Al loro evergetismo si devono alcune tra le maggiori
105
Rizakis 1997, p. 15; Woolf 1997, in part. pp. 3-4; Sartre 2001, pp. 146-148. Nello specifico sulla Macedonia,
v. le riflessioni di Vitti 2001.
106
In Macedonia, sono noti soprattutto a Kalindoia e a Thasos (supra, pp. 55, 58-59); in Epiro a Butrinto (cfr.
Deniaux 2007); in Tessaglia, pur nella scarsità di dati, sembrano ad esempio segnalarsi durante l’età imperiale le
famiglie dei Kylloi e degli Eubiotoi di Hypata (Sekunda 1997).
107
Price 1984, pp. 65, 100, 126-132; Alcock 1993, pp. 263-264; MacMullen 2000, pp. 1-7; Sartre 2004, pp.
317-318; Kantiréa 2007a, p. 196.
opere architettoniche realizzate in quest’epoca; sono loro, inoltre, i principali recettori del culto
dell’imperatore, attraverso il quale essi legittimano la loro posizione altolocata nell’ambito cit-
tadino. Ma le élites aristocratiche non sono che uno dei canali mediante i quali la nuova autorità
governativa si manifesta capillarmente nell’Impero, costituendo, come si diceva, il terzo impor-
tante elemento di novità del periodo in esame: la figura imperiale è presente in un gran numero
di realizzazioni monumentali e artistiche e di manifestazioni festive, che talvolta promuove essa
stessa, talvolta semplicemente riceve per desiderio di promozione sociale da parte dei locali.
Il paesaggio sacro riflette lucidamente tutti questi elementi di novità e cambiamento
(fig. I.20). La dislocazione dei luoghi di culto maggiormente attivi nel corso del I sec. d.C.
ricalca la nuova geografia di potere affermatasi nei territori provinciali: in Macedonia, come
abbiamo visto, essi sono situati all’interno o nelle chorai dei nuovi organi amministrativi della
provincia, ovvero Salonicco (sede del governatore), Beroia (sede del Koinon macedone) e le
fondazioni coloniali (Dion, Filippi, Kassandreia); in Epiro, nei due poli egemoni di Nicopoli e
Butrinto si trovano il grande santuario di Asclepio e il Trofeo di Azio con il complesso per la
celebrazione degli Aktia; in Tessaglia (peraltro esclusa dal moto coloniale e decisamente povera
di testimonanze relative a questo periodo) a Larisa, capitale del nuovo koinon dei Tessali, sorge
il santuario di Zeus Eleutherios di cui si è già parlato in precedenza.
Nelle aree sacre si manifesta precocemente anche la presenza della nuova autorità gover-
nativa, cui anzi sono di frequente legati gli aspetti di novità (sia essa monumentale o rituale) che
si registrano al loro interno in questo periodo. In Macedonia le strutture destinate ad ospitare
il culto imperiale (si pensi al Sebasteion di Kalindoia e al tempio di Salonicco) sono le prime ad
Fig. I.20 - Carta di distribuzione dei luoghi di culto della Grecia settentrionale attivi nella prima età imperiale.
108
Statue di Augusto, Livia e Agrippa sono state rinvenute nei pressi del teatro; esse furono realizzate probabil-
mente poco dopo il 31 a.C. Sulla loro originaria collocazione e il loro significato è stato scritto molto: cfr. Ugolini
1937, pp. 135-148; Bergemann 1998, pp. 127-144; Ugolini 2003, pp. 199-213; Wilkes 2003, pp. 175-176; Pojani
2003; Hansen 2007, pp. 48-52, figg. 4.3-4.5.
109
Gli agoni di Larisa, famosi in tutta la Grecia sin dall’epoca classica, continuano ad essere celebrati senza inter-
ruzione anche in età imperiale, come testimoniano le iscrizioni IG IX, 2, 531-532 e, indirettamente, lo spettacolo di
Tauroqhvria con cavalieri tessali allestito da Claudio nel circo di Roma (Suet., Cl., 21). Inoltre, un decreto onorario
del I sec. d.C. testimonia l’esistenza nella città di un’altra festa, i Kaisareia, celebrata in onore dell’imperatore (IG
IX, 2, 614b).
110
Come specificano gli autori antichi, e in particolare Suet., Aug., XVIII.
111
Celebrazioni festive in onore dell’imperatore sono ben documentate dalla prima età imperiale anche in Pe-
loponneso: a Gizio in età tiberiana sono attestate le feste Kaisareia (SEG XI, 923); dei Kaisareia si celebravano forse
già a partire dall’età augustea anche nella stessa Sparta (Cartledge, Spawforth 1989, pp. 184-189), nella colonia di
Corinto (svolti qui o a Istmia: Wiseman 1979, pp. 502-508), e nel santuario di Epidauro, dove affiancavano i tradi-
zionali Asklepieia (Spawforth 1989; Vendries 1999).
112
Dakaris 1960, pp. 17-40 (Dodona); Tziafalias 1994 e Caputo, Helly 2005 (Larisa).
113
In Grecia appunto dal I sec. d.C., in Asia Minore soprattutto nel II e III secolo: cfr. da ultimo Vendries 1999,
pp. 269-270, con bibl. precedente.
114
Norman Gardiner 1930, p. 47.
115
Millar 1993, p. 249; Alcock 2001, pp. 327, 334, 338; van Nijf 2001.
116
Harmon 1988, p. 238.
117
Spawforth 1989.
118
Melfi 2007, p. 28.
119
La quasi totalità degli interventi realizzati nelle aree sacre si colloca in età augustea; va detto però che in molti
casi i dati disponibili non consentono di operare una precisa distinzione tra le evidenze di epoca augustea, giulio-
claudia o flavia, e quindi si è necessariamente dovuto parlare in modo generico di “prima età imperiale”.
120
è forse possibile scorgere indizi più marcatamente “romani” nelle aree geografiche più vicine all’Italia (come
l’Epiro: si veda ad esempio la precocissima trasformazione del teatro di Dodona in arena). Ciò potrebbe significati-
vamente indicare una maggiore intensità e sviluppo dei processi di romanizzazione in proporzione alla distanza dal
cuore dell’Impero.
3.1 I luoghi di culto e le vicende storiche: l’ultima fase di sviluppo e il graduale declino
1
Jacques, Scheid 1990, pp. 229, 269; Sartre 1991, p. 206; Bucci 1998, pp. 72-73.
2
Nell’iscrizione incisa su un miliare con titolatura a Traiano rinvenuto a Boriani (tra Kalambaki e Filippi) si ri-
corda infatti il restauro della strada longa intermissione neglectam: cfr. Collart 1935, p. 404; Fasolo 2005, p. 100.
3
Su cui si citano qui solo i contributi principali: Oliver 1965; Willers 1990; Boatwright 2000, pp. 144-170;
étienne 2004, pp. 190-205.
4
Spawforth, Walker 1985, pp. 79-81.
5
Allamani-Souri 2003a, p. 72.
6
Adriano avrebbe visitato la Macedonia una volta secondo Halfmann (Halfmann 1986, p. 194), due secondo
Zahrnt e Birley (Zahrnt 1996; Birley 1997, pp. 187, 279).
meno alla metà del III secolo; iniziano allora a proliferare i conflitti armati contro i barbari,
con l’incursione dei Carpi nel 246-247 d.C., una prima invasione dei Goti nel 245 (che colpisce
Kassandreia e Salonicco), e quindi i gravi attacchi degli Eruli nel 267 e nuovamente dei Goti nel
269 (respinti da Claudio II, chiamato appunto il Gotico).
Dopo circa cinquant’anni di anarchia militare, la riforma di Diocleziano nel 284 corrispon-
de al tentativo di riconsolidare uno Stato ormai devastato dagli attacchi esterni. Oltre all’in-
staurazione del sistema tetrarchico, la riorganizzazione burocratica e amministrativa prevede
la separazione dei poteri civili da quelli militari e l’aumento delle province, che vedono di con-
seguenza ridotto il territorio di loro pertinenza: la Macedonia viene così privata della Tessaglia
a sud – che le era stata annessa nel II secolo e diventa adesso provincia autonoma con capitale
Larissa – e dell’Illirico ad ovest – ora Epirus Nova, per distinguerlo dall’Epirus Vetus a sud
(fig. I.21). Tutte le nuove province (Macedonia, Tessaglia, Epirus Vetus ed Epirus Nova) afferi-
scono alla Diocesi V (Moesiarum) e alla prefettura d’Illirico. Da ultimo, nel 380 o 386 Teodosio
suddivide ulteriormente la Macedonia in due parti (Prima e Salutaris), che verranno poi riuni-
ficate nel 395 e nuovamente separate tra 482 e 5357.
Fig. I.21 - La Macedonia in età tetrarchica (da Sismanidis 2008, p. 8, fig. 6).
L’età medio e tardo imperiale prese in esame in questo capitolo comprendono un arco crono-
logico piuttosto esteso, che vede in sintesi un’ultima grande fase di sviluppo dei centri urbani e dei
luoghi di culto – nel II secolo – e quindi l’inizio, talvolta già con la fine del II secolo, del definitivo
declino delle evidenze di una religione ormai destituita dall’affermarsi del Cristianesimo.
La fase di ripresa del II secolo si manifesta con uno straordinario fervore dell’attività edi-
lizia, forse addirittura superiore a quello documentato per l’età augustea, evidente soprattutto
nei centri che già dall’inizio dell’età imperiale avevano acquisito una posizione politica ed eco-
nomica di rilievo all’interno della provincia: Salonicco, Beroia, le colonie Dion, Kassandreia e
Filippi, Thasos.
Salonicco è nel II secolo la più grande e popolosa città della Macedonia, stando alle parole
di Strabone e Luciano8, ed anche il maggiore centro della provincia, come indica senza dubbio
7
Papazoglou 1988, pp. 90-98.
8
Strab. VII, 323; Luk., Asin., 46.
la sua partecipazione al Panhellenion9. Le grandi opere pubbliche condotte nella città in questo
periodo sono forse legate alla volontà dell’imperatore Antonino Pio10, che potrebbe aver pro-
mosso la costruzione di un nuovo imponente complesso forense (realizzato tra la metà del II e
i primi decenni del III secolo) dotato di portici e botteghe ed anche di zecca, odeion, archivio e
(poco più a nord) biblioteca (fig. I.22)11. Nel Serapeion la ricchezza di questo secolo si legge nel
gran numero di dediche offerte nel temenos12, in molti casi menzionanti altari ed edifici eretti
dai fedeli in onore di una delle divinità egizie. Nel tempio dedicato al culto imperiale in Odos
Kristalli vengono poste una statua di Adriano nel tipo iconografico di Zeus Aigiochos13 ed una
seconda statua dello stesso imperatore con corazza14.
La città in competizione con Salonicco per il predominio politico nella provincia, ovvero
Beroia, è pure descritta come “città grande e popolosa” da Luciano15 e possiede almeno dal re-
gno di Nerva (o forse già prima) un tempio per il culto degli Augusti16. La nascita del santuario
della Madre degli Dei Autoctona nel suo territorio intorno alla metà del II secolo non ha però
nulla a che vedere con la città e il suo ruolo ufficiale, ma rappresenta invece l’espressione di una
religiosità locale e rurale, legata ai ritmi della transumanza, che intrattiene limitati rapporti con
la vita urbana17.
9
Sui criteri di annessione al Panhellenion cfr. Spawforth, Walker 1985, pp. 79-81, e Romeo 2002.
10
Così crede Allamani-Souri 2003a, pp. 85-87. In onore di Antonino Pio la città organizza anche dei munera
gladiatoria: IG X, II.1, 137.
11
Cfr. Adam-Veleni 2003, pp. 146-154.
12
Si datano al I-II sec. d.C. IG X, II.1, 115, 117, 118, 119, 123, 254; al II sec. IG X, II.1, 89, 100, 101, 102, 110,
111, 114, 58. Va segnalato in particolare l’inno isiaco IG X, II.1, 254, rinvenuto anche nell’Hephaisteion di Memphis,
nel santuario isiaco di Kyme e a Ios, probabilmente un testo diffuso in tutti i maggiori santuari egizi (Dunant 1973,
pp. 188-190; Tzavanari 2003, p. 248) e che quindi dimostra l’importanza del centro di culto di Salonicco.
13
Tasia, Lola, Peltekis 2000, p. 230, figg. 4, 5; Tzavanari 2003, p. 199.
14
Allamani-Souri 2003c, pp. 116-117 e fig. 41.
15
Luk., Asin., 34.
16
Cfr. supra e Brocas-Deflassieux 1999, p. 82. Una possibile raffigurazione dell’edificio di culto dedicato agli
Augusti si trova su alcune monete emesse dal koinon macedone a Beroia tra il 242 e il 246 d.C. per commemorare la
seconda neokoria della città: al rovescio vi è la rappresentazione di due templi con peristilio e frontone decorato da
un acroterio (Gaebler 1935, pp. 189-192, pl. XI).
17
Nel cospicuo corpus epigrafico di Beroia il santuario non viene infatti mai menzionato; inoltre, tra i 430 nomi
di persona presenti nelle iscrizioni di Leukopetra e i 1380 conosciuti dalle iscrizioni di Beroia solo 2 nomi appaiono
in entrambe le liste. Cfr. infra, Parte III, Beroia (p. 200 e ss.) e Petsas et al. 2000, pp. 21, 23.
18
Pandermalis 1997, p. 49.
19
SEG 14, 1957, 478.
20
Sul teatro romano, si veda G. Bakalakis in ArchDelt, 19, 1964, p. 348; ArchDelt, 21, 1966, p. 347; ArchDelt, 23,
1968, pp. 342-344; Palaiokrassa 1986 (dove il teatro viene datato al II sec. d.C. ed è confrontato con quelli di Pa-
trasso, Filippi e Corinto); Pandermalis 2000, pp. 76, 82 (che propone di datarlo ad età adrianea e tende ad escludere
l’esistenza di una fase costruttiva precedente). Sui due ambienti di servizio, Kremydi-Sicilianou 2004.
21
Pandermalis 2002, pp. 103-104, pl. 27 A-C. Il ritratto viene datato dall’autore ai primi anni del regno di
Traiano; egli lo mette in relazione con un’iscrizione su una pietra di confine riportante un patto tra Dion e Oloosson
(l’odierna Elassona) per stabilire il confine tra le due città (CIL III, 91), ratificato da Traiano nel 101 d.C., e ritiene
che il ritratto fu dedicato all’imperatore dalla città in questa occasione. Sul significato della corona con busti si veda
il recente contributo di Riccardi 2007 (con bibl. precedente).
22
Kremydi-Sicilianou 1996, pp. 48-51. La presenza di Zeus (oppure dell’aquila o del fulmine, suoi attributi) co-
stituisce pressoché una costante nella monetazione ellenistica di Dion; dalla fondazione della colonia fino all’intro-
duzione del nuovo tipo da parte di Adriano, invece, l’unica raffigurazione che si riscontra sul rovescio delle emissioni
imperiali è quella di Atena. Il titolo di Olympios presente nella legenda delle monete è ampiamente attestato per l’im-
peratore, in particolare dopo l’anno 131-132, quando viene istituito il Panhellenion e viene terminata la costruzione
del tempio di Zeus Olympios ad Atene, al quale, come si è detto, Dion invia una statua onoraria di Adriano.
23
Cfr. Kremydi-Sicilianou 2005, pp. 104-105, e Falezza 2008.
24
Infra, p. 294 e ss.; Collart 1937, pp. 332-346; Sève, Weber 1986.
25
Collart 1937, p. 364, e Koukouli-Chrysanthaki, Bakirtzis 2003, p. 42.
26
Collart 1928; Koukouli-Chrysanthaki, Bakirtzis 2003, pp. 23-24. Sul fenomeno della trasformazione dei
teatri in arena in Acaia nella media età imperiale cfr. Bressan 2009, pp. 336-338.
27
Infra, Parte III, Aphytis, pp. 318-324.
28
Infra, Parte III, Edessa - Santuario di Zeus Hypsistos, pp. 185-186, iscrizioni nn. 4-5.
29
Hatzopoulos 1995.
30
Un’iscrizione onoraria del 200 d.C. citante una sacerdotessa del “dio patrios Dioniso” (Chrysostomou 1987)
e una moneta in bronzo della zecca locale dell’epoca di Settimio Severo, raffigurante Dioniso stante, con in mano il
tirso e un grappolo e ai piedi la pantera, davanti alla facciata di un tempio ionico tetrastilo (Papaefthymiou 2002, p.
54, n. 7 (D6-R7), pl. 4).
31
Va però segnalato che sebbene l’attività urbanistica cittadina sia in pieno sviluppo, la circolazione delle monete
dell’isola nella media età imperiale è molto ridotta rispetto ai periodi precedenti: Picard 1989.
32
IG II2, 3295; Picard 1989, p. 175.
33
Sull’ambiente per il culto di Adriano nell’agora si veda Rolley, Salviat 1963 e Grandjean, Salviat 2000,
p. 71; sulla lastricatura dell’agora, BCH, 76, 1952, pp. 253-254; sull’area dell’odeon e della “cour aux cent dalles”,
Béquignon, Devambez 1932, BCH, 90, 1966, pp. 966-981, e Grandjean, Salviat 2000, pp. 78-82; sull’arco di Cara-
calla, Marc 1993 e Grandjean, Salviat 2000, pp. 146-147; sul teatro, BCH, 118, 1994, pp. 451-455, Bonias, Marc
1996, e Grandjean, Salviat 2000, pp. 105-108.
34
Di cui rimangono le basi iscritte: IG XII, Suppl., 384 (II secolo); IG XII, Suppl., 387 (età imperiale); Dunant,
Pouilloux 1958, p. 179, n. 345 (fine II-inizi III secolo).
35
Cfr. infra, p. 362 e ss.
36
IG XII, 8, 581, 582, 583, 584, 585, 586; Servais 1980, 27, nota 59; BCH, 86, 1962, pp. 609-611, n. 24. Sui voti
di euploia in generale, cfr. Sandberg 1955 e L. Robert, Bull., in REG, 1956, pp. 104-105, n. 3.
anche alcune dediche di magistrati della città (archontes, polemarchoi, uno hierokeryx, apologoi,
un apodektes)37, indizio secondo Grandjean e Salviat di una tradizione ancora viva nel II-III
sec. d.C., per la quale i magistrati di Thasos, partendo dalla città, circumnavigavano l’isola in
barca e si fermavano ad Aliki per sacrificare ad Apollo; questo viaggio ufficiale con la tappa al
santuario rappresenterebbe il legame esistente tra la città e i villaggi della chora, e dimostrerebbe
che l’organizzazione politica dell’isola vigente sin da età arcaica era rispettata ancora nella piena
epoca imperiale38. Del resto, le dediche dei commercianti di marmo sottolineano come una delle
risorse principali dell’isola in età imperiale siano le sue cave, che proprio a partire da questo
periodo vengono sfruttate in modo intensivo39.
Accanto ai luoghi di culto situati nelle città più importanti della provincia, nel II e III seco-
lo si sviluppano anche tutta una serie di aree sacre localizzate in centri minori o in zone rurali,
la cui frequentazione è per lo più legata a forme di cultualità privata e locale, priva di aspetti di
ufficialità.
In contesti rurali sorgono ex novo in questo periodo il santuario rupestre di Apollo, delle
Ninfe e di Pan a Sidirokastro (non lontano da Serres) e ben cinque aree sacre nelle quali la pra-
tica principale, stando alle testimonianze epigrafiche rinvenute, è quella dell’affrancamento per
consacrazione (sulla quale ci si soffermerà nel dettaglio più oltre): il già citato santuario della
Madre degli Dei Autoctona a Leukopetra, il santuario di Apollo Eteudaniskos a Kolobaise
(nel nord della Macedonia, presso l’attuale Treskavec), il santuario di Pasikrata a Suvodol (nei
dintorni di Eraclea di Lincestide), il santuario di Artemide Gazoria a Skydra e il santuario di
Artemide Digaia Blaganitis a Blaganoi (non lontano da Aigai). La medesima pratica è attestata
nel già citato santuario urbano della Dea Mâ ad Edessa. Si tratta evidentemente di culti con forti
radici locali, rivelate dalle stesse epiclesi delle divinità, noti per lo più dalle testimonianze epi-
37
Bernard, Salviat 1967, pp. 583-585.
38
Grandjean, Salviat 2000, pp. 47-48.
39
Sodini, Lambraki, Kozeli 1980. Anche la citazione del marmo tasio in diversi autori antichi testimonia che
esso era molto apprezzato come materiale edilizio e per la realizzazione di opere d’arte: Sen., Ep., 86, 6; Plut., Cat.
Min., 11, 3; Suet., Ner., 50; Stat., Sylv., I, 5, 34 e II, 2, 92; Paus., I, 18.6. Le tariffe del marmo di Thasos sono fissate
pure nell’editto di Diocleziano.
grafiche e documentati a partire dal II (a Leukopetra, Kolobaise, Skydra e Blaganoi) e III secolo
(Edessa, Suvodol) fino talvolta a tutto il IV secolo (a Leukopetra e Suvodol).
In centri urbani di importanza secondaria, invece, si sviluppano nel II secolo alcuni luoghi
di culto dedicati a divinità alloctone, non originarie del pantheon tradizionale greco: è il caso
del santuario di Nicea, dedicato ad Iside-Fortuna e Serapide, datato alla seconda metà del II
secolo sulla base del rinvenimento di monete di Marco Aurelio40, e del santuario di Stuberra,
consacrato ad Agathe Tyche e nato alla metà del I secolo, che nel 126-127 d.C. riceve un tempio
in antis finanziato dall’illustre cittadina Anthestia Fusca41.
La grande fase di fioritura dei luoghi di culto nel II (e talvolta III) secolo è l’ultima della
loro storia. Già dalla fine del II, in alcuni casi, e quasi generalmente con la fine del III secolo i
dati relativi alla loro frequentazione scarseggiano fino a scomparire (cfr. tab. 1, p. 24). In nessun
caso abbiamo notizia di distruzioni violente, ma la fine dell’attività cultuale si desume per lo
più dall’assenza di attestazioni, ad indicare, probabilmente, che le aree sacre declinano e cessano
di vivere in modo silenzioso, in conseguenza alle condizioni socio-politiche ancora una volta
mutate e soprattutto all’affermarsi di una nuova religione quale quella cristiana.
Solo pochi, selezionati centri di culto si mantengono vitali ancora per tutto il IV secolo:
i santuari di Pasikrata a Suvodol e della Madre degli Dei Autoctona a Leukopetra42, nati da
poco e attivi nelle pratiche di manumissio; il santuario di Demetra a Dion, che, pur contrattosi
alla sua sola porzione settentrionale in seguito alla costruzione di due forni ceramici a sud, ha
restituito materiale votivo (prevalentemente lucerne) databile fino al IV secolo43; il santuario di
Iside pure a Dion, distrutto da un terremoto nel IV secolo44; l’antico santuario di Zeus Ammon
ad Aphytis, dove gli interventi edilizi si susseguono nel settore settentrionale fino alla metà
del III secolo e i rinvenimenti monetali nell’area del tempio ne indicano la frequentazione fino
all’epoca di Teodosio45; il santuario dell’eroe Aulonites a Pangaion, la cui scomparsa è collocata
dai dati di scavo nel terzo quarto del IV secolo46; infine, il santuario di Aliki, a Thasos, dove il
voto di euploia più recente risale al III-IV secolo47.
Le ragioni dello spegnersi graduale della vita dei santuari non possono che essere ricercate,
come si diceva, nella cristianizzazione dell’Impero. Se infatti questo nuovo credo religioso, del
tutto differente rispetto a quello greco-romano – ed anche alle credenze della maggior parte dei
popoli venuti a contatto con Greci e Romani – era penetrato ben presto in Macedonia (si pensi
ad esempio a Filippi, evangelizzata da S. Paolo nel 49-50 d.C.), è con l’Editto di Costantino
del 313 d.C. che esso viene legittimato e ufficializzato, dopo tre secoli di violente repressio-
40
Il santuario è noto solo tramite notizie incidentali (senza precisa descrizione né piante) da una comunicazione
in russo (Janakievski 1976) riguardante l’ubicazione dell’antica Nicea.
41
Infra, Parte III, Stuberra, pp. 181-182.
42
A Leukopetra, tuttavia, la documentazione epigrafica restituisce un’immagine precisa dei fattori di crisi che
sconvolgono la provincia nel III e IV secolo: le iscrizioni di manumissio coprono infatti quasi ininterrottamente il
periodo tra 170 e 254 e si arrestano invece tra il 254 e il 277-278, ovvero negli anni dell’incursione gotica (254 d.C.)
e dell’invasione di Goti ed Eruli (268). L’ultima fase di vita del santuario è testimoniata da otto iscrizioni consacrate
tra il 277-278 e il 313, l’anno dell’Editto di Milano, che evidentemente segna l’inizio del declino definitivo del santua-
rio – frequentato tuttavia ancora fino all’inizio del V secolo, come indicano i ritrovamenti monetali.
43
Pingiatoglou 1990, p. 207.
44
Pandermalis 1997, p. 28.
45
Giouri 1971, p. 360.
46
Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1989, p. 558; Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1990, p. 503.
L’eroe Aulonites è ancora presente sulle monete di bronzo di Filippi del III sec. d.C.: Picard 1988, p. 389, fig. 10.
47
BCH, 86, 1962, pp. 609-611, n. 24. La presenza di dediche iscritte datate fino ad età tarda nell’edificio setten-
trionale e non in quello meridionale ha però fatto pensare agli scavatori che quest’ultimo non sia più frequentato
dopo il II sec. d.C.
ni. All’editto costantiniano fa seguito poi una serie di provvedimenti imperiali susseguitisi nel
corso del IV sec. d.C., con i quali si sancisce la sistematica interdizione delle attività di culto
pagano: Graziano, nel 341 d.C., impone la condanna dei sacrifici non cristiani48; Costanzo nel
342-356 d.C. proibisce il culto delle immagini49; Teodosio I (con l’editto del 391-392) e Arcadio
(nel 395 d.C.) si accaniscono contro ogni forma di culto, condannato ora anche se professato in
privato, ed anche, per la prima volta, contro le stesse sedi materiali del paganesimo, con la chiu-
sura forzata dei templi50; infine, dal 407 d.C., con Onorio, gli aedificia templorum diventano ad
usum publicum51.
Ad una simile intransigenza da parte dell’autorità governativa non può che seguire l’appli-
cazione immediata dei divieti, soprattutto – è facile credere – nei centri urbani più vicini al po-
tere imperiale e quindi maggiormente soggetti a controllo: non è perciò forse un caso che nelle
città principali della provincia (Salonicco, Dion, Filippi) nessun luogo di culto pagano continui
ad essere frequentato dopo la fine del III secolo, mentre il IV secolo vede già la costruzione di
grandi basiliche cristiane52. La pratica cultuale può prolungarsi invece più a lungo nei santuari
lontani dalle sedi del potere (come quello di Leukopetra, che abbiamo visto pressoché privo di
contatti con la vicina Beroia) o dove si perpetua da secoli una devozione popolare legata alla
specifica località, senza alcuna valenza ufficiale, come nei casi di Pangaion e Aliki.
La fine del IV secolo segna del resto una fase di profonde trasformazioni in tutto l’Impero,
vessato dalle sempre più frequenti e pressanti incursioni delle popolazioni barbariche e dalle
catastrofi naturali, che, benché puntuali ed episodiche, rendono più grave la situazione di dif-
ficoltà soprattutto dei centri più deboli53. La scomparsa dei santuari si accompagna così ad una
generale crisi delle principali componenti della cultura e della società greca (evidenziata anche,
ad esempio, dalla fine del teatro54), alla quale seguirà la graduale affermazione della nuova realtà
sociale e culturale bizantina.
La grande fase di prosperità dei luoghi di culto nel II secolo si riscontra sul terreno nell’am-
pio numero di aree sacre attive, addirittura superiore a quello documentato per la prima età
imperiale (33 santuari vitali nel II secolo contro i 18 del I sec. d.C.). La dislocazione delle aree
sacre (fig. I.28) non rivela sostanziali modifiche della geografia cultuale rispetto a quanto già os-
servato nei capitoli precedenti, con una concentrazione delle attestazioni nella pianura dell’Ha-
liakmon e del Loudias affacciata sul golfo di Salonicco e lungo il percorso della Via Egnazia; un
incremento delle presenze si osserva solo nel settore nord-occidentale, nelle regioni di Eraclea e
Stobi (la cosiddetta Alta Macedonia), ma l’estrema scarsità di dati ad oggi disponibili su queste
zone non ci consente di valutare se il paesaggio sacro rifletta o meno una condizione di generale
sviluppo dell’area nel periodo in esame55. La carta dell’ubicazione dei santuari nel III secolo
48
Codex Theodosianus, XVI, 10, 2.
49
Codex Theodosianus, XVI, 10, 3; 10, 4; 10, 6.
50
Codex Theodosianus, XVI, 10, 10; 10, 11; 10, 12.
51
Codex Theodosianus, XVI, 10, 19.
52
La basilica principale di Dion, ad ovest dell’agora, viene costruita nella seconda metà del IV secolo (Pan-
dermalis 1997, pp. 45-48); la “basilica di Paolo” a Filippi è datata intorno al 343 (Bakirtzis 1998). Sulle vicende di
Salonicco in età teodosiana si veda invece Adam-Veleni 2003, pp. 170-172.
53
Sui terremoti che sconvolgono l’Impero in età medio e tardo imperiale cfr. Guidoboni 1989, pp. 675-681.
54
L’abbandono dei teatri dell’Acaia si osserva già alla fine del III secolo, per compiersi dappertutto e definitiva-
mente con la fine del IV secolo: Bressan 2009, pp. 344-347.
55
Per una raccolta di tutte le attestazioni sull’Alta Macedonia in età romana si veda Papazoglou 1988, pp. 227-305.
(fig. I.29) mostra una situazione estremamente simile a quella del secolo precedente (anche nel
numero dei siti, ora 28), mentre un netto cambiamento si registra nel IV secolo (fig. I.30), con
la scomparsa di quasi tutti i luoghi di culto, con poche eccezioni; queste, come ben evidenziato
dalla carta distributiva, sono significativamente ubicate al di fuori dei più importanti centri ur-
bani56 e lontano dalle principali vie di comunicazione.
Se dunque ancora per tutto il II e il III secolo esiste una stretta relazione tra paesaggio
sacro e geografia politica – ovvero i luoghi di culto attivi sono situati per lo più nelle città e nei
territori che conoscono maggiore sviluppo nell’epoca –, nel secolo successivo il rapporto si ro-
vescia completamente, e le aree sacre ancora vitali lo sono proprio perché distanti (fisicamente
o dal punto di vista delle frequentazioni) dalle sedi del potere. Va ricordato tuttavia che il IV
secolo viene visto anche negli studi di storia economica dell’Impero romano come un momento
di svolta rispetto all’età primo e medio imperiale, caratterizzato da una aumentata pressione
fiscale in tutte le province e dalla transizione dalla tassazione in denaro a quella in natura, che
56
Tranne i santuari di Demetra e di Iside a Dion: il primo è per tutta la sua storia il più estraneo tra tutti quelli
della città da qualsiasi connotazione ufficiale (rispetto ai santuari di Zeus Hypsistos, che abbiamo visto in qualche
modo legato alla politica imperiale, di Iside, dove dedicano i più facoltosi cittadini di Dion, e di Asclepio, venerato
anche nelle grandi terme e presente sulle monete bronzee della città dell’epoca di Gordiano III); il secondo rimane
in vita secondo Pandermalis in ragione della sua assimilazione al culto cristiano.
avrebbe stimolato in Grecia la coltivazione intensiva delle campagne con il conseguente declino
della vita urbana; lo stesso aumento delle tasse, insieme alla crisi economica, avrebbero inoltre
fortemente ridimensionato le opere di evergetismo realizzate dai ceti superiori, con evidenti
ripercussioni sullo stato delle strutture e infrastrutture cittadine, lasciate così in abbandono57.
Siamo quindi di fronte ad una fase di globale mutamento, che segna da un lato l’ultimo capitolo
della storia dei santuari, ma dall’altro l’emergere di un sistema economico-territoriale comple-
tamente nuovo.
Esaminando secondo un ordine cronologico i numerosi interventi edilizi condotti nei luo-
ghi di culto nella media età imperiale, si può osservare come essi obbediscano a seconda dei casi
a due differenti criteri operativi. In alcune aree sacre, le attività si susseguono senza soluzione di
continuità dal secolo precedente, e corrispondono al progressivo restauro e arricchimento delle
57
Gregory 1984, pp. 270-274; Alcock 1993, pp. 287-290; nello specifico per la Macedonia, Dunn 2004, pp.
566-586.
strutture sacre, non rispondenti ad un progetto unitario e spesso realizzati grazie alla generosità
di fedeli facoltosi; in altri santuari, invece, i lavori tacciono per lungo tempo e riprendono con
realizzazioni unitarie nella seconda metà del II-inizi del III secolo, generalmente nell’ambito di
più ampi progetti monumentali a livello cittadino58. Nel complesso, quindi, l’attività edilizia di
questo periodo non è riconducibile ad una singola personalità promotrice (come ad Atene con
Adriano) e si sviluppa invece in momenti diversi a seconda dei centri e delle regioni, anche se
indubbiamente la politica filellenica degli imperatori di II secolo crea le condizioni positive per
una tale generalizzata fioritura.
Alla prima delle due situazioni sopra delineate sono riconducibili i casi di Salonicco, Stu-
berra, Aliki e Aphytis. Nel Serapeion di Salonicco continuano ininterrotte dai secoli precedenti
le dediche votive alle divinità egizie, tra le quali si segnalano la costruzione a spese di Flavia
Phila di un naos, di un portico, del propylon e di alcuni altari in pietra ad Iside di Memphis59,
l’offerta di un altare a Osiride da parte di Petronia Ocelliane60 e la realizzazione di un dromos
pure in dono a Osiride da parte di un ignoto fedele61. Nella poco nota città di Stuberra, il san-
58
Vitti 2001, pp. 485-490.
59
IG X, II.1, 102; Dunand 1973, II, p. 182.
60
IG X, II.1, 110.
61
IG X, II.1, 111 (forse relativo all’Osireion costruito nel I a.C. e citato dall’iscrizione IG X, II.1, 109).
tuario di Agathe Tyche nato intorno alla metà del I sec. d.C. riceve nel 126-127 d.C. un nuovo
tempio offerto alla dea da Anthestia Fusca, suo marito e i figli62. Infine ad Aliki (Thasos) si data
a fine I-II sec. d.C. un rifacimento della porta e della pavimentazione dell’ambiente meridionale
dell’edificio più a sud, attuato verosimilmente in seguito ad uno smottamento del terreno della
vicina collina63.
Il santuario di Zeus Ammon ad Aphytis (che nella prima età imperiale aveva visto la ri-
sistemazione delle strutture del nucleo centrale del temenos) è però quello maggiormente in-
teressato nel corso del II secolo da un’intensa, quasi vorticosa attività edilizia concentrata nel
suo settore settentrionale (fig. I.31), volta alla creazione di strutture ausiliarie al culto, eviden-
62
IG X, II.2, 336.
63
Servais 1980, p. 71: al di sotto del terreno franato (contenente anche grossi massi a causa dei quali il muro
meridionale si presenta imbarcato verso l’interno) sono state rinvenute, appoggiate sul piano di calpestio originario
nell’angolo sud-est della camera, un’anfora intatta, datata al I sec. d.C., e una coppa in sigillata di età tiberiana.
temente in risposta ad una sempre più ampia affluenza di fedeli. Le prime due realizzazioni
sembrano riguardare la costruzione di una per ora ignota struttura muraria con andamento
est-ovest (legata ad un edificio non ancora scavato) che si imposta sopra ai resti dei 4 ambienti
di prima età imperiale, dunque distrutti64, e di una fornace ceramica nel settore settentrionale
del santuario (non in pianta), a nord di tutte le altre strutture, alla cui attività va ricollegata la
grande quantità di vasellame color cenere rinvenuta nella zona e la presenza di vasi con difetti
di fabbrica65. Intorno alla metà del II secolo nello spazio compreso tra il tempio e l’ignoto muro
est-ovest viene costruito un edificio termale, indagato finora solo in parte (non in pianta)66; il
nucleo centrale dell’edificio è costituito da tre ambienti consecutivi, allineati sull’asse nord-
ovest/sud-est e comunicanti tra loro (da nord, calidarium, tepidarium e frigidarium), cui sono
annessi a nord-ovest una serie di vani di servizio. Intorno alla metà del II secolo viene inoltre
rasato il muro est-ovest dell’inizio del II secolo, e al di sopra della sua porzione orientale viene
eretto un edificio costituito da tre vani: due più a nord, di dimensioni minori, ed una più ampia
sala trapezoidale a sud, con quattro ingressi, muri rivestiti di intonaco, due pilastri di sostegno
del tetto al centro e un focolare nell’angolo nord-orientale (contenente ossi di animali e fram-
menti vasellame per la preparazione e la conservazione dei cibi). Ad ovest di questo edificio
nella seconda metà del II-inizi del III secolo si costruisce un ambiente rettangolare con orien-
tamento est-ovest, di cui rimangono solo scarsi resti dei muri e il piano pavimentale in terra
battuta67. All’età imperiale (in un momento non meglio precisabile) risalgono anche un’ultima
riparazione del tetto del tempio, realizzata in modo poco accurato con tegole di tipo laconico,
alcune strutture a ovest del tempio (non in pianta, interpretate come dimora dei sacerdoti o
xenodochion) ed un altare individuato in un saggio esplorativo sotto alla grotta delle Ninfe e
di Dioniso68. L’ultimo intervento sinora individuato all’interno dell’area sacra riguarda anco-
ra le strutture subito a nord delle terme e si colloca intorno alla metà del III secolo, quando
l’ambiente rettangolare ad ovest dell’edificio con la sala trapezoidale viene sostituito da un più
ampio stabile composto da due stanze adiacenti, con muri perimetrali in scapoli lapidei, terra
e frammenti di tegole; lungo il lato settentrionale sono state individuate due esedre di pietra di
ignota funzione. Anche l’edificio ad est subisce successivi restauri e rifacimenti, di cui non è
stata ancora precisata la cronologia.
Nei santuari di Dion e Filippi l’attività edilizia si sviluppa invece in un’unica fase colloca-
bile tra II e III secolo.
A Dion, è innanzitutto il santuario di Iside a ricevere a fine II-inizi III secolo una sistema-
zione monumentale completamente nuova, comprensiva di tre edifici templari allineati in senso
nord-sud (fig. I.32). Al centro del lato occidentale del temenos è un tempio ionico tetrastilo su
alto podio, con pronaos e cella, dedicato ad Iside Lochia; l’assialità con l’altare e con l’ingresso
al recinto sacro, cui l’edificio templare è collegato da una via processionale colonnata, ne sotto-
lineano il ruolo predominante nell’organizzazione architettonica dell’area sacra. Un rilievo rap-
presentante la dea con lo scettro ed un fascio di spighe di grano è appeso al muro della facciata69,
mentre sui gradini di accesso al pronao sono collocate lastre di pietra con le impronte dei piedi
64
Tsigarida, Basileiou 2003, p. 338: il muro è stato portato alla luce per una lunghezza di 12,5 m.
65
Tsigarida, Basileiou 2003, p. 338.
66
Tsigarida, Basileiou 2005. La presenza di un edificio termale nel santuario viene legata alle funzioni curative
di Zeus Ammon (spesso identificato in età romana con Serapide, dio guaritore) e quindi spiegata come balaneion
per pratiche curative e mediche (come conferma il rinvenimento nelle vicinanze dell’edificio di alcuni strumenti
chirurgici).
67
Tsigarida, Basileiou 2003, pp. 338-339.
68
Giouri 1976, p. 135, fig. 3.
69
La lastra è dedicata da Kallimachos e Kleta alla triade Sarapis, Iside e Anoubis (Pandermalis 2000, p. 89).
70
Pandermalis 2000, p. 99. Molti di questi votivi sono stati rinvenuti anche nel Serapeion di Salonicco.
71
Pandermalis 1982, p. 733, fig. 6.
72
Pandermalis 1997, p. 26.
73
Pandermalis 2000, pp. 90, 112-113.
74
Pandermalis 2000, p. 111.
75
Pingiatoglou 2003, pp. 427-430.
a sud, nel temenos di Asclepio (fig. I.34), si costruisce probabilmente in questa fase una lunga
stoa nord-sud con ambienti che si affacciano sulla sua fronte, rivolta verso il tempio, che giunge
forse fino alle latrine a nord collegando i due santuari vicini76.
Infine, a Dion nasce ex novo il sopra citato santuario di Zeus Hypsistos. La datazione
del complesso non è ancora stata precisata dagli scavi, ma si ritiene probabile che possa essere
collocata pure tra la fine del II e gli inizi del III secolo, per analogia con gli interventi realiz-
zati nei vicini santuari e nella città e con il periodo di massima fioritura dei luoghi di culto
di questa divinità in tutto il Mediterraneo77. L’area sacra (fig. I.35) è circondata da stoai, che
almeno sui lati occidentale e settentriona-
le comprendevano una serie di stanze per
le necessità cultuali78. Al centro del lato
settentrionale si trova l’edificio templare
(composto da una sola cella senza prona-
os né opistodomos), all’interno del quale
è stata trovata in situ la base della statua
di culto, sulla cui fronte erano fissate due
lastre marmoree iscritte: l’una, datata al
251-252 d.C., reca i nomi dei sorteggiati
che dovevano assumersi la responsabili-
tà dei docw'n di Zeus Hypsistos (ciascun
nome corrisponde ad uno dei dodici mesi
del calendario macedone, iniziando dal
mese Xandikov)79, l’altra riporta le proprie-
tà del santuario, con un lungo catalogo dei
nomi dei fedeli di Zeus Hypsistos. La sta-
tua di culto è realizzata in un blocco mo-
nolitico di marmo a grana grossa: il dio
siede sul trono, con la mano sinistra alza-
ta, probabilmente a protendere lo scettro,
e la destra, con il fulmine, appoggiata sul-
la coscia; il mantello copre solo la spalla
sinistra e la parte inferiore del corpo80. Il
pavimento del tempio era rivestito da un Fig. I.34 - Dion, santuario di Asclepio, pianta (elab. autore).
76
Pingiatoglou 2006, pp. 577-578. La datazione della stoa in realtà non è stata ancora precisata, ma la crono-
logia qui proposta si ritiene probabile sia in considerazione degli interventi condotti nel vicino (e verosimilmente
collegato) santuario di Demetra, sia in base alle altre attestazioni del culto di Asclepio a Dion in età imperiale, ovvero
la consacrazione delle statue di tutti i membri della famiglia del dio in una delle sale del complesso delle terme (realiz-
zato a fine II-inizi III secolo) e la rappresentazione del dio su monete bronzee dell’epoca di Gordiano III (Gaebler
1935, p. 61).
77
Mitchell 1999, pp. 108-110. L’unico dato cronologico disponibile (dai materiali sinora editi) per la datazione
del temenos è un’iscrizione della metà del III secolo (cfr. infra).
78
Dal santuario provengono una lastra iscritta commemorante l’offerta di una stoa e di una statua da parte di
un insigne dignitario, M. Herennius Philotimus, ed una seconda lastra che ricorda l’offerta di una stoa da parte di A.
Helvius, il quale, oltre ad altre cariche, fu anche sevir, sacerdote provinciale annuale del culto di Augusto e Roma
(Pandermalis 2003, p. 418).
79
Non è stato pubblicato il testo dell’iscrizione, di cui viene solo riportato il contenuto in Pandermalis 2003, p.
418 (cfr. anche Bulletin épigrafique, REG 2005, 210). Rimane pertanto oscuro il significato da attribuire al termine
docw'n (banchetti?).
80
La statua di culto presenta l’iconografia dello Zeus in trono tipo Malibu: cfr. Parte III, pp. 260-261; Vlizos
1999, pp. 56-82.
81
L’iscrizione riporta: Dii; ÔUyivstwi Dhmhvtrio" / euch;n, ed al rovescio: I. Domitius Agathopus sacerdos.
82
Sève 1986, pp. 540-544.
83
Di questi sono stati rinvenuti solo i resti architettonici reimpiegati nella Basilica A: Sève 1986, pp. 553-580. La
proposta di identificare tali strutture con i templi della triade capitolina si basa sul rinvenimento nella piazza del foro
di un’iscrizione menzionante Giove: Pilhofer 2009, n. 223.
84
Collart 1937, pp. 332-346.
85
Pilhofer 2009, nn. 228, 229, 230, 232, 201.
86
Cfr. infra, Parte III, Filippi - Santuario di Silvano, pp. 330-332, iscrizione n. 13. Il testo dell’iscrizione ricorda
anche diverse donazioni in denaro da parte dei fedeli per la costruzione del tempio.
87
Così descritti nelle relazioni di scavo: Picard 1922, pp. 165-166; Collart 1937, p. 409.
88
L’articolazione monumentale del santuario è descritta in Collart 1929; sul culto degli Dei Egizi a Filippi si
veda anche Tsohos 2002.
A completare il quadro di grande sviluppo monumentale delle aree sacre nella media età
imperiale va aggiunta la nascita di nuovi luoghi di culto in diverse aree della provincia: i santuari
di Apollo Eteudaniskos a Kolobaise e di Artemide Gazoria a Skydra agli inizi del II secolo,
quelli di Sidirokastro, Leukopetra e Nicea intorno alla metà del medesimo secolo, quelli di
Pasikrata a Suvodol e Mâ ad Edessa addirittura nel pieno III secolo. La loro organizzazione
architettonica ci è però quasi sempre ignota, ad eccezione di Leukopetra (dove è stato portato
alla luce un piccolo tempio, composto da cella, pronaos a quattro colonne non scanalate e opi-
stodomos89) e Sidirokastro (di cui, oltre a modeste evidenze tagliate nella roccia, conosciamo
l’originaria esistenza di un tempio grazie ad una testimonianza epigrafica90).
Il III secolo vede tuttavia già il declino e la fine delle frequentazioni di alcuni santuari.
Generalmente il termine dell’attività cultuale si desume dall’assenza di testimonianze, e non
da tracce in negativo nelle strutture sacre; solo in rari casi siamo a conoscenza della precisa
occasione in cui gli edifici di culto vengono defunzionalizzati. Nel santuario di Iside a Dion,
ad esempio, gli scavi hanno chiarito che la distruzione finale del santuario fu causata da un
violento terremoto nel IV sec. d.C.; la ricostruzione delle strutture fu subito intrapresa, come
dimostrano vari restauri, ma non molto dopo diverse inondazioni del fiume Vaphyras, una
dopo l’altra, causarono l’abbandono definitivo del sito91. A Kalindoia, invece, il termine della
vita del Sebasteion è segnato dalla costruzione alla metà del III sec. d.C. di una grande fornace
per la calce, la cui bocca si apre all’interno della sala D, che viene ora utilizzata come deposito
per gli elementi lapidei destinati alla combustione92. Nell’Artemision di Thasos, infine, la fine
della frequentazione di carattere sacro può essere fissata al IV sec. d.C., quando il grande altare
di marmo della terrazza inferiore viene spogliato93.
Vale la pena di sottolineare in chiusura come anche l’attività edilizia testimoni la divari-
cazione delle sorti di centri urbani e luoghi di culto durante l’ultimo capitolo di vita di questi.
Se infatti fino al III secolo si è più volte osservato come le varie fasi di sviluppo o di crisi dei
santuari trovino preciso riscontro nelle vicende vissute dalle città dove i santuari stessi sorge-
vano, nel IV secolo un simile rapporto non esiste più: ne è chiaro esempio il caso di Salonicco,
dove sia il Serapeion che il tempio di Odos Kristalli non hanno restituito tracce di attività
successive al III secolo, mentre proprio a cavallo tra il III e il IV secolo la città conosce uno
straordinario sviluppo monumentale come sede dell’imperatore Galerio e della prefettura
dell’Illyricum94.
Il quadro complessivo delle aree sacre attive in Macedonia nel II e III secolo (tab. 4) mo-
stra sotto il profilo cultuale una significativa omogeneità ed alcuni tratti di novità rispetto ai
periodi precedenti.
89
Gli scavatori specificano che la tecnica edilizia dei muri dell’opistodomos (di cui tuttavia non viene fornita una
descrizione) è diversa dal resto dell’edificio, e ipotizzano così che questa parte del tempio risalga ad una fase prece-
dente (allo stato attuale non precisabile). Cfr. Stefani 2002, p. 539.
90
ADelt, 19, 1964, Chron., p. 379. In generale sul santuario rupestre: Peristeri, Chalkiopoulou 2005.
91
Pandermalis 1997, p. 28.
92
Sismanidis 2004, pp. 220-221; Sismanidis 2008, pp. 130-131.
93
Grandjean, Salviat 2000, p. 90.
94
Adam-Veleni 2003, pp. 162-168. Come ha sottolineato Ward-Perkins, le evidenze più ricche in età tardo anti-
ca nell’area egea provengono dalle capitali imperiali e provinciali, la cui prosperità verosimilmente dipende dal loro
status amministrativo (Ward-Perkins 1998, p. 405).
località culto nato nel ii-iii secolo culto già praticato nei secoli
precedenti
Nicea Dei Egizi
Kolobaise Apollo Eteudaniskos
Stuberra Agathe Tyche
Suvodol Pasikrata
Edessa Mâ Zeus Hypsistos
Dioniso
Skydra Artemide Gazoria
Leukopetra Madre degli Dei Autoctona
Agios Nikolaos Syria Parthenos
Blaganoi Artemide Digaia Blaganitis
Dion Zeus Hypsistos Demetra
Iside
Asclepio
Salonicco Dei Egizi
imperatori
Aphytis Zeus Ammon
Kalindoia imperatori
Sidirokastro Apollo, Ninfe, Pan
Pangaion eroe Aulonites
Filippi Dei Egizi triade capitolina (?)
Silvano imperatori (?)
Artemide/Diana
Liber Pater
Thasos Artemide
Aliki Apollo
Tab. 4 - Culti praticati nei santuari attivi in Macedonia nel II e III secolo.
In linea con quanto già osservato sin dall’età della conquista, è innanzitutto evidente
come la devozione sia rivolta in prevalenza a figure divine di provenienza orientale ed egizia-
na o di forte connotazione locale. Delle origini e delle caratteristiche del culto di Zeus Hyp-
sistos (venerato sin dal I sec. a.C. ad Edessa, e da età imperiale anche a Dion), Agathe Tyche,
Syria Parthenos e Aulonites si è trattato già nei capitoli precedenti; a questi si aggiungono
ora divinità quali Apollo Eteudaniskos, Pasikrata, Mâ, Artemide Gazoria, la Madre degli Dei
Autoctona, Artemide Digaia Blaganitis. Secondo Hatzopoulos sono tutte figure assimilabili
ad una kourotrophos (o al paredro di questa, nel caso di Apollo Eteudaniskos e forse anche
di Zeus Hypsistos), di radici pre-elleniche, il cui culto era anticamente diffuso in tutta la
Macedonia occidentale (l’antico paese dei Brygo-Frigi), dotata delle medesime prerogative di
Demetra nell’ambito dei rituali iniziatici e più specificamente, in questa fase, degli affranca-
menti per consacrazione95, che costituiscono in effetti la pratica principale documentata nei
loro santuari. La consacrazione di schiavi avrebbe dunque sostituito una prassi di servizio
95
Hatzopoulos 1987; Hatzopoulos 1994, pp. 113-119; Hatzopoulos 1995, pp. 131-132. Sugli affrancamenti
per consacrazione si veda anche Darmezin 1999.
alla divinità prima peculiare dei rituali iniziatici, che sembrano pressoché scomparsi con l’età
romana96.
Una così ampia diffusione nel periodo in esame di tali culti associati alle manumissiones
riflette verosimilmente una novità rispetto al passato – forse, secondo Hatzopoulos, un cambia-
mento sociale che vede la sostituzione del lavoro servile con il lavoro di personale di condizione
libera ma di fatto vincolata al datore di lavoro (con la clausola della paramone, ovvero l’obbligo
di rimanere a prestare servizio presso il padrone, seppure non più in condizione di schiavo, fino
alla sua morte)97. è possibile che tale novità nell’ambito sociale sia in relazione con i mutamenti
indotti dall’aumentata pressione fiscale nell’epoca tardo imperiale, cui si è accennato più sopra:
secondo la Alcock, i crescenti oneri finanziari – richiesti anche in natura – avrebbero stimolato
la coltivazione intensiva delle campagne e quindi la nascita di nuovi sistemi di sfruttamento
rurale98, tra cui forse, possiamo ipotizzare, anche una nuova organizzazione del personale ad-
detto ai lavori agricoli. La documentazione di Leukopetra indica inoltre che si tratta di luoghi
di culto frequentati principalmente da fedeli di provenienza locale, mentre limitata è la presenza
di romani99.
Ben attestato è anche il culto delle divinità egizie, cui sono dedicati due nuovi luoghi di
culto a Nicea e a Filippi, che vengono ad affiancarsi ai già esistenti santuari di Salonicco, Dion
e Aphytis. La divinità dominante sembra essere Iside, destinataria della maggior parte delle
dediche del Serapeion di Salonicco e del santuario di Filippi (oltre che, com’è ovvio, di quello
che essa presiede a Dion)100; se a Filippi il culto sembra assumere carattere ufficiale, come indica
l’epiclesi Regina e la menzione in due dediche della domus divina (la famiglia imperiale), della
colon(iae) Iul(iae) Aug(ustae) Philippiens(is) e di un archiereus (sacerdote del culto imperiale)101,
a Dion e a Salonicco la dea è venerata come Lochia, Epekoos, Euergetis, con le stesse preroga-
tive di Artemide e quindi con un culto di carattere più intimistico102. Ma nella koine religiosa
tipica dell’età imperiale le peculiarità delle singole figure divine si intrecciano in modo più com-
plesso, e gli dei egizi a Filippi assumono anche funzioni iatriche103, documentate dall’organizza-
zione di Megala Asklepieia da parte di un membro di un’associazione religiosa legata al culto di
Serapide104, dalla presenza di una dedica ad Iside da parte di un medico105, dal rinvenimento nel
santuario di una statuetta di Telesphoros e da altri ex voto offerti in ringraziamento alle divinità
per la guarigione (un rilievo raffigurante un orecchio, inciso isolatamente sulla parete rocciosa
a circa 100 m dal santuario106, tre frammenti rappresentanti membri in miniatura e una mano
96
La documentazione di Leukopetra (la più cospicua riguardo gli affrancamenti per consacrazione) testimonia
infatti che almeno la metà dei consacrati non ha un’età maggiore di dodici anni, che la maggior parte è di sesso fem-
minile e che le consacrazioni avvengono per lo più nel mese Dios (all’inizio dell’autunno, periodo in cui generalmen-
te avevano luogo i riti di passaggio dall’infanzia all’età adulta). Sui riti di passaggio cfr. Hatzopoulos 1994, pp. 78-79,
con bibl. sulle varie regioni della Grecia.
97
Hatzopoulos 2004, p. 51.
98
Alcock 1993, p. 289.
99
Petsas et al. 2000, pp. 61-63. I fedeli del santuario di Leukopetra sono per lo più cittadini di Beroia o abitanti
di poleis o di ethne limitrofi, mentre estremamente rari sono i fedeli provenienti da più lontano. Su 175 nomi di de-
dicanti delle iscrizioni, quelli di origine latina costituiscono il 13,1%; tutto il personale sacerdotale e amministrativo
del santuario è in possesso della cittadinanza romana, mentre gli autori delle dediche sono in più della metà dei casi
di statuto peregrino (solo 23 su 52 i cittadini romani).
100
Infra, Parte III, Salonicco - Serapeion e Filippi - Santuario degli Dei Egizi (pp. 266-280, 324-330). Cfr. anche
Witt 1970, pp. 328, 331, e Dunand 1973, pp. 187, 195.
101
Vidman 1969, p. 55, n. 121e 124.
102
Per Salonicco, Tzavanari 2003, pp. 238-239; su Dion, Giuman 1999.
103
Collart 1929, pp. 89-93; Collart 1937, pp. 450-452; Tsohos 2002, p. 87.
104
Vidman 1969, p. 56, n. 124.
105
Vidman 1969, p. 55, n. 121.
106
Collart 1929, p. 93.
marmorea107). Funzioni iatriche che del resto pare assumere in questo periodo anche Zeus Am-
mon ad Aphytis, dove, come sopra accennato, l’edificio termale costruito nel santuario intorno
alla metà del II secolo viene interpretato come balaneion per pratiche curative e mediche (anche
sulla base del rinvenimento nelle vicinanze dell’edificio di alcuni strumenti chirurgici)108.
In altre parole, il panorama cultuale dell’età medio imperiale in Macedonia mostra chia-
ramente l’affermarsi di figure divine di origine orientale dalla forte connotazione soteriologi-
ca, che tendono a oltrepassare le proprie tradizionali connotazioni funzionali e le loro tipiche
sfere di competenza per pervenire ad una dimensione salvifica totalizzante109. Tale aspetto di
“contaminazione” tra le diverse prerogative divine è ravvisabile anche in altri contesti tra quelli
esaminati, ad esempio nella presenza di Zeus Hypsistos e di Giove Ammone nel Serapeion di
Salonicco110 o nel probabile collegamento creato in questa fase tra i santuari di Asclepio e De-
metra a Dion111.
Al culto delle divinità egizie appare legata anche un’altra novità documentata nel quadro
cultuale della media età imperiale, ovvero la presenza di associazioni religiose private di fedeli
(qrhskeutai;, cultores), con loro propri sacerdoti (iJereuv~, ajrciereuv~, sacerdos) e dignitari in-
caricati dell’organizzazione di banchetti, feste e giochi (gumnasiavrco~, ajgwnoqevth~) celebrati
pubblicamente in onore delle divinità. Simili associazioni sono attestate a Filippi112 e a Salonic-
co113: la ricca documentazione di quest’ultimo santuario ci informa che poteva trattarsi di grup-
pi di fedeli di condizione modesta (come gli Hermanoubiastes, a giudicare dal loro monumento
e dalla qualità dell’iscrizione da loro dedicata) oppure di ceto elevato (come i synklitai di Anou-
bis, tra i quali ci sono nove cittadini romani, o i synthreskeutai di Serapide, il cui prostates era
un personaggio di rilievo, presidente dell’assemblea provinciale di Macedonia) – e che quindi il
culto era diffuso capillarmente in tutte le fasce della società114.
A fianco delle divinità orientali, egiziane e locali, l’unico centro in cui sono praticati culti
di provenienza romana o chiaramente romanizzati è la colonia di Filippi, che non a caso da
diversi punti di vista appare come la città più “romana” della regione115. A queste figure divine
sono consacrati alcuni piccoli santuari insediatisi in antiche cave di pietra in abbandono, alle
pendici dell’acropoli. Silvano, dio di foreste, campi, boscaioli e cave, arriva a Filippi tramite i
coloni romani, ma qui viene poi venerato principalmente da fedeli di bassa condizione, liberti
o schiavi, che si indicano nelle iscrizioni (tutte in latino) come cultores o sodales116. Artemide
(o meglio Diana, come viene denominata nella maggior parte delle dediche) è rappresentata nei
rilievi rupestri con l’arco, secondo l’iconografia greco-romana (seppure anche con elementi
della tradizione tracica, quali il ramoscello, le fiaccole e il motivo della stella e del crescente
lunare117), ed i suoi devoti hanno tutti – tranne uno – nomi latini. Infine Liber Pater, divinità di
107
Lemerle 1935, pp. 146-147.
108
Supra e Tsigarida, Basileiou 2005, pp. 342-343.
109
Cfr. Turcan 1989, pp. 30-33.
110
IG X, II.1, 68-69; IG X, II.1, 112. Sul tema si veda Campanelli 2007.
111
Pingiatoglou 2003, pp. 430-432.
112
Vidman 1969, p. 55, n. 122; Vidman 1969, p. 56, nn. 123-124.
113
IG X, II.1, 58; IG X, II.1, 220; IG X, II.1, 192.
114
Sulle associazioni private di fedeli cfr. Edson 1948, pp. 186-188; Dunand 1973, pp. 183-185; Tzavanari 2003,
pp. 249-250.
115
Così emerge dall’esame dell’urbanistica (étienne et A. 1994) e dell’onomastica (Papazoglou 1990, pp. 117-
118). Tali culti costituiscono chiaramente il riflesso della religiosità della classe dirigente di Filippi, su cui si veda da
ultimo Rizakis 2003b.
116
Collart 1937, pp. 402-407. L’associazione doveva avere carattere funerario, come dimostra sia il nome stesso
di cultores sia l’indicazione in CIL, III, 633, I del dono al dio della somma che l’associazione si era fatta carico di
fornire al decesso di ciascuno dei suoi membri.
117
Collart, Ducrey 1975, pp. 201-227.
origine tracica ma assimilato al dio Bacco, compare spesso in associazione con Libera ed Ercole
in dediche ancora una volta in latino118.
Da ultimo, nel II e III secolo continua a mantenere un ruolo predominante nella religione
ufficiale il culto imperiale. Si è già parlato della realizzazione di un tempio in onore degli Au-
gusti e del Genius della colonia sul lato orientale del nuovo foro costruito a Filippi tra il 161
e il 175 d.C.: nelle vicinanze sono state rinvenute dediche ad Adriano e Sabina, Antonino Pio,
Carino119. A Beroia, dall’area dell’agora provengono iscrizioni offerte ad Antonino Pio, Setti-
mio Severo, Giulia Domna, Severo Alessandro, Gordiano120. Nel Sebasteion di Kalindoia viene
collocata all’interno del vano A una statua di bronzo dell’imperatore Traiano, dedicata negli
ultimi anni del suo regno o poco dopo la sua morte121; dello stesso imperatore è una colossale
testa di marmo rinvenuta, come già accennato, a Dion, nell’edificio interpretato come pretorio,
probabilmente dedicata in occasione di una disputa di confini risolta da Traiano in favore della
città122. Adriano viene invece onorato a Salonicco e a Thasos: quest’ultima (come pure Dion) in
occasione dell’inaugurazione del Panhellenion invia una statua ad Atene123 e probabilmente in
contemporanea colloca una statua dell’imperatore nella sua agora124, mentre Salonicco pone nel
tempio di Odos Kristalli una statua di Adriano nel tipo iconografico di Zeus Aigiochos125 ed
una seconda statua dell’imperatore con corazza126.
Salonicco appare in particolare molto impegnata a mantenere stretto il suo rapporto con il
potere governativo, come si legge anche dalla presenza nella città di culti di volta in volta pro-
mossi dagli imperatori al potere: quello di Antinoo, istituito da Adriano, quello di Alessandro
Magno, promosso da Marco Aurelio, Caracalla e Alessandro Severo, e quello del dio Fulvus,
figlio divinizzato di Marco Aurelio127. Tale sforzo di compiacere l’autorità imperiale arriva a
compimento nel III secolo, quando la città – dopo una lunga competizione con Beroia, che
l’aveva sconfitta alla fine del I sec. d.C. – ottiene finalmente la Neokoria128.
Il IV secolo, come si è già ampiamente dibattuto, segna un momento di svolta. Dal punto
di vista cultuale, si coglie immediatamente come le divinità venerate nei santuari che rimango-
no ancora attivi abbiano tutte una forte connotazione soteriologica e spesso un legame con le
credenze di una vita dopo la morte. Pasikrata e l’eroe Aulonites hanno un diretto rapporto con
il mondo infero e per questo si trovano spesso le loro raffigurazioni sulle lapidi tombali129; fun-
zioni salvifiche e guaritrici (praticate nel balaneion che resta in uso fino al cessare della frequen-
tazione del santuario) connotano come si è visto il culto di Zeus Ammon ad Aphytis in epoca
imperiale; nella devozione alla Madre degli Dei Autoctona (nel cui santuario terminano con
313 d.C. gli affrancamenti per consacrazione) e a Demetra a Dion è invece ravvisabile il culto
118
CIL III 703-704; AE 1939, 192-200; Collart 1937, pp. 413-422. Le iscrizioni documentano anche l’esistenza
di thiasoi di fedeli di Liber.
119
Pilhofer 2009, nn. 208, 283, 254, 205.
120
EKM I, Beroia 65, 66, 67, 68, 69.
121
Sismanidis 2003, p. 149.
122
Pandermalis 2002, pp. 103-104, pl. 27 A-C.
123
IG II2, 3295.
124
Rolley, Salviat 1963; cfr. Picard 1989, p. 175. Nell’isola sono attestate due dediche all’imperatore e a Sabina:
IG XII, Suppl., 440 e 441 (cfr. anche Dunant, Pouilloux 1958, pp. 86-87).
125
Tasia, Lola, Peltekis 2000, p. 230, figg. 4, 5; Tzavanari 2003, p. 199.
126
Allamani-Souri 2003c, pp. 116-117 e fig. 41.
127
Allamani-Souri 2003c, pp. 107-109.
128
Durante il regno di Gordiano III (238-244 d.C.): cfr. Burrell 2004, pp. 198-199. Lo stesso imperatore con-
cede una seconda Neokoria a Beroia: Burrell 2004, pp. 195-197.
129
Per Pasikrata si veda per confronto il santuario della dea nella necropoli meridionale di Demetrias in Tessaglia
(Papakhatzis 1958); per l’eroe Aulonites, Gočeva 1983 e Gočeva 2002, pp. 772-773.
di una kourotrophos protettrice dei momenti di passaggio della vita umana. In quest’ultima area
sacra di Dion, inoltre, è documentato nel III e IV secolo un cambiamento nella sfera cultuale,
indicato dal rinvenimento di numerosissime lucerne che sembrano sostituire ogni altro tipo
di ex voto (statuette fittili, vasi miniaturistici, ecc., prevalenti invece nei periodi precedenti)130:
se le caratteristiche di tale modifica nella consuetudine votiva restano sostanzialmente ignote,
sembra tuttavia possibile riconoscerne un richiamo a pratiche misteriche, forse notturne, o ai
rituali delle religioni orientali ed egiziane, in cui le lucerne giocavano un ruolo di primo piano131.
Infine, la longevità del santuario di Iside a Dion (motivata dal Pandermalis con la convivenza
sincretica del culto della dea con quello cristiano132) trova confronto con vari altri Isea del mon-
do greco e romano, attivi fino alla tarda antichità ed anzi quasi divenuti simboli della resistenza
pagana all’affermarsi del Cristianesimo133.
è chiaro in sintesi come in un momento di forte crisi e cambiamento qual è, come abbiamo
visto, il IV secolo, ancora una volta ci si rifugi nella devozione di divinità che forniscano prote-
zione durante la vita terrena, garantiscano la salvezza dopo la morte o consentano una fuga dal
reale tramite rituali magici e misterici.
Per tutta la Grecia settentrionale (come pure, del resto, per il resto della penisola ellenica)
la media età imperiale costituisce il periodo forse di maggior benessere dal momento della con-
quista romana. Se infatti già l’età augustea aveva segnato l’inizio di una ripresa dopo circa due
secoli di conflitti armati, le profonde innovazioni introdotte dai nuovi dominatori nell’ambito
istituzionale e sociale – in primis la fondazione delle colonie e la conseguente affermazione di
nuove élites cittadine – furono indubbiamente causa di mutamenti e rivolgimenti importanti,
che probabilmente ostacolarono i processi di adattamento alla nuova realtà politica impostasi
sul piano internazionale. Con il II secolo, invece, senz’altro anche grazie al filellenismo adria-
neo (ma già con Traiano, come si è visto, e in seguito con gli imperatori antonini), l’ormai
consolidata struttura statale, la situazione di pace goduta sostanzialmente da tutto l’Impero e
l’integrazione tra le diverse componenti etniche a questo punto ben avviata134 producono effetti
tangibili a tutti i livelli della vita provinciale.
I dati forniti dalle città e dai luoghi di culto della Macedonia nel II e III secolo segnalano
così uno sviluppo maggiore rispetto a quello della prima età imperiale, evidenziato soprattut-
to dall’attività edilizia di ambito pubblico: nuove costruzioni o grandiose monumentalizza-
zioni dei complessi architettonici già esistenti sono documentate a Dion, Salonicco, Filippi e
Thasos. Dati analoghi restituisce l’Epiro, con estesi progetti edilizi realizzati ad Apollonia135,
130
Pingiatoglou 1996, pp. 229-230; Pingiatoglou 2004, p. 170, tav. 34.
131
Cfr. infra, p. 132. Il paragone con le religioni orientali ed egiziane è in Nilsson 1950, p. 110, e Pingiatoglou
2004, p. 122. Un simile cambiamento delle pratiche cultuali, con le lucerne che sostituiscono in età imperiale ogni
altro tipo di ex voto, è documentato nel santuario di Demetra a Corinto: cfr. Slane 1990, p. 8.
132
Pandermalis 1997, p. 28.
133
Cfr. Ensoli 2000, p. 278, ed Ensoli 2004, pp. 217-219. Il culto di Iside è attestato nel IV secolo anche ad
Atene: Walters 1988, p. 64.
134
Sull’integrazione tra Romani e popolazione locale si veda ad esempio il caso di Beroia: Tataki 1988, p. 457 e
ss. Della stessa opinione (che gli effetti dell’annessione all’Impero romano si vedano poco in età augustea, e molto di
più nella media età imperiale) è MacMullen 2000, pp. 27-29.
135
In questo periodo viene risistemato il portico ellenistico a 17 nicchie e vengono costruiti il monumento degli
agonoteti, il cosiddetto “pritaneo”, il tempio ionico, l’odeon e il santuario con l’abside (probabilmente con un pro-
getto unitario risalente al secondo quarto del II sec. d.C.: cfr. Dimo et al. 2007, pp. 201-214).
Butrinto136 e Fenice137 (figg. I.38-I.39). Meno chiara, a causa dell’esiguità dei dati disponibili,
appare la situazione della Tessaglia, dove però sembra vivere un particolare sviluppo la città
di Demetrias, membro del Panhellenion in quanto rappresentante della Lega tessalica138, con
la riedificazione del teatro, la costruzione di impianti termali pubblici e privati e la realizza-
zione di un nuovo acquedotto139. I lavori coinvolgono ampiamente anche le aree sacre, che
laddove non vengano completamente riedificate sono comunque oggetto di interventi di re-
stauro e abbellimento, in un fervore costruttivo che non risparmia pressoché alcun sito.
Dal punto di vista simbolico, questo quadro di sviluppo monumentale, e in particolare
l’interesse di cui sono oggetto i luoghi di culto, rientra pienamente nella temperie ideologico-
culturale del momento, che vede, su stimolo della politica adrianea e in risposta al rischio di per-
dere la propria identità nella vastità dell’Impero, una accentuata ripresa e sottolineatura di tutto
ciò che nei vari campi appartiene alla tradizione greca. è infatti il periodo della fioritura della
Seconda Sofistica140 e di numerose scuole filosofiche (soprattutto ad Atene141), e del ripristino
Fig. I.38 - Butrinto, pianta del santuario di Asclepio con indicazione delle strutture realizzate nel II secolo (elab.
autore).
136
La media età imperiale vede la ricostruzione in forme più monumentali del pozzo situato presso la Porta dei
Leoni (a spese di Iunia Rufina, in onore delle Ninfe), la realizzazione della fontana monumentale con le statue di
Dioniso e Apollo nel punto in cui l’acquedotto entra in città e la completa risistemazione del complesso cultuale di
Asclepio (Hodges 2006, p. 113).
137
Sembra possibile attribuire al II sec. d.C. la nascita un nuovo quartiere cittadino nella piana a sud/sud-est del-
la collina, a fianco dell’antica necropoli ellenistica, e la ristrutturazione della scena del teatro (Bogdani 2003; Shpuza
2005; De Maria 2007, pp. 183-184).
138
Spawfwforth, Walker 1985, p. 81.
139
Marzolff 1994, p. 66.
140
Su cui cfr. in particolare Anderson 1993, Goldhill 2001, Alcock 2001 e Borg 2004.
141
Camp 1989.
Fig. I.39 - Apollonia, pianta del centro monumentale con gli edifici realizzati nel II secolo: il monumento degli ago-
noteti (n. 5), il cosiddetto “pritaneo” (n. 6), il tempio ionico (n. 7), l’odeon (n. 8) e il santuario con l’abside (n. 9) (da
Dimo et al. 2007, p. 187, fig. 95).
del greco come lingua ufficiale142. Nell’ambito cultuale, il recupero della tradizione si manifesta
anche con il riemergere di antiche devozioni e figure divine locali: un processo evidente a Dion,
dove la nascita di un nuovo luogo di culto di Zeus (pur venerato come Hypsistos) dopo una ce-
sura di oltre due secoli e l’adozione del tipo di Zeus sulle emissioni monetali adrianee indicano
una precisa scelta di reintroduzione del culto più antico e famoso della città. Allo stesso modo
si possono forse leggere anche altri dati ed episodi osservati nel paesaggio sacro delle tre regioni,
come lo straordinario sviluppo strutturale nel II e III secolo del santuario di Zeus Ammon ad
Aphytis, le cui origini risalgono all’epoca classica143.
All’interno di questo panorama a grandi linee unitario si osservano alcune differenze tra i
vari settori dell’area settentrionale della Grecia, ed in particolare tra Epiro e Macedonia (mentre
la situazione della Tessaglia rimane ancora sfumata per l’odierna scarsità di dati disponibili). Dal
punto di vista cronologico, innanzitutto, esiste uno scarto tra le datazioni dei grandi lavori di
monumentalizzazione nel settore occidentale e in quello orientale: in Epiro i cantieri si avviano
sin dall’inizio del II secolo – quando la regione diventa provincia autonoma144 – per continuare
in età adrianea e antonina; in Macedonia invece essi si concentrano tra la seconda metà del II
e la prima metà del III secolo, quando dall’altra parte della penisola ellenica si avvertono già i
segnali di un significativo cambiamento del contesto urbano e territoriale. La cronologia delle
realizzazioni architettoniche epirote si accorda quindi con quanto si verifica nello stesso perio-
do ad Atene e nel Peloponneso145, mentre la Macedonia sembra seguire uno sviluppo autonomo
(e “attardato”) rispetto alla Grecia centro-meridionale: del resto non stupisce che l’Epiro, posto
proprio lungo la direttrice che collega Roma ad Atene e unito amministrativamente all’Acaia
fino a tutto il I sec. d.C., si trovi maggiormente legato alle dinamiche in atto nel centro del mon-
do ellenico rispetto alla provincia macedone, storicamente più rivolta verso oriente146.
Macedonia ed Epiro presentano inoltre realtà diverse nella quantità e dislocazione delle
aree sacre attive durante la media età imperiale, nell’una assai più numerose e capillarmente dif-
fuse rispetto al secolo precedente, nell’altro sostanzialmente inalterate per tutti i primi tre secoli
dell’Impero. Tale diversità va di pari passo con una diversificazione che si nota tra settore orien-
tale ed occidentale anche nell’ambito cultuale: l’area macedone possiede indubbiamente una
maggiore vivacità religiosa, indicata dalla nascita di nuovi santuari e dalla presenza di nume-
rose divinità alloctone, di origine orientale (Zeus Hypsistos, Agathe Tyche, Syria Parthenos),
egiziana (Iside, Serapide, Zeus Ammon), romano-italica (a Filippi) o anche strettamente locale
(Aulonites, Pasikrata, Mâ, Artemide Gazoria, la Madre degli Dei Autoctona, Artemide Digaia
Blaganitis). In Epiro, al contrario, si osserva un’assoluta continuità, segno di forte conservatori-
smo, nei culti praticati per tutta l’epoca imperiale, che risalgono peraltro nella maggior parte dei
casi all’età greca (ad Amantia, Butrinto, Passaron, Dodona); le uniche novità sono documentate
142
Il greco è nuovamente utilizzato nelle comunicazioni imperiali ma anche nei contesti funerari, e quindi pro-
babilmente torna in auge anche come lingua popolare. Sull’impiego dominante del greco in Macedonia nel II secolo
cfr. Papazoglou 1990, Rizakis 2003a.
143
La fortuna del santuario di Aphytis in questo periodo può anche essere dovuta alla promozione del culto di
Alessandro Magno (che, com’è noto, nell’oasi di Siwa era stato dichiarato figlio di Zeus Ammon) da parte di Cara-
calla e Alessandro Severo, su cui hanno scritto Gagé 1975; Baharal 1994; Allamani-Souri 2003c, pp. 107-108.
144
L’Epiro riacquisisce la propria autonomia amministrativa per iniziativa di Nerone secondo alcuni (Jacques,
Scheid 1990, p. 174), di Domiziano secondo altri (Sartre 1991, p. 21), o ancora di Traiano (Bejor 1993, p. 484; Ca-
banes 1998, p. 305) o di uno degli antonini (Bucci 1998, p. 95; Levick 2000, p. 627).
145
Ad Atene, com’è noto, estesi programmi edilizi si legano al nome di Adriano e poi di Erode Attico, mentre
dalla fine del II secolo le incursioni barbariche segnano l’arresto di quasi tutti i lavori. Cfr. Follet 1976; Étienne
2004, pp. 190-216; da ultimo Bressan 2009, pp. 326-334.
146
Un maggiore sviluppo e integrazione nell’Impero delle città rivolte verso Occidente (Corinto, Patrasso, Ni-
kopolis), con un conseguente rafforzamento dei legami tra le due coste dell’Adriatico, è sostenuto anche da Alcock
1993, pp. 199-200; sul tema v. anche Rizakis 1996 e Bergemann 1998.
ad Apollonia, dove uno dei santuari che nascono ex novo in questo periodo potrebbe essere
dedicato ad una divinità orientale (la Dea Syria, forse venerata nel santuario con l’abside147).
La presenza di simili differenze regionali all’interno dell’area indagata è significativa di
come ancora in questa fase, proprio come in età arcaica, classica ed ellenistica, il mondo greco
non costituisca un’entità unitaria e omogenea al suo interno, ma una realtà polimorfica, com-
prensiva di una molteplicità di soggetti che operano contemporaneamente, talvolta in sintonia,
talvolta autonomamente, eppure sempre legati da un’identità culturale di fondo.
Dal III secolo (già agli inizi, talvolta, in Epiro, e dalla metà in Macedonia) cominciano a
manifestarsi i segnali di un declino dei centri di culto. Si è visto che i santuari più longevi in
Macedonia sono quelli situati lontano dalle città principali e dalle vie di comunicazione, e quelli
in cui si praticano culti salvifici, pratiche misteriche e in generale devozioni che consentano una
fuga dal mondo reale; in Epiro, invece, rimangono attivi nel IV secolo solo i due luoghi sacri
principali e di maggiore significato simbolico, ovvero quello di Dodona e il Trofeo di Augusto
a Nicopoli. Nel primo, abbiamo testimonianza del funzionamento dell’oracolo ancora nel 362
d.C., quando l’imperatore Giuliano lo consulta in merito all’esito della sua campagna militare
contro i Persiani148; nel secondo, viene attuato un restauro per ovviare ai danni causati dal frana-
mento della collina, probabilmente grazie allo stesso imperatore Giuliano che, come ricorda un
panegirico pronunciato il 1 gennaio del 362 dal prefetto dell’Illyricum Claudius Mamertinus,
beneficò la città di Nicopoli, riorganizzando gli agoni Aziaci e contribuendo al restauro degli
edifici pubblici e privati in rovina149. Si intravede dunque in entrambe le regioni una crisi della
vecchia religiosità, che nel settore orientale sfocia nella diffusione di culti magico-misterici150, e
in quello occidentale porta ad un arroccamento (per intervento imperiale) nei luoghi-simbolo
del passato.
Riflettendo sui motivi del declino e poi della scomparsa delle aree sacre, è possibile indi-
viduare una serie di fattori di cambiamento in atto in questo periodo in tutto l’Impero151, che
causarono uno sconvolgimento a livello politico, economico, sociale e culturale tale da deter-
minare a tutti gli effetti la fine di un’epoca. Innazitutto, com’è noto, il III secolo post-severiano
vede la crisi del potere imperiale, contrassegnata da rapide successioni responsabili di crudeltà
e violenze, che causano e a loro volta sono frutto di grave instabilità; la tranquillità delle pro-
vince è inoltre turbata dalle continue incursioni barbariche (Carpi, Goti, Eruli) e, soprattutto in
Epiro, da disastrosi eventi sismici. Si registrano in contemporanea profondi mutamenti nell’or-
ganizzazione urbana e terrioriale, con il forte sviluppo di alcune città (ad esempio Salonicco
in Macedonia e Demetrias in Tessaglia), la decadenza di altre (come Apollonia in Epiro152), la
modifica del paesaggio rurale (che si evolve dall’insediamento nucleato dell’età primo-imperiale
all’insediamento sparpagliato del periodo tardo-romano)153. Ma il fattore di novità di maggiore
portata nei confronti del paesaggio sacro è senz’altro costituito dall’affermazione del Cristia-
nesimo, che dall’editto di Costantino del 313 d.C. attraverso i sopra citati provvedimenti di
147
La dedicazione è proposta da Picard 1955. Sul santuario v. Dimo et al. 2007, pp. 212-214.
148
Qeodwrhvtou, Ekklhsiastikov~, III, 21; cfr. Franke 1961, p. 30.
149
Pan. Lat. 11.9; Zachos 2003, pp. 78-79.
150
Si deve tener presente comunque che in Macedonia già da tempo conoscono grande fortuna i culti orientali
ed egizi.
151
Gourdouba et. A. 2004.
152
La città è vittima nel 234 d.C. di un disastroso terremoto, dal quale non si risolleverà mai completamente:
Ceka 2005, p. 17.
153
Gregory 1984, pp. 270-274; Alcock 1993, p. 167 e ss.; Burns, Eadie 2001; Dunn 2004; Snively 2007, p. 739.
Per una riflessione critica sul problema, Pettegrew 2007, con bibl.
Graziano, Costanzo, Teodosio, Arcadio e Onorio si impone nel corso del IV secolo come unica
religione dell’Impero154.
Dai dati in nostro possesso sembra che il passaggio dal culto pagano a quello cristiano si
svolga per lo più senza traumi. Ad eccezione del santuario di Dodona, dove nel 391 viene taglia-
ta la quercia sacra dagli Illiri155, non sono mai documentati i segni di una distruzione volontaria
delle aree sacre per cancellare le tracce di una religiosità ormai destituita; sono presenti solo
indizi di abbandono, talvolta in seguito agli stessi eventi che determinano in questo momento
la crisi economica e demografica dell’intera Grecia (calamità naturali, invasioni barbariche).
Così, ad esempio, un terremoto distrugge il santuario di Iside a Dion, in seguito definitivamente
defunzionalizzato dalle inondazioni del fiume Vaphyras156, e il susseguirsi di un sisma (nel 375
d.C.) e dell’invasione gotica (nel 397) causa probabilmente il termine della frequentazione del
Trofeo di Azio a Nicopoli157. Nella maggior parte dei casi, comunque, la fine dell’attività delle
aree sacre si desume dall’assenza di attestazioni, ciò che dimostra uno spegnimento graduale
della loro vita in conseguenza all’insieme di concause su cui si è riflettuto più sopra.
Le sedi della nuova religione ufficiale dell’Impero si trovano talvolta nei medesimi centri
urbani che nei secoli precedenti ospitavano i principali santuari pagani, ma generalmente si ve-
rifica una traslazione del focus cultuale cittadino, che si allontana dalle aree sacre più antiche158;
solo in rari casi (a Dodona e forse nel tempio de l’Aire de Peç ad Amantia e nel santuario di Ate-
na Itonia a Philia-Karditsa) accade che il santuario continui ad essere frequentato come luogo di
culto cristiano, in una dinamica tra continuità e cesura, nel passaggio dall’epoca greco-romana
a quella bizantina, che sarà compito di un’altra ricerca scandagliare.
154
Sul passaggio dalla religione pagana a quella cristiana: Trombley 1994; Rothaus 1996.
155
Serv., Schol. Aen., III, 466; Franke 1961, p. 30. In seguito il santuario viene completamente abbandonato a se
stesso, come dimostrano i livelli sterili nelle stratigrafie superiori del teatro, dovuti ad inondazioni del fiume Toma-
ros collocabili nel tardo IV sec. d.C.: cfr. Dakaris 1960, p. 36.
156
Pandermalis 1997, p. 28.
157
Chrysos 1981, pp. 37-80.
158
Così avviene a Salonicco, Dion, Filippi, Butrinto, Demetrias e Larisa: in tutti questi siti le basiliche cristiane
si trovano in aree ben distinte rispetto agli antichi santuari pagani, che restano invece in abbandono.
Nell’ambito di un lavoro incentrato sull’analisi dei santuari è parso necessario offrire una
panoramica, seppure cursoria, sulla componente fondante delle realtà oggetto d’indagine, ovvero
il culto. Un esame approfondito degli aspetti cultuali emersi nel corso della ricerca richiederebbe
tuttavia lo studio di un insieme molto più ampio di fonti epigrafiche e iconografiche, non limita-
to alle sole evidenze individuate nelle aree sacre, ed una trattazione analitica per ciascuna figura
divina – un lavoro che non è possibile condurre in questa sede ed esula dalle finalità specifiche
del lavoro. Le osservazioni raccolte nel presente capitolo potranno pertanto apparire generali e
riepilogative, ma si pongono l’obiettivo non tanto di tracciare una panoramica generale dei culti
della Macedonia romana1, quanto di rispondere ad interrogativi più specifici: quali divinità con-
tinuano ad essere venerate nei santuari della Macedonia dopo la conquista romana? I quali forme
ciò avviene e quali mutamenti politici, sociali e culturali il quadro cultuale sottende?
Lo studio dei luoghi di culto nel corso di circa sei secoli (dal momento dell’ingresso di
Roma in Grecia, nel II sec. a.C., fino alla loro scomparsa, al più tardi alla fine del IV sec. d.C.)
consente infatti di osservare come si evolve la vita religiosa della Macedonia in un arco cronolo-
gico piuttosto esteso, solo di recente rivalutato dopo essere stato considerato per lungo tempo
solo una sorta di “interregno” tra la religione greca classica e l’età cristiana2. Inoltre, come già
sottolineato a più riprese, poiché la religione greca possiede una valenza sociale e comunitaria
non meno che devozionale, gli elementi di novità rispetto al passato riscontrati nei vari periodi
sono dovuti sia a cambiamenti nella sfera delle credenze che, spesso, a vere e proprie mosse po-
litiche o a dinamiche sociali di più ampio respiro a livello sovraregionale. In altre parole, come si
evidenzierà chiaramente nella trattazione che segue, una visione d’insieme degli aspetti cultuali
all’interno dei luoghi sacri non rivela solo quali divinità vengono maggiormente venerate nelle
diverse fasi, ma anche le forme dell’evoluzione sociale e culturale della regione e le modalità con
cui si introduce e si impone il nuovo sistema politico-istituzionale3.
L’analisi dei culti praticati all’interno dei santuari della Macedonia romana non verrà condotta
seguendo una seriazione teologica, che, come già spiegato, richiederebbe l’esame completo delle evi-
denze relative a ciascuna figura divina e sfocerebbe in uno studio più storico-antiquario che storico-
religioso; sulla scia del lavoro di A. Lo Monaco4 si è scelto invece di organizzare la riflessione attor-
no agli aspetti tipologico-funzionali delle divinità, ritenendo in questo modo di focalizzare meglio
l’attenzione sui mutamenti in atto nella sfera cultuale durante i secoli della dominazione romana.
1
I culti della Macedonia romana sono stati oggetto d’analisi di diversi studi: possiamo ricordare in particolare
Baege 1913; Düll 1977; Düll 1983; Tsochos 2001; Egelhaaf-Gaiser, Steimle, Tsochos 2003.
2
Frankfurter 2006, pp. 543-547.
3
Estendendo anche all’età romana ciò che N. Marinatos ritiene fondamentale per i santuari di età greca: “The
history of Greek sanctuaries reflects the developement of Greek society” (Marinatos 1995, p. 228).
4
Lo Monaco 2009, pp. 11-12.
Una prima serie di culti praticati nei santuari della Macedonia prima e dopo la conquista
romana sono quelli che possiedono carattere poliadico, ovvero rappresentano e incarnano l’iden-
tità del centro civico, o detengono una forte funzione politica5. Nel pantheon greco tradizionale
sono funzioni rivestite molto spesso da divinità quali Atena, Apollo e Zeus, talora esplicitamente
connotate dall’epiclesi Polieus, di frequente venerate in santuari ubicati sull’acropoli o nell’agora.
Casi di questo tipo sono rappresentati dai santuari di Atena e Apollo a Thasos: la città fu fondata
all’inizio del VII sec. a.C. da coloni Parii su indicazione del dio di Delfi, il quale si stabilì su una
delle due cime dell’acropoli con l’epiclesi di Pythios, rivestendo una funzione civica istituzionale
che si affianca a quella protettrice e guerriera rappresentata dall’altro santuario dell’acropoli, de-
dicato ad Atena Poliouchos. Una simile connotazione possiamo ipotizzare per il tempio di Atena
situato sull’acropoli di Oisyme, risalente ad età arcaica6. Tutti e tre questi luoghi di culto non risul-
tano più attivi in età romana: il santuario di Oisyme viene distrutto nel II sec. a.C., mentre dei due
santuari sull’acropoli di Thasos è accertata la
frequentazione solo in età arcaica e classica.
Un ruolo politico si ravvisa tuttavia an-
che in santuari di divinità diverse da quelle
che assumono tipicamente funzioni poliadi-
che. A Pella, ad esempio, il rilievo pubblico
del santuario di Afrodite e Cibele è rivelato
dall’ubicazione e dalla vastità del complesso
sacro, che occupa la metà meridionale di un
isolato (per una larghezza di 47 m) adiacente
al lato settentrionale dell’agora, rispetto alla
quale il santuario si trova esattamente sull’as-
se nord-sud (fig. II.1). Parimenti ad Aigai il
santuario di Eukleia sorge su una terrazza
che domina a sud il grande pianoro su cui si
estendeva la città antica, nell’area dove si ipo-
tizza fosse situata l’agora, a nord e poco lon-
tano dal teatro e dal palazzo reale ai quali era
collegato da una strada (fig. II.2). Nel santua-
rio dedica Euridice Syrra, moglie di Aminta
III e madre di Filippo II, che ricoprì un ruolo
di primo piano nella monumentalizzazione
dell’area sacra7. Dell’importanza politica del
santuario di Zeus Olympios a Dion si è di-
squisito più volte, citando le feste celebrate
Fig. II.1 - Pella, pianta dell’area dell’agora: in alto, al
al suo interno dai sovrani macedoni8 e la sua centro del lato settentrionale, il santuario di Afrodite e
funzione di archivio pubblico9. A Salonicco, della Madre degli Dei (da Siganidou, Lilimpaki-Akamati
invece, sembra possibile rilevare una funzio- 2003, p. 18, fig. 7).
5
De Polignac 1984, Ampolo 1996.
6
Giouri, Koukouli-Chrysanthaki 1987; Koukouli-Chrysanthaki 1990. La dedicazione ad Atena è proposta
sulla base della presenza della dea sulle monete della città.
7
Saatsoglou-Paliadeli 1987; Saatsoglou-Paliadeli 2000; Saatsoglou-Paliadeli 2011.
8
D.S. XVI, 55, 1; XVII, 16, 3-4; D. Chr. 1, 313.
9
Infra, Parte III, Dion - Santuario di Zeus Olympios, p. 223 e ss.
10
Pelekides 1934, pp. 5-23; Welles in AJA, XLII, 1938, pp. 249-251; Vidman 1969, n. 108; Tzavanari 2003, pp.
241, fig. 39, e 243.
11
Cfr. Tzavanari 2003, p. 244. Sul carattere ufficiale del culto delle divinità egizie a Salonicco vi sono comunque
opinioni diverse: è contrario vom Brocke 2001, p. 133, mentre è a favore Campanelli 2007, p. 127.
12
EKM I, Beroia 3; ABSA, 18, 1911-1912, p. 134, 1; SEG 12, 311; SEG 43, 379.
13
Hatzopoulos 1996, II, pp. 108-110, n. 93; Brocas-Deflassieux 1999, p. 69.
dei casi in cui si registra l’abbandono del santuario, questo è conseguente alla distruzione degli
edifici sacri, generalmente connessa alle operazioni belliche di conquista da parte dei Romani:
è quanto si osserva nel santuario di Eukleia ad Aigai, smantellato, secondo i dati stratigrafici,
tra la seconda metà del II sec. a.C. e l’inizio del I sec. a.C.14, o nel santuario situato sull’acro-
poli di Oisyme15. In altri casi tuttavia la scomparsa dell’area sacra non è necessariamente ge-
nerata dall’azione devastatrice delle truppe romane, ma si manifesta con il graduale declino
della presenza dei fedeli e la conseguente caduta in rovina delle strutture sacre. Ciò accadde
probabilmente nel santuario di Zeus a Dion, che secondo Tito Livio fu rispettato dall’esercito
romano nel 169 a.C.16 ma subì in seguito la razzia delle sue opere d’arte (il gruppo lisippeo
dei cavalieri caduti al Granico17) e quindi si spense lentamente, come pare indicare l’assenza di
qualsiasi indizio di attività successivo al 100 a.C. (data dell’ultima citazione epigrafica delle feste
Olympia)18.
