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Aevum Antiquum N.S.11 (2011), pp.

191-201

Nicola Serafini

L’‘INNO A ECATE’ DI ESIODO (THEOG. 411-452):


UNA FALSA DEFINIZIONE1

Il problema della classificazione dei generi letterarî greci, com’è noto, è assai
complesso, e non sarà oggetto specifico di discussione in questa sede2. Trat-
teremo, invece, un caso particolare che a esso si ricollega e che ha da sempre
diviso le opinioni degli studiosi che si sono trovati, chi in un modo chi in un
altro, a dover affrontare i vv. 411-452 della Teogonia di Esiodo. In tal occasio-
ne il poeta descrive i poteri della dea Ecate3.
Attorno alla metà del poema, Esiodo dedica una quarantina di versi a
questa divinità, partendo dal dato genealogico. L’ampio e controverso brano
costituisce la più antica menzione della dea nelle fonti letterarie greche e i
versi in questione sono riservati a descriverne – oltre alla nascita e alla gene-
alogia – soprattutto i poteri, i privilegi, le sfere d’influenza, gli onori: in una
parola, le timaiv.
© 2014 Vita e Pensiero / Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

1
Ringrazio Paola Angeli Bernardini e Marco Dorati per l’attenta lettura e i preziosi consigli.
2
Sul problema dei generi letterarî e della loro classificazione nella Grecia antica, è ancora oggi
fondamentale l’articolo di A.E. Harvey, The Classification of Greek Lyric Poetry, CQ n.s. 5 (1955), pp.
157-75. Da aggiungere B. Gentili, Epigramma ed elegia, in L’épigramme grecque, Entretiens Hardt XIV,
Vandoeuvres-Genève 1967, pp. 37-90; L.E. Rossi, I generi letterari e le loro leggi scritte e non scritte nelle
letterature classiche, BICS 18 (1971), pp. 69-94; B. Gentili, Lirica greca arcaica e tardo arcaica, in Intro-
duzione allo studio della cultura classica I, Milano 1972, pp. 57-105; C.O. Pavese, Tradizione e generi
poetici della Grecia arcaica, Roma 1972; C. Calame, Réflections sur les genres littéraires en Grèce archaïque,
QUCC 17 (1974), pp. 113-28; M. Fantuzzi, La contaminazione dei generi letterari nella letteratura
greca ellenistica. Rifiuto del sistema o evoluzione di un sistema?, L&S 15 (1980), pp. 433-450. Vd. anche
i più recenti lavori di J.-M. Schaeffer, Qu’est-ce qu’un genre littéraire?, Paris 1989; M. Macé, Le genre
littéraire, Paris 2004; R. Baroni et M. Macé (éds.), Le savoir des genres, Rennes 2006; C. Calame, Entre
péan et dithyrambe, genres discursifs, formes poétiques et performances rituelles, in C. Calame, F. Dupont,
B. Lortat-Jacob et M. Manca (éds.), La voix actée. Pour une nouvelle ethnopoétique, Paris 2010, pp. 43-
58. Sul carattere pragmatico della poesia greca (da cui dipende anche la classificazione dei generi), vd.
almeno B. Gentili, Die pragmatischen Aspekte der archaischen griechischen Dichtung, A&A 36 (1990),
pp. 1-17; A. Aloni, Proemio e funzione proemiale nella poesia greca arcaica, in Lirica greca e latina (Atti
del convegno di studi polacco-italiano, Poznan 2-5 maggio 1990), AION(filol.) 12 (1990), pp. 99-130
(in part. sui generi letterari p. 100); G.F. Gianotti, La festa: la poesia corale, in Lo spazio letterario della
Grecia antica I.1, Roma 1992, pp. 143-75 e E. Cingano, La lirica corale, in I. Lana e E. V. Maltese (a c.
di), Storia della civiltà letteraria greca e latina I, Dalle origini al IV secolo a.C., Torino 1998, pp. 101-56,
in part. pp. 108-12.
3
Sui vasti poteri di cui gode la dea Ecate in questo controverso passo esiodeo, si veda la bibliogra-
fia già segnalata e discussa in N. Serafini, I sentieri di Ecate, QUCC n.s. 101 (2012), pp. 225-34, in part.
228-29. Più in generale, su tale divinità, vd. ora N. Serafini, La dea Ecate in Beozia: un culto-fantasma?,
Teiresias 43 (2013), pp. 23-27, e N. Serafini, La dea Ecate, le torce e le ninfe Lampadi: un frammento di
Alcmane (fr. 63 Davies), QUCC n.s. 104 (133) 2013, pp. 11-22.
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Figlia di Perse e di Asterie, Ecate è una dea molto onorata sia in cielo sia in terra:
già sotto il regno dei Titani dispone di vasti privilegi, e Zeus, al suo avvento al
potere, ne riconferma l’onore. Questa dea ha una notevole influenza sulla vita dei
mortali, rispetto agli altri soggetti divini presenti nel poema teogonico: Ecate assiste
gli uomini nei tribunali e nelle assemblee, ma anche in guerra e negli agoni, dove
può concedere la gloria (ku'do) garantendo la vittoria ai suoi protetti. Aiuta altresì
gli uomini nella pesca accanto a Posidone, conferendo loro una sostanziosa preda,
e nell’allevamento, dove a fianco di Ermes può assicurare la prosperità delle greggi.
Infine, la dea Ecate è ‘nutrice di giovani’ (kourotrovfo). Detiene tale potere fin
dalle origini, e Zeus ne consolida la prerogativa.
Il passo, che è stato recentemente definito come «una rimarchevole descrizio-
ne teologica della dea»4, rappresenta la parte più lunga all’interno del poema
esiodeo dedicata a una sola divinità, se si esclude il caso particolare di Zeus. È
inoltre il segmento della Teogonia che probabilmente contempla più di ogni
altro la presenza umana5: «è una celebrazione dell’utilità (usefulness) della dea,
del suo potere di aiutare i propri devoti»6.
In questa sede non sarà possibile approfondire la spinosa questione
dell’autenticità del passo, sulla cui paternità esiodea si è creato un acceso
dibattito sin dalla fine dell’Ottocento. Per decennî il brano fu considerato
un’interpolazione più tarda, penetrata nel testo tràdito agganciandosi a una
(presunta) menzione di Ecate già presente nella versione originaria: secondo
alcuni, tale sezione costituiva dunque in origine un inno indipendente, che
sarebbe poi confluito nella versione ‘canonica’ della Teogonia. Tuttavia, nono-
stante qualche rara eccezione, attualmente la controversia sull’autenticità del
passo sembra ormai archiviata, in favore della paternità esiodea7.
Il retaggio di tale dibattito, così come dell’ormai superata convinzione
che il passo fosse in origine un inno a sé stante, è costituito dal permanere di

4
R.D. Woodard, Hesiod and Greek Myth, in The Cambridge Companion to Greek Mythology, New
York 2007, pp. 83-165, p. 88: «The poet seizes upon the genealogical mention of Hecate to hymn her
praises, and in thirty-eight lines sets out a remarkable theological description of the goddess – a benefi-
cent deity providing many advantages to humankind, quite distinct from the threatening and infernal
Hecate of a later period».
5
G. Arrighetti (Esiodo, Opere, Torino 1998, pp. 299-301) notava, a ragione, che gli uomini sono
menzionati sporadicamente nella Teogonia, riconoscendo invece nel passo in questione una presenza uma-
na ben maggiore. Non diversamente J. Strauss Clay (Hesiod’s Cosmos, Cambridge 2003, pp. 129-30), se-
condo la quale addirittura «����������������������������������������������������������������������������
the Hecate passage provides a unique opportunity to examine the divine view-
point on human life in our age of iron». Cf. quanto detto nella sua edizione esiodea da G.F. Schoemann
(hrsg.), Die Hesiodische Theogonie, Berlin 1868, p. 183: «Es ist dieses Stück der Theogonie das einzige
in seiner Art. Denn von dem, was die Götter für die Menschen thun, von ihrem Walten im Leben
derselben, von den Gaben die sie gewähren oder versagen, kurz vor Allem, um deswillen sie von den
Menschen verehrt und angerufen werden, ist in keinem anderem Theil der Theogonie eigentlich die
Rede». Secondo R. Lamberton, Hesiod, New Haven-London 1988, p. 85 la chiave per comprendere il
passo sta proprio nella doppia natura di Ecate, da un lato rappresentante sia dell’antico ordine divino
che di quello olimpico, e dall’altro intermediaria fra uomini e dèi.
6
Lamberton, Hesiod, op. cit., p. 85. Secondo lo studioso (pp. 84-6) con questo brano entra in
gioco per la prima volta nella Teogonia la dimensione più propriamente cultuale.
7
Sulla questione dell’autenticità del passo, mi limito qui a rimandare alla bibliografia già segna-
lata in Serafini, Sentieri, art. cit., pp. 228-29.
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tale titolo in riferimento ai versi teogonici che qui interessano. L’intero brano,
infatti, è solitamente chiamato ‘Inno a Ecate’, ma questa sembra essere una
definizione moderna, poiché in nessuna fonte antica – a quanto mi risulta – ci
si riferisce a tali versi col termine umno. Resta quindi da vedere se la sezione
della Teogonia possa o no essere definita ‘inno’, visto che, a quanto ne so, nes-
suno sinora ha mai affrontato seriamente, e in profondità, la questione.
La difficoltà principale è senza dubbio la prospettiva da adottare. In che
modo è possibile, se lo è, qualificare come ‘innica’ una sezione teogonica? E
soprattutto, secondo quali criterî? Sulla base del valore arcaico del termine, di
quello platonico, o piuttosto sulla scia delle classificazioni alessandrine? Nel
senso della retorica tardo-antica, o magari persino della moderna accezione
del termine ‘inno’? Come vedremo, ognuna di queste prospettive comporta
significati ben diversi e conseguenze talora assai discordanti, secondo il punto
di vista che si assuma. Invece, fra coloro che hanno impiegato – o tuttora
impiegano – tale designazione, nessuno ha mai specificato su quali basi era
inteso il termine ‘inno’.
La questione non è di secondaria importanza, e sarà utile richiamare le
varie opinioni espresse in merito dagli studiosi che si sono occupati – seppur
in maniera spesso cursoria – del testo che qui interessa. Perentoria l’asserzione
del Wilamowitz: «sie [scil. die Hekate-Partie] ist kein Hymnus, wie jeder se-
hen muß, der sich um den Bau von Hymnen kümmert»8. Già G. Warr, alla
fine dell’Ottocento, notava che il passo non merita il titolo di ‘inno’ spesso
riservatogli9, mentre una discussione più articolata attorno alla questione sarà
offerta solo nel 1958 da P. Walcot, che in un importante articolo si occupò
proprio dei cosiddetti ‘inni’ presenti nella Teogonia, cioè quelli dedicati alle
Muse, ad Afrodite, a Stige e a Ecate. In quella sede, lo studioso sosteneva che il
presunto inno dedicato alla dea Ecate, comparabile alle descrizioni dei poteri
delle Muse, di Afrodite e di Stige, era difficilmente definibile come ‘inno’10.
Dalla seconda metà del Novecento fino agli anni più recenti, forse anche
per evitare la controversa e problematica designazione di ‘inno’ – sebbene ciò
non sia dichiarato apertamente dagli studiosi –, questo passo è stato definito
nelle maniere più diverse, come ad esempio: «Hecate-excursus»11, «Hekate-
Episode»12, «Hekate-Komplex»13, «Hekate-Bild»14, «Hekate-Einlage»15, «Hekate-