Il Serapeion di Salonicco e il santuario di Asclepio a Beroia non presentano al contrario
alcuna cesura della loro frequentazione negli anni della conquista romana, e sono anzi i primi ad
essere protagonisti di nuove opere edilizie compiute nei primi anni della dominazione di Roma
(a Beroia un edificio legato all’incubazione cultuale nel 131-130 a.C.19; a Salonicco un Osireion
e un edificio indicato come didymaphorion nel 39-38 a.C.20, un serbatoio con funzioni rituali
nel 37-36 a.C.21, un sekos e bomoi dedicati ad Iside Lochia tra il 23 e il 2 a.C.22). In questi casi è
possibile ravvisare invece un cambiamento nell’ambito delle funzioni dei due luoghi di culto,
che sembrano aver perduto il ruolo politico e istituzionale che detenevano in età ellenistica,
come si intuisce dal carattere esclusivamente rituale e sacrale delle dediche di età romana e dalla
mancanza di qualsiasi documento pubblico o ufficiale quali quelli esposti viceversa nel temenos
in epoca ellenistica.
In definitiva, nel paesaggio sacro della Macedonia romana si profila una generale scom-
parsa dei luoghi di culto dotati di forte valenza politica, sia che ciò avvenga con la distruzione
fisica delle strutture sacre sia con la sola perdita di funzioni pubbliche di santuari che per il
resto si mantengono vitali. In tale diffusa tendenza possiamo leggere un esito del cambiamento
istituzionale realizzatosi con l’annessione della Macedonia all’Impero di Roma, che venne a so-
stituirsi al sistema politico preesistente causando di conseguenza la fine dei luoghi di culto che
incarnavano l’antico modello politico (i santuari poliadici per le poleis) o dove il potere politico
trovava una propria sede autocelebrativa e ufficiale. Con una lettura più ardita, si potrà scorgere
nel fenomeno una precisa strategia della nuova autorità governativa, che volendo sconfiggere e
soppiantare il vecchio ordinamento istituzionale cerca di sopprimere in modo repentino o gra-
duale tutto ciò che rappresenta tale ordinamento, in primis nell’ambito religioso che così forte
importanza detiene nel mondo greco.
14
Saatsoglou-Paliadeli 1993. Intorno alla metà del II sec. a.C. si datano anche la definitiva distruzione
del santuario della Madre degli Dei e l’abbandono del Palazzo reale (v. Drogou, Saatsoglou-Paliadeli 2002,
p. 21).
15
Cfr. supra. La distruzione delle aree sacre da parte dei Romani non costituisce tuttavia in Macedonia un feno-
meno diffuso come in Epiro, dove sono note le devastazioni compiute dagli eserciti romani a Dodona (Plb., 30, 15;
Liv., 45.5-6; Strab., 7.7.3; Plin., NH, 4.10.39; D.S., 7.7.3; Plut. Aem. Paul. 29; App. Ill. 10.9), Passaron (Prakt. 1952,
p. 311) ed Ephyra (Dakaris 1993, p. 27).
16
Liv. 44. 7. 2.
17
Vell. Pat. I, 11, 3-4; Plin., NH, 34, 64.
18
SEG 14, 1957, 478.
19
EKM I, Beroia 18.
20
IG X, II.1, 109.
21
IG X, II.1, 83.
22
IG X, II.1, 97.
Un nutrito numero di santuari individuati nel territorio macedone sono dedicati a figure
divine estranee al pantheon tradizionale greco, sebbene spesso assimilate a divinità olimpiche,
affiancate comunque da epiclesi che ne tradiscono chiaramente l’origine pre-ellenica o locale.
Un primo, corposo gruppo è costituito da una serie di luoghi di culto distribuiti in tut-
ta l’area macedone, accomunati da una medesima funzione (la pratica delle manumissiones),
dall’arco cronologico di frequentazione (II-inizi IV sec. d.C.) e, secondo l’opinione di Hatzo-
poulos che ne ha fatto oggetto di numerosi saggi, da una identica origine pre-greca. Tutti questi
santuari sono localizzati in aree extraurbane o periurbane, mai all’interno delle città: il santuario
di Pasikrata in una kome (l’odierna Suvodol) del territorio di Eraclea Lincestide; il santuario di
Apollo Eteudaniskos/Oteudanikos/Oteudanos a Kolobaise, in Pelagonia, ai piedi del monte
Zlatovrv, ai margini di un piccolo altopiano alto 1100 metri sul livello del mare; il santuario di
Leukopetra nel territorio di Beroia, alle pendici del monte Vermion, lungo un antico itinera-
rio dei pastori transumanti23; il santuario di Artemide Digaia Blaganitis nel territorio di Aigai,
tra il ponte sull’Haliakmon e Palatitsa; il santuario di Artemide Gazoria in Odomantica, nella
piana dello dello Strimone. A Edessa, Skydra e Beroia l’ubicazione dei santuari della Dea Mâ,
di Artemide Gazoria e di Artemide Agrotera è sempre periferica rispetto al centro urbano, al
di fuori della cinta muraria24. Tale aspetto topografico è tipico dei santuari iniziatici quali, in
primo luogo, quelli di Artemide25, e delinea pertanto una delle prerogative peculiari di que-
sta figura divina: la pratica dell’affrancamento per consacrazione degli schiavi, che costituisce
l’attività principale di questi luoghi di culto in età imperiale26, sembra infatti essere l’esito di
una prassi di servizio alla divinità originariamente peculiare dei rituali iniziatici27. La divinità
cui vengono consacrati gli schiavi è nella maggior parte dei casi una figura femminile, spesso
identificata con Artemide (a Skydra, Beroia, Blaganoi, Gazoros e Kolobaise), chiamata tutta-
via con epiteti diversi e talvolta insoliti: a Skydra e a Gazoros Gazwrei'ti~ kai; Blourei'ti~ o
semplicemente Gazwvria, ad indicare l’area di origine del culto28, a Blaganoi Divgaia Blaganivti"
(ancora una volta con un’epiclesi da cui deriva il toponimo della località) che secondo Hatzo-
poulos rappresenterebbe una “dea delle rane” venerata sulle rive dell’Haliakmon personificata
con la Giustizia29. A Beroia la dea è invece indicata come Agrotera30 e infine a Kolobaise, dove
è venerata insieme ad Apollo, come Efesia31. In quest’ultima località sono manifesti altri due
aspetti importanti del culto, quali la presenza di un paredro della dea (Apollo Eteudaniskos/
Oteudanikos/Oteudanos32) e l’evidente ascendenza microasiatica della figura divina, assimilabi-
le ad una kourotrophos adorata in tutta l’area Brygo-Frigia (cui apparteneva in antico anche la
Macedonia). Alla medesima divinità possiamo dunque ricondurre anche la Dea Mâ di Edessa e
23
Petsas et al. 2000, p. 21.
24
A Edessa il santuario di Mâ è stato localizzato a sud della città, nei pressi della porta meridionale; a Skydra il
rinvenimento delle iscrizioni nel moderno villaggio di Arseni fa supporre l’ubicazione del santuario in questa zona,
periferica rispetto alla città antica; più arduo ipotizzare la collocazione del santuario di Artemide Agrotera a Bero-
ia, per il quale l’unico indizio è costituito da un atto di affrancamento rinvenuto nel settore orientale del moderno
centro urbano.
25
Cfr. Cole 2000.
26
Hatzopoulos 1987; Hatzopoulos 1994, pp. 113-119; Hatzopoulos 1995, pp. 131-132. Sugli affrancamenti
per consacrazione si veda anche Darmezin 1999.
27
Hatzopoulos 1994, pp. 78-79.
28
Infra, Parte III, Skydra - Santuario di Artemide Gazoria (pp. 191-192), iscrizioni nn. 1-3, e Gazoros (p. 344).
29
Hatzopoulos 1987, pp. 399-401.
30
EKM I, Beroia 49; EKM I, Beroia 109.
31
IG X, II.2, 233.
32
L’epiteto è ritenuto di origine illirica: Spomenik, 77, 1934, n. 58.
la Madre degli Dei Autoctona del santuario di Leukopetra: è interessante notare come questa,
in particolare, sia chiamata “autoctona” nel II-III secolo, sia cioè percepita in un’epoca avan-
zata come divinità indigena e si siano offuscate le sue origini alloctone risalenti ad un’età molto
antica, precedente lo stanziamento dei Macedoni nella zona33. Con questa stessa figura divina
matronale e insieme virginale venerata anticamente nell’area macedone il Collart identifica an-
che l’Artemide di Thasos e la Parthenos di Neapolis34, i cui culti risalgono ben prima dell’epoca
romana (almeno alla metà del VI sec. a.C. a Neapolis e sino al VII sec. a.C. a Thasos). Sebbene
dunque le evidenze relative all’attività dei santuari di Suvodol, Kolobaise, Edessa, Skydra, Be-
roia, Leukopetra, Blaganoi e Gazoros siano limitate ad età medio e tardo imperiale, è chiaro
che si tratta di una venerazione di origine molto più antica, che probabilmente vede una sorta
di “rinascita” nel II, III e IV secolo con l’acquisione di una nuova funzione, quella degli affran-
camenti per consacrazione.
Le forme architettoniche di questa serie di luoghi di culto ci sono pressoché sconosciute
(con l’unica eccezione del santuario di Leukopetra, di cui è stato individuato e scavato l’edificio
templare, con pianta canonica dotata di pronaos e opistodomos), essendo queste aree sacre a noi
note soltanto per via epigrafica. Non è quindi possibile ragionare sulle loro caratteristiche e mo-
dalità di sviluppo in età imperiale. Tuttavia alcuni indizi relativi alla loro organizzazione interna
possono essere desunti dalle stesse iscrizioni di manumissio: la frequente menzione dell’offerta
dell’atto di vendita dello schiavo consacrato35 presuppone senza dubbio l’esistenza di un archi-
vio del santuario; nel santuario della Dea Mâ ad Edessa doveva esistere un tesoro (tameivon) in
cui venivano versate le somme necessarie all’acquisto degli schiavi consacrati36; infine la presen-
za di hierodouloi in diversi santuari (Suvodol, Skydra, Leukopetra)37 segnala l’esistenza di una
vita cultuale articolata, gestita (almeno in parte) da personale “di proprietà” del temenos. Tutti
questi dati dimostrano, in definitiva, come non si tratti di piccoli santuari isolati nei più remoti
angoli del territorio macedone, quanto invece di veri e propri poli cultuali, sia pure di frequen-
tazione a breve raggio, dotati di una precisa e complessa struttura organizzativa.
Nel novero dei culti extraolimpici può essere inserito anche quello dell’eroe cavaliere ve-
nerato nel santuario di Pangaion. Si tratta infatti di una divinità di origine tracica legata al
mondo infero e alle credenze di una vita dopo la morte, che tuttavia risente fortemente nella
pratica religiosa e nell’iconografia della cultura greca penetrata tramite le città greche della costa
settentrionale dell’Egeo38. La figura dell’eroe appare così spesso avvicinata e assimilata ad altre
figure eroiche o divine del pantheon ellenico, in primo luogo Dioniso39. A Pangaion però il dio40
è chiamato nelle dediche di età romana Aulonites, la cui radice aujlwvna, corrispondente a “passo,
33
Papazoglou 1979b, pp. 168-169; Hatzopoulos 1987, pp. 402-403; Hatzopoulos 1994, pp. 64-65; Hatzo-
poulos 1995, pp. 131-132; Hatzopoulos 2004, pp. 46, 50. Alcuni tuttavia in passato ritenevano che vi fosse una netta
distinzione tra la dea macedone e la Cibele frigia: cfr. BullEpigr, 1977, 268; Petsas 1983b, pp. 238-241.
34
Collart 1937, p. 112.
35
Si vedano infra, Parte III, le iscrizioni Suvodol 1, Kolobaise 4, Edessa 6, 7, 9, 13, 15.
36
Infra, Parte III, iscrizioni Edessa 10, 12, 16 (pp. 187-188).
37
Infra, Parte III, iscrizioni Suvodol 3, Skydra 3; per Leukopetra, Petsas et al. 2000, nn. 39, 43, 109, 112, 113,
117, 151.
38
Will 1955, pp. 66, 88. Il culto appare diffuso in tutta la Tracia e la Moesia Inferior; nell’attuale Bulgaria sono
stati localizzati diversi santuari dedicati all’eroe, ma nessuno è stato scavato (V. Ljubenova in Tracia, III, 1974, p.
371). Cfr. Tončeva 1969, Gočeva 2005.
39
Will 1955, p. 65, nota 1, e 117; Gočeva 1983. Ad esempio, nelle metope del proscenio del teatro di Taso l’eroe
cavaliere è rappresentato accanto a Dioniso: cfr. F. Salviat in BCH, 84, 1960, pp. 314-316. Nel santuario del monte
Pangaion l’assimilazione a Dioniso emerge dai votivi rinvenuti: numerosi frammenti di kantharoi, sostegni di statua
decorati con rami di vite e una pantera (Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1989, pp. 558-559, figg. 15-16).
40
La denominazione ”Hrw~ nella religione tracica non detiene il significato di “semi-dio” che possiede nella
religione greca, ma indica la divinità suprema e protettrice: Gočeva 2005, pp. 26-27.
passaggio”, potrebbe indicarne il ruolo di protezione del passo che collegava Symbolo e Panga-
ion, la vallata di Pieria e la pianura di Dramas41. La medesima radice aule si ritrova anche in altri
epiteti dell’eroe cavaliere, e deriva secondo Gočeva da un nome pre-greco locale caratteristico
di alcune piccole città della Calcidica42. Potremmo dunque in sintesi riconoscere nella divinità
del santuario di Pangaion un culto proveniente dall’area tracica ma radicatosi saldamente nel
territorio e ben presto assimilato alle divinità olimpiche, con i cui più tipici rituali (sacrifici ani-
mali celebrati sull’altare, banchetti sacri) viene onorato.
La lunga storia di frequentazione del santuario, la cui fine si colloca nel terzo quarto del
IV secolo d.C.43, va probabilmente collegata al contenuto escatologico del culto, particolarmen-
te apprezzato in età romana tarda anche successivamente al riconoscimento del cristianesimo
come religione ufficiale dello stato romano. Il culto dell’eroe cavaliere (come pure quello di
Dioniso cui abbiamo visto essere frequentemente associato) è infatti connesso al ciclo religioso
di morte e resurrezione, così come la rappresentazione iconografica della figura a cavallo viene
generalmente considerata simbolo di immortalità44. Nel corso della storia del santuario si deli-
nea tuttavia un cambiamento nelle forme di devozione rivolte all’eroe-dio: se in età ellenistica le
evidenze strutturali e materiali si riferiscono prevalentemente a pratiche di sacrificio e banchet-
to (come indicano le due sale tricliniari dell’Edificio II, l’altare centrale con i resti di sacrificio,
i numerosi frammenti di kantharoi e vasellame, i coltelli, fili e anelli di ferro rinvenuti ovunque
nell’area sacra45), in età imperiale sembrano predominare le offerte donate a scioglimento di un
voto o per grazia ricevuta da parte di una ben definita categoria di fedeli, soprattutto romani
e spesso soldati46. Alla componente dionisiaca e comunitaria sembra quindi sostituirsi un rap-
porto più stretto e diretto tra fedele e divinità, alla quale richiedono protezione diversi Romani,
forse stanziati a Filippi (dove il culto dell’eroe è di primaria importanza, come dimostra la raf-
figurazione dell’eroe sulle monete bronzee di III secolo47).
Un’altra presenza importante nel quadro religioso dell’area geografica esaminata è costi-
tuita dai culti di provenienza egizia e orientale48. Si tratta di devozioni presenti nella regione già
prima dell’epoca romana (gli dei egizi a Salonicco, Aphytis e Dion, divinità orientali ad Agios
Nikolaos e Pella), ma che nei secoli del dominio di Roma conoscono notevole sviluppo e assu-
mono valenze e forme che si cercherà in questo paragrafo di analizzare49.
L’ingresso delle divinità nilotiche in Macedonia risale ad una fase piuttosto antica: Zeus
Ammon è venerato nel santuario di Aphytis almeno dalla fine del V sec. a.C., quando gli viene
costruito un altare nei pressi di un santuario di Dioniso frequentato sin dalla metà dell’VIII sec.
41
Bakirtzis in AErgoMak, 2, 1988, p. 433.
42
Gočeva 1992, p. 174; Gočeva 2002, p. 772.
43
Come indicano i materiali più tardi rinvenuti nello scavo: Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1989, p.
558; Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1990, p. 503, fig. 7.
44
Gočeva 1983, pp. 238-239.
45
Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1990, p. 505, fig. 9.
46
Infra, Parte III, iscrizioni Pangaion 1, 3, 9, pp. 341-342.
47
O. Picard in AErgoMak, 2, 1988, p. 389, fig. 10.
48
Rispetto al resto della Grecia settentrionale, la Macedonia possiede una documentazione ricchissima. Le iscri-
zioni testimoniano tuttavia la presenza dei culti egizi anche in Tessaglia, a Demetrias e a Larisa, tra II e I sec. a.C. ma
non in età imperiale (Dunand 1973, pp. 46-52, 178-181); limitatissima invece la loro presenza in Epiro (Dunand
1973, pp. 44-46).
49
Sul culto delle divinità egizie in Macedonia gli unici studi di sintesi sono i contributi (ormai datati, per le nu-
merose testimonianze epigrafiche ed archeologiche rinvenute negli ultimi anni) di Witt 1970 e Blanchaud 1986.
a.C.50. A Salonicco e Dion il culto degli dei egizi è attestato (quantomeno in forma pubblica) in
un momento successivo, verso la fine del III sec. a.C., quando nella città ai piedi dell’Olimpo
si inizia a venerare Iside in un antico temenos dedicato ad Artemide Ilizia e ad Afrodite Hypo-
lympidia51 e, all’incirca contemporaneamente, a Salonicco si costruisce un tempio di Serapide52.
L’introduzione dei culti egizi nelle due città in questo periodo è probabilmente da mettere in
relazione con Filippo V e la sua politica di espansione economico-commerciale, il cui snodo
fondamentale è l’isola di Delo, dove in questo momento la presenza egiziana – che porta con sé
le divinità nilotiche – è molto forte53.
Nel corso del II e del I sec. a.C. il culto delle divinità egizie diventa popolare soprattutto
tra i Romani insediatisi a Delo54 e in seguito, con il declino e l’abbandono dell’isola intorno al
50 a.C., si propaga insieme agli stessi italici nelle principali città portuali del Mediterraneo, tra
cui Salonicco55. Si motiva così lo straordinario sviluppo vissuto dal Serapeion tessalonicense in
particolare nella seconda metà del I sec. a.C. (un periodo per il quale gli altri santuari hanno
restituito limitatissime evidenze), documentato da numerose iscrizioni che ricordano tra l’altro
la consacrazione di un Osireion e di un edificio denominato didymaphorion nel 39-38 a.C.56, di
un hydreon (probabilmente un serbatoio con funzioni rituali) nel 37-36 a.C.57, e di un sekos e di
bomoi ad Iside Lochia tra il 23 e il 2 a.C.58.
In questo stesso periodo conoscono un notevole sviluppo anche i culti orientali, come di-
mostrano la continuità di vita dei santuari di Syria Parthenos ad Agios Nikolaos e di Afrodite e
Cibele a Pella, e la nascita di nuove aree sacre dedicate ad Attis ad Anfipoli e a Zeus Hypsistos
ad Edessa. Si tratta di divinità la cui devozione, come si è già sottolineato, è praticata per lo più
in forme non ufficiali, verosimilmente preferite in una fase di profondi rivolgimenti politici e
sociali qual è quella tardo-repubblicana in Grecia.
Durante la prima età imperiale il Serapeion di Salonicco continua ad essere protagonista
di una vivace attività, come indicano la costruzione di diversi edifici (templi, stoai, altari) indi-
viduati tra il 1929 e il 1939 (seppure non datati con precisione59), e le numerose dediche offerte
continuativamente nel santuario per tutto il I sec. d.C.60. è nel II e III secolo (ed in particolare,
a quanto pare, nella seconda metà del II sec.) che si registra tuttavia un vero e proprio exploit
dei culti egizi, con la nascita di nuove aree sacre a Nicea61 e a Filippi62, il completo rifacimento
di cui è oggetto il santuario di Dion63 e il gran numero di dediche offerte nel temenos di Salo-
50
Giouri 1971.
51
Cfr. Infra, Parte III, pp. 248-258, e Giuman 1999.
52
Infra, Parte III, pp. 266-280, ed Edson 1948, p. 181.
53
Rostovtzeff 1957, pp. 38 e ss.; Giuman 1999, pp. 432-438, per Dion; per Salonicco, si ricordi il Diagramma
di Filippo V (Vidman 1969, n. 108; Tzavanari 2003, p. 241, fig. 39, e 243) a testimonianza del legame tra santuario
e sovrano. Agli anni del regno di Filippo V risale anche un’iscrizione ad Iside e Serapide proveniente da Anfipoli:
Hatzopoulos 1996, pp. 91-92, n. 75.
54
Baslez 1977, pp. 151, 181-183.
55
Rizakis 2002, pp. 120-122. La Tzavanari collega invece la grande fioritura del culto delle divinità egizie nella
città con l’influenza esercitata da Antonio e Cleopatra dopo la vittoria del secondo triumvirato contro gli assassini
di Cesare a Filippi (nel 42 a.C.): Tzavanari 2003, p. 244.
56
IG X, II.1, 109.
57
IG X, II.1, 83.
58
IG X II.1, 97.
59
Cfr. AA, 1926, p. 430; BCH, 45, 1921, pp. 540-541; Wild 1984, p. 1825.
60
IG X, II.1, 85 (dedicata nel 15-14 a.C.); IG X, II.1, 86-98-99 (I a.C./I d.C.); IG X, II.1, 87-88, IG X, II.1, 255
(I d.C.).
61
Janakievski 1976.
62
Collart 1929.
63
Pandermalis 1982.
64
Si datano al I-II sec. d.C. IG X, II.1, 115, 117, 118, 119, 123, 254; al II sec. IG X, II.1, 89, 100, 101, 102, 110,
111, 114, 58. Va ricordato in particolare l’inno isiaco IG X, II.1, 254, rinvenuto anche nell’Hephaisteion di Mem-
phis, nel santuario isiaco di Kyme e a Ios: si tratta probabilmente di un testo diffuso in tutti i maggiori santuari
egizi (Dunant 1973, pp. 188-190; Tzavanari 2003, p. 248) e che quindi dimostra l’importanza del centro di culto
di Salonicco.
65
Vidman 1969, p. 55, n. 121e 124.
66
Per Salonicco, Tzavanari 2003, pp. 238-239; su Dion, Giuman 1999.
67
Documentate a Salonicco e a Filippi: Edson 1948, pp. 186-188; Dunand 1973, pp. 183-185; Tzavanari 2003,
pp. 249-250. Cfr. infra, p. 149.
68
Dunand 1973, pp. 191-192.
69
Wild 1984, pp. 1746-1753.
70
Cfr. Birley 1997, pp. 238-239.
71
Birley 1997, pp. 237-243.
72
Grosso 1964, pp. 335-336; Birley 1988, p. 82.
73
HA, Sev., 17.3-4; Cass. Dio, 75, 13, 1-2. Cfr. Birley 1988, pp. 135-139. Sui rapporti di questi imperatori con i
culti egizi si veda anche Takàcs 1995, pp. 104-119.
74
Cfr. infra, 1.4.
75
Pandermalis 2000, p. 107.
76
IG X II.1, 59; infra, Salonicco 31.
77
Tzavanari 2003, p. 191, fig. 10; IG X, II.1, 61; infra, Salonicco 32.
78
IG X, II.1, 112; infra, Salonicco 37.
parte di una statuetta di Atena, una di Ecate79 e una seconda notevole statua di Afrodite80. Ad
Aphytis il santuario di Zeus Ammon sorge nei pressi di un antico santuario di Dioniso81 e al
suo interno è stata rinvenuta la base di una statua di età romana di Apollo Kanaistraios82. Infine,
nel santuario degli Dei Egizi a Filippi il nome di Apollo compare a fianco di quelli di Horus e
Arpocrate in una dedica83 e negli scavi è stata rinvenuta una statuetta del dio guaritore Theles-
phoros84. Il fenomeno dell’associazione di più divinità in un medesimo santuario non costitui-
sce un’eccezione nel panorama dei luoghi di culto dedicati alle divinità egizie, come attestato
ad esempio, in occidente, nelle province alpine: secondo S. Cibu e B. Rémi, che esaminano le
evidenze di queste regioni, questo fenomeno è “moins le produit de syncrétismes multiples que
la conséquence matérielle de la mentalité polythéiste qui n’hésitait pas à cumuler dans la dévo-
tion un grand nombre de divinités dans un souci d’efficacité de l’action divine”85. Del resto, la
compresenza di più culti in un medesimo temenos (talvolta definita anche “multicultualità” o
“polivalenza”) è attestata anche in santuari romani di tutt’altra dedicazione e area geografica,
come ad esempio in Cisalpina86. Tuttavia alcune associazioni tra divinità presenti nei santuari
egizi della Macedonia sono talvolta indicative di come la figura ultraterrena venga percepita
dai fedeli in maniera differente di santuario in santuario, a seconda delle particolari tradizioni
religiose del luogo: a Filippi e a Dion, ad esempio, la rappresentazione iconografica di Iside
(nel primo caso raffigurata con sistro, brocca da cui escono due spighe, melograno e forse una
corta torcia87, nel secondo con un ampio copricapo sormontato dal disco lunare, lo scettro in
una mano e spighe di grano nell’altra88) rimanda chiaramente a Demetra, e connota la dea come
potenza ctonia della fecondità e della morte.
Come gli altri culti pagani, anche quelli egizi ed orientali declinano fino a scomparire tra il
III e il IV secolo. Il santuario più longevo è quello di Iside a Dion, nel quale forse, come in altri
Iseia, si arrocca la resistenza pagana di fronte all’affermarsi del Cristianesimo89; o forse, all’op-
posto, vi si mantiene semplicemente una devozione popolare, priva di ufficialità, rivolta alla dea
protettrice delle partorienti che, prima con il nome di Artemide e poi come Iside, presiedeva
l’area sacra da più di sei secoli.
79
Tzavanari 2003, p. 248.
80
Considerata una copia dell’ Afrodite dei Giardini di Alcamene: BCH, 45, 1921, p. 540; Tzavanari 2003, p.
191 e 189, fig. 9.
81
Sul legame cultuale che univa Dioniso a Zeus Ammon va ricordato che secondo il biografo Hermippos (Her-
mippos, ap. Hyg. poet. astr., 2.20) il tempio di Zeus Ammon nell’Oasi (in Libia) sarebbe stato fondato da Dioniso,
salvato da un ariete che l’avrebbe condotto ad una pozza d’acqua mentre rischiava di morire di sete nel deserto libico.
Sul tema si veda Cook 1964, I, pp. 369-370, 374-376.
82
AAA, 4, 1971, 360 = Aphytis 1.
83
Collart 1929, pp. 77-78, n. 2 = Filippi 20.
84
Collart 1929, pp. 89-90, fig. 14.
85
Cibu, Rémi 2004, p. 149.
86
Si vedano, a puro titolo esemplificativo, Buonopane 1998, pp. 37-45, e Bassi 2003, p. 10.
87
Picard 1922, pp. 175-178, rilievi n. 115, 120, 142, 204, 302, 307, 402, 409. Cfr. inoltre Dunand 1973, p. 196.
88
Pandermalis 2000, p. 89.
89
Takàcs 1995, pp. 119-126; Ensoli 2000, p. 278.
significativamente assumono questa particolare dote molto apprezzata dai fedeli in un’epoca di
cambiamento come quella della dominazione di Roma.
Asclepio, una delle tre maggiori divinità del pantheon macedone90, presiede i santuari di
Beroia, Dion, Morrylos e, con la denominazione locale di Darron91, Pella92. Le prime attesta-
zioni di culto in queste aree sacre risalgono ad età classica e tardo classica: materiali di V e IV
sec. a.C. a Dion93, strutture di fine IV-inizi III sec. a.C. a Pella94, forse una lastra votiva databile
al IV sec. a.C. a Morrylos95. Lo sviluppo dei santuari del dio in epoca ellenistica è concorde a
quanto avviene nella Grecia centrale96, ed è ben documentato nei quattro temene macedoni
soprattutto grazie alle fonti epigrafiche: a Dion è stata rinvenuta un’iscrizione ellenistica con-
tenente un peana al “dio Ieteras (Guaritore)”97, copie del quale si trovano ad Atene, a Eritre in
Asia Minore e a Tolemaide in Egitto98; a Beroia una lettera reale di Antigono del 248 a.C. rivela
che i sacerdoti di Asclepio godevano dell’ateleia (esenzione dai tributi)99, e un atto di affranca-
mento datato al 232-229 a.C. menziona come arconte eponimo un sacerdote di Asclepio100. Ma
in tutte le maggiori città della Macedonia la funzione di eponimi pare essere una prerogativa dei
sacerdoti del dio, che avrebbero ottenuto tale distinzione onorifica in seguito ad una riforma di
Filippo II101.
Sono purtroppo limitati, allo stato attuale, i dati in nostro possesso sull’organizzazione
monumentale dei santuari di Asclepio in Macedonia. La maggior parte di essi, infatti, non è
stata oggetto di scavi (i santuari di Beroia e Morrylos) o è stata indagata ancora solo parzial-
mente (come il temenos di Dion). Dalla documentazione archeologica ed epigrafica disponibile,
tuttavia, si possono desumere alcune indicazioni significative sull’architettura degli Asklepieia
in esame, quali ad esempio la frequente presenza di strutture di adduzione idrica o l’indubbia
ricchezza dell’arredo decorativo dei recinti sacri. Le strutture idriche, evidentemente legate a
necessità cultuali e curative102, sono particolarmente numerose nel santuario di Darron a Pella,
dotato di una fontana, una cisterna e diversi pozzi, ma rivestono un ruolo di primo piano an-
che nel santuario di Beroia, dove un facoltoso cittadino finanziò nella prima metà del II secolo
la costruzione di un polykrenon (probabilmente una fontana con più bocche)103. Va ricordato
inoltre che l’ipotesi ad oggi più accreditata per l’ubicazione dell’Asklepieion di Beroia lo vuole
90
Hatzopoulos 2006, p. 53. Sul culto di Asclepio in Macedonia si veda Voutyras 1993.
91
Secondo una testimonianza di Esichio, Darron (che un’iscrizione indica essere venerato nel santuario di Pella)
sarebbe una figura demoniaca guaritrice, chiamata anche Tharron o Tharson ovvero “colui che ispira coraggio (qar-
rov~) al malato”: Lilimpaki-Akamati 1993, p. 42.
92
Non è certa l’esistenza di un Asklepieion anche a Salonicco, per il quale gli unici indizi sono rappresentati dal
nome di una delle tribù cittadine (∆Asklhpiastwvn: IG X, 2, 185 e 265), dalla presenza di un thiasos di ∆Asklhpia-
stwvn (IG X, 2, 480) e da una base iscritta con dedica al dio e a Igea rinvenuta presso le mura orientali della città (SEG
43, 456/353, a, datata al 3-4 d.C.). Cfr. Voutyras 1993, pp. 256-257.
93
Un anello di pietra databile alla metà del V sec. a.C. con la rappresentazione di Eros con la lira, ed una statuetta
di Igea in marmo di IV sec. a.C.: Pandermalis 1973, p. 336 (fig. 5, 6) e Pandermalis 2000, pp. 85-87.
94
Lilimpaki-Akamati 1987; Lilimpaki-Akamati 1991; Lilimpaki-Akamati 1996a.
95
Hatzopoulos, Loukopoulou 1989, p. 64.
96
Melfi 2007, pp. 502-504.
97
Oikonomos 1915, pp. 8 ss.
98
Powell 1925, pp. 136-138; Eldstein 1945, test. 592; Graf 1985.
99
EKM I, Beroia 3; ABSA, 18, 1911-1912, p. 134, 1; SEG 12, 311; SEG 43, 379.
100
Hatzopoulos 1996, II, pp. 108-110, n. 93; Brocas-Deflassieux 1999, p. 69.
101
Sacerdoti di Asclepio appaiono come arconti eponimi nell’atto di vendita di Anfipoli, a Mieza, nel catalogo
di sacerdoti rinvenuto a Kalindoia, a Beroia, a Morrylos, ad Antigoneia e a Pella. Cfr. Hatzopoulos 2006, p. 54;
Hatzopoulos 1996, I, pp. 156-160.
102
Sul ruolo dell’acqua nei santuari di Asclepio si veda ad esempio il caso di Messene: Melfi 2007, pp. 265-267.
Sul tema cfr. anche Argoud 1987.
103
EKM I, Beroia 41.
nella zona centrale della città, in un isolato in cui è stato portato alla luce un vasto complesso
termale dotato di calidarium, tepidarium, frigidarium, piscine e fontane104.
La ricchezza dell’arredo decorativo è invece particolarmente evidente nel santuario di
Morrylos, dal quale provengono diverse statue, recuperate casualmente negli anni Trenta del
secolo scorso nell’area della città antica105: due teste colossali in marmo, l’una maschile barbata
e l’altra femminile (ritenute appartenenti alle statue di culto di Asclepio e Hygeia), due statue
di minori dimensioni acefale del dio, una statuetta femminile e una mano femminile con phya-
le a omphalos. Non meno numerosi i frammenti di statue rinvenuti nel santuario di Dion: un
frammento di piede destro con sandalo di dimensioni superiori al naturale riferibile alla statua
del dio, una piccola testa di marmo di Telesphoros, il torso di una statuetta di Asclepio, un
piccolo serpente bronzeo ed una statuetta di Igea in marmo di IV sec. a.C., con chitone, hima-
tion disposto diagonalmente sul petto ed un serpente avvolto attorno alla spalla e al braccio
destro106.
Dai pur frammentari dati sin qui esposti si ricava indubitabilmente l’impressione di una
grande prosperità dei santuari di Asclepio dell’area macedone. Le strutture idriche, da un lato,
sono testimonianza dello svolgimento di pratiche di purificazione o addirittura di abluzione
profonda con valore terapeutico, tipiche del culto asclepiadeo; esse si affiancano al più noto
esercizio dell’incubatio, documentato in Macedonia solo nel santuario di Beroia. D’altro lato,
la notevole abbondanza dell’arredo decorativo rinvenuto in alcune aree sacre costituisce proba-
bilmente lo specchio della loro ricca e assidua frequentazione.
La prosperità e la fervida attività dei luoghi di culto è ampiamente documentata, come si è
visto, per l’età ellenistica, ma non sembra scemare nel periodo successivo. La conquista roma-
na, infatti, non causa cesure nella vita degli Asklepieia in esame, che seguitano le loro attività
con la sola eccezione del santuario di Pella (che forse seguì le sorti della città, completamente
distrutta da un terremoto alla fine del I sec. a.C.). Vanno però segnalati alcuni mutamenti ve-
rificatisi nella nuova epoca, quali la già sottolineata perdita di funzione politica del santuario
di Beroia ed un significativo, benché ancora poco chiaro, legame strutturale realizzato a Dion
tra i vicini santuari di Asclepio e Demetra107. Mutamenti, questi, che in ogni caso non influiro-
no sull’attività cultuale e sulla frequentazione dei due santuari, come indicano la costruzione
di un enkoimeterion (edificio legato all’incubazione cultuale) a Beroia nel 131-130 a.C.108 e la
realizzazione di una lunga stoa, destinata ad accogliere fedeli ed offerte votive, nella prima età
imperiale a Dion.
A fianco di Asclepio, acquisiscono in età romana funzioni iatriche anche le divinità egizie,
come documentato ad Aphytis e a Filippi. Nel santuario di Zeus Ammon ad Aphytis si registra
la costruzione intorno alla metà del II secolo di un balaneion per pratiche curative e mediche,
che risulta in attività fino al IV secolo109. A Filippi, le virtù guaritrici di Serapide sono esplici-
tamente assimilate in età imperiale a quelle di Asclepio, come indica un’iscrizione che ricorda
dei Megala Asklepieia organizzati da un membro di un’associazione religiosa legata al culto di
Serapide110; un’altra iscrizione menziona la dedica nello stesso santuario di un altare da parte di
un medico111. A queste testimonianze vanno affiancati alcuni eloquenti rinvenimenti materiali,
104
Cfr. infra, Parte III, 2.5, Beroia - Santuario di Asclepio, pp. 201-203.
105
Hatzopoulos, Loukopoulou 1989, pp. 69-79, tavv. XX-XXVI.
106
Cfr. Pandermalis 1973, p. 336 (fig. 5, 6) e Pandermalis 2000, pp. 85-87.
107
Pingiatoglou 2003.
108
EKM I, Beroia 18; ABSA, 18, 1911-12, pp. 144-146.
109
Tsigarida, Basileiou 2005. Nei pressi dell’edificio sono stati rinvenuti anche alcuni strumenti chirurgici.
110
Infra, Parte III, Santuario degli Dei Egizi, iscrizione n. 28, p. 328. Cfr. Lemerle 1935, pp. 146-147.
111
Iscrizione n. 25 = Pilhofer 2009, n. 132.
quali una statuetta del dio guaritore Telesphoros, tre membra miniaturistiche in marmo112, due
coltelli e una pinzetta di bronzo113.
Da ultimo, vanno ricordate le capacità guaritrici per le quali viene venerata in età roma-
na la statua dell’eroe Theagenes nell’agora di Thasos. Secondo il racconto mitico riportato da
Pausania, il simulacro assunse questi poteri dopo la morte dell’atleta, quando, ripescato dal
mare dov’era stato gettato per aver causato la morte di un uomo, risolvette la carestia che af-
fliggeva l’isola: da quel momento divenne oggetto di venerazione e sacrifici per la sua capacità
di guarire le malattie114 e in particolare le febbri115. Le modalità con cui si doveva sacrificare
all’eroe risultano ben codificate già nel I sec. a.C., data cui risale l’iscrizione incisa sul thesauros
del santuario116: chiunque volesse assicurare salute e prosperità alla propria famiglia, doveva
offrire l’ejparch; a Theogenes; il denaro raccolto era custodito dallo hieromnemon e doveva
servire per realizzare anathemata o kataskeuasmata in suo onore. Il culto, come dimostrano i
documenti epigrafici, viene praticato senza soluzione di continuità fino al II-III secolo, ma va
rilevato come dal I sec. d.C. nelle dediche l’eroe venga invocato come Qeov" e addirittura, in un
caso, Qeov" pavtrio"117: un epiteto che suggerisce, come nota Launey, l’assimilazione dell’eroe
atleta all’eroe protettore della città, avvenuta attraverso l’elaborazione di un legame di paternità
tra Eracle e Theagenes (ricorda infatti Pausania: “i Tasii dicono che Theagenes non è figlio di
Timosthenes, ma che quando Timosthenes era sacerdote di Eracle questi apparve alla madre di
Theagenes con le sembianze di Timosthenes e si unì a lei”)118. Poiché lo stesso Eracle possedeva
prerogative di protezione contro la malattia e la sventura (a lui, ad esempio, ci si rivolgeva con
una formula propiziatoria per proteggere la propria casa e famiglia119), viene spontaneo chie-
dersi se la venerazione per Theagenes non abbia preso il posto in epoca romana di una consue-
tudine devozionale prima riferita ad Eracle, il cui culto dopo l’età ellenistica appare a Thasos
notevolmente limitato se non addirittura scomparso.
Dalla panoramica tracciata dei santuari macedoni con funzioni iatriche emerge con eviden-
za lo sviluppo goduto in età romana da questo genere di culti, che tendono ora a trascendere le
sfere di competenza delle tradizionali divinità guaritrici per investire anche altre figure divine di
antica o nuova istituzione. L’ampia diffusione e la longevità120 dei culti iatrici in epoca imperiale
è stata più volte sottolineata da tutti gli studiosi e non costituisce certo una peculiarità della
Macedonia, che si allinea dunque in quest’ambito al quadro religioso globale del Mediterraneo
ellenistico e romano.
Un ultimo insieme di luoghi di culto presenti nell’area della Macedonia si distingue per
l’esercizio di rituali misterici o iniziatici.
Demetra, la dea che presiede i riti misterici forse più popolari della religione ellenica, è
venerata in Macedonia in un non ristretto numero di santuari, localizzati a Pella, Dion, Lete,
112
Collart 1929, p. 93.
113
Collart 1929, pp. 94-95, fig. 16.
114
Paus., VI, 11, 9.
115
Luk., De Deor. conc., 12.
116
Martin 1940.
117
Infra, Parte III, iscrizioni Thasos 9, 10, 11, p. 361.
118
Paus. VI, 11, 2; Launey 1941.
119
Launey 1944, p. 128, nn. 10-11.
120
Nell’Asklepieion di Atene era ancora praticata l’incubazione terapeutica nella seconda metà del V secolo d.C.,
ai tempi di Proclo e Domnino: Marin. V. Procl. 29, Suda s.v. Domninos.
Anfipoli e Thasos. Le aree sacre meglio conosciute (quelle di Pella, Dion e Anfipoli) restitui-
scono l’immagine caratteristica dei Thesmophoria, ubicati in posizione periurbana, ricchissimi
di statuette fittili femminili donate in voto dai fedeli e costellati di fosse scavate nel terreno
(megara) piene di ossa di ovini e suini121. Quest’ultima pratica prevedeva il seppellimento di
agnelli e maialini ed era compiuta secondo il mito in onore di Eubuleo, il quale al momento
del rapimento di Kore era precipitato nell’apertura attraverso cui la dea era stata trasportata
da Ade nel mondo infero, trascinando con sé i maiali che accudiva122. L’azione del megarizein
era legata alla successiva celebrazione dei Thesmophoria, quando si tornava a riprendere i resti
parzialmente decomposti, che venivano poi deposti sugli altari e infine sparsi nella terra con le
sementi, a propiziare un buon raccolto123.
In tutti i santuari di Demetra individuati l’inizio delle pratiche cultuali si colloca in una
fase relativamente alta (età arcaica a Dion e Thasos, età classica a Pella, Anfipoli e Lete), ma solo
il Thesmophorion di Dion continua ad essere frequentato dopo la conquista romana. All’in-
terno di questo temenos prosegue senza soluzione la celebrazione dei rituali tradizionali del
culto demetriaco, come dimostra la creazione nella prima età imperiale di un altare con eschara
nel settore settentrionale124 e di una seconda eschara nell’area centrale125; più a sud, vengono
costruiti due ambienti destinati alla lavorazione e all’immagazzinamento dei cereali, attività
lavorativa posta comprensibilmente sotto la protezione della dea delle messi126. Si tratta quindi
di evidenze riferibili in prevalenza ad un culto agrario, finalizzato a favorire tramite l’intervento
divino la fertilità dei campi, mentre secondaria appare la componente misterica e iniziatica; que-
sta potrebbe tuttavia essere indiziata dalla grande quantità di lucerne rinvenute, che sembrano
in età romana sostituire ogni altro tipo di ex voto127 e presuppongono un utilizzo cerimoniale
notturno evidentemente connesso a rituali segreti128.
Ad eccezione del santuario di Dion – caratterizzato peraltro da una complessità strutturale
notevole rispetto agli altri luoghi di culto di Demetra – restano da intuire le ragioni della scom-
parsa in epoca romana di tutti gli altri Thesmophoria del territorio macedone. Una spiegazione
può forse essere ricercata nel carattere magico e popolare del culto, di cui è complesso rico-
struire le origini ancestrali in termini di rinascita del mondo naturale e della società umana129. è
possibile che un’epoca di profondi cambiamenti sociali come quella della dominazione romana
abbia comportato la recessione di una forma di religiosità legata ai ritmi del mondo agricolo e ad
aspetti magico-superstiziosi, scalzata da una sensibilità religiosa diversa130. La pratica del culto
di Demetra sarebbe proseguita solamente nei santuari maggiori, dove era forse più radicata nella
vita cittadina e dove l’affluenza di fedeli era più consistente (e tale da rendere necessario l’appre-
stamento di specifiche strutture di servizio, come ad esempio, a Dion, le latrine pubbliche).
Al di fuori dei santuari di Demetra, gli unici altri luoghi di culto con funzioni misteriche
attestati nel territorio della Macedonia sono due santuari di Salonicco, quello di Dioniso e il
Serapeion: nel primo, i mystai sono citati nel testamento di una sacerdotessa del dio inciso su
121
Ben 20 fosse nel Thesmophorion di Pella, un largo pithos resecato e infisso nel terreno ad Anfipoli, numerose
escharai a Dion.
122
Schol. Luk. 275, 23-276, 28 Rabe; Clem. Al., Protr., 2, 17.
123
Burkert 2003, pp. 444-450, e Lippolis 2006, pp. 12-23.
124
Pingiatoglou 1996, p. 229.
125
Pingiatoglou 1992, p. 225.
126
Pingiatoglou 2003, pp. 427-430.
127
Pingiatoglou 1996, pp. 229-230.
128
Sulle cerimonie notturne nella cultualità di Demetra cfr. infra, pp. 131-132.
129
Sul problema cfr. Burkert 1970; Sfameni Gasparro 1986, pp. 180-194; Lippolis 2006, pp. 7-11.
130
Un simile processo si registra secondo Lippolis già da età ellenistica, quando si assiste alla riorganizzazione o
all’abbandono di diversi santuari: Lippolis 2006, p. 23.
un altare di marmo131; nel secondo, è stato rivenuto un rilievo votivo tardo-ellenistico con scena
di libagione e iscrizione di dedica a Oseivridi muvstei132, considerata una testimonianza dell’esi-
stenza nel santuario di pratiche misteriche. Nel primo caso, lo svolgimento di rituali misterici
nel culto dionisiaco è un fatto tutt’altro che inusuale, e diventa particolarmente frequente in età
romana, quando prolificano le associazioni religiose legate al nome del dio, private o talvolta
anche gestite dalla città: synodoi di mystai di Dioniso sono infatti attestati in epoca imperiale
in tutta la Grecia e in Asia Minore133. Più che rituali orgiastici caratteristici del cerimoniale dei
primi thiasoi bacchici, si tratta in quest’epoca di celebrazioni composte e ufficiali compren-
denti generalmente un banchetto, competizioni di tipo iniziatico tra i giovani, festeggiamenti
fino a tarda notte e talvolta pure rappresentazioni teatrali134. Non possediamo tuttavia alcun
documento relativo alle celebrazioni tenutesi a Salonicco, dove il citato testamento (datato al
III secolo d.C.) riporta solo lo svolgimento di un sacrificio funebre e i nomi di due thiasoi di
Dioniso – Prinophoroi e Dryophoroi – forse riferibili ad attività di commercio di legname e
probabilmente legati al culto ufficiale cittadino del dio135. Un’altra iscrizione riporta invece un
altro rituale magico-misterico celebrato nel santuario: in essa viene onorato un sacerdote di
Dioniso che rivestiva anche la funzione di ydroskopos136, ovvero che esercitava una forma di
divinazione tramite l’osservazione dell’acqua.
Non molto di più conosciamo dei riti misterici che si svolgevano nel Serapeion. Il rilievo
dedicato a Oseivridi muvstei, datato alla metà del II secolo a.C., raffigura una classica scena
di sacrificio: un uomo ed una donna, con in mano rispettivamente una patera ed un sistro, si
apprestano a compiere una libagione su un altare quadrato. La celebrazione di pratiche misteri-
che è documentata inoltre da un passo dell’aretalogia isiaca rinvenuta nel temenos, dove la dea
dichiara di averne insegnato l’esercizio agli uomini (ejgw;][muhvsei~ ajnqrwvp]oi~ ejpevdeixa)137.
Indizi ancor più precisi ci derivano però da un altro documento epigrafico, una stele di marmo
con il rilievo del dio Anoubis e una dedica da parte degli iJerafovroi sunklivtai del dio138: si
tratta di un’associazione privata di culto, i cui membri, come indica il secondo termine, consu-
mavano pasti comuni (sunklivtai). Il significato del termine iJerafovroi è illustrato da un passo
del De Iside et Osiride di Plutarco, che spiega che Iside “svela i misteri divini (ta; qei'a) a coloro
che veramente e giustamente sono chiamati hieraphoroi e hierostoloi; questi sono coloro che
all’interno della loro anima, come all’interno di uno scrigno, portano le sacre scritture sugli
dèi depurate da ogni superstizione e pedanteria, e le nascondono con segretezza”139. Secondo
lo scrittore, dunque, si tratterebbe di un gruppo di individui che partecipavano ai misteri del
culto isiaco, oltre ad avere, come indica il loro nome, il compito di portare le suppellettili sacre
al dio durante le processioni140. Saremmo allora di fronte ad una ben strutturata organizzazione
cultuale, con uffici precisi nelle celebrazioni canoniche e iniziata ai segreti della religione egizia,
presente in diversi centri di culto oltre che a Salonicco: le iscrizioni documentano l’esistenza
di hieraphoroi anche a Tebe, Cheronea, Samo e Pergamo141. Tali documenti acquisiscono parti-
131
Infra, iscrizione Salonicco 47 (IG X, II.1, 260; Edson 1948, p. 167).
132
Edson 1948, p. 182; IG X, II.1, 107. L’iscrizione viene datata alla metà del II sec. a.C.
133
Cfr. Festugière 1972, pp. 13-32; Lo Monaco 2009, p. 66.
134
Si veda ad esempio la festa organizzata presso il tempio di Dioniso a Phigalia, in Arcadia, riportata da Ateneo:
Ath., IV, 148-149, a-c.
135
Edson 1948, pp. 176-178.
136
Infra, iscrizione Salonicco 45; Edson 1948, pp. 162-164.
137
Infra, iscrizione Salonicco 22 (IG X, II.1, 254, ll.11-12).
138
Infra, iscrizione Salonicco 30 (IG X, II.1, 58).
139
Plut., De Is et Os., 3 [352b].
140
Edson 1948, pp. 184-186.
141
Vidman 1969, nn. 52 (da Tebe), 62 (da Cheronea), 254 (da Samo-Vathy), 313 (da Pergamo). Tutte queste
iscrizioni si datano ad età imperiale.
colare rilevanza se si considera che i misteri nella religione egizia rappresentano in generale un
aspetto secondario e di limitata diffusione nel mondo mediterraneo, al punto che si è parlato di
rituali tutt’altro che segreti, celebrati pubblicamente e non riservati ai soli iniziati142.
142
Dunand 1973c, pp. 247-248.
143
Collart 1937, pp. 112, 428-430.
144
Koukouli-Krysanthaki in LIMC, VIII, 1, pp. 944-948.
145
Tiverios 2008, pp. 80-82.
146
Huysecom-Haxhi 2009, pp. 600-604.
147
Salviat 1959, ll. 17-18.
148
Infra, Parte III, Thasos, iscr. nn. 2 e 3.
149
Infra, Parte III, Thasos, iscr. n. 5 (=IG XII, Suppl., 387). Questa ipotesi non è però ritenuta convincente da
Dunant, Pouilloux 1958, p. 179, poiché si tratta dell’unica testimonianza relativa all’esistenza di “misteri” di Ar-
temide.
dea sia rivolta prevalentemente da donne dell’alta società cittadina, che continuano a porre le
loro statue nel recinto rettangolare della terrazza superiore del temenos fino al II (e forse al III)
secolo d.C., al punto che si è ipotizzata una qualche forma di culto riservato all’élite femminile
della città150. Parrebbe trattarsi, comunque, di una venerazione dotata di caratteri di ufficialità:
lo dimostra in particolare l’iscrizione sulla base della statua di Cleopatra, figlia di Antianax,
consacrata per volere del demos151.
Una lunghissima tradizione di culto è documentata anche per Artemide Tauropolos ad
Anfipoli. In età classica ed ellenistica il santuario è così importante da essere oggetto dell’atten-
zione di Alessandro Magno, che progetta di ricostruirne il tempio152, e da costituire il soggetto
di un’opera letteraria153. La continuità della venerazione della dea è documentata ancora in età
imperiale avanzata dalla sua raffigurazione sulle emissioni monetali della città154: la natura e
le caratteristiche del culto in questo periodo ci sfuggono completamente, ma la persistenza
della figura della Tauropolos nella documentazione ufficiale (come le monete) sembra voler
enfatizzare l’antica origine greca e le tradizioni
ancestrali del centro, che peraltro mantiene in
età romana le sue istituzioni locali e un certo
grado di autonomia155. Il culto diventa quindi,
in questo caso, uno strumento per riaffermare
la propria identità civica in un contesto politico
e sociale ormai profondamente mutato.
Tutt’altro carattere presenta il culto rivol-
to ad Artemide – o meglio Diana – a Filippi.
La sede del culto è localizzata solo ipotetica-
mente in un santuario rupestre alle pendici
dell’acropoli, del quale si conservano solo un
altare marmoreo, una nicchia rettangolare e al-
cuni rilievi ed iscrizioni votive rivolte a Diana
e ad altre divinità (Giove, Apollo ed una divi-
nità sconosciuta); alla dea sono dedicati rilievi
ed iscrizioni anche al di fuori di quest’area, per
un totale di 89 attestazioni concentrate nella
zona dell’acropoli (fig. II.4). Come è stato già
sottolineato156, si tratta di una figura divina to-
talmente greco-romana nell’iconografia e nel
nome, venerata come cacciatrice da fedeli quasi
esclusivamente romani nella piena età imperiale
e priva, a quanto pare, di funzioni iniziatiche.
Da ultimo, completa il quadro dei santua-
ri di Artemide in Macedonia l’area sacra a lei Fig. II.4 - Filippi, rilievi votivi raffiguranti Diana nella
dedicata, fino al III sec. a.C., a Dion. Poco co- parete rocciosa dell’acropoli (da Collart 1937, tavv.
nosciamo, allo stato attuale, dell’articolazione LXXII, 1, LXXIV, 1).
150
Cfr. Dunant, Pouilloux 1958, p. 179.
151
Infra, Parte III, iscr. Thasos 6, p. 357 = IG XII, Suppl., 384.
152
D.S., XVIII, 4.5.
153
Un decreto del III sec. a.C. (SEG 28, 534, ll. 4-10; Ergon, 1978, p. 16; BullEp, 1979, 271; BCH, 103, 1979, p.
590, fig. 150) onora un illustre personaggio autore di ricerche sulla storia di Anfipoli e di un libro sulla dea.
154
Gaebler 1935, p. 41, n. 77, pl. X.24 (età domizianea); Head 1963, p. 58, n. 120 (età di Commodo).
155
Kremydi-Sicilianou 2005, pp. 101, 104.
156
Supra, p. 90; Collart, Ducrey 1975, pp. 222-225.
del temenos prima della sua “ridedicazione” ad Iside: nessuna struttura, ma una base dedicata
ad Artemide Eileithyia157, una statua acefala della stessa dea, abbigliata alla maniera arcaica con
lungo chitone e doppia torcia nella mano sinistra158, la statua di Afrodite Hypolympidia e una
statua di fanciullo con un uccello nella mano sinistra159. L’epiclesi Eileithyia e le prerogative
ereditate poi da Iside – venerata come Lochia – indicano anche in questo caso una funzione di
protezione delle partorienti, mentre resta dubbio se il culto possedesse anche carattere inizia-
tico: indizi a sostegno sembrerebbero il rinvenimento della statua di fanciullo con uccello in
mano, interpretabile come offerta di un giovane alla vigilia del passaggio alla società adulta160,
un rilievo di forma circolare raffigurante la dea a cavallo di un capro e un rilievo di forma qua-
drata con un gallo161.
In conclusione, è possibile notare una considerevole fortuna e diffusione delle pratiche mi-
steriche e iniziatiche nei santuari della Macedonia in età romana. Entrambe le prerogative non
rimangono limitate alla sfera di competenza delle divinità tradizionalmente preposte a questi
aspetti, ma si estendono anche a figure divine diverse (come ad esempio gli dei egizi a Salonicco)
o a nuove forme rituali (gli affrancamenti per consacrazione, che traslano il passaggio da età
infantile ad età adulta nel passaggio dalla condizione servile a quella libera). Non si tratta però
di uno sviluppo ubiquitario e generalizzato, ma di pratiche che riguardano solo alcuni luoghi
di culto, dotati di una particolare vitalità cultuale o caratterizzati da un particolare tipo di fre-
quentazione. Il motivo dell’espansione di queste pratiche in età romana risiede probabilmente
nel diffuso desiderio, in un’epoca di profondi mutamenti, di evadere dal reale e di garantirsi,
tramite l’iniziazione, l’immortalità dell’anima in un mondo ultraterreno162.
157
Pandermalis 1994, p. 390.
158
Pandermalis 1982, p. 734, fig. 8; Pandermalis 2000, p. 97.
159
Pandermalis 1982, p. 732.
160
Questo tipo di ex voto, tuttavia, si trova spesso anche come dedica delle madri in ringraziamento di una ma-
ternità positivamente compiuta sotto la tutela divina.
161
Simbolo iniziatico: Huysecom-Haxhi 2009, p. 594-595. Per i materiali, cfr. Pandermalis 2000, p. 107.
162
Cfr. Dunand 1973c, pp. 251-252, riguardo la diffusione dei misteri isiaci in età imperiale.
163
Cfr. supra, Parte I, pp. 53-61.
164
Per l’Asia Minore rimane fondamentale il lavoro di Price (Price 1984); su Atene, Graindor 1927 e 1931,
Baldassarri 1988, Baldassarri 2001, Lozano 2002, Kantiréa 2007a.
165
Liv., 45, 32, 8-10; Plut., Aem., 28, 7. Sul significato del viaggio e delle feste, Ferrary 1988, pp. 554-572.
il suo intento di presentarsi come condottiero eusebes e philellenos, inaugurando tra l’altro, con
l’organizzazione degli agoni, una consuetudine che avrà grande fortuna nei secoli successivi. Ai
primi tempi della dominazione romana risalgono anche due documenti epigrafici rinvenuti in
Macedonia, attestanti il culto dei ÔRwmai'oi eujergevtai166, probabilmente istituito in occasione
della liberazione della Macedonia da Andriskos.
Su queste basi – a loro volta fondate, come si è detto, nella venerazione tradizionalmente
rivolta nel mondo ellenistico ai benefattori e alle singole figure reali, quali in primis, in Mace-
donia, Alessandro Magno167 – si innesta il culto dell’imperatore, che anche nell’area macedone
è attestato sin dai primi anni del regno di Augusto. Spazi dedicati alla venerazione del nuovo
sovrano nascono infatti già alla fine del I secolo a.C. a Kalindoia e, pochi anni dopo, a Salonic-
co: nel primo caso si tratta di lussuosi ambienti affacciati probabilmente sull’agora cittadina,
mentre a Salonicco si decide di riconsacrare all’imperatore un’antica struttura templare, con
un’operazione la cui valenza simbolica è già stata vigorosamente sottolineata.
Gli studiosi del culto imperiale nel resto della Grecia hanno individuato i passaggi attra-
verso i quali nel corso dei primi anni dell’età augustea venne elaborata nell’area ellenica la con-
cezione della divinità dell’imperatore. I primi onori che Ottaviano accetta in Grecia dopo la
battaglia di Azio sono documentati da alcune dediche provenienti da Atene, Delo, Ceo, Olim-
pia e dal santuario della Muse a Tespi, nelle quali egli è indicato ancora come Qeou' uiJov~168. Allo
stesso modo, nella delibera onorifica di Kalindoia169 Apollonios figlio di Apollonios figlio di
Kertimos è indicato come sacerdote Dio;~ kai; ÔRwvmh~ kai; Kaivsaro~ qeou' uiJou' Sebastou' ed è
ricordata la sua dedica di una statua di Cesare, ad indicare come la venerazione dell’Augusto
passi ancora attraverso quella del padre divinizzato e l’associazione a Zeus. Ben presto però
si afferma la titolatura di Qeov~, presente ad esempio in una serie di altari, stele e basi di statue
rinvenute in diverse città della Tessaglia170, che lo onorano probabilmente in ringraziamento
della libertà dai tributi (concessa ancora da Cesare, perduta con Marco Antonio e restaurata
da Ottaviano) e dell’ampliamento dei suoi territori171. Non è possibile in questa sede operare
un censimento completo delle iscrizioni in onore degli imperatori rinvenute nel territorio della
Macedonia, ma si può affermare ugualmente che tutti i principali centri urbani dell’area non
mancarono di omaggiare la nuova autorità regnante già nei primi anni del suo governo: oltre a
Kalindoia, si possono ricordare Thasos172, Salonicco173, Filippi174 e altri centri minori175.
I primi successori di Augusto seguitano a farsi attribuire onori divini e a consolidare il
culto dinastico, come dimostrano vari documenti. A Claudio e a suo padre Druso è dedicata
166
Un’iscrizione proviene da Lete ed è datata al 119 a.C. (Duchesne, Bayet 1876, pp. 80, 127, ll. 37 e ss.);
una seconda è stata rinvenuta a Salonicco, e risale al 95 a.C. (IG X, II.1, 4, ll. 10-11). Cfr. Papazoglou 1979a, pp.
307-308.
167
Sul culto tributato ad Alessandro Magno si vedano Goukowski 1978, Goukowski 1981, Virgilio 1999, pp.
29-43.
168
Kantiréa 2007a, pp. 41-45.
169
Infra, Parte III, iscr. Kalindoia 1.
170
IG IX, 2, 93 (da Echinos); IG IX, 2, 425 (Pherai); SEG 51, 2001, 730 (Phalanna); SEG 51, 2001, 677 (Trikke);
IG IX, 2, 604 (Larisa); IG IX, 2, 1288 (Halos); SEG 43, 1993, 241 (Atrax); IG IX, 2, 424 (Pherai).
171
Bowersock 1965, p. 97.
172
Dunant, Poilloux 1958, p. 61, n. 177. L’esistenza in città di “templi degli Augusti” è documentata da
un’iscrizione del I sec. d.C. (Dunant, Pouilloux 1958, p. 76, n. 185), ma tali edifici non sono stati localizzati (si
veda, per le ipotesi, Dunant, Pouilloux 1958, p. 59, nota 4). Sempre a Thasos, nel I sec. d.C. vengono realizzati
anche la corte con esedra a nord dell’agora, destinata ad ospitare statue onorifiche forse della famiglia imperiale, e il
monumento alla famiglia di Augusto nell’agora (Grandjean, Salviat 2000, pp. 60, 73).
173
IG X, II.1, 31; SEG 43, 457.
174
Si veda il monumento delle sacerdotesse di Livia nel foro della colonia (infra, Parte III, Filippi 9).
175
Kalamona (Edonis): Dimitsas 1896, p. 1089.
un’iscrizione rinvenuta a Filippi nelle fondazioni del tempio orientale del foro di II secolo176, ri-
tenuta un indizio dell’esistenza già in questa fase di un edificio per il culto imperiale. Allo stesso
imperatore sono dedicati inoltre una statua nel tempio di Salonicco177, un monumento a Bero-
ia178 ed uno a Thasos179. Tale benevolenza da parte greca è probabilmente la conseguenza della
sua politica nei confronti del mondo ellenico, con il suo dichiarato rispetto per la religione, la
lingua e le istituzioni locali e la concessione della cittadinanza romana ai membri delle élites
locali180. Solo con Nerone si ha però un vero e proprio atteggiamento “filellenico” (nel senso di
una viscerale passione per la Grecia), da lui chiaramente manifestato durante il suo viaggio del
66-67 d.C., quando dichiara liberata l’Acaia, sottraendola agli oneri tributari fissati per statuto
provinciale181. Prima di raggiungere Corinto, l’imperatore fa tappa a Corcira, esibendosi nel
canto davanti all’altare di Zeus Kassios182, e a Nicopoli, dove partecipa agli Aktia (poiché mira,
con le successive vittorie a Pythia, Isthmia, Nemeia, Heraia e Olympia, a diventare periodoni-
kes183). Com’è noto, tuttavia, molto minore è il consenso popolare ottenuto da Nerone rispetto
al suo predecessore Claudio, e limitate sono le iscrizioni in suo onore rinvenute in Macedonia
(senza dubbio anche a causa della damnatio memoriae)184.
Gli imperatori della dinastia flavia mantengono un comportamento più moderato nei con-
fronti del mondo ellenico. L’Acaia torna con Vespasiano (nel 74 d.C.) ad essere una provin-
cia senatoria, privata dello statuto amministrativo privilegiato voluto dall’ultimo dei Giulio
Claudi. L’imperatore e i suoi successori sono comunque onorati in numerose città della Grecia
centrale185, mentre in Macedonia appaiono limitate le attestazioni del loro culto: possiamo però
citare una dedica a Vespasiano da Beroia186, un’iscrizione in onore di Tito pure da Beroia187 e
una statua di dimensioni colossali dello stesso imperatore posta nel foro di Salonicco, secondo
alcuni in un edificio dedicato al culto imperiale ipoteticamente localizzato sul lato nord della
piazza188.
Con il II secolo riprende con maggior vigore la consuetudine onoraria nei confronti degli
imperatori, certo in risposta alla loro politica decisamente favorevole nei confronti della Gre-
cia. Procedendo in ordine cronologico, va ricordata la Neokoria concessa da Nerva alla città di
Beroia189, che dunque diviene ufficialmente la principale sede delle celebrazioni in onore degli
Augusti; al suo successore Traiano è invece attribuito un ripristino della via Egnazia dopo un
lungo periodo di abbandono190. Egli è chiamato to;n kravtiston in un’iscrizione rinvenuta a
176
Sève 2004, pp. 37-38, 411-412, fig. 1.
177
Vocotopoulou 1995, pp. 2467-2468 = Despinis, Stefanidou-Tiveriou, Voutiras 2003, pp. 113-115.
178
Tataki 1988, p. 447.
179
Dunant, Pouilloux 1958, p. 70, n. 181. è significativo che in una lettera precedentemente inviata ai tasii
l’imperatore rifiuti la dedica di un tempio in suo onore: Dunant, Pouilloux 1958, p. 67, n. 179.
180
Levick 1990, p. 178; Kantiréa 2007a, p. 78, note 8-9. Anche nella Grecia centro-meridionale sono numerose
le testimonianze in onore di Claudio.
181
Suet., Nero, 24, 5; D. Chr., LXIII, 11, 1. Su questa “liberazione” (i cui dettagli amministrativi e fiscali non
sono chiari) si vedano Gallivan 1973, Pavan 1984, Halfmann 1986, pp. 33-34, 173-177; sul significato anche po-
litico del viaggio in Grecia, Levy 1991.
182
Suet., Nero, 22, 9.
183
Levy 1985; Kennell 1988.
184
IG X, II.1, 130-131, da Salonicco; forse sua è una statua loricata proveninete dal tempio “tardo-arcaico”
(Tasia, Lola, Peltekis 2000, pp. 234-235, fig. 19). Da Thasos proviene inoltre l’inizio di una lettera (martellata per
damnatio memoriae) dell’imperatore alla città: Dunant, Pouilloux 1958, p. 75, n. 184.
185
Kantiréa 2007a, pp. 84-87.
186
EKM I, Beroia 61.
187
EKM I, Beroia 62.
188
Stéfanidou-Tivériou 2001. Da Salonicco proviene anche una dedica della città a Domiziano: IG X, II.1, 34.
189
EKM I, Beroia 117.
190
Fasolo 2005, p. 100.
Doxato, in Edonide (a nord di Filippi)191, e in una testa di dimensioni colossali rinvenuta a Dion
è raffigurato con una corona di alloro sul capo ed un medaglione circolare al centro della fronte,
recante la rappresentazione di un busto di Zeus192.
Al nome di Adriano, comprensibilmente, si legano un cospicuo numero di documenti, tra
cui vanno citate in primis le statue offerte da Dion, Thasos, Anfipoli e Salonicco in occasione
della creazione del Panhellenion193, oltre alla statua collocata nel tempio di Salonicco194 e alle
dediche rinvenute a Filippi195. Non meno presenti nelle iscrizioni dell’area macedone sono gli
Antonini196, al cui regno, come si è visto, risalgono grandi lavori di monumentalizzazione nel
foro di Salonicco (durante il regno di Antonino Pio197) e nel foro di Filippi (sotto Marco Au-
relio198).
Le attestazioni del culto imperiale restano frequenti nel III secolo199. Le città più impe-
gnate a mantenere stretto il proprio rapporto con il potere governativo sembrano Salonicco
e Beroia, da sempre in competizione per il privilegio della Neokoria, che entrambe ottengono
(Beroia per la seconda volta) durante il regno di Gordiano III200. Si devono inoltre ricordare
alcune attestazioni in onore di Caracalla, cui viene dedicato un arco di trionfo a Thasos201. Agli
imperatori continua ad essere tributato culto anche quando le divinità tradizionali cessano di
essere venerate, soppiantate dalla diffusione del Cristianesimo; allora l’Augusto rimane oggetto
di venerazione non perché egli stesso dio, ma in quanto garante dell’ordine divino e investito
della Gratia Dei202.
1.7 Epilogo
L’analisi sin qui condotta dei diversi tipi di culto presenti nei santuari della Macedonia
in età romana delinea in conclusione un quadro piuttosto nitido dei mutamenti occorsi nella
regione, non solo nella sfera religiosa ma anche, come già anticipato, dal punto di vista sociale
e politico.
Ciò è particolarmente evidente nel quadro religioso dell’età della conquista (II-I sec. a.C.),
che vede nella regione un annullamento (temporaneo o definitivo, repentino o graduale) dei
culti poliadici e dotati di forte connotazione pubblica. Riepilogando, in Macedonia sono colpiti
i santuari di Atena ad Oisyme, di Eukleia ad Aigai, di Zeus Olympios a Dion, degli Dei egizi
a Salonicco e di Asclepio a Beroia, che sono oggetto di distruzioni o perdono il ruolo simbo-
191
Dimitsas 1896, p. 1086.
192
Pandermalis 2002, pp. 103-104, pl. 27 A-C. Supra (Parte I, pp. 72-73) si è interpretato questo ritratto come
un tentativo di assimilazione tra la figura divina e la figura imperiale.
193
Spawforth, Walker 1985, pp. 79-81.
194
Th. Stefanidos-Tiveriou in Despinis, Stefanidou-Tiveriou, Voutiras 2003, pp. 140-146, figg. 776-780.
195
Infra, Parte III, iscr. Filippi 10-11.
196
Da Beroia: EKM 1. Beroia 65, EKM 1. Beroia 8-9. Da Anfipoli: SEG 47, 874. Da Paleokastro: EAM 35. Da
Salonicco: IG X, II.1, 15; Makedonika, 9, 1969, 143, 45, b; IG X, II.1, 137; IG X, II.1, 36. Da Stobi: JÖAI, 28, 1933,
134, 4. Da Filippi: Pilhofer 2009, nn. 231, 254.
197
Allamani-Souri 2003, pp. 85-87.
198
Collart 1937, pp. 329-362; Seve 1979; Seve, Weber 1986.
199
EKM 1, Beroia 66-68 (da Beroia); SEG 51, 838 (da Pella); Pilhofer 2009, nn. 205, 224, 349 (da Filippi); IG
X, II.1, 138-141 (da Salonicco).
200
Burrell 2004, pp. 195-199.
201
Marc 1993, Grandjean, Salviat 2000, pp. 146-147; non è certo che esso sia stato eretto in occasione di una
visita dell’imperatore alla città. Una dedica a Caracalla proviene da Beroia (EKM I, Beroia 67) e un’iscrizione rinve-
nuta nel foro di Filippi commemora inoltre la sua vittoria sui Germani nel 213 (Pilhofer 2009, n. 224).
202
Si veda ad esempio il caso di Salonicco: Adam-Veleni 2003, pp. 168-172.
lico che detenevano in passato. Una situazione simile si riscontra anche nelle regioni elleniche
contigue alla Macedonia: in Tessaglia terminano le loro attività i santuari di Atena a Gonnoi,
di Atena Polias a Tebe Ftie, di Atena Polias a Larisa, di Enodia e Zeus Thaulios a Pherai203; in
Epiro scompaiono le aree sacre di Artemide ad Apollonia e di Apollo Pythios ad Ambracia, de-
cade progressivamente l’Heraion di Corcira, e vengono devastati dalle truppe romane i santuari
di Zeus a Dodona e Passaron204. L’estensione di questo fenomeno, osservato in tutta la Grecia
settentrionale, e la concomitanza con le operazioni di conquista da parte dei Romani suggerisce
che non si tratti semplicemente del tramonto di alcune forme devozionali, bensì (sebbene solo
in alcuni casi sappiamo con certezza che ci fu una meditata distruzione) di una precisa strategia
dei conquistatori, volta ad eliminare quei culti che impersonavano l’identità civica dei centri
urbani che si volevano sottomettere.
Al contempo, si delinea in questa fase una notevole diffusione di culti “insoliti” rispetto
al pantheon greco tradizionale. In Macedonia continuano infatti ad essere frequentati senza
cesure (e talvolta si attivano proprio in questo periodo) santuari di divinità di provenienza
orientale (Zeus Hypsistos ad Edessa, Cibele a Pella, Attis ad Anfipoli, Syria Parthenos ad Agios
Nikolaos), egizia (Iside e Serapide a Dion e Salonicco, Zeus Ammon ad Aphytis) ed anche
tracica (l’eroe Aulonites a Pangaion). Anche in questo caso, le ragioni del fenomeno debbono
probabilmente essere ricondotte al contesto socio-politico in rivolgimento: si tratta da un lato
(soprattutto per quanto riguarda le divinità orientali ed egizie) del processo di formazione di
una complessa e variegata koine cultuale, iniziato già in epoca ellenistica e destinato a sviluppar-
si ulteriormente nel corso dell’età imperiale, dall’altro della reazione agli sconvolgimenti causati
dalla conquista romana, che conduce alla venerazione di divinità salvifiche o con prerogative
magico-misteriche che consentono una fuga dal mondo reale in crisi.
La fortuna di questi culti rimane pressoché invariata nei secoli successivi. Le uniche in-
novazioni, dal punto di vista religioso, saranno, a partire dall’età augustea, quelle legate all’in-
troduzione del culto imperiale; questo costituisce evidentemente un fatto politico, in quanto
finalizzato a consolidare l’egemonia romana nei territori conquistati, creando un legame tra
l’amministrazione centrale e quelle periferiche e conferendo alle oligarchie colte locali un ruolo
di primo piano nelle celebrazioni. Sul piano prettamente religioso, questo nuovo culto sembra
quasi prendere il posto dei culti civici e poliadici ormai scomparsi (come scomparso è del resto
il sistema istituzionale di cui essi erano parte integrante), perpetuandone la consuetudine delle
manifestazioni comunitarie – processioni, sacrifici, banchetti sacri, agoni – che ora come in
passato fungono da connettori sociali, ancora più importanti in una società che rischia di di-
sgregarsi e perdere la propria identità.
Va peraltro osservato come il culto dell’imperatore sia l’unico ad essere introdotto dai nuovi
dominatori, che per il resto non impongono nelle province la propria religiosità: un dato che può
essere letto a sostegno della ben nota tolleranza dei Romani in materia religiosa, ad indice della
“superiorità” in questo campo dei Greci (i cui culti sono invece penetrati a Roma), o ancora a pro-
va dell’assenza di una reale integrazione tra i due popoli. L’unico centro dove sono documentate
aree sacre dedicate a divinità romane (Liber Pater, Silvano e Diana) è la colonia di Filippi, dove esse
arrivano insieme ai coloni e vengono recepite principalmente dai ceti inferiori della popolazione.
203
Sul santuario di Atena a Gonnoi: Helly 1973, pp. 147-148. Sul santuario di Atena Polias a Tebe Ftie: Prakt.,
1908, pp. 163-164. Sul santuario di Atena Polias a Larisa: Tziafalias 1994. Sul santuario di Pherai: Ostby 1994, con
bibl.
204
Artemide ad Apollonia: Dimo et al. 2007. Apollo Pythios ad Ambracia: Vocotopoulou 1969. Heraion di
Corcira: Kalligas 1969. Sulla distruzione del santuario di Dodona: Plb., 30, 15; Liv., 45.5-6; Strab., 7.7.3; Plin., NH,
4.10.39; D.S., 7.7.3; Plut., Aem. Paul. 29; App., Illyr. 10.9. Sulla distruzione del santuario di Passaron: Evangelidis
1952, p. 311.
Per il resto, con il trascorrere del tempo il quadro cultuale della Macedonia pare cristalliz-
zarsi in un sistema consolidato e stabile, composto sostanzialmente da santuari di antica tradi-
zione (come ad esempio l’Artemision di Thasos, il santuario di Eukleia a Verghina, il santuario
di Demetra a Dion), mantenuti in vita e anzi talvolta ristrutturati o ricostruiti, e santuari dal
forte significato ideologico, legati alla figura dell’imperatore (quali i Sebasteia di Kalindoia e
Salonicco). Non vi è forse, in questo aspetto, molta differenza da quanto si riscontra nel cam-
po architettonico, artistico e letterario con il movimento della Seconda Sofistica sviluppatosi
in questo stesso periodo, che vede la generale tendenza a preservare la memoria del passato
glorioso (e ormai scomparso) della Grecia in un estremo tentativo di riaffermazione della sua
importanza205.
Un novità si registra invece nel quadro cultuale in età imperiale avanzata, quando si assiste
alla nascita (o meglio rinascita) di un’ampia serie di luoghi di culto dedicati a divinità (Apollo
Eteudaniskos, Pasikrata, Mâ, Artemide Gazoria, la Madre degli Dei Autoctona, Artemide Di-
gaia Blaganitis) appartenenti all’antico pantheon macedone pre-ellenico, tutte legate alla pratica
dell’affrancamento per consacrazione. Se la frequenza di tale pratica di manumissio può forse
riflettere un cambiamento nell’organizzazione del sistema agricolo (con la sostituzione del la-
voro servile con il lavoro di personale di condizione libera)206, o, come è stato pure supposto,
va messa in relazione con la politica severiana, volta a limare le differenze di status politico
all’interno dell’impero (fino alla promulgazione della Constitutio Antoniniana)207, non si può
escludere che dal punto di vista religioso il riemergere di devozioni locali molto antiche possa
significare l’esigenza di ritornare ad un credo più intimistico e vicino al fedele.
Sono queste o simili figure divine, prive di connotazioni ufficiali e dotate invece di una
forte connotazione soteriologica, a ricevere la venerazione della popolazione macedone anche
quando quasi tutti gli altri santuari sono abbandonati, e fino alla scomparsa della religione pa-
gana di fronte al definitivo affermarsi del Cristianesimo. Con il IV secolo, tuttavia, anche questi
santuari cessano le loro attività: assistiamo così alla definitiva crisi della religione greca, che, pur
modificata e rinnovata da apporti esterni durante il dominio romano, aveva connotato l’identità
del popolo ellenico per circa dodici secoli.
205
Alcock 2001, p. 330.
206
Supra e Alcock 1993, p. 289; Hatzopoulos 2004, p. 51.
207
Bourazelis 1989, pp. 82-83; Rizakis, Touratsoglou 1999, p. 95.
I luoghi di culto vitali (con diverse modalità e in diversi periodi) in età romana in Mace-
donia hanno restituito non pochi documenti relativi alla loro ritualità religiosa, ovviamente
differenziata a seconda delle caratteristiche e della funzione della divinità venerata.
Lo straordinario sviluppo che nel capitolo precedente abbiamo visto interessare soprat-
tutto i santuari delle divinità con funzioni iatriche, prerogative soteriologiche o di provenienza
egizia e orientale fa sì che sia da questi luoghi di culto che ci proviene il maggior numero di
testimonianze della vita rituale.
1
Infra, Parte III, iscr. Beroia 1 = EKM I, Beroia 18.
2
Si è già sottolineata l’importanza del santuario di Asclepio a Beroia, i cui sacerdoti in età ellenistica godevano
dell’esenzione dai tributi e ricoprivano la funzione di arconti eponimi. Non è escluso che nel temenos potessero
esserci due ejgkoimhthvria, come nel caso dell’Asklepieion di Pergamo: Suàrez de la Torre 2009, p. 43.
3
Ar., Plut., vv. 653-747; si vedano inoltre le strutture per la purificazione (fontane, pozzi, canalizzazioni) degli
Asklepieia di Epidauro e Messene (cfr. da ultimo Melfi 2007, pp. 265-267).
4
Infra, Parte III, iscr. Beroia 2 = EKM I, Beroia 41, ll. 5-6.
5
Martin 1940.
6
Salviat 1956. Anelli di ferro per legare le vittime sacrificali sono frequentemente attestati in ambito sacro e in
relazione al culto di svariate divinità: oltre ai santuari di Zeus Olympios e Zeus Hypsistos a Dion, si ricordano ad
esempio i casi dei santuari di Apollo a Claros (de la Genière 2001) e di Apollo a Cirene (BCH, 79, 1949, pp. 544-
545). Cfr. Robert 1955, pp. 44-45.
7
Dunand 1973c, pp. 197-199.
8
Infra, Parte III, iscr. Salonicco 3 = IG X, II.1, 83.
9
Juv., VI, 526-529; Serv., In Aen., II, 116.
che, considerata vera sede della divinità, era oggetto di cure al pari di un essere vivente: a Sa-
lonicco è attestata l’offerta da parte di una coppia di fedeli di orecchini d’oro con gemme per
adornarla10, secondo prassi attestate anche a Pegamo e a Delo11. In onore del simulacro divino o
in occasioni festive si svolgevano anche le processioni sacre, i cui partecipanti erano organizzati
e suddivisi con precisione a seconda della funzione svolta, al punto da riunirsi talvolta in vere
e proprie associazioni cultuali: è il caso degli hieraphoroi synkletai di Salonicco12, incaricati di
portare gli oggetti di culto, o di numerosi altri gruppi ricordati dalle iscrizioni in altre aree della
Grecia (canephoroi, pastophoroi, ecc.13). Il momento del vero incontro tra fedele e divinità av-
veniva però in forme molto dirette e personali, come nel caso dell’apparizione in sogno del dio
che dava precise indicazioni ed ordini ai supplicanti in merito alle loro richieste. Tale pratica
dell’incubatio è documentata in Grecia a Delo e ad Atene14; nel santuario di Salonicco è sugge-
rita dalle formule kat∆ejpitaghvn o kat∆o[nar nelle iscrizioni votive15, che lasciano intuire l’esi-
stenza di un’apposita struttura destinata al sonno rituale nel temenos senza che tuttavia si possa
escludere che essa avvenisse anche in altre sedi esterne all’area sacra. Questa forma di rapporto
tra dio e devoti si riflette del resto anche nella letteratura religiosa: nella Receptio Dei Sarapidis
in Opuntem – un testo antico presente nei maggiori santuari delle divinità egizie (ed anche a
Salonicco16) che narra una sorta di “resoconto di fondazione” del Serapeion di Opunte – il dio
Serapide appare per due volte in sogno al suo fedele per comunicargli ordini rigorosi riguardo
l’introduzione del culto nella città.
Un aspetto non meno importante della ritualità della religione egizia e particolarmente
praticato nel Serapeion tessalonicense è quello dei pasti cultuali. Non si trattava, verosimilmen-
te, di riti di comunione (presenti ad esempio nei culti di Dioniso o di Mitra), ma la partecipa-
zione a pasti comuni presupponeva comunque una commensalità con il dio e la condivisione
di un nutrimento sacro17. A Salonicco l’organizzazione dei banchetti pare essere gestita da as-
sociazioni religiose autonome, quali gli hieraphoroi synkletai, devoti ad Anoubis18, e i synthre-
skeutai kleines theou megalou Sarapidos19. La sede dei convivi rituali non era necessariamente il
santuario, come farebbe supporre il rivenimento delle iscrizioni che citano le due associazioni
in siti esterni al Serapeion (l’una alla periferia di Salonicco (Eliadis), l’altra nelle mura orientali
della città).
Un documento relativo all’esercizio di questa stessa pratica conviviale proviene anche dal
santuario degli Dei Egizi di Filippi: un’iscrizione ricorda infatti la dedica di una mensa ad Iside
Regina da parte del suo sacerdote L. Titonius Suavis20, indubbiamente destinata ai banchetti
rituali. Meno sicura è invece l’interpretazione dei 4 subselia donati, come ricorda un altro testo
epigrafico, dal medico Q. Mofius Euhemerus in un loco adsig(nato) d(ecreto) d(ecurionum):
10
Salonicco 29 = IG X, II.1, 114.
11
A Pergamo due hieraphores offrono a Iside una tunica decorata con scene di culto, tre tuniche bianche e 80 fo-
glie d’oro (Vidman 1969, n. 313); a Delo negli inventari figurano corone d’oro, una piccola tiara, un piccolo kalathos
d’oro, una tunica, un mantello e una cintura deposti nel tempio di Iside (Roussel 1916, pp. 219-220, 238, 232).
12
Salonicco 30.
13
Vidman 1969, n. 709; Dunand 1973, p. 157.
14
Per Delo, cfr. Roussel 1916, p. 72, n. 1, ll. 49-51; ad Atene un’iscrizione di età adrianea attesta alcune offerte
fatte ad Iside da parte di una donna che riveste la funzione di ojneirokrivti" (interprete dei sogni) (Vidman 1969,
n. 16).
15
Salonicco 12, 39, 40, 41.
16
Salonicco 16 = IG X, II.1, 255. Copie del testo sono state rinvenute anche a Delo e ad Eretria: Dunand 1973a,
pp. 25, 42.
17
Dunand 1973c, pp. 209-212.
18
Salonicco 30.
19
Salonicco 42.
20
Filippi 24.
Tsohos li collega alla celebrazione di pasti rituali nel santuario o nella sede di uno dei thiasoi di
Iside21, ma l’utilizzo di una formula che abitualmente viene riferita ad un luogo pubblico sug-
gerisce che si tratti invece di un’offerta slegata da ogni destinazione religiosa. Nel santuario di
Filippi è attestata anche la pratica dell’incubatio, testimoniata questa volta dalla formula ex im-
perio in 3 delle iscrizioni recuperate in diverse zone della città22. Un rituale particolare e meno
conosciuto, invece, è indiziato dal rinvenimento di numerose lucerne, che lo stesso Collart
riferisce alla celebrazione di feste notturne come i Lucnavria23; l’esistenza di simili celebrazioni
(feste o più semplici rituali notturni) è dimostrata dal ritrovamento di lucerne anche in altri
santuari delle divinità egizie (Delo, Pompei, Eretria) e dalle testimonianze relative a “portatrici
di lampade” (lucnavptria, lampthrofovro") provenienti da Atene e Delo24.
Alcune interessanti indicazioni relative all’esercizio cultuale ci provengono infine dal san-
tuario di Iside di Dion25. Già l’organizzazione
planimetrica dell’area sacra, come sottolinea il
Pandermalis, possiede un significato simbolico
e rimanda al paesaggio sacro di Iside in Egit-
to: la lunga via colonnata in asse con il tempio
principale simboleggiava il Nilo, mentre i tori di
marmo trovati sui gradini dell’altare principale
rappresentavano il dio Apis (fig. II.6). Tale stu-
diata topografia religiosa rivestiva certamente
un ruolo primario nello svolgimento dei rituali
isiaci, dei quali possediamo tuttavia solo tracce
limitate. La più evidente è costituita dalla gran- Fig. II.6 - Dion, santuario di Iside, plastico ricostruttivo
de abbondanza di acqua in tutto il temenos, che dell’area sacra (da Pandermalis 1997, p. 24).
però non è semplicemente connessa alle pratiche di purificazione di cui si è parlato più sopra, ma
è essa stessa destinataria di culto forse ancor prima dell’insediamento nel sito della dea egizia26.
Oltre al fiume Vaphyras, che scorre a breve distanza dal santuario, va infatti segnalata la presenza
nell’area sacra di due sorgenti, l’una ubicata nel sito del tempietto dedicato ad Iside Tyche, il cui
interno è occupato da una vasca mistilinea, l’altra presso il tempio di Afrodite Hypolympidia,
dalla cui statua sgorgava l’acqua santa convogliata poi in un’ampia cisterna di marmo che occupa-
va tutto il pavimento del naos. è evidente che l’elemento idrico giocava qui un ruolo particolare,
senz’altro legato al fenomeno carsico di risorgenza del fiume Vaphyras che si inabissa con il nome
di Elicona nel cuore dell’Olimpo: un fenomeno portentoso ricordato nel mito di Orfeo, secondo
una versione del quale il fiume Elicona, nelle cui acque volevano lavarsi le mani insanguinate le
Baccanti responsabili dell’uccisione del musicista, evitò la contaminazione tuffandosi nel sotto-
suolo per riemergere solo ad una distanza di ventidue stadi con il nome di Vaphyras27.
A fianco dei rituali, purtroppo a noi ignoti, legati all’acqua, è documentata a Dion una
pratica molto più comune nel culto delle divinità egizie, ovvero quella dell’incubatio. La docu-
mentazione di supporto è costituita anche qui dalle formule nelle dediche votive che dichiarano
l’esecuzione di un ordine preciso ricevuto dalla dea (kat∆ejpitaghvn)28; è possibile inoltre ipo-
21
Tsohos 2002, p. 87.
22
Filippi 25, 29, 30. In tutti e tre i casi la formula è riferita alla dea Iside.
23
Collart 1929, p. 94.
24
Dunand 1973c, p. 220.
25
Va precisato che la divinità predominante del santuario è senz’altro Iside, alla quale tuttavia, come dimostrano
le iscrizioni votive (Dion 2, 12, 14), si affiancano anche Serapide e Anoubis.
26
Pandermalis 1997, p. 24.
27
Paus., IX, 30, 7-8.
28
Dion 4, 7.
tizzare che al sonno rituale fosse riservato uno degli ampi vani che occupano i lati lunghi del
temenos, ai due fianchi della via colonnata.
Nel novero dei culti di provenienza egizia va inserito anche quello di Zeus Ammon, pre-
sente sin da un’epoca molto antica ad Aphytis e caratterizzato da una ritualità almeno in parte
differente da quella degli altri culti nilotici. In primo luogo, l’importanza dell’altare – la prima
struttura sacra ad essere realizzata nel santuario nel V sec. a.C., prima ancora della costruzione
del tempio, e la prima struttura ad essere ricostruita nella prima età imperiale – e il rinveni-
mento di resti sacrificali indica il ruolo centrale del sacrificio nelle celebrazioni in onore del
dio; l’offerta di animali di grossa taglia, cui sembrano appartenere per lo più i resti, è tipica sia
delle cerimonie in onore di Zeus (si pensi alle ecatombi di Dion) sia di quelle in onore di Iside
e Serapide29. Al sacrificio seguiva probabilmente un banchetto sacro, come di consueto, che in
età imperiale poteva svolgersi nella grande sala trapezoidale situata nel settore settentrionale del
temenos: la funzione di questa stanza è indicata da un focolare collocato nell’angolo nord-est,
contenente ossi di animali e frammenti di vasellame per la preparazione e la conservazione dei
cibi30. Un ruolo non secondario rivestiva nel santuario anche l’acqua, che un apprestamento
all’interno di un tunnel nella roccia della grotta sacra di Dioniso faceva arrivare al temenos in
grande quantità31; in età imperiale (ma forse fin dalle origini) essa veniva impiegata principal-
mente per le sue virtù guaritrici, come testimonia la costruzione intorno alla metà del II secolo
di un balaneion per pratiche mediche poco più a nord del tempio32. Nulla si può arguire, invece,
riguardo l’oracolo di Ammon ricordato da Stefano di Bisanzio33.
29
Ad esempio, in un’iscrizione relativa a dei Serapeia proveniente dall’Egeo centrale sono citati dei sacrifici di
buoi (Vidman 1969, n. 147, l. 6).
30
Infra, Parte III, p. 298 e Tsigarida, Basileiou 2003, pp. 338-339.
31
Tsokas et A. 2005.
32
Tsigarida, Basileiou 2005.
33
St. Byz., s.v. Aphytis: evjsce de; hJ povli" mantei'on “Ammwno".
34
Caratteristiche e diffusione del culto dell’Hypsistos sono oggetto di un approfondito studio di S. Mitchell:
Mitchell 1999. Si veda per confronto il santuario di Zeus Hypsistos sull’acropoli di Edessa, che ha restituito solo
votivi (stele, altari) offerti al dio dai suoi devoti, in un rapporto diretto fedele-divinità: infra, Parte III, pp. 185-186.
35
Infra, Parte III, Dion - Santuario di Zeus Hypsistos, pp. 258-264.
36
Il testo dell’iscrizione (Dion 17 = SEG 53, 596, 1) non è stato infatti ancora pubblicato e non è stata proposta
alcuna interpretazione per il termine.
37
Iscrizioni Dion 22 e Dion 23.
38
D.S., XVII, 16, 3-4; D.S., XVI, 55, 1; Arr., Anab., I, 11, 1.
39
Cfr. supra, Parte I, pp. 62-63 e Falezza 2008.
40
Lancellotti 2002, pp. 75-84.
41
Cibele e Attis 2002, p. 261.
42
Mitropoulou 1986, p. 197.
43
Frazer 1914, p. 298, nota 4; Lancellotti 2002, p. 73, nota 65.
44
Una prima, molto sintetica riflessione sul tema è in Blanchaud 1986: l’autrice nota che Cibele e Attis sembra-
no particolarmente onorati in Mygdonia, ma dichiara che la rarità e la dispersione della documentazione impedisce
di supporre altro che qualche manifestazione episodica del culto.
moranti la morte del dio45, feste comprendenti il taglio rituale del pino e sacrifici di sangue46 e
pratiche misteriche47, ma le evidenze portate alla luce nel sito forniscono solo vaghi indizi rela-
tivi alla sfera cerimoniale, quali la presenza di un’eschara all’interno dell’edificio sacro (segnale
di una pratica di offerta caratteristica del culto ctonio) e frammenti di una statua fittile di fan-
ciullo con in mano un uccello (generalmente considerato simbolo di rinascita e rinnovamento
della vita)48. Possiamo quindi asserire solo genericamente che nel santuario si svolgevano rituali
connessi al ciclo morte-rinascita proprio del mito di Attis.
45
D.S., III, 58; Arr., Tact., 33,4 ; Luk., Trag., vv. 30-32. Cfr. Lancellotti 2002, p. 155.
46
Celebrate a Roma dal 22 al 25 marzo: cfr. Frazer 1914, p. 267-273.
47
Sfameni Gasparro 1982, con bibl.
48
Lazaridis 1983, pin. 49, a.
49
Schol. Luk. p. 275, 23-276, 28 Rabe; Clem. Al., Protr. 2, 17, 1.
50
è l’azione del megarizein: Burkert 2003, pp. 444-450, e Lippolis 2006, pp. 12-23.
51
Così Pingiatoglou 1990, p. 206, secondo la tipologia dello Yavis (Yavis 1949, p. 95, n. 46).
52
Pingiatoglou 1996, p. 227.
53
Lippolis 2006, p. 16.
costruzione nella prima età imperiale di un nuovo altare nel settore settentrionale del temenos,
un’eschara rettangolare poco ad ovest di questo e ad esso contemporanea, il cui riempimento
è ricco di tracce di combustione54, il rifacimento dell’altare ellenistico ad est del tempio set-
tentrionale55 e una seconda eschara a sud dell’altare ellenistico, di fronte al tempio più a nord,
datata sulla base dei materiali rinvenuti al suo interno (ossi, frammenti di lucerne e di statuette
fittili, una fibbia di cintura in bronzo, monete tra cui una di Tiberio) alla metà del I sec. d.C.56.
Ugualmente sulla linea della continuità è la consuetudine di donare statuette fittili, mentre rap-
presenta una novità l’offerta predominante di lucerne, che quasi soppiantano le altre tipologie
di votivi57: un fenomeno osservato del pari anche nel santuario di Demetra a Corinto, dove
C.W. Slane lo interpreta come indizio di un ignoto cambiamento nelle pratiche cultuali58, e
nel santuario di Demetra a Knossos59. Quale potesse essere tale cambiamento, è possibile solo
immaginarlo: l’impiego delle lucerne nei rituali di Demetra potrebbe essere ricondotto ad al-
cuni particolari momenti dei Thesmophoria celebrati durante la notte, nei quali tali oggetti do-
vevano costituire un elemento fondamentale. L’evento culminante dei Thesmophoria ateniesi,
ad esempio, avveniva al termine del digiuno del secondo giorno, e presumibilmente, secondo
W. Burkert, nella notte tra secondo e terzo giorno, con l’allestimento di sacrifici e di un ricco
banchetto60. E. Simon pensa che durante la stessa notte venissero raccolti i thesmoi, cioè le of-
ferte deposte nei megara, per consacrarli poi sugli altari61. Altre testimonianze riguardano una
processione notturna che si svolgeva ad Eleusi durante i Thesmophoria, cui partecipavano le
donne ateniesi62, e una pannychis menzionata da Alciphron63, ovvero probabilmente una parte
notturna della festa Haloa che si svolgeva a Eleusi nel mese Poseidon (dicembre-gennaio), di cui
poco sappiamo dato il suo carattere misterico64. Poiché tuttavia fiaccole e lucerne costituiscono
una costante nei riti e nel culto della dea in tutte le epoche, sin dalle origini65, possiamo soltanto
ipotizzare che uno di questi rituali notturni abbia acquisito particolare fortuna in età romana;
oppure, sulla scia di S. Pingiatoglou e di M. P. Nilsson, si può pensare che l’ampia diffusione
delle lucerne nei santuari di Demetra a partire da età ellenistica e in età romana possa essere
legata all’influenza delle religioni orientali ed egiziane, in cui le lucerne giocavano un ruolo di
primo piano66.
Decisamente più scarsa è la documentazione relativa ai rituali dionisiaci nei santuari della
Macedonia romana. Sono noti allo stato attuale delle ricerche solo due luoghi di culto dedicati
a Dioniso attivi nel periodo cronologico di nostro interesse, ovvero un santuario situato ad
Edessa, di cui è conosciuta unicamente l’esistenza nella piena età imperiale sulla base di fonti
54
Pingiatoglou 1996, p. 229.
55
Pingiatoglou 1990, p. 207.
56
Pingiatoglou 1992, p. 225.
57
Pingiatoglou 1996, pp. 229-230.
58
Slane 1990, p. 8.
59
Coldstream 1973, p. 186.
60
Burkert 2003, p. 447, nota 30.
61
Simon 1983, p. 19.
62
Aen. Tact., IV, 8.
63
Alciphr., IV, 6.3.
64
Brumfield 1981, p. 115.
65
Parisinou 2000, pp. 126-130 e 136-150.
66
Così pensano Nilsson 1950, p. 110, e Pingiatoglou 2004, p. 122. Secondo Lippolis il rituale connesso all’uti-
lizzo delle lucerne (celebrazioni nottune che culminano nell’accensione della luce della rivelazione) potrebbe addi-
rittura aver influenzato alcuni aspetti della liturgia cristiana: Lippolis 2006, p. 287. Va detto che un cambiamento a
livello cultuale o di frequentazione è stato osservato in età romana anche nei santuari di Demetra a Cirene (White
1981) e a Isthmia: qui come a Corinto De Maris ritiene che diventi preminente dopo la conquista romana l’aspetto
ctonio del culto a scapito di quello legato alla fertilità della terra (De Maris 1995).
67
Papaefthymiou 2002, p. 54, n. 7 (D6-R7), pl. 4; Chrysostomou 1987. V. infra, Parte III, p. 189.
68
Edson 1948, pp. 178-181.
69
Infra, Parte III, iscrizione Salonicco 45; Edson 1948, pp. 162-164.
70
Infra, Parte III, iscrizione Salonicco 47 (IG X, II.1, 260; Edson 1948, p. 167).
71
Infra, Parte III, pp. 345-346; Peristeri, Chalkiopoulou 2005.
72
Al suo interno sono infatti stati rinvenuti frammenti ceramici di età romana: cfr. infra Parte III, p. 369.
73
BCH, 82, 1958, pp. 231 e 808-814.
di oggetti di vario tipo e forse pure pratiche di vestizione e ornamento della statua di culto;
al contempo, sebbene i votivi rispecchino una frequentazione prevalentemente femminile, le
statuette rappresentanti fanciulli, kouroi, banchettanti e cavalieri indicano la presenza tra i de-
voti anche di giovani uomini, evidentemente connessi ai rituali iniziatici che senza dubbio si
svolgevano nel santuario74. I materiali rinvenuti dimostrano che queste medesime forme rituali
continuano ad essere praticate anche in età classica ed ellenistica, ma è interessante notare che
esse sono attestate senza soluzione di continuità anche dopo la conquista romana: la dea viene
chiamata Polô75 (protettrice “delle puledre e dei puledri”) e mantiene dunque la funzione inizia-
tica, e il decreto in onore di Epìe, ricordando la consacrazione ad Artemide di una corona di tre
stateri d’oro e di un finissimo abito76, documenta la consuetudine ancora viva di offrire stoffe
e ornamenti per la statua di culto. Infine, la presenza di un vano con funzione di cucina tra gli
ambienti di servizio ad est dei propilei (al cui interno sono stati trovati coltelli ed una gratico-
la)77 testimonia la celebrazione nel temenos di banchetti sacri, che abbiamo visto così diffusi nei
cerimoniali in onore delle più svariate divinità.
74
Huysecom-Haxhi 2009, pp. 599-600.
75
Infra, Parte III, Thasos, iscr. nn. 2 e 3.
76
Salviat 1959, ll. 37-39.
77
BCH, 107, 1983, pp. 869-875.
78
Cfr. supra, pp. 105-106.
79
Hatzopoulos 1994, pp. 78-79.
80
Iscrizioni Suvodol 1, Kolobaise 4, Edessa 6, 7, 9, 11, 13, 15, 16, 17. Per Leukopetra, Petsas et al. 2000, pp. 56-57.
81
Si tratta di una clausola giuridica destinata ad assicurare la protezione della persona consacrata. Si vedano le
iscrizioni Suvodol 1, Edessa 11, 12, 16; Petsas et al. 2000, pp. 52-53.
82
Iscrizioni Suvodol 3, Edessa 6 e 14; per Leukopetra, Petsas et al. 2000, p. 50.
principale dei riti compiuti nell’area sacra era rappresentato dal binomio sacrificio-banchetto,
come dimostrano sia la forma architettonica degli edifici portati alla luce (costituiti da altare
centrale con resti di sacrifici animali e da sale da banchetto con klinai) sia i materiali rinvenuti
(coltelli83, fili e anelli di ferro84, frammenti di kantharoi e di vasellame dedicato all’eroe85: fig.
II.10). Come rivelano i rilievi votivi dell’eroe cavaliere trovati in gran numero nell’area della
Macedonia e della Tracia, infatti, la figura di questa divinità è connessa alla caccia e al sacrificio86
ed è inoltre spesso assimilata a Dioniso87. Non è chiaro se le medesime forme rituali si con-
servino nel santuario anche in età romana: da un lato il rinvenimento nei livelli di abbandono
del temenos di anfore, pentole e vasellame da mensa88 porta a non escludere la continuità delle
pratiche simposiali, dall’altro le dediche di età imperiale all’eroe mostrano una forma nuova di
devozione, professata in larga parte da Romani, non di rado soldati.
83
Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1989, p. 558, fig. 12; Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1990,
p. 505, fig. 8.
84
Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1990, p. 505, fig. 9.
85
Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1990, p. 505.
86
Kazarov 1938.
87
Si veda, ad esempio, la raffigurazione dell’eroe cavaliere a fianco di Dioniso nelle metope del proscenio del
teatro di Taso: F. Salviat in BCH, 84, 1960, pp. 314-316.
88
Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1989, p. 558; Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1990, p. 503,
fig. 7.
89
Cfr. étienne et A. 1994 sull’urbanistica, Papazoglou 1990, pp. 117-118 sull’onomastica, Rizakis 2003b sulla
composizione sociale della colonia.
90
Dorcey 1992, pp. 84-104. Sul carattere funerario delle associazioni, non necessariamente connesso al culto di
Silvano, cfr. la lex familiae Silvani, del 60 d.C., da Monteleone Sabino: AE 1929, 161.
di Silvano assunse una portata pubblica91. Benché non possediamo alcun documento relativo
alla vita rituale del santuario, le iscrizioni ci suggeriscono un notevole livello di organizzazione
interna all’associazione, che possedeva un sacerdos eponimo e un aedilis e gestiva in maniera
trasparente le cospicue donazioni offerte dai componenti per la realizzazione delle strutture
sacre92.
Non è possibile valutare la presenza o meno di ritualità di tipo romano nell’altro santuario
di Filippi in cui il culto è chiaramente connotato come latino, ovvero nel santuario di Diana93.
Le iscrizioni e i rilievi scolpiti nella roccia del temenos non forniscono infatti alcuna indicazio-
ne, con la sola eccezione dell’impiego del nome latino della dea; tuttavia l’iconografia impiegata
(con i motivi tracici del ramoscello, delle fiaccole, della stella e del crescente lunare) e l’utilizzo,
nelle dediche, sia del greco che del latino suggeriscono che la figura divina venerata costituisca
l’esito dell’assimilazione di più personalità religiose e riassuma in sé sia aspetti di provenienza
occidentale sia elementi derivanti dall’oriente.
La tradizione festiva conosce nella Macedonia di età greca un esempio illustre, ovvero
quello degli Olympia di Dion. Era indubbiamente questa la festa più famosa tra quelle celebrate
in età classica ed ellenistica nella regione: istituite, secondo le fonti letterarie94, da Archelao (ma
più probabilmente Archelao fu promotore di una riorganizzazione di celebrazioni locali già
esistenti95), erano dedicate a Zeus ed alle Muse, duravano nove giorni (una giornata per ciascuna
delle Muse96), si svolgevano probabilmente in autunno (nel primo mese – Di'o~ – del calendario
macedone, consacrato appunto a Zeus)97 e comprendevano, oltre al grande sacrificio a Zeus
Olympios, agoni teatrali, atletici e musicali98. Il significato politico, oltre che religioso, rivestito
dagli Olympia è rivelato dagli autori antichi, che ricordano come Alessandro Magno le organiz-
zasse per festeggiare le sue vittorie militari99.
Dopo la conquista romana, il panorama delle celebrazioni festive attestate nel territorio
macedone appare molto cambiato. Gli Olympia non vengono più organizzati (l’ultima citazio-
ne delle feste è in una lista di vittorie di un atleta datata al 100 a.C.100) e nessun’altra festa sembra
ereditare il ruolo simbolico e ideologico e il forte richiamo che esse avevano posseduto per
duecento anni. Sono tuttavia documentate altre (non numerose) celebrazioni festive nei san-
tuari della Macedonia romana, legate prevalentemente a quei culti che abbiamo visto conoscere
grande sviluppo nella nuova epoca: delle divinità egizie, dell’imperatore e delle figure divine
locali che svolgevano funzioni di manumissio degli schiavi.
In onore delle divinità egizie si celebravano feste a Salonicco e a Filippi. Per quanto riguar-
da Salonicco, un documento fondamentale è costituito da un’iscrizione rinvenuta nel temenos
della fine del II sec. a.C.101: si tratta di una composizione del poeta Damaios che narra episodi
91
Dorcey 1992, 96; Pilhofer 1995, pp. 108-109.
92
V. in particolare l’iscrizione Filippi 31 = CIL, III, 633, I.
93
Parte III, Filippi - Santuario di Diana, pp. 332-335.
94
Sch. a Dem. XIX 192; D.S. XVII, 16, 3-4; Arr. I, 11, 1.
95
Mari 1998, p. 162.
96
D.S. XVII, 16, 3-4.
97
Cfr. Mari 1998, pp. 152-153.
98
D.S.. XVII, 16, 3-4. Cfr. Mari 1998, pp. 157-161 e Mari 2002, p. 52.
99
D.S.., XVII, 16, 3-4; D.S.., XVI, 55, 1; Arr., Anab., I, 11, 1.
100
SEG 14, 1957, 478.
101
IG X, II.1, 108 = Salonicco 1.
del culto di Osiride, nella quale viene menzionata anche una barca rituale che doveva servire
al trasporto delle statue divine in una cerimonia sacra. Dunand vi legge un’allusione alla festa
egizia che si teneva il 28-29 del mese Choiak, che celebrava la ricerca di Iside e l’“invenzione” di
Osiride102, mentre altri (come Merkelbach103) sostengono che il poeta si riferisca invece alla festa
del Navigium Isidis. Entrambe le celebrazioni erano diffusissime in ambito greco e romano: la
prima si svolgeva probabilmente in autunno e rappresentava, in origine, una festa agricola desti-
nata a favorire la crescita della natura, il cui dio per eccellenza era appunto Osiride104; la seconda
commemorava invece l’apertura della navigazione, all’inizio di marzo, e consisteva nello scio-
glimento in mare di un vascello che il sacerdote di Iside aveva consacrato alla dea e purificato, e
tutti i partecipanti avevano riempito di offerte e cosparso di libazioni105. Connesse a celebrazio-
ni festive erano anche le processioni sacre, nelle quali compiti precisi erano assegnati ai fedeli e
alle associazioni private di culto, come gli hieraphoroi synkletai citati da un’altra iscrizione106.
A Filippi, invece, è documentata la celebrazione di giochi: una stele iscritta trovata reim-
piegata nella basilica cristiana riporta la dedica da parte di un’associazione religiosa legata al
culto di Serapide in onore di Quintus Flavius Hermadion, agonotheta dei Megala Asklepieia107
(evidentemente legati, come si è già osservato, al culto delle divinità egizie che in questo santua-
rio possedevano virtù guaritrici).
Nei santuari sede di manumissiones si celebravano pure periodicamente feste in onore della
grande dea dei Brygo-Frigi. Le testimonianze più numerose provengono da Leukopetra, dove
compare in 6 iscrizioni il termine eJorth;108 e si trova il frequente utilizzo dei termini “e[qimoi” o
“eijqismevnai hJmevrai”: esistevano dunque feste annuali (in “giorni abituali”) in onore della Ma-
dre degli Dei Autoctona, probabilmente celebrate nella seconda metà del mese Dios (ottobre)109,
il cui svolgimento ci è purtroppo totalmente ignoto. La medesima formula “ta;~ ejqivmou~ hJme-
vra~” è presente in un atto di affrancamento per consacrazione rinvenuto a Blaganoi, nel santua-
rio di Artemide Digaia Blaganitis110, ad indicare che anche qui si svolgevano abitualmente delle
feste durante le quali gli schiavi affrancati dovevano prestare servizio.
Una più ampia portata simbolica possedevano le feste Komaia celebrate sin da età arcaica a
Thasos. Il nome della festa compare (insieme ad altri) in una stele rinvenuta nella zona dell’ago-
ra, riportante il divieto di denuncia in particolari giorni dell’anno, tra cui quelli delle feste111.
Benchè non sia nota la divinità cui i Komaia erano dedicati, Apollo, dio dei komai (i piccoli
insediamenti sui quali era basata la sua gestione amministrativa dell’isola), è considerata la più
probabile112. La festa esaltava l’identità politica e l’unitarietà dello spazio civico, articolato in
piccole realtà abitative sparse in tutto il territorio dell’isola; il santuario di Aliki, situato al capo
opposto dell’isola rispetto alla città di Thasos e presso le importanti cave di marmo, rivestiva
certamente in questo sistema insediativo un ruolo di primo piano. La presenza tra le iscrizioni
rinvenute nel temenos di alcune dediche di magistrati di Thasos113 è indizio, secondo Grandjean
102
Dunand 1973b, II, pp. 54, 58.
103
Merkelbach 1973.
104
Malaise 1972, pp. 221-228; Dunand 1973c, pp. 230-238.
105
Cfr. Apul., Met., XI; Dunand 1973c, pp. 223-230.
106
Infra, Parte III, iscrizione Salonicco 30.
107
Filippi 28.
108
Petsas et al. 2000, nn. 21, 46, 55, 75, 83, 113.
109
Petsas et al. 2000, 45.
110
Infra, Parte III, iscr. Blaganoi 1.
111
Salviat 1958, in part. pp. 195, 261-263.
112
Cfr. Salviat, Servais 1964, p. 287. In alcuni villaggi si sacrificava in onore del dio, sul cui altare si prestava
giuramento in occasione delle vendite fondiarie: Thphr., Fragm., 92.
113
Infra, Parte III, iscr. Aliki 7 e 9.
e Salviat114, di una tradizione ancora viva nel II-III sec. d.C., per la quale gli stessi magistrati,
partendo dalla città, circumnavigavano l’isola in barca e si fermavano ad Aliki per sacrificare al
dio; questo viaggio ufficiale con la tappa al santuario rappresentava il legame esistente tra la città
di Thasos e i villaggi della chora, precedentemente sacralizzato dalle feste Komaia. Se dunque
non possiamo affermare l’esistenza ancora in età romana della festa, è possibile che il santuario
sia rimasto sede anche dopo la conquista di Roma di importanti celebrazioni di particolare si-
gnificato politico.
Le feste che tuttavia sembrano ereditare più di tutte la valenza simbolica e la stessa com-
posizione delle feste greche sono quelle organizzate in onore dell’imperatore. In Macedonia
conosciamo quelle che venivano celebrate nel Sebasteion di Kalindoia, descritte in una delibera
onorifica dell’1 d.C. rinvenuta nel sito115: in essa viene onorato Apollonios figlio di Apollonios
figlio di Kertimos, il quale fu sacerdote di Zeus, Roma e Cesare Augusto, offrì con cadenza
mensile sacrifici a Zeus e Cesare Augusto, organizzò la processione alle feste “in modo vario
e sorprendente”, allestì le gare in onore di Zeus e di Cesare Augusto “in modo elaborato e
degno” e offrì alla cittadinanza, sempre in occasione delle feste, lussuosi banchetti sacri. Si trat-
ta evidentemente di celebrazioni composte come quelle tradizionali da processioni, sacrifici,
agoni e banchetti sacri, esattamente come è attestato in tutta l’area ellenica dell’Impero116; la
partecipazione è da parte dell’intera popolazione, non ristretta alle sole élites, ed è anzi proprio
attraverso queste celebrazioni popolari che il culto imperiale arriva a tutti i livelli della società,
spesso anche grazie al collegamento con una forma molto popolare di spettacolo come i giochi
gladiatori. L’organizzazione di questi è documentata ad esempio da due iscrizioni di III secolo
provenienti da Beroia, che ricordano come due macedoniarchi e archiereoi offrirono munera
venationum et gladiatorum in onore di Alessandro Severo e Gordiano III117. Va inoltre sotto-
lineata l’organizzazione delle feste a Kalindoia e a Beroia da parte di membri dell’aristocrazia
locale, che come si è già più volte rimarcato diventa la principale recettrice del culto imperiale
nelle province per motivi di autocelebrazione e rafforzamento dei rapporti con il potere cen-
trale118.
Le osservazioni sin qui esposte riguardo le celebrazioni liturgiche che venivano compiute
nei santuari della Macedonia in età romana contribuiscono ad evidenziare alcune tendenze si-
gnificative relative alle modalità con cui proseguì la vita religiosa all’indomani della conquista
di Roma. Da un lato, l’insieme dei dati concernenti i rituali e le pratiche, ovvero le forme di
culto legate ad un rapporto personale tra fedele e divinità, indicano che nella maggior parte dei
casi si continuò a celebrare i medesimi riti officiati da secoli, con limitate novità portate dalla
grande diffusione dei culti orientali (come l’offerta di lucerne ed i rituali notturni ad esse con-
nessi); dall’altro, le celebrazioni essenzialmente comunitarie quali le feste sembrano diminuire
e perdere di grandiosità, oltre a smarrire (con l’eccezione delle feste in onore dell’imperatore) la
componente agonistica che così grande rilievo possedeva nelle feste greche.
114
Grandjean, Salviat 2000, pp. 47-48.
115
Infra, Parte III, iscr. Kalindoia 1 = Sismanidis 1983. è nota l’esistenza di concorsi atletici e musicali, di qhrio-
maciva~ e di combattimenti di gladiatori in onore dell’imperatore anche a Beroia, come testimoniato da un’iscrizione
datata alla fine del I sec. d.C.: EKM I, Beroia 117.
116
Price 1984, pp. 101-114.
117
Infra, Parte III, iscr. Beroia 14 e 15; sul collegamento tra giochi gladiatori e culto imperiale Spawforth 1997,
pp. 191-192.
118
Cfr. supra, pp. 62-64; Millar 1977, p. 617; Hidalgo de la Vega 1998, pp. 1015-1018.
Questa tendenza riveste non poco interesse poiché differenzia l’area della Macedonia da
quanto generalmente si riscontra nel resto del Mediterraneo orientale. Nelle province orientali
viene infatti solitamente osservato un notevole exploit delle manifestazioni festive nell’epoca
imperiale119, attribuito dagli studiosi a vari fattori (tutti verosimilmente compresenti nella que-
stione): una precisa strategia romana volta ad incentivare ciò che univa le due culture venute in
contatto120, l’attaccamento al passato e alla tradizione da parte dei Greci al fine di preservare la
propria identità121, l’intento simbolico dei nuovi dominatori di celebrare la nascita di una nuova
era122, e infine aspetti concreti di ritorno economico123. La Macedonia parrebbe dunque estranea
a questi processi e più proiettata, a livello devozionale, verso forme rituali che privilegino una
relazione individuale tra il fedele e il dio, consentano una fuga dal reale e alimentino la speranza
di una vita dopo la morte.
119
In Grecia meridionale dal I sec. d.C., in Asia Minore soprattutto nel II e III secolo: cfr. da ultimo Vendries
1999, pp. 269-270, con bibl. precedente.
120
Norman Gardiner 1930, p. 47.
121
Millar 1993, p. 249; Alcock 2001, pp. 327, 334, 338; van Nijf 2001.
122
Harmon 1988, p. 238.
123
Spawforth 1989.
L’attività edilizia costituisce nella storia dei luoghi di culto uno dei principali indicatori
della vitalità, della frequentazione, dell’assetto economico, delle funzioni e dei mutamenti che
avvengono all’interno dei temene. Analizzando nei capitoli precedenti gli interventi condotti
nelle aree sacre della provincia durante i secoli della dominazione romana, si sono evidenziate
delle tendenze diacroniche comuni a tutta l’area geografica esaminata, significativamente corri-
spondenti al contemporaneo quadro urbano e territoriale.
Gli anni della conquista militare da parte di Roma sono contrassegnati da una generale
assenza di realizzazioni edilizie nei santuari, le cui strutture sono anzi talvolta oggetto di deva-
stazioni da parte delle truppe romane. Queste sembrano rivolgersi in particolare contro i centri
che rivestivano maggiore ruolo politico o ideologico-simbolico, come il santuario di Eukleia ad
Aigai, legato alla famiglia reale macedone1, e il santuario di Zeus Olympios a Dion, dove Filippo
e Alessandro avevano celebrato i loro trionfi2; ma agli anni della conquista di Roma corrisponde
la scomparsa – in molti casi definitiva – anche di diversi altri luoghi di culto disseminati in tutto
il territorio e, al di fuori del paesaggio sacro, di un gran numero di centri abitati.
Non sono numerose le aree sacre che sfuggono a questo destino o riescono in breve tempo
a trovare le risorse per risollevarsi: si possono citare i casi del santuario di Asclepio a Beroia,
dove un’iscrizione ricorda la dedica ad Apollo, Asclepio e Igea di un edificio legato all’incu-
bazione cultuale e di un’esedra nel 131-130 a.C.3, e dei santuari di Attis ad Anfipoli e di Zeus
Hypsistos a Edessa, che sembrano essere edificati proprio nel corso del II sec. a.C.4.
I primi sintomi di una ripresa dell’attività edilizia si riscontrano in diversi settori della
regione nel I sec. a.C., quando ripartono con slancio i lavori nel Serapeion di Salonicco, la cui
vitalità abbiamo visto essere collegata allo stanziamento di Italici nella città, e nell’Artemision di
Thasos viene restaurato a spese di una ricca cittadina il propileo di accesso alla terrazza inferiore
del temenos5. è però l’età augustea a vedere un più generale riavvio delle realizzazioni architet-
toniche nelle aree sacre: da un lato la diffusione del culto imperiale determina la costruzione di
nuovi edifici (o di interi complessi sacri) ad esso destinati, come quelli di Salonicco e Kalindoia,
dall’altro si procede a risistemare i luoghi di culto dai danni subiti nel periodo precedente, sia
restaurandone le strutture, sia, spesso, abbellendo e arricchendone l’insieme monumentale. è
quanto si osserva nei santuari di Eukleia ad Aigai, di Demetra a Dion, di Zeus Ammon ad
1
Saatsoglou-Paliadeli 1987.
2
D.S. XVI, 55, 1; D.S. XVII, 16, 3-4; D. Chr. 1, 313.
3
EKM I, Beroia 18.
4
Per il santuario di Attis ad Anfipoli, Lazaridis 1983; per il santuario di Zeus Hypsistos a Edessa, Chrysosto-
mou 1995.
5
Salviat 1959. L’intervento di Epìe, di cui non è nota la datazione precisa, potrebbe però risalire anche all’età
augustea.
Aphytis e di Artemide a Thasos – tutti centri di culto di lunga tradizione, cui la nuova auto-
rità governativa guarda ora con rispetto, permettendone una rinascita non priva di significati
ideologico-propagandistici.
La cronologia dei lavori condotti nei santuari rimane spesso imprecisa (e genericamente
riferita alla “prima età imperiale”), ma nella maggior parte dei casi essi sembrano risalire ai regni
di Augusto e dei suoi immediati successori più che agli imperatori della dinastia flavia, i quali
paiono adottare un contegno più tiepido nei confronti del mondo ellenico. Una nuova fase di
sviluppo monumentale, in forme ancor più grandiose, si registra invece nel II secolo, nell’età
di Traiano, Adriano e soprattutto degli Antonini: quasi tutti i luoghi di culto sono oggetto di
interventi, talvolta realizzati a più riprese al fine di ampliare e migliorare le strutture sacre6,
altre volte finalizzati ad un totale rinnovamento del complesso cultuale, spesso nell’ambito di
ambiziosi progetti di monumentalizzazione a livello cittadino (come nei casi dell’Iseion di Dion
e dei templi per il culto imperiale nel foro di Filippi)7. A questi vanno inoltre affiancati i lavori
di costruzione delle aree sacre che nascono ex novo in questo periodo, ovvero i santuari degli
Dei egizi a Nicea, di Apollo Eteudaniskos a Kolobaise, di Pasikrata a Suvodol, di Mâ a Edessa,
di Artemide Gazoria a Skydra, della Madre degli Dei Autoctona a Leukopetra, di Artemide
Digaia Blaganitis a Blaganoi, di Zeus Hypsistos a Dion e di Apollo, delle Ninfe e di Pan a Si-
dirokastro.
Con gli inizi del III secolo (e in alcune zone già dal II) l’attività edilizia conosce un netto
calo, per esaurirsi del tutto probabilmente intorno al 350 d.C.8. I santuari che rimangono vitali
ancora nel secolo successivo non hanno infatti restituito tracce di interventi realizzati al loro
interno in questa fase tarda, ma solo della frequentazione da parte dei fedeli (materiali ed ex
voto) fino al loro definitivo abbandono.
Gli interventi edilizi nei luoghi di culto si susseguono dunque nei secoli del dominio di
Roma con fasi di maggiore o minore intensità, coerenti con la situazione politico-economica
locale ed internazionale. è possibile però distinguere almeno a grandi linee anche un criterio ti-
pologico-funzionale nelle scelte di intervento operate nei vari periodi, che talvolta privilegiano
le strutture di maggiore significato religioso o ideologico, altre volte si concentrano invece su
quelle ausiliarie (alloggi per i pellegrini, laboratori, magazzini, abitazioni dei sacerdoti, terme)
o sugli edifici atti ad ospitare le competizioni agonistiche.
Strutture fondamentali del santuario (in quanto protagoniste nel momento fondamentale
delle celebrazioni religiose, ovvero il sacrificio, e destinate alla conservazione dei simulacri della
divinità), altari e templi sono generalmente oggetto della massima attenzione, cura e rispetto
all’interno del temenos. Ciò si traduce in un notevole dispendio di mezzi per renderli sempre
più sontuosi e degni di ammirazione, oppure in un rigoroso conservatorismo al fine di mante-
nerli intatti e identici nel corso dei secoli; ed in tempi di guerra, come quelli in cui prende avvio
il nostro studio, ciò può comportare l’accanimento da parte delle truppe nemiche – per oltrag-
6
Così nei santuari di Aphytis, Stuberra, Demetra a Dion, Salonicco e Aliki.
7
Vitti 2001, pp. 485-490.
8
Alla metà del III sec. d.C. risale la costruzione della fornace nel Sebasteion di Kalindoia, evidente segnale di
defunzionalizzazione del complesso. Una datazione generica al III secolo è riferita ad alcune strutture non meglio
identificate nella terrazza inferiore dell’Artemision di Thasos (BCH, 104, 1980, fig. 1 p. 718 (O-P8) e BCH, 105,
1981, p. 932), dove però la distruzione dell’edificio di servizio presso i propilei si data agli inizi del III secolo.
giare quello che gli avversari hanno di più importante9 –, o al contrario il religioso rispetto per
i luoghi dove risiede la divinità, seppure straniera10. Per questi stessi motivi, altari e templi sono
i primi ad essere restaurati o ricostruiti dopo le fasi di crisi, non appena la città o qualche fedele
facoltoso trovano le risorse per mettere mano ai lavori: si spiega così la particolare frequenza
degli interventi realizzati nel cuore cultuale dei santuari nella prima età imperiale, quando la
situazione politica finalmente stabile crea le condizioni per una ripresa economica e, di conse-
guenza, per il riavvio dei cantieri edilizi.
Gli esempi più evidenti di questa tendenza si osservano nei santuari di Aphytis e di De-
metra a Dion. Nel primo, nella prima età imperiale vengono costruiti un nuovo altare (in so-
stituzione del precedente) e, ai due lati di questo, ad est e ad ovest, due grandi avancorpi che
prolungano a sud i due lati lunghi dell’edificio templare11; nel secondo, si registra in questo
stesso periodo la ricostruzione dell’altare ellenistico ad est del tempio settentrionale e la crea-
zione di un nuovo altare nel settore settentrionale, oltre all’innalzamento di un portico lungo il
limite orientale dell’area sacra e alla costruzione del muro di peribolo occidentale12. Rinnovato
il nucleo centrale dell’area sacra, in entrambi i casi i successivi interventi (condotti nel corso del
II e del III secolo) interesseranno invece gli edifici al margine del temenos, destinati a funzioni
ausiliarie connesse alla frequentazione del santuario.
In altri luoghi di culto, tuttavia, è la situazione favorevole della media età imperiale a spin-
gere a realizzazioni in larga scala che coinvolgono l’intero insieme monumentale, e quindi an-
che le strutture essenziali della vita religiosa (non interessate in precedenza da interventi): è il
caso del santuario di Iside a Dion, oggetto nel II-III secolo di un completo rimodellamento che
riguarda templi e altari, ma anche tutti gli edifici annessi (portici, vani di servizio, ecc.)13.
9
Come nel caso delle distruzioni perpetrate dai Romani nel santuario di Eukleia ad Aigai: cfr. supra e Saatso-
glou-Paliadeli 1993.
10
Come racconta Tito Livio che fecero i Romani quando nel 169 a.C. giunsero a Dion: il console M. Philippus
ordinò di fissare l’accampamento sub ipso templo, ne quid sacro in loco violaretur (Liv. 44. 7. 2).
11
Giouri 1971.
12
Infra, Parte III, Dion - Santuario di Demetra, pp. 232-244.
13
Pandermalis 1982.
14
Per Demetra a Dion: Pingiatoglou 2003, pp. 427-430. Per Aphytis, Tsigarida, Basileiou 2003 e Tsigarida,
Basileiou 2005.
15
Va da sé, naturalmente, che nulla si possa dire dei santuari in cui le indagini si siano concentrate solo sulle fasi
più recenti o non abbiano ancora portato alla luce l’intera estensione del temenos, come nei casi dei santuari di Iside
e Asclepio a Dion o del Serapeion di Salonicco.
16
Altri esempi della medesima tendenza in Grecia settentrionale sono i santuari di Asclepio a Butrinto e di Zeus
a Dodona.
17
Altri casi di impiego precoce di tecniche edilizie romane in santuari della Grecia settentrionale sono il Tro-
feo e gli edifici del Proasteio di Nicopoli (dove l’impiego dell’opera reticolata è forse il primo attestato in ambito
provinciale: Malacrino 2007) e il tempio settentrionale di Apollonia (Lamboley 2007). Sull’impiego in particolare
dell’opus testaceum in Macedonia (abbastanza limitato rispetto ad altre regioni dell’Impero) cfr. Vitti 1993.
Fig. II.12 - Dion, santuario di Iside, particolare delle mu- Fig. II.13 - Aigai, santuario di Eukleia, strutture ro-
rature in cementizio con paramento laterizio del naos di mane in pietre grezze sovrapposte alle basi di epoca
Afrodite Hypolimpidia (da Pandermalis 2000, p. 109). classica (da Andronikos 1991, p. 51, fig. 25).
ex novo in età romana. Il tempio di Iside Lochia situato al centro del lato occidentale dell’Iseion
di Dion, ad esempio, è un edificio privo di colonnato eretto su alto podio18, mentre il balaneion
costruito in età imperiale nel santuario di Aphytis presenta la planimetria tipica delle terme ro-
mane19. Esempi più frequenti di questa tendenza si riscontrano tuttavia in Epiro, regione per la
quale si sono già osservati legami più stretti con il cuore dell’Impero rispetto alla Macedonia20:
ad Apollonia, il tempio del settore settentrionale (costruito nel I sec. a.C.) è un periptero corin-
zio sine postico21, quello ionico del centro monumentale (del secondo quarto del II sec. d.C.) si
erge su un alto podio formato da 5 corsi di calcare di reimpiego22; strutture termali di tipologia
prettamente romana sono presenti a Butrinto e Nicopoli23. Nell’area macedone, a fianco di strut-
ture di tipo romano come quelle del santuario di Iside a Dion si osservano anche esempi di una
tendenza quasi opposta: il tempio dedicato al culto imperiale di Salonicco è costruito addirittura
riutilizzando gli elementi architettonici di un edificio templare tardo arcaico, e il tempio eretto
nel santuario della Madre degli Dei a Leukopetra in età antoniniana presenta una pianta del tut-
to tradizionale costituita da pronaos tetrastilo, cella e opistodomos. In definitiva, se le tecniche
edilizie romane paiono trovare rapidamente ampio impiego in tutta l’area greca settentrionale,
l’adozione di tipologie architettoniche italiche sembra invece meno sistematica e diffusa, varian-
do probabilmente a seconda dei committenti, della funzione e della destinazione degli edifici o
della scelta fatta di volta in volta di aderire o prendere le distanze dalla tradizione.
18
Pandermalis 1982; Pandermalis 1997, p. 24.
19
Tsigarida, Basileiou 2005.
20
Cfr. supra, pp. 92-93.
21
Lamboley 2007, pp. 221-224.
22
Dimo et. al. 2007, pp. 186-188.
23
Ceka 1999, p. 42 (Butrinto); Chrysostomos, Kefallonitou 2001, pp. 50-51 (Nicopoli).
24
Lo studio dell’evergetismo nelle città greche ha evidenziato come a partire dal II e soprattutto dal I sec. a.C.
divenga sempre maggiore il ruolo delle elargizioni individuali nel finanziamento delle spese pubbliche delle città:
Migeotte 1992, pp. 367-368.
25
Iscrizioni Salonicco 2, 3.
26
Salonicco 6.
27
Salonicco 19.
28
Salonicco 5.
29
Salonicco 26.
30
Salonicco 27.
31
Salonicco 28.
32
Thasos 1; Salviat 1959.
33
Kalindoia 2.
34
Kalindoia 5.
35
Dion 12.
36
Dion 23.
37
Filippi 23.
38
Filippi 25.
39
Filippi 31.
40
Filippi 51.
41
Stuberra 1.
42
Sidirokastro 1.
Grazie alla grande quantità di iscrizioni votive rinvenute in numerosi santuari è possibile
effettuare qualche osservazione circa la frequentazione dei luoghi di culto, al fine di compren-
derne la natura e di verificare se e come essa cambi nel corso dei secoli e con il passaggio alla
dominazione romana. Lo studio della tipologia dei fedeli che dedicano le iscrizioni (genere, sta-
to sociale, provenienza) si basa essenzialmente sull’analisi prosopografica, che tuttavia, com’è
noto, cela non poche insidie: le formule onomastiche vengono impiegate nella Grecia romana in
modo molto vario, sicché non sempre è possibile riconoscere l’origine etnica di coloro che por-
tano nomi romani o cognomina greci, né definire lo stato giuridico e sociale di una persona sulla
base del nome1. Nonostante sia dunque necessaria una certa cautela nel trarre affermazioni dalla
sola onomastica, incrociandola con altri dati (qualità e tipologia del supporto, datazione, ecc.) e
con l’aiuto dei non pochi commenti epigrafici delle iscrizioni in esame si sono potuti ricavare in
diversi casi indizi significativi sul genere di fedeli che visitavano i luoghi di culto.
Beroia, Edessa
La tipologia dei frequentatori varia ovviamente a seconda della cronologia, dell’ubica-
zione e del genere di culto praticato nelle aree sacre. Non stupisce, pertanto, che nel santuario
di Herakles Kynagidas a Beroia i nomi del sacerdote e dei kynegoi presenti nelle iscrizioni
(oltre che, naturalmente, quelli degli schiavi liberati) siano tutti tipicamenti macedoni o co-
munque greci2: si tratta di dediche offerte ancora nei primissimi tempi della dominazione ro-
1
Si veda, su questi problemi, la chiara sintesi di Rizakis 1996, con bibl. Degli studi prosopografici che hanno
interessato l’area della Macedonia vanno ricordati Rizakis 1986 e Samsaris 1987-88 (su Salonicco), Tataki 1988 e
Samsaris 1989-90 (Beroia), Tataki 1994 (Edessa), Samsaris 1987 (colonia Cassandrensium), Samsaris 1989 (valle
dello Strimone). Di seguito si farà riferimento alle iscrizioni con il numero identificativo con cui sono classificate nei
relativi capitoli della Parte III.
2
Il sacerdote Asclepiodoros figlio di Pleuratos (iscr. Beroia 3) porta un nome macedone e patronimico di origine
illirica (Edson 1934, p. 231; Hatzopoulos, Gunaropoulou 1998, p. 134, n. 30); anche la maggior parte dei 22 nomi
di kynegoi dell’iscr. Beroia 7 è macedone o greca (Allamani-Souri 1993, pp. 89-98).
mana (II e I secolo a.C.) in un santuario legato a doppio filo al nome della dinastia Antigoni-
de3. Evidentemente i Romani che già in questi anni sono stanziati a Beroia4 non si avvicinano
a questo culto tradizionale della città, il quale rimane prerogativa dei medesimi gruppi sociali
che lo venerano da secoli (giovani dell’aristocrazia con funzione di kynegoi, schiavi affran-
cati che offrono skyphoi). All’opposto, non ci stupisce che sia una donna dal nome romano
(Claudia Okellina, figlia di Claudius Maximus) ad essere sacerdotessa di Dioniso intorno
al 200 d.C. nel tempio di Dioniso ad Edessa, come ricorda
un’iscrizione5: il documento si riferisce ad un’epoca avanza-
ta in cui la romanizzazione della società cittadina costituisce
un fenomeno ormai compiuto6. In questo periodo diversi
documenti attestano l’assunzione di alte cariche sacerdotali
da parte di donne della città, come l’archiereia Ailia Alexan-
dra, moglie dell’agonotheta del Koinon macedone L. Sep-
timios Insteianos Alexandros7, l’archiereia Loukia Aurelia
Trebonia Nikomache, moglie di un membro della famiglia
dei Silvani8, o la sacerdotessa del culto imperiale Valeriane
Ammia, moglie dell’archiereus e agonotheta del Koinon ma-
cedone Valerianos Philoxenos9.
In altri casi, lo studio dell’onomastica restituisce un qua-
dro davvero nitido della tipologia dei dedicanti. Nella stessa
Edessa, ad esempio, sono state rinvenute dediche a Zeus Hyp-
sistos distribuite per un arco cronologico ampio tre secoli: è
significativo osservare come nelle iscrizioni più antiche, col-
locabili nel I sec. a.C. fino all’inizio del I sec. d.C.10, gli autori
delle offerte siano esclusivamente macedoni e greci11; quindi,
in una dedica collettiva del 52 d.C. (fig. II.14), a fianco dei
nomi greci iniziano a comparire nomi latini, accompagnati
da cognomina sia latini sia – più spesso – greci, appartenenti
dunque o a locali che hanno acquisito la cittadinanza romana
o, più probabilmente, a liberti12; infine, a partire dal II secolo
le iscrizioni non contengono più nomi di tipo greco ma solo
formule onomastiche romane13. Di questo santuario riuscia-
mo quindi a ripercorrere l’evoluzione della frequentazione
nel corso dei secoli, da una prima fase in cui il culto è prati- Fig. II.14 - Edessa, dedica collettiva a
cato solo da genti locali, poi attraverso il graduale crearsi di Zeus Hypsistos (Edessa 3) (da Tataki
un gruppo sociale misto, composto da greci, greci con cittadi- 1994, pl. III).
3
Che si reclamava discendente dell’eroe: cfr. Edson 1934.
4
È attestata la presenza a Beroia di ejnkekthmevnoi romani già in età repubblicana: EKM I, Beroia 59. Sulla società
cittadina nei primi due secoli della dominazione romana cfr. Tataki 1988, pp. 437-456.
5
Iscr. Edessa 20 = Chrysostomou 1987.
6
Tataki 1988, pp. 467-469.
7
EKM I, Beroia 69.
8
EKM I, Beroia 100.
9
EKM I, Beroia 68.
10
Iscrizioni Edessa 1 e 2.
11
Zoilos figlio di Alessandro, Chares figlio di Alessandro e Demetrios figlio di Charis: cfr. Tataki 1994, p. 80.
12
Edessa 3: C. Pontius Torquatus, P. Vettius Narcissus, L. Liburnius Crysippos, C. Flavius Alypos, Secundos
figlio di Adymos, Melete figlia di Apollodoros, Theuda figlia di Apollonides, M. Vibius Ermeros, Epafras figlio di
Damothares, M. Antonius Mustius, Crispus, M. Attius Longus.
13
Edessa 4-5: M. Liburnios Vale(n)s, P. Ailios Terentianos Attikos.
nanza romana e romani, e infine con l’avvenuta formazione di una variegata koiné etnica ormai
“romanizzata” anche nell’onomastica14.
Salonicco
Procedendo secondo un ordine cronologico e topografico, in un altro importante santua-
rio attivo negli anni della conquista romana e per un arco di almeno sei secoli, ovvero il Sera-
peion di Salonicco, si osserva una notevole varietà nella tipologia dei dedicanti. La presenza già
alla fine del I sec. a.C. di un sacerdote con nome latino (P. Salarius Pamphilus) si può spiegare
con la grande affluenza in questo periodo nella città di negotiatores italici, che, come già si è ri-
levato, si trasferirono qui come in altre città portuali del Mediterraneo dopo il declino del porto
di Delo, portando con sé i culti nilotici ai quali erano tradizionalmente devoti15. A fianco di
questo, tuttavia, compaiono negli stessi anni anche ministri del culto greci, come Diogene figlio
di Lisimaco e Menoitas figlio di Dioscuride16. Formule onomastiche miste, con nomina latini e
cognomina greci, iniziano ad essere attestate a fine I sec.
a.C./inizi I sec. d.C. (M. Agelleius, P. Popillius Eros17),
segno dell’incipiente romanizzazione della società tes-
salonicense, benché ancora in piena età imperiale alcuni
membri del clero del santuario continuino a chiamarsi
con nomi tipicamente greci (come il sacerdote Neikios
figlio di Anteros e l’archineokoros Amynandros figlio
di Democrate dell’iscrizione n. 17). Con il II secolo,
però, sembra definitivamente affermata la formula
onomastica latina, sia per le donne (fig. II.15)18 che per
gli uomini19. Si ricava in generale l’impressione di una
comunità davvero composita di devoti, costituita da
greci, da greci romanizzati e, in parte non minoritaria,
da romani20. Di varia estrazione sono anche i membri
delle diverse associazioni di culto che gravitavano in- Fig. II.15 - Salonicco, Serapeion, lastra di
torno al Serapeion: come ha osservato il Dunand21, gli marmo con impronta di due orecchie dedi-
Hermanoubiastes sembrano essere stati di condizione cata da Polla Avia (da Despinis, Stefanidou-
Tiveriou, Voutiras 1997, 276, fig. 130).
modesta, a giudicare dal loro monumento e dalla qua-
lità dell’iscrizione; i synklitai di Anoubis appartenevano invece ai ceti elevati (nove di essi sono
cittadini romani), così come pure i synthreskeutai di Serapide, il cui prostates era un personag-
gio di rilievo, presidente dell’assemblea provinciale di Macedonia. Il culto non doveva dunque
essere prerogativa di una determinata classe sociale, ma era diffuso a tutti i livelli della società
cittadina.
14
Cfr. Tataki 1994, pp. 80-92.
15
Cfr. supra, pp. 28-29 e Rizakis 2002, p. 120, con bibl.
16
Iscrizioni nn. 6-7 (23-22 a.C.) e 8 (15-14 a.C.).
17
Iscrizioni Salonicco 13 e 14.
18
Cecilia Polla, Fuficia, Polla Avia, Flavia Phila, Petronia Ocelliane (iscrizioni 23, 24, 25, 26, 27).
19
Iulius Euodus, Q. Annio Secondo, A. Papius Chilone, P. Pholius Niger, Aemilius Eutychos (iscrizioni 27, 29,
30, 34, 36).
20
Sulla cospicua presenza di Romani tra i fedeli degli Dei Egizi a Salonicco cfr. Allamani-Souri 2003b, p. 93.
Non ci si sofferma in questa sede sulla complessa questione della provenienza delle famiglie di Romani: secondo
uno studio di A. Rizakis la maggioranza dei Romani di Salonicco proveniva dalla Campania o da Roma e dintorni
(Rizakis 1986, pp. 517-518), ma bisogna considerare che ben presto molti gentilizi smarrirono un rapporto diretto
con precise zone dell’Italia (cfr. Wilson 1966, pp. 107-108).
21
Dunand 1973b, pp. 184-185.
Thasos
Anche nella città di Thasos la documentazione epigrafica fornisce interessanti indicazioni
relative alla frequentazione dei luoghi di culto. Nell’Artemision, abbiamo visto che tra il II
sec. a.C. e il II sec. d.C. vengono dedicate nella terrazza superiore del temenos statue di nobili
donne della città, così che si è pensato ad una qualche forma di culto privato o riservato all’alta
società femminile di Thasos24; va precisato che tutte le donne possiedono nome greco, citato
secondo la formula onomastica greca. Il sacerdote del dio Augusto Aulos Popillios Thraseas, il
quale dedica nel santuario una statua della moglie25, porta invece praenomen e gentilizio latini
e cognomen greco: si tratta dunque di un membro della locale aristocrazia che, in virtù del suo
ruolo politico-religioso, ha ottenuto la cittadinanza romana.
Non molto più variegato appare il gruppo dei fedeli che dedicano all’eroe Theogenes/
Theagenes. In un’iscrizione del I sec. d.C. gli autori, Neikadas figlio di Eraclide e Nikaia fi-
glia di Eragoros, hanno nomi molto diffusi nell’isola e appartengono probabilmente all’élite
cittadina26; nel II secolo compaiono due Romani (C. Fabricius Iustus e suo padre P. Fabricius
Iustus27), così come romano è il nome di un altro personaggio (A. Licinius P. f.) autore di una
dedica di ignota datazione rinvenuta a Limenas28. È possibile che sia Artemide sia Theagenes,
venerati nel cuore della città, nell’agora e nelle sue immediate vicinanze, siano destinatari di
offerte soprattutto da parte del ceto aristocratico che in questi luoghi cerca visibilità per motivi
auto-rappresentativi.
Di tutt’altro genere sono invece gli autori dei voti per una buona navigazione consacrati
tra il II e il IV secolo nel santuario di Aliki. I comandanti delle navi che, effettuato il carico nelle
vicine cave, chiedevano la protezione del dio prima di riprendere il viaggio, sono tutti greci, ma
di diversa provenienza: la nave Eracle, di Epiktetos e Zoilos, il cui comandante è Trophimos,
viene da Salonicco; la nave Artemis ha come comandante Eutychos di Mitilene; il comandante di
una terza è Zminthios, della Troade29. L’unica iscrizione che si distingue dal gruppo omogeneo
dei voti per euploia è un testo di II-III secolo riportante i nomi di 3 archontes, 5 polemarchoi,
uno hierokeryx e 3 apologoi30, i cui nomi sono sia greci (Eragoras, Antiphanes, Sophron, ecc.)
22
Infra, Parte III, iscrizioni Salonicco 45-47.
23
Allamani-Souri 2003b.
24
Dunant, Pouilloux 1958, 179.
25
Iscrizione Thasos 5.
26
Neikadas sarebbe appartenuto alla stessa famiglia del medico Paramonos figlio di Neikadas, sacerdote di
Claudio e di Augusto, onorato ufficalmente nell’agora, e di Neikadas figlio di Paramonos, cui il demos aveva offerto
una statua: BCH, 86, 1962, p. 594, nota 3.
27
Iscrizione Thasos 11. Secondo Bernard e Salviat si tratta invece di tasii, poiché dedicano al dio patrios The-
agenes (BCH, 91, 1967, p. 581).
28
Thasos 12.
29
Aliki 1, 5, 6.
30
Aliki 7.
sia latini (Markos, Firmos, Loukios) ma seguono la fomula onomastica ellenica: è significativo
che ancora in quest’epoca avanzata i magistrati dell’isola siano tutti greci, senza la presenza di
alcun Romano come accade invece nelle principali città della Macedonia31.
Dion
In altri due centri urbani di rilievo della provincia – Dion e Filippi – la documentazione
epigrafica proveniente dai santuari risale ad un’epoca avanzata, ovvero prevalentemente al II
e III secolo. Nella colonia Iulia Augusta Diensis appare in quest’epoca particolarmente ben
definita la frequentazione dei santuari di Iside e di Zeus Hypsistos. Nel primo si segnalano due
potenti liberti (Publius Anthestius Amphio e Anthestia Iucunda, liberti di Publius), certamente
artefici della ristrutturazione di almeno una parte del complesso sacro, come ricorda una base
iscritta con la dedica a Serapide, Iside e agli abitanti della colonia di due portici, un tempio e
un’ala32. Publius Anthestius Amphio, come ricorda l’iscrizione, rivestì cariche politiche impor-
tanti nella colonia (fu augure, edile e duumvir quinquennalis), caso abbastanza raro nel sistema
municipale della regione33. In ringraziamento della loro liberalità, le mogli dei coloni e degli
incolae di Dion offrirono ad Anthestia una statua con doppia dedica in greco e in latino nella
sala settentrionale dello stesso santuario di Iside34. Si tratta probabilmente dei discendenti di
una famiglia di uomini d’affari insediatasi in Macedonia già in epoca repubblicana, conosciuta
anche a Leukopetra e a Stuberra ma non in altre parti della Grecia35. Accanto ai Publii Anthestii,
nelle dediche del santuario compaiono diversi altri dedicanti sia con nomi romani (C. Iulius
Quartus, C. Ostius Filon, Herennia Pagilla, figlia di Marcus36), sia con nomi greci (Callimaco
e Cleta, Iason37), sia infine con nomi greci ma formula onomastica latina (Getianus Pasiphilos,
Ignatia Herennia figlia di Ermanoubeios, Ioulia Frougiane Alexandra38): sembra trattarsi quindi
di un gruppo piuttosto omogeneo di Romani e greci romanizzati, di non limitate possibilità
economiche a giudicare dalle offerte, appartenenti al ceto sociale più elevato della colonia39.
Della stessa élite cittadina erano sicuramente membri anche i frequentatori del vicino san-
tuario di Zeus Hypsistos, tra i quali si conta un insigne dignitario, M. Herennius Philotimus40,
un sacerdote provinciale annuale del culto di Augusto e Roma, A. Helvius41, un publicus ta-
31
Sul conservatorismo della società e le istituzioni tasie in età imperiale cfr. Dunant, Pouilloux 1958, pp. 89-
148 (in part. 127).
32
Dion 12. Anthestia è anche l’autrice della dedica apposta sotto alla statua di Afrodite Hypolimpidia di II
sec. a.C., nel tempietto della dea (Dion 10-11). I due liberti costruirono a proprie spese anche un tempio a Libero e
un’altare a Diana, ricordati da due iscrizioni ma non individuati (ILGR 180-181).
33
Questo fatto, ovvero la possibilità di accedere a cariche pubbliche da parte di un liberto, non può che risalire
ad un’epoca ben anteriore a quella severiana in cui il primo editore (Pandermalis) colloca l’iscrizione: ciò era pos-
sibile infatti solo prima della lex Visellia del 24 d.C. (Dig., IX, 2, 1). Rizakis ritiene quindi che il documento sia
precedente alla legge o almeno contemporaneo alla sua applicazione nella provincia (Rizakis 2003a, p. 110, n. 7 e 120,
n. 44; AE 2003, 1578).
34
Dion 13. Nella stessa sala i due liberti collocarono anche una statua della figlia Anthestia Maxima (Dion 14).
35
Tataki 1988, n. 180 (Leukopetra); IG X, II.2, 75 e 336-337 (Stuberra). Cfr. Rizakis 2003a, p. 120, n. 44.
36
Dion 3, 4, 5.
37
Dion 2, 8.
38
Dion 6, 7, 15.
39
Una famiglia di uomini d’affari romani stanziati nella colonia e membri dell’élite aristocratica è ad esempio
quella dei M. Herenni, cui appartengono le due donne citate che dedicano ad Iside, M. Herennius Philotimus che
dedica a Zeus Hypsistos (cfr. infra) nonché il duoviro M. Herennius che compare sulle emissioni monetali (RPC I,
p. 289). Originari della stessa gens sono i M. Herennii di Salonicco, come il M. Herennius Filonikos che offre una
dedica nel Serapeion nel 23-22 a.C. (Salonicco 7). Cfr. Rizakis 2003a, pp. 121-122.
40
Dion 22.
41
Dion 23.
Filippi
Una forte presenza di Romani si registra pure, come ci si può aspettare, nei santuari della
colonia di Filippi. Nel santuario degli Dei Egizi i committenti ed i dedicatari delle iscrizioni
sono per lo più i membri del clero del santuario, appartenenti alle classi sociali superiori, come
testimoniano anche i supporti delle stesse epigrafi (in marmo, di dimensioni abbastanza grandi,
con testi incisi con cura). Il sacerdote di Iside Kallinikos figlio di Kallineikos, ad esempio, offre
due statue, una delle quali a una certa Preiskas Phonteias forse imparentata con Lucius Priscus,
governatore della Macedonia intorno alla metà del III secolo51; un altro sacerdote di Iside, L. Ti-
42
Dion 20.
43
Dion 16, 18, 19.
44
Dion 24.
45
I docw'n dell’iscrizione Dion 17 e il sacrificio del toro bianco documentato dal mosaico del tempio e dall’anello
sacrificale presso l’altare.
46
Cfr. supra, pp. 72-73; Falezza 2008, 176-178.
47
Pingiatoglou 1996, pp. 229-230.
48
Cfr. IG X, II.1, 459; IG X, II.1, 869; SEG 49, 814 (da Salonicco); JöAI, 6, 1903, pp. 6, 8; Spomenik, 71, 1931,
pp. 239, 637 (Stobi).
49
Il duoviro P. Mestrius Pomponianus Capito, i suoi fratelli C. Mestrius Priscus Maianus e Numerius Mestrius
Priscus e sua moglie (o sorella) Mestria Aquilina eressero e dedicarono ai coloni il praetorium con due tabernae e il
relativo arredamento: AE 2000, 1295.
50
Lo stesso sembrerebbe indicare, seppure vagamente, il rinvenimento di un’iscrizione in latino trovata nello
scavo della stoa di epoca imperiale: Pingiatoglou 2003, p. 425.
51
Filippi 19 e 20; cfr. Collart 1929, pp. 76-77. Del personaggio è noto solo il prenome Lucius da Aurelio Vittore
(29, 2, 3). Tsohos (Tsohos 2002, p. 86) dubita di questa interpretazione e crede più probabile che si tratti semplice-
mente di una persona legata al santuario, che forse lo sosteneva economicamente o era membro di uno dei thiasoi di
Iside attestati a Filippi.
tonius Suavis, potrebbe avere a che fare con un L. Titonius presente in un’iscrizione di Salonic-
co, dove è indicato come primus Sacerdos52; un’altra iscrizione è dedicata da un’associazione di
fedeli a L. Valerius Priscus della tribù Voltinia, il quale godette del privilegio del decurionato,
poi fu decurione a tutti gli effetti, irenarca (ufficiale di polizia), munerarius e duoviro53; infi-
ne una dedica di un’associazione religiosa onora Quintus Flavius Hermadion, gymnasiarchos,
archiereus e agonotheta dei Megala Asklepieia54. Oltre che dalla presenza di nomi romani, la
frequentazione del santuario da parte dei coloni si evince anche dall’uso del latino, che vie-
ne impiegato in 6 delle 12 iscrizioni rinvenute; d’altro canto, l’utilizzo in parallelo anche del
greco e l’attestazione anche di dedicanti ellenici (Kallinikos figlio di Kallineikos, Castor figlio
di Artemidoro55) dimostra l’ampia
varietà di devoti che visitavano
l’area sacra, similmente a quanto
abbiamo osservato per il Serapeion
di Salonicco.
Nei santuari rupestri di Silva-
no, Diana e Liber Pater alle pendici
dell’acropoli la tipologia dei dedi-
canti appare ben più selezionata. I
nomi dei fedeli di Silvano sono ri-
cordati in quattro liste incise sulla
parete rocciosa (fig. II.17): non ne
compare nessuno di origine tracica,
e i pochi greci sono usati come co-
gnomina, ad indicare che la pratica
del culto era limitata ad un ristretto
ambiente sociale, di origine roma-
na e non recepito dalla componen-
te greca locale56. I fedeli sono inol-
tre quasi tutti di bassa condizione,
liberti o schiavi. Anche nel santua-
rio di Diana le dediche sono preva-
lentemente in latino, la dea è chia-
mata con il nome latino (fig. II.18)
e tutti i nomi dei dedicanti, tranne
uno (Zipas), sono romani (Cas-
sius Coronus, M. Aemilius Rufus,
Galgestia Primilla, Rutilius Maxi-
mus, Vatinius Valens, Licinius Va-
lens). Nel santuario di Liber Pater
(fig. II.19), infine, l’impiego esclu-
sivo del latino e la prevalenza di
dedicanti romani (C. Valerius For- Fig. II.17 - Filippi, liste di fedeli di Silvano incise nella parete rocciosa
tunatus, Pomponia Hilara, Salvia del santuario (da Collart 1937, tav. LXV, 1-2).
52
Filippi 23 e 24; cfr. Tsohos 2002, p. 88.
53
Filippi 26.
54
Filippi 28.
55
Filippi 19, 20, 22.
56
Pilhofer 1995, p. 108; Tsohos 2003, pp. 77-78.
57
Il nome Pisidius in particolare è originario del nord Italia: Salomies 1996, p. 123.
58
CIL III, 703-704. Cfr. Collart 1937, pp. 413-422.
59
Ad esempio “KRITWN HRWI”: Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1989, p. 559, fig. 16.
60
Pangaion 2, 4.
61
Pangaion 1, 3, 9.
62
Pangaion 6, 8.
63
Sulla presenza militare a Filippi si vedano Saricakis 1979; Papazoglou 1979a, pp. 340-351; Sverkos 1999;
Rizakis 2003a, pp. 114-116.
64
Petsas et al. 2000, nn. 12, 65, 100, 106.
65
Petsas et al. 2000, nn. 94, 134.
66
Petsas et al. 2000, nn. 73, 103.
67
Petsas et al. 2000, nn. 71.
68
Petsas et al. 2000, nn. 45.
69
Petsas et al. 2000, nn. 13.
70
Iscrizione Edessa 16: affrancamento eseguito dal medico Elio Neikolaos di Edessa.
71
Iscrizione Agios Nikolaos 1: la dedicante, Quinta figlia di Porio, proviene dalla vicina città di Kyrrhos, distante
circa 11 km.
72
Blaganoi 1: affrancamento compiuto da Alexandra figlia di Fusco, di Melite.
73
Petsas et al. 2000, pp. 23-24.
74
Darmezin 1999, p. 241.
75
Petsas et al. 2000, p. 26.
76
Tataki 1988, p. 479.
mossi da motivazioni ben diverse da quelle, di natura più genuinamente religiosa, che spinge-
vano i fedeli di qualsiasi altro santuario: si è già sottolineato più volte come il culto imperiale
costituisse un importante fattore di connessione tra il governo centrale e le oligarchie locali, che
sono appunto le assolute protagoniste delle dediche rinvenute in questo gruppo di santuari.
È interessante soprattutto osservare come siano composti nelle diverse città tali gruppi
aristocratici al vertice della struttura politica provinciale. Nel Sebasteion di Kalindoia, ad esem-
pio – uno dei primi edifici, per quanto sinora
noto, ad essere costruito in Macedonia in onore
dell’imperatore – il sacerdote di Zeus, Roma e
Cesare Augusto nell’1 d.C., Apollonios figlio
di Apollonios figlio di Kertimos (fig. II.20)77,
è indubbiamente un membro dell’aristocrazia
del luogo, e non certo un Romano; allo stes-
so modo, sono greci i finanziatori nell’88 d.C.
di una parte del complesso sacro, Arridaios
e Kotys figli di Sopatros e Sopatros figlio di
Kotys78. Gentilizio romano possiedono invece
Flavia Mysta, Flavius Isidorus e la figlia Mysta
Neotera, fautori della costruzione “dalle fon-
damenta” di alcuni ambienti del Sebasteion nel
48 d.C.79: si tratta anche in questo caso di Greci,
che tuttavia hanno probabilmente ottenuto la
cittadinanza romana e mirano a emergere nel-
la società cittadina anche mediante interventi
evergetici come quello effettuato presso la sede
del culto imperiale.
Molto maggiore è ovviamente la presenza
di Romani a Beroia, sede del Koinon Macedone
e neokoros dall’età di Nerva. La prima dedica
in onore di un imperatore è offerta a Claudio
dagli ejnkekthmevnoi ÔRwmai'oi nel 42-44 d.C.80;
qualche anno dopo, è il governatore della pro-
vincia, L. Baebius Onoratus, ad onorare Ve-
spasiano81, mentre a Nerva, in ringraziamento
del titolo di metropolis e della neokoria da lui
concessa alla città, viene consacrata una statua
dall’archiereus degli Augusti e agonotheta Ti.
Iulius [- - -]kratos, ovvero, come rivela il co-
gnomen, un greco in possesso della cittadinan- Fig. II.20 - Kalindoia, decreto onorario per il sacerdote
za romana82. Evidentemente l’élite aristocrati- Apollonios (da Sismanidis 2008, p. 109, n. 8).
77
Kalindoia 1.
78
Kalindoia 5.
79
Kalindoia 2.
80
Beroia 17. Gli stessi Romani insediatisi a Beroia avevano dedicato una statua al proconsole L. Calpurnius Piso
già nel 57-55 a.C. (Beroia 16).
81
Beroia 18. Sui Baebii in Macedonia cfr. Rizakis 2003a, p. 123, n. 59.
82
Beroia 19. Conosciamo il nome di un altro archiereus e agonotheta di questo periodo, Q. Popillios Python,
anch’egli non romano ma in possesso della civitas, il quale organizzò giochi gladiatori e qhriomacivai (EKM I, Beroia
117).
83
A fianco di questi Romani o locali in possesso della civitas si contano fino al I sec. d.C. anche diversi magistrati
di etnia locale non cittadini romani: Tataki 1988, pp. 448-451, 453.
84
Cfr. Tataki 1988, pp. 48, 446.
85
Forse discendenti da una famiglia di indigeni cui Ottaviano concesse la cittadinanza romana sono le Iuliae
sacerdotesse di Livia menzionate nel monumento onorifico del foro (Filippi 9); l’origine potrebbe essere però anche
da una famiglia di soldati dei corpi ausiliari (Rizakis 2003a, pp. 125-126).
86
Brélaz, Rizakis 2003, p. 161.
87
Morrylos 1.
88
Aphytis 1. L’epiteto Kanaistraios indica il carattere locale del culto: va probabilmente collegato al toponimo
Kanaistros, un promontorio della Calcidica non distante da Aphytis. Cfr. Hdt., 7, 123; A.R. 1, 598.
89
Anfipoli 1.
della dea90, all’interno del quale viene posta anche una statua del centurione romano L. Tifanius
Poudens91. Un caso particolare è rappresentato invece dal santuario di Apollo, delle Ninfe e di
Pan a Sidirokastro: benché si tratti solo di un piccolo santuario rupestre, alla metà del II secolo
viene monumentalizzato con la costruzione di “templi e altre strutture circostanti” grazie al
magnanimo gesto di un ricco cittadino romano, Gn. Terentius Lucilianus Alexandros92.
Dall’analisi sin qui condotta emergono alcuni dati significativi in relazione alla tipologia
dei fedeli che frequentavano i santuari della Macedonia in età romana e ad eventuali progressivi
cambiamenti vissuti da alcuni centri di culto nel corso dei secoli. Si è visto come gli unici santua-
ri ad avere fedeli esclusivamente romani siano quelli di Filippi, la città che appare quindi anche
da questo punto di vista la “più romana” della regione. Un’eccezione nel quadro religioso della
colonia è però costituita dal santuario degli Dei Egizi, luogo di devozione per un ampio spettro
di fedeli delle più svariate etnie e condizioni sociali, probabilmente a causa del particolare carat-
tere “multiculturale” dei culti nilotici, che si è notato anche nel caso di Salonicco. Un numero
non limitato di santuari continua invece ad essere frequentato solo (o prevalentemente) da loca-
li, greci o macedoni, spesso perché si tratta di aree sacre di antica tradizione le cui pratiche sono
strettamente legate alla storia del luogo o al glorioso passato ellenico. Ciò che colpisce è tuttavia
che in molti santuari, al contrario, viene a crearsi con il tempo un gruppo misto di devoti, Greci
e Romani, che offrono fianco a fianco le loro dediche alle divinità; essi sono alle volte i mem-
bri dell’élite cittadina che cercano di mettersi in mostra nelle aree sacre ideologicamente più
rappresentative (i santuari del culto imperiale o altri centri di culto di rilievo, come il santuario
di Zeus Hypsistos a Dion o di Artemide a Thasos), altre volte semplici fedeli mossi solo da
motivazioni religiose (come, crediamo, i soldati romani che frequentano il santuario dell’eroe
Aulonites o i devoti di Zeus Hypsistos a Edessa); in ogni caso ci sembra che la graduale com-
parsa di Romani tra i dedicanti nei santuari greci costituisca un aspetto di grande rilevanza nel
processo di integrazione socio-culturale della provincia attuatosi evidentemente anche tramite
la sfera religiosa.
90
Stuberra 1. Si tratta di nomi romani usati come cognomina, attestati anche a Beroia nel I-III sec. d.C.: Tataki
1988, p. 389. Il nome dell’autrice del testamento, Fouskas, è un nome macedone presente anche a Beroia (Tataki 1988,
p. 381); i nomi degli eredi (T. Flavius Filoxenos, figlio di Orestes, M. Vettius Nikarcos, C. Iulius Kapiton, Trophimos
e Chrestos) sono evidentemente di membri dell’aristocrazia locale in possesso della cittadinanza romana. Il nome di T.
Flavius Orestes compare anche su una base di statua dell’inizio del II secolo rinvenuta ad Eraclea, che lo onora come
archiereus e benefattore (IG X, II.2, 73). Sulla famiglia degli Anthestii cfr. anche Babamova 2005, p. 150.
91
Stuberra 3. Della città si conosce ancora poco, ma sappiamo che era sede di una comunità di Romani (IG X,
II.2, 330, ll. 2-4) e centro del culto dell’imperatore (IG X, II.2, 3229).
92
Sidirokastro 1.
93
Linders, Nordquist 1987.
fici greci94. A questi sono seguiti a ruota una serie di lavori, qualli quelli di B. Alroth e di Miller
Ammermann sulle terrecotte votive95, quello di Van Straten sulle dediche private96 e infine il re-
cente, monumentale volume di G. Schörner, per la prima volta rivolto all’esame dei votivi nella
Grecia romana97. Sono state quindi ampiamente sperimentate le potenzialità dello studio degli
ex voto per una più completa comprensione della realtà santuariale, in particolare in merito al
rapporto tra fedele e divinità di cui i votivi rappresentano molto spesso l’unica traccia rimasta.
Nei santuari della Macedonia romana la pluralità di culti
praticati determina, com’è ovvio, una grande varietà degli og-
getti votivi rinvenuti (si veda la tabella di sintesi in appendice
al capitolo). Si procederà pertanto cercando di schematizzare
secondo la tipologia e la divinità di riferimento del materiale,
con l’obiettivo non tanto di esaminare i caratteri tecnici e sti-
listici degli oggetti – analisi che oltrepassa i limiti che questo
studio si è posto –, quanto di verificare in quale modo si per-
petua la consuetudine di offrire doni alla divinità nei santuari
dopo la conquista romana.
Un primo grande gruppo di offerte votive è costituito
dalle statue, che i dedicanti consacrano in numerosi santuari
indipendentemente dalla divinità in essi venerata. Si tratta di
frequente di simulacri che rappresentano i devoti, collocati nel
temenos con diverse finalità: per ottenere la protezione divina,
in ringraziamento di un voto o con espliciti intenti celebrativi.
Tra le dediche di statue vanno infatti distinte le offerte votive,
identificate nell’iscrizione sottostante dal nome del dedicante,
da quelle onorarie, le cui iscrizioni contengono invece il nome
del personaggio effigiato98: al primo gruppo appartengono ad
esempio la statua di Anthestia Maxima, figlia di Publius, offer-
ta dai genitori nell’Iseion di Dion99, le statue delle nobili tasie
dedicate dai loro mariti o figli nell’Artemision100 e i simulacri
donati alla Madre degli Dei Autoctona nel santuario di Leu-
kopetra101, mentre nel secondo rientrano le statue di Anthestia
Fusca, L. Tifanius Poudens, Tifania Anthestia, L. Tifanius Fu-
Fig. II.22 - Thasos, Artemision, statua
di Cleopatra, figlia di Antianax, dedi- scus e Tifania Neike disposte nel tempio di Agathe Tyche a
cata nel santuario dal demos (da Gran- Stuberra102. Un’altra importante differenziazione si deve ope-
djean, Salviat 2000, p. 91, fig. 44). rare tra le dediche private e quelle pubbliche: tra queste ultime
94
Brommer 1985.
95
Alroth 1988; Alroth 1989; Miller Ammermann 1990; Alroth 1998. A questi autori va il merito di aver
affrontato lo studio delle figurine fittili non più dal solo punto di vista artistico e iconografico, ma in rapporto alla
loro posizione nello spazio sacro, alle pratiche cultuali e alle stesse statue di culto.
96
Van Straten 1992.
97
Schörner 2003.
98
L’importanza della distinzione, che rivela lo scopo della dedica, è sottolineato da ultimo da Keesling 2003,
cap. 7, in relazione alle statue votive dell’Acropoli di Atene.
99
Dion 14.
100
Thasos 2-5.
101
Nella prima relazione di scavo è indicato il rinvenimento di frammenti scultorei, tra cui “parti inferiori di
statue femminili” (Petsas 1966a); durante la campagna del 2002 è stato trovato un nuovo frammento di statua, di
cui rimane una mano che regge un tamburello (Stefani 2002, p. 539). Altre due statue frammentarie conservano le
iscrizioni di dedica: Petsas et al. 2000, nn. 153, 154.
102
Infra, Parte III, iscr. Stuberra 2-6.
103
Thasos 6.
104
Dion 13 e 15.
105
Cfr. Lo Monaco 2009, pp. 245-246.
106
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Che distinguiamo, soprattutto per le dimensioni, dalle statue di culto, esaminate singolarmente nella trat-
tazione dei luoghi di culto (Parte III).
107
Tzavanari 2003, pp. 244, fig. 41, e 246, fig. 44.
108
Pandermalis 2000, pp. 97-98.
109
Lazaridis 1983, tav. 49, b.
Al di fuori delle statue, le tipologie dei votivi variano a seconda della natura e delle caratte-
ristiche della divinità venerata. Nei santuari dedicati alle divintà egizie, ad esempio, si trovano le
medesime categorie di offerte: sia nell’Iseion di Dion che nel Serapeion di Salonicco sono state rin-
venute numerose lastre in pietra con impronte di piedi sulla faccia superiore (fig. II.26)112, inter-
pretate come piede umano, e dunque come simbolo della presenza del pellegrino nel santuario113,
oppure come piede divino, segno della sua vicinanza al fedele114. Altrettanto diffuse le rappresen-
tazioni di orecchie, documentate a Salonicco, a Dion e a Filippi (fig. II.27)115: esse rappresentano
110
Iscrizione Filippi 31.
111
Il rilievo rappresentante Iside collocato sulla fronte del tempio centrale dell’Iseion di Dion è donato da Kal-
limachos e Kleta (Dion 2), mentre della statua di Apollo Kanaistraios consacrata nel santuario di Zeus Ammon ad
Aphytis resta solo la base iscritta, con il nome del dedicante Menandros (Aphytis 1). Si possono ricordare anche al-
cune statue la cui base iscritta ricorda il nome dell’autore dell’opera, evidentemente per motivi di prestigio: Pangaion
5, Thasos 3 e 4.
112
Cfr. iscrizioni Salonicco 17, 23, 33, 35, 36, 39; Dion 3, 4, 6, 7.
113
Manganaro 1964; Guarducci 1942-43, pp. 308 e ss.
114
Guarducci 1942-43, pp. 322 e ss.; Dunand 1973c, p. 208.
115
Salonicco 13, 20, 24, 25, 31; Dion 8. A Filippi un rilievo raffigurante un orecchio è inciso isolatamente sulla
parete rocciosa a circa 100 m dal santuario degli Dei Egizi (Collart 1929, p. 93; Collart, Ducrey 1975, pp. 179
(n. 161), 245).
Fig. II.26 - Dion, santuario di Iside, lastre di marmo con im- Fig. II.27 - Salonicco, Serapeion, lastra in marmo
pronte di piedi dedicate da Ignatia Herennia e Getianos Pasi- con rilievo di due orecchie, dedicata da Fuficia
philos (da Pandermalis 2000, p. 99). (da Despinis, Stefanidou-Tiveriou, Voutiras
1997, p. 277, fig. 13).
l’ascolto dato dalla divinità alle richieste dei devoti e sono infatti spesso associate all’epiclesi divina
Epekoos. Entrambi i generi di ex voto sono attestati in diversi santuari egizi situati anche al di fuori
della Macedonia (Atene, Delo, Dyme, Larissa, Cheronea ecc.116), in un quadro omogeneo che
comprende Iseia e Serapeia di tutto il Mediterraneo ellenistico-romano.
Alla venerazione di Zeus Hypsistos è invece legata abitualmente l’offerta di votivi con le sem-
bianze dell’aquila, l’animale simbo-
lo del dio117. Al santuario di Edessa
sono riferibili un rilievo di un’aquila
con le ali poco aperte e una piccola
aquila in pietra rossastra di età tar-
do-romana118, oltre alle stele iscritte
decorate da rilievi con l’aquila rinve-
nute nel sito del luogo di culto119; dal
santuario di Dion provengono due
basi decorate a rilievo con un’aquila
situate davanti al tempio, un’aqui-
la di marmo con le ali aperte e una
stele iscritta in marmo, con la rap-
presentazione a rilievo di un’aquila
con le ali aperte fiancheggiata da due Fig. II.28 - Dion, santuario di Zeus Hypsistos, colonnina votiva con
orecchie e coronata da una stephane aquila offerta da L. Trebius Leon (a sinistra) e stele votiva offerta da C.
(fig. II.28)120. Olympios Paulus (a destra) (da Pandermalis 2003, p. 421, nn. 1-2).
116
Dunand 1973c, pp. 207-208. Sull’amplissima diffusione delle dediche di impronte di piedi si veda Guar-
ducci 1942-43.
117
Benché spesso raffigurata a fianco del dio, sembra che l’aquila da sola, come vera e propria personificazione
divina, sia in particolare legata al culto di Zeus Hypsistos: cfr. P. Karanastassi in LIMC, VIII, 331.
118
Chrysostomou 1995, pp. 103-104, nn. 6-7 (figg. 5-6).
119
Infra, Parte III, iscrizioni Edessa 1 e 3.
120
Pandermalis 2003, p. 421, nn. 1-2, e 422, nn. 5-6.
121
Per la bibliografia relativa alle statuette fittili in questi santuari si vedano le trattazioni ad essi dedicate nella
Parte III.
122
Pingiatoglou 1996, pp. 229-230.
123
Pingiatoglou 2004, Pingiatoglou 2005 (Dion); Chrysostomou 1998b, p. 367 (Skydra); Collart 1929, p.
94 (Filippi).
124
Cfr. supra, pp. 117, 153.
125
Collart, Ducrey 1975, pp. 222-225.
126
Pangaion 3.
127
EKM I, 3, con bibl.
128
Beroia 4-6.
La sintetica carrellata sin qui condotta ci sembra evidenziare alcuni aspetti della consue-
tudine votiva nei santuari della Macedonia romana. Va innanzitutto osservato come anche in
quest’epoca non venga meno il valore simbolico dell’offerta alla divinità, particolarmente evi-
dente nel caso delle statue, consacrate spesso per motivi devozionali ma anche per ragioni di
visibilità e autorappresentazione (statue onorarie e dediche pubbliche). Ciò ribadisce, se ancora
ce ne fosse bisogno, il ruolo “politico” (nel senso di rilevanza sociale) detenuto dai luoghi di
culto per tutta la loro storia di frequentazione. Molto spesso si nota inoltre una continuità tra
età greca e romana dal punto di vista degli ex voto, che riflette un certo conservatorismo pre-
sente in questa sfera ma anche, probabilmente, l’omogeneità dei fedeli che visitano il santuario:
nuove tipologie di oggetti compaiono infatti talvolta – non sempre – laddove vi siano nuove ca-
tegorie di devoti, ad esempio romani. Infine, si registra una significativa uniformità delle offerte
deposte nei santuari delle medesime divinità, specie in quelle che conoscono grande diffusione
in età ellenistico-romana (culti egizi ed orientali): si tratta di un aspetto della koiné anche reli-
giosa che venne a crearsi in quest’epoca in tutto il Mediterraneo, ed alla quale la Macedonia non
risulta pertanto assolutamente estranea.
Tab. 5 - Tabella di sintesi degli oggetti votivi offerti nei santuari della Macedonia in età greca e in età romana.
La forte valenza sociale e istituzionale, oltre che devozionale, posseduta dalla religione
greca ha sempre fatto del santuario greco non solo un luogo religioso, teatro di azioni rituali,
ma anche una vetrina di più complesse dinamiche politiche e sociali, quando non addirittura il
protagonista di precise strategie attuate da coloro che nelle varie epoche detengono il potere.
Nella Grecia classica gli esempi di santuari con ruolo politico di primo piano sono numerosi
e ben noti, a partire dai santuari panellenici fino a centri di culto meno rinomati dislocati nelle
regioni periferiche della penisola ellenica: oltre ai santuari dell’Epiro, oggetto di uno studio
recente1, si pensi ad esempio al santuario federale del Koinon dei Tessali a Philia-Karditsa2, al
santuario di Zeus Olympios a Dion, in Macedonia (dove Filippo e Alessandro erano soliti cele-
brare le loro vittorie con impressionanti sacrifici a Zeus e alle Muse ed indicendo giochi olimpi-
ci3), o al santuario di Eukleia a Vergina, il cui legame con la famiglia reale macedone è indicato
dalle dediche di Euridice Sirra, moglie di Aminta III e madre di Filippo II4.
Scopo del presente capitolo è quello di verificare se e in quale modo i luoghi di culto
della Grecia mantengono tali prerogative dopo la conquista romana, e come la nuova potenza
imperante sceglie di volta in volta di inserirsi nella loro vita religiosa a seconda della strategia
di conquista adottata. Si sono selezionati a tal fine alcuni casi emblematici tra i luoghi di culto
dell’area greco-settentrionale, nei quali si scorgono con particolare evidenza i processi di elabo-
razione ed evoluzione dell’ideologia di conquista del mondo ellenico da parte di Roma; l’area
di indagine è stata ampliata alle tre regioni di Macedonia, Tessaglia ed Epiro per poter osservare
a più ampia scala le dinamiche in atto dal primo ingresso delle truppe romane sul suolo greco,
agli inizi del II sec. a.C., fino alla piena età imperiale.
È noto come a partire dalla seconda guerra macedonica il tema dell’eleutheria greca diventi
l’elemento fondante della politica romana di conquista della Grecia5. Già nei negoziati condotti da
Flaminino nella primavera del 198 sulle rive dell’Aoos6 e nell’inverno del 198 in Locride7, e mani-
1
Moustakis 2006.
2
Intzesiloglou 2006.
3
D.S. XVI, 55, 1; D.S. XVII, 16, 3-4; D. Chr. 1, 313. Sul ruolo politico del santuario cfr. anche Mari 2002, pp.
51-60.
4
Saatsoglou-Paliadeli 1987; Saatsoglou-Paliadeli 2000; Saatsoglou-Paliadeli 2011.
5
Cfr. Ferrary 1988, pp. 58-117.
6
Liv. 32, 10, 2-9.
7
Liv. 32, 32, 5-9.
festamente poi con il senatus consultus del 1968, Roma non si pone come nuova potenza egemone
alternativa a Filippo V, ma come fautrice e garante della libertà restituita ai Greci (Corinzi, Focesi,
Locresi, Euboici, Achei, Magneti, Tessali e Perrebi) sottratti, grazie al suo operato, al dominio
macedone. In questa fase, dunque, la presenza romana sul suolo greco trova giustificazione nella
sua missione liberatrice, ancora priva, a parole, di espliciti intenti di annessione territoriale9.
Possiamo vedere riflessa con grande nitidezza questa impostazione ideologica nel paesag-
gio sacro di uno dei maggiori centri urbani della Tessaglia, la città di Larisa. Essa possedeva in
età classica ed ellenistica due principali luoghi di culto, uno sull’acropoli, dedicato ad Atena
Polias, e l’altro presso l’agora (chiamata eleuthere), consacrato ad Apollo Kerdoo. Dei due
santuari sono attualmente noti solamente pochi elementi architettonici, ma la loro identifica-
zione è resa certa dai numerosi testi epigrafici rinvenuti in situ10, che indicano per ambedue una
funzione di archivio cittadino. Al culto di queste due più importanti divinità era forse connessa
la celebrazione di grandi giochi annuali (di cui non è noto il nome, poiché sono ricordati dalle
fonti solo come oiJ agwvne~11) il cui ricco programma comprendeva gare atletiche ed equestri
(stadion, diaulos, corsa con le torce per giovani, hoplitodromos, prosdrome, pugilato e pancra-
zio, gare di tiro con l’arco, lotte con i tori, aphippolampas e aphippodroma, apobatikos agon)12
e competizioni di carattere intellettuale (logika enkomia, epika enkomia – ovvero narrazioni in
prosa e in epica –, recite di epigrammi)13.
Per entrambi i santuari la documentazione disponibile non oltrepassa il II sec. a.C., mo-
mento in cui va collocata invece la costruzione di un nuovo tempio, pure situato nell’agora
eleuthere, dedicato a Zeus Eleutherios14. Gli studiosi15 concordano nel collegare la realizza-
zione del nuovo luogo di culto con la dichiarazione di libertà della Grecia (e dei Tessali in
particolare) da parte di Flaminino nel 196 a.C. e con la conseguente creazione di un nuovo
Koinon tessalico, la cui sede, non a caso, viene istituita proprio nella città di Larisa. Il centro
di culto del neo-fondato Koinon sembra anzi essere proprio il nuovo tempio di Zeus, a giudi-
care dalla collocazione al suo interno di diverse stele con decreti del synedrion16. Il santuario
ospitava inoltre gli agoni Eleutheria, celebrati ogni 4 anni in onore del dio con gare atletiche
e musicali17; essi, pur se istituiti intorno al 196 a.C., riprendono in buona parte il programma
delle più antiche feste cittadine, con gare atletiche, ippiche e musicali. Va infine ricordato che
l’agonotheta dei giochi era lo strategos dei Tessali, ovvero la più alta autorità politica e militare
all’interno della Lega.
8
Plb. 18, 46, 5.
9
Si veda anche l’insistenza del termine libertas nel racconto di Livio: Omnium primum liberos esse placebat
Macedonas atque Illyros, ut omnibus gentibus appareret arma populi Romani non liberis servitutem, sed contra
servientibus libertatem adferre (Liv. XLV, 18.1). Sull’imperialismo romano nell’Oriente ellenistico nel II sec. a.C. v.
anche Camia 2009, in part. pp. 167-171.
10
I decreti IG IX, 2, 512, 517, 521 e BCH, 59, 1935, pp. 55-64, che esplicitamente indicano la loro collocazione
nel santuario di Apollo Kerdoo; IG IX, 2, 517, ll. 22-45 per il santuario di Atena Polias.
11
Cfr. ad esempio IG IX, 2, 531, ll. 5 e ss.; 536, ll. 6 e ss.
12
IG IX, 2, 527, 531, 532.
13
IG IX, 2, 531, ll. 43-49; IG IX, 2, 531, ll. 11-12.
14
Non ci sono dati archeologici certi per la localizzazione del santuario, tuttavia Tzifalias ritiene altamente
probabile la sua ubicazione in un lotto di terreno compreso tra le attuali vie Kouma, Alexandros Panagouli e Palamà,
dove sono stati rinvenuti numerosi elementi architettonici (14 tamburi di colonne doriche, un geison, frammenti
di triglifi e numerosi frammenti di marmo dell’euthyntheria) e circa 40 basi marmoree di statue, e nei cui pressi
sono state trovate reimpiegate diverse stele iscritte in cui si specifica la collocazione all’interno del temenos di Zeus
Eleutherios: Tziafalias 1994, pp. 170-172.
15
Gallis 1988, p. 218; Agwvne~ 2004.
16
IG IX, 2, 507, 32; SEG 36, 547 e altre iscrizioni inedite.
17
Axenidis 1947, pp. 12-15, 26-32.
Da quanto sin qui esposto si delinea un processo abbastanza chiaro di cambiamento del
paesaggio sacro di Larisa messo in moto dalla comparsa di Roma nel quadro politico greco. Il
dato più significativo è costituito dalla nascita di una nuova area sacra dedicata a Zeus Eleuthe-
rios proprio in concomitanza con la dichiarazione di eleutheria dei Greci da parte di Roma, e
nella città che i Romani pongono a capo del rifondato Koinon Tessalico, riscattandola da anni di
sottomissione al regno macedone. Si tratta evidentemente di una precisa strategia di Roma, che
vuole presentarsi come liberatrice e non come nuova dominatrice, ma interviene a modificare
pesantemente gli equilibri politici del mondo ellenico ed opera in modo da costruirsi un solido
consenso da parte del popolo greco: a Larisa vi riesce bilanciando sapientemente novità e tradi-
zione, e legando al proprio gesto di magnanimità le antiche feste cittadine, che, come si è visto,
acquistano propagandisticamente un nuovo nome ma perpetuano nella sostanza il programma
delle competizioni già esistenti. Si deve al contempo sottolineare come la carica di agonotheta
conferita allo strategos della Lega indichi la forte valenza politica delle celebrazioni, che diven-
tano un segno della nuova epoca inaugurata dall’arrivo dei Romani18.
In seconda analisi, va rilevato come il nuovo centro di culto sembri sostituirsi completa-
mente ai due santuari che occupavano in precedenza il primo posto nella vita religiosa cittadina.
Sebbene non ci siano per ora note le cause e le modalità della scomparsa dei santuari di Atena
Polias e Apollo Kerdoos, è chiaro come dal 196 in poi sia solo il tempio di Zeus Eleutherios,
e non più quelli di Atena e Apollo, il luogo di esposizione dei decreti del Koinon e la sede de-
gli agoni. Alle due divinità poliadiche – simbolo dell’identità civica, venerate sull’acropoli e
nell’agora – subentra un nuovo dio venerato con un’epiclesi chiaramente connessa al gesto di
Roma e all’inizio di una nuova epoca di libertà: un rivolgimento di non poco conto nel panthe-
on cittadino, che trova riscontro nella geografia cultuale generale della regione che si analizzerà
di seguito.
La terza guerra macedonica segna la fine della politica di non annessione di Roma, che,
decisa ad annientare definitivamente le ambizioni egemoniche del regno di Macedonia, occupa
con le sue truppe l’Epiro19, penetra in Tessaglia20 e sconfigge Perseo a Pidna nel 168 a.C. Dopo
la vittoria romana, l’area della Grecia settentrionale è oggetto in un primo momento di una
completa riorganizzazione (la Macedonia viene ripartita in 4 merides sotto il controllo di un
governatore romano, mentre Tessaglia ed Epiro sono suddivisi in koina rifondati dalle ceneri
delle Leghe ellenistiche), e quindi, nel 148, viene unificata in un’unica grande provincia.
Le conseguenze della guerra e della conquista sono visibili in tutta la regione e nel suo
paesaggio sacro. Abbandonata la politica di rispetto e apertura nei confronti del mondo elleni-
co, nelle operazioni belliche Roma non risparmia i santuari, neppure, in qualche caso, quelli di
più antica tradizione e più chiara fama. L’esempio di maggiore evidenza è costituito dall’Epiro,
saccheggiato dalle truppe romane nel 167 a.C. e negli anni successivi dai soldati di Charops il
Giovane21: le devastazioni colpiscono i più rinomati santuari della regione, quali quello di Zeus
a Dodona e quello di Zeus Areios a Passaron.
18
Sebbene gli Eleutheria non vengano istituiti per celebrare la vittoria di Flaminino, ma la liberazione dai Mace-
doni, e restino quindi ancora privi degli intenti esplicitamente autocelebrativi che connoteranno ad esempio, non
molti anni dopo, gli Aktia.
19
Liv. 45, 26.
20
Liv. 44, 1-2; Helly 2007.
21
Le distruzioni furono un evento di tale rilievo da essere riportato da tutti i maggiori storici greci e romani:
Plb., 30, 15; D.S., 7.7.3; Liv., 45.34; Strab. 7.7.3; Plin., NH, 4.39; Plut., Aem. Paul. 29; App., Illyr. 10.9.
Del saccheggio di Dodona, ricordato anche da Strabone22, sono state rinvenute le tracce
archeologiche negli scavi del teatro e del Pritaneo: nel primo, uno strato di residui di un grosso
incendio individuato nell’area della scena e della parodos occidentale, con all’interno 22 monete
bronzee del Koinon degli Epiroti databili tra 234 e 168 a.C.23; nel secondo, le macerie della di-
struzione presenti nella stratigrafia della corte colonnata24. Similmente il tempio di Zeus a Pas-
saron, centro di culto ufficiale del regno dei Molossi25, fu incendiato nel 167, come indicano le
tracce di bruciature e di calcificazione di numerosi elementi architettonici e lo strato di elementi
di calcare frantumati rinvenuto intorno all’edificio26.