8
U. Wilamowitz-Moellendorff, Der Glaube der Hellenen I, Berlin 1931, p. 172.
9
G.C.W. Warr, The Hesiodic Hecate, CR 9 (1895), pp. 390-2, in part. p. 390.
10
P. Walcot, Hesiod’s Hymns to the Muses, Aphrodite, Styx and Hecate, SO 34 (1958), pp. 5-14,
in part. pp. 11-3.
11
G.S. Kirk, The Structure and Aim of the Theogony, in Hésiode et son influence, Entretiens Hardt
VII, Vandœvres-Genève 1962, pp. 63-107, in part. p. 80.
12
Wilamowitz-Moellendorff, Der Glaube der Hellenen, op. cit., p. 169 n. 1.
13
W. Fauth, Hekate Polymorphos, Hamburg 2006, p. 1.
14
Fauth, Hekate Polymorphos, op. cit., p. 3.
15
Fauth, Hekate Polymorphos, op. cit., p. 22.
194 NICOLA SERAFINI

Partie»16. Tecnicamente questi stratagemmi lessicali hanno il merito di non


riservare alla sezione un’etichetta impegnativa come quella di ‘inno’, ma allo
stesso tempo non colgono l’essenza del passo, che va ricercata – come vedre-
mo – nella dimensione eulogistica di questi versi.
Rimane celebre l’asserzione di M.L. West, che definì il brano «not so
much a hymn as a gospel»17, con tutte le implicazioni che comporta l’afferma-
zione di un Esiodo ‘evangelista’18, sebbene ci sia, forse, anche una sfumatura
ironica in queste parole. In ogni caso, non è mancato chi abbia rivendicato
la classificazione di ‘inno’ per il passo in questione, anche con toni a volte un
po’ troppo categorici, definendolo ad esempio «un vero e proprio inno» o «un
véritable hymne»19.
Partendo dalla premessa che non si tratti formalmente di un inno, in una
recente monografia esiodea K. Stoddard parla correttamente di «encomiastic
tone» e «hymnic qualities», lasciando intendere – anche se la questione non è
approfondita – che sebbene il passo contenga elementi innodici (superlativi,
ripetizioni, descrizione della timhv, etc.), questi non bastano a definirlo ‘inno’20.
Accanto all’opinione espressa da K. Stoddard, per la comprensione del
passo merita attenzione anche quanto affermato qualche anno prima da M.-
C. Leclerc. Quest’ultima, infatti, rileva giustamente la presenza di una forte
connotazione encomiastica, che permette di ravvisare nel passo un certo stile
‘innodico’. La studiosa aggiunge che nonostante ciò il termine ‘inno’, che
spesso si è soliti attribuire al brano, deve essere inteso non in senso tecnico,
bensì come una maniera di rilevare l’entusiasmo che caratterizza l’evocazione
della dea21.

16
T. Kraus, Hekate, Heidelberg 1960, p. 62.
17
M.L. West (ed.), Hesiod. Theogony, Oxford 1966, p. 276.
18
Cf. anche M.L. West, Hesiod’s Titans, JHS 105 (1985), pp. 174-75: «Hesiod is an enthousiastic
evangelist for Hecate» (p. 175).
19
Così P. Mazon (éd.), Hésiode. Théogonie, Les travaux et les jours, Le bouclier, Paris 19646, p. 21:
«La forme... c’est celle d’un hymne». Anche L. Séchan et P. Lévêque, Les grandes divinités de la Grèce,
Paris 1966, p. 64 definiscono il brano «un véritable hymne». Parimenti G. Derossi, L’inno ad Ecate di
Bacchilide (fr. 1 B Sn.) e la «figura» arcaica della dea, QTLCG 2 (1971-1974), pp. 5-113, in part. p. 9:
«un vero e proprio inno». Ancora recentemente, E. Mazzola, Ecate: solo dea delle donne? La dea nelle
testimonianze letterarie dalle origini al III secolo a.C., Acme 59, 2006, pp. 305-18, in part. p. 316 parla
di «un vero e proprio inno a lei riservato». Cf. N.J. Richardson, The Homeric Hymn to Demeter, Oxford
1974, p. 155: «a special ‘hymn’». E. Des Places, La religion grecque, Paris 1969 utilizza sempre la formula
«hymne à Hécate», così come anche Lamberton, Hesiod, op. cit. («Hekate hymn») e più di recente E.
Calcaterra, Ecate Signora dei limina. Una rilettura delle fonti più antiche, Mythos 3 (2009), pp. 93-115, la
quale impiega costantemente il sintagma ‘Inno a Ecate’, senza però discutere se ciò sia o no appropriato.
20
Sul genere innodico, e soprattutto sulle caratteristiche proprie di tale genere letterario rintrac-
ciabili anche nel brano esiodeo in questione, vd. da ultimo K. Stoddard, The Narrative Voice in the The-
ogony of Hesiod, Leiden-Boston 2004, p. 7. In generale, sugli inni greci, vd. J.M. Bremer, Greek Hymns,
in H.S. Versnel (ed.), Faith, Hope and Worship. Aspetcs of Religious Mentality in the Ancient World, Leiden
1981, pp. 193-215; i contributi raccolti in G. Cerri e A.C. Cassio (a c. di), L’inno tra rituale e letteratura
nel mondo antico, Atti di un colloquio (Napoli 21-24 ottobre 1991), AION(filol.) 13 (1991); nonché i
due recenti volumi di W.D. Furley and J.M. Bremer, Greek Hymns, I-II, Tübingen 2001.
21
M.-C. Leclerc, Poésie et religion chez Hésiode, in M.M. Mactoux et E. Geny (édd.), Discours
religieux dans l’Antiquité, Besançon-Paris 1995, pp. 117-30, in part. p. 119.
L’‘INNO A ECATE’ DI ESIODO (THEOG. 411-452): UNA FALSA DEFINIZIONE 195