In Macedonia e Tessaglia le evidenze relative ai luoghi di culto negli anni della conquista
romana non sono altrettanto chiare, tuttavia anche qui i dati disponibili suggeriscono un drasti-
co mutamento del paesaggio sacro rispetto agli anni precedenti.
La sorte del santuario di Eukleia ad Aigai, l’antica capitale del regno macedone, sembra
essere simile ai casi esaminati in Epiro. Gli scavatori hanno riconosciuto le tracce di una distru-
zione del complesso sacro (del cui legame con la famiglia macedone si è già parlato) collocabile
tra la seconda metà del II e l’inizio del I sec. a.C., seguita poi dalla ricostruzione delle strutture
che resteranno vitali fino almeno alla fine del I sec. d.C.27. Intorno alla metà del II sec. a.C. si
colloca anche il definitivo abbandono degli altri due maggiori monumenti della città, il san-
tuario della Madre degli Dei e il palazzo reale28: tutti indizi di una probabile fase di rovina del
centro coincidente con gli anni dell’annessione all’Impero di Roma.
Alla medesima ipotesi conducono anche i dati relativi al santuario di Artemide a Thasos,
l’unico della città a presentare fasi di vita di epoca romana. Per quanto riguarda gli anni che ci
interessano, sappiamo solo che l’area sacra visse un periodo di abbandono ricordato da un’iscri-
zione del I sec. a.C.: in essa la città onora la benefattrice Epìe per aver finanziato il restauro del
propileo di accesso all’area sacra, che si trovava in condizioni rovinose29. Un’altra iscrizione di
Thasos, contenente un affrancamento collettivo di schiavi effettuato nel corso del II sec. a.C.
da un ignoto cittadino, testimonia di una pratica comune nelle epoche di crisi o di grave perico-
lo30 – forse la medesima fase di crisi che avrebbe causato la decadenza dell’Artemision.
Il caso del santuario di Zeus Olympios a Dion è differente ma emblematico31. Abbiamo
ripetuto più volte come questa fosse la sede religiosa ufficiale e rappresentativa dei re macedo-
ni, in particolare di Filippo e Alessandro Magno, che qui festeggiavano le loro vittorie militari
con grandi sacrifici e giochi olimpici32. Quando i Romani nel 169 a.C. penetrarono in Macedo-
nia e giunsero fino a Dion, il console M. Philippus ordinò di fissare l’accampamento sub ipso
templo, ne quid sacro in loco violaretur33, decretando quindi l’assoluta inviolabilità dell’area
sacra; pochi anni dopo, tuttavia, essa venne derubata di una delle opere d’arte più famose in
essa consacrate, ovvero il gruppo dei cavalieri caduti al Granico commissionato da Alessandro
22
Strab. 7.7.9.
23
Dakaris 1960, pp. 32-34.
24
Dakaris, Tzouvara-Souli, Vlachopoulou-Oikonomou 1999, p. 156 con rif. nota 43.
25
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Ogni anno qui si riunivano i re e il popolo dei Molossi e, dopo aver fatto sacrifici sull’altare, facevano giura-
menti, i re di governare secondo le leggi, il popolo di proteggere il potere regale: Plut., Pyrrh., 5.5; Cataldi 1990,
pp. 191-192.
26
Evangelidis 1952, p. 311.
27
Saatsoglou-Paliadeli 1993.
28
Drogou, Saatsoglou-Paliadeli 2002, p. 21.
29
Salviat 1959, 363, ll. 12-13.
30
Dunant, Pouilloux 1958, pp. 35-37, n. 173. L’iscrizione, come altri testi ufficiali di corrispondenza tra
Thasos e Roma, è incisa sulla parete interna dell’edificio a paraskenia nell’agora.
31
Sui santuari di Dion tra età greca ed età romana cfr. Falezza 2008.
32
D.S. XVI, 55, 1; D.S. XVII, 16, 3-4; D. Chr. 1, 313.
33
Liv. 44, 7.2.
a Lisippo34. Si osserva in questo caso un atteggiamento sottilmente strategico nei Romani, che
evitano di distruggere brutalmente (ed anzi, in una prima fase, proteggono manu militari) un
santuario antico e rinomato, ma non esitano poi a depredarlo e probabilmente ne causano il
progressivo declino: le feste Olympia infatti non sono più attestate dopo il 100 a.C.35 e non vi
sono tracce successive di frequentazione del santuario fino almeno al II sec. d.C.36.
Per gli altri luoghi di culto dell’area greca settentrionale non possediamo purtroppo dati
precisi riferibili ai decenni centrali del II sec. a.C.; nondimeno per una valutazione globale del
paesaggio sacro risulta significativo anche il solo censimento dei santuari che risultano attivi in
età ellenistica ma non hanno restituito fasi di vita romane. In Macedonia, rientrano in questa
casistica il già citato santuario della Madre degli Dei ad Aigai, il Thesmophorion di Anfipoli, il
santuario di Demetra a Lete, il Nymphaion di Mieza, il tempio di Atena a Oisyme, i santuari
di Pella e i santuari di Dioniso, Pan, Eracle e Demetra a Thasos. In Tessaglia, sono vitali in età
ellenistica ma privi di tracce di frequentazione in epoca romana il Nymphaion di Mieza, l’Askle-
pieion di Gonnoi, i santuari di Apollo Kerdoos e Atena Polias a Larisa, il tempio di Apollo a
Mitropolis, i santuari di Pherai, l’Asklepieion di Skopelos, il tempio di Atena Polias a Tebe Ftie e
il santuario di Apollo Pizio a Tempe. Infine in Epiro, oltre ai casi esaminati più sopra, non risul-
tano più attivi dopo l’Ellenismo il tempio di Apollo Pizio ad Ambracia, il tempio di Kryegjata
e il santuario di Demetra e Kore ad Apollonia.
Dall’elenco emerge chiaramente come in diversi casi a scomparire siano i santuari poliadici
o comunque i luoghi di culto che rivestono particolare importanza politica ed identitaria nei
centri ove sono situati: ad esempio l’Asklepieion di Gonnoi, i cui sacerdoti compaiono in tutti
gli atti ufficiali della città37, il grande tempio arcaico di Apollo vicino a Metropolis38, l’antico
santuario di Enodia e Zeus Thaulios a Pherai39, i santuari di Apollo Kerdoos e Atena Polias
a Larisa di cui si è parlato più sopra, i templi di Atena Polias sull’acropoli di Tebe Ftie40 e di
Apollo ad Ambracia41. Sebbene vada ammesso che in tutti questi casi i dati disponibili non siano
sufficienti a collegare con assoluta certezza la fine della frequentazione delle aree sacre con la
conquista romana, pure ci sembra innegabile un mutamento di non poco rilievo nella geografia
cultuale delle regioni greco-settentrionali, concomitante con il periodo dell’annessione all’Im-
pero di Roma e forse riguardante in particolare i centri di culto di maggiore rilevanza ufficiale.
Concludendo, quindi, possiamo delineare un quadro abbastanza nitido dei cambiamenti
in atto nel paesaggio sacro negli anni centrali del II sec. a.C. Le operazioni militari connesse
alla conquista e alla sottomissione degli avversari lasciano indubbiamente il segno nella vita
dei santuari (soprattutto in Epiro, ma anche in Tessaglia e Macedonia), che vengono talvolta
totalmente distrutti, talvolta semplicemente abbandonati a se stessi. Al contempo, nelle deva-
stazioni delle aree sacre più famose (come Dodona), o che simboleggiano l’identità cittadina (i
34
Vell. Pat. I, 11, 3-4; Plin., NH, XXXIV, 19, 64. Il gruppo stauario fu fatto sfilare nel 146 a.C. al trionfo di
Metello a Roma e fu infine collocato nella porticus Metelli, davanti ai templi di Giove Statore e Giunone Regina
(Calcani 1989, pp. 21-30).
35
SEG 14, 1957, 478.
36
Nell’area del santuario, ma subito fuori dal temenos, fu costruito un teatro romano nel II sec. d.C.: Palaiokras-
sa 1986.
37
Helly 1973, I, p. 149; id., II, nn. 197-200.
38
Secondo Intzesiloglou 2002, p. 115 il tempio di Apollo a Metropolis, datato alla metà del VI sec. a.C. e
quindi eretto prima del sinecismo della città (che avvenne nella prima metà del IV sec. a.C.), era il luogo di culto di
uno dei komai protagonisti del sinecismo e divenne in seguito il santuario più importante della stessa Metropolis,
come dimostrerebbe la raffigurazione di Apollo sulle sue monete.
39
La dea En(n)odia era la principale divinità di Pherai, chiamata Enodia Pheraia o Pheraia Thea dalle fonti let-
terarie ed epigrafiche anche al di fuori della Tessaglia. Sul culto cfr. Chrysostomou 1994 e Chrysostomou 1998a.
40
Stahlin 20012, p. 221.
41
Nel tempio, situato presso l’agora, erano esposti i decreti pubblici della città: Cabanes, Andréou 1985.
Conclusasi nel 31 a.C., con la battaglia di Azio, l’epoca delle guerre, ha finalmente inizio
per tutto l’impero di Roma una lunga stagione di pace e stabilità politica. L’area della Grecia
settentrionale si trova ripartita dopo il 27 a.C. in due diverse entità amministrative, la provincia
Macedonia a nord, comprendente anche l’area illirico-meridionale, e la provincia Achaia a sud,
con l’annessione dei territori della Tessaglia e dell’Epiro centro-meridionale alla medesima uni-
tà amministrativa delle regioni della Grecia centrale e del Peloponneso.
Alla conquista e alla riorganizzazione territoriale dovette far seguito la creazione di un
impero realmente unitario (almeno nelle intenzioni), coeso e fedele all’autorità governativa cen-
trale, funzionale nelle strutture istituzionali, florido nella vita economica e culturale. Una delle
strategie attuate con più successo da Roma per raggiungere tali scopi emerge chiaramente dallo
studio dei lughi di culto, ed è rappresentata dalla diffusione del culto dell’imperatore. Volendo
esaminare solo le maggiori espressioni di questo fenomeno negli spazi dedicati al culto della
Grecia settentrionale, ci si soffermerà in questa sede unicamente sui casi di Azio, Salonicco,
Kalindoia e Aphytis.
L’istituzione del santuario e delle feste di Azio costituisce la primissima operazione autocele-
brativa del nuovo princeps. Essa si pone nel solco della tradizione dei trionfi dei sovrani ellenistici
prima e dei generali romani vittoriosi poi (da ultimo, le feste organizzate da Lucio Emilio Paolo
ad Anfipoli nel 167 a.C.42); inoltre, le celebrazioni mantengono il nome e parte del programma
delle feste che si tenevano sin da età classica nel vicino santuario di Apollo Aktios43, vengono
dedicate ad Apollo, Marte e Poseidone (il cui aiuto aveva reso possibile la sconfitta della flotta di
Antonio)44 e vengono inserite (quasi da subito, pare) nel periodos che tradizionalmente compren-
deva le feste panelleniche (Olympia, Pythia, Isthmia, Nemea)45. Si evita dunque di creare qualsiasi
frattura con il passato nell’ambito cultuale, sebbene i Neoi Aktiakoi Agones siano di fatto cele-
brazioni in onore dell’imperatore: lo si evince da diversi dati, quali ad esempio la coincidenza nei
medesimi individui, nei due casi a noi noti, delle cariche di agonotheta e sacerdote del culto im-
periale, la nomina diretta da parte dell’imperatore dello xystarches Aktion (il sovrintendente alla
manifestazione)46, e la citazione del santuario di Nicopoli in un’iscrizione di Mitilene del 29 a.C.47,
in cui sono indicate le sedi in cui esporre i decreti riguardanti le celebrazioni in onore dell’impe-
ratore (Pergamo, Azio, Brundisium, Tarraco, Massalia e Antiochia di Siria).
Nei primi anni del principato si colloca la costruzione di altre due aree sacre destinate al
culto dell’imperatore, situate in area macedone. Il Sebasteion eretto a Kalindoia, una piccola
città non molto distante da Salonicco, sembra essere ad oggi il più antico edificio di culto del
princeps di tutta la provincia: da qui proviene infatti un torso corazzato ritenuto dai più di Otta-
42
Liv., 45, 32, 8-10; Plut., Aem., 28,7. Cfr. Ferrary 1988, pp. 554-572.
43
Pavlogiannis, Albanidis 2007, p. 59.
44
Suet., Aug. XVIII.
45
Pavlogiannis, Albanidis 2007, pp. 66-71.
46
Pavlogiannis, Albanidis 2007, pp. 62-63.
47
IG XII, 2, 58.
viano Augusto (rinvenuto nel 1961, prima dell’inizio degli scavi) datato all’ultimo ventennio del
I sec. a.C.48. Il complesso, ancora in corso di scavo, comprendeva una serie di lussuosi ambienti
decorati da intonaci colorati, stucchi e rivestimenti marmorei; al loro interno erano venerati
Zeus, la dea Roma e l’imperatore, come testimoniano l’apprestamento interno delle stanze, con
basamenti per le statue di culto49, i frammenti di statue rinvenuti durante lo scavo50 e il testo di
una delibera onorifica dell’1 d.C. scoperta nel sito negli anni ’7051. In questo caso, dunque, la fi-
gura imperiale compare tra i destinatari del culto (a differenza di quanto si è visto per Nicopoli),
ma a fianco di Zeus, a suggerire un’assimiliazione tra il princeps e la divinità più importante del
pantheon tradizionale, sovrano supremo e salvatore.
Dalla delibera onorifica dell’1 d.C. si apprendono anche altri aspetti significativi della cultua-
lità praticata a Kalindoia. L’iscrizione ricorda infatti come il sacerdote Apollonios figlio di Apol-
lonios figlio di Kertimos fosse responsabile dell’organizzazione di processioni, sacrifici, banchetti
sacri e agoni in onore di Zeus e dell’imperatore52: come a Nicopoli e in tutto l’Impero, il culto
imperiale viene praticato anche qui con grandi celebrazioni festive, la cui funzione è quella di
richiamare folle di avventori e dare visibilità al santuario e al culto che in esso ha sede. Inoltre, il
ruolo di Apollonios, cui si affiancano altri illustri cittadini citati da iscrizioni di poco più recenti
rinvenute nel sito (Flavia Mysta e sua figlia, che nel 48 d.C. eressero a proprie spese una nuova
parte del Sebasteion53; Arridaios e Kotys, figli di Sopatros, che, insieme al figlio del secondo, pro-
mossero nell’88 d.C. la costruzione nel santuario di un’esedra, del Bouleuterion e di una stoa54),
segnala il formarsi di una classe aristocratica locale che diventa la principale recettrice del culto
dell’imperatore55.
Diverso ma ugualmente significativo è quanto accade a Salonicco, divenuta sede del go-
vernatore della provincia. Qui viene dedicato all’imperatore (insieme, probabilmente, a Zeus
e alla dea Roma) un monumentale tempio periptero in marmo, con crepidine a 5 gradini, 6
colonne sulla fronte e pronao distilo in antis. Si tratta di un’operazione ricca di significato
ideologico-politico: il tempio fu infatti realizzato nel I sec. d.C. assemblando ed integrando
parti di stilobate, colonne ed epistilio provenienti da due distinti naoi di età arcaica56. Come
abbiamo già ricordato, è stato proposto di identificare uno di questi con l’antico tempio di
Afrodite di Aineia, una località situata a sud di Salonicco sul golfo Termaico: esso sarebbe stato
smontato, trasportato nel cuore della città e ridedicato a Cesare, venerato così con la sua mitica
progenitrice57. Anche senza accogliere questa pur accattivante ipotesi di identificazione, rima-
ne evidente il forte impatto dell’operazione, ovvero la ri-consacrazione di un tempio antico
all’imperatore, affiancato alla più alta figura divina: com’è noto, un procedimento simile acca-
de in questo periodo anche in altre parti dell’Impero, ad esempio ad Atene, dove si progetta di
terminare l’Olympieion e ri-consacrarlo al genio di Augusto e si trasferisce il tempio di Ares
48
Karanastasi 1995, pp. 215-221.
49
Sismanidis 2008.
50
In particolare i frammenti di una statua di Ottaviano Augusto ed un frammento con le dita di una mano che
stringono un oggetto cilindrico con fori alle estremità, interpretato come fulmine originariamente rivestito di lastre
metalliche e riferito ad una statua di Zeus o dell’imperatore in veste di Zeus (Sismanidis 2003, p. 148).
51
Sismanidis 1983, pp. 78-79.
52
Sismanidis 1983, pp. 78-79.
53
Sismanidis 2004, p. 217.
54
Sismanidis 2008, pp. 164-165, n. 23.
55
Questa funzione di primaria importanza delle élites locali nella diffusione del culto imperiale è stata sottoline-
ata più volte relativamente al resto della Grecia e a tutto l’Impero: Price 1984, pp. 100, 126-132; Alcock 1993, pp.
263-264; Kantiréa 2007, p. 196.
56
Tasia, Lola, Peltekis 2000; Karadedos 2006.
57
Tiverios 1998; Voutyras 1999.
dal demo di Acharnai all’agora58. L’intento è chiaramente quello di associare l’epoca augustea
al glorioso passato del mondo greco e di operare un’esplicita comparazione tra l’egemonia
mondiale di Roma e la sovranità celeste del re degli dei59.
Nei tre casi sinora analizzati, in definitiva, si colgono chiaramente le modalità e la portata
della diffusione del culto imperiale in Grecia settentrionale nel corso del periodo in esame. In
primo luogo si osserva un evidente rispetto della tradizione culturale e religiosa preesistente,
nel perpetuare la consuetudine festiva ad Azio, nell’affiancare il princeps alle divinità del pan-
theon tradizionale in tutti e tre i casi, addirittura nel ridedicare un tempio arcaico alla nuova
autorità regnante come a Salonicco. Inoltre, va sottolineato il ruolo fondamentale rivestito dalle
celebrazioni festive e dalle élites locali, che, contribuendo a rendere il culto imperiale parte inte-
grante della vita cittadina, costituiscono un mezzo efficace per creare un rapporto dialettico tra
l’amministrazione centrale e quella periferica, conferire visibilità alla nuova presenza religiosa e
rendere partecipi le oligarchie colte locali al governo centrale.
I medesimi scopi propagandistici soggiaciono probabilmente al rinnovato interesse ri-
volto in questa fase al santuario di Zeus Ammon di Aphytis, in Calcidica, presso Kassandreia.
Non si tratta, questa volta, di un nuovo spazio di culto dedicato all’imperatore, ma di un anti-
co centro religioso frequentato sin dalla metà dell’VIII sec. a.C., il quale è oggetto nella prima
età imperiale di una serie di interventi (allo stato attuale ancora poco chiari) che interessano
il cuore cultuale dell’area sacra. Viene infatti costruito un nuovo altare, in luogo di quello
già esistente costruito alla fine del V sec. a.C., e, ad est e ad ovest di questo, vengono realiz-
zati con materiale di reimpiego due grandi avancorpi che prolungano a sud i due lati lunghi
dell’edificio templare60. Al di là della per ora incerta funzione di tali strutture, è certo possi-
bile affermare che questi lavori indicano una fase di intenso sviluppo vissuta dal santuario,
probabilmente da ricollegare alla fondazione della colonia di Kassandreia nel cui territorio il
santuario si trova: una moneta di questi anni con la raffigurazione di Zeus Ammon al dritto
e l’iscrizione al rovescio Hort(ensius) col(oniam) d(eduxit) (o colonia deducta, o coloniae de-
ductor) ricorda infatti che questa fu dedotta da Q. Hortensius Hortalus nel 44-42 a.C. sotto
la tutela di Giove Ammone61. Ma con una lettura più ardita si potrebbe anche connettere lo
sviluppo del santuario alla nuova ideologia imperiale, che forse volle reinterpretare in proprio
favore il significato del culto rivolto in questa sede a Zeus Ammon. Nell’oasi di Siwa, com’è
noto, Alessandro Magno era stato dichiarato figlio di Zeus Ammon prima di intraprendere la
spedizione in Oriente62: la nuova autorità regnante sembra voler legare il proprio nome ad un
luogo di culto del dio che aveva protetto il condottiero, mediante una strategia politica che si
inserisce in un più ampio disegno propagandistico di imitatio Alexandri perseguito prima da
Antonio e poi da Augusto63.
58
Cfr. da ultimo Kantiréa 2007, pp. 104-109 e 110-113, con tutti i riferimenti bibliografici. Evidentemente, il
confronto con il tempio di Ares calza perfettamente se si crede all’ipotesi di Tiverios e Voutiras sul trasferimento del
tempio di Salonicco da Aineia.
59
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Sulla teologia gioviana nell’ideologia augustea esiste un’ampia bibliografia, di cui si citano solo i contributi prin-
cipali: Fears 1984; Zanker 1989, pp. 245-254; Cresci Marrone 1993, passim; Kantiréa 2007, pp. 104-109, 195.
60
Giouri 1971.
61
Grant 1946, p. 272.
62
Strab. XVII, 1, 43; Plut., Alex. XXVII, 5-8. Sul legame Alessandro Magno-Zeus Ammon si vedano Parke
1967, pp. 222-229 e Bosworth 1977.
63
Cfr. supra, Parte I, pp. 47-48. La studiata ripresa da parte di Ottaviano Augusto del mito del condottiero
macedone è documentata da Svetonio: tra i gesti più espliciti dell’imperatore in questo senso si ricordano il suo
omaggio alla tomba del Macedone (Svet., Aug., 18, 1) e la scelta del Mausoleo di Alessandro quale modello per la pro-
pria tomba (cfr. Eisner 1979). Altri paralleli tra Augusto e Alessandro sono in Suet., Aug., 50 e Suet., Aug., 94, 7.
5.4 Gli ultimi echi della funzione politica dei santuari tra II e III secolo
Risulta evidente da quanto esposto come nei primi anni del principato sia forte l’esigenza
di consolidare il dominio di Roma non più militarmente ma tramite processi e strategie di in-
tegrazione politico-culturale, attuate spesso, come abbiamo visto, attraverso il paesaggio sacro.
Con il procedere del tempo e l’avvio di una reale acculturazione all’interno delle province, però,
altri problemi diventano più impellenti, e più raramente si riscontrano nei santuari gli echi di
una precisa strategia imperiale. Il II e il III secolo, che peraltro costituiscono una fase di straor-
dinario sviluppo monumentale dei luoghi di culto, ne vedono dunque al contempo la perdita di
ogni funzione politica, mentre inalterato rimarrà fino alla fine il valore simbolico (e religioso)
da essi rivestito.
Due chiari esempi di perdita di ruolo politico sono costituiti dall’Asklepieion di Butrinto e
dal santuario di Dodona. Il primo, centro importante all’interno del koinon epirota prima e del
koinon dei Prasaiboi poi, già dalla metà del I sec. a.C. (quando viene fondata la colonia cesaria-
na) mantiene unicamente un ruolo religioso64; nel secondo, l’indizio più evidente è costituito dal
forte ridimensionamento nel I sec. a.C. del Pritaneo, in seguito (a metà III sec. d.C.) addirittura
trasformato in casa65.
Un’eccezione a tale evoluzione può forse essere individuata a Dion, dove circa due se-
coli dopo l’ultima attestazione relativa al culto di Zeus Olympios si registrano gli indizi di
una ripresa della figura divina – in chiave propagandistica – con Traiano e Adriano. Al primo
appartiene una colossale testa di marmo rinvenuta durante lo scavo dell’edificio interpretato
come pretorio, nella quale l’imperatore è raffigurato con una corona di alloro sul capo ed un
medaglione circolare al centro della fronte, recante la rappresentazione di un busto di Zeus66;
al regno del secondo risale invece l’introduzione di un nuovo tipo nelle emissioni monetali di
Dion, raffiguranti Zeus stante, l’himation avvolto intorno ai fianchi e alla spalla sinistra, patera
nella mano destra, scettro nella sinistra ed un’aquila ai piedi, con al rovescio la legenda IMP
CAES HADRIANO AVG OLYMPIO67. Entrambi i dati si collegano all’operato dei due impe-
ratori: Traiano aveva ratificato nel 101 d.C. un patto tra Dion e Oloosson (l’odierna Elassona)
per stabilire il confine tra le due città68, e forse in questa occasione gli viene dedicata la statua;
ad Adriano, fondatore nel 131-132 d.C. del Panhellenion (e da allora denominato Olympios),
Dion (come molte altre città) aveva offerto una statua collocata nell’Olympieion di Atene69.
Tuttavia la presenza del medaglione con il busto di Zeus nel ritratto di Traiano70 e la scelta di
reintrodurre proprio in questo momento nella monetazione dionea la figura di Zeus – costan-
temente presente nelle emissioni dei sovrani ellenistici, ma abbandonata dal momento della
fondazione della colonia71 – sembrano indicare un chiaro intento di assimilazione tra la figura
imperiale e la figura divina, recuperando con nuovi scopi ideologico-propagandistici il culto più
antico e importante della città, volutamente depotenziato e trascurato dall’età della conquista
in poi72. A questo movimento di ripresa del culto di Zeus, inoltre, può essere associata anche la
64
Melfi 2007, p. 27.
65
Dakaris, Tzouvara-Souli, Vlachopoulou-Oikonomou 1999, pp. 156-159.
66
Pandermalis 2002, pp. 103-104, pl. 27 A-C.
67
Kremydi-Sicilianou 1996, pp. 48-51.
68
CIL, III, 91.
69
CIL iii, 548; CIL III, Suppl. I, 7281; Spawforth, Walker 1985, pp. 79-81.
70
Sul significato della corona con uno o più medaglioni contenenti busti (spesso di divinità) si vedano da ultimo
Rumscheid 2000 e Riccardi 2007.
71
Dalla fondazione della colonia di Dium fino all’introduzione del nuovo tipo da parte di Adriano l’unica raf-
figurazione presente sul rovescio delle emissioni imperiali è quella di Atena: Kremydi-Sicilianou 1996 (con bibl.).
72
Cfr. Kremydi-Sicilianou 2005, pp. 104-105, e Falezza 2008.
nascita nella città ai piedi dell’Olimpo di un nuovo santuario a lui dedicato73 (sebbene non ne sia
ancora nota la cronologia precisa e il dio sia qui venerato con l’epiclesi di Hypsistos).
è forse questa una delle ultime manifestazioni dello stretto legame esistente nel mondo
greco tra politica e religione. Si è visto come già dalla media età imperiale il quadro cultuale
tenda a cristallizzarsi in un sistema consolidato e stabile, che probabilmente via via si svuota
della pluralità di valenze – sociali e politiche oltre che religiose – che l’avevano caratterizzato
sin dalle origini: è uno dei sintomi del declino di un mondo che, trasformatosi e rinnovatosi
attraverso l’incontro con i Romani, si avvia ora a lasciare il posto ad una realtà veramente nuova
e diversa.
73
Supra, Parte I, pp. 72-73; Pandermalis 2003 e Pandermalis 2004.
Tav. I - I luoghi di culto della Macedonia presi in esame nella Parte III.
co tor
au
pi e
a
1. Macedonia occidentale
(Derriopos, Pelagonia, Lincestide, Orestide)
Per l’analisi dei luoghi di culto l’ampio territorio della Macedonia è stato suddiviso in tre
grandi comparti (occidentale, centrale ed orientale) secondo criteri geografici, senza tener con-
to delle ripartizioni giuridico-amministrative che dall’età macedone fino alla tarda età romana
variarono più volte.
Il territorio qui considerato della Macedonia occidentale corrisponde all’incirca con quello
denominato dagli antichi e in letteratura1 come Alta Macedonia, ovvero l’area montuosa che
circonda ad ovest la pianura centrale di Bottiea e Pieria (indicata in questa sede come Macedonia
centrale). Si tratta di territori montagnosi abitati da popolazioni macedoni, epirote ed illiriche,
inglobati nel regno di Macedonia con Filippo II e in seguito (dopo il 168 a.C.) diventati parte
integrante della quarta meris.
1.1 Nicea
La città di Nicea in Lincestide compare come stazione sulla via Egnatia nell’Itinerarium
Antonini (318, 4) e sulla Tabula Peutingerina2. Il sito non è ancora stato individuato con cer-
tezza; una delle ipotesi lo colloca nei pressi dell’attuale Gorno Srpci, dove sono stati rinvenuti
i resti di un santuario degli Dei Egizi. Da questa stessa località (“Grmadiste”) provengono
diversi documenti epigrafici relativi ad una cospicua presenza militare romana nella zona in età
imperiale3.
1
Hdt. VIII, 137, 138; Th. II, 99; Str. VII, 326; Papazoglou 1988, pp. 227-233, con bibl.; Karamitrou-Mentes-
sidi 2008, pp. 5-10.
2
Cfr. Papazoglou 1988, pp. 268-270.
3
IG X, 2, 2, 45 (iscrizione bilingue di un centurione della coorte I Flavia Bessorum, datata al 100-250 d.C.); altre
iscrizioni sono citate da Papazoglou 1988, p. 269, nota 84.
Bibliografia
Janakievski T. 1976, A contribution to the question of the location of the antique settlement
Nicea, a station on the Via Egnatia, in MacActaA, 2, pp. 189-204 (in russo con brevissimo sum-
mary in inglese).
Papazoglou F. 1988, Les villes de Macédoine à l’époque romaine, Athènes, p. 269,
nota 84.
1.2 Eraclea
Centro amministrativo dell’ethnos dei Lincesti e stazione lungo la via Egnatia, la polis di
Eraclea fu probabilmente fondata da Filippo II4. Le evidenze relative all’età ellenistica allo stato
attuale delle ricerche sono limitate, mentre cospicui sono i dati di età romana, che evidenziano
una consistente presenza di Romani immigrati nella città all’inizio del I sec. d.C.5. Verso la metà
del IV secolo è attestata come sede episcopale.
Suvodol 1 altare in marmo bianco Atto di affrancamento per con IG X, 2 2, 18A 282 d.C.
(1,20 x 0,57 x 0,41 m); sacrazione alla dea Pasikrata della
l’iscrizione è sulla fronte schiava Kopryllo da parte di Iounia
Aurelia, in possesso del ius trium libe-
rorum, con offerta dell’atto di vendita
e di possesso; viene anche indicata la
somma da versare al santuario in caso
di rivendicazione della ragazza.
Suvodol 2 altare in marmo bianco Atto di affrancamento per consacra- IG X, 2 2, 18B 305/306
dell’iscrizione precedente zione alla dea Pasikrata della schiava d.C.
(1,20 x 0,57 x 0,41 m); Prima da parte di Aurelia Matidia.
l’iscrizione è sul lato de-
stro
Suvodol 3 altare in marmo bianco Atto di affrancamento per consacra IG X, 2 2, 18C 286 d.C.
dell’iscrizione precedente zione alla dea Pasikrata da parte dello
(1,20 x 0,57 x 0,41 m); hierodoulos Dionous del figlio e schiavo
l’iscrizione è sul lato si- Fileto. L’offerente si riserva di utilizzare
nistro lo schiavo per il tempo della sua vita.
4
St. Byz., s.v. Herakleia.
5
Papazoglou 1988, pp. 262-264; IG X, 2, 2, 111 (10 d.C.).
6
AEphem, 1910, 397, da Ambracia (200-150 a.C.); SEG 37, 528, da Panagia (I sec. a.C.).
7
SEG 3, 481-483; Papakhatzis 1958.
Bibliografia
Düll S. 1977, Die Götterkulte Nordmakedoniens in römischer Zeit, Münich, pp. 116-118
e 381-382, n. 210.
Vulic N. 1934, in Spomenik, 77, pp. 35-36, n. 7.
Vulic N. 1941-1948, in Spomenik, 98, n. 58.
1.3 Stuberra
La città di Stuberra, localizzata nella odierna località Čepigovo grazie ai rinvenimenti epi-
grafici8, si trovava in una pianura fertile, lungo la strada che conduceva da Stobi a Eraclea. Il
toponimo del sito si trova nei testi epigrafici e letterari solo a partire dal II sec. a.C.9. I dati in-
dicano inoltre che la città era una polis, con boule, demos e politarchoi10, molto popolosa (come
indicano le liste efebiche11) e vasta (le mura circondano un’area di circa 36 ettari12). Stuberra è
in età romana il maggiore (se non l’unico) centro urbano della Derriopos, sede di un conventus
civium Romanorum13 ed anche centro del culto dell’imperatore14.
Le ricerche archeologiche nel sito sono iniziate nel 1934, per continuare solo dopo quasi
un ventennio (nel 1953) sotto la direzione di D. Vuckovic-Todorovic.
Stuberra 1 base di marmo bianco L’iscrizione ricorda che gli eredi (T. ArchIug 4, 126/127 d.C.
(0,37 x 2,43 x 0,18 m) Flavius Filoxenos, figlio di Orestes, 1963, pp. 76-
con iscrizione sulla M. Vettius Neikarchos, C. Iulius Ka- 77;
fronte piton, i liberti Trophimos e Chrestos IG X, II.2, 336
della famiglia dei Publii Anthestii) per
disposizione testamentaria di Anthe-
stia Fouskas innalzarono per la città
una statua della dea Tyche, un tempio
e le statue poste al suo interno e ver-
sarono alla boule cinquemila denari.
8
In particolare IG X, 2, 2, 330 (I sec. d.C.); IG X, 2, 2, 335 (III sec. d.C.). Sulle questioni, ormai superate, relative
all’ubicazione della città nella Derriopos cfr. Papazoglou 1988, pp. 295-297.
9
L’iscrizione più antica in cui compaia il nome della città è IGBulg V 5003 (II sec. a.C.); essa è citata inoltre da
Polibio (Plb. XXVIII, 8, 8), Strabone (Str. VII, 7, 9: “Stumbara”), Tito Livio (Liv., 31, 39, 4: “Stubera”).
10
IG X, 2, 2, 300, ll. 5-6; IG X, 2, 2, 330.
11
IG X, 2, 2, 323-329.
12
Vuckovic-Todorovic 1963, 75.
13
OiJ sunpragmateuovmenoi ÔRwmai'oi: IG X, 2, 2, 330, ll. 2-4 (I sec. d.C.).
14
IG X, 2, 2, 322.
Fig. III.1 - Stuberra, tempio di Agathe Tyche, pianta (da Vuckovic-Todorovic 1963, tav. IX, 15).
Stuberra 2 base di statua (0,32 x Iscrizione sulla base della statua di ArchIug 4, ca. 126/127 d.C
1,79 x 0,15 m) Anthestia Fouskas. 1963, p. 77;
IG X, II.2, 337
Stuberra 3 base di statua (0,28 x Iscrizione sulla base della statua del ArchIug 4, ca. 126/127 d.C
1,66 x 0,14 m) centurione L. Tifanius Poudens. 1963, p. 77;
IG X, II.2, 338
Stuberra 4 base di statua (0,36 x Iscrizione sulla base della statua di ArchIug 4, ca. 126/127 d.C.
1,75 x 0,15 m) Tifania Anthestia. 1963, p. 77;
IG X, II.2, 339
Stuberra 5 base di statua (0,30 x Iscrizione sulla base della statua di ArchIug 4, ca. 126/127 d.C.
1,59 x 0,14 m) L. Tifanius Fuscus. 1963, p. 77;
IG X, II.2, 340
Stuberra 6 base della statua (0,32 Iscrizione sulla base della statua di ArchIug 4, ca. 126/127 d.C.
x 1,73 x 0,13 m) di un Tifania Neike. 1963, p. 77;
giovane barbato che IG X, II.2, 341
indossa il pallio
Stuberra 7 base di statua Iscrizione sulla base della statua di ArchIug 4, post 127 d.C.
Filoxenos. 1963, p. 78;
IG X, II.2, 342
Stuberra 8 base della statua di un Iscrizione sulla base della statua di ArchIug 4, post 127 d.C.
vecchio barbato che Orestes. 1963, p. 78;
indossa il pallio IG X, II.2, 343
Bibliografia
Papazoglou F. 1988, Les villes de Macédoine à l’époque romaine, Athènes 1988, pp. 300-
301 e note.
Vuckovic-Todorovic D. 1963, Styberra, in ArchIug, 4, 1963, pp. 59-101, pl. I-XXXX (in
russo).
1.4 Kolobaise
Kolobaise 1 altare di marmo (0,73 x Dedica di Flavia Neike figlia IG X, II.2, 230 112/113 d.C.
0,40 x 0,46 m) di Neikandros ad Apollo
Eteudaniskos.
Kolobaise 2 altare di marmo mutilo Dedica di T. Flavius Apollodorus IG X, II.2, 231 ca. 100-150
(0,74 x 0,65 x 0,42 m) figlio di Antigono ad Apollo d.C.?
Oteudanos.
Kolobaise 3 stele di marmo mutila Dedica di più persone (C. IG X, II.2, 232 II sec. d.C.
(0,44 x 0, 17 x 0,17 m) Poummios Agrippas, Anna,
Krateuas e Adymos) ad Apollo
Oteudanikos.
Kolobaise 4 stele marmorea mutila Affrancamento per IG X, II.2, 233 200/201 d.C
(0,48 x 0,27 x 0,12 m) consacrazione ad Artemide
Efesia di Kolobaise della giovane
schiava Elene, del giovane
schiavo Peristerà e dei loro figli,
dei quali viene offerto l’atto
di vendita che sarà conservato
nell’archivio del santuario.
Le cose sopracitate vengono
offerte per iscritto perché siano
ricordate.
Bibliografia
Dimitsas M. 1896, ÔH Makedoniva ejn livqoi~ fqeggomevnoi~ kai; mnhmeivoi~ swzomevnoi~,
Athina.
Papazoglou F. 1988, Les villes de Macédoine à l’époque romaine, Paris, p. 291.
15
L’epiteto del dio viene ricondotto ad origine illirica (cfr. Spomenik, 77, 1934, n. 58).
16
AR, 2006-2007, p. 51; G. Karamitrou-Mentesidi in ADelt, 2006, pp. 629-632.
Artemide. La cronologia di frequentazione del sito è sinora limitata ad età classica: il rinveni-
mento più recente è una moneta da Egina di IV sec. a.C.
17
Drogou 2006, con bibl. precedente; Leriou 2008, p. 291.
L’ampia pianura alluvionale gravitante sui corsi inferiori dell’Haliakmon e dell’Axios e sul
Golfo Termaico, occupata principalmente dalle regioni di Pieria e Bottiea, costituiva il nucleo
originario del Regno Macedone.
2.1 Edessa
1
IG IV, 617, l. 16.
2
Liv. XLV, 30, 5.
3
La boule è citata nel catalogo degli efebi del 180-181 (ABSA, 58, 1963, 20, n. 1, l. 6), i politarchi nel catalogo
degli efebi del 229-230 (Anc. Macedonia I, 1970, 200, n. 12, ll. 2-3). Cfr. Giouni 2006, pp. 67-68.
4
I sumpragmateuovmenoi ÔRwmaioi sono citati nell’iscrizione onorifica di Petronia Stratylla CIG 1997d
(Add).
5
Chrysostomou 1995, pp. 103-104, nn. 6-7 (figg. 5-6).
cola basilica paleocristiana6, indizio secondo gli studiosi della continuità di culto nel sito anche
dopo l’affermazione del Cristianesimo.
Edessa 1 stele di marmo (1,48 x 0,47 x L’iscrizione è posta a Zeus AD 8, 1923. p. inizi I sec. a.C.
0,40 m) coronata da un Hypsistos da parte di Zoi- 268, n. 2;
rilievo con grifoni e foglie los7 figlio di Alessandro per Egnatia 2, 1990,
d’acanto; sulla fronte, sotto la salvezza dei suoi figli. pp. 45-71;
l’iscrizione, è un’aquila so- SEG 40, 537
pra una ghirlanda; sul retro,
un bucranio tra due patere.
Edessa 2 base di altare in marmo Ex voto a Zeus Hypsistos Dimitsas 1896, inizi del I sec.
da parte di Chares figlio p. 38; d.C.
di Alessandro e Demetrios Delacoulonche [Tataki, Ed. Pr.
figlio di Charis8. 1859, p. 240, n. 20 314]
Edessa 3 stele (1,30 x 0,41 x 0,12 m) Dedica a Zeus Hypsistos AD 8, 1923, p. 52 d.C.
coronata da timpano con da parte di un gruppo di 268, n. 1
crescente lunare; al centro, dedicanti9. Riporta la data e
sopra l’iscrizione, è un’aqui- l’indicazione del sacerdote
la in una corona (fig. III.2). (Peritios).
Edessa 4 n.d. Dedica a Zeus Hypsistos da Dimitsas 1896, II sec. d.C. [Ta-
parte di M. Liburnios Vales. p. 6; taki, Ed. Pr. 181]
Mt. Athos p. 103,
n. 136
Edessa 5 stele (0,68 x 0,65 x 0,45 Dedica a Zeus Hypsistos da Dimitsas 1896, II sec. d.C. [Ta-
m). Sull’estrema sinistra si parte di P. Ailios Terentia- p. 7; taki, Ed. Pr. 12]
intravede un albero e, al di nos Attikos secondo l’indi- ABSA 58, 1963, p.
sotto, un cane e una tavola cazione avuta in sogno. 24, n. 7
o sgabello.
Bibliografia
Chrysostomou P. 1995, H latreiva tou Diov~ Uyivstou sthn vEdessa, in H vEdessa kai h
periochv th~. Istoriva kai politismov~, Praktkav A Panellhnivou episthmonikouv Sumposivou
(Edessa, dek. 1992), Edessa, pp. 99-110.
Chrysostomou A. 2008, Arcaiva vEdessa, Edessa, p. 87.
Delacoulonche A. 1859, Mémoire sur le berceau de la puissance macédonienne des bords de
l’Haliacmon et ceux de l’Axius, in Archives des missions scientifiques et littéraires, 8, pp. 67-288.
Dimitsas M.G. 1896, H Makedoniva en livqoi~ fqeggomevnoi~ kai mnemeivoi~ swzomevnoi",
Athina 1896. Ristampa: Sylloge inscriptionum Graecarum et Latinarum Macedoniae, a cura di
Al. N. Oikonomides, Chicago.
Mt. Athos: L. Duchesne, Ch. Bayet, Mémoire sur une mission au Mont Athos, Paris 1876.
Papazoglou F. 1988, Les villes de Macédoine à l’époque romaine, Paris, pp. 127-131.
Tataki A.B. 1994, Macedonian Edessa. Prosopography and onomasticon, Athens.
6
Chrysostomou 1995, pp. 104-105.
7
Il nome come il patronimico sono molto popolari in Macedonia: Tataki 1994, p. 80.
8
Tutti i nomi sono tipicamente ellenici (Tataki 1994, p. 80).
9
C. Pontius Torquatus, P. Vettius Narcisus, L. Liburnius Crysippos, C. Flavius Alypos, Secundus Adymos,
Melete figlia di Apollodoro, Theuda figlia di Apollonides, M. Vibius Ermeros, Epafras figlio di Damothares, M.
Antonius Mustius, Crispus, M. Attius Longus. Si tratta per la maggior parte locali divenuti cittadini romani. Il sa-
cerdote, Peirithios, ha nome greco.
Edessa 6 blocco marmoreo con Atto di affrancamento alla dea REG 12, 1899, p. 215 o 225 d.C.
incisi sulla faccia an- Mâ invincibile dello schiavo 169, n. 1;
teriore due atti di af- Kassandros da parte di Gleo- Athena 12, 1900,
francamento per con- patra figlia di Petronio, in pos- p. 70, A1;
sacrazione (nn. 6, 7) sesso del ius trium liberorum, in Makedonika 15,
voto. La dedicante dichiara di 1975, p. 202, pl.
aver fatto incidere questo testo 121 a-b;
e aver offerto l’atto di vendita; SEG 28, 543
lo schiavo rimarrà con lei per il
tempo della sua vita.
Edessa 7 blocco dell’iscrizione Atto di affrancamento per con- REG 12, 1899, p. 234 d.C.
precedente sacrazione alla dea Mâ da parte 170, n. 2;
di Elia Elene dello schiavo Athena 12, 1900,
Antipatro, di cui ha consegnato p. 70, A2
anche il titolo di proprietà.
Edessa 8 colonna alta 3 m sulla Affrancamento per consacrazi- Vavritsas 1986, p. 245 d.C.
quale sono una settan- one alla dea Mâ invincibile del 60, n. 3;
tina di iscrizioni (solo giovane schiavo Filomouson SEG 36, 618
6 sono state pubbli- da parte di Claudio Asclepio-
cate: cfr. nn. 9, 11, 13, doros.
15, 16).
Edessa 9 colonna alta 3 m sulla Affrancamento per consacrazi- Vavritsas 1986, p. 246 d.C.
quale sono una settan- one alla dea Mâ invincibile de- 57, n. 2;
tina di iscrizioni (solo gli schiavi Kopryllon, Opheli- SEG 36, 617
6 sono state pubbli- mon e figli da parte di Claudia
cate: cfr. nn. 8, 11, 13, Makedonia subentrata al marito
15, 16). Claudio Ioulianos, di cui ha
offerto gli atti di vendita, es-
sendo curatore Claudio Ascle-
piodoros.
Edessa 10 stesso supporto della Affrancamento per consacrazi- REG 12, 1899, p. 247 d.C.
n. 6 one alla dea Mâ invincibile del 170, n. 3;
giovane schiavo Filippo, da Athena 12, 1900,
parte di Claudio e la moglie p. 71, A5
Tineia.
Edessa 11 colonna alta 3 m sulla Affrancamento per consacrazi- Vavritsas 1986, p. ca. 251 d.C.
quale sono una settan- one alla dea Mâ invincibile della 62, n. 6;
tina di iscrizioni (solo giovane schiava Eutaxia da parte SEG 36, 621
6 sono pubblicate. cfr. di Aurelio Triptolemos, con of-
nn. 8, 9, 13, 15, 16). ferta nel tempio dell’atto di ven-
dita e indicazione della somma
da versare al tesoro del santuario
in caso di rivendicazione della
fanciulla o dei suoi figli.
Edessa 12 blocco di marmo delle Affrancamento per consacrazi- REG 12, 1899, p. 255 d.C.
iscrizioni nn. 6-7. one alla dea Mâ invincibile 171, n. 4;
L’iscrizione è su una dello schiavo Koryllos figlio Athena 12, 1900,
faccia laterale della giovane schiava Ammias p. 72, A6
da parte di Aurelia Luka, figlia
di Lukos di Edessa, con indica-
zione della somma da versare al
tesoro del santuario in caso di
rivendicazione del ragazzo.
Edessa 13 colonna alta 3 m sulla Affrancamento per con- Vavritsas 1986, p. 261 d.C.
quale sono una settan- sacrazione alla dea Mâ invin- 57, n. 1;
tina di iscrizioni (solo cibile benevola della fanciulla SEG 36, 616
6 sono pubblicate: cfr. Alessandra, di 7 anni, figlia
nn. 8, 9, 11, 15, 16). della giovane schiava Epektesis,
della quale anche è stato offerto
l’atto di vendita, da parte di
Mestrios Ioulianos.
Edessa 14 n.d. Affrancamento per consacrazi- Athena 12, 1900, 265 d.C.
one alla dea Mâ invincibile da p. 73, C12
parte di Flavia Claudia Stratò
(?) della giovane schiava Parme-
nia, con la riserva di usarla per
gli anni della sua vita.
Edessa 15 colonna alta 3 m sulla Affrancamento per consacrazi- Vavritsas 1986, p. III sec. d.C.
quale sono una settan- one alla dea Mâ benevola da 60, n. 4;
tina di iscrizioni (solo parte di Fabia Priscilla del SEG 36, 619
6 sono pubblicate: cfr. giovane schiavo Zosimo, con
nn. 8, 9, 11, 13, 16). offerta del suo atto di vendita,
essendo sacerdotessa Domizia
Asclepiade e curatore Claudio
Asclepiodoro.
Edessa 16 colonna alta 3 m sulla Affrancamento per consacrazi- Vavritsas 1986, p. III sec. d.C.
quale sono una settan- one alla dea Mâ invincibile da 60, n. 5;
tina di iscrizioni (solo parte del medico Elio Neiko- SEG 36, 620
6 sono pubblicate: cfr. laos di Edessa della fanciulla
nn. 8, 9, 11, 13, 15). Ermione figlia della giovane
schiava Tertias, che lo stesso ha
liberato e di cui ha offerto l’atto
di vendita, essendo curatore
Claudio Asclepiodoro. In chiu-
sura, indicazione della somma
da versare al tesoro del santu-
ario in caso di rivendicazione
della ragazza.
Edessa 17 stele marmorea Affrancamento per consacrazi- Athena 12, 1900, III sec. d.C.
one alla dea Mâ invincibile del- p. 71, A3 [Tataki, Ed. Pr.
lo schiavo nato in casa Teodoto, 120]
con offerta dell’atto di vendita,
da parte di Teodote.
Edessa 18 stele di marmo frat- Affrancamento per consacrazi- AD 8, 1923, p. III sec. d.C.
turata in più punti one, mutilo, alla dea Mâ di una 267 [Tataki, Ed. Pr.]
giovane schiava da parte di
Lykomedes.
Edessa 19 stesso supporto della Affrancamento per consacrazi- REG 12, 1899, p. III sec. d.C.
n. 12 one alla dea Mâ da parte di 171, n. 5; [Tataki, Ed. Pr.
Claudio/a Aurelio/a. Athena 12, 1900, 148]
p. 72, A7
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tembrivou 1983) - Ancient Macedonia, 4, Papers read at the Fourth International Symposium
held in Thessaloniki (September 21-25, 1983), Thessaloniki, pp. 51-69.
Santuario di Dioniso
L’esistenza del santuario è indiziata da due sole testimonianze: un’emissione in bronzo
della zecca locale dell’epoca di Settimio Severo, raffigurante Dioniso stante, con in mano il
tirso e un grappolo e ai piedi la pantera, davanti alla facciata di un tempio ionico tetrastilo10, e
un’iscrizione onoraria rinvenuta nel 1985 nella zona della necropoli settentrionale della città,
citante una sacerdotessa del “dio patrios Dioniso”11.
Edessa 20 lastra di marmo Iscrizione di dedica di una statua Chrysostomou 1987; 200 d.C. circa
da parte del figlio Iulius Crispinus SEG 36, 615
per la madre Claudia Okellina. Il
testo riporta che la donna esercitò la
carica di sacerdotessa del santuario
di Dioniso Patrios12 e l’archiereia
(come pure il padre Claudius Maxi-
mus) della città di Edessa.
Bibliografia
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tovmo~ gia ton kaqhghthv Manovlh Androvniko, 2, Thessaloniki, pp. 993-1003.
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Papaefthymiou E.F. 2002, Edessa en Macédoine. étude historique et numismatique, Athè-
nes.
10
Papaefthymiou 2002, p. 54, n. 7 (D6-R7), pl. 4.
11
Chrysostomou 1987.
12
L’epiteto, come sottolineato in Chrysostomou 1987, pp. 997-998, indica la lunga tradizione del culto del dio
nella città.
2.2 Skydra
La città, menzionata da alcuni auori antichi13, è stata localizzata tra i moderni villaggi di
Arseni ed Episkopi grazie ai rinvenimenti epigrafici14. Sulla base di un’iscrizione di III sec.
d.C. in cui è citato l’etnico Skudrai'o~ è stata ipotizzata la sua indipendenza in età romana15.
Sono noti due luoghi di culto situati nel territorio del centro: un tempio ellenistico di ignota
dedicazione, frequentato fino al III sec. d.C., e un santuario di Artemide Gazoria, attivo in età
imperiale, sede di pratiche di manumissio.
Età ellenistica
L’edificio, di forma rettangolare allungata (28,50 x 10,50 m) (fig. III.3) si conserva solo a
livello di fondazione ed è suddiviso internamente in quattro vani contigui: dal lato breve a sud-
est, attraverso due piccoli ambienti consecutivi profondi entrambi circa 3 m, si accede alla cella
(lunga 9 m), comunicante a nord-ovest con un ulteriore vano (un adyton o opistodomos, lungo
6 m).
Il materiale da costruzione è per la maggior parte il poros, proveniente dalle regioni
di Edessa, Naousas e Beroia; in minima parte si trova impiegata la pietra della collina dove
sorge il tempio. La messa in opera dei blocchi, accuratamente squadrati e assemblati nei
due corsi rimasti, testimonia un’attenta costruzione dell’edificio, studiata dal punto di vista
statico ed estetico. Della decorazione architettonica sono stati rinvenuti solo scarsi fram-
menti16.
La cronologia del tempio è difficilmente precisabile. I più antichi materiali datanti rinve-
nuti (frammenti ceramici bollati) risalgono al III sec. a.C. e forniscono la probabile datazione
della costruzione dell’edificio, in assenza di ulteriori indagini che consentano una maggiore
precisione; l’ipotesi degli scavatori è che la realizzazione del tempio sia in relazione con le atti-
vità della casa regnante macedone tra la fine del III e il II sec. a.C.
Alcuni frammenti di statua (un dito e una parte di braccio17) sono forse relativi ad ex voto
dedicati nel santuario. Tra gli altri materiali rinvenuti, si segnalano due monete di bronzo (pro-
venienti da una fossa di spoglio), una della Lega Tessala ed una di Perseo.
13
Pl., IV, 34; Ptol. III, 12, 36; St. Byz., s.v. Skuvdra.
14
Per la localizzazione dell’antica Skydra si veda Papazoglou 1988, pp. 149-150. La moderna Skydra, che ha
acquistato questo nome nel 1930 in sostituzione del toponimo turco Vertekop, non coincide esattamente con il sito
dell’antica polis.
15
SEG 24, 530.
16
Chrysostomou 1998b, p. 370, figg. 8, 10.
17
Chrysostomou 1998b, p. 370, fig. 11.
Fig. III.3 - Skydra, tempio di ignota dedicazione, pianta (da Chrysostomou 1998, p. 366, fig. 6).
Età romana
La frequentazione del tempio in età romana è testimoniata dal rinvenimento di materiali
(lucerne, scarsi frammenti di sigillata, monete di I-III secolo18).
Bibliografia
Chrysostomou A. 1998, Skuvdra 1998. O arcaivo~ naov~ sto oikovpedo twn ergatikwvn
katoikivwn, in AErgoMak, 12, pp. 353-368.
Skydra 1 stele di marmo bianco Affrancamento per consacrazi- BCH 47, 1923, pp. 182- età romana
(0,37 x 0,21 x 0,04 m) one alla dea Artemide Gazoria 183;
della giovane schiava Ariagne SEG 2, 396
da parte di Aurelia Philippa,
prima detta Euridice.
18
Chrysostomou 1998b, p. 367.
19
Cfr. Gofas, Hatzopoulos 1999, pp. 5-6.
Skydra 2 stele di marmo in due Framm. A.1: dedica ad Ar- BCH 81, 1957, p. 389; 105/106 d.C.
frammenti (largh. 0,32 temide Gazoritis e Blouritis SEG 17, 317
m) reimpiegata nel per la salvezza dei padroni
muro della chiesa di Claudio figlio di Peierion,
Arseni Iulia figlia di Menneis, Popilia
figlia di Sosipatra (...).
Framm. B.1: dedica di Claudio
Zenon e Claudio Dardanos
alla dea Eutychia, Enodia,
Kotis.
Skydra 3 stele reimpiegata nella Affrancamento per consacrazi- Dimitsas 1896, I, p. 95, 232 d.C.?
chiesa di Episkopi one alla dea Artemide Gazoria n. 126
della piccola schiava Onesima
da parte di Ulpia Euporia e
Aurelio Dionisio, che l’hanno
ben allevata e sono loro stessi
schiavi della dea.
Bibliografia
Dimitsas M. G. 1896, ÔH Makedoniva ejn livqoi~ fqeggomevnoi~ kai; mnemei'oi" swzomevnoi",
Athens [ristampa: Sylloge inscriptionum Graecarum et Latinarum Macedoniae, a cura di Al. N.
Oikonomides, Chicago 1980].
Gofas D., Hatzopoulos M.B. 1999, Acte de vente d’esclave de Skydra (Macédoine), in
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Hatzopoulos M.B. 1987, Artémis Digaia Blaganitis en Macédoine, in BCH, 111, pp. 397-
412.
Petsas Ph. 1957, Artevmi~ Agrotera Gazwreivti~ kai Bloureivti~, in BCH, 81, pp. 387-390.
2.3 Pella
Situata in una larga piana dolcemente digradante verso sud (in una posizione ammirata
anche da Lucio Emilio Paolo accampato alle sue porte20), Pella divenne alla fine del IV sec. a.C.
la nuova capitale della Macedonia al posto di Aigai per volere di Archelao; a questo periodo,
come testimoniano le indagini archeologiche condotte in varie parti della città, risale l’impianto
urbanistico cittadino (di tipo ippodameo) con tutte le sue infrastrutture, completato dai vari
monarchi macedoni fino alla fine del III sec. a.C.
Dopo la battaglia di Pidna (168 a.C.) la città fu depredata dai Romani, ma non smise di
essere protagonista di interventi edilizi e attività produttive, come indicano i ritrovamenti più
recenti in vari settori dell’abitato. In seguito alla divisione della Macedonia divenne capitale del-
la terza meris. Alla fine del I sec. a.C. fu completamente distrutta da un terremoto; parte della
città continuò ad essere abitata anche in seguito, come testimoniano alcuni lavori di restauro,
ma con le continue incursioni barbariche di cui l’area fu oggetto in questo periodo la maggio-
ranza della popolazione sembra essersi trasferita poco più ad ovest, nella nuova città romana
Colonia Pellensis, fondata intorno al 30 a.C. sulla via Egnatia (localizzata nel sito dell’odierna
Nea Pella)21. Dal 30 a.C. la città compare infatti nella monetazione con il titolo di Colonia Iulia
Augusta Pella. Rivestì un ruolo importante come base militare nel II sec. d.C., grazie alla sua
20
Liv., XLIV, 46, 4-11.
21
Sul problema della data di fondazione della colonia v. Papazoglou 1988, pp. 136-137.
posizione lungo la via Egnatia, ma non si sviluppò mai quanto le altre due colonie della Mace-
donia, Filippi e Dion22.
L’Itinerarium Antonini23 menziona una città chiamata Diocletianoupolis nel sito di Pella;
questo ha condotto molti studiosi a concludere che la città fu ricostruita da Diocleziano e che la
popolazione di Pella onorò il nuovo fondatore conferendo alla città il suo nome. Si pensa dun-
que che il centro, dopo il saccheggio dei Goti del 268, sia stato ricostruito e rinominato Diocle-
tianoupolis intorno al 290 nel generale quadro di ricostruzioni e rinnovamento della provincia
romana (lo stesso rinnovamento che vide diventare Salonicco sede dell’imperatore Galerio);
della città però restò in vita solo il settore settentrionale, a nord della via Egnatia. Per alcuni
anni la città fu chiamata con entrambi i nomi (nell’Itinerarium Hierosolymitanum e nell’Itine-
rarium Burdigalense24 è menzionata come civitas Pelli o Polli).
La città rimase viva per tutto il periodo bizantino.
A Pella risultano attivi in età tardo-classica ed ellenistica tre luoghi di culto (fig. III.4).
Il più importante, al centro della città antica, era probabilmente quello dedicato ad Afrodite
e alla Madre degli Dei, che continua ad essere frequentato anche dopo la conquista romana,
fino alla fine del I sec. a.C. In posizione periferica si trovano invece altri due santuari: quello
di Darron (una divinità assimilabile ad Asclepio25), situato nell’area del moderno canale di
irrigazione, a sud-ovest del centro cittadino, e il Thesmophorion, ubicato nel settore a nord-
est della città.
Il primo, costituito da una larga area scoperta con un piccolo tempio, è caratterizzato
da una singolare abbondanza di strutture idriche (una fontana, una cisterna e diversi pozzi),
evidentemente legate a necessità cultuali; l’area sacra probabilmente faceva parte di un grande
complesso di carattere sacro che occupava quattro isolati, comprendente un edificio circolare,
il santuario di Darron, l’hestiatorion e un thesauros. Il santuario conobbe tre fasi edilizie, di cui
la prima di fine IV-inizi III sec. a.C. e l’ultima nella tarda età ellenistica26.
Il Thesmophorion, invece, comprende un semplice recinto circolare in blocchi squadrati
(diam. 10,20 m; altezza conservata 1,20 m), con le facce interne intonacate, che delimita un’area
ipetrale ipogeica. L’accesso all’area è consentito da due rampe, l’una a nord-est, l’altra a sud-
ovest; il pavimento è lastricato con uno spesso livello di pietrisco, nel quale sono scavati 20
pozzi (cavità circolari e rettangolari, certamente megara), dai quali provengono ossa di capre,
pecore e maialini. Al centro dell’area è un altare formato da una serie di livelli di ceneri, all’in-
terno dei quali è stata rinvenuta la maggior parte degli ex voto (tra cui soprattutto cavallini e
figure femminili in terracotta). I materiali rinvenuti suggeriscono una frequentazione del san-
tuario dall’ultimo quarto del IV sec. a.C. alla fine del II sec. a.C.27.
22
Chrysostomou 2004, pp. 147-148.
23
Itin. Ant., 330, 6 (284-305 d.C.).
24
Itin. Burd. 606, 1 (333 d.C.).
25
Hatzopoulos 2006, p. 53.
26
Lilimpaki-Akamati 1987; Lilimpaki-Akamati 1991; Lilimpaki-Akamati 1996a.
27
Lilimpaki-Akamati 1996b; Lilimpaki-Akamati 2003; Siganidou, Lilimpaki-Akamati 2003.
Fig. III.4 - Pella, pianta generale della città con ubicazione dei principali complessi monumentali (da Sigani-
dou, Lilimpaki-Akamati 2003).
nord-sud (fig. III.4). La porzione settentrionale dell’isolato in cui è situato il santuario non è
stata indagata; un lungo muro sembra limitare a nord il temenos, ma gli scavatori non escludono
che l’area sacra potesse essere funzionalmente connessa al settore non scavato a nord di essa.
Il complesso (fig. III.5) è interessato da due distinte fasi costruttive: la prima è datata
all’ultimo quarto del IV sec. a.C., periodo di intensa attività edilizia a Pella, la seconda alla fine
del III-inizi del II sec. a.C., quando il santuario fu completamente risistemato. La fine della fre-
quentazione dell’area sacra è contemporanea alla distruzione dell’agora, alla fine del I sec. a.C.,
probabilmente dovuta ad un terremoto28.
28
Per la distruzione dell’agora si veda Akamati 1993, pp. 320-323, 345-346.
29
M. Siganidou in Ergon, 1983, p. 36; id. in Prakt., 1983, pp. 61-62.
30
M. Siganidou in Ergon, 1985, p. 30; G. Touchais, Cronique in BCH, 110, 1986, pp. 718-719.
31
Lilimpaki-Akamati 2000.
Fig. III.5 - Pella, santuario di Afrodite e della Madre degli Dei, pianta generale (elab. autore da Lilimpaki-
Akamati 2000, fig. 2).
al cui interno sono state rinvenute due lastre di pietra in situ che formavano, insieme ad una
terza caduta in un angolo, una trapeza per le offerte. Lungo il lato settentrionale dello spazio
aperto fu poi costruita una stoa, larga circa 3,80 m e aperta verso sud con 10 pilastri poggianti
su altrettante basi rettangolari di pietra.
Nel settore settentrionale dell’area sacra, nucleo originario del santuario, il tempio di prima
fase venne sostituito da un nuovo edificio più grande (10 x 6,50 m) con il medesimo orientamento,
diviso in pronaos e sekos; nello spazio aperto ad est di questo è stato individuato un livello di pie-
trisco allettato regolarmente a formare un rettangolo, che secondo gli scavatori costituiva forse la
fondazione di un altare, non conservato. Quest’area orientale, su cui si apriva l’ingresso al nuovo
tempio, era circondata a nord, est e sud da portici: il portico meridionale era occupato da una ci-
sterna sotterranea (cui si accedeva tramite una scalinata tagliata nella roccia), sul portico orientale
e su quello settentrionale si affacciavano invece una fila di ambienti di servizio (tra i quali, all’an-
golo nord-orientale, un vano ospitante un forno ceramico). Nel settore nord-occidentale, l’area
aperta con l’altare fu recintata da muri sui lati ovest, sud ed est (rimase aperto solo il lato setten-
trionale), mentre il pozzo di prima fase, rimasto così al di fuori del nucleo sacro nord-orientale, si
trovò a fiancheggiare il passaggio che costituiva l’ingresso al santuario da ovest. A sud del tempio
settentrionale, infine, venne costruita una sala per banchetti (5 x 6,50 m), aperta verso sud sulla
stoa che divideva i settori settentrionale e meridionale del santuario; la funzione del vano è rivelata
con chiarezza dagli oggetti rivenuti al suo interno (un fulcrum bronzeo32, il manico di un cratere
a volute di bronzo, un mestolo di bronzo, sevizi potori33, spiedi bronzei).
In un secondo momento, di poco posteriore agli interventi appena descritti, venne chiuso
l’ingresso occidentale al santuario e fu creato un ambiente rettangolare nella porzione occiden-
tale della stoa a sud della sala da banchetto; simmetricamente a questo nuovo vano, ad est della
stessa stoa, fu realizzata una stanza utilizzata come magazzino per figurine votive in terracotta.
Nello spazio subito ad ovest della sala da banchetto, limitato a nord dal muro che recingeva
l’area dell’altare e ad ovest da una nuova struttura muraria, furono costruiti un forno ceramico
e un bancone a L appoggiato ai muri settentrionale ed occidentale.
Votivi
Dallo scavo provengono numerosissime statuette votive in terracotta di produzione lo-
cale34, databili genericamente all’età ellenistica (provengono infatti prevalentemente dai livelli
di distruzione, e poiché la tipologia di questi oggetti rimane pressoché invariata è impossibile
una più precisa collocazione cronologica). Il tipo più attestato è la figura femminile35: Afrodite
nuda o seminuda, statuette femminili con chitone e manto (un tipo comune nell’età ellenistica,
ampiamente prodotto nelle officine di Pella e dedicato indiscriminatamente in santuari o sulle
tombe), Cibele (nella sua più tipica iconografia, su trono affiancata da un leone seduto), Atena
(talvolta con corna di bue ai lati dell’elmo). Altri tipi attestati sono Eroti, erme, Eros e Psiche,
statuette dionisiache e teatrali, bambini con grappoli d’uva o a cavalcioni di una capra o di un
delfino36; sono presenti anche altari miniaturistici e un tronco d’albero avvolto in un drappo37.
32
Lilimpaki-Akamati 1986.
33
Un servizio di vasellame, rinvenuto nel settore settentrionale del vano, era posto su scaffalature lignee, come
indicato dal rinvenimento di chiodi di ferro e di placche di bronzo che costituivano la giuntura tra le parti di legno
(cfr. Lilimpaki-Akamati 2000, p. 234).
34
Sono state trovate alcune delle matrici con cui furono fabbricate le statuette in un’area produttiva nell’ala
orientale dell’agora (cfr. Lilimpaki-Akamati 2000, p. 235).
35
Lilimpaki-Akamati 2000, pp. 40-52.
36
Lilimpaki-Akamati 2000, pp. 52-63.
37
Quest’ultimo ex voto è stato messo in relazione con il rito del taglio del pino, simboleggiante la sepoltura di Attis,
anche se nel santuario non sono stati rinvenuti altri oggetti legati a questo culto (cfr. Lilimpaki-Akamati 2000, p. 235).
Due stele a naiskos in pietra con la tipica raffigurazione della Madre degli Dei sono state
rinvenute nel pronaos del tempio più a sud38; alla Madre degli Dei è dedicato anche un altare
miniaturistico in marmo rinvenuto nella stoa meridionale39. Dal settore nord-orientale del
complesso provengono invece due frammenti di una base votiva con un’iscrizione ad Afro-
dite40.
Culto
La tipologia degli ex voto rivela la dedicazione del santuario a due divinità femminili,
Afrodite e la Madre degli Dei. Non è possibile ipotizzare una precisa divisione degli spazi
dell’una o dell’altra figura divina, tuttavia l’organizzazione monumentale del complesso sug-
gerisce una separazione tra il settore settentrionale e quello meridionale, ciascuno focalizzato
intorno all’edificio templare. Nel settore settentrionale la presenza di riserve idriche (pozzo
e cisterna) per i riti di purificazione è forse da legare al culto di Afrodite41, cui è dedicata
anche la base rinvenuta nell’area nord-orientale; il settore meridionale, da cui provengono
le due stele a naiskos e l’altare miniaturistico in marmo, poteva invece forse essere dedicato
alla Madre degli Dei. Resta ignoto se durante la prima fase edilizia (quando il santuario era
limitato al solo settore settentrionale) il culto fosse tributato ad una sola delle due divinità o
ad entrambe insieme42.
Età romana
Non si registrano nel santuario tracce della distruzione operata dai romani nella città in
seguito alla battaglia di Pidna (168 a.C.), né interventi edilizi successivi a questa data. Gli ex
voto rinvenuti non forniscono indicazioni cronologiche, dato il conservatorismo dello stile,
della tipologia e dell’iconografia di questo tipo di oggetti, che rimangono pressoché invariati
per un ampio arco cronologico43. Il santuario fu tuttavia frequentato per tutto il II e il I sec. a.C.
fino ad un evento (di natura sismica, secondo gli scavatori) che ne determinò la demolizione,
collocabile alla fine del I sec. a.C. sulla base dei rinvenimenti monetali nei livelli di distruzione
(emissioni di Anfipoli, Salonicco, Pella e Roma circolanti fino al 31 a.C. circa44).
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39
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40
Lilimpaki-Akamati 2000, p. 188, nn. 597-598.
41
Lilimpaki-Akamati 2000, p. 213.
42
Lilimpaki-Akamati 2000, p. 217.
43
Lilimpaki-Akamati 2000, p. 200.
44
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crazione alla dea Syria Parthenos 384, n. 14;
Gyrbiatissa degli schiavi nati in casa SEG 43, 435
Lykon e Zosimos da parte di Quinta
figlia di Porio, di Kyrrhos. L’epiteto
Gyrbiatissa della dea, di cui questa è
l’unica attestazione, viene interpretato
come derivante da un toponimo (così
si sarebbe dunque chiamata la località
antica46). La dedicante proviene dalla
vicina città di Kyrrhos, distante circa
11 km.
Bibliografia
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SEG 42, 552.
45
Alla qea'/ Suriva/ Parqevnw/ sono rivolti anche altri due atti di affrancamento per consacrazione provenienti da
Beroia (EKM 1, Beroia 51, datato al 240 d.C., e EKM 1, Beroia 52, datato al 262 d.C.).
46
Chrysostomou 1989, p. 106, nota 19.
2.5 Beroia
La città si estende alle pendici orientali del monte Vermion47, su un pianoro che domina la
pianura sottostante. Il territorio cittadino è limitato a sud dall’Haliakmon, a nord dal territorio
di Skydra48, a nord-est dal fiume Loudias49.
Beroia occupa in età romana una posizione di rilievo tra i centri urbani della Macedonia ad
ovest del fiume Axios (ovvero della terza e quarta merides)50, seconda solo a Salonicco, come di-
mostrato dai numerosi ritrovamenti epigrafici provenienti dalla stessa città e dal suo territorio51.
Già prima della conquista romana essa ricopriva un ruolo importante nel regno macedone sotto
gli Antigonidi ed era aperta ai contatti con la Grecia e il mondo orientale: lo testimoniano i culti
della dea siriana Atargatis52 e di Iside Lochia, e il passaggio della theoria delfica53. Beroia fu la
prima città a consegnarsi ai Romani dopo Pidna54, ciò che le valse un rapporto particolare con
i nuovi dominatori; ma soprattutto per il suo notevole sviluppo le fu favorevole la posizione,
sulla strada che conduceva da Pidna verso l’interno.
In epoca ellenistica il cuore della città pare localizzato al centro dell’area delimitata dalla
cinta muraria (realizzata in questa fase e poi restaurata e rinforzata tra il III e il IV sec. d.C.55):
degli edifici pubblici sono noti l’agora, lo stadio e il ginnasio (fuori dalle mura, a sud-est) e
i tre santuari di Eracle Kynagidas, Asclepio e Dioniso. L’età romana vide un ingrandimento
dell’abitato e la monumentalizzazione delle strutture ellenistiche (in particolare, nel II-III sec.
d.C., vengono rifatte le mura e la rete stradale). Già in epoca repubblicana è attestata la presenza
di ejnkekthmevnoi italici (segno dunque di prosperità della città)56; durante la guerra civile del
49-48 a.C. Beroia venne utilizzata come base militare da Pompeo57, e fu quindi sede del koinon
macedone almeno dall’età flavia alla metà del III secolo58. Sotto il regno di Nerva, possedeva
il privilegio di vigilare sui templi degli Augusti e sulle celebrazioni del loro culto (neokoria) e
il titolo di metropolis59; nel III secolo ottenne una seconda neokoria60 e fu la sede dei concorsi
panellenici degli Alexandreia61.
Del paesaggio sacro della lamprotavth Beroiaviwn mhtrovpoli" e prwteuvousa th'" Make-
doniva"62 si conoscono allo stato attuale delle ricerche quattro luoghi di culto, purtroppo non
ancora localizzati con sicurezza sul terreno: i santuari di Asclepio, Eracle Kynagidas, Artemide
Agrotera e degli Augusti (fig. III.6).
47
Str., 7, fr. 25, 26.
48
La città di Mieza non sembra infatti aver mantenuto la sua indipendenza in età romana, e probabilmente fu
incorporata nel territorio di Beroia: cfr. Hatzopoulos, Loukopoulou 1987, p. 33, nota 26.
49
Hatzopoulos, Loukopoulou 1987, pp. 33-35.
50
Livio la classifica tra le nobiles urbes della terza meris: Liv., XLV, 30.5.
51
Per un elenco si veda Tataki 1988, pp. 46-52; cfr. anche Brocas-Deflassieux 1999.
52
Cfr. A. Orlandos in ADelt, 2, 1916, p. 144, n. 1; Brocas-Deflassieux 1999, pp. 77-78.
53
BCH, 45, 1921, 17, III, pp. 57-58.
54
Liv. XLIV, 45.5.
55
Brocas-Deflassieux 1999, pp. 35-36, 99-100.
56
EKM I, Beroia 59 (iscrizione onorifica per L. Calpurnio Pisone, patrono della città, da parte dei Beroiai'oi kai;
oiJ e[kekthmevnoi ÔRwmai'oi; 57-55 a.C.).
57
Plut. Pomp. 64.
58
Papazoglou 1988, p. 143, nota 18.
59
EKM I, Beroia 1177.
60
EKM I, Beroia 71, 109, 481, 483.1, 485.1.
61
EKM I, Beroia 69; Ancient Macedonia, I, 1970, 285, B (240 d.C.)
62
EKM I, Beroia 108 e EKM I, Beroia 7.
Santuario di Asclepio
Età ellenistica
Il santuario, non individuato sul terreno, è ricordato già in età ellenistica da diversi do-
cumenti epigrafici che ne indicano un ruolo politico e religioso di primo piano nell’ambito
cittadino. Una lettera reale di Antigono del 248 a.C. rivela che i sacerdoti di Asclepio godevano
dell’ateleia (esenzione dai tributi)63; un atto di affrancamento rinvenuto nei dintorni della città,
datato al 232-229 a.C., menziona come arconte eponimo un sacerdote di Asclepio64; infine una
stele trovata nel 1980 reimpiegata in un edificio romano della città reca un testo relativo alle fi-
nanze e alla gestione economica del santuario di Asclepio, Apollo e Igea, inciso nel terzo quarto
del III sec. a.C.65.
Età romana
La conquista romana non segna la fine della frequentazione dell’Asklepieion: una base di
marmo iscritta rinvenuta fuori dalla chiesa di H. Antonios riporta la dedica ad Apollo, Asclepio
e Igea di un enkoimeterion (edificio legato all’incubazione cultuale) e di un’esedra nell’anno 18
dell’era macedone (131-130 a.C.)66. La continuità di vita del santuario fino ad età imperiale è
documentata da un’iscrizione scoperta recentemente in una zona centrale della città antica, che
nomina una fontana situata nel santuario di Asclepio67. è stato proposto che dal santuario pro-
venisse inoltre una lastra iscritta con le impronte di due piedi scoperta in una casa privata68.
Sebbene il santuario non sia ancora stato individuato la sua importanza e parte della sua
organizzazione monumentale ci sono dunque note grazie alle testimonianze epigrafiche. Il luogo
di rinvenimento della stele con il testo sulla gestione economica dell’Asklepieion e dell’iscrizione
Beroia 2 ha suggerito che l’area sacra potesse trovarsi nella zona centrale della città, in un isolato in
cui sono state portate alla luce delle strutture di età ellenistica modificate in epoca romana: si tratta
di un vasto complesso termale dotato di calidarium, tepidarium, frigidarium, piscine e fontane69.
Va da ultimo citato (sebbene non sia sicura la sua pertinenza al santuario) un rilievo votivo
rappresentante Asclepio imberbe ed una figura femminile (forse Igea) rinvenuto nella piazza
del tribunale della città70.
Beroia 1 base in marmo L’iscrizione ricorda che nell’anno 131- EKM I, Beroia 18; 131-130 a.C.
130 a.C. Marsia figlio di Demetrio offrì ABSA, 18, 1911-12,
ad Apollo, Asclepio e Igea l’enkoimete- pp. 144-146
rion in pietra e l’esedra davanti ad esso.
Beroia 2 base di marmo L’iscrizione ricorda l’offerta da parte di EKM I, Beroia 41 prima metà
bianco un ignoto dedicante di una serie di strut- del II sec. d.C.
ture idriche nella città, tra cui un polykre-
non (probabilmente una fontana con più
bocche) nel santuario di Asclepio.
Bibliografia
Allamani-Souri V. 1984, Apollwvni, Asklhpivw/, Ugieiva/. Epigrafhv martuvria gia to
Asklhpieivo th~ Bevroia~, in ADelt, 39, A, pp. 205-231.
63
EKM I, Beroia 3; ABSA, 18, 1911-1912, p. 134, 1; SEG 12, 311; SEG 43, 379.
64
Hatzopoulos 1996, II, pp. 108-110, n. 93; Brocas-Deflassieux 1999, p. 69.
65
Allamani-Souri 1984; Hatzopoulos 1996, II, pp. 84-85, n. 62.
66
EKM I, Beroia 18; ABSA, 18, 1911-12, pp. 144-146.
67
EKM I, Beroia 41.
68
ABSA, 18, 1911-12, pp. 150-151.
69
ADelt, 32, 1977, p. 225 (rinvenimento di canalette, bacini e mosaici nell’isolato 212); ADelt, 33, 1978, p. 263
(edificio con più fasi ellenistiche e romane negli isolati 219-220 e statue maschili nude nell’isolato 225); ADelt, 35,
1980, pp. 399-400 (fontane, piscine).
70
BCH, 73, 1949, pp. 531-532, fig. 15.
Età romana
I documenti epigrafici testimoniano la continuità di vita del santuario anche dopo la con-
quista romana, fino almeno alla fine del I sec. a.C. Le dediche Beroia 4-6, in particolare, indica-
no la persistenza della pratica di offerta all’eroe di skyphoi, come indicato già in una delle lettere
reali di Demetrio II.
Il luogo di rinvenimento della maggior parte delle iscrizioni citate (nel settore occidentale
della città) ha suggerito che il santuario potesse trovarsi nella zona della chiesa di Agios Taxiar-
chos, oggi distrutta (isolato 157, Vermiou)75.
Beroia 3 iscrizione votiva ricordata Dedica ad Eracle Kynagidas dal suo EKM I, 30; II-I sec. a.C.
da Delacoulonche (inserita sacerdote Asklepiodoros figlio di Delacou-
nel muro di una casa), oggi Pleuratos. Il nome Asclepiodoro è lonche
perduta molto diffuso in Macedonia76, mentre 1859, p. 254,
il patronimico Pleuratos è illirico (la n. 53
presenza di Illiri nella regione è ricor-
data anche da Livio77 e probabilmente
risale all’epoca di Filippo V78).
71
Antol. Pal. 6, 114-116.
72
Edson 1934.
73
ADelt, 23, 1968, 346; EKM I, 29.
74
EKM I, 3, con bibl.
75
Allamani-Souri 1993, pp. 99-100; Brocas-Deflassieux 1999, pp. 66-69; Hatzopoulos, Gunaropoulou
1998, p. 95.
76
Edson 1934, p. 231.
77
Liv., 45.30.5.
78
Hatzopoulos, Gunaropoulou 1998, p. 134, n. 30.
Beroia 4 stele di marmo bianco (1,20 x Dedica “collettiva” da parte di 11 EKM I, 31 II-I sec. a.C.
0,51 x 0,16 m), probabilmen- schiavi liberati (del padrone Kriton
te elemento architettonico figlio di Eutidikos) di uno skyphos
del tempio di Eracle Kynagi- d’argento da 55 dracme80.
das. Sulla stele sono iscritte
anche una lettera di Antigono
Dosone o Filippo V alla cit-
tà79 e le iscrizioni nn. 5 e 6.
Beroia 5 stesso supporto della prece- Dedica da parte di Italia, liberta di EKM I, 32 prima metà
dente Nikandros figlio di Lisimaco, di del I sec.
uno skyphos da 5 dracme81. a.C.
Beroia 6 stesso supporto della prece- Dedica ad Eracle Kynagidas di uno EKM I, 33 I sec. a.C.
dente skyphos da 5 dracme.
Beroia 7 stele di marmo bianco (1,18 x Catalogo di 22 giovani kynegoi82 di EKM I, 134 122/121-
0,43 x 0,18 m) Eracle Kynagidas, due per anno. La 112-111
maggior parte dei nomi è macedone a.C.
o greco83.
Bibliografia
Allamani-Souri V. 1993, ´Hraklh" Kunagivda" kai kuvnhhgoi. Neva epigravfika stoiceiva
atov th Bevroia, in Arcaiva Makedoniva, 5, Anakoinwvsei" katav tov Pempto Dieqnev" Sumpovsion
en Qessalonivkh (Qessalonivkh, 10-15 oktobriou 1989) - Ancient Macedonia, 5, Papers read at
the Fifth International Symposium held in Thessaloniki (October 10-15, 1989), Thessaloniki,
pp. 77-106.
Brocas-Deflassieux L. 1999, Beroia, cité de Macédoine. Etude de topographie antique,
Beroia.
Delacoulonche A. 1859, Mémoire sur le berceau de la puissance macédonienne, in Archi-
ves des missions scientifiques et littéraires, 8, pp. 67-288.
Edson Ch. 1934, The Antigonids, Herakles and Beroea, in HSCP, 45, pp. 213-246.
Hatzopoulos M.B., Gounaropoulou L. 1998, Epivgrafe~ kavtw Makedoniva~, I, Athi-
na.
79
EKM I, Beroia 3.
80
Ne risulta un’offerta di 50 dracme per ciascuno schiavo liberato, ovvero circa 1/10 del valore medio di uno
schiavo.
81
Il nome Italia, non documentato in precedenza a Beroia, è presente in Grecia dal V sec. a.C.
82
Il ruolo dei kynegoi non è chiaro: si tratta forse di membri di un’associazione privata legata al culto di Eracle
Kynagidas (tra i quali venivano scelti i sacerdoti), funzionari o ufficiali del culto o, più probabilmente, veri e propri
sacerdoti (Edson 1934, pp. 227-228; Allamani-Souri 1993, pp. 87-89).
83
Allamani-Souri 1993, pp. 89-98.
Beroia 8 stele di marmo (0,86 x Il testo ricorda che Ariagne figlia di Ba- EKM I, Be- 181 d.C.
0,33 x 0,09 m) vista per la stos fece dono della sua schiava Elpis ad roia 49
prima volta nel 1911 nel Artemide Agrotera e riporta la lettera
muro occidentale della datale dai fratelli in relazione all’atto di
chiesa di Agios Kerykos e affrancamento. I fratelli, Herakleides e
Ioulitta (isolato 76), ora al Bastos, dichiarano la loro riconoscenza
museo di Beroia alla sorella e la loro approvazione circa la
liberazione della schiava, sottolineando
che la sorella ha il pieno potere sui suoi
beni e li ha acquistati da sola col suo
lavoro. Aggiungono di essere d’accordo
anche nel caso in cui ella volesse ipoteca-
re qualche suo bene per provvedere alla
sua vecchiaia, poiché essi non possono
mettere a disposizione nulla per questo.
Beroia 9 altare di marmo bianco La sacerdotessa di Artemide Agrotera EKM I, Be- post 249-
(1,35 x 0,60 x 0,59 m) Lucia Aureliane Alexandra, sorella di roia 109 250 d.C.
visto per la prima volta Lucius Aurelianus Soterichos, che ha
nel 1989 presso la scuola ricoperto le cariche di archiererus e ar-
femminile “Thileon” conte, è onorata poiché durante il sacer-
dozio ha compiuto tutti i suoi doveri nei
confronti degli dei e degli uomini. Né il
nome di Lucia Aureliane Alexandra né
quello del fratello Lucius Aurelianus So-
terichos sono noti da altre iscrizioni.
84
Brocas-Deflassieux 1999, p. 82.
85
Gaebler 1935, pp. 189-192, pl. XI.
Beroia 10 dovmo" di marmo (0,5 x Dedica all’imperatore Tito Cesare, figlio EKM I 62 regno di
0,67 m) del divino Vespasiano. Tito
Beroia 11 frammento di stele di Dedica all’imperatore Antonino Pio, fi- EKM I 65 regno di
marmo bianco (0,36 x glio del divino Adriano, nipote del divino Antonino
0,63 x 0,12 m) Traiano Partico, grande archiereus, tribu- Pio
nicia potestas (...), supremo (...).
Beroia 12 lastra di marmo bianco Testo in due colonne: EKM I 66 198-210
(0,81 x 1,20 x 0,08 m) A) Dedica della metropolis e neokoros d.C.
probabilmente apparte- Beroia all’imperatore Settimio Severo.
nente ad una base B) Dedica della metropolis e neokoros
Beroia a Giulia Domna Augusta, moglie
di Lucio Settimio Severo, madre degli
eserciti.
Beroia 13 lastra di marmo (0,23 x Dedica all’imperatore Caracalla. EKM I 67 209-212
0,13 x 0,01 m) d.C.
Beroia 14 lastra di marmo bianco Si tratta di una invitatio ad munera vena- EKM I 68 229 d.C.
(0,74 x 1,22 x 0,008 m) tionum et gladiatorum offerti dal macedo-
niarca e archiereus Valerianus Filoxenos e
da sua moglie Valeriane Ammia in onore
dell’imperatore Alessandro Severo e sua
madre Giulia Mamea (i cui nomi furono
in seguito erasi per damnatio memoriae).
Beroia 15 lastra di marmo bianco L’iscrizione ricorda l’organizzazione di EKM I 69 240 d.C.
(0,98 x 1,89 x 0,04 m) venationes e giochi gladiatori da parte del
macedoniarca e archiereus L. Septimius
Insteianus Alexandros e sua moglie Elia
Alexandra in onore dell’imperatore Gor-
diano III.
Beroia 16 base di statua di marmo Dedica della città di Beroia e degli ejn- EKM I 59 57-55 a.C.
bianco (1,10 x 0,20 x 0,50 kekthmevnoi ÔRwmai'oi in onore del pro-
m) inglobata nel muro console L. Calpurnius Piso.
della moschea Orta Dja-
mi (isolato 86)
Beroia 17 base di statua di marmo in Dedica di una statua a Claudio da parte EKM I 60 42-44 d.C.
frammenti (0,96 x 1,31 x della città.
0,38 m) rinvenuta nel
quartiere “Ladomyloi”
(isolati 341-343)
Beroia 18 lastra di marmo bianco Iscrizione molto mutila in onore proba- EKM I 61 79-84 d.C.
(0,63 x 1,46 x 0,20 m) bilmente di Vespasiano durante l’epar-
proveniente dall’isolato cheia di L. Baebius Honoratus (governa-
72 (chiesetta di Agia tore della provincia Macedonia tra 79 e
Anni) 84 d.C.).
Beroia 19 base di statua (1,16 x 0,84 L’iscrizione, in origine probabilmente EKM I 63 98 d.C.
x 0,19 m) rinvenuta a posta sulla base di statua di Nerva, ri-
Orta Djami (isolato 86) corda il titolo di metropolis e la neokoria
concessa alla città da questo imperato-
re; la dedica fu offerta a proprie spese
dall’archiereus degli Augusti e agonothe-
ta Tiberius Iulius (- - -)kratos.
Beroia 20 lastra di marmo bianco L’iscrizione testimonia la riconoscenza EKM I 71 III sec.
(0,29 x 0,99 x 0,25 m) della città verso l’imperatore Elagabalo d.C.
inglobata in una torre o Gordiano III che le hanno concesso il
nell’isolato 94 titolo di metropolis e dyple neokoros.
Bibliografia
Brocas-Deflassieux L. 1999, Beroia, cité de Macédoine. étude de topographie antique,
Beroia.
Kanatsoulis D. 1955, H Bevroia katav tou" autokratorikouv" crovnou", in Makedonikav
Melethvmata, Thessaloniki, pp. 16-21.
Touratsoglou J. 1977, Apov thn politeiva kai thn koinwniva th" arcaiva" Bevroia": epi-
grafikev" shmeiwsei", in Arcaiva Makedoniva, 2, Anakoinwvsei~ kata to deuvtero dieqneiv~ sum-
pwvsio (Qessalonivkh, 19-24 augoustou 1973) - Ancient Macedonia, 2, Papers read at the Second
International Symposium held in Thessaloniki (August 19-24, 1973), Thessaloniki, pp. 481-493.
2.6 Leukopetra
Santuario della Madre degli Dei Autoctona
Geografia e topografia
L’area sacra è situata circa al tredicesimo km della strada statale Beroia-Kozani, presso il
moderno villaggio di Leukopetra, alle pendici del monte Vermion, e sovrasta la valle del fiume
Haliakmon. Il sito si trova nel territorio di Beroia, lungo un antico itinerario dei pastori transu-
manti86 e, secondo la leggenda riportata da Erodoto87, sulla strada percorsa dai tre fratelli della
dinastia Temenide alla conquista di Aigai.
86
Petsas et al. 2000, p. 21.
87
Hdt. VIII.137-138. Per le interpretazioni e la bibliografia recente sul testo di Erodoto, cfr. Petsas et al. 2000,
pp. 20-21.
88
Petsas 1966a, p. 352; per il testo dell’iscrizione si veda Petsas et al. 2000, n. 151.
89
Ph. Petsas, in AD, 21, 1966 (1968), Chron., pp. 352-354, pl. 374-377.
90
Ph. Petsas, Chronika archaiologika, in Makedonika, 7, 1966-1967, pp. 343-344, n. 201, pl. 53-54.
91
Ph. Petsas, Chronika archaiologika, in Makedonika, 9, 1969, p. 200, n. 177.
92
J.-P. Michaud, in BCH, 94, 1970, Chronique, pp. 1054-1055.
93
J. Touratsoglou, in AD, 30, 1975, Chronika, p. 261.
94
Ergon, 1975, pp. 61-62; Ergon, 1976, pp. 53-54; Ergon, 1977, pp. 53-54; Prakt., 1975, pp. 87-90; Prakt., 1976,
pp. 110-114; Prakt., 1977, p. 65.
95
Petsas 1977; Petsas 1979; Petsas 1980; Petsas 1983; Petsas 1984.
96
Petsas et al. 2000.
2002 la 17° Eforia ha intrapreso una pulizia sistematica del sito97 grazie alla quale si è potuta co-
noscere la reale articolazione dell’edificio templare, dotato di un opistodomos non individuato
negli scavi precedenti. Gli aspetti architettonici e strutturali del santuario sono in ogni caso a
tutt’oggi ancora sostanzialmente non pubblicati.
Età romana
Quadro storico
La costruzione e tutto il primo secolo di frequentazione del santuario corrispondono con
la fase di maggiore prosperità della città di Be-
roia, al cui territorio il santuario stesso appar-
tiene: nelle iscrizioni la città viene denominata
“mhtropovli~”, “newkovro~”, “prwteuvousa
th'~ Makedoniva~” (titoli che Salonicco, sede
del governatore romano, ottiene solo più
tardi). Tuttavia tra la città e il santuario non
dovevano esistere rapporti diretti, se nel co-
spicuo corpus epigrafico di Beroia il santuario
non viene mai menzionato98.
Una brusca battuta d’arresto per lo svilup-
po della città (e della Macedonia in generale) è
costituito dall’incursione gotica del 254 d.C.
e, poco dopo, dall’invasione di Goti ed Eruli
nel 268; se ne legge il riflesso nella documenta-
zione epigrafica del santuario, che copre quasi
ininterrottamente il periodo tra il 170 e il 254 e
si arresta invece tra il 254 e il 277-278. L’ultima
fase di vita del santuario è testimoniata da otto
iscrizioni consacrate tra il 277-278 e il 313, l’an-
no dell’Editto di Milano, che evidentemente se-
gna l’inizio del declino definitivo del santuario
(frequentato tuttavia ancora fino all’inizio del
V secolo, come indicano i ritrovamenti mone-
tali) di fronte all’affermarsi del Cristianesimo.
Strutture
Dell’area sacra è stato messo in luce un
piccolo tempio (20 x 9,25 m) composto da cel-
la, pronaos a quattro colonne non scanalate (h.
tot. 3,87 m) e opistodomos99 (figg. III.7-III.8).
Lo stilobate, le colonne, il frontone, l’episti- Fig. III.7 - Leukopetra, tempio della Madre degli Dei
lio, la soglia d’accesso e le tavole per le offerte Autoctona, pianta (da Stefani 2002, p. 538, fig. 3).
97
Stefani 2002, p. 539.
98
Inoltre, tra i 430 nomi di persona presenti nelle iscrizioni di Leukopetra e i 1380 conosciuti dalle iscrizioni di
Beroia solo 2 nomi appaiono in entrambe le liste (Petsas et al. 2000, p. 23).
99
Gli scavatori specificano che la tecnica edilizia dei muri dell’opistodomos (di cui tuttavia non viene fornita una
descrizione) è diversa dal resto dell’edificio, e ipotizzano così che questa parte del tempio risalga ad una fase prece-
dente (allo stato attuale non precisabile). Cfr. Stefani 2002, p. 539.
Iscrizioni
Sono state rinvenute in totale 194 iscrizioni102, pubblicate nel recente volume di Ph. M. Petsas, M.
B. Hatzopoulos, L. Gounaropoulou, P. Paschidis103. Data la cospicua quantità del materiale, completa-
mente edito in una raccolta unitaria, non si riportano in questa sede i testi di tutte le iscrizioni.
116 iscrizioni contengono atti di consacrazione di schiavi alla Madre degli Dei Autoctona:
in 76 casi si tratta della consacrazione di un solo schiavo, in 16 casi di due, in 10 casi di tre, in 3
casi di quattro, in 1 caso di cinque, in 2 casi di sei e infine in 1 caso di quindici.
Altre iscrizioni testimoniano altri tipi di consacrazioni: statue (Petsas et al. 2000, nn. 153,
154), altari (nn. 2, 127, 151, 152, 173, 177), lastre con rilievi (nn. 156, 157), giare (nn. 158, 159),
colonnine (nn. 66, 155), stele (nn. 164, 167), ed anche redditi (nn. 35, 141) e svariati altri beni,
anche preziosi (n. 41).
Sembra discostarsi dalle altre un’iscrizione su lastra di marmo recante un rilievo con la
rappresentazione di una gamba (Petsas et al. 2000, n. 157), verosimilmente di ringraziamento
per la guarigione dell’arto.
In generale, i testi iscritti che ci sono giunti non sono che estratti dei documenti relativi
all’affrancamento che in origine erano deposti negli archivi del santuario104. Tutte le iscrizioni
sono redatte in greco105.
100
Delle 4 colonne originariamente presenti in facciata, ne sono state rinvenute (intere o in parte) solo 3.
101
Petsas et al. 2000, n. 7.
102
Cui vanno aggiunti i rinvenimenti dell’ultima campagna di indagini del 2002 (Stefani 2002), non inseriti nella
pubblicazione complessiva (Petsas et al. 2000): 16 stele iscritte intere, diverse stele frammentarie, 7 frammenti di
iscrizioni, un elemento architettonico iscritto. Di queste iscrizioni non è stato pubblicato il testo.
103
Petsas et al. 2000.
104
Petsas et al. 2000, pp. 38, 43, 56.
105
Anche a Beroia l’impiego del latino nelle epigrafi è estremamente ristretto: nell’età alto-imperiale solo quattro
iscrizioni funerarie in latino e una bilingue (AKM I, nn. 417-420, 501), in età basso-imperiale quattro iscrizioni fune-
rarie in latino (EKM I, nn. 450-453), su un totale di più di 500 iscrizioni (cfr. Hatzopoulos 2004, p. 48).
Materiali e votivi
La prima relazione di Ph. Petsas sullo scavo del santuario indica il rinvenimento di fram-
menti scultorei, tra cui ricorda “parti inferiori di statue femminili”106. Viene registrata anche la
presenza di “cocci piuttosto insignificanti” e di monete databili tra la metà del II e la fine del
IV-inizi del V secolo. Tra gli ex voto iscritti, inoltre, si contano quattro altari, tre piani e quattro
sostegni di trapeza, una grande stele107. Durante la campagna del 2002, infine, è stato trovato un
frammento di statua, di cui rimane una mano che regge un tamburello108.
Culto. La divinità cui è dedicato il santuario appare nelle iscrizioni come Mhvthr Qew'n,
Mhvthr Qew'n Aujtovcqwn, Mhvthr Qeo;~ Aujtovcqwn, Mhvthr Qew'n Aujtovcqoni'ti~ o (in un unico
caso) Mhvthr Qew'n ∆Oreiva. è stata a lungo discussa l’origine locale (cui si riferisce l’epiteto Au-
toctona) o meno del culto109; è possibile che la dea, considerata indigena e macedone nel II-III se-
colo, fosse stata importata molto prima dalle popolazioni che precedettero i Macedoni nella zona,
e riassuma in sé elementi di antichissima origine orientale e aspetti propriamente locali110.
Feste. La presenza in 6 iscrizioni del termine eJorth;111 (e il frequente utilizzo dei termini
“eqimoi” o “eijqismevnai hJmevrai”) testimonia l’esistenza di feste annuali (in “giorni abituali”) in
onore della dea, probabilmente celebrate nella seconda metà del mese Dios (ottobre)112.
Affrancamento per consacrazione. Una delle attività principali del santuario, a giudicare dai
testi delle iscrizioni, sembra fosse quello dell’affrancamento per consacrazione degli schiavi. Tale
pratica era esercitata anche in altri santuari del territorio di Beroia: le iscrizioni della città la ricor-
dano nei santuari di Demetra, di Artemide Agrotera, di Artemide Eilethyia, di Syria Parthenos
e di Dioniso Agrios, Erikryptos e Pseudanor113. Si ipotizza che tutte queste divinità femminili
siano interpretationes di un’unica grande dea pre-ellenica il cui culto era diffuso in tutta la Mace-
donia occidentale (l’antico paese dei Brygo-Frigi)114, con funzione di kourotrophos, divinità pre-
106
Petsas 1966a.
107
Petsas et al. 2000, p. 76.
108
Stefani 2002, p. 539.
109
Per una netta distinzione tra la dea macedone e la Cibele frigia cfr. BullEpigr, 1977, p. 268 e Petsas 1983, pp.
238-241; la Papazoglou (Papazoglou 1979b, pp. 168-169) e Hatzopoulos (Hatzopoulos 1987, pp. 402-403; Hat-
zopoulos 1995, pp. 131-132) riconoscono invece nel culto della dea un apporto delle popolazioni brigo-frigie che
popolavano i monti della Pieria prima dell’arrivo dei macedoni.
110
Santuari dedicati alla Madre degli Dei sono noti ad Aigai e Pella, dove risalgono almeno alla fine dell’età classica.
111
Petsas et al. 2000, nn. 21, 46, 55, 75, 83, 113.
112
Petsas et al. 2000, p. 45.
113
EKM I, 47-57. Cfr. Hatzopoulos 1994, pp. 63-72.
114
Così per Artemide Digaia Blaganitis nei dintorni di Beroia, per Artemide Agrotera Gazoritis Blouritis a
Skydra, per Artemide Agrotera a Kyrrhos, per Syria Parthenos nel territorio di Pella, per Parthenos, Ma, Nemesi e la
posta al passaggio dall’infanzia all’età adulta e anche, specificamente nel santuario di Leukopetra,
dalla condizione servile a quella libera. La consacrazione di uno o più schiavi può essere legata
ad un voto fatto alla dea (spesso esplicitato dalla formula kat’eujchvn), come espressione della
riconoscenza del fedele, oppure, in altri casi, segue un preciso ordine della dea (kat’ejpitaghvn).
In generale, gli schiavi consacrati nel santuario di Leukopetra sono per la maggior parte di sesso
femminile, per lo più di origine macedone e la metà di quelli di cui possiamo determinare l’età
hanno non più di 12 anni115. In seguito alla donazione/consacrazione nel santuario, l’affrancato
diviene proprietà della divinità e, ormai libero da qualsiasi obbligo verso il consacrante, deve
servire la dea “i giorni abituali” (come abbiamo visto, in giorni della festa del santuario)116.
La pratica dell’affrancamento per consacrazione in Macedonia risale almeno al II sec. a.C.
(se non addirittura a prima117); in tutta la parte greca dell’impero si afferma soprattutto dal I sec.
d.C., in concomitanza con la scomparsa delle testimonianze sull’affrancamento civile, e conti-
nua anche dopo la promulgazione della Costitutio Antoniniana (con la quale le norme giuridi-
che locali avrebbero dovuto cedere il posto a quelle del diritto romano), costituendo di fatto la
modalità ordinaria di affrancamento degli schiavi. L’ampia diffusione della pratica (soprattutto
nel corso del III secolo) sembra riflettere un cambiamento sociale, che vede la sostituzione del
lavoro servile con il lavoro di personale di condizione libera ma di fatto vincolata al datore di
lavoro (con la clausola della paramone)118.
Frequentatori del santuario. Nella maggior parte dei casi, i fedeli sono cittadini di Beroia
o abitanti dei dintorni; tra gli stranieri menzionati dalle iscrizioni, vi sono soprattutto abitanti
di poleis o di ethne limitrofi (5 da Elimea122, tre dall’Eordea123, tre di Aigai124 e uno di Mieza125),
Madre degli Dei a Edessa, per Ennodia in Eordea, per Pasikrata e Artemide a Lyncos e Artemide Ephesia a Kolobaisa
in Pelagonia. Questa Grande Dea (Povtnia qhrw'n) aveva un paredro maschile, di volta in volta sposo o figlio, che
appare come Dioniso o come Zeus (spesso Zeus Hypsistos, o Zeus Dioniso Gongylos nell’iscrizione di Salonicco IG
X, II.1, 259). Cfr. Petsas e a. 2000, pp. 29-30; Hatzopoulos 2004, p. 50.
115
Hatzopoulos 1994; Petsas et al. 2000, pp. 30, 61.
116
Dal punto di vista giuridico, si tratta di un affrancamento a tutti gli effetti, applicato con o senza clausola di
paramone (obbligo di rimanere a prestare servizio presso il padrone, seppure non più in condizione di schiavo, fino
alla sua morte: cfr. Westerman 1948; Samuel 1965).
117
Darmezin 1999, p. 241.
118
Hatzopoulos 2004, p. 51.
119
Petsas et al. 2000, nn. 16-19, 71.
120
Petsas et al. 2000, nn. 44-50, 82-85.
121
Petsas et al. 2000, nn. 55-57, 71, 74, 87-94.
122
Petsas et al. 2000, nn. 12, 65, 100, 106.
123
Petsas et al. 2000, nn. 94, 134.
124
Petsas et al. 2000, nn. 73, 103.
125
Petsas et al. 2000, nn. 71.
mentre estremamente rari sono i fedeli provenienti da più lontano (un cittadino di Kyrrhos126
e uno di Cizico127). Lo status sociale dei frequentatori è più difficile da determinare: un gruppo
di dedicanti delle iscrizioni è costituito da hierodouloi128, un altro da personale sacerdotale o
amministrativo del santuario129, o ancora da militari130, ma nella maggior parte dei casi non viene
indicata né la professione né l’origine sociale. Certo ai ceti sociali superiori dovevano appar-
tenere i dedicanti che consacrano alla dea un alto numero di schiavi131, ma più frequenti sono
le consacrazioni di un solo schiavo da parte di fedeli di condizioni più modeste. Di maggiore
interesse pare invece l’osservazione delle date di consacrazione degli schiavi (dove indicate), a
conferma di una forte presenza tra i fedeli di pastori transumanti: su 50 atti datati, 33 si colloca-
no alla fine di ottobre/inizi di novembre (mese Dios o primi giorni del mese Apellaios) e 6 nel
mese di maggio (Daisios), ovvero nei periodi della transumanza.
Lo studio dell’onomastica delle iscrizioni fornisce alcuni dati sulla presenza romana nel
quadro sociale dei frequentanti del santuario. Su 175 nomi di dedicanti delle iscrizioni, quelli
di origine latina costituiscono il 13,1%; su 178 nomi di persone consacrate, è di origine latina il
7,3%. Per quanto riguarda la diffusione della cittadinanza romana, tutto il personale sacerdo-
tale e amministrativo del santuario ne è in possesso, mentre gli autori delle dediche sono in più
della metà dei casi di statuto peregrino (solo 23 su 52 i cittadini romani).
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gion, pp. 133-140.
126
Petsas et al. 2000, nn. 45.
127
Petsas et al. 2000, nn. 13.
128
Petsas et al. 2000, nn. 39, 43 (schiava affrancata), 109, 112, 113, 117, 151.
129
Petsas et al. 2000, nn. 20, 91.
130
Petsas et al. 2000, nn. 41, 95.
131
Come Phlavios Eutrapelos, proprietario di 15 schiavi (Petsas et al. 2000, n. 12), Ailios Loukios, che con i
figli consacrò alla dea in totale 11 schiavi (Petsas et al. 2000, nn. 44, 58, 74), o Klaudia Prokla, che nel 145 eresse
l’altare più antico, nel 173-172 consacrò 3 schiavi e nel 191-192 fece incidere l’atto di consacrazione su una colonna
del tempio (Petsas et al. 2000, nn. 2, 26).
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Per le iscrizioni:
SEG 24, 1969, 498 a-c; SEG 25, 1971, 708; SEG 26, 1976-1977, 729; SEG 27, 1977, 290-
295; SEG 28, 1978, 545; SEG 31, 1981, 634; SEG 33, 1983, 532; SEG 34, 1984, 655-659; SEG 42,
1992, 609-614; SEG 43, 1993, 425.
BullEpigr 1969, 364, 369; BullEpigr 1970, 130; BullEpigr 1971, 401; BullEpigr 1977,
267-268; BullEpigr 1978, 278; BullEpigr 1979, 259; BullEpigr 1983, 255; BullEpigr 1984, 250;
BullEpigr 1987, 662; BullEpigr 1990, 459; BullEpigr 1994, 399; BullEpigr 1995, 415.
132
Papazoglou 1988, pp. 119-120; Brocas-Deflassieux 1999, p. 32.
2.7 Mieza
La città di Mieza appartiene in epoca romana al territorio di Beroia132. Sorgeva qui (ad
ovest dell’odierno paese di Kòpanos, a Isvòria-Naussa) un Nymphaion, un santuario campestre
dove Plutarco narra che Alessandro fu educato da Aristotele133. Il temenos si data ad età elleni-
stica e comprende tre grotte naturali sistemate artificialmente, affacciate su due terrazzamenti
comunicanti, una delle quali è occupata da un edificio rettangolare con portico a “L” sul lato
occidentale134. Non sono state rinvenute tracce di frequentazione del santuario in età romana.
2.8 Aigai
La capitale del regno macedone (per lungo tempo identificata con Edessa e infine localiz-
zata presso Vergina135) ha restituito scarsissimi indizi per l’età romana: la città sembra aver perso
la sua indipendenza136, e secondo M. Hatzopoulos diventa una kome di Beroia137. Un centro abi-
tato continua tuttavia ad esistere, come testimonia la menzione “ejn Aijgaivai~” in un’iscrizione
di Leukopetra datata al 252 d.C.138.
Della città sono noti due santuari, entrambi risalenti ad età tardo-classica: il santuario di
Eukleia, sul quale ci si soffermerà tra breve in quanto dotato di fasi di vita di età romana, e il
santuario della Madre degli Dei (fig. III.9, nn. 3 e 7). Quest’ultimo sorgeva nel settore meridio-
nale della città ed era costituito (nella sua organizzazione monumentale di età ellenistica, meglio
conosciuta) da una serie di ambienti disposti intorno ad una corte centrale, con pastas sul lato
meridionale; il cuore del culto aveva probabilmente sede nelle due stanze a nord-ovest, dove è
stata rinvenuta una eschara piena di statuette fittili connesse al culto della Madre degli Dei139. Il
complesso fu completamente distrutto da un incendio intorno alla metà del II sec. a.C.
Santuario di Eukleia
Geografia e topografia
Il santuario, urbano, si estende su una terrazza a sud del grande pianoro su cui sorgeva la
città antica, nell’area dove si ipotizza fosse situata l’agora, a nord e poco lontano (80 m) dal teatro.
L’area sacra si trova ad un crocevia tra due importanti assi viari: costeggia il suo limite orientale
una strada che conduce verso sud al teatro e al palazzo reale, mentre a nord un’altra via con orien-
tamento est-ovest attraversa tutta la terrazza, fiancheggiata a sud dal santuario stesso e a nord, ad
un livello più basso, da un edificio porticato scavato solo in parte. Ad ovest la via piega ad angolo
retto e confluisce in un vicolo nord-sud che consente l’accesso all’edificio a peristilio.
La posizione del santuario nell’assetto urbanistico della città140 e le dediche rinvenute al
suo interno (cfr. infra) suggeriscono che esso rivestisse un ruolo religioso e politico di primo
piano e che fosse strettamente legato alla vita della famiglia reale macedone.
133
Plut., Alex., VII.
134
Petsas 1965; Petsas 1966b; Petsas 1968; Siganidou, Trochidis 1990.
135
Per le varie ipotesi sull’identificazione di Aigai si veda Papazoglou 1988, pp. 131-134; Faklaris 1994.
136
Cfr. Papazoglou 1988, p. 134, e Tataki 1988, p. 43.
137
Hatzopoulos, Loukopoulou 1987, pp. 40-41.
138
Petsas et al. 2000, p. 103.
139
Gli scavi nel santuario sono editi in: Drougou 1990; Drougou 1991; Drougou 1993; Drougou 1994;
Drougou 1996; Drougou 1997.
140
Il palazzo si trova su una terrazza che domina la pianura ai piedi dei monti Pierii; al di sotto della terrazza,
circa 60 m più a nord, è il teatro, che costituiva secondo gli scavatori un complesso unitario con la reggia; ancora
più a nord, ad una distanza di circa 80 m, è il santuario, collegato ai due edifici precedenti da una strada. Il legame
topografico e simbolico tra i tre complessi è molto significativo.
Fig. III.9 - Aigai, pianta generale della città con ubicazione dei principali complessi monu-
mentali (da Drogou, Saatsoglou-Paliadeli 2002, p. 11). 1: palazzo; 2: teatro; 3: santuario di
Eukleia; 4: edifici pubblici; 5: tomba di Rhomaios; 6: casa ellenistica; 7: santuario della Madre
degli Dei; 8: grande tumulo (Megavlh touvmba); 9: tumuli; 10: tumulo Bellas; 11: acropoli.
La frequentazione del luogo di culto prosegue senza soluzione di continuità dall’età clas-
sica all’età romana. Gli scavatori riconoscono due fasi edilizie principali, quella di IV sec. a.C. e
quella di età romana, ben distinguibili per l’uso di diverse tecniche edilizie (fig. III.10).
Individuate e scavate le principali strutture del santuario, dal 1993 al 1995 l’interesse è stato
rivolto allo studio dell’organizzazione monumentale complessiva del santuario nelle varie fasi
di vita e del suo inserimento all’interno dell’impianto urbano.
Dal 1998 al 2002 l’attività di scavo si è concentrata a ovest del luogo di culto, nell’area di un
grande edificio a peristilio che gli scavatori non considerano appartenente al temenos.
Il santuario non ha ancora ricevuto un’edizione finale e completa dei dati di scavo e dei
materiali; in particolare rimane abbastanza lacunosa l’organizzazione monumentale di età elle-
nistica e soprattutto romana141.
Età classica
Strutture
La prima sistemazione monumentale del santuario risale ad età tardo-classica142. La terraz-
za sacra è organizzata in questa fase in due settori, il cuore cultuale con gli edifici sacri ad est
ed un grande edificio a peristilio ad ovest143. Nel settore orientale si trovano due templi, datati
entrambi alla seconda metà del IV sec. a.C., con orientamenti ortogonali tra loro: il tempio più
a nord, dorico in antis, di maggiori dimensioni (12,80 x 9,30 m), presenta al centro della cella
un’eschara ed è probabilmente dedicato a Zeus Meilichios; l’altro tempio, consacrato ad Eu
kleia (divinità “della buona fama”), più piccolo (8 x 6,5 m), dorico, anch’esso con cella e pronao
in antis, è orientato nord-sud, con accesso da nord. Il tempio di Zeus è preceduto ad est da un
altare (6,5 x 4,5 m) in poderosi blocchi di poros, allineato secondo l’asse nord-sud a tre basi di
statua marmoree, disposte in una fila parallela al muro occidentale del tempio di Eukleia.
Risale al IV sec. a.C. anche la stoa individuata a sud del tempio di Zeus, costituita da tre
ambienti adiacenti aperti ad est su un portico in antis con colonne doriche in calcare. Il portico
viene costruito in appoggio alle fondazioni del tempio più grande e gli è quindi successivo, sep-
pure appartengano entrambi secondo gli scavatori alla stessa fase edilizia144.
Al di là di un vicolo con orientamento nord-sud, ad ovest del nucleo centrale del culto e
ad un livello di circa 1 m più basso rispetto a questo, si trova un edificio a peristilio in poros di
forma quasi quadrata, il cui colonnato circonda uno spazio centrale aperto (9,30 x 12 m).
Tutte le strutture appartenenti a questa prima fase tardo-classica/proto-ellenistica sono
accomunate dalla stessa tecnica edilizia, in poderosi blocchi di poros disposti con cura.
Da un grande deposito di materiali (tutti di IV sec. a.C.) rinvenuto nel 1990 presso il tem-
pio di Zeus provengono anche alcuni elementi architettonici, tra i quali una grondaia fittile a
testa leonina e una terracotta ornamentale iscritta.
Votivi
All’angolo nord-orientale del tempio più grande è stato rinvenuto un grande deposito
contenente numerosi frammenti di statue di IV sec. a.C., tra cui i più significativi sono una sta-
tua completa di peplophoros con base iscritta, una testa di giovane uomo e una testa di giovane
donna145. Da un deposito scoperto nel pronaos dello stesso tempio proviene invece un serpente
di dimensioni colossali di marmo, di carattere ctonio, probabilmente immagine aniconica di
141
Le strutture di età romana sono state individuate e scavate (cfr. Saatsoglou-Paliadeli 1993), ma mancando
uno studio approfondito delle evidenze ne rimangono ignote interpretazione e funzione.
142
Non sembrano essere stati rinvenuti resti né strutturali né materiali più antichi. Il palazzo reale e il teatro
sono anch’essi datati entrambi alla fine del IV sec. a.C.
143
Sull’organizzazione monumentale del santuario nel IV sec. a.C. si veda Saatsoglou-Paliadeli 1996.
144
Saatsoglou-Paliadeli 1993, p. 53.
145
Saatsoglou-Paliadeli 1990, p. 32-34.
Zeus Meilichios146 cui il tempio era forse dedicato; la sua collocazione nel deposito viene datata
alla metà del II sec. a.C.147.
Le tre basi marmoree individuate nel settore orientale del santuario sono verosimilmente
da collegarsi alla consacrazione di statue votive. La base più a sud reca una dedica di “Euridice
Sirra a Eukleia” datata 340-330 a.C.; una seconda dedica uguale è incisa su una base di statua
ritrovata in una colmata del I sec. d.C. a pochi metri di distanza148. La dedicante è la moglie di
Aminta III e madre di Filippo II, che deve aver svolto un ruolo di primo piano nella monumen-
talizzazione del santuario e nella costruzione del tempio di Eukleia.
Dal santuario proviene una terza iscrizione molto lacunosa, in caratteri colossali, che Ch.
Saatsoglou-Paliadeli propone di ricostruire come dedica della regina Laodice, figlia di Seleuco
e moglie del re Perseo, ad una divinità ignota149.
Culto
Il culto di Eukleia è ricordato da Plutarco, che narra che nel santuario della dea a Platea
era sepolto l’eroe Euchidas e attesta che nelle città di Locride e Beozia essa aveva statua e altare
nella piazza pubblica, dove i fedeli le offrivano sacrifici prima del matrimonio150. Pausania ri-
porta la presenza di una statua della dea opera di Scopas nel tempio di Tebe, all’interno del quale
erano le tombe di Androkleia e Alkida151. Le raffigurazioni di Eukleia nell’arte greca sono estre-
mamente limitate: in un piccolo gruppo di vasi della cerchia del pittore Meidias la dea, attestata
epigraficamente, è rappresentata come una giovane fanciulla insieme ad altre personificazioni di
concetti astratti (Eunomia, Peitho, Hygeia, Paideia) nel corteggio di Afrodite ed Apollo152.
A causa di tale scarsità di dati, sulla figura divina e le caratteristiche di Eukleia vi sono
diverse opinioni. Lo Hampe riconosce la statua citata da Pausania a Tebe in una statuetta della
collezione dell’Istituto Archeologico dell’Università di Heidelberg datata alla fine del V sec.
a.C. e raffigurante la dea con uno scrigno nella mano sinistra da cui trae con la destra un na-
stro153; tale iconografia secondo lo Hampe la identifica come divinità del matrimonio, in accor-
do con la testimonianza di Plutarco (forse non a caso, la base dedicata alla dea di Verghina è
coronata da un simile nastro).
Le attestazioni del culto di Eukleia la vedono talvolta legata alla figura di Artemide (come a
Paro, Delfi e Corinto154), talvolta come divinità autonoma (ad esempio ad Atene155). La versione
di Plutarco156, che la ricorda come figlia di Eracle (progenitore dei Macedoni) e Myrtos, sembra
forse sottolineare almeno per la Macedonia l’indipendenza della dea da Artemide, figlia di Zeus.
La Guarducci157, sulla base di Plutarco e Pausania che ricordano come nei santuari di Platea e
146
Saatsoglou-Paliadeli 1991, pp. 14-16.
147
Saatsoglou-Paliadeli 1996, pp. 63-64.
148
Saatsoglou-Paliadeli 1990. Una base di statua (non votiva) di Euridice Syrra è stata rinvenuta reimpiegata
nella basilica paleocristiana di Palatitsa. È possibile che questa fosse parte di un gruppo statuario della famiglia reale
posto nell’agora (forse lo stesso del Philippeion di Olimpia?) (Saatsoglou-Paliadeli 2011, pp. 196-197).
149
Saatsoglou-Paliadeli 2011, pp. 200 e ss., con bibl.
150
Plut. Arist. 20.5-6.
151
Paus. IX, 17.1-2.
152
Hamdorf 1964, p. 111, fig. 440 d-f-g e p. 112, fig. 447 a-c.
153
Hampe 1971, pp. 82-83, fig. 115, tav. 78.
154
Per Paro, cfr. IG XII, 5, 220; per Delfi, Syll. 2 43864; per Corinto, X. Hell. IV 4, 2; O.R. Lisle, The Cults of
Corinth, 1955, p. 103.
155
Ad Atene Pausania (Paus. I, 14.5) ricorda che gli ateniesi le costruirono un tempio nell’agora con il bottino
della battaglia di Maratona; attestazioni epigrafiche del culto della dea (a fianco di Eunomia) risalgono inoltre all’età
romana (IG II, 2, 5059; IG II, 2, 3738; IG II, 2, 4193).
156
Plut. Arist. 20. 6.
157
Rif. da Saatsoglou-Paliadeli 1987, p. 740.
Tebe vi fossero sepolture di eroi, propone che Eukleia fosse in origine una divinità ctonia iden-
tificatasi poi con Artemide e infine diventata la personificazione della buona fama; lo Schachter
ne vede invece, almeno in Beozia, una funzione di protezione dei guerrieri158; lo Hampe infine,
oltre a ipotizzarne la protezione del matrimonio la considera espressione di un concetto “poli-
tico” dell’Atene di V sec. a.C., poiché rappresentata sui vasi insieme a Eunomia159. Da ultimo,
la Saatsoglou-Paliadeli analizza il significato del termine eukleia (“buona fama”, e quindi per
estensione la gloria che deriva da un’azione individuale a vantaggio della comunità), che ben si
lega ai comportamenti eroici di Euchidas, Androkleia e Alkida narrati da Plutarco e Pausania, e
considera dunque la dea come protettrice dell’impegno individuale per la buona fama ottenuta
tramite azioni finalizzate al bene comune160.
Età ellenistica
Il tempio di Eukleia attualmente visibile corrisponde ad un rifacimento datato alla fine del
III sec. a.C.; l’occasione che ne determinò la ricostruzione rimane ignota. L’edificio di questa
seconda fase è costituito di materiale eterogeneo (poros, arenaria, pietra grezza) con fondazioni
poco accurate, e presenta all’interno della cella due piccole basi di statua che inquadrano una
struttura in pietra sull’asse centrale della stanza, dov’era collocata una statua femminile di mar-
mo di dimensioni superiori al naturale, di cui restano alcuni frammenti.
Età romana
Sulla base della successione stratigrafica delle strutture e della presenza di tre importanti de-
positi di materiale (due contenenti statue ed uno frammenti di marmo e calcare con minime tracce
di lavorazione), datati grazie alla ceramica ed alle monete alla seconda metà del II sec. a.C., gli sca-
vatori sostengono che il santuario fu oggetto di una distruzione tra la seconda metà del II sec. a.C.
e l’inizio del I sec. a.C.; in seguito ad essa l’area sacra avrebbe ricevuto una nuova sistemazione
monumentale, in parte riutilizzando e in parte modificando le strutture già esistenti161.
I resti della fase romana si distinguono chiaramente dalle strutture precedenti per la diversa
tecnica edilizia, in piccole pietre grezze e grossi pezzi di poros o marmo di riutilizzo, senza le-
gante tenace; i muri non presentano fondazione oppure sfruttano come fondamenta i resti delle
strutture già esistenti.
Non sono state individuate tracce di costruzioni di età romana nel settore compreso tra il
portico e le basi di statue, dove non sono presenti neppure strutture precedenti; quest’area dun-
que rimane aperta per tutta la vita del santuario. A sud, una cortina muraria in pietre grezze sfrut-
ta invece in parte lo stilobate del portico, ad ovest, e prosegue verso il tempio di Eukleia ad est;
all’altezza della base iscritta di Euridice vi si innesta una struttura quadrata, una sorta di recinto
aperto ad ovest. A nord di questo un altro muro in pietre grezze con orientamento nord-sud si
insedia sopra le due basi di marmo e l’altare di IV sec. a.C., ormai evidentemente defunzionalizza-
ti. All’inizio del I sec. d.C., nell’ultima fase edilizia del santuario, l’area ha dunque l’aspetto di un
cortile rettangolare aperto con accesso da nord; questo presenta una soglia in arenaria di riutilizzo
in cui viene praticato un foro circolare per l’alloggiamento di una porta lignea. Il limite setten-
trionale del cortile è costituito ad est da un muro ad angolo retto che termina in appoggio al lato
158
Schachter 1981, p. 106; cfr. anche LIMC II, 1, 1984, p. 677 s.v. Artemis-Eukleia.
159
Hampe 1971, p. 83.
160
Saatsoglou-Paliadeli 1987, pp. 741-742.
161
L’ultima fase edilizia del santuario è descritta in Saatsoglou-Paliadeli 1993. Intorno alla metà del II sec.
a.C. si collocano anche la definitiva distruzione del santuario della Madre degli Dei (cfr. supra) e l’abbandono del
Palazzo reale (v. Drogou, Saatsoglou-Paliadeli 2002, p. 21).
settentrionale dell’altare, ad ovest da una struttura muraria est-ovest che si appoggia all’angolo
nord-orientale del tempio di Zeus e piega di 90° verso sud all’altezza della soglia. Quest’ultimo
muro è parallelo ad una struttura ad angolo disposta simmetricamente ad esso più a sud, in pro-
lungamento del muro meridionale del tempio. L’insieme di queste strutture, accomunate dalla
tecnica edilizia, viene riferito dagli scavatori ad un unico momento costruttivo162.
Alla stessa fase edilizia si riconducono gli interventi nella cella del tempio di Eukleia, all’in-
terno del quale viene collocato un blocco in arenaria sul lato orientale della base della statua di
culto, e la piccola edicola in poros che si insedia sull’angolo nord-occidentale del piccolo tem-
pio, al di sopra di una delle basi di statua marmoree di IV sec. a.C.163.
I materiali relativi alla fase edilizia di età romana non sono ancora stati pubblicati.
Bibliografia
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AErgoMak, 5, pp. 9-21.
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AErgoMak, 7, pp. 51-59.
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Age of Democracy (Catalogo della Mostra, Ashmolean Museum - Oxford, 7 April-29 August
2011), Oxford, pp. 193-204.
162
Oltre all’utilizzo della stessa tecnica edilizia, la presenza di un’unica fase costruttiva è sostenuta anche da
altri indizi: ad esempio, è stato individuato un blocco in arenaria riutilizzato in uno dei muri antistanti il pronao del
tempio di Zeus che attacca con il blocco formante la soglia dell’ingresso settentrionale al cortile.
163
Ergon, 1982, fig. 25.
2.9 Blaganoi
Blaganoi 1 altare di marmo Affrancamento per consacrazione ad Arte- SEG 27, 277; 189 d.C.
mide Digaia di Blaganoi degli schiavi Cleo- BCH 111, 1987,
patra Dionysa, Theodote, Agathemerida, p. 397, n. 2;
Prepousa, Lyka sorella di Agathemeride, e SEG 37, 590
i figli Theodote e Artemidoro da parte di
Alessandra figlia di Fusco di Melite; essa fa
inoltre dono di Cleopatra Dionysa, la quale
rimarrà a disposizione della dea i giorni
“abituali” (della festa del santuario).
164
BCH, 63, 1939, p. 317; AA, 55, 1940, pp. 277-278.
165
Hatzopoulos 1987, pp. 399-401.
166
BCH, 111, 1987, pp. 399-402; SEG 37, 540 (216-217 d.C.).
167
Hatzopoulos 1987, pp. 402-406.
Blaganoi 2 stesso supporto Affrancamento per consacrazione ad Ar- SEG 33, 534; 216/217 d.C.
della precedente temide di Blaganoi della giovane schiava BCH 111, 1987,
Zosime da parte di Claudia Euridice e suo p. 397, n. 2;
figlio Claudio Koprylos. SEG 37, 592
Blaganoi 3 stesso supporto Dedica ad Artemide Deigea da parte di Ancient
della precedente Foulkikios Bassos, la moglie Popillia Elpi- Macedonia III,
dia e i figli Seilon, Tibereinos, Laita e Bassa. 1983, p. 239, n. 21
Bibliografia
BullEpigr 1988, 826.
Hatzopoulos M.B. 1987, Artémis Digaia Blaganitis en Macédoine, BCH, 111, pp. 397-412.
Hatzopoulos M.B. 1994, Cultes et rites de passage en Macedoine, Athènes, pp. 115-116.
2.10 Dion
La città di Dion sorge nella piana costiera della Pieria, sulle sponde del fiume Vaphyras168,
ad una distanza in antico di soli 1500 m dal golfo Termaico. L’abitato copriva una superficie di
forma quadrangolare ampia circa 43 ettari ed era circondata da una cinta muraria costruita du-
rante il regno di Cassandro (316-297 a.C.), quindi riparata a più riprese alla fine del III sec. a.C.,
dopo l’invasione degli Etoli, e infine completamente ricostruita intorno alla metà del III sec.
d.C.169. La realtà urbana non costituisce però la ragione principale dell’importanza di Dion, che
vantava grande notorietà nel mondo antico per i santuari situati subito a sud di essa, dedicati
a Zeus Olympios, Asclepio, Demetra, Zeus Hypsistos e Artemide/Iside (fig. III.11). I resti di
frequentazione più antichi, risalenti all’età arcaica, sono stati rinvenuti infatti non intra muros,
Fig. III.11 - Dion, pianta generale della città con ubicazione dei principali complessi monumentali (elab. autore).
168
Il fiume e la stessa città di Dion sono legati al mito di Orfeo, che secondo una versione del mito sarebbe stato
sepolto qui: Paus., IX, 30.1.
169
Sulle mura di Dion cfr. Stefanidou-Tiveriou 1998.
ma nell’area dei santuari (la cosiddetta perioche ton hieron) a sud della città170; all’interno di
questa, al contrario, le prime tracce di età greca non sono precedenti alla fine del IV sec. a.C.171.
I santuari costituiscono dunque il nucleo primo intorno a cui si coagulò come esito derivato
l’insediamento cittadino.
Nel territorio di Dion, presso il delta del fiume Vaphyras, è stato portato alla luce nel 1999
un altro santuario, dedicato ad Artemide Baphyria, le cui evidenze risultano per ora limitate ad
età ellenistica: l’area sacra era occupata da un tempio con profondo pronaos, un altare ed altre
strutture tra cui un laboratorio172.
L’età romana non costituisce un’epoca di crisi per la città di Dion, che Livio descrive come
urbs non magna ma con ricchi edifici pubblici, statue e una magnifica cinta di mura173; come
attestato dalle monete174 e dalle fonti175, in età augustea essa diventa colonia con il nome di Iulia
Augusta Diensis, e gode di ius Italicum176. I grandi complessi monumentali indagati all’interno
della città costituiscono un riflesso della sua prosperità fino almeno al III secolo: un grande
complesso termale viene costruito intorno al 200 e l’ultima fase monumentale dell’agora è da-
tata a fine II-inizi III secolo177.
170
I materiali più antichi sono ex-voto provenienti dai megara del santuario di Demetra e Kore, datati a fine VI
sec. a.C. (Pandermalis 2000, p. 61). Cfr. infra.
171
Resti delle strutture di IV sec. a.C. sono stati rinvenuti nell’area delle Grandi Terme, nell’area dell’agora e
presso la porta occidentale (Pandermalis 1997, pp. 36, 49).
172
Pandermalis 2000, pp. 272-273.
173
Liv. XLIV, 7.3.
174
Kremydi-Sicilianou 1996, pp. 103-105.
175
Pl. IV, 35; Ptol. III, 12, 12.
176
Paul., Dig. L 15, 8, 8.
177
Pandermalis 1997, pp. 42, 49.
178
Sull’istituzione delle feste: Sch. a Dem. XIX 192; D.S., XVI, 55, 1; D.S. XVII, 16, 3-4; Arr. I, 11, 1; St. Byz.,
s.v. Dion. Sulla ricostruzione degli hypomnemata di Alessandro: D.S. XVIII, 4, 5. Sulla devastazione etolica del 219
a.C.: Plb., IV, 62, 2. Sul gruppo scultoreo di Lisippo dei cavalieri caduti al Granico (dedicato a Dion da Alessandro):
Arr., Anab., I, 16, 4; Plut., Al., 16, 15-16; Vell. Pat., I, 11, 3-4; Pl., NH., XXXIV, 19, 64.
179
Pandermalis 1995.
180
Sotiriadis 1931a; Sotiriadis 1932.
181
Makaronas 1937.
182
Bakalakis 1966; Bakalakis 1979.
di fuori delle mura, a sud, concorrevano sia le fonti letterarie183 sia, in seguito, i ritrovamenti
epigrafici184.
Una nuova stagione di scavi ebbe inizio nel 1973 con D. Pandermalis, ma i resti del santuario
sono stati individuati solo nel 1995, quando il rinvenimento di una piccola lastra iscritta ripor-
tante una lettera reale di Antigono (probabilmente Gonata) ad Agasikles, epistates di Dion185, con
l’esplicita menzione di una sua collocazione all’interno del temenos di Zeus Olympios, ha con-
sentito di localizzare l’area sacra. La lastra si trovava presso un poderoso muro con andamento
nord-sud, nell’area a nord del teatro di età imperiale. L’anno successivo sono state portate alla
luce alcune strutture del santuario, quali numerosi frammenti architettonici di stile dorico, i resti
di due grandi altari, basi di statue onorarie ed altre piccole strutture non meglio identificate186. Le
indagini sono proseguite nel 1998, con lo scavo di un’ampia area ad ovest del grande altare, dove
sono state rinvenute numerose basi di poros recanti un anello sulla faccia superiore187; nello stesso
anno le ricerche sono state estese verso sud, fino al teatro romano, nei cui pressi sono stati rinve-
nuti nello stesso 1998, nel 1999 e nel 2000 tre tesoretti di monete di bronzo (di cui la maggior parte
coniate a Dion, le altre in città macedoni e del Koinon macedone)188.
Le indagini proseguono tutt’ora sotto la direzione di D. Pandermalis in tutta la cosiddetta
“periochv tw'n iJerw'n”. Ampie porzioni dei santuari di Zeus Olympios devono ancora essere
indagate; l’analisi che si può attualmente condurre è quindi ancora molto lacunosa e parziale.
Origini
Sebbene la prima organizzazione monumentale dell’area sacra sinora individuata risalga
all’età ellenistica, la maggior parte degli studiosi concorda sull’alta antichità del santuario, atte-
stata da un papiro di Ossirinco che lo cita come uno dei più vetusti, fondato da Deucalione189.
Età ellenistica
Strutture
Le ricerche sono ancora in corso. Sono stati portati alla luce il muro di chiusura del temenos
(datato genericamente ad età ellenistica), numerosi frammenti architettonici di stile dorico, i resti
di due grandi altari, basi di statue onorarie ed altri piccoli edifici (fig. III.12); di tutte queste strut-
ture è disponibile solo una descrizione sommaria e non è pubblicata la documentazione grafica.
Nel 1998 è stata scavata un’ampia area ad ovest del grande altare, ed alla distanza di circa 11
m da esso sono state individuate 36 basi in poros (ciascuna delle dimensioni di 40 x 30 cm), in
183
In particolare Liv., XLIV, 6, 15: “nam cum Olympi radices montis paulo plus quam mille passuum ad mare
relinquant spatium, cuius dimidium loci occupat ostium late restagnans Baphyri amnis, planitiae aut Iouis templum
aut oppidum tenet (...)”: “dato che, infatti, tra le pendici del monte Olimpo e il mare resta uno spazio di poco più di
mille passi, la metà del quale è occupata dalla foce del fiume Bafyras, che forma un’ampia palude, e parte della pianura
è occupata dal tempio di Giove e dalla città (...)” [trad. M. Mariotti]. Cfr. Stefanidou-Tiveriou 1998, pp. 28-29.
184
Due i più importanti, rinvenuti entrambi a sud della città: una lettera di Filippo V che definisce i confini tra De-
metrias e Pherai in Tessaglia (SEG 46, 740: suvntaxon ou\n ajnagravyanta~ [eij~ sthvlhn liqivnh]n ajnaqei'nai ejn tw'i iJerw'i
tou' Dio;~ [tou' ∆Olu]mpivou e[tou~ C kai; ejmbolivmou IB), e un decreto onorario della città di Dion della fine del IV sec.
a.C. (SEG 46, 739: [...pro]edrivan ejn toi'~ [gumnik]oi'~ ajgw'si kai; ejn toi'~ Dionusivoi~ kai; to; yhvfisma tou'to ajnagra-
v anta~ eijsthvlhn liqivnhn ajnaqei'nai pro; tou' naou', th;n de; eijkovna sth'sai ejn tw'i temevnei tou' Dio;~ ∆Olumpivou...). In
y
entrambi è esplicitamente dichiarata la collocazione all’interno del santuario di Zeus Olympios.
185
Pandermalis 1995.
186
Pandermalis 1996, p. 205.
187
Pandermalis 1998.
188
Kremydi-Sicilianou 2000; Kremydi-Sicilianou 2004.
189
POxy 4306 fr. I, col. i, l. 19-29. Il santuario di Zeus a Dion era considerato il più antico della Macedonia anche
dagli autori latini (cf. Giustino 24.2.8). Sul problema delle origini del culto di Zeus a Dion si veda Voutiras 2006, pp.
335-337, con bibliografia precedente.
190
Cfr. Pandermalis 2000, p. 51.
191
Sul teatro ellenistico di Dion, cfr. Karadedos 1986 e Karadedos 1991. La struttura attualmente visibile si
data ad età ellenistica, ma subì diversi restauri successivi; Pandermalis ritiene molto probabile che vi fosse un teatro
più antico nello stesso sito, dove furono rappresentate le Baccanti di Euripide (Pandermalis 2000, p. 76). Quanto
allo stadio, di cui restano i terrapieni artificiali che sostenevano le gradinate e scarsissimi resti strutturali, si trova
poco ad ovest dell’area dei santuari; tuttavia il suo scavo non è stato completato, poiché si estende in buona parte in
terreni di proprietà privata con diverse abitazioni (cfr. Pandermalis 2000, pp. 80-81).
192
Cfr. Mari 2002, 53, nota 1; si veda al proposito anche Pandermalis 2000, pp. 74-82. In Hatzopoulos, Mari
2004, p. 507, nota 13, si propone che teatro e stadio siano da collocarsi nel regno di Archelao e possano essere in
relazione con la ri-fondazione degli Olympia.
193
Plb., IV, 62, 2. Cfr. Pandermalis 1996, p. 205.
194
Pandermalis 2000, 52. Dell’edificio è disponibile solo una foto di scavo ed una stringatissima descrizione.
195
Sch. a Dem. XIX 192; D.S. XVII, 16, 3-4; Arr. I, 11, 1.
196
Mari 1998, p. 162.
197
D.S. XVII, 16, 3-4.
198
Cfr. Mari 1998, pp. 152-153.
199
D.S. XVII, 16, 3-4. Cfr. Mari 1998, pp. 157-161 e Mari 2002, p. 52.
200
D. Evangelidis, Epeirotika Chronika, 10, 1935, pp. 248-251, n. 3.
201
Hatzopoulos, Mari 2004, p. 511.
202
D. Chr. 1, 313.
203
D.S. XVI, 55, 1; XVII, 16, 3-4.
204
Secondo Heuzey (Heuzey 1860, pp. 124-125) a Dion vi era un unico luogo di culto dedicato a Zeus ed alle Muse.
205
Per una breve ma completa e aggiornata sintesi dei dati epigrafici e letterari sul culto delle Muse a Dion si
veda Mari 2002, p. 53, nota 2.
Iscrizioni
Gli scarsi (per ora) rinvenimenti strutturali rendono difficile la ricostruzione dell’articolazio-
ne monumentale del santuario, che doveva comprendere al suo interno un edificio templare (non
ancora localizzato); lo testimonia il testo di un’alleanza tra il re Perseo ed i Beoti, iscritto su una
stele207, che specifica la propria collocazione davanti al tempio nel santuario di Zeus Olympios.
Dal santuario provengono numerosi altri testi epigrafici di notevole interesse di carattere
politico e amministrativo.
Nel 1995 è stata rinvenuta presso il muro nord-sud del temenos una piccola lastra iscritta
con 16 righe di una lettera reale di Antigono (probabilmente Gonata) ad Agasikles, epistates di
Dion208. Il contenuto della lettera si riferisce ad una limitazione dei confini per la proprietà di
un’area “tra Aiskos e il lago Pyrrolia” (probabilmente nella piana di Pieria; il lago Pyrrolia è
probabilmente il lago salato di Kitros), dove un certo Noumenios aveva insediato i suoi figli;
questi non potevano effettuare nessuna transazione senza il consenso di Noumenios. L’iscri-
zione termina con l’ordine ad Agasikles di disporre la pubblicazione della lettera stessa nel
santuario di Zeus Olympios.
Sulla sponda del fiume, a poca distanza dall’altare di Zeus Olympios, è stata rinvenuta la
parte superiore della già citata stele inscritta con l’alleanza tra il re Perseo ed i Beoti209. Di tale
alleanza del 172 a.C. vi è testimonianza in Livio210; il testo era scritto su tre stele, una posta a
Tebe, una a Delfi e la terza in un santuario il cui nome nell’iscrizione è perduto (evidentemente
il santuario di Zeus a Dion).
Il testo di un’alleanza è riportato anche in un’altra iscrizione211, riguardante un patto tra Filippo
II di Macedonia e gli abitanti di Lysimacheia; le parti contraenti dichiarano di evitare qualsiasi ac-
cordo con terzi che potessero essere nemici di Lysimacheia o di Filippo. Si tratta di un giuramento
pronunciato dagli ambasciatori di Lysimacheia probabilmente davanti all’altare di Zeus Olympios;
è possibile collegare questo testo ufficiale ad una testimonianza di Polibio212, riguardante un presidio
posto da Filippo II a Lysimacheia per proteggere la città dalla minaccia delle tribù traciche.
Un stele iscritta riporta il testo di una lettera di Filippo V di Macedonia all’epistates di Dion
Eurylochos, ai peliganes (cittadini di particolari diritti) e all’intera cittadinanza di Dion, con la
menzione dell’ambasceria di una città ignota incaricata di portare la lettera regale a Dion213.
L’iscrizione viene datata al 200-180 a.C.
In un’ultima stele, infine, una lettera di Filippo V ai cittadini di Pherai e Demetrias si in-
serisce in una controversia riguardante una linea di confine tra le due città. La lettera è datata al
16° anno del regno di Filippo (206 a.C.)214.
206
Cfr. Hatzopoulos 1996, II, nn. 11, 56, 57 (con bibl.); Hatzopoulos 1998, pp. 1193-1195; id. in BE 2000, n.
453; Mari 2002, p. 55, nota 1.
207
BE 1978, 272, e BE 2000, 453, 3. Il testo riporta: [pro]edrivan en toi'~ gum[nik]oi'~ agw'si kai; en toi'~ Dionu-
sivoi~ kai; to; yhvfisma tou'to anagravyata~ eisthvlhn liqivnhn anaqei'nai pro; tou' naou': th;n de; eikovna sth'sai en
tw'i temevnei tou' Dio;~ tou' Olumpivou.
208
Pandermalis 1995, p. 171; SEG 46, 739; Pandermalis 2000, p. 53.
209
Pandermalis 2000, p. 54; BE 2000, n. 453, 3.
210
Liv. XLII, 12.6.
211
Pandermalis 2000, p. 56.
212
Plb. VIII, 4, 5.
213
Pandermalis 2000, p. 55; Bull. Ep. 2000, 453, 4.
214
SEG 46, 740; Pandermalis 2000, p. 57. In BE 2000, 453, 5 si interpreta però il testo come una lettera di De-
metrio Poliorcete (e non di Filippo V) e la si data al 291 a.C.
215
Liv. 44. 7. 2: “secundis castris pervenit ad Dium metarique sub ipso templo, ne quid sacrum in loco violaretur,
iussit”: “con una marcia di due giorni giunse a Dion e ordinò di porre l’accampamento proprio sotto il tempio, per-
ché non fosse commessa alcuna profanazione del luogo sacro” [trad. M. Mariotti].
216
Liv., XLIV, 7, 2-3; 8, 5.
217
Vell. Pat. I, 11, 3-4; Pl., NH, 34, 64.
218
Karadedos 1986, p. 339.
219
Cfr. Kremydi-Sicilianou 2004, p. 22.
220
Sul teatro romano, si veda G. Bakalakis in ADelt, 19, 1964, p. 348; ADelt, 21, 1966, p. 347; ADelt, 23, 1968,
pp. 342 ss.; Palaiokrassa 1986 (qui il teatro è comparato a quello di Patrasso, Filippi e Corinto e viene datato al II
sec. d.C.); Pandermalis 2000, pp. 76, 82 (che propone di datarlo ad età adrianea e tende ad escludere l’esistenza di
una fase costruttiva precedente).
ti di mattoni ellenistici). All’interno del vano occidentale sono stati rinvenuti alcuni tesoretti
monetali, uno nella fondazione del muro orientale, due nelle fondazioni del muro occidentale
e tre in vasi di argilla trovati accanto ai muri; essi comprendono monete di Claudio, Nerone,
Domiziano, Traiano, Adriano e Antonino Pio (quest’ultimo il più rappresentato nei tesoretti,
con 1331 monete). Sono monete di uso quotidiano, che gli scavatori reputano in connessione
con gli incassi del teatro o della tesoreria del santuario221.
A fianco di questi due importanti monumenti, non è stato però ancora localizzato nessun
altro edificio la cui costruzione sia collocabile con sicurezza in età romana: la sovrapposizione
della struttura teatrale al peribolo potrebbe anzi sottintendere una possibile defunzionalizza-
zione del peribolo stesso, che per la realizzazione dell’edificio dovette necessariamente essere
rasato (se ancora si conservava intatto) almeno in questa porzione meridionale. Allo stesso
modo, la costruzione all’interno del recinto sacro dei due vani di incerta funzione potrebbe
essere vista come un indicatore dello stato di declino del santuario. Ulteriore indizio della de-
cadenza del santuario di Zeus Olympios in età romana è il reimpiego nel non lontano santuario
di Iside (all’interno del tempio di Iside Tyche) di una base che in origine doveva sostenere una
statua di Cassandro dedicata nel santuario di Zeus Olympios, riutilizzata come base della statua
di Iside di fine II-III secolo222.
Le evidenze epigrafiche concernenti il culto di Zeus Olympios a Dion dopo la fondazione
della colonia sono limitate: la referenza più tarda degli Olympia è un’iscrizione da Kassandreia
datata al 100 a.C.223.
Bibliografia
Bakalakis G. 1966, in ADelt, 21, 2.2, pp. 346-349.
Bakalakis G. 1979, Anaskafhv Divou 1964-1971, in Arcaiva Makedoniva, 2, Anakoinwvsei~
kata to deuvtero dieqneiv~ sumpwvsio (Qessalonivkh, 19-24 augoustou 1973) - Ancient Ma-
cedonia, 2, Papers read at the Second International Symposium held in Thessaloniki (August
19-24, 1973), Thessaloniki, p. 255.
Hatzopoulos M.B. 1996, Macedonian Institutions under the Kings, Athens.
Hatzopoulos M.B. 1998, Récentes découvertes épigraphiques et gloses macédoniennes
d’Hésychium, in CRAI, pp. 1189-1207.
Hatzopoulos M.B., Mari M. 2004, Dion et Dodone, in L’Illyrie Méridionale et l’Épire
dans l’Antiquité, Actés du IV Colloque International de Grenoble (10-12 octobre 2002), a cura
di P. Cabanes, J.-L. Lambolay, Paris, pp. 505-513.
Heuzey L.A. 1860, Le mont Olympe et l’Acarnanie: exploration de ces deux régions, avec
l’étude de leurs antiquités, de leurs populations anciennes et modernes, de leur géographie et de
leur histoire, Paris.
Karadedos G. 1986, To ellhnistikov qevatro tou Divou, in Arcaiva Makedoniva, 4, Ana-
koinwvsei" katav to Tevtarto Dieqnev" Sumpovsio Qessalonivkh (Qessalonivkh, 21-25 Septem-
brivou 1983) - Ancient Macedonia, 4, Papers read at the Fourth International Symposium held
in Thessaloniki (September 21-25, 1983), Thessaloniki, pp. 325-340.
Karadedos G. 1991, Teleutaiva stoiceiva gia th skhnhv tou ellhnistikouv qeavtrou tou
Divou, in AErgoMak, 5, pp. 157-169.
221
Pandermalis 1999, p. 417.
222
Sulla superficie superiore è infatti l’epigrafe: BASILEUS MAKEDONWN / KASSANDRS ANTIPATROU /
DII OLUMPIW (Pandermalis 1997, pp. 71-72).
223
SEG 14, 478: ∆Oluvmpia ta; ejn Divw/ a[ndra[~] / oJplivthn, Nevmea a[ndra~ stavdi[on] / Basivleia stavdion,
divaulo[n], / oJplivthn tei' aujtei'.
224
Per una breve ma completa e aggiornata sintesi dei dati epigrafici e letterari sul culto delle Muse a Dion si
veda Mari 2002, p. 53, nota 2.
D.S., XVI, 55, 1: “Dopo la conquista di Olinto (Alessandro) celebrò in onore degli dei le
feste Olimpiche per la vittoria e fece splendidi sacrifici; indisse poi un grande raduno solenne,
istituì splendide gare e invitò ai banchetti molti degli stranieri convenuti” [ed. Rusconi: Diodo-
ro Siculo, Biblioteca storica, a cura di T. Alfieri Tonini, Milano 1985]
Arr., Anab., I, 11, 1: “compiute queste cose, ritornò in Macedonia e fece il sacrificio a Zeus
Olympios che già aveva istituito Archelao e organizzò le gare Olympia a Aigai; e alcuni dicono
che celebrò le gare anche in onore delle Muse” [trad. autore]
Santuario di Demetra
Geografia e topografia
Il santuario si trova nell’ampia area a sud della città di Dion, fuori dalle sue mura, denomi-
nata “regione dei santuari” (fig. III.11, n. 6), dove sorgono gli altri più importanti luoghi di cul-
to della città (i santuari di Zeus Olympios, di Iside, di Asclepio). Il temenos, esteso per un’area
di circa 70 x 30 m, si allunga sull’asse nord-sud ed è ubicato ad ovest del santuario di Iside e a
nord dell’Asklepieion e del santuario di Zeus Olympios.
I materiali rinvenuti testimoniano la frequentazione del santuario dalla fine del VI sec. a.C.
fino al IV sec. d.C.
225
Sotiriadis 1931b.
226
Pandermalis 1973, p. 335.
227
Cfr. Pingiatoglou 1996, p. 226.
228
Pingiatoglou 1990, p. 205, fig. 1.
229
Pingiatoglou 1990; Pingiatoglou 1991; Pingiatoglou 1992; Pandermalis 1996; Pingiatoglou 1996.
230
Pingiatoglou 2001.
231
Pingiatoglou 2003.
232
Pingiatoglou 2004; Pingiatoglou 2005.
Fig. III.17 - Dion, santuario di Demetra, pianta delle strutture di età arcaica, classica ed ellenistica (elab. autore).
Successivamente, intorno alla metà del V sec. a.C., poco più a nord delle fosse furono co-
struiti pressoché contemporaneamente 2 templi uguali, con profondo pronaos e sekos, dedicati
a Demetra e Kore233. Le strutture murarie sono costituite da pietre non squadrate; il tempio
più a nord, di cui si conserva solo la porzione orientale (sulla parte occidentale fu poi eretto il
tempio di età ellenistica), ha orientamento sud-ovest/nord-est, larghezza di 4,10 m, lunghezza
conservata di 3,10 m; il tempio meridionale, collocato circa 12 m più a sud del primo, ha orien-
tamento ovest/est, larghezza di 4 m e lunghezza conservata di 6 m. Durante lo scavo sono stati
rinvenuti numerosi ex voto concentrati in particolare all’interno del tempio meridionale, lungo
la linea dei muri, e all’esterno dello stesso tempio, a destra e a sinistra del pronaos; gli scavatori
ipotizzano di conseguenza che le offerte fossero sistemate in scaffali o su trapezai lignee nei
luoghi in cui sono stati poi ritrovati.
233
Non è stato possibile ricostruire quale tempio fosse dedicato all’una e quale all’altra divinità.
Ad una distanza di 5 m ad est del tempio meridionale di età ellenistica è stato individuato
l’altare di età classica234; si conservano la fondazione (4,40 x 3,10 m) e parte di due corsi dell’ele-
vato235.
Già probabilmente in questa prima fase nel settore sud-orientale del temenos sono presenti
alcuni pozzi con rivestimento fittile236, collegabili con i rituali cerimoniali del culto di Demetra
legati a celebrazioni per la fertilità237.
Rimane sconosciuto il limite occidentale del temenos in età classica.
Iscrizioni
Alle indagini del 1981 risale il rinvenimento di uno skyphos a figure rosse datato al IV sec.
a.C. con un’iscrizione dedicatoria a Demetra incisa sulla base del vaso all’interno di un nastro
nero238. L’iscrizione votiva ha consentito di accertare la dedicazione del santuario.
Votivi
Gli ex voto più antichi e maggiormente attestati in tutto l’arco di frequentazione del san-
tuario sono rappresentati da figurine femminili in terracotta. Si tratta di statuette fittili del tipo
della kore arcaica, con frutti o piccoli animali nelle mani239 o del tipo della hydrophoros240. Sono
attestate anche protomi femminili, databili su base stilistica alla prima età classica241, e figurine
fittili di fanciulle con un frutto nella mano sinistra242.
Accanto a questi tipi comunemente documentati tra le offerte a Demetra, si devono ricor-
dare una figurina di Artemide con l’arco nella mano sinistra e un cerbiatto nella destra243, e una
figurina di Cibele con un leone tra le braccia244.
Tra gli oggetti votivi di età classica è poi presente il vasellame. Il già citato skyphos a figure
rosse di IV sec. a.C. con iscrizione dedicatoria a Demetra245 è stato rinvenuto in frammenti ad
ovest del tempio classico settentrionale; numerose sono le idrie, le brocchette, i lebetes, le lekytoi
miniaturistiche246; più in generale, è frequentissimo il rinvenimento di frammenti di vasi a figure
nere o rosse anche di qualità elevata247. Fin dalle più antiche fasi di frequentazione del santuario,
inoltre, è costante la presenza tra i votivi di lucerne (le più antiche sono datate al V sec. a.C.)248.
Meno comuni, ma attestati, altri oggetti in terracotta: si segnalano un simulacro fittile rap-
presentante un vassoio di frutti249 ed un kernos ad anello con raffigurazione plastica di strumenti
liturgici250.
234
Pingiatoglou 1990, p. 206.
235
Secondo gli scavatori si tratta di un tipico “altare cerimoniale” della tipologia dello Yavis (Yavis 1949, p. 95, n. 46).
236
Pingiatoglou 1990, p. 208.
237
Cfr. infra.
238
Pingiatoglou 1990, p. 205, fig. 1.
239
Pingiatoglou 1990, p. 207, fig. 7.
240
Pingiatoglou 1990, p. 207, fig. 8a.
241
Pingiatoglou 1991, p. 146.
242
Pingiatoglou 1991, p. 147.
243
Pingiatoglou 1991, p. 147, fig. 8.
244
Pingiatoglou 1991, p. 147, fig. 9. La presenza di figurine rappresentanti altre divinità costituisce un fenome-
no singolare, ma secondo gli scavatori non va necessariamente motivata con la compresenza di culti diversi all’inter-
no del santuario (cfr. Pingiatoglou 1991, p. 150).
245
Pingiatoglou 1990, p. 205, fig. 1.
246
Pingiatoglou 1990, p. 207, fig. 6a e 6g; Pingiatoglou 1991, p. 146.
247
Si veda ad es. Pingiatoglou 1991, fig. 7.
248
Pingiatoglou 1991, p. 147, fig. 4.
249
Pingiatoglou 1990, p. 207, fig. 6b.
250
Pingiatoglou 1991, p. 147, fig. 5.
Gli unici ritrovamenti di età classica nell’ambito della statuaria sono costituiti da una testa
femminile e da un piede fittile relativo ad una statua di grandi dimensioni251, trovati in uno sca-
rico di materiale edilizio di età classica localizzato tra i due templi.
Età ellenistica
Strutture (fig. III.17)
All’età ellenistica sono riconducibili diversi interventi all’interno del santuario, che non
sembrano tuttavia essere frutto di un progetto unitario; si tratta di realizzazioni distinte tra
loro, tese di volta in volta alla risistemazione e monumentalizzazione di specifiche aree all’in-
terno del temenos.
Un primo intervento, risalente alla fine del IV sec. a.C., riguarda la costruzione di una stoa
a sud degli edifici di culto, che costituisce probabilmente in questa fase il limite meridionale
del santuario. Si tratta di un lungo portico aperto verso nord, largo 4,90 m, con orientamento
nord-ovest/sud-est; il muro posteriore, in pietre non squadrate legate con fango, si conserva
per una lunghezza di circa 30 m. Della fronte settentrionale restano le basi in pietra su cui si
impostavano i sostegni lignei, collocati alla distanza di circa 1,90/2 m l’uno dall’altro; il tetto era
rivestito da tegole di tipo laconico, rinvenute in crollo.
In una fase di poco successiva alla creazione della stoa, tra la fine del IV e gli inizi del III
sec. a.C., i due templi di età classica furono sostituiti da due nuovi templi di dimensioni più
grandi, uguali tra loro (10,80 x 7,10 m), entrambi dorici, costituiti da cella e pronaos con due
colonne tra le ante255. Le strutture murarie sono in grossi blocchi squadrati.
Poco più a sud dei templi fu poi creato nella prima età ellenistica (non è possibile una più
precisa collocazione cronologica) il cosiddetto “edificio con i pozzi”, in realtà un piccolo re-
cinto in blocchi squadrati (4,50 x 4,70 m) aperto sul lato occidentale; al suo interno, alla stessa
quota del piano pavimentale dei templi ellenistici, si apre l’imboccatura rettangolare di un poz-
zo, circondata da grosse pietre squadrate (0,90 m di lato). Vengono ora a trovarsi all’interno del
recinto anche gli altri due pozzi circolari con rivestimento fittile che costituivano l’originario
cuore cultuale del santuario.
251
Pingiatoglou 1991, p. 148.
252
Sul ruolo fondamentale rivestito dall’acqua nel culto di Demetra S. Pingiatoglou porta il confronto del san-
tuario di Demetra a Cos (Herzog, in AA, 16, 1901, p. 130) e del tempio di Demetra a Megalopoli (Paus. VIII, 36.6).
253
Schol. Luk. p. 275, 23-276, 28 Rabe; Clem. Al. Protr. 2, 17, 1.
254
Sui rituali dei Thesmophoria, in particolare la consacrazione di porcellini e focacce in fosse nel terreno, si
veda Luk., Dial. Mer., 2.1 e Schol. Luk., p. 275, 23-276, 28 Rabe. Cfr. Burkert 2003, pp. 444-450, e Lippolis 2006,
pp. 12-23. Il rituale della sepoltura di offerte si spiega come un entrare in contatto con il sotterraneo e la morte, che
costituiscono il momento centrale della storia sacra di Demetra e Kore.
255
Pandermalis 1979, p. 335.
All’interno del temenos si trovano anche due altri piccoli tempietti a camera unica risalenti
all’età ellenistica. L’uno è situato subito a nord del tempio ellenistico settentrionale, l’altro a
sud-est del tempio ellenistico meridionale; all’interno di entrambi sono stati individuati nella
loro collocazione originaria due sostegni verticali di una trapeza per le offerte. Nell’oikos più a
sud, quasi quadrato (4,20 x 4,12 m) e aperto sul lato orientale con una porta larga 2,22 m, accanto
alla trapeza è stata rinvenuta anche una pietra forata per le libagioni. Di fronte all’edificio, a soli
2 m di distanza dalla sua porta e con il medesimo orientamento, è stato individuato un altare
dalle caratteristiche particolari, a pianta quadrata (1,55 m di lato), costituito da blocchi di pietre
squadrate256: i tre blocchi del lato settentrionale e il blocco all’angolo sud-occidentale presentano
un foro (i diametri dei fori variano da 0,17 a 0,21 m), mentre i blocchi dell’angolo sud-est sono
diversi, più grandi, forse esito di un rifacimento successivo. Al centro dell’altare è un’apertura
di forma quasi quadrata, il cui riempimento ha restituito frammenti ceramici, ossi, frustoli car-
boniosi e resti di frutti non identificati. I fori nei blocchi dell’altare sono verosimilmente da ri-
collegare all’offerta di libagioni, mentre la composizione del riempimento dell’apertura centrale
testimonia la consacrazione di altri tipi di offerte, quali piccoli animali e frutta. Nello spazio
tra l’oikos e l’altare, inoltre, è stato individuato uno strato ricco di ossi e tracce di combustione,
indizio secondo gli scavatori dei sacrifici che qui si svolgevano e dello stretto legame funzionale
tra le due strutture. Oikos e altare sono datati su base stratigrafica alla metà del III sec. a.C.
A 6,80 m ad est del tempio ellenistico più a nord si trova l’altare, rettangolare (3,25 x 2,20
m), di cui restano solo le fondazioni. Datato su base stratigrafica a fine III-inizi II sec. a.C., fu
evidentemente realizzato con un progetto edilizio separato e successivo a quello che determinò
la costruzione dei due nuovi templi; si suppone perciò che fino alla sua costruzione sia rimasto
in uso il precedente altare di età classica.
In età ellenistica si registra infine una seconda fase edilizia della stoa meridionale, risalente
ad un periodo di poco successivo alla sua realizzazione (ma non meglio precisabile). Il portico
viene chiuso sul lato anteriore, e con l’innalzamento al suo interno di setti murari trasversali
furono creati diversi ambienti larghi circa 9 m (di cui solo due sono stati indagati). Tale modifica
della stoa è spiegata dagli scavatori con la maggiore funzionalità di una struttura chiusa, dove
potevano trovare alloggio i visitatori e forse anche essere allestiti i banchetti sacri.
Votivi
La tipologia degli ex voto di età ellenistica non si differenzia rispetto all’età classica: resta-
no frequenti le figurine fittili, tra cui numerose le protomi femminili, così come le lucerne. Da
segnalare invece il ritrovamento di una statuetta di ragazzo nudo stante con mantello257. Dalle
statuette fittili ricaviamo dunque che la frequentazione del santuario era soprattutto femminile,
ma vi dedicavano anche giovani maschi come tipico nei luoghi di culto con funzione iniziatica.
Tra la statuaria, oltre ad una testa di Demetra (probabilmente appartenente alla statua di culto:
fig. III.18, v. infra)258 vanno segnalate due statuette di Afrodite (figg. III.19, III.20)259 ed una
piccola statua di fanciulla con peplo (fig. III.21)260.
Dallo scavo della stoa meridionale provengono diversi frammenti di oggetti votivi di pre-
gio particolare, quali un cratere a campana, gioielli, un frammento di trapeza in marmo, un
perirrhanterion scolpito con un phyllophoros con un ramo di alloro, frammenti di statuette di
marmo261.
256
Cfr. Pingiatoglou 1996, p. 227.
257
Pingiatoglou 1991, p. 145.
258
Pandermalis 2000, p. 63.
259
Pandermalis 2000, pp. 70, 73.
260
Pandermalis 2000, p. 71.
261
Pingiatoglou 2001, p. 358.
Fig. III.19 - Dion, santuario di Fig. III.20 - Dion, santuario di De- Fig. III.21 - Dion, santuario di De-
Demetra, statuetta di Afrodite metra, statuetta di Afrodite con pe- metra, statuetta di fanciulla con pe-
che slaccia il sandalo (da Paner- plo altocinto (da Pandermalis 2000, plo (da Pandermalis 2000, p. 71).
malis 2000, p. 73). p. 70).
Statua di culto
Soggetto. Testa di Demetra (fig. III.18)
Luogo di ritrovamento. La testa fu rinvenuta nel-
la prima campagna di scavo del santuario, nell’estate
del 1973263.
Materiale. Marmo.
Misure. n.d.
Stato di conservazione. La testa si presenta fram-
mentata alla base del collo e danneggiata in più punti,
con la superficie piuttosto corrosa dalla lunga giacitura
nel terreno.
Descrizione. Demetra è raffigurata velata, con i ca-
pelli suddivisi da una scriminatura centrale fermati da
Fig. III.18 - Dion, santuario di Demetra, testa
un diadema, in origine applicato in materiale diverso della statua di culto di Demetra (da Pander-
come dimostrano i picoli fori tra i capelli; i due fori ai malis 2000, p. 63).
262
Pingiatoglou 1996, p. 229.
263
Pandermalis 2000, p. 63.
lobi delle orecchie servivano per l’applicazione di orecchini. Il viso è tondeggiante, la fronte bassa
e larga, le guance piene; gli occhi incavati e la bocca semichiusa conferiscono una nota di pathos
che contrasta con la severa calma matronale posseduta dalla figura divina.
Inquadramento tipologico. La raffigurazione del volto della dea trova immediato confron-
to con la statua di Artemide appartenente al gruppo cultuale del santuario di Lykosoura, opera
di Damofonte di Messene; acconciatura e velo si rifanno invece all’immagine di Demetra dello
stesso gruppo scultoreo264. Gli occhi infossati e le labbra semichiuse risentono di influssi sco-
padei.
Cronologia. La produzione damofontea viene considerata emblematica della rinascita clas-
sicistica, ma lo stile dei volti del gruppo di Lykosoura appare invece per molti aspetti ellenistico
a causa degli occhi grandi, le labbra sinuose, le ciocche dei capelli rese in modo impressionisti-
co265. L’intero gruppo può essere datato alla prima metà del II sec. a.C.266. Le caratteristiche sti-
listiche simili inducono a collocare anche la testa di Dion in età ellenistica o tardo-ellenistica.
Culto
La presenza dell’altare costituito da blocchi forati (di fronte all’oikos meridionale, all’in-
terno del quale si trova pure una pietra forata) è indiziaria di particolari rituali il cui svolgimen-
to rimane in parte oscuro. Il numero dei fori dei blocchi dell’altare (4, forse 6 in origine), in
particolare, resta inspiegato: è possibile che ciascun foro fosse destinato ad un diverso tipo di
offerta, oppure che corrispondesse a divinità diverse associate nel culto267. Se la struttura dell’al-
tare non trova confronti, la deposizione delle offerte in buche o fosse costituisce invece (come
già sottolineato) una prassi tipica nel culto di divinità del mondo infero o ctonie.
Il rinvenimento della figurina fittile di un ragazzo potrebbe suggerire un ruolo di prote-
zione dei fanciulli esercitato da Demetra nel santuario268.
Età romana
In età romana gli edifici all’interno del santuario aumentano, fino a formare un lungo al-
lineamento di strutture che inglobano i già esistenti templi ellenistici (che restano in funzione)
(fig. III.22). Non tutte le strutture sono state ancora indagate; i lavori si sono concentrati finora
su alcuni settori dell’area centrale del santuario, nell’edificio meridionale e nell’area artigianale
con i forni (fig. III.23).
Gli interventi di prima età imperiale nel nucleo centrale del santuario
Una prima serie di interventi risale alla prima età imperiale. Nel settore settentrionale del
temenos, alla distanza di 5 m dal muro orientale dell’edificio più a nord viene eretto un nuovo
264
Sull’opera esiste una sterminata bibliografia che è difficile riassumere in questa sede; per una sintesi dei con-
tributi fondamentali v. Lévy, Marcadé 1972; Ridgway 2000, pp. 235-238, nota 14. Per il tipo iconografico si vedano
S. de Angelis in LIMC IV, 1988, p. 880, n. 436; Pollitt 1986, pp. 165-167.
265
Ridgway 2000, p. 237.
266
Sul problema della datazione del gruppo v. ancora Ridgway 2000, pp. 237-238 e nota 19; Lo Monaco 2009,
pp. 173-174, con bibl.
267
S. Pingiatoglou propende per la seconda ipotesi, sulla base del confronto con alcune pietre forate rinvenute
nel santuario rupestre di Slonta (Cirene), recanti ciascuna una dedica inscritta ad una diversa divinità. Cfr. Pingia-
toglou 1996, p. 228, nota 9.
268
Cfr. Pingiatoglou 1991, p. 150. Si tratta di un aspetto attestato non solo a Dion: l’autrice porta a confronto
una statua di un fanciullo con un’oca proveniente da Isthmia dedicata a Demetra (Isthmia IV, 1987, p. 115, fig. 54 a).
In generale, nel culto di Demetra l’aspetto dell’allevamento dei fanciulli (kourotrophos) non è secondario e trova la sua
origine mitica nel ruolo di nutrice assunto dalla dea durante il suo soggiorno tra gli umani (Inno a Demetra, 250-255).
269
Pingiatoglou 1996, p. 229.
270
Pingiatoglou 1990, p. 207.
271
Pingiatoglou 1992, p. 225.
272
Durante la campagna di scavo del 2003 sono stati messi in luce una canaletta che conduce l’acqua dal santua-
rio di Asclepio alle latrine e parte di tre muri paralleli con andamento nord-sud ad est della canaletta (Pingiatoglou
2003, pp. 430-432). Tali ritrovamenti rafforzano l’ipotesi di un legame sia cultuale che strutturale tra i due santuari
vicini di Demetra e Asclepio.
273
Pingiatoglou 2003, pp. 425-426.
Fig. III.23 - Dion, santuario di Demetra, pianta generale delle strutture di età greca e romana (elab. autore).
L’edificio meridionale
Nel settore meridionale del santuario, a sud della stoa di età ellenistica, viene realizzato
nella prima età imperiale un edificio costituito da tre ambienti. In una prima fase viene eretta
una struttura, probabilmente una stoa, con andamento nord-sud, di cui rimane il tetto in crollo
e il livello pavimentale in ghiaia; quindi, in un momento successivo non meglio precisato, viene
costruita nella porzione più a sud una stanza interpretata dagli scavatori come latrina, di cui
si conserva il pavimento a mosaico (ne resta un lacerto di cornice a nastro in bianco e nero, a
tessere piuttosto grandi, all’interno del quale sono triangoli o rombi neri su sfondo bianco) e
porzioni del tetto in crollo (tegole ed un grande trave carbonizzato). In mezzo alla stanza sono
state rinvenute due macine; l’accesso avveniva dal lato meridionale.
I setti murari settentrionale ed orientale dell’edificio presentano minore spessore, sono
realizzati in appoggio ai muri occidentale e meridionale e sono costituiti di pietre grezze e
frammenti di epigrafi reimpiegate; essi appartengono ad una terza fase edilizia, collocabile nella
seconda metà del II o nel III sec. d.C., che vide la realizzazione di due vani a nord delle latrine.
Gli scavatori, sulla base dei ritrovamenti materiali (due macine e numerosi frammenti di anfo-
re), propongono per questi due ambienti più a nord una destinazione d’uso legata alla lavora-
zione e all’immagazzinamento dei cereali, attività lavorativa posta comprensibilmente sotto la
protezione della dea delle messi274.
In assenza di un recinto che chiuda a sud il santuario, non è certo se le latrine (installate
circa 25 m più a sud degli edifici sacri) sorgano all’interno o all’esterno dei limiti dell’area sacra.
Secondo S. Pingiatoglou, è più probabile che esse si trovassero subito al di fuori del santuario275,
e la loro presenza costituirebbe anzi un indizio per la ricostruzione del limite meridionale del
temenos. La presenza di latrine nei santuari è comunque fenomeno abbastanza raro: a Dion gli
scavatori ipotizzano che non servissero i soli frequentatori del santuario di Demetra, ma tutti i
santuari dell’area.
274
Pingiatoglou 2003, pp. 427-430.
275
Pingiatoglou 1996, p. 226, in cui l’autrice riporta l’esempio delle latrine dell’Asklepieion di Pergamo, situate
subito al di fuori del peribolo (Neudecker 1994, p. 162, n. 81; fig. 31).
276
Pingiatoglou 1996, p. 226. Un altro forno (di tipo diverso) fu individuato nel 1983 sempre nella zona del
santuario, ad ovest del muro di peribolo, ma non è mai stato pubblicato.
277
Pingiatoglou 2001, pp. 358-360.
278
Tipo II/b Cuomo di Caprio: Cuomo di Caprio 1992, fig. 2.
279
Tipo I/d Cuomo di Caprio, diffuso soprattutto in Italia meridionale.
unici resti sono costituiti da materiale edilizio bruciato. Gli scavatori ritengono poco probabile
che si trattasse di un’area artigianale di esclusiva competenza del santuario, in considerazione
sia della funzione del forno stesso, che pare non producesse oggetti (ex voto) o materiali di ri-
stretto utilizzo sacro, sia dell’esistenza nell’area di altri forni, che farebbe pensare ad un’ampia
area artigianale forse per la produzione di materiale edilizio per le esigenze della città. L’area,
del resto, è particolarmente adatta ad un impianto artigianale, per la posizione esterna alla città
ma vicino ad essa e per l’abbondanza di risorse idriche, grazie alla vicinanza al fiume ed alla
presenza di diverse sorgenti. Per quanto riguarda la cronologia di impianto di entrambi i forni,
viene proposta l’età imperiale avanzata, periodo in cui il santuario, perduto l’antico splendore,
si sarebbe contratto nella sola porzione settentrionale.
Iscrizioni
All’interno dell’edificio più a settentrione del temenos è
stato trovato un pilastro-altare con dedica ad Afrodite da parte
della sua sacerdotessa Mestria Nemesis (fig. III.24)280.
Nello scavo della stoa di età imperiale che limita il santua-
rio ad est è stato rinvenuto un frammento di trapeza in marmo
con un lacerto di iscrizione in lettere latine: VEI[281.
I muri settentrionale ed orientale dell’edificio meridiona-
le, risalenti alla metà del II-III sec. d.C., sono costituiti di ma-
teriale di riuso, tra cui viene segnalata un’iscrizione riportante
una lista di nomi maschili con patronimico, forse proveniente
da uno dei santuari dell’area282.
Votivi
Il rinvenimento di numerosissime lucerne di III e IV sec.
d.C. in tutta l’estensione del santuario dimostra che l’esercizio
cultuale continua fino a questo periodo, nonostante la contra-
zione dell’area sacra dovuta all’impianto del settore artigianale
nel settore sud-orientale. In età romana le lucerne sembrano
sostituire ogni altro tipo di ex voto (statuette fittili, vasi minia-
Fig. III.24 - Dion, santuario di
turistici, ecc., prevalenti invece in età classica ed ellenistica)283; Demetra, pilastro con dedica di
si tratta di oggetti con valenza votiva ma anche funzionale, per Mestria Nemesis (da Pandermalis
il loro impiego durante i riti notturni e iniziatici. 2000, p. 73).
Monete
Sono documentati numerosi rinvenimenti monetali di età romana; nell’impossibilità di
fornirne una lista completa (per la lacunosità delle relazioni di scavo), si segnalano i più signi-
ficativi.
Da livelli molto perturbati presso il tempio di età classica più a sud, in un’area continua-
mente interessata da interventi in tutto l’arco di vita del santuario, provengono una moneta di
Decio, una di Giulia Mamea della zecca di Dion, ed una di Gallieno284; una moneta di Domi-
280
Mestriva Nevmesi~ iJehteuvsa(sa) ∆Afrodeivth/ (fine II-inizi III secolo d.C.). Pingiatoglou 1992, 227; SEG
49, 699; Pandermalis 2000, pp. 73, 289.
281
Pingiatoglou 2003, p. 425.
282
Pingiatoglou 2003, p. 428.
283
Pingiatoglou 1996, pp. 229-230.
284
Pingiatoglou 1991, p. 145.
ziano proviene dal livello di distruzione dell’altare ellenistico ad est del tempio settentrionale
(distrutto alla fine del I sec. d.C.)285; un denario di Emilio Lepido (114-113 a.C.) ed una moneta
della zecca di Dion di Faustina II sono state rinvenute nei livelli di distruzione della stoa orien-
tale del santuario286.
Tra i rinvenimenti più tardi, un tesoretto di 96 monete di bronzo, risalenti per la maggior
parte al IV sec. d.C., è stato scoperto nell’angolo nord-orientale del santuario, vicino all’area
artigianale e probabilmente in connessione con questa287.
Culto
La vicinanza del santuario di Demetra a quello di Asclepio e il probabile legame anche
strutturale tra i due (messo in luce finora solo in minima parte) indica un collegamento esistente
almeno in età romana (ma forse già prima) tra le due divinità. S. Pingiatoglou riporta numerosi
esempi in cui Demetra e Asclepio appaiono insieme, tra cui un rilievo dell’Asklepieion di Atene
raffigurante il dio guaritore a fianco delle due dee eleusinie288, un rilievo del Museo dell’Acro-
poli con Asclepio, le due dee e Atena289, un’iscrizione che testimonia il culto di Demetra Kar-
pophoros nell’Asklepieion di Epidauro290, rilievi con la rappresentazione di Asclepio e Igea nel
santuario di Demetra e Kore a Megalopoli in Arcadia291, un’iscrizione votiva da Trezene indi-
rizzata a Demetra e Asclepio292. Santuari vicini di Demetra e Asclepio sono ricordati anche da
Pausania in Acaia293, sull’acropoli di Fliunte294, e sull’acropoli di Megara295; nel nord della Gre-
cia, sono documentati a Salonicco, Beroia, Kalindoia e Anfipoli296. La portata e le caratteristiche
di questo legame cultuale tra le due divinità a Dion necessita tuttavia di essere meglio compresa
con il prosieguo delle indagini.
Bibliografia
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Cuomo di Caprio N. 1992, Les ateliers de poitiers en Grande Grèce: quelques aspects
techniques, in Les ateliers de potiers dans le monde grec aux époques géométrique, archaïque et
classique, Actes de la Table ronde (École Francaise d’Athènes, 2-3 octobre 1987) (BCH, Suppl.
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Pandermalis D. 1996, Divon. H dekaetiav twn anaskafw'n 1987-1997, in AErgoMak, 10,
pp. 205-213.
285
Pingiatoglou 1990, pp. 206-207.
286
Pingiatoglou 2003, p. 426.
287
Pingiatoglou 1996, p. 229.
288
LIMC IV (1988), p. 444, s.v. Demeter.
289
E. Vikela in AM, 112, p. 192.
290
Kavvadias in AEphem, 1883, pp. 153, 155.
291
Paus. VIII 31.1.
292
IG IV, 692.
293
Paus. II, 27.9-12.
294
Paus. II, 13.5.
295
Paus. I, 40.6.
296
Cfr. Pingiatoglou 1999, p. 911 e Voutiras 1993, p. 254.
Santuario di Asclepio
Geografia e topografia
Il santuario è situato nell’area a sud della città, tra il santuario di Demetra e le aree sacre
di Iside e Zeus Hypsistos (fig. III.11, n. 5). è stato portato alla luce solo un tempio di piccole
dimensioni, frequentato dall’età classica all’età romana.
297
Baege 1913, p. 111.
298
Oikonomos 1915, pp. 8 ss.
parte di alcuni muri paralleli con andamento nord-sud ad est e a sud della canaletta299. Tali strutture
hanno suggerito l’ipotesi di un legame strutturale e cultuale tra le due aree sacre, per verificare la
quale sono state riprese l’anno successivo le indagini nel sito del tempio di Asclepio. Nel 2004 e
2005 gli scavi hanno interessato le aree ad est e a nord del tempio300; il santuario è tuttavia ancor
oggi in buona parte ignoto, e le indagini sono state pubblicate solo in forma preliminare.
299
Pingiatoglou 2003, pp. 430-432.
300
Pantermalis 2004, p. 377; Pingiatoglou 2006, pp. 577-578.
301
Pandermalis 1979, p. 336.
di culto di Asclepio e Igea, datato anch’esso alla seconda metà del IV sec. a.C. sulla base della
grafia delle lettere.
Ad est del tempio durante gli scavi più recenti sono stati rinvenuti tre plinti di pietra e
parte di alcune strutture murarie ad angolo, con orientamento nord-sud302. La tecnica edilizia
(pietre non lavorate legate con malta) e i materiali (frammenti ceramici, frammenti di statue di
marmo e una moneta di bronzo) consentono di collocare tali strutture in età ellenistica.
Iscrizioni e votivi
La dedicazione del tempio ad Asclepio è stata resa possibile dal materiale votivo ed epi-
grafico rinvenuto. Tra gli ex voto si contano un frammento di piede destro con sandalo di
dimensioni superiori al naturale riferibile alla statua del dio, una piccola testa di marmo di Te-
lesphoros, il torso di una statuetta di Asclepio, un piccolo serpente bronzeo, un anello di pietra
databile alla metà del V sec. a.C. con la rappresentazione di Eros con la lira, ed una statuetta di
Igea in marmo di IV sec. a.C., con chitone, himation disposto diagonalmente sul petto ed un
serpente avvolto attorno alla spalla e al braccio destro (fig. III.27)303.
La documentazione epigrafica è costituita da tre principali rinvenimenti. Un frammento di
base di statua in marmo grigio reca tre iscrizioni levigate, una delle quali con la menzione ASK
KÆÎ304. L’iscrizione è datata all’inizio del III sec. a.C. sulla base della grafia delle lettere; della
statua sono stati trovati nei dintorni scarsi frammenti305. Un’iscrizione votiva ad Asclepio Soter
è incisa in un riquadro su una colonnina posta come sema del temenos, accanto alla strada che
conduce dalla città antica al santuario di Zeus Olympios306. Infine, è stata rinvenuta un’epigrafe
di età ellenistica contenente un peana al “dio Ieteras (Guaritore)”307; copie dell’inno si trovano
ad Atene, a Eritre in Asia Minore e a Tolemaide in Egitto308.
Età romana
Allo stato attuale delle ricerche le trac-
ce della frequentazione del santuario in età
romana sono molto limitate. Nella prima età
imperiale nel temenos di Demetra, situato
poco più a nord, viene costruito il muro di
peribolo occidentale, che prosegue verso sud
fino a raggiungere quasi il temenos di Ascle-
pio; durante la campagna di scavo del 2003
nel santuario di Demetra sono stati messi in
luce anche una canaletta di età romana che
conduce l’acqua dal santuario di Asclepio
alle latrine e parte di tre muri paralleli con
andamento nord-sud ad est della canaletta309.
Più a sud, sono state in seguito individuate Fig. III.26 - Dion, santuario di Asclepio, veduta aerea
altre tracce del muro che si lega ad un edificio del tempio (da Pandermalis 2000, p. 84).
302
Pantermalis 2004, p. 377; Pingiatoglou 2006, pp. 577-578.
303
Per questi materiali si veda Pandermalis 1979, p. 336 (figg. 5, 6) e Pandermalis 2000, pp. 85-87.
304
SEG 27, 282.
305
Pantermalis 1973, p. 337.
306
Pingiatoglou 2003, p. 430.
307
Oikonomos 1915, pp. 8 ss.
308
Powell 1925, pp. 136-138; Eldstein 1945, test. 592; Graf 1985.
309
Pingiatoglou 2003, pp. 430-432.
Fig. III.27 - Dion, santuario di Asclepio, materiali votivi di età classica ed el-
lenistica: statuetta di Igea; testa marmorea di Telesphoros (da Pandermalis
2000, pp. 86-87); frammento di piede di statua con sandalo (da Pandermalis
1979, tav. 31, fig. 5).
310
Pingiatoglou 2006, pp. 577-578.
311
Baege 1913, p. 111; Gaebler 1935, p. 61.
312
Pandermalis 2000, p. 85.
313
Pandermalis 1986, pp. 11-16, fig. 12.
Dion 1 stele di marmo Peana ad Asclepio. Nella prima parte si Oikonomos 1915, età romana
ricorda la mitica famiglia del dio; nella p. 4; imperiale
seconda si invoca il dio e Igea di essere BCH 47, 1923,
ben disposti verso la popolosa città dei pp. 164, n. 4
Dionei e di concedere la grazia di vedere
la luce del sole.
Bibliografia
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Pingiatoglou S. 2006, Dion 2004-2006. Anaskafikev~ evreune~ sto ierov tou Asklhpiouv
kai sthn povlh twn ellhnistikwvn crovnwn, in AErgoMak, 20, pp. 577-586.
Powell J.U. 1925, Collectanea Alexandrina, Oxford.
Voutyras E. 1993, H latreiva tou Asklepiouv sthn arcaiva Makedoniva, in Arcaiva Ma-
kedoniva, 5, Anakoinwvsei" katav tov Pevmpto Dieqnev" Sumpovsion en Qessalonivkh (Qessa-
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Symposium held in Thessaloniki (10-15 october 1989), Thessaloniki, pp. 251-265.
Santuario di Artemide/Iside
Geografia e topografia
Il santuario si trova in posizione extraurbana presso l’angolo sud-orientale delle mura
cittadine di Dion, sulle rive del fiume Vaphyras, subito ad est del temenos di Zeus Hypsistos
(fig. III.11, n. 8). Il primo impianto dell’area sacra risale all’età ellenistica, ma il santuario fu poi
completamente risistemato in età romana imperiale. Nell’area sacra, sorta sulle rive del fiume
che scende dall’Olimpo e in un’area di sorgenti sacre (la cui acqua venne canalizzata e raccolta
in vasche all’interno dei templi di Iside Tyche e di Afrodite Hypolympidia), il culto delle acque
rivestiva evidentemente un ruolo determinante314.
314
Cfr. Pandermalis 1997, p. 24.
Età ellenistica
Strutture
Sono stati rinvenuti alcuni tratti di muri più antichi rispetto alle strutture romane317, che
però non sono stati scavati a causa dell’altezza della falda acquifera. In assenza di stratigrafie
affidabili non è perciò possibile ricostruire le sequenze di vita e l’aspetto monumentale del
santuario prima dell’età romana; gli unici dati relativi al santuario ellenistico sono forniti dai
rinvenimenti di materiali, ex voto e iscrizioni (cfr. infra).
Iscrizioni
Risalgono alla fase ellenistica del santuario la base di un donario rinvenuto presso l’altare
principale del santuario, con un’iscrizione datata al III sec. a.C. (probabilmente alla prima metà
del secolo: ARISTIW MENTOROS / ARTEMIDI EILEIQUIAI318), e un’epigrafe votiva dedicata
a Serapide, Iside e Anoubis datata al II sec. a.C. (definita dal Pandermalis come la primissima
testimonianza del culto della dea a Dion)319.
Votivi
All’età ellenistica risalgono diverse statue rinvenute nell’area sacra. Appartiene ad Artemi-
de Ilizia (il cui culto precedeva quello di Iside Lochia) un statua acefala, abbigliata alla maniera
arcaica con lungo chitone e doppia torcia nella mano sinistra (fig. III.29)320; della statua di culto
di Afrodite Hypolympidia, datata al II sec. a.C., fu rinvenuta la testa non lontano dalla nicchia
dove la statua era originariamente collocata, mentre il torso era stato trovato per caso più di
315
Pandermalis 1982.
316
Pandermalis 2000, pp. 89-90.
317
Pandermalis 1994, p. 390.
318
Pandermalis 1994, p. 390.
319
Pandermalis 1982, p. 19.
320
Pandermalis 1982, p. 734, fig. 8; Pandermalis 2000, p. 97.
Statua di culto
Soggetto. Statua di Afrodite Hypolimpidia (Fig. III.30)
Luogo di ritrovamento. La statua è stata rinvenuta in situ,
all’interno del tempietto situato più a nord, inserita in una nic-
chia rettangolare, al di sopra di una base iscritta con dedica alla
dea da parte della liberta Anthestia Iucunda325.
Materiale. Marmo.
Misure. n.d.