A questo punto è opportuno stabilire se, definendo la sezione esiodea


come ‘Inno a Ecate’, si impieghi il termine ‘inno’ nel senso antico della parola
(che a sua volta è piuttosto differenziato), o piuttosto in quello ormai comune
e generico, secondo cui è oggi riferito a una preghiera o a un qualsiasi canto
di invocazione in cui sia presente l’allocuzione diretta alla divinità. L’opposi-
zione centrale non è semplicemente fra il significato antico del termine ‘inno’
e quello moderno, bensì tra impieghi specifici, antichi nonché moderni, e im-
pieghi comuni e generici, che allo stesso modo sono sia antichi sia moderni.
Non sempre gli studiosi recenti, al pari degli autori antichi, intendono rifarsi
a una terminologia tecnica, e ciò può anche essere ammissibile: tuttavia, dal
punto di vista tecnico, la qualifica di ‘inno’, come vedremo, non è applicabile
al passo che qui interessa.
È ormai ampiamente condiviso che nell’antichità convivessero due diver-
se accezioni del termine ‘inno’: da un lato quella più arcaica, ma che continua
a sopravvivere fino a epoca imperiale, di ‘poema cantato’, all’interno del quale
operavano delle sotto-categorie come ad esempio peani, ditirambi etc.; dall’al-
tro quella platonica, anch’essa attestata fino ai testi più tardi, nella quale l’inno
è interpretato in senso specifico come canto di lode in onore di una divinità.
Le etimologie antiche del termine umno non sembrano particolarmente
convincenti a livello linguistico, e non aiutano più di tanto nella definizio-
ne del genere. L’Etymologicum Gudianum (p. 540, 38-40 Sturz) afferma ad
esempio che la parola ‘inno’ viene da ‘rimanere’, ‘durare’ – uJpomevnw –, in
quanto conferisce alle parole di lode una forma duratura nel tempo. Questa
etimologia è condivisa sia dall’Etymologicum Magnum (777, 1) sia da Proclo
(ap. Phot. Bibl. 320a, 9-12), il quale registra anche una possibile derivazione
dal verbo udein, sinonimo di levgein. Infine, sarà utile menzionare che in due
passi di Bacchilide la parola umno sembra essere connessa al verbo uJJfaivnein
(Ep. V 9-10; Dith. V 8 = fr. 19 Maehler), anche se spesso in simili ‘giochi
etimologici’ è più plausibile riconoscere l’inventiva del poeta, piuttosto che
documentabili sviluppi linguistici.
In ogni caso, nessuna delle etimologie qui ricordate sembra giustificabile
sul piano glottologico, e non contribuisce alla determinazione del significato
originario del termine, che andrà dunque ricercato su base linguistico-compara-
tiva: in tal senso, non si può non ricordare la connessione stabilita fra il sanscr.
sumnám e il gr. hymnos. Ormai qualche decennio fa, infatti, M. Durante ha
chiarito il significato del termine sanscrito, interpretabile come ‘inno’, in cui può
essere isolata la radice su-, corrispondente al gr. euj-, evidenziandone la fonda-
mentale componente eulogica, mentre dall’altro lato ha anche mostrato la stret-
ta parentela linguistica fra il sanscrito sumna- e il greco hymnos, termini ricon-
ducibili alla sfera eulogistica, in primo luogo al ‘bel canto’ in onore degli dèi22.

22
M. Durante, Sulla preistoria della tradizione poetica greca II, Risultanze della comparazione indo-
europea, Roma 1976, pp. 155-66.
196 NICOLA SERAFINI

Il dato rilevante è che possediamo numerose testimonianze, di epoca


arcaica e classica, dove umno sembra semplicemente denotare la nozione di
‘canto’23, spaziando dal canto processionale a quello simposiale, passando per i
poemi trenodici o per i proemî epici costituiti dagli Inni omerici 24. Com’è or-
mai assodato, è solo con Platone che subentra la nota distinzione fra ‘inno’ ed
‘encomio’, a seconda che il canto di lode fosse destinato a celebrare una divinità
o un mortale25. Del resto, la classificazione alessandrina della poesia melica in
libri separati per quanto concerne peani, ditirambi o inni, conferma l’ipotesi
per cui il termine umno non avesse più il significato generale che invece sembra
avere in epoca arcaica. Ciò è corroborato dalla ripartizione dei generi elaborata
da Proclo, il quale, nella discussione in merito alla poesia sacra, pare che utiliz-
zasse l’espressione oJ kurivw umno, ‘l’inno propriamente detto’, per riferirsi al
canto di lode di divinità eseguito attorno all’altare, e quindi distinto ad esempio
dai canti processionali, i prosodia, che erano eseguiti durante le processioni ver-
so l’altare o il tempio, accompagnati dalla melodia dell’aulos 26. L’‘inno propria-
mente detto’ è invece eseguito con l’accompagnamento della kithara mentre
il coro resta ‘immobile’ attorno all’altare del dio celebrato in tale occasione27.
Nonostante lo sforzo tassonomico di Platone, e sebbene tale distinzione
– ritrovabile in alcune fonti più tarde28 – permanga spesso anche negli studî