Stato di conservazione. Manca il braccio destro, origina-
riamente connesso al busto tramite un perno di fissaggio; allo
stesso modo era fissato alla gamba il piede destro, mancante, che
doveva essere calzato in una babbuccia come il sinistro.
Descrizione. Afrodite è rappresentata stante, appoggiata
sulla gamba sinistra, con il ginocchio destro lievemente in avan- Fig. III.29 - Dion, santuario di Isi-
ti; la mano sinistra poggia sul fianco (con pollice verso l’alto, de, piccola statua di Artemide Ili-
indice e medio distesi sul fianco, anulare e mignolo ripiegati). zia (da Pandermalis 2000, p. 97).
Il braccio destro, mancante, doveva essere appoggiato al tronco
d’albero situato a fianco della dea, come risulta evidente dal bilanciamento della figura. La dea è
vestita di un chitone altocinto e di un mantello drappeggiato all’altezza della vita, che si appog-
gia da un lato al braccio sinistro, passa dietro la schiena e ricade a rotolo sopra la coscia destra,
terminando con una cascata di pieghe tra le gambe. La testa, con la tipica acconciatura a nodo
sulla sommità del capo326, è leggermente reclinata verso sinistra, a completare l’andamento a “S”
dell’intera figura.
Inquadramento tipologico. L’impostazione della figura trova il suo più lontano archetipo
nell’Afrodite appoggiata al pilastrino, risalente alla seconda metà del V sec. a.C.327. Questo tipo
di rappresentazione ebbe notevole fortuna in età ellenistica, con diverse varianti; in particolare
uno schema molto vicino al nostro si ritrova in una numerosa serie di statuette rodie, che il Lau-
renzi identificò con Artemis-Hekate e datò all’ultima fase dell’ellenismo328. Al gruppo G. Gua-
landi329 aggiunse poi alcune repliche provenienti anch’esse da ambito greco, tra cui una statua
rinvenuta nell’agora di Atene330 e una statuetta conservata allo Staatliche Museen di Berlino,
321
Pandermalis 2000, p. 107. Nel II sec. d.C. la statua ellenistica riceve una nuova base offerta da Anthestia
Ioukounda (cfr. infra).
322
M. Giuman sottolinea come ex voto di neonati, fanciulli/fanciulle, verosimilmente dedicati dalle madri in
ringraziamento di una maternità positivamente compiuta sotto la tutela divina, siano ampiamente attestati nei luoghi
di culto di Artemide (ad esempio a Brauron, Atene e Delfi): Giuman 1999, p. 430, nota 20.
323
Pandermalis 1982, p. 732.
324
Pandermalis 2000, p. 101.
325
Pandermalis 1982; iscriz. Dion 10.
326
Portata ad esempio dalla Venere Capitolina di Roma o dalla Venere Callipige di Napoli (LIMC II, 1984, p.
765, n. 409).
327
Cfr. Traversari 1986, p. 105, n. 34, con bibl.
328
Laurenzi 1939.
329
Gualandi 1969.
330
Leslie Shear 1935, pp. 385-387, figg. 11-14; Gualandi 1969, pp. 250-252.
Culto
Presso le acque del fiume Vaphyras era adorata Arte-
mide, dea della natura e protettrice delle nascite, insieme
ad Afrodite. Durante il II sec. a.C. Artemide cedette il po-
Fig. III.30 - Dion, santuario di Iside, sta- sto alla grande dea Iside, il cui culto era giunto in Grecia
tua di culto di Afrodite Hypolympidia dall’Egitto. M. Giuman339 popone di collocare il passaggio
(da Pandermalis 2000, p. 106). da una dea all’altra sotto il regno di Filippo V (fine III-inizi
331
Berlin, Staatl. Mus. 504; Gualandi 1969, pp. 247-249, fig. 15.
332
Cfr. A. Delivorrias in LIMC II, 1984, pp. 41-42.
333
Gualandi 1969, pp. 253, 257, 261. Per le Nikai si v. in particolare la Nike di Cirene: Ermeti 1981, pp. 118-
120.
334
LIMC II, 1984, pp. 42-43, nn. 299-306.
335
Metropolitan 2007, pp. 447-448, n. 216.
336
LIMC II, 1984, n. 296. Cfr. anche una statua di Afrodite da Livadeià recentemente studiata da M. Bonanno:
Bonanno Aravantinos 2008, pp. 408-410, fig. 11.
337
Sull’origine rodia del tipo cfr. anche Linfert 1976, p. 156; Gualandi 1976, p. 130; Ridgway 1981, p. 446, pl. 96d.
338
Dion 10.
339
Giuman 1999.
II a.C.), attribuendo a questi anni un forte potenziamento dei culti di origine egizia in linea
con la politica di espansione economico-sociale e commerciale del sovrano (con il tramite di
Delo); egli cerca inoltre di spiegare i motivi della sostituzione di una dea all’altra (anziché una
loro semplice assimilazione) osservando sia gli aspetti simili sia alcune sostanziali differenze tra
le due divinità (Artemide dea vergine e per questo garante della sfera sessuale femminile, Iside
figura divina della sessualità piena e totale, sposa e madre).
Nel santuario era praticato anche il culto di Afrodite Hypolympidia (“Afrodite delle pen-
dici dell’Olimpo”) già in età ellenistica, come testimonia la presenza di una statua della dea
risalente al II sec. a.C.
Età romana
Strutture (fig. III.31)
Il complesso architettonico del santuario nella sua ultima fase edilizia è ben conservato
sotto il poderoso deposito accumulatosi nei secoli a causa delle inondazioni. Quasi tutte le
strutture sono databili tra la fine del II e la prima metà del III sec. d.C.340; numerose sculture ed
iscrizioni sono state rinvenute in situ o cadute poco lontano dalla loro collocazione originaria.
Appartengono ad un’unica fase edilizia, collocabile alla fine del II sec. d.C., tre edifici
templari allineati in senso nord-sud lungo il limite occidentale del temenos. Eretto su alto po-
dio al centro del lato occidentale del temenos è un tempio ionico tetrastilo, con pronaos e cella,
dedicato ad Iside Lochia. L’assialità con l’altare e con l’ingresso al recinto sacro, cui l’edificio
templare è collegato da una via processionale colonnata, ne sottolineano il ruolo predominante
nell’organizzazione monumentale dell’area sacra. Un rilievo rappresentante la dea con lo scet-
tro ed un fascio di spighe di grano era appeso al muro della facciata (fig. III.32); sui gradini di
accesso al pronaos vi erano alcuni ex voto tipici del culto isiaco, delle lastre appoggiate su basi
con impronte di piedi (cfr. infra).
A nord del tempio principale si trova un tempio più piccolo, dedicato ad Afrodite Hypo-
lympidia; la sua statua, posta all’interno di una nicchia, si specchia nelle acque sacre, convogliate
da una conduttura situata subito al di sotto della statua, raccolte in un’ampia cisterna di marmo
che occupa tutto il pavimento del naos e infine fatte defluire nella vasca allungata nel settore
centrale del santuario. La dedica-
zione del tempio è accertata dal
ritrovamento presso l’ingresso
di un piedistallo con il nome del-
la dea e dalla presenza della base
della statua di culto nella nicchia
(la statua, un’Afrodite di tipo
“Tiepolo”, è quella di II sec. a.C.,
posta su una nuova base nel III
sec. d.C.).
A sud del tempio principale
si trova un terzo sacello con ve-
stibolo, la cui fronte fu poi par-
zialmente nascosta dal tempietto
di Iside Tyche, situato subito a
sud-est. L’edificio è riconducibi- Fig. III.31 - Dion, santuario di Iside, veduta aerea delle strutture; il
le al culto di Afrodite, come te- nord è in alto (da Pandermalis 1990, p. 191, fig. 1).
340
Pandermalis 1982, p. 731.
Statua di culto
Soggetto. Statua di Iside Tyche (fig. III.34)
Luogo di ritrovamento. La statua di Isi-
de Tyche è stata trovata ancora in piedi sulla
sua base, nell’abside semicircolare del naos,
dinanzi alla vasca ovale dell’acqua sacra345. Il
piedistallo, reimpiegato, in origine doveva
sostenere una statua di Cassandro dedicata
nel santuario di Zeus Olympios346.
Materiale. Marmo.
Misure. n.d.
Stato di conservazione. Mancano la te-
sta, frammentata alla base del collo, la parte Fig. III.33 - Dion, santuario di Iside, ricostruzione asso-
superiore della cornucopia retta dalla mano nometrica del tempio di Isisde Tyche (da Pandermalis
sinistra e pollice ed indice della mano destra, 1982, p. 733, fig. 6).
341
Pandermalis 1997, p. 26.
342
Pandermalis 1997, pp. 26-28.
343
Sulla superficie superiore è infatti l’epigrafe: BASILEUS MAKEDONWN / KASSANDRS ANTIPATROU /
DII OLUMPIW (Pandermalis 1997, pp. 71-72).
344
Pandermalis 1997, p. 28.
345
Pandermalis 1982; Pandermalis 2000, pp. 102, 108-109.
346
Pandermalis 1997, pp. 71-72.
347
Apul., Met., XI, 3 (“crines uberrimi prolixique et sensim intorti per divina colla passive dispersi molliter de-
fluebant”).
348
Bieber 1977, pl. 139.
349
Kruse 1975, pp. 119 e ss.
350
Borbein 1973, p. 129, figg. 49-51.
351
Amelung 1903, pp. 351-352, n. 62, taf. 37; Museo Chiaramonti 1995, taf. 356-357.
352
Bieber 1977, pl. 4, fig. 16.
353
Cfr. il tipo “totalement hellénisée” in LIMC V, 1990, p. 792.
354
V. Tran Tam Tihn in LIMC V, 1990, p. 792.
Cronologia. Lo schema iconografico appare particolarmente diffuso in età imperiale con di-
verse varianti. La statua di Dion, considerata dagli scavatori un’opera di fine II-III secolo contem-
poranea alla realizzazione del relativo tempietto, presenta rispetto ai confronti citati (collocabili
nella prima età imperiale) maggiore corsività nella resa dei panneggi e dei particolari anatomici.
Iscrizioni
Le dediche rinvenute nel temenos sono rivolte principalmente ad Iside, ma anche alle altre
divinità egizie (Serapide, Anoubis) e ad Afrodite Hypolimpidia.
Nella facciata del tempio principale era inserito un rilievo votivo raffigurante Iside, con un
ampio copricapo sormontato dal disco lunare, lo scettro in una mano e spighe di grano nell’al-
tra; la dedica è da parte di Kallimachos e Kleta alla triade Sarapis, Iside e Anoubis (Dion 2; fig.
III.32)355.
è attestata in età romana la pratica della dedicazione ad Iside di lastre con impronte dei
piedi. Ne sono state rinvenute quattro: due (Dion 6, 7) offerte da una coppia, Ignatia Erennia e
Getianos Pasiphilos, e dedicate kat∆ ejpitaghvn (“come ordinato”) (la dea stessa aveva dunque
ordinato ai dedicatari di consacrare quest’offerta dopo aver trascorso la notte nel santuario)356;
una offerta pure kat∆ ejpitaghvn da Ostios Filon (Dion 4); un’ultima donata da C. Iulius Quar-
tus (Dion 3).
Ad Iside Tyche è inoltre dedicata un’iscrizione inserita nell’altare del tempietto a sud del
tempio principale357.
Nell’ampia sala del lato settentrionale del santuario sono poi collocate tre statue, di cui
sono rimaste in situ le basi: una è dedicata a Iulia Phrougiane Alexandra dalla città di Dion nel
II sec. d.C. (Dion 15)358, le altre due, scritte sia in greco che in latino, sono di Antestia P(ubli)
l(iberta) Iucunda e di sua figlia Maxima (Dion 13, 14)359.
Nel III sec. d.C. la statua di Afrodite Hypolympidia nel tempietto settentrionale viene
collocata su una nuova base, sulla quale è incisa un’epigrafe latina recante il nome di Antestia
Iucunda (Dion 10, 11).
Dion 2 stele di marmo con Dedica a Serapide, Iside e Anou- SEG 48, 788 età imperiale
rilievo votivo raffi- bis da parte di Kallimakos e
gurante Iside, con Kletas come ex voto del pellegri-
un ampio copricapo naggio
sormontato dal disco
lunare, lo scettro in
una mano e spighe di
grano nell’altra
Dion 3 “dado” di pietra con Ex voto a Iside Lochia da parte SEG 34, 622; Praktika età romana
lastra rettangolare in di C. Iulius Quartus. tou 8. Diethnous Sy-
cui sono le impronte nedriou Hell. kai Lat.
di due piedi Epigraphikes, 1984,
n. 273;
AE 1998, 1201
Dion 4 come il precedente Dedica del sacerdote C. Ostius SEG 34, 623a età romana
Filon su ordine ricevuto dalla dea.
355
Pandermalis 2000, p. 89.
356
Pandermalis 2000, p. 99. Le iscrizioni di Delo denominano tale tipo di dediche come bhvmata.
357
Pandermalis 1997, p. 28.
358
Pandermalis 2000, pp. 90, 112-113.
359
Pandermalis 2000, p. 111.
360
Su Anthestia Iucunda cfr. anche: ILGR 180 (AEphem. 1937, p. 527, 1): P(ublius) Antestius Amphio aed(ilis) augur
IIvir quinq(uenalis) et Antestia Iucund(a) aedem Libero et colonis de sua p(ecunia) f(aciendum) c(uraverunt) (lastra di
marmo bianco trovata vicino al teatro); ILGR 181 (Anc. Mak II, 1977, pp. 337-338): Dianae et colonis Antestia P(ubli)
l(iberta) Iucunda aram d(e) s(ua) p(ecunia) f(aciendam) c(uravit) (lastra reimpiegata come coperchio di tomba).
361
È stato proposto di identificare i porticus del testo dell’iscrizione con i due portici settentrionale e meridiona-
le del santuario, lo ianus con il passaggio coperto del portico settentrionale e l’ala con lo spazio quadrato ad est del
passaggio coperto del portico nord (AE 1998, 1209).
362
Sulla problematica datazione dell’iscrizione cfr. Rizakis 2003a, p. 110, n. 7 e p. 120, n. 44; AE 2003, 1578.
363
Gli incolae (pavroikoi) sarebbero i discendenti dei primi abitanti di Dion, prima della fondazione della colo-
nia: cfr. AE 1998, 1210 (ma sul termine v. anche Rizakis 2003a, p. 110, n. 7).
Votivi
Per l’età romana ci sono
note alcune dediche di statue
nel santuario: una statuetta
di Harpokrates con il corno
di Amaltea nella mano sini-
stra, databile al II sec. d.C.
(fig. III.35)364; una statua di
Poseidon rinvenuta presso
la facciata tetrastila del tem-
pio, pure datata al II sec. d.C.,
rappresentante il dio stante,
nudo, con un supporto pres-
so la gamba destra scolpito a
forma di delfino attaccato ad
un polipo (fig. III.36)365; una
testa di Sarapis appartenente
ad una statua di piccole di-
mensioni, con il modius sul
capo (fig. III.37)366; una statua
di Demetra seduta (fig. III.38);
una statuetta di Afrodite pro-
veniente dall’altare di Iside
Lochia (fig. III.39); la statua
Fig. III.36 - Dion, santuario di Iside, di Ioulia Frougiane Alexandra
statua di Poseidon (da Pandermalis
2000, p. 101).
collocata nella sala nord del
santuario (fig. III.40).
Nel II sec. d.C., come ac-
cennato, la statua ellenistica di
Fig. III.35 - Dion, santuario di Iside, Afrodite Hypolympidia riceve
statuetta di Harpokrates (da Pander-
una nuova base offerta da An-
malis 2000, p. 98).
thestia Ioukounda. Ai piedi
Fig. III.37 - Dion, santuario di Iside, testa della statua sono stati rinvenu-
di Sarapis (da Pandermalis 2000, p. 98). ti diversi oggetti votivi offerti
alla dea, quali un piccolo altare
portatile in marmo, un rilievo di forma circolare raffigurante la dea a cavallo di un capro, un
rilievo di forma quadrata con un gallo367.
Culto
L’organizzazione planimetrica del santuario nella sua fase di vita romana riveste un signi-
ficato simbolico e rimanda al paesaggio sacro di Iside in Egitto: il lungo corridoio con basso
parapetto di fronte al tempio principale simboleggiava il Nilo, mentre i tori di marmo trovati
sui gradini dell’altare rappresentavano il dio egizio Apis.
364
Pandermalis 2000, p. 98.
365
Pandermalis 2000, p. 101.
366
Pandermalis 2000, p. 98.
367
Pandermalis 2000, p. 107.
Bibliografia
Giuman M. 1999, Metamorfosi di una dea. Da Artemide ad Iside in un santuario di Dion,
in Ostraka, 8, pp. 427-446.
Pandermalis D. 1982, Ein neues Heiligtum in Dion, in AA, IV, pp. 727-735.
Pandermalis D. 1990, The excavations at Dion, in AErgoMak, 4, pp. 187-194.
Pandermalis D. 1994, s.v. Dion, in EAA, secondo suppl., II, Roma, pp. 389-392.
Pandermalis D. 1997, Dion. Sito archeologico e Museo, Atene.
Pandermalis D. 2000, Discovering Dion, Athens, pp. 88-117.
368
Giuman 1999, pp. 437-438.
369
Pandermalis 2003.
370
Pandermalis 2004.
Età romana
Strutture
Gli scavi hanno portato alla luce alcune strutture non
ancora comprese con chiarezza: un muro con un’apertura in
cui è alloggiata la soglia in pietra di una porta a due ante, e un
altro muro parallelo al primo localizzato circa 3,20 m più a
nord. A nord di questi resti si trova una struttura rettangolare
di circa 2,50 x 3 m, interpretata come altare, i cui frammenti
architettonici sono stati rinvenuti disseminati tutt’intorno; a
lato della struttura sono presenti un bacino di marmo iscrit-
to ed una canaletta di scolo in pietra. Ancora più a nord si
trova una base monolitica inserita nel terreno con un anello
di ferro sul lato superiore, simile a quelle rinvenute davanti
all’altare di Zeus Olympios.
Il tempio del dio si trova 7 m più a nord dell’altare; orien-
tato verso sud, è costituito dal solo sekos, senza pronaos né
opistodomos. Due basi decorate a rilievo con un’aquila, un bu-
cranio e utensili per il sacrificio si trovano esattamente sull’asse
dell’ingresso del tempio, all’esterno; in posizione simmetrica a
queste, davanti alla fronte del tempio, sono due basi di colon-
ne ioniche. La soglia del tempio reca gli incastri per sorreggere
due porte a due ante, una più esterna ed una più interna.
A contatto con il muro settentrionale del tempio è una
struttura in muratura di circa 2 x 1 m, chiaramente la base di
una statua, sulla cui fronte erano fissate due lastre marmoree
iscritte, rinvenute sul pavimento: la prima (251-252 d.C.) cita
i nomi dei sorteggiati per l’organizzazione dei docw'n (ban-
chetti?) di Zeus Hypsistos, la seconda riporta le proprietà
relative al santuario.
Il pavimento del tempio era rivestito da un mosaico: sul
lato, in mezzo a motivi geometrici ornamentali, è raffigurato
un toro bianco ed asce a doppio taglio utilizzate per i sacrifici
di grossi animali; davanti alla statua di culto era invece un
emblema a mosaico purtroppo distrutto in età antica, inqua-
drato da due più piccoli pannelli con raffigurazioni di corvi.
All’esterno, a contatto con il muro occidentale del tem- Fig. III.40 - Dion, santuario di Iside,
pio, si trova una cisterna di acqua. Il temenos era circonda- statua di Ioulia Frougiane Alexandra
(da Pandermalis 2000, p. 113).
to da stoai371, che almeno sui lati occidentale e settentrionale
comprendevano una serie di stanze per le necessità cultuali
(fig. III.41). L’ingresso al santuario, non ancora individuato, avveniva da nord o da sud.
È stata inoltre rinvenuta la statua di culto, costituita da un pezzo monolitico di marmo a
grana grossa, realizzata con molta cura, rappresentante il dio seduto sul trono (cfr. infra)372.
371
La cui esistenza è documentata anche dai rinvenimenti epigrafici: cfr. infra.
372
Durante lo scavo delle fortificazioni tardoantiche della città, nel 2006, è stata rinvenuta la statua di una divi-
nità femminile seduta, in marmo bianco, identificata con Era. Le dimensioni, lo stile e le caratteristiche del marmo la
avvicinano a quella di Zeus Hypsistos ed hanno portato ad ipotizzare una sua originaria collocazione all’interno del
tempio dell’Hypsistos: Pandermalis 2006, pp. 570, 575, figg. 13-14.
Le recenti indagini hanno reso nota l’articolazione monumentale dell’area sacra, ma pur-
troppo allo stato attuale delle ricerche rimane irrisolto il problema della sua datazione e del primo
impianto del santuario. Da quanto sinora pubblicato, tuttavia, risalta chiaramente la completa as-
senza di testimonianze relative al culto dell’Hypsistos a Dion precedenti all’età romana (sia dallo
stesso santuario, sia da altre aree della città), in accordo con un quadro più ampio che vede la dif-
fusione del culto dell’Hypsistos nel Mediterraneo orientale soprattutto tra il II e il III sec. d.C.373.
È quindi possibile che l’impianto del nuovo santuario a Dion sia da collocarsi in età imperiale.
La statua di culto
Soggetto. Statua di Zeus Hypsistos (fig. III.42)
Luogo di ritrovamento. La statua di culto del dio è stata rinvenuta all’interno della cella del
tempio, immediatamente ad est del suo basamento, nella campagna di scavo del 2003374.
Materiale. Marmo a grana grossa.
Misure. n.d.
Stato di conservazione. Mancano la testa, troncata alla base del collo, e il braccio sinistro,
mutilo all’altezza dell’avambraccio.
Descrizione. Zeus siede sul trono, con il braccio sinistro alzato, probabilmente appoggiato
allo scettro, e la mano destra, con il fulmine, appoggiata sulla coscia destra; il mantello avvolge
la parte inferiore del corpo e risale a coprire con un piccolo lembo la spalla sinistra. I piedi cal-
zano sandali ad alta suola con doppia fascia; il piede destro è più avanzato rispetto al sinistro,
che poggia al suolo con la punta. Il trono è di forma molto semplice, squadrata, con alta spal-
liera, non decorato.
Inquadramento tipologico. La statua è una rielaborazione dello Zeus in trono tipo Malibu,
secondo la classificazione recentemente proposta da S. Vlizos375. Il riferimento, per la compo-
sizione generale della figura, il trattamento della superficie e la posizione della testa, è la statua
conservata al Paul Getty Museum di Malibu (California). Rispetto agli altri tipi di Zeus in
trono, questo si distingue sia per la posizione del corpo (non marcatamente sbilanciata verso
destra come negli schemi Roma e Pergamo), sia per il drappeggio del mantello (che negli sche-
mi Lione e Roma scende abbondantemente dalla spalla sinistra fino quasi all’altezza dell’anca,
373
Cfr. supra, Parte II, pp. 129-130 e Mitchell 1999, pp. 108-110.
374
Pandermalis 2003, pp. 418-419, figg. 7, 9.
375
Vlizos 1999, pp. 56-82.
mentre nello schema Pergamo copre solo la parte inferiore del corpo), sia ancora per gli attri-
buti (fulmine e non patera nella mano destra)376. La statua di Dion è tuttavia differente dallo
schema Malibu nella posizione di gambe e piedi, che si avvicinano piuttosto allo schema Lio-
ne: la gamba retratta vicino al trono è la sinistra anziché la destra, ciò che conferisce un ritmo
più marcatamente chiastico alla composizione (braccio sinistro e gamba destra allungati verso
l’esterno, braccio destro e gamba sinistra piegati e raccolti). La maggior parte degli esemplari in
cui è attestata questa iconografia provengono dall’area orientale greca, ma non è possibile as-
sociarli ad uno specifico contesto architettonico, benché sia evidente, secondo la maggior parte
degli studiosi, la loro derivazione da un’immagine cultuale.
Cronologia. Lo Zeus di Malibu fu interpretato da C.C. Vermeule come copia di un’opera
pergamena del periodo intorno al 160 a.C.377; in seguito, C. Maderna intravide invece nel drap-
peggio del mantello e nell’effetto spaziale una parentela immediata con la statua di Giove Capi-
tolino378. Le numerose varianti del tipo, rappresentate da statuette in marmo e in bronzo, sono
state di volta in volta avvicinate all’uno o all’altro modello con differenti proposte di datazione.
Vlizos, da ultimo, ritiene che lo schema sia originario del II sec. a.C. (Zeus Sosipolis, fregio
dell’Hekateion di Lagina), ma sia divenuto particolarmente popolare e diffuso nel I secolo d.C.
e poi in età imperiale379. Per quanto riguarda la statua di Dion, una datazione ad età imperiale
appare la più probabile.
Iscrizioni
Dal santuario di Zeus Hypsistos provengono numerosi documenti epigrafici che ne hanno
consentito l’identificazione.
All’interno del sekos sono state rinvenute un’aquila di marmo e 4 significative iscrizioni: una
lastra votiva a Iupiter Optimus Maximus da parte di
un Publicus Tabularius di nome Eracleon; una colon-
nina con decorazione a foglie all’estremità, dedicata da
Auvlo Maivkio Spovrio e sua moglie Neikovpoli a Zeus
Hypsistos; una lastra commemorante l’offerta di una
stoa e di una statua da parte di un insigne dignitario,
M. Herennius Philotimus; una lastra commemorante
l’offerta di una stoa da parte di A. Helvius, il quale,
tra le altre cose, fu anche Sevir, sacerdote provinciale
annuale del culto di Augusto e Roma.
A lato del probabile altare del santuario si trova
un bacino di marmo con l’iscrizione: Dii; ÔUyivstwi
Dhmhvtrio~ ejuch;n, ed al rovescio: I. Domitius Aga-
thopus sacerdos.
Due lastre marmoree iscritte sono pertinenti ad
una base di statua adiacente al muro settentrionale
del tempio. L’una, datata al 251-252 d.C., contiene i
Fig. III.42 - Dion, santuario di Zeus Hypsistos, nomi di coloro che erano stati sorteggiati per assu-
statua di culto di Zeus Hypsistos (da Panderma- mersi la responsabilità dei docwvn di Zeus Hypsistos;
lis 2003, p. 424, fig. 9). ciascun nome corrisponde ad uno dei dodici mesi
376
Si veda la tav. 30 di sintesi in Vlizos 1999.
377
Vermeule 1977, p. 43.
378
Maderna 1988, p. 29.
379
Vlizos 1999, p. 82. Pandermalis sottolinea che il tipo dello Zeus in trono risale in ultimo allo Zeus fidiaco di
Olimpia (Pandermalis 2003, p. 418).
del calendario macedone (iniziando dal mese Xandikov)380. L’altra riporta le proprietà del santua-
rio, con un lungo catalogo dei nomi dei fedeli di Zeus Hypsistos.
All’interno del santuario è stato inoltre individuato uno stilobate con colonnine votive in
situ, una delle quali recante la dedica Dii; ÔUyivstw/ / L. Trevbio~ / Levwn / eujxavmeno~. Accanto
alla colonnina era un capitello di marmo bianco ed un’aquila di marmo con le ali aperte. A poca
distanza dallo stilobate è poi venuto alla luce un piccolo coronamento di stele in marmo, con una
rappresentazione a rilievo di un’aquila con le ali aperte fiancheggiata da due orecchie e coronata
da una stephane. L’iscrizione riporta: Dii; ÔUyivstw/ eujch;n / G. ∆Oluvmpio~ Pau'lo~ iJerht[euvsa~].
Dion 16 colonnina votiva in marmo Dedica a Zeus Hypsistos da parte SEG 53, 597 II sec. d.C.
verde, su stilobate di L. Trebius Leon
Dion 17 lastra di marmo collocata Iscrizione con i nomi di coloro che SEG 53, 596, 1 251-252 d.C.
presso la base di statua adia- erano stati sorteggiati per assumersi
cente al muro settentrionale la responsabilità dei docw'n di Zeus
del tempio Hypsistos; ciascun nome corri-
sponde ad uno dei dodici mesi del
calendario macedone (iniziando dal
mese Xandikov)
Dion 18 coronamento di stele in Dedica a Zeus Hypsistos da parte SEG 53, 598 età imperiale
marmo, con una rappresen- del sacerdote C. Olympios Paulus
tazione a rilievo di un’aqui-
la con le ali aperte fian-
cheggiata da due orecchie e
coronata da una stephane.
Dion 19 bacino di marmo a lato Dedica in greco di Demetrios, in SEG 53, 599; età imperiale
dell’altare latino del sacerdote I. (T.?381) Do- AE 2003, 1581
mitius Agathopus
Dion 20 lastra votiva rinvenuta Dedica a Iupiter Optimus Maximus Pandermalis età imperiale
all’interno del sekos da parte di un publicus tabularius382 2003, p. 418
di nome Eracleo
Dion 21 colonnina con decorazione Dedica da parte di Auvlo Maivkio SEG 53, 600 età imperiale
a foglie all’estremità rinve- Spovrio e sua moglie Neikovpoli a
nuta all’interno del sekos Zeus Hypsistos
Dion 22 lastra di marmo rinvenuta Iscrizione commemorante l’offerta Pandermalis età imperiale
all’interno del sekos di una stoa e di una statua da parte 2003, p. 418
di un insigne dignitario, M. Heren-
nius Philotimus
Dion 23 lastra di marmo rinvenuta Iscrizione commemorante l’offerta Pandermalis età imperiale
all’interno del sekos di una stoa da parte di A. Helvius, 2003, p. 418
il quale, tra le altre cose, fu anche
Sevir, sacerdote provinciale annua-
le del culto di Augusto e Roma.
Dion 24 lastra di marmo collocata Elenco delle proprietà del san- SEG 53, 596, 2 età imperiale
presso la base di statua adia- tuario, con un lungo catalogo dei
cente al muro settentrionale nomi dei fedeli di Zeus Hypsistos.
del tempio
380
Non è stato pubblicato il testo dell’iscrizione, di cui viene solo riportato il contenuto in Pandermlis 2003,
p. 418 (cfr. anche Bull. ép., REG 2005, 210). Rimane pertanto oscuro il significato da attribuire al termine docw'n
(banchetti?).
381
L’editore (Pandermalis) riporta come praenomen I.; la proposta di ricostruire T. è in AE 2003, 1581.
382
Schiavo pubblico.
Culto
Alcune indicazioni relative al culto di Zeus Hypsistos a Dion sono fornite dalla numisma-
tica. La colonia di Dium inizia le emissioni in età augustea, con monete con il ritratto imperiale;
solo un secolo dopo, in età adrianea, viene introdotto un nuovo tipo, con Zeus in piedi con pa-
tera e scettro ed un’aquila ai suoi piedi, e la legenda al rovescio IMP CAES HADRIANO AVG
OLYMPIO. Alcuni studiosi vedono nell’introduzione del tipo di Zeus nel conio di Dion un
indicatore di un rinnovamento del culto tradizionale383, ma è possibile che essa sia da ricollegarsi
più specificamente al culto di Zeus Hypsistos384, sviluppatosi a Dion proprio in età imperiale.
A conferma del rinnovato interesse che riceve a Dion il culto di Zeus in età imperiale, è
stata recentemente rinvenuta durante lo scavo dell’edificio interpretato come pretorio una co-
lossale testa di marmo dell’imperatore Traiano, raffigurato con una corona di alloro sul capo ed
un medaglione circolare al centro della fronte385; la rappresentazione nel medaglione di un busto
del padre degli dei esplicita l’intento dell’imperatore di presentarsi come un nuovo Zeus386.
Per quanto riguarda più in generale il culto di Zeus Hypsistos, secondo un recente studio
di S. Mitchell387 si tratta di una divinità suprema e astratta (“altissima”) denominata di volta in
volta nelle dediche come Theos Hypsistos, Zeus Hypsistos (soprattutto in Grecia, in Mace-
donia e nell’Asia Minore ellenizzata) o semplicemente Hypsistos; si tratta di uno dei culti più
diffusi in età tardo-ellenistica e soprattutto romana (II-III secolo) nel Mediterraneo orientale.
Una delle ragioni che ne determinarono l’ampia diffusione fu forse l’assoluta indipendenza
dalle istituzioni cittadine o imperiali; a differenza del culto imperiale e di quello delle principali
divinità “civiche” non prevedeva celebrazioni festive comunitarie né performances sacrificali
o agonistiche, ma ritualità di carattere più privato. Dall’analisi dei dedicanti delle iscrizioni al
dio, inoltre, il culto non sembra essere prerogativa di un’élite culturale o intellettuale; i fedeli
provengono anzi nella maggior parte dei casi dai livelli sociali inferiori.
Bibliografia
Hill G.F. 1899, Priester-Diademe, in Öjh, 2, pp. 245-249.
Kremydi-Sicilianou S. 1996, H Nomismatokopiva th~ Rwmaikhv~ apoikiva~ tou Divou,
Athina.
Kremydi-Sicilianou S. 2004, Multiple concealments from the sanctuary of Zeus Olympios
at Dion. Three Roman Provincial coin hoards, Athens.
383
Kremydi-Sicilianou 1996, pp. 90-91.
384
Alcune rappresentazioni di Zeus Hypsistos in area macedone sembrano infatti simili al tipo delle monete
di Dion: si vedano al proposito alcuni rilievi provenienti dall’area di Kozani (PAAH, 1965, pp. 25-26, pl. 28, b, c;
Makedonika, II, 1951 (1952), pp. 638, 639, fig. 13; AEph, 1936, p. 7, n. 9, fig. 6). Cfr. Kremydi-Sicilianou 2004, p.
24, nota 14.
385
Sul significato della corona con uno o più medaglioni contenenti busti (spesso di divinità) esiste un’ampia
bibliografia. La tesi prevalente è stata a lungo quella formulata da Hill (Hill 1899), che nella corona vedeva un
attributo dei sacerdoti del culto imperiale (ipotesi che evidentemente non si accorda con il nostro ritratto di Traia-
no); tuttavia con la pubblicazione di due iscrizioni da Oinoanda (Licia) e da Aizanoi (Frigia) da parte del Wörrle
(Wörrle 1988; Wörrle 1992) e con il recente lavoro di J. Rumscheid (Rumscheid 2000) pare ormai acquisito che la
corona con busti vada riferita alla carica di agonotheta e si trovi in contesti di celebrazioni agonistiche (al proposito
si veda anche il recentissimo contributo di Riccardi 2007). Ci sfugge in ogni caso il motivo di tale rappresentazione
di Traiano nel ritratto di Dion, dove sembra comunque innegabile l’intento di giustapporre la figura dell’imperatore
a quella di Zeus.
386
Pandermalis 2002. Il rinvenimento getta luce anche sulla questione dei rapporti intrattenuti dalla città con il
potere imperiale. Traiano compare anche nell’iscrizione incisa su una pietra di confine proveniente dal basso Olim-
po, riportante un patto tra i cittadini di Dion e Oloosson (l’odierna Elassona) circa la definizione del confine tra le
due città, ratificato da Traiano nel 101 d.C. (CIL III, 91) (cfr. ancora Pandermalis 2002 come sopra).
387
Mitchell 1999.
Mitchell S. 1999, The Cult of Theos Hypsistos between Pagans, Jews, and Christians, in
Pagan Monotheism in Antiquity, a cura di P. Athanassiadi, M. Frede, Oxford, pp. 81-146.
Pandermalis D. 2002, New discoveries at Dion, in Excavating Classical Culture, a cura di
M. Stamatopoulou, M. Yeroulanou, Oxford, pp. 103-104.
Pandermalis D. 2003, Zeu~ Uvpsisto~ kai avlla, in AErgoMak, 17, pp. 417-424.
Pandermalis D. 2004, Oi anaskafev~ sto Divon to 2004 kai ta eurhvmata th~ epochv~
twn filalevxandrwn basilevwn, in AErgoMak, 18, pp. 377-381.
Pandermalis D. 2006, Divon 2006, in AErgoMak, 20, pp. 567-575.
Riccardi L.A. 2007, The bust-crown, the Panhellenion, and Eleusis, in Hesperia, 76, pp.
365-390.
Rumscheid J. 2000, Kranz und Krone (Instanbuler Forschungen 43), Tübingen.
Vlizos S. 1999, Der thronende Zeus. Eine Untersuchung zur statuarischen Ikonographie
des Gottes in der spätklassischen und hellenistischen Kunst, Leidorf.
Wörrle M. 1988, Stadt und Fest im kaiserzeitlichen Kleinasien: Studien zu einer agonisti-
chen Stiftung aus Oinoanda (Vestigia 39), Münich.
Wörrle M. 1992, Neue Inschriftenfunde aus Aizanoi I, in Chiron, 22, pp. 349-368.
Sono raggruppati sotto questa denominazione geografica tutti i territori situati ad est
dell’Axios fino al corso del Nestos. L’area fu annessa al Regno Macedone da Filippo II.
3.1 Salonicco
1
Liv. XLV, 30, 4.
2
Papazoglou 1988, pp. 206-207.
3
Rizakis 1983, pp. 511-524.
4
In particolare viene ricordato Filippo di Tessalonica, che intorno al 40 d.C. raggruppò gli epigrammi di vari poeti
macedoni in un’antologia denominata “Ghirlanda” (Tzavanari 2003, p. 251; Allamani-Souri 2003a, pp. 83-84).
5
Str. VII, 323.
6
Luk., Asin., 46.
7
Papazoglou 1988, p. 210. Il titolo di metropolis in origine apparteneva di diritto solo alla capitale della pro-
vincia, ma in seguito venne conferito come attributo onorifico a diverse città della stessa provincia; anche il titolo
colonia è di significato puramente onorifico.
8
Mallios 2004.
arcaica, dal quale provengono gli elementi architettonici reimpiegati nella costruzione di un
tempio imperiale, sarà discussa in relazione al tempio costruito in città in onore dell’imperato-
re. Va inoltre ricordata l’ipotesi, supportata da una documentazione per ora piuttosto limitata,
dell’esistenza di un tempio di Dioniso nel sito della chiesa di Panagia Acheiropoietos, nel setto-
re centro-orientale della città, a breve distanza dalla via Egnatia.
Serapeion
Geografia e topografia
Il santuario si trova nel settore
centrale della città, in via Diikitrìou
(fig. III.43). I materiali rinvenuti ne in-
dicano una frequentazione dal III sec.
a.C. fino almeno al III sec. d.C.
Età ellenistica
Strutture
La costruzione del tempio originario di Serapide viene collocata alla fine del III sec. a.C.
sulla base del materiale epigrafico rinvenuto11; a questa prima fase risale forse l’ambiente sotter-
raneo (1,60 x 4 m) individuato sotto all’edificio di età romana, con accesso tramite un corridoio
ipogeo lungo circa 10 m. La cripta, la cui porta d’accesso al momento della scoperta era sigillata,
9
BCH, XLV, 1921, Cronique, pp. 540-541.
10
JHS, 41, 1921, p. 274; AA 1922, pp. 242-243; RHR, 86, 1922, p. 179, n. 3; Wrede 1926; Makaronas 1940, pp.
464-465. In un articolo del 1974 D. Fraikin riprende le notizie edite e tenta di ricostruire una pianta delle strutture,
oltre a presentare un modello ricostruttivo (ora al Museo di Salonicco) del tempio rinvenuto nel 1939 (Fraikin
1974).
11
BCH, XLV, 1921, Cronique, pp. 540-541; Pelekidis 1934, p. 4; Edson 1948, p. 181.
è di forma rettangolare con altare centrale; all’interno di una nicchia in uno dei lati della camera
sotterranea era situata un’erma di un dio barbato databile all’età ellenistica12.
Iscrizioni e votivi
Sono state rinvenute in totale 13 iscrizioni relative all’età ellenistica13. Tra esse, rivestono
particolare importanza il diagramma di Filippo V e un rilievo votivo dedicato ad Osiride.
Il primo, iscritto su una stele di marmo, è un atto legislativo di Filippo V, che interviene
nell’amministrazione del santuario nel 187 a.C. regolandone gli affari economici14; si rivolge
al sacerdote del Serapeion, tramite un certo Andronikos, probabilmente epimeletes della città,
al fine di stabilire un controllo delle finanze del santuario attraverso funzionari reali, per pro-
teggere il culto egizio così come le rendite dell’area sacra15. Le pene per i trasgressori erano
quelle imposte per il sacrilegio. Il secondo è un rilievo votivo tardo-ellenistico con l’iscrizio-
ne dedicataria a Oseivridi muvstei16, raffigurante un uomo ed una donna in piedi ai due lati di
un altare quadrato, sul quale si apprestano a compiere una libagione; la donna tiene in mano
il sistro, l’uomo una patera. Si tratta dell’unica testimonianza di pratiche misteriche legate al
culto degli dei egizi in età greca (maggiori, ma in numero comunque limitato, le testimonian-
ze per l’età romana)17.
Culto
Le dediche testimoniano che il culto era tributato non solo a Serapide, ma a tutte le princi-
pali divinità del ciclo osirideo (Serapide, Iside, Anoubis, Harpokrates, Horus, Apollo, Osiride;
ma vi sono anche generiche menzioni ai theoi sunnaoi/symbomoi e entemenioi). Iside rivestiva
forse un ruolo predominante (figura infatti sulla maggior parte delle dediche tra III e I sec.
a.C.), ma non è certo la prima ad essere venerata: le dediche più antiche sono rivolte sia a lei che
a Serapide.
Restano a tutt’oggi ignoti il momento e le modalità dell’introduzione del culto a Salonicco.
Le dediche più antiche, donate da greci o macedoni, suggeriscono che non vi fu una promo-
zione da parte di personalità di origine egizia. D’altra parte, il diagramma di Filippo V indica
sia che il sovrano protesse (se non addirittura favorì) il culto, sia che il santuario godeva di una
notevole prosperità economica. I rapporti della casa regnante macedone con le divinità egizie
sono delineati anche da una dedica proveniente da Anfipoli, in cui Filippo V viene venerato a
fianco di Serapide e Iside come synnaos e symbomos (“abitante lo stesso tempio e lo stesso alta-
re”); una simile testimonianza proviene da una dedica rinvenuta a Salonicco da parte di Filippo
e Alessandro (figli di Perseo) in onore del loro padre a Serapide ed Iside18.
12
Makaronas 1940; Tzanavari 2003, pp. 242-243.
13
In ordine cronologico: IG X, II.1, 75 (fine III sec. a.C., a Serapide, Iside, Dioniso); IG X, II.1, 94 (fine III
sec. a.C., a Iside) ; IG X, II.1, 76 (II sec. a.C., a Serapide e forse Iside); IG X, II.1, 77 (II-I sec. a.C., a Serapide, Iside,
Anoubis e theoi sunnaoi); IG X, II.1, 78 (II-I sec. a.C., a Serapide, Iside, Anoubis e theoi sunnaoi); IG X, II.1, 79 (II-I
sec. a.C., a Serapide, Iside, Anoubis); IG X, II.1, 80 (II-I sec. a.C., a Serapide, Iside, Anoubis e theoi sunnaoi); IG X,
II.1, 81 (II-I sec. a.C., a Iside e Arpocrate); IG X, II.1, 82 (II-I sec. a.C., a Serapide e Iside Nike); IG X, II.1, 95 (II-I
sec. a.C., a Iside Tyche); IG X, II.1, 96 (II-I a.C., sec. a Iside Tyche); IG X, II.1, 107 (metà del II sec. a.C., a Osiride);
IG X, II.1, 108 (seconda metà del II sec. a.C., a Osiride).
14
Pelekides 1934, pp. 5-23; Welles in AJA XLII, 1938, pp. 249-251; Vidman 1969, n. 108; Tzavanari 2003, pp.
241, fig. 39, e 243.
15
Pelekides (Pelekides 1934) vede nel decreto una testimonianza delle manovre di Filippo per recuperare risorse
dopo il disastro bellico appena avvenuto; è possibile secondo lui (e secondo Welles: Welles 1938, p. 251, nota 3) che
non si trattasse di una misura particolare per il Serapeion, ma che simili testi fossero apposti anche in altri santuari.
16
Edson 1948, p. 182; IG X, II.1, 107. L’iscrizione viene datata alla metà del II sec. a.C.
17
Cfr. Dunand 1973c, pp. 243-254.
18
Cfr. Tzavanari 2003, p. 244.
Per quanto riguarda l’organizzazione del sacerdozio nel santuario in età ellenistica, le fonti
epigrafiche forniscono solo poche informazioni, limitate a menzioni dei sacerdoti degli dei Egi-
zi nel loro insieme (IG X, II.1, 95), sacerdoti di Serapide e Iside (IG X, II.1, 83), e un sacerdote
di Arpocrate (IG X, II.1, 85) .
Età romana
Il culto delle divinità egizie conosce a Salonicco grande fioritura in età romana. In età
imperiale, i culti egizi si sviluppano considerevolmente in tutta la Macedonia19. La rappresenta-
zione di Serapide e Iside nella scena della pietas Augustorum dell’arco di Galerio a Salonicco è
stata interpretata come indizio della continuità delle relazioni tra gli dei egizi e l’autorità statale
fino all’età imperiale20.
Strutture
Gli scavi hanno messo in luce un
edificio databile per la tecnica edilizia
all’età romana, costituito da vestibolo,
cella e nicchia semicircolare sul lato
nord, davanti alla quale è un alto gradi-
no (fig. III.44). Il tempio romano (8 x
11 m) si trova al di sopra della cripta di
età ellenistica, che probabilmente viene
conservata immutata per tutta la storia
di vita del santuario21. Fig. III.44 - Salonicco, Serapeion, modellino ricostruttivo del
A nord del tempio sono stati in- tempio (da Tzavanari 2003, p. 239, fig. 37).
dividuati un altro edificio di età roma-
na22, un secondo edificio templare largo 5 m23 e una stoa romana24 di fronte alla quale è una fon-
dazione rettangolare di una base di statua o di un altare (fig. III.45). Wild ritiene giustamente
che il santuario fosse più esteso e che il tempio principale non sia stato individuato (i templi
rinvenuti sono tutti di piccole dimensioni)25.
A fianco della scarsissima documentazione di scavo sulle evidenze strutturali del santua-
rio, indicazioni molto significative ci sono offerte dai rinvenimenti epigrafici, che ricordano la
dedica da parte di fedeli di numerose strutture all’interno del santuario: un sekos e bomoi ad
Iside (IG X, II.1, 97; cfr. infra, n. 6), dromoi (IG X, II.1, 118 e IG X, II.1, 111; cfr. infra, nn.
19 e 28), un altare a Osiride (IG X, II.1, 110; cfr. infra, n. 27), un Osireion con peristilio ed un
edificio denominato didymaphorion a Osiride e agli altri dei entemenioi (IG X, II.1, 109; cfr.
infra, n. 2), un naos, un portico, un propylon e alcuni altari in pietra ad Iside di Memphis (IG X,
II.1, 102; cfr. infra, n. 26).
Statue di culto
Nell’area del santuario sono state rinvenute tre teste di divinità ritenute dagli studiosi ap-
partenenti ad altrettante statue di culto collocate nell’area sacra.
19
Sulla diffusione delle divinità egizie in macedonia si vedano Witt 1970 e Tzavanari 2003.
20
Tzavanari 2003, p. 244.
21
Charilambos I. Makaronas, in Makedonikà, I, 1940, pp. 464-465; Tzanavari 2003, pp. 242-243.
22
AA, 41, 1926, p. 430.
23
BCH, XLV, 1921, pp. 540-541.
24
AA, 41, 1926, p. 430.
25
Wild 1984, p. 1825.
26
G. Despinis in Despinis, Stefanidou-Tiveriou, Voutiras 1997, pp. 114-115, n. 85, figg. 217-220.
27
Tipici della capigliatura della dea e delle sue sacerdotesse: cfr. V. Tran Tam Tihn in LIMC V, 1990, pp. 761 ss.
28
Despinis, Stefanidou-Tiveriou, Voutiras 1997, p. 115.
29
Makaronas 1940, p. 465; G. Despinis in Despinis, Stefanidou-Tiveriou, Voutiras 1997, pp. 48-49, n. 27,
figg. 54-57.
Fig. III.46 - Salonicco, Serapeion, Fig. III.47 - Salonicco, testa di Isi- Fig. III.48 - Salonicco, Serapeion,
testa della statua di culto di Iside de forse identificabile con una sta- testa della statua di culto di Sera-
(da Despinis, Stefanidou-Tiveriou, tua di culto della dea (da Despinis, pide (da Despinis, Stefanidou-Ti-
Voutiras 1997, p. 322, nn. 217-218). Stefanidou-Tiveriou, Voutiras veriou, Voutiras 1997, p. 320, nn.
1997, p. 239, n. 54). 213-214).
Descrizione. Il volto, in non ottimo stato di conservazione, presenta una capigliatura di-
visa in due bande da una scriminatura centrale e fermata da una benda; al di sotto, le ciocche
di capelli ricadono all’indietro scolpite solo sommariamente. La testa non possiede elementi
iconografici associabili con certezza alla figura di Iside.
Inquadramento tipologico. Sulla base di confronti con una testa di Apollo al Museo di
Basilea, una testa di Dioniso da Thasos e una testa femminile dall’Artemision di Thasos, la testa
viene datata all’inizio del III sec. a.C.30. L’identificazione con una statua di culto di Iside, rite-
nuta probabile dal Despinis, rimane a nostro avviso incerta.
30
Neumann 1993, pp. 214-218; ad età ellenistica la datava anche il Makaronas al momento della scoperta: Ma-
karonas 1940, p. 465.
31
JHS, 45, 1925, p. 226.
32
G. Despinis in Despinis, Stefanidou-Tiveriou, Voutiras 1997, pp. 113-114.
33
A. Brady in HarvStClPhil, 51, 1940, p. 65; Bergquist 1978, pp. 126-127, 137.
sommità del capo è un incavo rettangolare che accoglieva il tenone dell’alto e massiccio modius
indossato dal dio. Le pupille degli occhi sono rese con incisioni.
Inquadramento tipologico. Tra le rappresentazioni di Serapide presenti nel mondo elleni-
stico-romano (derivate tutte da un unico originale, ovvero la statua di culto del dio del Sera-
peion di Alessandria), la testa di Salonicco appartiene ad un gruppo caratterizzato da quattro o
cinque riccioli della capigliatura ricadenti sulla fronte (“Fransentypus”)34, attualmente perduti;
il tipo è rappresentato da un grande numero di repliche soprattutto in età imperiale (mentre in
età ellenistica sembra prevalere il tipo con capigliatura ad anastole)35.
Cronologia. La testa di Salonicco viene datata ad età antonina (seconda metà del II seco-
lo) sulla base di considerazioni stilistiche e dell’abbondante uso del trapano che ne accentua
l’effetto coloristico36, ma viene considerata una realizzazione di modesta qualità soprattutto se
confrontata con la testa della statua di culto di Iside.
Iscrizioni
Le numerose iscrizioni di età romana rinvenute nel Serapeion sono pubblicate nel X vo-
lume delle Inscriptiones Graecae. Tra esse, 36 nominano gli Dei Egizi, e tutte tranne 5 si riferi-
scono implicitamente o espressamente ad Iside; il nome di Serapide si trova in 17, Osiride in 5,
Anubis in 4, Harpokrates in 237.
Salonicco 1 “dado” di marmo Si tratta di una composizione del poeta IG X, II.1, 108 fine del II sec.
bianco (0,015 x 0,017 x Damaios che narra episodi del culto a.C.
0,017 m) di Osiride, come lo smembramento
del corpo del dio dopo la sua morte e i
vagabondaggi di Iside nel tentativo di
recuperare le parti del corpo e riattac-
carle (è un tema molto popolare, che
formava forse il nucleo centrale delle
feste in onore di Osiride38).
Il testo menziona anche una barca
rituale che doveva servire al trasporto
delle statue divine in una cerimonia sa-
cra. Si tratta di un’indicazione impor-
tante in riferimento alla liturgia egizia,
di ampia portata simbolica, come di-
mostra l’allusione al viaggio di Osiride
attraverso l’oceano celeste. Dunand vi
legge un’allusione alla festa di Choiak,
che celebra la ricerca di Iside e l’inven-
zione di Osiride39; altri (Merkelbach40)
sostengono che il poeta si riferisca in-
vece alla festa del Navigium Isidis41.
34
Hornbostel 1973, pp. 207-295.
35
Per una dettagliata analisi del tipo con numerosi esempi si veda Bergquist 1978.
36
Hornbostel 1973, p. 219; Bergquist 1978, p. 100; Despinis, Stefanidou-Tiveriou, Voutiras 1997, p. 114.
37
Witt 1970, p. 331.
38
Edson 1948, p. 182.
39
Dunand 1973b, pp. 54, 58.
40
Merkelbach 1973.
41
Cfr. Apul., Met., XI.
Salonicco 2 lastra di marmo (0,41 x Il sacerdote P. Salarios Pamphilos (pre- IG X, II.1, 109 39-38 a.C.?
0,79 x 0,12 m) sente anche nelle iscrizioni Salonicco
3 e 4) consacra a Osiride e agli altri dei
entemenioi un Osireion con peristilio
ed un edificio denominato didyma-
phorion (probabilmente una semplice
cappella)42.
Salonicco 3 lastra di marmo bianco Dedica di un hydreon ad Iside e agli IG X, II.1, 83 37-36 a.C. (?)
(0,25 x 0,41 x 0,11 m) altri dèi del santuario da parte di P. Sa-
larios Pamphilos, sacerdote di Serapide
ed Iside, e di suo figlio Manios Sala-
rios. L’hydreon (hydreion) menzionato,
probabilmente un recipiente o un ser-
batoio, è con ogni probabilità destinato
a contenere l’acqua del Nilo impiegata
nel culto43.
Salonicco 4 altare circolare di mar- Dedica agli dei del santuario da parte IG X, II.1, 84 35 a.C. ca.
mo (diam. 0,45 m), con di P. Salarios Pamphilos e di Manios
kymation sopra e sotto, Salarios.
decorato da 4 protomi
di ariete tra le quali
sono ghirlande di olivo
Salonicco 5 stesso supporto della Dedica da parte del sacerdote C. Fulvi- IG X, II.1, 103 II sec. d.C.
precedente nius Verus di un altare ad Iside Orgia.
Salonicco 6 lastra di marmo (0,29 x Dedica di un tempio e di altari ad Iside IG X, II.1, 97 23-22 a.C.
0,34 x 0,06 m) Lochia da parte di Iulia Kleoneike so-
rella di Filodemo, durante il sacerdozio
di Diogene figlio di Lisimaco.
Salonicco 7 stele in marmo (0,26 x Dedica di M. Herennios Philonikos, IG X, II.1, 113 23-22 a.C.
0,12 x 0,08 m) effettuata durante il sacerdozio di Dio-
gene figlio di Lisimaco.
Salonicco 8 lastra in marmo (0,44 x Dedica a Serapide, Iside, Horos, IG X, II.1, 85 15-14 a.C.
0,65 x 0,08 m) Apollo, Arpocrate e agli altri dei del
santuario da parte di Menoitas figlio di
Dioscuride, sacerdote di Arpocrate.
Salonicco 9 frammento di marmo Dedica mutila agli dei del santuario. IG X, II.1, 116 I sec. a.C
bianco (0,11 x 0,12 x
0,03 m)
Salonicco 10 frammento di lastra in Dedica molto mutila. IG X, II.1, 122 I sec. a.C.
marmo (0,12 x 0,12 x
0,05 m)
Salonicco 11 lastra di marmo (0,28 x Dedica mutila a Serapide e Iside, con IG X, II.1, 86 I sec. a.C. - I
0,4 x 0,04 m) indicazione del politarchos (Menede- sec. d.C.
mos).
Salonicco 12 piccola lastra in marmo Dedica a Iside Tyche da parte di Par- IG X, II.1, 99 I sec. a.C. -
(0,17 x 0,26 x 0,08 m) menione figlio di Dionisios, su indica- I sec. d.C.
zione avuta in sogno.
Salonicco 13 piccola lastra di marmo Dedica di M. Agelleios a Iside Epe IG X, II.1, 98 I sec. a.C. -
(0,36 x 0,23 x 0,05 m) koos. I sec. d.C.
con rilievo di orecchio
destro
42
Cfr. Dunand 1973b, p. 55.
43
Dunand 1973b, p. 54.
Salonicco 14 stele di marmo (0,30 x Dedica di P. Popillios Eros a Iside, Se- IG X, II.1, 87 I sec. d.C.
0,23 x 0,15 m) con al- rapide e Arpocrate.
cuni fori nella parte su-
periore, per applicarvi
qualcosa
Salonicco 15 piccolo altare di marmo Dedica di Policleto per i figli a Iside, IG X, II.1, 88 I sec. d.C.
(0,20 x 0,16 x 0,20 m) Serapide e agli dei del santuario su in-
dicazione avuta in sogno.
Salonicco 16 lastra di marmo bianco Receptio Dei Sarapidis in Opuntem. Si IG X, II.1, I sec. d.C.
(0,32 x 0,41 x 0,01 m) tratta probabilmente della trascrizione 255;
di un testo più antico (III sec. a.C.?). Dunant 1973,
Il testo presenta una sorta di “resocon- pp. 42-44
to di fondazione” (analogo ad altri rin-
venuti a Delo e ad Eretria44) di un san-
tuario di Serapide a Opunte, conserva-
to nell’archivio del santuario maggiore
di Salonicco. Il protagonista è un abi-
tante di Opunte, Xenainetos, inviato a
Salonicco (probabilmente al Serapeion)
dove riceve per due volte in sogno la
visita di Serapide. Il dio gli trasmette
un ordine da riferire al suo ritorno al
suo concittadino Eurynomos: di “ri-
cevere” a Opunte il dio e “sua sorella
Iside”. Perplesso, poiché Eurynomos è
uno dei suoi avversari politici, Xenai-
netos riporta il messaggio, che sortisce
immediato effetto: Serapide ed Iside
vengono accolti ad Opunte, in casa di
Sosinika (in attesa della costruzione di
un santuario). Le ultime righe, lacuno-
se, fanno riferimento a sacrifici dedicati
da Sosinika in onore degli dei e a dei
miracoli compiuti dalle due divinità in
favore della città.
Salonicco 17 lastra di marmo bianco Iscrizione mutila riportante i nomi del IG X, II.1, 115 I-II sec. d.C.
(0,24 x 0,35 x 0,11 m), sacerdote (Neikios figlio di Anteros) e
frammentaria, forse dell’archineokoros (Amynandros figlio
con impronta di uno o di Democrate).
due piedi
Salonicco 18 frammento di marmo Dedica molto mutila agli dèi del san- IG X, II.1, 117 I-II sec. d.C.
(0,19 x 0,2 x 0,07 m) tuario.
Salonicco 19 frammento di lastra di Dedica mutila a ricordo della costru- IG X, II.1, 118 I-II sec. d.C.
marmo bianco (0,22 x zione di un dromos a spese dell’ignoto
0,16 x 0,03 m) dedicante.
Salonicco 20 frammento di lastra di Dedica molto mutila. IG X, II.1, 119 I-II sec. d.C.
marmo bianco (0,11 x
0,12 x 0,03 m) con rilie-
vo di orecchio sinistro
Salonicco 21 frammento di marmo Dedica molto mutila a Serapide. IG X, II.1, 123 I-II sec. d.C.
(0,20 x 0,25 x 0,09 m)
44
Cfr. Dunand 1973b, pp. 25, 42.
Salonicco 22 frammento di marmo Frammento di aretalogia di Iside. Pelekides I-II sec. d.C.
(0,19 x 0,14 x 0,04 m) L’inno, lacunoso, contiene tutti i temi 1934, pp. 4-5;
tipici dell’aretalogia isiaca: la scoperta IG X, II.1, 254
dei frutti della terra, la separazione di
cielo e terra, la scoperta dei viaggi per
mare, la nascita della giustizia, l’accop-
piamento dei due sessi per la continuità
della specie umana, gli interventi posi-
tivi della dea nelle relazioni tra genitori
e figli, la creazione dei contratti di ma-
trimonio, il suo aiuto nei casi di parto
difficile, l’abolizione finale di canniba-
lismo, omicidi e tirannide, la creazione
di santuari e statue degli dei, l’insegna-
mento delle pratiche iniziatorie, l’isti-
tuzione di verità e giustizia. Si tratta di
un testo rinvenuto anche nell’Hephai-
steion di Memphis, nel santuario isiaco
di Kyme e a Ios, probabilmente diffuso
in tutti i maggiori santuari egizi45.
Salonicco 23 lastra di marmo bianco Dedica di Cecilia Polla46 a Serapide e IG X, II.1, 89; II sec. d.C.
(0,48 x 0,44 x 0,11 m) Iside su ordine divino. Vidman 1969,
con impronte di due n. 111a
piedi
Salonicco 24 piccola lastra in mar- Dedica a Iside da parte di Fuficia. IG X, II.1, 100 II sec. d.C.
mo (0,26 x 0,28 x 0,04
m) con rilievo di due
orecchie
Salonicco 25 lastra di marmo bianco Dedica a Iside Epekoos da parte di IG X, II.1, 101 II d.C.
(0,21 x 0,20 x 0,09 m), Polla Avia.
con due cavità ret-
tangolari in cui erano
applicate orecchie in
metallo
Salonicco 26 lastra in marmo bianco Il testo ricorda che Flavia Phila47 co- IG X, II.1, 102 II sec. d.C.
(0,73 x 0,67 x 0,07 m) struì a sue spese il naos, il portico, il
propylon e alcuni altari in pietra ad Isi-
de di Memphis (si tratta secondo Du-
nand di un edificio a parte all’interno
del recinto del Serapeion: cfr. Dunand
1973a, II, 182).
Salonicco 27 altare in marmo bianco Dedica di un altare a Osiride da parte IG X, II.1, 110 II sec. d.C.
(1,03 x 0,50 x 0,31 m) di Petronia Ocelliane, durante il sacer-
dozio di Iulius Euodus.
Salonicco 28 frammento di lastra in L’iscrizione menziona un dromos in IG X, II.1, 111 II sec. d.C.
marmo bianco (0,35 x dono a Osiride, forse relativo all’Osi-
0,34 x 0,03 m) reion costruito nel I sec. a.C. (cfr. IG
X, II, 1, 109; n. 2).
45
Dunand 1973b, pp. 188-190; Tzavanari 2003, p. 248.
46
Il nome Polla Caecilia Spuri compare in un’iscrizione funeraria di Roma di epoca repubblicana, tra altri nomi
di liberti o figli di liberti della gens Caecilia, uno dei quali è sac(erdos) Isid(is) Capitoli(nae): CIL, I2, 1263; Manga-
naro 1964, p. 292.
47
Phila è un nome macedone: cfr. Dunand 1973b, p. 182, nota 3.
Salonicco 29 lastra in marmo (0,22 x Dedica di orecchini d’oro con gemme IG X, II.1, 114 II sec. d.C.
0,30 x 0,05 m) (per la statua della dea) da parte di Q.
Annios Sekoundos, la moglie Phloria
Areskousa e il figlio Vero, con indica-
zione del sacerdote e dell’archineoko-
ros.
Salonicco 30 stele di marmo (0,89 x Dedica ad A. Papios Cheilon da parte IG X, II.1, 58; II sec. d.C.
0,25 x 0,01 m) con ri- di un’associazione privata del culto di Vidman 1969,
lievo del dio Anoubis Anoubis. I membri dell’associazione n. 109
stante, con la stola e avevano il compito di portare le sup-
la testa di cane rivolta pellettili sacre al dio durante la proces-
a sinistra. Rinvenuta sione (hieraphoroi48) e consumavano
nel 1932 nella periferia pasti comuni (synklitai).
di Salonicco (Eliadis),
a circa 1 km dal Sera-
peion
Salonicco 31 lastra rettangolare di Dedica a Dioniso da parte di Ankis. IG X, II.1, 59 II sec. d.C.
marmo (0,28 x 0,21 x
0,04 m) con rilievo rap-
presentante sopra una
ghirlanda di vite e uva,
sotto due orecchie
Salonicco 32 statua di marmo bianco Dedica ad Afrodite Omonoia da parte IG X, II.1, 61 182-183 d.C.
su base semicircolare del sacerdote Pontianos, nell’anno
iscritta. La dea, vestita 182-183 d.C. La statua e le prime due
con chitone e himation, righe dell’iscrizione sono più antiche
teneva nella mano si- (di età ellenistica o prima età imperiale)
nistra una cornucopia; rispetto alla data, incisa in un secondo
presso il piede destro è momento49.
una statuetta di Eros,
frammentaria
Salonicco 33 lastra di marmo bianco Dedica mutila a Iside e Serapide. IG X, II.1, 90 II-III sec.
(0,41 x 0,35 x 0,06 m) d.C.
con impronta di due
piedi
Salonicco 34 parte di un cratere in Dedica ad Iside e Serapide da parte di IG X, II.1, 91 II-III sec.
marmo P. Pholios Niger su indicazione avuta d.C.
in sogno.
Salonicco 35 quattro frammenti di Dedica ad Iside Tyche da parte di Ke- IG X, II.1, 104 II-III sec.
lastra in marmo (circa rennia Filemation, su ordine divino. d.C.
0,54 x 0,45 m), con
impronte di due piedi
sinistri, uno grande e
l’altro piccolo
Salonicco 36 parte inferiore di lastra Dedica ad Iside Nymphe da parte di IG X, II.1, II-III sec.
di marmo (0,22 x 0,40 x Aemilius Eutychos. 105; Vidman d.C.
0,13 m), con impronte 1969, n. 111d
di due piedi
48
Il termine ricorre anche altrove nel culto degli Dei Egizi: cfr. Vidman 1969, nn. 52 (da Tebe), 62 (da Cheronea),
254 (da Samo-Vathy), 313 (da Pergamo).
49
Una moneta emessa da Salonicco poco dopo la battaglia di Filippi porta al rovescio una testa femminile diade-
mata e la legenda OMONOIA (Head 1963, p. 113, n. 43). Si ipotizza che la statua sia stata originariamente dedicata
nel Serapeion in occasione della concessione della libertà a Salonicco da parte di Antonio (cfr. IG X, II.1, 6).
Salonicco 37 grande base di marmo Dedica a Giove Ammone da parte di IG X, II.1, 112 II-III sec. d.C
bianco (0,33 x 0,33 x un dedicante il cui nome non è rico-
0,22 m); nella parte su- struibile.
periore sono due piedi
di statua e a destra un
clipeo ornato con un
rilievo rappresentante
un giovane nudo e al
di sotto un uomo nudo
coricato, che si tocca il
mento con entrambe le
mani.
Salonicco 38 frammento di lastra di Dedica molto mutila a Iside. IG X, II.1, 106 II-III sec.
marmo (0,11 x 0,12 x d.C.
0,04 m)
Salonicco 39 lastra di marmo (0,23 x Dedica di Venetia Prima su ordine IG X, II.1, II-III sec.
0,27 x 0,07 m) con im- divino. 120; Vidman d.C.
pronte di due piedi 1969, n. 111b
Salonicco 40 parte superiore di una Dedica di Domitia Phyllis su indica- IG X, II.1, 121 II-III sec.
lastra di marmo (0,14 x zione avuta in sogno. d.C.
0,23 x 0,06 m) con trac-
ce di un rilievo
Salonicco 41 parte inferiore di una Dedica a Iside e Serapide su ordine IG X, II.1, 92 I-III sec. d.C.
stele di marmo (0,17 x divino.
0,12 x 0,07 m)
Salonicco 42 frammento di marmo Dedica mutila a Iside e Serapide. IG X, II.1, 93 I-III sec. d.C.
(0,18 x 0,23 x 0,75 m)
Salonicco 43 base di marmo bianco Dedica a quattro personaggi, di cui due IG X, II.1, III sec. d.C.
(0,22 x 0,50 x 0,42 m). (Pomponius Elenos e Kassios) prosta- 220;
Provenienza ignota tes di un’associazione legata al culto Vidman 1969,
(forse dalle mura orien- di Hermanoubis, offerta quando era n. 110
tali della città?) archineokoros M. Aurelios Ioustos.
Salonicco 44 altare di marmo (1,46 Dedica da parte dei fedeli di Serapide al IG X, II.1, ante metà III
x 0,63 x 0,65 m) rin- Macedoniarca P. Aelius Nicanore, per 192; sec. d.C.
venuto nel 1906 nella delibera del senato e voto favorevole Vidman 1969,
demolizione delle mura del popolo della città. n. 111
orientali della città
Votivi
Nell’area circostante il Serapeion sono state rinvenute una statuetta di Harpokrates, una
statua di Afrodite Omonoia, una di Afrodite del tipo Fréjus, parte di una statuetta di Atena,
una statua di Ecate, una di Iside o di una sua sacerdotessa, un altare cilindrico50 e una statuetta
in basalto di una sfinge di provenienza egizia51 (figg. III.49-III.55).
I fedeli dedicavano inoltre nel Serapeion ex voto rappresentanti piedi, mani o orecchie
(figg. III.56-III.58), talvolta kat∆ eujch;n o in accordo ad un ordine divino (kat∆ ejpitaghvn)52,
altre volte kat∆ o[nar53. In particolare, rappresentazioni di orecchie (simbolo dell’ascolto che la
50
Tzavanari 2003, p. 248, figg. 42, 43, 44, 45, 46; Despinis, Stefanidou-Tiveriou, Voutiras 1997, pp. 104-105,
figg. 175-181.
51
Databile al I sec. a.C. e rappresentante il dio Tutu, che protegge gli esseri umani dalle insidie demoniache e
dalle malattie (Tzavanari 2003, p. 244, fig. 41). Cfr. anche BCH, 45, 1921, p. 540.
52
Witt 1970, p. 331; IG X, II.1, 89, 92, 104, 120.
53
Tzavanari 2003, pp. 248-249; IG X, II.1, 88, 91, 121.
Fig. III.49 - Salonicco, Sera- Fig. III.50 - Salonicco, Serapeion, sta- Fig. III.51 - Salonicco, Serapeion,
peion, statuetta di Harpokra- tua di Afrodite Omonoia (da Despinis, statua di Afrodite tipo Fréjus (da
tes (da Tzavanari 2003, p. Stefanidou-Tiveriou, Voutiras 1997, p. Despinis, Stefanidou-Tiveriou,
246, fig. 44). 328, fig. 230). Voutiras 1997, p. 301, fig. 175).
Culto
Lo straordinario corpus epigrafico rinvenuto nell’area
del santuario rende possibili alcune considerazioni sulle
caratteristiche del culto degli Dei Egizi a Salonicco in
età romana. La divinità dominante del santuario doveva
essere Iside55, venerata con gli epiteti Thyche (IG X, II.1,
99 = supra, n. 12; IG X, II.1, 104 = supra, n. 35), Lochia
(IG X, II.1, 97 = supra, n. 6), Epekoos (“incline a dare
ascolto”, IG X, II.1, 98 = supra, n. 13 e IG X, II.1, 101 =
supra, n. 25), Orgia (IG X, II.1, 103 = supra, n. 5). Si trat- Fig. III.55 - Salonicco, Serapeion, sfinge in
ta non a caso di epiteti comunemente attribuiti ad Arte- basalto (da Despinis, Stefanidou-Tiveriou,
Voutiras 1997, p. 275, figg. 127-128).
mide, che suggeriscono un’assimilazione tra le due dee56.
In particolare, come Thyche la dea viene rappresentata
sulle monete, ed è dunque la divinità che protegge la cit-
tà; come Epekoos e Euergetis (IG X, II.1, 90 = supra,
n. 33) protegge soprattutto donne e bambini; in dediche
di età imperiale è chiamata Nymphe (IG X, II.1, 105),
probabilmente come moglie di Osiride.
Per quanto riguarda i rituali celebrati nel santua-
rio, si può supporre che ci fosse un servizio giornalie-
ro e feste che commemoravano gli episodi del mito di
Osiride57; probabilmente si celebravano performances
simili a quelle attestate in altri santuari alle divinità egi-
zie, durante le quali si adornava, profumava, pettinava e
abbigliava la statua di culto, si portavano in processione
sacri oggetti (hierophoria e kanephoria), si praticava la
oneiromanzia. L’iscrizione IG X, II.1, 108 (= supra, n. 1)
Fig. III.56 - Salonicco, Serapeion, lastra di
ricorda inoltre l’esistenza di una barca sacra usata per marmo con impronta di due piedi dedicata
trasportare le statue divine in processione fuori città, una da Cecilia Polla (da Despinis, Stefanidou-
pratica attestata anche in altri santuari egizi. Il numero Tiveriou, Voutiras 1997, p. 276, fig. 130).
nelle dediche di formule kat∆ejpitaghvn, kat∆o[nar indica
inoltre che nel santuario avevano luogo pratiche oracolari che prevedevano l’incubatio.
Le iscrizioni forniscono inoltre qualche dato sull’organizzazione del sacerdozio in età
romana. Il sacerdote, il cui uffizio veniva rinnovato annualmente, era assistito da un archine-
okoros, che era a capo del personale del culto; vi erano sicuramente anche altri sacerdoti, e, a
giudicare dalla menzione di sogni inviati dagli dei ai fedeli (IG X, II.1, 99 = supra, n. 12), anche
un oneirokrites per interpretarli58.
54
Cfr. Tzavanari 2003, p. 250, fig. 48. Lo stesso tipo di ex voto si trova nel santuario di Iside a Dion.
55
Su 44 iscrizioni, 11 sono dedicate alla sola Iside, 8 ad Iside in coppia con Serapide, 4 a Osiris, 1 a Serapide, 3
agli theoi entemenioi, 2 a Iside, Serapide e Arpocrate, 1 a Zeus Ammon. Il culto di Arpocrate sembra essere in declino
rispetto all’età ellenistica.
56
Si veda per confronto il passaggio dal culto di Artemide a quello di Iside a Dion.
57
Tzavanari 2003, p. 243. Cfr. IG X, II.1, 108.
58
Tzavanari 2003, p. 249.
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d’Isis en Grèce, Leiden, pp. 52-71 e 181-190.
59
Tzavanari 2003, p. 249.
60
Tzavanari 2003, p. 248.
61
Cfr. L. Robert in RPh, 48, 1974, p. 198; Tzavanari 2003, p. 191, fig. 10. La statua, di marmo, rappresenta la dea
vestita con chitone e himation, con una cornucopia nella mano sinistra e un Eros presso il piede destro.
62
BCH, 45, 1921, p. 540 e Tzavanari 2003, pp. 191 e 189, fig. 9. La dea è rappresentata stante, con chitone lungo,
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63
Tasia, Lola, Peltekis 2000.
effettuato in seguito alla demolizione di un vecchio fabbricato. Dalla stessa zona provengono
delle statue di Ottaviano Augusto, di Claudio, di Adriano, di un togato e della Dea Roma rin-
venute casualmente negli anni ’30 e ’5064; inoltre numerosi elementi architettonici in stile ionico,
attualmente esposti al Museo Archeologico di Salonicco65, furono rinvenuti nei pressi nella
stessa area negli anni Trenta. Già prima degli scavi del 2000 era stata avanzata l’ipotesi che i resti
architettonici provenissero da un edificio arcaico trasferito in età romana nel centro urbano da
una località non identificata (forse Aineia) fuori dalla città66; i dati di scavo hanno in seguito
confermato questa tesi, dimostrando che il tempio fu costruito nella prima età imperiale (I sec.
d.C.) in parte riutilizzando elementi architettonici appartenenti a due distinti naoi arcaici, in
parte con materiale edilizio “nuovo”, appositamente realizzato per il nuovo edificio67.
Il tempio è stato scavato solo parzialmente per i vincoli imposti dall’edilizia moderna:
parte del lato sud-occidentale e l’intera porzione nord-occidentale dell’edificio non sono stati
portati alla luce e si trovano al di sotto di via Karaoli-Dimitriou e di piazza Andigonidon. Al
Museo di Salonicco è stata allestita una efficace presentazione delle strutture e della decorazione
dell’edificio68.
Strutture
Il tempio fu realizzato integrando parte della decorazione architettonica di due distinti
edifici di età arcaica (fine del VI-inizi del V sec. a.C.) con elementi strutturali e decorativi di
età romana69. Del dettaglio, si è potuta stabilire l’appartenenza alla prima età imperiale delle
fondazioni dell’edificio, in pietre non lavorate immerse in malta di calce; al di sopra, lo stilobate
risale ad epoca arcaica, mentre i gradini della crepidine e la lastricatura in marmo di scarsa qua-
lità sono di età romana. I frammenti della decorazione architettonica trovati nelle fondamenta
dell’edificio moderno costruito sopra parte del tempio e gli elementi architettonici rinvenuti
nell’area negli anni Trenta sono riferibili, come accennato, a due distinti naoi arcaici: vi sono, ad
esempio, due diversi tipi di base di colonna (di tipo samio, con una sola scozia, priva di scanala-
ture e con doppio astragalo al di sotto e al di sopra, e di tipo efesio, con doppia scozia e tre serie
di doppi astragali), e capitelli ionici di due diverse fogge. A completamento della decorazione
dell’edificio, inoltre, furono realizzate ex novo alcune parti del geison con ovoli ionici imitanti
i frammenti originali di età arcaica. Tutto il marmo impiegato nel tempio proviene dall’isola di
Thasos.
Lo studio architettonico ha permesso di ricostruire l’edificio come un monumentale tem-
pio periptero con pronaos distilo in antis (fig. III.59); l’esistenza di un’opistodomos rimane
incerta, poiché la parte occidentale del tempio non è stata portata alla luce. La lunghezza con-
servata è di 16,80 m, la larghezza di 13,35 m, la larghezza della cella di 8,30 m. Sulla fronte sono
6 colonne (fig. III.60), la cui altezza totale doveva essere di 7 m; l’ingresso è situato sul lato sud-
64
Vocotopoulou 1995, 1065 (Ottaviano-Augusto), 2467-2468 (Claudio-Tiberio), 1527/9 (Adriano), 1528 (to-
gato), 1526 (Roma).
65
Grammenos, Knithakis 1994, pp. 1-29.
66
Cfr. Bakalakis 1983, p. 34; Tiverios 1998; Voutyras 1999.
67
Prima degli scavi del 2000, il ritrovamento di elementi architettonici di un tempio arcaico in questa zona della
città aveva fatto avanzare l’ipotesi che si dovesse cercare nel sito della stessa Salonicco l’antica città di Thermai, che
le fonti (Liv., XLIV, 10; Pl., N.H., IV, 36; Strab. VII, 330; Procopio, Aed., IV, 4, 3 [B 279]) ricordano come nucleo
urbano principale del golfo termaico e preesistente alla fondazione di Salonicco da parte di Cassandro, e sulla cui
ubicazione si è a lungo dibattuto (cfr. Vickers 1981, Tiverios 1990, Christianopulos 1991, pp. 23-37, Vocotopou-
lou 1997). Le altre ipotesi sull’ubicazione della città vertono sulla località Toumba, l’area di Sedes e l’insediamento
di Karabournaki (quest’ultima è la proposta oggi più accreditata).
68
Karadedos 2006b.
69
La descrizione nel dettaglio della struttura del tempio è in Karadedos 2006a.
orientale, dove si trovava una porta marmorea con raffinata decorazione a kymation ionico e le-
sbio. Dell’epistilio restano frammenti del geison e della sima con grondaie a testa di leone interval-
late da antemi; non è possibile stabilire se vi fosse un fregio decorato, cui potrebbe ipoteticamente
appartenere una piccola testa di giovane databile all’inizio del V sec. a.C. rinvenuta nell’area.
Il tempio fu probabilmente costruito nella prima età imperiale (I sec. d.C.); la datazione si
basa sull’analisi delle lettere alfabetiche incise al momento della costruzione sui blocchi dello
stilobate, sulle basi di colonne e su vari altri elementi architettonici. Gli interventi edilizi di età
moderna per la costruzione degli edifici soprastanti hanno completamente intaccato i livelli
antichi, sicché non è possibile una datazione più precisa dell’edificio su base stratigrafica.
Statuaria
Nell’area del tempio “tardo arcaico” (trasferito e ricostruito nella prima età imperiale) fu-
rono rinvenute casualmente negli anni ’30 e ’50 del secolo scorso una statua di Augusto70 e una
70
Vocotopoulou 1995, 1065; Allamani-Souri 2003c, p. 115 e fig. 37.
71
Vocotopoulou 1995, 2467-2468; Allamani-Souri 2003c, p. 116 e fig. 40; G. Despinis in Despinis, Stefani-
dou-Tiveriou, Voutiras 2003, pp. 113-116.
72
Vocotopoulou 1995, 1527/9 (Adriano), 1526 (Roma); Allamani-Souri 2003c, pp. 116-117, 260, figg. 41,
51.
73
Tasia, Lola, Peltekis 2000, p. 230, figg. 4, 5; Tzavanari 2003, p. 199.
74
Tasia, Lola, Peltekis 2000, pp. 234-235, fig. 19.
75
G. Despinis in Despinis, Stefanidou-Tiveriou, Voutiras 2003, p. 108.
76
G. Despinis in Despinis, Stefanidou-Tiveriou, Voutiras 2003, p. 108; ma la Claridge reputa invece marmo
pentelico quello impiegato nella testa e marmo locale quello del resto del corpo (Claridge 1988, p. 146). L’impiego
di due marmi differenti potrebbe derivare da un restauro (antico) della statua (Despinis, Stefanidou-Tiveriou, Vou-
tiras 2003, p. 111; Claridge 1988, p. 146).
77
Sull’ “Hüftmanteltypus” v. West 1933, pp. 149 e ss.; sulla testa Goette 1988, p. 257, e Despinis, Stefanidou-
Tiveriou, Voutiras 2003, pp. 111-112.
78
Despinis, Stefanidou-Tiveriou, Voutiras 2003, p. 112.
79
G. Despinis in Despinis, Stefanidou-Tiveriou, Voutiras 2003, p. 113.
80
Si tratta di un supporto tipico della statuaria della prima metà del I sec. d.C.: Muthmann 1951, pp. 110, 211.
81
Sul significato della corona civica, attributo di Giove, nell’iconografia imperiale si vedano Alföldi 1970, pp.
128-130, 137-140, 228-235, e Pollini 1990, p. 338.
82
D. Kreikenbom in Bol 1999, p. 348, nota 45.
83
Museo di Olimpia L125; Hiztl 1991, figg. 8-13.
84
G. Bakalakis in AA 1973, p. 677; Maderna 1988, p. 53.
85
Despinis, Stefanidou-Tiveriou, Voutiras 2003, p. 115.
86
Tasia, Lola, Peltekis 2000, pp. 234-235, fig. 19.
87
Cadario 2004, pp. 328-341.
88
Koch 1992, p. 323, taf. 74, 2; Despinis, Stefanidou-Tiveriou, Voutiras 2003, p. 144.
89
La decorazione a Nereidi e Ippogrifi è infatti di un motivo particolarmente amato in età neroniana: cfr. Cada-
rio 2004, pp. 182, 328-341; Lo Monaco 2008, p. 49.
90
Th. Stefanidos-Tiveriou in Despinis, Stefanidou-Tiveriou, Voutiras 2003, pp. 140-146, figg. 776-780.
sono una testa giovanile con leonte sotto la spalla destra, le protomi leonine sulla fila superiore
delle pteryges e le palmette scolpite sulle pteryges inferiori. Il peso della figura era sostenuto
dalla gamba sinistra, mentre la destra è scartata di lato; la testa, benché mancante, doveva essere
rivolta verso sinistra. La mano sinistra, al di sotto del polso che regge il paludamentum, poggia-
va sull’impugnatura di una spada; il braccio destro doveva essere sollevato e appoggiato forse
alla lancia.
Inquadramento tipologico. La statua loricata presenta lo stesso schema del torso corazzato
di Butrinto di Sosikles91, con la gamba sinistra portante e il paludamentum retto dal braccio
sinistro, documentato in diversi altri esemplari92. La decorazione della corazza, evidentemente
collegata all’ideologia dell’imperator vittorioso, richiama le statue di Adriano da Hierapytna e
Gortina93. Si tratta di un motivo comune tra le più antiche statue loricate romane con corazze
anatomiche decorate, risalenti all’età augustea94; lo stesso modello di lorica – quella “classicisti-
ca”, con la caratteristica doppia fila di pteryges a linguetta – venne ripreso in età augustea dal re-
pertorio classico documentato ad esempio dalle stele funerarie attiche95. Il modello viene quindi
recuperato programmaticamente da Adriano per simboleggiare la pacificazione dell’impero da
lui operata, sottolineata ulteriormente dalla figura del prigioniero vinto ai suoi piedi (che invece
non compare nella statuaria prima dell’età flavia)96.
Cronologia. La datazione della statua e la sua identificazione con Adriano è proposta dagli
studiosi (Vermeule, Vokotopoulou, Bakalakis, Stefanidos-Tiveriou) su base stilistica e tipologica
(decorazione della lorica, presenza del prigioniero inginocchiato)97.
91
Bergemann 1998, p. 133, n. 4.
92
Si vedano ad esempio un loricato da Eraclea Lincestide, uno conservato a Grenoble, uno da Brindisi, uno al
Museo di Patrasso proveniente probabilmente da Dyme: Th. Stefanidou-Tiveriou in Despinis, Stefanidou-Tive-
riou, Voutiras 2003, p. 143, con bibl.
93
Romeo, Portale 1998, pp. 445-451, n. 33, tav. 63; Dulière 1979, pp. 198-209; Stemmer 1978, pp. 110 ss.
94
Cadario 2004, pp. 216-230.
95
Cadario 2004, pp. 13-14.
96
Beschi 1978; Hitzl 1991, p. 60, n. 295; Calandra 1996, pp. 71-72.
97
Despinis, Stefanidou-Tiveriou, Voutiras 2003, p. 144 con bibl. alla nota 47.
98
E. Gounari in Despinis, Stefanidou-Tiveriou, Voutiras 2003, pp. 73-75, figg. 588-591.
99
L. Kahil-N. Icard in LIMC II, pp. 650-651, nn. 337-352; E. Simon in LIMC II, pp. 814-815.
100
Haeberlin 1907, VII. 11; Calza 1926-27, p. 666.
101
Esempi sono documentati a Siviglia, Napoli, Tripoli, Parigi e Segobriga: Vermeule 1959, nn. 78, 67, 66, 72;
Fuchs 1987, p. 189, tav. 77, 3-4.
102
Sull’analogia iconografica tra Roma e Virtus cfr. Vermeule 1959, pp. 65, 105 e ss.; T. Ganschow in LIMC
VIII, pp. 279-281.
103
Raeder 1983, nn. I 77, I 78, I 83, I 90.
104
Tasia, Lola, Peltekis 2000, p. 230, figg. 4-5.
105
Su questo elemento iconografico nell’immagine di Alessandro v. Gebauer 1938-39, K77; Stewart 1993, fig.
83. Sull’impiego dell’egida nell’ideologia imperiale Ensoli 1994, pp. 734 e ss.; Ensoli 1997, p. 163.
106
Cfr. Cook 1964-65, II, p. 1194.
107
Si veda ad esempio il Giove di Cirene, con numerose repliche: Mariani 1922.
108
Petsas 1972; LIMC VIII, p. 351, n. 288.
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109
IG X, II.1, 31 (età augustea); Voutyras 1999, p. 1339, nota 55.
110
Weinstock 1971, p. 404, nota 2, pl. 30, 1-2.
111
Voutyras 1999.
112
Karadedos 2006, pp. 320-321.
Tempio di Dioniso
Il rinvenimento di tre altari con iscrizioni relative al culto di Dioniso nei pressi di Eski Cuma,
la chiesa teodosiana di Panagia Acheiropoietos (situata in Odos Aya Sofias, a breve distanza a nord-
est dalla via Egnatia), ha suggerito che qui sorgesse un tempio del dio113. Al di sotto della chiesa sono
stati portati alla luce un mosaico romano e i resti di un edificio pubblico di età romana.
Salonicco 45 altare in marmo L’iscrizione ricorda che l’altare fu eretto IG X, II.1, 503; 132-133 d.C.
locale (1,53 x 0,78 xin memoria di Apollonios figlio di Arte- Edson 1948, p.
0,61 m) mas, chiamato anche Maximus, tessalo- 162
nicese, da Eutychos figlio di Maximus,
Secunda e dai fedeli. Apollonius fu ydro-
skopos114 e sacerdote di Dioniso, ricoprì
altre cariche e visse 57 anni.
Salonicco 46 altare funerario di Dedica di Artemin moglie di Marcus, IG X, II.1, 506; 209-210 d.C.
marmo locale (1,20 x Isidorus figlio di Isidorus, e Iunia figlia Edson 1948, p.
0,58 x 0,55 m) di Isidorus in ricordo di Isidorus, figlio 159
di Sabinus, loro padre, che visse bene e fu
membro della boule e sacerdote dei thiasoi
di Dioniso, a loro spese.
Salonicco 47 altare di marmo Testamento di Eufrosyne figlia di Dioskos, IG X, II.1, 260; III sec. d.C.
(1,53 x 0,60 x 0,58 sacerdotessa di Dioniso. Nel testo la donna, Edson 1948, p.
m). Sulla fronte è nominata come sacerdotessa Evia di [Dioni- 167
un rilievo rappre- so] Prinophoros115, dichiara di lasciare per la
sentante una donna perpetuazione della sua memoria due iugeri
stante con lunga di vigne con i suoi fossati di irrigazione, af-
tunica finché siano bruciati per lei (come sacrificio
funebre) non meno di 5 denari (all’anno?).
I mystai dovranno portare ciascuno, bam-
bini e adulti, una corona di rose116. Chi
non la porta non parteciperà del suo dono.
Se non lo faranno, il dono sarà devoluto
al tiaso dei Dryoforoi, soggetto alle stesse
condizioni; se nemmeno l’altro tiaso lo
farà, il dono andrà alla città.
113
Edson 1948, pp. 178-181.
114
Si tratta di una particolare funzione di divinazione effettuata tramite l’osservazione dell’acqua (Edson 1948,
pp. 162-164).
115
Eujeiva è il femminile di Eu[io", epiteto di Dioniso; Prinofovro" è pure epiteto di Dioniso (Edson 1948, p. 168).
116
Sull’offerta di rose come sacrificio funebre (ben documentata in Macedonia e in particolare a Filippi) si veda-
no Pedrizet 1900 e Collart 1931: si tratta forse della celebrazione della festa latina dei Rosalia associata ad un rito
funerario proveniente dall’Asia Minore.
Bibliografia
Collart P. 1931, Parakauvsousin moi rJovdoi", in BCH, 55, pp. 58-69.
Edson Ch. 1948, Cults of Thessalonica, in HarvTheolR, XLI, pp. 153-204.
Pedrizet P. 1900, Inscriptions de Philippes. Les Rosalies, in BCH, 1900, pp. 299-323.
3.2 Lete
Una dozzina di km a nord di Salonicco, presso il villaggio di Lete, si trova un santuario
di Demetra, individuato (e ancora non scavato) durante la costruzione della strada Salonicco-
Xanthi grazie al ritrovamento di statue, elementi architettonici e frammenti ceramici che ne
indicano la frequentazione in età classica ed ellenistica117. Non sono state rinvenute allo stato
attuale delle ricerche tracce di frequentazione del santuario in età romana.
3.4 Morrylos
La città di Morrylos, citata nella lista delfica dei theorodokoi119, da Plinio120 e Tolomeo121, è stata
localizzata presso il moderno villaggio di Ano Apostoloi grazie a numerosi rinvenimenti122. Il centro
urbano fu fondato da Filippo II in una posizione strategica, lungo l’asse stradale nord-sud che col-
legava il golfo Termaico con le regioni settentrionali (Parorbelia, Peonia); esso rimase anche dopo la
conquista romana un grosso borgo a vocazione agricola, dotato di boule e politarchi123.
Santuario di Asclepio
Su base epigrafica è nota l’esistenza in città di un santuario di Asclepio (non ancora indivi-
duato sul terreno) attivo almeno dall’età ellenistica: esso è infatti nominato in due decreti della
117
Petsas 1975a; Hatzopoulos 1994, pp. 41-53 e 123-127. Una delle statue rinvenute nel santuario potrebbe
essere datata al tardo II sec. a.C. (Despinis, Stefanidou-Tiveriou, Voutiras 1997, pp. 55-56, n. 36, fig. 60); si tratta
dell’evidenza più tarda trovata nel sito.
118
Lioutas, Kotsos 2001. Gli scavatori ipotizzano la frequentazione del santuario fino al IV sec. d.C. sulla base
del rinvenimento in superficie di 4 monete di età romana (1 di I sec. d.C., 1 di II sec. d.C. e 2 di IV secolo). L’ipotesi
non ci pare condivisibile; si considera qui la frequentazione del santuario sulla base degli oggetti rinvenuti all’interno
della fossa sacrificale.
119
BCH, 45, 1921, p. 18, ll. 80-87.
120
Pl. IV, 35.
121
Ptol. III, 12. 35.
122
Hatzopoulos, Loukopoulou 1989, pp. 77-79.
123
Hatzopoulos, Loukopoulou 1989, p. 78.
prima metà del II sec. a.C. (che dovevano essere esposti all’interno
del temenos)124 e forse in una lastra votiva databile al IV sec. a.C.125.
L’importanza del santuario è documentata inoltre dai rinvenimenti
statuari, risalenti a recuperi occasionali effettuati negli anni Trenta
del secolo scorso nell’area della città antica126. Si tratta di due teste
colossali in marmo, l’una maschile barbata e l’altra femminile (ri-
tenute appartenenti alle statue di culto di Asclepio e Hygeia), due
statue di minori dimensioni acefale del dio, una statuetta femminile
e una mano femminile con phyale a omphalos (figg. III.67-III.72).