23
Assai frequente, negli epinici di Pindaro e Bacchilide, l’utilizzo del termine per denotare anche
il canto celebrativo dell’atleta vincitore negli agoni: Pind. Ol. I 8, III 3, VI 87; Pyth. VI. 7 etc.; Bacch.
Ep. IV 10, V 10 etc. Cf. P.A. Bernardini, L’inno agli dei nella lirica corale greca e la sua destinazione sacra-
le, in Cerri-Cassio, L’inno, op. cit., pp. 85-94, in part. p. 86. Per l’impiego del termine ‘inno’ nel senso di
threnos, vd. Anacr. fr. 168 Gent.; Aesch. Pers. 620, 625; Aesch. Ag. 709. Nel senso di ‘canto simposiale’,
vd. ad es. Anacr. fr. 33, 11 Gent.; Xenoph. fr. 1, 13 Gent.-Pr.; Theogn. 993. Più in generale, passi come
Od. VIII. 429 o Aesch. Ag. 709 suggeriscono che il termine denotasse in senso lato ogni poema cantato.
24
Già E. Wünsch (s.v. «Hymnos» RE IX, Stuttgart 1916, coll. 140-83) raccolse numerosi passi
della poesia arcaica nei quali il termine umno significa semplicemente ‘canto’. Per i tentativi di defini-
zione della parola umno attraverso l’etimologia del termine, vd. R.L. Fowler, The Nature of Early Greek
Lyric: Three Preliminary Studies, Toronto-London 1987, p. 95, secondo il quale: «‘Hymn’ as a general
term for poetry that is sung is not itself the name of a genre, but it is reasonable to suppose that the
praises of gods were recognized as a genre by archaic poets». ���������������������������������������������
Per gli utilizzi del termine e dei suoi deri-
vati, in generale, vd. M. Lattke, Hymnus, Göttingen 1991, pp. 13-79.
25
Plat. Leg. 700b. Cf. anche Resp. 607a, Leg. 801c-802a, Symp. 177a. Sul significato platonico
del termine hymnos, vd. B. Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica, Milano 20064, p. 70 n. 52.
Cf. anche R. Velardi, Le origini dell’inno in prosa tra V e IV secolo a.C. Menandro retore e Platone, in
Cerri-Cassio, L’inno, op. cit., pp. 205-31, in part. pp. 216-23; Bernardini, L’inno agli dei, op. cit., p. 90;
Gianotti, La festa, art. cit., p. 155 e da ultimo M. Regali, L’inno di Platone fra teoria e prassi: la «Repub-
blica» e il «Timeo», Paideia 64 (2009), pp. 405-21, che si concentra interamente su tale argomento. Da
aggiungere, più in generale, G. Cerri, Platone sociologo della comunicazione, Roma 19962.
26
Sui canti prosodici vd. S. Grandolini, Osservazioni sul prosodio, AFLPerugia 25 (1987-1988), pp. 29-
52; S. Grandolini, Canto processionale e culto nell’antica Grecia, in Cerri-Cassio, L’inno, op. cit., pp. 125-40.
27
Procl. ap. Phot. Bibl. 320a, 18-20 eJlevgeto de; to; prosovdion eJpeida;n prosivwsi toi' bwmoi'
h naoi', kai; ejn tw' prosievnai hdeto prov aujlovn∙ oJ de; kurivw umno pro; kiqavran hdeto eJst
wvntwn. Cf. Bernardini, L’inno agli dei, op. cit., p. 88 secondo la quale «eJstwvntwn non significa che si
trattava di un’esecuzione del coro assolutamente immobile, ma probabilmente di un’esecuzione in cui i
coreuti compivano qualche movimento, magari accennando qualche passo di danza», ma senza compie-
re una vera e propria processione. Cf. Athen. XIV. 628a, 631d tw'n ga;r umnwn oiJ me;n wjrcou'nto, oiJ de;
oujk wjrcou'nto. Sulla performance degli inni, vd. ora Furley-Bremer, Greek Hymns, op. cit., pp. 20-35.
28
Ammon. Adf. Voc. Diff. 482 umno ejgkwmivou diafevrei∙ oJ ga;r umno ejsti; qew'n, to; de;
L’‘INNO A ECATE’ DI ESIODO (THEOG. 411-452): UNA FALSA DEFINIZIONE 197

moderni, come ha notato B. Gentili l’uso attico più diffuso del termine sem-
bra comunque rimanere quello già in vigore in età arcaica29. Ciò è testimonia-
to da Polluce (Onom. I 38), per il quale ‘inno’ è ancora il termine generico,
all’interno del quale si possono distinguere numerose sotto-categorie, come il
peana, il ditirambo e altri generi melici30.
Già in Eschilo, tuttavia, il termine umno sembra che inizi a implicare una
sfumatura particolare, riferendosi specificamente ai canti rivolti agli dèi, nella
maggioranza dei casi a divinità ctonie31. Inizia quindi, già a quest’epoca, a con-
figurarsi quello che sarà poi il modulo tipico dell’inno (impropriamente) detto
‘cletico’, termine portato in voga secoli più tardi da Menandro retore (I 334-
335), e che avrà ampia fortuna fino ai giorni nostri. Questo tipo d’invocazione è
caratterizzato da un ampio uso degli imperativi rivolti direttamente alla divinità
– come ad es. ‘vieni’, ‘appari’ etc. –, oltre che ovviamente da un’invocazione ini-
ziale e – spesso, ma non sempre – da una finale. In realtà, a una più attenta let-
tura di Menandro retore (I 334, 25 ss.), la definizione comunemente diffusa di
‘inno cletico’ come qualunque poema in cui sia invocata per nome una divinità,
ebbene, appare imprecisa: come vedremo meglio anche in séguito, Menandro
distingue gli inni fra cletici e apopemptici, vale a dire come inni di chiamata e
inni di congedo, e gli inni cletici sono appunto da intendere come poemi invo-
catorî, «which summon the god to leave his present abiding-place»32.
Da un punto di vista più strettamente religioso, un’antica definizione
dell’‘inno’ afferma che questo è «un discorso nella forma di adorazione, dove
la preghiera è congiunta alla lode, indirizzato a una divinità»33: l’inno, dun-
que, «è un discorso (lovgo) che celebra una divinità combinando preghie-
ra (eujchv) e lode (epaino). Questa dichiarazione può essere comparata con
quella offerta da uno scoliasta a Dionisio Trace, secondo cui «l’inno è un
poema che contiene lodi degli dèi e degli eroi, assieme alla gratitudine»34. In
questo caso si specifica che l’inno è una forma poetica (poivhma) con la quale
si possono onorare anche gli eroi, mentre l’elemento di novità è il tema della
gratitudine (eujcaristiva), condizione essenziale per denotare l’azione di un
devoto che offre un canto a una divinità.