Tutte le statue sono datate ad età ellenistica.
Statue di culto
Soggetto. Testa di Asclepio (fig. III.67) Fig. III.67 - Morrylos, san-
Luogo di ritrovamento. La scoperta delle due teste di Asclepio tuario di Asclepio, testa della
e Igea di Morrylos si deve a recuperi occasionali effettuati negli anni statua di culto di Asclepio (da
Trenta del secolo scorso nell’area della città antica127. Hatzopoulos, Loukopou-
Materiale. Marmo bianco. lou 1989, tav. XX).
124
Hatzopoulos, Loukopoulou 1989, pp. 17-18 (ll. 5-6) e 42 (ll. 11-12).
125
Hatzopoulos, Loukopoulou 1989, p. 64.
126
Hatzopoulos, Loukopoulou 1989, pp. 69-79, tavv. XX-XXVI.
127
Hatzopoulos, Loukopoulou 1989, pp. 69-79, tavv. XX-XXVI.
128
Hatzopoulos, Loukopoulou 1989, p. 75.
129
Paus. VIII, 47.1. Sulla possibile identificazione delle due statue scopadee cfr. Arias 1952, pp. 122-124.
Fig. III.69 - Morrylos, santuario di Fig. III.70 - Morrylos, santuario di Fig. III.71 - Morrylos, santuario
Asclepio, statua di Asclepio (da Hat- Asclepio, statua di Asclepio (da Hat- di Asclepio, statua femminile
zopoulos, Lokopoulou 1989, tav. zopoulos, Lokopoulou 1989, tav. acefala (da Hatzopoulos, Lo-
XXII). XXIII). kopoulou 1989, tav. XXIV).
130
Meyer 1988, 135, n. AM 4 (330 a.C.); Berger 1990, pp. 196-197 (ante 370-360 a.C.). Per la trattazione di
capigliatura e barba e l’assenza di cercine si veda anche una testina di divinità barbata identificata con Asclepio da
Gortyna di Creta (Ghedini 1985, pp. 192-194, n. 44).
131
Hatzopoulos, Loukopoulou 1989, p. 75.
132
Hatzopoulos, Loukopoulou 1989, pp. 69-79, tavv. XX-XXVI.
Iscrizioni
Il culto di Asclepio (insieme ad Hygeia) continua ad essere praticato in età romana, come
documenta una dedica della fine del I sec. d.C. rinvenuta a Morrylos nel 1933 e conservata al
Museo di Salonicco.
Morrylos 1 lastra rettangolare Dedica ad Asclepio, Igea e agli abitanti Meletemata 7, 1989, ca. 100 d.C.
di marmo bianco di Morrylos da parte di Sosias figlio di pp. 63-64, V;
(0,51 x 0,64 x Sosipolis, della città di Ioron, a proprie SEG 39, 610
0,11 m) spese.
Bibliografia
Hatzopoulos M.B., Loukopoulou L.D. 1989, Morrylos, cité de la Crestonie (Melethema-
ta 7), Athens, pp. 63-67.
Savvopoulou Th. 1998, Arcaiologikhv perihvghsh sto novmo Kilki~, Nomarciva Kivlki~,
p. 112.
3.5 Kassandreia
Fondata da Cassandro nel 316 a.C. nel sito dell’antica Potidea, rimase anche dopo la conquista
romana una delle città più importanti della regione136. Nel 43 o 42 a.C. si data un primo stanziamento
di coloni nella città, effettuato per ordine di Bruto dal proconsole Q. Hortensius Hortalus137, seguito
da una seconda deductio (di coloni prevalentemente dell’Italia meridionale) voluta da Augusto, che
133
F. Croissant in LIMC V, 1990, pp. 554-555.
134
Paus. VII, 23.4.
135
Cfr. Bieber 1955, p. 44.
136
Livio la ricorda tra le nobiles urbes della secunda pars della Macedonia (Liv. XLV, 30, 4; cfr. anche, sulla ric-
chezza del suo territorio, Liv. XLIV, 10, 11-12).
137
Samsaris 1987, pp. 355-357; Gaebler 1935, p. 52, nn. 1-2. Si noti in particolare la seconda moneta, in cui
l’iscrizione al rovescio Hort(ensius) col(oniam) d(eduxit) (o colonia deducta, o coloniae deductor) è accompagnata
dalla rappresentazione di Zeus Ammon al dritto, con legenda HAMMON.
diede alla colonia il nome di Iulia Augusta Cassandrensis138. La città non è stata oggetto di indagini
archeologiche, e ancora relativamente limitati sono i rinvenimenti epigrafici relativi all’epoca roma-
na. Lo studio prosopografico ha evidenziato come la popolazione della colonia fosse composta per
la maggior parte da Greci e Traci, con una minoranza di Romani che costituivano la classe aristocra-
tica (destinata a fondersi con l’aristocrazia locale nel corso del II e del III secolo).
Tempio di Poseidon
L’unica testimonianza in nostro possesso sulla topografia religiosa della città riguarda un
tempio di Poseidon, ricordato da Erodoto139, al quale appartengono forse alcuni resti definiti
“di età romana” individuati nel 1929 in un saggio esplorativo sulla cima della collina di Aerant-
lìa (circa 500 m a nord-ovest di Nea Potidea)140. Oltre a pochi elementi architettonici del tempio
l’indagine portò alla luce una statuetta di Poseidon, numerosi pesi di piombo per reti da pesca,
una piccola base scolpita di V sec. a.C. ed una protome femminile fittile di IV sec. a.C.
3.6 Aphytis
Sulla penisola di Pallene, nel territorio pertinente in età romana alla colonia di Kassandreia,
si trova la città di Aphytis. Al di fuori del santuario di Zeus Ammon poco si conosce del centro
antico, che ha comunque restituito testimonianze risalenti fino al IV sec. a.C.141.
138
Samsaris 1987, pp. 357-360. La colonia godeva di ius Italicum (Dig. L, 15, 8, 8).
139
Hdt., VIII, 129: il naos è ubicato nel proasteivw/.
140
JHS, 49, 1929, p. 234; Samsaris 1987, pp. 361-362, 422.
141
Papazoglou 1988, p. 428.
142
X., Hell., 5, 3.
143
Giouri 1971, pp. 361-366. Secondo l’autore la frequentazione del santuario fin dalla seconda metà dell’VIII
sec. a.C. costituisce una prova della fondazione della città di Aphytis in questo stesso periodo (cfr. anche Giouri
1976, pp. 135-136).
144
Petsas 1970, p. 357.
145
Giouri 1976.
Gli scavi sono ripresi nel 2003 nell’area a nord del tempio di Zeus Ammon, dove sono stati
rinvenuti resti di strutture di età ellenistica e romana146, e quindi nel 2005, con lo scavo di un
balaneion annesso al santuario147 e indagini geofisiche all’interno della grotta di Dioniso148.
I rinvenimenti sono stati resi noti solo tramite pubblicazioni preliminari.
Iscrizioni e votivi
Durante la prima campagna di scavo sono stati rinvenuti vari frammenti di statue (il petto
e il collo di un cavallo, una testa ed un busto femminile, una mano destra, diversi frammenti di
146
Tsigarida, Basileiou 2003.
147
Tsigarida, Basileiou 2005.
148
Tsokas et al. 2005. Le indagini sono state condotte dal dipartimento di geologia di AUTH e dall’Eforato di
paleoantropologia e speleologia della Grecia settentrionale.
149
Sul legame cultuale che univa Dioniso a Zeus Ammon cfr. Cook 1964, I, pp. 369-370, 374-376. Secondo Hermip-
pos (Hermippos ap. Hyg. poet. astr. 2.20) il tempio di Zeus Ammon nell’Oasi (in Libia) sarebbe stato fondato da Dioniso,
salvato da un ariete che l’avrebbe condotto ad una pozza d’acqua mentre rischiava di morire di sete nel deserto libico.
150
Le proporzioni del capitello sono analoghe a quelle del tempio di Atena Alea a Tegea e costituiscono un ele-
mento di datazione del tempio (Giouri 1976, p. 146).
151
Giouri 1971, p. 364, fig. 19.
152
Tsokas et al. 2005. La realizzazione di strutture per l’approvvigionamento idrico all’interno di gallerie e tun-
nel non è inusuale nel mondo greco: l’esempio più noto è rappresentato dal tunnel di Eupalinos a Samo.
Fig. III.73 - Aphytis, sanutario di Zeus Ammon, pianta delle strutture sacre rilevate (elab. autore).
panneggio) e di vasi a figure nere e rosse con l’iscrizione votiva dw'ron, di cui è ignoto il luogo
preciso di giacitura153. La dedicazione del tempio è indicata dall’iscrizione incisa su una lekanis
di marmo trovata vicino ad un angolo del tempio154. Nel 1973 all’esterno del muro occidentale
del tempio è venuta alla luce la testa marmorea di un’aquila databile al IV sec. a.C.155.
Culto
L’identificazione del santuario è accertata grazie ai rinvenimenti epigrafici. Il luogo di cul-
to è ricordato anche da diverse fonti scritte: Plutarco156, narrando dell’assedio di Aphytis da
153
Petsas 1970, p. 361.
154
Giouri 1971, p. 360.
155
Giouri 1976, p. 143, fig. 6.
156
Plut., Lisandros, 20, 4.
parte di Lisandro (404-403 a.C.), racconta che il generale sciolse l’assedio su ordine dello stesso
Zeus Ammon, apparsogli in sogno, e quindi comandò agli abitanti della città di venerare il dio;
Pausania157, ricordando lo stesso episodio, aggiunge che gli abitanti di Aphytis onorarono da
allora il dio non meno dei Libici; Stefano di Bisanzio158, infine, parla dell’esistenza ad Aphytis
di un oracolo di Zeus Ammon. Rimane non precisato il momento d’inizio del culto del dio ad
Aphytis, che i dati archeologici (strutture e rinvenimenti monetali) fanno comunque risalire ad
un periodo precedente all’episodio di Lisandro riferito dagli autori antichi.
Età romana
Strutture (fig. III.73)
- Prima età imperiale. Alla prima età imperiale risalgono alcuni interventi strutturali nel
nucleo centrale del santuario. Il lungo altare a sud del tempio viene defunzionalizzato e coperto
di sabbia, e al di sopra si realizza un nuovo altare di minori dimensioni, all’interno e intorno al
quale è stata rinvenuta una grande quantità di cenere e ossa di animali di grossa taglia. Ai due
lati del nuovo altare, ad est e ad ovest, vengono costruiti due grandi avancorpi che prolungano a
sud i due lati lunghi dell’edificio templare; il materiale da costruzione è in buona parte di reim-
piego (elementi architettonici in pietra di stile ionico e dorico). L’ingresso alle due nuove ali è
consentito ad ovest da una scala a tre gradini collocata parallelamente al muro dell’avancorpo
occidentale, e ad est da un accesso ad un gradino perpendicolare all’avancorpo orientale159.
Si datano alla prima età imperiale anche 4 ambienti realizzati nel sito della stoa ellenistica
distrutta e abbandonata sin dal III sec. a.C. Essi si estendono più a nord dell’edificio ellenistico,
ma ne conservano l’orientamento; gli scarsi resti rinvenuti non consentono di comprenderne la
destinazione funzionale né l’esatta cronologia160.
- Media età imperiale. Nel corso del II secolo si registra un’intensa attività edilizia nel set-
tore settentrionale dell’area sacra, interessato da diversi interventi che si susseguono quasi vor-
ticosamente l’un l’altro e testimoniano quindi la piena attività del santuario in questo periodo.
In ordine cronologico, le prime due realizzazioni sembrano riguardare la costruzione di
una per ora ignota struttura muraria con andamento est-ovest (legata ad un edificio non ancora
scavato) che si imposta sopra ai resti dei 4 ambienti di prima età imperiale, dunque distrutti161,
e di una fornace ceramica nel settore settentrionale del santuario (non in pianta), a nord di tutte
le altre strutture, alla cui attività va ricollegata la grande quantità di vasellame color cenere rin-
venuta nella zona e la presenza di vasi con difetti di fabbrica162.
Intorno alla metà del II secolo nello spazio compreso tra il tempio e l’ignoto muro est-
ovest viene costruito un edificio termale, indagato finora solo in parte (non in pianta)163. Il nu-
cleo centrale dell’edificio è costituito da tre ambienti consecutivi, allineati sull’asse nord-ovest/
sud-est e comunicanti tra loro (da nord, calidarium, tepidarium e frigidarium), cui sono annessi
157
Paus. III, 18.3.
158
St. Byz., s.v. Aphytis.
159
Giouri 1971.
160
Tsigarida, Basileiou 2003, p. 337.
161
Tsigarida, Basileiou 2003, p. 338: il muro è stato portato alla luce per una lunghezza di 12,5 m.
162
Tsigarida, Basileiou 2003, p. 338. L’impianto di forni ceramici in età romana in contesti santuariali trova
confronto con i casi di Pella e Dion.
163
Tsigarida, Basileiou 2005. La presenza di un edificio termale nel santuario viene legata alle funzioni curative
di Zeus Ammon (spesso identificato in età romana con Serapide, dio guaritore) e quindi spiegata come balaneion
per pratiche curative e mediche (come conferma il rinvenimento nelle vicinanze dell’edificio di alcuni strumenti
chirurgici).
a nord-ovest una serie di vani di servizio. Il calidarium è costituito da una sala rettangolare
con abside sul lato orientale ed è dotata di un sistema di riscaldamento ad ipocausto; nei livelli
di abbandono sono stati rinvenuti numerosi frammenti di tubuli fittili, di intonaco e di malta
idraulica che rivestivano i muri (costituiti da materiale di reimpiego). In una nicchia nella pa-
rete settentrionale della stanza si trova una vasca con rivestimento marmoreo, il cui parapetto
è stato rinvenuto sul pavimento davanti alla nicchia. La stanza adiacente a sud è il tepidarium,
suddiviso in tre o quattro vani, ciascuno provvisto di vasca; nella parte orientale si conserva la
pavimentazione in laterizi. Il rinvenimento di una grande quantità di residui di combustione e
cenere nel vano settentrionale ha portato ad ipotizzare (con qualche riserva) che qui fosse situa-
to un forno per il riscaldamento della sala adiacente. Anche nel tepidarium sono stati rinvenuti
i resti dell’impianto di riscaldamento ad ipocausto. A sud della stanza si trova il frigidarium,
conservatosi in condizioni migliori rispetto ai due ambienti più a nord, con pavimentazione in
lastre di pietra e un’ampia piscina lungo la parete orientale164.
Intorno alla metà del II secolo è nuovamente oggetto di interventi anche l’area della stoa
ellenistica, dei 4 vani di prima età imperiale e del muro est-ovest dell’inizio del II secolo: al
di sopra delle strutture rasate viene eretto ad est (metà del II secolo) un edificio costituito da
tre vani (due più a nord, di dimensioni minori, ed una più ampia sala trapezoidale a sud), ad
ovest (seconda metà II-inizi III secolo) un ambiente rettangolare con orientamento est-ovest,
di cui si conservano solo scarsi resti dei muri e il piano pavimentale in terra battuta165. La sala
trapezoidale dell’edificio orientale occupa tutto lo spazio disponibile fino alle terme (cui si lega
tramite un muro in scapoli lapidei), è pavimentata con un battuto di tegole sbriciolate e presenta
quattro ingressi (uno all’angolo sud-est, uno all’angolo sud-ovest – dove è stata rinvenuta una
piccola scala a due/tre gradini – e due sul lato nord, per l’accesso ai due vani settentrionali); i
muri sono in scapoli lapidei, blocchi, malta e frammenti di tegole, con rivestimento di intonaco.
All’interno sono state individuate due basi rettangolari per i pilastri di sostegno del tetto e un
focolare collocato nell’angolo nord-orientale, contenente ossi di animali e frammenti di vasel-
lame per la preparazione e la conservazione dei cibi.
All’età romana (in un momento non meglio precisabile) risalgono anche un’ultima ripara-
zione del tetto del tempio, realizzata in modo poco accurato con tegole di tipo laconico, alcune
strutture a ovest del tempio (non in pianta), con orientamento nord-sud, interpretate come
dimora dei sacerdoti o xenodochion, ed un altare individuato in un saggio esplorativo sotto alla
grotta delle Ninfe e di Dioniso166.
L’ultimo intervento sinora individuato all’in-
terno dell’area sacra riguarda ancora le strutture
subito a nord delle terme e si colloca intorno alla
metà del III secolo, quando l’ambiente rettangola-
re ad ovest dell’edificio con la sala trapezoidale vie-
ne sostituito da un più ampio fabbricato composto
da due stanze adiacenti, con muri perimetrali in
scapoli lapidei, terra e frammenti di tegole; lungo il
lato settentrionale sono state individuate due ese-
dre di pietra di ignota funzione. Anche l’edificio ad Fig. III.74 - Aphytis, santuario di Zeus Ammon, base
est subisce successivi restauri e rifacimenti, di cui di statua con iscrizione votiva ad Apollo Kanaistraios
non è stata ancora precisata la cronologia. (da Giouri 1971, p. 361, fig. 9).
164
Una seconda piscina, scarsamente conservata, si trovava forse lungo la parete settentrionale della sala.
165
Tsigarida, Basileiou 2003, pp. 338-339.
166
Giouri 1976, p. 135, fig. 3.
Iscrizioni e votivi
Presso l’avancorpo orientale romano è stata rinvenuta una testa
marmorea di Eros della seconda metà del II sec. d.C. (fig. III.74)168.
Risale pure al II sec. d.C. una base di statua iscritta trovata fuori dal
muro orientale dello stesso avancorpo orientale, con dedica ad Apol-
lo Kanastraios da parte di Menandros (al di sopra si conservano solo Fig. III.75 - Aphytis, san-
tuario di Zeus Ammon, te-
la parte anteriore dei piedi del dio, le zampe anteriori di un leone alla sta di Eros (da Giouri 1971,
sua destra ed un tronco d’albero alla sua sinistra: fig. III.75)169. p. 360, fig. 8)
Aphytis 1 base di statua di Apollo Dedica ad Apollo Kanaistra- AAA, 4, 1971, p. 360 II sec. d.C.
ios170 da parte di Menandros.
Bibliografia
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Tsigarida E., Basileiou S. 2003, Kalliqeva Calkidikhv~ 2003. Anaskafikhv evreuna sta
oikovpeda 145, 146, 147, in AErgoMak, 17, pp. 335-342.
Tsigarida E., Basileiou S. 2005, Anaskafikev~ kai avlle~ ergasive~ sto ierov tou Avmmwna
Diva sthn Kalliqeva Calkidikhv~, in AErgoMak, 19, pp. 339-345.
Tsokas G., Tsourlos P., Vaxevanopoulos M., Georgiadis F. 2005, Gewfusikhv evreuna
gia ton entopismov th~ sunevceia~ stoav~ tou sphlaivou sthn Kalliqeva Calkidikhv~, in AEr-
goMak, 19, pp. 279-292.
3.7 Sane
Sulla costa occidentale della penisola di Pallene, a Sane, si trova un santuario di Artemide
costituito da un temenos a cielo aperto, costellato di escharai e contenente un serbatoio per pu-
rificazioni rituali, databile su base stratigrafica tra il VII e il IV sec. a.C.171.
167
Gli scavatori avanzano l’ipotesi che la fine della frequentazione dell’area sacra sia dovuta ad una violenta di-
struzione, sulla base del rinvenimento di elementi architettonici tagliati a pezzi e di statue trovate spezzate in piccoli
frammenti (Giouri 1971, p. 360).
168
Giouri 1971, p. 360, fig. 8.
169
Giouri 1971, p. 361, fig. 9.
170
L’epiteto va probabilmente collegato al toponimo Kanaistros, un promontorio della Calcidica non distante
da Aphytis. Cfr. Hdt., 7, 123; Ap. Rhod. 1, 598.
171
Vocotopoulou 1993.
3.8 Mende
Sul promontorio ad ovest della città di Mende sorge un santuario extraurbano di Poseidon
di origini remotissime: la struttura più antica (edificio ST), con abside a nord e aperta verso sud,
viene costruita al di sopra di un probabile altare di età tardo-micenea e contiene diversi livelli di
ceneri e resti sacrificali databili tra l’VIII e il V sec. a.C. Il temenos si compone di numerose altre
strutture: a nord un edificio ovale (G) risalente al secondo quarto del VI sec. a.C., anch’esso
fondato sopra ad una struttura absidata più antica, ad ovest un edificio rettangolare (B), costrui-
to alla fine del VI sec. a.C., e a fianco di questo un tempio (edificio A), eretto nello stretto spazio
tra gli edifici B e G all’inizio del V sec. a.C. A fasi successive risalgono la costruzione di un
altare tardo-classico a sud dell’edificio ST, la realizzazione nella seconda metà del IV sec. a.C. di
una piccola struttura rettangolare (D) adiacente al lato nord-est dell’edificio B e il rifacimento
del pavimento dell’edificio G alla fine del III sec. a.C. La fine della frequentazione del santuario
si colloca nel tardo Ellenismo; in età romana l’area sacra fu convertita in officina ceramica172.
3.9 Kalindoia
La città di Kalindoia è stata localizzata in tempi relativamente recenti (1961) nel settore
settentrionale della Bottike, 2 km a sud dell’odierna Kalamoto, in un’ampia piana circostante
due piccole colline presso il fiume Vasmouras. La città si sviluppò nel sito di un abitato preisto-
rico nel corso dell’età classica173, ellenistica e romana, come testimoniano i rinvenimenti epigra-
fici ed archeologici sinora portati alla luce174.
Sebasteion
Geografia e topografia
Il complesso dedicato al culto imperiale si trova nell’area centrale dell’antica città (fig. III.76).
172
Vocotopoulou 1996, pp. 325-326; Hammond 1998, pp. 397-398; Moschonissioti 1998.
173
La data di fondazione del centro non è nota: la prima menzione di Kalindoia proviene da un’iscrizione ate-
niese del 422 a.C. (The Athenian Agora, 16, 1997, 16[1]).
174
Sismanidis 2008, 31-35. Oltre al complesso del Sebasteion di cui sotto, sono state scavate alcune tombe a
camera a sud del moderno villaggio di Kalamoto.
175
Karanastasi 1995, con bibliografia precedente.
176
Sismanidis 1983.
177
Sismanidis 2003; Sismanidis 2004; Sismanidis 2005; Sismanidis 2009.
178
Karadedos 2006a; Karadedos 2006b; Sismanidis 2008.
Strutture
Gli scavi hanno sinora portato alla luce un complesso costituito da 5 ambienti consecutivi,
non comunicanti tra loro, allineati sull’asse nord-sud (fig. III.77).
Fig. III.77 - Kalindoia, Sebasteion, pianta generale del complesso (elab. autore).
del basamento sopraelevato costruito nella seconda fase lungo il muro settentrionale; i numero-
si frammenti di intonaco bianco rinvenuti in crollo facevano forse parte del rivestimento della
fascia superiore delle pareti.
L’ingresso del vano si apriva su una stoa larga 6 m, il cui muro di fondo è costituito dallo
stesso muro di facciata del vano (che si prolunga verso nord e verso sud oltre i limiti dell’area
scavata), e il cui stilobate è stato individuato in una struttura parallela più ad est, costituita da
una fondazione in piccole pietre e malta su cui è alloggiato un corso di grossi blocchi squadrati
di poros. Numerose tegole di tipo laconico sono state rinvenute nei livelli di crollo dell’area che
doveva essere occupata dalla stoa.
Ancora più ad est, ad una distanza di 7,5 m e all’incirca in asse con l’ingresso del vano A, si
trovano tre massicce strutture rettangolari quasi a contatto l’una con l’altra, costituite da pietre
non squadrate e abbondante malta (la più grande misura 3,70 x 4,20 m, con altezza di 1,50 m;
le altre due, rispettivamente a nord e ad est della prima, hanno un’altezza di 0,50 m e superficie
di 1 x 1,50 e 1,25 x 3,10 m). Si tratta probabilmente di basi che sostenevano statue o altri mo-
numenti votivi.
L’ambiente B, di dimensioni maggiori (6,50 x 9 m), ha la porta d’ingresso decentrata (di-
stante 2,50 m dalla parete sinistra e 3,50 m dalla parete destra). Il lusso che doveva connotare
la stanza è indicato dai numerosi resti di stucchi e rivestimenti marmorei di alta qualità trovati
all’interno, dove è stata inoltre individuata una banchina in muratura adiacente ai due muri la-
terali e al muro di fondo (larga 60 cm e alta sul fondo della sala 90 cm, ai lati 70 cm). Sul muro di
fondo, esattamente in asse con l’ingresso, nella banchina è inserita una grande base a parallelepi-
pedo in muratura, larga 1,10 m e alta 1 m, dove era verosimilmente collocata una grande statua.
Al centro della stanza, in asse con la porta e con la base di statua, si trova un basso basamento
(1,80 x 1 m) incastrato nel pavimento e costituito da tre lastre marmoree, al di sopra del quale
era collocata una trapeza di marmo i cui frammenti sono stati rinvenuti tutt’intorno. Nulla si
conserva del pavimento del vano, che gli scavatori, sulla base del rinvenimento di tracce di fuo-
co e di numerosi chiodi, ipotizzano fosse di legno179.
Il vano E, infine, presenta ingresso centrale (di cui rimane la soglia con un incasso rettan-
golare per lo stipite ligneo), preceduto da tre gradini; la larghezza della stanza è di circa 7 m180,
mentre la profondità (6,50 m) corrisponde a quella dei contemporanei vani A e B181. A questi
l’ambiente E si avvicina anche per la destinazione funzionale (ovvero di naos per il culto impe-
riale), come dimostra la presenza sul fondo della stanza di un basamento marmoreo con confor-
mazione a gradini largo 1,25 m, dove erano verosimilmente poste le statue degli imperatori. Il
pavimento della sala è costituito da un acciottolato composto di ciottoli e frammenti di marmo
di diversi colori.
I vani A, B e E costituiscono duque il nucleo originario del Sebasteion, cui si riferisce la de-
libera onorifica dell’1 d.C. (cfr. infra), che ne specifica la dedicazione a Zeus, Roma e Augusto.
179
Sismanidis 2004, p. 214.
180
Sismanidis 2008, p. 129.
181
Gli ambienti G e D, che nella seconda fase si inseriscono nello spazio tra B ed E venendo a creare una lunga fila
di stanze isoorientate in senso nord-sud, presentano invece una profondità maggiore; così, mentre i muri di facciata
di tutti gli ambienti del complesso sono perfettamente allineati, i muri di fondo dei vani più recenti appaiono spostati
verso ovest di circa 1 m.
Fig. III.78 - Kalindoia, Sebasteion, ricostruzione dell’am- Fig. III.79 - Kalindoia, Sebasteion, ricostruzione
biente A (da Sismanidis 2008, p. 86). dell’ambiente B (da Sismanidis 2008, p. 86).
di calpestio risulta ora più alto di circa 50 cm. Gli interventi strutturali (insieme al rinvenimento
della base di statua di Traiano, per cui cfr. infra) testimoniano che in questa seconda fase i due
ambienti A e B conservano la medesima destinazione funzionale che avevano in origine.
Cambia invece l’utilizzo del vano E, all’interno del quale viene rimosso il basamento lungo
la parete di fondo e vengono costruite in appoggio ai muri perimetrali (ad eccezione di quello
anteriore) banchine di mattoni intonacate di bianco (con larghezza di circa 2 m e alte 50 cm). Il
vano, inizialmente interpretato come sala da banchetto (per il rinvenimento all’interno di una
grande quantità di vasellame da mensa e da cucina), è stato poi riletto come sala di adunanza
della boule, in seguito alla scoperta davanti alla stanza di un’iscrizione con la menzione del
Bouleuterion (cfr. infra)182.
Le originarie funzioni dell’ambiente E sono invece trasferite al nuovo ambiente G (7,20 x
7,50 m; fig. III.80), costruito in questa fase ek themelion, che presenta infatti diverse analogie
con i due ambienti vicini A e B. Le pareti interne sono intonacate di bianco e marrone; lungo il
muro di fondo (non allineato con il muro po-
steriore di A e B, ma spostato più a ovest) si
trova una banchina in muratura larga 1,50 m e
alta almeno 50 cm, con la fronte conformata a
gradini, evidentemente un basamento allungato
per le statue di culto, simile a quello individua-
to all’interno del vano A (ma di realizzazione
più accurata rispetto a questo). Circa al centro
della parete destra della sala è presente un’altra
base di statua in marmo (1 x 2 m), sistemata
in questa posizione in un momento successivo
(come dimostra l’intonaco bianco conservatosi
sul muro dietro alla base). Medesima funzione
di basamento di statua aveva infine una lastra
di poros (63 x 82 cm) collocata in mezzo alla
stanza, in asse con l’ingresso; al foro visibile al Fig. III.80 - Kalindoia, Sebasteion, ricostruzione del
centro di essa era probabilmente fissata la base l’ambiente G (da Sismanidis 2008, p. 87).
182
Sismanidis 2005, p. 151, e Sismanidis 2008, pp. 129-130.
183
Sismanidis 2004, p. 214.
184
Sismanidis 2004, pp. 216 e 223, figg. 7-10.
185
Cfr. infra. Va precisato che il decreto si data in un periodo precedente alla realizzazione della sala da banchet-
to; tuttavia nulla vieta di pensare che i banchetti avessero luogo fin dal primo impianto del Sebasteion ma che solo in
un secondo momento sia stata apprestata un’apposita sala per il loro svolgimento, forse in seguito ad una maggiore
affermazione del culto imperiale nella città.
gli 8 e i 20 cm, e lungo il perimetro interno corre una banchina ad anello dove venivano collocati
i frammenti lapidei. Al centro sono presenti due sostegni a forma di dado. La bocca del forno
(in mattoni, ad arco) si apre all’interno della sala D, che viene ora utilizzata come deposito per
gli elementi lapidei destinati alla combustione per la produzione della calce: sono stati rinvenuti
infatti numerosi frammenti di statue ed elementi architettonici ridotti in pezzi, accumulati in
mucchi presso l’imboccatura del forno in vista della combustione186.
Lo stesso forno era al momento della scoperta pieno di frammenti litici combusti solo in
parte e semi-calcificati, indizio di una interruzione improvvisa del suo uso (per motivi a noi
ignoti e in un momento imprecisabile).
186
Da una prima analisi (seppure ancora non completa) sembra che i frammenti rinvenuti nei mucchi provenga-
no non solo dal Sebasteion, ma da tutta la città; non risalgono dunque solo all’età imperiale, ma a tutte le fasi di vita
di Kalindoia (Sismanidis 2004, p. 220).
187
Sismanidis 2003, p. 148.
188
Sismanidis 2003, p. 154, fig. 11.
189
Sismanidis 2004, pp. 217 e 224, fig. 11.
190
Sismanidis 2005, pp. 147-148 e 155, fig. 8. L’iconografia è ripresa dal rovescio delle monete romane dell’epoca.
Statue imperiali
Soggetto. Statua di loricato (Ottaviano Augusto?) (fig. III.87)
Luogo di ritrovamento. La statua fu rinvenuta casualmente nel
sito prima dell’inizio degli scavi del complesso195.
Materiale. Marmo pentelico.
Misure. Altezza conservata: 166 cm. Fig. III.87 - Kalindoia, Se-
Stato di conservazione. Mancano la testa, il braccio destro, la basteion, statua di loricato
mano sinistra, la gamba sinistra (fratturata all’altezza del ginocchio), (Ottaviano Augusto?) (da
caviglia e piede destro. Sismanidis 2008, p. 94, n. 2).
191
Sismanidis 2008, p. 95.
192
Sismanidis 2008, pp. 127 e 139, n. 15.
193
Kalindoia 2.
194
Kalindoia 7; Sismanidis 2008, pp. 125-126.
195
Ph. Papadopoulou in ADelt, 1961-62, B, pp. 206-207, fig. 232b; BCH, 86, 1962, p. 814, fig. 29.
196
Karanastasi 1995, p. 220. Secondo l’autrice possibili confronti con la statua sono costituiti da un torso lori-
cato da Tusculum, ora alla Glyptotheke di Monaco, datato al 30 a.C. circa (Glyptotheke n. 527), e la statua di Druso
il Giovane al Museo di Cagliari, del 23 d.C. (A. Taramelli in BdA, 10, 1930, 273, fig. 1); entrambe però possiedono
una corazza con sobria decorazione a rilievo.
197
Cadario 2004, pp. 208-215, tav. XXVIII. Secondo l’autore potrebbero essere entrambe statue di protagonisti
delle guerre civili.
198
Sismanidis 1983, l. 35.
199
Karanastasi 1995, pp. 215-221; Sismanidis 2008, pp. 94-95, n. 2.
200
Cadario 2004, p. 213.
201
Sismanidis 2004, pp. 216-217, figg. 9-10; Sismanidis 2008, pp. 142-145, 147, nn. 17-18-20.
Inquadramento tipologico. Le fattezze del volto conducono a riconoscere nella statua l’im-
peratore Augusto, ma la totale scomparsa del corpo non consente alcuna osservazione di carat-
tere tipologico.
Cronologia. Il Sismanidis data la statua ad età flavia202.
Iscrizioni
identificativo supporto commento iscrizione bibliografia datazione
iscr.
Kalindoia 1 stele di marmo (0,83 x Year 148 [dell’era provinciale macedone, Sismanidis 1 d.C.
0,40 x 0,14 m); in alto, al 1 d.C.] 1983, pp.
centro, è incisa una co- The politarchai, after a preliminary reso- 78-79
rona d’olivo (fig. III.89) lution by the bouleutai, and an ekklesia
being held, declared before the demos:
since Apollonios son of Apollonios son of
Kertimos, being a good man and deserving
of every honour, having accepted spontane-
ously the priesthood of Zeus and Rome and
Caesar Augustus divi filius, has exhibited
so mutch nobility, living up to the high
reputation of his ancestors and of his own
virtute, as to omit no excess of expenditure
on the gods and his native city, providing
from his own resources throughout the
year the sacrifices offered monthly by the
city to Zeus and Caesar Augustus; and has
also offered all manner of honours to the
gods, and provided for the citizens feasting
and lavish entertainment, similarly dining
the whole populace, both en masse and by
triklinia, and organising the procession at
the festival so as to be varied and striking,
and putting on the contests in honour of
Zeus and Caesar Augustus in elaborate
and worthy style... has shown his generos-
ity to his fellow-citizens by asking from the
city leave to take over the public sacrifices
offered during the festival to Zeus, Caesar
Augustus and the others benefactors, and
has provided them at his own expense;
and having sacrificed oxen has entertained
each of the citizens throughout the whole
festival, by triklinia an on a mass basis,
and made the most lavish distributions to
the tribes, so that, wherever they wished to
take their pleasure, they did so by his grace.
Not only has he spared no expense, but
he has had a statue of Caesar made at his
own cost, and has offered it as a permanent
memorial of the beneficence of Augustus to
all mankind; he has thus provided an addi-
tional ornament for his native city, and for
the god the appropriate honour and favour.
202
Sismanidis 2008, p. 143.
Culto
Le evidenze archeologiche ed epigrafiche suggeriscono una significativa evoluzione delle
caratteristiche del culto imperiale a Kalindoia.
In accordo con la delibera onorifica rinvenuta nel sito del Sebasteion, in una prima fase
esso era dedicato al culto di Zeus, della dea Roma e dell’imperatore. Quest’ultimo si autorap-
presenta come Zeus, come indica il frammento di statua rinvenuto nel vano A. Va sottolineato
che, se nel tempio era effettivamente collocato il torso corazzato di Augusto rinvenuto nel
1961, saremmo di fronte ad uno dei primi templi dedicati al culto imperiale (il torso infatti viene
datato all’ultimo ventennio del I sec. a.C.205).
Intorno alla metà del I sec. d.C. il Sebasteion viene rifatto e ingrandito, grazie al generoso
contributo della famiglia di Flavia Mysta; la statua di Ottaviano Augusto rinvenuta nell’ambiente
G e la base della statua di Traiano nel vano A indicano come ora il culto sia rivolto principalmente,
se non esclusivamente, all’imperatore, che per giustificare la propria divinizzazione non deve più
assimilare la sua figura a quella di Zeus. La realizzazione in questa seconda fase di una grande sala
per i banchetti, che costituivano parte integrante delle celebrazioni in onore dell’imperatore, co-
203
Kotys figlio di Sopatros è anche il destinatario dell’iscrizione seguente (n. 6) e l’autore della dedica di una
statua dell’amico Metrodoro rinvenuta nel sito nel 1961 (Sismanidis 2008, pp. 167-168, n. 34); è possibile che anche
questa fosse collocata nel Sebasteion.
204
Forse quindi la cronologia della risistemazione del vano E va slittata a questo momento; tuttavia è possibile
che l’iscrizione commemori il termine dei lavori, che potrebbero essere durati diversi anni.
205
Karanastasi 1995, pp. 215-221.
Bibliografia
Karanastasi P. 1995, Zhthvmata th~
eikonografiva~ kai th~ parousiva~ twn
Rwmaivwn autokratovrwn sthn Ellavda, in AE-
phem, pp. 209-226.
Millar F. 1993, The Greek city in the
Roman Period, in The Ancient Greek City-
State. Symposium on the occasion of the Ro-
yal Danish Academy of Sciences and Letters
(July 1-4 1992), a cura di M. H. Hansen, Co-
penhagen, pp. 232-260.
Sismanidis K. 1983, Timhtikov yhvfisma apov
to Kalamwtov Lagkadav, in AEphem, pp. 75-84.
Sismanidis K. 2003, Naov~ autokrato-
rikhv~ latreiva~ sta arcaiva Kalivndoia, in
AErgoMak, 17, pp. 143-154.
Sismanidis K. 2004, H sunevceia th~
evreuna~ sto Sebasteivo twn Kalindoivwn, in
AErgoMak, 18, pp. 213-224.
Sismanidis K. 2005, Sebasteivo Kalin-
doivwn: ÔEstiavsei~ kai eujwcive~, in AErgo-
Mak, 19, pp. 145-155.
Sismanidis K. 2008, The Sevasteion Buil-
ding Complex (Rooms A-E), in Ta Kalivndoia:
mia arcaiva povlh sth Makedoniva – Kalindoia:
an ancient city in Macedonia, Temporary Exhi-
bition Catalogue, Thessaloniki, pp. 123-168.
Sismanidis K. 2009, H mevcri twvra ana-
Fig. III.89 - Kalindoia, Sebasteion, decreto onorario per il skafikhv evreuna sta arcaiva Kalivndoia, in
sacerdote Apollonios (da Sismanidis 2008, p. 109, n. 8). AErgoMak, 20 kron., pp. 317-328.
3.10 Anfipoli
La città, situata lungo il tracciato della via Egnatia, rivestì fin da età classica un ruolo im-
portante, grazie alla sua posizione strategica per lo sfruttamento delle vicine miniere del Pangeo
e il commercio con la Tracia. In età romana divenne capitale della prima meris206, con diritto di
coniare moneta; quindi, con la costituzione della Macedonia in provincia, fu proclamata civitas
libera207. Alla metà del I sec. a.C. alcune tribù traciche invasero il territorio di Anfipoli e di-
strussero diversi monumenti208, ma la città non fu completamente devastata209. I dati per la vita
206
Str. VII, 47; Pl., NH, IV, 38.
207
Pl., NH, IV, 38: Amphipolis liberum.
208
Numerosi nomi traci sono graffiti sui membri architettonici riusati in età post-antica per costruire un guado
attraverso lo Strimone.
209
Alcuni studiosi hanno a lungo sostenuto che la città sia rimasta in rovina fino a buona parte del I sec. d.C., ma
le notizie delle fonti e le emissioni monetali (senza soluzione di continuità) portano a respingere questa ipotesi. Per
questo problema si veda Papazoglou 1988, pp. 393-394, con bibliografia precedente.
210
Papazoglou 1988, p. 395.
211
Cfr. Samsaris 1989, n. 37.
212
SEG 36, 587 (inizi dei I sec. d.C.).
213
ILGR 231 = AE 1946, 230 (III sec. d.C.).
214
Lazaridis 1975; Lazaridis 1988.
m, e quello orientale, lungo 8,75 m e alto 1,92, costruiti entrambi in accurata tecnica isodoma.
La struttura era verosimilmente aperta sul lato meridionale, dove era un portico retto da pilastri
(ne sono state rinvenute alcune basi, di cui una in situ). La dedicazione del temenos (a Clio, la
musa della storia e della poesia epica215) è rivelata da un’iscrizione votiva rinvenuta nel fondo di
una gola, nelle vicinanze del luogo di culto216.
A questi due santuari individuati sul terreno vanno affiancati probabilmente altri due luo-
ghi di culto attivi in età ellenistica ad Anfipoli, indiziati dalle fonti epigrafiche e numismatiche
ma non ancora identificati. Un primo hieron, dedicato ad Apollo, è ricordato da un decreto del
357 a.C.217; il dio appare anche sulle monete della città nel periodo 424-358 a.C.218. L’esistenza
di un santuario ellenistico di Asclepio è invece testimoniata da una legge sacra rinvenuta casual-
mente nel 1965, datata al 350-300 a.C., nella quale sono citate le vittime da immolare al dio, il
pagamento per l’incubatio e le punizioni per coloro che non seguono le prescrizioni219.
Santuario di Attis
Geografia e topografia
Il santuario si trova nel settore nord-occidentale della città, all’interno delle mura.
Strutture
Il santuario, ricondotto al culto del dio
frigio Attis sulla base dei materiali rinvenuti,
è a cielo aperto e si estende per un’aera di 9 x
4,10 m circa. Si presenta come una struttura a
forma di PI greco (fig. III.91), rivolta ad est,
con i muri in blocchi squadrati di poros e lo
spazio interno lastricato. Del lato lungo oc-
cidentale si conserva solo il corso inferiore,
costituito da 6 grandi blocchi di poros (lungh.
6 m, largh. 0,47); del muro meridionale ri-
mangono 4 blocchi del corso inferiore (lungh.
2,75 m, largh. 0,50), e del muro settentrionale
6 blocchi del corso inferiore e 2 del secondo Fig. III.91 - Anfipoli, santuario di Attis, veduta dell’area
corso (lungh. 4,10 m, largh. 0,46 m). sacra (da Lazaridis 2003, p. 46, fig. 25).
215
Apollod., Bibl., 1.3.2.
216
Lazaridis 1959.
217
Hatzopoulos 1996, II, n. 40, l. 12.
218
Head 1963, pp. 43, n. 1 e 44, nn. 3-4. Al dritto è la testa laureata di Apollo. Il dio compare anche in una mo-
neta successiva al 168 a.C (Head 1963, p. 49, n. 50), ma ci sembra un indizio insufficiente per parlare di continuità
di culto del santuario.
219
Lupu 2005, pp. 243-248, n. 13.
220
Lazaridis 1983.
Culto
Il culto di Attis in Grecia prima della conquista romana sembra limitato alla pratica di
alcune associazioni private221. A Roma, il culto di Attis sembra essere presente a livello privato
fin dal II sec. a.C.222, ma viene reso pubblico
(con l’istituzione di un calendario di feste)
solo dall’età claudia, e conosce quindi ampia
diffusione con Antonino Pio. è da Roma che
si diffonde in tutte le province dell’impero223,
tra cui la Grecia, dove sembra infatti affer-
Fig. III.94 - Anfipoli, santuario di Attis, frammenti di sta- marsi solo in epoca romana tardo-repubbli-
tue rinvenute nello scavo (da Lazaridis 1983, tav. 49a). cana e imperiale224.
221
Diverse testimonianze sembrano in particolare provenire dal Pireo (Lancellotti 2002, p. 73, nota 65).
222
La dea Cibele viene introdotta a Roma nella forma di una pietra direttamente dalla frigia Pessinunte (senza
passare per la Grecia) il 4 aprile del 204 a.C., ed è insediata sul Palatino il 12 aprile (Liv. XXIX, 10, 4-11, 8); sebbene
le fonti non parlino esplicitamente della presenza di Attis, è significativo il rinvenimento di numerose statuette del
dio nello scavo del tempio di Cibele sul Palatino (Lancellotti 2002, pp. 77-79).
223
Lancellotti 2002, pp. 75-84.
224
Cibele e Attis 2002, p. 261.
Bibliografia
Cibele e Attis 2002, in Le religioni dei mi-
steri, II, a cura di P. Scarpi, s.l., pp. 261-347.
Lancellotti M.G. 2002, Attis. Between
myth and history. King, priest and god, Leiden.
Lazaridis D. 1983, ∆Anaskafev~ kaiv e[reu
ne~ sthvn ∆Amfivpolh, in Prakt., A’, pp. 38-39.
Lazaridis D. 2003, Amphipolis, Athens,
p. 45.
Fig. III.96 - Anfipoli,
santuario di Attis, te-
sta fittile (da Lazaridis Santuario di Artemide Tauropolos
1983, tav. 49g).
Il santuario non è ancora stato individua-
to, ma la sua esistenza ed importanza è rivelata da una cospicua docu-
mentazione epigrafica e numismatica.
Età greca
Le testimonianze epigrafiche relative al santuario prima della con-
quista romana si collocano in età ellenistica. La più antica è costituita
Fig. III.95 - Anfipoli, san- da un decreto onorario di III sec. a.C., rivolto ad un illustre personag-
tuario di Attis, statuetta di
Attis (da Lazaridis 1983,
gio autore di ricerche sulla storia di Anfipoli e di un libro sulla dea225;
tav. 49b). più recente è una lastra di marmo, in origine appartenente ad un ex
voto eretto nel santuario della dea, con incise due dediche ad Artemide
Tauropolos, da parte del re Perseo e del popolo di Anfipoli con i politarchi226. Va inoltre ricorda-
to un passo di Diodoro Siculo, il quale cita tra i progetti pianificati (e mai portati a termine) da
Alessandro Magno anche la ricostruzione del tempio della dea227. I documenti citati evidenziano
l’importanza del luogo di culto, oggetto d’interesse degli stessi regnanti macedoni.
Età romana
La continuità di frequentazione del santuario dopo la conquista romana è indicata da due
dediche di due sacerdotesse della dea e dalla documentazione numismatica, che sembra testimo-
niare la vitalità del culto fino ad età imperiale avanzata.
Iscrizioni
identificativo supporto commento iscrizione bibliografia datazione
iscr.
Anfipoli 1 colonnina in marmo (h. 0,97 m, Dedica ad Artemide Tauropolos SEG 28, 536 età romana
diam. 0,31 m) rinvenuta reimpie- da parte della sua sacerdotessa
gata nel muro di cinta occiden- Lampro figlia di Theocharis.
tale dell’acropoli paleocristiana
225
SEG 28, 534, ll. 4-10; Ergon, 1978, p. 16; BE, 1979, 271; BCH, 103, 1979, p. 590, fig. 150. L’iscrizione è stata
rinvenuta reimpiegata in un edificio presso la torre bizantina delle mura.
226
Voutyras 1986; Hatzopoulos 1996, I, pp. 135-136; Hatzopoulos 1996, II, n. 29. La lastra è stata rinvenuta
reimpiegata nello stilobate nord della basilica A. La datazione dell’iscrizione non è certa: secondo Voutiras si tratta di
due dediche incise in momenti distinti, quella di Perseo poco prima della sua sconfitta, quella del popolo e dei poli-
tarchi poco dopo la vittoria romana; Hatzopoulos la ritiene invece un’unica dedica da collocarsi intorno al 179 a.C.
227
D.S. XVIII, 4.5.
Anfipoli 2 base di statua rinvenuta casual- Dedica alla Tauropolos (di una ADelt, 26, I sec. a.C.
mente in una zona ignota della sua statua) da parte di un’ignota 1971, B’, p.
città sua sacerdotessa. 417
Monete
In ordine cronologico, la documentazione numismatica relativa al culto della Tauropolos
ad Anfipoli comprende:
- una moneta del 168 a.C., recante al dritto il busto di Artemide con arco e frecce, al ro-
vescio il nome della città e l’immagine di Artemide Tauropolos che cavalca un toro rivolto a
destra, con lungo chitone e velata228;
- una moneta di età augustea, recante al dritto la testa di Augusto e al rovescio la Tauropo-
los che cavalca all’amazzone un toro, con lungo chitone e velata229;
- una moneta di età di Domiziano, recante al dritto la testa dell’imperatore e al rovescio Arte-
mide Tauropolos stante, con chitone lungo e kalathos sulla testa, una torcia nella mano destra230;
- una moneta dell’imperatore Commodo, con al dritto la testa dell’imperatore e al rovescio
Artemide Tauropolos che cavalca un toro rivolto a destra231.
Bibliografia
Gaebler H. 1935, Die antiken Münzen Nordgriechenlands, III. Makedonia und Paionia,
Berlin.
Hatzopoulos M.B. 1996, Macedonian Institutions under the Kings, I-II, Athens.
Head B.V. 1963, Catalogue of Greek coins. Macedonia, etc., Bologna.
Papastavru J. 1936, Amphipolis: Geschichte und Prosopographie, Leipzig, pp. 51-52.
Voutyras E. 1986, Victa Macedonia: Remarques sur une dédicace d’Amphipolis, in BCH,
110, pp. 347-355.
3.11 Filippi
La città, situata in una pianura tra i monti Orvilos a nord, Pangaion a sud e Symvolon
ad est, a breve distanza dalle miniere d’oro di Asyla (che costituirono la sua fortuna in età
ellenistica) e attraversata dalla via Egnatia, fu fondata nel 356 a.C. dal re Filippo che le diede
il suo proprio nome. Fuori dalle sue mura occidentali si scontrarono nel 42 a.C. gli eserciti di
Bruto e Cassio e di Ottaviano e Antonio; negli anni successivi la città e la regione circostante
videro l’insediamento di veterani232 e coloni romani233, e la città acquisì lo statuto di colonia
(Colonia Augusta Iulia Philippensis234). Filippi è in età imperiale uno dei centri della Mace-
donia più fortemente romanizzati, come dimostrano i monumenti e le numerose iscrizioni
redatte in latino235.
228
Head 1963, p. 49, n. 55.
229
Head 1963, p. 52, n. 73.
230
Gaebler 1935, p. 41, n. 77, pl. X.24.
231
Head 1963, p. 58, n. 120.
232
Nel 42 a.C. Marco Antonio vi installò soldati congedati: cfr. Collart 1937, pp. 224-227.
233
Nuovi coloni furono inviati nel 30 a.C. da Ottaviano, che concesse in questa occasione alla colonia lo ius
italicum: cfr. Cass. Dion., LI, 4, 6.
234
Viene chiamata Colonia Iulia Philippensis nel 30 a.C. e diventa Colonia Augusta Iulia Philippensis o Colonia
Iulia Augusta Philippensis dopo il 27 a.C. (cfr. Collart 1937, pp. 228-237).
235
Sulla composizione sociale della colonia di Filippi cfr. Rizakis 2003a e Brélaz, Rizakis 2003.
Capitolium (?)
Geografia e topografia
Nella sua prima fase edilizia, collocabi-
le nel I sec. d.C. (regno di Claudio), il foro di Fig. III.97 - Filippi, pianta generale della città con ubica-
Filippi appare suddiviso in due parti dalla via zione dei principali complessi monumentali: 1: cinta mu-
Egnatia: a nord, sulle basse pendici dell’acro- raria di età romana; 2: acropoli; 3: via Egnatia; 4: Porta
poli, è una stretta terrazza sopraelevata, dove Ovest; 5: Porta Est; 6: teatro; 7: ubicazione del Capito-
sorgerà in età paleocristiana la Basilica A, men- lium; 8: foro; 9: macellum; 10: Palaestra; 11: latrina; 12:
santuari rupestri; 13: Ottagono; 14: Basilica A; 15: Basili-
tre a sud si estende la piazza civica, circondata ca B; 16: edificio con bagni; 17: santuario degli Dei Egizi
da botteghe e dagli edifici necessari alla vita (da Sève 2007, p. 140).
pubblica della colonia. Tale impianto bipartito
permane nella risistemazione del complesso forense attuata intorno alla metà del II sec. d.C.: la
terrazza a nord ospita in questa fase (ma forse già da prima) alcuni templi noti solo sommariamen-
te, che il Sève propone di identificare con gli edifici di culto della triade capitolina.
236
Papazoglou 1988, pp. 411-412.
237
Papazoglou 1982, pp. 105-107 (con un’analisi della differenza tra i termini colonia e res publica).
238
Sève 1996, p. 126; Tsohos 2003.
239
Pubblicata da Lemerle 1945, pp. 281-412.
240
BCH, 59, 1935, Chronique, pp. 289-290; BCH, 60, 1936, p. 479; BCH, 61, 1937, pp. 463-465.
241
Collart 1937, pp. 177, 369-370.
242
Lemerle 1945, pp. 292-299.
Strutture
Seguendo l’ipotesi ricostruttiva di M. Sève (fig. III.98), il settore occidentale della ter-
razza era occupato in età antonina da un piccolo tempio (8,19 x 12,40 m) su alto podio, con
pronaos e cella, preceduto da una scalinata di 10 gradini243. L’accesso alla terrazza avveniva
tramite due scalinate (una più stretta a ovest e una più ampia ad est) che la collegavano alla
via Egnatia e alla piazza lastricata. L’analisi del materiale architettonico reimpiegato nella
basilica A (blocchi di fondazione, basi di colonne, pilastri, capitelli, ortostati, frammenti di
architrave, di cornice e di frontone) ha inoltre rivelato l’esistenza, verosimilmente sulla mede-
sima terrazza, di almeno altri due templi di ordine corinzio e di un monumento con frontone
a modiglioni, databili al II sec. d.C.244. La proposta di identificare tali strutture con i templi
della triade capitolina si basa sul rinvenimento nella piazza del foro di un’iscrizione menzio-
nante Giove245.
243
Sève, Weber 1986, pp. 540-544; Sève 1996.
244
Sève, Weber 1986, pp. 553-580.
245
Pilhofer 2009, n. 223 = infra, n. 1. Più cauto sulla possibilità che qui vi fosse un Capitolium è Tsohos (Tsohos
2003, pp. 72-73).
Filippi 1 frammento di base modanata (0,44 x Dedica in latino a Giove. Pilhofer 2009,
0,66 x 0,65 m), rinvenuto presso la n. 223
fontana monumentale sul lato nord
del foro, a destra
Bibliografia
Lemerle P. 1945, Philippes et la Macédoine orientale à l’époque chrétienne et byzantine.
Recherches d’histoire et d’archéologie, Paris.
Pilhofer P. 2009, Katalog der Inschriften von Philippi, Tübingen.
Sève M. 1996, Le forum de Philippes, in L’espace grec. 150 ans de fouilles de l’école Francai-
se d’Athènes, Paris, pp. 123-131.
Sève M., Weber P. 1986, Le côté nord du forum de Philippes, in BCH, 110, pp. 531-581.
Tsohos Ch. 2003, H qrhskeutikhv topografiva twn Filivppwn katav ton 2o kai 3o ai.
m.C., in AErgoMak, 17, pp. 71-85.
Fig. III.99 - Filippi, pianta dell’area forense (da Collart 1937, pl. XLIV).
Strutture
Il tempio, collocato presso l’angolo nord-orientale della piazza forense in posizione sim-
metrica alla curia (all’angolo nord-ovest) e dalla pianta identica a questa, è un edificio distilo
in antis di ordine corinzio (25,73 x 13,87 m; fig. III.100). I muri superstiti sono costituiti da
uno zoccolo in blocchi legati da malta, su cui doveva elevarsi l’alzato in laterizi; all’interno
le pareti erano rivestite di lastre di marmo, così come in lastre di marmo era il pavimento.
Addossati al muro di fondo della cella sono due basamenti di misure diverse, presso una delle
quali è stata rinvenuta una base iscritta (infra, n. 2) con la dedica al Genio della colonia Iulia
Augusta Philippensium; nel pronao, ai due lati della porta di accesso alla cella, si trovano inol-
tre due basi iscritte con due dediche identiche al curator C. Modius Laetus Rufinianus (infra,
nn. 3-4). All’interno della cella è stata infine rinvenuta una base di statua con la dedica a
Faustina giovane (infra, n. 5). Una porta nella parete meridionale del pronao, dietro alla base
d’anta, comunica con il portico che occupa il lato orientale della piazza; una seconda porta
nella parete settentrionale consente l’accesso, tramite alcuni gradini, alla strada. Lo studio
degli elementi architettonici rinvenuti in situ ha permesso la ricostruzione dell’alzato della
facciata, costituito, al di sopra delle alte colonne del pronao, da un architrave a tre fasce recan-
te un’iscrizione di dedica (infra, n. 6,
citante il curator Caius Modius Laetus
Rufinianus come l’iscrizione di dedica
sull’architrave del “tempio occidenta-
le”), da un timpano ornato di lance e
scudi in rilievo e, a coronamento, due
acroteri laterali (Vittorie) ed uno cen-
trale (Atena in armi).
Le iscrizioni sull’architrave del
tempio e sulle basi rinvenute all’interno
dell’edificio ne indicano la realizzazio-
ne (unitariamente all’intero complesso
forense) tra il 161 e il 175 d.C.248 e la de-
dicazione al Genio della colonia e agli Fig. III.100 - Veduta dei resti del tempio (da Collart 1937, pl.
imperatori. XLVII, 1).
Iscrizioni
Oltre alle iscrizioni rinvenute sull’architrave e all’interno del tempio (nn. 2-6) si riportano
di seguito anche altri documenti epigrafici rinvenuti nelle vicinanze o ritenuti dalla maggior
parte degli studiosi pertinenti all’edificio.
246
BCH, 57, 1933, Chronique, pp. 279-280; si veda anche CRAI, 1935, 2, pp. 181-182.
247
Collart 1937, pp. 332-346.
248
Collart 1937, pp. 341-349.
Filippi 2 frammenti di una Dedica in latino di un monumento AE 1934, 51; seconda metà
grande base modanata (un’ara?) nel tempio al Genio della P. Collart, BCH del II sec. d.C.
(1,40 x 0,80 x 0,55 m) colonia Iulia Augusta Philippen- 57, 1933, pp.
rinvenuta nella cella del sium e alla repubblica da parte di 327-331, n. 6, fig.
tempio orientale C. Modius Laetus Rufinianus249, 10-12;
quaestor pro praetore della provin- Pilhofer 2009,
cia Macedonia e curator rei publi- n. 232.
cae Philippensium.
Filippi 3 grande base modanata Dedica (di una statua) in latino a C. Pilhofer 2009, seconda metà
su tre facce (1,66 x 0,87 Modius Laetus Rufinianus, qua- n. 229 del II sec. d.C.
x 0,81 m) rinvenuta nel estor pro praetore della provincia
pronao del tempio Macedonia, curator rei publicae
Philippensium e senatore, da parte
dell’amico L. Velleius Vellianus.
Filippi 4 grande base modanata Iscrizione identica alla precedente Pilhofer 2009, seconda metà
su tre facce (1,26 x 0,78 n. 230 del II sec. d.C.
x 0,74 m) rinvenuta nel
pronao del tempio
Filippi 5 base di statua (0,24 x Dedica in latino a Faustina Minore, Pilhofer 2009, 161-175 d.C.
0,76 x 0,60 m), rinvenu- sposa di Marco Aurelio, da parte di n. 231
ta nel tempio orientale C. Oppius Montanus Iunior250.
Filippi 6 tre blocchi di architrave L’iscrizione, in latino, ricorda il re- Pilhofer 2009, seconda metà
a tre fasce (lungh. tot. stauro di un grande edificio voluto n. 228 del II sec. d.C.
2,97 m, altezza 0,64 m) da una [- - -]ana Proba e presumibil-
mente fatto realizzare da C. Modius
Laetus Rufinianus, quaestor pro pra-
etore e curator rei publicae di Filippi.
Filippi 7 lastra di marmo (1,19 Dedica in latino a Druso figlio di AE 2004, 1338; 41-54 d.C.
x 0,78 x 0,31 m) rinve- Augusto, padre di Germanico, da Sève 2004, pp.
nuta reimpiegata nelle parte di C. Iulius (?), figlio di Lu- 37-38, 411-412,
fondazioni del tempio cius, della tribù Voltinia. L’iscrizio- fig. 1;
orientale ne faceva probabilmente parte di un AE 2004;
monumento in onore dell’imperato- Pilhofer 2009,
re Claudio e di suo padre Druso251. n. 232a
Filippi 8 due frammenti di una Dedica in latino da parte di tre li- Pilhofer 2009, 36-37 d.C.
stessa lastra di marmo berti imperiali (Cadmus, Atimetus, nn. 281-282 78-79 d.C.
(0,90 x 3 x 0,16 m) Martialis) a Tiberio e suo figlio
rinvenuta reimpiegata Druso Minore. Sulla stessa pietra fu
nella basilica B in seguito incisa una seconda dedica
da parte dell’autorità municipale a
Vespasiano e suo figlio Tito. Secon-
do Lemerle si tratta di una sorta di
“lista o tavola cronologica degli im-
peratori” che doveva essere esposta
in un edificio pubblico importante
del foro (un Augusteum?)252.
249
Il personaggio è citato anche in due iscrizioni su due basi all’interno del pronao del tempio (nn. 3-4), sull’archi-
trave del tempio (n. 6), e sull’architrave del “tempio ovest” (curia) (A: [In honorem] divinae domus et col(oniae) Iul(iae)
Aug(ustae) Phil[ipp(iensium)] // ; B: [--- ex] voluntate sua a divo [A]ntonino ex epulis / [--- C(aio) Modio Laeto Rufiniano,
q(uaestore) pr(o) p]r(aetore) provinc(iae) Maced(oniae) cura[tor]e r(ei) p(ublicae) Philipp(iensium), Pilhofer 2009, n. 201).
250
Il nome conosce un’altra attestazione nelle iscrizioni di Filippi: Pilhofer 2009, n. 198.
251
Il monumento sarebbe quindi contemporaneo alla prima fase edilizia del foro, e potrebbe testimoniare l’esistenza
già in questa fase di un tempio per il culto imperiale, predecessore del tempio orientale di II secolo (Sève 2004, p. 38).
252
BCH, 58, 1934, pp. 449-454, n. 1.
Filippi 9 monumento onorifico Dedica in latino di 5 statue di AE 1991, 1428; I sec. d.C.
costituito da lastre illustri cittadine di Filippi (Iulia M. Sève, P. We-
iscritte erette su un Auruncina, Iulia Modia253, Macia ber, BCH 112,
plinto modanato, situa- Auruncina Calaviana, Ottavia Polla 1988, pp. 467-
to all’angolo nord-est ed un’altra il cui nome è mutilo), 4 479, Plan A, fig.
del foro (fig. III.101) delle quali sacerdotesse di Livia254. 3-7;
Il monumento fu eretto da una di Pilhofer 2009,
loro, Macia Auruncina Calaviana. n. 226.
Filippi 10 piccola base modanata Dedica in latino all’imperatore Collart 1937, 129-137 d.C.
(0,67 x 0,33 x 0,29 m) Adriano Olympios e alla moglie p. 395;
rinvenuta in un son- Sabina Giunone. Pilhofer 2009,
daggio a sud della stra- n. 208
da presso la basilica di
Dirékler
Filippi 11 stele reimpiegata nel Dedica in latino (posta a pubbliche Pilhofer 2009, 130-131 d.C.
pilastro sud-ovest della spese per decreto dei decurioni) n. 283
basilica B all’imperatore Adriano, figlio del
divo Traiano Partico, nipote di
Nerva, pontifex maximus, che ha
rivestito per 15 volte la tribunicia
potestas, per 3 volte il consolato,
pater patriae.
Filippi 12 frammento di stele rin- Dedica in latino ad Antonino Pio, Pilhofer 2009, 138 d.C.
venuto nella terrazza figlio del divo Adriano, nipote del n. 254
a nord del foro, nello divo Traiano Partico, pronipote del
scavo della basilica A divo Nerva, pontifex maximus, che
ha rivestito la tribunicia potestas,
consul designatus.
Filippi 13 base di marmo locale Dedica in latino all’imperatore Collart 1937, p. 282-283 d.C.
modanata, a forma Carino Cesare, figlio di Caro, da 412, 361;
di altare (1,62 x 0,86 parte di Aurelius Nestor, vir per- Pilhofer 2009,
x 0,78 m), rinvenuta fectissimus e praeses della provincia n. 205
presso il decumanus Macedonia.
maximus, a nord-est
del foro
Filippi 14 grande lastra (0,94 x Dedica in latino all’imperatore P. Collart, BCH 324-337 d.C.
0,97 x 0,20 m) rinvenu- Costantino, maximum victorem e 56, 1932, p. 209-
ta nella parte ovest del fondatore della colonia di Filippi. 213, n. 7, fig. 11;
foro (non si conosce il Lemerle 1945, p.
luogo preciso) 108;
Pilhofer 2009,
n. 235.
Filippi 15 blocco di marmo Dedica in latino ai discendenti di CIL III, 1420619;
(0,62 x 0,60 m) copiato Augusto da parte della colonia di Pilhofer 2009,
a Doxato in una casa da Filippi. n. 452
L. Renaudin nel 1920,
oggi perduto
253
La donna appartiene evidentemente alla famiglia di C. Modius Laetus Rufinianus, il magistrato supervisore
della costruzione dei templi del foro.
254
Di un’altra sacerdotessa di Livia, appartenente alla potente famiglia dei Cornelii, si conosce l’epitafio (CIL
III, 651: Cornelia P. Fil. Asprilla, sac. divae / Aug., ann. XXV h.s.e.). La carica era annuale.
Filippi 16 base modanata (0,46 x Dedica in latino alla Victoria Ger- Pilhofer 2009, 214 d.C.
1,41 x 0,58 m) rinve- manica (vittoria di Caracalla sui n. 224
nuta presso la fontana Germani nel 213).
ovest del foro
Filippi 17 blocco di marmo Dedica in latino ad un imperatore, Pilhofer 2009, 14-37 d.C. ?
(0,30 x 1,12 x 0,13 m) probabilmente Tiberio255. n. 88
rinvenuto in una casa
del villaggio di Raktcha
Fig. III.101 - Filippi, ricostruzione del monumento onorifico alle sacerdotesse di Livia (da Sève 1996, p. 127).
Bibliografia
Pilhofer P. 2009, Katalog der Inschriften von Philippi, Tübingen.
Sève M. 2004, Dédicaces du Ier siècle à Philippes, in L’Hellénisme d’époque romaine:
nouveaux documents, nouvelles approches (Ier s. a.C. - IIIe s. p.C.), Actes du Colloque in-
ternational à la mémoire de Louis Robert (Paris, 7-8 juillet 2000), a cura di S. Follet, Paris,
pp. 37-44.
Sève M., Weber P. 1988, Un monument honorifique au forum de Philippes, in BCH, 112,
pp. 467-479.
255
Sève 2004, p. 39, nota 12.
Età romana
Strutture
Il santuario occupa una terrazza in parte tagliata nelle pendici dell’acropoli e in parte soste-
nuta artificialmente, con orientamento nord-ovest/sud-est (fig. III.102). Ad est, in adiacenza alle
pendici della collina, sorgono gli edifici sacri, davanti ai quali, ad ovest, si apre un’ampia spianata
(circa 40 x 10 m) sorretta da un grosso muro a squadra con paramento esterno in blocchi poli-
gonali. Più in basso, ancora più ad ovest, ad una distanza da esso di 4 m a sud e 6 a nord, corre
un secondo muro poligonale, che piega ad angolo retto in corrispondenza dell’angolo del muro
superiore per poi svoltare nuovamente verso nord; quest’ultimo troncone del muro sostiene una
rampa con lieve pendenza che consentiva l’accesso al santuario da nord. La terrazza superiore, di
forma trapezoidale, è pavimentata in lastre di marmo bianco con venature rossastre. Degli edi-
fici lungo il limite orientale della terrazza non si conservano i livelli pavimentali, che dovevano
trovarsi ad una quota più alta, come suggerisce la presenza di due gradini di marmo conservatisi
presso la facciata del complesso a nord; le pareti dei vani erano rivestite di stucco dipinto, con-
servatosi solo in minima parte. Il complesso è costituito da cinque stanze consecutive con una
facciata comune, con la medesima profondità di 5,30 m e larghezza variabile tra i 3,80 e i 3,90 m.
All’interno del secondo vano da nord è presente una nicchia semicircolare nel muro di fondo, lar-
ga 1, 20 m e profonda 0,87 m, rivestita di stucco; presso l’angolo sud-orientale dello stesso vano si
trova inoltre un grosso blocco marmoreo squadrato (0,87 x 0,70 x 0,58 m) inserito nel muro meri-
dionale della stanza. Di fronte alla facciata, alla distanza di circa 1 m, è situato un blocco intagliato
Fig. III.102 - Filippi, Santuario degli Dei Egizi, pianta delle strutture sacre (da Collart 1929, pl. I).
256
BCH, XLIV, 1920, Cronique, p. 407; BCH, XLV, 1921, Cronique, pp. 544-545.
257
Collart 1929.
Iscrizioni
Dall’area sacra provengono cinque iscrizioni (nn. 19-23), cui se ne aggiungono altre rinve-
nute in diverse aree della città.
identificativo supporto commento iscrizione bibliografia datazione
iscr.
Filippi 19 base di marmo (0,75 Dedica in greco di una statua Collart 1929, pp. 76- intorno alla metà
x 0,61 x 0,58 m) a Prisca Phonteia da parte del 77, n. 1; del III secolo
sacerdote di Iside Kallinikos Vidman 1969, p. 53, n.
figlio di Kallineikos263. 115;
Pilhofer 2009, n. 190
258
Nei santuari delle divinità egizie è frequente la presenza di particolari dispositivi per l’adduzione delle acque,
che giocano un ruolo essenziale nel culto (Dunant 1973, p. 192; Wild 1981). Collart propone di collocare in questo
ambiente con conduttura idrica la sala dove si svolgevano i banchetti rituali, attestata a Delo, a Kyme, a Pompei e
sicuramente presente anche nel santuario di Filippi, come testimoniano le dediche di una mensa e di subselia (cfr.
infra; Collart 1929, pp. 97-99; Collart 1937, pp. 445-446).
259
Collart 1929, pp. 89-90, fig. 14.
260
Collart 1929, p. 93, fig. 15.
261
Come nei santuari degli Dei Egizi di Delo, Pompei ed Eretria, la presenza di lucerne deve probabilmente
essere messa in relazione con la celebrazione della festa notturna dei Lucnavria (cfr. Collart 1929, p. 94).
262
Collart 1929, pp. 94-95, fig. 16.
263
Collart (Collart 1929, pp. 76-77) collega il nome di Preiskas Phonteias a Lucius Priscus, governatore della
Macedonia che durante l’invasione dei Goti (250-251 d.C.) cedette Philippopolis ai barbari e cercò di farsi eleggere
imperatore con il loro aiuto. Tsohos (Tsohos 2002, p. 86) dubita di questa interpretazione e crede più probabile che
si tratti di una persona in qualche modo legata al santuario, che forse lo sosteneva economicamente o era membro di
uno dei thiasoi di Iside attestati a Filippi (cfr. infra).
Filippi 20 base di marmo (0,08 Dedica in greco ad Horus, Collart 1929, pp. 77- intorno alla metà
x 0,32 x 0,29 m) Apollo e Arpocrate da parte 78, n. 2; del III secolo
del sacerdote di Iside e Sera- Vidman 1969, p. 53, n.
pide Kallinikos figlio di Kal- 116;
lineikos. Pilhofer 2009, n. 191
Filippi 21 frammento di mar- Dedica in greco ad Arpocrate, Collart 1929, pp. 79- II-III secolo
mo (0,14 x 0,36 m) Iside e Serapide posta da un 80, n. 3;
ignoto fedele per voto. Vidman 1969, p. 54, n.
117; Pilhofer 2009, n.
192
Filippi 22 blocco di marmo Dedida in greco del sacerdote Collart 1929, pp. 80- II-III secolo
(0,10 x 0,14 x 0,16 m) Kastor figlio di Artemido- 81, n. 4;
ro264. Vidman 1969, p. 54, n.
118;
Pilhofer 2009, n. 193
Filippi 23 iscrizione incisa L’iscrizione, in latino, informa Collart 1929, p. 81, II-III secolo
sulla roccia, presso che i tre gradini che conduco- n. 5;
la scala che condu- no alla terrazza del santuario Vidman 1969, p. 54, n.
ceva al santuario furono costruiti in dono agli 119;
dei dal sacerdote di Iside L. Collart, Ducrey 1975,
Titonius Suavis265. pp. 183-185, n. 166;
Pilhofer 2009, n. 175
Filippi 24 base di marmo Dedica in latino di una mensa Collart 1929, p. 82, II-III secolo
(0,64 x 0,37 x 0,25 ed una base ad Iside Regina n. 6;
m) rinvenuta nella da parte del sacerdote L. Tito- Vidman 1969, p. 54, n.
chiesa di Angista nius Suavis. 120;
(villaggio ad ovest Pilhofer 2009, n. 581
di Filippi)
Filippi 25 grande altare Il testo, in latino, ricorda la Collart 1929, pp. 82- II-III secolo
(1,80 x 1,10 x 0,70 consacrazione di un altare nel 87, n. 7; (forse fine del II
m) rinvenuto pres- santuario di Iside Regina da Vidman 1969, p. 55, n. sec. d.C., sulla
so la porta sud- parte del medico Q. Mofius 121; base dell’impie-
orientale della città Euhemerus, in onore della fa- Pilhofer 2009, n. 132 go dei termini
di Filippi (porta di miglia imperiale e per la pro- domus divina,
Neapolis). Sul lato tezione della colonia di Filip- utilizzati comu-
destro sono scolpite pi. Lo stesso dedicante pone 4 nemente solo a
una croce ed una subselia in un luogo assegnato partire da questo
colomba, la cui per decreto dei decurioni periodo)
presenza ha fatto (ovvero in un luogo pubblico,
supporre che l’alta- forse nel teatro?266).
re sia stato qui tra- La formula ex imperio indica
sferito dal santuario un’offerta su richiesta esplicita
in età cristiana. della dea (probabilmente nel
corso di un’apparizione du-
rante l’incubatio); il nome del
dedicante è di origine ebraica,
latinizzato267.
264
Sul nome Artemidoro, frequente in Macedonia, cfr. BSA, 1918-19, p. 70.
265
Al di fuori di Filippi, il nome di L. Titonius è attestato a Salonicco in un’epigrafe inedita oggi al Museo, dove
è indicato come Primus Sacerdos (Tsohos 2002, p. 88). Un L. Atiarius Suavis compare nell’iscrizione CIL III, 633,
col. 3, l. 21.
266
L’offerta di subselia (seggi, scranni) viene ricollegata da Tsohos alla celebrazione di banchetti rituali nel san-
tuario o nella sede di uno dei thiasoi di Iside: Tsohos 2002, p. 87.
267
Collart 1929, p. 85; Collart 1937, p. 447; Vidman 1969, n. 121; Pilhofer 2009, n. 132.
Filippi 26 parte superiore L’iscrizione, in latino, è de- Collart 1938, pp. 428- II-III secolo
di una base di dicata da un’associazione di 431, n. 10;
marmo a forma di fedeli di Serapide ed Iside a Vidman 1969, p. 55, n.
altare (1,10 x 0,95 x L. Valerius Priscus della tribù 122;
0,53 m) rinvenuta Voltinia268, i cui appellativi Pilhofer 2009, n. 252
nell’area del ma- indicano che godette del pri-
cellum vilegio del decurionato269, poi
fu decurione a tutti gli effetti,
irenarca (ufficiale di polizia)270
e munerarius (essendosi
evidentemente fatto carico
delle spese di uno spettacolo);
esercitò infine a Filippi la
magistratura suprema, il du-
umvirato.
Filippi 27 stele (1,61 x 0,85 x L’iscrizione in greco, come la Lemerle 1935, pp. 140- intorno alla metà
0,83 m) reimpiegata seguente, è dedicata da un’as- 141 (n. 40), 147; del III secolo
nel pilastro nord- sociazione religiosa legata al Vidman 1969, p. 56, n.
est della basilica culto di Serapide in onore di 123;
cristiana di Filippi Q. Flavius Hermadion. Pilhofer 2009, n. 307
Filippi 28 stele (0,97 x 0,44 x L’iscrizione in greco, offerta Lemerle 1935, pp. 141- intorno alla metà
0,44 m) reimpiegata come la precedente da un’as- 142 (n. 41), 147; del III secolo
nel pilastro sud-est sociazione religiosa legata al Vidman 1969, p. 56, n. (successiva alla
della basilica cri- culto di Serapide, è dedicata a 124; precedente)
stiana di Filippi Q. Flavius Hermadion, figlio Pilhofer 2009, n. 311
del Q. Flavius Hermadion
dell’iscrizione precedente,
gymnasiarchos e archiereus
(termine con cui in età impe-
riale sono designati i grandi
sacerdoti del culto imperiale),
ed egli stesso agonotheta dei
Grandi Asklepieia.
Filippi 29 frammento di cippo Dedica in latino fatta ad Iside Picard 1922, p. 183;
rinvenuto a Drama su richiesta della dea. Vidman 1969, p. 56, n.
nel 1920 125
Filippi 30 frammento (0,26 Dedica in latino fatta ad Iside Lemerle 1937, p. 412,
x 0,30 x 0,10 m) su richiesta della dea. n. 2;
rinvenuto nella Vidman 1969, p. 57, n.
basilica cristiana di 126;
Filippi Pilhofer 2009, n. 255
Culto
Non si conosce il momento in cui il culto degli dei Egizi fece il suo ingresso a Filippi, ma
la maggior parte degli studiosi lo colloca intorno al III sec. a.C., in parallelo a quanto accade
nelle altre città macedoni271. La posizione geografica della città, con frequenti contatti con l’Asia
268
Alla tribù Voltinia, il cui nome si incontra in numerose epigrafi, è ascritto il territorio di Filippi (Tsohos 2002,
p. 88).
269
Distinzione solitamente conferita a chi non possedeva tutti i requisiti per essere nominato decurione (in
particolare a fanciulli).
270
Si tratta dell’unica menzione a Filippi di questa carica, molto diffusa invece in Egitto e Asia Minore (e quindi
vista in questo contesto come ulteriore indizio dei legami esistenti tra Filippi e l’oriente, tramite la via Egnazia e la
rotta marittima tra Neapolis e Alessandria di Troade: cfr. Collart 1938, p. 430).
271
Collart 1937, pp. 444-454; Tsohos 2002, p. 83.
Minore tramite il suo porto di Neapolis e con il mondo occidentale tramite la Via Egnatia, certo
favoriva la circolazione di genti e idee272, ma resta per ora impossibile da determinare se la città
abbia conosciuto le divinità egizie direttamente dall’Egitto o attraverso Roma, dove tale culto
nel II secolo era molto fiorente. Le evidenze archeologiche ed epigrafiche testimoniano comun-
que la vita del santuario nella sola età romana.
Sulla base delle dediche alle divinità egizie raccolte nella città (nel santuario o in altre zone)
sono possibili alcune osservazioni sulle caratteristiche del loro culto a Filippi.
Nella zona di Filippi (nei pressi del santuario, ma anche nelle zone del foro e del Macellum,
della Basilica B, della porta di Neapolis ed in aree al di fuori della città) sono state rinvenute 12
testimonianze epigrafiche per il culto degli dei Egizi, tutte databili tra il II e il III sec. d.C.273,
utilizzanti talvolta il greco e talvolta il latino. Si tratta di stele votive, altari o basi di statue; la
maggior parte si riferisce ad Iside (in due casi denominata con l’epiteto Regina; nella metà dei
casi il riferimento è alla sola dea, altre volte invece insieme a Serapide, Arpocrate o in combina-
zione con il culto imperiale e la colonia di Filippi274), ma ve ne sono anche altre dedicate a Sera-
pide, Horus, Apollo e Arpocrate. Il rinvenimento della statuetta di Telesphoros, dio guaritore
solitamente legato al culto di Asclepio, insieme alla dedica ad Iside da parte di un medico hanno
condotto ad attribuire proprietà iatriche agli dei Egizi275; sulla scorta di questa interpretazione si
è proposto di spiegare alcuni ritrovamenti come ringraziamento alla divinità per la guarigione:
un rilievo raffigurante un orecchio, inciso isolatamente sulla parete rocciosa a circa 100 m dal
santuario276, i tre frammenti rappresentanti membra in miniatura e la mano marmorea277. L’iscri-
zione che ricorda dei Megala Asklepieia organizzati da un membro di un’associazione religiosa
legata al culto di Serapide, inoltre, è un indizio dell’assimilazione esistente in età imperiale tra le
due divinità guaritrici (Asclepio divinità greca, Serapide divinità egizia)278.
La dedica ad Iside in onore della domus divina (la famiglia imperiale) e pro salute colon(iae)
Iul(iae) Aug(ustae) Philippiens(is) e l’iscrizione in onore di Q. Flavius Hermadion con la men-
zione di un archiereus (sacerdote del culto imperiale) testimoniano il carattere ufficiale rivestito
dal culto a Filippi.
Per quanto riguarda i committenti ed i dedicatari delle iscrizioni, si tratta per lo più di
membri del clero del santuario279, appartenenti alle classi sociali superiori, come testimoniano
anche i supporti delle stesse epigrafi (in marmo, di dimensioni abbastanza grandi, con testi in-
cisi con cura). Va inoltre sottolineata l’esistenza di associazioni religiose di fedeli (qrhskeutai;,
cultores) di Serapide ed Iside, con loro propri sacerdoti (iJereuv~, ajrciereuv~, sacerdos) e digni-
tari incaricati dell’organizzazione di feste e giochi (gumnasiavrco~, ajgwnoqevth~ tw'n megavlwn
∆Asklhpeivwn), celebrati pubblicamente in edifici situati nella zona centrale della città.
Bibliografia
Collart P. 1929, Le sanctuaire des dieux egyptiens à Philippes, in BCH, 53, pp. 70-100.
Collart P. 1937, Philippes, ville de Macédoine, depuis ses origines jusqu’à la fin de l’épo-
que romaine, Paris, pp. 443-448.
272
Collart 1929, pp. 99-100.
273
Tsohos 2002, p. 85.
274
Domus divinae – Colonia Augusta Philippensis (cfr. Vidman 1969, p. 53, nn. 115-126).
275
Collart 1929, pp. 89-93; Collart 1937, pp. 450-452; Tsohos 2002, p. 87.
276
Collart 1929, p. 93; Collart, Ducrey 1975, pp. 179 (n. 161), 245.
277
Collart 1929, p. 93. Per la mano, l’autore propone invece il confronto con alcune statue rinvenute nel tem-
pio di Iside a Pompei (immagini lignee con testa, mani e piedi in marmo) e con una statua proveniente dal Serapeion
di Salonicco (in marmo nero con testa, mani e piedi in marmo bianco).
278
Cfr. Lemerle 1935, pp. 146-147.
279
5 dediche sono da parte di sacerdoti, 3 da parte di associazioni cultuali.
Santuario di Silvano
Geografia e topografia
Il santuario si trova ai piedi dell’acropoli, a sud-est della Basilica A, dove sono localizzati
anche i santuari di Cibele, “dell’altare” e delle “tre nicchie” (fig. III.97). Tutti questi luoghi di
culto sorgono in età imperiale (II-III sec. d.C.) nel sito di antiche cave di pietra riconvertite280.
Età romana
Iscrizioni
Quattro iscrizioni latine incise nella
roccia conservano liste di nomi di fedeli
di Silvano e menzionano i loro donati-
vi per le strutture del santuario del dio
(fig. III.105).
Nella parete di roccia in cui sono
incise le iscrizioni si conserva anche la
porzione inferiore di una nicchia in cui
era verosimilmente alloggiata la statua Fig. III.105 - Filippi, santuario di Silvano, iscrizioni rupestri
del dio. (da Koukouli-Krysanthaki, Bakirtzis 2003, p. 27, fig. 20).
280
Lazaridis 1973b, pp. 36-37.
281
Copie parziali di P. Belon, Les observations de plusieurs singularitez et choses mémorables..., ediz. 1554, fol.
58, ed ediz. 1588, p. 132 (= Scaliger, cod. Lugd. scal. 60, f. 50; Gruter, Inscr. ant., t. I, p. 129, n. 10); copie di P. Bracon-
nier, Relation d’une Mission..., pubblicata da H. Omont, Missions archéologiques francaises en Orient aux XVIIe et
XVIIIe siècles, Paris 1902, II, App. XV, pp. 1031-1032 = Nouveaux mémoires des missions de la Compagnie de Jésus
dans le Levant, t. IX, 1755, pp. 351-352, 411-414 = Lettres édificantes et curieuses écrites des missions étrangères, ediz.
Paris 1780, t. II, pp. 380-383; copie di E.-M. Cousinéry, Voyage dans la Macédoine, t. II, p. 21; copie di Verkovic,
Arch. agram.
282
Heuzey-Daumet 1876, pp. 69-78, nn. 33-36.
Filippi 31 parete rocciosa Iscrizione in latino situata nella parete CIL, III, 633, I; II sec. d.C.
rocciosa del santuario, in basso a sinistra. Pilhofer 2009,
Contiene una lista di sodales di Silvano, n. 164
iscritta dall’edile P. Hostilius Philadel-
phus, con le donazioni di ciascuno al san-
tuario: Domitius Primigenius una statua
di bronzo di Silvano e un tempietto, C.
Oratius Sabinus 400 tegole per il tetto del
tempio, Nutrius Valens due statuette mar-
moree di Ercole e Mercurio, Paccius Mer-
curiales una struttura in cementizio da
250 denari davanti al tempio e un tavola
dipinta con l’Olimpo da 15 denari, Publi-
cius Laetus 50 denari per costruire il tem-
pio, Paccius Mercuriales con i figli e con
il liberto 50 denari per edificare il tempio
e una statuetta marmorea di Libero da 35
denari, il sacerdote Alfenus Aspasius una
statua di bronzo di Silvano con la sua base
e (da vivo) 50 denari da elargire dopo la
sua morte, Hostilius Philadelphus i gradi-
ni fatti scavare a sue spese per coloro che
salgono al tempio.
Filippi 32 parete rocciosa Iscrizione in latino situata nella parete CIL, III, 633, II; II sec. d.C.
rocciosa in basso a destra, inquadrata da Pilhofer 2009,
una modanatura, contente una lista di fe- n. 163
deli di Silvano.
Filippi 33 parete rocciosa Iscrizione in latino incisa a completa- CIL III, 633, III; II sec. d.C.
mento della precedente, in un momento Pilhofer 2009,
successivo, nello spazio compreso tra le n. 165
due epigrafi sopra riportate. Contiene una
lista di fedeli di Silvano.
Filippi 34 parete rocciosa, a Iscrizione in latino contenente i nomi CIL, III, 633, IV; III sec.
destra della nicchia dei cultores dell’associazione di culto di Pilhofer 2009, d.C.
scavata nella parete, Silvano. n. 166
ornata sui due lati da
due piccole corone
Culto
Silvano è un dio del pantheon romano (assimilato tuttavia in alcune regioni – come Illiria
e Gallia Narbonense – a divinità locali), il cui culto fu portato a Filippi dai coloni romani283. Le
ampie attestazioni del culto in Moesia, Dacia e Pannonia ne indicano la particolare diffusione
nelle aree in cui sono stanziate le legioni romane284.
Nelle iscrizioni, tutte in latino, i dedicatari si indicano come cultores o sodales di Silvano,
hanno un sacerdos eponimo e un aedilis, e sono suddivisi (quantomeno in un certo periodo) in
decuriae. Tra i nomi dei fedeli non se ne conta nessuno di origine tracica, e i pochi greci sono
usati come cognomina: ciò sembra indicare la pratica del culto in un ristretto ambiente sociale,
di origine romana e non recepito dalla componente greca locale285. I fedeli sono inoltre quasi
283
Collart 1937, p. 406.
284
Dorcey 1992.
285
Pilhofer 1995, p. 108; Tsohos 2003, pp. 77-78.
tutti di bassa condizione, liberti o schiavi. L’associazione cultuale deteneva carattere funerario,
come dimostrato sia dal nome stesso di cultores sia dall’indicazione in CIL, III, 633, I (supra,
n. 31) del dono al dio della somma che l’associazione si era fatta carico di fornire al decesso di
ciascuno dei suoi membri.
Le iscrizioni forniscono anche alcune indicazioni sull’articolazione monumentale del san-
tuario, della quale oggi nulla è più visibile: esso doveva comprendere un tempio, probabilmente
in parte scavato nella parete rocciosa della collina e anteriormente chiuso da un muro (l’opus
caementicium di cui parla l’iscrizione n. 31).
Bibliografia
Collart P. 1937, Philippes, ville de Macédoine, depuis ses origines jusqu’à la fin de l’épo-
que romaine, Paris, pp. 403-408.
Dorcey P.F. 1992, The Cult of Silvanus: A study in Roman Folk Religion, Leiden.
Heuzey L., Daumet H. 1876, Mission archéologique de Macédoine, Paris, pp. 69-78, nn.
33-36.
Koukouli-Chrysanthaki Ch., Bakirtzis Ch. 2003, Philippi, Athens, p. 26.
Lazaridis D. 1973, Fivlippoi - Rwmaikhv apoikiva (Arcaive~ Ellhnikev~ povlei~, 20),
Athina.
Pilhofer P. 1995, Philippi. Die erste christliche Gemeinde Europas, I, Tübingen.
Tsohos Ch. 2003, H qrhskeutikhv topografiva twn Filivppwn katav ton 2o kai 3o ai.
m.C., in AErgoMak, 17, pp. 71-85.
Età romana
Strutture
Nel piccolo circo roccioso sono scolpiti alcuni rilievi ed iscrizioni (fig. III.106). L’unica
struttura visibile del santuario sono i resti di un altare marmoreo, di cui furono portate alla
luce nel 1914 le due assise inferiori. Nell’area sacra sono inoltre presenti sulla parete nord una
nicchia rettangolare anepigrafe (fig. III.106, n. 181) e un’iscrizione latina IOM (n. 142; cfr. in-
286
Delle indagini rimangono solo uno schizzo inedito conservato negli archivi dell’école Française d’Athènes
ed una fotografia scattata dagli scavatori nel 1914; entrambi i documenti sono riportati da Collart, Ducrey 1975,
pp. 18, fig. 7, e 19.
287
Picard 1922, pp. 165-166.
288
Collart 1937, p. 409.
fra, iscr. 38), sulla parete est due iscrizioni greche, una mutila ed una oggi scomparsa (nn. 167,
169; cfr. infra, iscr. 35, 37), un’iscrizione latina oggi illeggibile (n. 168; cfr. infra, iscr. 36), un
rilievo raffigurante Diana con l’arco sopra ad una dedica (n. 49, cfr. infra, iscr. 39), un secondo
rilievo di Diana con l’arco (n. 50), un terzo rilievo di Diana con la dedica di M. Aimili Rufi
(n. 85; cfr. infra, iscr. 40), ed un rilievo raffigurante una figura femminile non meglio identi-
ficabile (n. 123). La dedicazione ad Artemide è proposta sulla base delle tre rappresentazioni
di Diana, ma le dediche si rivolgono anche ad una
divinità sconosciuta, ad Apollo e a Giove Ottimo
Massimo; a Diana inoltre sono dedicati rilievi ed
iscrizioni anche al di fuori dell’area del “santuario
con l’altare”.
Nello specifico, a Filippi sono dedicati a Dia-
na in totale 89 rilievi rupestri alle pendici dell’acro-
poli (fig. III.107); in 6 casi vi sono delle iscrizioni
incise in prossimità del rilievo, in due casi è pre-
sente solo un’iscrizione isolata. Si possono distin-
guere cinque diversi tipi di rappresentazione della
dea (cui vanno aggiunti 13 esemplari danneggiati
in cui il tipo non è identificabile): Diana con l’arco
Fig. III.107 - Filippi, acropoli, rilievi rupestri raf-
(51 casi), Diana con la lancia (7 casi), Diana con
figuranti Diana (da Koukouli-Krysanthaki, Ba- lancia e ramoscello (14 casi), Diana dadophora (1
kirtzis 2003, p. 26, fig. 19). caso), Diana che uccide il cervo (3 casi)289.
Iscrizioni
identificativo supporto commento iscrizione bibliografia datazione
iscr.
Filippi 35 iscrizione incisa sulla parete roc- Testo in greco non ri- Collart, Ducrey
ciosa, in un quadro rettangolare costruibile perché mu- 1975, n. 167
levigato (1,06 x 1,10 m), a sinistra tilo290. Pilhofer 2009, n.
di un rilievo raffigurante Diana 179
Filippi 36 iscrizione incisa sulla parete roccio- Iscrizione in latino oggi Collart, Ducrey
sa, in un quadro levigato (0,97 x 0,60 illeggibile291. 1975, n. 168;
m), a destra del rilievo raffigurante Pilhofer 2009, n.
Diana dell’iscrizione precedente 182
289
Per una più approfondita analisi stilistica dei tipi si veda Collart, Ducrey 1975, pp. 201-227.
290
La copia del testo fu eseguita da C. Avezou e C. Picard nel 1914.
291
L’iscrizione è oggi illeggibile; se ne possiede la copia di C. Avezou e C. Picard eseguita nel 1914.
Filippi 37 iscrizione incisa sulla parete roc- Iscrizione in greco oggi Collart, Ducrey
ciosa scomparsa292. 1975, n. 169; Pilho-
fer 2009, n. 180
Filippi 38 iscrizione incisa sulla parete roc- Dedica in latino a Giove Collart, Ducrey
ciosa Ottimo Massimo. 1975, n. 142; Pilho-
fer 2009, n. 178
Filippi 39 iscrizione incisa sulla parete roc- Iscrizione in latino con CIL III, 635 (p. 989)
ciosa, al di sotto di un rilievo mol- il nome del dedicante AE 1923, 90;
to danneggiato raffigurante Diana (Cassius Coronus). Collart, Ducrey
con l’arco 1975, n. 49;
Pilhofer 2009, n.
181
Filippi 40 iscrizione situata nella parete est Iscrizione in latino con il CIL III, 634
del c.d. “santuario con l’altare”, al nome del dedicante (M. (p. 989); Collart,
di sotto di un rilievo molto dan- Aemilius Rufus). Ducrey 1975, n. 85;
neggiato raffigurante Diana Pilhofer 2009, n.
183
Filippi 41 iscrizione situata a sud del santua- Dedica in latino a Diana CIL III, 636
rio degli Dei Egizi e a nord della da parte di Galgestia Pri- (p. 989);
Basilica A, incisa sotto al rilievo di milla per la figlia, a scio- AE 1939, 201;
due occhi e a destra di un crescen- glimento di un voto. La Collart, Ducrey
te lunare (al di sopra è un’iscrizio- dedicante porta un nome 1975, n. 149;
ne greca molto danneggiata293). di origine italica294. Pilhofer 2009,
n. 173
Filippi 42 iscrizione situata a sud del santua- Dedica in latino di Ruti- AE 1923, 91;
rio degli Dei Egizi e a nord della lius Maximus. AE 1939, 202;
Basilica A, incisa al lato sinistro di Collart, Ducrey
un rilievo raffigurante Diana con 1975, n. 8;
l’arco. Pilhofer 2009, n.
174
Filippi 43 iscrizione situata sotto ad un rilie- Iscrizione “firma” in Collart, Ducrey
vo raffigurante Diana con l’arco greco. Il nome Bevrna~ 1975, 221, n. 20;
(la localizzazione precisa è ignota; è la trasposizione greca AD, 22, 1967,
oggi è conservata al museo di Fi- del latino verna, indi- Chron., 422; Pilho-
lippi). cante lo schiavo nato in fer 2009, n. 167
casa e, spesso, gli schiavi
dell’amministrazione
imperiale295.
Filippi 44 iscrizione situata nel settore più Iscrizione in latino di AE 1923, 92;
a nord, sopra al muro di cinta in- dedica a Diana da parte AE 1939, 205;
terno dell’acropoli, incisa sotto ad di Vatinius Valens, a sue Collart, Ducrey
un rilievo raffigurante Diana con spese, a scioglimento di 1975, n. 32;
l’arco. un voto. Pilhofer 2009, n. 168
Filippi 45 iscrizione situata nel settore più Dedica in latino a Diana AE 1939, 203;
a nord, incisa sotto ad un rilievo da parte di Zipas. Il de- Collart, Ducrey
molto danneggiato raffigurante dicante porta un nome di 1975, n. 96;
Diana (di cui rimangono solo i origine tracica296. Pilhofer 2009, n.
piedi). 171B
292
Iscrizione oggi scomparsa; se ne possiede la copia di C. Avezou e C. Picard eseguita nel 1914.
293
Collart, Ducrey 1975, pp. 169-170, n. 149.
294
Collart, Ducrey 1975, p. 222.
295
Cfr. L. Robert in AntCl, 37, 1968, pp. 439-441.
296
Collart, Ducrey 1975, p. 222.
Filippi 46 iscrizione sulla parete rocciosa, Dedica in latino a Diana AE 1939, 204;
isolata, non collegata ad un rilievo, da parte di Licinius Va- Collart, Ducrey
situata nel settore più a nord lens, a scioglimento di 1975, n. 97;
un voto. Pilhofer 2009, n.
170
Culto
Nelle immagini della dea incise sulla roccia dell’acropoli fu inizialmente riconosciuta una
divinità indigena, Bendis, spesso menzionata dalle fonti antiche297. Tuttavia l’origine tracica del
culto di Artemide/Diana a Filippi (sostenuta inizialmente da Picard e Collart298) non è certa: le
iscrizioni dedicate alla dea come Diana e l’iconografia dei rilievi dell’acropoli sembrano ricol-
legarsi piuttosto alla divinità di tradizione greco-romana299. La maggior parte delle iscrizioni (5
su 8) menzionano la dea con il suo nome latino, Diana; tutti i nomi dei dedicanti, tranne uno
(Zipas), sono latini; l’iconografia più attestata, della dea con l’arco (51 casi su 89), è chiaramente
di tradizione greca. Elementi della tradizione tracica sono invece il ramoscello (proveniente
dalla zona di Abdera300), le fiaccole301 e il motivo della stella e del crescente lunare302. è dunque
possibile vedere nella dea venerata a Filippi una divinità greco-romana che assorbe in sé alcuni
tratti locali tradizionali di origine tracica.
Bibliografia
Koukouli-Chrysanthaki Ch., Bakirtzis Ch. 2003, Philippi, Athens, pp. 25-26.
Collart P. 1937, Philippes, ville de Macédoine, depuis ses origines jusqu’à la fin de l’épo-
que romaine, Paris, pp. 403-408.
Collart P., Ducrey P. 1975, Philippes I. Les reliefs rupestres (BCH Suppl. II), Paris.
Picard C. 1922, Les dieux de la colonie de Philippes vers le Ier siècle de notre ère, d’après les
ex-voto rupestres, in RHistRel, 86, pp. 117-201.
297
Pl., Resp., I, 327 a; Str., Geogr., 16, 470; Luk., Icaromen., 24; Liv., XXXVIII, 41, 1; Hsch., s.v. Megavlh Qeov~;
Phot., Lex., s.v. Megavlhn Qeovn. Cfr. Knaack in RE, s.v. Bendis, col. 269-271 e Kazarow in RE, s.v. Thrake (Religion),
col. 505 ss.
298
Picard 1922, p. 170; Collart 1937, pp. 428-430.
299
Collart, Ducrey 1975, pp. 222-225. Viene ricordato in proposito anche il rinvenimento di una dedica di fine
IV/inizi III sec. a.C. ad Apollo Komaios e ad Artemide rinvenuta durante gli scavi di un’abitazione ad est del foro
(Collart, Ducrey 1975, p. 222); il culto delle due divinità, attestato a Thasos, sarebbe forse giunto da qui a Filippi.
300
Collart, Ducrey 1975, pp. 205-208.
301
Artemide dadophora si ritrova su numerose monete della Tracia, di epoca ellenistica a Lisimacheia (BMC
Thrace, p. 195, n. 2) o imperiale a Perinthos (E. Schönert, Die Münzprägung von Perinthos, nn. 120-128, 399-406,
655-656) e a Bisanzio (E. Schönert-Geiss, Die Münzprägung von Byzantion, Berlin 1972, II, nn. 1454-1455, 1528,
1568, 1683, 1667, 1691).
302
Collart, Ducrey 1975, pp. 216-221.
303
A queste si possono aggiungere altre 3 testimonianze provenienti da località vicine alla città (Reussilova, a
nord della piana di Filippi, e Kalambaki): CIL III, 703 (sarcofago con iscrizione in latino incisa dai discendenti dei
tre defunti sepolti all’interno, menzionante una donazione di 200 denari fatta al tiaso di Liber Pater Tasibastenus per
la celebrazione annuale di un rito funebre (rosalia?) sulla tomba); CIL III, 704 (cippo funebre a forma di altare con
iscrizione riportante una donazione analoga a quella dell’iscrizione precedente, fatta dal defunto al tiaso di Liber
Pater Tasibastenus); AE 1939, 200 = Pilhofer 2009, 408 (iscrizione che ricorda lo scioglimento di un voto a Liber
Pater da parte di Caretis (?) figlio di Dioscuride). Altre due dediche a Liber provenienti da Drama (AE 1924, 53;
coloni romani di Filippi; nelle iscrizioni vengono menzionati anche thiasoi, confraternite dio-
nisiache con membri talvolta di provenienza tracica (già romanizzati, come dimostra l’uso del
latino), ma anche romani304.
Le iscrizioni rinvenute sono dedicate a Liber Pater o a Libero e a Libera, cui in 4 casi è
associato Ercole.
Età romana
Iscrizioni
identificativo supporto commento iscrizione bibliografia datazione
iscr.
Strutture
Il rinvenimento di alcune di queste iscrizioni nell’area delle terme ha fatto supporre l’esi-
stenza in questa zona di un santuario di Libero, Libera ed Ercole, forse collocato sotto la parte
nord-occidentale del complesso termale, dove sono state individuate le fondazioni di un edifi-
cio anteriore307 (fig. III.108). Il Lazaridis ritiene invece che il culto fosse praticato nel “santuario
delle tre nicchie”, alle pendici sud-occidentali dell’acropoli, dove sono situati anche i santuari
rupestri di Artemide e Silvano308.
Pilhofer 2009, 501c) vanno invece forse collegate ad un antico santuario di Dioniso situato nel centro: cfr. Koukou-
li-Chrysanthaki 1992.
304
Cfr. Collart 1937, pp. 413-422.
305
Nella versione dell’AE è riportata la lettura thiasus Maenad(arum), che tuttavia è rifiutata dagli editori suc-
cessivi (cfr. Pilhofer 2009, p. 340).
306
Il nome Pisidius è originario del nord Italia: Salomies 1996, p. 123.
307
Collart 1937, pp. 367-368, pl. LIV, e 414, nota 4.
308
Lazaridis 1973b, pp. 36-37.
Bibliografia
Collart P. 1937, Philippes, ville de Macédoine, depuis ses origines jusqu’à la fin de l’épo-
que romaine, Paris, pp. 443-448.
Lazaridis D. 1973, Fivlippoi - Rwmaikhv apoikiva (Arcaive~ Ellhnikev~ povlei~, 20), Athina.
Pilhofer P. 2009, Katalog der Inschriften von Philippi, Tübingen.
Salomies O. 1996, Contacts between Italy, Macedonia and Asia Minor during the Prin-
cipate, in Roman Onomastics in the Greek East. Social and Political Aspects, a cura di A.D.
Rizakis, Athens, pp. 111-127.
3.12 Neapolis
309
Bakalaki 1936, pp. 7-31.
310
Lazaridis 1973a, pp. 542-543. I vasi, alcuni dei quali realizzazioni di pregiata fattura, appartengono a diverse
fabbriche (laconica, corinzia, attica, cicladica, rodia, di Chio, di Lesbo e dell’Asia Minore). Le terrecotte votive, con-
servate al Museo Archeologico di Kavala, sono attualmente in corso di studio (A. Prokova, dissertation in Classical
Archaeology, Università di Colonia).
sacri311; un’altra iscrizione, rinvenuta a Kavala già a fine Ottocento, menziona inoltre un creo-
fulavkion (deposito d’archivi) offerto alla dea da due fedeli312. La Parthenos è nominata anche
come principale divinità di Neapolis in due decreti di Atene313 e in un bassorilievo scolpito in
testa ad un altro decreto del 355 a.C., nel quale Atena tende la mano destra alla dea314. Infine, la
testa della Parthenos compare sulle monete di Neapolis emesse tra il 411 e il 350 a.C.315. Il culto,
che sinora non conosce a Neapolis attestazioni per l’età romana, è secondo Collart quello della
grande dea tracica Bendis, ellenizzata e di volta in volta assimilata a diverse divinità femminili
del pantheon greco (la Tauropolos ad Anfipoli, Artemide Gazoria a Gazoros, Artemide Polo a
Thasos, ecc.)316.
3.13 Pangaion
Santuario dell’eroe Aulonites
Geografia e topografia
Il santuario è stato localizzato ai piedi del monte Pangaion, sulla cima di una bassa collina
a nord della strada che da Kavala conduce a Salonicco, tra i villaggi di Kipia e Akrovouni.
Età ellenistica
Strutture
Gli scavi hanno messo in luce i resti di due edifici vicini (fig. III.109). Il cosiddetto Edificio
I, di forma rettangolare, presenta orientamento nord-est/sud-ovest e appare diviso all’interno
in due vani.
311
Bakalaki 1936, pp. 33-34, n. 2.
312
Bakalaki 1936, p. 32, n. 1.
313
IG I, 2, 108, l. 36 (409 a.C.); IG I, 2, 108, l. 48, 54-55 (di poco posteriore al precedente).
314
Bakalaki 1936, p. 35, fig. 51; Collart 1937, pl. XXII, 2.
315
Collart 1937, p. 111 e pl. XXI, 67, 9-12.
316
Collart 1937, p. 112.
317
Koukouli-Chrysanthaki 1969a; Koukouli-Chrysanthaki 1969b.
318
Koukouli-Chrysanthaki 1983.
319
Koukouli-Chrysanthaki 1985.
320
Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1989.
321
Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1990.
322
Cfr. Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1989, p. 558. Qui emergevano possenti creste murarie con plinti
in marmo e si concentravano frammenti architettonici, basi di statue, rilievi.
Fig. III.109 - Pangaion, santuario dell’eroe Aulonites, pianta dei due edifici cultuali (da Koukouli-
Krysantaki, Malamidou 1989, p. 555, fig. 2).
A nord-ovest dell’Edificio I si trova un secondo edificio (Edificio II, fig. III.110), inda-
gato più accuratamente. Si tratta di una struttura rettangolare (23 x 16 m) orientata in senso
nord-sud, aperta sul lato lungo orientale; i muri esterni sono costituiti da massi grezzi e pietre
appena sgrossate legate con calce. L’ingresso sul lato orientale dà accesso ad un atrio probabil-
mente scoperto, su cui si affacciano a nord e a sud due grandi sale (forse aperte verso l’atrio, in
forma di stoai, come sembrerebbero testimoniare due basi di colonna rinvenute fuori contesto
nella sala a nord), occupate entrambe da banconi in muratura per klinai, congiunti a tre a tre in
ciascuna sala. Le klinai sono costituite da pietre grezze senza legante; non vi è invece traccia di
trapezai, le quali dunque probabilmente erano portatili o in materiale deperibile. Il pavimento
in lastre di pietra (conservato solo in parte) presenta una lieve pendenza da sud verso nord. Al
centro dell’edificio, ad ovest dell’atrio e come questo all’aperto, si trova l’altare, una struttura
rettangolare rivestita di piccole lastre irregolari di pietra, limitata sui lati orientale e settentrio-
nale da muretti, sui restanti lati estesa invece fino alla roccia naturale, che qui affiora323. Lo stra-
to sopra la struttura e l’area circostante presentano forti tracce di combustione e contengono
numerosi frammenti di ossi bruciati (principalmente di bovini e ovini) e utensili utilizzati nel
sacrificio (tra cui una phiale324).
323
L’altare così costituito in legame con la roccia naturale affiorante è riconducibile al carattere ctonio del culto
eroico (cfr. Launey 1944, pp. 161-164).
324
In un diffuso schema iconografico dell’eroe-cavaliere (tipo A, cfr. Kazarov 1938) egli viene rappresentato
a cavallo mentre compie una libagione con una phiale (cfr. anche Corpus Cultus Equitis Thracii, I, 1979, pp. 94, 96,
tavv. XLI, XLII). Un’altra phiale è stata rinvenuta integra sul pavimento della sala meridionale, presso una kline
(Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1990, p. 503, fig. 5).
Fig. III.110 - Pangaion, santuario dell’eroe Aulonites, pianta di dettaglio dell’Edificio II (da Koukouli-Krysantaki,
Malamidou 1990, p. 504, fig. 1).
Iscrizioni e votivi
Nell’area presso l’altare sono state rinvenute numerose punte di lancia in ferro e coltelli,
forse dedicati all’eroe durante il rito oppure utilizzati nei sacrifici325. Legati allo svolgimento dei
sacrifici, ed in particolare al trasporto degli animali all’altare, sono pure i numerosi fili e anelli
di ferro rinvenuti ovunque nell’area sacra326.
Dai livelli di età tardo-ellenistica provengono diversi frammenti di kantharoi, alcuni dei
quali con dedica votiva all’eroe e nome del dedicante (ad esempio KRITWN HRWI327); in genera-
le sono stati rinvenuti numerosissimi frammenti ceramici relativi a vasellame dedicato all’eroe
(come testimoniano i frequenti graffiti HRWOS, HR o QE)328.
Dall’area sacra provengono inoltre numerosi frammenti di votivi per lo più raccolti in
superficie (pubblicati solo in parte), tra i quali si segnalano una base di statua con la rappresen-
325
Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1989, p. 558, fig. 12; Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1990,
p. 505, fig. 8.
326
Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1990, p. 505, fig. 9. Il rituale sacrificale eroico prevedeva che l’anima-
le venisse sacrificato con il capo piegato a terra, cosicché il sangue colasse al suolo, e poi venisse consegnato al fuoco
(cfr. Der Kleine Pauly Lexikon der Antike, 1964, s.v. Heroenkult).
327
Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1989, p. 559, fig. 16.
328
Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1990, p. 505.
tazione dell’eroe seguito da animali, un frammento di panneggio, una testa barbuta riferibile ad
Asclepio o ad Eracle, sostegni di statua decorati con rami di vite e una pantera (collegabili al
culto dionisiaco)329.
Culto
La dedicazione del santuario fu compresa già dalla prima campagna di indagine di super-
ficie dell’area nel 1968, grazie al rinvenimento di rilievi votivi raffiguranti l’eroe nel tipo del
cosiddetto “cavaliere trace”330, a cavallo in scene di sacrificio o rappresentato durante la caccia
al cinghiale davanti all’altare. Una prima ipotesi di Ch. Koukouli-Chrysanthaki proponeva di
collegare il nome dell’eroe all’antica città di Aulona331, situata secondo lei in una collina ad ovest
del santuario, dove erano state rinvenute tracce di un antico insediamento; in seguito Ch. Ba-
kirtzes332 ha ricondotto più verosimilmente il nome al termine aujlwvna, corrispondente a “passo,
passaggio”, ritenendo che l’eroe fosse il protettore del passo che collegava Symbolo e Pangaion,
la vallata di Pieria e la pianura di Dramas. Il carattere dell’eroe ben si inserirebbe così nella tipo-
logia di eroe comune nel sud della Grecia, esercitante un’azione benefica in zone liminari333.
Tuttavia, nelle epigrafi votive di età ellenistica rinvenute nell’area sacra l’eroe non è mai
indicato con il nome Aulonites: in un unico rilievo troviamo il termine ejphvkoo~334, e in alcune
incisioni su vasi ellenistici semplicemente h{rw~335. A fronte delle numerosissime attestazioni del
culto dell’eroe in età romana, infatti, poco si conosce per l’epoca preromana336.
Età romana
Nel vano più ad ovest dell’Edificio I sono state rinvenute le fondazioni di alcuni seggi
con i nomi dei curatores della colonia romana di Filippi (trasportati al Museo di Kavala già nel
1968337). La vita del santuario in età romana è testimoniata inoltre dai rinvenimenti materiali: dai
livelli di abbandono del santuario provengono reperti databili fino all’età tardo-romana (anfore,
pentole, ma anche vasellame da mensa e una serie di monete di bronzo dell’età di Costantino)338,
che collocano la fine della frequentazione dell’area sacra nel terzo quarto del IV secolo.
Fin dalle prime indagini nell’area del santuario sono state rinvenute infine diverse iscrizioni.
Pangaion 1 lastra votiva di rame, pro- Offerta in voto da parte di Q. Pe- Koukouli-
veniente dai livelli di di- tronius Firmus, della V coorte pre- Chrysanthaki,
struzione del santuario toria, in latino. Malamidou
1989, p. 558
329
Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1989, pp. 558-559, fig. 15. La presenza di altre divinità nel santuario
viene spiegata con la coesistenza di due diversi culti nell’area sacra oppure con l’assimilazione dell’eroe a divinità del
pantheon greco.
330
Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1989, figg. 2-3, riconducibili a Kazarov 1938, tipi A (cavaliere a
riposo o proteso in avanti) e B (cavaliere cacciatore).
331
Cfr. Thuk. IV, 103.
332
AErgoMak, 2, 1988, 433.
333
Ad es. il Propylaios. Cfr. Will 1955, pp. 24-30, 60-65, e Paus. X, 32.6 (Apollon propylaios).
334
Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1989, p. 559, fig. 2.
335
Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1989, p. 559, fig. 16.
336
Will 1955, pp. 100-112; Gočeva 1983, p. 237.
337
Koukouli-Chrysanthaki 1985, p. 264.
338
Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1989, p. 558; Koukouli-Chrysanthaki, Malamidou 1990, p. 503,
fig. 7.
Pangaion 2 lastra (0,74 x 0,94 x 0,25 m) Dedica in greco all’eroe Aulonite SEG 33, 538; inizio del II
appartenente ad una base da parte di M. Ulpius Messalla di AD, 24, 1969, sec. d.C.
votiva, rinvenuta nel 1969 Pythion e Ulpia Armonnò. B, pp. 348-349
presso Kipia (Filippi)
Pangaion 3 thuribulum bronzeo (0,90 Offerta del thuribulum con base AD, 24, 1969, II sec. d.C.
x 0,74 x 0,25 m), iscrizione da parte di Claudius Celer, della X B, p. 349
sulla base coorte urbana, a scioglimento di un
voto. In latino.
Pangaion 4 frammento di base votiva Dedica in latino all’eroe Aulonite da AD, 24, 1969, II sec. d.C.
(0,37 x 0,37 x 0,64 m) parte di Marcus Vibius Casius, per B, p. 349
scampato pericolo.
Pangaion 5 base di statua, con resti dei L’iscrizione, in greco, riporta gli au- SEG 39, 598 età impe-
piedi di una figura stante tori della statua dell’eroe Aulonites, riale
(della divinità), rinvenuta Veitales e Ailios.
non in situ durante gli scavi
nel santuario339 (ora al mu-
seo di Kavala)
Pangaion 6 frammento di base cilin- Dedica in greco all’eroe da parte di SEG 39, 599
drica rinvenuta non in situ Salas Neakoros.
nell’area del temenos340
(ora al museo di Kavala)
Pangaion 7 parte inferiore di una stele Iscrizione mutila in greco di dedica SEG 40, 539, a
di marmo con raffigura- all’eroe Aulonite.
zione dell’eroe cavaliere di
fronte ad un altare, rinve-
nuta durante gli scavi nel
santuario341.
Pangaion 8 base di statua in marmo, Dedica in greco di Eikesios figlio di SEG 40, 539, b
rinvenuta durante gli scavi Phoibidos all’eroe Aulonite.
nel santuario342
Pangaion 9 dedica forse proveniente L’iscrizione, in latino, riporta la CIL, III, 7334 anni ’40-
dal santuario rinvenuta nel lunga e gloriosa carriera militare di ’50 del II
1888 “ai piedi del monte (?) Octavius Secundus di Cures (in secolo
Pangaion”343 Sabina), della tribù Sabatina: egli
fu soldato della X coorte urbana,
quindi fu trasferito nella VI coorte
pretoria, fu singularis tribuni, bene-
ficiarius344 tribuni, singularis prae-
fecti praetorio, soldato scelto nella
centuria, signifer, curator fisci (teso-
riere), cornicularius (alla direzione
di una cancelleria militare), evocatus
di Augusto, centurione nella X le-
gione Fretense; ricevette dal Divo
Adriano per la guerra giudaica come
doni una corona d’oro, collane,
braccialetti, falere e fu promosso da
lui a passare nella I legione Italica;
339
Cfr. BCH, 114, 1990, p. 799.
340
Cfr. ADelt, 38, 1983 (1989), B, p. 322.
341
Cfr. ADelt, 40, 1985 (1990), B, p. 266. Non è pubblicata la foto del rilievo.
342
Cfr. ADelt, 40, 1985 (1990), B, p. 266.
343
P. Foucart in BCH, XII, 1888, p. 424; R. Cagnat in BCH, XIII, 1889, p. 182; A. Salac in BCH, XLVIII, 1923,
p. 52, 5.
344
Cfr. Schallmayer 1990, pp. 518-520, n. 671.
Culto
L’eroe cavaliere (da età romana chiamato nel santuario di Pangaion con il nome di Aulo-
nites) sembra essere una ben definita e fondamentale divinità tracica, poi avvicinata e assimilata
ad altre figure eroiche o divine346. Il culto (così come il tipo iconografico) subisce tuttavia l’in-
fluenza del mondo greco, che si diffonde nell’interno della Tracia tramite le città greche della
costa dell’Egeo e della Tracia (nella regione del Ponto Eusino)347; in Tracia conoscerà poi una
particolare fioritura nella tarda età romana, quando il generale sincretismo religioso porterà
ad identificare l’eroe con altre divinità traciche ed anche greche (Apollo, Asclepio, Dioniso,
Eracle)348.
In particolare, nella Macedonia orientale e in Tracia il culto dell’eroe cavaliere pare in
stretto rapporto con il culto di Dioniso349. Entrambe le divinità hanno un diretto rapporto con
il mondo infero e con le credenze di una vita dopo la morte, e per questo sono molto popolari
nella tarda antichità, quando dominano i culti con contenuto escatologico che rispondono alle
angosce metafisiche degli uomini. è significativo che il santuario dell’eroe Aulonites a Pangaion
continui ad essere frequentato anche dopo il riconoscimento del cristianesimo come religione
ufficiale dello stato romano.
Per quanto riguarda le sue caratteristiche iconografiche, la rappresentazione della figura a
cavallo viene solitamente ricondotta ai culti solari tracici e considerata simbolo di immortalità350.
Va inoltre sottolineata la presenza di veterani romani tra i dedicanti nel santuario, come
indicato dalle iscrizioni votive rinvenute.
L’importanza del culto dell’eroe a Filippi è testimoniata dalla raffigurazione dell’eroe su
monete di bronzo della città del III sec. d.C.351. Le monete portano al dritto la raffigurazione
dell’imperatore con la legenda in latino DIVO AUGUSTO, al rovescio l’eroe con la legenda
HEROI AVLONITE e R(es) P(ublica) C(oloniae) P(hilippensis). Iscrizioni votive dedicate
all’eroe Auloneites sono state rinvenute inoltre in tutta la Macedonia orientale352.
Bibliografia
Gočeva Z. 1983, Les traits caractéristiques de l’iconographie du Cavalier Thrace, in Icono-
graphie classique et identités régionales. Actes du colloque international du Centre national de
la recherche scientifique (Paris 26-27 mai 1983), Paris, pp. 237-243.
345
Si tratta forse della colonia dacica Ulpia Sarmizegethusa (Ulpianum in Moesia Superior?): Schallmayer
1990, p. 520.
346
Will 1955, pp. 65, nota 1, e 117; Gočeva 1983.
347
Will 1955, pp. 66, 88. Nell’attuale Bulgaria sono stati localizzati diversi santuari dedicati all’eroe, ma nessuno
è stato scavato (V. Ljubenova, Tracia III, 1974, p. 371). Si veda anche Tončeva 1969.
348
Kazarov 1938, p. 13; Venedikov 1963; Gočeva 1983, p. 243.
349
Ad esempio, nelle metope del proscenio del teatro di Taso l’eroe cavaliere è rappresentato accanto a Dioniso:
cfr. F. Salviat, BCH, 84, 1960, pp. 314-316.
350
Gočeva 1983, pp. 238-239.
351
Cfr. O. Picard in AErgoMak, 2, 1988, p. 389, fig. 10; Pilhofer 1995, pp. 93-100.
352
A Salonicco (ADelt, 24, 1969, B, 300. 3); a Serrai, nella zona di Krenidai (Vitasta) (SEG 30, 594; non datata);
a Paradeisou (G. Bakalakis, Paranevstioi arcaiovthte~, Qrakikav, H, 1936, 17); a Vitastas di Sirris (oggi Seres) (N.
Kuparisiadou, Serraikav gravmmata, 51-52, 1962, 38). Si vedano anche una dedica degli abitanti di Abdera (BCH,
VIII, 1884, p. 49) ed una degli Eptamyloi di Sirris (ADelt, 26, 1971, Chron., B2, p. 416).
Kazarov G.I. 1938, Die Denkmäler des Thrakischen Reitergottes in Bulgarien, Budapest.
Koukouli-Chrysanthaki Ch. 1969a, in AAA, II, 2, pp. 191-193.
Koukouli-Chrysanthaki Ch. 1969b, in ADelt, 24, Chron., B2, pp. 348-349.
Koukouli-Chrysanthaki Ch. 1983, in ADelt, 38, p. 322.
Koukouli-Chrysanthaki Ch. 1985, in ADelt, 40, pp. 263-266.
Koukouli-Chrysanthaki Ch., Malamidou D. 1989, To Iero; tou vHrwa Aulwneivth sto
Paggaivo, in AErgoMak, 3, pp. 553-567.
Koukouli-Chrysanthaki Ch., Malamidou D. 1990, To Iero; tou vHrwa Aulwneivth sto
Paggaivo, in AErgoMak, 4, pp. 503-511.
Pandermalis D. 1995, s.v. Macedonia in EAA, secondo suppl., III, Roma, pp. 494-495.
Schallmayer E. 1990, Der römische Weihebezirk von Osterburken I, Stuttgart.
Tončeva G. 1969, Le sanctuaire du Héros Karabasmos d’Odessos, in Actes du Prémier
Congrès International des études Balkaniques et Sud-Est Européennes, II, Sofia, pp. 353-364.
Venedikov I. 1963, Le syncretisme religieux en Thrace à l’époque romaine, in Acta antiqua
Philippolitana, Studia Archeologica, Sofia, pp. 153-166.
Will E. 1955, Le relief cultuel gréco-romain, Paris.
3.14 Oisyme
3.15 Gazoros
La città, situata nella Macedonia orientale (regione Odomantica) a nord dello Strimone,
è ricordata da Stefano di Bisanzio355 per il culto di Artemide Gazoria, per il quale tuttavia non
sono state rinvenute né testimonianze epigrafiche né tracce archeologiche sul terreno. Il culto
della dea è documentato al di fuori del suo paese di origine: da Doxato (nell’area nord-orientale
del territorio di Filippi) proviene una base onoraria eretta dalla sacerdotessa della dea (antistes
Deane Gaszoriae)356 e a Skydra l’esistenza di un santuario della dea è attestato da un atto di af-
francamento per consacrazione e da una dedica ad “Artemi~ ∆Agrotevra Gazwri'ti~ kai; Blou-
rei'ti~” (cfr. supra, pp. 191-192)357.
Bibliografia
Delacoulonche M. 1858, Le berceau de la puissance macédonienne, des bords de l’Halia-
kmon à ceux de l’Axios, Paris.
Papazoglou F. 1988, Les villes de Macédoine à l’époque romaine (BCH Suppl. XVI),
Paris, p. 382.
353
La dedicazione ad Atena è proposta sulla base della presenza della dea sulle monete della città.
354
Giouri, Koukouli-Chrysanthaki 1987; Koukouli-Chrysanthaki, Papanikolaou 1990; Pandermalis 1995.
355
St. Byz. s.v. Gavzwro~.
356
CIL III, 1420613.
357
BCH, 47, 1923, p. 182; Delacoulonche 1858, p. 29.
3.16 Sidirokastro
Strutture e materiali
Presso la parete rocciosa sinistra della gola è stato individuato un muro ad angolo retto in
scapoli lapidei, lungo 3,70 m, che racchiude un’area coperta da uno spesso strato di cenere e
resti di età romana imperiale. Poco più ad est, ad un’altezza di circa 5 m dal piano di calpestio
si trova una nicchia ad arco tagliata artificialmente nella roccia, alta 3 m; al centro è situata una
base emiciclica e 5 basi più piccole per la collocazione di statue cultuali. A terra, sul piano di
calpestio della gola, sono state rinvenute le statue cadute, rotte in frammenti piccoli e gran-
di (frammenti di braccia, gambe, piedi, porzioni di busti e di
teste), insieme ad un tesoretto di monete bronzee e ad una
piccola coppa fittile. Statue, monete e materiali si collocano in
un orizzonte cronologico unitario di II sec. d.C.
Una scalinata tagliata nella roccia consentiva di accedere
alla nicchia cultuale. Alla base della scala si trova un podio a tre
gradini, presso il quale sono stati rinvenuti un frammento di
base iscritta in marmo con dedica al dio Apollo (fig. III.111),
parte di un busto di Apollo del tipo citaredo (fig. III.112) e
una statua acefala di Pan (fig. III.113).
Dallo scavo provengono inoltre numerosi frammenti di
vasellame da mensa e da cucina, ossi di animali, coltelli in fer- Fig. III.111 - Sidirokastro, santuario
di Apollo, delle Ninfe e di Pan, base
ro, monete che consentono di collocare la frequentazione del marmorea con dedica ad Apollo (da
santuario nell’ambito del II secolo e il suo abbandono agli Peristeri-Chalkiopolou 2005, p.
inizi del IV secolo359. 134, n. 7).
Iscrizioni
Nella regione di Sidirokastro fu rinvenuta nel 1964 una lastra marmorea iscritta reim-
piegata come lastra di copertura di una tomba, forse proveniente dal santuario di Mavros
Vrachos.
358
Peristeri, Chalkiopoulou 2005.
359
Il rinvenimento più recente è una moneta di Costantino I (306-337 d.C.).
Sidirokastro 1 lastra di marmo (1 x Il testo, in greco, ricorda la costruzione di AD, 19, 1964, 156 d.C.
0,40 m) templi e altre strutture circostanti, dedicati Chron., p. 379
ad Apollo e Artemide a spese di Gn. Teren-
tius Lucilianus Alexandros e sua moglie.
Culto
I materiali rinvenuti, unitamente all’iscrizione trovata nel 1964 e al paesaggio del santua-
rio ne suggeriscono la dedicazione ad Apollo e Artemide (citata nell’iscrizione reimpiegata e
cui forse vanno riferiti i frammenti di statue femminili rinvenuti nello scavo), cui gli scavatori
affiancano Pan, dio delle grotte e dei boschi, e le Ninfe, il cui culto è spesso legato a quello apol-
lineo in contesti naturali ricchi di acque come quello di Mavros Vrachos.
Bibliografia
Peristeri K., Chalkiopoulou V. 2005, Prwvth anaskafikhv evreuna sto Sidhrovkastro
sth qevsh ããMauvro~ Bravco~ÃÃ katav to 2005, in AErgoMak, 19, pp. 129-134.
3.17 Thasos
L’età romana costituisce per Thasos un periodo di generale prosperità. L’isola è soggetta
a Filippo V di Macedonia dal 202 a.C., ma dopo la sua sconfitta a Cinoscefale (nel 197) contro
Flaminino, il Senato romano proclama la libertà dei Greci e Thasos riacquista l’indipendenza360.
Alleata di Roma, subisce per questo l’assedio di Mitridate; nell’80 a.C. viene ricompensata della
sua fedeltà dal senato romano, che le rende i territori sul continente e le assoggetta le isole di
Skiathos e Peparethos361. Durante le guerre civili alla fine della repubblica la città fu utilizzata
360
Plb., XVIII, 44-45.
361
Dunant, Pouilloux 1958, p. 174.
come base dai repubblicani; vincitore nell’autunno del 42 a.C., Antonio se ne vendica con rap-
presaglie e l’isola perde il controllo di Skiathos e Peparethos.
Augusto e la famiglia imperiale rendono nuovamente a Thasos gli antichi privilegi e i pos-
sedimenti sul continente. Nel 56 d.C. la città accetta, in seguito al testamento di Caninius Re-
bilus (personaggio di rango consolare), la donazione di terre coltivate a grano nella regione di
Filippi362. Sotto il regno di Vespasiano (60-70 d.C.) beneficia di un arbitraggio favorevole in
un conflitto che l’opponeva alla colonia romana di Filippi e ottiene di non assumere l’incarico
della posta imperiale al di fuori del territorio di sua pertinenza e soldati imperiali a sorvegliarne
i limiti.
I numerosi edifici adrianei nella città testimoniano il suo sviluppo per tutta l’età imperiale,
fino almeno alla metà del III secolo (cui risale l’arco dedicato a Caracalla)363; quindi, dopo un
periodo di crisi in seguito all’invasione degli Eruli (267-270), Thasos rinasce in età paleocristiana
e rimane al centro degli interessi imperiali e delle rotte commerciali fino a tutto il VI secolo.
L’isola di Thasos si presenta nel periodo precedente la conquista romana straordinaria-
mente ricca di luoghi di culto (fig. III.114). Nove sono situati all’interno della città eponima,
ubicata sulla costa nord; solo due di questi, l’Artemision e il santuario di Theogenes, risultano
ancora frequentati in epoca romana (cfr. infra), così come il santuario di Aliki localizzato sulla
penisola omonima nel sud dell’isola. Le altre aree sacre di Thasos, dedicate a Dioniso, Poseidon,
Apollo Pizio, Atena Poliouchos, Eracle, Pan e Demetra, cessano le loro attività al più tardi con
la fine dell’età ellenistica.
Il Dionysion, ubicato un centinaio di metri a nord dell’agora, è attivo dall’età arcaica ad
età ellenistica. Il nucleo più antico del santuario (del quale è stata indagata solo la parte set-
tentrionale) è costituito da una fossa sacrificale circondata da quattro lastre di gneiss, risalente
all’età arcaica; alla fine del V - inizi del IV sec. a.C. in adiacenza a questa fu costruito un altare
di marmo. Tra il IV e gli inizi del III sec. a.C. vennero realizzate tutte le altre strutture del san-
tuario: il muro di peribolo (IV sec. a.C.), una grande base votiva situata tra i due ingressi orien-
tale e nord-orientale del temenos (fine IV-inizi III sec. a.C.), un monumento commemorante i
concorsi drammatici cui presiedeva Dioniso (inizi del III sec. a.C.), e un edificio di culto con
quattro colonne doriche sulla facciata ed un basamento ad arco di cerchio all’interno (su cui
sono incisi, oltre al nome del dio, i nomi di alcuni artisti di cui si ricordano le rappresentazioni
teatrali, messe in scena nella seconda metà del IV sec. a.C.)364.
Poco più a nord del Dionysion sorge il santuario di Poseidon, realizzato unitariamente alla
fine del V-inizi del IV sec. a.C. L’ingresso monumentale al recinto, di forma rettangolare, si tro-
va sul lato occidentale; lo spazio interno è occupato da una corte bordata da portici sui lati sud
ed ovest, sulla quale si affacciano due vani di ignota funzione all’angolo nord-est e 6 ambienti
utilizzati come sale da banchetto sul lato sud. Al centro della corte centrale sono collocati una
base di statua di forma circolare, un altare ed una piattaforma rettangolare (forse il basamento
di un piccolo oikos)365.
Le due cime dell’acropoli erano occupate dai santuari di Apollo Pizio e Atena Poliouchos.
Nel sito del Pythion sorgono oggi le imponenti rovine di una fortezza medievale; del santuario
restano solo il muro di terrazzamento orientale, alcuni blocchi di marmo reimpiegati nella for-
tezza, un muro in grossi blocchi all’angolo nord-orientale e alcuni elementi scultorei, tra cui un
362
Dunant, Pouilloux 1958, p. 185.
363
La pavimentazione del passaggio dei Theoroi risale nella sua ultima fase ad età imperiale tarda; la piazza da-
vanti all’Artemision (a nord) ed i suoi edifici cadono in rovina a partire dal III-IV sec. d.C.; la ricca dimora n. 51 viene
costruita nella seconda metà del IV sec. d.C. ed è distrutta dopo il 575 d.C.
364
Bernard, Salviat 1959; Jacquemin 1981; Grandjean, Salviat 2000, pp. 92-94.
365
Bon, Seyrig 1929, pp. 317-350; Grandjean, Salviat 2000, pp. 97-98.
Fig. III.114 - Thasos, pianta generale della città con ubicazione dei principali complessi monumentali (da Huysecom-
Haxhi 2009, pl. 2086).
grande kouros kriophoros trovato inserito in un muro della cappella. I documenti epigrafici ne
indicano la frequentazione in età arcaica e classica366. Del santuario di Atena Poliouchos riman-
366
Holtzmann 1994, pp. 6-13; Grandjean, Salviat 1995, pp. 661-667; Grandjean, Salviat 1996, pp. 875-882;
Grandjean, Salviat 1997, pp. 758-761; Grandjean, Salviat 2000, pp. 109-113.
gono i resti della fondazione di un tempio arcaico e parte del muro di sostegno settentrionale
della terrazza su cui sorgeva il tempio, datati alla metà del VI sec. a.C.; a fine VI-inizi V sec.
a.C. il santuario fu completamente risistemato, con la costruzione di un nuovo muro di terraz-
zamento (che recinge un’area più ampia rispetto alla fase precedente), un propileo di accesso
all’angolo nord-orientale e un nuovo tempio anfiprostilo, davanti al quale è situato l’altare (di
cui restano solo le tracce dei tagli nella roccia)367.
Nel settore meridionale della città è situato il santuario della divinità protettrice dell’iso-
la: Eracle. I resti più antichi, risalenti all’età arcaica (tra la fine del VII e il terzo quarto del
VI sec. a.C.), comprendono un primo tempio, nella porzione settentrionale della terrazza del
santuario, e un altro edificio a sud, costituito da un portico d’entrata, un ambiente con eschara
centrale e vano posteriore. Nel V secolo quest’ultimo edificio venne inglobato in un comples-
so formato da 5 stanze affiancate, affacciate a nord su un portico; nel settore settentrionale fu
eretto un nuovo tempio a camera unica, e lungo il lato orientale fu costruita una lesche con 6
porte aperte ad ovest verso il centro dell’area sacra, dov’era situato l’altare. L’ultima fase edili-
zia, collocabile in età ellenistica, vide l’aggiunta di un porticato ionico intorno ai quattro lati del
tempio e la costruzione di un ingresso monumentale, con propilei fiancheggiati su entrambi i
lati da due larghe scalinate a 6 gradini368. Le sorti del santuario dopo la conquista romana sono
incerte: la pressoché totale assenza di documenti relativi ai secoli I a.C. - I d.C.369 farebbe sup-
porre la scomparsa del culto, che tuttavia altri indizi indicano in qualche modo sopravvissuto
in età medio imperiale. Il più significativo è rappresentato da un’iscrizione incisa sulla base di
una statuetta di Eracle arciere, trovata reimpiegata nel muro meridionale della chiesa bizantina
costruita sopra il tempio: la dedica, ad Eracle Kallinikos da parte di Antigonos, viene datata al
II sec. d.C. e ricorda l’offerta di una lucerna, un vaso di bronzo ed altri oggetti di ignota natu-
ra370. Nei muri della stessa chiesa bizantina sono stati rinvenuti anche diversi frammenti di due
statue colossali di Augusti databili alla fine del II-inizi del III secolo, considerati inizialmente
parte dell’arco di Caracalla e quindi dubitativamente riferiti ad una dedica imperiale nell’He-
rakleion371. Infine, in una lista di nomi risalente al I-II secolo si trova la menzione isolata di un
Thrasydaios figlio di Thraseas, sacerdote a vita di Eracle372.
In posizione periferica rispetto al centro cittadino si trovano infine i santuari di Pan e De-
metra. Il primo, situato ai piedi dell’acropoli, è costituito semplicemente da una nicchia semicir-
colare scavata nella parete rocciosa, il cui fondo è decorato a bassorilievo, con la raffigurazione
di Pan e scene di banchetto; lo stile dei rilievi colloca la cronologia dell’area sacra in età classica
ed ellenistica373. Il Thesmophorion, ubicato subito fuori la cinta muraria a nord, sorgeva su un
promontorio successivamente occupato da una chiesa paleocristiana. Dell’area sacra si conser-
vano un muro di terrazzamento, costruito alla fine del VI sec. a.C. e innalzato poco prima della
metà del IV secolo, alcune antefisse arcaiche, iscrizioni ed ex voto (soprattutto figurine fittili di
oranti). Nella prima metà del III sec. a.C. il santuario fu ampliato a sud con la realizzazione di
una stoa rivolta verso il mare374.
367
Bernard 1960, pp. 864-866; Daux 1961, pp. 930-931; Grandjean, Salviat 2000, pp. 114-116.
368
Launey 1944; Roux 1979; des Courtils, Pariente 1991; des Courtils, Gardeisen, Pariente 1996; Gran-
djean, Salviat 2000, pp. 142-145.
369
Si datano al II-I sec. a.C. solo otto iscrizioni, frammentarie e difficilmente leggibili, riportate in Launey 1944,
pp. 95-96.
370
Launey 1934; Launey 1944, pp. 97 (n. 21), 226.
371
Ch. Picard in CRAI 1912, p. 220, n. 4; M. Launey in BCH, LVIII, 1934, p. 183, n. 2; Launey 1994, pp. 102-103.
372
IG XII, 8, 351, ll. 2-4; Launey 1944, p. 133.
373
Kozelj 1983; Holtzmann 1994, pp. 117-122; Grandjean, Salviat 2000, pp. 117-119.
374
Rolley 1965; Grandjean, Salviat 2000, pp. 102-105.
Artemision
Geografia e topografia
Il santuario, urbano, occupa due terrazze livellate artificialmente su un terreno in forte
declivio che domina l’angolo orientale dell’agora, presso il passaggio dei Theoroi, ai piedi del
pendio nord-occidentale dell’acropoli (fig. III.115). I limiti esatti del santuario a sud-ovest e ad
est non sono stati ancora individuati.
I depositi votivi hanno restituito materiali datati dall’epoca alto-arcaica ad età imperiale.
375
Macridy 1912.
376
Reinach 1912.
377
IG XII, Suppl., 382 e 383: vedi infra.
378
Pouillox 1954, p. 328.
379
Hp., III, 17: il santuario viene citato in riferimento al domicilio di un ammalato.
380
Cfr. G. Daux, Chroniques des fouilles, in BCH, 82, 1958, pp. 808-814; BCH, 83, 1959, pp. 775-781; BCH, 84,
1960, pp. 856-862; BCH, 85, 1961, pp. 919-930.
381
BCH, 90, 1966, pp. 944-963.
382
A causa dello slittamento dei muri di sostegno della terrazza superiore e dell’erosione delle acque è andata
perduta la sezione nord-occidentale del temenos; gli strati di interro della terrazza si sono riversati nell’area sotto-
stante e i livelli di vita più recenti del santuario sono scomparsi.
datata al VII sec. a.C., unico resto edilizio relativo alle prime fasi di vita del santuario, la cui
iniziale organizzazione architettonica non è quindi ricostruibile. Completano il quadro delle
origini del santuario i ritrovamenti ceramici, costituiti da vasellame di VII e inizi VI sec. a.C.
rinvenuto in grande quantità in un deposito sul fondo della terrazza superiore, ad est del porti-
co costruito in età tardo-ellenistica; su tale ritrovamento si basa l’ipotesi che in quest’area fosse
installato in origine il culto.
Per quanto riguarda gli ex-voto più antichi, nella campagna di scavo del 1960383 sono stati
rinvenuti nel settore orientale del peribolo quadrato della terrazza superiore frammenti di una
statua in terracotta datata al VII sec. a.C., una peplophoros di dimensioni superiori al naturale.
383
BCH, 85, 1961, pp. 919-930.
Età arcaica
Strutture
La terrazza superiore è oggetto in età arcaica di alcuni interventi edilizi, testimoniati pur-
troppo solo da un muro in grandi blocchi di ignota funzione individuato nel settore centrale
del recinto e datato all’inizio del VI sec. a.C. Tuttavia un po’ più in alto, a sud, alcune tracce
nella roccia (non databili) indicano l’ubicazione di un edificio completamente scomparso; in
quest’area sono stati raccolti numerosi elementi di copertura arcaici (tegole, coppi, antefisse
pentagonali o semicircolari decorate)384, che hanno suggerito l’ipotesi della realizzazione in
questa fase di un edificio (forse un tempio) che dominava l’intera terrazza da una posizione
sopraelevata.
La terrazza inferiore fu costruita nel VI sec. a.C., cui risale il muro di sostentamento in
piccolo apparato poligonale visibile nel settore nord-occidentale. Nell’area davanti al propileo
di accesso alla terrazza inferiore (costruito in una fase successiva, nel IV sec. a.C.) era un’ampia
spianata a pianta irregolare, sulla quale, a nord e a nord-est, si aprivano dei locali di servizio
(laboratori, magazzini), risalenti in una prima fase al VI sec. a.C. ma utilizzati e rimaneggiati
fino ad età imperiale. Viene datato su base stratigrafica alla fine del VI-inizi V sec. a.C. l’altare
monumentale (8,90 x 5 m circa) situato a nord del recinto rettangolare, rivolto ad est, di cui si
conservano solo i due gradini del basamento; nei pressi (a sud-ovest e presso l’angolo nord-est)
sono state individuate varie basi di statue. L’altare è circondato da un interro ricco di ex voto
spezzati di VI sec. a.C. e di ossi delle vittime sacrificali (ovini, caprini e bovini), che farebbero
pensare all’esistenza di un altare non monumentale precedente all’altare in marmo localizzato
nello stesso punto. In fase con la costruzione dell’altare viene realizzato un canale di scolo che
parte dall’angolo settentrionale dell’altare stesso.
Votivi
Terrecotte votive di età arcaica385 sono state rinvenute principalmente durante le campagne
di scavo del 1957-60; si tratta di figurine per lo più raffiguranti una dea matronale, seduta op-
pure in piedi, con diadema o polos. Ad età arcaica risalgono anche specchi e gioielli di bronzo,
oro e avorio386.
Ad est del peribolo quadrato della terrazza superiore sono stati rinvenuti frammenti di
korai arcaiche in terracotta a grandezza naturale, vestite alla moda ionica.
Età classica
Strutture
Nel IV sec. a.C. il muro di sostenimento della terrazza inferiore viene in gran parte sman-
tellato e sostituito da un muro in grandi blocchi di marmo a bugnato, di cui restano i primi due
corsi. Si accedeva alla terrazza inferiore tramite una scalinata ed un propileo monumentale (oggi
molto danneggiato), databili anch’essi al IV sec. a.C. Il propileo si apriva a nord-ovest con due
porte gemelle separate da un pilastro, attraverso le quali si accedeva ad una sala rettangolare leg-
germente irregolare, e quindi all’interno dell’area sacra tramite un piccolo portico a tre colonne
fra due ante (fig. III.116).
Viene datato al V-IV sec. a.C. anche il recinto quadrato, di 100 piedi (33 m) di lato, che
occupa la terrazza superiore del santuario.
384
Guide de Thasos 1968, pp. 100-103.
385
Per uno studio completo delle figurine fittili e delle statue in terracotta del santuario si vedano Weill 1985 e
Huysecom-Haxhi 2009.
386
BCH, 82, 1958, pp. 231 e 808-814.
Iscrizioni
Il nome di Artemide compare per la prima volta in una
dedica datata alla fine del IV sec. a.C., rinvenuta su di un bloc-
co di marmo reimpiegato in un edificio moderno nell’area del
santuario387.
Votivi
Nel settore settentrionale del santuario è stato rinvenuto
un deposito di terrecotte votive388 rappresentanti figure femmi-
nili di età classica e soprattutto ellenistica, tra cui sono nume-
rose le protomi, suddivise in quattro tipologie389: peplophoros
con velo che ricade sulle spalle; figure femminili chon chitone
e himation, le braccia ripiegate sul petto; figurine con un frut-
to (melograno?) nella mano sinistra e un bocciolo nella destra;
teste con stephane a rosette. Il numero e la tipologia delle terre-
cotte votive aumentano a partire dal IV sec. a.C. (figure femmi-
nili drappeggiate in atteggiamenti diversi, danzatrici, gruppi di
due figure femminili sotto lo stesso velo, kourotrophoi, ecc.).
Età ellenistica
Strutture
Nel settore sud-orientale della terrazza superiore si con-
serva il muro di peribolo di II sec. a.C.; secondo gli scavatori il
muro di recinto precedente, risalente al V-IV sec. a.C., venne
abbattuto e ricostruito un po’ più ad est, contro la roccia, riu-
Fig. III.116 - Thasos, Artemision, pian tilizzando i materiali antichi. Nell’angolo meridionale, davanti
ta e assonometria ricostruttiva del pro- al nuovo recinto, è un gruppo di basi allineate, protette da un
pileo (da Grandjean, Salviat 2000, p. portico, di statue onorifiche di notabili tasie, dedicate a partire
90, fig. 43). dalla costruzione del peribolo stesso fino al II sec. d.C.
Votivi
Numerose sono le terrecotte votive di età ellenistica, rappresentate dai medesimi tipi ri-
scontrati negli ex voto di età classica (cfr. supra).
Età romana
L’area sacra conosce probabilmente una fase di parziale abbandono (forse da collocarsi
nel primo periodo della dominazione romana, durante le guerre civili) ipotizzabile sulla base
del riferimento nell’iscrizione di Epie “alcune aperture sono murate, altre senza battenti” (cfr.
infra); in seguito, il santuario è oggetto di importanti interventi edilizi che ne testimoniano la
vitalità fino al IV sec. d.C.
Strutture
Terrazza inferiore. Un significativo intervento di età romana nella terrazza inferiore del san-
tuario è testimoniato da un’iscrizione, che ricorda come il propileo di accesso, caduto in rovina,
387
Pouilloux 1954, p. 329.
388
Per la tipologia si veda anche Mallios 2004.
389
Cfr. BCH, 85, 1961, p. 920.
venga restaurato ed abbellito nel I sec. a.C. da una ricca cittadina di Thasos. Sono state individuate
esigue tracce archeologiche a supportare la testimonianza epigrafica, ovvero alcuni materiali defi-
niti “di età imperiale” rinvenuti nella fossa di fondazione della scalinata di accesso ai propilei390.
Ad est dei propilei gli ambienti di servizio (laboratori, magazzini), risalenti in una prima
fase al VI sec. a.C., subiscono alcuni interventi datati ad età alto-imperiale. In questo periodo
risultano essere in vita un ambiente artigianale pressoché quadrato (a), fiancheggiato ad est da
un vano scavato solo in parte (b) interpretato come atelier di pittura (sulla base dei materiali
rinvenuti all’interno, collocabili all’inizio del III secolo e quindi relativi all’ultimo periodo di
vita dell’edificio: vasi contenenti pigmenti colorati, un barattolo di piombo con resti di pol-
vere d’oro, pesi e misure in piombo, stampi a conchiglia); a nord-ovest di questi due ambienti
è un altro vano (c), diviso in due parti in un momento non precisabile, nel quale i livelli di età
imperiale coprono e obliterano una fase di IV sec. a.C. caratterizzata dalla presenza di alcuni
pithoi, con evidente funzione di magazzino. Ha sicura funzione di magazzino in età romana
l’ambiente “d”, ricavato nello spazio tra i vani appena descritti e i propilei, nella cui parte
settentrionale sono state rinvenute numerose anfore e vasi; salendo due gradini si accedeva ad
un altro spazio con possibile funzione di cucina (all’interno sono stati trovati coltelli ed una
graticola). La distruzione di tutto il complesso di ambienti di servizio è datata agli inizi del
III sec. d.C.391.
Altre strutture murarie di età romana (datate provvisoriamente nelle relazioni di scavo al
III sec. d.C.) sono state rinvenute nella terrazza inferiore del santuario a nord dell’altare mo-
numentale392, ma sono state smantellate dagli scavatori senza averne compreso articolazione e
funzione.
L’organizzazione monumentale del resto della terrazza sembra permanere in età romana
senza cambiamenti; il termine della frequentazione di carattere sacro del santuario può essere
fissato al IV sec. d.C., quando il grande altare di marmo viene spogliato.
Terrazza superiore. A causa dei danneggiamenti subiti dalla terrazza superiore in età post-
antica non è possibile ricostruirne la sistemazione di età romana. Le uniche testimonianze di
questa fase sono costituite dalle basi di statue onorifiche (cfr. infra) nel portico all’angolo me-
ridionale del recinto quadrato. Durante le prime indagini dell’école Française è stata inoltre
individuata una struttura rettangolare (indicata nelle relazioni di scavo come “edificio romano
tardo”393, ma non rilevata e assente nelle piante) di circa 8 x 5,50 m, il cui lato lungo è addossato
al muro nord-orientale del peribolo quadrato, costruita con blocchi smontati dal recinto evi-
dentemente quando questo cadde in disuso. La struttura è in relazione con uno strato datato
ad età romana tarda (fine IV-V secolo) contenente 6 monete bronzee di Costantino, Costanzo
II, Valente, Valentiniano II; si tratta dunque di un intervento edilizio non riferibile alla vita del
santuario, ma successivo al suo abbandono. Articolazione e funzione dell’edificio rimangono
ignote.
Iscrizioni
Il più importante documento epigrafico relativo alla vita del santuario in età romana è co-
stituito da una stele iscritta rinvenuta nel 1958 reimpiegata come lastra di fondo in una tomba
cristiana (Thasos 1). L’iscrizione contiene 4 decreti e fa riferimento al restauro e abbellimento
dei propilei di accesso all’Artemision a spese di Epìe figlia di Dionysios.
390
BCH, 83, 1959, pp. 775-781.
391
BCH, 107, 1983, pp. 869-875.
392
Cfr. BCH, 104, 1980, p. 718, fig. 1 (O-P8) e BCH, 105, 1981, p. 932.
393
Cfr. BCH, 101, 1977, pp. 687-692.
Gli altri testi epigrafici relativi alla vita del santuario in età romana provengono dalle basi
di statue rinvenute presso l’angolo sud-orientale del recinto rettangolare della terrazza superio-
re del santuario.
Thasos 1 stele a frontone (2 x “A l’unanimité: attendu qu’Épié, fille de Salviat 1959 I sec. a.C.394
0,83 x 0,12 m), reim- Dionysios, se comporte avec piété envers les
piegata come lastra di dieux, et avec dévouement envers le peuple;
fondo di una tomba attendu que pour assumer les charges de
cristiana vicino al néocore, elle s’est toujours volontiers offerte;
cimitero moderno attendu qu’en de telles circonstances, elle
(Patargia) n’a pas seulement montré son zèle envers
la communauté, mais qu’elle a encore res-
tauré les temples à ses frais, et qu’elle a, la
première, consacré des offrandes dans l’Ar-
témision et le temple d’Afrodite; attendu
qu’elle fait aussi, en toute occasion, à l’égard
de ses concitoyens, preuve de dévouement
de pareille manière, et qu’elle a maintenant
l’intention de construire le propylée de l’Ar-
témision à ses frais, avec des colonnes de
marbre, des entablements, des portes – car
dans l’état actuel certaines ouvertoures sont
murées, d’autres sont sans vantaux –: plaise
au conseil et au peuple qu’Épié fille de Dio-
nysios soit louée pour son mérite, sa vertu, et
pour sa générosité envers la cité; et qu’après
avoir construit le propylée elle y inscrive:
“Épié, fille de Dionysios, a dédié la restaura-
tion et la construction du propylée à Artémis
Eileithyié et au peuple”.
A l’unanimité: attendu qu’Épié, fille de Dio-
nysios, en beaucoup d’autres circonstances
a montré son zèle envers les dieux et envers
ses concitoyens; attendu que, menant une vie
digne de la noblesse et de l’honneur hérités
de ses ancêtres, elle ne veut laisser échapper
aucune occasion où elle puisse montrer en
quelque action son zèle à l’égard des di-
vinités, soit à l’égarde des hommes, et que
maintenant, pour un sacerdoce qu’aucune
autre ne veut assumer parce qu’il ne rapporte
aucun revenu et qu’il est source de grandes
dépenses, elle veut bien accepter de se charger
des dépenses qu’il entraîne avec la parure et
le service des Déesses: plaise au conseil et au
peuple qu’elle soit louée et jugée digne de tout
honneur à cause de ses ancêtres et de sa propre
générosité, et qu’elle soit fatre prêtresse de
Zeus Eubouleus attachée aux autels
394
Salviat ipotizza che il restauro del santuario finanziato da Epìe possa verosimilmente essere avvenuto in un
periodo di ricchezza; propone quindi di situare l’intervento della benefattrice o nei decenni successivi al Senatus
Consultus di Silla, che concedette alla città uno statuto privilegiato, oppure in età augustea, in cui la città sembra aver
goduto di una certa prosperità.
Thasos 6 base di statua rinve- Dedica in greco da parte del popolo di una IG XII, II sec. d.C.
nuta nell’Artemision statua di Cleopatra, figlia di Antianax, don- Suppl., 384
lungo il muro sud- na modesta e saggia, per tutta la sua virtù.
orientale del recinto
rettangolare della
terrazza superiore
Thasos 7 frammento di stele Iscrizione in greco di Artemidora figlia di Dunant, fine II-inizi
(0,18 x 0,18 x 0,07 m) Theophilos. Pouilloux III sec. d.C.
1958, p. 179,
n. 345
Monete
Emissioni tasie dei regni di Adriano, Marco Aurelio, Caracalla sono state rinvenute nei livelli di
distruzione delle strutture di servizio a nord-
est dei propilei; 6 monete bronzee di Costan-
tino, Costanzo II, Valente, Valentiniano II,
provengono da uno strato relativo ad un edi- Fig. III.117 -
Thasos, Artemi
ficio tardo, non più visibile, a nord-ovest del sion, statua di
recinto quadrato della terrazza superiore. Are (da Linfert
1976, tav. 57, n.
Votivi 306).
Lungo il muro sud-orientale del re-
cinto rettangolare della terrazza superiore è
stata rinvenuta nel 1909 una serie di basi, di
cui quattro iscritte (cfr. supra), su cui erano
statue femminili, rinvenute nelle vicinanze
in giacitura secondaria395: sono le statue di
Are, figlia di Néon (dedicata nel I sec. a.C.),
di Kodis, figlia di Dionysodoros (II-I sec.
a.C.), di Chryse, figlia di Cleandrides (I sec.
a.C.), e di Cleopatra, figlia di Antianax (II
sec. d.C.), cui vanno aggiunte altre tre statue
femminili anonime (figg. III.117-III.123).
Tali dediche di statue di nobili donne di
Taso sono state messe in relazione con una
probabile risistemazione del santuario nel I
sec. a.C., testimoniata anche dall’iscrizione
di Epìe figlia di Dionysios.
Culto
Il numero e la qualità delle dediche ad
Artemide in età romana da parte di nobili
donne di Taso fa pensare ad una qualche for- Fig. III.118 - Thasos, Artemi- Fig. III.119 - Thasos, Arte-
ma di culto privato o riservato all’alta società sion, statua di Kodis (da Lin- mision, statua di Chryse (da
femminile della città396. fert 1976, tav. 57, n. 307). Linfert 1976, tav. 55, n. 292).
395
Cfr. Salviat 1959, p. 379; Mus. Istanbul nn. 2148, 2149, 2150, 2151, 2152, 2154, 2155. Per un’analisi stilistica
delle statue cfr. Mendel 1966, pp. 336-346; Linfert 1976, pp. 125-126, 184-186 (sul problema dell’identificazione
delle statue), tavv. LV-LVI, figg. 291-302, tav. LVII, 305-310, tav. LXVI, 330-332, tav. LVIII, 311-313.
396
Cfr. Dunant, Pouilloux 1958, p. 179.
Fig. III.120 - Thasos, Arte- Fig. III.121 - Thasos, Ar- Fig. III.122 - Thasos, Ar- Fig. III.123 - Thasos,
mision, statua di Cleopatra temision, statua femminile temision, statua femminile Artemision, statua
(da Grandjean, Salviat anonima (da Linfert 1976, anonima (da Linfert 1976, femminile anonima
2000, p. 91, fig. 44). tav. 56, n. 296). tav. 56, n. 299). (identificata con
Aelia Briseis dal Ma-
cridy) (da Linfert
1976, tav. 58, n. 312).
Sulla base dell’iscrizione IG XII, Suppl., 387, nella quale il sacerdote di Zeus Augusto
dedica una statua alla moglie definita provmustin, qea;n epifanh', è stato a lungo sostenuto che
nel santuario si celebrassero in età romana dei “misteri” di Artemide; l’ipotesi, supportata da
quest’unico dato, non sembra tuttavia sufficientemente convincente397.
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397
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Chroniques del BCH dal 1977 al 1986 (A. Jaquemin, J.-J. Maffre, F. Salviat):
J.-J. Maffre, F. Salviat in BCH, 101, 1977, pp. 687-692
J.-J. Maffre, F. Salviat in BCH, 102, 1978, pp. 821-829
A. Jacquemin in BCH, 104, 1980, pp. 717-719
J.-J. Maffre, F. Salviat in BCH, 105, 1981, pp. 932-938; A. Jacquemin in BCH, 105, 1981,
pp. 942-946
A. Jacquemin in BCH, 106, 1982, pp. 660-669
A. Jacquemin in BCH, 107, 1983, pp. 867-875
J-J. Maffre, A. Queyrel in BCH, 108, 1984, pp. 869-872
J-J. Maffre in BCH, 110, 1986, pp. 793-797
Santuario di Theogenes
Geografia e topografia
L’area sacra si trova nell’ango-
lo nord dell’agora, a nord-ovest del
monumento alla famiglia di Augusto
(fig. III.124, nn. 31-32).
398
BCH, 63, 1939, Chronique, p. 319.
399
Martin 1940.
400
Plut., Prae. ger. reip., 15 d-e; Paus., VI, 2, 2, 7; D. Chr., XXXI, 95 e ss.; Luk., De Deor. conc. 12 e ss, Hist.
conscr. 35; Ath., 1, 4; Eus., Praep. evang., V, 34, 2-7, 9.
Strutture
L’area sacra si componeva di un al- Fig. III.125 - Thasos, plastico ricostruttivo dell’angolo nord
tare circolare di marmo, di cui resta solo dell’agora: in primo piano, altare e thesauros di Theogenes (da
la base a tre gradini (in un blocco della Grandjean, Salviat 2000, p. 75, fig. 32).
quale è fissato un anello di ferro per le
vittime sacrificali)404, e di una statua di Theogenes, ricordata da Dione Crisostomo405, proba-
bilmente collocata sulla base quadrangolare a nord-est dell’altare406 (fig. III.125). Nei pressi di
questo sono state rinvenute ceneri e resti sacrificali. Rimane incerta la collocazione del thesauros
(fig. III.126), che una prima ipotesi di Salviat situava sopra la fondazione circolare dell’altare,
come base della statua407. L’altare e il thesauros si datano ad età tardo ellenistica (rispettivamente
a II e metà I sec. a.C.): è probabile che in questo periodo venne a crearsi nell’agora uno spazio di
culto dell’eroe, la cui statua era già oggetto di venerazione da età tardo classica.
Iscrizioni
Si riportano di seguito sia i documenti epigrafici rinvenuti nell’area del santuario (nn. 8-9)
sia altre iscrizioni di età romana dedicate a Theogenes scoperte nell’isola.
401
BCH, 69, 1944, Chronique, p. 443.
402
BCH, 74, 1950, Chronique, p. 341; Pouilloux 1954, pp. 76-77. La fondazione circolare del monumento era
stata rinvenuta nel 1948, ma F. Chamoux l’aveva interpretato come altare di ceneri, senza elevato (BCH, 73, 1949,
Chronique, pp. 544-545).
403
Dunant, Pouilloux 1958, pp. 157-158, n. 322; BCH, 86, 1962, p. 594, n. 15 (I sec. d.C., rinvenuta nel sud
dell’isola); BCH, 91, 1967, p. 579, n. 26 (II sec. d.C., rinvenuta presso la “porte au char”).
404
La descizione analitica della struttura è in Salviat 1956. Sugli anelli per le vittime sacrificali, presenti in più
serie anche nel santuario di Zeus Olympios di Dion e attestati in numerosi contesti sacri in tutta la Grecia, si veda
Robert 1955, pp. 44-45.
405
D. Chr., XXXI, 96.
406
Grandjean, Salviat 2000, p. 76.
407
Salviat 1956, pp. 158-160; cfr. anche Pouilloux 1994, p. 205.
II.
Quiconque veut assurer sa propre prospéri-
té, celle de ses enfantes et de sa femme offre
l’ejparch; à Théogènes [P. Roussel, BCH 64,
1940, 289].
Thasos 9 lastra di marmo bian- Dedica in greco al dio Theagenes. Dunant, II-III sec.
co (0,13 x 0,18 x 0,03 Puoilloux d.C.
m) rinvenuta presso i 1958, pp. 157-
propilei dell’agora 158, n. 322
Thasos 10 base di marmo (0,30 x Dedica in greco al theos epiphanes Theoge- BCH 86, I sec. d.C.
0,42 x 0,43 m) rinve- nes da parte di Neikadas figlio di Eraclide e 1962, p. 594,
nuta in un campo nei Nikaia figlia di Eragoros408. n. 15
pressi di Limenaria
(nel sud dell’isola)
Thasos 11 stele di marmo (0,62 x Dedica in greco al dio patrios Theagenes da BCH, 91, II sec. d.C.
1,95 x 0,09 m) rinve- parte di C. Fabricius Iustus per il congedo 1967, p. 579,
nuta nella carreggiata dall’esercito di suo padre P. Fabricius Iu- n. 26
moderna presso la stus409.
“porte au char”
Thasos 12 lastra di marmo di Dedica in greco a Theogenes da parte di Li- IG XII, Sup-
Thasos (0,13 x 0,23 cinius P. f. (il cognomen è perduto). pl., 425
m) proveniente da
Limenas
Culto
La statua dell’atleta fu probabilmente eretta nell’agora in-
torno al IV sec. a.C.410, come suggerirebbe il rinvenimento di un
frammento di base di statua con iscritta una lista di vittorie, da-
tabile all’inizio del IV sec. a.C.411. La storia del giovane, figlio di
Timoxenos, pugile e pancraziaste vittorioso a Olimpia nel 480
e nel 476, è raccontata da numerosi autori antichi: in particola-
re, Plutarco ricorda le sue vittorie nel pugilato, nel pancrazio e
nella corsa, e la sua smania di essere sempre il vincitore anche in
contesti non competitivi412, e Pausania ne traccia una biografia,
dalle sue manifestazioni di forza sovrumana già da fanciullo, alle
vittorie atletiche, all’esilio della sua statua dopo la sua morte e
agli onori resigli come ad un dio, in Grecia e tra i barbari, per i
suoi poteri iatrici413. Fig. III.126 - Thasos, santuario di
Theogenes, thesauros (da Cha-
moux 1979, p. 149, fig. 7).
408
I nomi dei due dedicanti sono diffusi a Thasos. Questa è la più antica dedica in cui Theogenes venga definito
theos.
409
I nomi dei dedicanti sono latini, ma dedicano al dio patrios Theagenes: secondo Bernard e Salviat si tratta di
tasii (BCH, 91, 1967, p. 581).
410
Pouilloux 1954, pp. 82, 103; Grandjean, Salviat 2000, p. 75.
411
Pouilloux 1954, pp. 78-82, n. 9: è il periodo in cui il figlio di Theogenes, Disolympios, esercitò la carica di
theoros.
412
Plut., Prae. ger. reip., 15 d-e.
413
Paus. VI, 11, 2-9.
Lo studio delle iscrizioni in suo onore ha evidenziato come verso la fine del I-II secolo
d.C. il nome dell’eroe sia mutato da Theogenes in Theagenes (nome, quest’ultimo, che si ri-
trova anche nei testi letterari)414. Le testimonianze epigrafiche sopra riportate indicano inoltre
come in età imperiale egli sia chiamato theos, e in un caso theos patrios: Launey spiega l’epiteto
ricollegandosi a Pausania, che riporta una diceria diffusa tra i tasii, secondo la quale Theogenes
sarebbe stato figlio di Eracle415.
Sulla scorta di R. Martin416, è possibile in sintesi tracciare una evoluzione del culto di The-
ogenes/Theagenes, in un primo momento semplicemente onorato da una statua nell’agora della
città, quindi lentamente trasfigurato in divinità vera e propria: una trasfigurazione che si compie
tramite la sua affiliazione ad Eracle e l’attribuzione di poteri di guarigione alla sua effigie417.
Non è noto il momento della nascita del temenos dell’eroe-dio, tuttavia il processo di “deifi-
cazione” doveva essere compiuto nel I sec. a.C., quando un regolamento iscritto nel santuario
prescrive le modalità con cui compiere il sacrificio. La venerazione, come dimostrano i docu-
menti epigrafici, continuerà poi senza soluzione di continuità fino al II-III secolo, quando la
prassi ormai consueta di deificazione degli imperatori renderà naturale rivolgersi all’eroe deno-
minandolo theos418.
Bibliografia
Chamoux F. 1979, Le monument “de Théogénès”: autel ou statue? in Thasiaca (BCH Sup-
pl. V), Paris, pp. 143-153.
Dunant C., Pouilloux J. 1958, Recherches sur l’histoire et les cultes de Thasos, II. De 196
avant J.-C. jusqu’à la fin de l’Antiquité, Paris, pp. 157-158.
Grandjean Y., Salviat F. 2000, Guide de Thasos, Paris, pp. 73-76.
Launey M.M. 1941, L’athlète Théogènes et le iJerov" gavmo" d’Héraklès Thasien, in RA, pp.
22-49.
Martin R. 1940, Un nouveau règlement de culte thasien, in BCH, 64, pp. 163-200.
Pouillox J. 1954, Recherches sur l’histoire et les cultes de Thasos, I. De la fondation de la
cité à 196 avant J.-C., Paris, pp. 61-105.
Pouilloux J. 1994, Théogènes de Thasos... quarante ans après, in BCH, 118, pp. 199-206.
Salviat F. 1956, Le monument de Théogénès sur l’agora de Thasos, in BCH, 80, pp. 147-
160.
Santuario di Aliki
Geografia e topografia
Il santuario si trova in fondo alla baia orientale della penisola di Aliki, a sud-est dell’isola
di Thasos (fig. III.127). Tutto il settore meridionale della penisola è occupato da cave di marmo
(fig. III.128), sfruttate senza interruzione dal VI sec. a.C. al VII sec. d.C. e in modo intensivo
da età romana alto-imperiale.
Dell’area sacra, non completamente scavata, si conoscono solo due edifici di pianta iden-
tica, parallelamente orientati a nord-est, che sorgono su un terrazzamento costruito artificial-
414
Pouilloux 1994, p. 200.
415
Launey 1941.
416
Martin 1940, pp. 197-199.
417
Come ricorda Pausania, quando la sua statua fu ripescata dal mare cessò la carestia per l’isola. Luciano (Luk.,
De Deor. conc., 12) narra che gli antichi ricorrevano a lui contro le febbri. Martin ritiene che il culto dell’eroe tasio
abbia seguito un’evoluzione ed espansione comune a numerosi altri culti eroici in età ellenistica e romana.
418
Cfr. Pouilloux 1994, p. 206.
mente a nord e tagliato nella roccia a sud. Probabilmente dedicata ad Apollo, risale forse alla
metà del VII sec. a.C. (poco dopo l’arrivo dei Pari nell’isola) e viene frequentata fino alla fine
del paganesimo.
419
Perrot 1864; BCH, 86, 1962, pp. 949-959; BCH, 88, 1964, pp. 884-894; BCH, 89, 1965, pp. 964-975.
420
Conze 1860.
421
Miller 1889, pp. 189-190, 319, 328-329, 330-336.
Il primo ad intraprendere gli scavi nel sito è Th. Bent422 nell’inverno 1886-1887. Gli scavi
interessano parte dell’edificio a nord; nell’angolo sud-occidentale di questo vengono messi in
luce una piattaforma, un elemento architettonico in marmo con l’iscrizione DAOS APOLL423 e
una statua arcaica maschile frammentaria. Sulla base di questi ritrovamenti il Bent interpreta il
complesso come un santuario di Apollo di età arcaica con modifiche di età romana tarda.
Nel 1904 l’epigrafista C. Fredrich si reca ad Aliki per prendere visione delle iscrizioni
segnalate dal Bent424; rifacendosi all’edizione di E. Hicks delle iscrizioni rinvenute negli sca-
vi425, egli attribuisce il santuario a Poseidon, ma non fornisce alcuna nuova indicazione sullo
stato del sito. Una descrizione dettagliata del sito (ma poco soddisfacente, a causa del cattivo
stato in cui si trovano i resti) viene poi redatta da J. Baker-Penoyre in seguito ad una sua visita
nel 1907426.
Gli scavi riprendono solo nel 1924 con un’unica campagna condotta da A. Laumonier e
Y. Béquignon427, con i quali viene completamente messo in luce l’edificio nord. Dopo una pausa
di oltre trent’anni, J. Servais e P. Bernard riavviano le indagini nel 1961 fino al 1964, mettendo
in luce anche l’edificio porticato nel settore meridionale.
Dal 1964 ad oggi il sito non è stato più oggetto di indagini archeologiche. I risultati di oltre
un secolo di studi sul santuario sono pubblicati da J. Servais nel 1980428.
Le origini
L’inizio della frequentazione di carattere sacro nel sito rimane sostanzialmente non pre-
cisabile. I resti più antichi relativi al santuario sono infatti costituiti da due sole strutture
murarie che si incrociano ad angolo retto localizzate subito ad ovest dell’eschara dell’edificio
più a nord (fig. III.129); i due setti murari, in blocchi di marmo di diverse dimensioni assem-
blati a secco, sostenevano secondo gli scavatori la terrazza del santuario originario e vengono
datate su base stratigrafica alla seconda metà del VII sec. a.C. I materiali relativi alle prime
fasi di vita del santuario sono costituiti da frammenti ceramici non identificabili con certezza
come ex voto429.
Età arcaica
Strutture
Il santuario vede la costruzione degli edifici attualmente in luce (fig. III.130) nel corso del
VI sec. a.C.; si tratta di due ambienti interpretati dagli scavatori come luoghi per l’accoglienza
dei fedeli e lo svolgimento dei banchetti sacri.
Intorno al 530-525 a.C. risale la costruzione della terrazza settentrionale, divisa in due
parti: ad ovest è un portico ionico colonnato (6 colonne fra le ante), sul quale si affacciano ad est
due ambienti di diverse dimensioni, quello settentrionale (più grande) con eschara (2 x 1,70 m)
al centro. L’intero edificio è di forma quasi quadrata e misura 16 x 16,50 m; di questa prima
fase restano visibili in situ il muro sud, la metà del muro di fondo con il settore meridionale del
pavimento, la parte destra della facciata.
422
Bent 1887a; Bent 1887b. Le iscrizioni sono pubblicate in Hicks 1887.
423
IG XII, 8, 592.
424
Fredrich 1908.
425
Hicks 1887.
426
Baker-Penoyre 1909.
427
Laumonier, Béquignon 1925.
428
Servais 1980.
429
Cfr. Servais 1980, p. 24.
Fig. III.129 - Thasos, Aliki, pianta delle strutture sacre (da Servais 1980, fig. 4).
Votivi
Sembra risalire al 550 a.C. circa il kouros monumentale rinvenuto dal Bent nell’edificio
nord (fig. III.131), cui si affiancano altri tre frammenti pertinenti a kouroi (frammenti di ginoc-
chio e di gamba destra) trovati negli scavi del 1961 e 1962432. Facevano verosimilmente parte di
un unico ex voto, inoltre, una base a forma di capitello e un piede di kouros datati intorno al
525 a.C.433.
430
Per gli scavi dell’edificio sud cfr. BCH, 88, 1964, pp. 884-894; per i restauri (anasylosis della prima colonna
dello stilobate e raddrizzamento del muro sud) cfr. BCH, 89, 1965, pp. 964-966.
431
Si riferisce ad una grotta cultuale anche un’iscrizione rinvenuta su una lastra di marmo nella zona dell’istmo
di Aliki (Bernard, Salviat 1967, p. 583, n. 31), datata a fine IV-inizi III sec. a.C.
432
Cfr. Servais 1980, pp. 28-29.
433
Cfr. Servais 1980, pp. 31-33, figg. 37-39.
Culto
Per quanto riguarda il culto, pare in definitiva
assodata la consacrazione del santuario ad Apollo435,
sulla base dei ritrovamenti epigrafici e dei materiali
rinvenuti. J. Servais ipotizza che si tratti di un san-
tuario civico importante, forse di Apollo Archegetas,
data la posizione, agli antipodi dell’isola rispetto alla
città di Thasos (forse nel luogo del primo sbarco dei
coloni), l’insieme monumentale e il ritrovamento di
una stele (cfr. infra) che fissa le distanze dal santuario
alla città.
è significativo ricordare la celebrazione a Tha-
sos fin dall’età arcaica delle feste Komaia, dedicate ad
Apollo Komaios, dio dei komai (i piccoli insediamenti
sui quali era basata la sua gestione amministrativa)436;
la festa esaltava l’identità politica e l’unitarietà dello
Fig. III.130 - Thasos, Aliki, pianta del santuario spazio civico, seppure articolato in realtà dissemina-
(da Grandjean, Salviat 2000, p. 163, fig. 110).
te in tutto il territorio dell’isola. In alcuni villaggi si
sacrificava in onore del dio, sul cui altare si prestava giuramento in occasione delle vendite
fondiarie437.
Età classica
Strutture
Negli anni 470-465 a.C. il porticato ionico dell’edificio a nord viene
parzialmente sostituito con un più grande colonnato dorico monumentale
con quattro colonne fra le ante, che non fu però mai portato a termine, non
essendo mai stata eretta la quarta colonna all’angolo sud-orientale.
Al IV sec. a.C. risale poi probabilmente il rifaci-
mento della porta che collega il portico all’ambiente più
a sud dell’edificio settentrionale. Sembrano infatti rela- Fig. III.131 - Tha-
tivi a tale ingresso la soglia in situ e l’architrave, entram- sos, Aliki, kouros
rinvenuto nell’area
bi con iscrizione di IV sec. a.C. (la soglia con il nome sacra (da Gran-
DAOS, l’architrave con la dedica DAOS APOLL; cfr. djean, Salviat 2000,
infra) riportante il nome di chi finanziò il restauro. p. 239, fig. 164).
434
Servais 1980, pp. 24-27.
435
Per un approfondimento del problema e delle ipotesi sulla dedicazione del santuario, cfr. Servais 1980, pp.
73-75.
436
Salviat 1958, pp. 195, 261-263. La menzione delle feste Komaia di Thasos si trova in una stele rinvenuta nella
zona dell’agora, riportante il divieto di denuncia in particolari giorni dell’anno, tra cui appunto quelli delle feste.
Non è nota la divinità cui queste feste erano dedicate, ma Apollo è considerata la più probabile (cfr. anche Salviat,
Servais 1964, p. 287).
437
Thphr., Fragm., 92.
Iscrizioni
I rinvenimenti epigrafici provenienti dal santuario sono raccolti in IG XII, 8, 581-604
(successivi aggiornamenti in Servais 1980). Si datano con certezza all’età classica l’iscrizione
DAOS APOLL438 relativa alla porta d’accesso all’ambiente meridionale dell’edificio nord (IV
sec. a.C.), e l’iscrizione ad Apollo rinvenuta nella grotta cultuale situata presso l’angolo sud-
ovest dell’edificio sud (fine IV o inizi III sec. a.C.)439.
Sullo stilobate del portico dorico dell’edificio nord sono inoltre iscritti numerosi graffiti440,
dei quali non è sempre possibile stabilire la datazione; tuttavia i più antichi non sono precedenti
al IV sec. a.C. e il più tardo si data all’età basso-imperiale.
È datata al 450-440 a.C. infine una stele iscritta441 in marmo bianco rinvenuta nel 1963
nell’interro di età romana davanti al portico dorico dell’edificio sud. L’iscrizione riporta le di-
stanze dal santuario alla città di Thasos con due possibili itinerari, lungo la costa occidentale
dell’isola e lungo quella orientale. Il testo dimostra l’esistenza di un percorso stradale che cir-
condava tutta l’isola, manifestante il legame che esisteva tra la città e il territorio dell’isola: la
coesione del corpo civico, che comprendeva la città di Thasos e tutta una serie di komai dis-
seminati nell’isola (non ancora completamente individuati), era espressa simbolicamente dalla
presenza del santuario, collocato all’estremità opposta rispetto al centro cittadino ma collegato
ad essa e agli altri villaggi da un’ampia rete di strade442.
Votivi
Risalgono ad età classica alcuni frammenti ceramici iscritti (inediti) con dediche ad Apol-
lo, rinvenuti nella grotta cultuale esplorata nel 1961 da D. Lazaridis443. Da segnalare anche un
fondo di skyphos attico con incise sul fondo le lettere AP (datato a fine IV-inizi III sec. a.C.),
rinvenuto negli scavi del 1963444.
Età romana
Strutture
Il santuario continua ad essere frequentato senza modifiche strutturali fino alla piena età
imperiale, come dimostrano i graffiti, le iscrizioni e i frammenti ceramici abbondantemente
presenti nei livelli di frequentazione più alti. Gli edifici conoscono solo alcuni rifacimenti tardi,
che interessano alcune parti di essi senza sconvolgerne la planimetria.
438
Già trovata dal Bent (cfr. supra); IG XII, 8, 592.
439
Bernard, Salviat 1967.
440
Cfr. Servais 1980, pp. 46-49.
441
Salviat, Servais 1964.
442
Salviat, Servais 1964, p. 287; Grandjean, Salviat 2000, p. 47.
443
BCH, 89, 1965, p. 966.
444
Cfr. Servais 1980, p. 73.
445
Bent 1887a, p. 451; Bent 1887b, p. 435; Baker-Penoyre 1909, p. 237 e pl. XVI, 7. Cfr. Servais 1980, pp. 43-45.
446
Cfr. Servais 1980, pp. 43-44; Bent 1887a, p. 452.
Sulla base di tali interventi edilizi è possibile dunque ipotizzare che entrambi gli edifici
siano attivamente in vita fino al II sec. d.C.; in questo periodo non vengono attuate grandi
risistemazioni riferibili ad un progetto unitario, ma solo piccoli rifacimenti limitati a singole
porzioni delle due strutture.
La presenza di dediche iscritte datate fino ad età tarda nell’edificio settentrionale e non in
quello meridionale fa infine pensare che quest’ultimo non sia più frequentato dopo il II sec. d.C.
Iscrizioni
Importante indizio della frequentazione di età romana del santuario sono i ritrovamenti
epigrafici effettuati dal Bent, raccolti in IG XII, 8 (di età romana sono i nn. 581, 582, 583,
584, 585, 586); per gli aggiornamenti cfr. Salviat, Bernard 1962 e Servais 1980, 10, 46-49. Si
tratta di 8 iscrizioni con voti per la buona navigazione (euploia) e di due graffiti incisi sulle
strutture.
Aliki 1 base di marmo (1.06 x Voto (in greco) per una buona naviga- Hicks 1887, p. età imperiale
0,56 x 0,52 m) zione ad Agathe Tyche per un’imbarca- 415, nn. 14-15; (secondo
zione di nome Eracle447, tessalonicense, IG XII, 8, 581 Hicks “non
di Epiktetos e Zoilos. Si richiede la pro- più antica del
tezione anche per Zoilos, per Cesariano II sec. d.C.”)
(?), per il comandante Trophimos e per
coloro che navigano insieme a lui.
Aliki 2 iscrizione sul muro me- Voto (in greco) per una buona naviga- Hicks 1887, p. età imperiale
ridionale dell’edificio zione per due imbarcazioni di nome 416, n. 16;
nord del santuario Poseidon e Asklepios. IG XII, 8, 582
Aliki 3 Voto (in greco) per una buona navi- Hicks 1887, p. età imperiale
gazione per un’imbarcazione di nome 414, n. 13;
Asklepios (?). IG XII, 8, 583
Aliki 4 frammento di marmo Voto (in greco) per una buona naviga- IG XII, 8, 584 età imperiale
bianco (0,35 x 0,29 x zione per due imbarcazioni di nome
0,12 m) Demetra (?) e Serapis e per il coman-
dante (?) Simo.
Aliki 5 Voto (in greco) per una buona navi- Hicks 1887, p. età imperiale
gazione per un’imbarcazione di nome 416, n. 17; (secondo
Artemis, del comandante Eutychos di IG XII, 8, 585 Hicks “in-
Mitilene, del vice-comandante Tychi- torno al 100
kos, del timoniere Ioukundos. d.C.”)
Aliki 6 frammento di marmo Voto (in greco) per una buona naviga- Hicks 1887, p. età imperiale
(0,50 x 0,78 m) zione ad Agathe Tyche per un coman- 414, n. 12;
dante di nome Zminthios, della Tro- IG XII, 8, 586
ade. Le lacune non ne consentono la
lettura completa; vi si trova l’accenno
ad una navigazione intorno all’isola
Aerio e ad ignoti pericoli.
Aliki 7 blocco di marmo bianco Iscrizione in greco riportante i nomi Hicks 1887, p. II-III secolo
di 3 archontes, 5 polemarchoi, uno 409, n. 1;
hierokeryx e 3 apologoi (addetti alla IG XII, 8, 589;
contabilità?). Bernard,
Salviat 1967,
p. 585
Aliki 8 blocco di marmo (0,45 Voto (in greco) per una buona navi- Servais 1980, età imperiale
x 0,31 m) reimpiegato in gazione per un’imbarcazione di nome p. 27, nota 59
una base rinvenuta con- Dionisos.
tro il muro di fondo del
portico ionico dell’edifi-
cio nord
Aliki 9 Iscrizione su blocco mar- Il verbo della prima riga è lo stesso Bernard, Sal- II-III sec.
mo scoperta nel 1965 nella che compare negli altri voti di euploia. viat 1967, pp. d.C.
zona del nartece della ba- Nella quarta riga è menzionato un 583-585
silica presso il santuario di polemarco, nella settima forse un apo-
Aliki. Il blocco, in origine dekte (magistrato finanziario); la flau-
base di pilastro o di statua, tista della riga 12 è probabilmente da
fu poi tagliato ai due fian- mettere in relazione alla celebrazione
chi per essere reimpiegato di cerimonie.
nella basilica.
447
L’utilizzo di nomi di divinità per le navi (interpretato come richiesta di protezione della divinità stessa) è
attestato solo a partire dal I-II secolo (cfr. Sandberg 1954, pp. 19-20).
Aliki 10 iscrizione all’interno di Voto (in greco) per una buona navi- BCH, 86, III-IV sec.
tabula ansata su blocco gazione per un’imbarcazione di nome 1962, pp. 609- d.C.
di marmo Asklepios di Asso del comandante 611, n. 24
Sostratos, con ringraziamento agli Dei
Salvatori e al mercante Ulpio.
Aliki 11 graffito sullo stiloba- Iscrizione in greco con contenuto Servais 1980, età basso-
te del portico dorico erotico. p. 48, n. 4 imperiale
dell’edifico nord448, a
nord della colonna cen-
trale.
Aliki 12 blocco delimitante a sud Sulla faccia superiore del blocco sono Servais 1980, età romana
l’eschara dell’edificio due graffiti. p. 14 tarda
nord. A sinistra si legge SEUQHS; a destra
l’iscrizione è illeggibile.
Monete449
Durante le idagini nell’area sacra sono stati rinvenuti un bronzo di Costanzo II (346-361
d.C.), uno di Valente (364-378 d.C.), uno di Teodosio I (383-392 d.C.), uno di Teodosio II (402-
408 d.C.) ed uno di Giustiniano.
Culto
Non si possiedono testimonianze relative al culto nel santuario durante l’età romana. Gli
indizi di cui disponiamo sono solo tracce della frequentazione del santuario, ma le forme del
culto ed eventuali cambiamenti di questo restano ignoti.
Appare comunque molto significativo il ritrovamento di ben otto iscrizioni con voti per
una buona navigazione (euploia), rinvenute già dal Bent nel 1887 e da lui datate ad età romana
imperiale; non sono state trovate iscrizioni con voti di questo tipo riferibili alle precedenti fasi
di vita del santuario.
In generale, le iscrizioni con voti di euploia non sono frequenti nel mondo antico e proven-
gono principalmente da tre località: Aliki, l’isola di Prote (Messenia) (28 attestazioni) e Syros
(9 attestazioni).
Sembra possibile dunque mettere in relazione la vita del santuario in età romana con lo
sfruttamento delle cave della penisola di Aliki, utilizzate in modo intensivo proprio a partire
da età romana alto-imperiale450, quando il marmo tasio inizia ad essere particolarmente apprez-
zato come materiale edilizio e per la realizzazione di opere d’arte, come testimoniano le fonti
letterarie451. Il santuario sarebbe stato quindi frequentato da numerosi commercianti di marmo
che, rifornitisi di materia prima nelle cave della penisola, prima di riprendere la navigazione
invocavano la protezione divina sulle loro imbarcazioni452.
La presenza tra le iscrizioni di alcune dediche di magistrati di Thasos testimonia secondo
Grandjean e Salviat453 che ancora nel II-III sec. d.C. i magistrati periodicamente circumnaviga-
vano l’isola in barca e si fermavano ad Aliki per sacrificare al dio; questo viaggio ufficiale con la
448
Sullo stilobate e sulla crepidine del portico dorico dell’edificio nord sono presenti numerosi graffiti; una
datazione certa all’età romana è possibile solo per il graffito qui riportato, ma non si può escludere che altri possano
essere stati incisi nello stesso periodo.
449
Cfr. Servais 1980, p. 10, nota 28.
450
Sulle cave di marmo di Aliki cfr. Sodini, Lambraki, Kozeli 1980.
451
Cfr. Sen., Ep., 86, 6; Plut., Cat. Mi., 11, 3; Suet., Nero, 50; Stat., Silv., I, 5, 34 e II, 2, 92; Paus., I, 18.6. L’editto
di Diocleziano fissa le tariffe del marmo tasio.
452
Per i voti di euploia in generale, cfr. Sandberg 1955; L. Robert, Bull., in REG, 1956, pp. 104-105, n. 3.
453
Grandjean, Salviat 2000, pp. 47-48.
tappa al santuario rappresentava il legame esistente tra la città di Thasos e i villaggi della chora,
e dimostra che l’organizzazione politica dell’isola vigente sin da età arcaica era rispettata ancora
in epoca imperiale.
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