ejgkwvmion ajnqrwvpwn. Etym. Gud. p. 540, 42-43 Sturz umno, ejgkwmivou diafevrei, kaqo; oJ me;n
umno ejpi; qeou' levgetai∙ to; de; ejgkwvmion ejpi; ajnqrwvpou.
29
Gentili, Poesia e pubblico, op. cit., p. 70 n. 52.
30
Cf. Phot. Bibl. 320a, 12-14: ejkavloun de; kaqovlou pavnta ta; eij tou; uJperovnta grafov
mena umnou.
31
Aesch. Ag. 1191, 1473; Choeph. 475; Eum. 306, 331, 344; Pers. 620. Sulla lexis eschilea, si
rinvia a V. Citti, Il linguaggio religioso e liturgico nelle tragedie di Eschilo, Bologna 1963, e più di recente,
V. Citti, Eschilo e la lexis tragica, Amsterdam 1994.
32
H. Weir Smyth, Greek Melic Poets, London 1900, p. XXXII.
33
Etym. Gud. p. 540, 46-47 Sturz umno∙ estin oJ meta; proskunhvsew kai; eujch' kekramevnh
ejpaivnw lovgo eij qeouv.
34
Schol. Dion. Tr. I 1 (p. 451, 6-7 Hilgard) umno ejsti; poivhma perievcon qew'n ejgkwv mia kai;
hJrwvwn met eujcaristiva.
198 NICOLA SERAFINI

Ancora oggi molto spesso gli studiosi utilizzano – a torto – il termine


‘inno’ come un semplice sinonimo di ‘invocazione agli dèi’. La dettagliata
classificazione offerta da Menandro retore ci spinge però verso una direzione
diversa, e ci esorta a una maggiore precisione. Sarà pertanto utile riprendere
l’articolata argomentazione proposta da questo commentatore tardo-antico.
Per quanto riguarda le composizioni encomiastiche, Menandro afferma
che quando la lode riguarda gli dèi si parla di ‘inni’, e che questi ultimi sono
suddivisi in base alla divinità celebrata: peani e iporchemi per Apollo, diti-
rambi e iobacchi per Dioniso, ‘inni erotici’ per Afrodite, mentre per le altre
divinità si usa il termine generico di ‘inno’ (I 331-332). Oltre alla divinità
celebrata, per ciò che concerne la categorizzazione degli inni intervengono
criteri stilistici e contenutistici, che permettono di isolare ben otto tipi diversi
di inni35:
1) Inni cletici: composizioni contenenti un’invocazione a una divinità.
2) Inni apopemptici36: quelli che includono uno scongiuro o un’espia-
zione.
3) Inni scientifici: relativi a fenomeni naturali.
4) Inni mitici: i componimenti che contengono dei miti e «procedono
per allegoria» – kat ajllhgorivan proiovnte –.
5) Inni genealogici: quelli che seguono le teogonie dei poeti precedenti
e trattano le genealogie delle divinità.
6) Inni fittizî: quando la voce narrante personifica una divinità, un de-
mone, o un’entità immaginaria.
7) Inni supplicatorî: semplici preghiere.
8) Inni deprecatorî: quando si vuole evitare che accada qualcosa.
«Nessun inno agli dèi può essere composto al di fuori di questi modelli»37,
afferma perentoriamente il retore. A ciascuna di queste categorie inniche è poi
riservata una dettagliata trattazione autonoma38, nella quale Menandro ana-
lizza le peculiarità stilistiche relative a ciascun tipo di ‘inno’, anche attraverso
numerosi rimandi a poeti di epoca arcaica e classica.
La categoria che qui maggiormente interessa è la quinta, quella concer-
nente gli inni genealogici. Menandro afferma significativamente come «sia
assai arduo trovare un inno agli dèi nel quale sia presente solo l’elemento
genealogico, fatto salvo il caso in cui le teogonie siano considerate esse stesse

35
Men. Rhet. I. 333, 8-333, 26. Sulla classificazione offerta da Menandro retore, cf. Velardi, Le
origini dell’inno, art. cit., pp. 209-13.
36
Sugli inni apopemptici, vd. Bernardini, L’inno agli dei, op. cit., p. 90 e soprattutto ora, da ulti-
mo, Antonietta Gostoli, L’inno apopemptico in Menandro Retore e nella prassi poetica greca: (Bacchilide e
Callimaco), Paideia 64 (2009), pp. 589-96.
37
Men. Rhet. I. 333, 27 kai; para; touvtou tou; trovpou oujk an umnoi givgnointo eij qeouv.
38
Inni cletici: I. 333, 26-336, 5. Inni apopemptici: I. 336, 6-336, 24. Inni scientifici: I. 336, 25-
337, 32. Inni mitici: I. 338, 1-339, 32. Inni genealogici: I. 340, 1-340, 30. Inni fittizî: I. 340, 31-342,
20. Inni supplicatorî e inni deprecatorî: I. 342, 21-344, 14.
L’‘INNO A ECATE’ DI ESIODO (THEOG. 411-452): UNA FALSA DEFINIZIONE 199

come inni agli dèi»39. Sebbene tale ipotesi non sembri esser mai stata avanzata
da nessuno studioso, la sezione della Teogonia dedicata alla dea Ecate, a prima
vista, potrebbe essere considerata come un inno di tipo genealogico, poiché
prende le mosse dalla trattazione della stirpe della dea e si amplia fino a de-
scriverne anche gli onori e i poteri. A ben vedere, tuttavia, Menandro muove
dal presupposto che teogonie e inni agli dèi sono due cose distinte, e considera
quella di identificarli un’ipotesi non ovvia. Del resto, i versi esiodei dedicati
a Ecate appartengono a un grande poema genealogico nel suo insieme, che
nessuno si sognerebbe di definire come ‘inno’.

Ricapitolando, l’evoluzione del termine umno può essere così riepilogata: in


epoca arcaica e classica esso denota in generale ogni tipo di poema cantato,
senza distinzioni formali o contenutistiche, mentre con Platone subentra la
distinzione fra umnoi ed ejgkwv mia, rispettivamente destinati alla lode di una
divinità o di un mortale. Tale distinzione fu utilizzata anche dagli Alessandri-
ni, che catalogarono come umno ogni testo poetico volto alla celebrazione di
una divinità che non fosse Apollo o Dioniso, per i quali isolarono peani e di-
tirambi. L’accezione arcaica più ampia sembra però permanere anche in epoca
ellenistica e imperiale, nonostante la sistematizzazione alessandrina.
Il cosiddetto ‘Inno a Ecate’ non sembra dunque rientrare in nessuna delle
accezioni greche del termine umno: resta ora da vedere se la qualifica di ‘inno’
possa essere applicata basandosi sul mero piano contenutistico del brano.

Secondo una recente definizione di J.M. Bremer, un inno è una preghiera canta-
ta40. L’inno è sempre volto alla celebrazione diretta di una divinità, e può essere
utilizzato anche – ma non necessariamente – per richiedere il suo aiuto o il suo
intervento. In questo è certamente vicino alla preghiera, e può spesso coincidere
con essa, se con il termine ‘preghiera’ noi intendiamo la richiesta di aiuto che il
mortale rivolge alla divinità invocandola per riceverne qualcosa in cambio.
Non bisogna tuttavia mai perdere di vista la discriminante principale di
ogni inno, vale a dire la lode. L’inno, a prescindere dalla presenza di una ri-
chiesta diretta nei confronti della divinità, rimane una celebrazione del sogget-
to divino invocato41. Gli inni condividono alcune caratteristiche compositive

39
Men. Rhet. I. 331, 5-7 spanivw estin umnon euJrei'n qew'n <ejn w> to; genealogiko;n movnon
fevretai, plh;n eij <mhv> ti uJpolambavnoi ta; qeogoniva umnou einai tw'n qew'n.
40
Bremer, Greek Hymns, art. cit., p. 193: «A hymn is a sung prayer. Prayer is a more general
concept, and singing does not necessarily belong to it». Si veda del resto Furley-Bremer, Greek Hymns,
op. cit., dove già nel sottotitolo si parla significativamente di ‘canti di culto’ (Selected Cult Songs from
Archaic to the Hellenistic Period).
41
Sulla dimensione eulogistica degli inni, con particolare riferimento a quelli cosiddetti ‘dram-
matici’ di Callimaco, vd. prossimamente N. Serafini, Il potere di Demetra, fra racconto mitico e cornice
rituale: possibili echi del culto cireneo in Callimaco, Inno VI?, in M. Luni (ed.), Cirene riscoperta. Un secolo
di scavi: 1913-2013, Atti del XII Convegno di Archeologia Cirenea (Urbino, 28-29 giugno 2013),
Roma 2014 (in stampa).
200 NICOLA SERAFINI

tipiche della preghiera, come ad esempio l’allocuzione diretta alla divinità e


la – eventuale – supplica di aiuto o protezione, accanto a una paragonabile ge-
stualità recitativa, plausibilmente con lo sguardo rivolto verso il cielo e le mani
aperte in segno d’invocazione e di supplica42. Naturalmente, però, la differenza
principale fra inno e preghiera risiede nel diverso indice di elaborazione forma-
le del testo: mentre un inno, per il fatto stesso di essere metricamente compo-
sto, la presuppone, la preghiera non liturgica normalmente non è caratterizzata
da una particolare attenzione alla componente linguistica e stilistica43.
La sezione dedicata a Ecate nella Teogonia possiede numerose caratteri-
stiche proprie del genere innico in senso tecnico, perlomeno in conformità
alle teorie moderne che si rifanno a loro volta a quelle alessandrine. A livello
stilistico si può notare l’abbondanza di figure retoriche (su tutte le anafore), di
ripetizioni, di rimandi ed echi interni, che conferiscono al brano un tono so-
lenne e soprattutto intensificano notevolmente il contenuto stesso del canto.
Il poeta ritorna spesso sui medesimi concetti quasi a confermarne il valore: la
variazione linguistica ma non semantica ne è un chiaro indizio. Tutto ciò de-
nota una precisa volontà di celebrare il potere della dea Ecate, attraverso l’uso
di una fitta rete di espedienti retorici che rendono il passo una vera e propria
lode di questa divinità. A livello contenutistico sono nominate – e descritte –
con dovizia di particolari le timaiv della dea, i suoi poteri e i suoi onori: anche
questo dimostra che siamo in presenza di un vero e proprio elogio della dea
Ecate e delle sue vaste prerogative.
Questa forte dimensione celebrativa potrebbe offrire la tentazione di re-
cuperare il termine ‘inno’, ma non bisogna dimenticare che nel passo esiodeo
è assente qualunque invocazione alla divinità celebrata, né vi è contenuta al-
cuna richiesta esplicita di soccorso, e la narrazione delle sue vicende mitiche
non è presente se non in forma molto implicita. Non si vede come, anche dal
punto di vista contenutistico, sia lecito continuare a usare il termine ‘inno’ per
designare questa sezione della Teogonia che nulla, del resto, indica che abbia
mai conosciuto una vita autonoma e indipendente dal poema.
In linea di principio, inserzioni innodiche all’interno di testi altra natura
sono tutt’altro che impossibili, e in ambito melico sono bene attestate. Basti
pensare a quegli epinici che presentano invocazioni iniziali di tipo innologi-
co44, come ad es. le Pitiche VIII e XI, o ancora di più al cosiddetto ‘Inno a

42
Sulla supplica e la relativa gestualità, vd. M. Giordano, La supplica. Rituale, istituzione sociale e
tema epico in Omero, Napoli 1999.
43
Sulla preghiera nel mondo greco la bibliografia è assai ampia. Mi limito a ricordare H.S.
Versnel, Religious Mentality in Ancient Prayer, in Faith, Hope and Worship, Leiden 1981, pp. 1-64 (che
offre un completo panorama non solo sulla preghiera, bensì sulla mentalità retrostante alla preghiera
stessa, gli stati d’animo che muovono all’invocazione e tutti i modi nei quali si manifestava), e le recenti
monografie di D. Aubriot-Sévin, Prière et conceptions religieuses en Grèce ancienne jusqu’à la fin du V e
siècle av. J.-C., Lyon 1992 e S. Pulleyn, Prayer in Greek Religion, Oxford 1997. Sul rapporto fra inno e
preghiera, vd. da ultimo Furley-Bremer, Greek Hymns, op. cit., pp. 3-6.
44
Sugli incipit degli epinici che presentano elementi innodici, vd. P. Giannini, Lettura della Pitica
L’‘INNO A ECATE’ DI ESIODO (THEOG. 411-452): UNA FALSA DEFINIZIONE 201

Castore o Iolao’ inserito nella Istmica I di Pindaro ai vv. 17-32. Questi versi
sono organizzati come una sorta di inno a sé stante, e le parole stesse del po-
eta sembrano suggerire che egli abbia qui inserito un componimento di altra
natura – ejqevlw || h Kastoreivw h Iolavoi ejnarmovxai min umnw (vv. 15-6)
–, dotato della tipica forma innodica di congedo, vale a dire il caivrete finale
(v. 32)45.
Tuttavia, pensare che qui la Teogonia riutilizzi un inno lirico a Ecate
adattandolo a un contesto esametrico è ipotesi puramente astratta, che nulla
suggerisce, e nulla quindi autorizza a formulare. Non di inno si tratta, dun-
que, e se si vuole utilizzare un termine antico sarà bene riprenderne un altro.
Negli scolî al passo non è mai presente il termine umno, mentre invece anche
lo scoliasta nota lo spiccata dimensione eulogistica di tale celebrazione, in-
terpretando la sezione come un epaino, dicendo che ejpainei' th;n Ekavthn
Hsivodo 46. Ecco perché, visto il carattere marcatamente celebrativo – ma
non per questo necessariamente innico – di questo brano, a questo punto sa-
rebbe secondo me più opportuno definirlo una volta per tutte come la ‘Lode
a Ecate’ di Esiodo.

8 di Pindaro, in Lirica greca e latina (Atti del convegno di studi polacco-italiano, Poznan 2-5 maggio
1990), AION(filol.) 12 (1990), pp. 169-88, in part. p. 170, secondo il quale la divinità invocata in
questi casi è sempre oggetto di culto. In alcuni casi, come ad esempio la Pitica VIII, più che a una divi-
nità vera e propria l’invocazione è diretta alla personificazione di un concetto astratto, nella fattispecie
Hesychia.
45
È da notare che, come ha sostenuto P. Bernardini, L’inno agli dei, op. cit., pp. 93-4, questo può
accadere solitamente se occorre una qualche corrispondenza a livello esecutivo, in altre parole se en-
trambi i componimenti – l’inno originario e il carme nel quale sarà inserito – presentano un’esecuzione
corale. Il particolare è confermato altresì dalla ricorrenza di sezioni inniche all’interno delle parti corali
della tragedia, dove le invocazioni alle divinità sono intonate dalla pluralità di voci del coro tragico,
denotando così ancora una volta una prossimità esecutiva fra l’inno e la forma poetica che lo contiene.
Cf. Aesch. Ag. 160-83; Soph. Trach. 94-100; Phil. 391-402.
46
Schol. Hes. Theog. 411 (p. 70 Di Gregorio). Sul valore di ejpainei'n, vd. G. Nagy, The Best of the
Achaeans, Baltimore-London 19992, pp. 222-223. Sulla lode e sui suoi meccanismi nella poesia epica,
vd. da ultimo C. Catenacci, Epica ed eulogia. Dai modelli mitici di età arcaica all’epos storico ellenistico, in
G. Urso (a c. di), Dicere Laudes: elogio, comunicazione, creazione del consenso, Atti del convegno (Cividale
del Friuli, 23-25 settembre 2010), Pisa 2011, pp. 49-68.

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